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L'Autore e la sua produzione scientifica
Giovan...
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L'Autore e la sua produzione scientifica
Giovanni Reale è professore ordinario, titolare della cattedra di Storia della filosofia antica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università Cattolica di Milano. Oltre a questa Storia della filosofia antica in 5 volumi, ha pubblicato opere che spaziano su tutto l'arco del pensiero antico in modo analitico. Nell'ambito dei Presocratici ha approfondito soprattutto gli Eleati (Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso), curando dapprima gli aggiornamenti sistematici de La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, 1, 3 di E. Zeller e R. Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze 1967, e pubblicando in seguito una edizione dei frammenti di Melisso che arricchisce considerevolmente la raccolta di Diels-Kranz, con ampia monografia introduttiva e commentario storico-filologico e filosofico (il primo che finora sia stato fatto): Melisso, Testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze 1970 (Biblioteca di studi superiori, 50). A Platone ha dedicato costante studio. Ha tradotto e commentato una serie di dialoghi per la collana « Il Pensiero » dell'Editrice La Scuola di Brescia: Critone, 1961 (1987 12 ); Menone, 1962 (1986 11 ); Eutifrone, 1964 (1987 7 ); Gorgia, 1966 (198Y); Protagora, 1969 (19866 ); Pedone, 1970 (1986 10 ). Di recente ha pubblicato l'ampio volume: Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dia· loghi alla luce delle «Dottrine non scritte», Edizioni CUSL, Milano 19864 ; Vita e Pensiero 19875 (la prima edizione - provvisoria e parziale - è del 1984). Quest'opera è stata insignita del « Premio Fiuggi per la saggistica filosofica 1986 ». Ha tradotto dal tedesco e introdotto il volume: Platone e i fondamenti della metafisica di H. Kriimer (Vita e Pensiero, Milano 1982; 19872 ), appositamente composto da Kriimer su invito del prof. Reale, a nome del «Centro di Ricerche di Metafisica» dell'Università Cattolica. In questa opera viene inoltre offerta la prima traduzione italiana delle testimonianze antiche sulle « Dottrine non scritte » di Platone. Su Aristotele ha scritto numerosi saggi in riviste e in miscellanee e ha pubblicato i seguenti volumi: Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 1961 (l'opera ha avuto una seconda edizione nel 1965, una terza nel 1967 e una quarta nel 1985 e di recente è stata tradotta in lingua inglese da John R. Catan, State University of New York Press, Albany 1980); Introduzione a Aristotele, Laterza,
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Bari 1974 (1986 4 ), di recente tradotta in lingua spagnola da V. Bazterrica (Editoria! Herder, Barcelona 1985). Per la collana « Filosofi antichi » dell'Editore Loffredo ha tradotto La Metafisica, 2 voli., Napoli 1968 (1978 2 ), con un'ampia introduzione e un commentario storico-filosofico, il primo sistematico in lingua italiana (la traduzione senza ·commentario è stata edita anche presso Rusconi, Milano 1978; 19842 ). Nel 1974, per la medesima collana dell'Editore Loffredo, ha curato la prima traduzione italiana del Trattato sttl Cosmo per Alessandro, con testo greco a fronte, introduzione e commentario sistematico, suggerendo, sulla base di nuovi argomenti e documenti, l'ipotesi di lavoro che l'opera possa appartenere ad Aristotele, o comunque al primo Peripato. Nell'ambito della filosofia postaristotelica ha approfondito un momento particolarmente importante della storia del Peripato nel volume T eofrasto e la sua aporetica metafisica, La Scuola, Brescia 1964, opera che contiene anche la traduzione (la prima in lingua italiana) della Metafisica di Teofrasto, con commentario (l'opera è stata integralmente tradotta da J. Catan ed è stata in parte già edita in appendice al Concetto di filosofia prima, come è stato fatto anche nella quarta edizione italiana di quest'opera). Ha inoltre ristudiato a fondo la figura di Pirrone in un saggio dal titolo: Ipotesi per una rilettura della filosofia di Pirrone di Elide (in AA.VV., Lo scetticismo antico, Bibliopolis, Napoli 1981, pp. 243-336). Nell'ambito della filosofia dell'età imperiale si è occupato di Filone di Alessandria, oltre che con ricerche specifiche, promuovendo la prima traduzione italiana sistematica di tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia, pubblicati presso l'editore Rusconi, Milano 1978-1988 in vari volumi, di alcuni dei quali ha curato le Introduzioni. Ha curato altresl l'Introduzione, le Prefazioni e le Parafrasi a tutto quanto ci è pervenuto di Epitteto (nel volume Epitteto, Diatribe, Manuale, Frammenti, Rusconi, Milano 1982). Da ultimo, ha pubblicato una monografia su Proclo dal titolo L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero metafisico e teurgico di Proclo, edita come saggio introduttivo in: Proclo, I Manuali, Rusconi, Milano 1985 (pp. v-ccxxm). Inoltre, insieme a Dario Antiseri ha firmato una vasta sintesi in tre volumi: Il pensiero occidentale delle origini ad oggi, La Scuola, Brescia 1983, che ha riscosso un assai vasto consenso, e di cui sono già state pubblicate numerose edizioni.
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GIOVANNI REALE
STORIA DELLA FILOSOFIA ANTICA IV. LE SCUOLE DELL'ETA IMPERIALE Quinta edizione
VITA E PENSIERO Pubblicazioni della Università Cattolica Milano 1987
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Prima edizione: maggio 1978 Seconda edizione: gennaio 1979 Terza edizione: gennaio 1981 Quarta edizione: febbraio 1984 Quinta edizione con nuova veste grafico-editoriale: dicembre 1987
La nuova edizione, con le rispettive revlSloni, viene pubblicata con contributi del « Dipartimento di filosofia » e del « Centro di Ricerche di Metafisica » dell'Università Cattolica.
© 1978 Vita e Pensiero - Largo Gemelli,
l - 20123 Milano
ISBN 88-343-2578-8
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SOMMARIO
Avvertenza
XVII
Parte prima GLI ULTIMI SVILUPPI E LA DISSOLUZIONE DELLA SCUOLA PERIPATETICA E DELLE GRANDI SCUOLE ELLENISTICHE
Sezione prima / La riscoperta degli esoterici di Aristotele, il neoaristotelismo e i limiti della sua portata storico-filosofica 1.
La bisecolare eclissi del Peripato nell'età ellenistica
7
l. Licone - 2. Ieronimo di Rodi - 3. Aristone di Ceo - 4. Critolao di Faselide - 5. Diodoro di Tiro La riscoperta degli scritti «esoterici» di Aristotele, la grande edizione di Andronico di Rodi e la lenta rinascita della filosofia aristotelica nel I secolo a.C. l. Le vicende degli scritti « esoterici » di Aristotele e la loro pubblicazione - 2. I criteri seguiti da Andronico nella sua edizione del «Corpus Aristotelicum » - 3. Esponenti e tendenze della filosofia peripatetica nel I secolo a.C.
11.
m. Il nuovo corso dell'aristotelismo nei primi due secoli dell'era cristiana l. Consolidamento e diffusione del commento agli esoterici 2. Influssi platonici e medioplatonici sui Peripatetici dell'era cristiana
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13
30
SOMMAIUO
VI
Il neoaristotelismo di Alessandro di Afrodisia l. I capisaldi dell'antologia di Alessandro e il loro significato - 2. La dottrina del « Nous » e la sua novità - 3. La presenza di una componente mistica nella metafisica di Alessandro IV.
39
Sezione seconda l Le ultime testimonianze dei seguaci della filosofia del Giardino e il verbo di Epicuro inciso sulla .pietra 1. Reviviscenza dell'epicureismo nei primi due secoli dell'era cristiana l. Testimonianze sulla vitalità e sulla diffusione della filosofia del Giardino in età imperiale - 2. La permanente stabilità dogmatica dell'epicureismo e l'accentuarsi del suo carattere di religione laica - 3. Il prestigio guadagnato da Epicuro e dagli Epicurei in epoca imperiale
53
11.
Diogene di Enoanda l. Il portico fatto costruire da Diogene di Enoanda e il suo scopo - 2. L'esposizione delle dottrine fisiche - 3. L'esposizione dell'etica
63
m. Dissoluzione dell'epicureismo
69
Sezione terza l La rinascita della filosofia del Portico a Roma e il neostoicismo 1.
L'ultima stagione della Stoa l. La vitalità e la diffusione dello stoicismo nell'età imperiale - 2. Caratteri del neostoicismo
73
n. Seneca
78
l. Caratteristiche del pensiero di Seneca - 2. Dio e il divino 3. La concezione dell'uomo- 4. La coscienza- 5. La volontà6. Il senso del peccato - 7. L'uguaglianza di tutti gli uomini e l'amore scambievole - 8. I .presunti rapporti di Seneca e S. Paolo
m. Musonio Rufo l. L'accentuazione dell'aspetto pratico della filosofia - 2.
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98
VII
SOMMARIO
L'esercizio come attuazione della virtù e del bene- 3. Spunti nuovi IV.
Epitteto, lo schiavo filosofo
105
l. Caratteristiche dello stoicismo di Epitteto - 2. Il principio
fondamentale dell'etica di Epitteto - 3. Una tripartizione della filosofia di rilevanza etica - 4. La « prohairesis » o scelta morale di fondo - 5. Il nuovo sentimento del divino - 6. La parentela dell'uomo con Dio e la fratellanza degli uomini 7. La lode a Dio v. Marco Aurelio, l'imperatore filosofo l. Caratteristiche dello stoicismo di Marco Aurelio - 2. Il flusso cosmico e la caducità di tutte le cose - 3. Riaffermazione del monismo panteistico stoico - 4. Nuova antropologia: l'uomo come corpo, anima e mente - 5. Il rifugio nell'interiorità - 6. Spirito nuovo VI.
La dissoluzione della filosofia della Stoa
126
145
Sezione quarta / La rinascita del pirroliismo e il neoscetticismo 1.
Enesidemo e il ripensamento del pi"onismo
151
l. I motivi della rinascita del pirronismo e le sue caratteristiche - 2. I dieci « tropi », ovvero la tavola delle supreme
categorie del dubbio - 3. La negazione della verità, del principio di causalità e della possibilità dell'inferenza metempirica - 4. I rapporti fra lo scetticismo di Enesidemo e l'eraclitismo - 5. Idee morali Agrippa e gli sviluppi del neoscetticismo l. Gli Scettici posteriori ad Enesidemo - 2. La nuova tavola dei « tropi » di Agrippa - 3. Significato della nuova tavola · dei « tropi » 11.
m. Sesto Empirico e gli ultimi sviluppi dello scetticismo antico l. Breve caratterizzazione degli indirizzi della medicina greca con particolare riguardo all'indirizzo empirico- 2. Menodoto
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182
189
VIII
SOMMARIO
fra medicina empirica e scetticismo - 3. Il nuovo piano sul quale Sesto Empirico riformula lo scetticismo - 4. La vita senza dogmi, ovvero la vita senza filosofia secondo Sesto 5. La critica sistematica di Sesto a tutte le scienze e alla filosofia IV.
L'esaurimento dello scetticismo Sezione quinta
l
210
Reviviscenze del cinismo
La rinascita del cinismo in età imperiale e le sue caratteristiche
1.
215
La corrente stoicheggiante e religiosa del cinismo dell'età imperiale l. Demetrio - 2. Dione Crisostomo
218
III. La corrente del cinismo dell'età imperiale ispirata all'antico radicalismo contestatore l. Enomao di Gadara- 2. Demonatte- 3. Peregrino Proteo
227
11.
IV. Il cinismo imperiale come fenomeno di massa e le sue interiori contraddizioni
236
Parte seconda LA RISCOPERTA DELL'INCORPOREO E DELLA TRASCENDENZA FILONE DI ALESSANDRIA, LA RINASCITA DEL PLATONISMO E DEL PITAGORISMO, GLI SCRITTI ERMETICI E GLI ORACOLI CALDAICI
Sezione prima l Filone di Alessandria e la « filosofia mosaica: »
La genesi, le componenti e i problemi di fondo della filosofia di Filone di Alessandria l. La genesi del pensiero filoniano e il suo ruolo nella storia della filosofia antica - 2. La componente ellenica - 3. La componente ebraica - 4. L'allegoresi filoniana e i suoi precedenti greci ed ebraici 1.
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247
SOMMARIO
IX
Filone e il preludio di una grande svolta del pensiero occidentale l. La prima formulazione del problema dei rapporti fra la Rivelazione divina e la filosofia, ossia fra la fede e la ragione - 2. Verso la rottura dei quadri ellenistici del sapere filosofico: l'emergere in primo piano della teologia e la proclamazione del primato della « sapienza » ( ao~!«) sulla « saggezza » II.
261
( ~p6VJ)Git;) III.
La metafisica, la teologia e l'antologia di Filone l. II superamento dei presupposti materialistici ed immanentistici dei sistemi ellenistici e la riaffermazione dell'incorporeo e della trascendenza - 2. La nuova concezione di Dio - 3. La prima formulazione filosofica della dottrina della creazione - 4. La dottrina del « Logos » - 5. La dottrina delle «Potenze» - 6. La dottrina delle Idee e la riforma filoniana - 7. Le anime senza corpo e gli Angeli
268
L'antropologia e la morale di Filone l. Nuova concezione della natura dell'uomo, ovvero l'uomo a tre dimensioni - 2. II superamento dell'intellettualismo etico della filosofia greca e la proclamazione della fede come suprema virtù - 3. L'itinerario a Dio, l'unione mistica con Lui e l'estasi
294
IV.
Sezione seconda / Il medioplatonismo e la· riscoperta della metafisica platonica 1.
Genesi, caratteristiche ed esponenti del medioplatonismo
309
l. Le ultime vicende dell'Accademia e le origini del medioplatonismo - 2. Caratteristiche generali del medioplatonismo - 3. Esponenti e tendenze del medioplatonismo - 4. L'importanza storica e teoretica ed i limiti del medioplatonismo II.
La metafisica del medioplatonismo
l. L'essere incorporeo, Dio e la sua trascendenza- 2. Le Idee come pensieri di Dio e la distinzione fra intelligibili primi o Idee trascendenti e intelligibili secondi o forme immanenti alle cose- 3. La gerarchia del divino: verso la dottrina delle ipostasi - 4. La cosmologia medioplatonica: la materia e l'origine del cosmo - 5. La demonologia medioplatonica
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330
x
SOMMARIO
III.
L'antropologia e l'etica del medioplatonismo
355
l. Il fine supremo dell'uomo e l'assimilazione a Dio - 2. La natura spirituale dell'uomo e la concezione dualistica di anima e corpo - 3. La tavola dei valori e la virtù - 4. L'etica medioplatonica e l'etica stoica
Sezione terza l La rinascita della filosofia pitagorica, le sue fasi successive e la fusione finale fra neopitagorismo e medioplatonismo 1. I documenti, gli esponenti, le correnti e le caratteristiche del pitagorismo dell'età ellenistica e dell'età imperiale l. Le vicende della scuola pitagorica - 2. Le falsificazioni di età ellenistica e imperiale di scritti attribuiti ad antichi Pitagorici, la loro genesi e il loro probabile significato - 3. Le relazioni dossografiche desunte da Pitagorici di cui non viene riferito il nome - 4. I nuovi Pitagorici che si presentano con il loro nome - 5. Caratteristiche del pitagorismo dell'età ellenistica ed imperiale
n. I capisaldi dottrinali del neopitagorismo
367
391
l. Il ricupero dell'incorporeo e la riaffermazione del suo primato ontologico - 2. Il significato metodologico, metafisica e teologico dei numeri nel neopitagorismci - 3. La dottrina dei principi supremi della Monade e della Diade e il tentativo di deduzione di tutta la realtà da una Unità suprema - 4. L'ideale mistico della vita umana III. Numenio di Apamea e la fusione fra il neopitagorismo e il medioplatonismo l. La posizione filosofica di Numenio - 2. La proclamazione dell'assoluta preminenza dell'incorporeo - 3. La struttura dell'essere incorporeo e la dottrina dei tre Dei - 4. La dottrina neopitagorica della Monade e della Diade nel contesto dell'antologia numeniana - 5. La materia, l'anima malvagia e l'anima buona - 6. Numenio alle soglie del neoplatonismo
410
Sezione quarta l Gli scritti ermetici e gli oracoli caldaici Il fenomeno dell'ermetismo e i suoi differenti aspetti l. Ermete Trismegisto e la letteratura ermetica- 2. Le carat-
1.
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429
:XI
SOMMARIO
teristiche di fondo dell'ermetismo - 3. Dio, la gerarchia del divino, la genesi del cosmo e dell'uomo nel « Corpus Hermeticum » c 4. L'Intelletto, la conoscenza e la salvezza - 5. L'estasi e l'escatologia nell'ermetismo Gli «Oracoli Caldaici» e la loro importanza storica l. La genesi degli «Oracoli Caldaici » - 2. Le dottrine filosofiche degli « Oracoli Caldaici » - 3. La sapienza magica e la teurgia degli « Oracoli Caldaici »
II.
444
Parte terza PLOTINO E IL NEOPLATONISMO PAGANO
Sezione prima / La genesi del neoplatonismo: dalla scuola di Ammonio ad Alessandria alla scuola di Plotino a Roma Ammonio Sacca e la sua scuola ad Alessandria l. L'enigma di Ammonio Sacca - 2. Le testimonianze di
1.
461
lerocle e di Nemesio sul pensiero di Ammonio - 3. I discepoli di Ammonio
La scuola di Plotino a Roma e la genesi delle « Enneadi » l. Da Alessandria a Roma- 2. Caratteristiche e finalità della
II.
471
scuola -plotiniana
m. Ripresa e conclusione della «seconda navigazione»
477
l. Rapporto fra Plotino e i filosofi precedenti - 2. Plotino
invera e porta a pieno sviluppo le istanze del medioplatonismo e del neopitagorismo - 3. Rapporti fra Plotino, il pensiero orientale, Filone, la Gnosi e il Cristianesimo - 4. I capisaldi del pensiero plotiniano, i loro rapporti con la precedente speculazione e la loro novità - 5. Il metodo di Plotino IV. I metodi possibili per interpretare ed espo"e il pensiero plotiniano 495 l. Le interpretazioni proposte dagli storici della filosofia 2. La via seguita nella presente esposizione - 3. Le articolazioni del sistema
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XII
SOMMARIO
Sezione seconda / Il sistema di Platino nei suoi fondamenti e nella sua struttura 1.
La prima ipostasi: l'Uno l. Preliminare dimostrazione dell'esistenza dell'Uno e delle tre ipostasi - 2. L'infìnitudine, l'assoluta trascendenza e la ineffabilità dell'Uno - 3. Le caratterizzazioni positive dell'Uno - 4. L'Uno come libera attività autoproduttrice - 5. La processione di tutte le cose dall'Uno
503
n. La seconda ipostasi: il « Nous » o Spirito l. Il duplice rapporto che lega l'Uno e lo Spirito - 2. Lo Spirito come Essere, Pensiero e Vita - 3. Lo Spirito come «cosmo intelligibile» - 4. Le categorie del mondo intelligibile
527
m. La terza ipostasi: l'Anima
543
l. La processione dell'Anima dallo Spirito e il duplice rapporto che intercorre fra l'Anima e lo Spirito - 2. Caratteristiche essenziali e ruolo fondamentale dell'Anima nel sistema plotiniano - 3. L'Anima e la sua posizione intermedia - 4. Pluralità dell'Anima - 5. Anima, physis e logos IV. La processione del sensibile dall'intelligibile, il significato e il valore del cosmo fisico l. Il problema della deduzione del mondo fisico - 2. La processione della materia del mondo sensibile e le sue caratteristiche - 3. Le forme e il disegno razionale del mondo, la loro genesi e i loro rapporti con la materia - 4. Genesi della temporalità - 5. Genesi del corporeo e della spazialità e loro natura - 6. La positività del mondo corporeo
v. Origini, natura e destino dell'uomo l. L'uomo anteriormente la sua discesa nel mondo corporeo - 2. La discesa nei corpi - 3. L'uomo e i rapporti fra l'anima e il corpo - 4. Le attività e le funzioni dell'anima - 5. L'uomo e la sua libertà - 6. I destini escatologici dell'anima e il fine supremo dell'uomo - 7. La riforma della tavola dei valori - 8. Le vie del ritorno all'Assoluto - 9. La riunificazione all'Uno - 10. L'estasi
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558
574
SOMMARIO
XIII
Natura e originalità della metafisica plotiniana l. La metafisica plotiniana non è una forma di emanazionismo di tipo orientale, né una forma di panteismo, né una forma di creazionismo - 2. La libertà dell'Uno, la « processione» e il «ritorno» - 3. La «contemplazione creatrice» VI.
606
Sezione terza / Gli sviluppi del neoplatonismo e la fine della filosofia antica greco-pagana Sguardo complessivo sulle scuole, sugli esponenti e sulle tendenze del neoplatonismo l. Alcuni rilievi metodologici concernenti la ricostruzione della storia del neoplatonismo - 2. Le scuole e gli esponenti del neoplatonismo - 3. Le varie tendenze delle scuole neoplatoniche
1.
n. I discepoli immediati di Plotino l. Amelio - 2. Porfirio
619
626
m. Giamblico e la scuola siriaca 639 l. Giamblico e il nuovo corso della filosofia neoplatonica 2. La metafisica e la teologia di Giamblico - 3. Giamblico e la teurgia - 4. I canoni dell'interpretazione dei testi dei classici - 5. Teodoro di Asine e·altri discepoli di Giamblico La scuola di Pergamo l. Caratteristiche ed esponenti della scuola di Pergamo 2. Giuliano (l'Apostata) - 3. Sallustio IV.
657
v. Proclo e la scuola di Atene 663 l. Origini della scuola di Atene - 2. I predecessori di Proclo: Plutarco di Atene, Siriano e Dom.nino - 3. Proclo e la sua sintesi filosofico-teologico-religiosa - 4. La struttura dell'incorporeo, ovvero il sistema procliano delle ipostasi - 5. Le leggi che governano la processione della realtà dall'Uno secondo Proclo - 6. La virtù teurgica - 7. L'uomo e la sua riunione all'Assoluto - 8. I successori di Proclo: Marino, Isidoro, Damascio e Simplicio
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XIV
SOMMARIO
VI.
La seconda scuola neoplatonica di Alessandria l. Caratteristiche dell'ultima fase del neoplatonismo alessandrino - 2. I pensatori neoplatonici alessandrini e l'intreccio fra platonismo e cristianesimo - .3. I commentatori neoplatonici alessandrini
689
vn. Cenni sui Neoplatonici dell'Occidente latino
695
La fine della filosofia antico-pagana l. L'editto di Giustiniano e la proibizione dell'insegnamento pubblico ai Pagani - 2. La sorte dei Neoplatonici della scuola di Atene dopo l'editto di Giustiniano
697
VIII.
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A mio figlio Francesco
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AFVERTENZA
Questo quarto volume della Storia della filosofia antica contiene la trattazione delle scuole filosofiche e dei movimenti di pensiero filosofico-religioso nell'arco di tempo che va, salvo qualche eccezione, dalla fine dell'era pagana agli inizi del sesto secolo d.C. Come il precedente periodo, che va dalla morte di Alessandro Magno alla fine dell'era pagana (ossia il periodo ellenistico vero e proprio), anche questo tratto della storia della filosofia grecopagana è stato piuttosto trascurato e non è stato apprezzato né valutato a fondo, anche se per motivi in gran parte differenti. Molti studiosi hanno visto, in questi secoli, poco più che un monotono ripetersi di idee vecchie, ossia l'inesorabile involuzione del genio ellenico, che si spegne nel corso di una esasperante lisi, ed hanno preferito rivolgere l'attenzione al parallelo nascente pensiero cristiano, per molti aspetti ben più stimolante. In effetti, il quadro complessivo delle scuole di questa età, visto dall'estrinseco, sembrerebbe presentare non altro che una sequela di tentativi di riproporre e ripensare vecchie posizioni, che solo di rado sembrano procedere veramente in avanti. Assistiamo, nel corso di questi secoli, alla riscoperta dell'aristotelismo, alle ultime testimonianze dell'epicureismo, alla rinascita dello stoicismo, alla ripresa del pirronismo, a reviviscenze del cinismo, alla rinascita del pitagorismo, e, soprattutto, ad una ripresa del platonismo, che, attraverso tappe successive, diviene una sorta di filosofia ecumenica (alla quale i Cristiani medesimi attingono per elaborare e criticamente fondare le loro concezioni). Dunque, parrebbe che le novità riscontrabili in questo quadro si restringano a quell'aggettivo «neo» che contraddistingue le varie correnti di pensiero: neo-aristotelismo, neo-stoicismo, neo-scetticismo, neocinismo, neo-pitagorismo, neo-platonismo (di neo-epicureismo non si può parlare, dato che i dogmi della scuola rimangono immu-
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XVIII
AVVERTENZA
lati, giacendo, come rilevano .~li antichi, sempre « in grande pace»). E parrebbe trattarsi di un aggettivo che, nella fattispecie, non modifica, se non in limitata misura, il sostantivo che accompagna. A comi fatti, tma autentica originalità viene riconosciuta quasi solamente al neoplatonismo, anzi, al neoplatonismo di Plotino. A proposito di questo autore i consensi sono pressoché unanimi. Si riconosce, infatti, che alcune pagine delle Enneadi raggiungono vertici paragonabili solamente a quelli di alcuni dialoghi platonici o di alcuni dei trattati aristotelici. E, d'altra parte, il grande influsso che Plotino ebbe lungo tutto il corso della storia del pensiero occidentale - dalla tarda antichità al Medioevo, dall'Umanesimo e Rinascimento all'età romantica, nonché alle varie forme dello spiritualismo contemporaneo - ne è la controprova. Ma proprio questo è il punto su cui vogliamo richiamare l'attenzione del lettore, il quale, probabilmente, mirerà diritto a Plotino, a lui riserbando tutte, o quasi tutte, le sue attenzioni. Plotino non è comprensibile se non nel quadro storico in cui si colloca e in ;unzione delle correnti che lo precedono e ne preparano le vie. Le Enneadi presuppongono troppe cose, che non vengono dimostrate, ma date semplicemente per acquisite. E ciò avviene per il fatto che, nel terzo secolo d.C., quelle cose erano considerate effettivamente tali, per comune ammissione dei filosofi. Le Enneadi, inoltre, risultano caratterizzate da un clima di religiosità spiccatissima e da una temperie spirituale impregnata di un forte misticismo. Ma anche questo clima e questa temperie si trovano già preparati e diffusi, in larga misura, da altre correnti di pensiero. Proprio in questo sta la not•ità del presente volume: nel tentativo di ricostruire la storia di quelle componenti spirituali che hanno portato all'ultima geniale creazione della speculazione greca (finora fatto solamente o prevalentemente nell'ambito degli studi altamente specializzati, e, per lo più, a livello prevalentemente filologico, più che storico-filosofico), in modo da esplicitare tutto quel « non detto » che accompagna, in modo - per così dire sotterraneo, ciò che nelle Enneadi viene invece esplicitamente detto. E il lettore che avrà la pazienza di seguirei si accorgerà - crediamo - che mai come in questo caso è vera l'affermazione che il segreto per intendere i «maggiori» è proprio nei « minori». Tuttavia, detto in questi termini, il nostro assunto potrebbe parere riduttivo. I n fatti, ai molti pen.ratori « minori » che sono
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XIX
AVVERTENZA
trattati in questo volume non annettiamo solamente il significato di preparare Platino, ma anche un significato in sé, come avremo modo di dimostrare largamente, pur credendo fermamente in certe gerarchie e nelle differenze di livelli, che oggi si tende pervicacemente ad appiattire, dando a tutta l'antichità (e specialmente a questa parte dell'antichità) il significato di museo o di antiquariato. Rivisitati dall'interno, tutte le scuole e gli autori trattati in questo volume ci hanno rivelato un loro messaggio specifico, che abbiamo cercato di mettere via via in luce, convinti che la storia della filosofia non sia costituita solo dalle idee nuove, ma altresì dal come si tramandano quelle vecchie, dal come si restringono e si dileguano, oppure si dilatano e si rafforzano, crescendo anche attraverso l'assorbimento di altre, e generando, in tal modo, quelle nuove. Il volume segue passo passo le ultime reviviscenze delle antiche scuole e il loro dissolversi, parallelamente alla rinascita, all'affermazione e alla clamorosa vittoria del platonismo, con tutto il complesso gioco di endosmosi e di esosmosi fra le varie correnti nella misura in cui, a livello di sintesi, risulta possibile. L'idea di fondo che guida tutta la ricostruzione è la seguente. Le grandi scuole sorte in età ellenistica, subito dopo la morte di Alessandro Magno (come abbiamo dimostrato nel terzo volume), sono caratterizzate dall'oblio del significato e dallo smarrimento degli esiti della « seconda navigazione » e dal conseguente tentativo di ricostruire una visione materialistico-corporeistica e immanentistica della realtà. Inoltre, le filosofie del primo ellenismo sono grandi fedi laiche nell'uomo e nella sua possibilità di raggiungere, da solo, il fine supremo, che per il Greco era sostanzialmente l'« eudaimonia », o, come noi diciamo con termine non del tutto adeguato, la felicità. Per contro, nell'età imperiale, queste convinzioni lentamente si sfaldano e dal magma eclettico prodotto dal mescolarsi delle idee delle varie scuole (che, come abbiamo dimostrato, erano solo relativamente e non assolutamente opposte) riemergono a poco a poco proprio quelle concezioni legate alla platonica « seconda navigazione », penetrano in vario modo in quasi tutte le scuole e diventano, infine, il minimo comun denominatore fra di esse. Tornano così a reimporsi i concetti dell'incorporeo e della trascendenza; la natura (immanentisticamente e corporeisticamente concepita) cessa di essere parametro per la deduzione della legge
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morale; Dio (trascendente e incorporeo) torna ad essere dichiarato la vera « misura », e la regola del vivere viene additata nell'« imitazione di Dio », nella « sequela di Dio », o, addirittura, nella « unificazione estatica » con Lui. Insomma, la ripresa, la continuazione e la fine della «seconda navigazione »: ecco quello che ci offre il pensiero greco di questi ultimi secoli. Questa idea conduttrice ci ha offerto - ci sembra - un vero e proprio filo di Arianna per muoverei in quel labirinto di scuole, di movimenti e di correnti di pensiero che caratterizzano la tarda antichità greco-pagana, e ci ha altresì permesso di rinvenire una serie di precise linee di forza, per lo più disconosciute o rilevate in modo non adeguato. Si vedrà, ad esempio, come, nella maggioranza dei casi, le correnti di pensiero diverse da quella platonica, in questi secoli, si differenzino dal ceppo originario prevalentemente (anche se non esclusivamente) nella misura in cui accolgono istanze platoniche. Il neo-aristotelismo degli ultimi Peripatetici e di Alessandro di Afrodisia, sulla base delle più recenti scoperte degli studi specializzati, sta rivelandosi tale, cioè « nuovo », proprio nella misura in cui accoglie istanze platoniche e perfino mistiche. Qualcosa di analogo è stato riconosciuto da alcuni studiosi anche a proposito dei Neostoici, nei quali, sia pure fra molte aporie, alcune istanze platoniche diventano determinanti e l'« imitazione di Dio » diviene precetto morale esplicitamente tematizzato. Filone rilegge e interpreta la Bibbia in funzione di a/erme categorie greche, fra le quali dominano sovrane quelle platoniche (egli arriva addirittura a sostenere che la teoria delle Idee è una verità mosaica). Il neopitagorismo ripropone una sintesi fra dottrina dei numeri e categorie platoniche, che già nella prima Accademia (sia pure in maniera differente) aveva at•uto fortuna. E ancora il platonismo, insieme al pitagorismo, domina in quei documenti filosoficomistico-religiosi, così tipici di quell'età, come il Corpus Hermeticum e gli Oracoli Caldaici. Dalla metà del primo secolo a.C. fino a Plotino il platonismo si sviluppa con caratteristiche che sono « intermedie » fra quelle del vecchio e quelle del nuovo platonismo, donde la denominazione di « medioplatonismo >-•, ormai definitivamente impostasi. È a questo platonismo «di mezzo » che attingono i primi Padri della Chiesa per elaborare razionalmente il messa,v,gio evangelico. La ricostruzione del pensiero di Plotino, che costituisce il
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grosso di questo volume, si incentra su una reinterpretazione del concetto di «processione», che è tutt'altra cosa sia rispetto all'emanazionismo orientale, sia rispetto alle varie forme di monismo e di panteismo che l'Occidente ha conosciuto, e che sempre più si rivela come un vero e proprio unicum nella storia delle idee. Per questa ricostruzione (che qui non è possibile anticipare per ragioni di spazio, ma che il lettore potrà vedere riassunta nel capitolo conclusivo su Plotino) ci siamo giovati dei numerosi contributi che di recente sono stati pubblicati sul nostro filosofo e che hanno fatto progredire le ricerche in misura assai rilevante. Anche nella ricostruzione del neoplatonismo postplotiniano ci siamo giovati delle più recenti scoperte, che hanno letteralmente sconvolto il quadro tradizionale che risale allo Zeller, e, talora, hanno anche capovolto i giudizi corre.nti. Ma, prima di concludere, riteniamo necessari ancora alcuni avvertimenti. Questo periodo della filosofia tardo-antica è stato quello meno adeguatamente storicizzato, ed è quindi logico che si riscontrino divergenze di trattazione e anche di impianto assai notevoli fra le diverse Storie della filosofia. (I clichés adottati dalla manualistica più spiccia sono, per lo più, del tutto inadeguati). Invece le ricerche scientifiche d'avanguardia e i nuovi contributi risultano sempre più precisi e circostanziati nel definire i tratti peculiari di questa fase del pensiero dell'antichità e impongono nuove sistemazioni storiografiche. Questi contributi di vari studiosi (di cui si darà notizia), oltre alle ricerche analitiche che da tempo conduciamo su questo periodo per poter capire Plotino, ci hanno permesso di ridisegnare alcune sezioni e alcuni capitoli in modo innovativo. Il lettore troverà, ad esempio, esposizioni del medioplatonismo e del neopitagorismo condotti con criteri nuovi. Del medioplatonismo, infatti, abbiamo tentato una ricostruzione che cerca di fare emergere l'omogeneità dei problemi e degli intenti al di sopra della varietà delle soluzioni e delle correnti. Del neopitagorismo abbiamo proposto una rilettura che, distinguendo due fasi - quella dell'età ellenistica, che 'si potrebbe chiamare mediopitagorica, e quella dell'età imperiale, ossia quella propriamente neopitagorica - ci sembra offrire la possibilità di una migliore comprensione della specificità della medesima. Il lettore troverà, inoltre, accanto ad una esposizione dell'ermetismo piuttosto ampia, anche una esposizione delle dottrine degli Oracoli Caldaici altrettanto dettagliata. Questo si è
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ritenuto necessario per il fatto che gli studi specializzati hanno dimostrato che tali documenti, in cui la filosofia sembra avere funzione solo ancillare, in realtà rispecchiano in maniera esemplare i sentimenti, le ansie e le aspirazioni mistico-religiose dell'epoca, con i quali la filosofia tende sempre più a fondersi e a confondersi. Per di più, come vedremo, specie gli Oracoli Caldaici, proprio nella torbida componente magico-teurgica che li contraddistingue, oltre che nel loro impianto teoretico, costituiscono la fonte di ispirazione dei tardi Neoplatonici, come una sorta di «Bibbia pagana», e anche il punto di riferimento che permette di stabilire la differenza di fondo fra il neoplatonismo di Plotino e della sua scuola e quello dei successivi Neoplatonici. Anche la nutrita trattazione della «filosofia mosaica » di Filone si giustifica in questa nuova ottica. Filone, nelle recenti ricerche, non risulta più l'eclettico rimescolatore di idee del passato, ma, da un lato, il fondatore della « filosofia religiosa » (anzi, quasi un precursore della filosofia cristiana), e, dall'altro, un pensatore che, tramite l'impatto con la teologia biblica, ·ha portato in area greca, in particolare nell'ambiente alessandrino, idee nuove destinate a dare precisi frutti anche nell'ambito della successiva filosofia greco-pagana, dei quali risultano beneficiare numerosi pensatori e perfino lo stesso Plotino. Mai come nel caso dei pensa/ori di questi cinque secoli risulta vero quello che diceva Emerson: « Platone è la filosofia », o, se si preferisce, quello che, con inimitabile ironia, affermava Montaigne: « Scuotete e agitate Platone: ciascuno, onorandosi di appropriarlo a sé, lo mette dalla parte che vuole».
* * * Ricordiamo al lettore che, soprattutto dopo la pubblicazione della prima edizione del presente volume, abbiamo concentrato alcune nostre indagini e le ricerche di nostri allievi sulle /ematiche in esso trattate, oppure abbiamo sollecitato interventi o accolto contributi preziosi di colleghi sui medesimi temi, nella sezione di una collana delle edizioni Rusconi da noi diretta, al fine di gettare ulteriore luce su questo periodo, in passato tanto trascurato dagli studiosi, e invece assai interessate sotto diversi aspetti. Tralasciando i contributi minori, ricordiamo quanto segue. Sono stati approntati tutti i trattati di Filone di Alessandria
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del grande commentario allegorico alla Bibbia, distribuiti in cinque volumi, presso l'editore Rusconi, 1981-1988 (con un anticipo preparatorio nel 1978, e con l'edizione definitiva nel 1981, 1984, 1986, 1987 e 1988). Inoltre, R. Radice ha curato una imponente e fondamentale bibliografia ragionata filoniana con il titolo: Filone di Alessandria, Bibliogra:fia generale (Bibliopolis, Napoli 198 3), già tradotta in lingua inglese. Sul medioplatonismo C. Mazzarelli ha pubblicato la prima bibliografia generale ragionata (uscita nella « Rivista di Filosofia neo-scolastica», nel 1980 e nel 1982) e la prima edizione dei frammenti del medio platonico Eudoro (nella stessa rivista, nel 1985). Su Platino M.L. Gatti ha pubblicato il volume Plotino e la metafisica della contemplazione (CUSL, Milano 1982), in cui le ipotesi interpretative da noi qui avanzate vengono sottoposte ad una serie di attente e puntuali verifiche. Ancora nella collana Rusconi segnaliamo una nuova traduzione con ricchi apparati dei Dialoghi di Seneca curata da A. Marastoni (1.979), una nuova traduzione con ricchi apparati di tutto Epitteto da noi curata insieme a C. Cassanmagnago (Epitteto, Diatribe, Manuale, Frammenti, 1982) e la traduzione del De mysteriis attribuito a Giamblico a cura di A.R. Sodano, con un commentario veramente imponente (Giamblico, I misteri egiziani, 1984). Sempre nella collana di Rusconi sono state pubblicate opere di Proclo (I Manuali, I testi magico-teurgici, 1985), molte per la prima volta tradotte in italiano, insieme alla Vita di Proclo di Marino, con una nostra ampia e dettagliata monografia introduttiva: L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero metafisica e teurgico di Proclo (ivi, pp. 1-ccxxxm). Infine, sono già in fase di avanzata elaborazione altre traduzioni di opere di Platonici. Per la veste editoriale di questa edizione ringraziamo vivamente il dott. S. Raiteri per le ragioni che spieghiamo nell'Avvertenza del primo volume. GIOVANNI REALE
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LE SCUOLE DELL'ETA IMPERIALE
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«Fuggiamo dunque verso la cara patria: ecco il consiglio da ricevere come più corrispondente alla verità [ ... }. Ma la patria nostra ~là, dove venimmo; là dov'~ il Padre». Plotino, Enneadi, 1, 6, 8
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PARTE PRIMA
GLI ULTIMI SVILUPPI E LA DISSOLUZIONE DELLA SCUOLA PERIPATETICA E DELLE GRANDI SCUOLE ELLENISTICHE
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«Coloro ai quali importa di avere qualcosa di divino in se medesimi devono preoccuparsi di essere in grado di pensare qualcosa di cosiffatto ». - Alessandro di Afrodisia, De anima, 91, 5 sg.
tlxxo.Jiov "ò n.&vl)xòç rljt; .Jiuxij;, xctl .&c6v t. « Recidi quel che
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morto nell'anima tua e conoscerai
Dio». Musonio Rufo, fr. 53
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SEZIONE PRIMA
LA RISCOPERTA DEGLI ESOTERICI DI ARISTOTELE, IL NEOARISTOTELISMO E I LIMITI DELLA SUA PORTATA STORICO-FIWSOFICA .
t 8v [.te. : voi:iv nol'l)-ruc6v] 6 voc71v voi:iç, 6-r«V cxò-ròv voji, bcctv6ç 7t(l)ç y[vc-rcxl, d yc -rò voctv lv -rij) >.~civ TÒ c18o~ TÒ VOOUJUVOV xcxl 6(.Lol(l)&ijVcxl cxU-rij) t.
«L'intelletto [umano] che pensa l'Intelletto produttivo [divino], diventa, in certo senso, questo, dal momento che il pensare consiste nel ricevere la forma intelligibile e nel diventare simile ad essa».
Alessandro, De anima, 89, 21 sg. t Boxct &ci6v ""' clvcx1 'IJ clpn-1) xcxl 6!Lo[(l)a[ç -r~ç -rij) &cij) • -rò yiÌp &ciov oò xcx-riÌ -rò w n«axe~v cl>.ÀIÌ XCXTIÌ TÒ W nou:iv VOCLTCXI t.
«La virtù sembra essere qualcosa di divino e una specie di assimilazione al Dio: infatti è caratteristica del divino non il ricevere bene ma il fare bene». Aspasio, In Arist. Eth. Nic., 99, 4 sg.
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I. LA BISECOLARE ECLISSI DEL PERIPATO NELL'ETÀ ELLE-
NISTICA
l. Licone
Dal 270 circa a. C. fino verso la metà del I secolo a. C. la vita del Peripato proseguì in un clima di mediocrità e di sconfortante grigiore. La scuola continuò a mietere qualche successo come istituzione di carattere educativo, ma restò praticamente assente dai grandi dibattiti di idee. Gli uomini che ne ressero le sorti mostrarono di avere capacità filosofiche di assai scarso rilievo, e, in sostJanza, non seppero fare altro che ope11are timidi accomodamenti di carattere eclettico con alcune delle concezioni dominanti dell'epoca. Intorno al270 a. C. divenne scolarca Licone, che successe a Stratone e tenne la direzione della scuola per quasi mezzo secolo 1• Scrisse opere che dovettero segnalarsi per bontà di stile, ma non per profondità di contenuto, come riferisce Cicerone: Licone fu ricco di parole, ma troppo meschino nei concetti stessi 2 •
' Licone nacque nella Troade agli inizi dd m secolo a. C. Fu designato da Stratone stesso come suo successore. Diresse il Peripato all'incirca dal 270/268 al 226/224 a. C. (dr. Diogene Laerzio, v, 68). Fu abile e raffinato uomo di mondo. Il Peripato, durante lo scolarcato di Licone, si resse più sulle doti personali del capo che non sul suo pensiero filosofico, che dovette essere esilissimo. I frammenti di Licone sono stilri raccolti e commentati da F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, Heft VI: Lykon und Ariston von Keos, Base! 1952 ( 19692 ). 2 Cicerone, De finibus, v, 5, 13 ( = Wehrli, Lykon, fr. 17).
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PEI.IPATETICA
I suoi interessi filosofici si limitarono all'etlioa. De6ni il sommo bene come «gioia spirituale» o «gioia dell'anima» 3 , e, ovviamente dnfluenzato dilla Stoa, cercò di ridurre considerevolmente la cilevama dell'afflizione che viene dalle cose che sono estranee all'anima, come ad esempio le afflizioni che vengono dal corpo e dalla sorte. Riferisce Cicerone: E sentiamo Licone: per svalutare l'afflizione egli sostiene ch'essa è prodotta da cose di nessuna importanza: fastidi derivanti dal corpo e dalla sorte, non mali dell'anima~.
Gli a·nteressi principali e dominanti di Licone dOvettero essere non quelli di carattere propriamente filosofico, bensl quelli di carattere pedagogico ed educativo, come si ricava dalle esplicite testimonianze degli antichi 5 •
2. leronimo di Rodi
Un contempoNneo di Licone, Ieronimo di Rodi 6 , sostenne, invece, dottrine chiaramente impregnate di epicureismo. Per questo motivo, Licone, che si ispirava invece al rigorismo della Stoa, gli fu inimicissimo. Ieronimo sosteneva, infatti, che il sommo bene è J.a mancanza di dolore, considerando, quindi, il dolore come sommo male. Ecco in melito alcune delle numerose testimonanze di Cicerone, il qual'e nei
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Cfr. Oemente, Stromata, II, XXI, 129, 9 ( Wehrli, fr. 20). • Cioerone, Tusc. disput., III, 32, 78 (= Wehrli, fr. 19). 1 Cfr. Diogene Laerzio, v, 65 ( Wehrli, fr. 22); cfr. anche v, 66 ( = Wehrli, fr. 23 ). • Ieronimo è detto da molte fonti nativo di Rodi. La sua acmi va collocata .U'incirca e metà del III secolo a.C. Fu conremporeneo, oltre che di Licone, di Timone (Diogene Laerzio, IX, 112) e di .Arcesilao (ibid., IV, 41). I suoi frammenti sono stati raccolti e commentati da F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, Heft x: Hieronymos von Rhodos, Kritolaos und seine SchUler, Basel 1959 (1969"). 1
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L'ECLISSI DEL PEUPATO NELL'ETÀ ELLENISnCA
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confronti di leropimo è molto critico: - Ricordi la definizione che Ieronimo di Rodi dà del sommo bene, a cui ritiene si debba riferire ogni cosa? - Sl; secondo lui il termine estremo è l'assenza del dolore. - E sempre il medesimo che pensa del piacere? - Dice che non è desiderabile per se stesso. - Dunque ritiene che altro è provar gioia, altro non sentire dolore 7 •
E non bisogna dar retta a Ieronimo, per cui il sommo bene si identifica con quello che voi talvolta, o meglio troppo spesso, dite tale: il non provar dolore. Giacché, se il dolore è un male, non è sufficiente per vivere bene mancare di tale male 8 • È evidente che, sostenendo una cosiffatta concezione del
sommo bene, leronimo rischiava, al limite, di porsi al di fuori della filosofia peripatetica, come già lo stesso Cicerone chiaramente rilevava: Tralascio molti, e fra questi Ieronimo, dotto e attraente, ma non so percM dovrei chiamarlo peripatetico, giacché propose come sommo bene la mancanza di dolore; e chi dissente sul sommo bene, dissente su tutto il sistema filosofico 9, 3. Aristone di Ceo
A Licone successe Aristone di Ceo 10 , i cui scritti., cosi come quelli del maestro, dovettero segnalarsi per eleganza, ma non per nerbo speculativo, come si desume dalla testimonianza di Cicerone: 7 Cicerone, De finibus, n, .3, 8 ( = Wehrli, Hieronymos, fr. 8 a). • Cicerone, De finibus, n, 13, 41 ( = Wehrli, Hieronymos, fr. 8 b). • Cicerone, De finibus, v, 5, 14 ( = Wehrli, Hieronymos, fr. 8 c). 10 Aristone nacque a Iuli nell'isola di Ceo. La sua acm~ cade probabilmente verso la fine della seconda metà del III secolo a. C. I suoi frammenti sono stati raccolti e commentati da F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, Heft VI: Lykon und Ariston von Keos, Basel 1952 (1969").
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PERIPATETICA
Fu poi armonioso e raffinato il suo [scii.: di Licone] successore Aristone, ma non ebbe la serietà che si richiede ad un grande filosofo: i suoi scritti sono certo molto eleganti, ma non so come, il suo modo di esporre manca di autorità 11 •
Ln effetti, le sue riflessioni etiche, a giudicare dai pochi frammenti che ci sono pervenuti, dovettero essere alquanto superficiali e, in particolare, di indole caratterologica. Aristone segul quindi quel1a tendenza fenomenologica inaugurata da Teofmsto con li suoi Caratteri, ossia una tendenza speculativamente disimpegnata e prevalentemente descritci.va 12 •
4. Cri t o l a o d i Fase li d e
Scolarca del Peripato successivamente (forse subito dopo Aristone) fu Critolao di Faselide 13 , H quale, malgrado le espresse 'intenzioni di mantenersi fedele alla dottrina dei fondatori della scuola, si mostrò piuttosto sensibile agli influssi della Stoa. I.nfatti, se, da un lato, egli ·ridifese l'idea aristotelica dell'eternità del mondo e del genere umano 14 , dall'altro, tradl lo Stagirita e si spostò sulle posizioni vicine a quelle del Portico, sostenendo la materialità dell'anima e identificando la psyché con ·la « quinta substantia » (come ci viene esplicitamente riferito), vale a dire con l'etere 15 •
" Cicerone, De finibus, v, 5, 13 ( = Wehrli, Ariston von Keos, fr. 10). 12 Cfr. Wehrli, Artston von Keos, frr. 14-16. •• Critolao nacque a Faselide in Licia, probabilmente intorno al 200 a. C. Sappiamo con certezza che nel 156/155 fu a Roma, insieme a Carneade scolarca dell'Accademia e a Diogene scolarca della Stoa (dr. vol. m, p. 510, nota 3). Luciano (De longaevis, 20, 223) ci riferisce che morl a 82 anni. I suoi frammenti sono stati raccolti e commentati da F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, Heft x: Hieronymos von Rhodos, Kritolaos und seine SchUler, Basd 1959 (1969'). Per l'ambasciata a Roma dr., ivi, frr. 5-10. •• Cfr. Wehrli, Kritolaos, frr. 12, 13 e 15. 15 Cfr. Wehrli, Kritolaos, frr. 16 e 17.
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L'ECLISSI DEL PERIPATO NELL'ETÀ ELLENISnCA
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Inoltre~ contrariamente .ad Aristotele, Critolao sostenne la tesi secondo cui il piacere è un male:
Critolao Peripatetico sostenne e che il piacere è un male e che genera da sé molti altri mali 16 •
Un tipico tentativo di accomodamento eclettico fra Peripato e Stoa è poi ravvisabiJe nella dottrina dei beni. Critolao ribadl 1a dottrina peripatetioa seoondo cui vi sono tre classi di bend., ma sostenne che i beni esteriori e i beni del corpo (pur essendo, appunto, beni e non «indifferenti») sono incommensurabilmente inferiori alla virtù, ossia ai beni dell'anima e dello spirito. Riferisce Cicerone: E qui io mi domando il valore che può avere la famosa bilancia di Critolao. Pone, Critolao, su un piatto i beni spirituali, sull'altro quelli fisici ed esteriori: il piatto dei beni spirituali, egli dice, s'abbasserà talmente che neppure la terra e il mare riuscirebbero, col loro peso, a ristabilire l'equilibrio 17 •
Ma era una soluzione, questa, che, per quanto si sforzasse di avvicinare H Peripato alla Stoa, era strutturalmente destinata a fallire nel suo intento, perché la Stoa non poteva aocettare in alcuna maniera 1a qualifica di « bene » data ad altra cosa che non fosse la Vlirtù.
5. Diodoro di Tiro
Discepolo e successore di Crito1ao nella carica di scolaoca fu Diodoro di Tiro 18 • •• Gellio, Noct. Att., IX, 5, 6 ( = Wehrli, Kritolaos, fr. 23). Cicerone, Tusc. disput., v, 17, 50 ( = Wehrli, Kritolaos, fr. 21). •• Di Diodoro sappiamo solo che nacque a Tiro, che fu discepolo di Critolao e scolarca del Peripato. Le poche testimonianze pervenuteci che lo riguardano sono state raccolte e commentate dal Wehrli nel volume sopra citato alla nota 13. 17
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PEIUPATETICA
Come il maestro, Diodoro ritenne che l'anima e l'intelletto fossero costituiti di etere e, quindi, che fossero materiali 19 • In etica tentò, invece, oo curioso compromesso che cercava di dar ragione, ad un tempo, sia alle istanze peripatetiohe, sia a quelle stoiche, s1a, ànche, a quelle epicuree. Probabilmente Diodoro si sentiva Pecipatetico identJificando il sommo bene con la virtù, pensava di dar ragione alle istanze stoiche ponendo 'la virtù su un piano nettamente superiore a tutti gli altri beni, e ritenev,a di dar r.agione anche alle istanze epicuree affermando (come già Ieronimo) che la felicità richiede l'« assenza di dolore» 20 • Diodoro di Tiro è l'ultimo dei Peripatetici di quest'epoca di cui possiamo dire con certezza che abbia ricoperto la oarica di srolarca. È possibile che il successore di Diodoro sila stato Erinneo, di cui però sappiamo molto poco. A questo Peripatetico furono legati personaggi che ebbero una certa importanza nelle vicende politiche di Atene, come ad esempio Atenione, divenuto poi tir.anno, e soprattutto Apellioone di Teo, il quale riusd a ricupemre le opere esoteriche di Aristotele e le pubblicò 21 • Ma su questo punto dobbiamo allargare il nostro discorso, perché ci troviamo non solo di fronte ad una svolta fondamentale della storia del Peripato, ma, in un certo senso, di fronte ad una svolta di tutto il pensiero occidentale, che dagli « esoterici » aristotelici fu condizionato in modo essenmale.
"Cfr. " Cfr. " Cfr. donius, fr.
Aezio, Plac., I, 7, 21 (= Wehrli, Diodoros von Tyros, fr. 2). Wehrli, Diodoros von Tyros, frr. 3 a; 4 a; 4 f. Posidonio, presso Ateneo, v, 211 d sgg. ( = Edelstein-Kidd, Posi253, p. 221, 12 sgg. = Theiler, Poseidonios, fr. 247, p. 180).
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II. LA RISCOPERTA DEGLI SCRITTI «ESOTERICI» DI ARISTOTELE, LA GRANDE EDIZIONE DI ANDRONICO DI RODI E LA LENTA RINASCITA DELLA FILOSOFIA ARISTOTELICA NEL I SECOLO A. C.
l. Le vicende degli scritti «esoterici» di Aristotele e la loro pubblicazione
Sulle vicende degli scr..itri aristotelici, come abbiamo già avuto modo di accennare nei precedenti volumi 1, siamo abbastanza bene ~nformatJi. Aristotele pubblicò solamente opere destinate a un largo pubblico (tle cosiddette opere essoteriche), per lo più in forma dialogioa, composte quasi tutte negli anni in cui egli cimase membro dell'Accademia. Queste opere (che noi oggi conosciamo solo per frammenti, per lo più indiretti), ebbero larga diffusione e furono, salvo debite eccezioni, le uniche accessibi1i a tutti ne1l'età ellenistJica, negli anni che vanno dalla morte di Teohasto agli inizi del I secolo a. C. Le cosiddette « opere di scuola » (vale a dire gli scritti che Ari'Stotele approntò per 1e sue lezioni, le quali furono composte a partire già dal periodo in cui lo Stagirita foodò una prima sua scuola ad Asso), a motivo del loro contenuto a.ltamente specializzato e tecnico, non solo non vennero pubblicate, ma non vennero nemmeno rifinite né sistemate dal punto di vista letterario. Esse l'imasero a11o stato di materiale grezzo, che doveva servire ·appunto solo all'interno della scuola (e perciò sono state dette opere « esoteriche » ). Certamente -di tali opere venne fatta qualche oopioa, almeno di alcune di esse o di parti di alcune di esse: ma queste copie dovettero essere di limitatissimo numero, tmttandosi di lavori che non
' Cfr. vol. n, p. 382, nota l e vol. m, pp. 153 sg.
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PERIPATETICA
erano stati concepiti per essere divulgati e per di più scritti in manie11a piuttosto incomprensibi!le ·ai non appartenenti alla scuola. Nel loro complesso queste opere restJarono patrimonio della biblioteca del Pe11ipato solo fino ·alla mo11te di Teofr.asto, il quale stabili, prima di morire, che della biblioteca fosse erede esclusivamente Nel'eO, e degli edifici e del giardino della scuola fosse invece erede tutta la comunità. Ecco uno strakio del testamento di Teofrasto, che ci è stato tramandato da Diogene Laerzio: [ ... ] A Neleo lego tutta la mia biblioteca. Lego il giardino e il Peripato e tutte le case vicino al giardino, a quelli degli amici qui sotto menzionati che vogliano rimanendo lì studiare insieme e coltivare insieme la filosofia, poiché non a tutti è possibile dimorare sempre lì, a condizione che nessuno alieru questi beni e che nessuno se ne serva come di cosa privata, ma piuttosto tutti li posseggano in comune come un tempio e se ne servano con solidale spirito di familiarità e di amicizia, come è conveniente e giusto. La comunità sia composta da lpparco, Neleo, Stratone, Callino, Demotimo, Demarato, Callistene, Melante, Pancreonte, Nicippo [. .. ] 2•
Non conosciamo •i motivi per cui Teofrasto ritenne di potere prendere una decisione tanto grave, ossia di poter rendere privato e quindi ·alienabile un bene tanto importante come la biblioteca e di ribadire invece 1a comunità e inalienabilità dei beni immobili della scuola, dato che una scuola ha ben più bisogno della prima che non dei secondi. È possibile che egli volesse, ~n questo modo, garantire a Neleo la successione alla direzione della scuola, che invece, come sappiamo, toccò a Stratone 3 • È certo che ad un vecchio discepolo del Peripato quale era Neleo il nuovo corso dottrinale ·impresso alla scuola da Stratone doveva riuscire assai sgradevole, e, anzi, intollerabile. 2 Diogene Laerzio, v, 52 sg. • Cfr. vol. m, pp. 148 sgg.
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Probabilmente scoppiò un aperto dissidio fra Neleo e Stratone e la decisione, di una gravità veramente estrema, di portar via dal Penipato e da Atene la biblioteca, fu verosimilmente la conseguenza di tale dissidio. E cosl la biblioteca del Periparo, 1a quale conteneva anche tutti i libri collez~onati da Aristotele e da Teofrasto, oltre che i manoscritti originali delle loro opere, passò da Atene a Scepsi, in Asia Minore. Neleo vendette, probabilmente, molte opere a1la biblioteca di Alessandria, ma tenne gelosamente per sé i pre2liosi scritti di Aristotele e di Teofrasto. Gli eredi di Neleo, privi di interesse per la filosofia e per la cultu11a, si preoccuparono unicamente di salvaguardare quei manoscritti dal1a avidità dei re attalidi (che ricercavano libri per 1a biblioteca di Pergamo) e non seppero escogitare altra soluzione se non quella di nasconder li in una cantina (questo dovette avvenire nella prima metà del II secolo a. C.). T m la fine del II secolo e gli inizi del 1 secolo a. C., Apehlicone di Teo, di cui abbiamo già fatto cenno, 11iusd ad acquistarhl (ad un prezzo assai considerevole) e a riportlar1i ,ad Atene, dove cel1CÒ di 11imediare ai guasti (prodotti da1le muffe e dalle tarme), per la verità in modo arbitrario e maldestro, come ci viene esp1icitamente riferito, e cosl pubblicò i preziosi tesci (che venivano editi per 1a prima volta) pieni di errori e quindi assai poco comprensibili 4 • Ma le avv·enture degli scritti aristotelici non terminano qui. Poco dopo 1a loro pubblicazione da parte di Apellicone, Atene fu conquistata e saccheggiata da Silla, nell'86 a. C., e anche il Liceo (cosl come l'Accademia) subl danni molto gravi 5 • Qualcuno pensa addirittura ad una distruzione e a
• Si veda il documento di Strabone (xm, l, 54) che riportiamo appresso, pp. 17 sg. 5 Ecco quanto ci riferisce Plutarco, Vita di Silla, 12: « Silla, come pose piede nell'Ellade, ricevette deputazioni e inviti da tutte le città del paese, tranne Atene, che il tiranno Aristione costringeva a schierarsi dalla parte del re. Contro di lei Silla lanciò tutte le sue forze simultaneamente: circondò
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una chiusura del Peripato 6 • Certo è che le nostre migliori testimonianZJe non parlano più di scolarchi dopo Diodoro di Tiro e le fonti più recenti che tornano a parlare di scolarchi del Peripato, lasciano un vuoto proprio in questo periodo 7 • Orbene, Silla si impadroni, tra l'altro, anche dei preziosi manoscritti di Aristotele ricuperati da Apellicone e Ji portò a Roma 8 • A Roma il grammatico Ti:rannione riusd a conquistarsi le simpatie del bibliotecario che custodiva i l.ibri di Silla e cominciò a trascriverhl. Sappiamo -anche che alcuni librai erano riusciti a far trascrivere in modo avventuroso da amanuensi sprovveduti copie di alcuni di questi scritti, che, dunque, circolarono, ancora una volta, molto sorrette. Sull'entità e sugli esibi del lavoro di Tirannione non sappiamo quasi nulla.
il Pireo e l'assediò, vi eresse attorno macchine da guerra di ogni tipo ed impegnò ogni genere di combattimenti per prenderla. Se avesse pazientato neppure per molto, avrebbe potuto prendere anche la città alta con tutta tranquillità, dato che la fame l'aveva ormai ridotta alla disperazione, e mancava di viveri. Ma Silla aveva fretta di tornare a Roma, ove temeva lo scoppio della rivoluzione; fu quindi costretto ad accelerare la guerra, affrontando il rischio di molte battaglie ed ingenti spese. Oltre all'equipaggiamento solito, l'azione delle macchine richiedeva diecimila paia di muli, impiegati ogni giorno per farle funzionare. Quando venne a mancare il legname, giacché molte macchine si guastavano, o crollavano sotto il loro stesso peso, o venivano distrutte dal fuoco che i nemici lanciavano ininterrottamente, mise le mani
sui boschi sacri e fece tagliare gli alberi dell'Accademia, il più verde dei sobborghi cittadini, nonché quelli del Liceo ». Si veda inoltre quanto Plutarco riferisce al cap. 14. • Cfr. J. P. Lynch, Aristotle's School. A Study of a Greek Educational Institution, Berkeley - Los Angeles- London [University of California Press] 1972, pp. 205 sg. 7 La successione degli scolarchi che conosciamo è questa: Aristotele, Teofrasto, Stratone, Licone, Aristone, Critolao, Diodoro, Frinneo. Ora, Ammonio (In Arist. De interpret., 5, 28) ed Elia (In Arist. Categ., 117, 22 sg.; cfr. anche 113, 18 sgg.) ci dicono che Andronico fu l'undicesimo scolarca (il decimo successore dopo Aristotele); dunque mancano certamente almeno due nomi fra Erinneo e Andronico. ' Su questo concordano pienamente Strabone e Plutarco, come si legge nei due documenti che riportiamo subito appresso, pp. 17-19 e relative note.
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Ci viene riferito, invece, che Andronico di Rodi ottenne proprio da TirannJ.one il prezioso materiale di cui si avvalse per la sua monumentale edizione delle opere di Aristotele (e di Teofrasto), destinata a fare epoca, perché destinata a cambiare le sorti, come abbiamo detto, non solo del Peripato, ma della filosofia occidentale, in quanto fu proprio questa edizione che garantl la conservazione e la diffusione delle opere di Aristotele che ancora oggi leggiamo 9 • Queste notizie ci sono riferite da testimoni degni di fìducia, ossia dal geografo Strabone, il quale fu educato alla scuola dei Peripatetici e quindi d1sponeva di informazioni di prima mano, e da Plutarco. Alcune riconferme ci vengon,o anche da Posidonio. Prima di proseguire, vogliamo riportare integralmente i passi di questi autori, perché sono documenti di importanza davvero eccezionale. Parlando de1la città di Scepsi, rifenisce Strabone: Da Scepsi vennero i socratici Erasto, Corisco e Neleo figlio di Corisco, uomo, questo, che fu discepolo e di Aristotele e di Teofrasto e che ereditò la biblioteca di Teofrasto, nella quale era contenuta anche quella di Aristotele. Infatti Aristotele lasciò la propria biblioteca a Teofrasto, al quale lasciò anche la scuola; egli fu il primo di cui sappiamo che abbia raccolto libri e che abbia insegnato ai re di Egitto come sistemare la biblioteca. Teofrasto lasciò la biblioteca a Neleo, il quale la trasportò a Scepsi e la lasciò ai suoi eredi, che erano uomini incolti, i quali mantennero i libri chiusi e non adeguatamente sistemati. Ma quando seppero dello zelo con cui i re Attalidi, sotto il cui dominio era la città, cercavano libri per la costruzione della biblioteca di Pergamo, nascosero i libri sottoterra in una cava. Qualche tempo dopo, quando i libri erano già danneggiati dalla muffa e dalle tarme, i discendenti di Neleo vendettero ad Apellicone di Teo per molto danaro i libri di Aristotele e quelli di Teofrasto. Ma Apellicone era un bibliofilo più che un filosofo; per questo, cercando di ricostruire le parti corrotte per fare nuove copie, alterò il testo, completandole in modo non corretto, e pubblicò i libri pieni di • Cfr., più avanti, pp. 20 sg.
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errori. Successe cosl che gli antichi Peripatetici dopo Teofrasto non ebbero più libri affatto, tranne pochi e per lo più opere essoteriche, sl che non furono più in grado di filosofare in modo pertinente ma solo di fare ampollose affermazioni. Invece i Peripatetici successivi, dal momento in cui uscirono questi libri, si trovarono in una migliore condizione di filosofare e di professare la filosofia aristotelica, ma restarono però costretti ad affermare molte cose solo a livello di probabilità, a causa del gran numero di errori. Anche Roma contribui molto a questo. Infatti, subito dopo la morte di Apellicone, Silla conquistò Atene, si prese e si portò a Roma la biblioteca di Apellicone. Quivi il grammatico Tirannione, che era un amatore di Aristotele, riusd a mettere le mani su di essa, facendo la corte al bibliotecario, e questo fecero anche alcuni librai utilizzando cattivi copisti senza controllare le loro copie con gli originali, cosa che succede anche in altri casi quando i libri vengono copiati per scopi commerciali, sia qui sia ad Alessandria 10 • Plutarco ripete alcune di queste importantissime notizie e le completa come segue:
L
[Silla] quindi salpò da Efeso con tutta la flotta, e terzo giorno approdava al Pireo. Li fu iniziato ai misteri e si appropriò della biblioteca di Apellicone di Teo, ove si trovavano quasi tutti i libri di Aristotele e di Teofrasto, quest'ultimo poco conosciuto allora al grosso pubblico. Essa fu portata a Roma e riordinata in gran parte, si racconta, dal grammatico Tirannione. Da lui Andronico di Rodi ottenne le copie delle opere dei filosofi che pubblicò e di cui redasse i cataloghi ora in uso. Gli antichi peripatetici sembra siano stati, di per sé, degli eruditi rispettabili, ma conoscevano poco e senza rigore critico gli scritti di Aristotele e 'feofrasto. Ciò perché l'eredità di Neleo di Scepsi, cui Teofrasto lasciò i suoi libri, andò a finire in mano di persone prive d'interesse per queste cose e ignoranti 11 • Infine, impc)rtanti testimonianze circa ApelHcone 11isalgono addirittura a Posidonio:. egli ci conferma, tra l'altro, che, effettivamente, Apel1icone fu legato al circolo degli Aflisto-
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Strabone, XIII, l, 54. Plutarco, Vita di Silla, 26.
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teLid e che acquistò la biblioteca di Aristotele, giacché « era molto ricco » 12 •
In conclusione, le assai complesse vicende degli « esotel'ici » aristotelici possono essere riassunte nel modo seguente: a) Neleo (nominato da Teofrasto erede della biblioteca del Peripato) si portò gli scritti al"istotelici nella città natale, Scepsi, dove, però, non vennero né sistemati né utilizzati. b) Di alcuni di questi scritti (o almeno di alcune parti di essi) erano state fatte certamente alcune copie (oltre che in Atene, copie di esoterici dovevano trovarsi nella biblioteca di Alessandria 13 e probabilmente anche a Rodi, nella patria di Eudemo 14 ), ma esse dovettero restare lettera morta, dato che non risulta che siano state lette, studiate a fondo ed assimilate da nessuno dei filosofi dell'età ellenistica. c) La riesumazione degli esoterici aristotelici fu opera di Ape11icone, il quale procedette altl"esl aLla loro pubblicazione, ma in modo assai scorretto, di guisa che essi restarono assa·i poco comprensibio1i. d) I preziosi manoscritti di Aristotele furono poi confiscaci da SiUa e portati a Roma, dove il grammatico Ti.rannione si accinse ad un sistematico lavoro di l'iol"dinaDiento (che però non poté portare a termine). e) Alcune copie di opere esoteriche furono messe in di'Colazione a Roma ad opera di librai, ma si trattò, ancora una volta, di copie assai scorrette, fatte fare solamente a scopo di lucro, da amanuensi maldestri. /) L'edizione sistematica degli scritti di Aristotele fu opera di Andronico di Rodi, il quale compiJò anche i cataloghi ragionati, compiendo quel lavoro che doveva costituire l'indispensabile premessa nonché il fondamento per la rinascita deli'aristotelismo.
" Cfr. Ateneo, v, 211 d. 215 b ( = Edelstein-Kidd, Posidonius, fr. 253 247, p. 180). " Cfr., su questo argomento, le opere del Moraux, che citiamo, sotto, alla nota 16. 14 Su Eudemo, dr. vol. m, pp. 144 sg.
= Theiler, Poseidonios, fr.
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2. I criteri segui ti d a A n dr o n i c o n e Il a su a edizione del «Corpus Aristotelicum » Come procedette Andronico nel suo lavoro di editore? EgLi non si Hmitò a fornire una lezione intelligibile dei testi, ma si preoccupò altresl di raggruppare queg1i scritti che trattavano la medes•ima materia e di riordin.arli sulla base, appunto, del loro contenuto. Una testimonianza di Porfìrio, a questo niguardo, è assai preziosa. Scnive dunque Porfìrio, spiegando i criteri da lui seguiti nel pubblicare gli scritti plotiniani: Poiché egli stesso [Plotino] affidò a me l'ordine e l'emendazione dei suoi libri - ne feci promessa a lui, vivo, e diedi notizia agli altri amici dell'esecuzione - io ritenni anzitutto di non dover serbare l'ordine cronologico in una opera i cui libri erano apparsi alla rinfusa. Imitai invece Apollodoro d'Atene e Andronico il Peripatetico: il primo di essi raccolse tutto Epicarmo, il commediografo, distribuendone l'opera in dieci volumi; il secondo divise in trattati le opere di Aristotele e di T eofrasto, radunando, nello stesso posto, i soggetti affini. Orbene, allo stesso modo, anch'io, disponendo di cinquantaquattro libri di Plotino, li ripartii in sei
enneadi, lieto di attingere, insieme al nove della enneade, la perfezione del numero sei; a ciascuna enneade assegnai il proprio ambito di argomenti e poi li posi insieme, riservando il primo posto alle questioni più facili 15 • Dal testo ora letto si ricava, evidentemente, soltanto il pnincipio generale che gu·idò Andronico. Ma gli studiosi moderni, esaminando gli antichi cataloghi (quelli, cioè, che hanno una genesi anteriore all'edizione di Andronico) 16 , hanno potuto fornire alcune importanti precisazioni. Andronico riunl Porfirio, Vita di Platino, 24 (traduzione di V. Cilento). Cfr. P. Moraux, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristate, Louvain 1951, e, soprattutto, del medesimo autore, Der Aristotelismus bei den Griechen van Andronikos bis Alexander von Aphrodisias, Erster Band: Die Renaissance des Aristotelismus im I. ]h. v. Chr., Berlin 1973. 15
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alcuni brevi trattati che erano più o meno autonomi (e che avevano anche un loro titolo particolare) a trattati di più ampia dimensione dedicati ai medesimi argomenti. Talora egli ha anche dato nuovi titoli alle opere così costituite 17 • È assai probabile, ad esempio, che proprio a lui risalga la organizzaz.ione di tutte le opere logiche in un unico corpus e lo stesso titolo di Organo dato ad esso 18 • DaNa logica a.ristoteldca, inf.atti, egli pensava dovesse iniziare lo studio sistematico della filosofia 19 • In modo analogo procedette con i vari scritti di carattere fisico, metafisica, etico, politico, estetico e retorico. L'ordinamento generale e particolare che Andronko impresse al Corpus Aristotelicum restò definitivo. Esso condizionò tutta la tradizione successiva, e, quindi, anche le moderne edizioni. Insomma: l'edizione di Andronico era veramente destrl.nata, come già sopra abbiamo detto, a «fare epoca » 1n tutti i sensi 20 •
3. Esponenti e tendenze della filosofia perip a t e ti c a n e l 1 s e c o l o a. C.
Se lasciamo da parte Apellicone e Tirannione che non erano filosofi (il pnimo, a dire dello stesso Strabone, era più un bibliofilo che un filosofo, il secondo era un grammatico) 21 , gLi esponenti del pensiero penipaterioo nel 1 secolo a. C. di cui abbi-amo notizie sono i seguenti: Stasea di Napoli, Anistone
Cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , p. 93. Cfr. I. Diiring, Aristotle in the Ancient Biographical Tradition, Goteborg 1957, p. 423. " Cfr. Filipono, In Arist. Categ., 5, 18-23; Elia, In Arist. Categ., 117, 22-24. "' Per un approfondimento di questi problemi dr. Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 58-94. 21 Su Tirannione dr. Diiring, Aristotle in the Ancient Biographical Tradition, pp. 393 sgg. e 412 sg. 17
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di Alessandri-a, Cradppo di Pergamo, Andronico di Rodi, Boeto di Sidone, Senoarro di Seleuda e Nicola di Damasco. La collocazione cronologica di molti di questi personaggi all'interno del 1 secolo a. C. è incert·a e le ipotesi degli studiosi sono discordi. Sarebbe soprattutto importante il poter deter- · minare con certezza le date di nascita e di morte di Andronico e quindi quella della sua edizione del Corpus Aristotelicum, perohé, come già abbiamo detto, ad essa è legata la rinascita dell'aristotelismo e da essa dipende il cambiamento di qualità nei contenuti e nel metodo che si registra in una parte dei filosofi peripatetici di quest'epoca. Abbiamo già visto come solo una datazione bassa di Andronico e della sua edizione delle opere aristoteliche risulti plausibile, se si accetta quanto le nostre fonti ci dicono e se si tiene conto sia della grave situazione in cui dovette versare Atene dopo la conquista di Silla, sia dei gravi danni subiti dal Peripato, sia del trasporto a Roma dei manoscritti ar·istotelici. Orbene, anche una considerazione attenta dell'attiV'ità dei filosofi sopra citati conferma quanto s'è detto e f.a emergere una serie di elementi che depongono a favore della data bassa delJ'edizione di Andronico, che con ogni verosimiglianza dovette aver luogo nel corso del ventennio successivo alla morte di Cicerone 22 • Si ponga mente a questa circostanza particolarmente eloquente: Cicerone non ·solo non conosce Andronlico, ma non conosce neppure alcuno dei filosofi sopra nominati che, per quanto ci risulta daHe testimonianze pervenuteci, poterono beneficiare dell'edizione di Andronico. Cicerone conosce, in22 Il lettore trover~ lo stato della questione messo bene a punto da Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 45-58. Moraux, seguendo la tradizione tedesca inaugurata da F. Littig (Andronikos von Rhodos, 3 voli., MiinchenErlangen 1890), propugna la datazione alta. Si vedano, per contro, le argomentazioni di l. Diiring, Aristotle in the Ancient Biographical Tradition, pp. 420 sgg., che Moraux non riesce a smantellare. Il fatto che Cicerone non conosca Andronico, come subito vedremo, è un elemento determinante a favore della datazione bassa.
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vece, Stasea, Aristone e Cratippo, che operano nella prima metà o nei primi anni della seconda metà del secolo 23 • E il pensiero di questi Peripatetid non l'ivela la conoscenza degli esoterici di Andronico. Inoltre Cicerone parla di Cratippo (cui aveva affidato l'educazione del figlio) come ddl'unico Penipatetico di rilievo del momento, e ne parla come se insegnasse privatamente e non come scolarca del Peripato 24 • È bensì vero che il nome di uno di questi tre filosofi, Aristone, viene menzionato da Simp1icio nella lista dei commentatori antichi delle Categorie 25 , ma non è certo che sia questo nostro, dato che si ha notizia di un altro Aristone, che fu attivo nell'età di Augusto 26 ; d'altra parte, se anche l'Aristone commentatore fosse il nostro, le cose non cambierebbero, dato che egli proveniva da Alessandria, la cui biblioteca possedeva parecchie copie delle Categorie, e dato che anche in Atene ApeUicone, come sappiamo, all'inizio del secolo, aveva pubblicato gli esoterici aristotelici, sia pure in modo assai scorretto. D'altra pa·rte è da l'ilevare come Andronico e i. Peripatetici del I secolo a. C. da lui influenzati, probabilmente, gettarono solo le premesse al metodo e al sistema del «commento» agli esoterici, che diventerà, invece, il tratto tipico deLl'aristotelismo dei secoli succes·sivi. Andronico sembra aver scritto parafrasi più che commenti. Boeto di Sidone, suo discepolo, si occupò di vari problemi e di vade opere dello Stagirita, ma la sua ·attività di commentatore è attestata con sicurezza solo per le Categorie. Senarco sembl.'a essere stato autore di manografie e non di commentari specifici, mentre Nicola di Damasco "' Cfr. Cicerone, De orat., 1, 22, 104; De finibus, v, 3, 8; v, 25, 75; Acad. pr., 11, 4, 12; De olficiis, 1, l, l; m, 2, 5; etc. 24 Cfr. Cicerone, Epist., xn, 16 e XVI, 21; dr. i corretti rilievi che fa a questo riguardo il Lynch, Aristotle's Scbool, pp. 204 sg. 25 Simplicio, In Arist. Categ., 159, 31 sgg. "' Cfr. Strabone, xvn, 5, 790. Questo ammette, sia pure in via ipotetica, anche Moraux, Der Aristotelismus... , p. 182.
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è autore di una esposizione avente il carattere di compendio dossografico 27 • Una breve caratterizzazione dell'attività e del pensiero di ciascuno di questi personaggi confermerà quanto abbiamo detto e ci permetterà di trarre più fondate conclusioni. Stasea di Napoli, che nacque negli ultimi decenni del II secolo a. C. 28 , fu retore oltre che filosofo. La tematica di cui trattò riporta al clima delle discussioni che già conosciamo come peculiare del Peripato dei secoli m e II a. C. Egli rilevò, probabilmente in polemica contro il rigorismo deLla Stoa, come, per garantire il raggiungimento della felicità, siano molto importanti i beni esterni (in particolareI la buona fortuna), nonché i beni corporali. Cicerone giudicò la trattazione di Stasea sulla felicità nettamente inferiore a quella di Antioco 29 • Aristone di Alessandria fu, dapprima, discepolo di Antioco 30 , e Lucullo lo conobbe negli anni 86/87 a. C., appunto ad Alessandri-a nel circolo degli Accademici 31 • Che sia questo il commentatore delle Categorie di cui parla Simplicio, come già abbiamo detto, è probabile, ma non è sicuro 32 • (Di questo commentatore gli antichi ricordano alcune osservazioni sulla categoria della relazione) 33 • Aristone si occupò, inoltre, della si1logistica e aggiun5e tre modi alla prima figura del sillogismo 27 Questo è un dato che ci sembra emergere chiaramente, se si lasciano da parte le supposizioni e ci si basa, appunto, solo su ciò che è espressamente attestato. 28 La datazione sopra indicata si ricava da alcune indicazioni che Cicerone (De orat., 1, 22, 104; De finibus, v, 25, 75) fornisce circa i rapporti che il nostro filosofo ebbe con noti personaggi suoi contemporanei (fu amico di Licinio Crasso e maestro di Pisone). 29 Cfr. Cicerone, De finibus, v, 25, 75. 30 Cfr. vol. m, p. 537, nota l. •• Cfr. Cicerone, Acad. pr., n, 4, 12. 32 Cfr., sopra, p. 23 e nota 25. 32 Queste osservazioni si potranno vedere in Moraux, Der Aristotelismus ... , pp. 182 sgg.
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e due alla seconda figura 34 • Che cosa abbia spinto Aristone a lasciare Antioco non ci è noto:. la riscoperta delle opere di Aristotele e l'edizione di Apellicone {e non necessariamente quella di Andronico) potrebbero aver costituito un buon motivo. Cratippo di Pergamo fu pure, dapprima, discepolo di Antioco. Svolse attività di insegnante a Mitilene e dal 4 7/46 a. C. in Atene, dove ebbe come allievo il figlio di Cicerone 35 • Dovette acquistare notevole prestigio, tanto che Cicerone stesso lo considera come autodtà somma e il migliore dei Peripatetici dell'epoca 36 • Nessuno, però, ci dice che sia stato scolarca 37 • Dovette occuparsi prevalentemente di etica (dei doveri morali). Le uniche informazioni che di lui abbiamo rigu·ardano, però, la mantica, da cui risulta in modo chiaro come egli si rifacesse a una psicologia platonico-11ristotelica che ritroviamo negli essoterici aristotelici. La mantica di Cratippo non è quella dei Parva naturalia di Aristotele e la sua dottrina della psyché non è quella del De anima. Cratippo non ha dunque conosciuto gli esoterici dello Stagirita e comunque non li ha utilizzati 38 • Per quanto concerne Andronico e la sua attività editoriale abbi,amo già riferito 39 • Fonti neoplatoniche ci dicono che fu l'undicesimo scolarca del Peripato, ma lasciano un vuoto (di almeno due nomi) fra Diodoro e Andronico «>. Orbene, se si " Su questo punto della dottrina di Aristone troviamo puntuali informazioni in uno scritto attribuito ad Apuleio (dr. Apulei Opera quae supersunt, vol. m, De philosophia libri, recensuit P. Thomas, Lipsiae 1908, pp. 176-194). 35 Si veda l'indicazione di tutti i documenti utili a ricostruire la cronologia e la vita di Cratippo in Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 223 sgg. 36 Cfr. Cicerone, De officiis, I, l, l; III, 2, 5. 'SI Cfr., sopra, la nota 24. • Cfr. Cicerone, De divinatione, I, 3, 5; I, 32, 70 sg. .. Cfr., sopra, pp. 17 sgg. .., Cfr., sopra, p. 16, nota 7.
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considera iJ fatto che proprio nel periodo corrispondente a questo vuoto ebbero luogo l'assedio di SiLla ad Atene, il danneggiamento del Liceo, la confisca e il trasporto a Roma delle opere esoteriche di Aristotele e la forzata interruzione deLl'attività della scuola, è ragionevole congetturare che proprio Andronico abbia potuto ricostituire il Peripato 41 • Per quanto concerne la sua attività filosofica è da riJlevare come essa non si riducesse alla semplice esegesi e al mero commento del verbo aristotelico. Noi oggi possiamo ancora farci un'idea della libertà con cui Andronico muoveva la problematica aristotelica soprattutto da ciò che ci è stato tramandato relativamente alJ.a sua interpretazione delle Categorie 42 • Anche in psicologia sembra che Andronico si sia allontanato da Aristotele, concependo l'anima come quel rapporto numerico che cotlega gli elementi del corpo e quindi come numero e addirittura come numero semovente, come già Senocrate. Peraltro ci è anche tramandato che Andronico osciLlò fra questa conce2lione e quetla che fa dell'anima non la causa, ma l'effetto della composizione degli elementi del corpo 43 •
•• H Lynch (Aristotle's School, pp. 198-207) sostiene che il Peripato, come istituzione, dovette cessare di esistere nel 96 a. C. Questa tesi è senza dubbio errata. ~ vero che, come abbiamo già più volte rilevato, in questo tomo di tempo, in seguito ai danni provocati da Silla ai luoghi in cui sorgeva la scuola e al duro colpo inflitto ad Atene, il Peripato quasi certamente oessò di funzionare per un certo periodo di tempo, che dovette anche essere non breve. Ma è altrettanto vero che l'attività dei Peripatetici dovette riprendere proprio nei luoghi in cui sorgeva l'originario Peripato, come dimostra, tra l'altro, un passo di Luciano (n secolo d. C.). Riferendo i motti pungenti del filosofo cinico Demonatte (di cui diremo più oltre, pp. 229 sgg.) egli scrive testualmente: «Vedendo Rufino di Cipro - lo zoppo del Peripato - che si intratteneva per la maggior parte del tempo a discutere nel Peripato, Demonatte disse: "Non c'è nulla che sia più sconveniente di un Peripatetico zoppo"». Ora col termine 7te:p(7totTOt; (usato due volte, al singolare e al plurale) Luciano indica senza dubbio la scuola (dr. Vita di Demonatte, 56) . .., Cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 97-113. 43 Cfr. Temistio, In Arist. De anim., 31, l sgg.; 32, 24 sgg.; cfr. anche
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Discepolo e successore di Andronico fu Boeto di Sidone 44 , che, a giudicare dalle testimonianze pervenuteci, sembra aver interpretato Aristotele, in alcuni punti chiave, in maniera naturalistica. Infatti, mentre Andronico proponeva di incominciare lo studio della filosofia partendo dalla logica (che è come lo strumento, e che, dunque, va previamente conosciuto), Boeto proponeva di cominciare dalla fisica, per il motivo che questa ci mette a contatto con le cose che per noi sono più familiari e conosciute e la ricerca filosofica deve, appunto, muovere da ciò che è più familiare e noto a ciò che è meno familiare e meno noto 45 • Le tendenze naturalistkhe di Boeto risultano evidenti anche da quanto ci è riferito intorno al suo Commentario alle Categorie, in particolare circa la sua interpretazione della prima categoflia, ossia della sostanza che, per lui, è la materia e il composto e non la forma. In effetti, sembra che secondo il nostro filosofo la forma cadesse fuori della categoria di sostanza e rientrasse nell'ambito di altre categorie. Si comprende, per conseguenza, come egl>i ritenesse che l'individuo fosse non solo per noi, ma anche per natura la realtà prima 46 • Infine, egli cercò di ricavare dai testi di Aristotele la dottrina dell'oikeiosis, che la Stoa aveva posto a fondamento della propria etica (ma che forse fu anticipata
Galeno, Quod an. mor. temper. sequantur, c. 4 (Iv, 782 sg. Kiihn = 44, 12 sgg. Miiller ). .. Da Stmbone, XVI, 2, 24, p. 757 risulta che Boeto fu un suo contem· poraneo (Strabone nacque nel 63 a. C. e morl nd 21 d. C.). Strabone dice anche di « aver studiato Aristotde insieme a lui », usando l'espressione aufLcpr.Àoaocpeiv, che è stata intesa sia nel senso di «Studiare sotto la guida di», sia nel senso di «studiare insieme a» (nel senso di essere condiscepolo). Che Boeto sia stato discepolo di Andronico è testimoniato da Filopono (In Arist. Categ., 5, 18); che sia stato anche suo successore si ricava da Ammonio (In Arist. Anal. pr., I, 31, 12). ., Cfr. Filopono, In Arist. Categ., 5, 16 sgg.; Elia, In Arist. Categ., 117, 22 sgg. .. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 78, 4 sgg.; Dessippo, In Arist. Categ., 45, 12 sgg.
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g1a da Teofrasto): il termine originario cui tendiamo (il 7tpc7>Tov otxe:!ov) siamo noi a noi stessi; infatti noi non amiamo nessuno prima di noi stessi e amiamo, poi, anche gli altri riferendoli a noi stessi 47 • Senarco di Seleucia 48 spinse la sua dissidenza nei confronti di Aristotele ai limiti della rottura. Questo risulta evidente soprattutto in due punti: egli negò l'esistenza dell'etere, scrivendo un intero trattato Contro la quinta sostanza 49 e negò altresll'esistenza del soprasensibile (e quindi del Motore Immobile). Ecco le esplicite parole di Senarco: [ ... ] Bisogna [ ... ] non ricorrere all'intelligibile, che, in realtà, non è nulla di per se stesso e non è che una vuota nozione 5:1, Senarco, inoltre, indubbiamente sotto l'influsso della dottrina della Stoa, insieme a Boeto di Sidone, sostenne che noi siamo a noi stessi l'oggetto primo del nostro desiderio 51 • Degno di menzione è, da ultimo, Nicola di Damasco, che
fu consigliere del re Erode ed ebbe ottimi rapporti con Augusto 52 • La sua opera Intorno alla filosofia di Aristotele, divisa in molti libri, doveva essere una esposizione piuttosto
41 Cfr. Alessandro, De anim. mantissa, 150, 19 - 153, 27. Per una discussione e interpret12ione di tutte le testimonianze pervenuteci su Boeto cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 144-179. '" Da Strabone (XIV, 5, 4, 670) sappiamo che Senarco lasciò ben presto la nativa Seleucia, che insegnò ad Alessandria, ad Atene e a Roma, che fu amico di Ario Didimo e dell'imperatore Augusto e che morl in tarda età. Dovette quindi essere all'incirca un contemporaneo di Boeto, con cui, tra l'altro, ebbe in comune alcune tesi stoicheggianti. "' Cfr. la ricostru2ione della dottrina contenuta in questo scritto in Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 198 sgg. 50 Giuliano, Orat., v, VIII [v], 162 c (vol. n, l, p. 107 Rochefort). 11 Cfr., sopra, la nota 47. Su Senarco si veda Moraux, Der Aristotelismus ... , pp. 197-214. 52 Per una ricostru2ione della vita e dell'opera di Nicola si veda Moraux, Der Aristotelismus... , pp. 445-514 e il volume che citiamo alla nota seguente.
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fedele del pensiero di Aristotele, o, più esattamente, delle parti del pensiero dello Stagirita: fisica, metafisica, cosmologi·a, dottrina degli elementi, meteorologia, zoologia, psicologia, botanica. (Di Nicola è anche il trattatello Sulle piante che nel Medioevo fu tradotto in latino dal•l'arabo e creduto opera di Aristotele: non si esclude, però, che esso costituisse una parte dell'opera generale Intorno alla filosofia di Aristotele) 53 • seguen~i
A giudicare da quanto abbiamo rilevato, si deve concludere quanto segue. Nel primo secolo a. C. vi furono ancora dei Peripatetici che non beneficiarono della riscoperta degli esoterici aristotelici e che continuarono a dibattere problemi analoghi a quelli dibattuti dai Pe1.1ipatetici dei due secoli precedenti, e con un metodo sostanzialmente identico. Invece i Peripatetici che beneficiarono della riscoperta degli esoterici sembrano dipendere quasi tutti dall'edizione di Andronico. Comune a quasi tutti questi filosofi è la tendenza a interpretare Aristotele, in aJcuni punti chiave del suo sistema, in modo tendenzialmente naturaHstico (se non addirittura, come nel caso di Senarco, in modo accentuatamente naturalistico), con alcune concessioni allo stoicismo. Non sarà tuttavia questa la direzione in cui proseguirà il Pedpato: l'Aristotele esoterico resterà il punto di riferimento e l'esegesi degli esoterici diverrà canonica, ma cambierà - e in modo alquanto sensibile - la temperie teoretica, come subito vedremo.
53 I frammenti dei primi cinque libri, pervenutici in una traduzione siriaca, sono stati raccolti, pubblicati, tradotti in lingua inglese e commentati da H. ]. Drossaart Lulofs, Nicolaus Damascenus on the Philosopby of Aristotle, Leiden 1965 (1969'). Nella nutrita introduzione (pp. 1-57) Drossaart Lulofs discute a fondo i vari problemi concernenti Nicola, la sua opera, il suo pensiero e il suo influsso in Oriente.
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III. IL NUOVO CORSO DELL'ARISTOTELISMO NEI PRIMI DUE SECOLI DELL'ERA CRISTIANA
l. Consolidamento e diffusione del commento agli esoterici
Dei Peripatetici che vissero nei primi due secoli dell'era cristiana e all'inizio del terzo non ci è pervenuto molto, tranne che di Alessandro di Afrodisia, che è una figura d'eccezione e con cui di fatto si chiude la storia del Pevipato. Inoltre, i documenti e le testimonianze pervenutici non sono stati in passato adeguatamente interpretati e approfonditi e solo in tempi recentissimi hanno attirato l'attenzione di alcuni studiosi. I risultati ohe finora si sono ottenuti sono alquanto sorprendenti e, in ogni caso, sono tali da infrangere gli schemi che dalla storiografia del secolo scorso e dei primi decenni del nostro erano stati imposti e che di conseguenza erano diventati canonici 1• Quali sono le caratteristiche dei Peripatetici di quest'epoca? In primo luogo, è da rilevare - e questo è stato correttamente riconosciuto da sempre e addirittura tematizzato dagli stessi filosofi di cui trattiamo - che il far filosofia, per i Peri-
' L'interpretazione che ha fatto testo è stata quella dello Zeller, Die Philosophie der Griechen, 111, l, pp. 805-830. L'opera di rottura, che ha messo in crisi quell'interpretazione è di Ph. Merlan, Monopsychism, Mysticism, Metaconsciousness. Problems of the Soul in the Neoaristotelian and Neoplatonic Tradition, The Hague 1963; 1969'. In Italia ha proseguito, sulla strada indicata da Merlan, P. L. Donini nel suo lavoro Tre studi sull'aristotelismo nel II secolo d.C., Torino 1974. Decisivo è ora il vol. n di P. Moraux, Der Aristotelismus bei den Griechen. Zweiter Band: Der Aristotelismus imI. und II. ]h. n. Chr., Berlin 1984.
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patetJici di quest'epoca, coincide quasi per intero con il lavoro di interpretazione e di commento dei testi aristotelici. L'esegesi e il commento degli esoterici, iniziati da Andronico e dai suoi discepoli, divennero in un certo senso, il metodo del filosofare e il genere letterario peculiare di quanti si riconoscevano come seguaci dello Stagirita, e, addirittura, anch~ dopo l'avvento e il predominio pressoché assoluto del neoplatonismo, l'unico modo con cui si continuò a leggere e ad intendere Aristotele rimase quello del commentario e della parafrasi degli esoterici 2 • In éffetti, quasi tutti i Peripatetici di quest'epoca sono ricordati come autovi di esegesi e di commenti. Alessandro di Ege (che fu maestro di Nerone) scrisse probabilmente un commento (o una esegesi) alle Categorie e forse anche al trattato Sul cielo 3 • Aspasio, che visse nella prima metà del II secolo d.C., è ricordato come commentatore delle Categorie, del De interpreta/ione, del De caelo, della Fisica, della Metafisica. Scrisse anche un commentario all'Etica a Nicomaco, che ci è ·in buona parte pervenuto (e che, come vedr.emo, contrariamente a quanto ·si riteneva, costituisce un documento molto importante) 4 • Apprezzato autore di commenti alle Categorie e alla Fisica fu anche Adrasto di Afrodisia. Questo filosofo coltivò anche matematica e astronomia e si occupò a fondo del Timeo (o di una parte di esso), probab1lmente con un commento (al quale sono debitori - sembra - pensatori come Teone di Smirne, Proclo e Calcidio) 5 • Verso la metà del II secolo d.C. fiori Ermino, che com' Di questi commentari neoplatonici diremo più avanti. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 10, 19 sg.; In Arist. De caelo, 430, 29 sgg. Cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , vol. II, pp. 222·225. ' Quanto è rimasto di questo commentario è stato pubblicato da G. Heylbut, Aspasii in Ethica Nicomachea quae supersunt commentaria, nella grande collana « Commentaria in Aristotelem Graeca », t. XIX, Pars l, Berlin 1889. Cfr. Moraux, Der Aristotelismus ... , vol. n, pp. 226-293. ' Cfr. Zeller, Die Philosophie der Griechen, m, l, pp. 809 sg. Cfr. Moreaux, Der Aristotelismus... , vol. II, pp. 294-332. 3
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mentò le Categorie, il De interpreta/ione, gli Analitici primi e i Topici e si occupò in maniera critica, come vedremo, anche di problemi concernenti la Fisica 6 • Aristocle di Messene scrisse invece una vasta opera Sulla filosofia che doveva offrire un ampio panorama di carattere storico e teoretico di tutto l'arco della storia della filosofia 7 • Gran numero di commenti scrisse, infine, Alessandro 8 , ma su di tui dobbiamo fare un discorso a .parte, perché svetta nettamente su tutti gli altri Peri-patetici 9 • Questo massiccio consolidarsi del metodo del commentario agli esoterici e la sua sorprendente diffusione (il numero dei commentari alle medesime opere sembra addirittura che stimolasse a scriverne via via dei nuovi) dimostrano che, ormai, gli interessi dei seguaci di Aristotele si erano concentrati sulle opere di scuola e che, a paragone di esse, le opere pubblicate, le essoteriche, avevano perso quasi del tutto il loro antico fascino. A poco a poco queste dovettero venir trascurate o scarsamente utilizzate, fino a cadere nell'oblio: e cosl si spiega la ragione per cui esse andarono perdute e a noi furono tramandate solo le opere di scuola. Dopo aver goduto di tanta ammirazione e notorietà, gli essoterici furono condannati all'oblio, mentre gli esoterici, rimasti tanto a lungo • Luciano lo presenta come un ribaldo: «È degno di ricordo ciò che [Demonatte] disse ad Ermino. Era costui una cima di ribaldo, che avendo fatto mille scelleratezze, aveva sempre sulla bocca Aristotele e le sue dieci categorie. "O Ermino" egli disse "ti starebbero veramente bene dieci categorie [che in greco significano anche dieci accuse]">>(Vita di Demonatte, 56). Cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , vol. n, pp. 361-368. ' Su questo scritto di Aristotele, del quale Eusebio (nella sua Praep. evang.) ci ha conservato frammenti, si veda F. Trabucco, Il problema del «de philosophia » di Aristocle di Messene e la sua dottrina, in «Acme>>, XI (1958), pp. 97-150. Cfr. Moraux, Der Aristotelismus... , vol. n, pp. 83-207. • Si veda, più avanti, p. 39, nota 2. ' Influenzati dalle dottrine peripatetiche sono due grandi scienziati di quest'epoca, l'astronomo e geografo Claudio Tolomeo e il medico Galeno, i quali, però, non diedero apprezzabili contributi originali nell'ambito delle indagini propriamente filosofiche.
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quasi del tutto sconosciuti, furono consegnati alla storia come una « conquista per il sempre ». Ettore Bignone ha spiegato assai bene i motivi spirituali (dei quali parleremo a lungo nelle restanti parti di questa opera), che contribuirono a produrre quel capovolgimento di cui abbiamo detto. Gli uomini dei primi secoli dell'ellenismo - egli rileva - amarono la semplicità e la lucida chiarezza. A questi canoni non rispondevano in alcun modo gli scritti di scuola dello Stagirita; pertanto, quei pochi studiosi che pur poterono avere a disposizione alcuni degli scritti esoterici di Aristotele, non furono in alcun modo attratti da essi, avendo questi i caratteri esattamente contrari a quelli che il gusto dell'epoca esigeva. «Ma- prosegue il Bignone -le età mutano, e con esse gli spiriti. Quello che per l'una è difetto per l'altra è pregio. E la lucida chiarezza, che nell'età precedente era il merito dell'Aristotele essoterico, nei secoli dell'impero dovette parere a parecchi volgare. Gli animi ormai sono appassionati del recondito e del misterioso. Legge dello stile è lo sforzo; più idee che parole, sentenze che nascondano una significazione ascosa. I fascini delle dottrine ermetiche dell'Oriente han penetrato gli spiriti. L'oscurità non sgomenta più, affascina. Se le nuove religioni han miste11i per iniziati, perché non ne avrebbe la religione del vero, la filosofia? Anche il dio del pensiero filosofico non deve apparire a tutti, ma solo rivelarsi ai meritevoli tra le penombre della cella, nei penetrali del tempio. A somiglianza del Pitagorismo, che è in auge, ogni filosofia deve aver dogmi segreti, e sacre "orgie" della mente, a cui solo gli ini2liati siano ammessi. Dove non sooo, si suppongono. Clemente Alessandrino [ ... ] li scopre anche nella scuola di Epicuro: tanto più perciò in Aristotele. Luciaoo, nei suoi Filosofi all'incanto [ ... ] , allorché si vende Aristotele, fa dichiarare dal banditore, per crescergli il pregio, che chi lo compera troverà due Aristotel!i. in uno solo, quello per i profani e quello per iniziati. Tale amore del recondito richiama a poco a poco sulle opere esoteriche di Aristotele
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l'attenzione dei secoli più ta·rdi dell'età classica ormai declinante. Vinte le prime asprezze se ne comprende Ja profondità e la bellezza. Si capisce finalmente che qui è il suo pensiero più profondo e più maturo. Ma per questo fu necessaria una lunga esperienza di secoJ.i e che si facessero più vaghe d'infinito le menti e più abituate alle sottigliezze metafìsiche » 10 •
Influssi platonici e medioplatonici Peripatetici dell'era cristiana
2.
sui
Quali furono le peculiarità teoretiche dell'aristotelismo di quest'epoca? Abbiamo visto come il Pe11ipato postaristotelico, a partire già da Teofrasto (e soprattutto con Stratone) e anche dopo la riscoperta degli esoterici durante l'ultimo secolo dell'età pagana (e forse anche in parte durante il primo secolo dell'era cristiana), avesse assunto posizioni naturalistiche e perfino materialistiche e come alcuni suoi esponenti si fossero lasciati influenzare dalla Stoa 11 • Per contro, l'aristotelismo dell'epoca di cui ci occupiamo, e in particolar modo l'aristotelismo del II secolo d. C., rivela precisi influssi del platonismo e soprattutto di quelta pa·rt>icolare forma di platonismo che era rinato fra la fine dell'era pagana e i primi due secoli dell'era cristiana e (come vedremo) aveva raggiunto la sua acmé nel II secolo d.C. e che ormai quasi tutti gli storici della filosofia antica concordemente denominano « medioplatonismo » 12 • Le simpatie per il platonismo erano state riconosciute da tempo, ma solo limitatamente ad uno dei filosofi sopra menzionati, vale a dire limitatamente ad Aristocle di Messene. Per la verità, il giudiiio di Aristocle su Platone e sulla sua 10 11
12
Bignone, L'Aristotele perduto ... , vol. I, pp. 35 sg. Cfr. vol. m, pp. 123-155 e, sopra, pp. 7-29. Si veda, sotto, pp. 307-364.
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3.5
filosofia è così chiaramente favorevole, che non poteva non colpire. Scrive Aristocle: Platone, se mai altri, filosofò in modo autentico e perfetto 13 •
E non solo traspare chiaramente dai frammenti di Aristocle il giudizio positivo su Platone, ma anche il sostanziale accordo con lui. Platone avrebbe avuto, infatti, il merito di aver capito che, pur essendo una la scienza delle cose umane e divine, va distinta in tre parti, vale a dire una prima riguardante la natura del Tutto, una seconda riguardante le cose umane e una terza i ragionamenti, e di aver capito che la prima è la condi2lione e il fondamento della seconda. Platone, in altri termini, avrebbe avuto il merito di aver compreso che non era possibiLe conoscere le cose umane senza prima conoscere le cose divine 14 • Questa ·incondizionata ·approvazione della filosofia platonica (almeno intesa in questa forma che risente della rielaborazione medioplatonica) doveva nascere dalla convinzione di Aristocle che essa è pienamente conciliabile con quella aristotelica, come sembra dimostrare - tra l'altro - il fatto che Aristocle chiami l'Accademia addirittura « il Peripato di Platone » 15 • Ma il caso di Aristocle non è affatto isolato. Di tutti i filosofi peripatetici del n secolo sopra ricordati è attestato un preciso rapporto con Platone. Adrasto di Afrodisia, come abbiamo già ricordato, si occupò a fondo del Timeo 1\ che, come vedremo, fu quasi la Bibbia del medioplatonismo. Ermino riprese il concetto platonico di anima come pl'incipio
" Aristocle, presso Eusebio, Praep. evang., XI, 3, l. 14 Aristocle, presso Eusebio, Praep. evang., XI, 3, 6. " Aristocle, presso Eusebio, Praep. evang., xv, 2, l. ,. Gran parte dell'Astronomia di Tcone di Smirne (vedi, più oltre, p. 324, nota 37), secondo gli srudiosi moderni, deriverebbe da questo commentario di Adrasto.
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PERIPATETICA
semovente e cercò di spiegMe con esso i moti celesti 17 • Ma il documento più significativo è costituito dal commentario all'Etica a Nicomaco di Aspasia, che per tanto tempo fu giudicato di scarso valore e che alla luce delle più recenti ricerche risulta, invece, di inestimabile importanza storica 18 • Vediamo alcuni dei più significatiVIi elementi platonici e medioplatonici presenti nel commento di Aspasia. Nel sottolineare l'eccellenza della vita contemplativa e della contemplazione Aspasia fa leva su una concezione dualistica dell'uomo, la quale giudica non naturale l'unione di anima e corpo ed ha precisi paralleli in testi di Plutarco e di altri autori medioplatonici. Scrive, infatti, il nostro autore: Se [ ... ] noi fossimo liberi dal corpo, nessun altro compito toccherebbe alla nostra natura se non la contemplazione; ora invece il corpo, in quanto è vincolato a piaceri e dolori fisici, di necessità ci costringe a osservare la temperanza e la continenza e molte altre virtù del genere, delle quali non è verosimile che partecipi la divinità per il fatto stesso che essa non partecipa di piaceri e dolori corporali. È dunque chiaramente per la necessità impostaci dal corpo che ci prendiamo tanta cura della moralità [ ... ] 19 • Vedremo, inoltre, che i Medioplatonioi pongono il supremo fine dell'uomo nel farsi simile a Dio. Ebbene proprio con questa concezione tipicamente medioplatonica Aspasia concorda perfettamente e 1a ribadisce con estrema chiarezza, andando chiaramente oltre il testo aristotelico che commenta. Per spiegare il principio aristotelico che « il bene fu giustamente definito ciò a cui tutto tende », Aspasia scrive: Se [Aristotele] intende il bene nel senso della causa prima e nel senso più proprio [ossia nel senso di Dio] , la proposizione è giusta, perché tutte le cose tendono ad esso e a farsi simili a Cfr. Simplicio, In Arist. De caelo, 380, 3 sgg. Cfr. Donini, Tre studi ... , pp. 98 sgg. " Aspasio, In Arist. Eth. Nicom., l, 14-20. La traduzione di questo passo e di quelli appresso riportati è di P. L. Donini. 17
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quello. Bisogna allora interpretare il tendere nel senso che ciascun essere è stato disposto dalla natura a farsi simile per quanto è possibile alla causa prima e perfettissima: ciascuno, infatti, è spinto urgentemente dalla propria natura vç:rso la propria perfezione; e viene spinto a questa per la sua inclinazione a quell'essere che è fra tutti perfettissimo :20.
E dall'affermazione aristotelica che è proprio dell'uomo virtuoso fare H bene piuttosto che ricevere il bene, Aspasia, ancora più chiaramente, trae la tesi medioplatonica come segue: Perciò la virtù sembra essere qualcosa di divino e come una sorta di assimilazione al dio; la nozione del divino implica, infatti, non il ricevere bene, ma il fare bene 21 • Inoltre, per indicare Dio, Aspasia usa senz'altro l'espressione « il primo Dio » 22 , che deriva dalla nuova concezione ipostatico-gerarchica del divino propria del medioplatonismo. Egli dilata, poi, il concetto aristotelico della divinità in funzione delle categorie del bene e del bello e attribuisce alla medesima una conoscenza e una precisa cura nei confronti delle cose del mondo, che > (p. 6, nota 3) e dichiarandosi « grato » per le informazioni e il materiale che offriamo e da cui egli ha attinto, e pur citandolo e discutendolo di continuo, si dichiara non convinto delle nostre argomentazioni. Tuttavia egli non risponde alle questioni filosofiche e metafìsiche da noi sollevate, e, quindi, non muta il nostro parere.
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IV. IL NEOARISTOTELISMO DI ALESSANDRO DI AFRODISIA
l. I capisaldi dell'ontologia di Alessandro e il loro significato
Alessandro di Afrcxlis.ia 1, come già abbiamo ricordato, fu di gran lunga il maggiore dei commentatori di Aristotele; per l'acribia e l'intelligenza dei suoi commenti, fu addirittura denominato «secondo Aristotele», e a buona ragione fu ed è considerato il « commentatore » per eccellenza. Alessandro non si limitò, tuttavia, al puro lavoro di commento e scrisse anche opere di carattere teoretico, in gran parte ·pervenuteci, che hanno un certo significato e una indubbia, sia pure circosc11itta, originalità. È bensl vero che egli ambi a non presentarsi come filosofo in prima persona e che volle essere semplicemente interprete fedele del pensiero dello Stagirita, ma è altrettanto vero che, in realtà, egli andò oltre lo Stagirita e che le sue innovazioni ebbero notevole eco anche nel pensiero medievale e, perfino, in quello rinascimentale 2 • 1 Sulla vita di Alessandro sappiamo pochissimo. Pare che abbia tenuto una cattedra di filosofia in Atene fra il 198 e il 211 d.C. sotto Settimio Severo. 2 Dei numerosi commentari scritti da Alessandro ci sono pervenuti quello agli Analitici Primi (libro I), quello ai Topici, quello ai Meteorologici, quello alla Metafisica (secondo gli studiosi, però, solo la parte concernente i libri I-V sarebbe autentica), quello al trattatello Sulla sensazione. Tutti questi commentari sono stati pubblicati nella grande collana « Commentaria in Aristotelem Graeca »: quello agli Analitici da M. Wallies nel 1883, quello ai Topici ancora da M. Wallies nel 1891, quello ai Meteorologici da M. Hayduck nel 1899, quello alla Metafisica ancora da M. Hayduck nel 1891 e quello al De sensu da P. Wendland nel 1901. Ci sono pervenute anche alcune delle
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GLI ULTIMI SVILUPPI DELLA SCUOLA PERIPATETICA
Quali sono le novità di Alessandro e quale 11 loro significato? Fino a poco tempo fa si riteneva che il ripensamento dell'aristotelismo da parte di Alessandro fosse condotto in chiave « naturalistica » e addirittura « nominalistica » e si riteneva che questo ripensamento fosse, in qualche modo, assimilabile a quello operato a suo tempo da Stratone di Lampsaco, terzo scolarca del Peripato. Ma da qualche lustro si va scoprendo un volto del nostro filosofo del tutto nuovo e, per molti aspetti, sorprendente. Si parla addirittura di un Alessandro antinaturalistico, mistico e platonico, e, per alcuni aspetti, pre-neoplatonico. I capisaldi ontologici di Alessandro sui quali si appoggiavano gli interpreti tradizionaJi per motivare i loro giudizi, e che ora vengono invece interpretati secondo una opposta angolatura, sono i seguenti. a) Aristotele aveva affermato che l'individuo particolare ha la massima realtà, mentre l'universale ha la massima verità, e che, mentre l'individuo è primo per noi (ossia primo per la sensazione e per l'esperienza sensoriale), l'universale è primo per natura {l'individuo è primo soggettivamente, ~·universale lo è oggettivamente). Per contro, Alessandro affermò che l'individuo è primo in tutti i sensi, non solo per noi ma anche per natura. Riferisce Simplicio: Alessandro pretende che le sostanze individuali (-rei>; e ciò ulterior•• Epitteto, Manuale, 30. " Epitteto, Diatribe, IV, 5, 30. "' Epitteto, Diatribe, m, 2, 5.
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EPITTETO
mente riconferma quanto abbiamo detto a conclusione del paragrafo precedente. Gli Stoici antichi non parlarono di prohairesis; né Epitteto si rifà alla aristotelica prohairesis, che, come sappiamo, significa la scelta dei mezzi immediati per la realizzazione di fìni (i fìni - ricordiamolo - per Aristotele non sono scelti ma voluti) 21 • La prohairesis di Epitteto indica una pre-scelta o pre-decisione che stabilisce in generale che cosa sia buono o non sia buono 22 • Le successive scelte dei singoli oggetti e delle singole azioni dipenderanno, quindi, da questa generale « pre-scelta ». Insomma: la prohairesis è la deoisione e la scelta di fondo, che l'uomo fa una volta per tutte, e con cui determina, quindi, la cifra del suo essere morale, da cui dipenderà tutto ciò che farà e come lo farà. È chiaro che l'autentica prohairesis, per Epitteto, coincide sostanzialmente con l'accettazione del suo grande principio che distingue le cose che sono in nostro potere da quelle che non sono in nostro potere e stabilisce che buone sono esclusivamente le prime, mentre le altre non lo sono e non ci riguardano. Ed è anche chiaro che, una volta operata questa scelta di fondo, le scelte particolari, le singole azioni, scaturiranno di conseguenza 23 • La prohairesis costituisce, pertanto, la sostanza del nostro essere morale. Per conseguenza Epitteto può ben affermare: [ ... ]Non sei carne né peli, ma scelta morale: e se questa sarà bella, sarai bello. · È bene solo la scelta morale [prohairesis] convenientemente disposta e male solo la scelta morale non convenientemente disposta.
Dimmi, dunque, quali sono le cose indifferenti: dimmi, pure " Cfr. vol. n, pp. 517 sgg. " Cfr. Bonhoffer, Epictet und die Stoa, pp. 118 sgg., 159 sgg. e Idem, Epiktet und das neue Testament, Giessen 1911 (Berlin 1964'), p. 235. " Cfr. Pohlenz, La Stoa, u, pp. 113 sgg.
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IL NEOSTOICISMO
le conseguenze che ne derivano. - Quelle che non dipendono dalla mia scelta morale [aprohaireta] sono niente per me.- Dimmi, poi, quali cose ritenete beni? - La retta scelta morale [prohairesis] e l'uso conveniente delle rappresentazioni 24 • Dalla prohairesis, insomma, dipendono virtù e VlZlO, felicità e infelicità: essa è ciò che di più grande c'è nell'uomo 25 • Ecco la pagina in cui Epitteto esprime a perfezione questo suo pensiero: Uomo, non essere ingrato e, insieme, non dimenticare quel che è più grande ancora, ma per la vista e per l'udito, e, in nome di Zeus, per la vita stessa e per i conforti che ne aiutano il mantenimento, per i prodotti solidi della terra, per il vino, per l'olio, rendi grazie a Dio: ma ricordati che ti ha dato qua/ch'altra cosa, più grande di tutte queste: il potere di usarle, di giudicarle, di stimar/e nel loro valore una per una. E, in realtà, chi si pronuncia sul valore effettivo di ognuna di queste facoltà? Forse la facoltà stessa, in particolare? Hai sentito mai la vista dare un giudizio su se stessa? O l'udito? No, ma come serve e schiave sono state sottoposte a servire la facoltà che usa le rappresentazioni. E se domandi il valore di ciascuna, a chi lo domandi? Chi ti risponde? Come può, dunque, un'altra facoltà essere superiore a questa, che si serve della prestazione delle altre, che di ogni cosa dà il giudizio, da sé, e si pronuncia su esse? Quale di queste conosce la propria effettiva realtà è il proprio valore? Quale di queste conosce quando dev'essere usata, quando no? Chi è che apre e chiude gli occhi, li torce da dove deve, li volge dove deve? La vista? No, ma la facoltà della scelta morale [ 7tpoaLptrLx-lj 8Uva(.lLt;]. Chi è che serra e apre le orecchie? che rende gli uomini attenti e curiosi ovvero insensibili a qualunque discorso? L'udito? No; non è altro che la facoltà della scelta morale. E allora, quando s'è accorta di stare in mezzo ad altre facoltà, tutte cieche e sorde, incapaci di abbracciare qualch'altra 24 Epitteto, Diatribe, III, l, 40; IV, 5, 32; 1, 30, 3 (qui e in seguito modifichiamo la traduzione di R. Laurenti, il quale rende 7tpoa(pe:cnt;, come il Souilhé, con « persona morale », la quale è una parafrasi che esprime inadeguatamente sia il termine sia il corrispettivo concetto). 25 L'antica Stoa, ricordiamolo, parlava, invece, di giusta disposizione interiore.
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EPITTETO
cosa al di là dei loro atti, per i quali sono state sottoposte al suo servizio e alle sue dipendenze, mentre essa sola ha la vista acuta e abbraccia in un solo sguardo tutte le altre nel loro singolo valore e, insieme, anche se stessa, ci potrà dimostrare che il bene supremo è altro da se stessa? Che altro fa l'occhio aperto se non vedere? Ma se si debba guardare la moglie di qualcuno e in che modo, chi lo dice? La facoltà della scelta morale. E se si debba prestar fede a quel che vien detto o no, e, prestatala, ci si debba risentire o no, chi lo dice? Non è forse la facoltà della scelta morale? Ora, la facoltà della parola, con tutte le attrattive del linguaggio, posto che sia davvero una facoltà speciale, quando il discorso cade su qualche argomento, che altro fa se non cospargere d'attrattive i vocaboli e armonizzarli, come fanno gli acconciatori con la chioma? Ma se sia meglio parlare o tacere, e in tal guisa meglio che in quella, e se questo sia conveniente o no, e il momento opportuno per ciascun discorso e l'uso, chi altri lo indica se non la facoltà della scelta morale? Vuoi dunque che venga essa stessa a pronunciare la sua condanna? Ma come! si dice. Se la cosa sta in questi termini, è pure possibile che chi serve sia superiore a quegli cui serve, il cavallo al cavaliere, il cane al cacciatore, lo strumento al citarista, i sudditi al re. E che cosa si serve dell'altro? La scelta morale [ 7tpocx!peat Marco Aurelio, Ricordi, " Marco Aurelio, Ricordi,
VI,
11. 48.
VIII,
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MARCO AURELIO
gli esseri ragionevoli esser nati l'uno per l'altro, che la pazienza è pure parte della giustizia, che essi errano senza volerlo; e se pensi quanti, dopo essersi combattuti, ingannati, detestati, colpiti, ora sono ridotti in cenere, ti calmerai certamente. O t'adirerai ger quel che t'è riserbato dall'ordine universale? E allora ricordati del dilemma: «o provvidenza o atomi», e di tutte quelle ragioni con le quali è stato dimostrato che il mondo è come una città. O ti turberà ancora quel che riguarda il corpo? E allora rifletti che la ragione, una volta che si sia astratta e fatta consapevole del proprio potere, non s'immischia coi moti dolci o violenti dei sensi, e ricordati di quel che hai udito e provato intorno al piacere e al dolore. O ti frastornerà l'ambizione? E allora osserva come l'oblio scenda rapidamente e tutto avvolga l'abisso sconfinato del tempo, la vanità dell'eco, l'incostanza, la sconsideratezza di chi pare distribuire la lode, e l'angustia del luogo in cui è circoscritta la tua fama; pensa che la terra intera non è che un punto e di questo qual parte è il cantuccio dove tu stai! E quivi quanti e quali saranno i tuoi lodatori? D'ora in avanti, rammentati di ritirarti nel campicello di te stesso, e prima di tutto non affannarti, non nutrire grandi speranze, ma sii libero e contempla le cose con fermezza da uomo, da cittadino, da essere mortale. Tra le massime a cui dovrai rivolgerti, ricorda sempre queste due: prima: che le cose esteriori non giungono mai a toccare l'animo nostro, ma restano sempre immobili al di fuori, e che ogni turbamento dipende dalla nostra opinione interiore; seconda: che quel che tu vedi tosto si muterà e non sarà più la medesima cosa. Di quante trasformazioni tu stesso sei stato partecipe! Pensaci sempre. Il mondo è trasformazione; la vita, opinione 42 • L'egemonico, cioè l'anima intellettiva, che è il nostro Demone, è invincibile, se vuole. Nulla lo può ostacolare, nulla lo può piegare, nulla lo può colpire, né fuoco, né ferro, né violenza di sorta, se esso non vuole. Solo il giudizio che esso emette sulle cose lo può colpire; ma allora non sono le cose che lo affliggono, ma le false opinioni che egli ha pro., Marco Aurelio, Ricordi,
IV,
3.
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dotto 43 • Serbato retto e incorrotto, il nous è il rifugio che dà all'uomo la pace assoluta.
6. Spiri t o nuovo Già la vecchia Stoa aveva sottolineato il comune vincolo che lega tutti gli uomini, ma solo il neostoicismo romano innalzò questo vincolo al precetto dell'amore. E in questa direzione Marco Aurelio si spinse senza riserve. Ecco alcuni eloquenti pensieri: E ancora è dell'anima razionale amare il prossimo, il che è verità e umiltà [ ... ] 44 • Questa inclinazione dell'uomo ad amare gli altri uom1m si fonda sul fatto che in tutti è presente il nous, la mente, e questa deriva in tutti da Dio ed è particella divina: Hai pure scordato lo stretto legame di parentela che unisce ogni uomo al genere umano, non parentela di sangue o d'origine, ma d'intelletto; e ancora, che la mente di ogni uomo è divina e emanata da Dio; che nulla è veramente di questo o di quello, ma il tuo bambino, il corpiciattolo, perfino la tua animuccia, tutto è uscito da Dio; e finalmente che tutto è opinione, che ciascuno vive soltanto nel presente e questo soltanto si perde 45 • E un altro concetto si trova in Marco Aurelio, che ricorda da vicino l'evangelico precetto di fare il bene per il bene, senza mettersi in mostra e senza attendere pubblico riconoscimento e ricompensa: V'è gente che, se rende qualche favore ad alcuno, s'affretta a segnarglielo in conto; altra, che non lo richiede veramente, .. Cfr. Marco Aurelio, Ricordi, v, 9. .. Marco Aurelio, Ricordi, XI, l. ., Marco Aurelio, Ricordi, XII, 26; dr. anche
II,
13.
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MARCO AURELIO
ma, nell'intimo del proprio cuore, considera il beneficato come un debitore, convinta di quanto ha fatto; infine ve n'è di quella che ignora d'aver reso un beneficio, come il vitigno che ha prodotto un grappolo e non domanda altro, dopo aver dato finalmente il suo frutto. Cavallo che ha corso, cane ch'è andato a caccia, ape che ha lavorato il suo miele, costui, che ha fatto del bene a un suo simile, non mena vanto del proprio operato, bensl continua a dispensare altri benefici come il vitigno continua a produrre nuovi grappoli nella nuova stagione. Dobbiamo, quindi, essere di quelli che, per cosl dire, fan del bene senza saperlo .>.ov) in un modo che in un altro, oppure che talora sono comprensibili e talora non sono comprensibili, oppure che per uno sono incomprensibili e per uri altro non sono affatto comprensibili. Né hanno detto che esse tutte insieme o alcune di esse sono coglibili, ma che esse sono coglibili non più di quanto ( oùatv !LiiUov ) non siano coglibili, oppure che talora sono coglibili e talaltra non sono più coglibili, oppure che per uno sono coglibili e che per un altro non sono coglibili. E, per la verità, non c'è vero né falso, né probabile né improbabile, né essere né non-essere, ma la medesima cosa, per cosl dire, non è più (où !J.iiUov) vera che falsa, o più probabile che improbabile, o più essere che non-essere, oppure talora questo e talaltra quest'altro, oppure per uno di tal fatta e per un altro non di tal fatta. In generale, infatti, i Pirroniani non definiscono nulla, e non definiscono neppure questo, ossia che nulla si può definire, ma, essi dicono, noi parliamo senza avere di che esprimere ciò che è oggetto di pensiero. I filosofi dell'Accademia, essi sostengono, specialmente quelli contemporanei, si rifanno talora a opinioni stoiche, e se bisogna dire la verità, sembrano degli Stoici che polemizzano con altri Stoici. In secondo luogo [gli Accademici] fanno affermazioni dogmatiche su molte cose. Introducono virtù e stoltezza, pongono come principi bene e male, verità e falsità, probabile e improbabile, essere e non-essere e definiscono molte cose stabilmente. Essi dicono di dubitare solamente intorno alla rappresentazione catalettica. Perciò i seguaci di Pirrone nel non definire nulla restano assolutamente irreprensibili; invece i filosofi dell'Accademia, dice Enesidemo, prestano il fianco agli stessi rimproveri che fanno agli
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altri filosofi, ma il fatto più grave è che, mentre dubitano intorno ad ogni questione che è oggetto di discussione, mantengono la loro unità e non si contraddicono, e quelli che si contraddicono non se ne accorgono. Infatti, porre qualche cosa e eliminarla senza nessun dubbio e ad un tempo affermare che sussistono cose che si possono comunemente cogliere implica una evidente contraddizione; giacché come è possibile che uno il quale conosce che questa data cosa è vera e quest'altra falsa sia ancora in una posizione di dubbio e di indecisione e non scelga chiaramente l'una e non eviti l'altra? Infatti, se non si conosce che questo è buono o cattivo, o che questo è vero e quest'altro è falso, e che questo è essere e quest'altro è non-essere, allora bisogna senz'altro ammettere che ciascuna di queste cose non è comprensibile; se, invece, ciascuna di queste cose si può cogliere con la sensazione o con il pensiero, allora bisogna dire che ciascuna di queste cose è comprensibile. Questi e altri simili a questi sono i ragionamenti che Enesidemo presenta all'inizio della sua opera per dimostrare la differenza fra i Pirroniani e gli Accademici 3 •
Le radicaH divergenze fra le posizioni sulle quali si erano portati gli Accademici del 1 secolo a. C. e gli Scettici che intendevano rimanere fedeli allo spirito pirroniano non potrebbero essere meglio espresse. In sintesi, ·potremmo caratterizzare tali divergenze sulla base di quanto riferisce Fozio nella pagina letta, come segue: [l] Gli Acrademici hanno fatto proprie le dottrine della Stoa. [ 2] Gli Accademici sono caduti in affermazioni chiaramente dogmatiche e hanno svuotato di significato la loro professione di dubbio. [ 3] Gli Accademici hanno limitato il loro dubbio alla sola rappresentazione comprensiva o catalettica. [ 4] Gli Accademici, per giunta, ammettendo la distinzione di bene e male, vero e falso, probabile e improbabile, hanno finito col riammettere anche quello che sembravano avere fermamente negato, vale a dire la comprensibilità 3
Fozio, Bibliotb., cod. 212, 169 b 19-170 a 40.
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ENESIDEMO
delle cose (dunque, la possibilità della rappresentazione comprensiva). [ 5] Gli Accademici, infine, nelle loro stesse negazioni, hanno manifestato un atteggiamento dogmatico; infatti il vero Scettico non solo non deve affermare, ma non deve neanche negare senza dubitare. Per contro, l'atteggiamento autenticamente scettico e antidogmatico in senso pirroniano è quello della totale sospensione sia dell'affermazione sia della negazione. Eccolo in sintesi: [ l ] Il Pirroniano non dice a) né che tutte le rose sono incomprensibili mediante la sensazione né che sono comprensibili, ma dice che non sono comprensibili più di quanto non siano incomprensibili; b) né che sono talora comprensibili e talora incomprensibili, ma che non sono talora comprensibili più di quanto non siano talora incomprensibili; c) né che sono per un dato uomo comprensibiH e per un altro incomprensibili, ma che non sono per un dato uomo comprensibili o incomprensibili più di quanto non lo siano per un altro uomo. [ 2] H Pirroniano non dice a) né che le cose o alcune di esse sono comprensibili mediante iJ. pensiero né che sono incomprensibili mediante H pensiero, ma dice che non sono comprensibili più di quanto non siano incomprensibili mediante il pensiero; b) né che talora sono comprensibili mediante il pensiero e talora incomprensibili, ma che non sono talora comprensibili mediante il pensiero più di quanto non siano talora incomprensibili; c) né che sono per un dato uomo comprensibili mediante il pensiero e per un altro non comprensibili, ma che non sono per un dato uomo comprensibili o incomprensibili mediante il pensiero più di quanto non lo siano per un altro. [3] Per il Pirroniano una cosa non è né vera né falsa, né probabile né improbabile, né essere né non-essere, ma non è più vera che falsa, non più probabile che improbabile, non più essere che non-essere (non è vera più di quanto non sia
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falsa, non è probabile più di quanto non sia improbabile, non è essere più di quanto non sia non-essere). Una riproposta cosl radicale del pirronismo era tale da travolgere non solo l'Accademia eclettica e stoicheggiante, ma addirittura alcune delle stesse concessioni di Arcesilao e, soprattutto, di Carneade, tanto è vero che Enesidemo bocciò espressamente la distinzione fra probabile e non probabile 4 • Ciò non toglie, tuttavia, che Enesidemo abbia potuto sfruttare anche certi contributi dell'Accademia scettica di Arcesilao e di Carneade. Si può dire, anzi, che il neo-pirronismo o neoscetticismo di Enesidemo unificò istanze pirroniane con istanze dello scetticismo accademico, ripensando e amplificando alcuni motivi pirroniani sulla base della scaltrita dialettica accademica, opportunamente purificata e resa più rigorosa, nei sensi che subito vedremo.
2. I dieci « tropi », ovvero la tavola delle su· preme categorie del dubbio L'affermazione che ciascuna cosa non è più questo che quello ( où IJ.iiÀÀov ), come abbiamo già visto parlando di Pirrone 5 , implicava ,la negazione della validità dei principi di identità, di non-contraddizione e del terzo escluso, quindi implicava la negazione della sostanza e della stabilità nell'essere delle cose, e, dunque, implicava la loro totale indeterminazione o, come ribadl anche Enesidemo, il loro disordine (àvw!J.IXÀ(ot) e la loro confusione (Totpax.~). È questa appunto la condizione delle cose che, in modo programmatico, Enesidemo cercò di fare emergere mostrando, in primo luogo, come alla apparente forza persuasiva delle cose fosse sempre possibile contrapporre considerazioni dotate di uguale grado di • Cfr. Fozio, Biblioth., cod. 212, 170a 4 sgg. (testo sopra riportato). • Cfr. vol. 111, pp. 474 sgg.
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credibilità, che annullavano (o almeno controbilanciavano in senso opposto) quella apparente forza persuasiva. A questo scopo egli compose quella che noi moderni potremmo chiamare la tavola delle supreme categorie del dubbio e che gli antichi chiamavano i « tropi » che portano alla sospensione del giudizio, ossia i «modi» o le ragioni strutturali per cui si giunge, o meglio si deve giungere al riconoscimento dell'indeterminatezza delle cose e, dunque, alla sospensione del giudizio, ossia all'epoché (term1ne, questo, che Enesidemo riprese dalla tradizione accademica, ma che, come abbiamo visto, esprimeva, arricchendolo e determinandolo in modo concettualmente più preciso, un atteggiamento spirituale che era già di Pirrone). I tropi sono concepiti, dunque, come le vie che necessariamente conducono, in maniera convergente, alla sospensione del giudizio. Certamente molto del materiaJe raccolto da Enesidemo nella sua tavola dei tropi risale all'antico scetticismo (alcuni esempi sembrano addirittura l'eco di esperienze di Pirwne nel suo viaggio in Oriente al seguito di Alessandro, come l'esplicito richiamo al fatto che Demofonte, che era maggiordomo di .Alessandro, « si riscaldava all'ombra, mentre al sole aveva freddo » ); una parte del materiale poté, forse, essere desunta dallo stesso scetticismo accademico; sicuramente di Enesidemo fu la sistemazione (e il completamento) di tutto il materiale, dal quale nacque appunto la tavola dei dieci tropi. Ecco come Diogene Laerzio riassume l'idea, già da noi sopra illustrata, che ispira la tavola dei tropi: La dottrina pirroniana, come dice Enesidemo nello Schizzo introduttivo alla filosofia di Pirrone, si risolve nell'indicazione dei fenomeni e di tutto ciò che è conosciuto in un modo qualunque dal pensiero, secondo cui tutte le cose si pongono in relazione tra di loro e nel confronto si rivelano molto disordinate e confuse. Per quel che riguarda le opposizioni dei punti di vista nella scepsi o
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nella considerazione critica delle cose, essi in primo luogo mostravano i diversi modi in cui le cose manifestano potenza persuasiva, per poi privar/e di fede con gli stessi metodi. Hanno potenza persuasiva i fenomeni che secondo la percezione sensibile stanno in accordo tra di loro e tutto ciò che mai o solo raramente subisce un mutamento, e inoltre tutto ciò che è consueto o disposto dalle leggi e tutto ciò che suscita godimento e ammirazione. Essi mostravano che le considerazioni, contrapposte a quelle relative alle cose che hanno forza persuasiva, tengono per sé un ugual grado di credibilità. Le aporie relative agli accordi dei fenomeni o dei noumeni ciò che è pensato], che essi ammettevano, si dividevano in dieci cosiddetti tropi, secondo i quali le cose fondamentali appaiono mutevoli 6 •
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Ma passiamo all'esame analitico di ciascuno dei dieci « tropi », tenendo come base prevalentemente il testo di
Diogene Laerzio e avvalendoci della parallela testimonianza di Sesto Empirico solo come di complemento, dato che quest'ultimo, in parte, reinterpreta e rHegge la tavola in funzione di un personale ripensamento dello scetticismo, del quale parleremo con ampiezza più avanti. Notevole importanza storica ha anche la testimonianza di Filone di Alessandria, che vive poco dopo Enesidemo e che riferisce gran parte di questi tropi in maniera puntuale 7 •
6 Diogene Laerzio, IX, 78 sg. (llicordiamo che la traduzione di Diogene che qui e in seguito riportiamo, è sempre quella di M. Gigante, talora con lievi ritocchi). 7 Che non solo nel De ebrietate, in cui riporta otto dei dieci tropi, Filone risenta dell'influsso di Enesidemo, ma anche in altri scritti, come il De Iosepho (125-144), il De vita Mosis (I, 31), il Quod deus sit immutabilis (172-178) in cui, tra l'altro, è ben visibile anche la componente eraclitea che, come vedremo, Enesidemo fonde con Io scetticismo - è resi su cui molti studiosi largamente consentono (il primo ad aver studiato sistematicamente il problema è H. von Arnim, Quellenstudien zu Philo von AJexandria [ « Philologische Untersuchungen », Heft 11], Berlin 1888). Contra si veda, invece, J. P. Dumont, Le scepticisme et le phénomène, Paris 1972, pp. 147 sgg., che preferisce parlare dell'« Anonimo di Filone », senza, però, addurre prove che, a nostro avviso, siano convincenti. Per la numerazione dei tropi seguiamo Diogene Laerzio, il quale sembra essere più fedde di Sesto (egli sembra aver
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[l] Il primo tropo rileva le infinite differenze sussistenti fra i vari esseri viventi a tutti i livelli, e, in particolare, le differenze sussistenti nelle costituzioni dei sensi, che, ovviamente, comportano sensazioni fra loro non solo diverse ma contrastanti. Né si può dire che l'uomo goda, rispetto agli altri animali, di una situazione di priv.ilegio; ché, anzi, per alcuni sensi, è vero esattamente il contrario. Questo contrasto sussistente fra le differenti sensazioni dei differenti esseri viventi impone, dunque, la sospensione del giudizio. Scrive Filone: Anzi tutto le differenze che si riscontrano negli animali, non già sotto un unico rispetto, ma sotto tutti i rispetti, sono quasi innumerevoli, riguardo al nascere e alla loro costituzione, al nutrimento e al tenore di vita, riguardo alle predilezioni e alle ripugnanze, riguardo alle attività sensibili e ai movimenti, riguardo alle particolari, infinite affezioni del corpo e dell'animo 8 • Diogene Laerzio precisa: Il primo [tropo] si riferisce alla differenza degli esseri viventi riguardo al piacere e al dolore, al danno e all'utilità. Da esso si deduce che essi non ricevono le medesime impressioni dalle medesime cose e che perciò un tale conflitto genera necessariamente la sospensione del giudizio. Degli esseri viventi alcuni si generano senza mistione, come quelli che vivono nel fuoco, l'araba fenice ed i vermi; altri con l'unione dei corpi, come gli uomini ed altri animali. Poiché alcuni sono costituiti in un modo, altri in modo diverso, anche le loro sensazioni differiscono. Cosi per esempio i falchi hanno gli occhi acutissimi, i cani hanno finissimo l'olfatto. È logico dunque che alla differenza della facoltà visiva corrisponda la differenza delle impressioni 9 • Sesto, infine, rileva: Da questo confronto [ ... ] rimane sufficientemente, come credo, avuto sott'occhi il testo di Enesidemo o comunque un« esposizione fedele di questo testo). • Filone, De ebr., 171. • Diogene Laerzio, IX, 79 sg.
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dimostrato che noi non possiamo preferire le nostre rappresentazioni sensibili a quelle degli animali 10 • [2] n secondo tropo passa dalla considerazione degli esseri viventi in generale agli uomini in particolare e alle innumerevoli differenze che si riscontrano appunto fra gli uomini. Dato anche (ma non concesso) che le percezioni e i sentimenti degli uomini fossero superiori a quelli degli animali, la situazione non cambierebbe. Infatti gli uomini differiscono fra loro notevolmente sia in ciò che chiamiamo corpo sia in ciò che chiamiamo anima, e queste diversità sono tali da comportare nei diversi uomini diverse percezioni, diversi pensieri, diversi sentimenti e anche diversi atteggiamenti pratici (e diversi al punto da essere fra loro perfino contraddittori). Anche per queste considerazioni, dunque, s'impone la sospensione del giudiZJio. Leggiamo, nell'ordine, le testimonianze di Sesto Empirico, di Diogene Laer21io e di Filone di Alessandria: Il secondo [tropo] [ ... ] riguarda le differenze che si riscontrano negli uomini. Infatti, anche se, per ipotesi, si ammetta che gli uomini sono più degni di fede degli animali, troveremo che si arriva alla sospensione del giudizio, pure, per quanto si riferisce alle differenze che sono tra di noi. Delle due parti di cui si dice che consta l'uomo, anima e corpo, per l'una e per l'altra noi differiamo l'uno dall'altro. [Seguono numerose esemplificazioni illustranti queste differenze]. Pertanto è necessario, anche in forza delle differenze che sono fra gli uomini, arrivare alla sospensione del giudizio 11 • Il secondo tropo si riferisce alle nature e alle idiosincrasie [ = ai temperamenti particolari] degli uomini. Per esempio Demofonte maggiordomo di Alessandro si riscaldava all'ombra, mentre al sole aveva freddo. Androne di Argo, come riferisce Aristotele, attra10 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 78 (la traduzione degli Schizzi che riportiamo è di O. Tescari [Bari 1926], cosi come quella dei pas!>i paralleli di Filone, che sono riportati dal Te!>eari in nota). " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 79-89.
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verso gli aridi deserti della Libia, viaggiava senza bere. Inoltre chi preferisce coltivare la medicina, chi i campi, chi si dedica al commercio; e la medesima professione ad alcuni apporta danno, ad altri vantaggio; ne deriva conseguentemente la necessità di sospendere il giudizio 12 • Si aggiungano le varietà che corrono, non solo fra gli animali tutti, ma, anche, particolarmente, fra gli uomini. Ché non solo giudicano le medesime cose gli uni in un modo, gli altri in un altro, ma, anche, differentemente dalle medesime cose ricevono piacere o disgusto. Ciò che agli uni riesce gradito, torna sgradito agli altri; e, viceversa, quello che gli uni si procacciano e accolgono come caro e acconcio, questo stesso altri sdegnosamente respingono da sé come avverso e ostile 13 •
[ 3] Ma anche restringendo la nostra considerazione ad un solo uomo, quindi senza contrapporre uomo a uomo, e senza fare leva sulle diversità che contraddistinguono l'uno rispetto all'altro, si perviene alle medesime conclusioni e si impone la necessità di sospendere il giudizio. Infatti la struttura dei vari sensi è diversa e diverse, quindi, sono le relative sensazioni. Sesto adduce numerosi esempi (l'occhio vede i rilievi in un quadro, che invece il senso percepisce come liscio; il miele è gradito al palato e sgradito agli occhi, etc..) e procede ad una serie di considerazioni piuttosto complesse. Diogene Laerzio sintetizza invece il tropo in modo assai conciso, come segue: Il terzo tropo è determinato dalla differenza dei pori che trasmettono le sensazioni. Cosl la mela dà l'impressione di essere pallida alla vista, dolce al gusto, fragrante all'odorato. E la stessa figura si vede ora in un modo ora in un altro, secondo le differenze degli specchi. Ne consegue che ciò che appare non è di una data natura piuttosto ((.Li) (.Là:Uov) che di una data altra 14 • Diogene Laerzio, IX, 80 sg. Filone di Alessandria, De ebr., 175 sg. 14 Diogene Laerzio, IX, 81. Sesto (Schizzi pirroniani, I, 95 sg.) fa un esempio molto interessante: « Può darsi che anche la mela possieda una qualità unica, e sia percepita in modo differente, secondo la differenza dei 12
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[ 4] Inoltre, nello stesso individuo, non solo sono diverse le strutture dei sensi, ma sono diverse e mutevoli anche le disposizioni, le situazioni, gli stati d'animo, che condizionano, di conseguenza, le rappresentazioni. A tutti consta che le nostre rappresentazioni differiscono, a seconda che siamo sani o malati, giovani o vecchi, in senno o fuori senno, felici o infelici, e cosl di s·eguito, sicché, anche per questa via, si impone la sospensione del giudizio. L'esposizione più pregnante di questo tropo è forse quella di Diogene Laerzio: Il quarto tropo riguarda le disposizioni individuali e, in generale, il mutamento di condizioni, quale salute, malattia, sonno, veglia, gioia, dolore, giovinezza, vecchiaia, coraggio, paura, bisogno, abbondanza, odio, amore, calore, raffreddamento, oltre che la facilità o difficoltà del respiro. La diversità delle impressioni è condizionata dalla diversa condizione delle disposizioni individuali. Neppure la condizione dei pazzi è contraria alla natura; perché essa dovrebbe riferirsi a loro più che a noi? Anche noi guardiamo il sole come se stesse fermo. Lo stoico Teone di Titorea dormendo passeggiava nel sonno, e lo schiavo di Pericle compariva come sonnambulo sul tetto alto della casa 15 • [5] Il quinto tropo rileva la differenza e la contraddittorietà delle opinioni degli uomini intorno ai valori morali (buono e cattivo, bello e brutto, vero e falso), sugli Dei e sulla generazione e corruzione del mondo, a seconda che
sensi sotto cui cade la percezione di quella. Che, invece, la mela possa possedere più qualità di quelle che appaiono, s'inferisce a questo modo. Immaginiamo uno che, dalla nascita, non abbia che tatto e odorato e gusto, e non oda e non veda. Costui, per vero, crederà che non vi sia nulla affatto di visibile o udibile, ma che esistano soltanto quei tre generi di qualità che egli può percepire. Dunque può darsi che anche noi, avendo i soli cinque sensi, percepiamo soltanto quelle delle qualità della mela, che siamo atti a percepire: mentre è possibile che vi siano sotto altre qualità che cadono sotto altri sensi, di cui noi non siamo forniti, e perciò nemmeno cogliamo le sensazioni che ad esse qualità si riferiscono ». •• Diogene Laerzio, IX, 82.
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essi abbiano avuto educazione diversa e leggi diverse, oppure a seconda che appartengano a popoli e a luoghi diversi, o anche a sette filosofiche diverse. La più efficace e concisa esposizione di questo tropo è forse quella di Filone: Forse che non ci consigliano a non prestar soverchia fede a ciò ch'è oscuro quell'altre circostanze, che son diffuse quasi per tutta la terra, tra gli Elleni e, a un tempo, tra i barbari, e rendono sdrucciolevole il giudizio? Quali son queste? È chiaro, i nostri indirizzi fin da bimbi, le costumanze patrie e le leggi, delle quali cose nessuna si ammette che sia la stessa presso tutti, ma sono differenti in tutto, secondo i paesi e i popoli e le città, anzi, secondo i singoli villaggi e le singole case, secondo che si tratta di uomo, di donna, di bimbo ingenuo. Perciò quello che presso di noi è turpe, presso altri è bello, e il conveniente, sconveniente, e il giusto, ingiusto, e l'empio, pio, illegale, illegale, lodevole il vituperevole, colpevole il degno d'onore, e quante altre cose sono valutate dagli uni l'opposto degli altri [ ... ] . Ora, trattandosi, non già di una lieve differenza, ma di un dissenso totale, talché si ha opposizione e contrasto, è necessario ammettere che anche le rappresentazioni sensibili siano differenti, e che i giudizi contrastino gli uni con gli altri 16 • Diogene Laerzio soggiunge: Ogni popolo crede nei suoi Dei e c'è chi crede nella provvidenza e c'è chi non crede. Gli Egiziani imbalsamano i loro morti prima di seppellirli, i Romani li cremano; i Peoni li gettano nelle paludi. La conseguenza è la sospensione del giudizio sulla verità 17 • [ 6] Il sesto tropo rileva come nulla appaia in sé e per sé nella sua purezza, ma solo e sempre in vario modo mescolato ad altro e come la nostra rappresentazione ne risulti, di conseguenza, sempre condizionata, cosicché è necessario, anche per questa considerazione, sospendere il giudizio. Ecco come Filone riferisce questo tropo: Se uno si: allontana alquanto dalle cose e cerca di vederle più 16 17
Filone, De ebr., 193 sg. Diogene Laerzio, IX, 84.
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chiaramente, saprà questo, che nessuna cosa ci si presenta nella sua semplice natura, ma ciascuna mista e mescolata con altre in maniere molteplici. Per es., i colori come li percepiamo? Non, forse, in compagnia dell'aria e della luce, elementi esterni a noi, e degli umori ond'è circondato lo stesso organo visivo? E il dolce e l'amaro in qual modo viene giudicato? Forse separatamente dagli umori che sono nella stessa nostra bocca, conforme a natura o contro? Non è cosi? E gli odori provenienti dai corpi arsi, ci rivelano, forse, le nature semplici e schiette dei corpi stessi? O non, piuttosto, mescolate all'aria e al fuoco che i corpi distrugge, e alla nostra potenza olfattiva? Onde si conclude che nemmeno i colori percepiamo, sl bene, una mescolanza risultante del soggetto e della luce; e nemmeno gli odori, sl bene, una miscela risultante dell'effluvio del corpo e dell'aria circostante; e nemmeno il sapore, ma un composto del gusto del corpo e della costituzione umida della bocca 18 • [ 7] Il settimo tropo rileva come le distanze, le diverse posizioni e i Juoghi condizionino le nostre rappresentazioni delle cose, al punto che, ancora una volta, la sospensione del giudizio appare necessaria. Scrive Diogene Laerzio: Secondo questo tropo ciò che si crede sia grande appare piccolo, il quadrato appare tondo, il liscio appare sporgente, il diritto appare obliquo, il pallido appare di altro colore. Il sole a causa della distanza appare piccolo; e i monti guardati in lontananza appaiono avvolti nell'aria e lisci, visti da vicino appaiono ineguali e pieni di crepacci. Inoltre il sole quando si leva ha un aspetto diverso che quando è nel mezzo del cielo. E il medesimo corpo appare diverso, secondo che si trovi in un bosco o in un campo aperto. Anche l'immagine varia col variare della posizione dell'oggetto, ed il collo della colomba appare diverso, secondo che è volto in una posizione piuttosto che in un'altra. Poiché dunque la conoscenza di queste cose dipende dalle relazioni di spazio e di posizione, la loro propria natura ci sfugge completamente 19 • [8] L'ottavo tropo rileva come la quantità e i rapporti quantitativi condi;donino le nostre rappresentazioni in modo •• Filone, De ebr., 189 sg. •• Diogene Laerzio, IX, 85 sg.
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radicale. Per esempio, la limatura d'argento appare nera se considerata nei singoli granuli, mentre considerata in massa appare bianca. I granelli di sabbia singolarmente appaiono ruvidi, in massa danno l'impressione di morbidezza. Analogamente, variano gli effetti che producono .Je cose a seconda della loro quantità. In modo particolare, poi, varia l'effetto dei composti col variare del rapporto quantitativo dei componenti. Perciò conclude Sesto Empirico: La mescolanza diligente ed esatta di farmachi semplici forma un composto utile; e se talora si trascura un'inclinazione, anche minima, della bilancia, si ottiene un composto che, non solo non è utile, ma è, spesso, dannosissimo e funesto. Cosi il rapporto quantitativo e costitutivo confonde la percezione della realtà esteriore. Perciò, come pare, anche questo tropo finisce col condurci alla sospensione del giudizio [ ... ] 20 • [9] Il nono tropo rileva come noi conosciamo le cose, per lo più, mettendole in relazione con altre cose e come, al di fuori di tale relazione, le singole cose siano di per sé non conoscibili. Questo tropo, che si potrebbe chiamare della relatività, è efficacemente espresso da Filone come segue: Inoltre nemmeno questo s'ignora, che di solito nulla si conosce di per se stesso, ma ogni cosa si giudica in confronto al suo contrario, come il piccolo in confronto al grande, l'asciutto in confronto all'umido, il caldo in confronto al freddo, il pesante in confronto alleggero, il nero in confronto al bianco, il debole in confronto al forte, il poco in confronto al molto. Altrettanto accade per tutto quanto si riferisce alla virtù o al vizio. L'utile si discerne per mezzo del dannoso, il bello, apponendolo al turpe, il giusto e, comunemente, il bene, confrontandolo con l'ingiusto e col male, e cosl dicasi di tutte le altre cose, quante, osservando, si trova che ricevono un giudizio del medesimo tipo. E invero, ciascuna cosa esserido per se stessa incomprensibile, pare che la si conosca dal confronto con un'altra. Ora ciò che non è in grado di rendere testimonianza a se stesso, ma ha bisogno dell'altrui difesa, è mal sicuro, perché gli si "' Sesto Empirico, Schizzi pirroniani,
1,
133 sg.
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possa prestar fede. Talché, anche per questa via, vengono confutati coloro che intorno a qualsiasi cosa affermano o negano alla leggera 21 • [lO] L'ultimo tropo rileva come la continuità, la frequenza o la rarità con cui i fenomeni ci appaiono condizionino strutturalmente il nostro giudizio. Ecco .alcune eloquenti esemplificazioni di Sesto: Il sole è senza dubbio più atto a colpire che una cometa. Ma poiché il sole lo vediamo continuamente, e la cometa, invece, di rado, alla vista di questo astro rimaniamo colpiti al punto da ritenerlo, perfino, un presagio celeste, e alla vista del sole, punto. Ora immaginiamo che il sole sorgesse di rado, e di rado tramontasse, e che tutte le cose a un punto rischiarasse, e tutte improvvisamente facesse piombare nell'ombra: noi vedremmo in questo fatto molta cagione di meraviglia. Anche il terremoto non spaventa ugualmente quelli che ne fanno esperienza per la prima volta, e quelli che ne hanno fatta l'abitudine 22 • Anche per questa ragione, dunque, ossia per il motivo che le stesse cose, a seconda che si incontrino sempre oppure solamente di rado, ci appaiono preziose e meravigliose oppure no, si impone la sospensione del giudizio 23 •
Filone, De ebr., 186 sg. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 141 sg. 22 Abbiamo sistematicamente evitato di richiamare la conclusione che Sesto Empirico a più riprese trae dai tropi, e cioè che noi non possiamo pronunciarci « sulla realtà degli oggetti esteriori». Tale conclusione presuppone l'introduzione del presupposto dualistico e la trasformazione del fenomenismo scettico in senso empiristico. Enesidemo è al di qua di tutto questo, come avremo modo di verificare a più riprese. Interessante è, invece, quanto Sesto nota circa la possibilità di raggruppare i dieci tropi sotto tre titoli riassuntivi. Questi sono: a) i tropi che dipendono dal soggetto, b) quelli che dipendono dall'oggetto e c) quelli che dipendono insieme dal soggetto e dall'oggetto. Ma ancor più interessante è l'ulteriore rilievo di Sesto secondo cui tutti quanti i tropi si riconducono, in ultima analisi, «a quello della relazione» (Schizzi pirroniani, 1, 38), o, per meglio dire, della relatività. 21
22
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3. La negazione della verità, del principio di causalità e della possibilità dell'inferenza metempirica La tavola dei tropi ridà, per cosl dire, la mappa completa delle difficoltà che impediscono di attribuire una validità alle nostre rappresentazioni e, in particolar modo, alle rappresentazioni sensibili. Ma la compilazione di questa tavola non rappresenta che un primo contributo al rilancio del pirronismo da parte di Enesidemo. Il nostro filosofo, infatti, cercò di ricostruire altresì la mappa delle difficoltà che impediscono la costruzione di una scienza, e tentò di smantellare in modo sistematico le condizioni e i fondamenti che la scienza postula. Nel far questo egli dovette avvalersi, in certa misura, di alcune delle argomentazioni che già erano state fatte valere dallo scetticismo accademico. Ha scritto, a questo proposito, uno dei più penetranti studiosi dello scetticismo: « È probabilmente sotto l'influsso della nuova Accademia, alla quale noi abbiamo ragioni per credere che avesse originariamente appartenuto, e per rispondere alle nuove esigenze della filosofia del suo tempo, che Enesidemo fu portato a sottomettere ad una critica sottile e profonda le idee essenziali della scienza. Dopo che una filosofia come quella di Carneade aveva proclamato l'impossibilità della scienza e messo in luce l'insufficienza della conoscenza sensibile, lo scetticismo, se voleva mantenere il proprio rango fra i sistemi, non poteva più accontentarsi di enumerare opinioni o apparenze contraddittorie, e compiacersi del facile gioco di opposizioni come quelle che troviamo nei dieci tropi. Bisognava procedere più oltre ·e mostrare non solamente che la scienza non era stata fatta, ma che non si poteva neppure fare. Ed è appunto ciò che Enesidemo cercò di fare» 24 •
.. Brochard, Les sceptiques grecs, p. 261.
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Orbene, la possibilità delia scienza suppone, in generale, tre cose: a) l'esistenza della verità, b) l'esistenza delie cause (dei principi o ragioni causali) e c) la possibilità di una inferenza metempirica, ossia la possibilità di intendere le cose che si vedono come « segni » (effetti) di cose che non si vedono (e che si debbono postulare appunto come cause necessarie per spiegare le cose che si vedono). Enesidemo ha cercato di smanteliare, in maniera sistematica, tutti e tre questi capisaldi. Vediamo, 1n sintesi, gli argomenti di cui si è avvalso. a) Intorno alia verità II nostro filosofo, come ci riferisce Sesto Empirico, doveva argomentare a:li'incirca an questa maniera:
Se [ ... ] c'è un qualcosa di vero, questo o è sensibile o è intellegibile o è sia-sensibile-sia-intellegibile. Ma esso non è né sensibile né intellegibile e neppure entrambe queste cose [ ... ] ; epperò non c'è un qualcosa di vero 25 • Che il vero non possa essere qualcosa di sensibile Enesidemo Io argomentava- tra l'altro - rilevando come la sensazione sia « arazionale » e come non sia possibile che la conoscenza avvenga in modo« arazionale » (e, questo, è il puntuale rovesciamento dell'argomentazione di Epicuro, che, come abbiamo visto, proprio nella arazionalità della sensa:lione vedeva la garanzia di verità della medesima) 26 • Che il vero non possa essere neppur·e qualcosa di intelligibile H nostro filosofo Io argomentava dal fatto che l'intelligibile non è pensato comu" Sesto Empirico, Contro i matem., vm, 40. (La traduzione dei passi del Contro i matem. che riporteremo, è di A. Russo, fino allibro VIII [i libri I-VI sono stati pubblicati nel 1972; i libri vn e VIII nel 1'775, nella «Piccola biblioteca filosofica Laterza », rispettivamente con i titoli Contro i matematici e Contro i logici], mentre la traduzione di passi tratti dai libri successivi è nostra. Per quanto c'oncerne i titoli dell'opera di Sesto citata comunemente con il titolo unitario Adv. math., cfr., sotto, pp. 195 sg., nota 9). "' Cfr. vol. III, p. 183.
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nemente da tutti, e se, d'altra parte, esso viene pensato da alcuni soltanto, allora è soggetto a controversie (e questa argomentazione è evidentemente rivolta contro tutt'i i razionalistti). Infine, che il vero non possa essere quakosa siasensibile-sia-intelligibile Enesidemo lo argomentava rilevando sostanzialmente come, in questo caso, .le difficoltà precedentemente rilevate si assommino, in quanto oltre al contrasto sussistente f.ra le cose sensibili e a quello .sussistente fra le cose il!telligibili (gli oggetti del pensiero), si aggiunge anche il contrasto reciproco che sussiste fra le cose sensibili e queLle intelLigibili (e questa argomentazione è diretta contro quanti ritenevano appunt~ di giungere al vero attraverso sensi e ragione insieme) 27 • h) Ancora più radicali erano i ragionamenti di Enesidemo intorno aHa causa, i quaLi miravano •a dimostrare -l'impensabilità dell'esistenza stessa di un rapporto causale, ossi·a di un legame di causa-effetto. Ora, è da notare che la cosmologia e l'ontologia dei Greci ad altro non avevano mirato se non, appunto, alla ricerca delle cause. Aristotele aveva anzi addirittura dimostrato che la scienza e tutre le arti in generale si differenziano dalla mera esperienza, appunto nella misura in cui ricercano i·l perché, ossia la causa 28 • Pertanto, la negazione dell'esistenza della causa e del rapporto causale comporta, necessari'lUilente, la distruzione della possibilità della cosmologia, dell'ontologia e, in genere, di ogni scienza e di qualsiasi arte scientificamenre fondata. Enesidemo ragionava nel seguente modo. Il rapporto causale non può aver luogo né fra corpo e corpo, né fra incorporeo e incorporeo, né, ulteriormente, fra corporeo e incorporeo, né viceversa. Per comprendere a fondo le motivazioni addotte dal nostro filosofo a sostegno di queste tesi,
71 Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., VIII, 40-48. "' Cfr.,· ad esempio, Aristotele, Metafisica, A, 1-3, passim.
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occorre tener ben presente che la mentalità predominante della sua epoca era materialistica, e che da tale mentalità egli· non riusd in alcun modo ad affrancarsi (nella seconda metà del r secolo a.C. la rinascita del platonismo non si era ancora imposta definitivamente), tanto è vero che i concetti di « corporeo » e di « incorporeo » cui egli fece riferimento furono sostanzialmente quelli del Giardino e della Stoa 29 • In effetti, il rapporto causale e la causazione furono intesi da Enesidemo o come un materiale trasferimento della natura dell'agente in quella del paziente (un in-flusso che comporta quasi un mescolarsi totale di agente e paziente), oppure come una assurda ed impensabile moltiplicaziGne fisica di enti, oppure come una derivazione dell'effetto dalla causa a guisa di qualcosa che è precontenuto nella natura di questa e che, quindi, non può essere se non di quella medesima natura (e che, al limite, non può nemmeno distinguersi da questa) 30 • Ecco, ad esempio, l'argomentazione secondo cui un corpo non può causare un altro corpo: Infatti, un corpo produce qualcos'altro o rimanendo in se medesimo oppure mediante l'unione con un altro. Ma rimanendo in se medesimo non può produrre altro che sé e la propria natura. Mediante l'unione con altro non può produrre una terza cosa, che non sussisteva già in precedenza. Infatti, una cosa non può diventare due, né due cose possono produrne una terza. In effetti, se ciò che è uno potesse diventare due, allora anche ciascuna di queste unità che si sono prodotte, essendo appunto unità, ne potrebbe produrre due, e, a sua volta, ciascuna delle quattro unità, essendo unità, ne potrebbe produrre due, e allo stesso modo, ciascuna delle otto unità, e, cosi, all'infinito; ma è del tutto assurdo l'affermare che dall'unità derivino infinite cose, dunque è anche assurdo affermare che dall'uno derivi altro che l'uno 31 •
Cfr. vol. 111, pp. 204 sg. e 358 sgg. Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., IX, 218-227 e Diogene Laerzio, 97 sgg. 31 Sesto Empirico, Contro i matem., IX, 220 sg. 29
30
IX,
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Ancor più pesante si rivela }'.ipoteca materialistica nel successivo ragionamento inteso a dimostrare l'impossibilità che l'« incorporeo » sia causa dell'incorporeo. Infatti, agli argomenti già letti sopra, il nostro filosofo aggiunse anche il seguente: l'incorporeo è « una natura intangibile », e, quindi, non può né agire né patire; per conseguenza non può causare un altro incorporeo né esserne causato 32 • Naturalmente, Enesidemo negava anche la possibilità che l'incorporeo potesse essere causa del corporeo, e, viceversa, che .il corporeo potesse essere caus·a dell'incorporeo, per il motivo che la natura dell'incorporeo «non contiene in sé» la natura del corporeo, né viceversa. P.er esempio (e in questo esempio è evidentissima quella mentalità materiaListica di cui dicevamo) il cavallo non può essere causato da un ~latano, perché in questo « non è contenuta » la natura di quello 33 • Infine Enesidemo rilevava ancora quanto segue: Se anche il diverso potesse essere contenuto nel diverso [come l'immateriale nel materiale, o viceversa], non ne conseguirebbe, tuttavia, che il diverso si produce dal diverso. Infatti, se l'uno o l'altro sono essere, allora non derivano dal diverso, ma sono già nell'essere, ed essendo già nell'essere non si generano, dal momento che la generazione è il processo che conduce all'essere 34 • Ma per colpire fino nelle sue radici ultime la mentalità eziologica dei Greci, Enesidemo volle completare questi argomenti con una nuova tavola dei « tropi », ossia con una nuova tavola dei modi paradigmatici secondo cui coloro che pongono le cause cadrebbero inevitabilmente in errore. Questi nuovi tropi sarebbero, dunque, gli errori strutturali in cui è destinato a cadere ogni tentativo di costruire una eziologia. Ecco questi tropi che Enesidemo ritenne essere otto di numero: Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., rx, 223 sg. Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., IX, 224 sg. "" Sesto Empirico, Contro i matem., IX, 226. 32
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[l] Il primo tropo consiste nel presumere, indebitamente,
di raggiungere qualcosa di non visibile e di non evidente (la causa, appunto) senza che sia attestato da ciò che è visibile ed. evidente. [ 2] Il secondo consiste nel pretendere di spiegare le cause di ciò che è oggetto di indagine limitandosi ad indicarne una sola, mentre sarebbe possibile sempre indicame molteplici. [ 3] Il terzo consdste nel pretendere di potere addurre cause che non hanno un ordine per spiegare ciò che, invece, si manifesta con un ordine (come fanno ad esempio gli Epicurei, che pretendono di addurre gli atomi disordinati per spiegare il mondo che è invece ordinato). [ 4] Il quarto consiste nel pretendere che le cose che non sono visibili si comportino come quelle visibili, mentre potrebbero beni~Ssimo comportarsi in maniera differente e partJicolare. [ 5] Il quinto consisre nella pretesa dei filosofi di stabilire le cause sulla base delle proprie ipotesi intorno agli elementi primi (ipotesi che variano a seconda delle varie sette filosofiche) e non sulla base di metodi e nozioni comunemente ammessi. [ 6] Il sesto consiste nel pretendere di accogliere come causa solo ciò che si accorda con le proprie ipotesi e di respingere ciò che invece non si accorda, anche se fornito di uguale forza di persuasione. [ 7] Il settimo consiste nell'accogliere cause in contrasto con i fenomeni, o, anche, in contrasto con le proprie ipotesi. [ 8] L'ottavo consiste nella pretesa di poter spiegare cose che appaiono in modo incerto con cause che sono parimenti incerte 35 • Questa tavola è indubbiamente frutto di una mente critica assai acuta; non sarebbe difficile mostrare come molte delle spiegazioni causali dei « dogmatici », specie quelle degli Epi"' Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani,
I,
180-185.
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ENESIDEMO
curei e degli Stoici, incorrano in uno o in alcuni di questi errori (come abbiamo esempLificato a proposito del terzo tropo). Va peraltro subito rilevato come Enesidemo, a ben vedere, nel formulare queste critiche e nel redigere questa tavola risulti profondamente permeato proprio di quella mentalità eziologica (che è poi la tipica mentaHtà greca) che vorrebbe distruggere: egLi, infatti, a ben vedere, procede non ad altro che ad una puntigliosa determinazione delle cause per cui non sarebbe possibile far ricerca delle cause (egli vorrebbe, insomma, scoprire le cause per cui non è possibile scoprire le cause): è, questo, uno dei più begli esempi che dimostrano come certe verità si daffermino proprio nel momento in cui si pretende di negarle. c) Con la tavola dei tropi, che denuncia gli errori in cui cade la mentalità eziologica, ovvero la pretesa di trovare le cause dei fenomeni, si passa al problema dell'inferenza, o, per dirla con il linguaggio antico, al problema dei « segni », al quale Enesidemo dedicò una analisi specifica, forse la prima che sia stata fatta nell'ambito del pensiero antico 36 • È un principio che riassume la profonda convinzione propria di tutta la filosofia e di tutta la scienza greca quello secondo cui «ciò che appare è uno spiraglio aperto sull'invisibiJe » ( 51Jitc; «8~Àwv Toc ico Eraclide di Taranto, di cui sopra già abbiamo fatto cenno), ossia nel I secolo a. C. Per conseguenza, egli escludeva che Platone, come sostennero invece alcuni Accademici, potesse essere considerato Scettico. Infatti, argomenta Menodoto, se Platone circa le Idee, la Provvidenza e la Virtù assente come a cose certe, dogmatizza; se vi assente come a cose probabili e come tali le preferisce, si allontana anche in questo caso dallo scetticismo e partecipa del carattere dogmatico; e tali conclusioni non mutano anche se Platone si esprime, su alcune cose, nel modo scettico 7 • È possibile che proprio a Menodoto dsalga, come già abbiamo detto, la distinzione fra i segni indicativi e i segni rammemorativi (-e la conseguente dichiarazione della legittimità di questi ultimi), che non era ancora presente in Enesidemo e nei suoi seguaci e che presuppone certamente il guadagno della prospettiva empirica (Sesto Empirico, come
Brochard, Les sceptiques grecs, p. 311). La più equilibrata ricostruzione del pensiero di Menodoto ci sembra essere quella di Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 247-263. • Cfr. Galeno, De subfig. emp., p. 84, l sgg. Deichgriiber. 7 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 222 sg.
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MENO DOTO
vedremo, la considera come una distinzione senz'altro acquisita). Il segno rammemorativo è infatti, per dirla in termini moderni, una mera associazione mnemonica fra due o più fenomeni acquisita tramite l'esperienza (ossia per aver più volte costatato che nell'esperienza quei fenomeni si presentano connessi), la quale ci permette, allorché si presenti uno Ji questi fenomeni (ad esempio il fumo), di « inferire » l'altro o gli altri fenomeni (per esempio il fuoco, la sua luce e il suo calore) 8 • È certo, comunque, che, in generale, accanto al momento negativo proprio dello scetticismo pirroniano Menodoto poneva il momento positivo consistente nel richiamo all'espe· rienza e nell'uso del metodo empirico. È precisamente questo positivo aggancio all'esperienza la novità che carattel'izza l'ultima fase dello scetticismo inaugurato da Menodoto, che, però, giunse a maturazione e a piena consapevolezza solo con Sesto Empirico 9 •
• È questa un'ipotesi, piuttosto plausibile, sostenuta da Goedeckemeyer, Geschichte des griechischen Skeptizismus, pp. 259 sg. e nota 5. • Sulla cronologia e sui dati biografici concernenti Sesto siamo purtroppo assai scarsamente informati. Forse visse nella seconda metà del II secolo d. C. e morl agli inizi del m secolo d ..C. Solo con questa datazione si può accordare quanto Sesto stesso ci dice, e cioè che ai suoi tempi gli avversari principali dello scetticismo erano gli Stoici (cfr. Schizzi pirroniani, I, 65); infatti nella seconda metà del II secolo d. C. gli Stoici ebbero ancora una vitalità, che nel secolo successivo persero. Diogene Laerzio, che sembra essere vissuto nella prima metà del III secolo d. C., conosce non solo Sesto, ma anche il suo discepolo Saturnino, il che conferma l'ipotesi cronologica di cui sopra. Sesto sarebbe, dunque, un contemporaneo, forse un po' più giovane, di Galeno. Il fatto che Galeno non lo citi (almeno nelle opere a noi pervenute) può spiegarsi o con l'ipotesi che Sesto non sia stato noto in medicina cosi come in filosofia, oppure anche supponendo che sia divenuto caposcuola solo dopo che Galeno aveva pubblicato i suoi principali scritti (cfr. Brochard, Les sceptiques grecs, p. 315). Non sappiamo dove Sesto abbia insegnato: all'epoca in cui scriveva gli Schizzi pirroniani, III, 120, egli ci dice, per inciso, che insegnava nello stesso luogo in cui insegnava il suo maestro (Erodoto di Tarso), ma non nomina questo luogo. In ogni caso, sembra che ormai non fosse più Alessandria (cfr. III, 221). Dunque già col
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3. Il nuovo piano sul quale Sesto Empirico riformula lo scetticismo Abbiamo cercato d1 dimostrare, sopra, come il fenomenismo originario di Pirrone (e rin larga misura anche quello di Enesidemo) fosse una sorta di fenomenismo puro, vale a dire una forma di fenomenismo che non si fondava sul presupposto dualistico dell'esistenza di una «cosa in sé», ma che riduceva interamente l'essere e la sostanza delle cose al fenomeno. La realtà delle cose, insomma, veniva risolta nel loro apparire, senza residuo 10 • Per contro, il fenomenismo di Sesto risulta ormai formulato in termini chiaramente dualistici: il fenomeno diventa l'impressione o l'affezione sensibile del soggetto, e, come tale, viene contrapposto all'oggetto, aHa « cosa esterna », ossia alla cosa che è altra dal soggetto e che viene presupposta essere causa dell'affezione sensibile del soggetto stesso. Si può cosl affermare che, mentre il fenomenismo di Pirrone e di Enesidemo, in quanto risolveva la realtà nel suo apparire, era una forma di fenomenismo assoluto e quindi metafisica (si ricordi, d'altra parte, come il fenomenismo di Pirrone portasse espressamente all'ammissione di una «natura del divino e del bene» che vive eterna e dalla quale « deriva all'uomo la vita più eguale» e come il fenomenismo di Enesidemo portasse altret-
maestro di Sesto la scuola si era spostata da Alessandria. Oltre agli Schizzi pirroniani, di Sesto ci sono pervenuti, come abbiamo già ricordato, due opere dal titolo, rispettivamente, Contro i matematici, in sei libri e Contro i dogmatici, in cinque libri, comunemente citati col titolo unitario Contro i matematici (matematici sono intesi, qui, gli uomini che professano arti e scienze) e con la numerazione progressiva dei libri da uno a undici. I primi due libri del Contro i dogm. ( = Contro i matem., vn e vm) sono anche indicati col sottotitolo Contro i logici; i libri m e IV del Contro i dogm. (= Contro i matem., IX e x) sono anche .indicati col sottotitolo Contro i fisici e l'ultimo libro del Contro i dogm. ( Contro i matem., XI) è anche indicato col titolo Contro i moralisti. Cfr., sopra, p. 168, nota 25. 10 Si veda, sopra, p. 176 e nota 44.
=
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SESTO EMPIRICO
tanto espressamente ad una vlSlone eraditea del reale) 11 , il fenomenismo di Sesto Empirico sia, invece, una forma di fenomenismo di carattere squisitamente empirico e antimetafisico: il fenomeno, come meva affezione del soggetto, non risolve in sé tutta la realtà, ma lascia fuori di sé l'« oggetto esterno », il quale vien dichiarato, se non inconoscibile di diritto (affermazione, questa, che farebbe cadere in una forma di dogmatismo negativo), per lo meno non conosciuto di fatto. Ma vediamo alcune eloquenti esemplificazioni, muovendo dalla definizione stessa di scetticismo che Sesto fornisce nei suoi Schizzi pirroniani:
Lo scetticismo esplica il suo valore nel contrapporre i fenomeni e le percezioni intellettive in qualsivoglia maniera, per cui, in seguito all'ugual forza dei fatti e delle ragioni contrapposte, arriviamo, anzi tutto, alla sospensione del giudizio, quindi, all'imperturbabilità 12 • Sesto precisa però subito quanto segue: Alla parola «fenomeni» [ -rèt !pcxw61J.tvcx] diamo, ora, il significato di «dati del senso» [ -rèt cx!a&-t]-r~], e perciò contrapponiamo a questi le «percezioni dell'intelletto» [ -.èt vo7)-r~, -rèt vooÒ!J.tvcx] 13 •
Per renderei conto dei numerosi presupposti che stanno sotto queste affermazioni, e quindi per comprendere la nuova posizione di Sesto, sono necessari numerosi chianimenti. In primo luogo, è da rilevare come il nostro filosofo formuli espressamente l'equazione sussistente fra fenomeno e dato sensoriale. (Vedremo inoltre, subito sotto, in che " Cfr. vol. III, pp. 479 sgg. e, sopra, pp. 175 sgg. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 1, 8. " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 1, 9. E interessante rilevare come Sesto interpreti in funzione di questa equazione anche i suoi predecessori, col rischio di fraintenderli. Cfr., per esempio, Contro i matem., VIII, 216, dove Sesto dice espressamente: « Enesidemo sembra (~ou<e:) chiamare fenomeni i dati sensoriali ». Il che significa che Enesidemo non operava tale 12
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modo, ulteriormente, fenomeno e dato sensoriaie, come già abbiamo accennato, si riducano non ad altro che ad affezione del soggetto). In secondo luogo, è da rilevare come il « noumeno » di cui qui si parla non sia quell'« oggetto esterno » alla percezione, queHa « cosa in sé », di cui abbiamo sopra già detto, ma sia la semplice rappresentazione intellettuale, considerata essa pure come fenomenica. Infatti l'« oggetto esterno», come meglio vedremo sotto, si contrappone sia alla percezione sensoriale s,ia a quella intellettuale, considerate da Sesto sia l'una che l'altra parimenti soggettive. In terzo luogo, è da rilevare come Sesto - nel gioco della contrapposizione dei fenomeni ai fenomeni, delle percezioni intellettive alle percezioni intellettive, e di quelli a queste e viceversa, al fine di mostrare la loro parità di credibilità e non credibilità e quindi al fine di giungere aHa « sospensione del giudizio » - non tratti affatto i fenomeni alla stregua di « noumeni » o percezioni intellettive, e come conferisca ai primi un valore prevalentemente positivo e ai secondi un valore prevalentemente negativo, sicché risulta assai più appropriata quest'altra formulazione del principio dello scetticismo, che egli propone a breve distanza dalla prima: Il principio fondamentale dello scetticismo è, sopra tutto, questo: a ogni ragione [Myoç] si oppone una ragione di ugual valore. Con ciò, infatti, crediamo di riuscire a non stabilire nessun dogma 14 •
In effetti, per Sesto, un ragionamento mette in scacco un altro ragionamento e un dato sensoriale (un fenomeno) può mettere in crisi un ragionamento, ma non vkeversa. In quarto luogo, è da notare come, in conseguenza delle identificazione e che questa è ricavata da Sesto come sua personale interpretazione. " Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 12.
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distinzioni sopra rilevate, Sesto ammetta la liceità che lo Scettico assenta ad alcune cose, vale a dire alle affezioni legate alle rappresentazioni sensoriali; si tratta, cioè, di un assenso puramente empirico, e, come tale, non dogmatico. Ecco le precise parole del nostro filosofo: Diciamo che lo Scettico non dogmatizza, non nel senso in cui prendono questa parola alcuni, per i quali, comunemente, è dogma il consentire a una cosa qualunque, poiché alle affezioni che conseguono necessariamente alle rappresentazioni sensibili assente lo Scettico Così, per esempio, sentendo caldo o freddo, non direbbe: «credo di non sentire caldo o freddo»; ma diciamo che non dogmatizza nel significato che altri danno alla parola dogma, cioè assentire a qualcuna delle cose che sono oscure e formano oggetto di ricerca per parte delle scienze (a nessuna cosa oscura assente il Pirroniano) 15 •
E ancora: Coloro che dicono che gli Scettici sopprimono i fenomeni, parmi non abbiano udito quello che da noi si dice: ché noi non sovvertiamo quello che, senza il concorso della volontà, ci conduce ad assentire in conformità dell'affezione che consegue alla rappresentazione sensibile [ ... ] ; e questi sono i fenomeni 16 •
Del resto Sesto rileva espressamente che le formule scettiche valgono ger le cose oscure e non per i fenomeni 17 • In quinto luogo, è da notare come (e con questo rilievo ritorniamo alla questione fondamentale da cui abbiamo iniziato il nostro discorso) Sesto riesca ad attribuire al « fenomeno » la nuova valenza solo a scapito della rigorosità e consequenzialità del discorso scettico, in quanto, per calibrare questa nuova valenza, egli è costretto a far ricorso ad una serie di presupposti che, senza avvedersene, desume dalla mentalità
" Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 13. 16 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 19. 17 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 208.
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«dogmatica» che pure vorrebbe definitivamente mettere in crisi. Scrive il nostro filosofo: [ ... ] I fenomeni assicurano solamente il fatto che essi appaiono e non hanno, oltre a ciò, la forza di mostrare che esistono realmente 18 •
Ora si badi come questa distinzione fra fenomeno ( -rò lfliXWO!J.evov) e oggetto sussistente ( TÒ Ò7toxd!J.evov) non possa
avere significato, se non presupponendo la dogmatica distinzione fra apparire ed essere e dando un preciso senso al concetto di oggetto esistente al di là del fenomeno, che, peraltro, Jo Scettico non potrebbe in alcun modo formulare, mancandogli tutti gli strumenti necessari all'uopo. Ma Sesto va ancora oltre. Nel mostrare come altro sia l'« oggetto rappresentato» e altro l'« oggetto quale è realmente », egli scrive: [ ... ] La rappresentazione è effetto dell'oggetto rappresentato, e l'oggetto rappresentato è causa della rappresentazione e capace di impressionare la facoltà sensitiva, mentre l'effetto è differente dalla causa che l'ha prodotto. Onde l'intelletto, quando viene a contatto con le rappresentazioni, recepirà gli effetti degli oggetti rappresentati, ma non questi stessi oggetti esterni. E se uno ci venisse a dire, in base ai propri sentimenti e alle proprie affezioni, che egli viene proprio a contatto con gli oggetti esterni [ TIÌ ~KT6ç ] , noi tireremo in ballo le aporie precedentemente indicate [ ... ] 19 •
Come si vede, qui viene addirittura presupposto quel concetto di causa, nonché quell'inferenza causale, che gli Scettici credevano di aver messo del tutto fuori gioco. In conclusione, possiamo dire che il nuovo piano su cui Sesto Empirico si pone nel riformulare lo scetticismo è precisamente dato dal nuovo concetto di fenomeno inteso come 11 Sesto Empirico, Contro i matem., " Sesto Empirico, Contro i matem.,
VIII, 368. VII, 383 sg.
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affezione di un soggetto in contrapposizione ad un oggetto esterno, ossia in contrapposizione ad un oggetto sussistente fuori del S()ggetto (al di là del fenomeno). Tutte le formule e tutti i principi canonici dello scetticismo vengono, a ben vedere, riproposti appunto in questa chiave dualistica, ora facendo leva su.JI'« affezione» soggettiva, ora sull'« oggetto esterno», ora su ambedue. Cosl tutte le formule scettiche vengono ripresentate da Sesto non come « vere in senso assoluto », ma, appunto, solamente come espressione di ciò che lo Scettico sente. Scrive il nostro filosofo: [ ... ] Bisogna ricordarsi anche di questo, che noi [Scettici] non le [scil.: le formule scettiche] pronunciamo, in generale per tutte le cose, ma per quelle oscure e indagate dogmaticamente, e che esprimiamo quello che a noi appare, senza pronunciarci con asserzioni recise intorno alla natura delle cose esteriori 20 •
Ecco, ancora, ciò che Sesto scrive a proposito dell'afasia: [ ... ] « Afasia » vale rinunzia alla « fasi » [ = al dire], intesa nel suo significato comune, e in essa diciamo essere compresa l'affermazione e la negazione; di modo che «afasia» è una nostra affezione interna, per cui diciamo di non affermare né negare. Dal che è manifesto, anche, che non assumiamo l'afasia come se le cose fossero per loro natura tali da dover assolutamente indurre all'afasia, ma vogliamo significare che noi, in quel momento in cui facciamo dichiarazione di afasia, proviamo questa affezione sul conto della cosa indagata. Anche, bisogna ricordarsi di ciò, che noi diciamo di non affermare né di negare nulla di quanto viene dogmaticamente asserito circa le cose oscure. Poiché a ciò che muove il nostro senso e produce in noi un'affezione tale che necessariamente ne spinge ad assentire, noi cediamo 21 •
Analogamente, la riesposizione dei tropi di Enesidemo è condotta secondo questa nuova ottica, e la sospensione del "' Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani,
21
I, I,
208. 192 sg.
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giudizio diventa, da sospensione del giudizio in generale, sospensione del giudizio intorno alla natura degli oggetti esteriori ( m:pt -r~c; c:puae:wc; -r&v èx-ròc; u7toxe:L!Lévwv ). E così, più in generale, il problema dello scetticismo, per Sesto, diviene questo: se l'apparire (soggettivo) dell'oggetto corrisponda al suo essere (oggettivo): [ .. ] Nessuno, forse, contesterà che l'oggetto appaia cosl o cosl, ma si farà questione su questo, se sia tale quale appare 22 •
4. La vita senza dogmi, ovvero la vita senza filosofia secondo Sesto La fusione delle istanze dello scetticismo con quelle dell'empirismo comportò anche nell'ambito .dell'etica un notevole distacco dalle posizioni dell'originario pirronismo. Sesto, infatti, costruisce una specie di etica del senso comune, elementa,rissima e volutamente primitiva. Egli scrive: [ ... ] Non solo non contrastiamo alla vita, ma la difendiamo, assentendo, senza dogmatismo, a quanto è da essa confermato, ma apponendoci alle cose inventate, per loro conto, dai Dogmatici 23 • E ancora: [ ... ] È sufficiente, penso, vivere secondo l'esperienza e senza dogmi, in conformità delle osservazioni comuni e delle prenozioni che sono .~n noi, sospendendo il giudizio su quanto vien detto dalla sottigliezza dialettica, che trovasi del tutto fuori di ciò che è utile per la vita 24 •
Il vivere secondo l'esperienza comune e secondo la consuetudine ( auv~&e:LIX) è possibile, secondo Sesto, conformandosi a queste quattro regole elementari: a) seguire le indicaSesto Empirko, Schizzi pi"oniani, Sesto Empirko, Schizzi pirroniani, ,. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 22
23
1, 22 sg. 11, 102. 11, 246.
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zioni della natura, la quale trami te i sensi e la ragione ci dice ciò che ci è utile; b) seguire gli impulsi delle nostre affezioni che ci spingono, ad esempio, a mangiare quando proviamo fame o a bere quando sentiamo sete; c) rispettare le leggi e i costumi del proprio paese e quindi accettare, dal punto di vista pratico, le relative valutazioni della pietà come un bene e dell'empietà come un male; d) non restare inerti, ma esercitare un'arte. Ecco il testo più significativo: [ .. ] Riferendoci ai fenomeni, viviamo senza dogmi, osservando le norme della vita comune, ché non possiamo vivere senza far niente del tutto. Questa osservanza delle norme della vita comune pare essere quadripartita, e consistere, parte, nella guida della natura, parte, nell'impulso necessario delle affezioni, parte, nella tradizione delle leggi e delle consuetudini, parte, nell'insegnamento delle arti. Nella guida della natura, in quanto siamo per natura forniti di senso e d'intelligenza; nell'impulso necessario delle affezioni, in quanto la fame ci conduce verso il nutrimento, la sete verso la bevanda; nella tradizione delle consuetudini e delle leggi, in quanto consideriamo la pietà come un bene, l'empietà come un male rispetto alla vita comune; nell'insegnamento delle arti, in quanto non siamo inattivi nelle arti che apprendiamo. Ma tutto questo diciamo lontani da ogni affermazione dogmatica 25 •
Si noti, per quanto concerne il terzo punto, che di primo acchito può lasciare sconcertati, come Sesto si sia preoccupato di precisare, proprio là dove confuta le dimostrazioni dell'esistenza di Dio offerte dai Dogmatici, che lo Scettico non è un ateo, premettendo quanto segue: [ ... ] Noi, seguendo la vita comune, senza preoccupazioni dogmatiche, affermiamo l'esistenza e la provvidenza degli Dei e li veneriamo 26 • Questa civalutazione della vita comune comporta l'abbandono dell'ideale della assoluta indifferenza e dell'.insensibilità 25 26
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 23 sg. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, m, 2.
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perseguito da Pirrone: lo Scettico empirico predica non l'apatia ma la metriopatia, la moderazione delle affezioni che si provano di necessità. Anche lo Scettico soffre fame, freddo e altre simili affezioni, ma, rifiutandosi di giudicarli mali oggettivi, mali per natura, limita notevolmente il turbamento che da tali ·affezioni deriva. Che lo &ettico possa ne sentire quidem è idea che, proprio sulla base della rivalutata esperien~, Sesto non può più prendere nemmeno in considerazione 27 • Inoltre, la rivalutazione della vita comune comporta anche una precisa rivalutazione dell'utile. Il fine per cui si coltivano le arti (il coltivare le arti - si ricordi - è il quarto precetto dell'etica empirica di Sesto) è espressamente indicato nell'« utile della vi t a » 28 • Infine è degno di nota il fatto che il raggiungimento dell'imperturbabilità, oss-ia dell'atarassia, sia presentato da Sesto quasi come la casuale conseguenza della rinuncia dello Scettico a giudicare intorno alla verità, ossia come la casuale ed inattesa conseguenza della sospensione del giudizio. Allo Scettico sarebbe accaduto qualcosa di analogo a quello che si narra del pittore Apelle, il quale, volendo dipingere la schiuma sulla bocca del cavallo e non riuscendovi, vi rinunoiò, scagliando la spugna in cui puliva i pennelli contro il quadro, e la spugna, colpendo la bocca del cavallo, come per caso, lasciò un'impronta che pareva schiuma: Chi [ ... ] dubita se una cosa sia bene o male per natura, né fugge né persegue nulla con ardore: perciò è imperturbato. Pertanto allo Scettico è accaduto quello che si narra del pittore Apelle. Dicono che Apelle, dipingendo un cavallo, volesse ritrarne col pennello la schiuma. Non riuscendovi in nessun modo, vi rinunziò, e scagliò contro il dipinto la spugna, nella quale astergeva il pennello intinto di diversi colori. La spugna, toccato il cavallo, vi lasciò un'impronta che pareva schiuma. Anche gli Scettici speravano di conseguire la imperturbabilità dirimendo la disuguaglianza ch'è tra v Per la metriopatia dr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, 28 Cfr. Sesto Empirico, Contro i matem., I, 50 sgg.
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I,
25·30.
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i dati del senso e quelli della ragione; ma non potendo riuscirvi, sospesero il giudizio, e a questa sospensione, come per caso, tenne dietro la imperturbabilità, quale l'ombra al corpo 29 •
5. La critica sistematica di Sesto a tutte le scienze e alla filosofia
La parte più cospicua della produzione di Sesto (almeno di quella a noi pervenuta) è di carattere critico. Degli Schizzi pirroniani solo il primo libro ha carattere « sistematico », mentre gli altri due svolgono una organica critica della filosofia dogmatica, distinta nelle sue tre sezioni codificate dall'età ellenistica. Tutti gli undici libri che costituiscono l'opera comunemente citata col titolo Contro i matematici 30 sono di carattere puramente critico: nei primi sei libri si confutano le arti e le scienze (~la grammatica, la retorica, la geometria e .l'aritmetica, l'astrologia e la musica), mentre negli altri cinque si confutano la logica, la fisica e l'etica dei Dogmatici. Sarebbe impossibile dar conto delle critiche di Sesto in modo esauriente non solo in un lavoro di sintesi come è il nostro, ma addirittura anche in sede di trattazione monogr~fica,' dato che egli, come è stato giustamente rilevato, riesce a mettere insieme una vera e propria « enciclopedia scettica delle scienze filosofiche » 31 • Né di suo complesso argomentare si lascia ridurre a pochi principi, dato che prevale nettamente il metodo della dialettica negativa, messa in auge dagli Accademici. Assistiamo, assai spesso, all'abile gioco del rivoltare le armi dell'avversario contro lo stesso avversario e ad una serie ,interminabile di argomentazioni ad hominem. Si ha, inoltre, l'impressione che Sesto, non intenda affatto presenSesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 28 sg. "" Cfr., sopra, p. 196, nota 9. "' Cfr. A. Russo, in: Sesto Empirico, Contro i logici, Introduzione, p. vn, nota l. (Cfr., sopra, p. 168, nota 25). 29
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tarci solamente contributi personali, ma proceda alla catalogazione di tutti i contributi dei predecessori nei quali fa rientrare anche i suoi personali, e quindi che proceda quasi a sistemare e a codificare quello che poteva considerarsi un patrimonio comune della setta degli Scettici. Nella critica contro le arti (grammatica, retorica, geometria, aritmetica, astrologia e musica) Sesto, come già abbiamo accennato, boccia tutto l'apparato dottrinario che le costituisce e la mentalità eziologica che sta alla loro base. Ciò cui deve mirare l'arte sanamente intesa è l'aiuto nella condotta della vita, ossia l'utile. La base dell'arte non è costituita dai ragionamenti astratti, ma dall'esperienza e dalla sistematica osservazione dei fenomeni. Per conseguenza, delle arti tradizionali Sesto salva solo quanto risponde al fine indicato e quanto può giustificarsi sulla base del metodo empirico 32 • La confutazione dei filosofi - assai più vigorosa e impegnata- segue un preciso ordine, oltre che nella divisione nelle tre parti, altresl nella suddivisione di queste parti. Si tratta di un ordine desunto dalla stessa mentalità dogmatica. D'altra parte ciò è inevitabile, dato che la confutazione scettica (ocv't(ppYJatc;) non è se non una lotta corpo a corpo contro tale mentalità, contro ciò che è stato da essa prodotto e contro H modo in cui è stato prodotto. In sostanza, Sesto vuole produrre una serie di ragioni contro le ragioni prodotte dai Dogmatici su tutti i problemi essenziali della filosofia, non al fine di concludere che i Dogmatici sono certamente nel falso (dato che questo sarebbe non altro che un dogmatismo alla rovescia, che riproporrebbe con segno opposto quella certezza che hanno i Dogmatici di essere nel vero), ma piuttosto al fine di far apparire « l'uguale peso dei ragionamenti » che, a proposito delle varie questioni filosofiche, si escludono a Cfr. soprattutto Contro i matem., I, passim, che esprime in modo questa mentalità. Cfr. anche il libro III, passim; si veda, inoltre, v, 2. 32
paradigma~ico
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vicenda e, dunque, al fine di pervenire non a giudizi negativi, ma alla sospensione dei giudizi. Si comprende, così, come Sesto abbia posto proprio in questa « confutazione dei Dogmatici » il suo massimo impegno. Le linee di forza seguite dal nostro filosofo sono, grosso modo, le ·seguenti. In sede di logica, ai corrispondenti ragionamenti dei Dogmatici egli oppone ragionamenti intesi a dimostrare con ugtial forza quanto segue: a) non esiste criterio di verità; b) posto anche che ci fosse non servirebbe, perché non esiste il vero; c) non solo non è possibile affermare nulla intorno alle cose che (ai Dogmatici) paiono evidenti mancando il criterio, ma non è neppure possibile, e a più forte ragione, passare dalle cose evidenti a quelle non evidenti, ossia dai fenomeni ai loro presunti fondamenti e alle presunte cause, e quindi a) non esistono segni indicativi, ossia discopritori di cause nascoste (ma solo segni rammemorativi ), e b) non esistono dimostrazioni, ossia ragionamenti discopritori di conclusioni non manifeste. Sesto critica, di conseguenza, il sillogismo deduttivo, così come il ragionamento induttivo e la stessa definizione. Per quanto concerne la fisica, Sesto sottopone alla sua antirrhesis soprattutto i ragionamenti dei Dogmatici riguardanti la Divinità, le cause e i principi, il tutto e la parte, il corpo e l'incorporeo, le varie forme di cangiamento, il luogo, il tempo e il numero. Per quanto concerne l'etica, infine, Sesto si concentra su tre punti: critica le concezioni dogmatiche del bene e del male, critica la pretesa che esista un'arte del vivere e critica, infine, la pretesa che tale arte, posto pure che ci sia, possa essere insegnata. In questo torneo di ragioni contro ragioni Sesto si mostra piuttosto scrupoloso, e, spesso, espone con fedeltà le dottrine degli avversari che poi confuta e si mostra ben informato su larghi settori del vasto arco del pensiero antico a lui prece-
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dente (sotto questo profilo la sua opera resta una vera e propria miniera di informazioni per la ricostruzione del pensiero di quegli ,autori le cui opere non ci sono pervenute). Il taglio dei problemi e la angolatura sotto cui li tratta, come già abbiamo detto, sono quelli propri dell'età ellenistica, in particolar modo quelli propri della Stoa (è significativo, ad esempio, il fatto che nei due libri diretti contro li logici Sesto mostri di ignorare la logica aristotelica e in particolare la sillogistica degli Analitici e polemizzi soprattutto con la logica stoica; ma molti esempi di questo genere si potrebbero rintracciare anche nei libri contro i fisici e contro i moralisti; Sesto non sembra aver beneficiato delLa rinasoita del platonismo e dell'aristotelismo, che nel suo secolo, come vedremo, avevano già dato cospicui frutti) 33 • Per quanto concerne la dialettica con cui egli costruisce le sue ragioni da contrapporre a quelle dei Dogmatici, è da rilevare come essa sia della stessa natura di quella messa in auge dagli Accademici e come, quindi, riveli la sua originaria matrice stoica. Le argomentazioni sono in genere di pregnanza, di rilevanza e anche di efficacia diverse, talora sofistiche e capziose, quando non addirittura stucchevoli. Ma Sesto ne è in parte consapevole, tanto è v•ero che alia fine dei suoi Schizzi scrive espressamente che il peso e la portata delle sue argomentazioni sono proporzionati al gl'ado di temerarietà dei discorsi dei Dogmatici che intende confutare 34 • È da rilevare, infine, che, talvolta, Sesto ~a positivamente appello all'esperienza e all'evidenza dei fatti contro la presun2lione della teoria, ma non lo fa in modo sistema~ico. E cosl certe anticipazioni di idee, che molto più tardi verranno sviluppate da Locke, da Hume e da Stuart Mill e che gli
33 Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, libri II e III, passim e Contro i matem., libri vu-xr, passim. Per le corrispondenze fra le due opere cfr. Robin, Pyrrhon ... , pp. 226-229. ""' Cfr. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, III, 280 sg.
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studiosi hanno da tempo rilevato, restano poco più che intuizioni !isolate 35 • Sesto, contrariamente a quanto è stato sostenuto dagli intel'preti fl'ancesi 36 , non anticipa il positivismo moderno (così come la medicina empirica non anticipa H metodo induttivo proprio delle scienze moderne), perché non arriva in alcun modo alla costruzione di una nuova logica 37 • E non arriva alla costruzione di una nuow logica per due ragioni essenziali: nutre troppa sfiducia nelle capacità costruttive del pensiero, che sono indispensabili per scoprire leggi e nessi che legano l fenomeni, e nutre troppo poca fiducia nella possibilità che l'es.perienza porti a qualcosa di vero. Per Sesto la ragione serve quasi solo per combattere la ragione dogmatica e l'esperienza quasi solo come rifugio d'emergenza per sopravvivere, ossia a scopi pratici 38 • La posizione di Sesto può ben riassumersi in questa frase di uno srudioso moderno dello scetticismo che condivide la posizione dello scetticismo medesimo: « Solo la vita merita di essere seguita, e la prima filosofia consiste nello sbarazzarsi delle filosofie dogmatiche che speculano sull'incerto e descrivono come i Democritei, misurano come i Platonici, o immaginano, oome fecero gli Stoici, la pretesa verità dell'invisibile» 39 •
"' Cfr., per esempio, Sesto Empirico, Contro i matem., VII, 279; 297 sgg.; 57; 274; 288; 356; etc. "' Cfr. Brochard, Les sceptiques grecs, pp. 309 sgg. e Robin, Pyrrhon ... , pp. 181 sgg. ~ Non arriva alla costruzione di una nuova logica di carattere « induttivo », ossia di quel tipo di logica che sarà proprio delle scienze moderne. A buona ragione ci sembra che A. Russo (Sesto Empirico, Contro i logici, pp. XLIV sgg.) parli di «logica della negatività ». Lo studioso precisa inoltre: « Sesto non ci dà alcuna formulazione di quel concetto di osservazione nctpcx-ri)p7Jar.ç che sarà tanto importante nella moderna indagine scientifica » (ivi, p. xuv, nota 82). • Cfr., per esempio, Sesto Empirico, Schizzi pi"oniani, n, 244 sgg. "' Dumont, Le scepticisme... , p. 235. VIII,
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IV. L'ESAURIMENTO DELLO SCETTICISMO
Gli antichi fanno un solo nome di filosofo scettico posteriore a Sesto, quello di Saturnino, discepolo dello stesso Sesto, ed egli pure «empirico» '. Di lui non sappiamo altro e tutto lascia credere che egli non si sia mosso dalle posizioni del maestro. Del resto con Sesto Empirico lo scetticismo raggiunge le sue invalicabili colonne d'Ercole, e, anzi, insieme al proprio trionfo celebra anche la propria distruzione. Lo stesso Sesto mostra qualche barlume di coscienza di questo fatto. A pwpooito delle formule canoniche dello scetticismo scrive negli Schizzi pirroniani: E invero, per quel che concerne tutte le espressioni scettiche, bisogna tenere a mente questo, che noi non si afferma in modo assoluto ch'esse siano vere, in quanto diciamo che esse si possono annullare da se stesse, circoscrivendo se stesse insieme con le cose di cui si dicono; così le medicine purganti, non solo cacciano dal corpo gli umori, ma anche se stesse espellono insieme con gli umori 2 • E nell'opera maggiore, a proposito dell'obiezione che la dimostrazione scettica intesa a dimostrare la non esistenza della dimostrazione distrugge anche se medesima, Sesto ribadisce: Ma, anche se essa [scii.: la dimostrazione dell'impossibilità della dimostrazione] scacciasse se medesima, non per questo viene 1 2
Cfr. Diogene Laer:z:io, IX, 116. Sesto Empirico, Schizzi pirroniani,
I,
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ESAURIMENTO DELLO SCETTICISMO
a convalidare l'esistenza della dimostrazione. Ci sono molte cose che fanno a se stesse quello che fanno alle altre! Come, infatti, il fuoco, consumando la legna, distrugge anche se medesimo, e come i purganti, scacciando gli umori dai corpi, emettono anche se stessi, cosl pure l'argomentazione addotta contro la dimostrazione- dopo aver eliminato ogni dimostrazione - viene a mettere anche se medesima al bando! 3 • Queste immagini sono stupende e, a nostro avviso, esprimono com(! meglio non si potrebbe una delle funzioni storiche che ha avuto lo scetticismo antico, anzi forse addirittura la principale, vale a dire la funzione catartica o liberatrice. Lo scetticismo antico, in effetti, non ha distrutto la filosofia antica, che presenta ancora un tratto di gloriosa storia dopo di lui, ma ha distrutto una certa filosofia, o, meglio, una certa mentalità dogmatica legata a questa filosofia: ha distrutto quella mentalità dogmatica che era stata creata dai grandi sistemi ellenistici, soprattutto dal sistema stoico. Ed è molto indicativo il fatto che lo scetticismo, nelle sue varie forme, nasca, si sviluppi e muoia jn sincronia col nascere, con lo svilupparsi e col morire appunto dei grandi sistemi ellenistici. Ed è anche ass,ai significativo che quella mentalità di cui diciamo non sopravviva a Sesto. Dopo Sesto la filosofia riprende il suo cammino verso altre spiagge. Sesto, naturalmente, non poteva prevedere nulla di tutto questo. Uno studioso italiano ha rilevato, di recente, quanto segue: «Sesto è ben lungi dal sospettare che quasi contemporaneamente a lui e nella stessa metropoli di Alessandria da lui frequentata si va profilando quell'insegnamento di Ammonio Sacca che è destinato a far convergere il pensiero antico verso un polo diverso da quello scettico; egli non prevede che nuove costruzioni dommatiche cominciano a delinearsi sulla base di quelle medesime colonne doriche che sono state da lui ·scosse, anche se non rovesciate. E se lo storico auten• Sesto Empirico, Contro i matem.,
VIII,
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tiro, utilizzando tutti gli sviluppi e le prospettive del passato, è in certo qual modo anche preveggente, dobbiamo purtroppo ammettere che Sesto non è riuscito a prevedere nulla, perché dal passato non ha desunto altro che il naufragio di tutta una civiltà filosofica. La sua analisi storico-critica, infatti, viene eseguita in modo tale da consigliare che si chiuda ormai un'assurda e quasi sfibrante polemica di "filosofi in vendita", senza protrarla all'infinito con danno di tutti i contendenti. Secondo l'Empirico, la storia filosofica dei Greci, esaminata con i rigori di una logica bene affilata, doveva finire in un pacifico e rassegnato riconoscimento di tutti gli errori dei dommatici. E in questa fine egli, pur fornito in abbondanza di polemica gagliardia, non intende riservarsi l'ultima parola, giacché proprio lui non ha alcuna buona novella da annunciare, ma ha già pronto il rifiuto di ogni nov·ella, buona o cattiva che sia » 4 • Orbene, se questo è vero, è altrettanto vero che Sesto non poteva prevedere nulla, appunto per i motivi sopra indicati, ossia perché egli (come gli Scettici suoi predecessori) non usciva fuori da quella mentalità creata dall'ellenismo e avvalendosi del metodo dialettico poteva distruggere quella mentalità solo distruggendo anche se stesso. Del resto, una riprova eloquente di quanto stiamo dicendo si ha nel fatto che le nuove correnti filosofiche di cui diremo, che hanno una forte ispirazione religiosa, con punte di vero e proprio misticismo, non solo non temeranno lo scetticismo, in quanto faranno appello a forme e modi di conoscenza diversi da quelli che lo scetticismo aveva criticato, ma, in certi casi, non esiteranno addirittura ad accoglierne alcuni risultati proprio per dischiudere le nuove prospettive 5 • • Russo, in: Sesto Empirico, Contro i logici, Introduzione, pp. xx sg. • Si veda, per esempio, come Filone di Alessandria nel De ebrietate faccia uso dei tropi di Enesidemo e come Plutaroo faccia uso dell'epoché (su quest'ultimo punto dr. D. Babut, Plutarque et le sto'icisme, Paris 1969, pp. 279 sgg.).
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SEZIONE QUINTA
REVIVISCENZE DEL CINISMO
• [ ..• ] clv&pchnou IL~ clvcx1 TÒ CÌ!Lcxp'fcivclv, &coii clv8pò~ lao&iou 'fCÌ 1t'fcx1a&Mot i1tcxvop&oiiv t.
3~
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« [ ... ] Errare è degli uomini: ma sollevare chi è caduto nell'errore è di un Dio, o di un uomo simile ad im Dio~. D~onatte,
presso Luciano, Vita di Demonatte, 7
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I. LA RINASCITA DEL CINISMO IN ETÀ IMPERIALE E LE SUE
CARATTERISTICHE
Abbiamo visto, nel precedente volume 1, come il cinismo abbia toccato la propria acmé già all'inizio dell'età ellenistica e come abbia dato fondo, per cosl dire, a tutte le sue possibilità e a tutte le sue risorse. Infatti, subito dopo Diogene e Cratete, il cinismo perdette gran parte dell'originario vigore, mostrò una certa tendenza al compromesso e quindi manifestò una involuzione che, in alcuni esponenti, finl per essere quasi perdita di coscienza della propria identità, tanto che, verso la fine dell'era pagana, non si parla ormai quasi più di Cinici 2 • La vitalità del cinismo non si era tuttavia eJaurita: esso, infatti, non solo risorse in età imperiale (il primo Cinico che conosciamo per nome, Demetrio, fiorl - sembra - verso la metà del I secolo d. C.), ma continuò a vivere o a sopravvivere addirittura fino al VI secolo d. C., ossia ancora per circa mezzo millennio. Di fronte a tale fenomeno, per molti aspetti sorprendente, sorge spontaneo il problema: questo rinato cinismo dell'età imperiale approfondi le idee del vecchio cinismo e guadagnò nuove prospettive, oppure fu solamente una riproposta, più o meno passiva e stanca, di ciò che era già stato acquisito, e, dunque, una mera « ripetizione »? Per ri9pondere a tale problema occorre fare riferimento 1 Cfr. vol. • Cfr. vol.
III, III,
pp. 25-54. pp. 48 sgg.
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alle tre componenti che contraddistinguono questa particolarissima filosofia e che indicano anche le tre precise direzioni secondo le quali essa agl nella vita spirituale del mondo antico. Queste componenti sono: a) la «vita cinica», b) la «dottrina cinica», c) H «modo di esprimersi», ossia la « forma letteraria » propria delle opere dei Cinici. Per quanto concerne quest'ultimo punto è da rilevare che i Cinici avevano dato il meglio di sé già nei primi secoli dell'età ellenistica 3 • In particolare, è da rilevare che la « diatriba » era ormai diventata un vero e proprio « genere letterario », molto diffuso e quasi insostituibile. Privata, ormai, del sarcasmo e della caustica mordacità propri dell'originario cinismo, la « diatriba » fu adottata da molti filosofi dell'età imperiale, non solo dagli Stoici, i quali per certi aspetti erano vicini al cinismo (si pensi alle Diatribe di Epitteto), ma perfino da pensatori molto lontani dal cinismo, come ad esempio Filone Ebreo o addirittura Plotino (certi passi delle opere filoniane cosl come alcuni capitoli delle Enneadi hanno indubbiamente la struttura della diatriba). Per conseguenza questo «genere letterario», pur creato dal cinismo, diventò autonomo e, quindi, ormai non più esclusivo portatore del messaggio cinico. Per quanto concerne H secondo punto, ossia la «dottrina cinica » vera e propria, è da rilevare come il rinato cinismo non potesse guadagnare significative novità, per le ragioni strutturali, già da noi indicate nel precedente volume 4 • Infatti, già con Diogene la dottrina cinica raggiunse i limiti estremi della radicalizzazione, ossia le sue insuperabili « colonne di Ercole». Pertanto restavano solo due possibilità: a) o quella di riproporre un cinismo che sussumesse istanze di dottrine affini (in particolare dello stoicismo, che in età imperiale, come abbiamo visto, già per conto suo tendeva, specie in alcuni • Cfr. vol. • Cfr. vol.
III, III,
pp. 51 sg. pp. 48 e 52 sg.
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esponenti, ad avvicinarsi ancor più che nella precedente età a posizioni ciniche) e in qualche modo si mostrasse sensibile alle stesse istanze religiose e mistiche proprie della nuova età; b) oppure restava la possibilità di riproporre, sia pure con alcune limitazioni, il radicalismo dell'originario cinismo, facendone valere, in vario modo, soprattutto le istanze libertarie. In effetti, i Cinici dell'età imperiale che sono a noi noti risultano chiaramente aver seguito chi l'una chi l'altra di queste due vie, senza peraltro saper raggiungere esiti di particolare interesse, come vedremo. Per quanto concerne, infine, la « vita cinica », è da rilevare che, nell'età imperiale, essa dovette costituire la vera attrattiva e lo stimolo di gran lunga più forte. Fu, dunque, l'aspetto pratico del cinismo ad avere una vera importanza nell'epoca di cui ci occupiamo. Si spiega, quindi, assai bene il fatto che Antistene, fondatore del cinismo, a poco a poco sia scomparso nell'ombra, decisamente eclissato dalle figure di Diogene e di Cratete; in effetti il primo non visse se non in parte quella «vita cinica», che fu, invece, creata e vissuta, in modo paradigmatico, da Diogene e da Cratete. Le Lettere pseudepigrafe attribuite agli antichi Cinici, le quali sono falsificazioni (prodotte a partire dal 1 secolo d. C.) aventi lo scopo di rilanciare e di diffondere il verbo cinico e di conquistare gli animi ad esso, vengono quasi tutte attribuite, appunto, a Diogene e a Cratete (cinquantuno sono attribuite al primo e trentasei al secondo), mentre una sola ci è giunta attribuita ad Antistene ed una a Menippo. Ma è altresì da rilevare, a questo riguardo, che se la riproposta del paradigma del1a « vita cinica » trovò alcuni spiriti eletti che l'accolsero con sincerità di intenti, trovò altresì numerosi avventurieri che ne snaturarono il significato e che contribuirono progressivamente a screditarla e, quindi, a vanificarla, come vedremo.
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II. LA CORRENTE STOICHEGGIANTE E RELIGIOSA DEL CINISMO DELL'ETÀ IMPERIALE
l. Demetrio
Demetrio, che, come già abbiamo accennato, è il primo nome di Cinico dell'età imperiale di cui ci sia giunta notizia, fu un contemporaneo di Seneca 1 e fu da questi assai ammirato e apprezzato. Ecco alcuni eloquenti passi, tratti dal De beneficiis, dalle Epistole e dal De providentia. Demetrio il Cinico [è] filosofo di grande importanza, a mio giudizio, anche se paragonato ai sommi 2 • Poco fa ho citato Demetrio [ ... ] uomo di saggezza completa (anche se egli sia il primo a negarlo) e di incrollabile costanza nei suoi propositi, di un'eloquenza quale si addice ai tempi più seri, cioè non preoccupata della ricerca degli ornamenti e della sceltezza dell'eloquio, ma tutta protesa all'esposizione dei concetti con vigorosa passione, secondo l'ispirazione. Sono sicuro che a quest'uomo la Provvidenza ha dato una tale vita e una tale facoltà di eloquio perché a noi non mancassero né un esempio, né un rimprovero 3 •
' Demetrio nacque, probabilmente, agli inizi del secolo I d. C. Egli era già noto per la sua dottrina e per la sua vita cinica negli anni in cui imperava Caligola, a giudicare da quanto ci riferisce Seneca, De benef., VII, 11. Forse dovette lasciare Roma già una prima volta, dopo la condanna di Trasea Peto, di cui era amico (cfr. Tacito, Ann., XVI, 34), nel 67 d. C. ~ cc;rta la sua espulsione da Roma nel 71 d. C., a motivo della sua opposi2ione alla politica dell'imperatore Vespasiano. Dei suoi ultimi anni di vita (trascorsi probabilmente, almeno in parte, in Grecia) pooo sappiamo. La nostra principale fonte di informazione è Seneca, che lo frequentò assiduamente. 2 Seneca, De benef., VII, l, 3. • Seneca, De benef., VII, 8, 2 sg.
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Io sempre porto intorno con me Demetrio il migliore degli uomini, lascio da parte i grandi porporati e converso con lui seminudo e lo ammiro. E come non ammirarlo? Ho constatato che nulla gli manca. Qualcuno può disprezzare tutto, ma nessuno c'è che possa avere tutto. La via più breve per giungere alla ricchezza è disprezzarla. Quanto al nostro Demetrio, egli vive non come chi disprezza ogni cosa, ma come chi ne ha lasciato ad altri il possesso 4 • Demetrio sosteneva la necessità di ridurre la filosofia alla conoscenza di pochi precetti e alla rigoros!l applicazione di essi. Ci sono, si, egli diceva, molte conoscenze interessanti e la cui acquisizione reca diletto, ma solo poche sono quelle essenziali e queste poche sono di facile apprendimento, giacché la natura le ha poste provvidamente a portata di tutti. Ed ecco quali sono questi precetti essenziali: Se il nostro animo ha imparato a disprezzare tutto ciò che è dovuto al caso, se ha saputo dominare il timore, se non aspira con avide speranze a cose impossibili, ma ha imparato a chiedere a se stesso ogni ricchezza, se si è liberato dal timore degli dei e da quello degli uomini e sa che dagli uomini non c'è molto da temere, dagli dei nulla; se l'uomo disprezzando tutto ciò che adorna ma contemporaneamente tormenta la nostra vita è arrivato a capire chiaramente che la morte, di mali, non ne origina nessuno ma ne elimina molti; se si è del tutto dedicato alla virtù e trova agevole qualunque strada essa gli indica; se, creatura destinata alla vita associata e generata per la collettività, considera il mondo come la casa comune di tutti e ha aperto la sua coscienza agli dei e in ogni circostanza si comporta come se fosse esposto al controllo di tutti temendo più il suo stesso giudizio che quello di altri - allora quegli, sottrattosi alle tempeste, si è fermato sulla terra ferma, sotto un cielo sicuro ed è arrivato alla perfetta conoscenza di ciò che è utile e necessario. Tutte le altre cose servono a dilettare il nostro tempo libero: si può anche ricorrere ad esse quando l'animo è già al sicuro, ma esse lo affinano solamente, non lo temprano 5• In questo contesto riacquista tutto il suo antico significato
il ponos, ossia la fatica, e l'esercizio che tempra l'animo e lo • Seneca, Epist., 62, 3. 5 Seneca, De bene/., VII, l, 7.
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rende capace di affrontare tutte le avversità della vita. Una esistenza che non ha mai subito gli urti della sorte e non si è mai cimentata con le avversità, per Demetrio, è «un mare morto» 6 , per cui, di conseguenza, l'uomo che non è stato mai colpito da avversità, !ungi dall'essere felice, come credono i più, è, in realtà, un infelice. Seneca riferisce, infatti, questo suo motto: Nulla mi sembra più infelice di un uomo a cui non è accaduta mai nessuna avversità 7 • Infine, è da rilevare come il cinismo di Demetrio si colori
di un considerevole sentimento religioso, molto vicino a quello che già aveva ispirato Io stoico Cleante. È ancora Seneca che ci riporta la testimonianza più significativa in proposito: Mi ricordo di avere udito anche questo discorso animoso di Demetrio, uomo di fortissimo cuore: «O dei immortali, per una sola cosa posso lamentarmi di voi: perché non mi rendeste nota in anticipo la vostra volontà. Infatti, sarei venuto io per primo a sostenere quelle prove che sono qui a sostenere ora chiamato da voi. Volete prendere i miei figli? Per voi li ho messi al mondo. Volete qualche parte del corpo? Prendetevela. Non vi prometto una gran cosa: presto lo lascerò tutto intero. Volete il mio spirito vitale? Perché non dovrei essere prontissimo a farvi ricevere quel che voi stessi mi deste? Porterete via conforme alla mia volontà tutto ciò che mi avrete chiesto. Che cosa è dunque in questione? Avrei preferito offrire· anziché consegnare queste cose. Che necessità c'era di togl!ermele? Potevate riceverle. Ma neppure ora voi me le toglierete veramente, perché nulla si rapisce se non a chi vuoi trattenere » 8• È una concezione, questa, la quale esprime un particolare sentimento della vita, che rivive anche nel neostoicismo romano, ossia nello stesso Seneca e, soprattutto, in Epitteto, come abbiamo sopra veduto. • Seneca, Epist., 67, 14. 7 Seneca, De provid., VII, 3. 1 Seneca, De provid., v, 5 sg.
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2. Dione Crisostomo
La tesi di Demetrio che solo le avversità rivelano la vera tempra morale di un uomo e che infelice è da considerarsi non chi è provato dalle sventure ma chi è al riparo da esse, ha nelle vicende della vita di Diane Crisostomo una splendida riconferma. Nato da una famiglia di elevato ceto soci-ale nella città di Prusa in Bitinia 9 , Diane si formò, dapprima, negli studi letterari ed esordi come retore (come « sofìsta », per usare la terminologia in uso in quest'epoca) e scrisse addirittura un'opera contro i filosofi in generale ed una contro Musonio in particolare. A Roma ebbe dimestichezza con uomini di alto rango e, a motivo degli stretti legami di amicizia che ebbe con Flavio Sabino, fu condannato all'esilio, allorché costui fu sospettato di complottare contro l'imperatore Domiziano. Bandito dalla Bitinia e dall'Italia, costretto a peregrinare in paesi inospitali e a guadagnarsi i mezzi di sostentamento con i lavori più umili, privato di tutto ciò che aveva riempito e allietato la sua vita passata, seppe trovare la sua vocazione di fondo proprio a causa della sollecitazione di queste avverse circostanze, e divenne cosl « filosofo ». Egli riscoprl in tal modo la validità di quella filosofia che nell'esser privato di tutto e nel condurre una vita di «primitivi» additava, contro la comune opinione, il più autentico bene 10 • • Dione nacque, probabilmente, nell'ultimo decennio della prima metà del secolo I d. C. Il soprannome Crisostomo, che vuoi dire «Bocca d'oro», gli derivò dalla sua abilità nel parlare e dalla sua suadente eloquenza. Il suo esilio durò dall'82 d. C. all'uccisione di Domiziano, ossia fino al 96 d. C. Ebbe buoni rapporti con Traiano (98-117), alla cui presenza pronunciò alcuni dei suoi discorsi. Di Dione ci è pervenuto un complesso di ottanta orazioni, in cui predomina la forma letteraria della diatriba. Fondamentale resta il lavoro di H. von Arnim, Leben und W erke des Dio von Prusa, Berlin 1898, il quale ha curato anche una eccellente edizione critica delle opere: Dionis Prusaensis quem vocant Chrysostomum quae exstant omnia, edidit apparatu critico instruxit }. De Arnim, 2 voll., Berolini 1883-1886. 1° Cfr. Dione, Orazioni, xm, passim. Che lo stesso Diogene fosse diven-
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Ecco come Dione stesso, in una pagina esemplare, descrive la ·propria conversione alla filosofia cinica: Gli uomini che mi incontravano [scii.: nel mio peregrinare di luogo in luogo] mi guardavano e mi giudicavane, alcuni un vagabondo, altri, un mendicante, alcuni, invece, un filosofo. Di qui, a poco a poco, mi venne il nome di filosofo, senza che io lo volessi e che me ne vantassi. Molti dei cosiddetti filosofi, infatti, si proclamano tali loro stessi, proprio come gli araldi alle Olimpiadi proclamano i vincitori; per quanto mi riguarda, invece, essendo gli altri a darmi questo nome, non potevo sempre oppormi a tutti quanti. Anzi, mi accadde di ricevere un certo beneficio da quel nome. Infatti molti venivano da me e mi chiedevano che cosa io ritenessi che fossero il bene e il male. Di conseguenza, io fui costretto a meditare intorno a queste cose, per poter rispondere a quanti mi ponevano quei quesiti. Inoltre, mi invitavano a presentarmi e a parlare in pubblico. Fui cosl costretto a parlare sui doveri degli uomini e su ciò che, a mio parere, giova ad essi. Mi formai allora la convinzione che tutti, per cosl dire, fossero sconsiderati e che nessuno facesse ciò che doveva fare né considerasse come potesse liberarsi dai mali che li afHiggono, dalla grande ignoranza e dalla confusione e come potesse vivere una vita più conveniente e più virtuosa, essendo tutti quanti agitati e trascinati nello stesso luogo e intorno alle stesse cose, ossia intorno alle ricchezze, alla reputazione e a certi piaceri corporei, senza che nessuno di essi fosse capace di affrancarsi da queste cose e liberare la propria anima, proprio come cose che cadono in un vortice, son fatte roteare e son trascinate in circolo senza potersi liberare da esso 11 •
Gli scritti di Dione che risalgono a questo periodo dell'esilio ripetono, senza molta originalità, anche se non senza garbo e vigore, i capisaldi della dottrina cinica, e, in essi, la figura di Diogene predomina incontrastata. Questi scritti esaltano in modo particolare la potenza liberatrice del verbo di Diogene, ribadiscono la validità della tavola cinica dei valori, ridifendono certi aspetti della cinica anaideia e sottato filosofo perché esiliato e privato di tutto era una convinzione comunemente condivisa; dr., per esempio, Musonio Rufo, Diatribe, IX. " Dione, Orazioni, xm, 11-13.
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tolineano marcatamente l'importanza de1Ja lotta contro il piacere 12 • Ea:o un significativo stralcio dal Discorso sulla virtù: Un tale domandò a Diogene se egli pure fosse venuto [all'Istmo di Corinto] per vedere i giochi ed egli rispose: «No, ma per prendervi parte anch'io». Quegli si mise a ridere e domandò quali fossero i suoi avversari. E Diogene, guardandolo di sotto in su, come era solito, disse: «I più pericolosi e i più difficili da vincere ed ai quali nessuno dei Greci sa resistere; non sono però avversari che corrono, lottano, saltano, combattono col pugilato, lanciano il disco o il giavellotto, ma quelli che fanno rinsavire gli uomini». «E chi sono? », domandò. « Sono le fatiche, rispose, le più rudi e non superabili dagli uomini ben sazi di cibi e pieni dei fumi dell'orgoglio, che passano tutte le loro giornate a mangiare e le loro notti a russare, ma che sono abbattuti da uomini sottili e magri, i cui ventri son più sottili di quello delle vespe. O tu credi che questi grossi ventri servano a qualcosa, questi individui che coloro che hanno buon senso dovrebbero menare attorno, purificare e poi cacciare, o piuttosto immolare, fare a pezzi e poi mangiare, come si fa con la carne dei grandi pesci, che si fanno cuocere nd sale e nell'acqua marina, per far sciogliere il grasso, come fanno da noi nel Ponto col lardo dei maiali quelli che vogliono ungersi. Infatti io credo che costoro abbiano meno anima dei maiali. Invece l'uomo probo ritiene che le fatiche siano i suoi maggiori avversari e con questi ambisce battersi notte e giorno, non per ottenere un ramo di appio, come le capre, né un ramo di ulivo o di pino [con cui si coronano i vincitori dei giochi Olimpici e lstmici], ma per ottenere la felicità e la virtù per tutta la vita [ ... ] 13 •
Questi avvers-ari, precisa Dione, vanno attaccati con estrema decisione, come si fa con il fuoco, che, se aggredito senza esitazione, può essere spento, se no ha un sicuro sopravvento 14 • Ma l'avversario di gran lunga peggiore, anche per Dione cosl come per gli antichi Cinici, è il piacere, il quale non Cfr. soprattutto le Orazioni VI, Dione, Orazioni, vm, 11·16. •• Cfr. Dione, Orazioni, VIII, 19. 12
VIII, IX
e x.
13
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usa la forza ma l'astuzia e seduce con funesti farmaci, come fece la maga Circe di cui parla Omero, la qua:le attrasse in questo modo i --compagni di Ulisse, per poi trasformarli in porci e animali selvaggi. Il piacere ci minaccia in tutti i modi possibili, perfino durante il sonno, mediante sogni insidiosi. Per difendersi dal piacere è necessario stare lontano il più possibile da esso o avere commercio con esso solo per lo stretto necessario. Perciò conclude Dione: [ ... ] Un uomo veramente forte è davvero veramente tale, quando è capace di fuggire il più possibile lontano dai piaceri: infatti non è possibile frequentare il piacere e farne esperienza durante un periodo di tempo, senza esserne rovinati. Non appena ha il sopravvento e vince l'anima con i suoi filtri, subito fanno seguito gli effetti prodotti dalla maga Circe 15 • Alla morte di Domiziano Dione tornò a Roma, e con la fine dell'esilio ebbe termine anche la sua « vita cinica »; la sua stessa visione filosofica si allargò, sussumendo numerosi concetti stoici e perfino alcune suggestioni platoniche. Risente ancom di forti influssi cinici l'orazione che reca il titolo Euboico, in cui si narra di una famiglia di cacciatori, la quale lontano dalla città, a contatto con la natura, vive serenamente, soddisfacendo solamente ai bisogni più elementari ed essenziali, senza desideri del superfluo e senza vane ambizioni, e reaHzza, in questo modo, pur senza saperlo, la vita ideale. Dione non ha dubbi che il vivere in povertà e non in mezzo alla ricchezza rappresenti il « vivere conforme a natura (xatTCÌcpuow) » 16 . Sulla base di questa concezione di carattere squisitamente morale egli propone la soluzione del problema sociale della povertà dei ceti inferiori, che nelle grandi città diventava vieppiù preoccupante: bisognerebbe far uscire dalla città quelli che egli definisce i « poveri rispet-
•• Dione, Orazioni, VIII, 24. ,. Dione, Orazioni, VII, 81.
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tabili », ossia quei poveri che conducono una vita onesta, portarli a vivere nelle campagne, e qui insegnare loro a procacciarsi i mezzi di sostentamento nel modo più naturale 17 • È indubbio che Dione intendeva presentare questo programma non solo a scopo teorico, ma proprio come concreta soluzione dei gravi problemi sociali del momento storico in cui viveva. Un altro gruppo di scritti di carattere politico composti nel periodo posteriore all'esilio rispecchia ancora idee ciniche, fatte però rientrare nella più ampia prospettiva stoica della monarchia universale di cui è re Zeus 18 • Il governo ideale è, per Dione, quello monarchico, e il monarca ideale è il migliore degli uomini, ossia l'uomo più virtuoso. Leggiamo nella Orazione IV, dove i protagonisti sono Diogene (portavoce di Diane) e Alessandro (che probabilmente rappresenta, in qualche modo, l'imperatore Traiano, cui il discorso è rivolto): [ ... ] Allora Alessandro chiese a Diogene: « In che modo si dovrebbe esercitare l'arte regia nella maniera migliore? ». Diogene lo guardò severamente di sotto in su e rispose: «non si può esercitare l'arte regia in modo malvagio più di quanto non si può essere un malvagio onest'uomo! Infatti il re è il migliore degli uomini, il più coraggioso, il più giusto, il più umano, ed è invincibile rispetto ad ogni fatica e ad ogni desiderio » 19• Il re deve essere un «pastore di popoli », secondo il celebre detto di Omero 20 , ·e deve essere l'imitatore del più grande di tutti i re, vale a dire del Re che governa l'Uruverso intero, ossia di Zeus. Leggiamo, ad esempio, nella Orazione I: [. .. ] Tra i re, dal momento che, come credo, essi ricevono da Zeus il loro potere e la loro funzione, quello che, guardando a Zeus, ordina e governa con giustizia e con bontà conformemente
17
Dione, Orazioni, vn, 107 sg.
18
Cfr. le prime quattro Orazioni, passim.
" Dione, Orazioni, IV, 24. Cfr. Iliade, I, v. 263.
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alla legge e al volere di Zeus, ha una buona sorte e una fine propizia 21 • E poco prima Dione precisa: Il Re primo e supremo devono sempre imitare i mortali e coloro che governano le cose degli uomini nell'assolvere alle loro responsabilità, su quello, per quanto è possibile, regolando e a quello assimilando (ci'{lo!l-olouvrocc;) il proprio modo di agire 22 • Piegano invece decisamente verso le dottrine della Stoa l'Orazione XXXVI (dal titolo Boristenico), che contiene (tra l'altro) una vera e propria cosmologia stoica, e l'Orazione XII (dal titolo Olimpico), che dimostra come l'idea di Dio sia innata in tutti gli uomini, Greci o barbari che siano. Anche in Dione, come nel parallelo neostoicismo, compare l'idea della parentela e del legame naturale (o-uyy&veLcx) che unisce gli uomini agli Dei, e quindi l'idea della fratellanza di tutti gli uomini 23 • E, come nel parnllelo movimento medioplatonico, in Dione compare non solo l'idea già sopra indicata che gli uomini devono imitare Dio e assimilarsi a lui 24 , ma addirittura la dottrina che il Demone dell'uomo è il suo nous, il suo intelletto (si badi: non la semplice ~u:x:f). ma il vouc;! ): I demoni buoni e cattivi, i quali portano la sfortuna e la fortuna, non stanno al di fuori dell'uomo: l'intelletto che è proprio di ciascun uomo ( 6 Bè f81oc; ixli<nou vouc; ), questo è il Demone dell'uomo che lo possiede: il Demone di un uomo saggio e buono è buono, malvagio quello di un uomo malvagio, e, cosi, libero è quello di un uomo libero, schiavo quello di un uomo schiavo, regale quello di un uomo regale e magnanimo, miserabile è quello di un uomo miserabile e vile 25 •
Dione, Ora:r.ioni, 1, 45. Dione, Ora:r.ioni, 1, 37. zs Cfr. Dione, Orazioni, xu, 61. "' Si veda l'ultimo passo sopra riportato. • Dione, Ora:r.ioni, IV, 79. 21
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III. LA CORRENTE DEL CINISMO DELL'ETÀ IMPERIALE ISPIRATA ALL'ANTICO RADICALISMO CONTESTATORE
l. Enomao di Gadara
La componente radicale e contestatrice dell'antico cinismo (che trova la sua più tipica espressione nell' anaideia e nella parresia, come abbiamo veduto) ritorna in primo piano in Enomao 1 • Nei suoi scritti egli probabilmente trattò l'intero arco della tematica cinica, ma a noi sono pervenute dettagliate informazioni e ampi estratti di una sola opera che recava il titolo L'esposizione dei ciarlatani 2 • In questa opera Enomao sferrava un massiccio attacco contro gli oracoli e contro la possibilità delle profezie e della mantica. Egli esàminava in modo analitico le più celebri profezie dell'oracolo di Delfi, ne mostrava l'inconsistenza e la capziosità e adduceva altresl alcune ragioni filosofiche contro la possibilità delle profezie stesse. Le argomentazioni filosofiche (le uniche che, in questa sede, a noi interessano) non si basavano su una generica negazione dell'esistenza della Divinità e di Demoni: infatti Enomao, come in genere i Cinici, non era un ateo; egli riteneva, tuttavia, che la Divinità non dovesse occuparsi delle cose umane e che, quindi, le pretese profezie non avessero nulla ' Enomao visse nella prima metà del n secolo d. C. Sembra che il suo floruit sia da collocare durante il regno di Adriano (si vedano i documenti e la discussione dei medesimi in Dudley, A History of Cynicism, p. 184, nota 3). 2 Questi estratti ci sono stati conservaci da Eusebio, Praep. evang., v, 18-36; VI, 1-42 (cfr. P. Vallette, De Oenomao Cynico, Paris 1908).
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di demoniaco e di divino, ma fossero solamente imbrogli belli e buoni. Le argomentazioni in parola facevano appello alla contraddizione sussistente fra l'affermazione dell'esistenza del Fato o della Necessità che tutto governa, da un lato, e l'ammissione della libertà umana, dall'altro. Orbene, la mantica dimostra la propria assurdità nella misura in cui fa appello, ad un tempo, ad ambedue questi presupposti, che reciprocamente si escludono. Scrive il nostro filosofo: È del tutto ridicolo porre nello stesso tempo che qualcosa dipenda dall'uomo e che tuttavia egli sia dominato dal Destino 3 •
Si noti bene: questa contraddizione rende assurda la credibilità degli oracoli (e della mantica in genere) in tutti i sensi. In primo luogo, rende assurda la stessa pretesa Jibertà di profetare di Apollo, perché, se tutto fosse necessario, Apollo a Delfì non potrebbe stare in silenzio, nemmeno se Jo volesse, e, in ogni momento, egli, lungi dal poter fare la propria volontà, dovrebbe fare ciò che la Necessità ha stabilito 4 • In secondo luogo, posto anche che gli oracoli fossero possibili, non avrebbero alcun senso, nella misura, almeno, in cui essi comandano una qualsiasi cosa, perché, ammettendo la Necessità, nulla resterebbe in potere dell'uomo. In questa vivace polemica, si comprende come Enomao dovesse prendersela soprattutto contro gli Stoici, i quali, con la loro dottrina del Fato, avevano appunto preteso di dare una base :filosofica alla mantica 5 • Gli Stoici, secondo Enomao, non sono coerenti: infatti essi affermano che l'uomo può essere virtuoso; inoltre sono ad un tempo sicuramente persuasi che l'uomo possa essere tale non contro la propria volontà, ma solo per spontanea deliberazione; orbene, se così è, non c'è nessuno, «Dio o • Eoomao, presso Eusebio, Praep. evang., VI, 7, 2.3. • Cfr. Enomao, presso Eusebio, Praep. evang., VI, 7, l. 1 ar. vol. III, pp . .372 sgg.
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Sofìsta che sia », che possa osare affermare che questa spontanea deliberazione dipenda dalla necessità, a motivo dell'evidente contraddizione; e se cosl è, non regge il loro fatalismo. E, con un'impennata di cinica parresia, Enomao conclude: E se osa affermarlo [scil.: che ciò che si sceglie deliberatamente dipenda esso pure dalla necessità], non formuleremo più argomenti contro di lui, ma daremo mano ad un nervo di bue, il meglio teso, come quello che serve a raddrizzare i discoli, e gli spezzeremo i fianchi 6 • 2. Demo n a t te
Esponente della corrente radica-le del cm1smo fu anche Demonatte 7 , contemporaneo di Enomao. Per la verità, Demonatte temperò, in alcuni punti, certi eccessi del cinismo: «non falsava i suoi costumi e le maniere per essere ammirato», ci riferisce Luciano 8 , ossia per 'v ), «Io sono l'Essente». Filone non sfrutta a fondo la valenza metafisica dell'espressione; tuttavia, non solo egli usa questo nome in modo sistematico, ma qua e là sembra ritenere che Dio si autodefinisca come l'Essere per eccellenza, in quanto è quell'Essere che è e sarà sempre, ed inoltre è quell'Essere che, per sua stessa natura, fa essere anche le altre cose, l'Essere che, essendo pienamente essere, è fonte di ogni altro essere. Dio rispose a Mosè: « Dl a loro che lo sono Colui che È (6 c\Sv), affinché, conoscendo la differenza fra ciò che è e ciò che non è, imparino anche che non c'è assolutamente alcun nome che possa essere usato per designare me, io che sono il solo cui competa l'essere 28 • Quando Mosè domandò se c'è un nome per Colui che È, seppe chiaramente che Egli non ha un nome proprio (Esodo, 6, 3) e che se gli si dà un nome, ciò si fa commettendo un abuso. Colui che È non può per sua natura essere detto, ma solamente 71 TradiTebbe la concezione filoniana di Dio chi desse a questi attributi, e ad altri che si potrebbero ancora elencare, una eccessiva importanza: la natura di Dio è al di là di tutti questi attributi. 21 Mos., I, 75.
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FILONE DI ALESSANDRIA
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essere. Lo testimonia anche il sacro oracolo reso a Mosè (il quale cercava di sapere se Egli ha un nome) il quale dice: « lo sono Colui che È» (Esodo, 3, 14), affinché, dal momento che non ci sono proprietà di Dio che l'uomo possa comprendere, potesse conoscere la sua esistenza 29 • « Mosè prese la tenda e la piantò fuori dal campo » (Esodo, 33, 7): egli la collocò lontano dall'accampamento del corpo, sperando di poter essere solo in questo modo un supplicante e un servitore perfetto di Dio. Egli dice che questa tenda si chiama tenda della Testimonianza e con tutta precisione: la tenda di Colui che È esiste e non solo è denominata. Fra le virtù, infatti, quella propria di Dio esiste veramente, perché Dio solo sussiste nell'essere (&tb