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FRANCESCO ADORNO LA FILOSOFIA ANTICA Tf. F'ilusolìu, I'U IInr~. scuole, tr~ Arisfl>tcil! c Augus...
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FRANCESCO ADORNO LA FILOSOFIA ANTICA Tf. F'ilusolìu, I'U IInr~. scuole, tr~ Arisfl>tcil! c Augusto lV-11 secolo a.è. L~ JJresentc t•dizionc in quattro volumi de La filosofia ant1co di Franct'!-1lla filosofia anticu ndla fac..-olt.à 1li Lettf>~ d~II'Llni\cr~itit •li Firenze. E autore •li varie puhhh,aziorli J>Ui Sotì:--ti. S(K'ntle. Pllltont, gli Stoki.
Colla.borft e
rivi~tt-
filosofiche e di t:uhun•
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione agosto 1961 Ottava edizione gennaio 1987 Prima edizione nell'"Universale Economica" settembre 1991 ISBN 88-07-81136-7
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Parte prima
Le componenti del pensiero da Aristotele a Epicuro e Zenone di Cizio
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Capitolo primo
Aristotele
l. La tematica di Platone e la posizione di Aristotele Aristotele 1 venne ad Atene, all'Accademia, nel 367, a diciassette anni. Era nato a Stagira, sulla costa nord-ovest della penisola calcidica, nel 384, da Nicomaco, facente parte dei "figli" di Asclepio, e da Festi nativa di Calcide, la città in cui Aristotele mori nel 322. Non sappiamC' se Aristotele venne ad Atene ed entrò all'Accademia, perché già interessato alla filosofia, o, com'è piu facile, perché il suo tutore Prosseno (i genitori di Aristotele eran morti ch'egli era ancora un ragazzo) vedeva in Atene il maggior centro per !;educazione di un giovane. Molto si è favoleggiato sulla primissima formazione di Aristotele presso il padre, medico di Aminta II di Macedonia. Si dice che Aristotele avrebbe dovuto al padre i suoi interessi per la scienza fisica e per la biologia. Nessun documento permette esagerate induzioni, soprattutto se si tiene presente che Nicomaco mori quando Aristotele era ancora un ragazzino. Possibile è, invece, che fin da bambino Aristotele avesse appresa dal padre la tecnica della dissezione: Galeno (Anatom. Administr., II, l; vol. Il, 280K) narra che i facenti parte della famiglia Asclepiade in1 Nato nel 384, a Stagira (sulla costa nord-~st d~lla p~nisola calcidica), dal m~dico di Aminta Il di Macedonia, Nicomaco, e da F~sti, nativa di Calcid~. Aristotele passò part~ della sua prima giovinezza a Pella. Rimasto presto orfano, ~bbe per tutore un par~nte di nom~ -Pross~no, del qual~ adottò poi il figlio Nicanor~. Trasferitosi ad At~n~. sui diciassette anni, entrò nella scuola di Platone, ove rimase fino alla mort~ del ma~ stro (34 7). Alla mort~ di Pia ton~, fors~ anche per ragioni politich~. Aristotel~ lasciò Aten~ ~ I'Accademi~. Si recò presso Ermia signor~ di Atarn~o e di Asso. Là ~bbe inizio la sua attività diretta di ma~stro. Sposò Pizia, nipote dt Ermia, da cui ebbe una figlia. Dopo la morte di Pizia, Aristotele visse con Erpillide, da cui ebbe un figlio, Nicomaco. Nel 344 circa Aristotele passb a Mitilene, probabilmente chiamatovi da Teofrasto. Nel 343/42 Filippo di Macedonia, forse consigliato da Ermia, chiamò Aristotele alla cort~ di P~lla per incaricarlo dell'educazione del figlio Alessandro. Nel 335/4, morto Filippo, salito al trono Alessandro, Aristotele tornò ad Atene. Ad Atene apri una propria scuola, in alcuni edifici un tempo dedicati ad Apollo Lido (il Liceo). Tra 1~ lezioni - d~lla mattina ~ del pomeriggio, raccolta di -appunti, vere e proprie esercitazioni e seminari, diseus-
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segnavano ai propri figli, fin da quando erano giovanissimi, la dissezione e i primi elementi dell'arte medica. L'incontro con Platone e con i problemi discussi entro l'ambiente dell'Accademia fu decisivo per Aristotele. Se da un lato sempre piu vivi era·no divenuti in seno all'Accademia gl'interessi per la geometria, la matematica, l'astronomia, la medicina, daWaltro lato, proprio in quegli anni - come testimoniano il T eeteto, che è, senza dubbio, di poco posteriore al 369, l'anno della morte di Teeteto, e il Parmenide - Platone si era indirizzato, in difesa della sua stessa concezione, a determinare, di contro agli avversari, le persuasive condizioni che permettono il sapere, il fondamento del discorso verace. A parte le conclusioni, o forse meglio, le apparenti conclusioni platoniche, certo è che negli ultimi anni di Platone, oltre a tentare di risolvere le aporie platoniche, e di sioni, raccolte di materiali per l'indagine, di libri che costituirono il primo nucleo ·della Biblioteca del Liceo, si svolse la piu alta c feconda attività di Aristotele. Nel 323, alla morte di Alessandro, si ebbe per un certo periodo una forte ripresa ici partito antimacedonico. Aristotele, ch'era ritenuto un collaboratore dei macedoni, ritenne opportuno abbandonare Atene e ritirarsi a Calcide, ove, probabilmente di cancro allo stomaco, morl l'anno 322. Per altre notizie sulla ,·ita e l'attività di Aristotele, cfr. il testo. Cfr. il testo anche per la vicenda e la storia delle opere di Aristotele. Qui ci limitiamo a darne l'elenco secondo i tradizionali raggruppamenti. Fragmenta: Grillo o della Rerorica, Simposio, Solista, Eudemo o dell'Anima, Nerinto, Erotico, Protrettico, Sulla ricchezza, Sulla preghiera, Sulla nobiltà, 11 piacere, L'educazione, Il regno, Alessandro, Il politico, Sui poeti, Sulla filosofia, Sulla giustizi,,, Problemata, Divisioni, Ipomnemata, Categorie, Sui contrarii, Sui beni, Le idee, Sui Pitagorici, Sulla filosofia di Arc!Jita, Su Democrito (cfr. Aristotelis dialogorum fragmenta, a cura di R. Walzcr, Firenze, 1934; e Arist. fragmenta se/uta, a cura di W. D. Ross, Oxford, 1945). Opere di logica: Categorie, De interpretatione, Analitici primi (in 2 libri), Ana• litici secondi (in 2 libri), Topici (in 8 libri), Elen omni et de nullo). " Premesso che B è vero (o non vero) di A e che B è non vero (o vero) di C, se ne deve concludere che A è non vero di C ": " Premesso che respirar per branchie (B: termine medio) è vero dei pesci (A: termine maggiore), e che respirar per branchie (B) è non vero dei
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cetacei (C: termine minore), se ne deve concludere che l'esser pesce (A) è non vero dei cetacei (C}." La terza figura si ha quando un termine appartiene ad ogni oggetto, che può venire indicato da una nozione, e un altro termine non appartiene a nessun oggetto, tra quelli che possono venire indicati dalla medesima nozione: do in tale figura il nome di medio alla nozione di cui si predicano entrambi i termini, il nome di estremi ai predicati, il nome di estremo maggiore al termine piu distante dal medio, ed infine il nome di estremo minore al termine piu vicino al medio (Primi Anal., I, 6, 28a 10-15). Il termine medio, qui, è soggetto tanto della prima quanto della seconda proposizione, per cui, appartenendo due predicati ad un .iolo soggetto, la conclusione non può non essere che particolare (la prima figura, invece, non solo conclude tanto affermativamente quanto negativamente, ma anche tanto universalmente quanto particolarmente). "Premesso che A è vero di B e che C è vero di B, qualche A è vero di C": "Premesso che la figura piana (A: termine maggiore) è vera dei triangoli (B: termine medio) e che la somma degli angoli interni uguale ad un angolo piatto (C: termine minore) è vero dei triangoli (B), se ne deve concludere che la somma degli angoli interni uguale a un piatto (C} è vero di alcune figure piane (A)." Nella prima figura, dunque, la posizione del termine medio è di essere soggetto nella premessa maggiore e predicato nella minore; nella seconda figura d'esser predicato nelle due premesse; nella terza d'esser soggetto nelle due premesse. La prima. figura - perfetta - conclude tanto affermativamente quanto negativamente, tanto universalmente quanto particolarmente; la seconda conclude limitatamente alla negazione e mai affermativamente; la terza solo paiticolarmente e mai universalmente (sulle tre figure cfr. Primi Anal., l, 4-7). In epoca molto piu tarda, si parlò anche di una quarta figura (detta "figura di Galeno," perché attribuita da Averroè al medico Galeno, del 200 d.C.). La quarta figura consiste nell'ultima possibile posizione del termine medio nelle premesse : predicato nella maggiore e soggetto nella minore. A parte la quarta figura, Aristotele, relativamente alle tre, indicò chiaramente nei Primi Analitici quali possono essere i modi concludenti per le tre figure, quali cioè le conclusioni che si possono trarre dalle combinazioni dei vari tipi di premesse: apodittiche (proposizioni
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in cui i termini si implicano necessariamente), assertorie (proposizioni che affermano o negano l'esistenza di fatto di qualcosa, senza implicarne la necessità), problematiche (proposizioni esprimenti la possibilità affermativamente o negativamente): apodittiche con apodittiche, apodittiche ·con assertorie, problematiche con problematiche, problematiche con assertorie, problematiche con apodittiche (cfr. Primi Analitici, I, 8-22). Di tali sillogismi moda/i Aristotele indicò quattro per la prima figura, quattro per la seconda, sei per la terza. I vari modi di ciascuna figura vennero indicati con parole che ebbero un significato puramente mnemonico da Guglielmo di Shyreswood (XIII d.C.). Fu cosiddetto, ad esempio, sillogismo in barbara, il sillogismo del primo modo della prima figura. Aristotele, poi, chiamò sillogismi ipotetici quei sillogismi in cui la conclusione " è fissata da principio ed è dedotta in virtu di un accordo preliminare, o di qualche altra ipotesi" (Primi Anal., I, 24, 41a 38), qualora, date, appunto, per ipotesi le premesse, il meccanismo della de. duzione sia riducibile alla prima figura: una volta provato questo, risulta chiaro che ogni sillogismo giunge a compimento mediante la prima figura e si riconduce ai sillogismi universali di tale figura (Primi Anal., I, 24, 4lb). ... Comunque, la prova (nel sillogismo ipotetico), non si sviluppa direttamente mediante un sillogismo, ma si costituisce sempre per convenzione, attraverso un accordo preliminare (Primi Anal., I, 44, 50a 16-19). E cosi anche avviene, quando si inferisce da premesse solamente probabili o da segni (non dalle cause gli effetti, ma dagli effetti le cause) (Primi Anal., II, 27), o quando per riduzione ( cX1totywyfj) si riporta una proposizione, di cui difficile è la prova, ad un'altra piu facile, che conduce alla prova della prima (Primi Anal., II, 25). Nell'Etica Nicomachea (1112b, 20-24) chiaramente Aristotele indicherà il metodo apagogico come il metodo proprio della matematica. In realtà tali sillogismi hanno piuttosto un significato dialettico che scientifico, si come un significato dialettico ha l'induzione (È1totywyfj ), che, tuttavia, Aristotele, ponendola in forma, può chiamare sillogismo
(Pn'mi An al., II, 23): l'induzione - e piu precisamente il sillogismo fondato sull'induzione - consiste nel dedurre, mediante uno degli estremi, il riferimento dell'altro estremo al medio... Posto che A indichi longevo, B ciò che non ha bile e C il singolo oggetto longevo (uomo, cavallo, mulo), in tal caso A appartiene alla
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totalità C (dato che ogni C è longevo) e CjUindi anche B (senza bile) appartiene a ogni C. Orbene, se C si converte con B e il medio non è piu esteso di C, sarà necessario che A appartenga a B... In effetti l'induzione si costituisce attraverso una totalità di oggetti singoli (Primi Anal., Il, 23 68b 15-29). Simile all'induzione è il sillogismo che si fonda sull'esempio (7tocpcf8ety!J.Ot), solo che ne differisce perché mentre l'induzione parte da una totalità di oggetti indivisibili e prova in seguito l'appartenenza dell'estremo maggiore al medio, senza connettere il sillogismo all'estremo minore, l'argomentazione fondata sull'esempio opera questo collegamento, e al tempo stesso non conduce la prova sulla base di una totalità di oggetti indivisibili (non sarebbe, cioè, induzione perfetta) (Primi Anal., Il, 24, 59a 16-19). Se anche talvolta si è messo al margine, presi dal gioco dell'aspetto formale dell'analitica aristotelica, il motivo dell'induzione, dell'esempio, dei segni, dell'ipotesi, esso tuttavia sembra illuminare lo sforzo di Aristotele - entro i termini della discussione platonica sulle condi~ zioni del sapere oggettivo e della polemica sulla dialettica - di giungere a ciò che può essere scientificamente fondato, solo quando si sbocchi ad un ragionamento sillogisticamente corretto, si che mediante la discussione sulle opinioni si possa condurre (~7tcXy&tv, ~7tcXyea&att: cfr. in questo senso Secondi Anal., 71a, 21, 24, 81b 5) gli altri dalla fiducia nel particolare a conoscenze universali, cioè a costringere a un discorso necessario, la cui veracità consiste nella sua stessa necessità da un lato e dall'altro nella necessità della premessa, resa evidente, e dunque immediata, perché l'unica non contraddittoria. Da una parte, cosi, il principio generale di non contraddizione (A non è non A: falso il giudizio in cui soggetto e predicato si contraddicono), che inquadra in sé il principio di identità (A è A: vero il giudizio in cui il soggetto rientra nel predicato) e il principio del terzo escluso (A è o non è B: dei due giudizi, essendo contraddittori, uno deve essere vero, per cui non vi è via di mezzo, una terza possibilità, che, appunto, si esclude), garantisce ·la validità della premessa e di quello che è il principio proprio dell'uno o dell'altro contenuto di cui è possibile scienza, mentre dall'altra parte garantisce r·l principio quale condizione che rende pensabile e, quindi, verace i coatenuto, oggetto di scienza. Aristotele indicava cosi, chiaramente, un possibile esito della indagine metodologica dell'ultimo Platone, non solo di fronte alla grave
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antinomia tra la prospettiva del tutto scandentesi in un ordine diak~ tico - per cui tutto è dove è bene che sia - fondamento oggettivo dell'ordine umano, e i limiti logico-linguistici, esasperati dalle discussioni sulla dialettica dei socratici, che vietano il passaggio alla conoscenza diretta delle postulate trame su cui si scandisce il tutto, ma anche di frònte alle interpretazioni che delle forme venivano dando alcuni discepoli di Platone. Aristotele, sotto questo aspetto, portando fino alle estreme conseguenze la tematica platonica dei dialoghi che vanno dai Teeteto al Parmenide, al Sofista, giunge, in una rigorosa analisi delle condizioni che rendono verace il discorso, a richiedere come ipotesi " non finta " quella che, in quanto non contraddittoria, non solo si presenta come condizione, principio di un ragionamento, ma, ad un tempo, condizione perché sia pensabile la realtà, ciò senza di cui (causa) la realtà stessa non sarebbe, e che spiegando, rendendo ragione della realtà, è il fine della realtà e ne è l'intelligenza. In tal modo, sembra oramai giustificata, storicamente e filosoficamente, la istanza aristotelica di trovare le condizioni che rendono possibili le singole scienze (teoretiche, pratiche, poetiche) e la condizione prima della scienza, in una sola matèsi, che fondi la validità di tutte le altre scienze. È entro C]llesti termini che si chiariscono l'aitiologia e la teleologia di Aristotele e si chiariscono anche da un lato il suo atteggiamento teoretico di fronte a tutti gli aspetti della realtà - la realtà naturale, non animata e animata, la realtà che l'uomo costruisce, la realtà dell'azione, - dall'altro la~o, esauritasi anche per ragioni politiche e situazionali il significato dato da Platone al filosofare come capacità di costruire una coscienza etico-sociale, il compito dell'uomo di cultura considerato ptattutto come volto all'insegnamento scientifico.
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Poiché la sapienza appartiene a ciascuno in ragione del suo sapere, pensiamo che chi ha l'arte, sa e se ne intende piu di chi ha solo esperienza, e giudichiamo gli uomini dell'arte piu sapienti degli empirici: ciò perché gli uni conoscono la causa, gli altri no. Gli empirici, difatti, sanno il che, ma non il perché delle cose; quelli, invece, ne conoscono il perché e la causa ... Segno del sapere è, poi, in generale, potere insegnare agli altri; e perciò giudichiamo scienza piuttosto l'arte che l'esperienza, perché quella, chi la possiede, la può insegnare, questa no (Metaf., I, 98la-98lb) .... In ciascuna scienza è piu sapiente chi ha una conoscenza piu esatta delle cause ed è capace di insegnare ad altri... Chi sceglie l'apprendere e il sapere per se stesso, sceglierà soprattutto la scienza per eccellenza, e tale è la scienza del conoscibile per eccellenza, ossia dei principii e delle cause, poiché per loro mezzo e da essa si apprendono le altre cose, ma non esse dalle cose subordinate. E
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scienza di principii per eccellenza e al di sopra di ogni altra cosa subordinata è quella che fa conoscere il fine di ogni operare: che è il bene in ogni cosa e l'ottimo universalmente in tutta la natura (Metaf., I, 982a-b). ... È evidente che del contingente non v'è scienza, poiché ogni scienza è di ciò che è sempre o è per lo piu. Altrimenti come si potrebbe apprenderla e insegnarla? ... (Metaf., VI, 1027a 20-22). Entro i termini della logica, quale fu impostata da Aristotele, vanno vedute le sue concezioni sulla natura e su tutti gli altri aspetti della realtà, ivi compreso l'oggetto proprio della filosofia come ricerca dei principii e delle cause prime, dell'essere in quanto essere, ché tali sue concezioni sono in effetto, di volta in volta, frutto dell'applicazione della logica, in una, talvolta, esasperata esercitazione scolastica. Ciò è rivelato anche dalla compiacenza con cui, spessissimo, Aristotele insiste sulla difficoltà e le aporie di questa o quella opinione intorno a questo o a quel problema, non poche volte in un'analisi dei vari significati in cui è da prendere un termine, fino ·a assumerlo nella sua accezione linguistica non cor.rraddittoria. Giova veramente, a chi voglia trovarsi a pieno suo agio, porre bene i problemi, poiché la posteriore sicurezza di movimenti non è che scioglimento dei problemi anteriormente posti; ma non è possibile che sciolga un nodo chi non lo conosce... Perciò bisogna aver prima considerate tutte le diffi· coltà, e per le ragioni dette, e perché chi ricerca senza aver prima posti i problemi, somiglia a chi non sa dove debba andare; e inoltre non può conoscere neppure se abbia trovato o no quel che cercava; perché non gli è manifesto il fine, che è chiaro a chi prima abbia posto i problemi ... (Meta/., III, l, 995a 24-995b 2) .... Se le parole non avessero un significato, sarebbe tolta la possibilità di discorrere con altri, anzi a dire il vero, anche con se stesso, perché non può pensare affatto chi non pensi una cosa determinata. E se può farlo, darà un nome unico a ciò che pensa. Fissiamo quindi ch'e ogni parola ha un significato e un significato unico (Meta/., IV, 4, 1006b 7-11). Ciò che, dunque, interessa vedere ora è l'applicazione di questo metodo nel vivo della lezione aristotelica, piu che in un succedersi di opere sistematicamente compiute, anche perché non possiamo seguire l'ordine cronologico e tanto meno l'ordine ideale del discorso di Aristotele, senza dubbio ricostruito molto piu tardi dagli interpreti, in ope,re aventi ciascuna vita a sé, mentre, in effetto, l'analisi delle opere tra• mandatè rivela, per molte questioni, contemporaneità di discussione .YJ), che serve da soggetto Umoxd!W'ov) immediato a ciascuna delle cose che hanno esse stesse un principio di movimento (xwYjaeCùc;) e di cangiamento (!LE"t'ot~o>.=ijc;), dall'altro lato il modo d'essere (-rp67tov) e la forma (!Lopq:r1)), di cui la specie è l'aspetto (el8oc;) logico (xoc-riÌ -ròv >.6yov ). In questo senso la forma è piu natura che materia, perché ciascuna cosa è detta essere quella che è, piuttosto quando è in atto (lvn).qet~) che quando è in potenza (8uvssono leggere che fram 111CDti, - sono stati ritrovati, in papiri, durante gli scavi di Ercolano. Delle molte lettere scritte da Epicuro ai suoi discepoli delle comunità epicuree di Lampsaco, di Mitilene, ci Aaia e di Egitto, leggiamo alcuni frammenti. Oltre la Fisica, di cui sembra che Epicun avesse steso due compendii, uno grande e uno piccolo, Epicuro scrisse il Canone, Sugl atomi e il 1/Uoto, Sulla santità, Sugli d~i, Le cose da ricercare e quelle da evitare. Fondamentale è la vita di Epicuro scritta da Diogene Laerzio, che riporta anche il bcltis limo testamento di lui.
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cultura con la C maiuscola, di cui la Grecia era completamente infetta. Il vero significato dell' incitamento a Pitocle potrà essere subito com· preso se si porrà in relazione con la difesa della filosofia naturale contro la " Cultura " : Lo studio della natura non forma un tipo d'uomo bravo a vantarsi e a straparlare e a sciorinare quella cultura che è tanto ricercata dai piu: anzi forma uomini gravi e indipendentissimi, che fondano il loro orgoglio sulle qualità personali, e non sulle circostanze esterne (Gnomologium Vaticanum, 45).
" Vano è discorso di filosofo che non medichi qualche sofferenza umana: e come l'arte medica a nulla giova se non ci libera dalle malattie corporee, cosi neppure la filosofia, se non ci libera dai mali dell'anima" (Porfirio, ad Marcellam, 31, p. 394, 7 sgg. Nauck 2 ; Usener, p. 169, 14). " Questa è la sentenza piu caratteristica di Epicuro, in cui meglio riassume la tradizione ionica secondo cui amore dell'umanità e amore della scienza sono gemelli. Concetto base del pensiero di Epicuro fu che una vera conoscenza della natura delle cose fosse il miglior rimedio ai mali dell'umanità, tanto per l'individuo quanto per la società. Per chi non arriva a comprenderlo, questo concetto sembra una prova che Epicuro in fondo non si interessava della scienza e non era capace di dedicarsi ad essa. Cosi, c'è chi dice che Epicuro si occupava soprattutto di morale, e si interessava della scienza soltanto per quanto gli sembrava adatta a promuovere il suo programma etico. Ma cosi . dicendo si trascura di considerare che, nella concezione di Epicuro, se la scienza non è vera non può servire né a un fine etico né ad alcun altro fine ... " (Farrington, r>p. cit., p. 122 e p. 110). In effetto la soluzione delle umane paure - paura della morte, della divinità, dell'oltretomba,- che turbano una certa società, Epicureo la vedeva in una pacata e prudente (" anche piu pregevole della filosofia è la prudenza ": Lett. a Meneceo, 132) interpretazione razionalistica della realtà, che nulla concedesse ad apriorismi o a intuizionismi, o ad un razionalismo, diremmo, metafisico: probabilmente matematico-geometrico (ove gli enti numerici divengono le stesse strutture della realtà) si sarebbe detto allora (si confronti in questo senso, Teofrasto, Metafisica, 1-5, cit. sopra). Sotto questo aspetto, invece, il ragionamento di Epicuro è molto semplice: non a caso, anzi, egli, accanto a un grosso volume sulla natura, andato quasi del tutto perduto, in cui v'erano parti, per quel che risulta dai frammenti dei papiri di Ercolano, estremamente difficili,
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tecniche e da iniziati, scrisse lettere agli amici e ai discepoli, di carattere divulgativo e sintetico, iri cui esponeva la propria dottrina in poche linee e basandosi su principii accettabili, appunto, per la loro non contraddittorietà : Per coloro che non possono, o Erodoto, dedicarsi allo studio delle opere da me scritte sulla natura, né esaminare almeno le maggiori fra quelle che ho composto, ho preparato un compendio di tutta la dottrina, perché possano ritenere sufficientemente nella memoria i principii fondamentali, affinché per ciascuna occasione, nelle questioni piu importanti, possano venire in aiuto a se stessi a seconda di quanto posseggano di scienza della natura. E anche coloro, che hanno sufficientemente progredito cosi da sapersi orientare nel complesso delle dottrine, devono ritenere nella memoria l'impronta delle proposizioni fondamentali nellè quali si compendia tutta la trattazione. Poiché dell'atto apprensivo dell'insieme abbiamo bisogno spesso, ma non è cosi per le singole parti. Certo anche al complesso delle dottrine bisogna rifarsi continuamente, ma ciò va fatto nella memoria, per la qual cosa, se gli stampi fondamentali saranno ben compresi e ricordati, si avrà l'atto apprensivo principale delle cose, e si potrà poi anche arrivare all'esatta conoscenza delle singole parti. Poiché anche per chi abbia raggiunto la perfezione, questo è il punto fondamentale di tutta la dottrina: la possibilità di servirsi velocemente degli atti apprensivi; e questo è impossibile se non si riduce il complesso delle dottrine a semplici formulazioni e a voci... Bisogna esser capaci di racchiudere in sé ciò che si è indagato particolarmente. Per cui, essendo questo metodo utile a tutti coloro che hanno dimestichezza con la scienza della natura, io che raccomando di applicare una continua attività in questa scienza e in ciò che in queste dottrine procura massimamente serenità nella vita, ho preparato per te anche questa .epitome -:on i sommi principii del complesso delle dottrine (Lett. ad E'rodato. · 37).
Condizione che rende possibile la pensabilità di qualsiasi cosa è la corporeità, che, d'altra parte, è impensabile se non come estensione, onde, accanto alla corporeità e sua stessa condizione, viene a porsi lo spazio in quanto estensione (non a caso il termine usato da Epicuro è x~p~: Lett. ad Erodoto, 40, 1). Di qui l'affermazione che "nulla nasce da un qualcosa che non sia" (7tpw-rov !Jh 11-rL oò8èv yEyvtTIXL è-..c -rou IL~ !lv-roe;: Lett. ad Er., 38, 8), appunto perché il qualcosa che non è, è impensabile. eotto questo aspetto, la corporeità in quanto estensione è divisib;Ie; solo che la stessa divisibilità richiede a sua volta, perché all'infinit. la corporeità non si annullì allo zero (divenendo impensabile), la indivisibilità. In altri termini, condizioni della corporeità sono;
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al limite, gl'infiniti indivisibili (atomz). Poiché in questo ch'era stato lo stesso modo di indurre di Democrito, v'era implicito il pericolo di trasformare l'atomo visibile all'occhio della mente in punto geometrico o ente matematico, astratto, pericolo ch'era stato il motivo della critica che a Democrito aveva mosso Aristotele, Epicuro, tenendo presente quella critica e le aporie di Zenone di Elea, sottolinea la contraddizione di pensare l'atomo come ente matematico o punto geometrico. Sembra, anzi, a tal proposito di notevole importanza ch'egli chiami l'atomo "seme generatore" (mp(J.ot: Lett. ad Er., 38, 9), tanto piu quando si ricordi che tale termine, per indicare la condizione fisica d'onde tutto deriva, era stato usato da Anassagora. Non è un caso che l'unico che Epicuro,' critico risoluto non solo di Platone, ma anche di Democrito e dei democritei matematizzanti (come il suo maestro· Nausifane), nonostante abbia discusso negativamente le "omeòmerie" di Anassagora (si badi, per altro, che il termine '' omeomeria" derivava da una interpretazione che Aristotele dava dei semi di Anassagora); l'unico che Epicuro lodi sia, appunto, Anassagora (Diogene L., X, 12). Ora, tenuto presente che l'atomo epicureo è seme, esso viene ad essere effettivamente individuum minimum (ÈÀcXX,L;so prendiamo inizio per ogni atto di scelta e di rifiuto, e ad esso ci rifacciamo giudi" cando pgni bene in base alle affezioni assunte come norma. E pokhé questo è il bene primo e connaturato, per ciò non tutti i piaceri noi eleggiamo, ma può darsi anche che molti ne tralasciamo, qu~ndo ad essi segue incomodo maggiore; e molti dolori consideriamo preferibili ai piaceri quando piacere maggiore ne consegua per aver sopportato a lungo i dolt)ri. Tutti i piaceri dunque, per loro natura a noi congeniali, sono bene, ma non tutti sono da eleggersi, cosi come tutti i dolori sono male, ma non tutti sono tali da doversi fuggire. In base al calcolo e alla considerazione degli utili e dei danni bisogna giudicare tutte queste cose. Talora infatti sperimentiamo che il bene è per noi un male, e di converso il male è un bene.. Quando, dunque, diciamo che il piacere è il bene, non intendiamo i piaceri dei dissoluti e quelli delle crapule... Vita felice dà saggio calcolo che indaga le cause di ogni atto di scelta e di rifiuto, che scacci le 'false opinioni dalle quali nasce quel grande turbamento che prende le anime. Di tutte queste cose il principio e il massimo bene è la prudenza ( cpp6v1jaLc;); pèr questo anche piu apprezzabile della filosofia è la prudenza dalla quald provengono tutte le altre virtu ... (Lettera a Meneceo, 127, 7-132, 10).
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L'appello di Epicuro è un appello a una vita razionale e illuminata, possibile a tutti - di proposito il suo insegnamento si rivolge non ad iniziati, ma a chiunque, ad uomini e donne, anche in forma popolare, - è un appello ad una saggezza che sia consapevole conquista di una misura, che non è né un rifiuto per il rifiuto né sacrificio per il sacrificio, ma neppure godimento violento, neppure accoglimento dell'istante gioioso (Aristippo), sempre entro i limiti di un'indagine che non presume di esprimere giudizi di valore, ma vuoi mettere in chiaro il fatto, il movente della condotta umana, si che tale indagine risulti, alla fine, utile, e non vana chiacchiera. Preferirei, usando tutta la franchezza, vaucmare nell'indagine della natura ciò che a tutti gli uomini è utile, anche se nessuno mi dovesse comprendere, piuttosto che adagiato sui pregiudizi cogliere il fitto plauso tributatomi dai piu (Gnomologium Vatic., 29). Sputo sul bello (-réi> XIXÀ) e su coloro che vanamente lo ammirano, quando non procura alcun piacere (Ateneo, XII, 547a: Usener 512; Arrighetti 126). Bisogna ridere e insieme filosofare, attendendo alle cose domestiche ed esercitando tutte le nostre facoltà, senza mai smettere di proclamare i detti della filosofia (Gnom. Vat., 41). Entro questi termmt, m questo suo richiamo ad assumere le cose per quello che le cose sono, in una tranquillità d'animo che è consapevole conquista, indipendentemente da ogni costruzione già data o da dimostrazioni che si fondano su discussioni dialettiche che hanno per principii presunte opinioni probabili, senza fondarsi sui dati, sui sensi, sui fatti e sul loro vaglio, indipendentemente dai miti e dalle superstizioni del volgo - che in tali paure e. miti è consapevolmente lasciato dalla filosofia sacerdotale, - entro questi termini, se assume un suo specifico significato la polemica di Epicuro contro la cultura, contro la dialettica e la retorica (vedi sopra), sembra assumere signifitato anche la sua polemica contro la politica, il suo appello a che ii saggio si ritiri dalla folla. " Bisogna liberarsi dal carcere degli affari e della politica" (Gnom. Vat., 58); "allora soprattutto ritirati in te stesso, quando sei costretto a stare nella folla" (Seneca, ep. 25, 6: Usener 209: Arrighetti 121; cfr. anche Massime Capitali, 14; Lett. a Pitocle, 85; 106 Bignone). In effetto Epicuro se la prende contro un certo tipo storico di politica, coiJ.tro i tipi di associazione umana basati sulla violenza e sui dolore, ove il rapporto umano non si fonda su di una consapevole misura (sul piacere, che è il frutto della libertà di pensiero: "l'essenziale per la felicità è la nostra condizione intima di cui siamo padroni noi ...
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Perché dovremmo ambire con ansia ciò che è un arbitrio altrui? ": Diogene di Enoanda, fr. 57), ma sulla paura, la doppia paura dei soggetti e dei dominanti, che cercano dominio, potenza, ricchezza per affrancarsi dalla paura degli altri. Gli uomini desiderano divenire famosi e ricchi perché pensano di mettersi cosi al sicuro dagli altri uomini... (Massime Capitali, 7). A niente giova il procacciarsi sicurezza .dagli uomini finché rimarranno i sospetti e le paure per le cose del cielo e dell'Ade e di ciò che avviene nell'universo (Mass. Cap., 13).
La cosiddetta apoliticità di Epicuro, è non un appello a vivere una vita individuale e monastica, ma a rifuggire da una vita politica che non è politica, che non è comprensione dell'uomo, di quello che dovrebbe essere il rapporto e la relazione umana. In realtà il mondo degli uomini è, per Epicuro, essenzialmente politico. Aggregato di atomi l'uomo, esso è relazione con altri aggregati di atomi-uomo, cioè in quanto si costituisce in polit~ia, giustamente, armoniosamente. E come di fatto esistono le cose - di cui gli atomi, lo spazio, il moto sono condizioni, - cosf di fatto esistono gli uomini e i mondi umani, i loro linguaggi, le loro relazioni, gli Stati: la giustizia c'è, il diritto c'è, la politk;a c'è, ma nè la giustizia (o l'ingiustizia), né il diritto, .né la politica sono di per sé; esistono solo in quanto si costituisca una certa relazione, che, in quanto st9rica, possiamo dire frutto di un contratto (sf come si poteva parlare d'un linguaggio storicamente convenzionale, naturale nei suoi elementi) che può cangiare di luogo in luogo, di circostanza in circostanza. "Non è la giustizia un qualcosa che è per sé (xot.&'ÉotuT6 ), ma solo nei rapporti reciproci e sempre a seconda dei luoghi dove si stringe un accordo di non recare e di non ricevere danno (Mass. Cap., 33). Il di.ritto secondo natura è il simbolo dell'utilità allo scopo che non sia fatto né ricevuto danno (Mass. Cap., 31). Da un punto di vista generale il diritto è uguale per tutti, poiché rappresenta l'utile nei rapporti reciproci, ma dal punto di vista delle particolarità dei vari luoghi e di ogni genere dei principii causali segue che una medesima cosa non è per tutti giusta (Mass. Cap., 36). Per tutti quegli animali che non poterono stringere patti ~er non ricevere né recarsi danno reciprocamente, non esiste né il giusto né l'ingiusto ... " (Mass. Cap., 32). Giusto, quindi, viene ad essere di volta in volta ciò che permette il mantenimento di equilibrato e armonico rapporto sociale, s( che
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ciascuno entro questo rapporto, determinatosi in legge, rispetti la libertà e l'armonia altrui, come che poi si realizzi, per cui il diritto varia nel contenuto da luogo a luogo, ed anche in ciascun luogo è valido finché si mantengono certe circostanze, finché serve. Fra le cose prescritte come giuste dalla legge, ciò che è comprovato essere utile nelle necessità dei rapporti reciproci bisogna che costituisca il diritto, sia che sia uguale per tutti, oppure no. Ma se viene sancita una legge che non risulti conforme all'utile dei rapporti reciproci, questa non ha piu la natura del giusto ... Quando, essendo mutate le circostanze, quelle medesime prescrizioni che erano giuste non sono piu utili, in tal caso erano giuste allora quando erano utili per la vita in comune dei concittadini, ma piu tardi non erano piu giuste, quando si rivelarono non piu utili (Mass. Cap., 37, 38). Comprendere: tale è il fine e l'impegno dell'uomo; tale la saggezza: di qui tranquillità e serenità che non è insensibilità o inazione, 1na dominio di sé, capacità di sapersi inserire - " l'uomo sereno procura serenità a sé e agli altri ": Gnom. Vat., 79 - in uno o altro rapporto sociale, senza provocare turbamenti, senza violenza; comprendere, che è storicizzare, oggettivare, e, quindi, nei confronti degli altri, rispetto, che viene a porre la piu alta relazione sociale, senza di cui l'uomo non è uomo, perché isolato, strappato dalla sua capacità di rapporto e di misura, e in cui, per Epicuro, consiste l'amicizia, che, in conclusione, è la piu verace forma di vita politica, e, sotto questo aspetto, la piu utile, in contrapposizione con quella forma di politica propria del tempo di Epicuro. Ogni amicizia è di per se stessa desiderabile, pur traendo origine dalla necessità (Gnom. Vat., 24). Di tutti quei beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il piu grande di tutti è l'amicizia. La mede· sima persuasione che ci assicura che nessun male è eterno o durevole, ci fa anche persuasi che in questo breve periodo della vita esiste la sicurezza dell'amicizia (Mass. Cap., 27, 28; cfr. anche Gnom. Vat., 34, 52, 78). Chiaro dovrebbe apparire ora il' peso politico ch'ebbe, fin dall'inizio, l'insegnamento di Epicuro, sia da un lato come posizione che venne aspramente combattuta (fino alla denigrazione sistematica della persona di Epicuro, raffigurata come quella di un uomo dedito ai piaceri piu crassi e alle pratiche piu basse) e ritenuta pericolosa per lo Stato
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(in particolar modo per il suo atteggiamento nei confronti della religiosità); sia dall'altro lato, invece, come posizione assunta da comunità di amici, che, nell'insegnamento del maestro, trovavano una possibilità di unione, la costruzione di una vita sociale, da cui politicamente si sentivano ormai esclusi. Ma soprattutto, piu tardi, nell'epicureismo si vide il simbolo ci una rottura contro ogni conformismo, l'indicazione del significato della libertà dl pensiero, che, a seconda di certe condizioni sociali, culturali e politiche, ha potuto giuocare tanto in ambienti popolari (non sembra un caso che Cicerone nella sua polemica antiepicurea, dica· che il pensiero degli epicurei si diffuse in Italia presso i " plebei "), quanto in chiusi ambienti signorili, culturalmente raffinati, che si distaccavano dalla politica ufficiale, in compiaciuti atteggiamenti di fronda (può essere interessante ricordare che una ricca biblioteca di testi fu ritrovata in una nobile villa di Ercolano). Ma questo avverrà in epoche diverse e lo si vedrà delinearsi bene al tempo in cui certe componenti del pensiero greco, accanto ad altre di origine orientale, verranno a determinare in un complesso giuoco l'atmosfera culturale entro cui si muoverà, in Roma, tra il II e il I secolo a.C., il conflitto delle " filosofie " e delle religioni. Certo è che la struttura dottrinaria dell'epicureismo si mantiene fin dal principio, e poi nei secoli, quale la troviamo in Epicuro stesso, tranne per qualche dettaglio interpretativo: sia per la semplicità dei principii che per la sua razionalità, sia per il suo tono di rottura che per il fatto di essere, piu che un sistema compiuto, una metodologia. b) Zenone di Gizio e la fondazione della " Stoà." Quando Epicuro giunse ad Atene nel 307/306 - "i era già stato per poco tempo nel 322 circa, - dopo avere insegnato a Lampsaco e a Mitilene, o~ . si erano costituite delle comunità epicuree, la sua personalità era già formata ed il suo modo di pensare egli già lo esponeva come un appello, come un richiamo a liberarsi, mediante esperienza e ragione - ·comuni a tutti - da ogni " filosofia " e da ogni " religione," tenendo presenti quei " canoni " o regoli misuratori del vero che rendono possibile misurare la realtà senza contraddizioni e mediante cui a tutti è possibile giungere a quéi certi principii formulati da Epicuro; ma anche se ad essi altri sono giunti, giungervi non significa affatto dipendere da quei primi. Di qui, anzi, l'irritazione di Epicuro allorché certi ambienti di Atene ne rintracciavano le __origini in Democrito, in Nausifane, o in altri.
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Pur se in un ambiente simile a quello di Epicuro, diversissima, invece la provenienza e la formazione di Zenone, 16 che, ad Atene, nella scuola del Portico (Stoà), aperta nel 300 circa, insegnò parallelamente ad Epicuro. Zenone non era greco. Di origine fenicia, era nato a Cizio, nell'isola di Cipro, nel 332 circa. Commerciante come lo era stato il padre Mnaseo, e dedito ai commerci marittimi, come narrano le " vite dei filosofi," egli si sarebbe dato alla filosofia, quando, trovandosi ad Atene, per i suoi commerci, il naufragio di una sua nave lo ridusse in estrema povertà, costringendolo all'inazione. Zenone aveva allora ventidue anni circa. In quei giorni di inazione, gironzolando per le vie di Atene, si trovò per caso presso un libraio e si mise a leggere l Memorabili di Senofonte. Chiesto al libraiò dove si trovassero gli uomini che scrivevano libri del genere e uomini come Socrate, il libraio gl'indicò Cratete, il cinico, che per l'appunto passava in quel momento. Zenone segui Cratete, il cui disprezzo per le ricchezze, in nome della ricchezza del saggio, conquistò Zenone, che piu tardi, sembra, dicev.1 che la sua piu vera ricchezza l'aveva conquistata con la perdita (il naufragio) della ric~.:hezza (Diogene L., VII, 5). È senza dubbio, questa, una ricostruzione a posteriori, tipica delle " biografie antiche," sorta allorché si era già venuta delineando la figura dello " stoico" Zenone. Egli, anzi, avrebbe accolto con tale imperturbabilità la notizia del naufragio che tutta Atene ne rimase ammirata. A parte che, allora, bisognava, per accettare questa ricostruzione, che Zenone· fosse già noto in Atene, troppo " stoicamente " egli accolse ,la notizia:• Altre fonti, ri16 Nato a Cizio, nell'isola di Cipro nel 332 circa, Zenone si dedicò dapprima al commercio. Commerciante era stato anche il padre. Per i suoi commerci di porpora, Zenone doveva viaggiare per recarsi nei maggiori mercati. Si narra che, durante uno di questi viaggi, mentre si trovava ad Atene, in attesa della sua nave che trasportava merci, ebbe la uotizia del naufragio della nave e, di conseguenza, del suo disastro finanziario. Rimasto ad Atene inoperoso e preoccupato sul da farsi, un giorno, presso un libraio, si mise a legg~re i Detti Memorabili. di Senofonte. Profondamente colpito dal modo di vita e dalla concezione socratica, si rivolse al libraio chiedendogli dove poteva trovare uo· mini come quelli di cui aveva letto. Il libraio, allora, gl'indicò Cratete cinico, che per caso passava di là. Zenone entrò cosi in dimestichezza con Cratete, volgendosi quindi alla filGsofia. ~ certo, questa, una ricostruzione a posteriori, che vuoi indicare 1 rapporti tra la conc::zione di Zenone e il cinismo. Sembra, comunque, che Zenone, oltre Cratete, abbia ascoltato anche Stii!>One :negarico, abbia avuto contatti con gli accademici e i peripatetiei. Di sicuro ·sappiamo che nel 300 circa apri una Scuola, in un edificio che aveva un portico dipinto da Polignoto (Stoà poikile), ove insegnò fino alla morte: sem· bra che si sia ucciso intorno al 264/3. Dei molti scritti di Zenone non leggiamo che pochi ed incerti frammenti. Titoli di sue opere sono: Repubblica, Passioni, Il dovere, LA logica, L'Universo, La legge, L'educazione greca, Sui segni, Problemi omerici, L'ascoltar poesia, Sull'arte, Sulle soluzioni, Elenchi, Commenti, L'etica di Cratere. Discepoli di Zenone fu· rono Aristone, Erillo, Perseo, Cleante che gli successe nello scolarcato della Stoà.
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portate da Diogene Laerzio, dicono, invece, che Zenone, già prima di venire ad Atene, aveva letto libri che il padre, il quale viaggiava per i suoi commerci, gli aveva portato dai maggiori centri culturali, e che giunto in Atene, oltre che di commerci, si interessava, per diletto, delle dispute dei filosofi, tra i quali avrebbe ascoltato Cratete, il megarico Stilpone, Teofrasto e Stratone di Lampsaco, Polemone, terzo scolarca - dopo Speusippo e Senocrate, morto nel 314 - dell'Accademia. Avvenuto il naufragio, si sarebbe quindi deciso a rimanere ad Atene, dove nel 300 apri la sua scuola. Sicuro resta, comunque, che Zenone si formò in Atene, che ad Atene soggiornò fin dal 300 circa, che frequentò Cratete e Stilpone, T eofrasto e Stratone, Polemone. È sembrato opportuno sottolineare queste notizie, perché subito presentano un quadro delle discussioni e degli interessi che senza dubbio stanno alla base della concezione di Zenone e che fin dal principio servono a delineare il tentativo di Zenone. Egli, sfruttando il motivo della " implicazione " dei megarici Diodoro Crono e Filone e del " sillogismo ipotetico " di Teofrasto, e basandosi sulla tesi sia cinica, sia megarica, sia aristotelica, che ogni conoscenza proviene dalle sen· sazioni, e si traduce in immagini e in nomi, e sviluppando la tesi aristotelica della memoria (De memoria et reminiscentia) e uno dei possibili esiti (grammaticale) delle Categorie di Aristotele, ha cercato di delineare le condizioni che determinano un retto discorso (l&gos) persuasivo, capace di comunicazione, eliminando le difficoltà della dialettica platonica, messa in luce da Antistene, da Euclide, da Eubulide, da Aristotele, con la conseguente implicazione della teoria della sostanza, messe in luce da un Eubulide, da un Diodoro Crono, da uno Stilpone. Entro l'àmbito di queste discussioni, che investivano in pieno la possibilità della scienza - come conoscenza delle cause prime e delle essenze - e la possibilità del discorso e della comunicazione, la soluzione zenoniana non fu quella cinica. In .effetto Zenone, affrontando tutte le difficoltà ch'erano sul tappeto, tentò di risolverle entro il campo dello stesso discorso (pensiero), in uno studio sistematico del " discorso," in una puntualizzazicne dd!e sue condizioni interne (èv3L&.~e-ro~,endùi tlzetos) e del suo esserci in quanto espressione linguistica ('TL'po<popn(O~ pmforic6s), grammaticale e retorica. Ed entro il discorso medesimo Zenone venne risolvendo tutta la realtà, che è tale, anche se ipoteticamente ,posta fuori del discorso, in quanto è presente nel discorso e si rivela e si esprime nel discorso, per cui da un lato la rettitudine del discorrere manifesta la vera realtà, la ragione e l'ordine sintattico delle cose (fisica), dall'altro lato la ragione e l'ordine del nostro vivere (ben
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pensare, che è ben parlare, sarà anche ben vivere), cioè la rettitudine
etica. Risolvere la cognizione esatta delle cose (fisica) e l'etica, come arte del ben vivere, nel saper pensare bene, implicava porre a fondamento del " sapere" la logica (arte del pensare, dialettica; e del discorrere, retorica: sembra, e non è un caso, che il termine " logica " per indicare la fenomenologia del discorso sia stato usato per la prima volta da Zenone) e far della logica, dell'etica e della fisica tre virtu, ché, per usare un paragone che fu proprio degli stoici, la seconda e la terza sono contenute nella prima "come il torio (fisica) e la chiara (etica) entro il guscio (logica) " (Diogene L., VII, 40). Il sapere è il bene perfetto della mente umana (Seneca, Ep., 89) ... e la filosofia è esercizio dell'arte necessaria al sapere (Aezio, Plac., I, 2) ... [La virro, dunque, consiste nel saper usare bene quest'arte necessaria, onde] la filosofia è studio della virro, ma per mezzo della virro stessa; ché non può esserci né virro senza studio di se stessa, né studio della virtU senza lei medesima (Seneca, Ep., 98). E le virtU piu generali sono tre: la naturale, la morale e la razionale; per la qual cosa anche la filosofia è Lripartita in fisica, etica e logica (Aezio, Plac., I, 2), di cui Zenone pone prima la logica, seconda la fisica e terza l'etica (Diogene L., VII, 40). Senza dubbio lo Stoicismo ad un certo momento raccolse e riso}. vette in sé molte posizioni originariamente distinte, usando sia Platone sia Aristotele, tesi ciniche come tesi megariche, costituendosi con l'andar dd tempo piu che in una precisa dottrina in un'atmosfera culturale. Ciò avvenne - e ne vedremo le ragioni e la portata storica - tra il II secolo a.C. e il II d.C., dal periodo che va dalla cosiddetta media-stoa (Panezio-Posidonio) allo stoicismo romano fino a Marco Aurelio e oltre. Ciò - data la perdita dei testi originali dei primi stoici, Zenone (332-264), Cleante, che resse la scuola dal 264 al 232, Crisippo (277-204 circa) - rende, nel complesso delle testimonianze, risalenti quasi tutte all'arco di tempo che va dal I a.C. al V d.C., e dei frammenti, molto difficile distinguere quella che fu la dottrina dei singoli stoici e l'architettura dello sviluppo e delle modificazioni interne dello stoicismo, che hanno portato in epoche diverse, rispondendo a situazioni e ad esigenze diverse, alla costruzione di uno " stoicismo " che di gran lunga si è allontanato dal primo stoicismo di Zenone. Ad ogni modo, da alcuni tentativi fatti, è risultata una prima netta distinzione tra la tesi e la soluzione di Zenone e quella del suo discepolo e successore Cleante, che di Zenone ha dato un'interpretazione piu fisico-teologica che non logica e quella del successore di Cleante, Crisippo, " il secondo fonda-
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tore della Sto a," che, organizzando in sistema le tesi di Zenone e di Cleante, ha approfondito l'aspetto logico dello zenonismo, con particolare riguardo alla dialettica e alla retorica, in uno studio sistematico del linguaggio significativo e dei suoi significati {mJ!L«(vov-roc, mJJLottV6JLV«E ), il cui esito, d;altra parte, lo ha condotto ad un'interpretazione teleologica-teologica del tutto, entro cui, per altre vie, potevano rientrare un certo platonismo ed un certo aristotelismo, si come un corpus di istituzioni dialettico-retoriche, che se da un lato ha potuto servire per la preparazione tecnica degli uomini di cultura, dall'altro lato ha potuto servire d'introduzione alla visione di un tutto ordinato e perfettamente scandito in ordini gerarchici, di cui facili a vedere sono le soluzioni politiche nell'ambiente romano. Ben diversa, sotto questo aspetto, la posizione del primo fondatore della Scuola, che soprattutto si preoccupò, entro i termini di una fenomenologia della conoscenza, e quindi di uno studio delle condizioni proprie del discorso, di risolvere le aporie messe in discussione. nei confronti della dialettica platonica e dell'analitica aristotelica, dai cinici e dai megarici. A Zenone si presentava particolarmente grave il problema ,della predicazione e il problema delle premesse, e qui ndi da un lato il problema della comunicazione e dall'altro lato dc-··_ strutture del reale corrispondenti ai principii logici, con la consegue.nte validità o meno dei sillogismi deduttivi. Il tentativo zenoniano poteva riuscire solo rovesciando l'impostazione platonico-aristotelica delle forme e sfruttando in senso linguistico-grammaticale - come d'altra parte era possibile le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, insieme al motivo aristotelico della memoria, intesa psicologicamente. Di qui il concetto nuovo di dialettica, rispetto alla dicotomia di Platone e alla dialettica (non scienza) di Aristotele, e il fondamento della logica stoica, che, come è stato detto (Mates, Stoic Logic, Berkeley-Las Angeles, 1953), invece d'essere una logica di classi diviene una logica delle proposizioni. Il primo problema di Zenone è cosi quello di ricercare non t nto le condizioni che rendono possibile pensare il reale, quanto il proble~ di quali siano le condizioni dello stesso pensare. I dati del pensare sono le rappresentazioni (fantasie): "la rappresentazione (cpotv-rotaLot, fantasia), diceva Zenone, è un'impressione (TÒ7tCrl.6yoç). Tale, dunque, la genesi delle rappresentazioni costituènti gli oggetti: rappresentazioni dette anche concetti (bivo~!L«-t«), "visioni mentali dell'anima egemonica" (Aezio, Plac., IV, 11; Diogene L., yn, 61}, I concetti (&vvo~fLot'tot: ennoèmata) non sono né entità né qualità, ma immagini mentali aventi una quasi-qualità. Sono quelli che gli antichi chia· mavano idee. Infatti si può parlare di idee per ogni cosa che ci si offra in forma di concetto, per esempio: di uomini, di cavalli e in genere di tutti gli animali e di tutti gli esseri di cui si dice che abbiamo le idee. Le idee non hanno una loro esistenza a sé: siamo noi che partecipiamo alla formazione dei concetti e troviamo i termini del linguaggio, i cosiddetti appellativi (Stobeo, Ecl., I, 136, 21 W.). Rappresentazioni mentali i concetti, indipendentemente dalla loro esistenza per sé, essi, grammaticalmente parlando, sono i soggetti, cui, perché sia possibile dirli, è dato un nome, che, ad un tempo, è l'unica realtà dell'oggetto in quanto pensato. Lo studio della genesi dei concetti, o nomi-oggetti-rappresentazioni, veniva a capovolgere il problema delle premesse del discorso. Le premP.sse, i concetti non sono né veri né falsi, né opinabili né non opimbiE, onde l'impossibilità, o l'astrattezza, una volta passati allo studio del come è possibile il discorso tra i concetti (la logica), della distinzione aristotelica tra premesse necessariamente vere e premesse probabili, d'onde la distinzione tra sillogismi dimostrativi e sillogismi dialettici, con le conseguenti aporie che ne derivano. Posti i soggetti come nomi-oggetti-rappresèntazioni, la logica, studio del discorso, si configura quale studio della, meccanica per cui l'un nome-rappresentazione-oggetto si articola all'altro. La verità o la falsità non sta nelle premesse, tutte ipotetiche, ma nella connessione dei dati rappresentazioni, onde la logica, come studio del discorso, delle condizioni che permettono il discorso (dialéghesthat), coincide con la dialettica, intesa, su testimonianza di Cice· rone, come " l'arte che instgita a distribuire una cosa intera nelle sue parti, a spiegare una cosa nascosta co.'!l la definizione, a chiarire una cosa oscura con una interpretazione, a scorgere prima, poi a distin· guere ciò che è ambiguo e da ultimo a ottenere una regola con la quale si giudichi il vero e il falso e se le conseguenze derivino dalle premesse assunte" (Cicerone, Brut., 41, 152; cfr. anche De orat., II, 38, 157; Tusc., V, 25, 72; Acad. Post., 28, 91; Top., 2, 6).
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Senza lo studio della dialettica il sapiente non può essere sicuro nel ragionamento. Essa insegna a distinguere il vero dal falso, ad accertare i gradi della probabilità, a scoprire le ambiguità. Senza la sua guida non è possibile procedere metodicamente nell'interrogare e nel rispondere (Diogene L., VII, 46). Sembra cosi chiaro il significato dato da Zenone alla dialettica che costituisce la parte generale della logica: arte del discorso, " con funzione discriminativa (8t1Xxpt·nx~) e ispettiva (è7ttaxrn't'tX~ ), che, per cosi dire, pesa e misura le altre parti della filosofia" (Arriano, Epict. diss., I, 17 sgg.), onde le arti dei dialettici sono definite " come misure di precisione adoperate per la paglia o per il letame, invece che per il frumento o per altre derrate di pregio " (Stobeo, Ecl., Il, 2, 12), spettando alla dialettica di " scoprire e confutare i sofismi " (Plutarco, St. rep., 1034 F.), cioè di eliminare, rendendosi conto della meccanica del discorso, gli errori clel calcolo ragionativo, in cui cons!ste il falso, msegnando perciò a " discutere bene " (Alessandro, Sopra ;,J.rist., 3). Il discorso è di due maniere: ragionativo e oratorio. Sicché, o dialettica o retorica. Col pugno chiuso Zenone soleva indicare il carattere conciso e serrato della dialettica, con la palma aperta e le dita tese l'ampiezza e la diffusione della retorica (Sesto Empirico, Adv. math., II, 17. Cfr. anche Cicerone, De finib., Il, 17; Orat., 32, 113; Quintiliano, lnst. Orat., II, 20, 7).
La funzione " ispetti va " e " discrimirÌatrice " della logica, il " so p· pesamento " della dialettica, porta1 ~ determinare, scoprendo gli scivolamenti tra il significato di un termine e il significato di un altro, in cui consistopo i sofismi (la paglia o il letame), a determinare che la verità non sta nelle premesse, né nelle rappresentazioni, ma nel giudizio, cioè nel modo con cui si afferma cr si m!ga qualcosa di qualche altra, nel come è che si articolano (unificando o disgiungendo) i concetti tra di loro, articolazione impossibile (e quindi impossibile predicazione, come giustamente volevano certi megarici e certi cinici) qualora i concetti siano qualitativi, premesse in sé già vere. La meccanica del discorso si fonda sulla memoria che costituisce necessarie implicazioni; "la memoria è una tesaurizzazione (&1ja1Xuptcr!J.6t;) di fantasie" (Sesto Emp., Adv. math., VII, 373): "chi ha avuto sensazione di qualche cosa, ad esempio del bianco, allo scomparire del bianco ne ha memoria. E quanJo molti ricordi. simili si generano, allora diciamo che si fa esperienza (è!J.7tetp(1X). L'esperienza, infatti, è
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un complesso di rappresentazioni dello stesso. genere" (Aezio, Plac., IV, 11). L'impressione A, ad esempio, in quanto fantasia catalettica, mediante l'assenso si determina come immagine dell'esistenza dell'oggetto cui diamo il nome di A. Una nuova impressione, modificante in modo simile ad A, si sovrappone al ricordo A, per cui resta nella memoria l'impressione dell'esistenza di A, la nozione di A. D'altra parte se non vi fosse che l'impressione A e non vi fosse ricordo, non riconosceremmo A, ma ci fonderemmo con A. L'impressione A è possibile solo se l'impressione A, modificandomi in modo diverso dall'impressione B, mi ricorda B, per cui posso dire che c'è A perché mi sento diverso da B, onde da un lato si costituiscono necessarie implicazioni, dall'altro lato previsioni e anticipazioni. Un certo complesso di impressioni-ricordi fa scattare un altro complesso di impressioni-ricordi, in una catena necessaria; un certo complesso di impressioni fa scattare, nel ricordo, l'anticipazione di un altro complesso di impressioni o nozioni. Sono queste quelle che gli Stoici chiamarono anticipazioni (prolèm) o nozioni comuni (xotvot( ~vvotott, koinai énnoiai), che si formano nell'uomo naturalmente, avendo la funzione di guise entro cui si determina il meccanismo del ragionamento, per cui il discorso si indirizza necessariamente in un certo modo (cfr. Aezio, Plac., IV, 11). Di qui, ~ella meccanica di ricordi e anticipazioni, il ragionamento anapodittico e i sillogismi ipotetici. I ragionamenti anapodittici, basandosi su nozioni non dimostrabili, ma evidenti in quanto fantasie catalettiche (sensibili), giungono a conclusioni evidenti, e su di essi si fondano i sillogismi ipotetici, per cui "mediante le cose piu comprensibili (evidenti per i sensi) si spiegano le cose meno evidenti " (Diogene L., VII, I, 45 e l, 46). Cosi, ad esempio, su testimonianza di Sesto Empirico, (lpot. Pirr., II, 157-158), l'impressione giorno meccanicamente si associa all'impressione luce, onde implicando il giorno la !uce, e viceversa, possiamo dire: " Se è giorno, c'è luce: è giorno, dunque c'è luce "; oppure: " Se è giorno c'è luce: non c'è luce: dunque non c'è giorno "; oppure: "Se non è giorno, è notte: è giorno; dunque non è notte"; "o è giorno o è notte: è giorno; dunque non è notte"; "o è giorno o è notte; non è notte: dunque è giorno." Tale, secondo Sesto, l'esemplificazione dei cinque tipi di ragionamenti anapodittici, o indimostrabili. Solo che a Zenone non interessava affatto la dimostrabilità sul piano ontico del sillogismo, quanto il modo con cui funziona il ragionamento, la cui verità consiste nel modo mediante il quale si articolano tra di loro i concetti, costituendo un discorso necessario, e la possibilità
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della predicazione, ché le nozioni, i concetti, non sono forme qualitativamente distinte. Le cose si pensano o per accostamento fortuito, o per simiglianza o per analogia, o per trasposizione, o per composizione, o per opposizioflo(' (Diogene L., VII, 52). Il discorso consiste nel distinguere gli elementi razionali concordi o ripugnanti fra loro, per cui si procede alle operazioni di divisione e composizione, analisi e dimostrazione (Sesto Emp., Adv. math., VIII, 275 e Galeno in Hipp. dc mcd. of/., XVIII, B 649 K). Il vero s'intende come qualcosa di semplice per natura, come, in questo momento qui " è giorno," " io parlo." La verità, invece, secondo scienza, si concepisce come costruzione sistematica di molte cose. Allo stesso modo altro è il popolo, altro il cittadino (Sesto Emp., Adv. math., VII, 40). Zenone, presentando la mano aperta con le dita tese: ecco, diceva, cosi è la rappresentazione. Poi, contraendo un po' le dita: e cosi è l'assenso. E quando le aveva strette del tutto e chiuso il pugno, questa diceva essere la comprensione. Quando infine aveva accostata la mano sinistra alla destra stretta a pugno e con essa stretto quel pugno con gran forza, cosi diceva essere la scienza (Cicerone, Acad. pr., II, 144-145).
Il ragionare, dunque, è il collegarsi e l'implicarsi necessario, mediante il ricordo, delle impressioni. Ogni impressione, che è quella che è, vera in quanto fantasia catalettica (" semplice per natura "), per mezzo dell'estrinsecarsi dell'attività dell'anima (heghemonic6n ), si collega e s'impagina con altre rappresentazioni catalettiche tesaurizzate dalla memoria. Ogni imp,ressione, fantasia, memoria, d'altra parte, resterebbe indeterminata, cioè inesistente, se nell'atto della qualificazione non le venisse dato un nome, che ne costituisca, appunto, la qualità: il suono che esprime la rappresentazione, suono fisico, costitQisce il segno dell'oggetto, che cosi designato assume la sua realtà, e che viene compreso da chi conosce quella certa lingua, perché altro potrebbe essere il 'egno, la voce, che designa un certo oggetto, evocando in chi ascolta, quel certo insieme di impressioni cui, appunto, si è dato un certo segno. Segno e designato, costituenti l'oggetto della rappresentazione, articolandosi, nella meccanica del ragionamento, del discorso, con altri segni e designati, dànno luogo alla significazione del ragionamento, cioè ne costituiscono la sua verità, che sta, perciò, nel giudizio, che rende enunciabile (~-r6v -lect6n) il discorso stesso, e, quindi, possibile la predicazione. Ecco perché Zenone poteva sostenere che mentre il segno e il designato sono corporei, non corporeo è il giudizio, ossia
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l'enunciabile, il lectén, o meglio, alla lettera, il " ciò che vien significato" (cfr., in particolare, Sesto Emp., Adv. math., VIII, 10-11).
Il problema del rapporto tra l'enunciabile e la cosa significata, e le relative discussioni e interpretazioni, la questione delle due parti della logica, quella che si occupa dei segni e dei significati (-rà: ln)!L«(vov't'<X-tà semainonta) e quella che si occupa dei significati ('t'à: ln)!J.<XLV6!J.&v« - semain6mena), non risalgono a Zenone, ma a Crisippo, e sottintendono tutta una nuova problematica relativa al passaggio dalla struttura del discorso significante alla struttura della realtà significata, che in Zenone, piu vicino alle discussioni megariche e ciniche nei confronti delle soluzioni ontiche di Platone e di Aristotele, restava tra parentesi. La questione, invece, si· rifarà viva e preoccupante dopo che Cleante svilupperà, in senso teologico e metafisica, certe implicazioni che si potevano trarre dall'impostazione dello zenonismo. Per Zenone, in effetto, tutta la realtà si risolve nel discorso, che esiste appunto solo in quanto discorso, per cui l'unica scienza è la logica (sia come dialettica sia come retorica), che postula, quali condizioni del discorso medesimo, il fatto dell'oggetto come presenza "impressionante" (l'hyparchon) e il fatto coscienza come attività unificatrice (l'heghemonic6n). Non a caso anzi l'heghemonic6n sarà detto "io" {-rò lyca: cfr. Galeno, De Plac. Hipp. et Plat., II, 2, 172 Miiller), centro di vita che, come testa di polipo irradiantesi nelle branche unifica il molteplice nel discorso {lMvoL«- dianoia) delle rappresentazioni, per cui non sembra senza interesse che il termine usato dagli Stoici per indicare l'implicazione, il legame con cui si costituisce il discorso, sia il termine ~yoÒ!J.e:voç (hegoumenos), che ha la stessa radice di heghemonic6n (cfr. Sesto Emp., lpot. Pirr., II, 157). L'hyparchon e l'heghemonic6n sono, dunque, solo in quanto dati di coscienza, fatti, ulteriormente non riducibili e che si risolvono nella realtà del discorso, senza piu alcuna distinzione tra soggetto e oggetto, nell'unità della coscienza che è lo stesso egemonico. Chi si volga ora a quei pochi frammenti, che sembrano proprii di Zenone, relativi alla fisica e all'etica, si rende conto che sia la concezione sulle co~dizioni che costituiscono la realtà sia la concezione sulla condotta si risolvono esattamente nel discorso, e che, in Zenone, non abbiamo alcun passaggio né alla visione di una realtà per sé stante né ad un conseguente assoggettamento dèll'uomo all'ordine e alla ragione di quella realtà. In un celebre frammento, riportato da Sesto Empirico, si legge:
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Il mondo è il prodotto piu perfetto della natura, e si può provare con buoni argomenti che esso è un essere vivente animato, intelligente e razionale. Ciò che fa uso della ragione è superiore a ciò che è privo di ragione; ma non c'è nulla di superiore al mondo; dunque il mondo ha l'uso della ragione. Ciò che è privo di sentimento e di ragione non può produrre da sé un essere vivente fornito di ragione; ma il mondo genera esseri viventi forniti di ragione; dunque il mondo è un essere vivente e fornito di ragione. Se dall'olivo nascessero flauti melodiosamente suonanti, dubiteresti un momento che l'olivo avesse una certa conoscenza dell'arte auletica? .E se i platani producessero corde armoniosamente vibranti? Certamente riconosceresti nei platani il possesso della musica. Perché, dunque, non s'avrebbe a ritenere animato e sapiente il mondo che genera dal proprio seno esseri animati e sapienti? Ciò che emette dal proprio corpo il seme dell'essere razionale è razionale anch'esso; ma il mondo emette da sé il seme del razionale; dunque il mondo è razionale. E ciò implica la di~ mostrazione della sua esistenza. La natura universale abbraccia le nature particolari, comprende perciò in sé le nature razionali, e deve essere razionale essa stessa, perché non è possibile che il tutto sia inferiore alla parte. Ciò che è privo di senso non può avere una parte senziente; ma il mondo ha parti senzienti, dunque il mondo non può essere privo di senso (Sesto Emp., Adv. math., IX, 85, 104, 107, 110; Cicerone, De nat. d., II, 21 sgg.).
È questo un testo estremamente indicativo che chiaramente rivela il metodo dell'argomentazione anapodittica e del sillogismo ipotetico, per cui da impressioni catalettiche, evidenti, mediante implicazioni, si postulano le condizioni che rendono pensabile la realtà. Ad esse, anzi, si passa dalle condizioni stesse che permettono il discorso. Se il discorso implica un principio attivo (egemonico, attività, forza vitale unificatrice, anima) e un principio passivo (il dato, il fatto, l'hyparchon, per cui è possibile il sentire), ambedue fatti di esperienza, dalla cui tensione (t6nos) si esplica il discorso, entro il quale si risolve tutta la realtà, principii della realtà possono, dunque, essere,. ipoteticamente o logicamente, un principio attivo e un principio passivo, corporei ambedue (ché l'incorporeo è impensabile: " niente può essere prodotto da un'entità incorporea: tutto ciò che agisce e produce effetti è materiale ": Cicerone, Acad. post., I, 39), dalla cui tensione scaturisce tutta la realtà, in un ordine fatale, concatenazione di cause ed effetti (destino: heimarméne), s( come fatale nel suo costituirsi, nelle necessarie implicazioni e anticipazioni, è il discorso. Tutto viene ad essere determinato, anche il futuro, secondo l'" argomento principe " di Diodoro Crono (cfr. sopra). In effetto non esiste né il passato né il fu-
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turo; il passato, il futuro, il tempo, sono memoria, ed è la memoria che costituisce la necessità delle implicazioni e delle anticipazioni, per cui è possibile la " divinazione," onde il tempo diventando giudizio, esso, come il lect6n, è incorporeo, accanto al luogo e al vuoto, incorporei, in quanto anch'essi giudizio. L'universo ha due principii: uno passivo, la sostanza informe, la materia [la quantità indifferenziata dell'impressione]; l'altro attivo, la mente, Dio [il soffio vitale, la ragione come attività unificatrice e qualificatricQ, l'anima]. Questo principio penetra nella materia, produce i quattro elementi e produce tutte le cose (Diogene L., VII, 134 sgg.). Questo spirito movente non è la natura, ma l'anima razionale che dà vita al mondo sensibile e gli imprime la bellezza di cui esso risplende, sf che il mondo è animato, beato, divino (Calcidio, In Tim., c. 292). Alito caldo, soffio vitale l'anima, il L6gos, la ragione che il tutto ordina e penetra, per cui tutte le cose nel tutto hanno la loro ragione, il proprio seme razionale (i l6goi spermatik6t), ché quella stessa Ragione non è se non costituendosi nel discorso del tutto, l'anima dell'universo, determinandosi come natura (il vivente discorso del tutto) è detta fuoco: " fuoco industrioso che procede con metodo nella produzione. Il piu alto merito dell'arte è nel fare e produrre; ora ciò che nelle nostre arti si compie per mezzo delle nostre mani, lo stesso, con molta maggiore abilità, si compie dalla natura, cioè dal fuoco industrioso e maestro di tutte le altre arti. Sicché la natura non è soltanto industriosa, ma è artista, e prevede e provvede tutto ciò che può essere opportuno e utile " (Cicerone, De nat. deor., II, 57 sgg.). Non sappiamo se già queste ultime tesi si possano far risalire a Zenone, e tanto meno se le conseguenze che da esse sono state tratte - le testimonianze sono tarde e mai viene fatto il nome di Zenone, ma si parla sempre genericamente di stoici - possano essere di Zenone stesso. Certo, ammesso pure che l'implicazione logica, risolventesi in sillogismi ipotetici, abbia portato Zenone a determinare come condizioni che rendono pensabile il discorso della rea,ltà il principio attivo (/6gos), il principio passivo (hyle, materia), il t6nos, la corporeità del tutto (incorporei il giudizio, il tempo, il vuoto, il luogo), non sembrano di Zenone gli esiti che, tuttavia, non ben comprese le ipotesi logiche di Zenone, se ne potevano trarre: una visione teologica e teleologica del tutto. Il tutto è animato e uno è il mondo; "l'universo (to h6lon) si distingue dal tutto (tò pan ). L'universo è il mondo; il tutto comprende anche il vuoto che è fuori
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del mondo. L'universo è finito, perchè il mondo è finito: il tutto è infinito, perché infinito è il vuoto fuori del mondo " (Sesto Em., Adv. math., IX, 322; Aezio, II, l, 7; Achille, lsag., 5, 129). "Il mondo è uno (Diogene L., VII, 143). Scandito in un ordine necessario, razionale, fatale e provvidenziale a un tempo, l'universo, scaturito dalla tensione del fuoco e della materia, si conclude nella conflagrazione universale (ekPfrosis), per ripetersi in necessari cicli identici a sé (eterno ritorno). Tutto avviene perciò come deve avvenire, tutto avendo la sua ragione (l6gos spermatik6s), momento della Ragione universale, ogni cosa implicante l'altra, in un'articolazione dovuta alla simpatia per cui tutto ha il suo destino. Sembra cosi che la concezione zenoniana si sia rovesciata e che dalla logica si sia passati a una visione fisico-teleologica e teologica a cui poi ha da adeguarsi e la logica e l'etica. A tal proposito, anzi, è interessante fin da ora ricordare che tra le parti della filosofia Cleante porrà anche la teologia (Diogene L., VII, 41) e che sua sarà l'espressione: "vivi secondo natura"; il saggio, chi sa, vive secondo la piu genuina natura deH'uomo, che è la ragione, la stessa ragione del tutto in uno sforzo continuo per liberarsi dall'esser preso (patire) da questa o guella cosa, assunta singolarmente, in un amore, invece, ordinato per tutti gli aspetti del· reale (apatia), ché tutti, anche quelli che a noi sembrano mali, per errore di prospettiva, sono un bene rispetto al tutto (donde, per il saggio, il fato, il destino, è provvidenza). A Zenone, piu che una cosmologia e una visione religiosa del tutto, piu che la concezione deHa simpatia universale e dell'universale determinismo razionale - cui tutto è sottoposto, l'uomo compreso sembra, invece, si possa far risalire la riduzione del tutto a discorso - da cui, certo, era possibile trarre le conseguenze che abbiamo detto: e questo sarà proprio di Cleante prima, di Crisippo poi - mediante la dialettica, arte che conduce a ben pensare, e la retorica, arte che conduce a ben parlare, in cui, d'altra parte, consiste anche l'etica, ché se bene pensiamo e parliamo, bene viviamo. In altri termini il saper vivere consiste nel saper ragionare. Il disordine, la passione, il vizio, sono errori logici. Non esiste una ragione per sé e una realtà per sé, ma un centro di coscienza attivo e ordinante (l'heghemonic6n), che si esplica ed è in quanto costituisce un tutto con la realtà del discorso, per cui la ragione non è né prima né dopo, ma è discorso. Se il discorso è retto, razionale, esso non presuppone passioni e vizi, ma le passioni e i vizi risolve in sé in quanto retto e ordinato discorso, onde passioni e vizi sono, presi a sé, irrazionalità, sono do-
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vuti, appunto, al non sapere pensar bene. Vi è a tale proposito un testo che possiamo far risalire a Zenone e che chiaramente precisa il significato logico dell'etica zenoniana, per la quale spetta all'uomo saper pensare, e per la quale, in conclusione, socraticamente la virtu umana non dipende affatto da ordini precostituiti, ma dallo sforzo umano d'essere se stesso, cioè ragionevole e quindi coerente a sé, donde scaturisce la virtu come coerenza (homologhfa) e atto conveniente (cathécon ). ~ l'egemonico che acquista varie disposizioni (7tot.&~aL) e abiti (l~L\1) e diviene vizio (xotx(otv) e virtu (&pE't"ljv).Ma non ha in sé niente di irrazionale (~>.oyov): e se si dice irrazionale, ciò avviene quando per il soverchio dell'impeto ('Iii~ Op(J.lj~) divenuto predominante (xpot'rfjaotV't'L ), si lascia trasportare a qualcosa di assurdo ( &'t'67t(J)\I) contro la ragione che decide (7totpli 't'Òv otlpoU\I't'ot Myov lxq;épc't'otL). La passione, infatti, non è che ragione (Myo~) guasta (7tOV't)p6c;) e dissoluta (&x6>.ota-ro~) che assume violenza e vigore in seguito ad un giudizio falso ed errato (Plutarco, De' vit. mor., 3, 44lc). Zenone considera la passione come volontaria e la fa derivare da un falso giudizio della ragione (Cicerone, Ac. post., I, 38).
Il vizio, dunque, è passione nel senso che è mancanza di ragione, o meglio è non capacità (non virtu) di ben pensare in cui consiste il ragionare,· per cui errare, l'errato giudizio, è un farsi prendere, un patire le rappresentazioni stesse che vanno in libertà (" Zenone, paragonando al cieco volo di uccelli spauriti la mobilità del passionale ..., sostiene che la passione è un correre sbigottito dell'anima ": Stobeo, Ecl., II, 7, l, 2); mentre il ragionare è un porre ordine (~yéo(J.otL), un confederare, legandole secondo la loro misura e implicazione, quelle medesime rappresentazioni. La virtU è una disposizione coerente, e si deve cercare per se S!tessa, non per nlcun timore o per alcuna speranza di cose esterne; e in essa consiste la felicità, in quanto l'anima è stata fatta per .la coerenza di tutta la vita (Diogene L., VII, 89) ... , onde la definizione del fine è, secondo Zenone, "viver con coerenza" (homologhia) il che vuoi dire vivere in conformità di una ragione unica e concorde, in quanto che coloro che vivono in modo contraddittorio sono infelici (Stobeo, Ecl., II, 75, 11) ... Si dice fine un bene perfetto, come si dice che è fine la coerenza; ma si dice fine anche lo scopo, come si dice che un fine è il vivere coerentemente e f.ìnr si dice l'ultimo dei beni desiderabili, al quale tutti gli altri si riportano (Stobeo, Ecl., II, 76, 16). Convenevole, cathècon [Diogene Laerzio, VII, 25,
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dice che il termine fu coniato da Zenone] è quello che quando sia compiuto nell'azione, si può pienamente giustificare dinanzi alla ragione ..., per cui il vivere convenientemente, applicato all'animale ragionevole, dà la formula: "coerenza nella vita" (Cicerone, De fin., III, 58 e Stobeo, Ecl.,
II, 7, 8). Poteva di qui derivare la netta distinzione tra bene (coerenza, implicante intelligenza, temperanza, giustizia, forza d'animo) e male (incoerenza, implicante stoltezza, dissolutezza, ingiustizia, viltà), tra saggio o virtuoso e non saggio o vizioso, donde, poi, tra bene e male, i cosiddetti indifferenti (&8t!Xcpopot): vita e morte, celebrità e oscurità, dolore e piacere, ricchezza e povertà, infermità e buona salute, che possono essere promossi qualora si eleggano per ragione di preferenza, retrocessi qualora si respingano perché non preferibili (cfr. Cicerone, Acad. post., I, 36, 37; De finibus, III, 50-54, 56; Stobeo, Ecl., II, 57, 19, 84, 18, 21; Diogene L., VII, 106). . Saranno questi i temi che verranno sviluppati dalla scuola di Zenone, ma in una interpretazione piu ontologica-teologica che non logico-linguistica (Cleante), e conseguentemente in una sistemazione dottrinaria che sarà propria di Crisippo e da cui sarà poi possibile la stoicizzazione del platonismo, o, com'è stato detto, la platonizzazione dello stoicismo, in uno sviluppo, d'altra parte, della logica stoica in senso aristotelico-grammaticale mantenendosi gran parte della terminologia propria degli Stoici, ove la dialettica e la retorica serviranno da introduzione alla comprensione del tutto, dell'uno da cui tutto, in gradi necessari, proviene.
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Parte seconda
Movimenti e correnti dal III secolo all'ambasceria di Critolao, Diogene di Babilonia e Carneade a Roma (155 a.C.)
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Capitolo primo
Circolazione delle idee nel III secolo
l. Timone di Fliunte ad Atene. Idee e polemiche. Cultura e politica. Eurolico e Filone di Atene scettici. l primi epicurei. l primi discepoli di Zenone e le prime interpretazioni. Alexino megarico. Aristone, Erillo, Perseo stoici Timone/ il discepolo di Pirrone, giunse ad Atene, circa ne~ 275, al tempo in cui Epicuro1 che' mori nel 270 per una grave malattia renale, e Zenone, che mori - sembra si sia ucciso - nel 264/3, erano nella loro piu piena attività, circondati di discepoli e di gente che intorno all'uno o all'altro maestro costituivano già delle comunità, fedeli a un certo corpo dottrinario. Timone aveva allora cinquant'anni circa, e da una ventina, conosciuto Pirrone, se n'era fatto il propagandista. Nato a Fliunte, nella Argolide, nel 325, da giovane Timone fu danzatore e mimo, ma sui venticinque anni, recatosi a Mègara, entrò in dimestichezza con Stilpone megarico, abbandonando l'arte del saltatore e della satira di palcoscenico. L'incontro con Stilpone ·ebbe, certo, una notevole influenza nella formazione di Timone e sul suo atteggiamento criticodialettico, soprattutto per quel che riguarda l'impossibilità del giudizio e della predicazione, le cui estreme conseguenze gli furono rivelate da Pirrone, che, d'altra parte, s'era formato anch'egli entro l'atmosfera delle dispute dialettiche, proprie dei megarici. lncontiatosi con Pirrone, forse a Oropo o a Fliuntt, nel 295 circa, Timone si trasferi a Elide, presso di lui, dove soggiornò, con la moglie e con i figli, fin verso l'anno della morte del maestro (275). Poi venne ad Atene 1 Nato a Fliunte nel 325 circa, Timone da giovane fece parte di una compagnia di danzatori. Sui venticinque anni, intorno al 300, conobbe Stilpone di Megara. Abbandonata l'arte dei mimi, si trasferl a Megara per ascoltare Stilpone. Ma l'incontro decisivo fu per Timone quello con Pirrone. Timone allora, che nel frattempo era tornato a Fliunte, dove aveva preso moglie, si trasferi con la famiglia ad Elide (àrca nel 295). Viaggiò molto facendosi maestro itinerante, sl come avevano fatto i Sofisti, fincM nel 275 circa, poeo dopo la morte di Pirrone, si stabiH ad Atene, ove rimase fino alla morte. Delle ~ue opere si ricordano: Piton~, I Silli, Appar~nzt!, L~ unrazioni, Contro i firici, 11 banchmo fun~br~ di Arcerilao.
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e ad Atene rimase per il resto della vita, che si concluse nel 230-225 ctrca. Non sappiamo niente di quello che nei confronti del pirronismo sia stato il pensiero genuino di Timone: o meglio, è facile che il Pirrone di cui parliamo sia in effetto la traccia delle discussioni lasciate da Timone negli ambienti stoici, epicurei e dell'Accademia. Certo è che del pirronismo egli si p,oclamò espositore e propagatore, sia oralmente - come vuole la tradizione - .;:.:! per quel che in effetto risulta dai pochi frammenti che abbiamo dei suoi scritti (Pitone, Silli, Sulle sensazionz). Ma ciò che piu colpisce in Timone - e che di lui tutti dicono da Antigono Caristo a Cicerone ad Aristocle a Diogene Laerzio - è il suo atteggiamento polemico e satirico nei confronti di ogni " filosofia " e ogni "opinione" (doxa), che non solo egli ben conosce, ma anche raggruppa per posizione, avendo senza dubbio a modello le doxografie uscite dalla scuola di Aristotele. Anzi, il tratto caratteristico di Timone, che rivela il suo inserirsi nella situazione culturale, fu, appunto, quello di far scaturire la validità e l'inoppugnabilità dell'insegnamento di Pirrone, attraverso una discussione serrata delle varie posizioni, per dimostrarne dialetticamente l'impossibilità teoretica. Q•Jesto è proprio dei Silli (in tre canti). I greci indicarono con il termine si/lo la poesia a carattere parodistico e scherzoso, che divertiva per quel che di maligno e di schernevole v'era sottinteso. Tali furono i Silli di Timone di cui possediamo 65 frammenti. Difficile è dire quale fosse la struttura dei tre canti. Si è sostenuto che i Si/li fossero una " fabula," oppure che fossero in parte (libri II e III) una parodia della nechia dell'Odissea omerica, una discesa agli inferi, dove si narrava l'incontro con le " ombre " dei filosofi (gli antichi nel Il, i moderni nel III), mentre il I libro sarebbe stato una " filosofomachia," risolventesi in una pura " logomachia," in una pura battaglia di opinioni, di pesci e pesciolini - antidogmatici e scolari - e di gente che va a pesca - stoici ed epicurei, - ma le cui reti (argomenti) sono troppo deboli per afferrare i pesci che continuamente scappano via (vedi Diels, Poet. graec. fragm.). Nel Pitone (di cui in realtà solo due possono dirsi frammenti: 80 e 81 Di.els) sembra, invece, che Timone si limitasse a esporre il pensiero di Pirrone senza far cenno ad altre filosofie, per cui si è pensato che il Pitone sia stato scritto duraf!te il soggiorno di Timone ad Elide, mentre i Si/li siano stati composti, dopo la morte di Pirrone, durante il soggiorno ad Atene, anche per la netta presa di posizione nei confronti della "catalettica " stoica, dell'insegnamento dogmatico
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di Epicuro e nei confronti di Arcesilao platonico. E cosi sembra che del periodo ateniese sia il trattatello Sulle sensazioni, in cui pare che egli prendesse posizione nei confronti del valore dato alla sensazione dagli epicurei e dagli stoici. Se Pirrone aveva insegnato attraverso l'esempio e la "parola," Timone piu che teorizzare quella " parola " e quella dialettica, tendeva, particolarmente nei Silli, a dimostrarne l'efficacia, mediante la polemica e la satira, cui era sotteso un piu profondo atteggiamento critico, che non solo doveva colpire la presunzione dei " sistemi " e la mentalità dell'" unico," tipica dei professori, ma anche delineare l'importanza storica ed etica della posizione di Pirrone, il significato dell'istanza pirroniana, secondo cui tutto va sottoposto a critica, nulla va assunto se non in forma ipotetica; ogni principio cosiddetto evidente si rivela alla fine discutibile, tanto che, appunto, relativamente a quella che è la realtà, sia quella attinta mediante i sensi sia quella presup~ posta medial).te la ragione, altro non resta che l'afasia. Naturalmente dovremmç~ ora ripeterei su quanto già abbiamo detto· relativamente a Pirrone. Ciò che, invece, sembra adesso opportuno sottolineare è il fatto che Timone scrisse dei Silli. I silli erano un genere letterario a carattere popolare. La polemica di Timone va veduta sotto questo aspetto: una popolarizzazione dell'atteggiamento etico di Pirrone, che mette in crisi, mediante la parola e la satira (" non è improbabile che a svolgere questa disposizione naturale abbia contribuito il fàtto d'avere egli passato gli· anni in cui il suo carattere si andava formando in mezzo ad una gente che, col riso, col motteggio e con lo scherno, si guadagnava il pane ": Voghera, Timone e la poesia si/lografica, Padova, 1904, p. 15), i tentativi dell'alta cultura, e soprattutto la mentalità acritica dei discepoli imbambolati dietro ai maestri. Se è vero, ad esempio, che a Zenone di Cizio Timone rimprovera la fragilità degli argomenti, è altrettanto vero che gli strali piu maligni sono rivolti ai suoi "leggeri" discepoli (fr. 38-39 Diels). E cosi è indicativa la frecciata contro Arcesilao (lo scolarca dell'Accademia, con cui l'Accademia assunse caratteri scetticheggianti) rivolta al suo compiacersi di avere incantato i discepoli con i propri discorsi, i quali discepoli sono come uccelletti che restano ammaliati dallo sguardo della civetta (fr. 34 Diels). Tale, sembra, il significato di Timone, soprattutto quando se ne consideri l'azione in Atene, entro i termini di un ben preciso ambiente culturale, in un inserimento dell'originario pirronismo nella circolazione delle idee, in una discussione, di cui si rintracciano chiare le in-
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fluenze, sia nell'irrigidimento difensivo della Scuola Stoica, con Cleante, che teologizzò in un corpo dottrinario assai fisso, utile alla scuola (alla setta), .in una forma di catechizzazione, quella ch'era stata la problematica logica di Zenone, sia nell'atteggiamento antistoico del megarico Alexino, il disputatore dialettico (per cui fu detto Elenchino), sia, infine, nella nuova problematica assunta con Arcesilao in seno alla vecchia Accademia. Nelle biografie antiche di Pirrone si rintracciano due precisi filoni, uno che interpreta la concezione pirroniana in chiave cinico-socratica, facendo di lui un uomo solitario, silenzioso, alieno da ogni cultura; l'altro che, invece, ne fa un uomo comprensivo e moderato, anche se polemista, che sa comprendere e vivere in ogni tipo di regime politico, ché l'uno vale l'altro, essendo tutti storicamente determinabili. Molto probabilmente il sorgere di questi due modi di interpretare la posizione di Pirrone risale ai suoi primi seguaci: a Timone di Fliunte da un lato, che sviluppò, inserendosi in una certa situazione culturale, l'aspetto dialettico e polemico, dando allo scetticismo una sua funzione critica, di non accettazione supina di alcuna dottrina; a Eurolico e Filone di Atene, dall'altro lato, che, almeno per quel pochissimo che ne sappiamo da Antigono Caristo (in Diogene Laerzio, IX, 68/9) e dallo stesso Timone (in Diogene Laerzio, IX, 69), abbandonarono ogni discussione, ogni interesse culturale, vivendo in solitudine. D'altra parte è troppo facile e storicamente falso delineare in aggruppamenti ben definiti posizioni stoiGhe da un lato (da Zenone a çleante a Crisippo) e posizioni scettiche dall'altro lato (da Timone ad Arcesilao a Carneade), in una oleografica opposizione tra filosofia positiva e filosofia negativa, accanto alle quali si delineerebbero posizioni di netto rifiuto di tutto, quali quelle di un Eurolico e di un Filone di Atene, o quella di un Aristone, discepolo di Zenone, che sarebbe tornato ad atteggiamenti cinico-megarici. In effetto la questione è ben piu complessa. L'indefinita problematica con cui si presentano le varie posizioni va considerata entro i termini di precise discussioni, che investivano anche, e soprattutto, a seconda di una o altra soluzione, la questione della condotta umana, il proprio comportamento politico, in una situazione, ad Atene in particolare, estremamente fluida. Non vanno per ciò scordate le conseguenze, cui, con un Teofrasto e uno Stratone di Lampsaco, era potuta giungere la ricerca metodologicodescrittiva di Aristotele (in Alessandria, ove, con i Tolomei, si era determinato un forte potere monarchico); l'atteggiamento dialetticoaporetico assunto dai tardi megarici e da Pirrone; la polemica di Epi-
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curo ed il suo appello alla fisica di contro alla riduzione della fisica a matematica, con tutte le conseguenze politiche che tale riduzione comportava nell'atteggiamento dei platonici di stretta osservanza (dalla religione astrale alle conclusioni mistico-simboliche del sorgente orfismo platonico-pitagorico: i cosiddetti pitagorici costituivano " allora in verità non tanto una scuola filosofica, quanto una specie di framn:tassoneria morale e religiosa ": Robin, Pyrrhon, Parigi, 1944, p. 5). Sotto questo aspetto si capisce bene in che senso, almeno nel primo ventennio del III secolo, il filosofare inteso come scire venga considerato non tan~o come amore di un sapere assoluto, ma come ricerca di quelle eh-:; sono le condizioni ipotetiche che permettono di pensare la realtà, in· dipendentemente òa ogni costruzione teologica (la fisica di Stratone di Lampsaco, il tipo di ricerca di Epicuro e la sua p~lemica contro Platone e un certo Aristotele); o come ricerca delle condizioni che permettono il pensare e il parlare, per cui si istituisce a scienza la logica e la retorica, e per cui si risolve entro il discorso la stessa realtà e la condotta umana (Zenone di Cizio, con tutte le conseguenze antologiche che il rovesciamento di questa stessa posizione poteva avere in sé); o come indagine precisa e concreta delle condizioni che permettono la fondazione dell'una o dell'altra scienza, verace entro i suoi limiti, onde, apparentemente, tale ricerca poteva non turbar~ la classe al potere (in Alessandria, il fondarsi delle scienze specifiche da Euclide ad Archimede); o, sempre entro quest'atmosfera, come descrizione, indipendentemente da ogni giudizio di valore, di quelli che sono i costumi dei popoli, la loro storia (si pensi ad Ecateo di Teo, detto anche di Abdera, perché tardo epigono dell'impostazione democritea dei costumi umani, frutto di convenzione non a caso ritenuto vicino a Pierone; di lui purtroppo non abbiamo che scarsissimi frammenti e testimonianze delle sue opere sugli lperborei, sugli Egizi, su Omero ed Esiodo, dei ,suoi accenni al popolo degli Ebrei, tanto che, secondo Giuseppe Ebreo, Ecateo di Abdera avrebbe scritto un libro sugli Ebrei: cfr. Ecateo di Abdera, fr. e test. in Diels, Vors.). Non solo, ma ciascuno di questi motivi non va considerato come isolato e a sé stante, ma in una circolazione di idee e scontro di idee che venne determinando, nel corso del III secolo, da un lato l'irrigidimento di certe posizioni, dall'altro lato profondi mutamenti nel loro stesso seno. In Alessandria, per le ragioni che sappiamo, si vennero delineando i fondamenti e lo sviluppo delle singole scienze, senza che tale attività influisse direttamente sulla direzione politica dell'Egitto; in Ate-
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ne, invece, anche perché, nel primo quarantennio almeno del III secolo, non si era ancora definitivamente determinato il potere dei Macedoni (solo dal 263 in poi Atene fu saldamente assoggettata ad Antigone Gonata), le conclusioni che si potevano trarre dall'insegnamento di Epicuro, in uno svincolamento del tutto dalla presunta necessità e divinità, portavano, nella polemica contro il teologismo e la superstizione astrale, su cui aveva puntato per costituire un ordine politico il Platone del X delle Leggi, e l'autore dell'Epinomide, a rivendicare da parte dell'uomo, con accenti sofistici e socratici, la libertà della propria azione in una libera costruzione della città e delle leggi; mentre l'interpretazione antologica e teologica, che Cleante dette del maestro Zenone, riconduceva, sia pure in un appello al cosmopolitismo, ad una visione teologica del tutto - anche se gli dèi della tradizione eran veduti come simboli delle leggi di natura - ove tutto si scandisce in un ritmo fatale e necessario e dove la libertà consiste in un'adeguazione del singolo al tutto stesso, in una liberazione da e non· in una libertà di. Proprio qui si rivela l'opposizione piu netta tra epicureismo e stoicismo, che ancor piu rilevante si farà in Roma, durante il I secolo a C., determinandosi in un'opposizione di carattere storicopolitico sempre piu precisa, e che si rivela dalle discussioni lunghe e serrate intorno al motivo del fato (heimarmène) e intorno a ciò che serve perché sia possibile una vita politica, sino a giungere alla molto chiara frase ciceroniana contro la tesi epicureo-lucreziana: " un simile modo di ragionare merita di esser soppresso non da qualche filosofo, ma da un censore" (De fin. bon. et mal., II, 10, 30). Ciò sembra spiegare chiaramente come fin dal principio, in Atene, epicureismo e stoicismo abbiano, da parte dei discepoli di Epicuro e di Zenone, significato una scelta politica, l'una o l'altra scuola divenendo col tempo veri e propri partiti politici. Certo, a prima vista, tale funzione sembra piu facile a capire per l'epicureismo, dato il suo appello, attraverso la liberazione dalla superstizione e dalla religio, alla libera - e comune a tutti - costruzione della propria condizione umana. Solo che proprio questo atteggiamento dell'epicureismo, nonostante la propagazione ~he ne fecero i discepoli in tutte le parti del mondo ("l'amicizia danza intorno al mondo abitato intimandoci di svegliarci e di partecipare alla vita beata," aveva esclamato Epicuro), venne sempre ostacolato da chi aveva in mano il potere, e non a caso Plutarco, scrivendo contro Colate, immediato discepolo di Epicuro, poteva dire: " La religione è ciò che unisce e tiene insieme la società umana, è il fondamento, il sostegno, la base di tutte le leggi che, in-
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vece, gli epicurei sovvertono e sconvolgono completamente" (Contra Colot., 1125e, 13-17 Bernardakis). In tal senso, certo, fin dal. principio si dovette svolgere la propaganda epicurea, piu che in una 'rielaborazione del genuino pensiero di Epicuro, da parte delle comunità di amici epicurei -- a Lampsaco, a Mitilene, a Atene - e da parte dei primi scolarchi del " giardino," dei quali quasi tutto è andato perduto, probabilmente perché essi costituirono, nel complesso della cultura greca del III secolo, la minoranza. Dei fratelli di Epicuro Neocle, Cheredemo, Aristobulo, dello schiavo Mys, che furono tra i primi a vivere insieme a Epicuro non sappiamo nulla; Metrodoro di Lampsaco, il piu caro discepolo di Epicuro, di cui Epicuro parla anche nel suo testamento, e il matematico Polieno, che Epicuro convinse ad abbandonare la matematica per la fisica, morirono prima del maestro. Non piu che nomi sono quelli di Idomeneo che sposò Bastide, figlia di Metrodoro di Lampsa.co, di Leonteo di Lampsaco e di s4a moglie T emistia, di Colate, per il quale non si sarebbe potuto vivere senza il conforto della filosofia di Epicuro, e contro il quale scrisse Plutarco, attraverso cui sappiamo dell'antiplatonismo di Colate, ugualmente critico dell'Aristotele platonico. E cosi sappiamo pochissimo del primo scolarca del " giardino," Ermarco di Mitilene, che fu l'esecutore del testamento di Epicuro, e dei suoi successori, in ordine di tempo, Polistrato (avrebbe scritto un'opera Ilepl &Myou XIX't'IX ) ; procedendo secondo questo criterio, agirà bene; infatti la felicità risulta dalla prudenza, ma la prudenza si esercita nelle azioni rette; ma azione retta è quella che, una volta compiuta, si giustifica come ragionevole; colui, dunque, che fa ricorso al ragionevole, agirà rettamente e conseguirà la felicità (Sesto Emp., Adv. math., VII, 158).
Si è molto discusso sul motivo dell'éulogon (cfr. Dal Pra, Lo scetticismo greco, Milano, 1950) e vi si è voluto vedere una contraddizione, ché, ci si chiede, tolto ogni assenso, sospeso ogni giudizio, quale è allora il criterio per determinare il ragionevole?, oppure vi si è voluto vedere non una tesi propria di Arcesilao, ma una sottesa critica allo stoicismo, che privato di ogni assenso deve porre, appunto, la felicità nel ragionevole, cadendo in contraddizione con se stesso (Couissin, Robin, Dal Pra), ché lo stoico di stretta osservanza concede la virtu e la felicità solo al sapiente in quanto sa la verità, lasciando all'insipiente, perciò stesso non saggio, una vita infelice, basata solo sul conveniente, mentre se vuoi essere coerente con se stesso, dimostrata l'impossibilità dell'assenso, deve concedere la capacità di una
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vita retta a tutti, poiché la rettitudine della vita sta in un sapere di volta in volta agire, ragionevolmente, indipendentemente da ogni contenuto già dato. Era questo, d'altra parte, sia pur per altra via, un proseguimento dell'etica socratica, che poteva benissimo esser veduta entro i termini del socratismo della prima parte dell'Etica Nicomachea di Aristotele. Con Arcesilao, dunque, che fu scolarca dell'Accademia dal 268 all'anno della morte (il 240 circa), la vecchia Accademia platonica assunse un nuovo atteggiamento (" Di Accademie, come dicono i piu, ce ne sono state tre: la prima e piu antica fu quella di Platone, la seconda o media, quella di Arcesilao, uditore di Polemone, la terza e nuova quella di Carneade ·e Clitomaco ": Sesto Emp., !potip. Pirr., I, 220), in un'interpretazione del platonismo che ne sottolineava l'aspetto della discussione e del dialogo, del filosofare come ricerca e consapevolezza critica, piuttosto che l'aspetto dogmatico, che aveva trovato la sua soluzione o nella traduzione in termini matematici delle strutture della realtà, che si era rivelato attraverso Speusippo (scolarca dal 347 al 339) e Senocrate (scolarca dal 339 al 314), o ne sottolineava l'aspetto di una morale fissa e teologica, che trovava la sua soluzione nell'abbandono della vita mondana, come dimostra la Consolazione di Crantore sul lutto (7te:pt 1tév-S-ouç ), che si era delineata appunto con Crantore, il cui genere consolatorio, diverrà, poi, un " topos " della piu tarda letteratura stoico-platonica (Panezio, Cicerone, Plutarco, Seneca) e con Cratete di Atene, scolarca dell'Accademia dal 270 al 268, successo a Polemone che aveva retto la Scuola dal 314 al 270. Ma non è forse senza interesse ricordare anche che Crantore fece un commento del Timeo. Non va, d'altra parte, scordato che Arcesilao, nato a Pitane nell'Eolide, nel 315 circa, fu dapprima discepolo, a Sardi, dell'astronomo Autolico di Pitane, e che, venuto ad Atene intorno al 296, all'età di diciannove anni, studiò teoria dell'armonia con Xanto e geometrià con Ipponico, che per alcuni anni fece parte del Liceo, sotto la direzione di Teofrasto il quale ne ammirò sia le doti di oratore, sia la preparazione in particolari campi scientifici (astronomia, musica, geometria), come in quelli della letteratura (fu lettore appassionato di Omero, di Pindaro, di Platone), e che, infine, avendo già acquistato una sua personalità, entrò all'Accademia, pare soprattutto per l'amicizia che lo legava a Crantore e attraverso Crantore a Cratete. Abbiamo ricordato queste notizie (cfr. Diogene L., V, 41; IV, 28, 44, 29, 32, 43, 30-32), per.:hé sia il suo primo contatto con Autolico, sia poi quello con Teofrasto, possono in parte spiegare l'atteggiamento critico di Arcesilao. Da Auto-
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lico aveva imparato piu che un'astronomia teologica di .tipo platonico il metodo scientifico di Autolico, che impostava l'astronomia non come ricerca delle leggi su cui il tutto si ordina, ma come studio delle condizioni che rendono misurabili i fenomeni celesti, particolarrpente per quel che riguarda il sorgere e il tramontare delle stelle fisse e il movimento delle sfere, come appare dai due trattati di Autolico' su Il movimento della sfera e su Il sorgere e il tramontare delle stelle. Da T eofrasto aveva potuto ascoltare sia che le scienze sono valide entro l'àmbito delle particolari scienze stesse, sia ·il metodo dialettico come discussione delle varie opinioni, onde in effetto il filosofare se da un lato si risolve nell'indagine su quelle che sono le condizioni che permettono le singole scienze, senza alcuna pretesa. a cogliere strutture e ragioni del tutto, dall'altro lato mantiene la sua validità in quanto consapevolezza critica delle umane possibilità, in cui, concludendo, Arcesilao vedeva il significato piu intimo dell'insegnamento socratico-platonico, e su cui fondò il proprio insegnamento per il quale fu zelantissimo, dedicandovisi tutto, e curando che i discepoli non solo ascoltassero le sue lezioni, che si dice furon sempre persuasive e ricche di problematica, ma desiderando che ascoltassero anche le lezioni degli altri maestri che insegnavano ad Atene, senza mai contrapporre alle altrui dottrine una propria dottrina.
3. La " filosofia " come ricerca critica e il costituirsi delle " scienze." l " filosofi " di Atene e i " filosofi " di Alessandria Cleante aveva definito la scienza conoscenza delle cose umane e divine, e tra le parti della filosofia aveva posto h teologia: l'ordine umano, la virtu dell'uomo consisteva per lui nel realizzare se stessi, in quanto tale realizzazione, se consapevole, significava realizzare ad un tempo la Legge e Dio, per cui, anche se in contenuti diversi e in conclusioni metafisicamente diverse, tornava a farsi viva l'impostazione del Platone delle Leggi, o, almeno, quella stessa religiosità che, se per un lato poteva servire come strumento politico con cui giuocare sulle masse incolte, legate ai vecchi dèi, ai vecchi riti e culti, dall'altro lato rispondeva a certe esigenze di evasione dalla vita mondana che, senza dubbio, si facevano sempre piu vive soprattutto in Atene, durante il III secolo. Esse in seguito dettero luogo a molte forme di irrazionalismo religioso, che si tradussero poi (11-1 secolo a.C.) in tentativi di gnosticismo simbolico, per il quale si usarono sia certe espressioni di Platone, sia certe espressioni ed aspirazioni di alcuni stoici, sia una certa interpretazione
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della tradizione pitagorica, in una sistemazione di antiche tradizioni cultuali diverse, che facevano capo ai misteri e particolarmente al Dionisismo: è appunto in quest'epoca e anche oltre che si vien costituend~ la teologia orfica, che rifiorisce l'astrologia, che nasce il " pitagorismo," che si vien sistemando la magia. Tuttavia, a fianco di Cleante, con Arcesilao e piu tardi con Carneade, in un ambiente che, accettate certe condizioni politiche, lontano dall'immediata presenza dei sovrani residenti a Pella, aveva, nell'àmbito delle Scuole, che vennero cost a costituire veri e proprii centri politici, una sua libertà culturale, il filosofare poteva essere inteso come consapevolezza critica della validità delle opinioni, tutte discutibili sul piano di una loro pretesa assolutezza. Sembra cosf interessante ricordare che né per Arcesilao né per Carneade si trovino testimonianze che parlino di loro critiche o polemiche nei confronti delle scienze o delle opinioni scientifiche che fioriscono contemporaneamente (III secolo) nell'ambiente del Museo di Alessandria, mentre essi se la prendono con quel tipo di scienza (stoica) che pretende di determinare in assoluto le strutture della realtà, spacciandosi per fisica. Ora, a parte la situazione politica di Alessandria, che forse non permise la discussione filosofica nei termini con cui si svolse ad Atene, permettendo invece, anche per le possibilità economiche concesse dai sovrani al Museo, ricerche particolari, sta di fatto che se da un lato il filosofare si pone come limitazione critica delle capacità umane rispetto alla costruzione e conoscenza del tutto (dalla scuola di Aristotele ai Megarici, ai Pirroniani, ad Epicuro stesso e a Zenone di Cizio, ad Arcesilao), dall'altro lato, ma sempre entro i termini di tale consapevolezza critica, filosofia diviene la matematica, la geometria, la medicina empirica, l'astronomia, la geografia, la meccanica e tos1 via, valide in quanto di ciascuna si colgano le condizioni che ne permettano la costruzione, che le facciano divenire appunto matematica;· geometria, astronomia, geografia. In altri termini non è tanto che Euclide, o Eratostene, o Apollonia di Perga, o Archimede, abbiano fatto delle scoperte in geometria, in fisico-meccanica, in matematica, quanto ch'essi, determinando certi postulati di discorsi, validi entro i termini, i confini (h6ro1) di quei discorsi stessi, hanno dato luogo a quella geometria, a quella astronomia, a quella meccanica e cosf via. Sotto questo aspetto sembra difficile ripetere il vecéhio luogo comune che mentre Atene rimase la capitale della filosofia e della retorica, in Alessandria, al Museo, venne meno la filosofia che dette il passo alle scienze particolari, alle doocrizioni, alla filologia. In effetto, quelle scien-
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ze particolari, quelle descrizioni, quella stessa filologia, erano esse, entro i termini dello studio delle condizioni logiche dei vari tipi di discorso, quale si era delineato in seno alla scuola aristotelica da T eofrasto a Strato ne di Lampsaco, il " fisico," a costituire l'indagine filosofica, la scienza nell'accezione aristotelica, o di deduzione da principii evidenti per sé, formalmente veri e tali da dar luogo a un discorso coerente e necessario (su cui appunto si verrà costituendo il tipo di discorso aritmetico-geometrico, indipendentemente dalla pretesa che quel discorso coincida con il discorso del reale, com'era per certi platonici, e, forse, per Platone stesso, e contro cui aveva polemizzato Aristotele), oppure di raccolta di materiale, dovuto all'osservazione diretta, e descrizioni, mediante cui determinare certi principii, o meglio regole, che permettano la classificazione di quelle stesse osservazioni, in un ordine che renda razionale il rintraccio dei dati (medicina, astronomia, geografia, meccanica). Non sembra cosi un caso che quelli che noi chiamiamo scienziati, che vissero, operarono, o si formarono ad Alessandria, fossero dagli antichi chiamati filosofi (mentre verranno poi chiamati " matematici " coloro che presunsero ad un apprendimento, mathema, assoluto: cfr. Sesto Empirico, Adv. math.); filologi furono detti invece quei ricercatori che lavorarono al Museo, occupandosi particolarmente di testi, di grammatica, e di edizioni. E cosi è non poco indicativo che a quelli detti filosofi sia stata in genere aggiunta la specificazione di " peripatetici" o "aristotelici." D'altra parte, già sappiamo, (cfr. sopra) che, ad Alessandria fondata nel 332 da Alessandro Magno, divenuta la ca· pitale del regno dei Lagidi quando l'Egitto divenne regno autonomo (con Tolomeo I Sotér, nel 305), Tolomeo I, interessato a raccogliere del vecchio Impero anèhe la tradizione culturale, non solo chiamò alla sua corte uomini celebri per cultura, ma anche, su consiglio dell'aristotelico Demetrio Falereo, fondò, a imitazione di quello già sorto in Atene presso il Peripato, con gli aiuti di Demetrio Faleceo quando era governatore di Atene, un vasto edificio a sede degli studi, detto Museo, come quello di Atene, ad onor delle Muse, ov'era compresa anche una ricca Biblioteca. Sappiamo inoltre che qua vennero, non solo per ragioni politiche, ma anche perché al Museo trovavano maggiori possibilità di lavoro, molti peripatetici e tra questi Stratone di Lampsaco, che, prima di divenire scolarca del Liceo, fu maestro del figlio di Tolomeo l, e che, sembra, trasfer1 ad Alessandria gran parte délla Biblioteca di Atene. Si venivano cosi costituendo le prime linee di quel tipo di ricerche, di raccolte, di descrizioni, in cui, secondo T eofrasto prima, Stratone poi, consisteva il piu serio filosofare.
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"Gli edifici del Museo comprendevano anche alloggi per i suoi membri, sale di dissezione per i medici e osservatorii per gli astronomi : Tolomeo ricorda, nel II secolo d.C., una palestra ed un portico quadrangolare contenente ciascuno un gran cerchio di bronzo destinato ad alcune osservazioni astronomiche, che facevano parte del Museo; e del Museo doveva far parte quel Giardino Zoologico in cui Tolomeo II Filadelfo raccolse diverse specie di animali esotici. Oltre i pasti collettivi, i membri del Museo ricevevano un'indennità, prelevata dalle casse dello Stato, senza pertanto esser costretti, sembra, a tenere dei corsi regolari; circondati da alcuni discepoli, potevano cosi consacrare tutto il loro tempo alla ricerca ed alla discussione sia tra loro, sia coi visitaturi di fama. Il loro numero raggiunse il centinaio circa, nei periodi di maggior splendore ... Avevano tutti a loro disposizione non solo le fonti materiali del Museo, ma anche una incomparabile Biblioteca, fondata ugualmente da Tolomeo I Sotér, su consiglio di Demetrio Falereo, ingrandita e arricchita dal suo successore Tolomeo Il Filadelfo, eh~ ne creò un'altra, piu piccola, nel santuario di Serapide. Questa biblioteca, ricca, si dice, di oltre 700.000 volumi, forniva ai filologi principalmente, ma anche agli 'scientifici,' una documentazione unica ... " (J. Beaujeu, La science hellénistique et romaine, in Hist. génér. d. sciences, I, Parigi, 1957; pp. 302-3). Il periodò in cui si ebbe al Museo maggior fervore e intensità di studi e di attività, in cui vi circolarono e vi si formarono i maggiori cultori delle scienze, .in cui dal Museo si irradiarono nuovi centri èi cultura, su imitazione del Museo ed in sua concorrenza negli altri regni ~llenistici, per elargizione dei re (si ricordino le biblioteche di Pella in Macedonia, di Antiochia in Siria, di Pergamo in Asia Minore), fu il periodo che va dal III secolo alla prima metà del II (nel 145 la Biblioteca e il Museo subirono i primi gravi danni per un saccheggio dovuto ad una rappresaglia durante una guerra civile), anche se fino al IV secolo dopo Cristo vi troviamo notevoli nomi di scienziati, nonostante l'incendio del 48 a.C., al tempo della campagna di Cesare in Egitto, nonostante la provvisoria chiusura dopo la conquista definitiva di Roma, nonostante i mutati interessi dal I secolo a.C. in poi: Sosigene e il fisico Erone vi operarono nel I secolo a.C.; nel II secolo d.C. il matematico Menelao, il medico Sorano, il celeberrimo astronomo T olomeo; nel III e IV secolo i grandi matematici Diofante, Pappo e Teone. Ipazia è l'ultima interna del Museo che conosciamo. Nel 390 d.C. la Biblioteca venne quasi del tutto distrutta su ordine di Teofilo, vescovo cristiano.
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Nel III secolo a.C. e nella prima metà del II, lavorarono ad Alessandria, si. formarono presso il Museo, o comunque ebbero a che fare con essp, o con i primi discepoli di Aristotele, oltre Stratone di Lampsaco e il suo scolaro, il grande astronomo Aristarco di Samo, Euclide (fiorito sotto il regno di Tolomeo I), i medici Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Coo, Archimede di Siracusa e Apollonia di Perga, il geografo e matematico Eratostene di Cirene, tecnici e ingegneri come Ctesibio e il suo scolaro Filone di Bisanzio. Naturalmente non è questo il luogo per soffermarci a descrivere e a esporre il contenuto dell'opera di ciascuno dei citati scienziati (rimandiamo alle singole monografie e alle storie della scienza). Ciò che, invece, qui sembra interessante è ricordare che, anche se ciascuno giunse a possibili conclusioni diverse, tutti accantonarono coi primi discepoli di Aristotele, la pretesa della ragione a cogliere i supremi perché, le supreme cause e i primi principii (e forse per ciò non ebbe seguito il tentativo di una " fisica" autonoma operato da Stratone di Lampsaco). In altri ambienti, intanto, altri - da Pirrone e Timone a Zenone di Cizio a Epicuro ad Arcesilao, che, non si scordi, fu discepolo dell'astronomo Autolico e di Teofrasto, a Carneade, - accantonavano proprio quella pretesa metafisica, dimostrando dialetticamente le ragioni della sua insufficienza e puntavano quindi, liberatisi da quegli ordini precostituiti, sulla capacità umana a costituire il proprio mondo (donde l'importanza ancora una volta data alla dialettica e alla retorica), potendo, appunto, l'uomo, mediante la retorica e la dialettica, ragionevolmente inserirsi nell'uno o nell'altro storico costume, modificandolo; o, prendendo le mosse dal fatto che l'uomo può inserirsi, modificandolo, nel suo stesso mondo, senza che già tutto sia compiuto, facevano l'ipotesi che la stessa struttura della realtà non sia necessariamente costituita;_ ma sia dovuta al caso (Epicuro). Sotto questo aspetto i filosofi di Atene - a parte Cleante - e i " filosofi " di Alessandria, o, comunque,' gli " scientifici," si mossero sullo stesso piano, anche se i primi, o per mancanza di mezzi adeguati, o per una maggiore libertà, o, soprattutto, innestandosi sulla tradizione che aveva avuto il suo inizio con i Sofisti, portarono il proprio discorso sulle condizioni dell'uomo e sulle sue possibilità di conoscenza e di azione (pratica), senza uscire dall'uomo stesso. I "filosofi " di Alessandria, neppure essi uscendo dal piano umano, vennero, invece, determinando, nell'ambito di ciascuna ricerca, i principii propri a quella ricerca stessa, consapevoli della formalità dei principii e che ogni scienza
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è valida, ma entro i termini dei suoi stessi principii, per cui a seconda del tipo di discorso può variare il metodo (dar luogo al discorso geometrico-aritmetico da condizioni logiche; o risalire dall'osservazione dei dati e dalla loro raccolta a postulare regole comuni che indirizzino nuove ricerche, dando luogo ai discorsi che costruiscono la botanica, la meccanica, la geografia, la medicina), senza con questo che i risultati raggiunti mettano in discussione la validità di ogni scienza, ché,. anzi, le une e le altre possono vicendevolmente trarre, dalle proprie conclusioni, tecniche operative che a loro volta possono determinare nuove teorie (Archimede). Cosi non è poco indicativo sottolineare il modo diverso per cui fu messa in discussione l'ipotesi eliocentrica formulata da Aristarco di Samo da parte dei " filosofi " alessandrini da un lato, e da parte di Cleante dall'altro lato. Aristarco, 7 nato nel 310 circa, fu discepolo di Strato ne di Lampsaco, e, come Stratone, si occupò di determinare le condizioni che permettono di. pensare la realtà (fisica), con particolar riguardo alla possibile misurazione dei fenomeni celesti e dei movimenti, apparenti e reali, delle stelle e delle sfere, cercando, d'altra parte, di determinare con metodo rigorosamente geometrico le distanze del sole e della luna e le loro dimensioni (cfr. il trattato di Aristarco, conservatoci, Sulle dimensioni e le distanze del Sole e della Luna). Abbiamo già visto come Eu~ dosso di Cnido ed Eraclide Pontico avessero tentato, forse anche con l'ausilio di modelli geometrici, di rendere conto dei movimenti erranti, che, appunto, sfuggono ad ogni misurazione. Eraclide Pontico, poi, a correzione del sistema astronomico di Eudosso, che non spiegava perché Mercurio e Venere nei vari periodi della loro rotazione presentassero diversi gradi di splendore, formulò l'ipotesi per " salvare i fenomeni " - che le orbite di Venere e di Mercurio non circondino affatto la terra, ma ruotino intorno al sole con un moto piu libero, e che a sua volta il sole, con Venere e Mercurio che ruotano int6rno a lui, ruoti - insieme alla Luna, a Marte, Giove e Saturno intorno alla terra, che, posta al centro del mondo, ruota su se stessa in 24 ore. Comunque c'è chi (Schiaparelli) ha sostenuto che da questa prima ipotesi Eraclide fosse passato a sostenere l'ipotesi eliocentrica. Nes1 Nato a Samo, Aristarco visse tra la fine del IV secolo e la seconda metà del III (mori nel 230 circa). Discepolo di Stratone di Lampsaco, Aristarco si occupò di fisica, studiando i rapporti tra la vista e la luce. I suoi interessi furono soprattutto volti all'astronomia. Di lui si conserva un trattato sulle dimensioni e le distanze del sole e della luna (tradotto e commentato dagli arabi, fu pubblicato in traduzione latina da Giorgio Valla e dal Commandino.
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suna testimonianza abbiamo in merito, mentre in Archimede, che pur conosceva il celebre Eraclide, leggiamo che l'ipotesi eliocentrica fu formulata da Aristarco: " l'ipotesi di Aristarco è che le stelle fisse e il sole sono immobili, che la terra gira intorno al sole, descrivendo una circonferenza e che il sole occupa il centro di tale orbita" (Archimede, Arenario, 5). La terra poi, testimonia Plutarco (De facie in orbe lunae, 6, 3), avrebbe avuto per Aristarco un doppio movimento di rotazione su se stessa, che spiega la rivoluzione quotidiana apparente della volta celeste, mentre la luna gira intorno alla terra. Ora, l'ipotesi eliocentrica di Aristarco, che non fu formulata come una cosmologia e come fede in un reale movimento del tutto, ma, appunto, come ipotesi che servisse a meglio indirizzarsi nella comprensione dei fenomeni, fu ostacolata da altri astronomi, non tanto perché falsa, ma perché, non conoscendosi la distanza incommensurabile delle stelle e del sole, nè era formulata l'ipotesi della gravitazione universale, sole, le costellazioni avrebbero dovuto subire deformazioni angolari; poiché, d'altra parte, si riteneva che la terra fosse piu pesante delle stelle e del sole, né era formulata l'ipotesi della gravitazione universale, ci si domandava come allora fosse possibile che il sole stesse immobile e che la terra si potesse muovere (cfr. Beaujeu, cit., p. 349) L'ipotesi di Aristarco veniva abbandonata (Archimede, Apollonia di Perga, Ipparco, Tolomeo), perché serviva meno a spiegare i fenomeni che non l'ipotesi geocentrica, che permetteva meglio, almeno allora, le misurazioni. Non si trattava, dunque, per i " filosofi " di Alessandria di contrapporre ad una falsità una verità, quanto di contfapporre a una ipotesi che serviva meno, un'ipotesi che serviva di piu, e per cui risultava piu vera l'ipotesi geocentrica che non quella eliocentrica. Ben altro, invece, il motivo per cui Cleante respinse con disprezzo l'eliocentrismo di Aristarco. Secondo Cleante i greci avrebbero dovuto intentare contro Aristarco un processo per empietà - " come la Chiesa," è stato detto, " doveva farlo diciannove secoli piu tardi a Galileo ": Beaujeu, cit., p. 349, -avendo egli rovesciato l'ordine naturale dell'unico mondo, rivelante lo stesso processo attraverso cui si rivela la legge di Dio (Cleante, Contro Aristarco, in Plutarco, De facie in orbe Junae, 6, 3, 923a). Se, d'altra parte, la stessa ipotesi geocentrica rispondeva meglio alla richiesta di Platone di salvare le apparenze, certo essa cosi come venne accettata dagli astronomi alessandrini (corretta da Ipparco nella seconda metà del II secolo), non avrebbe soddisfatto Platone, cosi come, anche se rintracciamo in Platone molte definizioni di geometria, quali ven-
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nero definite da Euclide, 8 non sapremmo dire se Platone avrebbe potuto accettare le condizioni dalle quali prende le mosse il ragionamento euclideo. Per Platone la geometria e l'aritmetica sono mezzi mediante cui, in un esercizio del pensiero, liberandosi dalla sensibilità, si doveva giungere a cogliere la ragion d'essere del tutto; per Euclide la geometria è un tipo di ragionamento fine a se stesso, vero, qualora se ne siano poste le condizioni evidenti, d'onde trarre tutto il seguito del discorso, inserendovi via via, in una necessaria catena, le varie definizioni, o i vari problemi e teoremi, isolatamente formulati nel corso della storia (sotto questo aspetto piu che a Platone, Euclide è vicino al procedimento scientifico di Aristotele, qualora si assuma in senso formale). In effetto, chi legga le opere di Euclide, dai tred:ici libri degli Elementi di Geometria (il XIV e il XV si è dimostrato che sono posteriori), all'Ottica geometrica, alla Catottrica, ai Dati, pur rintracciandovi definizioni e teoremi (sia geometrici, sia aritmetico-geometrici, come gl'i~ra zionali, la teoria delle proporzioni, il procedimento di esaustione), che furono determinati e discussi prima di Euclide (da Talete a Pitagora a Filolao ad Archita ad lppia ad Antifonte a Teodoro a Teeteto a P1atone a Eudosso di Cnido), se da un lato si rende conto che l'opera di lui fu essenzialmente una summa del raggiunto sapere geometrico, scritta con intenti espositivi, dall'altro lato si rende altrettantp conto ch'egli ha svuotato criticamente quegli stessi risultati dei predecessori dai contenuti extrageometrici e li ha tolti dai contesti in cui si trovano, per inserirli in un discorso che, puramente geometrico, determinasse la condizione che permette la costruzione della geometria stessa. Cosi se è vero che le definizioni euclidee di punto (aYjfLd6v !crnv, oo fLÉpoç oò.&év)- " segno [punto] è ciò di cui non c'è parte "; Punto è ciò cht non ha parti, - di linea e di superficie, possono farsi risalire a Platone (cfr. Sofista, 245a, dove però si tratta dell'unità, :he è ben altre e altro implica), o meglio alla rielaborazione della scuola .di Elea e ai primi pitagorici, o se si volesse anche ad Aristotele (cfr. De Anima. III, 6, 430b 20); è altrettanto vero che proprio la definizione di punto non a caso posta al principio del primo libro degli Elementi (stoichèia nel senso che si tratta di determinare le " lettere " che rendono possibile il linguaggio e le proposizioni geometrici), come primo termim 8 Poco o nulla sappiamo di Euclide ed incerta è anche l'epoca in cui visse, se non ch'egli operò ed insegnò ad Alessandria durante il III secolo. La prima citazione dd sue nome la troviamo nella prefazione che Apollonio di Perga (260-principio dd II secolo; premise alla sua opera. Gli seritti piu celebri di Euclide sono: Elementi, Dati, Ottica, Catottn.ca, Fenomeni, Questioni di Armonia. Possediamo di lui anche un certo numero ài
frammenti.
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(opoc:; = h61'os) non implica altro - si come l'atomo di Democrito o di Epicuro o di Stratone perché sia pensabile la realtà, - se non d'essere la condizione prima, terminale, perché sia possibile la costruzione di qualsiasi figura. E' chiaro cosi perché subito dopo il " termine '1 punto, abbiamo il " termine " linea e poi il " termine " retta e superficie, superficie piana e angoli piani e cosi via, e quindi i " termini" triangoli come prime figure semplici e i " termini" quadrangoli, per giungere infine alla celebre definizione, o " termine " delle parallele (" parallele sono quelle rette che situate in un medesimo piano, e prolungate all'infinito da ambe le parti, non si incontrano mai "). Già sappiamo che la parola termìne (ISpoc:;) era stata usata da Aristotele per indicare i confini (ISpoL) entro cui è valido il sillogismo. Sembra cosi evidente che termine ha in Euclide, che visse e operò nei primi anni del III secolo ad Alessandria, a contatto coi discepoli di Aristotele, lo stesso significato di confini, cioè, appunto, di termini oltre i guaii non è lecito andare, si come non è lecito andare oltre i termini di una proprietà (ISpo~ significa anche il termine della proprietà). Punto, linea, retta, superficie, triangoli, quadrangoli, parallele, sono cioè i termini che, indipendentemente dal loro esistere o dall'avere una loro essenzialità, rendono possibile tutto il discorso geometrico, che, d'altra parte, richiede ((tt't'ÉCù: aitéo chiedo, postulo: ed ecco perché dopo i termini o definizioni, Euclide pone le richieste, o postulati, aitémata): l) che da ogni punto si possa condurre una linea retta ad ogni altro punto; 2) che una retta terJ:llinata si possa prolungare continuamente in linea retta; 3) che con ogni centro e distanza si possa descrivere un cerchio; 4) che tutti gli angoli retti siano uguali fra loro; 5) che se una retta, incontrandone altre due, formi gli angoli interni dalla stessa parte minori di due retti, le due rette prolungate all'infinito s'inco~trano da quella parte in cui gli angoli siano minori di due retti. Poste le definizioni (o termini), ne derivano le richieste (postulati), perché siano possibili gl'incontri tra quei termini, cioè perché siano possibili tutte le costruzioni; si determinano, poi, certi concetti (lwoL«Lénnoiai), che non implicando contraddizione sono formalmente evidenti :1 tutti in quanto usiamo ragione, e sono, d'altra parte, comuni · (xoLV(tL-koinai) a tutte le scienze. Cosi dopo i Termini e i Postulati, Euclide pone i Concetti Comuni (koinai énnoiai: già in Democrito e poi negli Stoici), detti anche Assiomi, da axiumata, termine usato, invece, da Aristotele che con assiomi intendeva " quei principii che debbono essere
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necessariamente posseduti da chi vuole apprendere qualsiasi cosa ... costituendo una proposizione che rende possibile una dimostrazione " (Secondi Analitici, 72a 15 sgg., 75a 41-42). I comuni concetti vertono sul concetto di uguaglianza, disuguaglianza, il tutto maggiore della parte. Termini, postulati, comuni concetti rendono quindi possibile la deduzione e costruzione del discorso geometrico: Problemi, teoremi e proposizioni. I primi quattro libri degli Elementi trattano cosi le proposizioni fondamentali della geometria piana, il libro V tratta delle proporzioni tra grandezze, secondo la teoria di Eudosso, il libro VI applica alla geometria piana la teoria delle proporzioni, i libri VII-IX, o libri aritmetici, son dedicati ai numeri interi e alle loro proprietà, il libro X tratta geometricamente gl'irrazionali, i libri XI-XIII son dedicati alla geometria solida, che si conclude con la costruzione dei poliedri regolari, i cosiddetti " poliedri platonici," perché di essi Platone aveva discusso nel Timeo. Lo stesso procedimento di Euclide, indipendentemente dai presupposti teorici sull'essenzialità e la sostanzialità di ciò di cui si tratta, è usato da Apollonia di Perga 9 (nato nel 260 circa, morto sui primi del II secolo, che studiò a lungo al Museo, insegnando quindi a Pergamo e tenendo talvolta dei corsi ad Alessandria) nel suo trattato su Le sezioni coniche (in otto libri, di cui possediamo i primi sette, quattro in greco, gli altri tre in arabo), in cui, riprendendo studi già compiuti (da Menecmo, Aristeo, Euclide) sull'argomento, ne trae nuove conclusioni, aprendo il campo a ulteriori ricerche. Con metodo rigorosamente geometrico, su cui si è poi fondata la geometria analitica, Apollonia di P erga, detto il "gran geometra," ha dedotto le proprietà dell'ellisse, della prrrabola e dell'iperbole (tutti e tre termini coniati dallo stesso Apollonia), determinando quindi una relazione " che pone in diretta corrispondenza le tre specie di coniche con le tre specie di problemi di applicazione delle aree" (A. Frajese, La matematica nel mondo antico, Roma, 1951, p. 131). Di questi otto libri scrive Apollonia nell'introduzione generale al suo trattato sulle coniche - i primi quattro usano un procedimento ele1
Nato a Perga, in Panfilia, nel 260 circa, Apollonia studiò ad Alessandria al tempo
di Tolomeo III Evergete (247-222). Insegnò a Efeso e a Pergamo. Tornò di tanto in tanto ad Alessandria, ove tenne dci corsi, al tempo di Tolomeo IV Filopatore. Al re
di Pergamo, Attalo I (241-197), dedicò il IV libro delle ConiciJt!. Del suo trattato sulle Conicht! (in 8 libri) si sono conservati sette libri (i primi quattro in greco, gli altri tre in arabo). Dei rimanenti scritti di Apollomo è rimasta notizia attraver~o i commenti J1 Pappa (St!zione di rapporto, Sezwne di !fazio, Sez10TJe determmata, L~ mcl•nazzoni, i /uochi piuni, l conralll, Uk,ytokwn).
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mentare; il primo contiene la genesi delle tre sezioni e degli opposti (cioè i due aspetti della iperbole), e le loro proprietà fondamentali, con ùn'esposizione piu ampia e piu generale che non quella degli altri ~attati sulla materia. Il secondo libro si occupa dei diametri e delle assi dèlle sezioni, degli asimptoti e d'altre questioni d'uso generale o indispensabile per determinare i limiti dei problemi (diorismi). Dal primo libro si apprenderà quali sono le linee che chiamo diametri e quelle che chiamo assi. Il terzo contiene un gran numero di singoli teoremi che servono sia per la sintesi dei luoghi solidi, sia per i limiti; la maggior parte e i migliori sono nuovi; nel determinarli ci siamo accorti che Euclide non aveva effettuato la sintesi dello spazio a tre e a quattro linee, ma solo una a caso di una parte di tale spazio, e non felicemente, ma ciò non gli era possibile perché non aveva trovato quello che noi abbiamo scoperto. Il quarto libro determina in quante maniere le sezioni coniche possono incontrarsi tra loro e con una circonferenza di circolo, e, inoltre, risolve altri problemi, mai trattati da chi :i ha preceduto, e cioè in quanti punti una sezione conica o una circonferenza di circolo incontra sezioni opposte. Gli ultimi libri trattano teorie piu :omplesse: l'una discute, infatti, dei minimi e dei massimi, l'altra dell'eguaglianza e della simiglianza delle sezioni coniche, la seguente dei teoremt riguardanti i limiti, l'ultima infine di determinati problemi sulle coniche. D'altra parte non è senza interesse ricordare che Apollonia di Perga giunse a certi risultati e a formulare le sue teorie, attraverso l'aperta discussione e la ricerca comune con altri geometri e aritmetici dell'ambiente alessandrino, com'egli stesso ricorda nella prefazione al IV libro delle Sezioni coniche, in cui afferma che il IV libro rielabora e approfondisce uno scritto del geometra Canone, messo in discussione da Nicotele di Cirene, perché secondo quest'ultimo le conclusioni di Canone non sono utili. Celebre nella storia della geografia è rimasto Eratostene di Cirene, 10 nato nel276/272, vissuto ad Alessandria dove studiò, dove insegnò, dove fu maestro del figlio del re Tolomeo III Evergete, il futuro Tolomeo IV Filopatore, dove fu bibliotecario del Museo, e dove mori nel 195/192. Eratostene, di contro alla geografia fantastica di coloro che ancora in Omero vedevano la suprema autorità, raccogliendo da un lato le notizie e le precisazioni dei geografi a lui precedenti e i dati che poteva rica10 Eratostene, nato a Cirene nel 276/72, morto tra il 196 e il 192, visse prima ad Atene, poi ad Alessandria, dove fu chiamato da Tolomeo III Evergete (247-222). Fu maestro del figlio di Tolomeo III, il futuro Tolomeo IV Filopatore, e fu conservatore della Bibliotec~. Storico, poeta, grammatico, fu soprattutto matematico, astronomo, geografo. Della sua opera, di cui particolarmente c'informa Cleomede (De motu corp. raelestit<m, I, IO), sono rimasti solo frammenti e riassunti.
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vare dalle raccolte del Museo e dai viaggiatori, dall'altro lato applicando i risultati della geometria e della geometria astronomica, compose un grande trattato di Geografia e uno su La misura della T et·ra (dell'uno e dell'altro non abbiamo che pochi frammenti), in cui tentò di determinare geometricamente la materia trattata, occupandosi soprattutto di ricavare la grandezza della terra e di costruire carte geografiche (cartografia). Tolomeo dirà che oggetto proprio della geografia è: Far luce sulla forma e sulla grandezza della terra e sulla sua posizione rispetto alla sfera celeste, perché si possa definire l'estensione e la costituzione della parte da noi conosciuta, sotto quali paralleli celesti sono post:: le sue diverse regioni. Di qui si deducono le lunghezze dei giorni e del!: notti, le stelle visibili allo Zenith e quelle che si trovano sempre al disotto o al di sopra dell'orizzonte, tutto ciò, insomma, che è compreso nella no· zione di ecumène [di luogo abitato]. Tale, almeno per ciò che possiamo ricavare dai frammenti e dalle testimonianze, l'oggetto della geografia per Eratostene. La questione della misurazione della circonferenza della terra egli cercò di dedurla con argomenti geometrici basati su osservazioni astronomiche. Posto che Alessandria e Siene, in Egitto, siano sullo stesso meridiano, prendendo in considerazione l'arco di meridiano Alessandria-Siene, conoscendo la distanza tra le due città (5.000 stadi egiziani) e sapendo che il raggio solare è verticale a Siene e che, proseguendo in linea retta, raggiunge il centro della terra, mentre il raggio solare, parallelo a quello di Siene, forma ad Alessandria un angolo - misurato mediante lo gnomone emisferico - con la verticale che viene dal centro della terra, Eratostene poteva calcolare la misura della circonferenza terrestre mediante l'angolo Alessandria-Centro della terra-Siene, con un risultato che si sposta di pochi chilometri rispetto agli attuali risultati. Ma ciò che qui interessa non sono tanto i risultati in sé dei " filosofi " di Alessandria nel III secolo, quanto la loro indipendenza da pregiudizi teorici e il loro metodo critico, che se da un lato costruiva rigorosamente certe verità, dall'altro lato giungeva a quelle verità mediante l'osservazione diretta e il vaglio dei dati. Sembra, cosf, chiaro perché si possa dire che né Euclide, né Apollonia di Perga, né Eratostene, o alu;i, abbiano scoperto la Geometria o l'Aritmetica o la Geografia e via di seguito, facendo fare dei passi avanti a tali scienze (come se esse esistessero per conto proprio), ma piuttosto che, basandosi su certi dati, essi abbiano determinato certe condizioni che permettono certi
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tipi di ragionamenti su quei dati stessi, ragionamenti che hanno costituito quel certo tipo di discorso che è il discorso geometrico o il discorso aritmeticp e cosi via, s1 come per altre vie si cercava di determinare quei tipi di discorso, che servono a costituire i rapporti umani, e che sono i discorsi retorici, risolventisi in tecniche di discorso. Cosi le scienze, determinandosi come studio delle condizioni che permettono certi tipi di ragionamenti, atti a sinteticamente e ordinatamente inquadrare certi dati, divenivano valide in quanto tecniche di misurazione (geometria), tecniche di calcolo (aritmetica; per cui non a caso tanto Eratostene, quanto Archimede cercarono nuovi metodi di numerazione che rendessero piu facili i calcoli) mediante cui far luce, come diceva Tolomeo per la geografia matematica, e fare nuove e piu utili misurazioni, che a loro volta rendessero possibili costruzioni di utili macchine. Non va dimenticato che per quanto si tratti di aneddotica, Archimede 11 avrebbe formulato le sue piu alte teorie, prendendo le mosse da richieste fattegli da Gerone di Siracusa e dai siracusani, o per sapere se tutta d'oro era una corona senza doverla disfare, o per difendere o per abbellire la città. Certo, senza esporre qui i risultati celebri, r noti, di Archimede e le sue formulazioni scientifiche, ciò che ora piu interessa è che in Archimede - nato a Siracusa nel 287, formatosi ad Alessandria, operante per tutta la vita a Siracusa, allora centro di studi scientifici e tecnici, corrispondenti ad una notevole attività politica ed economica della città, stroncata dall'invasione di Roma, du~ante la quale, nel 212 Archimede venne ucciso, rimasto in contatto con i " filosofi " di Alessandria, e particolarmente con Eratostene, - in Archimede si vede bene il significato di tecnica dato alla scienza, cioè che la scienza è tale in quanto si realizzi tecnicamente e ·che la tecnica è tale in quanto la si deduce scientificamente, in un unico metodo le cui facce sono l'invenzione da un lato, la dimostrazione dall'altro lato. Non a caso Archimede poteva scrivere che· se da una parte certe.leggi si trovano (s'inventano) mediante la meccanica, dall'altra parte ciò che si è inventato va dimostrato geometricamente (Quadratura della parabola, II, p. 262 Heiberg), mediante un passaggio intuitivo dalla meccanica e dalla sta· tica alla geometria e alla deduzione geometrica. Il Nacque a Siracusa nel 287 circa, dall'astronomo Fidia, parente di Gerone, re di Siracusa. Archimede studiò ad Alessandria, dove entrò in amicizia con Conone di Samo (3Q0-240), Dositeo di Pelusio (270-200), Eratostenc di Cirene. Visse e operò nella sua Città, ove mori nel 212, ucciso da un soldato romano, durante il sacco di Siracusa. Dei suoi scritti conserviamo: Dd/a sfera e il cilindro. Misura dd circolo, Conoidi e sferoidi, Le spirali, Stt/1' eqttilibrio dei piani, Arenario, Qrradratura del/,, parabola, Sui corpi galleggianti, Stomachion, Ad Erarostene: metodo sulle proposizioni meccaniche, Frammenti.
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Ma siccome ti riconosco studioso e maestro eccellente di filosofia scrive Archimede nella prefazione al Metodo, scoperto nel 1907, in cui si rivolge all'amico Eratostene - e sai apprezzare, quando è il caso, le ricerche relative all'apprendere (matematiche), ho creduto bene esporti e dichiararti in questo stesso libro, le particolarità di un metodo, mediante il quale ti sarà possibile acquistare una certa facilità di trattare cose matematiche [relative all'apprendere] per mezzo di considerazioni meccaniche. Son persuaso, del resto, che questo metodo sarà non meno utile anche per la dimostrazione degli stessi· teoremi. Infatti, anche a me alcune cose si manifestarono prima per via meccanica e poi le dimostrai geometricamente; perché la ricerca fatta con questo metodo non importa una vera dimostrazione. Però è certamente piu facile, dopo avere con tale metodo acquistato una certa cognizione delle questioni, trovarne la dimostrazione, anziché cercarla senza averne alcuna cognizione preliminare. Per questa ragione, anche dei teoremi riguardanti il cono e la piramide, di cui Eudosso trovò per primo la dimostrazione, cioè che il cono è la terza parte del cilindro e la piramide è la terza parte del prisma, aventi la stessa base e altezza eguale, un merito non piccolo dovrebbe attribuirsi a Democrito che per primo- enunciò queste proprietà delle dette figure (Archimede, Ad Erato· stene sul Metodo, 43 r, col. l - 46 v, col. 2, 43 r, col. 2).
Della prima metà del III secolo sono le due grandi scuole mediche di Erofilo di Calcedonia 12 e di Erasistrato di Coo, 13 vissuti ad Alessandria. Erofilo ed Erasistrat~, per quanto avversari, si riallacciano ambedue alla tradizione ippocratica, a Prassagora di Coo e a Crisippo il giovane; Erasistrato, in particolare, all'atomismo di Democrito. Erofilo ed Erasistrato, in Alessandria, ebbero le piu larghe possibilità d'indagine, tra cui la dissezione dei cadaveri, proibita nel resto del mondo greco. Erofilo, celebre anatomico (si occupò del sistema nervoso e di quello vascolare, degli organi genitali e digestivi, dell'occhio, del cuore) ed Erasistrato, celebre fisiologo (trattò la circolazione del sangue e la funzione dell'aria per la vita animale), fondarono le loro ricerche mediche, in contrasto con i cosiddetti medici teorici o dogmatici (che risalgono a Diocle di Caristo), sull'osservazione diretta (autopsia), attraverso cui, mediante un certo complesso di segni comuni 12 Delle opere di Erofilo, nativo di- Calcedone, vissuto ad Alessandria, nel III secolo, celebri furono quelle sull'Anatomia, sugli Occhi, sulla Dietetica e sulla Terapia. 13 Erasistrato, nato nell'Isola di Coo, sulla fine del IV secolo,, studiò ad Atene sotto Metrodoro, marito di una figlia di Aristotele. e a Cnido ov'ebbe contatti col medico Cri· sippo il giovane. Si stabili ad Alessandria dove insegnò e agi fino alla morte. Nulla si è conservato dei suoi scritti, dei quali abbiamo soprattutto notizia da Galeno e da Celso Aureliano. Celebri furono le sue opere su Le febbri, e su Il sangue.
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determinare dei quadri clinici entro cui di volta in volta ordinare i singoli casi. Di qui la loro esigenza di conoscere a fondò e con precisione il corpo umano (Erasistrato oltre che di anatomia umana normale si océupò anche di anatomia comparata), donde, indipendentemente da og'!i causa in senso aristotelico (Erofilo sembra sia stato d'accordo con Teofrasto e con Stratone di Lampsaco ad accantonare ogni teleologismo) precisare le condizioni che permettono, ordinando i dati delle osservazioni, un retto discorso medico, una razionale tecnica medica. Non è cosi senza interesse ricordare la funzione che ha l'aria (pneuma) per Erasistrato, intesa da un lato come forza vitale (principio di vita), dall'altro lato come forza psichica, che, provenendo dall'aria esterna me~ diante i polmoni, permette la respirazione e giungendo al cuore, permettendone la pulsazione e l'irradiazione del sangue, dà vita ai corpi, nutrendone e rinnovandone continuamente i tessuti c gli elementi. Non forza occulta o divina, il pneuma ha per Erasistrato una funzione fisiologica. È stato detto (J. Beaujeu, cit., p. 388) che l'ostacolo maggiore che impedf a Erasistmto di comprendere totalm:::nte il meccanismo della circolazione fu l'ignoranza del fenomeno chimico reversibile, mediante cui il sangue si libera dall'acido carbonico, per impregnarsi di ossigeno, e per distribuire l'ossigeno mentre si carica di acido carbonico. Certo, mediante l'osservazione, fatta sui cadaveri, distinguendo le vene dalle arterie, come Erofilo, Erasistrato aveva ragione di ritenere che mentre il sangue circola per le vene, per le arterie circola l'aria, dando l'impulso alla circolazione del sangue. Pur basandosi sull'osservazione e sull'esperienza, sembra che tanto Erofilo quanto Erasistrato, allorché dal piano strettamente anatomÌ'co e fisiologico descrittivo, passavano al piano della patologia, sforzandosi di cogliere le cause delle malattie (Erofilo nella qualità del sangue; Erasistrato, le cui cure furon tutte basate sulla dietetica, nel modo con cui si muove il sangue), risolvevano i dati dell'esperienza in ragionamenti a priori, teoreticamente. Di contro a tali conclusioni, di contro a certo apriorismo di Erofilo, si mosse un discepolo di Erofilo, Filino di Cos, che, circa nel 250, fondò in Alessandria la cosiddetta medicina empirica. Secondo Filino, per il quale era necessario anche sganciarsi dalla troppa autorità assunta da Ippocrate, compito della medicina è solo quello di guarire, onde ogni caso è da risolvere per sé, indipendentemente da dogmi o teorie, ragionando solo sui dati e solo paragonando i dati tra di loro, analogicamente.
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La medicina non è stata, al suo pnnc1p10, frutto del ragionamento, quanto piuttosto dell'esperienza... Se i medici sono riusciti a qualcosa, è perché i loro metodi non sono stati attinti da cause oscure o dalla ragion d'essere delle cose..., ma dalle esperienze che sono loro riuscite (Celso, De medicina, Proemio, 48).
La scuola empirica prosegui con Glaucia di Taranto (II secolo) e con Serapione di Alessandria, che, riprendendo da Glaucia, fissava in tre le regole fondamentali della medicina (il tripode empirico): osservazioni e ricerche fatte dal medico in persona (autopsia); raccolta sistematica delle osservazioni fatte da altri medici (hystorie); le malattie vanno curate facendo ricorso ad altre malattie simili ed impiegando farmaci che l'esperienza insegna esser serviti per altre malattie analoghe (esperienza analogica). Già con Erofilo ed Erasistrato, detti dogmatici perché troppo legati a Ippocrate - le cui osservazioni erano or~mai da gran parte dei medici assunte come dogmi, - proprio per il loro riallacciarsi alla tradizione ippocratica, l'osservazione,. l'esperienza erano ritenute il fondamento dell'arte medica. Con Filino di Cos, l'empirismo medico assume un valore di metodo, che va oltre i limiti della medicina, e che piu tardi (II-I sec. a.C.) verrà scontrandosi cb~ la scuola pneumatica, che applicava alla ricerca medica il motivo del " pneuma .. stoico. Lo scontro tra medici empirici e medici pneumatici è assai indicativo, poiché per altra via rispecchia la piu ampia questione della discussione tra scettici e stoici, che dopo Cleante ed Arcesilao, proseguiva in Atene tra lo stoico Crisippo (2811277~208/204) e l'accademico Carneade (219-129), nell'arco di tempo che va dalla seconda metà del III secolo alla prima metà del II.
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Capitolo secondo
Da Crisippo, il "secondo fondatore" della Stoà, a Carneade. Il compimento del pensiero greco e Roma
Rispetto al complesso della dottrina stoica nella sua sistemazione, è difficile distinguere ciò che è proprio di Crisippo. 1 Sembra, anzi, attraverso le non molte testimonianze che direttamente parlano di lui, e non di " ciò che tutti gli Stoici ammettono in comune " (Diogene L., VII, 38), ch'egli, relativamente alla struttura della realtà, alla funzione di Dio, alla massiccia visione dell'universo, alla concezione per cui tutto avviene come deve avvenire, abbia ripetuto ciò ch'era stato esposto e sistemato da Cleante. Solo che altre testimonianze permettono di poter accertare che opera propria di Crisippo fu di ricostruire la dottrina stoica, cosf profondamente messa in discussione da Arcesilao, mediante argomentazioni che potessero resistere sia alle criti~he proprie della dia1 Crisippo nacque a Soli nell'isola di Cipro da genitori originari di Tarso in Ci· licia, tra il 281 c il 277. Nulla sappiamo della sua prima formazione c degli anni che passò in patria. Leggenda, sorta per inquadrare Crisippo nel solito clicM stoico, è quella secondo cui Crisippo si sarebbe dato alla filosofia dopo che gli furono confiscati i beni. Poco sappiamo anche del suo soggiorno in Atene, se non che fu seguace fedele di Clcantc, ch'egli, con la sua dialettica, difese dagli attacchi degli avversari. Crisippo conobbe a fondo le discussioni proprie degli Accademici, tanto da impadronirsi delle loro argomentazioni c del loro metodo. Forse, di qui, la voce, riportata da Diogene Laerzio, per cui Crisippo sarebbe passato all'Accademia e avrebbe filosofato con Arccsilao c Lacidc, scrivendo un libro Sull'abitudine e contro l'abitudine, in cui avrebbe esposto tesi proprie di Arccsilao (Diogene L., VII, 183). L'opera, come risulta da Cicerone (Arnim, II, 34, 12), sarebbe stata, in effetto, una raccolta di argomenti usati dagli accademici, che Crisippo avrebbe elaborato come strumenti da usare contro gli stessi avversari. Succcs'IO a Cleantc nello scolarcato della Stoà, nel 232, a cinquant'anni circa, Crisippo risollevò le sorti della Scuola, tanto che fu detto il •• secondo fondatore " dello stoicismo. Morl nella olimpiade 14 3 (208-204 ). Dei molti scritti di logica di Crisippo, sembra che sicuramente si possa dire ch'egli compose un'opera intitolata Prima introduzione sui sillogismi (in cui, forse, ci si riferiva agli Analitici di Aristotele) c un'altra intitolata JOcerche di logica; degli scritti di fisica conosciamo alcuni titoli: Sulla sostanza, Sul vuoto, Sulle abitudini, Sul moto, Sulla provvidenza, Sugli d~i. Sul fato, Fisica, Sull'anima; degli scritti di morale possiamo citare: Sulle passioni, Sui generi di vita, St4lla Repubblica, Sulla giustizia.
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lettic.a cinico-megarica, sia alle contraddizioni in cui Arcesilao aveva posto i principii fondamentali della concezione di Cleante. Tale, probabilmente, il senso delle affermazioni di Plutarco (Stoic. rep., 2) secondo cui Crisippo fu l'ascia che spezzò le argomentazioni degli accademici, di Cicerone (Lucullus, 24, 75, 22), il quale dice che Crisippo è ritenuto l'uomo che ha messo i puntelli al Portico degli Stoici, di Diogene Laerzio (VII, 83) che afferma che, se Crisippo non ci fosse stato, neppure ci sarebbe stata la Stoà. Sembrano poi derivare da Crisippo certe tesi secondo cui, di contro a sicure polemiche, si sosteneva che la perfezione del mondo non è affatto compromessa dalla presenza del male fisico e del male morale e che l'indipendenza della volontà umana può conciliarsi con la legge del destino, ché la volontà in quanto appetito del fine viene a coinci· dere, poiché il fine supremo è Dio, con lo stesso intelletto in un'opzione tra l'adeguarsi all'ordine e alla Legge o il rimaner dispersi nelle passioni. Certo è, invece, che l'aspetto piu appariscente e piu originale di Crisippo, che già maggiormente colpi i suoi contemporanei, consiste nella sua revisione del sistema di Cleante e di Zenone, in un approfondimento delle stesse argomentazioni di Arcesilao, e, di conseguenza, nel significato dato alla dialettica. "A me basta conoscer le tesi, avrebbe detto, penso io a trovarne le prove " (Diogene L., VII, 179). Per poter controbattere Arcesilao, bisognava porsi sullo stesso piano, cioè rimettere in discussione i tre punti fondamentali della tesi stoica: la genesi della fantasia catalettica con la conseguente problematica se il dato-impressione sia un puro calco dell'oggetto; il possibile passaggio dal " segno " e dal " significante " al " significato," corrispondente o no allo stesso significato del reale; il possibile passaggio dalla legge costituente i discorsi e la loro veracità alla legge e al discorso su cui si scandisce la realizzazione dell6gos spermatik6s. Riprendendo con Zenone la questione della possibilità della predicazione, indipendentemente dall'oggettività delle premesse, mediante la discussione della dialettica cinico-megarica, e l'approfondimento delle implicazioni di Diodoro, Crisippo poteva, con Zenone, determinare i termini entro cui funziona un ragionamento, vero se rispetta certe condizioni, falso se non le rispetta. Si capisce cosi' come Crisippo, sempre rifacendosi a Zenone, sostenga di contro a Cleante (cfr. Diogene L., VII, 50; Sesto Emp., Adv. math., VII, 229-231, 372-373) che l'impressione non è un puro calco che direttamente stampa nell'anima l'immagine della cosa, ma che ogni rappresentazione è una modificazione (hepo(6>atc;) dell'anima, che ci afferra a seconda della sua evidenzialità, e a cui diamo l'" assenso "
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non tanto perché corrispondente o meno all'oggetto, che già dovremmo conoscere per sapere se corrisponda o no all'impressione, ma in quanto fortemente presente. Il discorso, quindi, sganciandosi di nuovo dai dati presi per sé, e basandosi su dati-modificazioni, che si implicano l'un l'altro mediante la memoria, in nessi dovuti all'attività del soggetto, assume una sua verità o falsità a seconda di come si costituiscono quei nessi, indipendentemente dal riferimento all'ordine e ai nessi con cui procede la realtà, anche se la parola, il segno significante la rappresentazione comprensiva (catalettica), rispecchia l'oggetto che ha provocato la impressione stessa - come,. sembra secondo Crisippo, dimostrerebbe l'etimologia delle parole, in un certo qual modo imitazione degli oggetti nei loro primi elementi fonici: cfr. Origene, Contra Celsum, l, 24; Ethymol. Magn., s.v.; Ammonio, In Arist. de interpret., p. 42 Busse, ma che, in quanto tale, senza l'attività propria del soggetto, resta senza nessuna possibilità di nessi e implicazioni. Una cosa è dare l' " assenso " a ciò che evidenzialmente colpisce, onde non v'è comprensione senza assenso, altra cosa è la comprensione e l'implicazione dei dati " compresi," donde scaturiscono il vero e il falso. Crisippo, riconosciute valide le obbiezioni di Arcesilao e dei megarici, finché dogmaticamente e univocamente si sostenga la corrispondenza tra cosa e rappresentazione, ché, allora, non si può sostenere che un discorso possa essere vero o falso, e posta, invece, la tesi della modificazione, poteva concludere che le rappresentazioni puntualmente prese non sono né vere né false, ma che falso e vero sta nel giudizio, nel lekt6n. Di qui la dialettica di Crisippo, intesa come scienza del discorso, mediante cui si determina la validità delle proposizioni, se si ordinano le proposizioni in sillogismi ipotetici e ragionamenti anapodittici, studiando i vari tipi dei lekta, o significati enunciati, come espressioni verbali che possono essere incomplete (~ÀÀL mj) o complete (otÒTOTEÀljj ), risolventisi in tal caso, in proposizioni (interrogative, esortative, imperative), vere o false qualora siano dichiarative (assiomatiche). Tale studio delle parti del discorso e del loro ordinarsi, costituisce una grammatica e una sintassi (cfr. soprattutto Sesto Empirico, Adv. math., VIII; Diogene L., VII, 64-69). Entro questi termini dovevano rientrare le quattro categorie stoiche (soggetto, qualità. stato, relazione), delle quali, si badi, non parlano né Sesto né Diogene Laerzio, ma i commentatori di Aristotele (Alessandro, Simplicio, Porfirio). Crisippo sembra cosi aver risolto la logica in un'analisi del linguaggio, che serve a scoprire le regole di come è che funzionano i ragionamenti, il loro costituirsi in premesse e conclusioni mediante im-
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plicazioni, determinando certi legami linguistici, donde scaturisce il vero o il falso del discorso stesso (sillogismi ipotetici, ragionamenti anapodittici), per cui la dialettica, in quanto analisi di ciò che permette il ragionare (8~et-Àéy(l) ), viene definita: Scienza delle cose che sono vere, di quelle che sono false, e di quelle che non sono né vere né false: la dialettica verte perciò, come dice Crisippo, sui segni e sulle cose significate (Sesto Emp., Adv. math., XI, 187). Ogni rappresentazione, in quanto modificazione dell'anima e ricordo, è un "segno" (..-ò p6VT]atç nei "Topici" e nelle "Etiche" di Aristotele, "Phronesis", 1984, pp. 50-72; D. PESCE, Nota sulla relazione tra etica e politica in Aristotele, "Rivista di Filosofia Neoscolastica", 1984, pp. 140-144; J. SAINT-ARNAUD, Les définitions aristotéliciennes de la justice. Leurs rapports à la notion d'égalité, "Philosophiques", 1984, pp. 157-173; B. Bossi DE KIRCHNER, El concepto aristotélico de eudaimonia, "Ethos", 1984-1985, pp. 247-283; E. Nuzzo, Vico e !"'Aristotele pratico": la meditazione sulle forme "civili" nelle pratiche della 'Scienza Nuova prima', "Bollettino del Centro di Studi Vichiani", 1984-1985, pp. 63-129; A. GIULIANI, La definizione aristotelica della giustizia. Metodo dialettico e analisi del linguaggio normativa, Perugia 1985; M.L. HOMIAK, The pleasure of virtue in Aristotle's mora! theory, "Pacific Philosophical Quarterly", 1985, pp. 93-110; T.H. lRWIN, Mora! science and politica! theory in Aristotle, "History of Politica! Thought", 1985, pp. 150-168; D. KsYT, Distributive justice in Aristotle's 'Ethics' and 'Politics', "Topoi", 1985, pp. 21-45; E. LA CROCE, Etica e metafisica nell"Etica Eudemia' di Aristotele, "Elenchos", 1985, pp. ~9-41; E. PROULX, Le thème de l'amitié dans l"Étique à Nicomaque' et l"Ethique à Eudème', "Lavai Théologique et Philosophique", 1985, pp. 317-328; W. VON LEYDEN, Aristotle on equality and justice. His politica! argument, London 1985; A.J. CELANO, The understanding of the concept of 'felicitas' in the precommentaries on the 'Ethica Nicomachea', "Medioevo", 1986, pp. 29-53; R. HEINAMAN, The 'Eudemian Ethics' on knowledge and voluntary action, "Phronesis", 1986, pp. 128-147; R. HuRSTHOUSE, Aristotle "Nicomachean ethics", "Philosophy", suppl., 1986, pp. 35-53; D.S. HUTCHINSON, The virtues of Aristat/e, London-New York 1986; C.M. KoRSGAARD, Aristotle on function and virtue, "History of Philosophy Quarterly", 1986, pp. 259-279; T. ScALTSAS, Weakness of will in Aristotle's ethics, "The Southern Journal of Philosophy", 1986, pp. 375-382; B. WALD, Genitrix virtutum. Zum Wandel d. aristate!. Begriffs prakt. Vernunjt, Miinchen 1986; J.E. HARE, Aristotelian justice and the pull to consensus, "Journal of Applied Philoso-
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sings: 'Rhetoric', 1357bl-25, "Phronesis", 1989, pp. 343-351; S. GASTALDI, Aristotele e la politica delle passioni. Retorica, Psicologia ed Etica dei comportamenti emozionali, Torino 1990.
Il. DALLA MORTE DI ARISTOTELE ALL'APERTURA DEL 'GIARDINO' DI EPICURO E DELLA 'STOÀ' DI ZENONE DI CIZIO E DEI PRIMI STOICI l. TI pensiero 'ellenistico'. Storiografia e interpretazioni
La riflessione filosofica sui modi con cui si determinano le condizioni che permettono i tipi di sapere (di scienze) si prosegue dopo Aristotele, sulle suggestioni di Aristotele, con il primo Peripato - da Teofrasto a Stratone di Lampsaco - e, ad un tempo, con le correnti che si muovono, in discussione con Aristotele, dagli epigoni di Democrito - Metrodoro di Chio, Anassarco - alla ripresa della messa in discussione della liceità di passare dai modi di pensare dell'uomo alla struttura della realtà, in una ripresa di posizioni sofistiche e socratiche- cinici, megarici -, dove s'impostano vivaci problematiche logiche (Alexino di Elide, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone di Megara) e di 'ricerca' aperta (Pirrone). Difficile è, perciò, rigidamente tagliare scuole e movimenti, se non vedendone genesi ed esiti in situazioni storiche precise, senza confondere tutto in una sola parabola, dalla morte di Aristotele al L sec. a.C., sotto l'unica denominazione di 'Ellenismo'. Indipendentemente dai vecchi schemi, quali ch'essi siano, su di un piano più strettamente "storico", si è tesi a studiare la cosiddetta filosofia 'ellenistica' non più come la parabola discendente (volta all'individuo e all'isolamento o a una ricerca dell'universale nella conversione religiosa) della "via regia" del filosofare che sarebbe culminata in Platone e Aristotele. In uno studio delle condizioni storiche mutate, come accertamento delle maniere con cui, di volta in volta, dapprima fino all'incontro con Roma (dal315 circa al200 a.C.), poi nell'incontro con essa (da Scipione ad Augusto), si è tentato di rispondere a tali situazioni mutate, a esigenze e richieste diverse, in un costituirsi di concezioni e di problematiche che hanno dato luogo, in particolare dal I sec. a.C. in poi, a culture e a modi di pensare assai diversi da quella che fu la cultura greca in senso stretto: cultura greca già diversa da quella del periodo platonico-aristotelico tra il 315 e il 250, e già diversa da questa tra il250 e il200, e via di seguito.
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La denominazione "ellenistico"per intendere il periodo successivo ad Alessandro Magno in una delineazione del travagliato trapasso dalla civiltà greca classica alla civiltà cristiana, in un prevalere del problema religioso, unica salvezza, per l'uomo, finite le pòleis, abbandonato a se stesso e disperamente solo, nell'incontro tra mondo greco e mondo orientale, fu coniata daJ.G. DROYSEN, dal significato ch'egli dette agli "Ellenisti" degli Atti degli Apostoli (6, 1), che, a torto, riteneva fossero greci orientalizzati (cfr.: Geschichte Alexanders des Grossen, 1833; Geschichte des Hellenismus, 1836 e 1843, 1883) (cfr. B. BRAVO, Philologie, Histoire, Philosophie de l'Histoire. Étude sur ].G. Droysen, Warszawa 1968). Prima del Droysen il termine 'ellenistico' era stato usato, fin da circa il XVI secolo, per indicare il greco del Nuovo Testamento, che si considerava un greco modificato da influenze dell'ebraico (cfr. A. MoMIGLIANO, Introduzione all'Ellenismo, "Rivista storica italiana", 1970, p. 781). Dopo il Droysen, "Ellenismo" è divenuto una nozione se non una 'categoria' storica, mediante cui a seconda dei momenti, delle culture, delle situazioni, si è cercato di unificare in uno o altro modo, ma sempre in una sola caratterizzazione, i molteplici aspetti diversi con cui, invece, si presenta allo storico il periodo che va da Alessandro al sorgere del cristianesimo (cfr.: F. ADORNO, La filosofia antica, 2 voli., Milano 1962-1965; A. MoMIGLIANO, cit., 1970; F. ADORNO, Filosofia e Scienza, tra il IV e il I sec. a.C., in vol. V, La cultura ellenistica, t. 9, Filosofia e scienza, letteratura, di AA.VV., Storia e civiltà dei Greci, dir. R. BIANCHI-BANDINELLI, Milano 1977, pp. 5-108; M. IsNARDI PAREN'l'E, La valutazione dell'epistemologia dei peripatetici, in AA.VV., Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GIANNANTONI, Bologna 1977, pp. 195-198 e, sempre della IsNARDI, La filosofia dell'Ellenismo, Torino 1977; M. IsNARDI PARENTE, Filosofia postaristotelica e filosofia ellenistica: storia di un concetto storiografico, "Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici", 1985-1986, pp. 165-193). Accanto alle storie della filosofia antica e ai citati repertori bibliografici, si veda in particolare la bibliografia a cura di A.A. LoNG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic Philosophers: Greek and Latin texts with notes and bibliography, Cambridge-New York 1987. Sull'Ellenismo, in genere, bastino alcune opere di fondo che hanno delineato i vari modi di intendere l"Ellenismo' come 'figura' fisolofica a sé o, infine, a rompere tale strutturazione. Per l'Ellenismo considerato come intreccio di motivi religiosi orientali e greci fino al coronamento del cristianesimo (non a caso è stato definito anche l'età della "conversione"), oltre al citato Droysen cfr.: R. REITZENSTEIN, Poimandres, Leipzig 1904 e Hellenistische Mysterienreligionen, Leipzig 1927 3 ; F. CuMONT,
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Les religions orienta/es dans le paganisme romain, Paris 1906; A.D. NocK, Conversion: the Old and the New in Religion /rom Alexander the Great to Augustine of Hippo, Oxford 1933 (trad. it., Bari 1974); A.]. FESTUGIÈRE, La Révelation d'Hermès Trismégiste, II, Paris 1949; ha insistito sul giudaismo ellenistico più che sul cristianesimo ellenizzato e trasfigurato mediante le religioni di mistero, E. BrcKERMANN, Der Gott der Makkabiier, Berlin 1937 e FourStrange Books of the Bible, New York 1968. Per una interpretazione della civiltà ellenistica come origine di una civiltà capitalistico-borghese e liberale si veda in particolare M. RosTOVTZEFF, Social and Economie History of the Hellenistic World, Oxford 1941, 1953 2 (trad. it., Firenze 1966 I, 1974 II; cfr. anche M. RASKOLNIKOFF, La recherche soviétique et l'histoire économique et sociale du monde hellénistique et romain, Strasbourg 1975); W.W. TARN, Hellenistic Civilisation, London 19302 . La supremazia dei Greci sulla vita intellettuale e sui rapporti tra indigeni e Greci, in uno spirito definito razzista dal Momigliano, è stata studiata da C. PRÉAux, L'économie royale des Lagides, Bruxelles 1939 e da C. ScHNEIDER, Kulturgeschichte des Hellenismus, Miinchen 1967-1969. Per altre indicazioni rimandiamo a E. WILL, Histoire politique du monde hellénistique, Nancy 1966-1967, a C. BRANDFORD WELLES, Alexander and the Hellenistic World, Toronto 1970, a P. LÉVEQUE, Le monde hellénistique, Paris 1970, ad A. MoMIGLIANO, art. cit., 1970 (anche Genesi storica e funzione attuale del concetto di Ellenismo, "Giornale Critico della Filosofia Italiana", 1935, pp. 10 sgg., e Contributo alla storia degli Studi Classici, Roma 1955, pp. 165 sgg.). Si veda inoltre: A. GRILLI, Il problema della vita contemplativa nel mondo greco-romano, Milano 1953; R. MoNDOLFO, La comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, Firenze 1958; F. ADORNO, La filosofia antica, cit., 1962-1965; H. SAPHIRo-G.M. GuRLEY, Hellenistic Philosophy, New York 1965; I.L. SAUNDERS, Greek and Roman Philosophy after Aristotle, New York 1966; L. EDELSTEIN, The Idea of Progress in Classica! Antiquity, Baltimore 1967; H.J. KRAMER, Platonismus und hellenistische Philosophie, Berlin-New York 1971, 1972; P. AuBENQUE, Les philosophies hellénistiques, in Histoire de la Philosophie. Idées et doctrines, dir. F. CHATELET, I., Paris 1972, pp. 190 sgg.; M. HADAS, Hellenistic Culture, Fusion and Diffusion, New York 1972; D. AMAND, Fatalisme et liberté dans l'antiquité grecque, Amsterdam 1973; G.E.R. LLOYD, Greek Science after Aristotle, New York 1973; G. REALE, I problemi del pensiero antico. Le scuole ellenistico-romane, Milano 1973; A.A. LoNG, Hellenistic Philosophy, London 1974, Berkeley 1986 (trad, it., Bologna 1989); H. WARTH, Epoche und Repriisentation. Zum Verfall mytholog. und philosoph. Erfahrungen im Oikumenismus Alexanders d. Grossen, Frankfurt a.M. 1974; V. GuAZZONI FoÀ, Ricerche sull'etica delle scuole ellenistiche,
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Genova 1976; M. IsNARDI PARENTE, La filosofia dell'Ellenismo, cit., 1977; Storia e civiltà dei Greci, di AA.VV., cit., 1977, vol. IV (La società ellenistica, t. 7: quadro politico; t. 8: Economia, diritto, religione) e vol. V (La cultura ellenistica, t. 9: Filosofia, scienza, letteratura; t. 10: Le arti figurative); Doubt and Dogmatism. Studies in Hellenistic Epistemology, a cura di M. ScHOFIELD-M. BuRNYEAT-J. BARNES, Oxford 1980; G. MAsr, Il Pensiero Ellenistico, Bologna 1981; J. ONIANS, Art and thought in the Hellenistic Age. The Greek world view, 350-50 B.C., London 1982; Science and speculation: Studies in Hellenistic theory and practice, a cura di J. BARNEs-J. BRUNSCHWIG-M. BuRNYEAT-M. ScHOFIELD, Cambridge 1982; R. BrcHLER, Hellenismus. Geschichte eines Epochenbegriffs, Darmstadt 1983; M.J. WHITE, Time and determinism in the Hellenistic philosophical schools, "Archiv fi.ir Geschichte der Philosophie", 1983, pp. 40-62; La Scienza Ellenistica, Atti delle tre giornate di studio tenutesi a Pavia dal14 al16 aprile 1982, a cura di G. GrANNANTONI-M. VEGETTI, Napoli 1984 (cfr. F. DECLEVA CArzzr, Un Convegno sulla scienza ellenistica, "Rivista critica di Storia della filosofia", 1983, pp. 109-113); M. HAsSENFELDER, Die Philosophie der Antike, III: Stoa, Epikureismus und Skepsis, a cura di W. v. Ron, Mi.inchen 1985; Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Atti del Convegno - Catania 27 sett.-2 ott. 1982, voli. I-II, Roma 1985; M. IsNARDI PARENTE, Filosofia postaristotelica o filosofia ellenistica: storia di un concetto storiografico, "Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici", 1985-1986, pp. 165-193; Aspects de la philosophie hellénistique, pres. H. FLASHAR-0. GrGON, Vandoeuvres-Genève (Fondation Hardt), 1986 (cfr. F. MINONZIO, Nuovi studi sulla filosofia ellenistica, "Elenchos", 1988, pp. 127-138); C. GARdA GuAL, La filosofia helenfstica. Éticas y sistemas, Madrid 1986; The norms of nature. Studies in Hellenistic ethics, a cura di M. ScHOFIELD-G. STRIKER, Cambridge 1986; L. CANFORA, Ellenismo, Roma-Bari 1987; A.A. LoNG-D.N. SEDLEY, The Hellenistic philosopher, II: Greek and Latin texts with notes and bibliography, Cambridge-New York 1987; G. GIANNANTONI, Cinici e Stoici su Alessandro Magno, in I filosofi e il potere nella società e nella cultura antiche, a cura di G. CASERTANO, Napoli 1988, pp. 75-87; Hellenistic Philosophy, a cura di B. INwoon-L.P. GERSON, Indianapolis 1988; M. IsNARDI PARENTE, L'Accademia antica e la politica del primo ellenismo, a cura di G. CASERTANO, Napoli 1988, pp. 89-117; The question of 'eclectism': Studies in later Greek philosophy, a cura di J.M. DrLLON-A.A. LoNG, Berkeley (Ca.) 1988. Per gli studi particolari sull"ellenismo' e le varie concezioni, confronta sotto, alle voci. Per le concezioni dette 'ellenistiche' dopo l'incontro con Roma, vedi oltre, nel III volume.
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2. Tra Platone-Aristotele e il dopo Aristotele. Democritei, cinici e megarici: logici. La ricerca aperta ('scepsi'): Pirrone di Elide
Sugli epigoni di Democrito, che negano ogni passaggio dalla struttura dell'uomo alla struttura dell'essere (Metrodoro di Chio e Anassarco: su Anassarco vedi alla voce in Dictionnaire des Philosophes Antiques, a cura di R. GouLET, pref. di P. HADOT, I, Paris 1989), rimandiamo alla Bibliografia in vol. I (I, 3, iv. 4). Per i testi cfr. Griechische Atomisten. Texte und Komm. Zum materialischen Denken der Antiken, a cura di F. }URs-R. MuLLER-E.G. ScHMIDT, Leiden 1973. Vedi: A.M. IoPPOLO, Anassarco e il cinismo, in Democrito e l'atomismo antico, Atti del Convegno Internazionale - Catania 18-21 aprile 1979, a cura di F. RoMANO, "Siculorum Gymnasium", 1980, pp. 499-506. Per i megarici, i cinici e i logici di derivazione sofistico-socratica (Alexino, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone) cfr. sopra, nel I volume, Bibliografia, II, 2. Per i frammenti e le 'reliquiae' di Alexino, Eubulide, Diodoro Crono, Stilpone, cfr. Socraticorum reliquiae, collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, Napoli 1983 sgg. Sui democritei, sui logici, cfr.: F. ADORNO, Filosofia e scienza, in Storia e civiltà dei Greci, cit., vol. IX, 1977 (in particolare, Tra IV e III secolo: cinici, megarici, scettici, democritei, peripatetici). Sui megarici si veda: K. DoERING, Die Megariker. Kommentierte Sammlung der Testimonien, Amsterdam 1972 (anche L. MoNTONERI, I Megarici. Studio storico critico e traduzione delle testimonianze antiche, Catania 1984) R. MuLLER, Les Mégariques. Fragments et témoignages, Paris 1985; e R. MuLLER, Introduction à la pensée des Mégariques, Paris-Bruxelles 1988). Si veda inoltre: J. MoLINE, Aristotle, Eubulides and the Sorites, "Mind", 1969, pp. 393-407. Per Diodoro Crono cfr: F.S. MrcHAEL, What is the master argument of Diodorus Cronus, "American Philosophical Quarterly", 1976, pp. 229-235; ]. SuTULA, Diodorus and the "master argument", "The Southern Journal of Philosophy", 1976, pp. 323-343; V. CELLUPRICA, L'argomento dominatore di Diodoro Crono e il concetto di possibile in Crisippo, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GIANNANTONI, Bologna 1977, pp. 755-773; R. MULLER, Signification historique et philosophique de l'argument souverain de Diodore, "Revue de Philosophie Ancienne", 1984, pp. 3-37; J. VUILLEMIN, Nécessité ou contingence. L'aporie de Diodore et les systèmes philosophiques, Paris 1984; J. VUILLEMIN, Un système de fatalisme logique. Diodore Kronos, "Revue de Philosophie Ancienne", 1984, pp. 39-72; H. WEIDEMANN, Das sogenannte Meisterargument des Diodoros
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Kronos und der aristotelische Moglichkeitsbegriff, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", 1987, pp. 18-53.
Si veda anche: AA.VV., Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, a cura di G. GrANNANTONI, Bologna 1977; F.P. HAGER, Zur Bedeutung der Theologie des Aristate/es fiir den Mittleren Platonismus und den Neuplatonismus, "Proceedings of the World Congress on Aristotle", 1981, pp. 242-246; A. BRANCACCI, Teodoro l'Ateo e Bione di Boristene fra Pirrone e Arcesilao, "Elenchos", 1982, pp. 55-85 (vedi Bion of Borysthenes, Frammenti, a cura di J.F. KrNDSTRAND, intr. e comm., Uppsala 1976); A.M. BATTEGAZZORE, La filosofia platonica nei continuatori dell'Accademia antica, "Discorsi", 1984, pp. 97-115; ].F. KrNDSTRAND, A supposed testimony to Bion of Borysthenes, "Classica! Quarterly", 1985, pp. 527-529. Per il cinico Telete si veda l'edizione con trad. a cura di E. O'NEIL, Missoula (Montana) 1977. Pirrone di Elide, vissuto tra il 365 e il 300 a.C., considerato uno dei primi ad avere assunto atteggiamento di ricerca aperta ('scepsi'), in contatto sia con un democriteo come Anassarco, sia con i logici della scuola megarica, va distinto nettamente dallo schema scolastico della corrente 'scettica' e ricondotto alle problematiche proprie dell'epoca di Aristotele. Per le testimonianze pirroniane, cfr. Pirrone. Testimonianze, a cura di F. DECLEVA C AIZZI, N apoli 1981 (vedi Introduzione, nota bibliografica, commento). Per il resto rimandiamo al paragrafo sullo 'scetticismo'. Si confronti anche: F. DECLEVA CArzzr, Pirrone e Democrito. Gli atomi: un 'mito'?, "Elenchos", 1984, pp. 5-23; S. ZEPPI, Leradicipresocratiche della gnoseologia scettica di Pirrone, in La storia della filosofia come sapere storico, Studi offerti a M. DAL PRA, intr. di E. GARIN, Milano 1984, pp. 75-91; P. WooDRUFF, Aporetic pyrrhonism, in Oxford Studies in Ancient Philosophy, 1988, pp. 139-168.
3. D primo Peripato. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco a. Il Peripato Storicamente la scuola di Aristotele non è omogenea. Una problemadca muove il primo Peripato. in una discussione con Aristotele e in una presa di posizione nel proporre la filosofia come studio che permetta di cogliere le condizioni per cui sono possibili le singole scienze; altra problematica si pone al Peripato con il cambiare di situazioni storiche e cui-
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turali. Conviene pertanto distinguere tra primi peripatetici (IV-II sec. a.C.) e secondi peripatetici (dal I sec. a.C. in poi). Per il Peripato come struttura scolastica, si veda].P. LYNCH, Aristotle's School. A Study of a Greek Educational Institution, Berkeley-Los Angeles-London 1972. Sulla scuola cfr. anche La Scuola dei filosofi, a cura di C. NATALI, L'Aquila 1981. Per una storia dell'aristotelismo dal I sec. a.C. al III sec. d.C., cfr. P. MoRAux, Der Aristotelismus bei den Griechen, 2 voli., Berlin-New York 1973-1984. Sul Peripato in genere cfr. inoltre: M.J. LAGRANGE, Les péripatéticiens ;usqu'à l'ère chrétienne, "Revue Thomiste", 1927, pp. 196-216; K.O. BRINK, Peripatos, in R.E. PAULYWrssowA, suppl. 7, 1940, pp. 899-949; I. DuRING, Aristotle in the Biographical Tradition, Goteborg 1957; F. WEHRLI, Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentar, fase. X, 1959, pp. 93-128;}. MoREAU, Aristate et san école, Paris 1962; W. }AEGER, Diokles von Karystos. Die griechische Medizin und die Schule des Aristoteles, Berlin 1963 2 (anche G. HARING-}. KoLLESH, Diokles von Karystos und die zoologische Systematik, in
Schriftenreihe fur Geschichte der Naturwissenschaften, Technik und Medizin, 1974, pp. 24-31); A. PLEBE, Il Peripato, in ZELLER-MONDOLFO, La filosofia dei Greci, cit., parte II, vol. VI, 1966; G. MoviA, Anima e intelletto. Ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Padova 1968; P. BoYANCÉ, Sur les origines péripatéticiennes de l"humanitas', in Forschungen zur romischen Literatur, I, Wiesbaden 1970, pp. 21 sgg.; A. MoMIGLIANO, Lo sviluppo della biografia greca, Torino 1974; M. IsNARDI PARENTE, La valutazione dell'epistemologia dei paripatetici, in Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, cit., 1977; L. REPICI, Lo sviluppo delle dottriche etiche nel Peripato, in ibidem, pp. 215-243; P.L. DoNINI, Peripatetici, voce in Dizionario degli Scrittori Greci e Latini, cit., 1988.
b. Da Teofrasto a Stratone di Lampsaco l. Testi: frammenti e 'reliquiae'
i. Teofrasto Per le opere di Teofrasto non abbiamo ancora un'edizione critica sufficiente, anche se n'è in corso una compiuta (cfr. H.B. GorrscHALK,
Prolegomena to an edition of Theophrastus' fragments, in Aristoteles. Werk und Wirkung, I, Berlin 1985, New York 1987). Ancora utile: Opera quae supersunt omnia, a cura di F. WIMMER, 1866 (anast., Frankfurt a.M. 1964).
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Si veda per il testo: W. BuRNIKEL, Textgeschichtliche Untersuchungen zu neuen Opuscula Theophrast, Wiesbaden 1974. Per i singoli scritti, citiamo le migliori edizioni: De sensu et sensibilibus e Opinioni dei Fisici, in H. DIELS, Doxographi graeci, Berlin 1879 (trad. it., a cura di L. ToRRACA, I dossografi greci, Padova 1961, pp. 281 sgg.); De sensu et sensibilibus, a cura di G.M. STRATTON, London-New York 1917 (anast., Amsterdam 1964); Inquiry in to Plants, a cura di A. HoRT, "Loeb Class. Library", Cambridge (Mass.) 1948-1949 (trad. it., a cura di P.F. MANCINI, Roma 1901); De lapidibus, a cura di E. EICHOLZ, New York-London 1965; De igne, intr., trad., comm., a cura di V. CouTANT, Assen 1971; Peri Lèxeos, a cura di A. MAYER, Leipzig 1910; Metafisica, a cura di W.D. Ross-F.H. FoBES, Oxford 1929 (trad. it., a cura di G. REALE, in Teofrasto e la sua aporetica metafisica, Brescia 1964); Frammenti sull'intelletto, in E. BARBOTIN, La théorie aristotélicienne de l'Intellect d'après Théophraste, Paris 1954; i frammenti logici, Die logischen Fragmente des Theophrast, a cura di A. GRAESER, Berlin-New York 1973 (anche L. REPICI, La logica di Teofrasto, studio critico e raccolta di frammenti e testimonianze, Bologna 1977); Caratteri, a cura di H. DIELS, Oxford 1909, 1952 (a cura di O. NAVARRE, Paris 1920; a cura di R. UsSHER, New York 1960; a cura di D. KLOsE, Stuttgart 1974; trad. it., a cura di G. PASQUALI, Firenze 1919, 1956); Peri eusebèias, a cura di W. PoTSCHER, Leiden 1964; Theophrastus, Enquiry into Plants and Minor Works. On Odours and Weather Signs, With an English Translation, Cambridge-London 1916, 1961 3 ; Metereologica, frammenti a cura di G. BERGSTRASSER, Neue meteorologische Fragmente des Theophrast, "Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaft" (Philos. Hist. Klasse), 1918; E. WAGNER-P. STEINMETZ, Der Syrische Auszug der Meteorologie des Theophrast, Wiesbaden 1964; De ventis, intr., trad. e comm., a cura di V. CouTANT-V.L. EICHENLAUB, London 1975; De Causis plantarum, a cura di B. EINARSON-G.K.K. LINK, con trad. inglese, 3 voli., London-Cambridge 1976; Recherches sur !es plantes, testo e trad. francese a cura di S. AMIGUES, Paris 1988. ii. Da Dicearco a Sozione Per le testimonianze e i frammenti relativi agli appartenenti alla s,buola di Aristotele (Dicearco, Aristosseno, Clearco, Demetrio Falereo, $tratone di Lampsaco, Licone e Aristone di Chio, Eraclide Pontico, Eudemo di Rodi, Fainia di Ereso, Camaleonte, Praxifane, Ieronimo di Rodi, Critolao e la sua scuola, Ermippo e Sozione) si veda l'edizione critica, con ampio commento e discussione, a cura di F. WEHRLI, Die Schule des Aristate/es. Texte und Kommentar, in 10 fase., Basel1944-1959 (anast., 1969; nuova ed. con 2 voli. di supplementi, 1974-1978).
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Per Aristosseno di Taranto, cfr. anche R. DA Rms, Aristoxeni E/e· Per Stratone di Lampsaco cfr. inoltre Some Texts, a cura di H.B. GoTTSCHALK, "Proceedings of the Leeds Philosophical and Literaty Society"(Lit. and Hist. Section), 1965, pp. 95-182. Si veda: A. BÉus, Aristoxène de Tarente et Aristate, in Le traité d'harmonique, Paris 1_986.
menta harmonica, Roma 1954 (con trad. it.).
2. Studi Su Teofrasto, oltre le citate opere e introdu?ioni e commenti ai singoli scritti, cfr.: H. DmLs, Theophrastea, Berlin 1883; O. REGENBOGEN, Theophrastus von Eresos, Stuttgart 1940; I.M. BocHÉNSKI, La logique de Théophraste, Freiburg 1947; J.H.A. lNDEMANS, Studies over Theophrastus, Niemegen 1953; J.B. McDIARMID, Theophrastus on the Presocratic causes, "Harvard Studies in Classica! Philology", 1953, pp. 85-156; W. CAPELLE, Das Problem der Urzeugung bei Aristoteles, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1955, pp. 150-180, 1958, pp. 4-41; R. STARK, La definizione teofrastea della retorica, "Maia", 1958, pp. 101-105; W. THEILER, Die Entstehung der Metaphysik des Aristoteles mit einem Anhang iiber Theophrasts Metaphysics, "Museum Helveticum", 1958, pp. 85-105; R. STARK, Zu Theophrasts "Charakteren", "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1960, pp. 193-200; P. STEINMETZ, Die Physik des Theophrastos von Eresos, Bad Homburg 1964; P. LoRENZEN, Theophrastische Modallogik, "Archiv fiir mathematische Logik", 1969, pp. 72 sgg. (cfr. anche: G. MoviA, Anima e intelletto; ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Padova 1968; Naturphilosophie bei Aristoteles und Theophrast, cit., 1969); F. WEHRLI, Die Ethica Theophrasts, in Islamic philosophy and the classica/ tradition, Oxford 1972, pp. 491-494; A. lEVOLO, Testimonianze biografiche e motivi dossografici di Teofrasto nei papiri ercolanesi, "Cronache Ercolanesi", 1973, pp. 93-96; J. SCHNAYDER, Der Begriff 'Dynamis' in den Werken des Theophrastos, "Eos. CommentarH Societatis Philologae Polonarum", 1973, pp. 49-56; W.W. FoRTENBAUGH, Die Charaktere Theophrasts; Verhaltensregelmiissigkeiten und aristotelische Laster, "Rheinisches Museum fiir Philologie", 1975, pp. 68-82; J. LoNGRIGG, Two notes on Theophrastus 'De sensibus', "Philologus", 1975, pp. 163-169; R.W. BALnEs, Theophrastus' witness to Democritus on perception, "Apeiron", 1976, pp. 42-48; L. REPICI, La logica di Teofrasto. Studio critico e raccolta dei frammenti e delle testimonianze, Bologna 1977; A. SzEGEDY-MASZAK, The Nomoi of Theophrastus, New York 1981; J. BRUNSCHWIG, "Indéterminé"et "indéfini "dans la }ogique de Théophraste, "Revue Philosophique de la France et de l'Etranger", 1982, pp. 359-370; J. BARNES, Terms and sentences. Theophrastus on hy-
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potbetical syllogisms, "Proceedings of the Aristotelian Society", 1983, pp. 279-326; A. BATTEGAZZORE, Aristotelismo e antiaristotelismo del "De igne" teofrasteo, "Elenchos", 1984, pp. 1-58; W.W. FoRTENBAUGH, Quellen zur Etbik Tbeopbrasts, Amsterdam 1984; G. REALE, Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Milano 1984 (trad. e comm. della Metafisica di Teofrasto); G. WoHRLE, Die Teleologie in den botaniscben Scbriften des Tbeoprast: Abkebr von Aristate/es, "Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft", 1984; Tbeopbrastus of Eresus. On bis !ife and work, a cura di W.W. FoRTENBAUGHP.M. HuBY-A.A. LONG, New Brunswick (N.J.)-Oxford 1985; J. BARNES, Tbeopbrastus and bypotetical syllogistic, in ibidem, pp. 125-141 (in Aristate/es. Werk und Wirkung, II, Berlin-New York 1987, pp. 557-576); K. GAISER, Tbeopbrast in Assos. Zur Entwicklung der Naturwissenscbaft zwiscben Akademie und Peripatos, Heidelberg 1985; P.M. HuBY, Tbeopbrastus in tbe Aristotelian corpus, witb particular reference to biologica! problem, in Aristotle on nature and living tbings, pres. D.M. BALME, a cura di A. GoTTHELF, Pittsburgh (Penn.) 1985; ].G. LENNOX, Tbeopbrastus on tbe limits of teleology, in Tbeopbrastus of Eresus. On bis !ife and work, cit., 1985, pp. 143-163; L. REPICI CAMBIANO, Il paradigma animale nella botanica di Teofrasto, "Rivista di Filosofia", 1985, pp. 367-398; G. WoHRLE, Tbeopbrasts Metbode in seinen botaniscben Scbriften, Amsterdam 1985; I. DI SALVO, Koraìs e i Caratteri di Teofrasto, Palermo 1986; H.B. GoTTSCHALK, Did Tbeopbrastus Write a Categories?, "Philologus", 1987, pp. 245-253;]. DESAUTELS, La classification des végétaux dans la "Recbercbe sur les plantes"de Tbéopbraste d'Erésos, "Phoenix", 1988, pp. 219-243; Tbeopbrastean studies. On natura! science, pbysics and metapbysics, etbics, religion and rbetoric, a cura di W. FoRTENBAUGH-R.W. SHARPLES, New Brunswick (N.].) 1988; A.M. BATTEGAZZORE, La posizione di Teofrasto tra metafisica e fisica, "Epistemologia", 1989, pp. 49-72.
Sui singoli peripatetici, oltre alle voci in R.E. PAULY-WISSOWA, alla citata Filosofia dei Greci di E. ZELLER-R. MoNDOLFO, a cura di A. PLEBE, 1966, e aF. WEHRLI, cit., indichiamo: Dicearco: O. GIGON, Antike Erzà"hlungen iiber die Berufung zur Pbilosopbie, "Museum Helveticum", 1946, pp. 1-21 (anche T. SINCLAIR, Il pensiero politico classico, Bari 1961, pp. 336-338); S.E. SMETHURST, Cicero und Dicearcus, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", 1952, pp. 224-232; W. LuPPE, Dikaiarcbos' Ù1touéae1ç (mit einem Beitrag zur "Troades-Hupotbesis''), in Aristate/es. Werk und Wirkung, l, Berlin-New York 1987, pp. 610-615.
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Aristosseno: L. Laloy, Aristoxène de Tarente, Paris 1924; R. DA Rms, Elementa harmonica di Aristosseno, Roma 1954; P. KucHARSKI, Le 'Philèbe' et les Éléments harmoniques d'Aristoxène, "Revue Philosophique de la France et de l'Étranger", 1959, pp. 41-72; A. BÉus, La théorie de l'ame chez Aristoxène de Tarente, "Revue de Philologie, de Littérature et d'Histoire Anciennes", 1985, pp. 239-246; A. BRANCACCI, Aristosseno e lo statuto epistemologico della scienza armonica, in La Scienza ellenis#ca, Atti delle tre giornate di studio- Pavia 14-16 aprile 1982, a cura di G. GIANNANTONI-M. VEGETTI, Napoli 1985, pp. 131-185. Stratone di Lampsaco: G. RoDIER, La physique de Straton de Lampsaque, Paris 1890; H. DIELS, Ueber das physikalische System des Straton, "Sitzungberichte der Berliner Akademie der Wissenschaften", 1893; W. }AEGER, Das Pneuma in Lykeion, "Hermes", 1931, pp. 29-74; M. GATZEMEIER, Die Naturphilosophie des Straton von Lampsakos, Meisenheim a.G. 1970 (bibliografia); M. lsNARDI PARENTE, Le obiezioni di Strato ne al Pedone e l' epistemologia peripatetica nel primo ellenismo, "Rivista di Filologia e d'Istruzione Classica", 1977; L. REPICI, La Natura e l'anima. Saggi su Stratone di Lampsaco, Torino 1988. Eraclide Pontico: cfr. alla voce Accademici; su Eudemo di Rodi, cfr. U. ScHOBE, Quaestiones Eudemeae, Halle 1931.
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Parte seconda
Epicuro. Lo Stoicismo: Zenone di Cizio e i primi stoici
L EPICURO
l. Opere Le opere di Epicuro sono pervenute in frammenti, tranne tre lettere (a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo) e una raccolta di 40 massime (Massime capitali), conservateci da Diogene Laerzio nella sua Vita di Epicuro (X), in cui dà anche un breve sunto della Canonica di lui. Nel1888 K.. WoTÌ