JACQUES ELLUL
UNA PARENTELA IMPOSSIBILE prefazione
di Alain Besonçon
Titolo originale: lslimz tt judhKh,i5linnis lll...
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JACQUES ELLUL
UNA PARENTELA IMPOSSIBILE prefazione
di Alain Besonçon
Titolo originale: lslimz tt judhKh,i5linnis lll~
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Traduzione dal francese di Gianluca Pcrrini Copertina di Dada Effe - Torino
c PI1;'S.SeS Universitaires de France " 2006 Lindau s.r.l. corso Re Umberto 37 - 10128 Torino Prima edizione: novembre 2006 ISBN-IO 88-7180-612-3 ISBN-13 978-88-7180-612-9
Jacques Ellul
ISLAM E CRISTIANESIMO Una parentela impossibile
prefazione di Alaill Besançon
Prefazione
Nell'anno 622 dell'era volgare nasceva ufficialmente, a Medina, una nuova religione che negava in maniera netta i tre dogmi cristiani fondamenta1i della Trinità, dell'Incarnazione e della Redenzione. Oggi, i seguaci di quella religione stanno per superare, in numero, i cristiani. Da mezzo secolo a questa parte il panorama è cambiato radicalmente a causa di tre fattori. I paesi musulmani colonizzati dagli imperi europei (ovvero gli imperi inglese, francese, russo e olandese: considerati come cristiani dai seguaci dell'Islam) hanno ritrovato l'indipendenza (con la sola eccezione della Cisgiordania palestinese). Le minoranze cristiane presenti in Turchia, Egitto e Medio Oriente, ancora numerose all'inizio del XX secolo si sono convertite, sono state espulse (come nel caso dei Greci dell' Asia Minore) o massacrate (è questo il caso degli Armeni). Infine, consistenti minoranze musulmane si sono stabilite pacificamente nell'Europa occidentale. In Francia esse rappresentano all'incirca il 10% della popola-
• zione, cifra che secondo i demografi è destinata a raddoppiare entro una ventina d'anni; in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti le percentuali sono più basse, ma pur sempre significative. Quest'ultimo fattore genera ovviamente una certa inquietudine nei paesi ospitanti: il problema è posto in termini di demografia, di assimilazione, di lotta al «razzismo», ma è assai raro che lo si consideri da un punto di vista religioso. Infatti, da più di mezzo secolo, l'atteggiamento delle Chiese è improntato aU'irenismo e all'ecumenismo. Benché molte di queste istituzioni appaiano in crisi - o forse proprio a causa di ciò - non si osservano in loro inquietudini di carattere propriamente religioso: sono preoccupate piuttosto di tributare una buona accoglienza all'Islam, di ricercare il contatto, di trovare punti in comune e di coltivare il dialogo. In Francia, in particolare, la religione del Corano si è radicata poco per volta e senza far rumore: soltanto in tempi recenti i francesi si sono resi conto - bruscamente - che essa poneva un problema assai grave, perché nel loro territorio stavano nascendo un' altra civiltà e un altro paese. Colti di sorpresa, hanno reagito e reagiscono in modo disordinato, come si è visto in occasione delle discussioni sull'accettazione o sulla proibizione del velo islamico nelle scuole pubbliche. [ francesi hanno tuttavia la scusante di essere stati informati poco e male e, inoltre, nutrono da sempre il timore di essere accusati di intolleranza e di razzismo, benché si tratti di
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un problema religioso che nulla ha a che vedere con la razza. Se appartenenti alla religione cristiana, hanno attinto a una letteratura spesso scritta da studiosi non s0lo desiderosi di difendere i valori delI'Islam, ma anche impegnati a sottolineare i pretesi punti in comune tra le due fedi. Quei libri possono essere letti come un'involontaria propaganda a favore del mondo islamico. Eppure le cose non sono sempre andate in questo modo. Molti grandi autori classici hanno constatato l'incompatibilità teologica che separa il cristianesimo dall'lslam: citiamo ad esempio Giovanni Damasceno e Tommaso d'Aquino. Giovanni Mansùr, detto il Damasceno, discendeva da una famiglia di alti funzionari bizantini che avevano svolto un ruolo importante durante la capitolazione di Damasco. Egli servi dapprincipio il Califfo come addetto al fisco; allorché sopraggiunsero le prime persecuzioni, entrò nel convento di San Saba dove morÌ nel 749. Ci ha lasciato soltanto poche pagine riguardo alla nuova religione, ma preziose in quanto scritte da un testimone diretto. Un suo testo si trova inserito nel catalogo (da lui stesso compilato) denominato Libro delle eresie (altrimenti noto come Sull'eresia), in cui l'lslam è trattato al capitolo 100, il che indica che all'epoca, in particolare presso i monofisiti e i nestoriani - i quali detestavano l'ortodossia melchita, che per loro rappresentava l'oppressione bizantina - non era ancora chiaro se l'lslam rappresentasse un'altra religione o l'ennesima variante della nebulosa cristiana: una simile incertezza può essere ri-
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scantrata persino oggi. In ogni caso, la descrizione che Damasceno dà dell'Jslam è improntata al puro sarcasmo: Maometto è un falso profeta e le sue dottrine sono assurde - e non possono che essere considerate tali, dal momento che negano le verità cristiane. Un altro testo del Damasceno, più tardo, si presenta come una Controversia tra un nwsulmano e IIn cristiano (opera nota anche come Conversazione tra un saraceno e un cristiano). Si tratta di un breve catechismo, scritto allo scopo di evitare che i cristiani si convertissero, come in effetti stavano facendo in massa. In esso si tenta una difesa del libero arbitrio contro il fatalismo che pervade l'Islam, nonché della compattezza del mondo e delle leggi che lo governano, in opposizione al puro capriccio di Dio che caratterizza la religione musulmana. Giovanni usa un tono di patemalistica condiscendenza, lo stesso che avrebbe potuto usare un distinto teologo del XIX secolo nel trattare la rivelazione di Joseph Smith e il suo Libro di Mormon. Uno dei cardini della tradizione di rifiuto puro e semplice dell'lslam è senz'altro Tommaso d'Aquino. Nella $umma contra Gentiles (I, 5), egli elenca i seguenti argomenti: Maometto ha sedotto le persone con comandamenti che soddisfano la concupiscenza carnale; ha propinato verità facili da cogliere per gli spiriti rozzi, mischiandole con favole e dottrine che sminuiscono quella verità naturale che pur esiste nel suo insegnamento; le prove che egli offre della verità della sua fede poggiano sulla forza delle armi: si tratta di prove che possono essere esibite da qualunque brigante o tiranno.
PREFAZIONE
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Né l'Antico né il Nuovo Testamento testimoniano in suo favore; al contrario, Maometto li ha deformati con racconti favolosi e ha proibito ai suoi discepoli di leggerli. In breve, condude l'Aquinate, ((coloro che prestano fede alla sua parola credono con leggerezza». Si noti che i due autori citati, i quaH rifiutano nel modo più netto la religione musulmana, hanno entrambi prodotto delle summae, cioè esposizioni complete della dottrina cristiana. Infatti, sembra ormai chiaro che ogni discussione con l'Islam richiede un~ conos~nza approfondita della teologia cristiana e che il miglior modo di mettere in guardia il fedele cristiano consiste nell'jstruirlo a proposito della sua stessa religione, che in generale gli è nota in maniera approssimativa. La polemica con 1'!s1am è efficace soltanto se accompagnata da una catechesi, ed è a questo principio che si è attenuto }acques EUul nel testo che ci apprestiamo a leggere. È importante che un celebre teologo ci parli oggi dell'Islam dal punto di vista che più conta, quello della teologia. Jaeques Ellul è un teologo protestante, come protestante è anche la sua catechesi. Egli si colloca nella tradizione di Karl Barth, che ha segnato profondamente la teologia protestante del XX secolo (e anche, in qualche misura, la teologia cattolica). Ricordiamo che, invitato in qualità di osservatore al Concilio Vaticano II, Karl Barth protestò solennemente contro un testo di quello stesso Concilio il quale, a suo dire, non insisteva a sufficienza né in maniera abbastanza chiara sul fatto che Cristo è il solo mediatore e il solo salvatore. La critica
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all'!slam di Ellul è anche una professione di fede: l'una non esiste senza l'altra. Tuttavia, Jacques ElIul non ha avuto il tempo di terminare il proprio lavoro. Il testo qui presentato è una minuta decifrata dopo la sua morte, ed è un documento di grande ricchezza. Prendendo spunto dal suo scritto, vorrei raccontare la stessa storia in modo leggermente diverso, ancorché io mi senta assai prossimo alle sue posizioni per quasi tutto ciò che concerne l'Islam. Quale statuto può essere assegnato all'lslam dalla teologia cristiana? Si tratta di una religione rivelata o di una religione naturale? Secondo la teologia cristiana, gli esseri umani si suddividono come segue: alcuni falUlo parte dell' Alleanza detta di Noè: grazie a quest'alleanza gli uomini possono prendere coscienza della legge di natura, cioè della morale comune, e formarsi un'idea del divino nell'ambito delle religioni che chiameremo pagane. All'interno di quest'umanità comune, Dio ha «scelto» un uomo, Abramo, e la sua «casa», con cui ha stipulato un' alleanza, ripresa e ampliata da quella accordata a Mosè nel nome del popolo che Dio si «crea» ai piedi del monte Sinai. Infine Dio, per mezzo del suo Verbo incarnato venuto come «Messia» d'Israele, istituisce una «Nuova Alleanza», capace di estendersi, partendo da Israele e dal suo Messia, all'umanità intera. Ma come si colloca l'Islam all'interno di questa classificazione?
PREFA;t;JONf
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La difficoltà e l'imbarazzo che provano cristiani ed ebrei nell'assegnarlo al gruppo delle religioni naturali nasce dal fatto che esso proclama di credere in un solo Dio, eterno, onnipotente, creatore, misericordioso. Sembra qui di riconoscere il primo dei Dieci Comandamenti trasmessi a Mosè, ma c'è una differenza sostanziale: il Dio dell'Esodo si presenta come il liberatore del proprio popolo in una particolare situazione storica: «lo sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù». Nel Corano, invece, la storia non esiste. La professione di fede islamica è all'apparenza simile al primo articolo del Credo cristiano: «Credo in un solo Dio onnipotente, creatore del Cielo e della Terra». Ma il Dio cristiano è chiamato Padre e ha con gli esseri umani un rapporto personale e di reciprocità. Va detto che i musulmani propongono un'altra classificazione, che oppone i pagani a coloro che, ebrei, cristiani e musulmani, haIUlo «ricevuto una rivelazione)). Il secondo gruppo è legato da una somiglianza formale (l'avere appunto ricevuto una rivelazione), e non da una concatenazione storica. A questo punto posso formulare la mia tesi teologica: l'lslam è la religione naturale del Dio rivelato. ~
classica la distinzione tra religioni naturali e religioni rivelate: le religioni naturali, quelle dei pagani, possono eventualmente condurre, più o meno chiaramente, al vero Dio (cioè al Dio rivelato); al punto che la
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stessa Chiesa, che ha condannato gli idoli, ha tuttavia riconosciuto nel dio della filosofia il Dio vero, seppur cercato a tentoni. D'altra parte, la Chiesa è convinta che questo Dio abbia voluto manifestarsi e comunicare la propria volontà riguardo alla salvezza degli uomini, permettendo loro di conoscere verità che superano le possibilità dello spirito umano. Per gli ebrei, tale rivelazione è contenuta nel1a Bibbia, cui i cristiani hanno aggiunto un «Nuovo Testamento», pur riconoscendo piena autorità al documento biblico elaborato prima della venuta dettaro Messia. Anche i musulmani sono convinti di aver ricevuto una rivelazione. Essa è concepita come la trasmissione di un testo preesistente: in tale trasmissione il profeta non svolge alcun ruolo attivo, ma si limita a ricevere una serie di brani provenienti dalla «Madre del Libro» *, ripetuti come sotto dettatura. A differenza della Bibbia, che per gli ebrei è «ispirata» da Dio, il Corano è increato. Esso è la parola inereata di Dio. L'Islam distingue tra il profeta (nabl) e !'inviato (rasai), il quale è, tra i profeti, colui che ha ricevuto un messaggio legislativo. In tal modo, Adamo, Lot, Noè, Mosè, Davide e Gesù devono essere considerati degli inviati che hanno recato un messaggio a determinati popoli, ma soltanto Maometto, il «sigillo dei profeti)), è stato incaricato di una missione universale. I grandi inviati di Dio, ovvero Mosè, Davide e Gesù, hanno anche * l'o ri g inale incteato. rN .d. T.I
Pf/EfAZIONE
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trasmesso, alla lettera come Maometto, i libri che sono stati loro dettati: la Toràh, i Salmi, il Vangelo (al singolare); anche Adamo, Set e Abramo hanno scritto libri. Tuttavia - e questo punto è di capitale importanza quei libri, reali o immaginari, non sono considerati veritieri dall'Islam, perché il loro testo è stato falsificato: gli ebrei e i cristiani hanno manipolato le scritture e ne hanno deformato il senso. In più, dal momento che il Corano contiene tutta la verità, quand' anche quei libri fossero autentici non direbbero nulla di nuovo: da ciò consegue che i musulmani non riconoscono il valore dei documenti rivelati prima del loro. La vera Toràh e l'autentico Vangelo vanno ricercati nel Corano e non altrove: i veri discepoli di Cristo sono i musulmani. A questo punto, la parola passa agli ebrei e ai cristiani: possono essi riconoscere la Bibbia nel Corano? La risposta è no. Quali sono i rapporti di filiazione che legano la Bibbia al Corano? Non c'è nessun rapporto assicurano i musulmani: Maometto era analfabeta. Dio ha dichiarato al Profeta: «Prima, tu non conoscevi cosa fossero le Scritture e la fede». Che esistano affinità è più che naturale, dicono, dal momento che tutti gli «inviati» hanno ricevuto lo stesso messaggio; e se vi sono differenze, è perché ebrei e cristiani lo hanno mutilato e falsato. I cristiani non possono credere a questi argomenti. Maometto aveva una certa conoscenza della Bibbia; Medina era zeppa di ebrei e cristiani appartenenti a diverse sette. Giovanni Damasceno era convinto che il Profeta
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dell'Islam fosse stato influenzato da un monaco ariano; altri pensano a un monaco nestoriano. A chi ha familiarità con la Bibbia, le figure bibliche citate nel Corano appaiono nel contempo identificabili e deformate. Abramo non è IbrahIm e Mosè non è Masa. Prendiamo il caso di Gesù. flsa è fuori dal tempo e dallo spazio, disancorato dalla terra di Israele; sua madre, Maria, che è la sorella di Aronne, lo mette al mondo sotto una palma. In seguito, 'Isa compie molti miracoli che sembrano tratti dai vangeli apocrifi; inoltre, egli annuncia la venuta futura di Maometto e fungerà da testimone nel giorno della resurrezione. Capita talvolta che l'importanza accordata a Gesù nel Corano impressioni i cristiani; non si tratta, tuttavia, della stessa persona nella quale ripongono la loro fede. n Gesù del Corano ripete ciò che era già stato annunciato dai profeti che lo avevano preceduto: Adamo, Abramo, Lot ecc. Infatti, tutti i profeti posseggono la stessa conoscenza e proclamano il medesimo messaggio, l'Islam. Sono insomma tutti musulmani. Gesù è stato inviato per predicare l'unicità di Dioi egli rivendica di non essere uno «che associa altri dèi a Dio». E nega la Trinità: «Non dite "Tre"» (sura IV, 171 «Le donne»). Non è il figlio di Dio, ma una semplice creatura; non è un mediatore, perché l'Islam non conosce la mediazione; inoltre, dal momento che per l'Islam è inconcepibile che un inviato di Dio sia vinto, Gesù non è morto sulla croce, ma è stato sostituito da un sosia. Questo tipo di cristologia, da un punto di vista cristiano, presenta tratti misti di nestorianesimo e docetismo.
PR EF.... ZIONE
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L'idea di una rivelazione progressiva è estranea a11'Islam. Il messaggio divino è insti1lato già nel primo uomo, Adamo, il primo profeta; semplicemente, gli uomini dimenticano il messaggio ed è necessaria una ripetizione. Maometto è l'ultimo inviato ed è il riformatore definitivo. La sola prospettiva dalla quale è possibi1e contemplare la storia è rappresentata dalla legge del trionfo degli inviati e dall' annientamento di coloro che a essi si sono opposti. L'Islam, ovvero la «sottomissione», è l'orologio che riconduce il tempo al suo istante eterno, così come Dio periodicamente riconduce gli uomini al proprio decreto eterno. Quindi, per gli ebrei e i cristiani, non c'è continuità tra la Bibbia e il Corano: gli uni e gli altri notano che la storia raccontata nella Bibbia risulta nel Corano frammentaria, deformata, modellata da una matrice dogmatica coerente che fa apparire i fatti sotto un'altra luce e dà loro un significato diverso. Ciò è evidente soprattutto in quello che dovrebbe essere il vero punto di raccordo tra l'Islam e la religione biblica: il concetto del Dio Unico, creatore, onnipotente e misericordioso. Infatti, sebbene i musulmani amino sciorinare i 99 nomi di Dio, tali nomi non sono stati rivelati nell'ambito di un' Alleanza come nel caso del roveto ardente o come nel Vangelo, in cui il Signore si manifesta agli uomini come loro Padre. Questo Dio Unico che pretende sottomissione è un dio separato dagli uomini: chiamarlo Padre sarebbe un sacrilego antropomorfismo. Dio ha accettato di far discendere una legge sacra; egli pre-
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tende obbedienza, ma non si impegna in un rapporto di amore. Il Dio musulmano è assolutamente impassibile, e amarlo sarebbe cosa sospetta. In luogo dell'amore, egli reclama un'obbedienza gratuita e una buona disposizione d'animo nei suoi confronti. Ecco perché gli ebrei e i cristiani sono obbligati a rifiutare al Corano lo statuto di rivelazione, ed ecco perché essi contestano altresì all'Islam la definizione di religione abramitica. L'Abramo rivendicato dall'Islam è un «inviato» e un musulmano; non è il padre comune di Israele e, successivamente, dei cristiani che condividono la sua fede. «Abramo non è né ebreo né cristiano», dice l'Islam. Ha partecipato al culto musulmano costruendo la Ka'ba e istituendo il pellegrinaggio alla Mecca. Non è nemmeno lontanamente vero che Maometto abbia condiviso la fede di Abramo: è Abramo che ha condiviso la fede di Maometto. Dal momento che, secondo il Corano, la verità è rivelata per intero fin dal primo giorno e fin dalla creazione del primo uomo, è inconcepibile che Abramo abbia ·svolto il ruolo di fondatore che gli viene assegnato dagli ebrei e dai cristiani. Quando i musulmani si richiamano a IbrahIm, non professano né la fede originale di Abramo che gli storici delle religioni tentano di ricostruire, né la fede di Abramo come l'intendono l'ebraismo e il cristianesimo.
Affrontiamo adesso il problema dal lato opposto: provIamo a considerare l'Islam come una religione naturale.
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Una caratteristica comune delle religioni naturali è l'evidenza di Dio o del divino in ogni luogo. L' Islam, che viene rappresentato come la religione della fede per eccellenza, non ha affatto bisogno della fede per ~rede re, o, piuttosto, per constatare l' evidenza di Dio. Come per i Greci e i Romani, la contemplazione del cosmo, della creazione, è sufficiente di per sé per avere la certezza, prima di ogni ragionamento, che Dio o il divino esistono, di modo che il fatto di non credere diventa un segno di insensatezza che esclude il non credente dalla compagine umana. Ques ta opinione non è condivisa dalla teologia cristiana, secondo la quale la ragione può accettare l'esistenza di Dio soltanto attraverso l' indagine e le argomentazioni. La fede teologale, che è soprannaturale, pone un sigillo a questa certezza. Dio ha dato agli uomini una legge attraverso un patto unilaterale: si tratta di una legge che nuna ha in comune con quella del Sinai, che fa di Israele l' interlocutore di Dio, né con quella dello Spirito di cui parla san Paolo. La legge dell' lslam è una legge esterna all' uomo, che esclude in modo categorico !'imitazione di Dio qual è suggerita dalla Bibbia: dall'uomo si pretende soltanto che rimanga entro i termini stabiliti da Dio nella sua parola increata e nella sunna, la tradizione autentica. Qualunque desiderio di superare questi limiti è visto con sospetto: per ricevere la ricompensa promessa e sfuggire ai castighi. previsti è sufficiente fare il bene ed evitare il male. Ritroviamo qui alcune norme dell'etica pagana, e ciò non deve stupire: l'ascetismo è estraneo allo s pirito del-
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l'Islam. La civiltà islamica è una civiltà della bona vita: essa offre una vasta gamma di piaceri, Vi è un carpe diem musulmano, una felicità musulmana che ha spesso affascinato i cristiani, così come essi hanno avuto nostalgia del mondo antico. La predestinazione, come !'intende l'Islarn, non è lontana dal sentimento antico del fatum. Naturalmente, iI musulmano riconduce tali vantaggi alla perfezione della sua Legge, la quale è moderata, più adatta alla natura umana di quanto non lo sia quella dei cristiani e più mite di quella degli ebrei. Una simile moderazione, che viene chiamata «facilitazione (o "agevolazione") della religione», è citata per dimostrare la bontà dell'Islam, e rende ancor più difficilmente scusabile il fatto di non accettarlo. Non c'è un peccato originale e non esiste un inferno eterno per il credente. Sbaglia chi si fa beffe del paradiso musulmano, anche se è vero che non contempla, come nel caso del paradiso ebraico e cristiano, la visione di Dio e la partecipazione alla vita divina. In effetti, nell'aldilà musulmano Dio continua a essere separato e irraggiungibile; tuttavia, con il perdono e la pace, l'uomo vi trova la «soddisfazione». La Bibbia fa percorrere all'uomo un itinerario che comincia in un giardino, l'Eden, e termina in una città, la Gerusalemme celeste; nel Corano, invece, c'è il ritorno al giardino. Le antiche mitologie ci offrono immagini non dissimili di banchetti ideali all'insegna di libagioni, efebi, giovani vergini, in un identico clima di soddisfazione e realizzazione di tutti i desideri.
PREFAZIONE
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In accordo con le religioni naturali e con il sostrato ellenistico al quale l'Islam si è sovrapposto, la vita religiosa comporta modalità e livelli diversi. Per le anime religiose si aprono due vie, che esistevano già nel mondo greco-romano:]a filosofia (la/alsa/a, impregnata di neoplatonismo) e la mistica. Agli spiriti meno esigenti è permesso, a patto che rispettino la Legge e che pratichino, per quanto in forma leggera, i «cinque pilastri» dell'Islam, di condurre una vita religiosa perfettamente superficiale e tuttavia perfettamente lecita e accettabile. Si tratta di un grande vantaggio sulle due religioni bibliche, le quali reclamano in linea di principio un maggior scrupolo e una maggior attenzione nei confronti della sfera interiore. La stabilità di questa religione superficiale e legale non è priva di somiglianze con la religione antica, ricca di rituali che accompagnavano il sentimento naturale e spontaneo del divino. Due fatti hanno sempre stupito i cristiani: la difficoltà di convertire i musulmani e la solidità della loro fede, persino tra le persone più superficialmente religiose. Per il musulmano, diventare cristiano è un' assurdità: in primo luogo perché il cristianesimo è una religione del passato, da cui nslam ha preso il meglio superandola, e poi perché il cristianesimo gli sembra innaturale. Le esigenze morali di questa religione oltrepassano, secondo il musulmano, le capacità umane. Il dogma trinitario lo mette a disagio: teme di esporsi al sirk, il peccato imperdonabile consistente nell'associare a Dio al-
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tre divinità. Sospetta che il cristianesimo sia una religione misterica (ed egli condanna i misteri), di conseguenza irrazionale. Ebbene, l'Islam si considera una religione razionale, anzi, la sola religione razionale. In quest' affermazione vi è qualcosa di minaccioso, dal momento che, se la ragione è ciò che caratterizza la natura dell'uomo, seguire l'irrazionalismo cristiano equivale a porsi al di fuori della razza umana: stando così le cose, lo statuto di dhimmj1r rappresenta un'assai debole protezione. In fatto di tolleranza, dunque, gli Stati musulmani non possono garantire, in senso stretto, la reciprocità che pretenderebbero da loro gli Stati cristiani: i cristiani che la reclamano non fanno altro che dimostrare la propria ignoranza in materia di Islam. Per quanto attiene alla solidità della fede musulmana, essa si traduce semplicemente nello shIpore dei musulmani di fronte a un fenomeno intimamente legato alla storia del cristianesimo: l'ateismo moderno. Noi cristiani moderni abbiamo la tendenza a considerare l'ateismo come la sola alternativa alla fede. Tuttavia, nel mondo antico, i cristiani erano accusati di ateismo perché rifiutavano di accettare l'esistenza degli dèi: ebbene, l'indignazione dei musulmani è di natura identica. Eppure, nei loro incontri con essi, i cristiani non hanno ritrovato la stessa natura che vedevano nel paganesimo greco-romano, germanico, slavo o amerindio: si potrebbe dire che la natura e la rivelazione si siano mu*Per la definizione di dllimm ; si veda l'Appendice.
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tilate a vicenda. Non intendo parlare dell' aspetto esteriore, della struttura della città musulmana, dell' organizzazione familiare, dello status della donna o dei costumi tradizionali: intendo invece rivelare tre tratti specifici che riguardano il mondo interiore, l'essenza di questa religione. Il primo tratto consiste nella negazione della natura nella sua stabilità e nella sua consistenza. Non esistono leggi naturali: atomi, accidenti e corpi non durano che per un istante e sono creati a ogni istante da Dio. Non esiste una relazione di causalità tra due eventi: esistono soltanto «abitudini» di Dio. Il giorno coincide solitamente con la presenza del sole, ma Dio può cambiare le proprie abitudini e far risplendere il sole nel bel mezzo della notte: il miracolo non corrisponde dunque a una sospensione delle leggi di natura, ma a un cambiamento nelle abitudini di Dio. 11 principio di causalità è abolito, di conseguenza tutto può accadere. La creazione di Adamo non fa di costui il capostipite di una stirpe: infatti, come lui, ogni uomo è creato «di bel nuovo»: «Vi ha creato nel seno delle vostre madri, creazione dopo creazione». Ogni momento della crescita rappresenta un nuovo atto creatore. Ci troviamo di fronte a un Dio • la cui natura e i cui scopi ci sono tenuti nascostii il tempo è ridotto a una serie di atomi e istanti slegati l'uno dall'altro e l'universo dipende dalle «abitudini» dell'Onnipotente. Agli occhi degli Occidentali, il cosmo musulmano sembra privo di stabilità: non si distingue pi Ù il confine tra realtà e sogno.
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Il secondo tratto, come abbiamo visto, è rappresentato dalla negazione della storia. La Bibbia racconta una storia e la rivelazione procede a tappe. Dio interviene nella storia con parole e atti il cui ricordo è conservato dalla tradizione e da un libro ispirato, continuamente suscettibile di nuove interpretazioni. Il Corano, invece, è increato: non esiste quindi alcun magistero interpretatiVQ. Il Corano narra alcune storie, non una storia; l' intervento di Dio consiste nella protezione dei profeti - i quali sono infallibili e immuni dal peccato -, e nell'annientamento dei loro nemici. Dal'momento che a tutti gli inviati è trasmesso invariabilmente lo stesso messaggio, il senso della storia che ne deriva è quello di una ripetizione indefinita della stessa lezione. Non esiste alcuna differenza di fondo tra il presente, il passato e il futuro. Il terzo tratto riguarda la virtù religiosa. Si tratta di una virtù morale che si ritrova sia nelle religioni naturali che in quelle rivelate e che, secondo la definizione di Cicerone, «offre le proprie cure e le proprie cerimonie a una natura superiore, che chiamiamo divina». In tutte le religioni essa governa la pietà, la preghiera, l'adorazione, i sacrifici e gli atti consimili. Ebbene, se si rifiuta al Corano lo statuto di autentica rivelazione, pare difficile evitare di definire la fede musulmana come una forma particolare di virtù religiosa. Il fatto che nell'Islam questa virtù possa essere spinta al di là di ciò che appare conveniente nella religione biblica può generare confusione. Nella religione bibilica, infatti, l'uomo è responsabile delle sue azioni nel quadro di una natura fi-
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sica, sociale e politica che ubbidisce a un ordine e a leggi regolari. I doveri religiosi, quindi, sono confinati entro i limiti di una zona ragionevole al di qua o al di là della quale si pecca per difetto o per eccesso. Al contrario, nell'lslam !'idea di un ordine naturale non è così radicata, visto che il capriccio di Dio si estende tanto alle cause seconde quanto alle prime. La virtù religiosa rischia dunque di assumere un'intensità e un'ampiezza che per un ebreo o un cristiano potrebbero oltrepassare i confini del giusto mezzo. In conclusione: adesso capiamo meglio il nostro problema iniziale, rappresentato dal malinteso che attende al varco il cristiano quando questi si avvicina all'lslam. Il cristiano è colpito dallo slancio religioso che il musul mano manifesta nei confronti di un Dio che riconosce, volente o nolente, come suo; tuttavia, egli non si identifica né in questo Dio «separato)), né nel rapporto che il musulmano ha con lui. 11 cristiano è abituato a distinguere l'adorazione dei falsi dèi, cui dà il nome di idolatria, dall'adorazione del vero Dio, che egli chiama vera religione. Per trattare convenientemente con 1'1slam, occorrerebbe formulare un nuovo concetto difficile da pensare: /'idolalria del Dio di lsraele. . Ritorniamo alla situazione storica contemporanea. L'lslam, che attraversa una fase di crescita, non sembra essere attratto dal cristianesimo più di quanto non lo sia stato in passato. Viceversa, i cristiani sono attratti dalla
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religione musulmana, e possono persino essere tentati di convertirsi a essa. Tale attrazione si avverte particolarmente presso uno studioso che ha contribuito non poco a influenzare la visione cristiana del1'Islam nel XX secolo: Louis Massignan. Egli ha instillato in alcuni ambienti teologici due opinioni ancora vive, e cioè che il Corano è a suo modo una rivelazione - probabilmente monca, primitiva, in ogni caso pur sempre una rivelazione di natura essenzialmente biblica -, e che l'Islam, come esso stesso pretende, è una religione abramitica. Quando nelle nostre librerie diamo un' occhiata alla letterahlra favorevole all'Islam, per la maggior parte opera di preti cristiani influenzati da Massignon, osserviamo che l'attrattiva che questa religione esercita nasce da più sentimenti. Una certa critica della nostra modernità liberale, capitalista, individualista e competitiva è affascinata dalla civiltà musulmana tradizionale, alla quale attribuisce caratteri del tutto opposti, come la stabilità delle tradizioni, lo spirito comunitario, il calore nei rapporti umani. Questi ecclesiastici, disorientati a causa del raffreddarsi della fede e della pratica del culto nei paesi cristiani - e in special modo in Europa - ammirano la devozione dei musulmani, meravigliandosi davanti a quegli uomini che, nel deserto o in un capannone industriale in Francia o in Germania, si prostemano cinque volte al giorno per la preghiera di rito. Sono convinti che credere in qualcosa sia meglio che non credere in nulla, e si convincono che, dal momento che quelle persone credo-
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no, esse credano press'a poco nelle stesse cose in cui credono loro, e non si rendono conto di confondere la fede con la religione. Si rallegrano, inoltre, nel constatare l'alta considerazione di cui nel Corano godono Gesù e Maria, senza riflettere sul fatto che quel Gesù e quella Maria sono semplici omonimi, che con il Gesù e la Maria che noi conosciamo halU10 in comune soltanto i nomi. Quest' aspetto è grave, perché disturba le relazioni tra cristiani ed ebrei. In questa prospettiva, i musulmani sembrano «migliorb) degli ebrei, dal momento che onorano Gesù e Maria - cosa che gli ebrei non fanno. In tal modo, si paragonano «simmetricamente» Islam e religione ebraica, con l'Islam che ne esce avvantaggiato. Ma anche gH ebrei fanno un simile confronto tra il cristianesimo e l'Islam, e ancora una volta è quest'ultimo a risultare vincitore, dal momento che esprime un monoteismo che pone meno problemi di quello cristiano. Tuttavia, i cristiani non possono avvalorare una simile «simmetria» e la Chiesa cattolica l'ha espressamente condannata: se l'accettasse, rinnegherebbe la propria derivazione da Abramo e da Israele; rinuncerebbe all'eredità davidica del Messia e trasformerebbe il cristianesimo in un messaggio atemporale, privato delle proprie radici e della propria storia. In tal caso, il Vangelo si trasformerebbe in un altro Corano, dissolvendosi così nell'universalismo espresso dal libro dell'lslam. Ecco perché sarebbe opportuno eliminare dal lessico cristiano contemporaneo espressioni pericolose come «le tre religioni abramitiche», «le tre religioni rivelate» e persino «le tre reli-
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ABESANç ON
gialli monoteistiche» (anche perché ce ne sono ben più di tre). La più falsa di tutte queste espressioni è «le tre religioni del Libro», perché essa non significa che l'Islam si rifà alla Bibbia, bensì che è prevista, per cristiani, ebrei, sabei e zoroastriani, una speciale categoria giuridica. Essi sono la «gente del Libro): hanno quindi il diritto di elemosinare lo statuto di dhimmi che garantisce loro salva la vita e i beni, e possono scampare alla morte e alla schiavitù cui sono destinati i kafir, i pagani. Il fatto che simili espressioni siano usate con tanta facilità è un segno che il mondo cristiano non è più in grado di distinguere chiaramente tra la propria religione e l'Islam. Siamo forse tornati ai tempi di san Giovanni Damasceno, quando ci si domandava se l'Islam non fosse una forma come un'altra di cristianesimo? Non si può escludere che sia cast Per lo storico non c'è nuna di nuovo: quando una Chiesa non sa più in cosa crede, né perché crede, scivola verso l'Islam senza nemmeno rendersene conto. Questo è successo ai monofisiti in Egitto, ai nestoriani in Siria, ai donatisti nell' Africa settentrionale e agli ariani in Spagna. I cristiani hanno il grave torto di considerare l'!slam una religione semplicistica, elementare, una «religione da cammellieri». Al contrario, si tratta di una religione estremamente forte, di una cristallizzazione specifica del rapporto tra l'uomo e Dio in totale opposizione con la visione giudeo-cristiana, ma non per questo meno coerente. I cristiani commettono altresì l'errore di credere che l'adorazione da parte del1'Islam del Dio unico di Israele
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renda loro i musulmani più vicini rispetto ai pagani. In realtà, come dimostra la storia delle loro relazioni, la religione musulmana è più lontana dal cristianesimo di quanto non lo sia il paganesimo per quanto concerne il modo di adorare quello stesso Dio: si potrebbe dire che ci troviamo in presenza di due religioni separate dallo stesso Dio. Da tutto ciò consegue che se i cristiani vogliono capire i musulmani e «dialogare» - come si usa dire oggi - con loro, devono far leva su ciò che in seno all'Islam rimane della religione naturale, della virtù naturale: soprattutto, devono far leva sulla comune appartenenza al genere umano. Ma sia chiaro che il Corano, a differenza di Omero, Platone O Virgilio, non può essere considerato alla stregua di una praeparatio evangelica. Jacques Ellul non espone il problema negli stessi termini in cui l'ho appena affrontato io. È noto, e qui lo ripeto, come egli, sulle orme di Karl Barth, rifiuti al cristianesimo lo statuto di «religione». Vorrei segnalare soltanto che, da un punto di vista teologico che non è necessario approfondire in questa sede, ciò non cambia in nulla il suo giudizio sull'Islam. Come sarebbe bello se Jacques Ellul potesse oggi riprendere la discussione! Ma il testo qui proposto è l'ultimo scritto da lui. Aveva sentito l'urgenza, prima di lasciare il mondo, di lanciare un avvertimento piuttosto solenne. Lo si legga come un testamento. Oggi, a distanza di dieci aMi, ne comprendiamo meglio la gravità.
Alain Besançon
Premessa
Jacques Ellul, giurista, storico, sociologo e teologo protestante, mancato nel 1994 all'età di 82 anni, ci ha lasciato un notevole corpus di scritti (53 opere e migliaia di articoli tradotti in una decina di lingue). Benché non sia molto considerato né come sociologo nei circoli intellettuali parigini né come teologo negli ambienti delle Chiese protestanti, è ritenuto, negli Stati Uniti, tra i migliori pensa tori francesi grazie ai suoi lavori sui rapporti tra società e tecnologia, agli studi sui testi biblici e alla sua Éthique de la liberté in tre volumi. È stato insegnante all'Università di Bordeaux, e i suoi allievi lo hanno apprezzato non solo per i suoi corsi riguardanti la Storia delle istituzioni, il Marxismo e la Propaganda, ma anche per la sua umanità. Chi ha avuto a che fare con lui ricorda il suo impegno e la sua lotta come uomo di fede: un impegno che ha avuto parecchie ripercussioni sulla vita pubblica, sociale e politica. Il suo pensiero si articola attorno a due grandi temi: da una parte c'è l'analisi critica dei problemi generati dalla crescente importanza della tecnologia nella nostra
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società, dall'altra un'etica cristiana della libertà e della speranza che a tale società possa adattarsi. L'originalità della sua opera ha ispirato intellettuali e uomini politici di diversi schieramenti. Al giorno d'oggi, infatti, vi sono no global che ammettono di aver subito la sua influenza, e lo stesso vale per alcuni cristiani ed ebrei sostenitori di Israele. Contrariamente a ciò che qualcuno potrebbe pensare, questi due estremi, la cui coincidenza è in qualche modo disturbante, si toccano, si spiegano e si completano a vicenda; non sarebbe dunque giusto volerli separare, dal momento che riflettono la singolarità di questo pensiero basato interamente sulla testimonianza profetica di Ellul. Sei mesi dopo la sua morte, Patrick Troude-Chastenet ha pubblicato un libro nel quale si legge: «Possiamo mettere in discussione o persino rifiutare le analisi di Ellul, ma non possiamo più limitarci a ignorarle» I. ccJacques Ellul, il grande disturbatore», scriveva a sua volta jean-Claude Guillebaud. Islam e cristianesimo si compone di un testo centrale intitolato dali' autore l tre pilastri del conformismo. Questo manoscritto di una cinquantina di fogli, di difficile decifrazione, scritto probabilmente verso la fine del 1991 e mai pubblicato in precedenza, fa parte di un corpus più ampio: infatti, tra il 1980 e il 1991 Ellul ha pubblicato diversi scritti che trattano delle tre cosiddette «religioni del Libro». Il secondo testo qui presentato è la prefazione a un lavoro molto ben documentato sul problema della dhimmitudine: The Dhimmi. Jews and Christians Under
PREMESSA
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Islam (il volume tratta della condizione degli ebrei e dei cristiani che vivono in una società musulmana), scritto da una specialista della materia, Bat Ve' or, e pubblicato ne11985 negli Stati Uniti. Questa prefazione, redatta nel 1983, non è mai stata pubblicata in francese. È un testo molto importante, in quanto riprende gli argomenti trattati nel capitolo dedicato all'Islam in Subversion du Christianisme, scritto nello stesso periodo. Nel contesto della dhimmitudine, l'Islam è presentato come una religione che non si evolve né dal punto di vista giuridico né da quello politico, e che ha stabilito uno status di inferiorità per i popoli sottomessi non dissimile da quelIo dei servi della gleba nel Medioevo. Nel capitolo V di Subversion du Christianisme l'Islam è presentato come una religione totalitaria fondata su una nozione a carattere non evolutivo del Diritto divino, responsabile di aver introdotto nel cristianesimo il concetto di guerra santa, l'idea cioè che la guerra possa essere buona. In questo Jacques Ellul scorge una profonda incompatibilità ideologica tra l'Islam e il cristianesimo: quello riposa sul Diritto, espressione della volontà divina, e sul potere guerresco; questo si basa sulla Grazia, che da un punto di vista teologico è il contrario del diritto, considerato un male necessario. Possiamo così notare la differenza tra diritto ed etica. I due testi, sostenuti dai fatti storici, sono concordi nel ritenere l'Islam «una minaccia guerresca costante per l'Occidente» 2 e che, dal momento che il mondo isla-
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mica non è cambiato nel suo modo di percepire il non musulmano, «sappiamo come sarebbero trattati coloro che entrassero a fame parte» 3. Nel 1984, nel contesto della guerra in Libano e della carta dell'OLP che prevedeva la distruzione di Israele da parte degli Stati arabi, lacques Ellul scrisse Un chrétien paur Israel~. Si tratta di un corso di storia cui è annesso un corso di fede cristiana: un capitolo è riservato alla propaganda; tutti gli ingredienti del conflitto oggi in atto sono già rivelati in quel testo, nel quale troviamo il rigore dello storico delle istituzioni, alla base anche delle due opere scritte sempre riguardo alla propaganda s, L'opera si conclude con un commovente appello per la sopravvivenza del Popolo eletto: Che cos'è un cristiano per Israele? Niente, una calUla al vento, il fruscio di una foglia, un libro in mezzo a migliaia di altri libri, il quale, con amarezza, sa che potrà essere usato dai propagandisti o frainteso dagli ideologi. È un semplice tentativo che non sposterà di un millimetro le lancette del tempo politico; tuttavia, rappresenta uno sforzo che va fatto, perché un cristiano per Israele è prima di tutto un uomo che vive nella Speranza del Signore e che prega.
Nel solco di quest'opera è apparso, nel 1991, Ce Diell injuste, tlléologie chrétienne paur le peuple d'lsrai/. In questo libro fondamentale le tre religioni occupano un posto preciso: il popolo ebraico è il popolo testimone usci-
P~EMfSSA
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to dalla schiavitù grazie all'azione di un Dio liberatore, e scelto per portare agli uomini la testimonianza del suo amore attraverso la proclamazione della Legge rivelata a Mosè. I cristiani sono gli «innesti» del popolo ebraico, messaggeri della fedeltà e dell' amore di Dio, chiamati a testimoniare concretamente l'amore divino attraverso la mediazione della non potenza di Gesù Cristo e a proclamare agli uomini la salvezza eterna, il perdono e la vittoria sulle forze della morte attraverso la resurrezione del salvatore Gesù. Prendendo ispirazione da Rosenzweig, Jacques Ellul definisce l'Islam come un «nuovo testamento senza il vecchio». Pur rivestito di un abito biblico, l'Islam sarebbe dunque profondamente impregnato di pratiche idolatriche e pagane, nonché di antisemitismo. A questo punto è importante prendere coscienza del fatto che, a differenza dell'Islam, quando i cristiani scivolano nel culto degli idoli, nella violenza e nell'antisemitismo, sono in contraddizione con il loro testo fondante, mentre cos1 non è nel caso dell'Islam. In questo libro Jacques Ellul ricorda che l'ignominia dell'antisemitismo non rappresenta soltanto l'odio del popolo scelto da Dio, ma anche «l'odio nei confronti del progetto stesso di Dio»6. Il popolo ebraico ha secondo lui un rapporto diretto con la redenzione universale; l'enigma della sua esistenza e della sua sofferenza è legato alla fine della Storia '. Ce Dieu injuste, con lslam e cristianesimo, offre una visione completa del pensiero di Jacques Ellul a proposito delle tre religioni dette monoteistiche. La prima
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opera è più specificamente dedicata ai rapporti tra cristianesimo ed ebraismo, mentre la seconda prende in esame le relazioni tra la religione giudaico-cristiana e l'Islam. Nello stesso periodo, durante la prima guerra del Golfo, jaeques Ellul scrisse l tre pilastri del conformismo e la prefazione al secondo libro di Bat Ye' or sul jihad e sulla dhimmitudine 8 • l tre pilastri del conformismo pone il problema globale dell'infatuazione degli intellettuali per l'Islam. L'introduzione preannuncia tre capitoli di natura teologica"intitolati rispettivamente: «Siamo tutti figli di Abramo», «lI monoteismo» e «Le religioni del Libro». Questi tre concetti, che oggi stravolgono il significato profondo di contenuti teologici specifici per piegarti a fini ideologici, rappresentano i tre pilastri di un nuovo conformismo. A questo proposito, si noti la strizzata d'occhio sarcastica contenuta nel titolo - a cui Ellul teneva molto - e nel quale si può scorgere un riferimento ai «Cinque Pilastri» dell'Islam, come vengono chiamate le cinque pratiche fondamentali della religione musulmana. Ma vi è anche un' allusione al titolo che Thomas E. Lawrence aveva dato al proprio libro: I sette pilastri della saggezza, un volume che aveva fatto molto rumore all'epoca negli ambienti parigini. Il cololU1ello Lawrence (il famoso Lawrence d'Arabia), si era unito ai beduini per liberare l'Arabia dai turchi; tuttavia, il libro, che racconta con dovizia di particolari quelle battaglie, non ha in definitiva niente a che vedere con i «sette pilastri» cita-
PR IOM IOSSA
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ti nel libro dei Proverbi (9,1), ma assomiglia piuttosto a
un grande affresco dipinto su uno sfondo di indipendentismo: evidentemente, esso è riuscito ad affascinare gli intellettuali occidentali dell' epoca, pervasi di buoni sentimenti e tormentati da un senso di colpa derivante dall'essere stati dei colonizzatori. Infine, la seconda prefazione allibro di Bat Ye' or The Decline oJ Eastem Christianity under Islam: from fihad lo Dhimmitude si situa su un terreno familiare a Jacques Ellul, ovvero l'aspetto sociologico, e si presenta come una sintesi di tutti gli argomenti già trattati. Essa ruota attorno al concetto di jihnd, che costituisce il tema principale del libro. Il jihifd è fondamentalmente diverso dalle guerre tradizionali a causa della sua componente istituzionale; esso non ha lo scopo di ristabilire la pace, ma di perpetuare la propria esistenza. D'altra parte, l'idea del jihad come guerra spirituale (contro se stessi) non convince l'autore, perché si tratta di un'interpretazione accettata soltanto da una minoranza pacifista (e quindi, per definizione, vulnerabile). Nella parte finale dell'articolo vengono poste le basi per una maggiore apertura a questo vasto problema che, evidentemente, nel contesto attuale desta il massimo interesse sul piano politico e sociale. Ecco perché mi prendo la libertà di citare integralmente le ultime righe di lacques Ellul su questo argomento: Certamente, numerosi governi islamici tentano di contrastare la corrente islamista, ma per riuscire a sconfiggerla bisognerebbe cambiare completamente la mentalità mu-
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sulmana e nel contempo giungere a una desacralizzazione del jihiId; dovrebbe verificarsi una presa di coscienza autocritica dell'imperialismo islamico, unita a un'accettazione della laicità del potere politico e al rifiuto di alcuni fra i dogmi coranici. D'accordo, dopo tutto ciò che abbiamo visto prodursi in Unione Sovietica, non si tratta di un'idea impensabile, ma la sua realizzazione implica un'enorme cambiamento globale, il mutamento del corso della storia e la riforma di una religione assai solidamente strutturata.
Lo storico Ellu! terminava la sua prefazione ricordandoci che «la storia non si ripete». A conclusione di questa presentazione, ricordo che I tre pilastri del conformismo è stato pubblicato dieci anni dopo la morte di Jacques EHul su iniziativa di suo figlio Jean, il quale ha inviato il manoscritto a David G. Littman, storico e amico dell' autore, che ha curato l'edizione definitiva. Desideriamo ringraziare in modo particolare David Littman per il suo lavoro di decifrazione, di preparazione iniziale nonché per il suo contributo amichevole al buon esito della pubblicazione. Desideriamo altresì manifestare la nostra viva riconoscenza ad Alain Besançon per la sua notevole prefazione, che conferisce all' opera di Jacques Ellul un valore storico di importanza capitale e che contiene una nota di simpatia e di calore che non possono lasciare insensibili chi ha avuto modo di conoscere l.eques Ellu!'
PREMESSA
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Per dovere d'informazione, aggiungo che a Jacques Ellul è stato conferito nel luglio 2002, in segno di omaggio postumo, il titolo di «Giusto tra le Nazioni» dalla fondazione Yad Vashem di Gerusalemme per aver aiutato, a suo rischio e pericolo, alcune famiglie di ebrei durante l'occupazione nazista.
Dominique Ellul
Patrick Troude-Chastenet, Sur lacques ElIul, un penseur de notre temps, L'Ésprit du Temps, Bordeaux-le-Bouscat 1994. ' Jacqucs Ellu!, La sufroersion du christianisme, La Table Ronde, Paris 2001, p. 149. ) Prefazione, non pubblicata in francese, per la versione americana del libro di Bat Ve'or (vedi l'Appendice). 'Jacques Ellul, Un chrétien pcur Israel, Éditions du Rocher, Monaco-Paris 1986. ' Jacques ElIul, Propagandes, Armand Coli!\. Paris 1962; e Histoire de la propagande, PUF, l'aris 1967. ' Jacques Ellu!, Le Dieu injuste, Arléa, Pans 1991 p. 156. ' Ivi, p. 157. 'Bat Ve'or, The Decline of Easlern Chrislianity Under fs/amo' from lihad lo Dhimmilude, Fairlcigh Dickinson University Press-Associated University Presses, Madison (Nn - London 1996. I
ISLAM E CRISTIANESIMO
I TRE PILASTRI DEL CONFORMISMO
Introd uzione
È da una decina d'anni ormai, che un numero sempre più consistente di intellettuali francesi manifesta una passione smodata per l'Islam. Non passa giorno senza che si leggano le lodi più disparate della religione di Maometto: è la religione dell'assoluto ultimo, ha dato vita a una ricca civiltà, è permeata di profondo umanesimo e di devozione spirituale. Ovviamente, tutto ciò viene contrapposto al materialismo grossolano della nostra civiltà barbarica, alla nostra sete di denaro, alla nostra passione per il lavoro, alla nostra società tecnologica che disumanizza l'uomo. Mi è capitato di leggere in più occasioni che la «vittoria» di Poitiers del 732 e la disfatta dei l<Saraceni)) sono state un disastro per la civiltà; che gli arabi erano mille volte più civili dei barbari franchi di Carlo Martello; che, se i primi avessero vinto quella battaglia, avremmo goduto i frutti di una civiltà, di una cultura e di un'organizzazione sociale assai superiori. Si esalta lo splendore del regno di Granada per ciò che attiene all'arte e alla letteratura: sfortunatamente, ancora una volta i barbari del Nord sono riusciti a so-
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l TRE PILASTRI DEL CONfORMISMO
praffare una creazione così bella. Ho anche letto che dovremmo affidarci agli insegnamenti della saggezza e della spiritualità musulmane: troveremmo così una risposta e un antidoto all'intollerabile inettitudine del nostro Occidente. Alcuni hanno cominciato a combattere con coraggio le «leggende» inventate dagli occidentali sui massacri che sarebbero stati compiuti dai conquistatori arabi e dai turchi. Altri hanno tentato di dimostrare che sono sempre stati gli europei a cercare pretesti per attaccare i paesi arabi e ho letto con i miei occhi che erano gli europei - proprio così! - a solcare il Mediterraneo depredando le regioni costiere, non i pirati barbareschi; d'altra parte - e questo è un argomento che colpisce - uno dei grandi capi di quei «pirati», il Barbarossa, era un europeo! Un intellettuale assai importante, mio amico, ha proclamato davanti a me che il Corano è «il più grandioso e il più perfetto di tutti i poemi del mondo». Potrei continuare nell'enumerare le testimonianze di entusiasmo e di ammirazione che numerosi studiosi nutrono nei confronti dell'!slam. Per non restare indietro, mi sono tuffato anch'io nella lettura del Corano, di un breve condensato degli hadrth * e di molti libri riguardanti l'lslam: ebbene, non ho trovato ciò che mi era stato promesso. Tuttavia, sapevo bene che è vano discutere quando ci si trova di fronte a una passione intellettuale di questa natura, e stabilire un nesso tra il Corano, ~Raccolta
di te$ti extracoranici contenenti fatti e detti del Profeta. (N.d.T.]
INTRODUZIONE
le società musulmane e le conquiste sarebbe stata un'impresa troppo impegnativa. Lo studio dei fatti storici e della situazione dei vinti oltrepassava le mie competenze I; mi mancava inoltre uno studio serio del Corano, che deve esser letto in arabo, se si vogliono evitare grossolani abbagli 2. Rimaneva comunque una questione per me insolubile: com'è possibile che generazioni di studiosi di cose arabe abbiano potuto ingaJU1arsi in modo così netto a proposito dell'Islam, presentandolo come uno spauracchio e una minaccia? Perché è esistita un' opinione unanime (basata su fatti inesatti, si dice oggi) riguardo alle conquiste islamiche e perché generazioni di persone appartenenti alle popolazioni costiere del Mediterraneo hanno vissuto nel terrore dei pirati barbareschi? E via discorrendo. Ecco il mistero: a proposito dell'Islam e della civiltà musulmana si è creata un' opinione (pubblica) negativa che è durata nel tempo e oggi .è ritenuta completamente falsa, ma nessuno tenta di spiegare perché si sia creata. Oggi la situazione è stata «raddrizzata» e la «verità» è stata ristabilita. Il Corano è un libro di preghiere dal contenuto altamente mistico (come è noto, quasi tutti spiegano che il jihnd, la guerra santa, non è affatto un conflitto contro altri esseri umani ma una battaglia spirituale che il credente deve combattere dentro di sé). Le «conquiste» musulmane sono del tutto pacifiche e, se se ne deve parlare, si preferisce restare nel vago (per esempio, l'Encyclopaedia Universalis afferma: «Dall'VlII all'XI secolo si è verificata un'espansione dell 'Islam .. . », ma si
I TRe. P/LASTRl DEL CONFORMISMO
evita accuratamente di dire come l'Islam si sia espanso: forse per magia o grazie alla propria spiritualità ... ). Quanto ai massacri, all' oppressione dei popoli cristiani ecc., sono soltanto leggende diffuse in Occidente per giustificare le nostre conquiste. Infatti, in tutta questa faccenda, i colpevoli siamo noi europei: c'è l'abitudine di soffermarsi a lungo sulle crociate, sul terribile intervento militare degli europei nel pacifico Vicino Oriente (e ci si dimentica di parlare dell'invasione araba dell'Impero bizantino!). Siamo quindi in presenza di una riscrittura del passato e della storia interamente favorevole ai popoli musulmani, a una reinterpretazione del Corano e a un' apertura volontaria a tutte le correnti intellettuali e spirituali dell'Islam. Dobbiamo in ogni caso domandarci a cosa possa essere dovuto un cambiamento di giudizio così profondo e nel contempo così vistoso. Una simile «conversione» non può essere attribuita a una causa sola: occorre ricercare il concorso di diversi fattori. Un primo ed evidente fatto è rappresentato, in Francia, dalla presenza massiccia di magrebini Inel1991 erano - secondo alcune stime - cinque milioni]. Non possiamo dunque considerarli come una popolazione lontana e priva di relazioni con noi: siamo per forza di cose obbligati ad avere rapporti con loro. Ebbene, ci viene ripetuto di continuo che essi sono indispensabili all'economia francese. Non siamo ancora arrivati ad affermare che l'intera economia francese si regge sul loro lavoro, ma siamo sulla buona strada. Se non ci fossero i
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magrebini, ci vien detto, la Francia colerebbe a picco, essendo i francesi notoriamente incapaci di lavorare. Ne consegue che non siamo affatto noi a fare un favore a loro (la Francia terra d'asilo che raccoglie i disperati, i perseguitati politici o le persone provenienti da paesi troppo poveri per sfamare tutta la popolazione ecc): sono gli stranieri che ci rendono un servizio di inestimabile valore e siamo noi che dobbiamo esser loro riconoscenti. Inoltre, essi svolgono spesso i lavori più faticosi o umili - quelli che i francesi si rifiuterebbero di svolgere - perché sono «poveri» (anche se è un fatto risaputo che posseggono denaro a sufficienza per paterne inviare ai loro familiari rimasti nei paesi d'origine). Sono i poveri della nostra società dell' opulenza (benché, e ciò è degno di nota, non vi sia quasi nessuno di loro tra i cosiddetti barboni), e il cuore dei cristiani si commuove per loro e accoglie tutte le loro richieste. Inoltre, essi sono stranieri (