I TALEN T I l
Collana diretta da Marta Sordi
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Pesce eucaris co (primi decenni III secolo).
·
Catacombe d( S. Callisto, Cappella cosiddetta dej :«Sacramenti>>, Roma. GrafiJe.di eopertina� Alessimdro·:Selkicd.
TERTULLIANO DIFESA DEL CRISTIANESIMO APOLOGETICUM
TESTO CRITICO DI CCL l (E. DEK.KERS)
INTRODUZIONE
MARTA SORDI
docente emerito dell'Università Cattolica, Milano ATTILIO C ARPIN docente alla Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna, Bologna MORENO MORANI
docente all'Università di Genova
TRADUZIONE, APPARATI, APPENDICE ATTILIO CARPIN NOTE AL TESTO
MARTA SORDI
EDIZIONI
EDIZIONI
SAN CLEMENTE
STUDIO DOMENICANO
RoMA
BOLOGNA
2008
© 2008 Per tutti i testi in lingua italiana Edizioni Studio Domenicano. Il testo latino di CCL
l
curato da E. Dekkers nel 1954 è stato ripro
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Finito di stampare nel mese di aprile 2008 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna
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ABBREVIAZIONI 'fERTULLIANEE
Ad mart. Ad nat. Ad Scap. Ad ux. Adu. Herm. Adu. Iud. Adu. Mare. Adu. Prax. Adu. Val. Apol. De an. DeBapt. De carn. De cor. De cult. De exh. De /ug. De idol. De iei. De mon. De or. De paen. De pal. De pat. De praescr. De pud. De res. De spect. De test. De uir. Fragm. Scorp.
Ad martyras Ad nationes libri II Ad Scapulam Ad uxorem libri II Aduersus Hermogenem Adversus Iudaeos Aduersus Marcionem libri IV Aduersus Praxean Aduersus Valentinianos Apologeticum De anima DeBaptismo De carne Christi De corona De cultu /eminarum libri II De exhortatione castitatis De fuga in persecutione De idololatria De ieiunio De monogamia De oratione De paenitentia De pallio De patientia De praescriptione haereticorum De pudicitia De resu"ectione mortuorum De spectaculis De testimonio animae De uirginibus uelandis Fragmenta Scorpiace
INTRODUZIONE
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CAPITOLO l
L'AUTORE E L'OPERA
1
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Quinto Settimio Flo�ente Tertulliano
Della vita di Tertulliano, a parte la breve biografia di Girolamo sulle cui notizie peraltro è stato sollevato qual che dubbio , sappiamo ben poco. N ato a Cartagine nell' Mrica romana e figlio di un centurione, fu il primo, dopo papa Vittore e il senatore Apollonio (i cui scritti non ci sono giunti), a scrivere tra i cristiani di lingua latina. Fiorì sotto gli imperatori Settimio Severo e Caracalla e, sempre secondo Girolamo (ma questo è uno dei dati su cui c'è incertezza tra i moderni, non essendoci conferma nelle opere dello stesso Tertulliano) , fu presbitero. In seguito a divergenze con la Chiesa di Roma passò al Montanismo, sembra verso il 207 . 1 Lo stesso Girolamo, basandosi sulla testimonianza di un certo Paolo, un vecchio conosciuto a Concordia, che riferiva a sua volta di aver conosciuto quand'era giovane a Roma l'ormai anziano segretario di Cipriano, grande
1. «Tertullianus presbyter, nunc demum primus post Victorem et Apollonium Latinorum ponitur, provinciae Africae, civitatis Carthaginiensis, patre Centurione proconsulari. Hic acris et vehe mentis ingenii, sub Severo principe et Antonino Caracalla maxime floruit, multaque scripsit volumina . . . Hic cum usque ad mediam aetatem presbyter Ecclesiae permansisset, invidia postea et contu meliis clericorum Romanae Ecclesiae, ad Montani dogma dela psus . . » (HIERONYMUS, De viris illustribus 53: PL 23 , 698). Sulla biografia di Tertulliano, cf. H. M. ZILLING, Tertullian, Miinchen 2004, pp. 21 ss. .
lO
INTRODUZIONE
estimatore di Tertulliano, afferma che questi mo rì in età molto tarda. 2 Poche sono le notizie biografiche che si possono trarre dalle sue opere. Oltre alla professione del padre, centurio ne dell' Mrica proconsolare di cui Tertulliano par la pro prio ne11'Apologeticum3 -, sappiamo che egli fu a Roma;4 che aveva una moglie, cui dedica lo scritto Ad uxorem; che possedeva un'ottima cultura lat n i a, come risulta dalle sue citazioni; che sapeva il greco e aveva soprattutto una profonda conoscenza del diritto. Quest'ultimo aspetto ha fatto sospettare, in passato, ch'egli potesse essere identifi cato con il giurista Tertullianus, noto dal Digesto,5 la cui attività sembra essersi prolungata fino al 195 d. C. Risulta, invece, che il nostro Tertulliano visse e continuò a scrivere almeno fino al 222, quando polemicamente attaccò ilpon tefice romano Callisto. Poiché la sua morte avvenne «in età decrepita», si pensa di porre la sua data di nascita tra il 150 e il160 .6 Ma non escluderei una data anteriore. Di Tertulliano ci sono giunte trentuno opere; di altre, perdute, si conoscono i titoli . Al periodo p remontanista appartengono certamente l'Ad nationes, I'Apologeticum, -
2 . «Vidi ego quemdam Paulum Concordiae, quod oppidum ltaliae est, senem qui se beati C ypriani, jam grandis aetatis, notarium, cum ipse admodum esset adolescens, Romae vidisse diceret, referreque sibi solitum nunquam Cyprianum absque Tertulliani lectione unum diem praeterisse, ac sibi crebro dicere, Da magistrum: Tertullianum vidd.icet significans. ( . . . ) Ferturque vixisse usque ad decrepitam aetatem, et multa quae non exstant opuscula condidiss e» (Ibidem). 3 . « . teste militia patris nostri, quae id ipsum munus illi proconsu li functa est» (Apol. 9, 2: CCL l , 1 02 ) . 4. « uidimus Romae . . . » (De cultu /eminarum I , 7, 2 : CCL l , 349) . 5. Cf. Digestum I, 3 , 27 ; XXXIX , l , 23 . 3 3 ; XLI, 2, 28; XLIX, 17, 4. 6. « . . . si colloca la sua nascita nd decennio 150-160 d. C. e la sua morte intorno al 23 0 d. C.» (Quinto Settimio Fiorente Tertulliano. Apologia del Cristianesim o, introduzione e note di Claudio Moreschini, traduzione di Luigi Rusca, Biblioteca Universale Rizzoli, M ilano 1984, p. 67). In seguito : C. MORESCHINI, op. cit. . .
. . .
APOLOGETICUM
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l'Adversus Iudaeos, il De testimonio animae, che - a l p ari dell 'Ad Scapulam del 21 2 -hanno carattere apologetico. Altri scritti hanno carattere polemico (De praescriptione hae reticorum, Adversus Hermogenem); alt ri, ancora, rivestono un carattere ascetico e discip linare (Ad martyras, De specta culis, De oratione, De patientia, De baptismo, De paenitentia) . 2 - La data dell'Apologeticum
La data generalmente proposta per l'Apologeticum è come per l Ad nationes e l'Ad martyras- il 1 97 . 7 Essa si fonda essenzialmente sull'accenno dello stesso Tertulliano all a «vindemiam p arricidarum » (Apol. 3 5, 1 1), cioè all a strage dei pa rtigiani di Clodio Albino, vinto da Settimio Severo a Lione nel febbraio del 197 .B Molti, poco prima della vittoria su Albino, avevano celebrato con solenni sacrifici agli dèi i vota publica, identificati con i vota quin quennalia, accusando i cristiani di non celebrarli; come in seguito i gaudia publica. Ma la fr ase di Tertulliano è pi ù completa e ren de meglio il suo pensiero: «post uindemiam parricidarum racematio superstes » . In realtà egli si riferisce a una suc cessiv a elimin azione, all a spicciol at a ( racematio) , degli avvers ari s op r avvi s s u t i all a uindemia . S emb r a che Tertulliano non p arli tanto dei fautori di Clodio Albino, quanto invece delle reliquiae dei sostenitori di Pescennio Nigro - l'altro avversario di Setti mio Severo nella conqui st a dell 'impero - messi a morte per incitamento di Plauziano («Plautiano auctore» ) con l'accusa di aver con '
7. Per la bibliografia cf. M. SORDI, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1 965 , pp. 474 ss. Moreschini accetta ancora la data del 1 97; d. C. MORESCHINI, op. cit., pp. 34 e 67. 8. È interessante notare che la definizione degli avversari di Settimio Severo come parricidi si ritrova in una iscrizione di Efeso (C. III, 427) spes parricidiales, databile, grazie ai titoli imperiali usati, fra il 1 98 e il 209. Ciò rivela l'uso da parte di Tertulliano della termi nologia ufficiale adottata dalla propaganda imperiale.
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INTRODUZIONE
sultato C aldei (maghi) e vati s ulla s alute dell'imperatore. Ne parla una nota fonte pagan a, ossia la Historia Augusta ( Vita Severi 15, 4-5), citando Mario Mas simo. Di queste cons ult azioni «im aginem spei s u ae» p arl a an che Tertulliano (Ibidem) e non c'è dubbio- a mio avviso- c he si tratti degli ste ssi avvenimenti. Ma le esecuzioni volute dal prefetto del pretorio Plauziano sono poste da Dione Cassio (Hist. Rom. LXXV, 14 ss.) durante il soggiorno di Settimio Severo in Oriente nel 201 /20 2. Le feste imperiali a cui i cristiani non si associarono potrebbero essere i vota decennalia del 202.9 Pertanto, ritengo che la data di com posizione dell'Apologeticum sia il 20 2 .
3
-
n rapporto
fra l'Apologeticum, l'Ad Nationes
e
l'Octavius
Lo spostamento al 20 2 dell'Apologeticum, o- come si è detto di recente- al 200 ,to permette d'impostare in modo p arzialmente diverso da quello consueto l'intervallo fra l'Apologeticum e l'Ad nationes, che i moderni riducono a pochi mesi, nello stesso 1 97 , e forse anche il discusso rap porto fr a l a recensione del codice Fuldense dell'Apologeticum e que lla del la c o siddett a Vu lg at a. Secondo alcuni, il codex Fuldensis, conservato in un ampio frammento del cap . 19 (su ll' autorità della S acra Scrittura), sarebbe la recensione originaria, poi corretta per diffonde re un testo più facilmente leggibile; secondo altri, invece, la recensio Vulgata sarebbe la seconda stesura del testo da p arte dello stes so Tertulliano per correggere l a recensio Fuldensis, che appare più vicin a all'Ad nationes.tt ll pas s aggio d all'Ad nationes all'Apologeticum, attraverso la duplice redazione dell'Apologeticum stesso, è stato soste-
9. Cf. M. SoRDI, op. cit., pp. 474-477. Cf. C . MINELLI, La data dell'Apologetico di Tertulliano, in «Aevum» 74 (2000), p. 187; T. D. BARNES, Tertullian, Oxford 19852 pensa al202/203 . 11. Cf. C. MORESCHINI, op. cit., pp . 64-66 . 10.
APOLOGETICUM
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nuto in particolare - dopo gli studi del Thornell e del Pasquali - da C. Becker. 1 2 Che l'Ad nationes sia anteriore all'Apologeticum, il quale spesso ne riproduce verbalmente le argomentazioni, è cosa generalmente ammessa. Ma la diversità dell'Apologeticum rispetto all'Ad nationes non consiste solo nel suo perfeziona mento linguistico, e neppure in un nuovo ordinamento logi co e strutturale della stessa materia, ma anche - e soprattutto - nell'apporto di not izie nuove e in uno spirito nuovo che anima tutta l'apologia. Nell'Ad nationes, i nfatti, manca - e invece si trova nell'Apologeticum -la notizia del senatocon sulto (5, 1-2) che sta alla base, secondo Tertulliano, della legislazione anticristia na; come pure la notizia de lle misure penali di Marco Aurelio (5, 6) contro gli accusator i dei cri stiani. Nell'Apologeticum, inoltre, si trovano i seguenti ele menti di novità: la giustificazione, ispirata da un profondo lealismo verso l'impero, del rifiuto cristiano al culto imperia le (capp. 30-34); l'ampia presentazione del Cristo storico, vissuto come uomo inGiudea, a nnunciato dai profeti e iden tico al Logos divino (cap. 21 ); la consapevolezza della validità del cris tianesimo non solo in rapporto al dest ino eterno di ogni uomo, ma, a c ausa della di gnità che esso conferisce alla vita umana, anche inrapporto a lla vita presente (49, 2; 50). È interessante osserva re come le notizie e i temi presenti nell'Apologeticum - e assenti nell'Ad nationes- siano assenti anche nell'Octavius di Minucio Felice. Inoltre, si può notare - anche nel caso di corrispondenze di idee e di argomenti tra le due opere - che i rapporti fra l'Ad nationes e l'Octavius sono assai più stretti di qu elli fra l'Apologeticum e l'Octavius. Girolamo afferma - come abbiamo visto - che Tertul liano è stato il primo, dopo Vittore e Apollonio, degli scrittori cristiani di l ingua latina. Quindi, non c' è dubbio che secondo G i rolamo il rapporto indis cutibi le fra Tertulliano e Minucio va risolto a favore dell'anteriorità di Tertulliano. Ma questa anteriorità riguarda - a mio avviso - l 'Ad nationes, non necessariamente l'Apologeticum. I.:Ad 1 2 . Cf. C. BECKER, Tertullians Apologeti'cum. Werden und Leistung, Miinchen 1 954. Cf. C. MORESCHINI, op.cit. , p. 66.
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INTRODUZIONE
nationes è il primo scritto latino cristiano dopo gli scritti per noi perduti di p apa Vittorel3 e del senatore Apollonio, autore - secondo Girolamo di un'apologia.14 Sia Vittore che Apollonio appartengono all 'epoca di Commodo e, sotto questo imperatore, fra il 183 e il 185, fu messo a morte a Rom a il martire Apollonio. L'Ad nationes a cui Minucio si ispira usando una struttura del tutto diversa, ossia il dialogo fra due personaggi ( il cristiano Ottavio e il pagano Cecilio) - è posteriore al 197 ; ma l'Apologeticum, come abbiamo visto, è del 20 2 o, al più presto, del 200 . Dunque, i primi due scritti cristiani in latino (quelli di Vittore e di Apollonio) nacquero a Roma, dove Tertulli ano era stato, come egli stesso attesta, in una occasione p arti colare e dove aveva visto un corteggio di Medi e di Parti.15 I vota suscepta decennalia del 20 2 co incisero, nell'aprile di quell 'anno, con il ritorno a Rom a dall'Oriente di Settimio Severo e di C ar ac all a, e con le nozze di C ar ac all a con Plautilla, figlia di Plauziano. In questo contesto la Historia Augusta ( Vita Sev. 14, 4) ricorda anche il «rumor ... belli Parthici». Infatti, la guerra p artica di Settimio Severo era appena fmita, ma fu ripresa pochi anni dopo. Mi dom ando se non sia stata questa l'occasione in cui Tertulliano vide a Rom a i Parti e i Medi, conoscendo per l a prim a volt a l'Apologia di Apollonio, da cui derivano le più importanti aggiunte e varianti rispetto all 'Ad nationes. -
-
13. Cf. L. RUS CA , Tertulliano. Apologia del Cristianesimo, Milano 1 956, p. 9, n. 2. 14. «Apollonius, Romanae urbis senator, sub Commodo principe a servo Severo proditus, quod Christianus esset, impetrato, ut ratio nem fidei suae redderet, insigne volumen composuit, quod in senatu legit; et nihilominus sententia senatus pro Christo capite truncatus est, veteri apud eos obtinente lege, absque negatione non dimitti Christianos , qui seme! ad eorum judicium pertracti essent» (HIERONYMUS, De viris illustribus 42: PL 23 , 69 1 ) . 15. «Gemmarum quoque nobilitatem uidimus Romae d e fastidio Parthorum et Medorum ceterorumque gentilium s uorum . . . » (De cultu feminarum I, 7 , 2: CCL l , 349 ) .
APOLOGETICUM
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4 - IJApologia di Apollonio
come fonte deii'Apologeticum
Dell'Apologia di Apollonio - forse uno dei C laudi Apolloni di Smirnel6 - p arla Eusebio, che possedeva gli Atti antichi del processo, precis ando che fu pronunziata davanti al senato P Anche Girolamo -l'abbiamo già nota-
16. Cf. M. SORDI, Un senatore cristiano dell'età di Commodo, in «Epigraphica» 17 ( 1 955 [1957] ) , pp. 104 ss. 17. 'O �t ye 9EOpet Ki.O"'tEç axa.!; Eic; �llCCXO"'titptoV 1ta.plOV'tCXç KCXÌ JLTJ6CXJLéòç 'tfìc; 1tpo9ÉO"E 'totc; v6JLOll JCEKpa.'tTJ1C6'toc;. [Intanto il
martire (Apollonio) , accettissmo a Dio, richiesto pressantemente di giustificarsi davanti all'assemblea senatoriale, vi tessé un'elegantis sima apologia della fede, che doveva suggellare col martirio. Infatti, in base a un senatoconsulto fu condannato alla decapitazione seguendo una vecchia legge, che disponeva che i cristiani, una volta comparsi davanti a un tribunale, non fossero rimessi in libertà se non avessero ritrattato le proprie idee] . ToU'tOll JLÈV oùv 'tàç btì 'tOU �tJCCXO"'tOU <provàc; JCa.Ì 'tàç a1t0Kptaetc; àc; xpòc; 1tEOOlv uxotTJ'tO 'tOU nepevvtou, MO"clV 'tE 't'IÌV xpòc; 't'IÌV O"U 'Y lC À.TJ'tO V axoì.. o yta.v, O'tC!) �ta.yvéii v a.t > (ma questo non è un elemento adatto a svalutare F; anzi potrebbe essere una garanzia della sua genuinità, poiché significa che F ha subìto meno interventi emendatori di n ! ) . S e torniamo per un attimo a riconsiderare i dati offerti dall'esame della tradizione indiretta, noteremo che le testi monianze antiche ( «pretradizionali», per utilizzare la ter minologia di Pasquali) ci mettono di fronte a un testo meno caratterizzato da quegli errori e da quelle interpola zioni che oggi contrappongono le due recensioni tra di loro. Ciò semplicemente perché nei nostri codici si sono insinuati qua e là errori, sviste e interpolazioni, da cui le edizioni del IV-V secolo erano ancora indenni, e che hanno differenziato le due recensioni un po' di più di quanto fossero diverse in origine. 20. Cf. W. VoN HARTEL, Patristische Studien, Il, Zu Tertullian ad Nationes, in «Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften
in Wien», philos. histor. Classe, CXXI, soprattutto pp. 2 1-84.
APOLOGETICUM
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Del resto, la tesi di Frassinetti che anche il nostro F sia in sostanza un codice della Vulgata, in cui sono state inseri te lezioni risalenti ad appunti di Tertulliano, non è priva di risvolti positivi. Infatti, rovesciando la sua tesi, si potrebbe sostenere piuttosto che è molto verisimile che il copista del Fuldense abbia utilizzato codici dell'altra recensione per ritoccare e migliorare un testo che doveva presentarsi in molti punti di difficile lettura e di problematica interpreta zione; quindi, anche F potrebbe essere portatore di un testo non del tutto puro dal punto di vista tradizionale. Su una linea parzialmente diversa da quella di Thornell si pongono F. Di Capua ed E. Dekkers. ll primo, in una serie di articoli dedicati all 'argomento e impostati soprat tutto sullo studio delle clausole metriche di n , concluse che questa recensione era sì dovuta all'opera di un inter polatore, ma vicino al tempo di Tertulliano, ritenendo di identificare questo ignoto revisore in Cipriano di Cartagine.2I Dekkers inve c e , nella p refa z i o n e all ' e d izio n e del l'Apologeticum curata per il CCL, si dichiara poco favore vole a vedere all'origine delle nostre due recensioni due diverse edizioni curate dall o stesso Tertulliano, pensando piuttosto a un'opera lasciata ancora allo stato di abbozzo dall ' autore. Le due recensioni, quindi, si rifarebbero a «schedae inemendatae» in cui l'autore aveva lasciato sui margini o tra le linee annotazioni di minore o maggiore importanza. Nel valutare l'affidabilità delle due recensioni il Dekkers esprime una preferenza per F, come più genui no e meno incline ai cambiamenti interpolatori.22 2 1 . Cf. F. DI CAPUA, Le clausole metriche nell'Apologetico di Tertulliano e le varianti del codex Fuldensis, in «La Scuola Cattolica» 40 ( 1 9 12 ) ser. IV, vol. 22 , pp. 249-259; 550-564 ; v�l. 23 , pp. 126- 1 3 7 ; Le due redazioni dell'Apologetico di Tertulliano, in «Bollettino Letter. criti ca-relig.» l ( 1 9 1 4 - 1 5 ) , pp. 1 80- 1 97 . 2 2. «Ambae recensiones e x scediis inemendatis Tertulliani proue niunt, in quibus auctor quasdam minores uel maiores mutationes inter lineas uel in margine addiderat ; inueniebatur inibi etiam descriptio capituli cuiusdam quod ultimo forma prorsus mutata ipse perscribet (sic dictum "fragmentum Fuldense" )».
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INTRODUZIONE
Che n risalga a un archetipo (o a un'edizione) il cui redattore era incline al cambiamento volontario e all'inter polazione risulta dall'esame di vari passaggi, ma emblema tico è il caso del cap . 9, 2. Qui leggiamo che l'usanza di immolare i bambini a Saturno in alcune regioni dell' Mrica era rimasta viva fin quasi ai tempi dell'autore «teste militia patris nostri». In luogo della lezione di F «patris nostri» (Tertulliano si rifà alla testimonianza diretta del padre che, come ci avverte Gerolamo nel De viris illustr. 53, fu centu rione proconsolare) i codici della Vulgata leggono «patriae nostrae». Si tratta di un evidente adattamento, mirante all'eliminazione di una lezione il cui senso non poteva facilmente essere colto dal copista o dal revisore. Non è possibile, ovviamente, addentrarci nella discus sione dei particolari. J. P. Waltzing nel 1914 aveva pubbli cato una ponderosa memoria di oltre cinquecento pagine per valutare tutti gli aspetti della questione. 23 Al volume di Waltzing può ricorrere chi desidera avere notizie esaurien ti e vedere discussa una per una, con dovizia di argomenti, tutte le differenze che intercorrono tra le due recensioni. Resta solo da dire che le differenti valutazioni della questione implicano anche scelte differenti dal punto di vista editoriale. Se si segue la communis opinio che vede in n un testo posteriore, riveduto e corretto dall'autore stes so, sarà necessario decidere quale rilievo conferire alle lezioni di F, fermo restando che comunque si dovrà utiliz zare F per eliminare qua e là i guasti della Vulgata. Certo, elencare le lezioni di F in apparato come se fosse un codi ce tra i tanti sarebbe una soluzione incongrua, anche per ché, così facendo, si finirebbe per sottovalutare la peculia re natura di questo specialissimo testimone rispetto al resto della tradizione. La soluzione più adeguata, se si accetta questa impostazione del problema, sembrerebbe quella di Hoppe che, pur mantenendo il carattere unitario
23 . C f. J . P. WALTZING, Étude s u r le Code?< Fuldensis de l'Apologétique de Tertullien (Bibliothèque de la Fac. de philos. et lettr. de l'Univ. de Liège, fase. 2 1 ) , Liège-Paris, 1914- 1 9 1 7 .
APOLOGETICUM
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del suo testo e dando la preferenza a Q, segnala separata mente, in un apparato a parte - collocato tra il testo e l'apparato vero e proprio -, le lezioni di F, mettendo così il lettore nella condizione di scegliere tra i due testi, pub blicati «iuxta utramque libri recensionem». Se invece si ritiene che F rappresenti in modo più genuino il > Leiden, 16 (1916) 82-161. L . WOHLER, Zu Tertullians Apologeticum, in «Philologische Wochenschrift» Leipzig, 36 ( 1 9 16) 53 9-544, 603 -608, 848856, 1537- 1538, 1568- 1570, 1635 - 1 639. G . BOTTI, Un esempio di doppia redazione in Tertulliano, in «Didaskaleion» 6 ( 1 9 1 7 ) 167-247 . E . LOFSTEDT, Kritisch e Bem erkungen zu Tertu llia ns Apologeticum, Lund-Leipzig 1918. E. T. MERRIL L, Tertullian on Pliny's persecution o/ Christians, in «American Journal of Archaeology» Princeton, 4 ( 1 9 18) 124-135. G . RAUSCHEN , Emendationes et adnotationes ad Tertulliani Apologeticum, in «Florilegium Patristicum» 12, Bonn 1919. E. LOFSTEDT, Zur Sprache Tertullians, Lund 1 920. J. SCHRIJNEN, Ad Tertulliani Apologetici cap. VII, 1 1, 12, in «Mnemosyne. Bibliotheca Classica Batava» Leiden, 1 920, 260-263 . H. SCHRORS,
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101
N O TA D E L T R A D U T T O R E
Mentre ringraziamo l'editore del CCL per averci conces so di utilizzare l'edizione critica dell'Apologeticum curata da E. Dekkers, segnaliamo gli errori più rilevanti presenti nel testo critico latino e negli apparati con le relative correzioni:
Il,
7:
ll p ò ç 't <X Ut a c'xv'tÉypacpE Tpai:avòç 'tÒ 't Wv X p ta n a v rov cpuÀmv Jl 'IÌ t x !; TJ'tEt a9at J.L É V ,
liè KoÀa!;Ea9at [ .
ÈIJ.ttEaò v
siastica l, 3 3 , 3 ]
=
. .
Ht'storia eccle
llpòç 'tailta c'xv'tÉ'YP<X'IfEV
T p a i:a v ò ç 'tÒ 't rov X p t a 't tavrov cp u À o v J.L'IÌ
liè KOÀaçEa9at [ . Historia ecclesiastica III, 3 3 , 3 ] . leges a Lacedaemoniis emendata leges a Lacedaemoniis emendatae militum precationibus impetatro imbri mili tum precationibus impetrato imbri (testo greco) : HE, V, 6-7 HE, V, 5, 6-7 quas aduersus non soli quas aduersus nos non soli agentaria metalla argentaria metalla (app.) 46 . . . (c/. Ad nat. I, 75) . . (c/. Ad nat. I, È XçTJ'tEt0'9<Xt J.LÉV, ÈJ.11tEO'ÒV . .
N, 6: V, 6: V, 6: V, 7 : Vl, 3 : VII, 1 1 :
=
==
==
==
=
=
.
7, 5) IX, 6: IX, 14: X, 8:
X, 9: X, 10: Xl, 2 :
(nota) 28 cf. lsid. Orig. III , 27 , 35 cf. lsid. Orig. V, 27, 35 (app. ) 64 . . (c/. cap. XII, 1 0) (c/. cap. XXII, 1 0) (nota) 39 sqq. cf. lsid. Orig. XVI, 18, 3 cf. lsid. Orig. XVI , 18, 5 (app. ) 42 . . (c/. Ad nat. II, 12, 3 1 ) . (c/. Ad nat. II, 12, 30) (app. ) 49 . (c/. Ad nat. II, 2, 33) . . . (c/. Ad nat. II, 12, 33) =
=
.
=
.
=
=
. .
sublimiorem Deum
. .
==
sublimiorem deum
1 02
Xl, 3 :
Xl, 4: Xl, 10: Xl, 1 1 :
Xl , 13 : . Xll, 5 :
NOTA DEL TRADUTTORE
frustra praesimutis = frustra praesumitis magnus Deus magnus deus illum Deum illum deum in imum. Tartarum = in imum Tartarum Deus ille = deus ille ( a pp . ) 2 1 . . . ( cf. De p ra escr. 3 6, 1 4 ) =
=
·
(c/. De praescr. 36, 3) XIV, 2: XVI, 2 :
=
. . .
(app.) 1 1 sagitta] ooupt = sagitta] aoupi (app.) 9 . . . (c/. Ad nat. I, 1 1, 12) = . . . (cf Ad nat.
l, 1 1, 2) XIX, 4*: XXI, 7 : XXI, 10: XXI, 14: XXI, 2 1 : XXI, 23 : XXIII, 12: XXIII, 1 7 : XXIV, 8: XXV, 3 :
XXVI, 1 : XXIX, 3 : :XXX , 6: XXXI, 2:
}.DJ{, 3 *. Deinceps (nota) 36 . . . Isid. Orig. VII, 1 1 , 35 . . . lsid. Orig. VIII, 1 1 , 35 er ratione = et ratione Christus pobetur = Christus probetur (app. ) 1 13 . . . cf Thornell cf Thornell (nota) 123 . . . Plut. Romul. 1 8 = Plut. Romul. 28 (app.) 67 . . . (c/. De praescr. 43, 14) (c/. De praescr. 43, 5) (app.) 87 . . . (c/. XXII, 2) = (c/. XXN, 2) (app. ) 36 . . . S P O bt . . . S P O b (app.) 19 . . . F transfretanis Vulg. = F, transfretanis Vulg. (app. ) 4 qui seculum 4 qui saeculum (app. ) 12 . . . prius aut] = . . . prius aut (app. ) 32 . . . probentur] = . . . probentur (app.) 1.5 . . . (c/. De spect, 29, 1 0) = (c/. De spect, =
=
=
=
=
29, 3) XXXV, 2 : XXXV , 1 3 :
XXXVII, 3 :
XXXVII , 4:
(app.) 9 haecine Vulg. = 9 haecine] Vulg. (app .) 63 caesariis S pt co". p2 = 63 Caesaris] F M, caesariis S pt corr. p2 (già segnalato in " addenda et corrigenda " : CCL 2 , 163 1 ) (nota) 1 3 sq. cf. Rom. 13 , 1 7 = 1 3 sq. cf. Rom. 12, 17 (app . ) 20 . . . (c/. Adu. Prax. 2, 3) = . . . (c/. Adu.
Prax. 2, 2) XXXIX , 1 : XXXIX , 1 5 :
et spei, foedere = et spei foedere (nota) 63 sq. cf. Hier. epi'st. 123 , 14, 6 d. Hier. Epist. 123 , 15
=
63 sq.
APOLOGETICUM
XL, 2 : XLI, 1 : XLVI, 5 : XLVI, 1 4 :
103
(app.) 8 . . . (c/ Ad nat. L 9, 2) . . (c/ Ad nat. L 9, 3) (app.) 3 . . (. . . De resurr. 5) . . ( . . . De resurr. 5, 3) (app.) 27 sqq. Plat. Phaedr. 1 18 A Plat. Phaed. 1 18 a (app.) 63 . . . (cf cap. XXXVIII, 4) . . . (c/. cap. =
.
=
.
.
=
=
XXXVIII, 5) XLVI, 1 7 : XLVII, 3 : XLVII, 3 : XLVII, 9:
Desinum = Desinunt libidinosos = libidinosi obrumbrata = obumbrata ignenia philosophorum = ingenia philosopho rum
XLVIII, 1 : XLVIII, 7 : XLVIII, 13 : XLVIII, 15:
<S>copiis scopis (già segnalato in " addenda et corrigenda " : CCL 2, 163 1 ) Dubitabitur, credo de Dei = Dubitabitur, credo, de Dei (nota) 88 sq. cf. lsid. Orig. XIX, 6, 2 = 88 sq. cf. lsid. Orig. XIX, 6, 4 montes sempes a rdentes montes semper ardentes =
=
Inoltre (in "addenda et corrigenda": CCL 2, 1 63 1 ) : - p. 1 64, 9 et
in apparatu lege scopis = p. 1 65 , 9 et in apparatu lege scopis. Fra le traduzioni italiane più recenti segnaliamo: - QuiNTO SETI1MIO FIORENTE TERTULLIANO, Apologia del Cristia nesimo, introduzione e note di Claudio Moreschini, traduzione di Luigi Rusca, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1 984 . . - TERTULLIANO, Ai martiri - Apologetico - Ai pagani, introduzione, testo latino, traduzione e note di P. Podolak, in «Scrittori cristiani dell' Mrica romana», vol. l (intro duzione generale di C. Moreschini) , Città Nuova, Roma 2006.
TE S TO E TRADU Z I ONE
106
APOLOGETICUM
l. l. Si non licet uobis, Romani imperii antistites, in aperto et edito, in ipso fere uertice ciuitatis praesidentibus ad iudicandum, palam dispicere et coram examinare, quid sit liquido in causa Christianorum; si ad hanc solam tantum 5 speciem auctoritas uestra de iustitiae diligentia in publico aut timet aut erubescit inquirere; si denique, quod proxime accidit, domesticis iudiciis nimis operata infestatio sectae huius os obstruit defensioni: liceat ueritati uel occulta uia tacitarum litterarum ad aures uestras peruenire. 10 2. Nihil de causa sua deprecatur, quia nec de condicione miratur. Scit se peregrinam in terris agere, inter extraneos faci le inimicos inuenire, ceterum genus, sedem, spem, gratiam, dignitatem in caelis habere.a Vnum gestit interdum, ne ignora ta damnetur. 3 . Quid hic deperit legibus in suo regno
Test., 2, 1 3 - 14 : LACTANTIUS, Divinae Institutiones V, l, 6: « . ne si audierint, damnare non possint» (CSEL 4, 3 99; cf. PL 6, 548A) . . .
a. cf.
l Pt 2 , 1 1 ; Eh 1 1 , 1 3 ; Fil 3 , 20
l, l APOLOGETICVM] Ùlct., lnst. V, 4, 3, APOLOGIDCVM TER1VLL1AN1 S P M G Z, apologeticus Hier. , Epist. 70, 5 et codd. dett. Titulus cap. l: DE IGNORANTIA IN CHRISTO IESV S P M a/. (cf. Oeh/. ed. mai., p. 1 1 1 ) Il o Rom ani P (o sub linea) 2 in ipso] F Z, ipso Vulg. 3 dispicere] describere M G 4 tantum] F, om. Vulg. 7 indiciis oa Rh l Walt. Il animis F 8 os obstruit] F, (cf. Adu. Mare. IV, 12, 14; V, 1 3, 1 1 ) obstruit S P M, obstruit uiam uel uiam obstruit dett. lO nihil illa (F) Rh 1 11 deprecaretur b 14 hic] b Vulg., hinc (F) Rh l 1 . Romani imperii antistites. Tertulli ano si rivolge ai magistrati, in particolare ai governatori delle province (in questo caso, forse, al
1 07
APOLOGETICO 1
-
L'odio anticristiano: la verità è condannata senza essere conosciuta
l. Se a voi, magistrati dell'Impero romano, t che nella vostra posizione pubblica ed eminente - come al vertice stes so della città - presiedete a giudicare, non è concesso d'indagare palesemente e di esaminare apertamente quanto c'è di vero nella questione relativa ai cristiani; se solo in que sto caso la vostra autorità teme o arrossisce d'indagare con chiara e diligente giustizia; se, infine, come di recente è acca duto nei processi svolti fra noi, l'odio contro questa setta spesso sfociato in denunce private - ha chiuso la bocca alla difesa: sia concesso alla verità di pervenire ai vostri orecchi, almeno per la via segreta di un silenzioso scritto. 2. La verità non chiede nulla a suo favore, poiché non si meraviglia neppure della propria condizione. Essa sa di essere straniera sulla terra e di trovare facilmente nemici tra gli estranei; del resto, ha nei cieli origine, sede, speran za, credito, dignità. Un'unica cosa, frattanto, essa desidera: di non essere condannata senza essere conosciuta. 2 3. Che
proconsole d'Mrica) cui spettava di giudicare nei processi contro i cristiani. È interessante osservare che, con Tertulliano, le apologie sono rivolte non più agli imperatori, ma ai giudici (cf. l'Ad Scapulam dello stesso Tertulliano). Questo si spiega, a mio awiso, col fatto che, da Marco Aurelio in poi, a questi magistrati spettava - oltre a giudi care nei processi anticristiani nati da denunce private - anche di prendere l'iniziativa della ricerca d'ufficio dei sacrileghi, fra i quali l 'opinione pubblica ostile annoverava i cristiani (cf. M. SORDI, «l nuovi decreti di Marco Aurelio», in «Stud. Rom.» 9 ( 1 96 1 ) 365 ss.). 2 . n e ignorata damnetur. La verità è odiata perché non è conosciuta. Le richieste di folle ignoranti, accecate dall'odio anticristiano, pote vano condizionare le iniziative dei governatori. Di qui la necessità di rivolgere agli «antistites» l'Apologia.
1 08 15
20
25
30
35
APOLOGETICUM
dominantibus, si audiatur? Hoc magis gloriabitur potestas earum , quod etiam inauditam damnabunt ueritatem ? Ceterum inauditam si damnent, praeter inuidiam iniquita tis etiam suspicionem merebuntur alicuius conscientiae, nolentes audire quod auditum damnare non poterant. 4. Hanc igitur primam causam apud uos collocamus iniquitatis odii erga nomen Christianorum.a Quam ini quitatem idem titulus et onerat et reuincit, qui uidetur excusare, ignorantia scilicet. Quid enim iniquius, quam ut oderint homines quod ignorant, etiam si res meretur odium ? Tunc etenim meretur, cum cognoscitur, an merea tur. .5 . Vacante autem meriti notitia, unde odii iustitia defenditur, quae non de euentu, sed de conscientia pro banda est? Cum ergo propterea oderunt, quia ignorant, quale sit quod oderunt, cur non liceat eiusmodi illud esse, quod non debeant odisse ? Ita utrumque ex alterutro redarguimus , et ignorare illos, dum oderunt , et iniuste odisse, dum ignorant. 6. Testimonium ignorantiae est, quae iniquitatem dum excusat, condemnat, cum omnes, qui retro oderant, quia ignorabant, simul desinunt ignorare, cessant et odisse. Ex his fiunt Christiani, utique de comperto, et incipiunt odis se quod fuerant, et profiteri quod oderant, et sunt tanti, quanti et denotamur. 7. Obsessam uociferantur ciuitatem; in agris, in castellis, in insulis Christianos; omnem sexum,
6, 33 -38. Cf. TERT. , Ad nationes I, l , 1 : «Testimonium ignoran tiae uestrae, quae iniquitatem dum defendit, reuincit, in promptu est, quod omnes qui uobiscum retro ignorabant et uobiscum ode rant, simul eis contigit scure, desinunt odisse qui desinunt ignorare, immo fiunt et ipsi quod oderant, et incipiunt odisse quod fuerant». a.
d. Le 6, 22; Mt 5, 1 1 ; Gv 15, 20-2 1 ; At 5, 40-4 1
15 hoc] F, an hoc Vulg. 16 quod etiam inauditam] (F) Rh l , quo et inaud. Hop., quo et aud. Vulg. 19 poterant] F, possint Vulg.
I, 3 -7 ( 1 5 - 3 9 )
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danno subiscono qui le leggi, nel loro regno sovrane, se è ascoltata? Il loro potere riceverà maggior gloria perché condannano la verità, benché inascoltata? Se la condanna no senza averla ascoltata, oltre all'odiosità dell'ingiustizia, desteranno anche il sospetto di un qualche pregiudizio, non volendo ascoltare ciò che, ascoltato, non avrebbero potuto condannare. 4. Questa, dunque, è la prima accusa che formuliamo contro di voi: di odio ingiusto contro il nome cristiano. Lo stesso motivo, che sembra scusare questa ingiustizia, ossia l'ignoranza, l'aggrava e la prova. In effetti, che cosa c'è di più ingiusto del fatto che gli uomini portino odio a ciò che ignorano, sebbene sia meritevole d'odio? Poiché certamente lo merita, se si conosce ciò che lo merita . 5. Ma, ignorandone il motivo, come si può difendere la legittimità dell'odio che non può essere giustificato da quanto avviene, ma dalla conoscenza delle cose? Quando dunque gli uomini odiano perché ignorano ciò che odiano, la cosa odiata non potrebbe essere tale da non meritare quest'odio ? Perciò confutiamo entrambi gli argomenti, uno con l' altro: di ignorare mentre odiano, e di odiare ingiustamente mentre ignorano. 6. La prova dell ' ignoranza, che mentre scusa l'in giustizia la condanna, è che quanti prima odiavano poiché ignoravano, appena cessano di ignorare cessano anche di odiare. Da costoro provengono dei cristiani, sicuramente con cognizione di causa, che iniziano a odiare ciò che erano e a confessare ciò che odiavano, e sono tanti quanti siamo accusati. 7. Dicono che la città è invasa; che ci sono
(d. Lact., l c.), possunt dett. 20 igitur] F, itaque Vulg. 2 1 odium Rhl Barr. 24 mereretur (F) R» 25 agnoscitur M dett. 27/28 aprobanda M 28 oderunt (oderint dett.) homines Vulg. 35 ignorabant simul] F, ignorabant quale sit (esset dett.) quod oderant, simul (ut add. M dett. ) Vulg. 38 quanti et] Vulg., et om. F Il obsessam uociferantur ciuita tem] h S P M al. , ciuitatem obsessam uociferantur (F) Barr. cet.
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aetatem, condicionem, etiam dignitatem transgredi ad hoc nomen quasi detrimento maerent. 8. Nec tamen hoc ipso ad aestimationem alicuius laten tis beni promouent animos. Non licet rectius suspicari, non libet propius experiri ! Hic tantum curiositas humana torpescit ! Amant ignorare, cum alii gaudeant cognouisse. Quanto magis hos Anacharsis denotasset imprudentes de prudentibus iudicantes ! 9. Malunt nescire, quia iam ode runt. Adeo praeiudicant id esse, quod non poterant odisse si sciant; quando, si nullum cdii meritum deprehendatur, optimum utique sit , desinere iniuste adisse; si uero de merito constet , non modo nihil odio detrah atur, sed amplius adquiratur ad perseuerantiam etiam iustitiae ipsius gloria.
7, 38-4 1 . Cf. TERT., Ad nat. I, l , 2: «Adeo quotidie adolescentem numerum Christianorum ingemitis; obsessam uociferamini ciuita tem, in agris, in castellis, in insulis Christianos; omnem sexum, omnen aetatem, omnem denique dignitatem transgredi a uobis quasi detrimento doletis». 8, 42-47 . Cf. TERT. , Ad nat. I, l , 3 : «Nec tamen hoc ipso ad aestimationem alicuius latentis boni animos promouetis; non licet reètius suspicari, non libet propius experiri; hic tantum curiositas humana torpescit». I, l , 4 : «Am�tis ignorare quod alii gaudeant inuenisse . . . ». 9, 47 -49. Cf. TERT., Ad nat. I, l, 4 : « . mauultis nescire, quia iam odistis, quasi certi non odituros uos si sciatis». . .
40 etiam] b Vulg., et (F) edd. 42 hoc ipso] S M (cf. Ad nat. L l, 3), ex hoc ipso modo F (cf. cap. III, 3), hoc modo P, hoc ipso modo dett. 44 propius] (F) l}uxta b] dett. , proprius (F) [juxta Junium] S P M Il curiositas humana F S P M, urbana curiositas r Rh l Ba". 47 iudicantes] F, quam inmusicos de musicis add. Vulg. (cf. LO/ Tert. 1 4 sq.) Il malunt nescire quia] Vulg. (cf. A d nat. L l , 4), malunt qui F 48 adeo] F, quod nesciant (nesciunt Rhl Walt.) add. Vu lg . , prob.
l, 7 - 9 ( 4 0 - 5 3 )
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cristiani nelle campagne, nei borghi, nelle isole; deplorano come un malanno che persone di ogni sesso, età, condizio ne, anche autorevoli, passino a questo nome. 8. Ciò nonostante i loro animi non sono indotti a sup porre la presenza di un qualche bene nascosto. Non è loro concesso di avere un sospetto più retto, non è loro gradita un'esperienza più diretta ! Qui soltanto la curiosità umana è pigra ! Essi amano ignorare, quando altri godono d'aver conosciuto. Quanto maggiormente Anacarsi3 avrebbe bia simato costoro che, senza sapere, giudicano coloro che sanno ! 9. Preferiscono non sapere, perché ormai odiano. Non conoscendo le cose, anticipano il giudizio che queste stanno così, poiché, se conoscessero, non potrebbero odiare. Infatti, se non si trovasse alcun motivo di odio, sarebbe certamente ottima cosa cessare di odiare ingiustamente; se invece constasse un giusto motivo, non solo non bisogne rebbe diminuire l'odio, ma ancor più accrescerlo, come gloria della stessa giustizia.
Walt. 48149 quod usq. sciant) F, quod, si sciant, odisse non pote rant Vulg., prob. Walt. 49 meritum) F (d. Ad nat. I, l, 5), debitum Vulg, 51 odio) F (d. Ad nat. l. ritate Vulg.
) odii Vulg.
c. ,
.S3 gloriae F, aucto
3 . Anacharsis . Leggendario saggio della Scizia, forse uno dei sette saggi di cui parla Erodoto (IV, 76 ss. ) e a cui Plutarco attri buisce un incontro con Solone (Solon 5 ) . Durante tale incontro Anacarsi espresse la sua meraviglia che nelle assemblee ateniesi fossero i sapienti a parlare, ma gli ignoranti a decidere. Cf. DIOG. LAERT. , II, 8, 5 .
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. 10. Sed non ideo, inquit, bonum praeiudicatur, quia multos conuertit: quanti enim ad malum reformantur ! quanti transfugae in peruersum ! Quis negat? Tamen quod uere malum est, ne ipsi quidem, quos rapit, defendere pro bono audent. Omne malum aut timore aut pudore natura perfudit . 1 1 . Denique malefici gestiunt latere, deuitant 60 apparere, trepidant adprehensi, negant accusati, ne torti quidem facile aut semper confitentur, certe damnati mae rent: enumerant in semetipsos mentis malae impetus ; ignauiam uel fato uel astris imputant. Nolunt enim suum esse, quod malum agnoscunt. 12. Christianus uero quid 65 simile ? Neminem pudet, neminem paenitet, nisi piane retro non fuisse; si denotatur, gloriatur; si accusatur, non defendit; interrogatus uel ultro confitetur; damnatus gra tias agit. 13. Quid hoc mali est, quod naturalia mali non habet, timorem, pudorem, tergiuersationem, paenitentiam, 70 deplorationem ? Quid hoc mali est, cuius reus gaudet, cuius accusatio uotum est et poena uictoria? Non potes dementiam dicere, quod reuinceris ignorare. 55
10, 54-59. Cf. TERT. , Ad nat. I, l , 6: « . . . non utique eo bonum praeiudicari, quia plerosque conuertat et sibi rapiat, inquitis». I, l , 7: «Noui demutationem mentis in malas partes. Quot desertores bonae uitae? Quot transfugae in perversum?». I, l , 8: «Verum deficit adae quatio comparationis istius, nam de malo ita constat apud omnes, ut ne ipsi quidem rei, qui ad malum transeunt et a bonis in peruersa deuertunt, defendere malum p ro bono audeant. Turpia timori, pudori impia habent».
1 1 , 59-64 . Cf. TERT., Ad nat. I, l, 9: «Denique gestiunt latere, deuitant apparere, trepidant deprehensi, negant accusati; ne torti quidem facile aut semper confitentur, certe damnati maeren t. Exprobant etenim quod erant i n semetipsos, m alae menti ab innocentia transitum uel fato imputant. Adeo nolunt suum esse, quia malum negare non possunt». 12, 64-68. Cf. TERT., Ad nat. I, l, 10: «Christiani uero quid tale consequuntur? Neminem pudet, neminem paenitet, nisi tantum pri stinorum. Si denotatur, gloriatur; si ·trahitur, non subsistit; si accusa tar, non defendit, interrogatus confitetur, damnatus gloriatur. ( . . . )».
l, 1 0 - 1 3 ( 5 4 - 7 2 )
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10. Ma non per questo - qualcuno dice - una cosa è rite nuta buona per il fatto che attira molti: quanti, infatti, si con vertono al male ! Quanti convertiti alla rovescia ! Chi lo nega? Tuttavia, neppure quanti si lasciano trascinare dal male osano difendere come bene ciò che è veramente male. La natura copre ogni male o di timore o di vergogna. 1 1. I mal vagi, infatti, cercano di nascondersi; evitano di mostrarsi; sorpresi, trepidano; accusati, negano; neppure torturati, facilmente o sempre confessano; condannati su prove sicure si rattristano; elencano gli assalti di uno spirito cattivo contro di loro; imputano la loro debolezza al destino o agli astri. Non vogliono accettare, infatti, che (il male commesso) sia loro, poiché lo riconoscono come male. 12. n cristiano fa qualcosa di simile? Nessuno si vergogna, nessuno si pente, se non ovviamente di non esserlo stato prima; se denunciato, se ne gloria; se accusato, non si difende; interrogato o anche spontaneamente, confessa; condannato, ringrazia. 13. Che male è mai questo che non presenta i caratteri naturali del male: paura, vergogna, incertezza, pentimento, deplorazio ne? Che colpa è mai questa, di cui il reo gioisce, la cui accusa è un desiderio, e la pena una vittoria? Non puoi chiamare pazzia ciò che devi ammettere d'ignorare. 1 3 , 68-69. Cf. TERT. , Ad nat. I, l , 10: «Quod hoc malum est, in quo mali natura cessat?». 54 praeiudicatur] F (d. Ad nat. I, l, 6), om. Vulg. 55 reformantur] F, performantur Vulg., praeformantur dett. Rhl Ba". 59 perfundit M 60 adprehensi] F (d. cap. XV, 7; XXVII, 6) , deprehensi Vulg. Watt. 61 condemnati Ba". 62 enumerant] F, dinumerant Vulg. , quid enim erant coni. LO/ Kr. 40 sq. Il impetus] Vulg., om. F 63 ignauiam] F (d.
Cypr., Ad Demetr. 1 6), om. Vulg. 62/63 quid enim erant (d. Ad nat. L l, 9) in semet ipsos mentis malae impetus uel fato uel astris imputant LO/ l. c., prob. Mart. 64 quod] F Z, quia Vulg., prob. Walt. (d. Ad nat. L l, 9) Il christianus] b Vulg., christianos F, christianis Rhl Ba". Il quid] Vulg. (d. Ad nat. L l, 10), nihil F 68 naturalia F dett., natura alia opt. codd. Vulg., naturam Rhl Ba". 70 quid hoc mali] (F) edd. Rh l Walt., quod hoc malum S P M, quid hoc malum dett. 7 1 uicto ria] F (d. cap. L, 2), felicitas Vulg. ll potest M 72 quod] F, qui Vulg.
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II. 1 . Si certum est denique nos nocentissimos esse, cur a uobis ipsis aliter tractamur, quam pares nostri, id est ceteri nocentes, cum eiusdem noxietatis eadem tractatio deberet interuenire? 2. Quodcumque dicimur, cum alii dicuntur, et proprio et mercennario ore utuntur ad inno centiae suae commendationem; respondendi, altercandi facultas patet, quando nec liceat indefensos et inauditos omnino damnari. 3. Sed Christianis solis nihil permittitur loqui , quod causam purget , quod ueritatem defendat, quod iudicem non faciat iniustum; sed illud solum exspec tatur, quod odio publico necessarium est: confessio nomi nis , non examinatio criminis; 4. quando, si de. aliquo nocente cognoscatis, non statim confesso eo nomen homi cidae uel sacrilegi uel incesti uel publici hostis ( ut de nostris elogiis loquar) contenti sitis ad pronuntiandum, nisi et consequentia exigatis, qualitatem facti, numerum, locum , modum , tempus, conscios, socios ? 5. De nobis nihil tale, cum aeque extorqueri oporteret quod de falso iactatur, quot quisque iam infanticidia degustasset, quot incesta contenebrasset, qui coqui, qui canes adfuissent. O quanta illius praesidis gloria, si eruisset aliquem, qui cen tum iam infantes comedisset ! l , 1 -4 . Cf. TERT . , Ad nat. l, 2, 4: «Si certi estis nos nocentissimos esse, cur etiam in hoc aliter quam nocentes a uobis agimur? ( . . . )». 2 , 4-8. Cf. TERT., Ad nat. l, 2, 4: «Non dico quod neque accusa tioni neque recusationi spatium commodetis (soletis inaccusatos et indefensos non temere damnare)». 4, 1 2 - 1 7 . Cf. TERT . , Ad nat. I, 2 , 5 : « . . s i de homicida consu. mam
37 temetipsum (F) dett. 39 inuestigandis M dett. 42 inquisitio usque (f) dett., usque inquisitionem M 44 oblationem F opt. Vulg. , oblatio dett. edd. Il itaque] F opt. Vulg. , ergo dett. edd. 46 meruit ideo (F) dett.
48 sed nec in isto] F (cf. 22) , itaque nec in illo Vulg.
49 adhibetis tormenta (F) dett.
2 . O sententiam necessitate confusam. Tertulliano ritiene contrad dittoria la decisione di Traiano (97 - 1 17), che, pur non credendo evi dentemente alla pericolosità politica dei cristiani, ne ammetteva l'incriminazione su denuncia privata; ma riconosce il condiziona mento dell'opinione pubblica su Traiano, dandogli atto di aver cer cato di limitare le conseguenze negative per i cristiani.
Il, 8-10 (35-55)
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8. O sentenza evidentemente contraddittoria ! 2 Afferma che non si devono ricercarli in quanto innocenti, e ordina che siano puniti come colpevoli. Risparmia e infierisce, dissimula e punisce. O censura, perché censuri te stessa? Se condanni, perché anche non ricerchi? Se non ricerchi, perché anche non assolvi? Per ricercare dei briganti si assegna in ogni provincia lUl distaccamento militare; con tro i rei di lesa maestà e nemici pubblici ogni uomo è sol dato: la ricerca si estende anche ai complici, ai testimoni. 9. Solo il cristiano non è permesso ricercarlo, ma è per messo denunciarlo, come se la ricerca avesse uno scopo diverso dalla denuncia. Pertanto, condannate un denun ciato che nessuno ha voluto che fosse ricercato; il quale, penso, non merita la pena perché colpevole, ma per essere stato scoperto mentre non doveva essere ricercato. 10. Ma neppure in questo voi agite con noi secondo la correttezza processuale usata per giudicare i malvagi, poi ché a quanti negano il delitto li torturate perché confessi no, mentre solo i cristiani (li torturate) perché neghino; ma, se (l'essere cristiano) fosse un delitto, noi negherem mo, e voi ci spingerereste con la tortura a confessare (la fede) . 3 Non per questo ritenete di non dover inquisire i delitti con la tortura, anche se certi della loro ammissione con la confessione del nome. Infatti, pur sapendo che cosa sia un omicidio, nondimeno nei riguardi dell'omicida con fesso indagate [con la tortura] sulle circostanze del delitto
3 . Solo con i cristiani la tortura è utilizzata perché l'accusato neghi ciò che ha confessato, che cioè neghi di essere cristiano. È la con danna per il nomen Christianum che figura effettivamente nei tituli. La semplice adesione al cristianesimo provoca la condanna per superstitio illicita, risultante dal senatoconsulto dell'anno 35. Negare e con/iteri diventano per i cristiani di lingua latina l'equivalente di apostasia e di martirio. Per l'affermazione nel II secolo del termine greco Jlap'rvç come termine tecnico ecclesiastico (originariamente significava testimone) e del calco latino martyr, cf. M. SORDI, La svolta del li secolo e la nascita del concetto ecclesiale di martire, in aliis, et sonorum et interpretatione iucundum. ( . . . )». 6, 34-40. Cf. TERT., Ad nat. I, 4, 1 : «Sed dicitis sectam nomine puniri sui auctoris. Primo quidem sectam de auctoris appellatio ne<m> mutari utique probum uisitatumque ius est, dum philo sophi quoque de auctoribus cognominentur Pythagorici et Platonici, ut medici Erasistrat<e>i et grammatici Aristarchii». Test. , 5, 28-29: ISIDORUS HISPALENSIS, Etymologiae VII, 14, 1 : «Christianus, quantum interpretano ostendit, de unctione deducitur . . . » (ed. W. M. LINDSAY, Oxonii 191 1 , s. p. [ripr. 1 989]; cf. PL 82, 294). a.
cf. At 1 1 , 26
m. 5 - 6 (25-40)
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5. Pertanto, se l'odio è contro un nome, qual è il reato dei nomi? Quale l'accusa a dei vocaboli, se non che la pro nunzia di qualche nome suona barbara, o infausta, o ingiu riosa, o sconveniente? n termine «cristiano», secondo la sua etimologia, deriva da unzione. Ma anche quando da voi è pronunciato erroneamente «crestiano» - non avete, infatti, nemmeno una cognizione esatta dd nome -, risulta derivare da soavità o bontà.2 Quindi, in uomini innocenti si odia perfino il nome innocente) 6. In realtà si odia la setta proprio nd nome dd suo fon datore. Ma che cosa c'è di strano che una dottrina prenda per i suoi seguaci il nome dal maestro? I filosofi non si chia mano dai loro fondatori Platonici, Epicurei, Pitagorici? Come pure dai luoghi dei loro incontri e riunioni Stoici, Accademici? Ugualmente i medici da Erasistrato e i gram m atici da Arist arco, e anche i cuochi da Apicio ?4 25 igitur] F , nunc igitur Vulg. 2 6 nisi aut (F) dett. I l barbaram S P 30 chrestianus] Z, christianus (F) rei. 30/3 1 est certa] (F) , certa est Vulg. 32 itaque] ergo (F) dett. Rh l (cf. cap. II, 9). 37 epicurii S P (corr. P in epicuri) 39 achademici S P Il aeque] F S P M, atque dett. edd. 40 aristarco S P 2. Christianus . . . Chrestianus. Il primo termine deriva dal greco xpun6ç, e significa unto, consacrato; il secondo termine da XP'f1C1'r6ç, e significa buono. 3 . L'uso pagano di chrestianus per christianus è attestato da Tacito (Ann. XV, 44: «quos per flagitia invisos vulgus chrestianos appella bat>>), che rivela l'uso apotropaico dd termine (per la stessa ragione i Greci chiamavano Eumenidi, ossia benevole, le Furie). I /lagitia che il volgo attribuiva ai «buoni» cristiani al tempo di Nerone erano l'infanticidio e l'incesto, dovuti al fraintendimento dell'Eucaristia e della fraternità che i cristiani proclamavano fra loro. 4. Erasitrato, medico di Ceo, esponente della scuola medica alessandri na, visse nd m sec. a. C. Aristarco di Samotracia, grammatico e ffiosofo, direttore dopo Aristofane di Bisanzio della Biblioteca di Alessandria, visse fra il m e il TI sec. a. C. M. Gavio Apicio, cdebre buongustaio, autore dell'opera De re coquinaria in dieci libri, visse nd I sec. d. C. D suo libro sulla cucina ci è giunto in un rifacimento dd IV secolo.
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7. Nec tamen quemquam offendit professio nominis cum institutione transmissi ab institutore. Piane, si qui probet malum auctorem et malam sectam, is probabit et nomen malum, dignum odio de reatu sectae et auctoris; ideoque 45 ante odium nominis competebat prius de auctore sectam recognoscere uel auctorem de secta. 8. At nunc utriusque inquisitione et agnitione neglecta nomen detinetur, nomen expugnatur, et ignotam sectam, ignotum et auctorem uox sola praedamnat, quia nominantur, non quia reuincuntur. IV. l . Atque adeo, quasi praefatus haec ad suggillan dam odii erga nos publici iniquitatem , iam de causa innocentiae consistam; nec tantum refutabo quae nobis obiciuntur, sed etiam in ipsos retorquebo, qui obiciunt, 5 ut ex hoc quoque sciant homines, in Christianis non esse quae in se non nesciunt esse, simul uti erubescant accu santes, non dico pessimi optimos, sed etiam, ut uolunt, compares suos.
7 , 4 1 -46. Cf. TERT. , Ad nat. I, 4, 2: «ltaque si oh auctorem malum mala secta, tradux mali nominis plectitur. ( . . . ) Frius erat cognoscere auctorem, ut cognoscetur secta, quam de secta inspec tionem auctoris retinere». 8, 46-49. Cf. TERT. , Ad nat. l, 4, 3 : «At nunc necessario ignoran do sectam, quia ignoratis auctorem, aut non recensendo auctorem, quia nec sectam recensetis . . . ». 42 transmissi] F, transmissa Vulg. U probet] F, probat (G ?) Barr. , pro bauit Vulg., probant Rhl 43 malum auctorem et malam sectam] F, malam sectam et ita malum auctorem Vulg . , /ort. rectius ( cf. 48 sq.) 48 expurgatur M 49 nominatur ... reuincitur (F) G dett. Rh3 .
IV, 5 homines] F Vulg., omnes edd. 6 non nesciunt] F, non om. Vulg. 617 esse usque optimos] Vulg., om. F 7 sed etiam] F, sed iam Vulg. Il uolunt] F Vulg. , nolunt b
III , 7- 8 (41 -49) - IV, l { 1 -8)
13 1
7. La professione del nome, trasmesso con l'istituzione dal suo fondatore, non offende nessuno. Certo, se uno prova che il fondatore e la setta sono cattivi, proverà che anche il nome è cattivo, degno di odio per colpa della setta e del suo fondatore. Perciò, prima di odiare il nome, bisognava conoscere la setta dal fondatore, o il fondatore dalla setta.' 8. Ora, invece, trascurando entrambe le cose, ossia l'inda gine e la conoscenza, si accusa un nome, si impugna un nome, e un solo vocabolo basta per condannare a priori una setta sconosciuta e un fondatore sconosciuto, perché portano quel nome, non perché trovati colpevoli. 4
-
Necessaria moralità della legge
1. E ora, dopo aver detto questo a modo di premessa per stigmatizzare l'ingiustizia dell'odio pubblico contro di noi, mi soffermerò sulla questione della nostra innocenza. Non solo confuterò le accuse che ci vengono mosse, ma le ritor cerò contro quegli stessi che le lanciano, perché anche da questo tutti sappiano che nei cristiani non si trovano quelle cose che invece sanno esserci in loro, e nel contempo arrossi scano di accusare - loro che sono pessimi - non dico quelli che sono migliori di loro, ma anche, come essi vogliono, i loro simili.
5. Nessuna setta è condannata per il nome dd suo fondatore, salvo i cristiani che prendono il nome da Cristo (non da Cresto), che resta un nome proprio ben attestato nonostante il fraintendimento attri buito da Orosio e da molti moderni a Svetonio ( Vita Claudii 25, 4: «ludaeos impulsore Chresto adsidue tumultuantes Roma expulit») . Cf. M . SORDI, L'espulsione degli Ebrei da Roma nel 49 d. C. , in
«CISA» 2 1 ( 1 995 ) 259 ss.
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2. Respondebimus ad singula, quae in occulto admitte10 re dicimur, quae palam admittentes inuenimur, in quibus scelesti, in quibus uani, in quibus damnandi, in quibus irridendi deputamur. 3. Sed quoniam, cum ad omnia occurrit ueritas nostra, postremo legum obstruitur auctoritas aduersus eam, ut aut 15 nihil dicatur retractandum esse post leges , aut ingratis necessitas obsequii praeferatur ueritati, de legibus prius consistam uobiscum, ut cum tutoribus legum. 4. lam pri mum, cum iure definitis dicendo: «Non licet esse uos ! » et hoc sine ullo retractatu humaniore praescribitis, uim profilO temini et iniquam ex arce dominationem, si ideo negatis licere, quia non uulti s , non quia debuit non licere . .S. Quodsi, quia non debet licere, ideo noluistis licere, sine dubio id non debet licere, quod male fit, et utique hoc ipso praeiudicatur licere quod bene fit. Si bonum inuene25 ro esse, quod lex prohibuit , nonne ex illo praeiudicio prohibere me non potest, quod, si malum esset, iure prohiberet? Si lex tua errauit, puto, ab homine concepta est; neque enim de caelo ruit. 6. Miramini hominem aut errare potuisse in lege con30 denda, aut resipuisse in reprobanda? Non enim et ipsius
lO quae palam admittentes inuenimur] LO/ Tert. 75, quae palam adinueniuntur F, quae palam ad. ( admittentes) inueniuntur b, quae illos (illis S P) palam admittentes inuenimus Vulg. (inuenimur LO/) 17 consistam] F, concurram Vulg. ll uohiscum] F Vulg., nobi scum b Il ut] Vulg., et F Il tuturibus S P corr., cultoribus M ll legum] IV DE INLICITO S P M al. 18 cum] F Vulg., quam Rh Barr. ll iure] F, prob. Callewaert, Cod. Fu/d. 340, dure Vulg. 20 ex arce] F Vulg., exercitis G Rb3 Barr. 21 non uultis] F, non om. Vulg. 22 licere, ideo noluistis licere F, ideo non uultis licere Vulg. 25 lex] F, tua add. Vulg., minus recte 30 resipisse S P corr. Il non enim et] nonne et (F) dett. =
IV, 2-6 (9-30)
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2. Risponderemo ai singoli dditti: quelli di cui siamo accusati di commettere occultamente, e quelli di cui siamo accusati di commettere palesemente, per i quali siamo rite nuti scellerati, sciocchi, meritevoli di condanna e degni d'irrisione . t 3. M a poiché, quando l a nostra verità replica a tutte le accuse, le viene opposta l'autorità delle leggi, affermando che dopo la loro promulgazione non c'è più nulla da discute re, o che al di là di ogni considerazione la necessità di obbe dire alle leggi viene prima della verità, mi soffermerò anzitut to a trattare delle leggi con voi che siete i tutori delle leggi. 4. In primo luogo, quando in forza dd diritto stabilite che: «Non è lecito essere cristiani ! » e lo p rescrivete senza alcun' altra più benevola interpretazione, voi fate professione di violenza e di iniqua tirannia, se ce lo proibite perché non lo volete voi e non perché dev'essere proibito. 2 S. Se poi non avete voluto che ciò non fosse lecito per il fatto che non dev'essere lecito, indubbiamente non dev'essere lecito ciò che è male, e proprio per questo si presume che sia lecito ciò che è bene. Se dunque dimostrerò che è un bene ciò che la legge proibisce, non è forse vero che per questo motivo non mi può proibire ciò che giustamente mi proi birebbe se fosse un male? Se la tua legge ha sbagliato, sup pongo che sia stata formulata da un uomo; infatti, non è caduta dal cielo. 6. C'è da meravigliarsi che un uomo abbia potuto sba gliare nd fare una legge, o che si ricreda nel condannarla?
l . Dopo l'exordium, che egli chiama prae/atio («quasi praefatus haec»), Tertulliano annuncia la re/utatio («refutabo . . . in ipsos retor quebo . . . respondebimus ad singula») delle accuse mosse ai cristiani. 2 . Tertulliano si propone anzitutto di affrontare il problema dd fondamento giuridico delle persecuzioni, ossia delle leggi anticristia ne, dd «Non licet esse vos» che i giudici oppongono dure o iure (secondo le diverse recensioni: con durezza, o secondo il diritto vigente) alle argomentazioni dei cristiani. Egli afferma che la legge deve proibire il male, non il bene; e che, essendo umana, può sba gliare e, pertanto, va cambiata.
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Lycurgi leges a Lacedaemoniis emendatae tantum auctori suo doloris incusserunt, ut in secessu inedia de semetipso iudicarit? 7. Nonne et uos cottidie, experimentis inlumi nantibus tenebras antiquitatis, totam illam ueterem et squalentem siluam legum nouis principalium rescriptorum et edictorum securibus ruspatis et caeditis? 8. Nonne uanissimas Papias leges, quae ante liberos suscipi cogunt quam Iuliae inatrimonium contrahi, post tantae auctorita tis senectutem heri Seuerus, constantissimus principum , exclusit? 9. Sed et iudicatos retro in partes secari a credi toribus leges erant; consensu tamen publico crudelitas postea erasa est. In pudoris notam capitis poena conuersa est: bonorum adhibita proscriptio suffundere maluit homi nis sanguinem quam effundere. 10. Quot adhuc uobis repurgandae latent leges ! Quas neque annorum numerus neque conditorum dignitas com mendat, sed aequitas sola, et ideo, cum iniquae recogno-
33 iudicaret M 36 ruspatis] F, truncatis Vulg., prob. Thor. IV, 29, l. 40 retro] F, prob. LO/ Kr. 43 , om. Vulg. 42 erasa est et in (F) edd. 43 prescriptio P 45 quod S P M Il repugnandae M dett. I l leges latent (F) dett. edd. 46 numerus] om. F 3 . Lycurgi leges. Plutarco ( Vita Lycurg. 29, 2-5) narra che il leggen dario legislatore spartano si recò a Delfi, dopo aver fatto giurare agli Spartani che non avrebbero mutato le sue leggi fmo al suo ritorno. Avuta l'approvazione della divinità, si lasciò morire senza ritornare a Sparta, onde evitare ogni cambiamento legislativo. E nulla fu cam biato fmo ad Agide, figlio di Archidamo. Secondo Tertulli ano, inve ce, gli emendamenti ci furono già durante la vita di Licurgo, e per questo motivo egli si lasciò morire. Di correzioni e aggiunte alle leggi di Licurgo si parlò molto al tempo di Agide e di Lisandro, tra la fine dd V e gli inizi dd IV secolo (per esempio, sull'aggiunta degli efori; d. M. SORDI, Pausania II e le leggi di Licurgo, in «Festschrift fiir G. Dobesdt», Wien 2004 , pp. 145 ss) . Ma non ci è giunta notizia di correzioni fatte prima della morte dd legislatore.
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Le leggi dello stesso Licurgo non sono state emendate dai Lacedemoni, provocando un tale dolore al loro autore da condannarsi a morire d'inedia in un luogo solitario?J 7. Forse che voi , ogni giorn o , n ella misura in cui l'esperienza illumina le tenebre dell'antico passato, non recidete e non sfrondate con la scure di nuovi rescritti o editti autoritativi tutta quella vecchia e squallida selva di leggi? 8. Non è forse ieri che Severo, il più conservatore degli imperatori, abrogò, dopo tanta autorevole vecchiaia, quelle futilissime leggi Papie che costringono a procreare figli prima di quanto le leggi Giulie obbligano a contrarre matrimonio? 4 9. Ma in passato vi erano anche leggi secon do cui i debitori condannati erano squartati dai creditori; sebbene per pubblico consenso questa crudeltà fu in seguito abrogata. La pena capitale fu commutata in una nota d'infamia: con la confisca dei beni si preferì far afflui re il sangue dell ' uomo al viso (per la vergogna) , piuttosto che versarlo.5 10. Quante leggi vi rimangono ancora da riformare ! Non il numero degli anni, né la dignità dei loro autori, ma unicamente la giustizia dà loro valore; perciò, quando ven gono riconosciute ingiuste, giustamente vengono condan-
4. Papias leges. La lex Papia Poppa ea n uptia lis del 9 d. C . (ROTONDI, Leges Publicae Populi Romani, pp. 457-458), voluta da Augusto per incoraggiare i matrimoni e la procreazione, imponeva il matrimonio agli uomini fra i 25 e i 60 anni, e alle donne tra i 20 e i 50 (Tertulliano è qui confermato da Ulpiano). La lex Iulia de mari tandis ordinibus del 1 8 a. C . , ad essa precedente (ROTONDI, lb. , pp. 443 -444), aveva le stesse finalità, ma subì modifiche. Tertulliano parla qui di una riforma da parte di Settimio Severo ( 1 93 -2 1 1 ) , il più fermo («costantissimus») dei prìncipi. 5. capitis poena. Le pene gravissime, comminate ai debitori nelle leggi più antiche furono poi corrette dalla lex Poetelia Papiria de nexis (326 varr.; ROTONDI, ib. , pp. 230-23 1 ) che stabilì che il corpo del debitore non doveva essere messo in pericolo a motivo del man cato pagamento dd debito.
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scuntur, merito damnantur, licet damnent. 1 1 . Quomodo iniquas dicimus? Immo, si nomen puniunt, etiam stultas; si uero facta, cur de solo nomine puniunt facta, quae in aliis de admisso, non de nomine probata defendunt ? lncestus sum: cur non requirunt? Infanticida: cur non extorquent? In deos, in Caesares aliquid committo, cur non audior qui habeo quo purger? 12. Nulla lex uetat discuti quod prohibet admitti, quia neque iudex iuste ulci scitur, nisi cognoscat admissum esse quod non licet, neque ciuis fideliter legi obsequitur ignorans, quale sit quod ulci scitur. 13. Nulla lex sibi soli conscientiam iustitiae suae debet, sed eis, a quibus obsequium exspectat. Ceterum suspecta lex est, si probari se non uult, improba autem, si non probata dominatur.
V. 1 . Vt de origine aliquid retractemus eiusmodi legum, uetus erat decretum , ne qui deus ab imperatore 1 3 , 58·6 1 . Cf. TERT., Ad nat. I, 6, 5: «Nulla sibi lex debet con scientiam i ustitiae suae, sed eis , a quibus captat obsequiu m . Ceterum suspecta lex est, s i probare s e non uult». l, 1 -4. Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 14: « . . ne qui imperator fanum, quod in ilio, qui uouerat Alburno deo». .
V. l. u lva !>t KUÌ ÉK Tijç 'YEVÉGEoç l>lUÀEX9(i)J.I.EV 'tUJv 'tO\OUtO>V v�rov, 1taÀa1òv �v l>òylla lltl6Éva treòv intò PamÀ.Éroç KalkEpoU. a8a1, xpìv intò 'tfì ç auyKÀ.lt'tOU l>oK\Ila<J&iìval. MapKoç AÌJ.Li.À.loç oi'l'troç upi. nvoç Ei.&i>À.Ou u1t0btKEV A�ou pvou . Kaì 1:omo uJtèp 'tOU ig.Léàv Myou ltEKOi.tyta\, O't\ ltap' UJ.llV av9pro ui.(X OOK\J.l fi it lrelmlç l>i.I>O'tal. 'Eàv ll'll àv9plixcp 9eòç àpéan. 9eòç où yi. vnal' omroç KU'tcX ye 'tOUtO av9pO>ltOV 9eéj) t À.EO> dva\ 1tpOGfìKEV. 2. Tli}Éploç ouv, écp' ou tò téòv Xp1anavéòv OVOJ.la dç 'tÒV KOGilOV EiaeÀ.ftÀ.u9t:v (al. t À.TtÀ.u9t:v ) àyyd.aéV'toç aù 'téj) ÉK ITaÀ.a\G'ti.� tou Myllatoç 'tOU'tou, iv9a !tpéiltov ijp�ato, tn auyKÀ.fttcp àVEKO\viDGU'tO, l>fì À.oç ÒlV ÈKei.voç CÌ>ç téj) l)òyllU't\ àpÉGKE'tU\. 'H l)t '
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IV,
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nate, anche se condannano. 1 1 . Perché mai le diciamo ingiuste? Se puniscono un nome sono anche stolte. Se invece puniscono delle azioni, come mai le puniscono a motivo del solo nome, mentre negli altri casi ciò avviene per fatti provati sulla base di un delitto e non di un nome? Sono incestuoso: perché non indagano? Un infanticida: perché non torturano? Compio qualcosa contro gli dèi, contro i Cesari: perché non vengo ascoltato, io che ho da discolparmi? 12. Nessuna legge vieta di esaminare ciò che proibisce di commettere, poiché né il giudice punisce giu stamente se ignora che è stato commesso ciò che è vietato, né il cittadino obbedisce fedelmente alla legge se ignora ciò che la legge punisce. 13. Nessuna legge deve unica mente a se stessa la convinzione di essere giusta, ma a coloro da cui attende rispetto. Al contrario, è sospetta una legge se non vuoi essere controllata; ed è ingiusta se, non controllata, viene a dominare.
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Iniquità delle leggi anticristiane
l. Per dire qualcosa sull'origine di tali leggi, esisteva un vecchio decreto che non consentiva a un imperatore di
<Jil'ylCÀ.TJtOç, èftEÌ O'Ì> lC a'Ì> t'ÌJ liEliOKliJ.cXlCEl, cXttro<JatO" Ò liÈ ÈV t'ft a'Ì> t O U àn:otÉ KUÌ AOJl.Ettavòç taÌ>tÒ ru>tE\V ÈKElvql, J1ÉPOç Wv ti\ ç (al. toi>) NÉp fit fama sed conscientia certus; nemo Famae credit nisi stultus, quia sapiens non credit incerto». I, 7, 5: «Fama quantacumque ambitione diffusa est, ab uno aliquando ore exorta sit necesse est . . . ». 12, 5 1 -59. Cf. TERT. , Ad nat. I, 7, 5: « . . . exinde in traduces quo dammodo linguarum et aurium serpit, et modicum originum uitium rumoris obscurat, ut nemo recogitet, ne primum illud os mendacia seminauerit, quod saepe fit ut aemulationis ingenio aut suspicio nis arbitrio aut etiam noua mentiendi uoluptate».
VII, 8 - 1 2 ( 3 7 -53 )
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quando riporta qualcosa di vero è esente dal vizio della menzogna, poiché toglie, aggiunge, muta qualcosa alla verità. 9. Che dire del fatto che la sua condizione è tale da mantenersi soltanto se mente, e dura tanto a lungo quanto a lungo non prova?2 Infatti, quando ha provato, essa cessa di esistere e, quasi avesse adempiuto l'ufficio di messagge ra, trasmette un fatto: da allora consta un fatto, si parla di un fatto. 10. Nessuno dice, ad esempio: «Dicono che a Roma sia avvenuto questo», oppure: «Corre voce che il tale abbia ottenuto una provincia»; bensì: «ll tale ha otte nuto una provincia>>, e: «Questo è avvenuto a Roma». 1 1. La fama, nome di ciò che è incerto, non trova posto dove c'è la certezza. Alla fama non crede forse soltanto chi non riflette, visto che il saggio non crede all'incerto? Tutti si rendono conto, per quanto grande sia la sua diffusione, per quanto possa essere abilmente costruita, che necessa riamente essa ha avuto origine un giorno da qualcuno. 12. Da qui serpeggia trasmettendosi di bocca in bocca e di orecchio in orecchio, e così il vizio nato da un piccolo seme oscura le altre voci, sicché nessuno s'interroga se quella prima bocca non abbia seminato la menzogna; e ciò
37 defert] F, adfert Vulg. Il mendatio uitii M dett. 38 quid quod] om. M 41 functa] (F) dett. (cf. Ad nat. I, l, 3 ) , functam opt. Vulg. Il exinde] F, et exinde Vulg. 43 hoc] F Vulg., fama est hoc r Rh Barr. 44 aiunt] F dett. aiut S M, aut P, om. r Rh Barr. 47 nomen] F, om. r Rh Barr. 48 an] F, uero add. Vulg. Il nisi] Vulg., si add. F Il quia sapiens] Vulg. (cf. Ad nat. I, l, 4), qui sapiens est F 49 credit. In certo dist. F 50 diffusa �t] F (cf. Ad nat. I, l, 5), diffusa sit Vulg. 52 serpit] S P M (cf. Ad nat. I, l, 5), serpat (F) dett. edd. 53 hedera rumoris] coni. Schrijnen, Mnemosyne, 1920, p. 260 sq., cetera rumoris F S dett., ceterarum oris P M Il obscurat] F Vulg., obscurant Gel. Bar.
2 . Natura famae. lnvettiva contro la Fama, creatrice di false notizie e di sommovimenti emotivi nell'opinione pubblica. Tertulliano cita Virgilio (Aen. IV, 174) a proposito dell'immediata diffusione in Cartagine della notizia sulle nozze fra Didone ed Enea.
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rit, quod saepe fit aut ingenio aemulationis, aut arbitrio suspicionis, aut non noua, sed ingenita quibusdam men tiendi uoluptate. 13. Bene autem quod omnia tempus reuelat, testibus etiam uestris prouerbiis atque sententiis, ex dispositione diuinae naturae, quae ita ordinauit, ut nihil diu lateat, etiam quod fama non distulit. 14. Merito igitur fama tamdiu conscia sola est scderum 60 Christianorum; hanc indicem aduersus nos profertis, quae, quod aliquando iactauit tantoque temporis spatio in opi nionem corroborauit, adhuc probare non ualuit.
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VIII. l. Vt fidem naturae ipsius appellem aduersus eos, qui talia credenda esse praesumunt, ecce proponimus horum facinorum mercedem: uitam aeternam repromit tunt ! Credite interim. De hoc enim quaero, an et qui credideris tanti habeas, ad eam tali conscientia peruenire.
1 3 , 56-59. Cf. TERT., Ad nat. I, 7, 6: «Sed bene quod omnia tem pus reudat, testibus sententiis et prouerhis uestris ipsaque natura, quae ita ordinata est, ut nihil lateat, etiam quod Fama non prodi dit». 14, 60-63 . Cf. TERT., Ad nat. I, 7, 7: «Videte, qualem prodigam aduersus nos subornatis, quia quod seme! detulit tantoque tempore ad fidem corroborauit, usque adhuc probare non potuit».
l , 1 -4 . Cf. TERT., Ad nat. I, 7, 29: «Miserae atque miserandae nationes, ecce proponimus uobis disciplinae sponsionem: uitam aeternam sectatoribus et conseruatoribus suis spondet� . . ». 58 diuinae] F, om. Vulg.
61 Christianorum] quod dicitur semper, semper <non> est, quia quod est, desinit dici add. Fb (altero semper om. in F, <non> add. Rauschef!) «Argute dictum et ungue Tertulliani dignum», recte addit Modius, at sententia interrupta uidetur bisce uerbis,
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accade spesso a causa di un'astuta gelosia, o per l'arbitrarietà del sospetto, o per il gusto, non occasionale ma innato, di qualcuno a mentire. 13. Ma fortunatamente il tempo tutto rivela - lo confermano anche i vostri proverbi e le vostre sentenze3 -; e ciò per disposizione della divinità che ha fatto sì che nulla rimanga a lungo nascosto, anche ciò che la fama nel proprio interesse) non ha divulgato. 14. È logico, dunque, che per tanto tempo la fama sia stata la sola testimone dei delitti dei cristiani; fama che voi portate come prova contro di noi, la quale, ciò che un giorno ha propalato e a lungo rafforzato nella pubblica opinione, non è riuscita Hno ad oggi a provare.
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Incredibilità delle accuse
l. Per appellarmi alla testimonianza dell a stessa natura contro quanti presumono che si debbano credere tali cose, vi mostrerò allora la ricompensa di tali delitti: essi prometto no la vita eterna ! Credetelo per ora. A riguardo, però, mi domando se anche tu, che hai creduto a queste cose, ritieni di potervi giungere sapendo di aver commesso tali delitti.
quae aptius initio n. 1 0, l. 43 collocarentur, ita optime Waltzing. 62 iatauit S P co". Il temporis] F (cf. Ad nat. l, l, 7) , om. Vulg. 63 ualuit.] nouum caput incipit in d.ett. edd. VIII, 2 INCESTVS
praesumunt . ] VIII DE FAMA INCESTI (INCESTIS S, M) S P M a l . 4/5 crediderit . . . habeat F
3 . Aulo Gellio (Noct. Att. XII, 1 1 , 6) cita un antico poeta, di cui non ricorda il nome, il quale disse che la verità è figlia dd tempo ( veritatem temporis /iliam esse) . È questa la sententia a cui Tertulliano si riferisce (cf. C. MoRESCHINI, op. cit., p. 1 1 1 , n. 67) .
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2. Veni, demerge ferrum in infantem nullius inimicum, nullius reum, omnium filium; uel, si alterius officium est, tu modo assiste morienti homini, antequam uixit; fugien tem animam nouam exspecta, excipe rudem sanguinem, eo panem tuum satia, uescere libenter. 3. lnterea discum bens dinumera loca, ubi mater, ubi soror; nota diligenter, ut, cum tenebrae ceciderint caninae, non erres. Piaculum enim feceris, nisi incestum. 4. Talia initiatus et consignatus uiues in aeuum. Cupio respondeas, si tanti aeternitas; aut si non, ideo nec creden da. Etiamsi credideris, nego te uelle; etiamsi uolueris, nego te posse. Cur ergo alii possint, si uos non potestis? cur non possitis, si alii possunt? 5 . Alii nos , opinor, natura , Cynopennae aut Sciapodes: alii ordines dentium, alii ad incestam libidinem nerui ! Qui ista credis de homine, potes et facere; homo es et ipse, quod et Christianus. Qui non potes facere, non debes credere. Homo est enim et Christianus, quod et tu.
2, 6- 10. Cf. l'ERT., Ad nat. I, 7, 3 1 : «Veni, si quis es, demerge ferrum in infantem, uel si alterius officium est, tu modo specta morientem animam antequam uixit; certe excipe rudem sanguinem, in quo panem tuum saties, uescere libenter». 3 , 10- 1 3 . Cf. TERT., Ad nat. I, 7, 32: «lnterea discumbe, dinume ra loca, ubi mater aut soror torum presserit; nota diligenter, ut, cum tenebrae inruerint, temptantes scilicet diligentiam singulorum, non erres extraneam incursans: piaculum feceris, nisi incestum !». 4, 14-18. Cf. TERT., Ad nat. I, 7 , 33 : «"Haec cum expunxeris, uiues in aeuum" . Cupio respondeas, si tanti facis aeternitatem. lmmo idcirco nec credis; etiamsi credideris, nego te uelle; etiamsi uelles, nego te posse. Cur autem alli possint, si uos non potestis? cur non possitis, si alli possunt? ». 5, 1 8-20. Cf. TERT., Ad nat. I, 8, 1: «Piane, tertium genus dici mur. Cynopennae aliqui uel Sciapodes uel aliqui de subterrane Antipodes?». 13 feceris] F, admiseris Vulg. Il incestum] d. LO/ Kr. 45 sq. (d. Ad nat. I, l, 32), feceris add. (F) Vulg. 14 uiues] LO/, l. c. (d. Ad nat. I, l, 33),
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2. Vieni, affonda il coltello nel bambino, che non è nemico
di alcuno, colpevole di nulla, un figlio per tutti; oppure, se questo compito è affidato ad altri, assisti almeno alla morte di un uomo che spira prima d'aver vissuto (la sua vita) , attendi che l'anima novella esca dal corpo, raccogli il giovanissimo sangue, imbevi di esso il tuo pane, mangiane con gusto. 3. Intanto, mentre sei seduto a tavola, conta i posti, dove si trova tua madre, dove tua sorella; osservali bene, perché, quando saranno scese le tenebre provocate dai cani, non sbagli. Infatti, compirai almeno un sacrilegio, se non avrai commesso un incesto. ! 4. Iniziato e contrassegnato con tali riti vivrai in eterno. Desidero che tu risponda se valga tanto l'eternità; altri menti, se non lo merita, (tali riti) non vanno nemmeno cre duti. E anche se tu ci credessi, nego tu che li voglia com piere; e anche se tu volessi compierli, nego che tu li possa fare. Perché allora gli altri potrebbero, se voi non potete? Perché non potreste farlo voi, se lo possono fare gli altri? 5. Noi, penso, siamo di natura diversa, come i Cinopenni o gli S c i a p o di : alt ri o r dini di dent i , altri n e rvi p e r un'incestuosa libidine ! 2 Tu che credi simili cose d i un uomo puoi anche farle, perché anche tu sei un uomo, tale e quale un cristiano. Se tu non sei capace di farle, non devi crederle di altri. Infatti, anche il cristiano è un uomo, come te.
uiuis codd. edd. 17 possint] J P M, possunt (F) dett. edd. 18 alli nos] F, alia nos Vulg. 19 cynopennae] Vulg. (cf. Ad nat. l, 8, 1), cynopenae F Rh l , Cyclopes Rh3 Bar. 21 homo es] tu homo es (F) edd. 23 quod] ( F) dett , et quod S P M, p rob. Thor. ( e t id est) .
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1 . È l a descrizione che Frontone dava dell'infanticidio e dell'ince sto compiuti nd buio dai cristiani (cf VII, l. 5). 2 . Plinio (Nat. Hist. VII, 2 , 23) cita Ctesia che parlava dell'esisten za in India degli Sciapodi: uomini che si riparavano all'ombra dd loro piede. Megastene riferiva di uomini dalla testa canina. I raccon ti favolosi sull'India abbondavano di questi popoli mostruosi.
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6. «Sed ignorantibus subicitur et imponitur». Nihil enim tale de Christianis asseuerari sciebant, obseruandum utique sibi et omni uigilantia inuestigandum. 7. Atquin uolentibus initiari moris est, opinor, prius patrem illum sacrorum adire, quae praeparanda sint describere. Tum ille: «lnfans tibi necessarius, adhuc tener, qui nesciat mortem, qui sub cultro tuo rideat; item panis, quo sanguinis iurulentiam colligas; praeterea candelabra, et lucernae, et canes aliqui, et offulae, quae illos ad euersionem luminum extendant. Ante omnia cum matre et sorore tua uenire debebis». 8. Quid si noluerint uel nullae fuerint? Quid denique sine pignore singulares Christiani? Non eris, opi nor, legitimus Christianus nisi frater aut filius. 9. Quid nunc, et si ista omnia ignaris praeparantur? Certe postea cognoscunt, et sustinent et ignoscunt ! Timent plecti, si proclament, qui defendi merebuntur, qui etiam ultro perire malunt quam sub tali conscientia uiuere? Age nunc, timeant: cur etiam perseuerant? Sequitur enim, ne ultra uelis id te esse, quod si prius scisses, non fuisses.
7 , 26-34. Cf. TERT., Ad nat. I, 7 , 23 : «Sine dubio enim initiari uolentibus mos est prius ad magistrum sacrorum uel patrem adire. Tum ille dicet: " infans tibi , qui adhuc uagetur, necessarius , qui immoletur et panis aliquantum, qui in sanguine infringatur»; I 7, 24: «praeterea candelabra, quae canes annexi deturbent, et offulae, quae eosdem canes; sed et mater aut soror tibi necessaria est " . . . ». 8, 34-36. Cf. TERT . , Ad nat. I, 7 , 24: «Quid, si nullae erunt? Opinor, legitimus Christianus esse non poteris». 26 atquin] S P M, atqui (F) dett. 28 describere] (F) dett., discribe re optimi Vulg., discere coni. LO/ Tert. 81 29 tibi] ti S (bi s. /.) P 30 quo] qui (F) M Rh3 31 iurulentiam] F S pl , uirulentiam p2 et rel. Vulg. ll colligas] conligat (F) dett. Rh3 34 quid si] uenire add. F 34/3.5 quid denique] (F) dett. , quod den. optimi Vulg., quot den. coni. Walt. 3.5 sine pignore] F, oin. Vulg. Il eris] F (cf. Ad nat. I, 7, 24) , erit Vulg. 40 malunt] F L, mall int Z, malint cet. 41 perseue rent (F) edd.
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6. «Ma - voi dite - ciò viene suggerito e imposto a degli (iniziati) ignoranti». Costoro, infatti, non sapevano nulla di ciò che veniva detto dei cristiani, mentre avrebbe ro dovuto loro stessi osservare e investigare accuratamente ogni cosa. 7. Eppure, credo, è consuetudine per quanti vogliono essere iniziati di presentarsi prima al padre dei misteriÈ che spiega quanto occorre preparare) Il quale dirà: « necessario che ti procuri un bambino, ancora tenero, che non sappia di morire, che sotto il tuo coltello sorrida; inoltre, del pane con cui raccogliere il flusso di sangue; poi dei candelabri e delle lucerne, alcuni cani e dei bocconi che li spingano a rovesciare i lumi. Dovrai, soprat tutto, venire con tua madre e con tua sorella». 8. E se costoro non volessero venire o non ne avessero alcuna? E i cristiani soli senza familiari? Non sarai, penso, un vero cri stiano se non sei fratello o figlio. 9. E se tutte queste cose vengono preparate senza che lo sappiano? Indubbiamente dopo le conoscono, le sopportano e fingono d'ignorarle ! Temono forse di essere puniti se le rivelano, essi che meri terebbero di essere da voi difesi, essi che preferirebbero morire spontaneamente piuttosto che vivere sotto il peso di tale rimorso? Ammettiamo che abbiano paura: perché allora non smettono? È logico, infatti, che tu non voglia seguitare ad essere ciò che non saresti stato, se prima l'avessi saputo.
3. Continua la descrizione in chiave parodistica della presunta ini ziazione del neofita ai misteri cristiani. ll pater sacrorum è il sacerdo te incaricato dell'iniziazione.
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IX. l. Haec quo magis refutauerim, a uobis fieri osten dam partim in aperto, partim in occulto, per quod forsitan et de nobis credidistis. 2. Infantes penes Africam Saturno immolabantur palam usque ad proconsulatum Tiberii, qui ipsos sacerdo tes in eisdem arboribus templi sui obumbratricibus sede rum uotiuis crucibus uiuos exposuit, teste militia patris nostri, quae id ipsum munus illi proconsuli functa est. 3. Sed et nunc in occulto perseueratur hoc sacrum facinus. Non soli uos contemnunt Christiani, nec ullum scelus in perpetuum eradicatur, aut mores suos aliqui deus mutat. 4. Curo propriis filiis Satumus non pepercit, extraneis uti que non parcendo perseuerabat, quos quidem ipsi paren tes sui offerebant, et libentes respondebant et infantibus blandiebantur, ne lacrimantes immolarentur. Et tamen multum homicidio parricidium differt !
Test., 2, 7-8: HIER.ONYMUS, De viris illustribus 53 : «Tertullianus presbyter . . . , civitatis Carthaginiensis, patre centurione proconsula ri» (PL 23 , 698). 4 , 12-16: MINUCIUS FELIX, Octavius 30, 3 : « . . . nam Saturnus filios suos non exposuit, sed uoravit. merito ei in nonnullis Africae partibus a parentibus infantes immolabantur, blanditiis et osculo comprimente uagitum ne flebilis hostia immolaretur» (CSEL 2, 43 ; cf. PL 3 , 348). LACTANTIUS, Divinae Institutiones I, 2 1 , 10: «nam de infantibus qui eidem Saturno immolabantur . . . , ut parricidium suum . . . » (CSEL 4, 80; cf. PL 6, 232) .
IX, l quo] (F) edd. , que Z , quoque rel. Vulg. 5 ipsos] F, 6 eosdem Vulg. Il obumbraticibus S P corr. 7 uiuos F, om. Vulg. 7/8 patris nostri] F (cf. Hierom. Vir. illustr. 53 ) , patriae nostrae Vulg. 8 id (ad) ipsum munus] Vulg., ad ipsum manus F (id ipsum manus Barr.) 9 perseueraturl optimi Vulg., perseuerat (F) dett. 10 scelus] Vulg., facinus F Walt. 11 aliqui] S P G (cf. cap. V, 1 ; XII, 5), aliquis F dett. Walt. 13 perseuerabat] Vulg. (d. 9 ) , per-
IX, 1 -4 ( 1 - 1 6 )
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Nefandezze dei pagani
l. Per confutare maggiormente l'accusa di questi delit ti, mostrerò che siete voi a compierli, in parte palesemen te, in parte segretamente, e forse per questo li credete anche di noi. 2. In Mrica venivano immolati pubblicamente degli infanti a Satumo fmo al proconsolato di Tiberio, il quale espose i sacerdoti, appendendoli vivi, agli stessi alberi del tempio che con la loro ombra avevano coperto tali nefan dezze, come a croci votive; ne sono testimoni i soldati di mio padre, che eseguirono quest'incarico a nome di quel proconsole. 3. Ma tuttora si continua di nascosto a perpe trare questo sacro crimine. Non sono solo i cristiani a disprezzarvi; e non c'è alcun delitto che venga sradicato per sempre, o qualche dio che cambi i suoi costumi. 4. Poiché Satumo non ha risparmiato i propri figli, non ha smesso di risparmiare nemmeno i figli degli altri, tanto più che erano gli stessi genitori a offrirglieli, e volentieri li pro mettevano in voto, blandendo gli infanti perché senza pianti si lasciassero immolare. Tuttavia, il parricidio (di un figlio) è molto diverso dall'omicidio (di un bimbo) P
seuerasset F Walt. Il quos] Vulg., sed quos F 14 sui] suos M Il respondebant] F Vulg . , exponebant R h Bar. 16 offert M
1 . Tertulliano contesta a pagani i delitti che essi attribuiscono ai cristiani. Anzitutto ricorda i loro sacrifici di bambini a Satumo, che i Romani punivano con la crocifissione dei sacerdoti responsabili. Egli cita qui la testimonianza dei soldati di suo padre, che, per ordi ne del proconsole (Tertulliano lo indica solo col prenome Tiberius), eseguì tali crocifissioni. D Satumo romano era stato assimilato al dio greco Xp6voç, divoratore dei suoi figli, e a quello fenicio Baal Moloch cui erano destinati i sacrifici umani di bambini, praticati in un'area sacra detta to/et. Tertulliano testimonia che questi sacrifici, vietati dai Romani, avvenivano ancora al suo tempo, ma di nascosto.
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.5. Maior aetas apud Gallos Mercurio prosecabatur. Remitto fabulas Tauricas theatris suis. Sed et [Ecce] in illa religiosissima urbe Aeneadarum piorum est luppiter quidam, quem ludis suis humano sanguine proluunt. Sed bestiarii, inquitis. - Hoc, opinor, minus quam hominis ! An hoc turpius, quod mali hominis? Certe tamen de homici dio funditur. O louem Christianum et solum patris filium de crudelitate! 6. Sed quoniam de infanticidio nihil interest, sacro an arbitrio patretur, licet de parricidio intersit, conuertar ad populum . Quot uultis ex his circumstantibus et in Christianorum sanguinem inhiantibus, ex ipsis etiam uobis iustissimis et seuerissimis in nos praesidibus apud conscientias pulsem, qui natos sibi liberos enecent? 7. Si quid et de necis genere differt, utique crudelius in aqua spiri tum torquetis, aut frigori aut fami aut canibus exponitis; fe rro enim mori aet as quoque maior opt auerit .
7, 30-3 3 . Cf. TERT., Ad nat. I, 14, 4: «Sed nec eo distat, si uos non ritu sacri neque atis. Atquin hoc asperius, quod frigo re et fame aut besonitis aut longiore in aquis morte, si mergitis».
Test., 7, 30-3 3 : ISID. HrsP., Etymol. V 27, 35: «In ipso quoque genere necis diffe rt. Cruddius est enim in aqua spiritum torquentes exstingui, ignibus uri, frigore et fame necari, canibus et bestiis exponi. Nam ferro mori aetas quoque maior optavit. ( . . . )» (cf. PL 82 , 2 14). 17 prosecabatur] F, prosecatur Vulg. 18 tauricas fabulas (F) dett. edd. U sed et F, ecce Vulg. 19 est. est S P M 20 proluunt sanguine (F) dett. edd. 21 opinor hoc (F) dett. 26 patretur, licet de parrici dio intersit] F, perpetretur licet parricidium homicidio intersit Vulg. 27 quod (F) S P M al. 28 inhiantibus] F (cf. 58 et 70) , hiantibus Vulg. 30 enectent (F) edd. Il si quid] F, si quidem Vulg. 3 1 necis genere] F, genere necis Vulg. 32 torquetis] F (cf. Isid. l. c. ) , extorquetis Vulg. (cf. cap. XXX, 7) I l aut fami aut canibus] F 'P, et fami et canibus rei. Vulg . I l exponitis] Vulg . , exponentes F 33 optauerit] F Vulg . , exoptauerit r, o p t a u i t R h 1 B a r r .
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5 . Presso i Galli si sacrificavano a Mercurio degli adulti. 2 Lascio ai loro teatri le tragedie Tauriche.3 Ma persi no [Ecco] nella stessa religiosissima città dei pii discenden ti di Enea c'è un certo Giove che, durante i giochi in suo onore, aspergono di sangue umano. «Ma - voi dite - si tratta di un bestiario». Qualcosa, suppongo, che vale meno del sangue di un uomo ! Ma non è forse cosa più turpe, trattandosi (del sangue) di un uomo malvagio? Comunque sia, è certamente versato con un omicidio. Oh, Giove cri stiano e figlio unico a causa della crudeltà di suo padre ! 4 6. Ma poiché riguardo all'infanticidio non c'è differenza se sia compiuto ritualmente o arbitrariamente, benché si tratti (nel caso vostro) di parricidio, mi rivolgerò al popolo. Fra quelli che ci circondano e bramano il sangue di cristia ni, anche tra quei giudici, giustissimi con voi e severissimi con noi, di quanti volete che io bussi alla porta della loro coscienza ricordando loro che uccidono i propri figli? 7. Se c'è qualche differenza nel genere di morte, certamente voi usate maggiore crudeltà (verso i cristiani) affogandoli nel l' acqua, o esponendoli al freddo, alla fame, ai cani; anche un uomo adulto, infatti, preferirebbe morire di spada.
2 . Dei sacrifici umani praticati dai Druidi in Gallia a Teutates Mercurio parla Cesare (De bello gallico VI 1 6- 1 7 ) , secondo cui, però, al suo tempo i Galli preferivano sacrificare i colpevoli di furto o di altri delitti, e non degli innocenti. daudio abolì proprio per questo la religione druidica, che già Augusto aveva vietato ai cittadi ni romani (SUET., Claudii vita 25 , 5). 3 . fabulas Tauricas. Tertulliano si riferisce al sacrificio di Ifigenia, descritto nella tragedia Ifigenia in Tauride di Euripide. Nella peniso la Taurica (Crimea) era venerata una dea, con sacrifici umani, che i Greci denominarono Artemis Taurica. 4 . luppiter Iouem Christianum. Si tratta di luppiter Latialis (o Latiaris) , venerato sul Monte Cavo (o Albano) durante le Feriae Latinae, la cui statua veniva spruzzata col sangue di gladiatori morti nel circo combattendo contro le fiere («bestiarii») , a ricordo di arcaici sacrifici umani. Giove, quindi, presenta quelle qualità malva gie che i pagani attribuiscono al Dio dei cristiani. . . •
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8. Nobis uero homicidio semel interdicto etiam concep5 3 turo utero, duro adhuc sanguis in hominem delibatur, dis soluere non licet. Homicidii festinatio est prohibere nasci, nec refert , natam quis eripiat animam an nascentem disturbet. Homo est et qui est futurus; etiam fructus omnis iam in semine est. 40 9. De sanguinis pabulo et eiusmodi tragicis ferculis legite, necubi relatum sit (apud Herodotum, opinor) defu sum brachiis sanguinem et alterutro degustatum nationes quasdam foederi comparasse. Nescio quid et sub Catilina tale degustatum . Aiunt et ap u d quosdam gentiles 4 5 Scytharum defunctum quemque a suis comedi. 10. Longe excurro. Hodie istic Bellonae secatos sanguis de femore proscisso palmula exceptus et usui datus signat. Item illi , qui munere in arena noxiorum iugulatorum sanguinem
34 homicidio semel] (F) dett. , semel homicidio optimi Vulg., homici dio semper Rhl lS uterum F Il delibatur] (F) Z edd., dellberatur Vulg. 37 qui (F) 40 tragoecis S P M Il ferculis] Vulg., fabulis F 41 apud] F, est apud Vulg. 4 1142 diffusum (F) M dett. 42 et] F, ex Vulg. 43 quod M Il catillina S P, catallina M 44 tale degusta tum] b, est add. F Vulg, tale om. Vulg. Il et] F Vulg., om. r L Rh Ba". 46 secatos] b, secator F, sacratus Vulg., Oehl., sacratos Rig. Ifoppe 47 palmula] F, in palmulam Vulg. Il usui] F, sui opt. Vulg., siti Z, esui Rig. Oehl. 48 iugulatorum] Vulg . , rigulatorum F ' · etiam conceptum utero . Tertulliano condanna l' aborto e l'esposizione dei figli, che i pagani praticavano pur condannandoli, almeno teoricamente. Particolarmente forte in questa condanna è lo stoico Musonio Rufo, vissuto al tempo di Nerone e dei Flavi. Nelle sue diatribe egli esalta la famiglia unita e prolifica, condanna l'aborto e l'esposizione dei figli, ricordando che Giove veglia sui peccati contro la procreazione. Etrusco di Volsini contesta esplicita mente una delle accuse che Teopompo rivolgeva agli Etruschi per ché allevavano tutti i bambini che venivano concepiti (cf. M. SORDI, Lo stoicismo in Etruria, in «AA.Vv., Die Integration der Etrusker», a cura di L. Aigner Foresti, Wien 1988, pp. 339 ss.). Delle diatribe di
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8. A no1 , mvece, e s s en d o assolutamente p roibito l'omicidio, non è lecito neppure eliminare il concepito che è nell'utero, mentre sta assimilando il sangue per diventare un uomo. Impedire di nascere è un omicidio anticipato, e non importa se uno stronca una vita già nata o sopprima una che sta per nascere. È un uomo anche chi lo sarà; come ogni frutto è già nel seme.5 9. Quanto al pasto di sangue e ad altre portate da tra gedia leggete se in qualche luogo non è riferito - mi pare in Erodoto - come certe popolazioni equiparassero a un'alleanza il sangue versato dalle braccia (dei contraenti) e reciprocamente gustato. 6 Non so se qualcosa di simile sia stato degustato per ordine di Catilina. 7 Dicono ancora che presso certe popolazioni degli Sciti ogni defunto fosse mangiato dai suoi.B 10. Ma sto andando troppo lontano. Ancor oggi il sangue, uscito dalla coscia incisa, raccolto nella palma della mano e dato da bere (ai neofiti), segna i feriti di Bellona. 9 Ugualmente, dove sono quelli che durante gli spettacoli nell'arena con avida sete hanno
Musonio, molto ammirato dagli antichi cristiani, L RAMELLI ha cura to una recente edizione: MusONlO, Diatribe, Milano 200 1 . Nella legislazione romana l'aborto era considerato originariamente un atto immorale, passibile di una nota censoria, non un reato. Ma con Antonino Pio e con Settimio Severo vengono introdotte sanzioni penali (cf. Nuovo Dizionario Giuridico romano, a cura di F. Dd Giudice e S. Beltrani, Napoli, 2 ed., s.d., pp. 1 1 - 12). 6 . De sanguinis. Erodoto (IV, 70) a proposito degli Sciti. 7. sub Catilina. Sallustio (Catzl. 22 , l) ricorda, ritenendola però una probabile invenzione, il giuramento che Catilina chiese ai suoi complici, dopo aver fatto circolare una coppa di vino misto a sangue umano. 8. quosdam gentiles Scytharum. Plinio (Nat. Hist. VII, 2, 9) men ziona l'antropofagia praticata da molte tribù scitiche. 9 . Bellonae secatos. Bellona (anticamente Duellona) era un'antica divinità della guerra, sorella o sposa di Matte, i cui sacerdoti si tra figgevano durante le danze. Il suo tempio era a Roma in Campo Marzio.
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recentem , de iugulo decurrentem , auida siti comitiali morbo medentes hauserunt, ubi sunt? 1 1. ltem illi , qui de arena ferinis obsoniis cenant, qui de apro, qui de ceruo petunt? Aper ille, quem cruentauit, conluctando detersit; ceruus ille in gladiatoris sanguine se iactauit. lpsorum ursorum aluei appetuntur cruditantes adhuc de uisceribus 55 humanis; ructuatur ab homine caro pasta de homin e . H a e c qui e d i t i s , q u a n t u m a b e s t i s a c o n uiuiis Christianorum? 12. Minus autem et illi faciunt, qui libidi ne fera humanis memb ris inhiant, quia uiuos uorant ? minus humano sanguine ad spurcitiam consecrantur, quia 60 futurum sanguinem lambunt? non edunt infantes piane, sed magis puberes. 13. Erubescat error uester Christianis, qui ne animalium quidem sanguinem in epulis esculentis habemus, qui prop terea suffocatis quoque et morticinis abstinemus, ne quo 65 modo sanguine contaminemur uel intra uiscera sepulto.a 14. Denique in tormenta Christianorum botulos etiam cruore distentos admouetis , certissimi scilicet, inlicitum esse penes illo s, per quod exorbitare eos uultis. Porro quale 50
12, 57-6 1 . Cf. TERT., Ad nat. I, 15 , 8: «Quamquam quid minus, immo quid non amplius facitis? Parum scilicet humanis uisceribus inhiatis, quia uiuos et puberes deuoratis? Parum humanum sangui nem lambitis, quoniam futurum sanguinem elicitis? Parum infante uescemini, quia infantem totum praecocum perhauritis?». a.
At 15, 20. 29; l Cor 10, 25 ss.
49 iugulo] Vulg. [F errore ]unit] , rigulo b [recte ex apographo Modit] Il decurrentem] F, susceptum add. Vulg. 53 sanguine <Se> iactauit]
coni. Bind. et Walt. , sanguinem iactauit F, sanguine iacuit Vulg. Il ipsorum] F Vulg., om. r edd. , aprorum Z 54 cruditantes] F Gel. , cruditantibus Vulg., trucidantibus r. edd., crudelitatibus Z Il de] F Vulg., se Rh l Ba". 55 ructuatur] b (cf. cap. XXIII, 5; XL VIII, 1 4 ), ructatur F Vulg . , proinde add. Vulg. 62 christianos (F) Rh
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bevuto il sangue caldo, fluente dalla gola dei criminali sgozzati, per guarire dal morbo comiziale?IO 11. E ancora, dove sono quelli che cenano con carni di fiere provenienti dall' arena, che domandano chi del cinghiale, chi del cervo? Quel cinghiale, nel combattere, ha deterso il san gue di chi ha dilaniato; quel cervo giacque nel sangue di un gladiatore. I I Si appetiscono le interiora degli stessi orsi piene di carni umane non ancora digerite; da un uomo è eruttata carne che si è pasciuta di un uomo. Voi che man giate queste cose, quanto siete lontani dai conviti dei cri stiani? 12. Fanno forse di meno quelli che con libidine be stiale bramano delle membra umane, per il fatto che divo rano dei vivi? Sono meno consacrati con sangue umano all'immondezza ·perché leccano ciò (il seme umano) che diverrà sangue? Certamente non mangiano dei bambini, quanto piuttosto degli adulti. 13. La vostra aberrazione arrossisca davanti a noi cri stiani, che tra i cibi commestibili non comprendiamo nep pure il sangue di animali, astenendoci perciò anche dagli animali soffocati e trovati morti, per non essere in qualche modo contaminati dal sangue, anche se nascosto tra le viscere. 14. Del resto, tra le torture usate contro i cristiani voi porgete loro delle salsicce ripiene di sangue, sapendo di certo che non è loro lecito compiere ciò mediante cui volete farli trasgredire. Dunque, perché mai credete che
65 modo] Vulg., om. (F) edd. 66 in tormenta] F, inter temptamenta Vulg. Il etiam] F Vulg., om. Barr. 6 7 distento s ] ( F ) r L edd. , d i s t e n s o s S P M al.
64 quoque suffocatis (F) edd.
10. in arena no:xiorum iugulatorum sanguinem. Plinio (Nat. Hist. XXVIII, 2 , 4 ) ricorda con sdegno che alcuni bevevano il sangue ancora caldo dei gladiatori, ritenuto un rimedio efficace contro l'epilessia (il morbo comiziale) . 1 1 . d e arena ferinis. Anche Plinio (Nat. Hist. XXVIII, 2 , 4 ss.) ricor da con disgusto l'uso di succhiare il sangue delle belve uccise.
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est, ut, quos sanguinem pecudis horrere confiditis, humano inhiare credatis , nisi forte s uauiorem eum exp erti ? 1 5 . Quem quidem et ipsum p roinde examinatorem Christianorum adhiberi oportebat, ut foculum, ut acer ram. Proinde enim probarentur sanguinem humanum appetendo Christiani, quemadmodum s a crificium respuendo; alioquin negandi, si non gustassent, quemad modum si immolassent. Et utique non deesset uobis in auditione custodiarum et damnatione sanguis humanus ! 16. Proinde incesti qui magis quam quos ipse luppiter docuit? Persas cum suis matribus misceri Ctesias refert. Sed et Macedones suspecti, quia, cum primum Oedipum tragoediam audissent, ridentes incesti dolorem: iA.avve, aiebant, eiç 't'JÌV Jl1J't'Épa. 17. Age iam [lam nunc] recogita-
16, 78-82. Cf. TERT., Ad nat. l, 16, 4: «Piane Persae, tesias edit, tam scientes quam non horrentes cum <ma>tribus libere fiunt. Sed et Macedones id, quo probauerunt, <palarn> est fac titare, siquidem, cum primum scaenarn eorum Oedip<us> intrauit trucidatus oculos, risu ac derisu exceperunt». I 16, 5: «Tra constematus rectracta persona, "numquid ", ait, "domini, disp uobis ? " . Responderunt Macedones: "immo tu quidem pulchre, at scriptor uanissimus si finxit, aut Oedipus demetissimus si ita fecit" : atque exinde alter a d alterum: éA.avvE, dicebat, Eiç T1)v J.L'f1TÉpa». 69 pecudis] F ( cf. cap. XXII, 1 0) pecoris Vulg. 70 expertil Vulg . , estis: add. F 71 quidem] Vulg., quid F (errore ]unii) , q. (i. e. quidem) b I l et] F Vulg . , om. r L edd. 72 oportebat post acerram ponunt (F) r edd. 74 christiani] F, om. Vulg. Il que
madmodum] Vulg . , qui F ( errore ]unii) , q. (i. e. quemadmo dum) b 75 negandi] F (sic legendum est, errauit Junius) S pl M al. , necandi p2 dett . Il gustasset S P corr. M 79 etheseas S P M 81/82 llavvE (i. e. incurre) .. . J.L'f1TÉpa] Rig. J.LETt:pav (cf. Ad nat. I, 1 6, 5) , ÈÀ.ayyae aiebant (isten [i. e. eiç T1)v] b) F, EAA YNE dicebant EIITHNa AITEPA S P, al. codd. edd. aliter 82 age iam F, iarn nunc Vulg.
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delle persone che aborriscono il sangue animale siano bra mose di quello umano, se non forse perché voi l'avete tro vato più gustoso? 1 2 1.5. Bisognava dunque che l'inquisitore dei cristiani usasse anche il sangue, come il braciere, come l'incensiere. In questo modo, infatti, appetendo il sangue umano, i cristiani si sarebbero rivelati, come per il rifiuto di sacrificare; al contrario, se avessero gustato il sangue e avessero sacrificato, non sarebbero stati da considerare cristiani. E certamente a voi non mancherebbe il sangue umano durante i processi e le condanne dei detenuti ! 16. Inoltre, chi è più incestuoso di coloro che lo stesso Giove ha istruito? Ctesia racconta che i Persiani si unisco no sessualmente con le loro madri. Ma anche i Macedoni sono di ciò sospettati, poiché, ascoltando per la prima volta la tragedia Edipo, irridendo il dolore dell'incestuoso, dicevano: Gèttati sulla madre. n 17. Ora, [Fin d'ora] riflet-
1 2 . suffocatis abstinemus . . . botulos etiam cruore distentos. Tertulliano afferma che i cristiani si astenevano dagli animali uccisi per soffocamento o morti di morte naturale, e da un certo tipo di sal cicce ripiene di sangue. Si osservavano cioè le norme prescritte ai pagani convertiti alla fede dal cosiddetto Concilio di Gerusalemme dell'anno 49, anticipate nell'intervento di Giacomo (At, 15, 2 0 ) e riprese nella lettera apostolica (At 15, 29), che imponevano di aste nersi «dalle carni immolate agli idoli, dal sangue, dagli animali soffo cati e dalla impudicizia». San Paolo (l Cor 10, 25 ss.) afferma che i cristiani potevano mangiare tutto ciò che si vendeva al mercato, senza indagare sulla sua provenienza; e, se invitati a pranzo dai pagani, ciò che veniva loro presentato. Nel caso però che qualcuno li informasse espressamente che si trattava di carne di animali immolati agli idoli, dovevano astenersene per rispetto alla coscienza dell'altro. 1 3 . Dopo aver confutato l'accusa di infanticidio, Tertulliano passa a quella di incesto, ritorcendo anche questa contro i pagani. Ciò riguarda anzitutto la stessa religione pagana: Giove, marito e fratello di Giunone. Ma tali erano anche i costumi di alcuni popoli antichi: ad esempio, dei Persiani che - secondo Ctesia di Cnido, autore di una Storia della Persia (m nepmxà), fine V e inizi IV secolo - avevano rapporti con le loro madri; e dei Macedoni, colpevoli - sembra - della stessa colpa. . . •
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te, quantum liceat erroribus uestris ad incesta miscenda, suppeditante materias passiuitate luxuriae. Imprimis filios exponitis suscipiendos ab aliqua praetereunte misericordia extranea, uel adoptandos melioribus parentibus emancipa tis. Alienati generis necesse est quandoque memoriam dispergi. Et simul errar impegerit, exinde iam tradux pro ficiet incesti serpente genere cum sedere. 18. Tunc deinde quocumque in loco, domi, peregre, trans freta, comes est libido, cuius ubique saltus facile possunt alicubi ignaris filios pangere uel ex aliqua seminis portione, ut ita spar sum genus per commercia humana concurrat in memorias suas, neque eas caecus incesti sangui[ni] s agnoscat. 19. Nos ab isto euentu diligentissima et fidelissima castitas saepsit, quantumque ab stupris et ab omni post matrimonium excessu, tantum et ab incesti casu tuti sumus. Quidam multo securiores totam uim huius erroris uirgine continentia depellunt, senes pueri. 20. Haec in uobis esse si consideraretis , proinde in Christianis non esse perspiceretis. Iidem oculi renuntias sent utrumque. Sed caecitatis duae species facile concur runt, ut qui non uident quae sunt, uidere uideantur quae non sunt. Sic per omnia ostendam. Nunc de manifestis.
18, 89-94. Cf. TERT., Ad nat I, 16, 1 1 : «Piane ex aliqua discipli na <seueri>ores aut certe respectu eiusmodi euentum a libidine temperatis, cumque loco, domi aut peregre, ut non dispersio seminum et saltus ubique luxuriae nescientibus Hlios edat, quos aut ipsi postmodum parentes aut alli incursent, quando etiam aeta tum moderatio libidine exclusa sit». .
83 uestris] F, om. Vulg., 84 materia F (/ort. materia (= m) U luxoriae S P 85 misericordia] F Vulg . , matre r edd. 88 dispergi] Modius (uel Junius?) , disperci F, dissipaci Vulg. Il simul] Vulg., semd F 91 cuiusque F 92/93 ut ita sparsum] b (s persum F), uti asparsum S P, uti aspersum M dett. 93 concurrit F 94 neque] Vulg., nequis F (prob. Hav.: ne quis) Il sanguinis (F) Vulg. edd, 96 strupris S 99 uirginea (F) Z al edd. 100 si ante haec (F) r al edd. 101 iidem] (F) dett. (cf. cap. VI, 1; XXXVI, 4), idem S P M 102 caecitati (F) edd. U species] .
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tete alle possibilità che i vostri errori offrono a unioni ince stuose, visto che la promiscuità della lussuria ne fornisce le occasioni. Anzitutto voi esponete i figli perché siano rac colti da qualche pietoso passante, o li emancipate perché siano adottati da genitori di migliore condizione . Inevitabilmente, presto o tardi, il ricordo della famiglia (d'origine) , divenuta estranea, svanisce. Appena tale errore avrà preso piede, subito si estenderà la propaggine dell'in cesto con l'allargarsi della parentda e dd misfatto. l 4 18. In qualunque luogo, in patria, fuori, oltre i mari, vi è compa gna la libidine, i cui eccessi possono in qualche luogo facil mente procrearvi - a voi ignari - dei figli, anche da qualche porzione del vostro seme, sicché la discendenza dispersa viene, tramite le relazioni umane, ad incontrarsi con i suoi consanguinei, senza che l'ignaro del sangue incestuoso li riconosca. 19. Da questa eventualità una diligentissima e feddissi ma castità ci difende, e siamo garantiti sia dagli stupri e da ogni abuso dopo il matrimonio, come pure dall'eventualità dell'incesto. Alcuni, molto più sicuri, allontanano ogni pericolo di tale disordine con una continenza verginale, vecchi (casti come) fanciulli. 20. Se consideraste che tali vizi esistono fra voi, vi accorgereste anche che non esistono tra i cristiani. Gli stessi occhi vi avrebbero palesato l'una e l'altra cosa. Ma due specie di cecità facilmente vanno insieme: quelli che non vedono ciò che c'è, e quelli che credono di vedere ciò che non c'è. Lo dimostrerò in tutto il seguito. Ora parlerò dei delitti palesi.
Vulg., spe F ( errore ]unit), sp. h 103 uidere] Vulg., et uidere (F) Z Rh3 al. 104 ostendam] F Vulg., om. r Rh Ba". Il manifestis] F (cf. Ad nat . I, 12, 1 4; Il, 13, 1 ) , manifestioribus dicam Vulg. 1 4 . Si riprende il discorso contro l'esposizione dei figli (cf. IX, 6-8) , possibile occasione di incesti. Al contrario, si esalta la pratica della verginità presso i cristiani, ben nota presso i pagani.
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X. l . «Deos, inquitis, non colitis, et pro imperatori bus sacrificia non penditis». - Sequitur, ut eadem ratio ne pro aliis non sacrificemus, qua nec pro nobis ipsis, semel deos non colendo. ltaque sacrilegii et maiestatis rei conuenimur. Summa haec causa, immo tota est, et utique digna cognosci, si non praesumptio aut iniquitas iudi cet , altera quae desperat , altera quae r e c u s a t ueritatem . 2. Deos uestros colere desiuimus, ex quo illos non esse cognouimus. Hoc igitur exigere debetis, uti probemus, non esse illos deos et idcirco non colendos , quia tunc demum coli debuissent, si dei fuissent. Tunc et Christiani puniendi, si quos non colerent, quia putarent non esse, constaret illos deos esse. 3. «Sed nobis, inquitis, dei sunt». - Appellamus et prouocamus a uobis ad conscientiam uestram; illa nos iudicet, illa nos damnet, si poterit negare, omnes istos deos uestros homines fuisse. 4. Si et ipsa infi tias ierit, de suis antiquitatum instrumentis reuincetur, de quibus eos didicit, testimonium perhibentibus ad hodiernum et ciuitatibus, in quibus nati sunt, et regionibus, in
X, l IX DE NON COLENDA IDOLA S p l ( COLENDO P2) , DE NON COLENDO IDOLO M al. Il pro] om. M dett. 3 sacrificem M Il quia (F) Vulg. Il seme!] F, scimus Rh Barr. 7 disperat S P Ml 9 desiuimus] b Z 'f'2 (cf. Ad nat. I, 7, 1 7) , desinimus F (errore ]unit)
Vulg. 10 cognouimus] b, cognorimus F (errore ]unii?) ( 'et sta tim' praemisit Modius. Desinimus et statim cognorimus, quod per peram interpretatus est Oehler, cognoscimus Vulg., recognoscimus Z 12 si dei fuissent] F, om. Barr. Il dei] F S P l , dii p2 Rh l al. 13 quos] Vulg. (cf. Lo/ Kr. 48) , eos F 14 constaret illos deos esse] Vulg . , quos constare esse F Il sed nobis (uobis al. ) . . . dei sunt] Vulg. (cf. cap. XIII, 1 ) , sed apud nos (b, uos F) . . . constat deos esse illos F 15 uobis] Vulg., ipsis add. F 16 nos damnet] Vulg., prob. Lo/ Kr. 49, condemnet F 17/18 infitias ierit] inficias ierit F (in inficias ierit b, z'ta perperam adnotat Hoppe; uocabulum enim in erronee b textui Barraei inseruit, minime uero ut uariam lectio nem Modù) , infida (infitia M) si ierit S P M y L Z al. inficias si ierit Q edd. 1 9 didicit] M G dett. , didiscit (F) , dicit S P
x. 1 -4 ( 1 -2 0 )
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10 - Delitti manifesti: l'accusa di empietà e di lesa maestà
l. Voi dite: «Non onorate gli dèi e non offrite sacrifici per gli imperatori».! - Non onorando gli dei, ne consegue che non sacrifichiamo per gli altri, per la stessa ragione per cui non sacrifichiamo nemmeno per noi stessi. Perciò siamo processati come rei di sacrilegio e di lesa maestà. Questa è l'accusa principale, anzi l'intera accusa; degna certamente di essere esaminata, se non fosse la prevenzio ne o la mala fede a giudicare, poiché la prima dubita della verità, l'altra la rifiuta. 2. Noi abbiamo smesso di onorare i vostri dèi da quan do abbiamo capito che non sono dèi. È questo, dunque, che dovete esigere da noi: di provarvi che quelli non sono dèi e quindi degni di venerazione, poiché solo allora dovrebbero essere venerati, se cioè fossero dèi. Allora anche i cristiani andrebbero puniti, se constasse che sono dèi quelli che essi non onorano, non ritenendoli dèi. 3. «Ma - voi dite - per noi sono dèi». - Ci appelliamo a voi e facciamo ricorso alla vostra coscienza: essa ci giudichi, essa ci condanni, se riuscirà a negare .che tutti questi vostri dèi sono stati degli uomini. 2 4. Se anch'essa lo negherà, sarà confutata dai documenti antichi dai quali apprese la loro esistenza; ne sono prova fino ad oggi le città in cui sono 1 . pro imperatoribus sacrifìcia. Non si trattava di sacrificare agli imperatori, ma per gli imperatori. I cristiani rifiutavano questo sacri ficio, ma assicuravano di pregare per gli imperatori (cf. capp. 29-36). 2 . numquam homines fuissent. Gli dèi, afferma Tertulliano, sono uomini divinizzati. È la teoria di Evemèro di Messina ( o di Messene) , scrittore greco dd III secolo a. C., autore di una storia sacra ( iepà àvaypaqn]) , nella quale sosteneva che Urano, Crono e Zeus erano stati i sovrani dell'isola di Pancaia nell'Oceano Indiano. Sappiamo che Ennio rielaborò in latino questo scritto, a noi giunto in frammenti, nel suo Euhemerus. Lucano (Pharsalia VIII, 872 ) conosce la leggenda di un tumulo a Creta di Giove (il Tonante) e la ritiene una menzogna; tale leggenda rientrava evidentemente !lelle teorie evemeristiche.
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quibus aliquid operati uestigia reliquerunt, in quibus etiam sepulti demonstrantur. 5. Nunc ergo per singulos decurram, tot ac tantos , nouos ueteres , barbaros Graecos, Romanos peregrinos, captiuos adoptiuos, proprios communes, masculos femi nas, rusticos urbanos, nauticos militares? 6. Otiosum est enim etiam titulos persequi: ut colligam in compendium, et hoc non ut cognoscatis, sed ut recognoscatis (certe enim oblitos agitis), ante Saturnum deus penes uos nemo est; ab ilio census totius uel potioris et notioris diuinitatis. ltaque quod de origine constiterit, id et de posteritate conueniet. 7. Saturnum itaque, quantum litterae, n eque Diodorus Graecus aut Thallus, neque Cassius Seuerus aut Cornelius Nepos, neque ullus commentator eiusmodi antiquitatum aliud quam hominem promulgauerunt; si quantum rerum argumenta, nusquam inuenio fideliora, quam apud ipsam ltaliam, in qua Saturnus post multas expeditiones postque Attica hospitia consedit, exceptus ab lano, uel lane, ut Salii uolunt. 8. Mons, quem incoluerat, Saturnius dictus; ciuitas, quam depalauerat, Saturnia usque nunc est; tota denique Italia post Oenotriam Saturnia cognominabatur. Ab ipso primum tabulae et imagine signatus nummus, et
5, 23 -26. Cf. TERT., Ad nat. II, 12, 2 : «Quot deos et quos utique producam? Maiores an mi<nores? uet>eres an et nouicios? mares an et feminas? . . . rusticos an et urbanos? ciues an et penos?» 7, 3 2 - 3 9 . Cf. TERT . , Ad nat. II, 1 2 , 26: « . . . Legimus apu d Cassium Seueru<m>, apud Cornelios Nepotem et Tacitum, apud Graecos quoque Diodoru<m> quiue alii antiquitatum canos college· runt». II, 12, 27 : «Nec fideliora vestigia e quam in ipsa Italia signata sunt. Nam post plurimas terras et hospitia Italiae uel, ut tunc uocabatur, Oenotriae consedit, e<JJ:Ceptu> ab Iano siue lane, ut Salii uocant». 8, 3 9-4 1 . Cf. TERT. , Ad nat. II, 12, 26: «MoS quem coluerat, Satu dictus, urbs quam depalauerat, Saturnia usque nunc est; tota d<enique> orbi, etiamsi de origine Saturni dubitatur, de actu tamen hominem illum fuisse».
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nati e i luoghi in cui hanno lasciato tracce di qualche loro impresa, e dove si mostra che sono stati sepolti. 5. Dovrò dunque passare in rassegna uno per uno i vostri dèi, tanti e tanto diversi, recenti e antichi, barbari e greci, romani e stranieri, frutto di conquista e di adozione, privati e comuni, maschi e femmine, campagnoli e cittadi ni, nautici e militari? 6. Ma è inutile dencarne anche solo il nome. Per farla breve, e questo non per insegnarvdo ma per ricordarvdo - poiché fate gli smemorati -, tra voi non esiste nessun dio prima di Saturno; da lui ha avuto origine ogni più importante e più nota divinità. Pertanto, ciò che risulta essere proprio dell'origine converrà anche alla discendenza. 7. Orbene, stando alle testimonianze lettera rie, né il greco Diodoro o Tallo , né Cassio Severo o Cornelio Nepote, né qualsiasi altro studioso di simili anti chità hanno presentato Saturno se non come un uomo; quanto alla prova dei fatti in nessun luogo ne trovo di migliori che nella stessa Italia, dove Saturno, dopo molte peregrinazioni e il soggiorno ospitale nell'Attica, si stabilì, accolto da Giano, o Giane, come vogliono i Sali. 8. n monte che aveva abitato fu detto Saturnio; la città che aveva fon dato è chiamata fmo ad oggi Saturnia; infine, tutta l'Italia, che prima si chiamava Enotria, fu denominata Saturnia. Da lui stesso furono inventate le tavolette per scrivere e la moneta contrassegnata da un'immagine, e perciò egli
21 operati sunt uestia M 2.3 num ergo (F) Z R» Ba". 24 ueteres] F Vulg . , seruos add. Rh Barr., seruos post barbaros ponit r 25 masculinos (F) Rh Ba". 21 enim] F, om. Vulg. 28 ut cognoscatis,
sed ut] F (cf. Ad nat. IL 12, 4), quo cognoscatis, sed Vulg. ll certe] Vulg., certi F 29 agitis] X DE SA1VRNO Ef IOVE S P M a/. 30 uel notioris (F) dett. edd. 32 quantum litterae] F, si quantum litterae docent Vulg. (si om. edd.) 33 Thallus] F Vulg., Tallus edd. 35 quantum] F Vulg., quaeras edd. 38 actica S P M Il ab] (F) S P (cf. Ad nat. IL 12, 27), a M dett. 39 incoluerat] F Vulg., coluerat r edd. 40 ciuitas] Vulg. (cf. Ad nat. IL 12, 28), et ciuitas F Il depalauerat] F Vulg., depellauerat L, debel lauerat r edd. 41 enotriam S P 42 et imagines (ita b, imagine F errore funit) et signatus nummus F (Isid., Etymol., XVI 18, 5) (alt. et om. Vulg. )
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inde aerario praesidet. 9. Tamen, si homo Satumus, utique ex homine; et quia ab homine, non utique de Caelo atque 45 Terra. Sed cuius parentes ignoti erant, facile fuit eorum filium dici, quorum et omnes possumus uideri. Quis enim non caelum ac terram patrem ac matrem uenerationis et honoris gratia appellet, uel ex consuetudine humana, qua ignoti uel ex inopinato apparentes de caelo superuenisse 50 dicuntur? 10. Proinde Satumo repentino ubique caelitem contigit dici; nam et perinde: nos enim contemptores deorum haberi nulla ratio est, quia nemo contemnit quod sciat omnino non esse. Quod omnino est, id con temni potest; quod nihil est, nihil patitur: igitur quibus est, ab eis patiatur necesse est». 2, 5-7. Cf. TERT. , Ad nat. I, 10, 1 1 : «Licet iam bine recognoscere: inprimis cum alii alios deos colitis, eos quos non colitis, utique con temnitis: praelatio alterius sine alterius contumelia non potest, nec ulla electio non reprobatione componitur . . » . .
probetis] F, reprehendistis Vulg., non reprehendistis cod. Pithoei Vrsinus, prob. Hoppe 32 uestrorum] F, suorum Vulg. 33 aranei] b (cf. Adu. Mare. I, 1 4, l ; De pallio 3, 6), araneae F (errore Junit) Vulg. 35 autem] F, enim Vulg. 36 certi sumus] cernimus M 36137 ab ullo patitur, quia non est] Vulg., ab eo patitur qui est F.
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XIII, l inquitis (F) edd. 2 illos] F, uestros Vulg . , prob. Lo/ Kr. 52 3 qui] Vulg . , ut F 3/4 neglegatis . . . destruatis F
XII, 6-7 ( 3 0 - 3 7 ) - XIII, 1 -2 ( 1 -7 )
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siete gli stessi che approvate un certo Seneca, il quale parla della vostra superstizione con più numerose e aspre paro le. 2 7. Perciò se non adoriamo le statue e le fredde immagi ni, somigliantissime ai vostri morti, che gli sparvieri, i topi e i ragni ben conoscono (per quello che sono) , non merite rebbe lode piuttosto che castigo il rifiuto di un errore conosciuto? Possiamo credere di offendere coloro che ne siamo assolutamente certi - non esistono affatto? Ciò che non esiste non patisce nulla da nessuno, proprio per ché non esiste.
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Inesistenza di divinità private e pubbliche
l. «Ma per noi sono dèi», tu ribatti. Come mai allora risultate empi, sacrileghi e irreligiosi verso i vostri dèi, voi che trascurate dèi che presumete esistere, che distruggete dèi che temete, che deridete dèi che poi vendicate? 2. Esaminate, se mento. Per prima cosa, quando onora te solo alcuni dèi, offendete certamente quelli che non onorate: non può esserci preferenza per uno senza offesa p er l ' altro, p oiché non c ' è s celta senza rifiuto.
inluditis (f) , inludatis Hav. Hoppe. 5 mentior F Vulg . , men tiar G y edd. Il qui] p1 Vulg., prob. Thor. IV, 89, quidem F p2 (testante Oehl. ) Walt. Hop . , quod Z, quia Rh Barr. 6 quos] (F) M dett. , om. S P quem p2 in marg. 7 potest] esse add. F, proce dere add. Vulg . , utrumque interpolatum (cf. Ad nat. l, 1 0, 1 1 ) 4
2 . qui Senecarn aliquem. Seneca (4-65 d. C.), con la sua critica al culto pagano nelle Epistole (Ep. 4 1 ; 95 , 47) e nel De superstitione, per noi perduto, ma citato da Lattanzio (Div. Inst., VI, 25) e da Agostino (De civ. VI, 10, ecc.), fornì ai Padri della Chiesa un vero e proprio arsenale di argomenti nella lotta contro il paganesimo (d. M. VoN ALBRECHT, Momenti della presenza di Seneca nella tradizio ne cristiana, in «.AA. Vv . Seneca e i Cristiani», a cura di A. P. Martina, Milano 200 1 , pp. 8-9). Tertulliano, nel De anima (20, 1 ) , chiamerà Seneca «Saepe noster».
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3. Iam ergo contemnitis quos reprobatis, quos reprobando lO
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offendere non timetis. Nam, ut supra praestrinximus, sta tus dei cuiusque in senatus aestimatione pendebat. Deus non erat, quem homo consultus noluisset et nolendo dam nasset. 4. Domesticos deos, quos Lares dicitis, domestica pote state tractatis, pignerando, uenditando, demutando aliquando, in caccabulum de Saturno, aliquando in trullam de Minerua, ut quisque contritus atque contusus est, dum diu colitur, ut quisque deum sanctiorem expertus est
3, 8-9. Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 12: « . . . Iam ergo tunc primo contempsistis, non ueriti scilicet ta instituere, ut omnes coli non possent». 4, 13-18. Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 20: « Priuatos enim deos, quos Lares et Penates domestica consecratione perhibetis, domesti ca et licentia inculcatis uenditanto, pignerando pro necessitate ac uoluntate». . . .
8 ergo] Vulg. (cf. Ad nat. I, 1 0, 12), om. F 9 perstrinximus (F) dett. edd., praestruximus Pam. 13 ante domesticos add. S P M al.: XII DE LARIBVS Il deos] om. M dett. 16 atque] om. M Il contusus] F Vulg., concussus Q Z Rh Ba". 17 deum] F, dominus Vulg., domi num dett. edd. 1 . in senatus aestimatione. Tertulliano non perde di vista il senato consulto che sta alla base delle prescrizioni anticristiane (cf. cap. V, l) e rileva, come già nel primo passo, l'illogicità di affidare all'uomo il potere di creare o negare una divinità. È interessante osservare come uno storico contemporaneo di Tertulliano, il pagano Diane Cassio (L II, 3 5 , 5 ) , sia dello stesso parere, consigliando ad Ottaviano, per bocca di Mecenate, ·di non accettare il culto divino con templi e statue a uomini divinizzati, perché «nessun uomo è mai diventato dio per voto popolare» (cf. M. SoRDI, Il problema religioso
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3. Dunque voi disprezzate gli dèi che rifiutate, e rifiutan
doli non temete di offenderli. Infatti, come sopra ho accennato, la condizione (divina) di ogni divinità dipende va dal giudizio del senato. Non era dio quella divinità che un uomo, consultato in proposito, non l'avesse voluta e, non volendola, l'avesse condannata. l 4. Gli dèi domestici, che chiamate Lari, li trattate sulla base della potestà domestica, pignorandoli, vendendoli, trasformandoli: ora un Saturno in una casseruola, ora una Minerva in un mestolo, a seconda che sia consumato e ammaccato per il culto prolungato, a seconda di come cia scuno abbia percepito una più santa necessità domestica. 2
nel discorso di Mecenate, in «Loghios anér. Studi . . . in memoria di M. A. Levi», Milano 2002, pp. 470-47 1 ) . Lo stesso Dione, però, con siglia di imporre a tutti il rispetto dei culti tradizionali e di awersare i culti stranieri. 2 . Domesticos Lares. Sono i Lares familiares, divinità romane di probabile origine etrusca, incaricate di vegliare sulla casa e sulla famiglia. Venerati nel Lararium con offerta di frutti e libagioni, erano raffigurati con statuette di bronzo, danzanti e forniti di cornu copia. Anche le divinità maggiori potevano essere considerate divi nità domestiche, e come tali venerate nella propria casa con immagi ni e statuette. Cicerone parla a più riprese di una statua di Minerva che egli venerava nella sua casa (De domo sua 57, 144; Ad Fam. XII, 25, 1 ) . Plutarco ci attesta (Cic. 3 1 , 6) che quando questi andò in esi lio la depositò in Campidoglio. ll caso ricordato da Tertulliano di statue di divinità venerate in casa e trasformate poi, con la fusione del metallo , in oggetti da cucina o per la mensa, è esplicitamente ricordato da Tacito (Ann. III, 70) a proposito di L. Ennio, che aveva trasformato in argenteria un'immagine dell'imperatore posseduta in casa ed era stato per questo accusato di lesa maestà. Tiberio, contra rio al culto imperiale, pose il veto all 'accusa. Lo stesso Tiberio aveva affermato in un'altra occasione: Deorum iniuriae dis curae, rifiutan do di processare per empietà chi commetteva atti del genere. . . .
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domesticam necessitatem. 5. Publicos aeque publico iure fo edati s , quos in h a s t a rio uectigales habeti s . Sic 20 Capitolium, sic olitorium forum petitur; sub eadem uoce praeconis, sub eadem hasta, sub eadem annotatione quae storis diuinitas addicta conducitur. 6. Sed enim agri tribu to onusti uiliores, hominum capita stipendio censa ignobi liora, nam hae sunt notae captiuitatis; dei uero, qui magis 25 tributarii, magis sancti; immo qui magis sancti, magis tri butarii. Maiestas quaestuaria efficitur: circuit cauponas religio mendicans; exigitis mercedem pro solo templi, pro aditu sacri. Non licet deos gratis nosse, uenales sunt. 7. Quid omnino ad honorandos eos facitis, quod non 30 etiam mortuis uestris conferatis ? Aedes proinde, aras proinde. Idem habitus et insignia in statuis; ut aetas, ut ars, ut negotium mortui fuit, ita deus est. Quo differt ab
5 , 1 8-22 . Cf. TERT. , Ad nat. I, 1 0, 22: «Iam primum, quos in starium regessistis, publicanis subdidtis, omni quinquennio inter uectigalia uestra proscripto<s> addic. Sic Serapeum, sic Capitolium petitur; addicitur, conducitur d eadem uoce prae conis, eadem exactione quaestoris». 6, 22-28. Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 23 : «Sed enim buto onusti uiliores, hominum capita stipendio censa ign, (nam hae sunt notae, poenae): dei uero, qui magis tr , magis sane ti; immo, qui magis sancti, magis tributarii». l, 10, 24: «Maiest prostituitur in quaestum, negotiatio religio proscribitur, sancti tas locationem mendicat; exigitis mercedem pro solo templi, pro aditu sacri, pro stipibus, pro ostiis; uenditis totam diuinitatem; non licet eam gratis coli; plus denique publicanis reficitur quam sacerdotibus !». 7 , 29-32 . Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 26: «Quid enim omnino ad honorandos eos facitis, quod non etiam mortuis uestris ex aequo praebeatis?». I, 10, 27 : «Exstruitis deis tempia: ; exstruitis aras dei: aeque mortUis aras; easdem titulis superscri bitis litteras, easdem statuis inducitis formas, ut cuique ars aut nego tium, aut aetas fuit . . . ».
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5. Ugualmente, in base al diritto pubblico voi oltraggiate gli dèi pubblici, tenendoli come tributari nelle pubbliche aste. Così si va al Campidoglio come al mercato delle erbe; la divinità aggiudicata viene data in appalto con la voce dello stesso banditore, nella stessa asta, con la stessa regi strazione (di prezzo) del questore) 6. Ma, i terreni gravati da tasse hanno meno valore, e le persone soggette a impo ste sono meno stimate, essendo queste cose segni di ser vitù. Invece quegli dèi che più pagano tributi, più sono venerabili; anzi, più sono venerabili, più pagano tributi. La maestà diventa oggetto di lucro: la religione gira le bettole mendicando;4 esigete denaro per stare nel tempio, per l'accesso al sacrario. Non è permesso venerare gratuita mente gli dèi: sono in vendita. 7. Insomma, che cosa fate per onorare i vostri dèi che non lo facciate anche per i vostri morti? (Costruite) templi anche per loro, altari anche per loro. Stesso abbigliamento e stesse insegne nelle statue; quale fu l'età, la professione, l'attività del morto, così è per la divinità. In che cosa diffe-
20 sicut olitoriwn (F) Rh3 Barr. 22 agi S P M 2.3 uiliores] Vulg., uilioris F 24 hae] F Vulg., haec dett. edd. Il dii P corr. 27 mendicans] F Vulg., mendicas Barr. 28 sacri] Vulg. (cf. Ad nat. I, 1 0, 24) , sacrarii F 2 8 nosse gratis] (F) r edd. 2 9 ad honorandos] Vulg. (ad horandos S corr. in marg. alia m.; ad orandos M dett.) (cf. Ad nat. l , 10, 26), ad inhonorandos F 3 . in hastario vectigales. L'hastarium era il luogo di vendita (indi cato da un'asta piantata nel terreno) e il libro in cui si registravano i dati di vendita all 'incanto. L'ager vectigalis era quella parte dell'ager publicus concesso in godimento, per wi tempo determinato o per sempre, in cambio del pagamento di un canone (vectigal). 4. Maiestas quaestuaria religio mendicans. Per l'accattonaggio dei sacerdoti della Magna Mater e di altre divinità orientali cf. APULEIO, Met., VIII , 24 ss. •••
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epulo louis silicemium, a simpulo obba, ab haruspice pol linctor? Nam et haruspex mortuis apparet. 8. Sed digne imperatoribus defunctis honorem diuini tatis dicatis, quibus et uiuentibus eum addicitis. Accepto ferent dei uestri, immo gratulabuntur, quod pares eis fiant domini sui. 9. Sed cum Larentinam, publicum scortum (uelim saltim L aidem aut Phrynen ) inter lunones et Cereres et Dianas adoratis; cum Simonem Magum statua et inscriptione SANCTI DEI inauguratis, cum de paedago giis aulicis nescio quem synodi deum facitis, licet non nobiliores dei ueteres uestri, tamen contumeliam a uobis deputabunt, hoc et alii licuisse, quod soli ab antiquitate praeceperant.
33 obba] Vulg. , abba F 38 Larentinam] S P M (cf. cap. XXV, 3; A d nat. II, 1 0, l. 1 0; 1 7, 3. 7 ) , Larentiam (F) dett. edd. 39 Phrynem S P 40 et Dianas] Vulg. (ac Dian. dett.) , om. F Il adoratis] (F) Rh3 , adoretis Vulg. 4 1142 paedagogiis] S P Rh3 Ba". (i. e. pueris paedo gogiis) p(a)edogogis F rei. Vulg. 42 aulicis] F Vulg. , aut aulicis r Rh Ba". Il sin(h)odi Vulg., cinhothi F, cinaedum T edd., alii a/iter 43 uestri] F, om. Vulg., 44 alii] F (i. e. «de paedogiis aulicis nescio quem» [l. 49 sq.] seu Antinoum) , aliis Vulg. 44145 quod soli ab antiquitate praeceperant (perceperant Rig.) F Rig., quod solis anti quitas contulit Vulg. 5. ab epulo louis. L'epulum Iovis era un sacrificio celebrato in forma di banchetto, in onore della Triade Capitolina, dal collegio degli epulones: inizialmente tre, poi sette (Septemviri epulones) . n collegio era stato istituito nel 1 96 a. C., e l' epulum era. celebrato il 13 settembre e poi anche il 13 novembre. 6. imperatoribus defunctis honorem diuinitatis. . . et uiuentibus. Gli imperatori, sia vivi che morti, avevano gli stessi onori degli dèi. In realtà il culto dell'imperatore vivente non era imposto al tempo di Tertulliano, sebbene largamente diffuso, specialmente in Oriente. n culto dell'imperatore morto, divus, non deus, era una sorta di rico noscimento, quasi una beatificazione, che il senato decretava ai buoni imperatori con la consecratio, mentre puniva con la damnatio
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risce il banchetto funebre dal banchetto di Giove,5 la liba zione sacrificale da quella per un morto, il becchino dall'a ruspice;: ? Infatti anche l'aruspice presta servizio ai morti. 8. E opportuno poi che accordiate l'onore della divi nità agli imperatori defunti, a cui l'attribuite anche da vivi. 6 I vostri dèi lo gradiranno, anzi si congratuleranno che i loro padroni divengano loro pari. 9. Ma quando tra le Giunoni, le Cereri, le Diane adorate una Larentina, pubblica meretrice (preferirei almeno Laide e Frine) ;7 quando dedicate una statua a Simon Mago con l'iscrizione DEL SANTO DIO, 8 quando annoverate nel consesso degli dèi un non so quale (giovane schiavo) dalla scuola dei paggi di corte, 9 i vostri antichi dèi, sebbene non siano più rispetta bili di costoro, vi imputeranno come affronto il fatto che anche altri abbiano ottenuto ciò che essi soltanto avevano dall'antichità.
quelli cattivi. Plinio, nel Panegirico a Traiano, mette in evidenza come il senato esercitasse così una specie di controllo sugli imperatori. 7. Larentinam Lai"dem aut Phrynen. Larentina, cortigiana al tempo di Anco Marzio, confusa con Acca Larentia, moglie di Faustolo, nutrice di Romolo e Remo (denominata lupa in quanto meretrice; cf. LATIANZIO, Div. Inst. I 20). Laide e Frine erano famo se cortigiane greche. 8. Simonem Magum. Qui Tertulliano compie lo stesso errore di Giustino (I Apol. , 26 e 56), confondendo Simon Mago - un mago della Samaria noto dagli Atti degli Apostoli (8, 9- 1 3 ) - con la divinità sabina Semone Sanco: Semo Sancus Deus Fidius. Questa divinità aveva una statua nell'isola Tiberina (con l'iscrizione: Sanco Sancto Semoni Deo Fidio sacrum) e un tempio sul Quirinale. 9 . cum de paedagogiis deum facitis. Probabile allusione ad Antinoo, favorito dell'imperatore Adriano e da lui divinizzato dopo la sua morte nel Nilo nel l22. . . •
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XIV. l. Volo et ritus uestros recensere. Non dico quales sitis in sacrificando, cum enecta et tabidosa et scabiosa quaeque mactatis, cum de opimis et integris superuacua quaeque truncatis, capitula et ungulas, quae domi quoque pueris uel canibus destinassetis, dum de decima Herculis nec tertiam partem in aram eius imponitis: laudo magis sapientiam, quod de perdito aliquid eripitis. 2. Sed conuersus ad litteras uestras, quibus informami ni ad prudentiam et liberalia officia, quanta inuenio ludibria! Deos inter se propter Troianos et Achiuos, ut gladia torum paria congressos, depugnasse; Venerem humana sagitta sauciatam, cum fùium suum Aeneam, ne interime retur, rapere uoluisset [quod fùium suum Aeneam, paene interfectum ab eodem Diomede rapere uellet] ;a 3. Martem tredecim mensibus in uinculis paene consumptum;b Iouem, ne eandem uim a ceteris caelitibus experiretur, opera cuius dam monstri liberatum ,c et nunc flentem Sarpedonis casum,d nune foede subantem in sororem sub commemo ra tione non ita dilectarum iamp ridem amicarum .
l , 1 -5 Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 35: «Recognoscite igitur, quam derisiores inueniamini numinum uestrorum. Non dico quales sitis in sacrificando, quod enecta et tabidosa quaeque mactatis, de opimis autem et integris superuacua esui capitula et ungulas . . . , et si quid domi quoque ahi<ee>tun fuissetis». 2 , 10- 12. Cf. TERT., Ad nat. l, 10, 3 8 : « . . . qui de illis fauore diuersis gladiatoria quodammodo paria composuit». I, 1 0 , 3 9 : «Venerem sauciat sagitta humana . . . ». 3 , 14- 19. Cf. TERT. , Ad nat. I, 1 0, 39: « . . . Martem tredecim men sibus in uinculis detinet fortasse periturum; eadem Iouem . paene perpessum a caelitum plebe traducit aut lacrimas eius super Sarpedonem excutit aut luxuriantem cum lunone foedissime indu cit, commendatio libidinis desiderio per commemorationem et enu merationem amicarum». -
a. c.
cf. HOMERUS, Ilias V, 335 -336 b. cf. HOMERUS, Ilias V, 3 83 -3 85 cf. HOMERUS, I/ias l, 396-405 d. cf. HOMERUS, I/ias XVI , 476 ss.
XIV, 1 -3 ( 1 - 1 9 )
201
14 - Irrispettosità religiosa pagana l. Voglio passare in rassegna anche i vostri riti. Non parlo di come vi comportate nel sacrificare: quando immo late animali consunti, macilenti, e rognosi; quando di quel li grassi e sani tagliate (per sacrificarle) solo le parti di scarto, cioè le teste e le unghie, che a casa vostra avreste riservato agli schiavi e ai cani; quando della decima di Ercole non collocate sul suo altare neppure la terza parte. t Lodo piuttosto il vostro buon senso, poiché sottraete qual cosa a quanto va perduto. 2. Se mi volgo alla vostra letteratura con cui venite edu cati alla saggezza e alle attività liberali, quante cose ridicole vi trovo ! Ci sono dèi che combattono tra loro a favore di Troiani e di Achei, azzuffandosi come coppie di gladiatori. C'è Venere ferita dalla freccia di un uomo, volendo sot trarre suo figlio Enea perc�é non fosse ucciso [ferita da una freccia umana, volendo sottrarre suo figlio Enea che stava per essere ucciso dallo stesso Diomede] . 3. Marte quasi muore dopo tredici mesi di carcere. Giove è liberato per l'intervento di un mostro (Briareo) dal subire la stessa violenza da parte degli altri celesti; ora piangente la morte di Sarpedone, ora preso da osceno amore verso la sorella mentre ricorda le precedenti amanti non altrettanto amate.
XIV, l XIII DE SACRIFICANDO S P M al. Il nolo dett. Hav. l et scabiosa] Vulg., om. F 6 laudo] (F) f edd. (d. cap. XVL 8), laudabo Vulg. 12 sagitta] 15ovpi Rom. V 3 1 1 12/13 cum filium suum Aeneam, ne interimeretur, rapere uoluisset F, quod filium suum aeneam (uel aenean) paene interfectum ab eodem Diomede rap(p)ere uellet Vulg., prob. Thor. II, 1 0 sq.; N, 90 sq. 18 casum] Vulg., causa F Walt. Il cubantem p2 dett. 19 iampridem] Vulg., om. F 1 . de decima Herculis. Sulla decima ad Ercole, diversa per i Romani da quella dei Greci, e da ricavare non solo dai beni mobili, ma anche dalla terra, d. M. SORDI, I rapporti tra Roma e Delfi e la decima, in « AA . Vv. I grandi santuari delta Grecia», a cura di A. MASTROCINQUE, Trento 1993 , pp. 149 ss.
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202 20
25
30
4. Exinde quis non poeta ex auctoritate principis sui dede
corator inuenitu r deo rum ? Hic Ap ollinem Admeto pascendis pecoribus addicit; ille Neptuni structorias ope ras Laomedonti locat.a 5. Est et ille de lyricis, Pindarum dico, qui Aesculapium canit auaritiae merito, quia medicinam nocenter exercebat, fulmine iudicatum .b Malus luppiter, si fulmen illius est, impius in nepotem, inuidus in artificem ! 6. Haec neque uera p rodi neque falsa confingi apud religiosissimos oportebat. Nec tragici quidem aut comici parcunt, ut non aerumnas uel errores domus alicuius dei praefarentur. 7. Taceo de philosophis, Socrate contentus, qui in con tumeliam deorum quercum et hircum et canem deierabat. «Sed propterea damnatus est Socrates, quia deos destrue bat». Piane olim, id est semper, ueritas odio est. 8. Tamen
4, 20-2 1 . Cf. TERT , Ad nat. I, 10, 40: «Exinde quis non poeta ex auctoritate principis sui in deos insolens aut uera prodendo aut falsa fingendo? . . . ». 5, 23 -27. Cf. TERT., Ad nat. l, 14, 1 1 : «Malus Iuppiter sus est, impius in nepotem, inuidus in artificem ! ». Il, 14, 12: «Sed enim Pintum eius non occultauit: cupiditatem et auaritiam lucri catam . . . , praeuaricatione uenalis medicinae agebat». 6, 28-30. Cf. TERT., Ad nat. l, 1 0 , 40: « . . . ec tragici quidem aut comici pepercerunt, ut non aerumnas ac poenas dei praefa rentur». 7, 3 1 -33 . Cf. TERT., Ad nat. l, 10, 4 1 : «Taceo de philosophis, quos seperbia seueritatis et duritia disciplinae . . . ». II , 1 0 , 42 : «Denique et Socrates in contumeliam eorum quercum et canem et hirum iurat. Nam etsi idcirco damnatus est . . » . .
rum
.
a.
cf. HOMERUS, Jlias XXI, 401 ss.
b.
cf. PINDARUS, Pythicae 3, 7 ss.
21 admeto F (cf. Ad nat. II, 1 7, 9; Cypr. Quod idola 2), regi add. Vulg. 22 Nuptuni F ( i t a n t , quam eorum , qui i < s > t a suscipnt». 7, 3 7 ·38. Cf. TERT., Ad nat. I, 10, 49: «Qua nescio, ne plus de uobis dei uestri quam de nobis querantur». 27 qui P co". s. l. 27/28 adhuc quis posset inuestigare (F) r edd. , adhuc inuestigare quis posset Vulg. Walt. Hoppe 29 fasti gium adsolant] F ( cf. Ad nat. I, 10, 48) , uestigium obsoletant Vulg. (cf. Thor. IV, 91 sq. ) 35 hisdem S P (cf. cap. XII, 2 ) 3 9 enim] F Vulg., om. r Rh Ba".
XV, 5 - 8 ( 2 5 - 4 4 )
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pure di Mercurio che verificava i morti con un ferro rovente; ho visto anche il fratello di Giove (Plutone) tra scinare i cadaveri dei gladiatori munito di martello (per il colpo di grazia) .4 6. Tutte queste cose, e altre ancora che uno potesse citare, se compromettono l'onore della divi nità, se distruggono il fastigio della maestà [che insozzano il simbolo della mae�tà] , hanno origine dal disprezzo per gli dèi, sia di coloro (attori) che le compiono, sia di coloro (spettatori) per i quali le compiono. 7. «Ma - voi dite - questi sono passatempi ! ». Ma se aggiungessi le cose che la coscienza di tutti sicuramente riconoscerebbe come vere, che cioè nei templi si tramano adultèri, che tra gli altari si negoziano prostituzioni, che spesso nelle stesse celle dei custodi e dei sacerdoti, sotto le stesse (sacre) bende, i berretti e le porpore, tra il fumo del l'incenso si dà sfogo alla libidine, non so se i vostri dèi si lamentino più di voi che dei cristiani. Certamente è sem pre tra i vostri che si scoprono i sacrileghi. I cristiani, infatti, non frequentano i templi neppure di giorno; ma forse li deprederebbero, se anche loro li venerassero ! 5 8. Che cosa dunque adorano coloro che tali cose non adorano? Di certo si comprende che costoro sono cultori della verità mentre non lo sono della menzogna, e che non
4 . Attin Herculem, etc. Attis era un pastore frigio, amato da Cibele, che impazzito si evirò. Ercole, in preda alla pazzia per aver indossato la tunica imbevuta dd sangue del centauro Nesso, inviata gli dalla gdosa moglie Deianira, fmì la sua vita in un rogo sul monte Eta. ll fratello di Giove è Plutone, il dio degli inferi, le cui sembian ze erano prese dall'inserviente che trasportava i morti fuori del circo. Un altro inserviente dd circo assumeva l'aspetto di Mercurio lfiVXOtrop.n6ç. 5 . sacrilegi. Sacrilegio era, propriamente, il furto di cose sacre e la rapina nei templi. Tale accusa contro i · cristiani era ingiustificata, poiché costoro non entravano neppure nei templi. Ma il diffondersi del Montanismo, che, cercando in modo fanatico il martirio, spinge va ad atti di provocazione contro statue e immagini pagane, contri buì probabihnente all'equivoco. . . .
210
45
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scendo cessauerint. Hoc prius capite et omnem hinc sacra menti nostri ordinem haurite, repercussis ante tamen opi nionibus falsis.
XVI. l. Nam, ut quidam, somniastis, caput asininum esse deum nostrum. Hanc Cornelius Tacitus suspicionem huiusmodi inseruit.a 2. Is enim, in quarto Historiarum sua rum de bello Iudaico exorsus ab origine gentis et tam de 5 ipsa origine quam de nomine et religione gentis quae uoluit argumentatus, ludaeos refert Aegypto expeditosb siue, ut putauit, exterminatos uastis Arabiae in locis et aquarum egentissimis cum siti macerarentur, onagris, qui forte de pastu potum petituri aestimabantur, indicibus 1 0 fontis usos, oh eam gratiam consimilis bestiae superficiem consecrasse. 3. Atque ita inde praesumptum opinor, nos
l, 1 -3 . Cf. TERT., Ad nat. I, 1 1 , 1: « . . . Nam, ut quidam, somnia sti<s>, caput asininum esse deum nostrum: hanc Cornelius Tacitus suspicionem fecit». 2, 3 - 1 1 . Cf. TERT., Ad nat. l, 1 1 , 2: «ls enim in quarta Historiarum suarum, ubi de bello Iudaico digerit, ab origine gentis exorsus, et tam de ipsa origine quam de nomine religionis, ut uoluit, argumentatus, Iudaeos refert in expeditione uastis locis quae inopia laborantes onagris, qui de pastu aquam petituri aestimabantur, indicibus fontis usos euasisse: ita ob eam gratiam consimilis bestiae superficiem a Iudaeis coli>>. 3 , 1 1 - 17 . Cf. TERT., Ad nat. I, 1 1 , 3 : «lnde, opinor, praesump tum, nos quoque, ut Iudaicae religionis propinquos, eidem simula cro initiari. At enim idem Comelius Tacitus, sane ille mendaciorum loquacissimus, oblitus affirmationis suae, in posterioribus refert Pompeium Magnum de ludaeis debellatis captisque Hierosolymis templum adisse et perscrutatum nihil simulacri reperisse». a. cf. TACITUS,
Historiae V, 3
b. cf. Es 1 3 - 1 7
XV, 8 (4.5-47 ) - XVI , l -3 { l - l l }
211
errano più in ciò in cui hanno cessato di errare, ricono scendo di essere stati nell'errore. Capite prima questo e da qui comprenderete tutto l'ordinamento della nostra fede, una volta però confutate le false opinioni a riguardo.
16 - Deformazioni del culto cristiano: culto all'asino, alla croce, al sole
1. Come già altri, infatti, avete fantasticato che il nostro dio sia una testa d'asino. È stato Cornelio Tacito a intro durre un simile sospetto. 2. Infatti, nel quarto (quinto) libro delle sue Storie sulla guerra giudaica, iniziando dal l' origine di questa gente e dopo aver congetturato a suo piacimento, sia sull'origine stessa, sia sul nome e sulla loro religione, egli narra che i Giudei, partiti dall'Egitto o, come egli pensò, dispersi nelle vaste regioni dell'Arabia scarsissime d'acqua, mentre erano tormentati dalla sete, seguendo le tracce di alcuni onagri - sapendo che essi cer cano da bere dopo il pasto - poterono servirsi di sorgenti, e che per tale beneficio venerarono la figura di una simile bestia. 3. Ritengo questo il motivo per cui si è pensato che r edd. (cf. sint l. 44) , cessauerunt Vulg. 46 repercus. Cetera uide in editione Iuniana b, et desinit Il ante] F Vulg., om. Rh Barr.
45 cessauerint] (F)
XVI, 1 XV DE CAPTIE ASININO ET DE (om. S M a/.) CETERIS INSI GNIBVS QVAÈ VIDEN1VR COLERE S P M al. Il ut] F pl M al. (cf. Ad nat. l. c.), ut et S, et ut f1l (s. /.) al., om. Rh Barr. 3 huiusmodi] F, eiusmodi Vulg., dei add. Oehl. U inseruit ut is S Il quarto] F (sic, cf. Ad nat. l, 1 1, 2: quarta), quinta Vulg., quinto edd. 4 de bello Iudaico] F (cf. Ad nat. l. c. ), bellum iudaicum Vulg. 415 et tam de ipsa] coni. LO/ Tert. 90 sq. (cf. Ad nat. l, 1 1, 2), etiam de ipsa F r, etiam de ipsa tam rel Vulg. 7 exter minatos] F (cf. De uirg. uel. l, 3), extorres Vulg. 7/8 uasris Arabiae in locis et aquarum egentissimis] F, uastis Arabiae, in locis aquarum egen tissimis Vulg. 9 aestimabantur] Vulg. (cf. Ad nat. l, 1 1, 2), aestimaren tur F 10 fontis] F, fontibus Vulg. (idem error occurrit Ad nat. l, 1 1, 2 in cod. Agobard.) Il consimilis bestiae superfìciem] Vulg. (cf. Ad nat. l. c.), consimili bestiae super faciem F 1 1 opinor praesumptum (F) r edd.
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quoque, ut Iudaicae religionis propinquos, eidem simula cro initiari. At enim idem Comelius Tacitus sane ille men daciorum loquacissimus, in eadem historia refert, Gnaeum 15 Pompeium, cum Hierusalem cepisset proptereaque tem plum adisset speculandis Iudaicae religionis arcanis, nul lum illic repperisse simulacrum.a 4. Et utique, si id coleba tur, quod aliqua effigie repraesentabatur, nusquam magis quam in sacrario suo exhiberetur, eo magis, quia nec uere20 batur extraneos arbitros quamqtiam uana cultura. Solis enim sacerdotibus adire licitum; etiam conspectui cetero rum udo oppanso interdicebatur. 5. Vos tamen non nega bitis, et iumenta omnia et totos cantherios cum sua Epona coli a uobis. Hoc forsitan improbamur, quod inter cultores 25 omnium pecudum bestiarumque asinarii tantum sumus.
a. cf. TACITIJS, Historiae V, 9 4, 17-22. Cf. TERT., Ad nat. l, 1 1 , 4: « . . . Vtique nusquam magis quam in tempio tam memorabili, praesertim omnibus praeter sacer dotibus clauso, quo non ue negabitis uos eadem colere nobiscum». I, 1 1 , 6: «Sane uos totos asinos colitis et cum sua <E>pona, et umenta et pecora et bestias, quae perinde cum suis praesepibus con<se>ctis. Et hoc forsitan crimini datis, quod inter cultores omnium m asinarii tantum sumus». 12 eodem F (errore, cf. Ad nat. L 1 1, 3) 15 propterea Vulg. ( = Tac. l. c. : iure uictoriae) , propterque Z, propterea quod Rh l , praetereaque (F) Gel. Barr. 2 1 licitum] Vulg . , erat add. F I l etiam] F Vulg. , e t Z edd. I l conspectui] F , conspectus Vulg. 22 oppasso S pl 23 Epona] F opt. Vulg . , eponia y, pene Z, Hippona r edd. , a/ii a/iter 24 improbamur] F Vulg. , improban dum r edd 25 pecodum S P M
l . asinarii tantum sumus. Tertulliano contesta l'ignoranza dei pagani sul Dio adorato dai cristiani e alcune sue rappresentazioni oltraggiose. Egli confuta, anzitutto, la diceria che i cristiani adorino un testa d'asino (cf. 1 2 - 14); accusa che ritorce sugli stessi pagani,
XVI, 3 -5 ( 1 2 - 2 5 )
2 13
noi pure, in quanto strettamente legati alla religione giu daica, siamo iniziati al culto della stessa immagine. Ma è proprio lo stesso Cornelio Tacito, in realtà loquacissimo nel raccontare fandonie, che nella stessa Storia narra come Gneo Pompeo, presa Gerusalemme ed entrato nel tempio allo scopo di conoscere i segreti della religione giudaica, non vi avesse trovato alcun simulacro. 4. Eppure, se si venerava qualcosa rappresentata da una qualche immagi ne, in nessun luogo poteva essere meglio esposta che nel suo santuario, tanto più che quel culto, benché vano, non aveva a temere la presenza di testimoni estranei. Infatti, ai soli sacerdoti era lecito entrarvi; agli altri anche la vista era preclusa da un velo disteso. 5. Voi, invece, non negherete di adorare tutte le bestie e i muli tutt'interi con la loro Epona. Forse ci biasimate per questo, che tra gli adoratori di tutti gli animali e le bestie siamo soltanto degli asinari.l
adoratori di animali. Essi infatti venerano Epona, dea celtica protet trice dei cavalli, muli e asini; o altri dèi con teste di cani e di leoni (come certe divinità egizie) , o con coma e corpo di caproni (come Pan e i Satiri). Secondo Tertulliano l'origine di questa diceria è una leggenda messa in giro da Tacito sugli Ebrei al tempo dell'esodo dall'Egitto (d. G. FIRPo, Antioco IV e Tacito, in «Convegno "Ripen sando Tacito"», Firenze 2006 [in corso di pubblicazione] ), smentita poi dallo stesso Tacito «mendaciorum loquacissimus: è evidente il discredito di Tertulliano per Tacito (55 - 120 ca. d. C . ) , fortemente ostile verso i cristiani che pur ritiene innocenti dell'incendio di Roma (Ann. XV, 44) . Lo stesso Tacito, del resto, si contraddice per bocca di Pompeo, poiché questi dichiarò di non aver trovato nessu na immagine del Dio degli Ebrei nel tempio di Gerusalemme. La diceria sui cristiani di adorare un dio dalla testa d'asino trova piena conferma - oltre al caso africano citato da Tertulli ano - nei graffiti del Palatino a Roma. Nel Paedagogium, scuola dei paggi imperiali, compare l'immagine di un uomo in croce con la testa d'asino, men tre un altro uomo è in atteggiamento di adorazione, con l'iscrizione:
AÀE�aJlEYOç a?fJeu (a?{JE-rat) 9e6 v - Alessameno adora il suo dio. E un'altra ancora: Alexamenos/idelis.
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6. Sed et qui crucis nos religiosos putat, consecraneus erit noster. Cum lignum aliquod propitiatur, uiderit habi tus , quando materiae qualitas eadem sit; uiderit forma, dum id ipsum dei corpus sit. Et tamen quanto distinguitur 30 a crucis stipite Pallas Attica et Ceres Pharia, quae sine effi gie rudi palo et informi ligno prostant ? 7. Pars crucis est omne robur, quod erecta statione defigitur. Nos, si forte, integrum et totum deum colimus. Diximus originem deo rum uestrorum a plastis in cruce induci. Sed et Victorias 35 adoratis in tropaeis, cum cruces intestina sint tropaeorum. 8. Religio tota castrensis signa ueneratur, signa adorat, signa iurat, signa omnibus deis praeponit. Omnes illi ima ginum suggestus in signis monilia crucum sunt; siphara illa uexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt. Laudo 40 diligentiam: noluistis incultas et nudas cruces consecrare ! 9. Alii piane humanius et uerisimilius solem credunt deum nostrum .a Ad Persas , si forte, deputabimur, licet solem non in linteo depictum adoremus, habentes ipsum
6, 26-3 1 . Cf. TERT., Ad nat. I, 12, 1: «Sed et qui crucis nos anti stites affirmat, consacerdos erit noster. Crucis qualitas signum est de ligno: etiam de materia colitis penes uos cum effigie». l, 12, 2: « . . . dum una sit qualitas; uiderit forma, dum ipsum sit dei corpus sit». I, 12, 3 : «Quodsi de hoc differentia intercedit, quanto distinguitur a crucis stipite Pallas Attica et Ceres Pharia, quae sine forma rudi palo et solo staticulo ligni informis repraesentatur? . . ». 7, 3 1 -32. Cf: TERT. , Ad nat. I , 12, 3 : « . . . Pars crucis, et quidem maior, est omne robur quod derecta statione defigitur (. . . )». 8, 36-40. Cf. TERT., Ad nat. I , 12, 14: « . . . itaque in Victoriis et cruce<s> colit castrensis religio». l, 12, 15 : «Sigrat, signa deiurat, signa ipsi ovi praefert: sed ille imagiggestus et totus auri cultus monilia crucum sunt». I 1 2 , 16: «Sic etiam hris atque uexillis . . . , siphara illa uestes crucum sunt». 9, 4 1 -43 . Cf. TERT., Ad nat. I, 1 3 , 1 : «Alii piane humanius solem Christianum deum aestimant . . . ». .
a. cf.
Ml 3 , 20; Le l , 78
XVI , 6 - 8 ( 2 6 - 4 3 )
2 15
6. Ma anche chi ci ritiene adoratori di una croce sarà nostro correligionario. Quando si usa un pezzo di legno, poco importa il suo aspetto, poiché identica è la qualità della materia; poco importa la forma se questo legno è il corpo di un dio. Del resto, si distinguono dal legno di una croce Pallade Attica e Cerere Farla, che senza la loro figu ra si presentano come un palo rozzo e un legno informe? 7. Ogni legno piantato in posizione verticale è parte di una croce. Noi, semmai, adoriamo un dio intero e completo . Come ho già detto, la forma iniziale dei vostri dèi è model lata dagli artisti su una croce. E su trofei adorate anche le Vittorie ; ma le croci sono le p arti interne dei trofei . 8. Tutto il culto militare venera le insegne, adora le inse gne, giura per le insegne, antepone le insegne a tutti gli dèi. Tutto quell'insieme di immagini sulle insegne sono monili di croci; i drappi dei vessilli e degli stendardi sono rivestimenti di croci. Lodo il vostro zelo: non avete voluto venerare delle croci disadorne e nude ! 2 27 noster erit (F) r edd. 28 quando] F, cum Vulg. Rh Barr, dum Gel. Rig. Pam. (d. Ad nat. I, 12, 2) 29 sit] Vulg., est F 30 Pharia] F, fariam S P M al. , alii aliter, farrea edd. 3 1 informi] Vulg., infirmo F Il prostant] F Z, prostrar S P M al. , prostat dett., /ort. recte (cf. Ad nat. I, 12, 3: repraesentatur) 32 si] F Vulg. , sic Rhl Barr. 34 in cruce] F, de cruce Vulg. 35 adoratis in tropaeis, cum cruces inte stina sint tropaeorum] Walt. Thor., adoratis cum tropaeis intestina sint F, cum in tropheis cruces intestina sint tropeorum Vulg. 36 religio] F, Romanorum add. Vulg. ll signa adorat] F (cf. Ad nat. I, 12, 15), om. Vulg, 37 signa omnibus] opt. Vulg., signa om. (F) dett. edd. Il deis] F (pro more sec. Modium) diis Barr. 38 in signis] F, insignes Vulg. Il syphara F, sypara edd. 39 cantabrorum] F Vulg., cantaborum P corr. , labarorum Rh Barr. , candelabrorum Gel. 39/40 laudo diligentiam] ante siphara transponit F 39 crucum] F Vulg., crucium Barr. 2.
cruces consecrare. Di fronte all'accusa contro i cristiani di ado
rare una croce Tertulliano osserva ironicamente che ogni pezzo di legno messo in verticale è parte di una croce, e che anche i pagani venerano degli idoli aniconici. Egli cita, per il mondo greco, Pallade
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ubique in suo clypeo. 1 0. Denique inde suspicio, quod 45 innotuerit, nos ad orientis regionem precari. Sed et pleri
que uestrum, adfectatione aliquando et caelestia adorandi, ad solis ortum labia uibratis. 1 1 . Aeque si diem solis laeti tiae indulgemus, alia longe ratione quam de religione solis, secundo loco ab eis sumus, qui diem Saturni otio et uictui 50 decernunt, exorbitantes et ipsi a Iudaico more , quem ignorant.
10, 44-47. Cf. TERT., Ad nat. I, 1 3 , 1: « . . . quod innotuerit, nos ad orientis partem nos precationem, uel die solis laetitiam curare». I, 1 3 2: «Quid uos minus facitis? Non plerique affectatione ado randi aliquando etiam caelestia ad solis initium labra uibratis?». 1 1 , 47-5 1 . Cf. TERT. , Ad nat. I, 13, 4: «Et Iudaici ritus lucerna· rum . . . ». I, 1 3 , 5 : « . . . qui solem et diem eius nobis exprobratis, agnoscite uicinitatem : non longe a Saturno et sabbatis uestris sumus ! ». ,
44 clipeo dett. Hoppe, dupeo Walt. 46 caelestia] Vulg. (d. Ad nat. L 1 3, 2), certa caelestia F 48 de] F, om. Vulg. 49 eius S P corr. Attica (Pausania VIII, 3 2 , 4: si parla di dèi in fortna quadrangolare detti Ergalei, e nomina Atena Ergane) , e Cerere (Iside?) Faria, vene rata a Faro, isoletta antistante ad Alessandria (cf. C. MoRESClllN I, op. cit., p. 155). Per il mondo romano ci sono i trofei per la vittoria, la cui ossatura in legno era appunto una croce. Ad essi si appende vano le spoglie dei nemici e le insegne militari. Rivestiti di stoffe e di ornamenti, erano oggetto della «religio castrensis». Sull'importanza della croce per i cristiani dei primi secoli confronta l. RAMELLI, Una lettera. , in V è un ente sovrumano, non equi parabile agli dèi, sebbene talvolta sia definito 8E6ç, e che interferisce in modo positivo o negativo nella vita degli uomini. Inteso in chiave positiva, corrisponde al romano genius. Platone considera i &xiJ.Lova come esseri intermedi tra gli dèi e gli uomini, come ad esempio il dèmone ispiratore di Socrate.
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daemonum euaserit,b damnata a Deo cum generis auctori bus et, quem diximus, principe, apud litteras sanctas ordo cognoscitur. 4. Nunc de operatione eorum satis erit exponere. 15 Operatio eorum est hominis euersio; sic malitia spiritalis a primordio auspicata est in hominis exitium. Itaque corpo ribus quidem et ualetudines infligunt et aliquos casus acer bos, animae uero repentinos et extraordinarios per uim 20 excessus. 5. Suppetit illis ad utramque substantiam homi nis adeundam mira subtilitas et tenuitas sua. Multum spiri talibus uiribus licet, ut inuisibiles et insensibiles in effectu potius quam in actu suo appareant, si poma, si fruges nescio quod aurae latens uitium in flore praecipitat, in ger25 mine exanimat, in pubertate conuulnerat, ac si caeca ratio ne temptatus aer pestilentes haustus suos offundit . 6. Eadem igitur obscuritate contagionis adspiratio daemo num et angelorum mentis quoque corruptelas agit furori bus et amentiis foedis aut saeuis libidinibus et erroribus 30 uariis, quorum iste potissimus, quo deos istos captis et cir cumscriptis mentibus commendat, ut et sibi pabula pro pria nidoris et sanguinis curet simulacris et imaginibus. 7. Et quae illis accuratior pascua est, nisi ut hominem a recogitatu uerae diuinitatis auertant praestigiis falsae diui35 nationis? Quas et ipsas quomodo operentur expediam.
13 et] F, cum eo add. Vulg. Il principe] Vulg., principem F M l I l apud] Vulg., aut F Il ordo] F Vulg . , ordine edd. 2 1 adeundam] F Vulg., alendam r Rh l , laedendam Rh 3 Barr. Il mira] F, om. Vulg. 22 ut] F Vulg., et Rh Ba". 24 latens] Vulg., latentis F 25 exanimat] (F) M, examinat S P Walt. (errore) Il ac si] Vulg. (ac sic M) , si (F) Rh3 Barr. 26 offundit] S P M, effundit (F) dett. 28/29 furoribus] F Vulg., furoris Barr. 29 aut] F Vulg., a c r edd. Il e t erroribus] F, cum erroribus Vulg. 30 quo deos istos] F opt. Vulg . , quod eos istos dett. , quod eos ipsos edd. .H mentibus] F, hominum mentibus Vulg. Il commendat] F dett., com (m)edat S P r al. 32 curet] F, procuret Vulg. I l imaginibus] F, oblata add. Vulg. Walt. 33 illis] F, illi Vulg. Il nisi ut] F,
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XXII , 3 -7 ( 12-35)
(demòni) , sia uscita la specie più corrotta di dèmoni, con dannata da Dio con gli autori di tale specie e con quello che chiamiamo il loro principe. 4. Per ora basterà parlare della loro attività. La loro opera è il pervertimento dell'uomo; così la malizia di que sti spiriti mira fin dall 'inizio alla rovina dell ' uomo. Pertanto, affliggono i corpi con malattie e certi stati dolo rosi; l'anima, invece, con violenti, repentini e straordinari turbamenti. 5. Non manca loro una sorprendente sotti gliezza e leggerezza per agire su entrambe le sostanze del l'uomo. Molto è concesso a queste forze spirituali che, essendo invisibili e insensibili, si rivelano piuttosto dagli effetti che dai loro atti; ad esempio, quando un elemento viziato nascosto nell'aria distrugge i frutti e le messi in fiore, o li rovina in germe, o li danneggia nella crescita, o quando un'aria viziata in modo inspiegabile diffonde i suoi pestiferi influssi. 6. Con la medesima oscura modalità di contagio l'influsso dei dèmoni e degli angeli (cattivi) cor rompe anche le menti con furori e orribili pazzie, o con crudeli libidini e vari errori, di cui il principale è quello con cui raccomanda - a menti soggiogate e ingannate il culto di questi vostri dèi, per avere dei pasti di fumo e di sangue offerti ai simulacri e alle immagini (degli dèi) . 2 7. E quale pasto per loro è più squisito che stornare l'uomo dal pensiero della vera divinità con le arti illusorie di una falsa divinazione? Ora dimostrerò quali siano e come operino. -
quam Vulg. , ut add. edd. 33/34 a recogitatu] F, e cogitatu Vulg., a cogitatu dett. 34 auertant] F, auertat Vulg. I l prae stigiis coni. Rau. 34/35 falsae diuinationis] F, falsis Vulg. I l operentur] F, u t ( uel e t ) operetur opt Vulg . , operetur dett. .
2 . Sull 'azione dei demoni malvagi Tertulliano non si discosta da quanto era ammesso anche dall a demonologia pagana di origine pla tonica.
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8. Omnis spiritus ales est: hoc et angeli et daemones. lgitur momento ubique sunt. Totus orbis illis locus unus est; quid ubi geratur tam facile sciunt quam annuntian t . Velocitas diuinitas creditur, quia substantia ignoratur. Sic et auctores interdum uideri uolunt eorum, quae annun tiant. Et sunt plane malorum nonnumquam , bonorum tamen numquam . 9. Dispositiones etiam Dei et tunc prophetis contionantibus exceperunt et nunc lectionibus resonantibus carpunt. lta et bine sumentes quasdam temporum sortes aemulantur diuinitatem, dum furantur diui nationem. 10. In oraculis autem quo ingenio ambiguitates temperent in euentu m , s ciunt Croesi, s ciunt Pyrrhi . Ceterum testudinem decoqui cum carnibus pecori s , Pythius e o modo renuntiauit, quo supra diximus: momento apud Lydiam fuerat. Habent de incolatu aeris et de uici nia siderum et de commercio nubium caelestes sapere paraturas, ut et pluuias, quas iam sentiunt, repromittant. 1 1 . Benefi c i plane et circa m e dicinas ualetudinum . Laedunt enim primo, dehinc remedia praecipiunt ad miraculum noua siue contraria; post, quae desinunt laedere et curasse creduntur. 12. Quid ergo de ceteris ingeniis uel
36 hoc et] F, hoc Vulg. 38 ubi] F Vulg . , igitur Z, ubique edd. Il adnuntiant F Vulg., enuntiant r edd. 42 tunc] F Vulg., nunc aut] F Vulg., ac r edd. 43 exceperunt] F, exerpunt Vulg. 47 euen tum] F, euentus Vulg. 48 pecoris] F, pecudis Vulg. .SO fuerat] Vulg . , prob. Walt. fuerant (se. daemones, cf. XXII, 8 sq. ) F I l habent] Z Rhl edd. , habentes F, habens Vulg. 53 uenefici F Il circa medicinas] F, circa curas Vulg., curas Barr. .S.S post, quae] opt. Vulg. , postquam (F) dett. edd. 3. In oraculis in euentum, sciunt Croesi, sciunt Pyrrhi. Secondo Tertulliano l'azione principale dei dèmoni è quella di allontanare gli uomini dalla verità con la divinazione e i falsi prodigi. Per gli oracoli egli ricorda quell i ambigui dati a Creso, re della Lidia, e a Pirro, re dell'Epiro. Erodoto (I, 53) narra il responso dato a Creso: il passag gio del fiume Halys avrebbe provocato la distruzione di un grande regno. Attraversandolo, Creso credette di distruggere il regno di • . .
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8. Ogni spirito è alato: sia gli angeli {cattivi) che i dèmoni. Perciò, in un istante sono ovunque. La terra intera è per loro un solo luogo; che cosa e dove una cosa avvenga lo sanno con la stessa facilità con cui l'annunciano. La loro rapidità è ritenuta divina, poiché se ne ignora la natura. Così, talora, vogliono anche apparire gli autori di ciò che annunciano; e certamente lo sono spesso dei mali, mai però dei beni. 9. Un tempo hanno anche conosciuto le stesse disposizioni di Dio quando i profeti le annunciava no, e ora le apprendono quando le letture profetiche ven gono proclamate. Così, desumendo alcuni eventi futuri, tentano di emulare la divinità appropriandosi della divina zione. 10. Con quale abilità, poi, negli oracoli adattino le ambiguità agli eventi, lo sanno i Cresi, lo sanno i Pirri. Del resto, è nel modo sopra indicato che il Pizio affermò che si stava cuocendo una testuggine con carne di agnello: in un attimo (il dèmone) era stato in Lidia. 3 Dalla loro residenza nell'aria, dall a vicinanza degli astri e dal contatto con le nubi hanno modo di conoscere i fenomeni celesti, così da promettere piogge di cui già hanno il sentore. 1 1 . Senza dubbio sono anche benèfici circa le cure delle malattie. Dapprima, infatti, provocano il male; successivamente pre scrivono rimedi nuovi o contrari per ottenere il miracolo; poi, quando cessano di procurare danno, si crede che abbiano guarito. 12. Perché, dunque, insistere su altre ingegnosità o sulle capacità di questi spiriti fallaci nel pro-
Ciro, ma distrusse il suo venendo sconfitto. Ennio (Ann. , framm. 179 Vahlen) ci riporta l'oracolo dato a Pirro prima della guerra con tro Roma: «Aio te Aeacida Romanos vincere posse», che poteva rife rirsi all a vittoria (Affermo che tu puoi vincere i Romani) ma anche alla sconfitta (Affermo che i Romani possono vincerti) . Erodoto (1, 47 ), poi, ci informa come Creso, per mettere alla prova la veridicità dell 'oracolo di Apollo, inviasse alcuni messaggeri a Delfi dalla Pizia per interrogarla su cosa stesse facendo cento giorni prima, ossia il giorno della partenza dei messaggeri. La Pizia parlò di una tartaruga fatta cuocere con un agnello in una pentola di rame, come effettiva mente era avvenuto.
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etiam uiribus fallaciae spiritalis edisseram , dum oracula profitetur, dum miracula exercet, phantasmata Castorum et aquam cribro gestatam et nauem cingulo promotam et 60 barbam tactu irrufatam, ut numina lapides crederentur, ut Deus uerus non quaereretur?
XXIII. l. Porro si et magi phantasmata edunt et iam defunctorum infamant animas, si pueros in eloquium ora culi elidunt, si multa miracula circulatoriis praestigiis ludunt, si et somnia immittunt, habentes semel inuitato5 rum angelorum et daemonum assistentem sibi potestatem, per quos et caprae et mensae diuinare consuerunt: quanto magis ea potestas de suo arbitrio et pro suo negotio stu deat totis uiribus operari, quod alienae praestat negotiatio ni? 2. At, si eadem et angeli et daemones operantur, quae 10 et dei uestri, ubi est ergo praecellentia diuinitatis, quae uti que superior omni potestate credenda est ? Non ergo dignius praesumetur ipsos esse, qui se deos faciant , cum
57/58 dum usq. exercet] F, om. Vulg. 60 ut numina] F Vulg., et ut num. Rh l , ut et num. Rb3 Ba". 61 non] om. Z Il quaereretur] Vulg., quae effecerint F, crederetur G XXIII, l XXIII. DE FANTASMATIBVS MAGlAE ET DAEMONIIS S P 2 infamant] F Vulg., inclamant edd. 3 elidunt] Vulg. , edunt F 9 at] Walt., aut F Vulg. edd. 10/1 1 quae . . . superior . . . c r e d e n d a ] F , quam . . . s u p erio rem . . . c r e d e n d u m Vulg .
M al.
4. phantasmata Castorum et aquam . Per i falsi prodigi ricorrenti nella storia romana, Tertulliano ricorda anzitutto l'annuncio dato dai Dioscuri (Castore e Polluce) della vittoria dei Romani al lago Regillo , ottenuta dal dittatore Aulo Postumio contro i Latini (496 vulg.), e di quella di Pidna, conseguita nel 1 68 dal console Lucio Elimio Paolo contro Perseo, re della Macedonia (CIC., De nat. deo. .
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fe rire o r a c oli o nel compiere p rodigi - ad e s empio (l'apparizione de)i fantasmi dei Castori, l'acqua recata in un setaccio, la nave tirata con una cintura, la barba resa rossiccia per contatto 4 per far credere delle pietre come dèi e così impedire la ricerca del vero Dio? -
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Gli dèi pagani sono dèmoni
l . Dunque, se anche i maghi producono fantasmi e disonorano perfino le anime dei defunti, se fanno stramaz zare dei bambini per trame oracoli, se si divertono a opera re molti miracoli con inganni da ciarlatani, se inviano anche sogni - avendo evocata la potenza assistente degli angeli (malvagi) e dei dèmoni per mezzo dei quali perfino le capre e le tavole sono capaci di predire il futuro - quanto più quel potere per suo arbitrio e interesse non impegnerà ogni forza per produrre ciò che esso opera a vantaggio altrui? 2. Ma, se gli angeli (malvagi) e i dèmoni operano le stesse cose dei vostri dèi, dov'è mai l'eccellenza della divinità che certamente va ritenuta superiore a qualsiasi potenza? Non sarà, dunque, meglio presumere che siano loro stessi a farsi dèi, compiendo quelle cose che li fanno credere dèi, anzi-
rum, II 2, 5 -8). Inoltre, si menzionano altri episodi prodigiosi. La vestale Tuccia, ingiustamente accusata di aver violato il suo impegno di castità, a prova della propria innocenza portò con un setaccio l'acqua del Tevere fino al tempio di Vesta, dopo averla pregata (VAL. MAx . , VIII, l. 5 ) . La matrona romana Quinta Claudia, falsa mente accusata di adulterio, dopo aver pregato la dea Cibele trainò con la propria cintura la nave, incagliata nel Tevere, che portava da Pessinunte a Roma il simulacro della Magna Mater (LIV. XXIX, 14, 12). Lucio Gneo Domizio Enobarbo, antenato di Nerone, ebbe questo nome perché la sua barba divenne biondo-rossiccia per intervento di due misteriosi personaggi che gli apparirono, ordinandogli di annunciare al senato come sicura la vittoria romana ancora incerta (SUET., Neronis vita l , 1 ) .
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eadem edant, quae faciant deos credi, quam pares angelis et daemonibus deos esse? 3. Locorum differentia distin15 guit, opinor, ut in templis deos existimetis quos alibi deos non dicitis; ut aliter dementire uideatur qui sacras turres peruolat, aliter qui tecta uiciniae transilit; et alia uis pro nuntietur in eo, qui lacertos, alia in eo, qui sibi gulam pro secat. Campar exitus furoris, et una ratio est instigationis. 20 4. Sed h actenus uerb a ; iam hinc demon st ratio rei ipsius, qua ostendemus, unam esse utriusque nominis qua litatem . Edatur hic aliqui ibidem sub tribunali uestro, quem daemone agi constet: iussus a quolibet Christiano loqui spiritus ille tam se daemonem confitebitur, in 25 uero est, quam alibi deum, quod in falso est. 5. Aeque pro ducatur aliquis ex his, qui de deo pati existimantur, qui aris inhalantes numen de nidore concipiunt, qui ructuan do curantur, qui anhelando praefantur. 6. lsta ipsa Virgo Caelestis, pluuiarum pollicitatrix, iste ipse Aesculapius ,
13/14 angeli et daemones F 14/15 distinguit] F, distinguitur Vulg. 1 6 dementire] F Vulg., dementare p2 y edd. 17 et alia] talla S 17/18 alia in eo F, in eo om. Vulg. 18/19 prose
1 5 in] F, a Vulg.
cat) F dett. edd. , prosectam S P M 19 compar) P2 , compara F S pl M, cum par dett. 21 qua) (F) r edd. , quam Vulg. 22 aliqui) opt. Vulg., om. F, aliquis dett. edd. Il ibidem] F Vulg., om. r edd. Il tribu nali uestro) F (d. II, 1 7; L, 2), tribunalibus uestris Vulg. 23 angi (F) Rh Barr. 24 quod] om. uidetur F, deest in Vulg. 24/25 in uero est . . . in falso est] F, prob. Lo/ Tert. 99 et Walt. , de uero . . . de falso Vulg., prob. Thor. 25 deum] dominum S P M 26 ex iis (F) dett. 27 aris) F Vulg., aeris r edd. ll inhalantes] Vulg., inhalantibus F, inalentes M, malentes r L, maleficum edd. 27/28 ructuando] F (d. IX, 1 1 ; XXXIX, 1 5 ) , ructando Vulg. 28 praefantur) F Vulg., profantur r edd. 29 iste ipse] (F) dett. edd. (cf l. 28 ista ipsa), ipse iste opt. Vulg, Walt. ll Aescopius F 1. Gli dèi pagani, i demòni (angdi malvagi) e i dèmoni sono la stes sa cosa, e i loro prodigi sono effetti della magia. Tertulliano invoca qui la prova dell'esorcismo, con cui i cristiani costringono spesso i
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ché ritenere che gli dèi siano pari agli angeli (malvagi) e ai dèmoni? 3. Suppongo che sia la differenza di luoghi a far sì che nei templi considerate dèi quanti non ritenete tali altro ve; sicché considerate diversamente pazzo chi sorvola le sacre torri e chi salta sui tetti dei vicini; e ritenete che si riveli una forza diversa in chi si incide ( ritualmente) le braccia e in chi si taglia la gola. Pari, però, è l'effetto di tale furore e unica la causa dell'istigazione. 4. Ma basta con le parole; d'ora in poi valga la prova dei fatti con cui dimostriamo che la natura di entrambi i nomi ( dèi e dèmoni) è identica. Si porti qui, davanti al vostro tribunale, uno che risulti posseduto da un dèmone. All 'ingiunzione di parlare, fattagli da un qualsiasi cristia no, quello spirito confesserà di essere un dèmone, è vero, come altrove ( confessò) di essere dio, il che è falso. 5. Ugualmente si conduca uno di quelli che sono ritenuti invasati da . un dio, che inspirando sulle are aspirano la divinità dal fumo che poi espellono ruttando, e che profe tizzano ansimando.! 6. Questa stessa Vergine Celeste, pro piziatrice di piogge, questo stesso Esculapio, rivelatore di
demòni a proclamarsi tali. La legge romana condannava la magia, che dall'Oriente (i magi erano sacerdoti e astrologi persiani) si era diffu s a in età ellenistica in Grecia e in Occidente, e teneva distinte le pratiche magiche dalla religione ufficiale. Questa, però, specie nei riti p u rificatori, ricorreva spesso ad atti di carattere magico. L'esorcismo, cioè il rito religioso per scacciare i demoni e gli spiriti cattivi, era ben noto nel mondo pagano (India e Persia) , nel tardo giudaismo e nel cristianesimo. La Chiesa, fin dagli inizi, esercitò tale potere affidatogli da Cristo (cf. Mt 10, l . 7; Le 1 0, 1 7 -20; Mc 16, 1 7 ; A t 5 , 16; 8, 7 ; 16, 16-18; 19, 1 1 -20), regolò tale ministero affidando lo a specifici ministri: gli esorcisti (il ministero dell'esorcistato) . L'esperienza a cui Tertulliano allude, ossia di cristiani che avevano smascherato dei demòni, trova conferma anche in episodi posteriori: quello di Asturio al tempo di Valeriano (Eus., Hist. ecci. , VII, 17) e quello riferito da Lattanzio come causa dell'epurazione militare di Diocleziano nel 297 (LACT., De mort. persec., IX, 12 e X, 1 ) .
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30 medicinarium demonstrator, alia die morituris Socordio et
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Thanatio et Asclepiodoto uitae subministrator, nisi se dae monas confessi fuerint, Christiano mentiti non audentes, ibidem illiu s Christiani procacissimi sanguinem fundite ! 7. Quid isto opere manifestius? Quid hac probatione fidelius? Simplicitas ueritatis in medio est, uirtus illi sua assistit; nihil suspicari licebit. Magia aut aliqua eiusmodi fallacia fieri dicetis, si oculi uestri et aures permiserint uobis. 8. Quid autem inici potest aduersus id, quod osten ditur nuda sinceritate? Si altera parte uere dei sunt, cur sese daemonas mentiuntur? An ut nobis obsequantur? lam ergo subiecta est Christianis diuinitas uestra; nec uti que diuinitas deputanda est, quae subdita est homini et, si quid ad dedecus facit, aemulo suo. 9. Si altera parte dae mones sunt uel angeli, cur se alibi pro deis agere respondent? Nam sicut illi , qui dei habentur, daemonas se dicere noluissent, si uere dei essent, scilicet ne se de maiestate deponerent, ita et isti, quos directo daemonas nostis, non auderent alibi pro deis agere, si aliqui omnino dei essent, quorum nominibus utuntur: uererentur enim abuti maiestate superiorum sine dubio et timendorum. 10. Adeo nulla est diuinitas ista, quam tenetis, quia si esset, neque a daemoniis affectaretur in confessione neque a deis negare tur. Cum ergo utraque pars concurrit in confessionem deos esse se negans, agnoscite unum genus esse, id est daemonas utrobique. 30 demonstrator] om. F Il alia die morituris] Vulg., alia die moriturus F, alia demorituris M, alias demorituris edd. Il Socordio] F Vulg., scordii edd. 31 tanatio F, denacio Vulg., thenacio Y ll uitae] F, om. Vulg. ll sub ministrator] F dett. , subministratur S P M 3 1/32 daemonas] F, d(a)emones Vulg. 37 fieri dicetis] F, fieri dictis non dicetis Vulg. 38 iniciJ Vulg., niti (F) Rh3 , inniti r y Rhl 40 daemonas] F, daemonia Vulg. 4 1 est] F Vulg ., om. edd. 4 1/42 utique] F, om. Vulg. 43 dedecus] Vulg., decus (fl Z edd. Il aemulo suo] F, aemulis suis Vulg. 46 ne se de maiestate] Vulg., ne de maiestate se (fl r edd. 47 daemones (F) dett. 49/50 maiestate] (fl dett., maiestatem S P M 50 superio rum] F L N V, superiore rel Vulg. 52 affectaretur] Vulg., neque add. F 54 se] F, om. Vulg. 55 utrobique] F, uerum praem. Vulg.
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medicin e , che rese la vita a S o cordio , a Tanazio , ad Asclepiodoto, che all'indomani dovevano morire,2 se, non osando mentire a un cristiano, non avranno confessato di essere stati dei dèmoni, versate lì subito il sangue di quello sfrontatissimo cristiano ! 7. Che cosa c'è di più convincente di questo fatto? Che cosa di più veritiero di questa prova? La semplicità della verità è là in mezzo, la sua forza l'assiste; nessun sospetto sarà lecito. Potreste dire che ciò avviene per magia o per qualcosa di simile, se i vostri occhi e i vostri orecchi ve lo permettessero. 8. Ma che cosa si può obiettare contro ciò che si mostra nella nuda sincerità? Da una parte, se sono dèi, perché mentono dicendo d'essere dèmoni? Forse per obbedire a noi? Ma allora la vostra divinità è soggetta ai cristiani; né di certo va considerata come divinità quella che è soggetta a un uomo e, se ciò torna a sua vergogna, a un suo nemico. 9. Dall ' altra parte, se sono dèmoni o angeli (cattivi) , perché altrove rispondono di agire come dèi? Infatti, come coloro che sono ritenuti dèi non avrebbero voluto farsi chiamare dèmoni se fossero veramente dèi, - e ciò per non perdere la loro maestà -, così anche costoro, che sapete sicuramente essere dèmoni, non oserebbero altrove agire come dèi se fossero davvero dèi, usurpando i loro nomi. Temerebbero, infatti, di abusare della maestà di quanti sono ad essi superiori e vanno temuti. 10. Perciò non è una divinità quella che ritenete tale, poiché - se lo fosse - né sarebbe simulata dai dèmoni nella confessione (esorcistica), né negata dagli dèi. Poiché dunque nella con fessione (esorcistica) entrambe le parti concordano nel negare di essere dèi, dovete riconoscere che sono (esseri di) una sola specie, ossia dèmoni in entrambi i casi. 2 . Virgo Caelestis. Con questo nome i Romani veneravano la dea cartaginese Tanit, equiparata per lo più a Giunone; il suo çulto era particolarmente diffuso all'epoca dei Severi: Aesculapius. È il greco Asclepio, figlio di Apollo e di Coronide (o Arsinoe) , e dio della medicina. TI suo culto aveva il suo centro a Tricca, in Tessaglia, e nel san'tuario di Epidauro . Socordio et Thanatio et Asdepiodoto . Questi tre personaggi risanati da Esculapio sono per noi oscuri.
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1 1 . Iam deos quaerite: quos enim praesumpseratis [deos esse, iam] daemonas esse cognoscitis. Eadem uero opera nostra ab eisdem deis uestris non tantum hoc dete gentibus, quod neque ipsi sint neque ulli alii, etiam illud in continenti cognoscetis, qui sit uere Deus, et an ille et an unicus, quem Christiani profitemur, et an ita credendus colen dusque, ut fi des et disciplina disposita est Christianorum. 12. Dicent ibidem et quis ille «Christus cum sua fabula»: si homo communis condicionis , si magu s , si p o s t cru cem de s ep ulchro a discipulis subreptus,a si nunc denique penes inferos, si non in caelis potiusb et inde uenturus cum totius mundi motu , cum orbis horrore, cum planctu omnium , sed non Christianorum,c ut Dei uirtus et Dei spiritus et ratio, ut Dei ftlius et Dei omnia. 1 3 . Quodcumque ridetis, rideant et illi uobiscum : negent Christum omnem ab aeuo animam restituto corpo re iudicaturum; dicant hoc tribunali, si forte, Minoen et Rhadamanthum secundum consensum Platonis et poetarum esse sortitos.d 14. Suae saltim ignominiae et damna tionis notam refutent: renuant se immundos spiritus esse, quod uel ex pabulis eorum, sanguine et fumo et putidis rogis pecorum et impuratissimis linguis ipsorum uatum
cf. Mt 27, 62 -65 ; 28, 1 1 - 15 b. cf. Mc 1 6, 19; Le 24, 5 1 ; At l, 9 Le 2 1 ; At, l , 1 1 ; 1 7 , 3 1 ; l Cor 15, 23 -28; l Ts 4, 13 - 5, 1 1 ; 2 Ts 2; 2 Pt 3 , 10-13 d. cf. FLATO, Gorgias 523e; HOMERUS, Odyssea XI, 567-57 1 ; VERGU.. IUS, Aeneis VI, 432 a.
c. cf. Mt 24-25 ; Mc 1 3 ;
57 deos esse iam] F, cum Vulg. omittenda uidetur Il cognoscitis] Vulg., cognoscetis F 60 qui] (F) Z Rhl , quid rel. Vulg. 62 fides 63 dicent ibidem et quis] Vulg., dicentibus et] F, fides ut Vulg. nobis idem et quis F, dicent ibidem ecquis edd. 65 crucem] F, mortem Vulg . 66 si nunc] Vulg . , si ne hunc F I l paenes F 67 potius] Vulg., ocyus F 67/68 cum orbis horrore] F Vulg., cum horrore orbis r edd. 69no et Dei ratio, tit Dei filius et Dei omnia] Walt., ut ratio ut dei filius et dei omnia F (cf. De praescr. 43, 5), et senno et sapientia et ratio et dei fJ.!.ius Vulg., et ratio et dei filius et
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1 1. Cercate allora gli dèi. Infatti, quelli che presumeva te [essere dèi, ora] sapete che sono dèmoni. Ma tramite noi non solo avete scoperto questo da parte degli stessi dèi che si svelano, che cioè non lo sono, né loro né altri, ma nel contempo avete anche capito chi sia veramente Dio, e se sia quello e solo quello che i cristiani confessano, e se vada creduto e adorato così come prescrive la fede e disci plina cristiana. 12. A questo punto (i dèmoni) vi diranno anche chi sia quel «Cristo con la sua favola»:3 se sia un uomo come un altro, se un mago, se dopo la croce sia stato dai discepoli sottratto dal sepolcro, se ora fmalmente si trovi negli inferi o non piuttosto in cielo da cui verrà tra lo sconvolgimento di tutto l'universo, tra lo spavento del mondo, tra il pianto di tutti, non però dei cristiani, quale potenza di Dio e spirito di Dio e conoscenza , come figlio di Dio e il tutto di Dio. 13. Ridano anch 'essi con voi di quanto voi ridete: neghino che Cristo giudicherà ogni anima dall'inizio del mondo, una volta restituito il corpo; dicano pure che a questo t ribun ale sono stati desìgnati Minosse e Radamanto, secondo il parere di Platone e dei poeti. 4 14. Rifiutino almeno il marchio dell'ignominia e della con danna. Neghino (se possono) di essere spiriti immondi, cosa che bisogna riconoscere dai loro pasti di sangue e di fumo, dai roghi puzzolenti di animali e dalle lingue impu-
dei omnia Lo/ 72 ah aeuo] habebo S P M, ab eo Z 73 hoc tribu nali] F, hoc pro tribunali Vulg. Il Minoen] S P M, minoem (F) dett. edd. 75 esse] F, hoc esse Vulg. 76 notam] Vulg., notant F Il renuant] F, renuntient W Z, renuntiant rei. Vulg. 78 rogis] (F) dett. edd., rogiis S P, rogus M
3. Christus cum sua fabula. I pagani negavano il giudizio universa le di Cristo, attribuendo il giudizio dei morti - secondo la loro mito logia - a Minosse e a Radamanto (con Eaco). 4 . Minoen et Rhadamanthum. Minosse, re di Creta, figlio di Giove e di Europa, e fratello di Radamanto, era stato preposto per la sua giustizia a presiedere al giudizio dei morti nell 'oltretomba.
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intellegi debuit; renuant ob malitiam praedamnatos se in eundem iudicii diem cum omnibus cultoribus et operatio nibus suis. 15. Atquin omnis haec nostra in illos dominatio et potestas de nominatione Christi ualeta et de commemora tione eorum , quae sibi a Deo per arbitrum Christum imminentia exspectant :b Christum timentes in Deo et Deum in Christo, subiciuntur seruis Dei et Christi. 16. lta de contactu deque afflatu nostro, contemplatione et repraesentatione ignis illius correpti etiam de corporibus nostro imperio excedunt inuiti et dolentes et uobis praesentibus erubescentes. 17. Credite illis , cum uerum de se loquuntur, qui men tientibus creditis. Nemo ad suum dedecus mentitur, quin potius ad honorem . Magis fides proxima est aduersus semetipsos confitentes quam pro semetipsis negantes . 1 8 . Haec denique testimonia deorum uestrorum Christianos facere consuerunt: quam plurimum illis cre dendo per Christum et in Deum [credendo in Christo Deum] credimus. lpsi litterarum nostrarum fidem accen dunt, ipsi spei nostrae fidentiam aedificant. 19. Colitis illos , quod sciam , etiam de s anguine Christianorum . Nollent ubique uos tam fructuosos, tam officiosos sibi amittere, uel ne a uobis quandoque Christianis fugentur, si illis sub Christiano, uolente uobis ueritatem probare, men titi liceret.
a. cf. Mc 9, 3 0-40; Le 9, 49-50; At 16, 16- 1 8 ; 19, 1 1 -20 2, 4; Gd 6; Ap 14, 6- 1 1 ; 20, 1 - 1 5
b. cf. 2 Pt
79 rennuant S P 80/81 operationibus] Vulg, (cf. XXII, 4 ), opera toribus (F) G Rh3 Walt. 82 atqui (F) Z edd. 83 nominatione] Vulg. edd. , dominatione F, nomine G Rh3. Barr. 92 quin] Vulg. (cf. XXI'V, 2, XXXVII, 2; XLVI, 4 ) , sed F 93 proxima] Vulg., prona (F) edd. 94 quam] Vulg . , quia (F) edd. 91 per Christum
XXIII, 14-19 (79- 104)
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rissime degli stessi indovini; neghino (se possono) di essere già stati condannati a causa della loro malizia per il mede simo giorno del giudizio insieme a tutti i loro adoratori e alle loro opere. 15. Ma tutto il nostro dominio e potere su di loro trae la sua forza dal pronunciare il nome di Cristo, e dal ricor dare loro le cose che essi attendono come imminenti da Dio per mezzo di Cristo giudice. Temendo Cristo in Dio e Dio in Cristo, si assoggettano ai servi di Dio e di Cristo. 16. Così al nostro contatto e al nostro soffio, intimoriti dal pensiero e dalla rappresentazione di quel fuoco , per nostro ordine escono anche dai corpi, contro voglia , dolenti e vergognandosi davanti a voi. 17. Credete loro quando dicono la verità su se stessi, voi che credete loro quando mentono. Nessuno mente a suo disonore, ma piuttosto a suo onore. Diamo maggior credito a chi confessa contro il suo interesse, piuttosto che a chi nega a proprio vantaggio. 18. Insomma, queste sono le testimonianze dei vostri dèi che i cristiani sogliono por tare: quanto più crediamo loro, tanto più crediamo tramite Cristo in Dio [crediamo che Dio sia in Cristo] . Essi accen dono la fede nelle nostre Scritture, essi edificano la fiducia della nostra speranza. 19. Voi li onorate, a quel che so, anche col sangue di cristiani. Non vogliono perdervi, voi che siete sempre a loro così utili, così servizievoli, per non essere cacciati un giorno da voi (diventati) cristiani, se fosse loro lecito mentire davanti a un cristiano che voglia provarvi la verità.
et in Deum] F, in christo deum ThOr. IV, 1 02 sqq. e lect. Vulg.: in christo domino 99 fiduciam (F) y edd. 101 ubique] F, itaque Vulg., utique Col. 102 Christianis] (F) r edd., a praem. S P M al. ,
an praem.
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XXIV. l. Omnis ista confessio illorum, qua se deos negant esse quaque non alium deum respondent praeter unum, cui nos mancipamur, satis idonea est ad depellen dum crimen laesae publicae et maxime Romanae rdigionis. Si enim non sunt dei pro certo, nec rdigio pro certo est: si religio non est, quia nec dei, pro certo, nec nos pro certo rei sumus laesae religionis. 2. At e contrario in uos exprobratio ista resultabit, qui mendacium colentes ueram religionem ueri Dei non modo neglegendo, quin insuper expugnando, in uerum commit titis crimen uerae irreligiositatis. 3. Nunc ut constaret illos deos esse, nonne concederetis de aestimatione communi aliquem esse sublimiorem et potentiorem, udut principem mundi perfectae maiestatis? Nam et sic plerique disponunt diuinitatem, ut imperium summae dominationis esse penes unum, offida uero eius penes multos udint, ut Plato Iouem magnum in cado comitatum exercitu describit deo rum pariter et daemonum:a itaque oportere et procurantes et praefectos et praesides pariter suspici. 4. Et tamen quod facinus admittit qui magis ad Caesarem promerendum et operam et spem suam transfert nec appellationem Dei, ita ut imperatoris, in alio quam principe confitetur, cum capi tale esse iudicetur, alium praeter Caesarem et dicere et
a.
cf. PLATO, Phaedrus 246 e
XXIV, 4 publice et] F, om. Vulg. 617 quia nec dei, pro certo, nec nos pro certo] F Vulg., nos om. r, quia nec dii, nec pro certo edd. 8 exprobratio ista] Rau. Walt. , exprobratio re ista F, exprobatio P corr. in mg. , exprobratio Vulg. (om. ista) I l resultabit] (F) Z Rh3 , resultauit Vulg. 10 in uerum] F Vulg., in uero M, deum uerum edd. 1 1 religiositatis F M, inreligiositatis S P al. 12 conce deritis] F, conceditis Vulg. 14 perfectae] F, peritiae add. Vulg., et add. M Rhl Barr., potentiae et add Z lS diuinationis M 16 uero] F, om. Vulg. 19 suspici] S P M, suspicari F, suscipi dett. edd. 2 1 operam] (F) dett. edd. , opera S P M 22 allo quam principe] .
·
XXIV, 1 -4 ( 1 -23)
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Irreligiosità dei pagani, non dei cristiani
l. Ogni confessione di questi dèmoni, con cui negano di essere dèi e attestano che non c'è altro Dio che quell'u nico cui noi apparteniamo, è sufficiente a respingere l'accusa di delitto di lesa religione pubblica, soprattutto quella romana. Infatti, se è certo che questi non sono dèi, è altrettanto certo che questa non è una religione; ma se non è una religione, poiché certamente non sono dèi, di certo neppure noi siamo rei di lesa religione. 2. Al contrario, quest'accusa ricadrà su di voi che ado rate la menzogna. Così facendo, non solo trascurate la vera religione del vero Dio; ma anzi, combattendola, incorrete nel vero delitto di vera irreligiosità. 3. Ora, supponendo che quelli siano dèi, non convenite secondo il giudizio comune che ci sia un dio più sublime e potente,I quasi un principe del mondo dotato di perfetta maestà? In effetti è così che molti intendono la divinità, che cioè la signoria del sommo potere si trova presso uno solo, mentre le sue funzioni appartengono a molti. Così Platone, che descrive il grande Giove in cielo circondato da un esercito di dèi e parimen� di dèmoni; da qui la necessità di onorare anche i procuratori, i prefetti e i governatori. 4. Commette forse un delitto chi indirizza ogni suo sforzo e speranza a guada gnarsi maggiormente il favore di Cesare, non riconoscen do il titolo di dio o di imperatore ad altri se non al princi pe, mentre (nei nostri confronti) si ritiene un delitto degno di morte chiamare o tollerare che sia chiamato così un
Hav., aliquem principem (F) dett. edd., aliquam principe S P, aliqui principem M 22/23 capitale] Vulg., capitalis F 1 . aliquem esse sublimiorem et potentiorem. La fede in un sum mus deus, onnipotente, onnisciente, provvidente, rispetto al quale gli altri sono dèi minori, non è solo di Platone (Phaedr. 246e) , ma era
largamente diffusa nell'impero romano all'epoca severiana e in quel la successiva. Questo dio dai molti nomi veniva identificato per lo più con il Sole.
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audire? 5. Colat alius Deum, alius Iouem; alius ad caelum manus supplices tendat, alius ad aram Fidei [manus] ; alius 25 nubes numeret orans, alius lacunaria; alius suam animam Deo suo uoueat, alius hird. 6. Videte enim, ne et hoc ad irreligiositatis elogium concurrat, adimere libertatem reli gionis et interdicere optione diuinitatis, ut non liceat mihi 30 colere quem uelim, sed cogar colere quem nolim. Nemo se ab inuito coli uolet, ne homo quidem. 7. Atque adeo et Aegyptiis permissa est tam uanae superstitionis potestas auibus et bestiis consecrandis et capite damnandis, qui aliquem huiusmodi deum occide35 rint. 8. Vnicuique etiam prouinciae et ciuitati suus deus est, ut Syriae Atargatis, ut Arabiae Dusares, ut Noricis Belenus , ut Mricae Caelestis, ut Mauritaniae reguli sui.
8, 35-44. Cf. l'ERT., Ad nat. II, 8, 5: «Quanti sunt qui norint uisu uel auditu Atargatim Syrorum, C aelestem Afrorum, Varsutinam Maurorum, Obodan e Dusarem Arabum, Belenum Noricum,». II, 8, 6: «uel q u o s Va rro ponit: C a siniensium Deluentim , Namensium Visidianum, Atinensium Numitemum, Asculanorum Anchariam, et quam praeuerint, Vulsiniensium Nortiam, quorum ne no<mi>num quidem dignitas humanis cognominibus distat?».
25 Fidei] dett. edd., fidem F, fidiae S P M Il manus] F Vulg., cum Gel. delendum uidetur 25/26 alius nubes] F, alius si hoc putatis nubes Vulg. 27 alius hirci] Vulg., alias hircum F, alius hircum U 28 eolo gium S P, eulogium M 29 optione] F, prob. w/ Kr. 54, optionem Vulg. 3 1 uolet] F Vu fg . , uellet edd. 32 ideo (F) dett. edd. 34 damnandis] F Vulg., damnandi r y edd. 34/35 occiderint] Gel., occiderit (F) Vulg. 36 Atargatis] (d. Ad nat. II, 8, 5) , Adargatis F, adstartes S P, astartes Vulg. Il Dusares] Duzares F, dysares S P M, diasa res r edd. Il Noricis] F, norici Vulg., norico al. edd. 37 Belenus] S P M, belienus F, tibilenus edd., al# a/iter Il Cadestis] F Vulg., Cadestus r edd. U Mauritaniae] S P cfo, mauretaniae (F) M dett.
2. alius nubes numeret orans. Contare le nuvole pregando è quello che, secondo Giovenale (Sat. XIV, 96), facevano gli Ebrei.
XXIV, 4-8 (24-37)
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altro fuori di Cesare? 5. Uno adori pure Dio, un altro Giove; uno tenda le mani supplici al cielo, l'altro [tenda le mani] all' ara della ( dea) Fede ; uno pregando conti le nuvole,2 l'altro le travi del soffitto; uno voti la propria anima al suo Dio, l'altro quella di un capro. 6. State attenti che proprio questo non concorra a un'accusa di irreligio sità (nei vostri confronti) , ossia il togliere la libertà di reli gione e d'interdire la scelta della divinità, così da non per mettermi di adorare chi voglio, ma di costringermi ad ado rare chi non voglio) Nessuno vuoi essere adorato da chi non vuole farlo, neppure un uomo. 7. Appunto per questo agli Egiziani è concessa la facoltà di una così vana superstizione che consiste nel divi nizzare uccelli e bestie, condannando a morte chi uccide un dio di tal genere. 8. Anche ogni provincia e città ha il suo dio, come Atargate in Siria, Dusare in Arabia, Beleno nel N o rico , C e l e s t e in Afri c a , i p ro p r i r e u c c i in Mauritania. Ho nominato, come ritengo, delle province romane, eppure non sono romani i loro dèi, e a Roma non
3. adimere libertatem religionis. Decisa affermazione della libertà religiosa su cui Tertulliano tornerà più avanti (XXVIII, 1 ) , ricordan do la formula che i pagani stessi usavano nelle epigrafi (u.s. l.m. uotum soluit libens merito) per indicare la libertà del voto e delle offerte. Analoghe espressioni ricorrono nello scritto indirizzato al proconsole Scapula, in occasione della persecuzione da questi scate nata nel 2 12 a Cartagine: «Tamen humani iuris et naturalis potesta tis est unicuique quod putauerit colere; nec alii obest aut prodest alterius religio. Sed nec religionis est cogere religionem, quae sponte suscipi debeat, non ui, cum et hostiae ab animo libenti expostulen tur. ( . . . )» (Ad Scapulam II, 2: CCL 2, 1 127 ) . ut non liceat mihi colere quem uelim. Prova di irreligiosità è quella di stabilire la non liceità di un culto. Tale espressione anticipr;l la ben nota formula del cosiddetto editto di Milano del 3 13 («Ut daremus et christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset»: LACT., De mortibus persecutorum 48, 2; cf. Eus., Hist. ecci. X, 5 , 4 ) , e mostra il legame avvertito sul piano giuridico fra la libertas religionis e la voluntas. =
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Romanas, ut opinor, prouincias edidi, nec tamen Romani dei earum, quia Romae non magis coluntur quam qui per 40 ipsam quoque ltaliam municipali consecratione censentur: C asiniensium Deluentinus , N arniensium Vis i dianus , As culanorum A n c h a r i a , Vo lsiniensium N o rtia , Ocriculanorum Valentia, Sutrinorum Hostia; Faliscorum in hono rem p atris Curris et ac cepit cognomen lun o . 4 5 9. Sed nos soli arcemur a religionis proprietate ! Laedimus Romanos nec Romani habemur, quia nec Romanorum deum colimus . 10. Bene quod omnium Deus est, cuius , uelimus ac nolimus , omnes sumus. Sed apud uos quoduis colere ius est praeter Deum uerum, quasi non hic magis 50 omnium sit, cuius omnes sumus.•
XXV. l . Satis quidem mihi uideor probasse de falsa et uera diuinitate, cum demonstraui, quemadmodum proba tio consistat, non modo disputationibus nec argumentatio nibus, sed ipsorum etiam testimoniis, quos deos creditis, 5 ut nihil iam ad hanc causam sit retractandum.
a.
d. At 17, 27-29
38/39 Romani dei] F, romanos deos Vulg., romanos dominos r Rh Ba". 39 per] om. F 40 ipsurn p2 M 41 Casiniensium] F (cf. Ad nat. II, 8, 6), · casianiensium S P, casianensium M al. , crustuminien sium r edd. , alii a/iter Il Narniensiurn] (F) dett. , narnensium S P M (cf. Ad nat. l. c. [cod. Agob.] ) , narmensiurn al. 42 Asculanorum] Turnebius, aesculanorum (F) S P M (d. Ad nat. l. c. [cod. Agob. ] ) Il Nortia] F M, norcia S P 43 Ocriculanorum] F opt. Vulg . , o(t)riculanorum cet. Il Hostia] F, norcia S P dett. edd. , morda M, hortia r 44 honorem] F, honore Vulg. Il Curris] S P M, chumis F, curis dett. edd. Il et accepit] F Vulg., unde accepit edd. 46 quia nec] F, qui non Vulg., quia non edd. 48 ac nolimus] p2 (cf. De anima, 58, l ) , ac om. (F) Rb3 Ba"·· ac nolumus S pl M, aut nolimus dett. 49 magis] F Vulg., magnus r edd. 50 omnium sit] F, prob. LO/ Kr. 62 sq. , deus add. Vulg.
XXIV, 8-10 (3 8-50) - XXV , l 0 -5 )
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sono venerati più di quelli che nella stessa Italia sono rico nosciuti dèi per consacrazione municipale: Delventino a Cassino, Visidiano a Narni, Ancaria ad Ascoli, Norzia a Volsini (Bolsena) , Valenzia a Ocricoli (Otricoli), Ostia a Sutri; la divinità dei Falisci che in onore del padre Curis ricevette il nome di Giunone.4 9. Invece noi soli siamo pri vati d all ' avere la nostra religione ! Noi offen diamo i Romani e non siamo considerati Romani,5 poiché non ado riamo un dio dei Romani. 10. Per fortuna che c'è un Dio di tutti, a cui tutti, volenti o nolenti, apparteniamo. Invece presso di voi c'è il diritto di adorare chiunque fuorché il vero Dio, come se questo non fosse piuttosto (il Dio) di tutti, a cui tutti apparteniamo.
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La grandezza di Roma precede il culto agli dèi
l. Mi sembra di aver sufficientemente provato quale sia la falsa e quale sia la vera divinità, avendo mostrato come la prova non consista solo in discussioni e argomentazioni, ma si basi anche sulle testimonianze di quelli stessi che voi ritenete dèi, sicché non c'è più nulla da dover ancora trat tare su questa questione.
XXV, l XXIIII. DE RELIGIOSITATE ROMANORVM S P M al.
4 testimoniis] Vulg . , de romanis add. F (e marginali titulo ?) 4. Atargatis ... Belenus . . . Caelestis, etc. Si insiste sulla libertà reli giosa concessa dai Romani sia nei riguardi delle province (Atargate è una dea orientale della fertilità, la Dea Syria di cui parla Luciano; Beleno è un dio celtico identificato per lo più con Apollo; Celeste è la divinità cartaginese Tanit) , sia dei municipi d'Italia (come Norzia, la dea etrusca del Destino venerata a Volsini e identificata con la Fortuna, e altre divinità meno note). 5 . nec Romani habemur. Su questo tema Tertulliano tornerà più ampiamente in XXXV , l ss. , quando contesterà l'identificazione dei cristiani con gli hostes publici e i colpevoli di lesa maestà.
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2. Quoniam tamen Romani nominis proprie intercedit auctoritas, non omitto congressionem, quam prouocat illa praesumptio dicentium , Romanos pro merito religionis diligentissimae in tantum sublimitatis elatos et impositos , 10 ut orbem occuparint, et adeo deos esse, ut praeter ceteros floreant, qui illi s officium praeter ceteros faciant. 3. Scilicet ista merces Romano nomini a deis praeroga tiua ex pensa est ! Sterculus et Mutunus et Larentina prouexit imperium ! Peregrinos enim deos non putem 15 extraneae genti potius quam suae maluisse nec patrium solum, in quo nati, adulti, nobilitati sepultique sunt, trans fretaneis dedisse. 4. Viderit Cybele, si urbem Romanam oh memoriam Troiani generis adamauit, uernaculi sui scilicet,
2 , 7 - 1 1 . C f . TERT . , Ad nat. I l , 1 7 , 2 : « s u p e r stitionum pr praesumptio, cui < . . . > rel< . . . . . . . . >hemus, propterea scilicet Romanos totius orbis domin< . . . . . . > se, quod officiis religonum meruerint diutumu< . . . . . . > eis praeualeant». 3 , 1 2 - 1 7 . Cf. TERT. , Ad nat. II, 1 7 , 3 : «Nimirum Sterculus et Mutun<us et Larentina> pro hoc imperium, in ius Romanum destinam peregrinos deos n ptem extraneo potius pcut quasi d<eser>tores et destitutores, im<mo proditores patrii> soli quo ti sepultique sunt».
6/7 proprie intercedit auctoritas] F, propriae menti occurrit S P, pr. mentis occ. M, proprie mentio occurrit dett. edd. 7 omitto F, omittam Vulg. 8 religionis] F, religiositatis Vulg. 9 et in posi tos F (cf. Thor. N, 1 06 sq.) , om. Vulg. 12 scilicet] F Vulg., si edd. 12/13 Romano nomini a deis praerogatiua] F, prob. Lo/ Kr. 28 adn . , a romanis deis pro gratia Vulg . , Romano nomini a Romanis deis pro gratia Hoppe 13 Mutunus] F, muthunus S P, mutianus M, alii aliter Il Larentia (F) Rh Barr. 15 potius quam suae maluisse nec] F, magis factum (fatum S P M, fautum al. ) uoluisse quam suae et Vulg. 16/17 transfretaneis] F, transfreta nis Vulg. 17 oh] F, ut Vulg. 18/19 uernaculis suis . . . protectis (F) Rh3 Barr.
XXV, 2-4 (6- 18)
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2. Tuttavia, poiché entra in causa l'autorità del nome di Roma, non tralascio la disputa provocata dalla presunzio ne di quanti affermano che i Romani sono giunti tanto in alto e si sono imposti da dominare il mondo grazie alla loro zelantissima religiosità, e che pertanto gli dèi esistono, poiché più · degli altri prosperano coloro che più degli altri li venerano. ! 3. Quest a , cioè, è l a speciale ricompensa pagata dagli dèi al nome di Roma ! Sterculo, Mutuno e Larentina hanno esteso l 'impero ! 2 Non penso , infatti , che dèi stranieri abbiano favorito gente straniera piuttosto che la propria, e che abbiano ceduto a gente d'oltremare il patrio suolo in cui sono nati, cresciuti, onorati e sepolti. 4. Se la veda Cibele se ha amato la città di Roma in ricordo dei Troiani,
l . Tertulliano risponde all'obiezione secondo cui le vittorie dei Romani dipendono dal favore dei loro dèi per il fatto che questi sono venerati. Questa affermazione - insieme a quella secondo cui la diffusione dd cristianesimo e la 'sua tolleranza da parte degli impera tori era causa della rovina di Roma - caratterizzerà, sotto l'impero cristiano, le polemiche tra Ambrogio e Simmaco a proposito dell'al tare della Vittoria, provocando poi le risposte di Agostino nel De civitate Dei, e di Orosio nell'Historia adversus Paganos. Da parte pagana si sostiene la tesi della pax deorum, ossia dell'alleanza con gli dèi come fondamento dello stato romano (CIC., Pro Rabirio perduel lionis reo 2, 5 ; Liv., V, 5 1 , 5- 10). L'argomento, fortissimo nell'età arcaica, riaffiorerà potentemente e verrà usato contro i cristiani in occasione delle grandi catastrofi naturali dd II secolo e delle cata strofi militari dd III secolo. Cf. M. SORDI, Pax deorum e libertà reli giosa nella storia di Roma, in CISA 1 1 ( 1 985 ) 146 ss. 2 . Sterculus et Mutunus et Larentina. Stercolo (divinità agricola) , Mutuno (divinità della fecondazione) , Larentina (identificata con Acca Larenzia; cf. cap. XIII, 9) sono alcune antiche divinità dell'ar caica religione romana. A queste - fa · osservare ironicamente Tertulliano - i Romani dovrebbero attribuire le loro vittorie, essen do gli dèi originari di Roma, non alle grandi divinità attualmente venerate, come la frigia Cibde e lo Zeus di Creta, che sono di origi ne straniera.
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aduersus Achiuorum arma protecti, si ad ultores transferre 20 prospexit, quos sciebat Graeciam Phrygiae debellatricem
subacturos . 5. Itaque maiestatis suae in urbem collatae grande documentum nostra etiam aetate proposuit, cum Marco Aurelio apud Sirmium rei publicae exempto die sexto decimo kalendarum aprilium archigallus ille sanctissi25 mus die nono kalendarum earundem , quo sanguinem impurum lacertos quoque castrando libabat, pro salute Marci iam intercepti solita aeque imperia mandauit. 6. O nuntios tardos , o somniculosa diplomata, quorum uitio excessum imperatoris non ante Cybele cognouit, ne deam 30 talem riderent Christiani ! 7. Sed non statim et Iuppiter Cretam suam Romanis fascibus concuti sineret, oblitus antrum illud Idaeum et aera Corybantia et iucundissimum illic nutricis suae odorem . Nonne omni Capitolio tumulum illum suum praeposuisset, ut ea potius orbi terra praecelle-
7, 3 0-35 . Cf. TERT., Ad nat Il, 17, 5 : «Ita ne luppmanis fascibus p , oblitus antrum illu d Idaeum Corhdissimum odo rem ! Nonne omni Capitolio sepulchrum suum prae<posuisset>, ut illa potius orbi terra regnaret, quae nis siue laedendo creuerunt».
XXV, 14-17 (69-88)
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14. Anzi, come hanno potuto diventare grandi per la religiosità, quando la grandezza proviene loro dalla irreli giosità? Se non sbaglio, infatti, ogni regno o impero si con quista con guerre e si estende con vittorie. Ma guerre e vit torie comportano per lo più città prese e distrutte. Ciò non avviene senza offesa degli dèi: identiche sono le distruzioni di mura e di templi, pari le stragi di cittadini e di sacerdoti, non dissimili i saccheggi di ricchezze sacre e profane . 15. Dunque, tanti sono i sacrilegi dei Romani quanti i tro fei, tanti i trionfi sugli dèi quanti sulle nazioni, tanti i botti ni quanti i simulacri - che tuttora rimangono - degli dèi fatti prigionieri. 16. Questi sopportano di essere adorati dai propri nemici e assicurano un impero senza /ine7 a coloro di cui avrebbero dovuto ripagare più le offese che non gli omaggi ! Ma coloro che non sentono nulla si posso no tanto impunemente offendere quanto inutilmente ado rare. 1 7 . Certo, non si può credere che siano diventati grandi per meriti religiosi coloro che - come abbiamo mostrato - hanno prosperato offendendo la religione, o prosperando l'hanno offesa. Coloro, poi, i cui regni con fluirono nell'insieme dell'impero romano, quando li hanno persi, non erano senza le loro religioni.
a.
VERGILIUS, Aeneis I, 279
69 atquin] S P M, atqui (F) dett. 74 eadem strages] F, eaedem uel caedem strages Vulg., caedes strages Rh l Ba". Il et] F, om. Vulg. 77 de diis (F) dett. , deis S P M 79 hostibus] F, ergo add. Vulg. 83 fides] F, fidei Vulg. 7. imperium sine fine. Viene riportato un verso dell 'Eneide virgi liana (I, 278/279) dove Giove preannuncia a Venere il destino eter no di Roma: «His ego nec metas rerum nec tempora pono/ impe rium sine fme dedi».
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XXVI. l. Videte igitur, ne ille regna dispenset, cuius est et orbis qui regnatur, et homo ipse regnat;• ne ille uices dominationum temporibus in saeculo ordinarit, qui ante omne tempus fuit, qui saeculum corpus temporum fecit; ne ille ciuitates extollat aut deprimat,b sub quo fuit sine ciuitatibus aliquando gens hominum. 2. Quid erratis ? Prior est quibusdam deis suis siluestris Rom a ; ante regnauit quam t antum ambitum Capitolii extrueret. Regnauerant et Babylonii ante pontifices et Medi ante quindecimuiros et Aegyptii ante Salios et Assyrii ante Lupercos et Amazones ante uirgines Vestae. 3. Postremo si Romanae religiones regna praestant, numquam retro ludaea regnasset despectrix communium istarum diuinita tum, cuius et Deum uictimis et templum donis et gentem foederibus aliquamdiu Romani honorastis , numquam dominaturi eius, si non ultimo deliquisset in Christum.
a.
cf. Sal 46, 2 - 1 0 ; Sap 6, 1 - 9 ; Is 3 7 , 1 6-20; Ger 1 8 , 5 - 1 0 ; Dn 2
b. cf. l Sam 2, 8; Le l, 52
XXVI, l XXVI . DE REGNO DEI S P M al. Il ille] (F) dett. edd. , illa S P M al. 3 temporibus] F, ipsis praem. Vulg. Il ordinarit] S P M al. , ordinauerit (F) r edd. 4 qui saeculum] F, et saeculum Vulg. 5/6 sine ciuitatibus aliquando gens] S P M, aliquando sine ciuitati bus genus (F) dett. edd. 7 siluestris] Vulg., om. F Walt. 8 tantum ambitum Capitolii extrueret] (F) Rh3 , tantum ambitum (tantus ambitus dett.) capitolii extrueretur Vulg. 9 regnauerunt (F) dett. edd. Il babillonii S, babyllonii pl corr: p2 1 1 Vestae] F, Vestales Vulg. 12 religionis S pl corr. p2 16 si non ultimo deliquisset in Christum] F, si deo non deliquisset, ultimo in Christo Vulg.
XXVI , 1-3 ( 1 - 16)
26
-
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Dio dispensatore dei regni
l. Considerate, dunque, se a dispensare i regni non sia Colui a cui appartiene il mondo sul quale regna e l'uomo stesso che regna. Considerate se non sia Colui che ha ordi nato nelle varie epoche le successioni degli imperi nel mondo; Colui che è esistito prima di ogni tempo; Colui che ha fatto del mondo un insieme ordinato di tempi; se non sia Colui che innalza o abbassa le città, e sotto cui si trovò il genere umano quando non esistevano ancora le città. 2. Perché errate? La Roma silvestre è anteriore a parecchi suoi dèi; essa regnò prima che fosse costruito il tanto ostentato Campidoglio. Anche i Babilonesi regnaro no prima dei vostri pontefici, i Medi prima dei quinde cemviri, gli Egiziani prima dei Sali, gli Assiri prima dei Luperci e le Amazzoni prima delle vergini di Vesta . l 3. Inftne, se sono le divinità romane a conferire i regni, mai nel passato avrebbe regnato la Giudea che disprezza queste divinità comuni; eppure voi Romani avete per qual che tempo onorato il suo Dio con sacrifici, il tempio con donativi, e il popolo con alleanze. Né mai l'avreste domi nata, se da ultimo non avesse peccato contro Cristo.2
1. Prior est Roma. Roma fu un regno ancor prima della costru zione dd tempio capitolino, eretto sotto gli ultimi re etruschi e dedi cato nd 509 a. C. I regni Babilonesi, Medi ed Egiziani hanno prece duto i grandi collegi sacerdotali romani: il collegio dei Pontefici isti tuiti da Numa Pompilio; i Sali, legati al culto di Marte, e divisi in Collini e Palatini; i Luperci, cultori dell'antichissima divinità laziale Luperco (protettore delle greggi dai lupi), divisi in Quinctii e Fabii; i Quindecemviri (sacris /aciundis), incaricati di sorvegliare i culti stra nieri, di conservare e interpretare i libri Sibillini ; le Vestali, incarica te di mantenere sempre acceso il fuoco sacro di Vesta. 2 . retro Iudaea regnasaet. Anche i Giudei, che disprezzano tutti gli dèi dd paganesimo, hanno avuto un regno .e furono anche alleati dei Romani (nd 161 a. C.) al tempo di Giuda Maccabeo (cf. l Mac 8; 12, 1 - 1 8; 14, 1 6- 1 7 . 24; 15, 15-2 1 ) e non sarebbero stati sconfitti se non avessero rifiutato Cristo (cf. supra cap. XXI , 5-6). . . .
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5
10
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XXVII. 1. Satis haec aduersus intentationem laesae religionis ac diuinitatis : quo non uideamur laedere eam, ostendimus non esse. lgitur prouocati ad sacrificandum obstruimus gradum pro fide conscientiae nostrae, qua certi sumus, ad quos ista perueniant offida sub imaginum prostitutione et humanorum nominum consecratione. 2. Sed quidam dementiam existimant, quod, cum pos simus et sacrificare in praesenti et illaesi abire manente apud animum proposito, obstinationem saluti praeferamus. 3. Datis scilicet consllium, quo uobis abutamur ! Sed agnoscimus unde talla suggerantur, quis totum hoc agitet, et quomodo nunc astutia suadendi, nunc duritia saeuiendi ad constantiam nostram deiciendam operetur: 4. ille sclli cet spiritus daemonicae et angelicae paraturae, qui, noster ob diuorti� aemulus et ob Dei gratiam inuidus, de men tibus uestris aduersus nos proeliatur occulta inspiratione modulatis et subornatis ad omnem, quam in primordio exorsi sumus, et iudicandi peruersitatem et saeuiendi ini quitatem. 5. Nam, licet subiecta sit nobis tota uis daemonum et eiusmodi spirituum, ut nequam tamen serui, metum non numquam contumaciae miscent et laedere gestiunt, quos a l i a s u e r e n t u r ( o dium e n i m e t i a m t i m o r s p i r at ) , 6. praeterquam et desperata condicio eorum ex praedamnatione solatium reputat fruendae interim malignitatis de poenae mora. Et tamen apprehensi subiciuntur et condi doni suae parent et succedunt, et quos de longinquo
XXVII, l intentionem (F) M dett. 2 religionis ac] F, om. Vulg. Il eam] F, etiam (ti expuncto) quam P, eam quam Vulg. 3 esse] XXVII. DE SPIRITV DAEMONIACO S P M al. 7/8 possumus M 12 suadendi] F Vulg., sua dandi Ba". 14 daemonicae] S P M, daemoniacae (F) dett. edd. 16 uos · P co". 2 1 spirituum] F Vulg . , spiritus edd. I l ut] Vulg., et F Il tamen] F, et add. Vulg. 2 1/22 metum . . . contumaciae] F, metu . . . contumacia(m) Vulg.,
XXVII , 1 -6 ( 1 -27)
293
27 - n cristiano non può simulare il culto pagano l. Ciò è sufficiente contro l'accusa di lesa religione e di lesa divinità: non ci sembra di offenderla, avendo dimo strato che (tale divinità) non esiste. Perciò, invitati a sacri ficare, ci rifiutiamo per fedeltà alla nostra coscienza, sapendo con certezza a chi sono diretti questi omaggi tra mite i simulacri esposti e la divinizzazione di semplici uomini. 2. Alcuni poi reputano una follia il fatto che noi, poten do sul momento sacrificare e andarcene subito illesi con servando nell'animo la nostra convinzione, preferiamo l'ostinazione alla salvezza. 3. Ci consigliate, cioè, di ingan narvi ! Ma sappiamo donde provengono tali suggerimenti; chi muova tutto questo, e come - ora con l'astuzia della persuasione, ora con la crudeltà dei tormenti - si adoperi per abbattere la nostra costanza: 4. è quello spirito di natura demonica e angelica, che - essendo nostro nemico per essersi separato da Dio e invidioso per la grazia di Dio (accordataci) - combatte contro di noi servendosi delle vostre menti, condizionandole con occulte ispirazioni, subomandole ad ogni perversità di giudizio e iniquità di sevizie di cui all'inizio abbiamo parlato. 5. Infatti, benché tutta la potenza dei dèmoni e degli spiriti di questo genere ci sia sottomessa, costoro tuttavia come servi malvagi - alternano talora la paura alla sfronta tezza, desiderando colpire quanti in altri momenti temono (la paura, infatti, ispira anche l'odio); 6. senza contare che la loro disperata condizione, a motivo della loro anticipata condanna, considera una soddisfazione il godere nel frat tempo della loro malvagità in attesa del castigo. Ma, messi alle strette, si sottomettono, sottostanno alla loro condizio ne, obbediscono; e quelli che da lontano combattono, da
metui . . . contumaciam Rh l Hoppe 23 spirat) Vulg., inspirat F, spirant P 26 subiciuntur) suhijciuntur F, subiguntur Vulg. 26/27 conditionis M 27 parent et succedunt) F, succedunt Vulg.
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oppugnant, de proximo obsecrant . 7. Itaque, dum uice repugnantium uel rebellantium ergastulorum siue carce30 rum uel metallorum uel hoc genus poenalis seruitutis erumpunt aduersus nos proeliaturi, in quorum potestate sunt, certi et impares se esse et hoc magis perditos, ingratis resistimus ut aequales et repugnamus perseuerantes in eo quod oppugnant, et illos numquam magis detriumphamus 35 quam cum pro fidei obstinatione damnamur.
XXVIII. l. Sed quoniam facile iniquum uideretur libe ros homines inuitos urgeri ad sacrificandum - nam et alias diuinae rei faciundae libens animus indicitur, - certe inep tum existimaretur, si quis ab allo cogeretur ad honorem 5 deorum, quos ultro sui causa placare deberet, - ne prae manu esset iure libertatis dicere: «Nolo mihi Iouem propi tium. Tu quis es? Me conueniat Ianus iratus qua uelit fron te. Quid tibi mecum est?» - 2. formati estis ab eisdem uti que spiritibus, ut nos pro salute imperatoris sacrificare 10 cogatis, et imposita est tam uobis necessitas cogendi, quam nobis obligatio periclitandi.
28/29 dum uice repugnantium ud rebellantium] F, cum uice rebel lantium Vulg. 3 1 aduersus nos proeliaturi] Hav. Wa/t., aduersus nos praeliantur F (<et> adu. nos proeliantur Hoppe) aduersum (ud aduersus) nos Vulg. 32 et impares se esse] Vu/g., et om. edd. , etiam perisse F (et iam perisse Walt.) Il perditi Oehl. }} repugnemus M ,
XXVIII, l XXVIII. DE GENIO IMPERATORIS S P al. , DE REGNO IMPERATORIS M al. sed quoniam] F, prob. Lo/ Kr. 68, quoniam autem Vulg. 3 indicitur] S P M, inducitur (F) dett edd. 7 qua] F, ex qua Vulg., et qua ]unius 8 eisdem] F, hisdem S P M, ijsdem a l. 9 ut] (F) dett edd., uti S P M al. 1 1 pereclitandi S Pl , co". s. l. p2 .
.
l . in
eo
quod oppugnant. Tertulliario conclude la confutazione
delle accuse di «lesae religionis», ribadendo la responsabilità dei demoni nella persecuzione anticristiana.
XXVII, 6-7 (28-35 ) - XXVIII, 1 -2 ( 1 - 1 1 )
2 95
vicino supplicano. 7. Pertanto, quando costoro, come ergastolani, carcerati, condannati ai lavori forzati o ad altro genere di pena che oppongono resistenza o si ribella no, si lanciano a combatterci - pur essendo in nostro pote re e pur sapendo di essere impari e perciò maggiormente perduti - noi malvolentieri resistiamo loro come uguali e li respingiamo perseverando in ciò che essi combattono, e mai maggiormente trionfiamo di loro come quando venia mo condannati per la fermezza della fede. l
28
-
Libertà religiosa e accusa di lesa maestà
l . Ma poiché sembrerebbe evidentemente iniquo costringere contro voglia degli uomini liberi a sacrificare del resto si richiede un animo spontaneo per compiere un rito divino - sarebbe certamente considerato sciocco se uno fosse costretto da un altro a onorare gli dèi che do vrebbe spontaneamente placare nel proprio interesse, l senza poter dire per diritto di libertà: «Non voglio che Giove mi sia propizio. Chi sei tu? Giano irato mi si rivolga con la faccia che vuole. T� che hai a che fare con me?»; 2. da ciò appare chiaro che siete stati istigati dai medesimi spiriti a costringerci a sacrificare per la salute dell'impera tore, e che vi è stata imposta la necessità di costringerci come a noi l'obbligo di rischiare la vita.
1. liberos homines inuitos, etc. Viene qui ripreso il motivo della libertà religiosa, già affrontato in XXIV, 6 e che sarà ripreso nell'ope ra A Scapula. La libertà religiosa, come diritto naturale, si oppone a qualsiasi costrizione: «Tamen humani iuris et naturalis potestatis est unicuique quod putauerit colere; nec alii obest aut prodest alterius religio. Sed nec religionis est cogere religionem, quae sponte suscipi debeat, non ui, cum et hostiae ab animo hbenti expostulentur. lta etsi nos compuleretis ad sacrifìcandum, nihil praestabitis diis vestris: ab inuitis enim sacrificia non desiderabunt, nisi si contentiosi sunt; contentiosus autem Deus non est» (Ad Scap. II, 2: CCL 2, 1 127).
2%
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3. Ventum est igitur ad secundum titulum laesae augu stioris maiestatis, siquidem maiore formidine et calidiore timiditate Caesarem ohseruatis quam ipsum de Olympo 15 Iouem. Et merito, si sciatis. Quis enim ex uiuentibus quili bet non omni mortuo potior? 4. Sed nec hoc uos ratione facitis potius quam respectu praesentaneae potestati s ; adeo e t in isto irreligiosi erga deos uestros deprehendimi ni, qui plus timoris humano domino dicatis. Citius deni20 que apud uos per omnes deos quam per unum Genium Caesaris peieratur.
XXIX. 1. Constet igitur prius, si isti, quibus sacrifica tur, salutem imperatoribus uel cuilibet homini impertire possunt: et ita nos crimini maiestatis addicite, si angeli aut daemones, suhstantia pessimi spiritus, beneficium aliquod 5 operantur, si perditi conseruant, si damnati liberant , si denique, quod in conscientia uestra est, mortui uiuos tuentur. 2. Nam utique suas primo statuas et imagines et aedes uindicarent, quae, ut opinor, Caesarum milites excubiis 10 s alua praestant. Puto autem , et hae ipsae materiae de
4, 1 6-2 1 . Cf. TERT., Ad nat. I, 1 7 , 6: «Sed aliud, opinor, est non iurare nium Caesaris: dubitatur enim de periuris iure, cum ne per deos uestros ex fide deieretiS». U calidiore F, callidiori uel callidiore Vulg. 1.5 et] F Vulg., etiam y edd. 1.5/16 quilibet non] F S pl M, cuilibet non p2, non cuilibet dett. 16 potior] Vulg., est add. F 19 deprehendernini S P Il qui] F, prob. LO/. Kr. 69, cum Vulg.
XXIX, l XXVIII! AN POSSINT PRODESSE IDOLA S P M al. 2 imperatoribus] Vulg. imperator. F (i. e. imperatori ut uidetur, d. XXVIII, 2) imperatori Z Il impertire] S P M, impertiri (F) dett. edd. , impartici al. 6 quod] Vulg., quos F, om. y R» Barr. 9 uindicarent] F, tuerentur Vulg. Il excubiis] suis add. M 10 et hae] F, eae Vulg.
xxvm, 3-4 (12-2 1 ) - XXIX, 1 -2 ( 1 -10)
297
3. Ed eccoci giunti al secondo capo d'accusa, quello di lesa maestà; una maestà più augusta, poiché onorate Cesare con maggior timore e più viva paura che lo stesso Giove Olimpio. E giustamente, se lo capite. Infatti, un qualsiasi vivente non vale più di un qualsiasi morto? 4. Ma nemmeno questo lo fate in base a un ragionamento, bensì per timore di un'autorità che vi sta davanti; così anche in questo vi troviamo irreligiosi verso i vostri dèi, voi che avete maggior timore di un padrone umano (che divino) . Infine, tra di voi si spergiura più facilmente per tutti gli dèi che per il solo Genio di Cesare.2 29
-
Gli dèi non salvano l'imperatore, ma sono da lui protetti
l. Bisogna accertare, anzitutto, che coloro a cui si sacri fica possano largire la salute agli imperatori o a qualsiasi altro uomo. Ci potrete allora accusare di crimine di lesa maestà se gli angeli (cattivi) o i dèmoni, spiriti per loro natura pessimi, operino un qualche beneficio; se dei per duti salvino; se dei dannati liberino; se, infine, dei morti, per quanto ne sapete, proteggano dei vivi. 2. Sicuramente gli dèi dovrebbero anzitutto proteggere le proprie statue, le immagini e i templi, quando invece, come penso, sono i soldati di Cesare a tutelarli standovi di guardia. Ritengo, inoltre, che gli stessi materiali (di cui son fatti)
2 . Genium Caesaris peieratur. TI Genius era per i Romani lo spirito protettore di un individuo. Con Augusto si attribuirà particolare venerazione al Genio dell'imperatore, che sostituirà in qualche modo in Occidente - dove il culto dell'imperatore vivente, caratteri stico dell'Oriente ellenistico, era contrario alla tradizione romana gli onori divini resi all'imperatore. Nel processo del 1 80 d. C., che precede la condanna dei martiri Scillitani (LAZZATI, op. cit, p. 129), il proconsole Saturnino si rivolge ai martiti con queste parole: « . . et nos religiosi sumus . . . , et iuramus per genium domini nostri impera toris . . . ». Negli Atti di Apollonio , in greco, Perenne chiede ad Apollonio di giurare per la Tx11. ossia la Fortuna dell'imperatore. .
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15
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metallis Caesarum ueniunt, et tota tempia de nutu Caesaris constant. 3. Multi denique dei habuerunt Caesarem iratum; facit ad causam, si et propitium, cum illis aliquid aut libera litatis aut priuilegii confert. Ita qui sunt in Caesaris potestate, cuius et toti sunt, quomodo habebunt salutem Caesaris in potestate, ut eam praestare posse uideantur, quam faci lius ipsi a Caesare consequantur? 4. Ideo enim committimus in maiestatem imperatorum, quia illos non subicimus rebus suis, quia non ludimus de officio salutis ipsorum, qui eam non putamus in manibus esse plumbatis ! 5. Sed uos religiosi, qui eam quaeritis ubi non est, petitis a quibus dari non potest, praeterito eo, in cuius est potestate, insuper debellatis, qui eam sciunt pete re, qui etiam possunt impetrare, dum sciunt petere !
XXX. 1 . Nos enim pro salute imperatorum Deum inuocamusa aeternum ,b Deum uerum ,c Deum uiuum,d quem et ipsi imperatores propitium sibi praeter ceteros
cf. Ger 2 9 , 7; Rm 1 3 , 1 -7 ; l Tm 2, 1 -2 ; Tt 3 , l ; l Pt 2 - 1 3 - 1 4 b. cf. Is 40, 28; Bar 4, 8; Dn 13 , 42 c. cf. 2 Cr 1 5 , 3 ; Sap 12, 27 ; Ger 10, 10; Gv 1 7 , 3 ; l Gv 5 , 20; d. cf. 1b 1 3 , 2; Sal 9, 37; Is 40, a.
28; Ger 10, 10; Dn 3, 100; 4 , 3 1 ; 6, 27; 7, 27; l Ts l, 9
13 propitius illis (F) edd. 14 prius aut F, om. Vulg. Il itaque F dett. 15 cuius et toti sunt] Vulg., cuius et nunc et toti sumus F (cuius et nos toti sumus coni. Hoppe) (cf. Lact. , Div. lnst. l, 1 1, 42: 'cuius toti sumus') 16 ut] at (F) 17 consequuntur F dett. 18 XXX , DE POTESTATE IMPERATORVM S P M a/. enim) F, ergo Vu/g. Il imperato rum) opt. Vulg., imperatoris (F) dett. 21 religiosi] F r edd. (ironice dictum), inreligiosi Vulg. 22 praeterito eo] Vulg., prob. LO/ Kr. 71 , praeteritis eum F Walt. 23 insuper] F, eos add. Vulg., tot add. Barr. 24 qui etiam usq. petere] qui ea sciunt petere M (reliqua desideran tur), totum om. Z L V Il dum] S P, cum F
XXIX, 2-5 ( 1 1 -24) - XXX, l ( 1 -3 )
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provengono dalle miniere di Cesare, e tutti i templi esisto no per volontà di Cesare. 3. Molti dèi, infme, subiscono l'ira di Cesare;3 fa al caso mio il fatto che quando è propi zio conferisce loro qualche privilegio o liberalità. Ma allora, coloro che sono in potere di Cesare , a cui totalmente appartengono, che potere possono avere sull a salute di Cesare così da sembrare di poterla donare, quando loro stessi possono riceverla più facilmente da Cesare? 4. Quindi, siamo colpevoli contro la maestà degli impera tori perché non li subordiniamo alle loro cose, perché non ci prendiamo gioco del dovere di pregare per la loro salute, non ritenendo che questa si trovi in mani saldate col piom bo!4 5. Religiosi, invece, siete voi che la cercate dove non c'è, che la chiedete a chi non può darla, trascurando Colui nd cui potere si trova; anzi, combattete coloro che sanno chie derla, che possono anche attenerla poiché sanno come domandarla !
30
-
I cristiani pregano Dio per la salute dell'imperatore
l. Noi, infatti, per la salute degli imperatori invochiamo il Dio eterno, il Dio vero, il Dio vivo, che gli stessi imperatori preferiscono avere p ropizio più di tutti gli altri dèi.
XXX , 2 inuocamus] F Vulg., uocamus y al. Rh Ba". Il Deum uiuum] F Vulg . , et p raem. edd. 3 malunt] Vulg . , mallent F
dei habuenmt Caesarem iratum. Gli imperatori sono di una proba bile allusione a Caligola (3 7 -4 1 ) che decapitò le statue di molti dèi, sostituendo la loro testa con la propria (SUET., Ca/igulae vita 22, 3; d. C . MORESCHINI, op. cit., p. 227 ) . 4. de officio salutis ipsorum. I cristiani pregano Dio per l a salvezza degli imperatori, ma la chiedono a Dio non a delle statue impotenti. 3 . Multi
•••
più potenti degli dèi e li hanno in loro potere. Si tratta
,
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malunt . Sciunt quis illis dederit imperium; sciunt, qua
5 homines, quis et animam; sentiunt eum esse Deum solum,
in cuius solius potestate sunt,a a quo sunt secundi, post quem primi, ante omnes et super omnes deos. Quidni? cum super omnes homines, qui utique uiuentes mortuis antestant . 2. Recogitant quou s que uires imperii sui 1 0 ualeant, et ita Deum intellegunt: aduersus quem ualere non possunt, per eum ualere se cognoscunt. Caelum deni que debellet imperator, caelum captiuum triumpho suo inuehat, caelo mittat excubias , caelo uectigalia imponat. Non potest. 3. Ideo magnus est, quia caelo minor est; illius 15 enim est ipse, cuius et caelum est et omnis creatura.b Inde est imperator, unde et homo antequam imperator; inde potestas illi , unde et spiritus. 4. IDuc sursum suspicientes Christiani manibus expan sis, quia innocuis, capite nudato, quia non erubescimus, 20 denique sine monitore, quia de pectore oramus, precantes sumus semper pro omnibus imperatoribus, uitam illis pro lixam, imperium securum, domum tutam, exercitus fortes, senatum fidelem , populum probum , orbem quietum , quaecumque hominis et Caesaris uota sunt. 5. Haec ab 25 alio orare non possum, quam a quo me scio consecutu rum , quoniam et ipse est, qui solus praestat, et ego sum,
cf. Sal 75 , 12- 1 3 ; Ger 27 ; Dn 2, 36. 47; l Tm 5, 15; Ap 17, 14; 1 9, 1 6 b. d. Gen l , l ; 2 , 4; 2 Re 19, 5; 2 Cr 2, 1 1 ; Est 4, 17c; Sal 49, 12; Is 66, 1 -2 ; Ger 10, 1 1 -12; 32, 17; Dn 14, 5 ; At 4 , 24; 7 , 48-50; 14, 15 - 1 7 ; Ap 14, 7
a.
4 qua] F Vulg . , quia uel que uel quis dett. , qui Rh Barr. j quis] F Vulg. , qui r Rh Barr. Il animas M Il eum esse Deum] S P, eum deum esse (F) dett. edd. , deum eum esse 6 alt. sunt] (f) dett. edd. , sint S P M 7/8 deos usq. omnes] Vulg. , om. F 8 uiuen tes] F, uiuunt ut Vulg. 8/9 antestant] F, antistant Vulg. 9 recogitant] Vulg. , recogitent F Il imperis S pl corr. p2 18 sur sum] F, om. Vulg. I l suscipientes S pl corr. p2 19 nudato] F,
xxx , l -5 (4-26)
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Essi sanno chi ha dato loro l'impero; essi sanno, in quanto uomini, chi ha dato loro anche la vita; sentono che lui solo è Dio, nel cui solo potere essi sono, rispetto al quale sono secondi, ma primi dopo di lui, davanti a tutti e sopra tutti gli dèi.l E perché no? Essendo sopra tutti gli uomini, ed essendo vivi, vengono prima dei morti. 2. Riflettano fin dove arrivi la forza del loro impero, giungendo così a conoscere Dio, contro ari non possono prevalere, e a com p rendere di valere p e r s u o mezzo. P rovi insomma l'imperatore a far guerra al cielo, a trascinare il cielo come prigioniero al suo trionfo, metta sentinelle di guardia al cielo, imponga tributi al cielo. Non può. 3. Perciò è gran de, essendo inferiore (solo) al cielo; egli stesso, infatti, appartiene a Colui a cui appartiene il cielo e ogni creatura. Da lui è imperatore, e uomo prima di imperatore; da lui il suo potere, e anche la vita. 4. I cristiani, alzando gli occhi verso il cielo, con le mani distese poiché innocenti, a capo scoperto, non aven do nulla di cui vergognarci, e senza suggeritore poiché preghiamo dal cuore, invochiamo sempre per tutti gli imperatori una lunga vita, un solido impero, una casa sicu ra, degli eserciti forti, un senato fedele, un popolo onesto, un mondo tranquillo, tutti i desideri di un uomo e di un Cesare. 5. Queste cose non posso chiederle se non a Colui da cui so di poterle ottenere, poiché lui solo è colui che le
nudo Vulg. 21 sumus] F Vulg ., omnes add. Rh Ba". 23 quie t u m ] Vu lg . , et a dd . ( F ) r edd. 25 s c i o me ( F ) r edd. 1. a quo sunt secondi. Tertulliano lo ribadirà nell 'A Scapula: «Colimus ergo e t imperatorem sic quomodo e t nobis licet e t ipsi expedit, ut hominem a Deo secundum; et quicquid est a Deo conse cutum est, solo tamen Deo minorem» (Ad Scap. II 7: CCL 2, 1 128). Anche ORAZIO (Carm. I, 12, vv. 5 1 -52) pone l'imperatore come secondo rispetto a Giove.
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cui impetrare debetur, famulus eius, qui eum solus ohseruo, qui pro disciplina eius occidor, qui ei offero opimam et maiorem hostiam , quam ipse mandauit , orationem de carne pudica, de anima innocenti, de spiritu sancto pro fectam,a 6. non grana turis unius assis, Arabicae arboris lacrimas , nec duas meri guttas , nec sanguinem reprobi bouis mori optantis, et post omnia inquinamenta etiam conscientiam spurcam : ut mirer, cum hostiae probantur penes uos a uitiosissimis sacerdotibus , cur praecordia potius uictimarum quam ipsorum sacrificantium exami nantur. 7. Sic itaque nos ad Deum expansos ungulae fodiant, cruces suspendant, ignes lambant, gladii guttera detruncent, hestiae insiliant: paratus est ad omne supplicium ipse habitus orantis Christiani. Hoc agite, boni praesides , extorquete animam Deo supplicantem pro imperatore ! Hic erit crimen, ubi ueritas est Dei et deuotio !
XXXI . 1. Adulati nunc sumus imperatori et mentiti uota, quae diximus, ad euadendam scilicet uim? Piane
27 solum (F) dett. edd. 28 pro disciplina] F, propter discipli nam Vulg. 31 Arabicae] F Vulg., non praem. edd. ne sangui nem (F) 33 bouis] F opt. Vulg., hominis r edd. 34 probentur (F) r edd. 35 cur] (F) edd., cum quibus Vulg . , cum cuiuis Oehl. 43 ueritas est Dei et deuotio] F, ueritas et dei deuotio Vulg. XXXI, 1 XXXI . DE ORATIO N E PRO INIMICIS S P M al. adolati S P M 2 piane] Vulg., tamen F a.
cf. l Tm 2, l . 8; Eb 9, 14; 10, 22
2. a uitiosissimis sac:erdotibus . . . praec:ordia . . . uic:timarum. Allu sione agli aruspici, esperti nell'etrusca disciplina, che faceva
XXX , 5-7 (27 -43 ) - XXXI , l U -2)
303
dona, e io, cui spetta pregare, sono il suo servo, il solo a onorario, che per la sua fede sono ucciso, che gli offro un 'ostia magnifica e migliore, quella che egli stesso ha comandato, ossia una preghiera che sale da una carne casta, da un'anima innocente, da uno spirito santo; 6. non dei grani d'incenso del valore di un'asse, lacrime d'una pianta d'Arabia, né due gocce di vino, né il sangue di un bue di scarto bramoso di morire , e dopo tutte queste immondezze anche una coscienza sporca. Mi meraviglio, quando presso di voi vengono esaminate le vittime da viziosissimi sacerdoti, di come mai non si esaminino, anzi ché i precordi delle vittime, quelli degli stessi sacrificatori.2 7. Così, dunque, noi che (nella preghiera) ci estendia mo a Dio siamo scavati da uncini, sospesi alle croci, bru ciati dal fuoco, sgozzati con la spada, azzannati da belve: l'atteggiamento stesso del cristiano orante è quello di chi è pronto ad ogni supplizio) Fatelo pure, buoni giudici, tor turate un'anima che prega Dio per l'imperatore ! ll crimine sarà là dov'è la verità di Dio e la sua devozione !
31
-
n dovere dei cristiani
di pregare per l'imperatore
l. Siamo forse adulatori dell'imperatore e mentitori nei voti pronunciati, per sfuggire cioè alla persecuzione ?
parte della religio publica populi Romani e manteneva piena vitalità sotto l'impero. Nel III e poi nd IV secolo, gli aruspici appaiono in più occasioni avversari decisi dd cristianesimo. 3. nos ad Deum expansos. Durante la preghiera il cristiano non solo alza le mani a Dio, ma le distende in forma di croce, come Tertulliano ricorda nell'opera La preghiera: «Nos uero non attollimus tantum, sed etiam expandimus et, dominica passione modulata, tum et orantes confitemur Christo» (De oratione XIV: CCL l , 265 ) . Sull 'estensione del corpo nel martirio Tertulliano ritorna anche nell ' opera La pudicizia: «Futa nunc suh gladio iam capite librato, puta in patihulo iam corpore expanso, puta in stipite iam leone concesso, puta in axe iam incendio adstructo . » (De pudicitia XXII, 3: CCL 2, 1328). . .
304
APOLOGETICUM
proficit ista fallacia: admittitis nos enim probare quod cumque defendimus ! Qui ergo putaueris nihil nos de salu5 te Caesarum curare, inspice Dei uoces, litteras nostras, quas neque ipsi supprimimus et plerique casus ad extra neos transferunt. 2. Scitote ex illis , praeceptum esse nobis ad redundantiam benignitatis, etiam pro inimicis Deum orare et persecutoribus nostris bona precari.a Qui magis 10 inimici et persecutores Christianorum quam de quorum maiestate conuenimur in crimen? 3. Sed etiam nominatim atque manifeste: Orate, inquit, pro regibus et pro principi bus et potestatibus, ut omnia tranquilla sint uobis.b Cum enim concutitur imperium, concussis etiam ceteris mem15 bris eius, utique et nos, licet extranei a turbis, in aliquo loco casus inuenimur.
XXXII . 1. Est et alia maior necessitas nobis orandi pro imperatoribus, et ita uniuerso orbe et statu imperii [et etiam pro omni statu imperii] rebusque Romanis, qui uim maximam uniuerso orbi imminentem ipsamque clausulam 5 saeculi acerbitates horrendas comminantem Romani impe · rii commeatu scimus retardari. ltaque nolumus experiri et, dum precamur differri, Romanae diuturnitati fauemus. 2. Sed et iuramus, sicut non per Genios Caesarum, ita per s alutem eorum , quae est augu stior omnib us Genii s .
a.
cf. Mt 5 , 44-48; L e 6 , 27 -35
b. l Tm 2 , 2
3 enim nos (F) r Z edd. 4 putas (F) edd. 10 de quorum] decorum S, corum Pl , co". qu in mg. p2 13 omnia]
Il admittis (F) M al.
Vulg., om. F Rig. Il tranquillae F Vulg.
lS a turbis] F, aestimemur add.
XXXII , l XXXII. ITEM PRO IMPERIO ET POTESTATE IMPERATORIS S P M al. 2 et ita uniuerso orbe et statu imperii] F, et etiam pro omni statu imperli Vulg., cf. Thor. W, p. 121 sqq. 3 qui F Vulg., quod edd: 8 sed et iuramus sicut non] Vulg . , sed et sic iuramus non F
XXXI , 2-3 (3- 16) - XXXII , 1 -2 ( 1 -9)
305
Sicuramente questo inganno ci giova, poiché ci consentite di provare ciò che affermiamo ! Tu che ritieni che non ci importi nulla della salute dei Cesari, esamina le parole di Dio, le nostre Scritture, che noi stessi non nascondiamo e che spesso casualmente giungono in mano ad estranei. 2. Da queste apprenderete che ci è fatto obbligo, per abbondanza di bontà, di pregare Dio anche per i nostri nemici e di implorare il bene per i nostri persecutori. Chi sono più nemici e persecutori verso i cristiani di quan ti ci accusano di delitto di lesa maestà? 3. Ma perfino spe cificamente ed espressamente è detto: Pregate per i re, per i
principi e per le autorità, perché tutto sia per voi tranquillo. Infatti, quando l'impero è minacciato, sono minacciati anche tutti i suoi membri, e naturalmente anche noi, ben ché estranei a questi disordini, ne siamo in qualche modo coinvolti.
32 - I cristiani non giurano
per il Genio dell'imperatore
1. C'è per noi un'altra maggiore necessità di pregare per gli imperatori, anzi per tutta la terra e la stabilità dell'impero [anzi per la stabilità di tutto l'impero] e per la potenza di Roma, poiché sappiamo che la più grande catastrofe incombente sul mondo e la stessa fine della nostra era, foriera di tremende calamità, viene ritardata fino al passaggio dell'impero romano . Non vogliamo, dunque, farne esperienza e, mentre preghiamo che sia differita, favoriamo la continuità dell'impero romano. ! 2 . Inoltre giuriamo, non per i Geni dei Cesari, bensì per la loro salute, che è più augusta di tutti i Geni. Non sapete 1.
clausulam saeculi. . . Romani imperli commeatu scimus retanlari.
La fine dell' impero coincide con la fine del mondo . È questa l'interpretazione che i cristiani dei primi secoli, da Tertulliano a Lattanzio, da Ambrogio ad Agostino, davano al passo paolino di 2 Ts 2 , 6-7 , dove l ' Apostolo parla di qualcosa che impedisce ('rò JCa-r?zov, al neutro) e di qualcuno che impedisce ( JCa-r?zcov, al maschile) la manifestazione dell'Anticristo.
306
APOLOGETICUM
10 Nescitis Genios daemonas dici et inde diminutiua uoce
daemonia? Nos iudicium Dei suspicimus in imperatori bus, qui gentibus illos praefecit. 3. I d in eis scimus esse, quod Deus uoluit, ideoque et saluum uolumus quod Deus uoluit, et pro magno id iuramento habemus. Ceterum dae15 monas, id est Genios , adiurare consueuimus, ut illos de hominibus expellamus [exigamus] , non deierare, ut eis honorem diuinitatis conferamus.
XXXIII. 1. Sed quid ego amplius de religione atque pietate Christiana in imperatorem, quem necesse est suspi ciamus ut eum, quem Dominus noster elegit, ut merito dixerim: Noster est magis Caesar, a nostro Deo constitu5 tus ? 2. Itaque, ut meo, plus ego illi operor in salutem, si quidem non solum ab eo postulo eam, qui potest praesta re, aut quod talis postulo, qui merear impetrare, sed etiam quod, temperans maiestatem Caesaris infra Deum, magis illum commendo Deo, cui soli subicio; subicio autem cui
1 1 s u s cipimus P, quidam correxerat, s e d correctio erasa est 13 uolumus] F, esse add. Vulg. 14 id iuramento] Vulg., adiura mento F, adiumento r 16 expellamus] F (cf. De spect. 29, 3; Ad Scap. 2, 9), exigamus Vulg. (cf. De test. an. 3, l) Il degerare S P Il eis] S P M al. , illis (F) r y edd. XXXIII , l XXXIII . PRO IMPERATORE S P N al. 2 imperatorem] (F) edd., imperatore Vulg. ll quem] F Vulg., quam Rh Barr. 3 degit] Vulg., degerit (F) r edd. 4 a nostro] Vulg., ut a nostro (F) r edd. 5/6 si quidem] Vulg., om. F 7 ab eo postulo (postolo S) eam] Vulg., 9 subicio] Vulg., eum subicio F Walt. quod eam ab eo postulo F 1 . Noster est magis Caesar. In questi capitoli centrali (XXXI II XXXV ) , in cui si confuta l'accusa rivolta ai cristiani di essere «publi
ci h o s t e s » abbiano la p a rte p i ù dichiaratamente lealista
dell'Apologeticum e quella che mostra maggior impegno con la sto ria di Roma. A differenza degli apologisti greci, che pure affermano
XXXII , 2-3 ( 10-17} - XXXIII , 1 -2 { 1 -9)
307
che i Geni sono chiamati dèmoni, da cui con termine diminutivo deriva il vocabolo demonì? Negli imperatori noi rispettiamo il giudizio di Dio, che li ha posti a capo delle genti. 3. Noi sappiamo che in essi c'è ciò (l'autorità) che Dio ha voluto, e perciò vogliamo salvo ciò che Dio ha voluto, e osserviamo ciò come un grande giuramento (di lealtà) . Del resto siamo soliti scongiurare i dèmoni, ossia i Geni, per espellerli [scacciarli] dagli uomini, non giurare per loro conferendo ad essi l'onore della divinità.
33
-
L'imperatore non è dio, ma un uomo sottomesso a Dio
l. Ma perché dilungarmi sulla venerazione religiosa e sulla pietà cristiana verso l'imperatore, che necessariamen te rispettiamo come colui che il Signore nostro ha eletto, da dire giustamente: Cesare è più nostro (che vostro) ,! perché costituito dal nostro Dio ? 2. Dunque, in quanto mio, maggiormente mi adopero per la sua salute, non solo perché la chiedo a Chi può accordarla, o perché la chiedo in modo da poterla ottenere, ma anche perché, subordi nando la maestà di Cesare a quella di Dio, maggiormente
con forza il loro lealismo verso l'impero romano, Tertulliano mostra chiaramente di sentirsi cittadino e non suddito. n rifiuto del culto imperiale è un atto da uomo libero, una prova di serietà, di cui gli imperatori stessi, che non lo chiedono, sono ben consapevoli. In effetti, dopo Nerone e Domiziano, nessun imperatore aveva preteso il culto divino, che veniva praticato come adulazione e sollecitato ai cristiani come pretesto. Traiano lo aveva apertamente escluso dalle prove da chiedere contro i cristiani, e Settimio Severo - come dirà lo stesso Tertulliano nell'Ad Scapulam IV, 6 si era opposto per lo stesso motivo ad analoghe richieste popolari. n culto dell'imperatore vivente era in realtà estraneo alla tradizione romana, e Tertulliano ha buon gioco nell'appellarsi al rispetto di questa tradizione, come nel richiamo al rituale del trionfo, quando al vincitore veniva ricordato di essere un mortale, proprio nel momento in cui, negli abiti e negli atteggiamenti, doveva rappresentare Giove Ottimo Massimo. -
3 08
APOLOGETICUM
1 0 non adaequo. 3. Non enim deum imperatorem dicam, uel
quia mentiti nescio, uel quia illum deridere non audeo, uel quia nec ipse se deum uolet dici. Si homo sit, interest homini Deo cedere. Satis habet appellaci imperator: gran de et hoc nomen est, quod a Deo traditur. Negat illum 15 imperatorem, qui deum dicit: nisi homo sit, non est impe rator. 4. Hominem se esse etiam triumphans in illo subli missimo curru admonetur; suggeritur enim ei a tergo: «Respice post te ! hominem te memento ! ». Et utique hoc magis gaudet, tanta se gloria coruscare, ut illi monitio con20 dicionis suae sit necessaria. Minor erat, si tunc deus dice retur, quia non uere diceretur. Maior est qui reuocatur, ne se deum existimet.
XXXIV. l. Augustus, imperii formator, ne dominum quidem dici se uolebat. Et hoc enim Dei est cognomen. Dicam piane imperatorem dominum, sed more com muni, sed quando non cogor, ut dominum Dei uice dicam. 5 Ceterum liber sum illi ; dominus enim meus unus est D e u s omnip o t en s , a aetern u s , i d em qui et i p s iu s .
d. Gen 17, l ; 35, l ; 48, 3 ; Es 6, 3 ; Gdt 15, 10; 16, 5 . 17; 2 Mac l , 25; 3 , 22. 30; 7, 35. 38; Gb 8, 3 . 5; Sal 9 1 , l ; Sap 7, 25; Sir 50, 17; Bar 3 , l . 4 ; Ez 10, 5 ; Le l , 49; 2 Cor 6 , 18; Ap l , 8 ; 4, 8 ; 1 1 , 1 7 ; 1 5 , 3; 16, 7. 14
a.
13 habet] F Z Y, habeta S P corr. ex habeata, habeat rel. Vulg. 1 8 post] F Vulg . , om. Barr. 1 8 te memento] Vulg . , te esse memento F Il e t ] F Vu lg . , etiam r y edd. 1 9 monitio] F, admonitio Vulg. XXXIV, l XXXIV. DE AVGVSfO IMPERATORE S P M al communi] Vulg., om. F
.
3 sed more
XXXIII, 2 -4 ( 1 0-22 ) - XXXIV , l ( 1 -6)
309
lo raccomando a Dio, a cui solo lo sottometto; e lo sotto metto a Colui a cui non lo eguaglio. 3. Infatti non chia merò dio l'imperatore, sia perché non so mentire, sia per ché non oso deriderlo, sia perché neppure lui vuol essere chiamato dio. Se è un uomo, è nell'interesse dell'uomo il sottomettersi a Dio. Gli basti essere chiamato imperatore: già questo nome è grande, essendo concesso da Dio. Chi lo chiama dio nega che egli sia imperatore, perché se non fosse uomo, non sarebbe imperatore. 4. Che egli sia un uomo gli viene ricordato anche mentre è in trionfo su quell'altissimo cocchio, poiché alle spalle gli viene mormo rato: «Guarda dietro a te ! Ricordati che sei un uomo ! ». Proprio perché maggiormente gode di risplendere di tanta gloria è necessario ricordargli la sua condizione umana. Sarebbe meno grande se in quel momento fosse chiamato dio, poiché non lo si direbbe sinceramente. È più grande, invece, chi è richiamato a non considerarsi dio.
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-
L'imperatore non è un signore divino
1. Augusto, fondatore dell'impero, non voleva neppure essere chiamato signore. Anche questo, infatti, è un appel lativo di Dio. Certamente chiamerò signore l'imperatore, ma secondo l'uso comune, e quando non sono costretto a chiamarlo signore al posto di Dio. Del resto, rispetto a lui, sono un uomo libero. Il mio signore, infatti, è uno solo: Dio onnipotente, eterno; lo stesso che è tale anche per lui. I
1 . Augustus ne dominum, etc. li titolo di dominus noster, rifiuta to da Augusto (SUET., Augusti vita 53 , l) e da Tiberio (Tiberii vita 27 , 2 ) , era ormai accolto dagli imperatori, ma «more communi», come dice Tertulliano, cioè come una formula d'onore e non come un titolo divino, tanto da essere accettato dagli stessi cristiani e da uomini liberi. Il Tertulliano dell'Apologeticum, ancora cattolico, mostra di accettare tranquillamente formule e usi ormai svuotati di ogni significato religioso, mentre li rifiuterà decisamente nel periodo montanista (ad es. nel De idololatria e nel De corona) . . . .
3 10
APOLOGETICUM
2. Quomodo, qui pater patriae est, dominus est? Sed et
gratius est nomen pietatis quam potestatis; etiam familiae magis patres quam domini uocantur. 10 3. Tanto abest, ut imperator deus debeat dici, quod non potest credi, non modo turpissima sed et perniciosa adulatione. Si habens imperatorem alterum appelles , nonne maximam et inexorabilem offensam contrahes eius, quem habuisti, etiam ipsi timendam , quem appellasti? 15 Esto religiosus in Deum, qui uis illum propitium impera tori. Desine alium deum credere atque ita et bune deum dicere, cui Deo opus est. 4. Si non de mendacio erubescit adulatio eiusmodi, hominem deum appellans, timeat sal tem de infausto. Male traditum est ante apotheosin deum 20 Caesarem nuncupare. S cito te isto nomine male uelle et m ale abominari, ut, uiuente adhuc imperatore , deum appelles, quod nomen illi mortuo accedit.
XXXV. l. Propterea igitur publici hostes Christiani, quia imperatoribus rreque uanos neque mentientes neque temerarios honores dicant, quia uerae religionis homines etiam solemnia eorum conscientia potius quam lasciuia 5 celebrant.
7 quomodo] F, ante dominus ponit Vulg. 8 nomen est pietatis (F) r edd. 10/1 1 quod non potest credi] Vulg., post adulatione ponit F 1 1 sed] 0111. S Pl, add. p2 12 adolatione S P Il si habe ns] F, tam quam si hahens Vulg. 17 deo] Vulg . deis F 19 male t radit um] F, prob. Thor. IV, 132 sq., maledictum Vulg. Walt. (cf. Ad nat. I, 1 7, 8) ,
20/22 scio usq. accedit] F, 0111 . Vulg. , scio F, mortuum accidit F XXXV, l XXXV. DE SOLLEMNIBVS CAESARVM S P M al.
2 an quia F
XXXIV , 24 (7 -22) - XXXV , l { 1 -5 )
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2 . In che modo chi è padre della patria è signore? Inoltre, è più gradito il nome della pietà che quello del potere; anche i capi di famiglia si chiamano padri più che signori. 3. Tanto meno si deve chiamare dio l'imperatore � cosa che non può essere creduta - con un'adulazione non solo spregevolissima, ma anche dannosa. Se, avendo l'imperatore, chiami così un altro, non incorri nella massima e imperdona bile offesa di chi hai già come imperatore, e non dovrebbe temerla anche colui che così hai chiamato? Sii religioso verso Dio, se vuoi che questi sia propizio all'imperatore. Cessa di credere in un altro dio e perciò di chiamare dio uno che ha bisogno di Dio. 4. Se un'adulazione di questo genere non arrossisce per la sua menzogna, chiamando dio un uomo, tema almeno di essere funesta. È di mal augurio chiamare dio un Cesare prima della sua apoteosi. Sappi che, usando questo nome, tu gli vuoi male e gli auguri del male, perché chiami dio l'imperatore ancora vivente; nome che gli è attri buito una volta defunto.2
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I cristiani non sono pubblici nemici
l. Perciò i cristiani sono ritenuti pubblici nemici, poiché non rendono agli imperatori onori vani, menzogneri e temera ri; e perché, seguaci della vera religione, celebrano le solennità degli imperatori nel loro animo anziché nella sfrenatezza. t
2. deum appellans . . . deum appelles. L'imperatore morto, dopo la
consecratio, diventava propriamente divus, non deus: una specie di beatificazione. Attribuire tale titolo all'imperatore vivente suonava come malaugurio: «lmmo qui de<mm Cae<sarem) dicitis, et deridetis dicendo quod non est, et maledicitis, quia <non uuht esse quod dici tis: mauult enim vivere quam deus fieri ! - Voi che Cesare chiamate dio, lo deridete dicendo ciò che non è, e lo insultate poiché non vuoi essere ciò che voi dite: preferisce, infatti, vivere anziché diventare dio» (Ad nat. I, XVII, 8: CCL l , 3 7 ) . 1 . solemnia. Sui vota e i solemnia Caesaris, a cui i cristiani non par tecipavano, vedi Introduzione pp. 1 1 - 12 .
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APOLOGETICUM
2. Grande uidelicet officium focos et toros in publicum deducere, uicatirn epulari, ciuitatem in tabernae habitum demutare, uinulentiam facere [ciuitatem tabemae habitu abolefacere, uino lutum cogere] , cateruatirn cursitare ad iniurias, ad irnpudicitias, ad libidinum ludibria [ad irnpu dentias, ad libidinis illecebras] ! Siccine exprimitur publi cum gaudium per dedecus publicum ! Haecine sollemnes dies principum decent, quae alios dies non decent? 3. Qui obseruant disciplinam de Caesaris respectu, hi eam propter Caesarem deserunt, et malorum morum licentia pietas erit, occasio luxuriae religio deputabitur ! 4. O nos merito damnandos ! Cur enirn uota et gaudia Caesarum casti et sobrii et probi expungimus ? Cur die laeto non laureis postes obumbramus nec lucernis diem infringimu s ? Honesta res est, sollemnitate publica exigente, induere domui tuae habitum alicuius noui lupanaris ! S. Velim tamen in hac quoque religione secundae maie stati s , de qua in secun dum sacrilegium conuenimur Christiarii non celebrando uobiscum sollemnia Caesarum, quo modo celebranda occasio uoluptatis m agis quam digna ratio persuasit, si nec modestia nec uerecundia nec pudicitia permittunt, fidem et ueritatem uestram demon strare, ne forte et istic deteriores Christianis deprehendan-
Test., 4, 20-2 1 : De idololatria XV, 1 1 : « . . si lupanaribus renun tiasti, ne indueris domui tuae faciem noui lupanaris» (CCL 2, 1 1 17 ) . .
6 toros] F Vulg. , thoros p2, choros r y al. R h Ba". 7 deducere] F (cf. De cor. 13, l ) , educere Vulg. 7/8 in tabemae habitu demutare, uinulentiam facere F, prob. Thor. IV; 3 1, adn. 2, tabemae habitum abolefacere, uino lutum cogere Vulg. Walt. 10 ad impudicitias, ad libidinum ludibria] F, ad impudentias, ad libidinis illecebras Vulg. 1 1 sicine Vulg., sic enim F 12 haecine] Vulg., haec in F 1.3 prius dies] Vulg., dixi F I l d�cent quae] Vulg., decemuntque F Il decent]
XXXV , 2-5 (6-28)
3 13
2. È sicuramente un grande omaggio (all'imperatore) trasportare in pubblico fornelli e divani, banchettare di quartiere in quartiere, trasformare l'aspetto della città in una taverna, ubriacarsi [cambiare la città con l'aspetto d'una taverna, far fango col vino versato] , scorazzare a frotte abbandonandosi a ingiurie, a impudicizie, a libidi nosi piaceri [a spudoratezze, a comportamenti libidinosi] ! Così la pubblica gioia si esprime con il pubblico disdoro ! Nei giorni di festa per gli imperatori è forse lecito ciò che non lo è negli altri giorni? 3. Quanti osservano la legge per rispetto a Cesare, l'abbandonano poi a motivo di Cesare. La licenza dei cattivi costumi sarà considerata pietà; l'occasione di lussuria sarà ritenuta religione ! 4. Oh, noi giustamente degni di condanna ! Perché celebriamo i voti e le feste dei Cesari da casti, sobri e onesti? Perché nel gior no di gioia non ombreggiamo con , alloro le porte, e non avviliamo il giorno con lampade? E davvero cosa onesta, quando la solennità pubblica lo esige, addobbare la tua casa da sembrare un qualche nuovo lupanare ! 5. Tuttavia, anche su questo culto verso la seconda maestà, riguardo cui noi cristiani siamo accusati di un secondo sacrilegio non celebrando con voi le feste dei Cesari - da celebrarsi come occasione al piacere più che per il loro giusto motivo, in un modo che né la modestia, né la verecondia, né la pudicizia permettono - vorrei dimostrare la vostra buona fede e sincerità, e come forse siano da ritenersi peggiori dei cristiani quanti non ci
Vulg., decet F Il qui] Vulg., quae F 16 luxoriae S P 19 infringi mus] Vulg. (cf. De came Chr. VL 12), effringimus F 21 domui] F Vulg., domi Ba". 25/27 quo modo usq. ueritatem uestram] F ( n isi quod uoluntatis habet p ro uoluptatis et nostram p ro uestram) , quo more celebrari nec modestia nec uerecundia nec pudicitia permittunt, sed occasio uoluptatis magis quam digna ratio permisit, fidem et ueritatem uestram (nostram edd. ) Vulg.
APOLOGETICUM
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tur qui nos nolunt Romanos haberi, sed ut hostes principum Romanorum. 6. lpsos Quirites ipsamque uemaculam septem collium plebem conuenio, an alicui C aesari suo parcat illa lingua Romana. Testis est Tiberis et scholae bestiarum. 7. Iam si pectoribus humanis ad translucendum quandam specularem materiam natura abduxisset, cuius 35 non p raecordia insculpta parerent nouum ac nouum Caesarem in scaena congiario diuidundo praesidentem , etiam illa hora, qua reclamant [apparerent noui ac noui Caesaris scaenam congiario diuidundo praesidentis, etiam illa hora qua acclamant] : 30
De nostris annis tibi Iuppiter augeat annos. a
40
Haec Christianus tam pronuntiare non nouit quam de nouo Caesare optare. 8. «Sed uulgus», inquis. - Vt uulgus, tamen Romani, nec u1li magis depostulatores Christianorum quam uulgus. 45 Piane ceteri ordines pro auctoritate religiosi ex fide: nihil hosticum de ipso senatu, de equite, de castris, de palatiis
a.
Acta Fratrum Aroalium CIL., VI, 2086, 17 (a. 2 13 ) ;
VI, 2014, 36
(a. 2 18) . 2 9 ut] F Vulg., om. edd.
3 0 ipsamque] F, ipsam Vulg. 3 2 est] F Vulg., et edd. ll Tyberis F Il scolae S P 33 bestiariwn utinius, hestia riorum dub. Walt. (d. cap. IX, 5) Il hwnanis] F, om. Vulg. Il translu cendwn] Vuig., transducendwn F 34 quandam] Vulg., quoddam F 35 insculpta] F dett., insculta S Pl, inculta p2 35/36 parerent usq. praesidentem Thiir. IV, 1 10 sq. cum F, qui tamen pareret habet, in om., conceario pro congiario scribit; apparerent (Z, apparent cet.) usq. acclamant Vulg. 37 quo F Il redamant] F, acclamant Vulg. 40 tibi luppiter augeat] P, augeat tibi luppiter F Vulg. 41 haec] Vulg., sed F Il pronuntiare] F, enuntiare Vulg. 4 1142 de nouo Caesare] Vulg . , nouum Caesarem F 44 depostulatores] Vulg., depopulatores F 46 de equite] Vulg . , de aequitate F (/ort. de equitatu)
XXXV , 5-8 (29-46)
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vogliono considerare romani, bensì nemici dei prìncipi romani.2 6. Chiamo in causa gli stessi Quiriti e la stessa plebe originaria dei sette colli, chiedendo se la lingua romana abbia risparmiato qualche Cesare. Ne sono testi moni il Tevere e le palestre dei bestiari. 7. Certo, se la natura avesse ricoperto i cuori umani di materia trasparen te da rivelame l'interno, non ci sarebbe uno che non por tasse scolpito nel suo intimo la scena di un sempre nuovo Cesare nell'atto di presiedere alla distribuzione dei donati vi, anche nel momento in cui gridano [i cui precordi scol piti non presentassero la scena di un sempre nuovo Cesare che presiede alla distribuzione del congiario, anche nel momento in cui acclamano] :
Togliendo/i dai nostri ti accresca Giove gli anni. Queste parole il cristiano non sa dirle, così come non sa desiderarle per un nuovo Cesare. 8. «Ma - tu dici - è il popolo (a fare così)». - Certo, il popolo, ma Romani, e nessuno più del popolo richiede la morte dei cristiani. Certamente gli altri ceti sociali, per la loro autorevole posizione, sono sinceramente religiosi: nessuna ostilità spira dallo stesso senato, dai cavalieri, dal-
2 . I cristiani sono ritenuti «publici hostes» e non Romani. Tertulliano, riprendendo un'accusa contro i cristiani causata dal loro rifiuto di accettare la religione romana (già discussa in Apol. XXIV, 9 e - più ampiamente - nell 'Ad nat. l, 8, lO ss.) , contesta la definizione di «tertium genus . . . ut sint Romani, Iudaei, dehinc Cristiani». Questa classificazione, che disconosceva la potenzialità universale dd nomen Romanum e intendeva Romanus come concet to etnico-religioso - come era avvenuto per éll17v (greco) nd greco biblico e nella stessa tradizione pagana -, era particolarmente attua le nd III secolo, come dimostra un'iscrizione di Salona che ritengo databile al tempo di Alessandro Severo (M. SORDI, A proposito di un'iscrizione di Salona, in RFCI 39 ( 1961 ) 30 ss. e in Scritti di Storia romana, Milano 2002 , pp. 7 1 ss. ) .
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ipsis spirat i 9. Vnde Cassii et Nigri et Albini? unde qui inter duas laurus obsident Caesarem? unde qui faucibus eius exprimendis palaestricam exercent? unde qui armati 50 palatium irrumpunt, omnibus Sigeriis atque Partheniis a u d a ciores ? De Romanis , n i s i fallor, id est de n o n Christianis. 10. Atque adeo omnes illi , sub ipsa impietatis eruptione, et sacra faciebant pro s alute imperatoris et genium eius deierabant, alii foris , alii intus, et utique 55 publicorum hostium nomen Christianis dabant. 1 1 . Sed et qui nunc scelestarum partium socii aut plau sores cottidie reuelantur, post uindemiam parricidarum racematio superstes, quam recentissimis et ramosissimis laureis postes praestruebant, quam elatissimis et clarissimis 60 lucemis uestibula nubilabant, quam cultissimis et superbis simis toris forum sibi diuidebant, non ut gaudia publica celebrarent, sed ut uota publica, propria iam, ediscerent in aliena solemnitate et exemplum atque imaginem spei suae inaugurarent, nomen principis in corde mutantes.
47 spirat] Rig., spirant (F) Vulg. 48 laurus] F opt. Vulg., laureos M, lauros r y Z al. edd. SO Sigeriis] F, tot sigeriis Vulg., Stephanis edd. S2 ipsa] F, usque add. Vulg. S8 superstes] Vulg., superest F 60 nubilabant] F Oh, nebulabant Vulg . , enubilabant r edd. 62 celebrabant P corr. (re in marg.) Il publica] F, om. Vulg. publica, propria iam 62 ediscerent] Z, ediscerent et (F) edd., ediserent S P, edisserent M, edicerent al. 63 et] Vulg. , om. (F) r y edd. 3 . I veri hostes publici sono fra coloro che si ritengono romani, che celebrano i solemnia Caesaris e poi organizzano congiure e usurpa zioni; costoro non si trovano tra il popolo, ma nel senato � nelle clas si dirigenti. Tertulliano ricorda i fatti più recenti: la ribellione di Avidio Cassio, che nel 175/ 176 sollevò la Siria contro Marco Aurelio, con l'appoggio più o meno coperto del senato (DION CASS., Ep. LXXII ; 17 ss.); quella di Pescennio Nigro, che contese l'impero a Settimio Severo con le legioni della Siria e fu sconfitto definitiva mente a Isso nel 1 94 ; quella di Clodio Albino, governatore della Britannia, che contese l'impero a Settimio Severo dopo la morte di
xxxv. 8- 1 1 (47-64)
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l'esercito, dalla stessa corte ! 9. Da dove, allora, provengo no i Cassi, i Nigri e gli Albini? Da dove coloro che assalgo no Cesare tra i due lauri? Donde coloro che si esercitano nella palestra per soffocarlo? Da dove coloro che irrompo no armati nel palazzo , più audaci di tutti i Sigeri e i Parteni? Se non sbaglio provengono da Romani, cioè da non cristiani. 10. Tutti costoro, anzi, nell'atto in cui erom peva la loro empietà, compivano sacrifici per la salute del l'imperatore e giuravano per il suo genio, diversi all'ester no dall'interno, e naturalmente davano ai cristiani il nome di pubblici nemici) 1 1 . Quelli che anche oggi e tutti i giorni si rivelano complici o fautori di partiti ribelli - superstite racimolatu ra dopo una vendemmia di parricidi4 - di quanti freschis simi e frondosissimi allori adornavano le porte, con quante altissime e lucentissime lampade affumicavano i vestiboli, con quali elegantissimi e suntuosissimi divani si divideva no lo spazio del foro, non per celebrare la pubblica gioia, ma per conoscere nella festa dedicata ad altri i voti pubbli ci a loro diretti e, mutando in cuor loro il nome dell'impe ratore, immaginare in anticipo ciò che speravano.
Nigro, e fu sconfitto a Lugdunum (Lione) nel 197 . L'accenno a un imperatore strangolato riguarda Commodo, ucciso il 3 1 dicembre 1 92 su istigazione del prefetto del pretorio Q. Emilio Leto , di Marcia, èoncubina dell'imperatore, e del cubicu/arius (cameriere) Ecletto. Dapprima i congiurati cercarono di avvelenarlo; ma non avendo il veleno sortito il suo effetto, fu fatto strangolare da un adeta, di nome Narcisso , durante gli esercizi in palestra (DION CASS. , Ep. LXXII , 2, 2 ss; HER.oo., I, 16 ss.). Tertulliano confronta questa congiura con quella che uccise Domiziano nel settembre del 96 (DION. CASS . , Ep. LXVII, 15, 1 ) . Insieme ai promotori Sigerio e Partenio, addetti al servizio dell'imperatore, partecipò alla congiura anche Stefano, procuratore di Domitilla, moglie del console Flavio Oemente, ucciso da Domiziano per ateismo e costumi giudaici, cioè per cristianesimo.
4 . post uindemiam parricidarum racematio superste s . Cf. Introduzione, p. 1 1 .
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12. Eadem offida dependunt et qui astrologos et haru spices et augures et magos de Caesarum capite consultant. Quas artes, ut ab angelis desertoribus proditas et a Deo interdictas , ne suis quidem causis adhibent Christiani. 13. Cui autem opus est perscrutari super Caesaris salute, 70 nisi a quo aliquid aduersus illam cogitatur uel optatur, aut post illam speratur et sustinetur? Non enim ea mente de caris consuliter qua de dominis. Aliter curiosa est sollicitu do sanguinis, aliter seruitutis.
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XXXVI . l. Si haec ita sunt, ut hostes deprehendantur qui Romani uocantur, cur nos , qui hostes existimamur, Romani negamur? Non possumus et Romani · non esse et hostes esse, cum hostes reperiantur qui Romani habebantur. 2. Adeo pietas et religio et fides imperatoribus debita non in huiusmodi officiis consistit, quibus et hostilitas magis ad uelamentum sui potest fungi, sed in his moribus, quibus diuinitas imperat <eam> tam uere, quam circa
66 consultant] F Vulg., consulant Rh Ba". 69 Caesaris] F M, cae sariis S pl co". p2 Il salutem M 71 eniin] F Vulg. edd. , om. Ba". 72 caris] Vulg., caesaris F, caesaribus Z V, caesare L Il dominis] Vulg., hominis F XXXVI , l XXXVI . DE AEQVALITATE OMNIVM PERSONARVM S P M al. 2 uocantur] F, uocabantur Vulg. 3 negemur (F) Barr. 3/4 et Romani non esse et hostes esse] F Vulg. , et romani esse et hostes non esse Rh3 Ba". 4 habebantur] Vulg., habeantur (F) Rh Walt. 5 debita] F M dett., dedita S P al. edd. 7 his] Vulg., iis (F) edd. 8 imperat <eam>] Walt. , imperat (F) Vulg., imperat Hoppe 5. qui astrologos et haruspices et augures et magos etc. Sparziano (Vita Severi 1 5 , 4-5 ) parla della condanna delle Pescennianas reli quias, ossia dei superstiti di Pescennio Nigro, su accusa dd prefetto
XXXV , 12-13 (65 -73) - XXXVI , 1 -2 { 1 -8)
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12. Rendono gli stessi omaggi anche quanti consultano astrologhi, aruspici, àuguri e maghi sulla vita di Cesare. 5 Arti che, essendo inventate dagli angeli ribelli e proibite da Dio, i cristiani non usano neppure a loro vantaggio. 13. Del resto, chi ha bisogno d'indagare sulla salute di Cesare se non chi medita o desidera qualcosa contro di essa, o spera e attende qualcosa dopo di essa? Non si con sulta, infatti, con lo stesso animo riguardo ai propri cari o ai propri padroni. Altra è la sollecitudine preoccupata del consanguineo, altra quella del servo. 36
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Rispetto e fedeltà dei cristiani all'imperatore
l. Se le cose stanno così, che cioè si trovano dei nemici tra quanti si dicono Romani, perché a noi, che siamo rite nuti nemici, si nega il nome di Romani? Non possiamo essere nemici e non essere Romani, poiché i nemici sono proprio coloro che sono ritenuti Romani. 2. In realtà, la pietà, la devozione e la fedeltà dovute agli imperatori non consistono in omaggi di tal genere, dei quali anche l'ostilità può servirsi per nascondere maggior-
del pretorio Plauziano, insieme alla condanna di quanti consultava no i Caldaeos aut vates sulla salute dell'imperatore. Colpisce il singo lare parallelismo tra la notizia contemporanea di Tertulliano e quella del tardo biografo pagano, come la coincidenza delle espressioni (pa"icidarum - parricidiales spes) con l'iscrizione di Efeso (C. III, 427 ) . È chiaro che Tertulliano parla di episodi specifici e - come rivela il confronto con l'iscrizione efesina - sulla base della termino logia ufficiale severiana. Ma questo parallelismo e questa coinciden za non riguardano le conseguenze immediate della vittoria dell'im peratore a Isso ( 1 94) e a Lione ( 197 ) e l'astensione dei cristiani dalla celebrazione dei vota quinquennalia del 1 97 , ma fatti databili - a mio avviso - al 202, al tempo cioè della celebrazione dei vota decen nalia, quando - soprattutto in Mrica - l'astensione dei cristiani pro vocò da parte dei pagani accuse e processi, culminati nel martirio di Perp e t u a , di Felicita e dei loro compagni , della cui Passio Tertulliano fu probabilmente l'autore (LAZZATI, op. cit., p. 177 ) .
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omnes necesse habet, exhiberi. 3. Neque enim haec opera bonae mentis s olis imperatoribus debentur a nobis . Nullum bonum sub exceptione personarum administra mus, quia nobis praestamus, qui non ab homine aut laudis aut praemii expensum captamus, sed a Deo, exactore et remuneratore indifferentis benignitatis.a 4. lidem sumus imperatoribus ex ipso, qui et uicinis nostris. Male enim uelle, male facere, male dicere, male cogitare de quoquam ex aequo uetamur.b Quodcumque non licet in imperato rem, id nec in quemquam; quod in neminem, eo forsitan magis nec in ipsum qui per Deum tantus est. ·
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XXXVII . l . Si inimicos, ut supra diximus , iubemur diligere, quem habemus odisse? ltem, si iidem laesi uicem referre prohibemur, ne de facto pares simus, quem possu mus laedere?c 2. Nam de isto ipsi recognoscite. Quotiens enim in Christianos desaeuitis, partim animis propriis, par tim legibus obsequentes? Quotiens etiam praeteritis uobis suo iure nos inimicum uulgus inuadit [lapidibus et incen diis] ? lpsis Bacchanalium furiis nec mortuis parcunt Christianis, quin illos de requie sepulturae, de asylo quodam mortis, iam alios, iam nec tot9s auellant, dissipent,
a. cf. Mt 5, 43 48; Le 6, 32-38 b. cf. Mt 5, 2 1 -22 . 3 8-48; Rm 12, 92 1 ; l Cor 1 3 , 4-7 c. cf. Mt 5, 3 8-42 ; Le 6, 27-30; Rm 12, 17-2 1 ; l Ts 5 , 15; l Pt 3 , 9
9 habet exhiberi] Vulg., habent exhibere F, habet exhibere Ba". 11 sub] sed P 14 indifferentis] Vulg., indifferentia F, prob. Modio Il idem S P M 15 ex ipso] F, om. Vulg . , ex ipso Hav . 19 ipsum] Vulg., imperatorem add. F, prob. Walt. XXXVII, l XXXVII . DE MALVM CONTRA MALVM S P M al. 2 habemus] F Vulg . , habebimus y edd. I l iidem] F, om. Vulg,
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mente se stessa, ma in quei comportamenti con cui la divi nità ci ordina di manifestare con tanta since rità, quanto esso è necessario nei riguardi di tutti. 3. Questi atti, infatti, espressione della nostra benevolenza, non sono dovuti soltanto agli imperatori. Non compiamo alcun bene facendo differenze di persone, poiché lo facciamo a noi stessi, e non cerchiamo la ricompensa della lode e del pre mio dall'uomo, ma da Dio, giudice e remuneratore della nostra imparziale benevolenza. 4. Perciò ci comportiamo verso gli imperatori allo stesso modo che verso il nostro prossimo. Infatti, ci è ugualmente vietato di volere il male, di far del male, di dire male, di pensare male di chiunque. Quanto non è lecito nei riguardi dell'imperatore non è lecito neppure nei riguardi di altri; quanto non lo è verso alcuno, tanto meno penso verso colui che grazie a Dio è tanto grande.
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I cristiani non odiano, non si vendicano, ma fanno del bene
1. Se, come ho già detto, ci è ordinato di amare i nemi ci, chi possiamo odiare? Ugualmente, se, offesi, ci è proibi to di vendicarci per non diventare come loro, chi possia mo offendere? 2. Riconoscetelo voi stessi da questo fatto. Quante volte avete infierito contro i cristiani, in parte per animosità personale , in parte in ossequio alle leggi ? Quante volte, anche indipendentemente da voi, di sua ini ziativa il popolo ostile ci assale [con pietre e incendi] ? Con lo stesso furore dei Baccanali non risparmiano neppu re i cristiani defunti, poiché dalla quiete del sepolcro, da quella specie di asilo della morte, già decomposti, ormai non più integri, li estraggono, li fanno a pezzi, li disperdo(/ort. recte) 3/4 possumus] F Vulg., possimus Rh Barr. 4 et 6 quoties S P 6 praeteritis uobis] F Vulg., praeteritos a uobis Barr. 7/S lapidibus et incendiis] Vulg., om. F (/ort. interpol.) 8 nec mor tuis] Vulg . , ne mortuis quidem F 9 requie] Vulg., reliquiis F 1 0 dissipent] F, prob. Lo/. Kr. 74 , d i s s e cent Vu lg .
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distrah ant . 3 . Quid tamen de tam conspiratis umquam denotatis, de tam animatis ad mortem usque pro iniuria repensatis, quando uel una nox pauculis faculis largiter ultionis possit operari, si malum malo dispungi penes nos 15 liceret? Sed absit, ut aut igni humano uindicetur diuinitas sectae aut ut doleat pati, in quo probatur ! 4. Si enim et hostes exsertos, non tantum uindices occultos agere uellemus, deesset nobis uis numerorum et copiarum? Plures nimirum Mauri et Marcomanni ipsique 20 Parthi, uel quantaecumque unius tamen loci et suorum finium gentes , quam totius orbis ! H esterni sumus, et orbem iam et uestra omnia impleuimus, urbes insulas , castella municipia conciliabula, castra ipsa tribus decurias, palatium senatum forum. Sola uobis reliquimus tempia !
13 largiter] F Vulg., largitatem edd. 14 possit] F, posset Vulg. 15/16 diuinitas sectae aut ut] F, diuina secta aut Vulg . 17 ex(s)ertos F Vulg., extraneos Rh Barr. ll uindices] (F) S M al., iudices P y dett. 21 orbis. Hesterni] S P W (jJ (d. Adu. Prax. IL 2), orbis exter ni F M re/. Vulg. 21122 et orbem iam] F, om. Vulg. 24 reliquimus] F S P, relinquamus M, relinquimus rei. Vulg. l l tempia] Vulg., om. F I . Il furore popolare anticristiano giunse persino a profanare le tombe cristiane. Dopo Marco Aurdio ( 1 6 1 - 1 80) e con Commodo ( 176- 192), la Chiesa - possedendo in proprio i luoghi di riunione e di sepoltura - era uscita dovunque dalla semiclandestinità, al riparo della proprietà privata, che aveva caratterizzato il culto nei primi due secoli. Questi luoghi, però, diventarono oggetto di violenza, non da parte dello Stato - che fino a V aleriano rispettò le proprietà della Chiesa -, ma delle folle scatenate (d. Ad Scapulam III, 1 ) . 2 . Mauri et Marcomanni ipsique Parthi. I Mauri erano gli abitanti dell'Africa corrispondente all'attuale Marocco. Dall 'anno 42 la Mauretania era stata divisa in due provincie: la Tingitana e la Cesarense. Generalmente, però, venivano chiamati Mauri gli indigeni dell'Africa nordoccidentale. I Marcomanni erano popolazioni germa niche con cui Marco Aurdio aveva dovuto combattere, ricacciandole al di là del Danubio. I Parti erano i principali nemici dell'impero romano ai confini orientali, insediati, insediati sull'altopiano iranico.
}. impleuimus, urbes . . . , castra ipsa . . . , palatium senatum forum.
n
passo è molto importante, soprattutto per l'affermazione della p resen -
XXXVII, 2-4 ( 1 1 -24)
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no. l 3. Ma che cosa avete mai da imputare a persone così con cordi nell'amore, da ripagare per ingiurie subìte da persone così coraggiose fino alla morte, quando anche solo una notte con poche torce potrebbe largamente bastare alla nostra ven . detta, se ci fosse lecito ricambiare il male col male? Ma lungi da noi il pensiero che la religione divina si vendichi con fuoco umano o si lamenti delle sofferenze con cui è provata ! 4. Se, infatti, volessimo agire non tanto da vendicatori occulti ma da aperti nemici, ci mancherebbe la forza del numero e dei mezzi? I Mauri, i Marcomanni e gli stessi Parti, 2 o qualunque altro popolo residente in un solo luogo e dentro i propri confini sono certamente più nume rosi del popolo (cristiano) presente in tutto il mondo ! Siamo di ieri, e abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori, le città, le isole, le borgate, i municipi, le piazze, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, il palazzo, il senato , il foro ) Vi abbiamo lasciato solo i templi ! za dei cristiani nell'esercito (che qualche anno dopo, nd De corona mili tis, Tertulliano - ormai montanista - contesterà) e nd senato. Per quan to riguarda il senato si è parlato di Apollonio, senatore e martire al tempo di Commodo; e lo stesso Tertulliano parla di clarissimi e clarissi mae, cioè di membri dell'ordine senatoriale e di loro congiunti, cristiani difesi dallo stesso Settimio Severo contro la furia popolare (Ad Scapulam IV, 3-5). Di cristiani nd palatium, ossia nd palazzo impe riale, ci informano, per l'epoca dei Severi, sia un'iscrizione funeraria romana, quella di M. Aurdius Prosenes che morl cucubilarius al tempo di Caracalla (2 1 1 -217) (C. VI 8498), sia Tertulliano che ricorda una nutrice cristiana di Caracalla (soprannome di Bassianus, che poi cambiò in Marcus Aurdius Severus Antoninus) e il cristiano Proculo Torpacio, cui Settimio Severo ( 1 93 -2 1 1 ) era particolarmente affezionato per un'unzione con olio benedetto che lo aveva risanato da una malattia: «lpse etiam Seuerus, pater Christianorum memor fuit. Nam et Proculum Christianum qui Torpacion cognominabatur, Euhodiae pro curatorem, qui eum per oleum aliquando curauerat, requisiuit et in palatio suo habuit usque ad mortem eius; quem et Antoninus optime nouerat, lacte Christiano educatus. Sed et clarissimas feminas et clarissi mos uiros Seuerus, sciens huius sectae esse, non modo non laesit, uerum et testimonio exomauit, et populo furenti in nos palam restitit» (Ad Scapulam IV, 5-6: CCL 2, 1 130- 1 13 1).
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5. Possumus dinumerare exercitus uestros: unius prouin
ciae plures erunt ! Cui bello non idonei, non prompti fuissemus, etiam impares copiis, qui tam libenter trucidamur, si non apud istam disciplinam magis occidi liceret quam occidere? 6. Potuimus et inermes nec rebelles, sed tantummodo discordes, solius diuortii inuidia aduersus uos dimicasse. Si enim tanta uis hominum in aliquem orbis remoti sinum abrupissemus a uobis, suffudisset utique dominationem uestram tot qualiumcumque ciuium amissio, immo etiam et ipsa destitutione punisset. 7. Procul dubio expauissetis ad solitudinem uestram , ad silentium rerum et stuporem quendam quasi mortui orbis; quaesissetis, quibus impera retis ; plures hostes quam ciues uobis remansis s ent . 8. Nunc enim pauciores hostes habetis prae multitudine Christianorum , paene omnium ciuitatum paene omnes ciues Christianos habendo. Sed hostes maluistis uocare generis humani potius quam erroris humani ! 9. Quis autem uos ab illis occultis et usquequaque uastantibus mentes et ualetudines uestras hostibus raperet, a daemoniorum incursibus dico, quae de uobis sine prae mio, sine mercede depellimus ? Suffecisset hoc solum nostrae ultioni, quod uacua exinde possessio immundis spiritibus pateretis. 10. Porro, nec tanti praesidii compensationem recogitantes, non modo non molestum uobis genus, uerum etiam necessarium hostes iudicare maluistis, qui sumus piane, non generis humani tamen, sed potius erroris.
25/26 possumus usq. erunt] F, om. Vulg.
26 plures erunt] Hav . , plures erunt F, plures erimus Walt . , /ort. recte 27 etiam] (F) S P, et M dett. 29 occideret S 32 orbis remoti sinum] Vulg., angulum orbis remotissimum F 33 suffudisset] Vulg., pudor add. F 33/34 dominationem uestram] quae sequuntur usq. solitudi nem uestram om. F per homoiotel. 34 qualicunque S P M 37 orbis] F, urbis Vulg. 40 ciuitatum] Hav., ciuit.1m (F) Vulg., ciuitatium Oehl. Walt. 41 Christianos] Vulg., hostes add. F Il habendo. Sed] dett. edd., sed om. F, habendos et S P M Il maluistis] Vulg., maluisse-
XXXVII , 5-10 (25-52)
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5. Possiamo contare i vostri eserciti: noi di una sola provincia saremo di più ! Di quale guerra non sarem mo capaci e pronti, anche se impari di numero, noi che tanto volentieri ci lasciamo trucidare, se non fosse un obbligo per la nostra dottrina il farsi uccidere piuttosto che uccidere? 6. Avremmo potuto, senz ' armi e senza ribellione, ma semplicemente allontanandoci da voi, combattervi con tale odiosa separazione. Se noi, infatti, un così gran numero di uomini, ci fossimo separati da voi in qualche luogo remoto del mondo, la perdita di tanti cittadini - chiunque essi siano - avrebbe certamente umiliato il vostro impero; anzi, lo avrebbe punito anche solo col semplice abbandono. 7. Senza dubbio vi sareste spaventati di fronte alla vostra solitudine, al silenzio delle cose e a un certo qual torpore del mondo quasi morto; vi sareste chiesti su chi avreste comandato; vi sarebbero rimasti più nemici che cittadini. 8. Ora, infatti, avete un minor munero di nemici a causa di una moltitudine di cristiani, poiché questi sono quasi tutti cittadini (romani) di quasi tutte le città. Eppure preferite chiamarli nemici del genere umano piuttosto che nemici dell'errore umano ! 9. Chi, dunque, vi strapperebbe da quei nemici occulti che ovunque devastano le vostre menti e le vostre forze, intendo dire dagli assalti dei dèmoni, che noi scacciamo da voi senza premio, senza ricompensa? Sarebbe bastato solo questo alla nostra vendetta, ossia di abbandonarvi d'ora in poi agli spiriti immondi quale loro libero possesso. 10. Invece, senza pensare a ricompersarci per così grande difesa, preferite giudicarci - noi gente non solo non molesta, ma anzi necessaria - come nemici; noi che effettivamente lo siamo, non però del genere umano, ma piuttosto dell'errore umano.
tis F 42 potius quam erroris humani] F Vulg., om. r y edd. 46 suf ficisset S P 48 pateretis] F, pateret Vulg. 49/50 recogitantes] F, cogitantes Vulg. 51 qui] F, quia Vulg. 52 tamen] Vulg., hostes F, prob. Modio, tamen post potius ponunt p2 dett.
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XXXVIII . 1. Proinde nec paulo lenius inter illicitas factiones sectam istam deputati oportebat, a qua nihil tale committitur, quale de illicitis factionibus praecauetur. 2. Nisi fallor enim, prohibendarum factionum causa de 5 prouidentia constat modestiae publicae, ne ciuitas in par tes scinderetur, qua facile comitia, concilia, curias, contio nes, spectacula etiam aemulis studiorum compulsationibus inquietarent, cum iam et in quaestu habere coepissent uenalem et m e r cen a riam uiolentiae s u a e ope ram . 10 3. At enim nobis ab omni gloriae et dignitatis ardore fri gentibus nulla est necessitas coetus, nec ulla magis res alie na quam publica. Vnam omnium rempublicam agnosci mus, mundum. 4. Atque adeo spectaculis uestris in tantum renuntia15 mus, in quantum originibus eorum, quas scimus de super stitione conceptas, cum et ipsis rebus, de quibus transi guntur, praetersumus. Nihil enim nobis dictu, uisu, auditu
Test., 4, 17- 19: ISID. HISP. , Etymol. XVIII, 59: «Proinde nihil esset debet Christiano cum Circensi insania, cum impudicitia thea tri, cum amphitheatri crudelitate, cum atrocitate arenae, cum luxu ria ludi» (cf. PL 82, 660).
XXXVTII , l XXXVII I. DE COETV S P M al. proinde] incipit R Il nec] opt. Vulg., ne F R Z dett. Il illicitas] F R, licitas Vulg. 3 prae cauetur] F R, timeri solet Vulg 5 constat] F Vulg., costat R Il modestiae publicae] F R Vulg., modestia public(a)e M Z al., mode stia publica r, ac modestia publica edd. 6 scideretur S pl , corr. p2 Il qua] F R, quae res Vulg. 7/8 curias , concilia, conditiones R 8 inquietarent] F R, inquietaret Vulg. Il questum R Il coepisse R 9 mercenariam] F R, homines add. Vulg. 10 uobis R Il gloria F R 1 1 caetus R 1 2 una R 14 atque adeo] F R , aeque Vulg . 14/15 renuntiauimus R 15 illorum R Il qua P corr. 16 et] om. (F) Rhl 16/17 transiguntur, praetersumus] F R Vulg., exiguntur, prae terimus r edd. 17 enim] F R, est Vulg. Il dictum (F) R Barr. , om. Gel. Rig. Il uisu, auditu] om. Gel Rig. .
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I cristiani non sono una setta pericolosa
l. Pertanto - cosa di poco più lieve - non si doveva nep pure annoverare tra le sette illecite questa nostra setta, che non commette nulla di ciò che si teme da parte delle fazioni illecite. 2. Se non sbaglio, infatti, la ragione del divieto delle fazioni deriva dalla garanzia dell'ordine pubblico, in modo che la cittadinanza non si divida in partiti, turbando così facilmente i comizi, le assemblee, le curie, i pubblici discorsi nonché gli spettacoli, sotto la spinta di contrastanti passioni, avendo gli uomini iniziato a trarre vantaggio dall'uso della loro violenza venale e mercenaria (che si vende e assolda) . l 3. M a per noi, insensibili a ogni desiderio d i gloria e di onore, non c'è alcuna necessità di formare un partito, e non c'è nulla per noi di maggiormente estraneo della politica. Noi riconosciamo un'unica repubblica di tutti: il mondo. 4. Ugualmente rinunciamo ai vostri spettacoli nella misura in cui ci sentiamo estranei alle loro origini, che
1. prohibendarum factionum . . . ne ciuitas in partes scinderetur. La condanna delle fazioni e dei collegia non autorizzati per la salvaguar dia dell'ordine pubblico risale all 'epoca repubblicana, ma continua in età imperiale con la Lex Iulia de collegiis, emanata intorno al 2 1 a . C., con cui Augusto sciolse i collegia esistenti praeter antiqua et legitima (SUET . , Augusti vita 3 2 ; cf. ROTONDI , op. cit. , p. 442 ) . Settimio Severo autorizzò, senza bisogno di una specifica richiesta, i collegia religionis causa, e la Chiesa ne approfittò per svolgere in modo palese la sua attività. Infatti fra il 200 e il 220 - forse nel 2 1 6 si riunì in Africa , sotto la presidenza di Agrippino, vescovo di Cartagine, un concilio regionale (Cf. TERT., De fuga XIV, l ; cf. M. SORDI, I cristiani e l'impero romano , p. 125). Notizia più precisa di questo concilio, cui parteciparono settantun vescovi dell'Africa Proconsolare e della Numidia, l'abbiamo in Cipriano (Ep. ad Quintum [LXXI 4, l ] ; Ep. ad lubaianum [LXXIII 3 , 1 ] : CCL 3C, 52 1 . 532; cf PL 3, 1 154. 1 157). In età imperiale un'occasione per turbare l'ordine pubblico erano anche gli spettacoli (erano ben note le fazioni del circo) dei quali i cristiani si disinteressavano o che con dannavano per la loro immoralità. . . .
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cum insania circi, cum impudicitia theatri, cum atrocitate arenae, cum xysti uanitate. 5. Licuit Epicureis aliam decernere uoluptatis ueritatem, id est, animi aequitatem: in quo uos offendimus, si alias praesumimus uoluptates? Si oblec tari nouissime nolumus, nostra iniuria est, si forte, non uestra. Sed rep robamus quae placent uobis ! Nec uos nostra delectant.
XXXIX. l . E d a m iam n u n c ego i p s e n e g o t i a Christianae factionis, quo minus mala refutauerim, bona ostendam, si etiam ueritatem reuelauerim. Corpus sumus de conscientia religionis et disciplinae 5 unitate et spei foedere.a 2. Coimus in coetum et congrega tionem facimus , ut ad Deum quasi manu facta precationi-
a. d.
Ef 4, 4
19 xisti R 19/20 licuit Epicureis usq. animi aequitatem] F R, Vulg. ponit post ddectant (d. l. 24) 20 animi aequitatem] Vulg. Walt. Hoppe, animae aeq. F, anima eq. R I l in quo] F R, quo Vulg . 2 1122 oblectari] R Vulg., oblectare F 22 nouissime] F R, nouisse Vulg. 23 probamus R 24 ddectant] F R, add. Vulg.: sed licuit epicureis (-iis S P co". ) ali(qu)am decemere uoluptatis ueritatem, id est animi aequitatem [et ampia negotia christianae (fidei uel factio nis add. dett. , al. et edd. om. christianae) ] (quae ultima uerba ex seguenti uersu i"epsisse uidentur).
XXXIX, l XXXVI II!. DE DISCIPLINA CHRISTIANORVM $ P M al. ego] F R Vulg. , om. r edd. 2 quo minus] F R, prob. Lof Kr. 79 sq. , ut qui Vulg. Walt. , quo qui Mart. Hoppe 3 s i etiam ueritatem reuelauerim ( reuel. uer. R) F R, om. Vulg . 4 relegionis R 415 disciplinae unitate] R Vulg., diuinitate F (sine dubio ex d. [i. e. disciplinae] unitate in autographo Modit), disc. ueritate edd. 5 fae dere R S P Il coetum] Vulg., caetu F, coetu R 6 facimus] F R, prob. Thor. IV, 60 sq. , om. Vulg. Walt.
XXXVIII, 4-5 { 1 8-24) - XXXIX , 1 -2 { 1 -6)
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sappiamo derivate da superstizione, e ai soggetti stessi rap presentati. n nostro parlare, infatti, il nostro guardare, il nostro ascoltare non hanno nulla in comune con la follia del circo, con l'impudicizia del teatro, con l'atrocità dell'a rena , con la futilità del xisto ( della palestra) . 5. Agli Epicurei è stato lecito affermare una diversa verità sul pia cere, cioè la tranquillità dell'animo. In che cosa allora vi offendiamo, se pensiamo che esistano altri piaceri ? Se dopo tutto non vogliamo divertirci, è - semmai - a danno nostro, non vostro. Ma (ci contestate che) disapproviamo ciò che piace a voi ! (Se è per questo,) nemmeno a voi piac ciono le nostre cose.
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Le riunioni cristiane: preghiera e reciproco amore
1. Ora esporrò le attività della setta cristiana; e, dopo aver dimostrato che non sono malvagie, mostrerò che sono buone, rivelandovi cosl la verità. Siamo una corporazione formata dalla conoscenza della religione,• dall'unità della disciplina, dal vincolo della spe ranza. 2. Ci riuniamo insieme e facciamo assemblea per cir condare Dio, come un manipolo compatto, con le nostre 1. Corpus sumus de conscientia religionis. Tertulliano descrive la vita della Chiesa sotto la forma specifica dei collegia religionis causa, usando il termine corpus che è sinonimo di collegium (DIG., 47, 22 De collegiis et corporibus), mentre nell'Ad nationes aveva impiegato il termine collegio (I, 20, 5: «Aut mumquid ipso uos collegio offen dimus?»). Egli sottolinea così, con l'uso stesso dei termini - identici a quelli del coevo rescritto severiano che estendeva da Roma all'Italia e alle province il permesso di associazione per i collegia tenuiorum la liceità delle riunioni cristiane. Si può confrontare Coimus in coetum, etc. (n. 2) con DIG., 47, 22: sed religionis causa . coire non proibentur, e Modicam unusquisque stipem menstrua, etc. (n. 5) con DIG., 47, 22: sed permittitur tenuioribus stipem menstruam con/e"e. Ma, nonostante alcune analogie organizzative, la Chiesa si differenziava nettamente dai collegia pagani. -
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bus ambiamus. Haec uis Deo grata est. Oramus etiam pro imperatoribus, pro ministeriis eorum ac potestatibus, pro statu saeculi, pro rerum quiete, pro mora finis. 3. Coimus ad litterarum diuinarum commemorationem, si quid prae sentium temporum qualitas aut praemonere cogit aut recognoscere. Certe fidem sanctis uocibus pascimus, spem erigimus, fiduciam figimus , dis ciplinam praeceptorum nihilominus inculcationibus densamus. 4. Ibidem etiam exhortationes , castigationes et censura diuina.b Nam et iudicatur magno cum pondere, ut apud certos de Dei con spectu , summumque futuri iudicii praeiudicium est, si quis ita deliquerit , ut a communicatione orationis et conuentus et omnis sancti commercii relegetur.c 5. Praesident probati quique seniores,d honorem istum non pretio, sed testimonio adepti, neque enim pretio ulla res Dei constat. Etiam, si quod arcae genus est, non de honoraria summa quasi redemptae religionis congregatur.e Modicam unusquisque stipem menstrua die uel cum uelit, et si modo uelit et si modo possit, apponit. Nam nemo compellitur, sed sponte confert. 6. Haec quasi deposita pietatis sunt. Quippe non epulis inde nec potaculis nec ingratis uoratrinis dispensatur, sed egenis alendis human-
b. d. 2 Tm 3, 16 c. d. l Cor 5, 1 -5 At 2, 44; 4, 32-37; 1 1 , 30; 2 Cor 8-9
d.
cf. At 14 , 23 ; Tt
l,
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e. d.
7 ambiamus] F R, orantes add. Vulg. 8 ministeriis] F R, ministris Vulg. I l eorum] F R Vulg., deorum Ba". Il ac] (F) R r edd. , et S P M al. 9 natu p2 Il coimus] F R Vulg., cogimur G Rh3 Barr. 12 poscimus R 12/13 spem erigimus] bine deficit M 13/14 nihilo minus praeceptorum R 14 inculcationibus] Vulg., in compulsa tionibus F R 17 iuditii futuri R 18 ita] itaque R 19 relege tur] (F) R edd. , religetur Vulg. 23 honoraria] S Q L, oneraria (F) R dett. edd. , honoraria P 24 menstra R 26 conpellitus R I l confret R 27/28 quippe non epulis inde nec (om. F) potaculis nec ingratis uoratrinis] F R, nam inde non epulis nec potaculis nec ingratis (ingratiis S P) uoratrinis Vulg.
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preghiere . Questa violenza è gradita a Dio. Preghiamo anche per gli imperatori, per i loro ministri e autorità, per la stabilità del mondo, per la pace universale, per la dilazio ne della fme (del mondo) .2 3. Ci riuniamo per ricordare le divine Scritture, se qualche fatto di attualità ci induce a preammonirci di qualche evento futuro o a riconosceme il compimento. Di certo , con le sante parole nutriamo la fede, sorreggiamo la speranza, rafforziamo la fiducia, rin saldiamo la disciplina inculcandone i precetti. 4. Quivi tro vano posto anche le esortazioni, le correzioni e le censure divine. Infatti si giudica (chi ha sbagliato) con grande pon derazione, certi di essere al cospetto di Dio, ed è una terri bile anticipazione del futuro giudizio divino se qualcuno ha mancato a tal punto da venir escluso dalla comunione della preghiera, dall'assemblea e da ogni contatto con le cose sante. 5. Presiedono (tali assemblee) anziani di provata virtù, che hanno conseguito tale onore non con denaro ma per testimonianza, poiché nessuna cosa di Dio comporta del denaro. Anche se c'è una specie di cassa (comune) , questa non è costituita da versamenti di una religione messa in vendita. Ciascuno versa un modesto contributo una volta al mese, o quando vuole, e soltanto se vuole e se può . Nessuno infatti è costretto, m a contribuisce spontanea mente. 6. Questi, per così dire, sono i depositi della pietà. Non vengono certo spesi per banchetti, né in bevute o in sgradevoli gozzoviglie, ma per nutrire i poveri e dar loro sepoltura, per soccorrere i fanciulli e le fanciulle privi di mezzi e di genitori, [come pure] i servi ormai vecchi e inattivi, i naufraghi, e quelli che, solo per aver aderito all a
2 . Oramus etiam pro imperatoribus , pro mora finis. Tertulliano insiste sulle preghiere che i cristiani rivolgono a Dio per l'imperatore e perché sia ritardata la fine del mondo, che - come abbiamo già visto (cf. cap. XXXII , l ) - veniva fatta coincidere con la fine del l'impero romano. • . .
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disque et pueris ac puellis re ac parentibus destitutis, [iamque] domesticis senibus iam otiosis, item naufragis, et si qui in metallis et si qui in insulis uel in custodiis, dum taxat ex causa Dei sectae, alumni confessionis suae fiunt. 7. Sed eiusmodi uel m axime dilectionis operatio notam nobis inurit penes quosdam. «Vide, inquiunt, ut 35 inuicem se diligant», ipsi enim inuicem oderunt, «et ut pro alterutro mori sint parati»,a ipsi enim ad occidendum alterutrum paratiores. 8. Sed et quod fratrum appellarlo ne censemur, non alias , opinor, insaniunt, quam quod apud ipsos omne sanguinis nomen de affectione simula40 tum est. Fratres autem etiam uestri sumus iure naturae matris unius , etsi uos parum homines, quia mali fratres. 9. Quanto nunc dignius fratres et dicuntur et habentur, qui unum patrem Deum agnouerunt,b qui unum spiritum biberunt sanctitatis, qui de uno utero ignorantiae eius45 dem ad unam lucem expauerunt ueritatis ? 10. Sed eo fortasse minus legitimi existimamur, quia nulla de nostra fraternitate tragoedia exclamat, uel quia ex substantia 30
a. cf. Gv 13, 34-35; 15, 12- 13. 17; l Gv 3, 16-23 ; 4, 7-2 1 Gv 20, 17; Rm 8, 29; Ef 6, 23 ; Col l, 2
b . cf.
Mt 23 , 9;
29 puellis re acl Vulg., om. F R per homoiotel. Il destitus R 30 iam que] F R Vulg., omittendum uidetur Il iam otiosis] P R, om. Vulg. Walt. LO/ Il naufragis] R S p2, naufragiis F pl 32 sectae] Vulg., conflictatur add. F, conflictantur add. R, prob. Walt. 33 maximae S P 34 uobis R Il ut] om. R dett. edd. 36 sunt (F) r edd. I l enim] sunt add. R Hoppe 37 alterutro R I l paratiores) F R, erunt add. Vulg. 37/38 fratrum appellatione censemur (censemus F)) F R, prob. Lo/ Kr. 83 sq. , fratres nos uocamus Vulg. ( cf. Min. Fel., Octau. XXXI, 8) 38 opinior R Il quod) cum R 39 affectione) F R Vulg., affectatione y edd. 40 autem) F R Vulg. , om. r edd. 42 quanto ( quando F) nunc] F R , at (ad S P l ) quanto Vulg . 43 agnouerunt] (F) R Vulg., agnouerint Rau. Hoppe 43/44 sanc titatis spiritum biberunt R 44 biberint S P 45 expauerunt F R 46 nulli S Pl , co". W, expauerint Vulg., expirauerunt Rh Ba". p2 47 exclamant R
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setta di Dio, si trovano nelle miniere, nelle isole o nelle p rigioni , affidati alle cure della fe de che h a n n o confessata) 7. Ma è soprattutto questa pratica di amore che d bolla d'infamia presso alcuni di loro. «Guarda - dicono - come vicendevolmente si amano»; loro, infatti, si odiano a vicenda. «E come sono pronti a morire uno per l ' altro» ; loro infatti sono più pronti ad uccidersi a vicenda. 8. Ma penso - anche il semplice fatto di chiamarci fratelli risul ta loro del tutto incomprensibile, se non altro perché presso di loro ogni termine di consanguineità è simulato quanto all'affetto. Noi poi siamo vostri fratelli anche in forza dell'unica madre natura, sebbene voi siate poco uomini, essendo cattivi fratelli. 9. Non è allora più giu sto che siano chiamati e considerati fratelli coloro che riconoscono l'unico Dio quale padre, che si sono abbe verati a un unico spirito di santità, che hanno trepidato uscendo dall' unico seno della comune ignoranza verso l 'unica luce di verità? 10. Ma forse siamo considerati (fratelli) mepo legittimi perché nessuna tragedia declama
3 . Tertulliano non solo evidenzia le analogie di funzionamento
(Praesident probati quique seniores si quod arc:ae genus est, etc:.), ma anche le differenze - tutte in positivo per la Chiesa - che caratterizzano la comunità cristiana rispetto ai collegia pagani. Tali • . .
differenze non riguardano tanto il piano giuridico, bensì morale: i fondi comuni servivano a nutrire gli indigenti e a seppellire i morti, a mantenere orfani e vecchi, non per banchetti e bevute. La sottoli neatura è nello spirito della legge, che - già in passato e in base ad un vecchio senatoconsulto - collegava la liceità dei collegia agli scopi umanitari da essi perseguiti (cf. C. XIV, 2 1 12 del 133 d. C.), e in conformità all'austera mentalità vetero-romana, che vedeva nelle mangiate comunitarie una possibile causa di disordini, come rivela no le risposte di Traiano a Plinio (Ep. X, 93 ; 1 17) e la sua diffidenza di fronte a certi usi presenti in Bitinia. Tertulliano ricorda anche gli aiuti che i cristiani offrivano ai loro confratelli, condannnati per la fede alle miniere, alla prigione o alla deportazione nelle isole.
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familiari fratres sumus , quae penes uos fere dirimit fra ternitatem. 1 1 . Itaque qui animo animaque miscemur, nihil de rei communicatione dubitamus.• Omnia indi screta sunt apud nos praeter uxores . 12. In isto loco con sortium soluimus, in quo solo ceteri homines consortium exercent, qui non amicorum solummodo m atrimonia usurpant, sed et sua amicis patientissime subministrant, ex illa, credo, maiorum et sapientiorum suorum discipli na, Graeci Socratis et Romani Catonis, qui uxores suas amicis communicauerunt, quas in matrimonium duxe rant liberorum causa et alibi creandorum . 13 . Nescio quidem an inuitas: quid enim de castitate curarent, quam mariti tam facile donauerant? O sapientiae Atticae, o Romanae grauitatis exemplum : leno est philosophus et censor i 14. Quid ergo mirum, s i tanta caritas conuiuatur? Nam et cenulas nostras, praeterquam sceleris infames, ut prodigas quoque suggillatis. De nobis scilicet Diogenis dictum est: «Megarenses obsonant quasi crastina die morituri, aedificant uero quasi numquam morituri>>. 15. Sed stipu-
a. d. At 2, 44-45; 4, 32-37
.st loco] Vulg., solo F R 54 patientissimae R P 55 malorum R Il sapientiorum suorum] F, suorum sapientiorum R, sapientissimo rum suorum Vulg. 59 quas R 60 donauerunt R Il sapientia P co". Il anticae R 61 l(a)eno est (F) R dett. edd. lenon est S P, leno nes Hav. Oehl. Il philosopus R 63 xaritas R Il conuiuatur] F R, conuiolatur Vulg., uiolatur dett. 64 caenula R 65 quoque] F R Vulg., om. edd. 66 megrenses S P Il morituri] Vulg. (cf. Hier. Ep. 123 , 15), moriantur F R 4 . Graeci Socratis et Romani Catonis, qui uxores suas . . Che Socrate abbia ceduto la moglie Santippe agli amici non lo sappiamo da altre fonti. Semmai Diogene Laerzio (Il, 5 , 10 ss.) parla di un'altra moglie di Socrate, Mirto; ma sembra improbabile che questi .
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la nostra fraternità, o perché non siamo fratelli rispetto al patrimonio familiare che tra di voi rischia di dividere la fraternità. 1 1 . Perciò noi, che siamo uniti nel cuore e nell'anima, non esitiamo a mettere in comune i nostri b e n i . Tu t t o è c o m u n e t r a n o i , e c c e t t o l e m o g l i . 12. Sciogliamo la comunanza proprio sull'unico punto in cui la praticano gli altri uomini che non solo usurpano le mogli degli amici, ma con molta accondiscendenza pre stano le proprie agli amici , sull'esempio - credo - dei loro antenati e dei loro sapienti: del greco Socrate e del romano Catone, che misero in comune con gli amici le proprie mogli, sposate per mettere al mondo dei figli a n c h e in c a s a altrui . 1 3 . N o n so se contro la l o r o volontà; del resto, che cosa poteva importare loro della castità che i mariti avevano tanto facilmente regalato ( ad altri} ? Oh , esempio di sapienza attica, di serietà romana: lenone è un filosofo e un censore ! 4 14. Che meraviglia c'è se tanta carità è unita in comune convito? Voi invece criticate le nostre cene frugali, oltre che infami per delitti, anche come p rodigh e . Di noi Diogene avrebbe detto: «l Megaresi mangiano come se dovessero morire domani, lavorano invece come se non dovessero morire mai».' 15. Ma ognuno vede più facil-
fosse bigamo. Tertulliano, inoltre, parla di Catone il Censore (morto nd 149 a. C.) . Ma è un errore, perché in realtà si tratta di Catone l'Uticense (suicidatosi a Utica nel 46 a. C.). Sappiamo da Plutarco (Cat. min. 25) - che cita Munazio Rufo e Trasea Peto - che Catone cedette la moglie Marcia all'amico oratore Q. Ortensio Ortalo, per permettergli di avere da lei dei figli. Plutarco, però, riprova questo comportamento, considerato in contrasto con la morale comune. ' · Diogenis dictum est. Si tratta di Diogene di Sinope (cf XIV, 9), vissuto nd IV sec. a. C., seguace di Antistene nella scuola cinica. Era famoso per la sua bizzarria e la sua indipendenza dai potenti. La battuta che Tertulliano dice rivolta da Diogene ai Megaresi è attri buita da altre fonti ad altri filosofi e ad altri destinatari: agli Agrigentini da Empedocle e da Platone, ai Rodiesi da Stratonico (cf. C. MORESCHINI, op. cit. , p. 259).
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lam quis in alieno oculo facilius perspicit et quam in suo trabem.a Tot tribubus et curiis et decuriis ructuantihus acescit aer; S aliis cenaturis creditor erit necessarius ; Herculanarum decimarum et polluctorum sumptus tabu larii supputahunt; Apaturiis, Dionysiis, mysteriis Atticis cocorum dilectus indicitur; ad fumum cenae Serapiacae sparteoli excitabuntur. De solo triclinio Christianorum retractatur ! 16. Cena nostra de nomine rationem sui ostendit: id uocatur quod dilectiò penes Graecos. Quantiscumq ue sumptibus constet, lucrum est .. pietatis nomine facere sumptum, siquidem inopes quosque refrigerio isto iuuamus , non qua penes uos parasiti affectant ad gloriam famulandae libertatis suh auctoramento uentris inter con tumelias saginandi, sed qua penes Deum maior est con templatio mediocrium.b 17. Si honesta causa conuiuii est, reliquum ordinem disciplinae de causa aestimate. Quod sit de religionis officio , nihil uilitatis, nihil immodestiae admittit. Non prius discumbitur quam oratio ad Deum praegustetur; editur quantum esurientes capiunt; bibitur
a. d.
Mt 7, 3; Le 6, 41 b. d. l Sam 2, 1 -8; Sal 33; 68; 75; 1 12; 1 14; Sir 1 0, 14-15; Is 29, 18; 57, 15; Le l , 45-55
68 et] S, o m . cet. 69 ruetantibus (F) R Vulg . , et ruet. Barr 70 Saliis] Gel., si aliis F R Vulg. 71 herculanorum R Il polluctorum] Rh3, polincto lucitorum F R, pol(l)inctorum Vulg. 72 supputabant R Il Apaturiis] (F) edd., apparaturiis R, appaturiis Vulg. Il Dionysiis] Vulg., Dionysii (F) Rh l, aeonisi R 73 dilectus indicitur] Vulg. ddee tus inducitur (F) R Il Serapiacae] dett., serapiae F, se arapia ae R, sarapiaciae S P 74 spartioli R Il de solo] Vulg. de loco F, doloso R 77 uoeatur] Vulg . , uoeatum F R Il quod] Vulg . , quo F, quo? R 79 refrigiorio R 80 parasti R 82 sagenandi R Il qua] quia R 83 medioerum Pl , co". p2 Il conuiuii est] R, est eonuiuii (F) Vulg. 84 quid (F) dett. edd.
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mente la pagliuzza nell'occhio altrui che la trave nel suo. Per i rutti di tante tribù, curie, decurie l'aria si inacidisce; ai Sali è necessario un creditore per le loro cene; le entrate delle decime di Ercole e dei banchetti sacri richiederanno dei contabili; per le Apaturie, per le feste dionisiache, per i misteri attici si fa un reclutamento di cuochi; per il fumo delle cene di Serapide saranno messi in allarme i pompieri. Solo sul pasto dei cristiani si trova da ridire ! 6 16. La nostra cena si qualifica dal suo nome: si chiama con un termine c h e in greco sign ifica dilezion e . Qualunque sia la spesa, è un guadagno spendere in nome della pietà, poiché con questo ristoro veniamo in aiuto anche ai poveri; non come da voi i parassiti che aspirano alla gloria di asservire la loro libertà tra gli insulti, a condi zione di riempirsi il ventre, ma perché presso Dio è mag giore la sua attenzione per gli umili. 17. Se il motivo del convito è onesto, dal motivo deducete la correttezza del suo svolgimento. Poiché esso deriva da un dovere religio so, non ammette alcuna bassezza, nessuna immodestia. Non ci si mette a tavola prima d'aver degustato una pre ghiera a Dio; si mangia quanto chi ha fame è appagato; si
6 . Saliis cenaturis . . . Apaturiis, Dionysiis . . . cense Serapiacae, etc. Tertulliano contrappone l'agape cristiana (dal greco ara1r11 : la cena comunitaria dei cristiani, distinta dalla celebrazione eucaristica) ai ban chetti pagani. Vengono menzionati quelli romani dei Sali (cf. X, 7); sacerdoti che presiedevano alle cerimonie guerriere, i quali nel mese di marzo, svolgendo la processione rituale, sostavano nei luoghi stabiliti banchettando. n carmen Saliare, insieme a quelli degli AIVali, rappre sentava uno dei testi più antichi della letteratura latina. Vengono ricor dati, poi, quelli ateniesi che si celebravano nelle Apaturie - la festa in cui i padri si riunivano nel mese di Pianepsione (ottobre-novembre) nei santuari delle fratrie per riconoscere la legittimità dei propri figli e per iscriverli nei demi - e nelle Dionisie (distinte in Piccole o rustiche, e Grandi o cittadine), che si celebravano in onore di Dioniso all'inizio e alla fine dell 'inverno. Per il culto a Roma di Serapide cf. VI, 8.
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quantum pudicis utile est. 18. Ita saturantur, ut qui memi nerint etiam per noctem adorandum Deum sibi esse; ita fabulantur, ut qui s ciant Deum audire . Post aquam manualem et lumina, ut quisque de scripturis diuinis uel de proprio ingenio potest, prouocatur in medium Deo canere: hinc probatur quomodo biberit . Aeque oratio conuiuium dirimit. 19. Inde disceditur non in cateruas caesionum nec in dasses discursationum nec in inceptio nes lasciuiarum, sed ad eandem curam modestiae et pudi citiae, ut qui non tam cenam cenauerint quam disciplinam. 20. Haec coitio Christianorum merito sane illicita, si illicitis par, merito sane damnanda, si non dissimilis damnandis, si quis de ea queritur eo titulo, quo de factionibus querela est. 2 1 . In cuius perniciem aliquan do conuenimus ? Hoc sumus congregati quod et dispersi, hoc uniuersi quod et singuli, neminem laedentes, neminem contristantes. Cum probi, cum boni coeunt, cum pii, cum casti congregantur, non est factio dicenda, sed curia.
XL. l. At e contrario ill is nomen factionis accommo dandum est, qui in odium bonorum et proborum conspi rant, qui aduersus sanguinem innocentium conclamant, praetexentes piane ad odii defensionem illam quoque
88 est utile (F) dett. edd. Il qui ] Vulg., om. F R 89 sibi deum R 90 sciant] F R Vulg., sciunt Rh3 Ba". Il deum] F R Z ()a, dominum rel. Vulg. 91 diuinis] R (cf. cap. XX, l ; XXXIX, 3; XLI, 5; XLVI, l ; XLVII, 1 ) , sanctis ( F) Vulg. edd. Walt. Hoppe 92 Deo] Vulg., de deo F R 92/93 de deo canere prouocatur in ·medio R 95 in incep tiones] F, ad inreptiones R, in eruptiones Vulg. (cf. XXXV, 1 0) 97 ut] et R 99 sane] R, om. (F) Vulg. I l si non dissimilis damnandis]
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beve quanto è utile ai sobri. 18. Ci si sazia come persone consapevoli di dover adorare Dio anche durante la notte; si conversa come persone persuase che Dio li ascolta. Lavate le mani e accesi i lumi, ognuno è invitato in mezzo all'assemblea a innalzare, come è capace, un canto a Dio, tratto dalle divine Scritture o di sua invenzione: da qui si prova quanto ha bevuto. Ugualmente una preghiera scio glie il convito. 19. Da qui si parte non in bande di assassini o schiere di vagabondi, o per imprese lascive, ma per con servare la stessa modestia e pudicizia, come persone nutri te non tanto di una cena, quanto di uno stile di vita. 20. Questa riunione di cristiani è giustamente illecita se è pari a quelle illecite, va giustamente condannata se non è dissimile da quelle condannabili, se qualcuno la contesta allo s t e s s o titolo con cui querela le altre faz i o n i . 21. C i siamo riuniti talvolta a danno d i qualcuno? D a riu niti, siamo la stessa cosa che da separati; tutti insieme siamo la stessa cosa che da singoli; non offendiamo nessu no, non contristiamo nessuno. Quando si radunano gli onesti, quando si radunano i buoni, quando si riuniscono i pii e i casti, non si può parlare di fazione, ma di assemblea.
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I cristiani non sono causa delle pubbliche sciagure
l. Al contrario, si deve attribuire il nome di fazione a quelli che cospirano per odio verso i buoni e gli onesti, a quelli che gridano contro il sangue degli innocenti, addu cendo a pretesto dell'odio anche quella futile opinione
F R, om. Vulg. 100 deaquaeritur R Il quo R 103 neminem laedentes] Vulg., om. F R.
101 cuius] ciuius R
XL, l :XXXX . ET CONTRA ETIINICAM RATIONEM S P al. factionum (F) edd. factionibus cap. XXXIX, l. 100, sed e contra l. 105 factio legi tur) 3 qui aduersus] Oh, qui aduersum (F) Vulg., quid aduersus R 4 piane] R, prob. LO/ Kr. 87, sane (F) Vulg.
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uanitatem, quod existiment omnis publicae cladis, omnis popularis incommodi a primordio temporum Christianos esse in causa. 2. Si Tiberis ascendit in moenia, si Nilus non ascendit in rura, si caelum stetit, si terra mouit, si fames, si lues, statim «Christianos ad leonem ! ». Tantos ad unum? 10 3. Oro uos, ante Tiberium, id est ante Christi aduen tum, quantae clades orbem et urbem ceciderunt? Legimus Hieran <et> Anaphen et Delon et Rhodon et Co insulas multis cum milibus hominum pessum abisse. 4. Memorat et Plato maiorem Asiae uel Mricae terram Adantico mari 15 inereptam. Sed et mare Corinthium terrae motus ebibit, et 5
2, 7 -9. Cf. TERT., Ad nat. I, 9, 3 : «Si Tiberis renuuit, si Nilus non renundauit, si caelum stetit , si terra mouit, <si lues> tiua uastauit, si fames afflixit , statim : " Christi< anorum meri>tum ! "». 3, 10-13. Cf. TERT., Ad nat. I, 9, 5: «Quantae dades ante id spa tium supra universum orbem [ad] singulas urbes et prouincias cecide runt . . . ? » . I , 9, 6: «Vbi tunc Christiani, cum Hiera Anape et Ddos et Rhodos et Cea insula multis cum milibus hominum pessum ierunt ... ». 4, 13-17. Cf. TERT. , Ad nat. I, 9, 6: « . . . uel quam Plato memorat maiorem Asia aut Mrica in Aùantico mari mersam?». l, 9, 7 : « . . . Cum terrae motu mare Corinthium ereptum est? . . . ». 5/6 omnis publicae usq. incommodi] (F) Vulg . , omnis popularis, omnis publicae (puplicae ms. ) cladis incommodi R 6 a primordio temporum] Hav, in primordio temp. F R, om. Vulg. 7 in causa] F Z V L, in causam R S P r, causam re!. Il maenia R 8 rura] F R, arua Vulg. Il stetit] (F) Vulg. (cf. Ad nat. I, 9, 3), non stetit R 9 leonem] R Gel. Walt., leonenem S P inclamant add. F, adclamant add. Vulg., «opus non est» (Haverkamp) (cf. De exhort. cast., XII, 4: non sint qui acclament: Christianis leonem), a uoce unum /inem habet R 11 orbem] urbem P. corr. I l urbem] (F) dett. , urbes opt. Vulg . 12 Hieran <et> Anaphen et Delon] coni. Hoppe, Hienarrande penes Ddon F, hieran napean et delon S P, hieramapean et· delon r al. a/iter, Hierapolim et Delon edd. Il cho S P 13 abiisse (F) 14 uel] S P al.,
XL, 1 -4 {5-15)
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secondo cui ritengono i cristiani responsabili dall'inizio dei tempi di ogni pubblica calamità, di ogni disgrazia della gente. 2. Se il Tevere sale fino alle mura, se il Nilo non inonda i campi, se il cielo resta fermo (senza piogge) , se c'è un terromoto, se c'è la carestia, la peste, subito (si grida) «l cristiani al leone! ». Così tanti per un solo leone? I 3 . Vi chiedo: prima di Tiberio, cioè prima della venuta di Cristo, quanti disastri si abbatterono sul mondo e su Roma? Leggiamo che le isole di !era <e> Anafe, Delo, Rodi, Co sprofondarono con molte migliaia di uomini. 2 4. Anche Platone ricorda che una terra più vasta dell ' Asia o dell'Mrica fu strappata dal mare Atlantico. Inoltre un ter remoto sconvolse il mare di Corinto, e la violenza delle
et (F) y al. edd. 15 inereptam] F, prob. LO/ Kr. 91 Walt., interceptam Hoppe dubitanter
sq. ,
ereptam Vulg.
1. Si Tiberis , si NiJus, etc. Le catastrofi naturali - come le inon dazioni assai frequenti del Tevere, e le mancate inondazioni del Nilo - vengono attribuite dalla mentalità popolare alla responsabilità dei cristiani che turbano la pax deorum. È la versione religiosa del nostro: «piove: governo ladro». Segue (n. 3 -8) l'elenco di una serie di catastrofi naturali awenute prima di Tiberio, e pertanto del tutto indipendenti dalla comparsa del cristianesimo nel mondo. Questa parte in chiave negativa è parallela alla polemica in chiave positiva di Apol. XXV , dove si confutavano quanti attribuivano agli dèi pagani le antiche vittorie di Roma; inoltre anticipa la polemica - molto viva nel IV e ancora nel V secolo - contro l'impero romano-cristiano dopo la s confitta di Adrianopoli, che provocò le risposte di Ambrogio, di Agostino e Orosio. 2 . Hieran <et> Anaphen, etc. Sono tutte isole dell'Egeo, eccetto Hiera, identificabile forse con una delle Egadi (l'attuale Marettimo) o con una delle Eolie (l'attuale Vulcano). Ma potrebbe trattarsi di Thera (Santorino), nelle Cicladi, inabissatasi nel XV secolo a. C. a seguito di una terribile eruzione vulcanica. Essa è nominata insieme a Delo, a Rodi e ad Anafe da Plinio (Nat. Hist. II, 89, 202 ) , che ricorda appunto una Hiera nell'Egeo. .••
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uis undarum Lucaniam abscisam in Siciliae nomen rele gauit . Haec utique non sine iniuria incolentium accidere potuerunt. 5. Vbi uero tunc, non dicam deorum uestro rum contemptores Christiani, sed ipsi dei uestri, curo 20 totum orbem cataclysmus aboleuit, uel, ut Plato putauit, campestre solummodo? 6. Posteriores enim illos clade diluuiia contestantur ipsae urbes, in quibus nati moratique sunt, etiam quas condiderunt; neque enim alias in hodier num m an e rent , nisi et i p s a e postumae cladis illiu s . 2 5 7. Nondum Iudaeorum a b Aegypto examen Palaestina susceperat, nec iam illi c Christianae sectae origo consede rat, curo regiones affmes eius Sodoma et Gomorra igneus imber exussit.h Olet adhuc incendio terra, et si qua illi c arborum poma, conantur oculis tenus, ceterum contacta 30 cinerescunt. 8. Sed nec Tuscia iam atque Campania de C h ri s t i a n i s q u e r e b a n t ur, curo Vul s i n i o s de c a e l o , Pompeios de s u o monte perfu dit ignis . N e m o adhuc
5 , 1 8-19. Cf. TERT. , Ad nat. I, 9, 8: «Vhi tunc, non dicam con temptores deorum Christiani, sed ipsi dei uestri . . . ».
6, 2 1 -24. Cf. TERT., Ad nat. I, 9, 8: « . . . quos clade illa posterio in quibus nati morati sepolti sunt, etiam
res loca, oppida approbant,
quae ondiderunt? Non alias enim superfuissent ad hodiernum, nisi po<st>uma dadis illius».
8, 3 1 -32. Cf. TERT., Ad nat. I, 9, 7: «Cum Vulsinios de cado, Tarpeios de suo monte perfudit ignis?». a.
d. Gen 7-8
b. cf. Gen 19, 1 -29
16 abscisam] F Vulg., Italiae abscis(s)am Z edd. 20 udud S P 22 Ad nat. L 9, 8) , mortuique Vulg., 23 alias] Vulg. (d. Ad nat. l. c. ), illae F Il in] F r Z edd., om. cet. 25 Iudaeorum] F, iudaeum Vulg. 27 affines] F Vulg., ac fines r y edd. 28 si qua] quasi Pl , corr. p2 29 conantur] F Vulg., oriantur r al. Rh Barr., cemantur Z V 30 cinerescunt] Vulg. , cineres sunt F Il imn] F, tunc add. Vulg. 31 Vulsinios] (F) edd., ulscinios S, ulcinios pl y, ulsinios J'2, al. a/iter moratique] F (cf.
32 perfudit] F Vulg. , profudit edd.
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onde staccò una parte della Lucania che assunse il nome di Sicilia. Certamente queste cose non poterono accadere senza danno per gli abitanti.3 5. Dov'erano allora - non dico i cristiani, disprezzatori dei vostri dèi - ma gli stessi vostri dèi, quando il diluvio distrusse tutta la terra, o, come pensò Platone, soltanto le pianure? 6. Che gli dèi siano posteriori al disatro del diluvio lo attestano le stesse città in cui sono nati e hanno dimorato, e anche quelle che hanno fondato; altrimenti queste non sussisterebbero ancor oggi, se non fossero posteriori a quel disastro. 7. La Palestina non aveva ancora accolto il popolo dei Giudei usciti dall'Egitto, né là si era insediato - popolo che è all'origine della setta cristiana - quando una pioggia di fu oco distrusse le regioni confinanti di S o doma e Gomorra. Quella terra odora ancora di bruciato; e sebbe ne là si vedano frutti di piante, questi tentano solo gli occhi perché, toccati, si riducono in cenere. 8. Né la Toscana né la Campania avevano di che dire sui cristiani, quando il fuoco raggiunse Volsini (Bolsena) dal cielo, e Pompei dal suo monte (Vesuvio).4 Nessuno a Roma adora-
3 . Memorat et Plato, etc. Del cataclisma in cui scomparve Atlantide, 9000 anni prima di Solone, parla Platone nd Crizia e nd Timeo. Alcuni ritengono che egli alluda alla catastrofe di Thera. ll terremoto con maremoto che colpì il golfo di Corinto è probabil mente quello del 373 a. C . , che distrusse le città di Elice e Bura nell'Acaia (DIOD., XV, 48-49; PLIN., Nat. Hist. Il, 94, 206). Plinio parla anche dd distacco della Sicilia dall 'Italia (lb., II, 90, 204). 4 . Vulsinios de caelo, Pompeios de suo monte, etc. Di Volsini bruciata da un fulmine parla anche Plinio (Nat. Hist. II, 52, 139). Si è pensato ad un episodio avvenuto nel 93 a. C., e ricordato anche da Giulio Ossequente (Liber de prodigiis 53) . Ma . una catastrofe ben più grave sembra essersi verificata in età protostorica con lo sprofondamento dell'abitato nd lago di Bolsena. Cf. A. BARZANÒ, Antiche tradizioni etrusche . , in CISA 15 ( 1 989) 3 ss. La catastrofe di Pompei è quella ben nota, seguìta all'eruzione dd Vesuvio nel 79 d. C. (Pr.IN . , Ep. 6, 16). .
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Romae Deum uerum adorabat, cum Hannibal apud Cannas Romanos anulos caede sua modio metiebatur. Omnes dei uestri ab omnibus colebantur, cum ipsum Capitolium Senones occupauerunt. 9. Et bene quod, si quid aduersi urbibus accidit, eaedem clades templorum quae et moenium fuerunt, ut iam et hoc reuincam, non ab bis euenire, quae et ipsis similia euenerunt. 10. Semper humana gens male de Deo meruit: primo qui dem ut inofficiosa eius, quem cum intellegeret ex parte, non solum non requisiuit timendum, sed et alios sibi citius commenta, quos coleret; dehinc quod non inquirendo innocentiae magistrum et nocentiae iudicem et exactorem omnibus uitiis et criminibus ìnoleuit. 1 1. Ceterum si requi sisset, sequebatur, ut cognosceret requisitum et recogni tum obseruaret et obseruatum propitium magis experire tur quam iratum. 12. Eundem igitur nunc quoque scire debet iratum, quem et retro semper, priusquam Christiani nominarentur. Cuius bonis utebatur ante editis quam sibi deos fmgeret: cur non ab eo etiam mala intellegat euenire, cuius bona esse non sensit? Illius rea est, cuius et ingrata. 34 Romanos] F, per romanos Vulg. ll caede sua] F, caedes suas Vulg. 35 dii S P Il colebrantur P co". 36 occupauerunt] (F) edd. occu pauerant Vulg. 37 XXX:XI . DE ADVERSIS VRBIVM S P al. Il accidit urbibus (F) r edd. Il eaedem] Vulg . , eadem F, aedium Rh Barr. 38 templorum quae] F Vulg., templorumque Rh Ba". Il et hoc] F, et om. Vulg. 39 ab his usq. euenerunt] F, ab eis euenire quia et ipsis euenit Vulg. 40 semper] F Vulg., semper et r Rh l , semper enim Rb3 Ba". 41 intellegerent S P co". 42 non solum usq. timendum] F, om. Vulg. 42/43 sibi citius commenta] F, insuper sibi commen tata Vulg. 45 uitiis ... inoleuit] F Vulg. , uitiis . . . incoluit Rh l , se uitiis . . . inuoluit Rh 3 Barr. 47 magis p ropitium (F) r edd. 48 igitur] Vulg., ergo (F) edd. 5015 1 deos sibi (F) r y al. edd. 5 1 intellegant S P co". 52 cuius et ingrata] Vulg., prob. LO/ Kr. 92 sq. , cuius bonis ingrata est F 5. Hannibal apud Cannas, etc. La sconfitta romana di Canne nd 2 1 6 a. C. ad opera di Annibale è descritta da Livio (XXII, 44 ss.)
XL, 8-12 (33-52)
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va ancora il vero Dio quando, presso Canne, Annibale misurava con il moggio gli anelli romani frutto della sua strage. Tutti i vostri dèi erano da tutti venerati quando i (Galli ) Senoni occuparono lo stesso Campidoglio.5 9. Per fortuna, se capitò qualcosa di avverso nelle città, gli stessi disastri colpirono sia i templi che le mura, così da poter concludere che i disastri non provengono dagli dèi, ossia da coloro ai quali capitarono le stesse cose. 10. La stir pe umana meritò sempre il castigo da Dio. In primo luogo perché, incurante di lui - pur conoscendolo parzialmente -, non solo non lo cercò per temerlo, ma inventò ben presto altri dèi da adorare; in secondo luogo perché, non ricercan do il maestro dell'innocenza, il giudice e vindice della colpa, si abituò ad ogni genere di vizi e di delitti. 11. Se invece l'avesse cercato, l'avrebbe di conseguenza conosciuto; cono sciuto, l'avrebbe adorato; adorato, l'avrebbe trovato benigno più che adirato. 12. Deve dunque sapere che anche ora è adirato questo Dio che lo è in precedenza da sempre, prima che si parlasse dei cristiani. Essa godeva dei suoi benefici prima di fabbricarsi degli dèi. Perché allora non capire che anche i mali provengono da Colui di cui non comprese i beni ricevuti? Essa è colpevole verso Colui di cui è ingrata.
che conclude il suo racconto (lb., 50, l ) confrontando il disastro di Canne con quello dell'Allia (affluente di sinistra del Tevere presso Saxa Rubra) che portò i Galli alla conquista di Roma. Livio è anche la fonte a cui si ispira Tertulliano per il calcolo in moggi degli anelli aurei tolti ai cavalieri romani caduti in battaglia (lb., XXIII, 12); particolare ripreso da Grosio (IV, 16, 5) e da Dante (In/ XXVIII, 1 1 - 12). Sulla conquista del Campidoglio dopo la battaglia dell'Allia il 18 luglio 3 86 a. C. (390 vulg.) Tertulliano non segue invece la ver sione edulcorata di Livio (derivata probabilmente da Fabio Pittore), secondo cui il Campidoglio si salvò dalla conquista (V, 4 1 ) , ma quel la più storicamente attendibile di Ennio (Ann. I, 64 ss.), ripresa poi da Lucano (Phars. V, 270) e da Tacito (Ann. XI, 23 ), secondo cui anche il Campidoglio fu conquistato dai Galli prima dell'arrivo di Camillo. Cf. M. SORDI, Il Campidoglio e l'invasione gallica del 386 a. C., in CISA 10 ( 1 984) 82 ss.
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13. Et tamen, si pristinas clades comparemus, leuiora nunc accidunt, ex quo Christianos a Deo orbis accepit. Exinde enim et innocentia saeculi iniquitates temperauit et deprecatores Dei esse coeperunt. 14. Denique cum ab imbribus aestiua hibema suspendunt et annus in cura est, uos quidem cottidie pasti statimque pransuri, balneis et cauponis et lupanaribus operantibus, aquilicia loui immolatis , nudipedalia populo denuntiatis , caelum apud Capitolium quaeritis, nubila de laquearibus exspectatis, auersi ab ipso et Deo et caelo. 15. Nos uero ieiuniis aridi et omni continentia expressi, ab omni uitae fruge dilati, in sacco et cinerea uolutantes inuidia caelum tundimus, Deum tangimus et, cum misericordiam extorserimus , luppiter honoratur!
XLI. l. Vos igitur importuni rebus humanis, uos publi corum incommodorum illices semper, apud quos Deus spernitur, statuae adorantur! Vtique enim credibilius haberi debet eum irasci, qui neglegatur quam qui coluntur. 2. Sed ne illi iniquissimi, qui propter Christianos etiam cultores suos laedunt, quos separare deberent a meritis Christianorum ! Hoc, inquitis, et in Deum uestrum reper cutere est, qui et ipse patitur, propter profanos etiam suos
a. d. Gdt 4, 1 1 ; 9, l ; Est 4, l . 3 ; l Mac 3 , 47 ; Is 58, 5; Lam 2, 10; Ez 27, 30-3 1 ; Dn 9, 3 ; Gn 3 , 6; Mt 1 1 , 2 1 ; Le 10, 13
53 et] F Vulg., etiam r y al. edd. 54 adeo F 55 exinde] F, ex eo S P, ex quo cet. 58 cottidie] codie P co". 59 cauponis] (F) W L edd. , cauponiis uel cauponeis cet. Il operantibus] F Vulg., operati edd. Il aquicilia P co". 63 expressi] F Vulg., aspersi Rh Barr. 64 uoluitantes S P 65 honoratur] Vulg., a uobis, deus negligitur add. F, dubitanter admisit Walt.
XL, 1 3 - 1 5 (53 -66) - XLI, 1 -2 0 -8)
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13. Tuttavia, in confronto alle precedenti catastrofi, quelle odierne sono più lievi da quando il mondo ha rice vuto da Dio i cristiani. Da allora, infatti, l'innocenza ha temperato le iniquità del mondo e hanno iniziato ad esser ci degli intercessori di Dio. 14. Del resto, quando inverni che sembrano estati trattengono le pioggie e si rischia l'annata, voi - pur quotidianamente sazi e sempre pronti a mangiare, mentre continua l'attività delle terme, delle taverne e dei lupanari - offrite sacrifici a Giove per invo care la pioggia, ordinate al popolo processioni a piedi nudi, cercate il cielo salendo sul Campidoglio, aspettate la pioggia dai soffitti dei templi, lontani dallo stesso Dio e dal cielo. 1.5. Noi, invece, emaciati da digiuni e estenuati da ogni specie di continenza, lontani da ogni piacere dell� vita, avvolti di sacco e cenere bussiamo con insistenza il cielo, commoviamo Dio. Ma dopo che noi abbiamo otte nuto misericordia, viene onorato Giove ! 41
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Diversità tra cristiani e pagani nelle comuni disgrazie
1 . Voi, dunque, (pagani) siete di danno all'umanità, sempre provocatori di pubbliche calamità, voi presso cui Dio è disprezzato e le statue (degli dèi) sono adorate ! Infatti, è da ritenere più credibile che ad adirarsi sia lui che viene trascurato, anziché gli dèi che sono venerati. 2. Di certo sono ben ingiusti quegli dèi che a causa dei cristiani danneggiano anche i loro adoratori, mentre dovrebbero preservarli dai castigi dei cristiani ! Questo voi dite - si può ritorcere anche contro il vostro Dio, poi ché anch'egli permette che a causa degli empi siano colpiti XLI, l XXXXII . QVOD DEVS SPERNITVR ET STATVAE ADO RANTVR S P al. 112 publicorum incommodorum] F, rei pubi. inc. Vulg., uos malorum add. edd. 3 utique enim] F (cf. Ad nat. I, 5, 1 0; De resurr. 5, 3 ) , etenim Vulg. 5 sed ne] F, aut ne Vulg., anne dett. I l qui] F, si Vulg. 8 qui] F, si quod Vulg., si quid Z, si quidem edd. , quod Rig. Il patitur] F, patiatur Vulg. 8/9 cultores suos (F) dett. edd.
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cultores laedi. Admittite prius dispositiones eius, et non retorquebitis. 3. Qui enim semel aeternum iudicium desti nauit post saeculi finem, non praecipitat discretionem, quae est condicio iudicii, ante saeculi finem. Aequalis est interim super omne hominum genus et indulgens et inces sen s ; communia uoluit esse et commoda profanis et incommoda suis, ut pari consortio omnes et lenitatem eius et seueritatem experiremur.a 4. Qui autem ita discimus apud ipsum, diligimus lenitatem, metuimus seueritatem; uos contra utramque despicitis: et sequitur, ut omnes sae culi plagae nobis, si forte, in admonitionem a Deo obueniant, uobis in castigationem.b .5 . Atquin nos nullo modo laedimur: imprimis quia nihil nostra refert in hoc aeuo, nisi de eo quam celeriter excedere; dehinc quia, si quid aduersi infligitur, uestris id meritis deputatur. Sed et si aliqua nos quoque praestringunt ut uobis cohaerentes, laetamur magis recognitione diuinarum praedicationum; confirmamur, ut scilicet fidu ciam et fidem spei nostrae agnoscentes [confirmantium scilicet fiduciam et fidem spei nostrae] . 6. Sin uero ab eis, quos colitis, omnia uobis mala eueniunt nostri causa, quid colere perseueratis tam ingratos, tam iniustos, qui magis uos in dolore Christianorum iuua re et asserere debuerant?
a. d. Mt
13, 24-30. 36-43
b. d. Mt 24; Mc 1 3 ; Le 2 1
13/14 incessens] F, increpans Vulg. I l alt. et] F Vulg . , om. edd. 16 qui autem ita discimus] F, qui(a) haec ita didicimus Vulg . , qui aequitatem didicimus G L Rh 3 Ba". 18 dispicitis S P Il et] F Vulg. , etiam r y edd. 19 si] F Vulg . , om. Rh Ba". 19/20 a deo obueniunt, uobis in castigationem F, uobis in cast. a deo obue niant (eueniant ()a) Vulg. 21 atqui (F) Z edd. 23 id] F, om.
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pure i suoi adoratori. Ma prestate prima attenzione ai suoi disegni, e non replicherete. 3. Infatti, chi ha definitivamen te fissato il giudizio dopo la fine del mondo, non anticipa questa separazione, che è condizione del giudizio, prima della fine del mondo. Nel frattempo egli è ugualmente indulgente e rigoroso verso tutto il genere umano; ha volu to che fossero comuni i vantaggi anche per gli empi e gli svantaggi anche per i suoi, perché tutti insieme in pari misura sperimentassimo la sua dolcezza e la sua severità. 4. Noi che abbiamo imparato questo da lui, amiamo la sua dolcezza, temiano la sua severità; voi, al contrario, disprez zate l'una e l'altra. Ne segue, semmai, che tutti i flagelli del mondo provengono da Dio come ammonimento per noi, per voi invece come castigo. 5. Ma in nessun modo noi ne soffriamo danno: anzitut to perché nulla ci interessa in questo mondo, se non di uscime al più presto; poi perché, se ci viene inflitta qual che avversità, va attribuita alle vostre colpe. Ma se anche soffriamo qualcosa, poiché viviamo assieme a voi, ci ralle griamo piuttosto nel vedere realizzate le divine profezie; siamo confermati, poiché constatiamo cioè la fiducia e la saldezza della nostra speranza [che confermano cioè la fiducia e la saldezza della nostra speranza] . 6. Se, invece, tutti i mali vi provengono per causa nostra dagli dèi che voi adorate, perché continuate ad ado rare dèi tanto ingrati, tanto ingiusti, che avrebbero dovuto piuttosto aiutarvi e proteggervi nel dolore causato dai cri stiani?
Vulg. Walt. 24/25 perstringunt (f) L edd. 26/28 confirmamur usq. agnoscentes f, prob. Thor. IV, 1 1 3 sq . , confirmantium usq. nostrae Vulg. Walt. 29/30 sin uero usq. causa] Vulg., iam uero si ab bis molitis, omnia uobis male ueniunt nostri caussa F 30 quid colere] Vulg., cur colere eos F Walt. 32 debuerant] F, quos separare deberent a meritis christianorum Vulg. (ex cap. XLI, 2) .
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XLII. l. Sed alio adhuc iniuriarum titulo postulamur, et infructuosi negotiis dicimur. Quo pacto homines uobi scum degentes, eiusdem uictus, habitus, instructus, eius dem ad uitam necessitatis? Neque enim Brachmanae aut Indorum gymnosophistae sumus, siluicolae et exsules uitae. 2. Meminimus gratiam debere nos Deo domino creatori: nullum fructum operum eius repudiamus, piane temp eramus , ne ultra modum aut perperam utamur. Itaque non sine foro, non sine macello, non sine balneis, tabernis , officinis, stabulis, nundinis uestris ceterisque commerciis cohabitamus hoc saeculum. 3. Nauigamus et nos uobiscum et uobiscum militamus et rusticamur et mercamur; proinde miscemus artes, operas nostras publi camus usui uestro. Quomodo infructuosi uidemur negotiis uestris, cum quibus et de quibus uiuimus, nescio. 4. Et si caerimonias tuas non frequento, attamen et illa die homo sum. Non lauo sub noctem Saturnalibus, ne et noctem et diem perdam; sed lau� et debita hora et salubri, quae mihi et calorem et sanguinem seruet: frigere et pallere
XLII, l XXXXIII. QVOS INFRVCTVOSOS NOS DICVNT S P al. adhuc] F, quoque Vulg . 2 negotiis] F, in negotiis Vulg. 4 brahmanae S P, al. a/iter 5 gymnosofistae S P 6 nos debere domino deo (F) edd. , nos debere deo domino dett. 8 ne] (F) edd., nec Vulg. Il mutamur S P r y 1 1 cohabitamus. hoc saecu lum nauigamus dist. F I l hoc saeculum] F, in p raem. Vulg . 12 alt. uobiscum] F, om. Vulg. 13 mercamur] (F) r L edd. , mer catus Vulg., prob. Oehl. Hoppe, distinguentes: mercatus proinde miscem u s , artes I l operas n o s t r a s ] F, opera n o s t ra Vu lg . 14 uideamur (F) edd. Walt. 15 nescio] F , non scio Vulg. 16 et si] F, sed si Vulg. Il et illa] F Vulg., et om. r edd. 17 lauo sub noctem] F, lauor diluculo Vulg. 18 lauo et debita hora] F, lauòr honesta hora Vulg. 19 colorem (F) L Rb3 Barr. Il frigere] F (cf. cap. VI, 3; XXXVIII, 3 ) , rigere Vulg. (cf. De pali. 5, 2)
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I cristiani non sono inutili
1. Ma anche ad altro titolo siamo accusati di farvi torto, poiché siamo ritenuti improduttivi agli affari eco nomici.1 In che modo, visto che siamo uomini che vivono insieme a voi, mangiano come voi, vestono come voi, usano gli stessi arredi, hanno le stesse necessità di vita? Non siamo, infatti, Bracmani o gimnosofisti indiani, abita tori delle selve che vivono fuori del mondo civile. 2. Ci ricordiamo di dover gratitudine a Dio signore e creatore: non rifiutiamo alcun frutto delle sue opere, anche se ci moderiamo per non usame smodatamente o malamente. Viviamo, pertanto, in questo mondo con voi, frequentan do il foro, il macello, le tenne, le botteghe, le officine, le pensioni, i vostri mercati e gli altri luoghi commerciali. 3. Navighiamo anche noi con voi, e con voi siamo nell'e sercito; coltiviamo la terra, commerciamo; inoltre, ci scam biamo quanto produciamo, vendendo i nostri prodotti a vostro uso. Come si possa ritenerci inutili ai vostri affari, in mezzo ai quali e dei quali viviamo, non lo so. 2 4. E sebbene non frequenti le tue cerimonie, nondime no in quel giorno sono un uomo. Non faccio il bagno all'alba dei Satumali per non perdere la notte e il giorno, ma mi lavo a un'ora conveniente e salubre, che mi conservi calore e vigore: potrò soffrire il freddo e sbiancare dopo il
L et infructuosi negotiis dicimur. I cristiani sono accusati di in/ructuositas, poiché col loro stile di vita danneggiano lo sviluppo
economico e il commercio. 2. homines uobiscum degentes, eiusdem uictus, etc. Tertulliano, non ancora montanista, insiste sul modo di vivere dei cristiani, che è quello di tutti: per il vitto, il vestito, l'istruzione, i luoghi (il foro, i bagni, le taverne), i mestieri e le professioni praticate, la navigazione, il commercio, il servizio militare («Vobiscum militamus»). I cristiani non sono né bramini, né gimnosofisti (cioè saggi nudi: da rvJL v6ç nudo, e aocpl0'1'7Jç sapiente) - asceti indiani che la conquista di Alessandro Magno aveva fatto conoscere in Occidente - che vivevano allo stato di natura, e di cui parlavano Plinio il Vecchio e Stabone.
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post lauacrum mortuus possum ! 5. Non in publico Liberalibus discumbo, quod bestiariis supremam cenantibus mos est; attamen ubicumque de copiis tuis ceno. 6. Non emo capiti coronam: quid tua interest, emptis nihilo minus floribus quomodo utar? Puto gratius liberis et solutis et undique uagis; sed et si in coronam coactis, nos coronam naribus nouimus: uiderint qui per capillum odorantur ! 7. Spectaculis non conuenimus: quae tamen apud illos coetus uenditantur si desiderauero, liberius de suis locis sumam. Tura piane non emimus; si Arabiae queruntur, sciant Sabaei plures et cariores suas merces Christianis sepeliendis profligari quam deis fumigandis. 8. Certe, inquitis, templorum uectigalia cottidie deco quunt: stipes quotusquisque iam iactat? Non enim suffici-
21 suprema (F) dett. edd. 22 ubicumque] F, ubi Vulg. 24 gra tius] F, esse add. Vulg. 2S/26 nos coronam naribus nouimus] Vulg., uos enim non nouimus F, non coronam naribus admouimus Rh Barr. 28 si] Vulg., quod ego si F, prob. Thor. IV, 124 sq. , quan do ego si coni. Hoppe Il de suis] Rau. Walt. Hoppe, de suis, de pro priis F, prob. Thor. IV, 126 sq. , de propriis Vulg. 29 sumam. (Thura) F, sumantur Vulg., sumere Rh, sumo. Thura G Rh3 Barr. 30 plures et chariores F, pluris et carioris Vulg. 3 . Non lauo sub noctem Satumalibus, etc. La festa dei Saturnalia, che comprendeva oltre ai bagni anche banchetti e scambio di doni, iniziava il 17 dicembre e si prolungava per vari giorni, fino a sette con Domiziano. Essa si configurava come un ritorno all'età dell'oro. 4. Non in publico Liberalibus discumbo, etc. I Liberalia erano feste in onore di Cerere, Libero e Libera, celebrate il 17 marzo. Durante i Liberalia, con cerimonie private e pubbliche, i giovani romani - giunti al quindicesimo anno di età - assumevano la toga virile. Libera coena era detta la cena che i bestiarii (prigionieri, con dannati a morte o schiavi) consumavano per l'ultima volta prima di combattere contro le fiere nel circo (cf. Passio Perpetuae et Felicitae, cap. XVII, p. 1 86 Lazzati).
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bagno da morto ! 3 5. Non siedo a tavola in pubblico nelle feste Liberali, come è abitudine dei bestiari per l'ultimo pranzo; tuttavia ceno ovunque con i tuoi prodotti.4 6. Non compro corone per cingermi il capo: che t'importa, una volta comprati i fiori, in che modo li usi? Ritengo più grazioso !asciarli liberi, sciolti, sistemati qua e là. Ma, pur intrecciati a corona, odoriamo la corona con le narici; non ci importa se altri ne aspirano il profumo coi capelli ! 5 7. Non partecipiamo agli spettacoli; ma se desiderassi acquistare le cose che si vendono là, le potrei acquistare più liberamente nei loro negozi. Di certo non compriamo incenso. Se le Arabie se ne lamentano, sappiano i Sabei che le loro merci sono consumate in maggior quantità e a maggior prezzo per seppellire i cristiani piuttosto che per affumicare gli dèi. 6 8. «Di certo - voi dite - ogni giorno si assottigliano le rendite dei templi: chi vi getta ancor monete?». Ora, non possiamo prestare aiuto agli uomini e anche ai vostri dèi
5 . Non emo capiti coronam, etc. La corona di fiori e di foglie veni va già usata nel mondo greco in occasione di sacrifici e di banchetti. A Roma era considerata una ricompensa per il valore dimostrato: la trionfale (di alloro), l'ossidionale (di erba gramigna) , la civica (di quercia) . Tertulliano, ormai montanista, nel 2 1 1 scriverà il De coro na militis per esaltare il gesto di un soldato cristiano della III Legione (Augusta) che - solo fra i commilitoni, pure cristiani aveva rifiutato di cingersi della corona in occasione di una liberalitas imperiale, ritenendo il gesto un atto di idolatria. Per la Grande Chiesa, invece, contro cui Tertulliano nel 2 1 1 ormai polemizza, que sti gesti avevano perso ogni significato religioso e rientravano nel more comuni (che Tertulliano stesso in precedenza accettava), cosic ché il rifiutarli era un'inutile provocazione. 6. Spectatulis non conuenimus, etc. n rifiuto da parte dei cristiani degli spettacoli, sia quelli teatrali del mimo e pantomima, sia quelli del circo, era giustificato dall'immoralità degli uni e dalla violenza degli altri. Tertulliano su questo scriverà il De spectaculis. si Ara biae queruntur, sciant Sabaei, etc. I Sabei erano gli abitanti dell'Arabia sudoccidentale, l'Arabia Felix, produttrice di incenso.
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mus et hominibus et deis uestris mendicantibus opem ferre, nec putamus aliis quam petentibus impertiendum. Denique porrigat manum luppiter et accipiat, cum interim plus nostra misericordia insumit uicatim quam uestra reli gio templatim. 9. Sed et cetera uectigalia laeduntur! Sufficit, si cetera gratias Christianis agunt ex fide dependentibus debitum, cum alieno fraudando abstinemusa: ut, si ineatur quantum publico pereat et fraude et mendacio uestrarum professio num, facile ratio haberi possit, unius speciei querela com pensata pro ceterarum rationum securitate.
XLIII. 1. Piane confitebor, quinam, si forte, uere de sterilitate Christianorum conqueri possint. Primi erunt lenones, perductores, aquarioli, tum sicarii, uenenarii,
a.
cf. Mt 22, 15-22 (//); Mc 10, 19; Rm 1 3 , 7
39 sed et usq. si cetera] F, sed cetera uectigalia Vulg. 40 agunt] F, agent Vulg. 4 1 cum] F, qua Vulg. 42 publico] F, uectigalibus Vulg. 43 et fraude] F, et om. Vulg. 43/44 compensata] Vulg., compensato F 44 pro ceterarum rationum securitate] F, pro com modo cet. rat. Vulg.
XLIII, l XXXXIII. DE LENOCINIO S P al. quinam] Vulg., quo niam F Il si fone] F Vulg., si qui edd. 2 possint] Vulg., possunt F Il erunt] F Vulg., sunt Z Barr. 3 aquarioli] Vulg., harioli F W Il seca rii S P Z V
XLII, 8-9 (34-44) - XLill , l { 1 -3 )
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mendicanti, né riteniamo di dover dare aiuto se non a quelli che lo chiedono. Giove, quindi, tenda la mano e riceva, poiché nel frattempo la nostra misericordia elargi sce più per i vicoli che la vostra religiosità nei templi. 7 9. «Ma anche le rendite degli altri tributi vanno male ! ». Per le altre rendite ringrazino pure i cristiani che pagano fedelmente le tasse astenendosi dal frodare, perché - se si facesse il calcolo di quanto l'erario perde per le frodi e le menzogne delle vostre dichiarazioni fiscali - si potrebbe facilmente comprendere che la lamentela per un solo man cato introito è largamente compensata dalla sicurezza di tutte le altre entrate. 8
43 - I cristiani non favoriscono i guadagni illeciti l. Mostrerò invece chi, semmai, potrebbe lamentarsi a buon diritto della sicura improduttività dei cristiani. Per primi saranno i lenoni, i corruttori, i mezzani; poi i sicari, gli avvelenatori, i maghi; ugualmente gli aruspici, gli indo-
7. templorum uectigalia. Le rendite dei templi erano collegate alle offerte e ai sacrifici, che i cristiani ovviamente non facevano. Già nella lettera di Plinio a Traiano (Ep. X, 96) la diminuzione dell'ac quisto di carne delle bestie sacrificate, a causa della diffusione del cristianesimo, appare una delle cause delle denuncie anticristiane. Un precedente può essere considerato il tumulto degli argentieri ad Efeso (At 19, 2 1 -4 1 ) . 8. ex fide dependentibus debitum, cum alieno fraudando abstine mus. I cristiani pagano le tasse e i tributi, e non frodano. È nota su questo punto la posizione della morale cristiana in conformità agli insegnamenti scritturistici. Plinio stesso, nella sua lettera a Traiano, sottolinea la fedeltà dei cristiani nel restituire i depositi ricevuti.
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magi, item haruspices, harioli, mathematici. 2. His infructuosos esse magnus est fructus. Et tamen, quodcumque dispendium est rei uestrae per hanc sectam, cum aliquo utique praesidio compensari potest. Quanti habetis, non dico iam qui de uobis daemonia discutiant [excutiant] , non dico iam qui pro uobis quoque uero Deo preces ster10 nant, quia forte non creditis, sed a quibus nihil timere pos sitis? 5
XLIV. l. At enim illud detrimentum reipublicae tam uerum quam grande nemo circumspicit, illam iniuriam ciuitatis nullus expendit, cum tot iusti impendimur, cum
4 arioli S P 7 utique] F, om. Vulg. Il potest] :XXXXV . DE EXORCISMA TE S P al. Il quanti] F Vulg., quantos edd. 8 iam qui] F, qui iam Vulg . I l d i s c utiant F, e x c u t i a n t Vu lg . ( cf. Th or. IV, 4 6) 9/10 sternant] Vulg., fundant F 10 quia forte non creditis] Vulg., om. F quod forte non creditis coni. Hoppe
XLIV, l XXXXVI . DE CVSTODIIS ETI:INICORVM S P al. 112 tam uerum quam grande] Walt. , tam uerum, tam grande F, tam grande quam uerum Vulg. , 3 nullis P corr. 1. magi, item haruspices, etc:. I cristiani non ri � rrono agli indovini. La legislazione romana era molto severa nei riguardi della magia e delle tecniche divinatorie fondate sull'astrologia e sulla matematica, specialmente quando la consultazione riguardava l'imperatore (cf. SHA, Vita Severi 15; IuL. PAUL. Sent. V, 2 1 , 3 -4 ; TERT. , Apol.
XI...ill , 1 -2 (4- 1 1 ) - XLIV, l { 1 -3 )
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vini, gli astrologhi. ! 2. Non far guadagnare nulla a costoro è un grande guadagno. Tuttavia, qualunque sia il danno che vi deriva a causa di questa setta, sarebbe compensato con un qualche servizio. Mi chiedo: quante persone avete - non parlo di quanti scacciano da voi i dèmoni, non parlo di quanti per voi offrono preghiere al vero Dio, perché forse voi non ci credete - dalle quali non avete nulla da temere?
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N on vi sono criminali cristiani o cristiani criminali
l. In realtà nessuno vàluta quale danno tanto concreto quanto grande derivi allo Stato, nessuno considera quale offesa sia alla città il fatto che noi, un così gran numero di giusti, siamo annientati; un cosl gran numero di innocenti
XXXV, 12). D divieto - o almeno la diffidenza - riguardava anche l'esercizio privato dell'aruspicina, che invece era considerata religio publica quand' era a servizio dello Stato. Fondata sull 'Etrusca disciplina, protetta e rinforzata da Oaudio nell'anno 48 con la restau razione del collegio dei sessanta aruspici, ebbe, forse proprio con Settimio Severo, la sua rappresentanza presso le legioni (gli haruspices legionis non sono noti dalle epigrafi anteriori al m sec. d. C.; cf. l RAMELLI, Cultura e religione etrusca nel mondo romano, Alessandria 2003 , p. 2 14). Furono gli aruspici ufficiali a manifestare, già sotto i Severi - con Severo Alessandro (SHA, Vita Sev. Alex. 43 , 7) e poi con Diocleziano (LAcr., De mor. pers. 9, 12; 10, l ) -, la loro ostilità ai cri stiani, provocando nel 297 l'epurazione militare e costituendo poi l'ultim� baluardo del paganesimo ufficiale (cf. D. BRIQUEL, Chrétiens et haruspices, Paris 1997; M. SoRDI L'impero romano cristiano al tempo di Ambrogio, Milano 2000 , pp. 82 ss.). Un precedente del rifiuto cri stiano per l'arte divinatoria e le accuse dei pagani ci è dato dall'epispo dio di Filippi (At 16, 16-24), quando l'esorcismo operato da Paolo su una Pitonessa, dalla quale i padroni traevano lauti guadagni, provocò la denuncia, le percosse e l'arresto dello stesso Paolo e di Sila.
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tot innocentes erogamur ! 2. Vestros enim iam contestamur actus, qui cottidie iudicandis custodiis praesidetis, qui sen tentiis elogia dispungitis. Quot a uobis nocentes uariis cri minum elogiis recensentur ! Quis illic sicarius, quis manti cularius, quis sacrilegus aut corruptor aut lauantium prae do idem etiam Christianus ascribitur? Proinde, cum Christiani suo titulo offeruntur, quis ex illis talis, qualis etiam notatur nomine? 3. De uestris semper aestuat carcer, de uestris semper metalla suspirant, de uestris semper bestiae saginantur, de uestris semper munerarii noxiorum greges pascunt. Nemo ill ic Christianus, nisi hoc tantum; aut, si et aliud, iam non Christianus.
6 eologia S P Il quot ] F, tot Vulg., eologiis S P 8 corrumptor S P 9 idem] F, quis ex illis Vulg. Il proinde] F, aut Vulg. 10/1 1 talis qualis etiam notatur nomine] F, etiam talis quales tot nocentes Vulg. 1 1 semper] Vulg., etiam F 14 nisi hoc tantum] F (cf. Adu. Val. 2, 1 ) , nisi piane tantum christianus Vulg. 1 . cum Christiani suo titulo offeruntur. I cristiani sono sempre condannati per il nomen, cioè per l'adesione al cristianesimo, non per eventuali delitti associati al nomen. È il problema che già nel 1 12 Plinio poneva a Traiano (Ep. X, 96), e che Adriano sembrava aver risolto - per altro in modo assai ambiguo '- nel rescritto a Minucio Fundano (cf. M. SoRDI, I cristiani e l'impero romano, Milano 2004, pp. 97 ss.).
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siamo uccisi ! 2. Prendiamo a testimonio i vostri atti pro cessuali, di voi che ogni giorno presiedete nel giudicare gli imputati e con le vostre sentenze definite i processi. Quanti criminali con varie imputazioni di delitti sono da voi esaminati ! In questi atti processuali quale sicario, quale borsaiolo, quale sacrilego, o corruttore, o ladro delle terme viene registrato anche come cristiano? Ugualmente, quando i cristiani sono accusati per il fatto di esserlo, chi tra loro è un criminale che (oltre ai crimini) viene accusato anche per il nome cristiano? l 3. ll carcere rigurgita sempre dei vostri, sono sempre i vostri a gemere nelle miniere, le belve s'ingrassano sempre coi vostri, gli impresari di spet tacoli nutrono masse di criminali che sono sempre dei vostri. 2 Nessun cristiano è là tra questi, se non per il sem plice fatto di essere cristiano; o, se è là per un altro motivo, non è più cristiano.
2 - munerarii noxiorum greges pascunt. Gli spettacoli del circo erano spesso organizzati con l'utilizzazione di criminali condannati a morte. Un senatoconsulto al tempo di Marco Aurelio e di Commodo permetteva di usare i trinqui parola gallica per indicare questo genere di persone - per ridurre le spese che magistrati e sacerdoti dovevano affrontare per gli spettacoli da loro offerti . W. H. C. F'REND, Martyrdom and Persecution in the Early Church, Oxford 1 965 , p. 5 , pensa che questo senatoconsulto sia stato l ' occasione per mandare a morte nel l 77 , nell ' anfiteatro di Lugdunum, i cristiani condannati (cf. anche M. SORDI, La ricerca d'ufficio nei processi de/ 1 77, in: AA.Vv. , Les martyrs de Lyon; Paris 1987 e in: Impero romano e Cristianesimo. Scritti scelti, Roma 2006, pp. 365-366). -
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XLV. l . Nos ergo soli innocentes ! Quid mirum, si necesse est? Enimuero necesse est. Innocentiam a Deo edocti, et perfecte eam nouimus, ut a perfecto magistro reuelatam, et fideliter custodimus, ut ab incontemptibili Deo doctore praeceptam [ut ab incontempHbili Deo dispectore mandatam] . 2. Vobis autem humana doctrina [Vobis autem humana aestimatio] innocentiam tradidit, humana item dominatio imperauit; inde nec plenae nec adeo timendae estis disciplinae ad innocentiae ueritatem. Quanta prudentia hominis ad demonstrandum quid uere bonum, tanta auctoritas ad exigendum; tam illa falli facilis, quam ista contemni. 3. Atque adeo quid plenius, dicere: «Non occides», an uero: «Ne irascaris quidem?».8 Quid perfectius, prohibere adulterium, an etiam ab oculorum solitaria concupiscentia arcere?b Quid eruditius, de maleficio, an et de maliloquio interdicere?c Quid instructius, iniuriam non permittere, an nec uicem iniuriae sinere?d 4. Dum tamen sciatis ipsas leges quoque uestras, quae uidentur ad innocentiam pergere, de diuina lege, ut antiquiore, formam mutuatas. Diximus iam de Moysi aetate. 5. Sed quanta auctoritas legum humanarum, cum illas et euadere homini contingat plerumque in admissis delitescen ti et aliquando contemnere ex uoluntate ud necessitate?
a. cf. Mt 5, 2 1 -22
b. cf. Mt 5, 27-28
c. cf. Mt 5, 22
d. cf. Mt 5, 38-41
XL V, l XXXXVII. DE INNOCENTIA CHRISTIANORVM S P al. 3 edocti] Vulg., doctore F 4 intemtibili F 'J/6 deo doctore prae ceptam F, dispectore man datam Vulg. ( cf. Thor. IV, 1 1 5 sq. ) 617 doctrina F, aestimatio Vulg. (cf. Thor. l. c.) 1 0 quanta] F, tanta est Vulg. Il quid uere] F, om. Vulg. Il tanta] F, quanta Vulg. 13 dicere] Vulg., dictum est F 14 uero] F, docere Vulg. l'J/16 ab oculorum usq. arcere] F Vulg., ab oculis solitariam arcere concupi scentiam L G R.h3 Ba". 16 maleloquio S 18/19 ipsas quoque leges uestras (F) edd. 20 ut antiquiore, formam mutuatas] Rig. Walt., ut antiquiorem formam mutatas F, ut antiquiore (anquiore P
XLV, l -' 0 -24)
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I cristiani vivono nell'innocenza
l. Dunque, soltanto noi siamo innocenti ! Ma perché meravigliarsene se per noi è necessario? Infatti, è necessa rio. Avendo appreso l'innocenza da Dio, noi la conoscia mo perfettamente essendo stata rivelata da un maestro perfetto, e la custodiamo fedelmente essendo stata coman data dal divino maestro che non va disprezzato [comanda ta dal giudice divino che non va disprezzato] _ 2. Nel vostro caso, invece, è stata una dottrina umana [l'opinione di un uomo] a insegnarvi l'innocenza, e un'autorità umana l'ha imposta; perciò la vostra dottrina di vita non è com pleta, né induce a un vero amore nei confronti dell'inno cenza. La sapienza di un uomo, nel mostrare che cosa sia veramente il bene, è pari alla sua autorità nell'esigerlo; ma tanto facilmente la prima si sbaglia, quanto questa è disprezzata. 3. In effetti, che cosa c'è di più completo che dire: «Non ucciderai>>, oppure: «Non dovrai neppure adirarti?». Che cosa c'è di più perfetto del proibire l'adulterio, o del vietare persino la solitaria concupiscenza degli occhi? Che cosa di più sapiente del vietare di fare il male, o anche solo di parlar male? Che cosa di più saggio del non permettere l'offesa, ma nemmeno di consentire di contraccambiare l'offesa? 4. Ma è bene che sappiate che le vostre stesse leggi, che sembrano tendere all'innocenza, hanno mutuato la loro forma dalla legge divina, è più antica. Abbiamo già parlato dell'età di Mosè. 5. Ma qual è l'autorità delle leggi umane se l'uomo può eluderle, celando spesso le sue colpe, e talvolta disp rezzarle volont a riamente o sotto costrizion e ?
corr.) forma mutuatas Vulg. 2 1 Moysi] F dett., mosei S P, Moysis edd. 22 illas et] F dett., illa sed S P, istas sed si r, istas Rh Barr. 23 contingat] F, et add. Vulg. 23/24 delitescenti] F Z, delitiscendi uel delitescendi Vulg., delitescere edd. 24 ex] F Vulg., in Rh Barr. ll necessitate] F, deliquendi add. P, deliquendi ex delinquendi S, delin quendi rel. Vulg., delinquenti Rig. Hoppe
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6. Recogitate etiam pro breuitate supplicii cuiuslibet, non tamen ultra mortem remansuri. Sic et Epicurus omnem cruciatum doloremque depretiat, modicum quidem con temp tibilem p ronuntian d o , m agnum uero non diutumum.a 7. Enimuero nos, qui sub Deo, omnium speculatore,b dispungimur quique aeternam ab eo poenam prouidemus, merito soli innocentiae occurrimus et pro scientiae plenitudine et pro latebrarum difficultate et pro magnitudine cruciatus, non diuturni, uerumtamen sempi temi,c eum timentes, quero timere debebit ipse, qui iudicat, Deum, non proconsulem.
XLVI. l. Constitimus, ut opinor, aduersus omnium cri minum intentationem, quae Christianorum sanguinem fla gitat; ostendimus totum statum nostrum, et quibus modis probare possimus, ita esse sicut ostendimus, ex fide selli' cet et antiquitate diuinarum litterarum, item ex confessio ne spiritalium potestatum. Existat qui nos reuincere aude bit: non arte uerborum, sed eadem forma, qua probatio nem constituimus, de ueritate debebit reniti. 2. Sed dum tamen unicuique m anifestatur ueritas I O nostra, interim incredulitas, dum de bono sectae huius
a.
cf. Epicurea framm. 446 Usener; CICERO, Tusc. Disp. 2, 44
b. cf.
l Cr 28, 9; 2 Cr 16, 9; Sal lO, 4-5; 32, 1 3 - 1 5 ; Pr 15, 3 ; 16, 2 ; Sir 42, 18; At l , 24; Rm 8, 27; l Cor 2, lO; Eh 4, 12; Ap 2 , 23 c. cf. Sal 91,
8; Dn 12, 2; Mt 3 , 12; 18, 8-9; 25 , 41. 46; Mc 9, 43 -49; Le 3 , 17; 2 Ts l , 9; Eh 6, 2; Gd l , 7. 13 25 etiam] F, ea etiam Vulg. ll hreuitate] Vulg., ueritate F 3 1/32 pro scientiae] (F) edd. , pro patientiae Z V, prospicientiae Vulg. 33 uerumtamen] F, uerum Vulg. 33/34 sempiterni eum] Vulg., sem per ternum deum F 34/35 qui iudicat] F, qui timentes iudicat Vulg. 35 proconsulem] timentes add. (F) Vulg. edd. omnes; del. uidetur. ·
XLV, 6-7 (25-35) - XLVI, l -2 { 1 - 10)
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6. Consideratela anche in rapporto alla brevità di un qual
siasi supplizio, il quale però non dura oltre la morte. Perciò anche Epicuro disprezza ogni tormento e dolore, affermando che è trascurabile se lieve, non durevole se invece è grande.l 7. In effetti noi, che siamo giudicati da Dio scrutatore di ogni cosa e che da lui possiamo attender ci una pena eterna, giustamente siamo i soli che procedia mo verso l'innocenza sia per pienezza di sapienza, sia per la difficoltà di sottrarci al suo sguardo, sia per la grandezza del tormento che non è di lunga durata ma eterno, temen do colui che lo stesso giudice deve temere, ossia Dio, non un proconsole.
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n cristianesimo non è una fdosofia
l. Ho controbattuto, come penso, all'accusa di tutti i crimini che reclama il sangue dei cristiani; ho mostrato tutto ciò che attiene alla nostra istituzione, e in che modo posso provare che è così come l'ho presentata, ossia in base alla veridicità e ali' antichità delle divine Scritture, come pure tramite la confessione delle potenze spirituali. Ci sarà chi oserà smentirmi: lo faccia non con l'arte delle parole, ma allo stesso modo con cui ho fondato la dimo strazione, ma dovrà apporsi alla verità. 2. Mentre però la nostra verità appare a chiunque evi dente, l'incredulità - pur convinta della bontà di questa setta, essendo ormai nota dalla comune consuetudine di vita - non la stima certamente una cosa divina, quanto piuttosto una specie di filosofia. Le stesse cose, dice, le
XLVI, l constitimus] F Vulg. , constituimus r Z L V edd. 2 intentationem] Vulg., intentionem (F) Z L V edd. 3 modis] Vulg., om. F 6 spiritualium dett. Il existat] F, om. Vulg. Il qui] F S P, quis dett. edd. 8 debebit renidi F, om. Vulg. 9 tamen] F, om. Vulg. 1 . Probabilmente Tertulliano ricava la citazione di ,Epicuro da Cicerone (cf. C. MORESCHINI, op. cit., p. 279). l
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obducitur, quod usu iam et de commercio innotuit, non utique diuinum negotium existimat, sed m agis philo sophiae genus. Eadem, inquit, et philosophi monent atque profitentur, innocentiam, iustitiam, patientiam, sobrietatem, pudicitiam. 3. Cur ergo quibus comparamur de disciplina , non proinde adaequamur de licentia et immunitate discipli nae? uel cur et illi , ut pares nostri, non urgentur ad offida, quae nos non obeuntes periclitamur? 4. Quis enim philosophum sacrificare aut deierare aut lucernas meridie uanas prostituere compellit? Quin immo et deos uestros palam destruunt et superstitiones publicas commentariis quoque accusant laudantibus uobis. Plerique etiam in principes latrant sustinentibus uobis, et facilius statuis et salariis remunerantur quam ad bestias pronuntiantur. 5. Sed meri to; philosophi enim , non Christiani, cognominantur. Nomen hoc philosophorum daemonia non fugiun t . Quidni? c um secundum deos philosophi daemonas depu tent . So cratis uox est «si daemonium permittat» . •
5 , 29-3 1 . Cf. TERT. , Ad nat. Il, 2 , 12: «Socrates ips<e> deos istos quasi certus negabat; idem Aesculapio gallinacium resecari quasi certus iubebat>>. a.
cf. l'LATO, Apol. 2 1 ; Phaed. 1 18 a
1 1 usu] Z edd. , usui F Vulg. Walt. 12 existimat] Vulg., existima tis F 13 atque] Vulg., et add. (F) r Z edd. 16/17 non proinde] F, non pr. illis Vulg., pr. illis non r edd. 17 de licentia et immu nitate] Junius, diligentia et immunitate F, ad licentiam impunita temque Vulg. 18 illi ut] Vulg., illud F Il patres P corr. 19 nos non] F Vulg., non om. Rh Barr. 20 degerare S P 2 1 prostitue r e ] F, p r o fe r r e Vu lg . 22 p u b l i c a s ] F, u e s t r a s Vu lg . 2 6 enim, non] F Vulg . , non enim r edd. 2 7 fugiunt] F , fugat Vulg.
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insegnano e le professano anche i filosofi: l'innocenza, la giustizia, la pazienza, la sobrietà, la pudicizia. t 3. S e dunque siamo loro comparati quanto al genere di vita, perché non siamo loro equiparati anche sulla libertà e sull'immunità di questo stile di vita? Oppure, perché loro - come nostri pari - non sono costretti a quegli obblighi per cui noi, non osservandoli, rischiamo la vita? 4. Chi, infatti, costringe un filosofo a sacrificare, o a giurare, o a esporre a mezzogiorno delle inutili lucerne? Anzi, sono proprio loro che palesemente rinnegano i vostri dèi e attaccano nei loro scritti le vostre pubbliche superstizioni; e voi li lodate. Molti latrano pure contro i prìncipi e sono tollerati, ed è più facile che siano ricompensati con statue e con premi,2 anziché condannati alle fiere. 5. Ma giusta mente; infatti, si chiamano filosofi, non cristiani. I dèmoni non fuggono questo nome di filosofi . E perché mai dovrebbero, visto che i filosofi considerano i dèmoni come dèi ? Lo dice Socrate: «Se il dèmone lo permette»)
1 . Eadem e t philosophi, etc . ll confronto tra cristianesimo e filo sofia, come pure il riconoscimento delle virtù morali praticate dai cristiani e della loro fortezza di fronte alla morte, si trova - come già in Epitteto - in Galeno, medico di Marco Aurelio, che coglie fra l'altro l'efficacia formativa delle parabole. Cf. M. SORDI, Le polemi che intorno al cristianesimo, in RSCI 16 ( 1 962) e in Impero romano e cristianesimo, Milano 2004, p. 258. 2 . et salariis remunerantur. Nel 177 Marco Aurelio istitutì ad Atene alcune cattedre di fùosofia (stoica, accademica, peripatetica, epicurea). Si è ritenuto (così MORESCHINI, op. cit. , p. 2 8 1 , come già il WALTZING) che Tertulliano alluda a questo provvedimento. 3 . philosophi enim, non Christiani, etc. Tertulliano contrappone i cristiani ai fùosofi, il cui nome non è temuto dai demoni, poiché i fùosofi - a partire da Socrate - venerano i dèmoni. Continua, dun que, l'assimilazione del concetto greco di 6aiJlWV a quello cristiano di demonio. In Tertulliano è caratteristico il rifiuto della filosofia: un atteggiamento molto diverso da quello dell'apologetica greca e, in particolare, di Giustino e di Melitone, che invece presentano il cri stianesimo stesso come una fùosofia. •••
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Idem et qui aliquid de ueritate sapiebat deos negans, Aesculapio tamen gallinaceum prosecari iam in ftne man dabat, credo, oh honorem patris eius, quia Socratem Apollo sapientissimum omnium cecinit. 6. O Apollinem inconsideratum ! Sapientiae testimonium reddidit ei uiro, qui negabat deos esse. In quantum odium flagrat ueritas, in tantum qui eam ex fide praestat offendit; qui autem adulterat et affectat, hoc maxime nomine gratiam pangit apud insectatores ueritatis. 7. Quam et illusores et con temptores inimice philosophi affectant ueritatem et affectando corrumpunt, ut qui gloriam captant, Christiani et necessario appetunt et integre praestant, ut qui saluti suae curant. 8. Adeo neque de scientia neque de disciplina, ut puta tis, aequamur. Quid enim Thales, ille princeps physicorum, sciscitanti Croeso de diuinitate certum renuntiauit, commeatus deliberandi saepe frustratus?a 9. Deum quili bet opifex Christianus et inuenit et ostendit et exinde totum, quod in Deum quaeritur, re quoque assignat; licet Plato affirmet factitatorem uniuersitatis neque inueniri facilem et inuentum enarrari in omnes difficilem. b 10. Ceterum si de pudicitia prouocemur, lego partem sen tentiae Atticae in Socratem: corruptor adulescentium pronun-
a.
d. CICERO , De natura deorum I, 60
b. d. PLATO, Timaeus 28 C
8, 43 -45. Cf. TERT., Ad nat. II, 2, 1 1 : «Thales Milesius Croeso sciscitanti, quid de deis arbitraretur, posquot ddiberandi com meatus, "nihil" renuntiauit». 30 qui] F, curo Vulg. Il sapiebant P corr. 31 gallenatium S Pl, galli natium p2 I l mandabat] F, iubebat Vulg. ( cf. Ad nat. Il, 2, 1 2 ) 32 appollo S P 33 appollinem S P 35 odium] F Vulg. Rh l , odio Rh3 Barr. 38 qua (F) edd. Il et illusores et contemptores] F, illusores et corruptores Vulg. Il inimice] opt. Vulg.; inimici F, mimice dett. 40 et] eam (F) edd. 42 scientia] F Vulg., conscientia Z L V G al. Rh3 Barr. Il alt. de] P Vulg., om. y G al. edd. 44 croesso S P ? 47 in deo
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Lui stesso, che pur coglieva qualcosa della verità rinnegan do gli dèi, già prossimo a morire, ordinò di sacrificare un · gallo a Esculapio; in onore, credo, del padre di costui, avendo Apollo definito Socrate il più sapiente di tutti. 6. Oh, Apollo sconsiderato ! Rese testimonianza di sapien za a quell'uomo che negava l'esistenza degli dèi. La verità infiamma l'odio nella misura in cui chi sinceramente la professa infastidisce; chi invece la falsifica e la corrompe ottiene proprio per questo il favore dei nemici della verità. 7. I filosofi - falsificatori e corruttori della verità - per ostilità la simulano, e simulando la corrompono poiché cercano gloria. I cristiani, invece, necessariamente la desi derano e integralmente la professano, poiché si preoccu pano della propria salvezza. 8. Neppure riguardo alla scienza o alla condotta, come invece credete, siamo uguali. Infatti che cosa di certo rispo se Talete, quel principe dei fisici, a Creso che lo interrogava sulla divinità, eludendo con ripetuti rinvii la risposta?4 9. Un qualsiasi operaio cristiano trova Dio, lo mostra e prova coi fatti tutto ciò che si indaga su Dio; benché Platone affer mi che non è facile conoscere l'artefice dell'universo e che è difficile, una volta conosciutolo, spiegarlo a tutti. 1 0 . Se poi veniamo sfi dati in fatto di p u dicizia , leggo una parte della sentenza ateniese contro Socrate: è condannato come corruttore di adolescenti . In ambito
(F) r y edd. 49 facilem] opt. Vulg., facile F dett. Il difficilem] Vulg., difficile F W 50 prouocemur] (f) Z edd. , prouocemus Vulg. 5 1/52 corruptor ad. pronunciatur F, corruptorem ad. pronuntiatum (-tam l) Vulg. 52 adoliscentium S 4 . Thales . . . sciscitanti Croeso de diuinitate, etc. Il rapporto fra Talete - filosofo e matematico di Mileto, uno dei presocratici e dei Sette Sapienti, vissuto nel VI secolo - e Creso, re della Lidia, è atte stato anche da Erodoto . Lo scambio di battute ricordato da Tertulliano è attribuito però da Cicerone (De natura deorum I, 60) a un dialogo fra il poeta Simonide e Ierone, tiranno di Siracusa.
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tiatur.a Christianus ad sexum nec femina mutat. Noui et Phrynen meretricem Diogenis supra recumhentis ardore subantem.h Audio et quendam Speusippum de Platonis schola in adulterio perisse. c Christianus uxori suae soli masculus nascitur. 1 1 Democritus excaecando semeti psum, quod mulieres sine concupiscentia aspicere non posset et doleret, si non esset potitus, incontinentiam emendatione profitetur. d At Christianus saluis oculis feminas non uidet : animo aduersus libidinem caecus est.e 12. Si de prohitate defendam, ecce lutulentis pedi hus Diogenes superbos Platonis toros alia superbia deculcat;f Christianus contumeliosus nec in pauperem superhit.B 13. Si de modestia certem, ecce Pythagoras
a. cf. P LA T O , Apologia 24 c; XENOPHO N , Mem orabi/ia l , 5 b. cf. LUCIANUS, Vera historia 2, 18 c:. cf. DIOGENES LAERTIUS, Vita Philosophorum IV, 3 · d. cf. CICERO, De finibus V 29, 87 e. cf. Mt 5, 27-30 f. cf. DIOGENES LAERTIUS, Vita Philosophorum VI, 24 g.
cf. Rm 12, 16; Ef 4, 2; Fil 2 , 3 ; Col 3 , 12; l Pt 3, 8; 5, 5
.53 christianus ad sexum nec f[o]emina[e] mutat F, sexum nec femi neum mutat chistianus Vulg. .54 recubantis (F) edd. Il ardori F, ardo rem Vulg. .5.5 speudipsum F, spesippum S P .56 scola S P Il periisse (F) .57 democretus S P .59 et doleret si non esset] Vulg., om. F Il potius (F) dett. 61 faeminas F, feminam r L edd. 63 diogenis S P 64 deculcat] Vulg., decalcat F Il contumeliosus] F, om. Vulg. 6.5 phi tagoras S P 5. in Socratem: c:orruptor adulescentium, etc:. Alla reticenza di Talete e alle riserve di Platone sulla conoscibilità di Dio (Tim. 28, 5), Tertulliano oppone la semplice fede di un qualsiasi operaio cristia no, che afferma coi fatti ciò che i filosofi si domandano su Dio. Anche Giustino (II Apol. 1 0, 8) mostra la superiorità dd cristianesi mo sulla ftlosofia, ricordando che nessuno ha creduto a Socrate fmo a morire per la sua dottrina, mentre a Cristo hanno creduto non solo dei filosofi e dei s apienti , ma anche dei lavoratori m anuali. Nell'esaltazione della semplice fede ddl opifex e del XElpoT?XV17ç '
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sessuale il cristiano non cambia neppure donna. So anche della prostituta Frine presa da ardore per Diogene che la montava. Sento anche che un certo Speusippo, della scuola di Platone, morì colto in adulterio . Il cristiano nasce maschio esclusivamente per la propria sposa.' 1 1 . De mocrito, nell'accecare se stesso, non potendo guardare le . donne senza concupiscenza e soffrendo se non le possede va, confessa con questa punizione la propria incontinenza.6 D cristiano, invece, pur conservando gli occhi, non guarda le donne: è cieco nell'animo nei confronti della libidine. 12. Se devo difendermi in fatto di integrità morale, ecco Diogene che con i piedi infangati calpesta i superbi tappeti di Platone con altrettanta superbia;7 il cristiano non insu perbisce in modo offensivo neppure nei riguardi di un povero. 13. Se devo confrontarmi sull'umiltà, ecco Pitagora
cristiano è possibile che Tertulliano si sia ricordato di Giustino (cf. C. MORESCHINI, op. cit. , p. 283 ) Profondamente diverso, invece, è l'atteggiamento che Giustino e Tertulliano asswnono nei riguardi di Socrate, che per Giustino è un testimone precristiano dd Logos, mentre per Tertulliano è un filosofo che si lasciava ispirare dai dèmoni, e contro cui accetta addirittura - interpretandola in chiave di pederastia - l'accusa di corruzione dei giovani a lui mossa dai suoi nemici durante il p rocesso ( S E N OFONTE , Mem . , l , 1 ) . Tertulliano accoglie analoghe accuse di immoralità sia contro il filo sofo cinico Diogene per i suoi rapporti sessuali con Frine, cdebre etera di Tespie al tempo di Alessandro, sia contro Speusippo, il suc cessore di Platone nella direzione dell'Accademia e morto in fla grante adulterio. Diogene Laerzio ( Vita Pht1. IV, 3) riferisce, invece, che - colto da paralisi - si suicidò. 6. Democ:ritus excaecando semetipsum, etc. Secondo Aulo Gellio (Noct. Att. X, 17, l ss.) che cita Laberio, autore di mimi in età cesaria na, Democrito di Abdera, filosofo greco dd V secolo a. C., si accecò perché la vista delle cose esterne non lo distraesse dalle sue meditazioni ftlosofiche. Tertulliano, pur conoscendo Laberio (cap. XLVIII, 1 ) , adotta l a motivazione riferita da Cicerone (De /in. V , 29, 87). 7 . Diogenes superbos Platonis, etc . Sui dispetti dd filosofo cinico Diogene a Platone si diffonde Diogene Laerzio (Vita Phil. VI, 22 ss.). .
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apud Thurios, Zenon apud Prienenses tyrannidem affec tant; Christianus uero nec aedilitatem. 14. Si de animi aequitate congrediar, Lycurgus apocarteresin optauit, quod leges eius Lacones emendassent; Christianus etiam 7 0 damnatus gratias agit.a Si de fide comparem, Anaxagoras depositum hospitibus denegauit; Christianus et extra fide lis uocatur. 15. Si de simplicitate consistam, Aristoteles familiarem suum Hermian turpiter loco excedere fecit; Christianus nec inimicum suum laedit.b Idem Aristoteles 75 tam indecore Alexandro, regendo potius, adulatur, quam Plato Dionysio uentris gratia uenditatur. 16. Aristippus in purpura sub magna grauitatis superficie nepotatur; lcthyas, dum ciuitati insidias disponit, occiditur. Hoc pro suis omni atrocitate dissipatis nemo umquam temptauit so Christianus. a. cf. Mt 5, 1 1 -12; At 5, 4 1 ; Fil 1 , 29; Eh 10, 34 Lc 6, 27 -35
b. cf. Mt 5, 38-48;
66 tyrios S P Il priennenses S P 67/68 animi aequitate] F (cf. cap. XXXVIII, 5), aequanimitate Vulg. 69 emendassent] Vulg., emenda rint F 71 hospitibus] F, hostibus Vulg. Il et] Vulg., etiam (F) r edd. 75 indecore] F, turpiter Vulg. Il regendo] Vulg., regi F 76 Plato] Vulg . , om. F I l Dionysio] F (dat. ) , a dionysio Vulg. I l uestris P 78 lcthyas] Hoppe, ycthyas F, icthydias S P, et hippias dett. edd. Walt. 8. Pythagoras , Zenon apud Prienenses etc. Pitagora di Samo fondò nd VI secolo a Crotone (non a Turi, la cui fondazione è suc cessiva di quasi un secolo, ossia nd 444/443 ) una scuola filosofica che dominò la vita politica della città, finché, cacciato con i suoi discepoli, si rifugiò a Metaponto. Di Zenone, forse Zenone di Elea (la romana Velia, in Italia) che fu ad Atene nd V secolo, non sappiamo dei suoi rapporti con Priene, in Asia Minore (Caria), che allora face va parte della lega delio-attica. Neppure Zenone di Cizico, fondatore ad Atene della scuola stoica, sembra abbia avuto rapporti con Priene. 9. Christianus uero nec aedilitatem. Gli edili, plebei e curuli, rive stivano le cariche inferiori della carriera ·politica, occupandosi delle strade, dei mercati e dei giochi. . . •
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a Turi e Zenone a Priene che aspirano alla tirannide;B il cristiano non aspira nemmeno ad essere ed1le.9 14. Se devo discutere sull' imperturbabilità d'animo, Licurgo decise di morire di fame perché gli Spartani avevano modificato le sue leggi; 1 0 il cristiano, anche se condannato, ringrazia. Se devo confrontarmi sulla lealtà, Anassagora non restituì il deposito a degli ospiti; il cristiano è considerato fedele anche con gli estranei. l l 15. Se devo soffermarmi sulla sin cerità, Aristotele in modo indegno fece decadere dalla carica il suo parente Ermia; 1 2 il cristiano non danneggia neppure il suo nemico. Lo stesso Aristotele adula tanto vergognosamente Alessandro, che invece avrebbe dovuto guidare, quanto Platone per golosità si fa vendere da Dionisio. n 16. Aristippo, vestito di porpora, scialacqua sotto la parvenza di una grande serietà; Ictia è ucciso men tre trama insidie alla città. 1 4 Nessun cristiano ha mai tenta to di far questo per i suoi, decimati da ogni sorte di cru deltà.
1 0 . Lycurgus apocarteresin, etc. Su Licurgo cf. cap. 1 3 , 8. 11. Anaxagoras depositum etc. Anassagora, filosofo greco dd V secolo, fu autore di un libro sulla Natura, di cui ci sono giunti dei frammenti. Giunse dalla lonia ad Atene; fu amico di Feride; subì un processo per empietà. L'episodio citato da Tertulliano è oscuro. 1 2 . Aristoteles familiarem suum Hermian etc. Ermia, tiranno di Atarne, nella Eolide, fu ospite e suocero di Aristotele. Accusato di parteggiare per Filippo il Macedone, fu arrestato a tradimento a Susa e messo a morte dai Persiani intorno al 345/344 (DIOD., XVI, 52, 5). L'episodio citato da Tertulliano è sconosciuto. 13. Aristeteles Plato, etc. Aristotele fu maestro di Alessandro Magno su incarico del padre Filippo il Macedone. Platone tentò di educare alla filosofia Dionigi I e Dionigi Il, tiranni di Siracusa, recandosi in Sicilia nd 388, nel 367 e nel 360, 14. Aristippus . . . lcthyas, etc. Aristippo di Cirene fu ad Atene disce polo di Socrate, fondando poi la scuola cirenaica a tendenza edoni stica. lctia fu un filosofo megarese (DIOG. LAERT., Vita Phil. Il, 1 12). Cf. C. MORESCHINI, op. cit., p. 289. .••
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17. Sed dicet aliquis, etiam de nostris excidere quos dam a regula disciplinae. Desinunt tamen Christiani habe ri penes nos;a philosophi uero illi cum talibus factis in nomine et honore sapientiae perseuerant apud uos. 18. Adeo quid simile philosophus et Christianus , Graeciae discipulus et caeli, famae negotiator et salutis uitae, uerborum et factorum operator, et rerum aedificator et destructor, et interpolator et integrator ueritatis, furator eius et custos?
XLVII. l . Adhuc enim mihi proficit antiquitas prae structa diuinae litteraturae, quo facile credatur, thesaurum eam fuisse posteriori cuique sapientiae. Et si non onus iam uoluminis temperarem, excucurrissem in hanc quoque probationem. 2. Quis poetarum, quis sophistarum, qui non de prophetarum fonte potauerit? Inde igitur et philo sophi sitim ingenii sui rigauerunt , ut quae de nostris
a.
d. l Gv 2, 1 9
8 1 etiam etiam P corr. Il excidere] F , excedere Vulg. 81 tamen] tum (F) dett. edd. 84 perseuerant] F Vulg., perseuerent Barr. Il apud uos] F Z, om. rel. 86/87 salutis uitae] F, prob. Thor. N, 3 5 adn. 4, uitae Vulg. Walt. 87 rerum] errorum coni. Kellner, /ort. recte 88 distructor S P Il et interpolator (erroris add. F) usq. custos] F Walt., prius et del. Hop. erroris uindicantes, amicus et inimicus erroris, ueritatis interpolator et integrator et expressor, et furator eius et custos Vulg.
XLVII, l adhuc enim] F, antiquior omnibus ueritas, nisi fal lor, et hoc Vulg. 2 credatur] F Vulg., credam r edd. 4 excu curissem] F, excurrerem Vulg. I l hanc] Vulg . , hac F 6 non] F, omnino add. Vulg. Il et] F, om. Vulg. 7 ut quae] Vulg., num quia quaedam F, nam quia quaedam coni. Hav.
XLVI, 17-18 (81-89) - XLVII , 1-2 ( 1 -7)
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17. Qualcuno però dirà che anche alcuni dei nostri si allontanano dalla regola di vita cristiana. Se ciò avviene, cessano di essere considerati cristiani tra noi; tra voi, inve ce, quei filosofi, nonostante tali azioni, continuano ad avere il nome e l'onore di sapienti. 18. Pertanto, che cosa hanno di simile il filosofo e il cristiano, il discepolo della Grecia e quello del cielo, chi mira alla fama e chi alla salvezza della vita, chi opera a pa role e chi con i fatti, chi edifica e chi distrugge, chi falsifi ca e chi afferma la verità, chi la ruba e chi la custodisce?I5 47 - Deviazioni dall'unica verità l. Mi torna ancora utile la suddetta antichità delle divi ne Scritture, per cui facilmente si crede che essa fu il teso ro da cui derivò ogni successiva sapienza. E se non volessi limitare la mole di questo volume, potrei dilungarmi anche in questa dimostrazione. 2. Quale dei poeti, quale dei sofi-
15 . philosophus et Christianus, etc. Continua la contrapposizione tra cristianesimo e filosofia. Servendosi dell'aneddotica corrente, spesso a noi sconosciuta, Tertulliano sceglie le versioni più ostili e vergognose per i filosofi, con un atteggiamento profondamente diverso e, in qualche caso, opposto a quello degli apologeti greci. Ciò potrebbe dipendere da quell'intransigenza polemica che lo portò, dopo il 207, ad aderire al Montanismo. Ma il De pallio, che appartiene al periodo montanista (dopo il 208) , mostra come egli stesso allora non abbia esitato a rivestire l'abito dei filosofi (il pallio greco) , rinunciando alla toga romana. · Credo, pertanto, che il disprezzo ostentato da Tertulliano per. la filosofia - coinvolgendo anche ftl.osofi che i cristiani in genere ammiravano, come Socrate dipenda da quel caratteristico pragmatismo romano che irrideva alle «chiacchere» dei Graeculi, e che era e rimase particolarmente vivo negli scrittori africani di lingua latina, anche cristiani (ad esempio Lattanzio).
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habent, ea nos comparent illis. Inde, opinor, et a quibus dam philosophia quoque legibus eiecta est, a Thebaeis dico et ab Spartiatis et Argeis. 3. Dum ad nostra conan tur et homines gloriae, ut diximus, et eloquentiae solius libidinosi, si quid in sanctis offenderunt digestis pro instituto curiositatis, ad propria opera uerterunt, neque satis credentes diuina esse, quo minus interpolarent neque satis intellegentes, ut adhuc tunc subnubila, etiam ipsis ludaeis obumbrata, quorum propria uidebantur. 4. Nam et si qua simplicitas erat ueritatis eo magis scru pulositas humana fidem aspernata nutabat, per quod in incertum miscuerunt etiam quod inuenerant certum. 5. Inuentum enim solummodo Deum non ut inuenerant disputauerunt, ut et de qualitate et de natura eius et de sede disceptent. 6. Alii incorporalem asseuerant, alii
4, 17-19. Cf. TERT. , Ad nat. II, 2, 5 : « . . . - nam et alias ueritatis simplicitas per scrupulositatem fide nutat -, et ita accedente libidine gloriae ad proprii ingenii opera mutasse». II, 2, 6: «per quod incertum abiit etiam quod inuenerant . . . . ». 5, 20-22. Cf. TERT., Ad nat. n. 2 , 7 : «lnuento enim solummodo eo, non ut inuenerunt, exposuerunt, ut de qualitate eius et de natura, etiam de sede disceptent». 6, 22-28. Cf. TERT., Ad nat. Il, 2, 8: «Platonici quidem curantem rerum et arbitrum et iudicem, Epicurei otiosum et inexercitum, et, ut ita dilferim, neminem». Test., 5, 20-22: ISID. HISP., Etymol. VIII, 6, 19: «lnuentum enim solummodo Deum non, ut inuenerunt, exposuerunt, quia evanue runt in cogitationibus suis» (cf. PL 82, 307). 6, 22-28: lsm. HISP., Etymol. VIII, 6, 20: «[ltem] Platonici qui dem Deum curatorem et arbitrum et iudicem asserunt. Epicurei otiosum et inexercitatum. De mundo autem Platonici adfirmant incorporalem; Stoici corporalem; Epicurus atomis; Pythagoras ex numeris; Heraclitus ex igni» (cf. PL 82, 307).
8 ea] Vulg., eapropter F Il comparent] F Vulg., compararant coni. Hav. 9 quoque legibus] Walt. , legibus quoque F, legibus om.
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sti non ha attinto dalla fonte dei profeti? l Da qui anche i filosofi hanno attinto per appagare la loro sete di conoscen za, sicché quelle cose che hanno preso da noi ci accomuna no a loro. Perciò (per il travisamento della verità) - ritengo - la filosofia è stata bandita anche da alcune legislazioni, dico da Tebe, da Sparta, da Argo. 2 3. Quando questi uomi ni - come abbiamo già detto -, vogliosi solo di gloria e di eloquenza, cercarono di accostarsi alle nostre dottrine, se nei libri sacri trovarono qualcosa che colpisse la loro abi tuale curiosità, mutandola la trasferirono nelle loro opere, non credendo che quelle cose fossero abbastanza divine da escludere qualsiasi interpolazione, né comprendendole abbastanza, essendo allora un poco oscure e celate agli stessi Giudei che le consideravano loro proprie. 4. Infatti, sebbene si trattasse di semplici verità, la sottile razionalità umana tentennava nel prestarvi fede, per cui mischiarono con l'incerto anche ciò che avevano trovato di certo. 5. Avendo semplicemente scoperto che Dio esiste, non ne parlarono nel modo in cui l'avevano trovato, ma disc'us sero dei suoi attributi, della sua natura, della sua dimora. 6. Alcuni lo definiscono incorporeo, altri corporeo, come
Vulg. 10 Spartiatis et Argeis] Walt. , spartanis et argaeis F, spar ciacis et argiuis Vulg. 11 et (ut 'l'P homines] Vulg., prob. Lo/ Kr. 1 07 sq., adn. 3 , sed homines F, homines et Walt. 12 sanctis] F, scripturis add. uel praem. Vulg. Il pro] (F) Rh3 Barr. , ex uel et pro Vulg., ex proprio Oehl. 13 opera] (F) Vulg., om. Rh l 15 sub nubila] F Vulg. , sub nubilo Z Rh Barr. 17 si] om. S 18 nuta bat] F Z, mutabat rei. Vulg. Il in] F, om. Vulg. 20 Deum] Vulg. (cf. lsid., l. c. ) , nostrum add. F 22 alli corporalem] Vulg. om. F l . de prophetarum fonte potauerit. Ritorna qui (cf. capp. 18-19) l'affermazione sull'anteriorità della sapienza giudaica, contenuta nella Sacra Scrittura, rispetto a quella pagana, e sulla dipendenza di questa da quella . 2 . a Thebaeis dico et ab Spartiatis et Argeis. La proibizione della filosofia nelle leggi di Sparta, Tebe ed Argo non è attestata.
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corporalem, qua Platonici et Stoici; alli ex atomis, alli ex numeris, qua Epicurus et Pythagoras; alius ex igni, qua Heraclito uisum; et Platonici quidem curantem rerum fac torem et actorem rerum [quidem curantem rerum] contra Epicurei otiosum et inexercitum, et ut ita dixerim, nemi nem rebus humanis; 7 . positum uero extra mundum Stoici, qui figuli modo extrinsecus torqueat molem hanc; intra mundum Platonici, qui gubematoris exemplo intra id maneat, quod regat. 8. Sic et de ipso mundo, natus innatusue sit, decessurus mansurusue sit, uariant; sic et de animae statu, quam alli diuinam et aetemam, alli dissolu bilem contendunt: ut quis sentit, ita aut intulit quid aut reformauit. 9. Nec mirum, si uetus instrumentum ingenia philo sophorum interuerterunt: ex horum semine etiam nostram hanc nouiciolam paraturam uiri quidam suis opinionibus ad philosophicas sententias adulterauerunt et de una uia obliquos multos et inexplicabiles tramites exciderunt. Quod ideo suggerimus, ne cui nota uarietas sectae huius in hoc quoque nos philosophis aequare uideatur, et ex uarie tate defectionem uindicet ueritatis. 10. Expedite autem praescribimus adulteris nostris, illam esse regulam ueritatis, quae ueniat Christo transmissa per comites ipsius,a qui-
7, 28-3 1 . Cf. TERT., Ad nat. II, 2, 7: «positum uero extra mun· duro Stoici, intra mundum Platonici». d. Le l , 1 -4; l Cor 1 1 , 23 ; 2 Ts 3, 6; l Tm 4, 1 - 1 1 ; 2 Tm 2, 8-2 1 ; Tt l , 10-16; 2, l
a.
24 qua . . . et] F, ut taro . . . quam Vulg. ll phitagoras S P Il ex] Vulg. , om. F 2S heradeto uisum et platoni F, heraclito est et platonici Vulg. Il quidem] Vulg., et quidem F Il curantem rerum factorem, et actorem rerum] F, curantem rerum Vulg. 27 epicuri F Il inexcerci tum Vulg. (d. Ad nat. l. c. ), inexercitatum F 28 rebus] Vulg., in rebus F 31 id] Vulg., illud (F) r edd. U quod] (F) dett. edd., quos S P y L 34 aut intulit quid] F, et intulit Vulg. 37 etiam] opt.
XLVII, 6-10 (23-45)
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i Platonici e gli Stoici; alcuni costituito da atomi, altri da numeri, come Epicuro e Pitagora; altri da fuoco, come è sembrato ad Eraclito. I Platonici sostengono che ha cura delle cose in quanto artefice e autore delle cose [sostengo no che ha cura delle cose] , mentre gli Epicurei lo ritengono ozioso e inoperoso, e, per così dire, insignificante per le cose umane. 7. Secondo gli Stoici sarebbe estrinseco al mondo, e come un vasaio farebbe girare dall'esterno questa mole; secondo i Platonici sarebbe intrinseco al mondo, e come un timoniere sarebbe all 'interno di ciò che guida. 8. Così pure le opinioni variano riguardo anche al mondo, se cioè sia nato o innato, se sia destinato a scomparire o a rimanere. Ugualmente disputano sulla condizione dell'ani ma, che alcuni sostengono divina ed eterna, per altri disso lubile: a seconda di come ognuno la pensa, così apporta o cambia qualcosa} 9. Né fa meraviglia se le menti dei Hlosofi abbiano alte rato l'antica testimonianza scritturistica, poiché alcuni uomini della loro razza con le loro opinioni hanno travisa to anche il nostro più recente piccolo compendio (scrittu ristico) adattandolo alle sentenze Hlosofiche, e dall' unica via hanno derivato molti distorti e inestricabili sentieri. Ho aggiunto questo, perché la varietà (interpretativa scrit turistica) della nostra setta non ci faccia ritenere uguali ai filosofi, e dalla varietà qualcuno non passi ad affermare la mancanza di verità. 10. Ai nostri falsificatori previamente obiettiamo che la regola della verità è quella che viene da
Vul'g., et (F) dett. edd. 38 uiri quidam] Vulg . ; uarii quibusdam F 40 exciderunt] F V L, sciderunt rei. Vulg. 41 suggerimus] F, suggesserim Vulg. 42 aequare] F, adaequare Vulg. Il et] ut Gel. 43 defectionem uindicet ueritatis] F, defensionem uindicat ueritatem opt. Vulg., defensionem uindicet ueritatem dett. 3 . Platonici et Stoici . . . , Epic:urus et Pythagoras, etc:. Tertulliano riassume brevemente e in modo superficiale le varie opinioni dei filosofi su Dio, sull'anima e sul mondo.
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bus aliquanto posteriores diuersi isti commentatores deprehenduntur. 1 1. Omnia aduersus ueritatem de ipsa ueritate con structa sunt, operantibus aemulationem istam spiritibus 50 erroris. Ab his adulteria huiusmodi salutaris disciplinae subornata, ab his quaedam etiam fabulae immissae, quae de similitudine fidem infirmarent ueritatis, uel eadem sibi potius fidem raperent [euincerent] , ut quis ideo non putet Christianis credendum, quia nec poetis nec philosophis, 55 uel ideo magis poetis et philosophis existimet credendum, quia non Christianis. 12. ltaque ridemur praedicantes Deum iudicaturum.a Sic enim et poetae et philosophi tribuna! apud inferos ponunt. Et gehennam si comminemur, quae est ignis arca60 ni subterraneus ad poenam thesaurus,h proinde decachin namur. Sic enim et Pyriphlegethon ad mortuos amnis est. 13. Et si paradisum nominemus, locum diuinae amoenita tis recipiendis sanctorum spiritibus destinatum,c maceria quadam igneae illius zonae a notitia orbis communis segre-
a.
cf. Mt 25 , 14·46; Gv 5, 2 1 ·30; At 19, 42 ; Ap 1 4 - 1 5 ; 20, 1 1 - 15
b. cf. Mt 5, 22. 29-30; 18, 8-9; 25, 4 1 . 46; Mc 9, 42-49; Ap 20, 10.
14-15
c.
cf. Mt 25 ; Le 16, 19-30; 23 , 42-43 ; Ap 2 1 -22
47 deprehenduntur] F, probabuntur Vulg. 50 bis] iis (F) uel hiis dett. edd. 51 subornata] F Vulg., suborta edd. 52 de similitudine] F opt. Vulg., dissimilitudine r y L al. edd. Il eadem] F (se. similitudi ne), eam (se. fidem) Vulg., etiam dett. , eandem coni. Thor. IV, 1 18 sq. 53 fidem raperent F, euincerent (fidem om. ) Vulg. 54 nec] F Vulg., et r y al. edd. 57 itaque] F Vulg., et add. r edd. I l ridemur] F Vulg., ridemus Barr. Il praedicantes Deum] Vulg. , praeiudicantes deum F (/o r t. p raeindicantes ) , d eu m p raedicantes e dd. 59 et gehennam si] Vulg . , et gehennae si F, si gehennam edd. 60 subterraneus] (F) edd. , subterranea S P, subterraneam dett. 61 si pl I l pyriflegeton S, pyriflegethon P I l ad] F, apud Vulg. 62 paradysum S P
XLVII , 10- 13 (46-64)
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Cristo, trasmessa per mezzo di quanti hanno vissuto con lui, rispetto ai quali questi discordanti interpreti sono di molto posteriori. 4 1 1. Tutte le cose che sono contro la verità sono state inventate servendosi della verità, e questa contraffazione è opera degli spiriti dell'errore. Da costoro provengono le falsificazioni di questa salutare disciplina, da costoro sono state introdotte anche certe fandonie perché a motivo della loro somiglianza (con la verità) indebolissero la fidu cia della verità, o piuttosto per catturare [conquistare] tale fiducia, cosicché qualcuno sia indotto a pensare che non bisogna credere ai cristiani poiché non si deve credere neppure ai poeti e ai filosofi, o piuttosto ritenga che si debba credere ai poeti e ai filosofi poiché non si deve cre dere ai cristiani. 12. Perciò veniamo derisi quando predichiamo che Dio verrà a giudicare (il mondo) . Infatti, anche i poeti e i filo sofi pongono un tribunale presso gli inferi. E se minaccia mo la geenna, ossia il luogo sotterraneo fatto di fuoco misterioso per il castigo, veniamo parimenti beffeggiati. Infatti, anche il Piriflegetonte è un fiume (ardente di fuoco) per i morti. 13. E se menzioniamo il paradiso, luogo di divina bellezza destinato ad accogliere gli spiriti dei santi, separato dalla vista del mondo comune da una
4 . regulam ueritatis. Anche le eresie che dividono i cristiani deriva no dall'influenza negativa dei filosofi (cf. De praercr. haeret. VII; Adu. Hermog. VIII, 3 ) . A queste deviazioni si oppone la regula veri tatir, trasmessa da Cristo tramite gli apostoli («per comites») . La regula veritatir o regula /idei è la rivelazione divina, ossia la Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione divino-apo stolica della Chiesa. Sappiamo che il canone biblico - ossia l'elenco dei libri riconosciuti dalla Chiesa come ispirati da Dio - si formò nel corso del II secolo e si stabilizzò, in modo pressoché definitivo, verso il 200. Tertulliano ha ben chiara questa regola. Egli distingue nettamente gli scritti canonici da quelli apocrifi , come pure l'autentica tradizione di fede ecclesiale da altre intepretazioni, poste riori anche· cronologicamente ai comiter, ossia agli apostoli.
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gatum, Elysii campi fidem occupauerunt. 14. Vnde haec, oro uos, philosophis aut poetis taro consimilia? Non nisi de nostris sacramentis. Si de nostris sacramentis, ut de prioribus, ergo fideliora sunt nostra magisque credenda, quorum imagines quoque fidem inuenerunt. Si de suis sensibus, iam ergo sacramenta nostra imagines posterio rum habebuntur, quod rerum forma non sustinet: num quam enim corpus umbra aut ueritatem imago praecedit.
XLVIII. 1. Age iam, si qui philosophus affirmet, ut ait Laberius de sententia Pythagorae , «hominem fieri ex mulo, colubram ex muliere», et in eam opinionem omnia argumenta eloquii sui uirtute distorserit, nonne consensum mouebit et fidem infiget? Vt etiam ab animalibus sit abstinendum propterea persuasum quis habeat, ne forte bubulam de aliquo proauo suo obsonet . At enim Christianus si de homine hominem ipsumque de Gaio
65 hdysii S P Il occuparunt (F) edd. 68 prioribus] Vulg., propriori· bus F Il inuenerunt] F, inueniunt Vulg. 70 si] F Vulg., om. Rh Barr. 69no iam ergo] F Vulg., ergo iam Barr. XLVIII, l qui] S P al. , quis (F) dett. (uel quid) edd. 3 colu bram] F opt. Vulg . , colubrum dett. edd. 4 sui] F, om. Vulg. 4/.S consensu S V .sn inflget, ut ... obsonet? dist. Walt. .S/6 ut etiam ab animalibus sit abstinendum] F (sit del. Walt.) , etiam ab ani malibus abstinendi Vulg. (abstinendum Hoppe) 5. et poetae et philosophi, etc:. Oltre i HlosoH anche i poeti presen tano delle analogie, sull'inferno e sul paradiso, con la concezione cristiana dell'Oltretomba. Per il Tartareus Phlegeton . . . rapidus /lam mis cf. VERGILIUS, Aeneis VI, 550-55 1 . Per i Campi Elisi: lb., 637 ss.
XLVII, 1 3 - 1 4 (65-72) - XLVITI, l ( 1 -8)
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specie di muraglia formata da una zona di fuoco (empi reo), notiamo che i campi Elisi hanno già usurpato la fede. 5 14. Da dove, vi chiedo, sono giunte ai filosofi e ai poeti cose tanto simili? Non altro che dai misteri della nostra fede. 6 Ma se derivano dai nostri misteri che sono precedenti, allora questi sono più degni di fede e devono essere maggiormente creduti rispetto alle loro immagini che pure hanno trovato credito. Se invece sono derivate dalla loro sensibilità, allora le nostre dottrine dovranno essere considerate immagini di cose posteriori; ciò che la natura delle cose non ammette. Mai, infatti, l'ombra pre cede il corpo, o l'immagine (della realtà) precede la realtà.
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Risurrezione, giudizio, premio o castigo etemo
l . Pertanto, se qualche filosofo afferma, come dice Laberio, seguendo una sentenza di Pitagora, che «da un mulo nasce un uomo, una vipera da una donna>>,t e con l'abilità della sua eloquenza piega tutti gli argomenti a favore di questa opinione, non riscuoterà un consenso e non insinuerà questa convinzione? Lo farà a tal punto che qualcuno sarà persuaso che bisognerà astenersi dal m an giare gli animali, perché non gli capiti di mangiare carne di bue derivante da qualche suo proavo. Ma se un cristiano promette che (con la risurrezione) da uomo ritornerà uomo, e che da Gaio ritornerà lo stesso Gaio, subito si
6 . de nostris sacramentis. Per la resa del greco Jl VC1-rftpwv con il latino sacramentum, cf. M. SORDI, Da mysterion a sacramentùm, in: «Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti», Roma 2006, pp. 3 13 ss. 1. Cf. cap. XLVI, 1 1 . Il frammento di Laberio sulla metempsicosi in Pitagora, diversamente da quello su Democrito, non ci è giunto, ma ciò non significa che Tertulliano inventi o citi di seconda mano. Quando si tratta di autori di lingua latina, T ertulliano è ben infor mato.
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Gaium reducem repromittat, statim illic uesica quaeritur et lapidibus magis, nec saltim scopis a populo exigetur. F
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2. Quasi non, quaecumque ratio praeest animarum humanarum in corpora reciprocandarum ipsa exigat illas in eadem corpora reuocari quia hoc sit reuocari, id est: esse quod fuerant ! Nam si non id sunt quod fuerant, id est humanum et id ipsum corpus indutae, iam non ipsae erunt quae fuerant. Porro quae iam non erunt ipsae, quomodo redisse dicentur? Aut aliud factae non erunt ipsae, aut manentes ipsae, non erunt aliud.
Vulg.
2. Si quaecumque ratio praeest animarum humanarum reciprocandarum in corpora, cur non in eandem substantiam redeant, cum hoc si restitui, id esse, quod fuerat?
Iam non ipsae sunt, quae fuerant, quia non potuerunt esse, quod non erant, nisi desinant esse, quod fuerant.
9/10 statim illic uesica quaeritur et] F, om. Vulg. 10 copiis F, coeti bus Vulg. Hoppe, caedibus dett. edd. , caestibus Rig . , calcibus Vrsinus, clamoribus Walt. 11 quasi usq. 33 aliud F, si quaecumque usq. 31 fuerant Vulg. 20 est] F, prob. Rau., del. Walt. et dist. : reuo cari id esse quod fuerant 33 aliud] Tbor. TV, 138, aliunde F Walt.
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XLVIII, 1 -2 (9-33)
cerca una vescica (con cui colpirlo) ; anzi con pietre e non solo con scope è cacciato via dalla gente. 2
F 2. Come se, qualunque motivo presieda alla trasmigrazione delle anime nei corpi, questa non esigesse che siano richiamate negli stessi corpi, poiché l'essere richiamati in vita significa questo: essere ciò che si è stati ! Infatti, se esse non sono ciò che erano state, ossia rivestite di un corpo umano, anzi dello stesso corpo, non saranno più quelle che erano state. Ma se non saranno più le stesse, come si può dire che ritornano? O divenute un'altra cosa non saranno più le stesse; oppure, rimanendo le stesse, non saranno un'altra cosa.
Vulg. 2. Se un qualunque motivo presiede alla trasmigrazione delle anime nei corpi, perché non dovrebbero tornare nella stessa sostanza, quando l'essere ricostituiti significa essere ciò che si è stati?
In caso contrario esse non sono più quelle che erano state, poiché non possono essere ciò che non erano, se non cessando di essere ciò che erano state.
2 . uesica quaeritur. Sulle vesciche gonfiate d'aria con cui colpire la testa delle persone noiose, cf. SENECA, Natur. Quaest. II, 27 (cf. C. Mo RESCHINI, op. cit. , p. 297 ) .
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3 . Multis etiam locis ex otio opus erit, si uelimus ad hanc partem lasciuire, quis in quam bestiam reformari uideretur. Sed de nostra magis defensione, qui proponi mus, multo utique dignius credi, hominem ex homine rediturum, quemlibet pro quolibet, dum hominem: ut eadem qualitas animae in eandem restauretur, etsi non effigiem, certe condicionem.a 4. Sed quia ratio restitutionis destinatio iudicii est, necessario idem ipse, qui fuerat, exhibebitur, ut boni seu contrarli meriti iudicium a Deo referat . Ideoque repraesentabuntur et corpora,b quia neque pati quicquam potest anima sola sine materia stabili, id est carne, et quod omnino de iudicio Dei pati debent animae, non sine carne meruerunt, intra quam omnia ege runt.c 5. Sed quomodo, inquis, dissoluta materia exhiberi potest? Considera temetipsum, o homo, et fidem rei inuenies. Recogita, quid fueris antequam esses. Vtique nihil: meminisses enim , si quid fuisses. Qui ergo nihil fueras priusquam esses, idem nihil factus cum esse desieris, cur non possis rursus esse de nihilo eiusdem ipsius auctoris uoluntate, qui te uoluit esse de nihilo? 6. Quid noui tibi eueniet? Qui non eras, factus es; et iterum, cum non eris, fies. Redde, si potes, rationem, qua factus es, et tunc requi re, qua fies. Et tamen facilius utique fies quod fuisti ali-
a. d. 2 Mc 7 ; 12, 4-45 ; Mt 22, 23-33 (//); l Cor 15; 2 Cor 4, 14; Fil 3 , 2 1 ; l Ts 2, 13-18; Ap 20 b. d. Dn 12, 2-3 ; 2 Mc 7 ; Mt 16, 27; Gv 5 , 19-30; 1 1 ; At 24, 15; 2 Tm 4, l c. cf. Mt 16, 27; 2 Cor 4-5
36 uideretur] F Vulg., uidit. T edd. 38 quemlibet] Vulg., qui et F 39 eandem] Vulg., eadem F I l restaureturl (F) dett. edd., restaurare tur S P al. 39/40 etsi non efficiem, certe conditionem F, conditio nem, etsi non effigiem Vulg. 40 sed] F, certe Vulg. 45 quod] Vulg., om. F 49 o homo, et] Vulg. (d. Adu. Mare. II, 2, 2; Theoph., Ad Auto/. I, 13), an rectius cum F: homo es 53 esse rursus (F) dett. add. I l de] ex (F) V L edd. Il ipsius] om. (F) edd. 54 quid] Vulg.,
XL VIII, 3 -6 (34-57)
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3. Dovrei citare con comodo molti passi letterari, se volessi divertirmi su questo punto, ossia in quale bestia uno sarebbe trasformato. Ma preferisco soffermarmi a difendere la nostra tede, visto che proponiamo - e la cosa è certamente molto più degna di essere creduta - che uno ritorni uomo da uomo, un tale dall'essere tale, rimanendo uomo; sicché la stessa qualità di anima umana venga resti tuita nella m�desima condizione, sebbene non nella stessa figura corporale. 4. Ma poiché il motivo della restituzione dell'anima è la destinazione al giudizio (divino) , è necessa rio che si presenti esattamente lo stesso uomo di prima per ricevere da Dio il giusto giudizio del bene o del male com piuto. Pertanto, saranno ricomposti anche i corpi, poiché l'anima da sola, senza una materia stabile, cioè la carne, non può provare nulla, e perché tutto ciò che per giudizio di Dio le anime devono provare, non lo hanno meritato senza la carne dentro cui hanno compiuto ogni cosa. 5. Ma in che modo, tu dici, può essere ricomposta una materia dissolta? Considera te stesso, o uomo, e troverai la cosa credibile. Ripensa a ciò che eri prima di esistere. Proprio nulla . Infatti, se fossi stato qualcosa, te ne ricordere sti. Se dunque non sei stato nulla prima di esistere, e ugual mente nulla sei diventato quando hai cessato di esistere, per ché non potresti di nuovo esistere dal nulla per volontà di quello stesso autore che ha voluto che tu esistessi dal nulla? 6. Che cosa ti accadrebbe di nuovo? Tu che non esistevi, sei stato fatto; e nuovamente, quando non esisterai, sarai fatto. Spiega, se puoi, come sei stato fatto, e allora ricerca come sarai fatto . Del resto, sarà certamente più facile
nihil ergo F s; et iterum cum] F, cum iterum Vulg. 56 redde rationem si potes (F) r edd. 56157 require] F Vulg., requires r L
edd.
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quando, quia aeque non difficile factus es, quod num quam fuisti aliquando.a 7. Dubitabitur, credo, de Dei uiribus, qui tantum corpus hoc mundi de eo, quod non fuerat, non minus quam de morte uacationis et inanitatis imposuit animatum spiri tu omnium animatore,b signatum et per ipsum humanae resurrectionis exemplum in testimonium uobis. 8. Lux cottidie interfecta resplendet et tenebrae pari uice dece dendo succedunt, sidera defuncta uiuescunt, tempora ubi finiuntur, incipiunt, fructus consummantur et redeunt, certe semina non nisi corrupta et dissoluta fecundius sur gunt: omnia pereundo seruantur, omnia de interitu reformantur. 9. Tu, homo, tantum nomen, si intellegas te uel de titulo Pythiae discens, dominus omnium morientium et resurgentium, ad hoc morieris, ut pereas? Resurges, ubi cumque resolutus fueris: quaecumque te materia destruxe rit, hauserit, absorpserit, in nihilum prodegerit, reddet. Eius est nihilum ipsum, cuius et totum. 10. Ergo, inquitis, semper moriendum erit et semper resurgendum? Si ita rerum dominus destinasset, ingratis experireris conditionis tuae legem . At nunc non aliter destinauit quam praedicauit. 1 1 . Quae ratio uniuersitatem ex diuersitate composuit, ut omnia aemulis substantiis
a.
cf. 2 Mc 7; l Cor 15
b. cf. Gen l , 2
62/63 spiritum p2 dett. 63 omnium] F, animarum Vulg. Il per] F, om. Vulg. 64 uobis] S P al. , nobis (F) r edd. Walt. 67 con summantur] F Vulg. , consumuntur Barr. 7 1 pithiae S P I l discens] Vulg., disces deum F, dicens dett. 72 resurgentiumue (F) r edd. Il resurges] Junius, resurgas F, om. Vulg. 74 absor pserit] F, aboleuerit Vulg. Il prodegerit] Vulg. , redegerit F Il red det] F, te add. Vulg. 80 aemulis] Vulg . , ex aemulis F
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diventare ciò che una volta fosti, poiché ugualmente senza difficoltà (allora) sei diventato ciò che non eri mai stato. 3 7. Si dubiterà, penso, della potenza di Dio, che ha for mato questa grande massa del mondo da ciò che non esi steva, non meno di come dalla morte del vuoto e della vacuità l'ha animato con lo Spirito vivificatore di ogni cosa, !asciandolo come segno palese ed esempio a testimo nianza per voi dell'umana risurrezione. 8. Ogni giorno la luce si spegne e risplende; le tenebre, in pari modo, scom paiono . e riappaiono; le stelle muoiono e rivivono; le sta gioni dove finis cono iniziano ; i frutti sono consumati e ritornano; i semi, se non si corrompono e si disfano, non possono certo sorgere più fecondi: tutte le cose col perire si conservano, tutte le cose col morire si rinnovano. 9. Tu, uomo, che sei così grande, se ti conosci o impari dall'iscri zione di Pizia, tu che sei signore di tutte le cose che muoiono e risorgono, morirai così da perire per sempre? Risorgerai, dovunque tu sia morto; qualunque cosa ti abbia distrutto , inghiottito, assorbito , ridotto a nulla, ti restituirà. D nulla stesso è di Colui a cui appartiene anche il tutto.4 10. Dunque - voi dite - si dovrà sempre morire e sem pre risorgere? Se il Signore dell'universo avesse stabilito così, sperimenteresti tuo malgrado la legge di questa tua con dizione. Ma egli non ha stabilito diversamente da quanto aveva predetto. 1 1 . Quella mente ( divina) che formò l'universalità delle cose dall a diversità degli elemen-
3 . Diversamente dalla teoria della metempsicosi, la fede nella risur rezione della carne - caratteristica dd pensiero giudaico-cristiano è molto più ragionevole, collegata com'è al concetto di creazione dal nulla da parte di Dio, all'identità personale, alla responsabilità morale personale e al conseguente giudizio di Dio. 4.
Tu, homo, tantum nomen, si intellegas te. yvQìBt aav-r6v
(«Conosci te stesso») era la massima scritta sul frontone dd tempio di Apollo Pizio a Delfi.
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sub unitate constarent, ex uacuo et solido, ex animali et inanimali, ex comprehensibili et incomprehensibili, ex luce et tenebris, ex ipsa uita et morte, eadem aeuum quo que ita distincta condicione conseruit, ut prima haec pars, ab exordio rerum quam incolimus, temporali aetate ad fmem defluat, sequens uero, quam exspectamus, in infmi tam aeternitatem propagetur. 12. Cum ergo finis et limes, medius qui interhiat, affuerit, ut etiam ipsius mundi spe cies transferatur aeque. temporalis, quae illi dispositioni aetemitatis aulaei uice oppansa est, tunc restituetur omne hominum genus ad expungendum, quod in isto aeuo boni seu mali meruit, et exinde pendendum in immensam aetemitatis perpetuitatem.a 13. Ideoque nec mors iam rursus, ac rursus resurrectio, sed erimus iidem, qui nunc, nec alii post, Dei quidem cul tores apud Deum semper, superinduti substantia propria aetemitatis;b profani uero et qui non integre ad Deum, in poena aeque iugis ignis, habentes ex ipsa natura eius, diuina scilicet, subministrationem incorruptibilitatis.c 14. Nouerunt et philosophi diuersitatem arcani et publici ignis. lta longe alius est, qui usui humano, alius qui iudicio
Test., 14, 1 00- 103 : Ism. HISP., Etymol. XIX, 6, 4: «Habet quo que et aliam in se diuersitatem ignis. Nam alius est qui usui humano, alius qui iudicio apparet divino, sive qui de cado fulmen adstringit, sive qui de terra per vertices montium eructuat» (cf. PL 82 , 670).
cf. Le 12, 15-2 1 ; 16, 19-3 1 ; l Cor 7 , 29-3 1 ; Eh 9, 27 b. cf. l Cor 15, 53 ; 2 Cor 5, 1 -5 c. cf. Mt 25 , 4 1 -46; Gv 5, 28-29; At 24, 15; 2 Ts l , 7-10 a.
81 constarent] F dett. edd., cum (con S) constarent S P al. 83 ex ipsa uita] Vulg., ex om. F, et ipsa uita edd. 84 distincta] F, destina ta distincta Vulg., destinata et distincta p2 Oehl. , dest. ac dist. al. edd. Il conseruit] Vulg . , conseruatur F Il haec] Vulg . , antem F 86 exspectauimus P co". 87 fines S 88 mundi ipsius (F) r y edd. 90 aulaei] (F) pl r edd. , aullae ei S, aula p2 al. , aula ei V
XLVIII , 1 1 - 1 4 (8 1 - 10 1 )
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ti, così che tutte risultassero unificate con sostanze contra rie - di vuoto e di solido, di animato e di inanimato, di percettibile e di impercettibile, di luce e di tenebre, di vita stessa e di morte -, quella stessa mente ha anche disposto il tempo secondo una condizione distinta; sicché questa prima parte, che viviamo dall'inizio del mondo, scorra verso la sua fine con una durata temporanea, mentre la successiva che aspettiamo si prolunghi nell'infinita eter nità. 12. Quando, dunque, sarà giunta la fine (del primo periodo) e il limite che si frappone (ai due periodi) - sic ché muterà anche l'aspetto di questo mondo ugualmente temporaneo, che come velo è steso davanti all'eternità sta bilita da Dio -, allora tutto il genere umano sarà ricostitui to perché egli esamini che cosa in questa vita abbia merita to di bene o di male, e di conseguenza per fissarlo nell'im mensa perpetuità dell'eternità. 13. Perciò non ci sarà una nuova morte, né una nuova risurrezione, ma saremo gli stessi che ora siamo, né in segui to diversi: adoratori di Dio sempre presso Dio, rivestiti della sostanza propria dell'eternità. Gli empi, invece, e quanti non sono integri davanti a Dio, saranno nella pena di un fuoco ugualmente eterno, ricevendo dalla stessa natura del fuoco, che è divin a , una p a rtecipazione all ' incorruttibilità. 14. Anche i filosofi conoscono la diversità tra il fuoco arca no e quello comune. Pertanto, altro è quello che serve all'uso umano, e altro quello che serve al giudizio di Dio, sia caden do come fulmine dal cielo, sia fuorusçendo dalla terra attraverso le cime dei monti; infatti, quest'ultimo non
90/91 omne hominum genus] coni Hoppe (cf. cap. XU, 3; Ad nat. I, 1 6, 6; Adu Mare. H� 1 6, 1 1 ) ; omnium hominum genus F, omne humanum genus Vulg. Walt. 92 in immensam] F opt. Vulg., in mensam L, in om. dett. edd. 94 iam] F, nec add. Vulg. 95 idem S P al. 96 semper] Vulg., om. F 97 integri (F) Rh3 98 poenam F 98/99 diuina se. subministrarione F, diuinam se. subministrationem Vulg. 100 arehani S P 101 alius est] Vulg. (cf. Isid. l. c.) , ignis add. F .
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Dei apparet, siue de caelo fulmina stringens, siue de terra per uertices montium eructuans; non enim absumit quod exurit, sed dum erogat, reparat. 15. Adeo manent montes semper ardentes, et qui de caelo tangitur, saluus est, ut nullo iam igni decinerescat: hoc erit testimonium ignis aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poenam nutrientis. Montes uruntur et durant: quid nocentes et Dei hostes?
XLIX. 1. Haec sunt, quae in nobis solis praesumptio nes uocantur, in philosophis et poetis summae scientiae et insignia ingenia. Illi prudentes, nos inepti; illi honorandi, nos irridendi, immo eo amplius et puniendi. 2. Falsa nunc sint quae tuemur et merito praesumptio, attamen necessaria; inepta, attamen utilia: siquidem melio res fieri coguntur qui eis credunt, metu aeterni supplicii et spe aeterni refrigerii. Itaque non expedit falsa dici nec inepta haberi, quae expedit uera praesumi. Proinde nullo titulo damnari licet omnino quae prosunt. In uobis itaque praesumptio est haec ipsa, quae damnat utilia. Proinde nec inepta esse possunt. 3. Certe, etsi falsa et inepta, nulli tamen noxia: nam et multis aliis similia, quibus nullas poe nas inrogatis, uanis et fabulosis, inaccusatis et impunitis,
103 eructuans] F, eructans Vulg . 1 06 hoc] F, et hoc Vulg . 107 nutrientis] (F) Z edd., nutrientes Vulg. XLIX, l haec] (F) dett. edd., hac S P Q L 2 poetis] (F) dett. edd., in poetis S P Z 5 tuemur] (F) edd., tuentur Vulg. 9 proinde] F, om. Vulg. 10 omnino quae prosunt] Vulg., quae presunt omnino (F) r edd. 1 1 proinde usq. possunt] (F) Vulg . , del. Walt. 12 falla S P 13 aliis ] F Vulg., et aliis Ba". 14 uanis usq. eiusmodi enim] Vulg.,
in eius modi[s] accusatis et impunitis, ut noxiis; aeque enim F
XLVIII, 14-15 ( 1 02 - 1 08) - XLIX, 1 -3 ( 1 - 14)
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consuma ciò che brucia, ma - mentre distrugge - conser va. 5 15. In effetti i monti permangono pur ardendo per sempre, e chi è colpito con folgore dal cielo rimane intatto da non essere più cremato con nessun altro fuoco. Ciò è testimonianza del fuoco eterno; esempio del giudizio eter no che alimenta la pena. I monti bruciano e tuttavia per mangono. Non sarà così dei colpevoli e dei nemici di Dio?
49 - Necessità e utilità del cristianesimo l. Queste credenze, che solo nel nostro caso vengono chiamate pregiudizi, nel caso di filosofi e di poeti sono somme verità scientifiche e insigni conoscenze. Quelli sono sapienti, noi stolti; quelli degni di onore, noi di irri sione, anzi - ancor più - di punizione. 2. Siano pure considerate false le credenze che difen diamo e giustamente un pregiudizio, ma sono necessarie; stolte, ma sono utili se quanti vi credono sono spinti a diventare migliori per timore del castigo eterno e per la speranza della gioia eterna. Perciò non giova dichiarare falso e ritenere stolto ciò che giova presumere vero . Pertanto, a nessun titolo è lecito condannare ciò che asso lutamente giova. Il pregiudizio, allora, sta in voi, proprio perché condanna ciò che è utile. Quindi, le nostre creden ze non possono essere considerate s ciocchezze. 3. Ma, anche ammesso che siano false e inutili, non danneggiano alcuno . Infatti, sono simili a tante altre per le quali non irrogate alcuna condanna; vane e sciocche da !as ciarle
5 . arcani. . . ignis, etc. L'idea di un fuoco misterioso, divino, è gia presente in Eraclito e negli stoici. Eraclito di Efeso (fine VI e inizi V secolo) scrisse un'opera sulla natura, di cui ci sono giunti un centi naio di frammenti. Egli, seguito poi dagli stoici, è il primo autore a parlare del Logos, che è anche fuoco. Sull'analogia fra la dottrina eracliana e quella cristiana insiste Giustino (I Apol. I, 20; I, 46) , che ritiene Eraclito testimone del Logos seminale.
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ut innoxiis. Sed in eiusmodi enim, si utique, inrisui iudi candum est, non gladiis et ignibus et crucibus et bestiis. 4. De qua iniquitate saeuitiae non modo caecum hoc uulgus exsultat et insultat, sed et quidam uestrum, quibus fauor uulgi de iniquitate captatur, gloriantur, quasi non totum , quod in nos potestis , nostrum sit arbitrium ! 5. Certe, si uelim, Christianus sum. Tunc ergo me damna bis, si damnari uelim. Cum uero quod in me potes, nisi uelim, non posses, iam meae uoluntatis est quod potes, non tuae potestatis. 6. Proinde et uulgus uane de nostra uexatione gaudet. Proinde enim nostrum est gaudium, quod sibi uindicat, qui malumus damnari quam a Deo excidere. Contra illi, qui nos oderunt, dolere, non gaudere debebant, consecutis nobis quod elegimus.
15 inrisui] op t Vulg., inrisu uel in risu uel irrisioni dett. , inrisum F 19 captatus S P L V 23 posses] F, potes Vulg. 26 malum P corr. 28 elegimus] Vulg., eligimus (F) edd. .
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senza accusa e condanna, non essendo nocive. Tutt'al più, in questo genere di cose, tale credenza andrebbe giudicata meritevole di irrisione, non di spada e di fuoco, di croci e di belve. 4. Per questa iniqua crudeltà non solo il cieco volgo esulta e insulta, ma anche alcuni di voi - che cercano di accattivarsi iniquamente il favore popolare - se ne gloria no, come se quello che potete su di noi non dipenda tutto da una nostra libera scelta ! 5. Certo, se lo voglio, sono cri stiano. Solo allora tu mi condannerai, se vorrò essere con dannato. Ma poiché ciò che tu puoi contro di me, non lo puoi se io non lo voglio, allora ciò che tu puoi dipende dalla mia volontà, non dalla tua potestà. 6 6. Ugualmente anche il volgo gode vanamente della nostra persecuzione. Infatti, nostra è la gioia che esso attribuisce a sé, di noi che preferiamo essere condannati piuttosto che essere separati da Dio. Al contrario, quelli che ci odiano non dovrebbero godere , ma soffrire, poiché conseguiamo così quanto abbiamo scelto.
6 . Quelle idee che nei filosofi e nei poeti sono considerate teorie interessanti o invenzioni fantastiche, nei cristiani sono punite con la morte; questi però sarebbero subito assolti se rinunciassero alla loro fede. Restare cristiani diventa, dunque, una scelta di libertà. Questa idea, già presente negli «Atti di Apollonio», si trova chiaramente affermata nella Passio di Perpetua, che rifiuta il travestimento, impo stale per il circo, da sacerdotessa di Cerere, dichiarando: Ideo ad hoc spante pervenimus, ne libertas nostra abduceretur (cap. 6) (p. 1 87 , Lazzati) . L'assoluzione offerta a chi rinnega d i essere cristiano è una conferma della condanna per il nomen (e non per eventuali flagitia coh a eren tia nomini) , c h e è il motivo dominante di tutto l'Apologetico: non licei esse Christianos.
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L. l. Ergo, inquitis, cur querirnini, quod uos insequa mur, si pati uultis, cum diligere debeatis , per quos patimi ni quod uultis ? Piane uolumus, uerum eo more, quo et bellum miles. Nemo quidem libens patitur, cum et trepidare et periclitari sit necesse. 2. Tamen et proeliatur amni bus uiribus et uincens in proelio gaudet qui de proelio quereb atur, quia et gloriam consequitur et praedam. Proelium est nobis , quod prouocamur ad tribunalia, ut illic sub discrimine capitis pro ueritate certemus . Victoria est autem, pro quo certaueris, obtinere. Ea uictoria habet et gloriam placendi Deo et praedam uiuendi in aeternum. 3. Sed occidimur. - Certe, cum obtinuimus. Ergo uinci mus, cum occidimur, denique euadimus, cum obducimur. Licet nunc et «sarmentarios» et «semiaxios» appelletis, quia ad stipitem dimidii axis reuincti sarmentorum ambitu exurirnur. Hic est habitus uictoriae nostrae, haec palmata uestis, tali curru triumphamus ! 4. Merito itaque uictis non placemus, merito desperati et perditi existimamur. Sed haec «desperatio et perditio» penes nos in causam gloriae et famae uexillum uirtutis extollunt.a 5 Mucius dexteram suam libens in ara reliquit: o sublimit as animi ! Empedo cles totum sese Aetnaeis incendiis donat: o uigor mentis ! Aliqua Carthaginis condi-
a.
d. At 26, 24-25 ; l Cor l, 1 8 -3 1 ; 4, 9-13
L, 3 uolumus] F, pati add. Vulg. 4 miles] Vulg. , om. F Walt. I l quidem] Vulg., quippe (F) r y al. edd. lO obtinere pro quo cer taueris J!l 12 occidimur] F, ohducimur Vulg. Walt. Il certe] Vulg., certo F 12/13 uincimus] F, uicimus Vulg. 14 et sarmentarios et 15 dimedii S pl corr. semiaxios] F sarmenticios et semaxios Vulg. p2 I l axis] F Vulg . , assis edd. 16 exurimus S pl Q L, corr. J!l 18 alt. merito] F, propterea enim Vulg. 19 et] (F) dett. edd. , atque S P Z L V 20 causam] F (d. Adu. Mare. L 28, 1 ) , causa Vulg. Walt. 21 dextram (F) 22 Aetnaeis] F, atheniensium atheneis (aethneis f'J.) Vulg., Catanensium Aetnis edd. 23 donat] F, donauit Vulg.
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Vittoria della fede: il sangue dei martiri è seme di cristiani
1. «Dunque - voi dite - perché vi lamentate che vi per seguitiamo se volete soffrire, quando inve ce dovreste amare coloro tramite cui patite ciò che volete? » . Certa mente lo vogliamo, ma allo stesso modo con cui il soldato vuole la guerra. Nessuno, infatti, l'accetta volentieri, poi c h é n e c e s s a r i a m e n t e c o m p o r t a t i m o r i e p e r icoli . 2. Tuttavia la combatte con tutte le forze, e vincendo in battaglia gode - lui che si lamentava della battaglia - poi ché consegue gloria e bottino . La b attaglia per noi è l'essere chiamati davanti ai tribunali, per combattere là, a rischio della vita, per la verità. Vittoria, poi, è ottenere ciò per cui si è combattuto. Quella vittoria comporta la gloria di piacere a Dio e come bottino quello di vivere in eterno. 3. «Ma veniamo sopraffatti». - Sì, dopo aver consegui to ( quanto desideravamo) . Dunque, vinciamo quando siamo uccisi; otteniamo quando soccombiamo. l Chiama teci pure «gente da sarmenti» e «da mezz 'asse», perché legati a un palo formato da mezz'asse siamo bruciati cinti di sarmenti. Questo è l'abito della nostra vittoria, questa la veste palmata,2 con tale cocchio andiamo in trionfo ! , 4. Giustamente, quindi, non piaciamo a quanti da noi sono vinti e siamo considerati disperati e pazzi. Ma questa «disperazione e pazzia» alza presso di noi il vessillo della virtù per acquistare gloria e fama . .5 . Mucio ( S cevola) lasciò spontaneamente la sua destra sull'ara (accesa): o ani mo sublime ! Empedocle diede tutto se stesso alle fiamme
1. Riecheggia ancora in questo passo la domanda di Perenne ad Apollonio: Dunque, muori volentieri? E la risposta: Volentieri vivo,
ma non così da temere la morte per attaccamento alla vita. Niente, in/atti, è più prezioso della vita eterna (p. 172, Lazzati ) . Tertulliano accosta l'esempio del martire a quello del soldato, che in guerra affronta con fortezza la morte in vista della vittoria. 2. haec palmata uestis. La tunica palmata è quella dei trionfatori.
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trix rogo secundum matrimonium euadit: o praeconium castitatis et pudicitiae ! 6. Regulus, ne unus pro multis hostibus uiueret, toto corpore cruces patitur: o uirum for tem etiam in captiuitate uictorem ! Anaxarchus cum in exemplum ptisanae pilo contunderetur: «Tunde, tunde, aiebat, Anaxarchi follem, Anaxarchum enim non tundis».a O philosophi magnanimitatem, qui de tali exitu suo etiam iocabatur ! 7. Omitto eos, qui cum gladio proprio uel allo genere mortis mitiore de laude pepigerunt. Ecce enim et tormentorum certamina coronantur a uobis ! 8. Attica quaedam meretrix camifice iam fatigato postremo linguam suam comesam in faciem tyranni saeuientis exspuit, ut expelleret et uocem, ne coniuratos confiteri posset, etiam si uicta uoluisset. 9. Zeno Eleates consultus a Dionysio quidnam philosophia p raestaret, cum respondisset: «impassibilem fieri»,b flagellis tyranni subiectus sententiam suam ad mortem usque signabat. Certe Laconum fla gella sub oculis etiam hortantium propinquorum acerbata tantum honoris tolerantiae domui conferunt, quantum sanguinis fuderint.
a. VALERIUS MAxiMUS, Memorabilia III, 3, ext. 4 . MAxiMUS, Memorabilia m, 3, ext. 2 .
b. VALERIUS
24 secundum matrimonium euadit] F, se (oh J>2, om. Z) secundum matrimonium dedit Vulg. 25 et pudicitiae] F (cf. De pud. 1 0, 9) , om. Vulg. 26 truces S P Q L 27 etiam] F, et Vulg. 28 exemplum] F, exitum Vulg., exitu dett. I l ptissanae F, ptisane r, tisanae Vulg. 29 agebat S P corr. 30 de tali exitu suo] opt. Vulg., tali de suo exitu (F) edd., de tali suo exitu dett. 31 uel allo] Vulg. , alioue (F) r edd. 34 quaedam] F, om. Vulg. 35 comesam] opt. Vulg., comestam (F) r y al. edd. Il ex(s)puit] (F) dett. edd., expellit S P Q Z L V 36 expelleret] F, ex(s)pueret Vulg. 36/37 etiam si] F, si etiam Vulg. 37 zenocleates S P al. 39 impassibilem fieri] F, contemptu mortis inpassibilis S, con temptum mortis inpassibilis Vulg., contemptu mortis impassibilem fieri com: Hav. ll fagellis P Il subiectus] F, obiectus Vulg., abiectus dett. 4 1 acerbata] Vulg. , acerba F 42 honoris] F, honorem Vulg.
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dell'Etna: o anima vigorosa ! Una certa fondatrice di Carta gine (Didone) evitò col rogo il secondo matrimonio : o esaltazione della castità e della pudicizia ! 6. (Attilio) Regolo, per non vivere lui in cambio di molti nemici, patì croci in tutto il corpo: o uomo forte e vittorioso sebbene prigioniero ! Anassarco, schiacciato con un pestello come fosse orzo, diceva: «Pesta, pesta l'involucro di Anassarco, perché non pesti Anassarco». O grandezza d'animo di ftlo s o fo che s ch e r z av a p e rs i n o s u q u e s t a s u a m o r t e ! 7. Tralascio quanti con la propria spada, o con altro genere di morte meno crudele , acquistarono gloria. Dunque, anche le lotte sostenute fra i supplizi sono da voi coronate ! 8. Una meretrice ateniese, stancato ormai il carnefice, alla fme sputò in faccia al crudele tiranno la lingua che si era mozzata per sputare anche la voce, così da non poter rive lare i congiurati, quand'anche vinta dal dolore avesse volu to farlo. 9. Zenone di Elea, interrogato da Dioniso su ciò che la filosofia potesse offrire di utile , avendo risposto: «Diventare impassibile», sottoposto ai flagelli del tiranno confermò la sua risposta fmo a morire. Certamente le fla gellazioni dei (giovinetti) Spartani, più crudeli perché avvenivano sotto gli occhi dei genitori che li incoraggiava no (a resistere), conferivano alla famiglia tanto onore di fortezza, quanto maggiore era il sangue versato)
3 . Tertulliano cita l'esempio degli «eroi» pagani, celebrati per la fortezza con cui affrontarono la s offerenza per la patria, per l ' impero , per l ' amiciz i a : Muzio Scevola (VAL. MAX. , III, 2 ) ; Empedocle (HORATIUS, Ars poetica 464); Didone (d. De exhort. cast. 1 3 , 3 ) ; Anassarco (VAL. MAX., III, 3 , ext. 4 ) ; Attilio Regolo (CIC., De off. 3 , 99); la cortigiana ateniese Leena, che, torturata, non rivelò gli autori della congiura, cioè Armodio e Aristogitone (PLINIUS, Nat. Hist. VII, 23 , 87 ; XXXIV , 19, 72) ; Zenone di Elea (il tiranno in que stione non è Dionisio di Siracusa, ma Falaride di Agrigento: V AL. MAX. , I II, 3 , ext. 2 ) ; i giovinetti spartani fustigati nelle feste di Artemide Orthia (CIC., Tusc. disp. 3 , 34).
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10. O gloriam licitam, quia humanam, cui nec praesumptio perdita nec persuasio desperata reputatur in con temptu mortis et atrocitatis omnimodae, cui tantum pro patria, [pro agro,] pro imperio, pro amicitia permissum est, quantum pro Deo non licet ! 1 1. Et tamen illis omni bus et statuas defunditis et imagines inscribitis et titulos inciditis in aetemitatem ! Quantum de monumentis pote stis scilicet, praestatis et ipsi quodammodo mortuis resur rectionem . Hanc qui ueram a Deo sperat, si pro Deo patiatur, insanus est ! 12. Sed hoc agite, boni praesides, meliores multo apud populum, si illis Christianos immolaueritis, crociate, tor quete, damnate, atterite nos: probatio est enim innocentiae nostrae iniquitas uestra ! Ideo nos haec pati Deus patitur. Nam et proxime ad lenonem damnandam Christianam potius quam ad leonem putastis et confessi estis, labem pudicitiae apud nos atrociorem omni poena et omni morte reputari. 13. Nec quicquam tamen proficit exquisitior quaeque crudelitas uestra: illecebra est magis sectae. Etiam plures efficimur, quotiens metimur a uobis: semen est sanguis Christianorum ! 14. Multi apud uos ad tolerantiam doloris et mortis hortantur, ut Cicero in Tusculanis, ut Seneca in Fortuitis, ut Diogenes , ut Pyrrhon, ut Callinicus; nec tamen tantos inueniunt uerba discipulo s , quantos
44 humanam] Vulg., hwnana F I l cui cui P corr. 46 omnimodae] Vulg., omni modo F Rh Barr. 47 pro agro] F, om. Vulg., del. uide tur Il permissum] F, pati permissum Vulg. Walt. Hoppe 49 defun ditis] opt. Vulg., decernitis F, diffunditis r edd. Il inscribitis] Vulg., scribitis F 50 in aeternitatem] F Vulg., in om. Rh Barr. 5 1 ipsis (F) edd. 52 Deo] non add. s. l. alia m. S 58 damnandam] F, dam nando Vulg. Walt., clamando G Rb3 Barr. 59 putastis et] F, om. Vulg. Walt. 62 proficit] F Vulg. , profuitr edd. 63 magnis P corr. Il etiam] F, om. Vulg. 64 efficimus S P Q L 65 tollerantiam S P 67 diogenis S P I l Callinicus] À2 , calinicus (F) , Gallinicus Vulg.
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10. O gloria lecita perché umana, che non è considera ta né un folle pregiudizio né un fanatismo disperato nel suo disprezzo della morte e d'ogni specie di atrocità; a cui è concesso di patire per la patria, [per il territorio,] per l'impero, per l' amicizia tanto quanto non è concesso di soffrire per Dio ! 1 1. A tutti questi voi erigete delle statue, ponete iscrizioni sulle imm agini e incidete titoli per immortalarli ! Con questi monumenti, per quanto potete, voi stessi procurate ai morti una certa risurrezione. Invece, colui che spera quella vera da Dio, se per Dio soffre, è un pazzo ! 12. Fate pure, buoni giudici , molto più stimati dal popolo se immolate loro dei cristiani: tormentateci, tortu rateci, condannateci, schiacciateci. La prova della nostra innocenza sta, infatti, nella vostra iniquità ! Perciò Dio per mette che noi patiamo queste cose. Infatti, anche di recen te, condannando una cristiana al lenone piuttosto che al leone, avete ritenuto e confessato che la macchia della pudicizia è da noi considerata più atroce di ogni pena e di ogni morte. 4 13. A nulla serve ogni vostra più raffinata crudeltà: è piuttosto un'attrattiva verso la nostra setta. Noi diventia mo più numerosi ogni qualvolta siamo da voi mietuti: il sangue dei cristiani è un seme ! 14. Molti dei vostri esorta no alla sopp ortazione del dolore e della morte, come Cicerone nelle Tuscolane, come Seneca nei Casi fortuiti, come Diogene, come Pirrone, come Callinico. Ma le loro parole non trovano tanti discepoli, quanti invece ne trova-
4 . Della condanna delle vergini cristiane al bordello accennano sia Cipriano (« . . . et lupanaria non timentes . »: De mortalitate 1 5 ) , rife rendosi all'esperienza africana, sia Eusebio (Hist. ecci. VIII, 14, 14) parlando della persecuzione in Oriente dell'imperatore Massimino Daia. . .
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Christiani factis docendo. IS. lpsa illa obstinatio, quam exprobratis, magistra est. Quis enim non contemplatione eius concutitur ad requirendum, quid intus in re sit? Quis non, ubi requisiuit, accedit, ubi accessit, pati exoptat, ut totam Dei gratiam redimat, ut omnem ueniam ab eo com pensatione sanguinis sui expediat? 16. Omnia enim huic operi delicta donantur. Inde est, quod ibidem sententiis uestris gratias agimus. Vt est aemulatio diuinae rei et humanae, cum damnamur a uobis, a Deo absoluimur.
69 ipsa illa) f, illa ipsa Vu/g. 11 APOLOGYTICVM (APOLLOGYTICVM P, APOLOGETICVM dett. ) QVINTI TERTVLLIANI (CONTRA PAGANOS DE IGNORANTIA IN CHRISTO IESV add. Il') EXPLICIT Vu/g.
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401
no i cristiani insegnando coi fatti.5 l.S. Quella stessa ostina zione, che ci rimproverate, è maestra nel convincere. Chi, infatti, osservandola, non si sente spinto a cercarne la motivazione profonda? Chi, quando ha approfondito, non si avvicina (alla verità) ; e quando si è avvicinato, non desi dera soffrire per acquistare la pienezza della grazia di Dio, per ottenere il perdono completo (dei peccati) a prezzo del proprio sangue? 16. Con questo atto, infatti, tutti i delitti ci sono condonati. È questo il motivo per cui imme diatamente vi ringraziamo delle vostre sentenze. C'è come un contrasto tra le cose divine e quelle umane: quando da voi veniamo condannati, da Dio siamo assolti.
5 . Cicerone nelle Tusculanae, Seneca nel De Fortuitis (opera per noi perduta) , Pirrone, il fondatore dello scetticismo (in un'opera anch'essa perduta) e Callinico sono, fra i pagani, coloro che esorta no a sopportare con fortezza il dolore e la morte. I cristiani insegna no questa fortezza coi fatti, che i pagani invece - non capendola chiamano ostinazione. Così Plinio il Giovane nella lettera a Traiano (Ep., X, 96) . Marco Aurelio (Pens. Xl, 3 ) ritiene addirittura che sia dovuta «a puro spirito di opposizione» (Ka'tà 'lflÀ'IÌV ttapa'ta!;tv) , forse riferendosi all'intransigenza del Montanismo (cf. M. SORDI, I cristiani e l'impero romano, Milano 2004, p. 1 1 1 ) .
APPEND I C I
405
l - PROSPETTO LETTERARIO (Indichiamo le citazioni esplicite e non i semplici riferimenti)
Fontes Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. A d nat. Ad nat.
I, I, I, I, I, I, I,
l, l l, 2
l , 3 -4 l, 4 l , 6-8 l, 9
l , lO
Ad nat. I , 2 , 4 Ad nat. I, 2, 5 Ad nat. I, 2, 7 -9
ApoL I, 2 I, 6 I, 7 I, 8 I, 9 I, 1 0 I, 1 1 I, 1 2 - 1 3
Testimonia LACT. , Div. lnst. V, l , 6
n, 1 -2 ll, 4
ll, 5 ll, 6-7
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. A d nat.
I, 2, l I, 2 , 8 I , 2 , 2 -3 I, 2 , 3 I, 3 , 2
II, 1 0 II, l l
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 4 , 8. 10 I, 4, 9 - 1 0 I, 4, 1 1 I, 4, 1 1 - 1 3 I, 3 , 7 I, 3 , 8 I, 3 , 9- 1 0 I, 4, l I, 4, 2
III, l
Eus., Hist. ecc!. III, 3 3 , 3
II, 13
II, 1 8 II, 20
III, 2
III, 3 III, 4 III, 5 III, 5 III, 5 . III, 6 III, 7
Ism., Etym. VII, 14, l
406
APPENDICI
Ad nat. I, 4, 3
III, 8
Ad nat. I, 6, 5
IV, 13
Ad nat. I, 10, 14
V, l
Eus. , Hist. ecci. II, 2, 5
V, 2
Eus. , Hist. ecci. II, 2, 6
V, 3
Eus . , Hist. ecci. II, 25 , 4
V, 4
Eus.,
V, 6
Eus . , Hist. ecci. V, 5 , 6
V, 7
Eus. , Hist. ecci. V, 5 , 7
VI, 6
Ism.,
Etym. XIX, 3 2 , 4
Etym. Etym.
Ad nat. I, 10, 1 7 - 1 8
VI, 8
Ad nat. I, 10, 7 - 8
VI , 9
Ad nat. I, 10, 8
VI, 10
Ad nat. I, 7 , 1 9
VII, 4
Ad nat. I, 7 , 20
VII, 5
Hist.
ecci. III, 20, 7
VERG . , Aen . IV, 174 Ad nat. I, 7, 2
VII, 8
Ism.,
I, 7 , 3
VII, 9
Ism.,
Ad nat.
Ad nat. I, 7 , 3
VII, 1 0
Ad nat. I, 7 , 4 -5
VII, 1 1
Ad nat. I, 7 , 5
VII, 12
Ad nat. I, 7 , 6
VII, 13
Ad nat. I, 7 , 7
VII, 14
Ad nat. I, 7 , 29
VIII, l
Ad nat.
VIII, 2
I, 7 , 3 1 Ad nat. I, 7, 32 Ad nat. I, 7, 33 Ad nat. I, 8, l Ad nat. I, 7, 23 Ad nat. I, 7 , 24
Ad nat. I , 14, 4
V, 27, 26 V, 2 7 , 27
VIII, 3 VIII, 4 VIII, 5 VIII, 7 VIII, 8
De viris il/.
IX, 2
HIER. ,
IX, 4
MIN. FEL., Octav. 30, 3
53
IX, 7
LACT., Div. Inst. I, 2 1 , IsiD . , Etym. V 27 , 3 5
10
APOLOGETICUM
Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 1 5 , 8
IX, 12
I, 16, 4-5
IX, 16
I, 16, 1 1
IX, 1 8
Ad nat. II, Ad nat. II, Ad nat. II, Ad nat. II, Ad nat. II, Ad nat. II,
12, 2
X, 5
12, 26-27
X, 7
1 2 , 26
X, 8
1 2 , 3 0-3 1
X, 9
12, 32-33
X, 10
1 2 , 34
X, 1 1
Ad nat. Ad nat.
II, 13 , 4
XI, 3
II, 1 6 , 4
XI, 8
Ad nat.
I, 1 0 , 9
XII, 7
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 10, 1 1
XIII, 2
I, 10, 12
XIII, 3
l, 10, 20
XIII , 4
I, 10, 22
XIII, 5
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 10, 23 -24
XIII, 6
l, 10, 26-27
XIII, 7
l, 1 0 , 35
XIV, l
l, 1 0 , 3 8-3 9
XIV, 2
l, 1 0 , 3 9 l, 1 0 , 40
XIV , 3 XIV, 4
II, 14, 1 1 - 1 2
XIV , 5
l, 10, 40
XIV, 6
I, 10, 4 1 -42
XIV, 7
l, 10, 42 l, 10, 43
XIV, 8
Ad nat. I, Ad nat. l, Ad nat. I, Ad nat. I, Ad nat. l,
10, 44
XIV, 9 XV, l
lO, 44-45
XV, 2
10, 46
XV, 4
1 0 , 47
XV, 5 XV, 6
1 0, 48
407
APPENDICI
408
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 1 0 , 49 I, 1 1 ,
l
XV, 7 XVI,
l
I, 1 1 , 2
XVI, 2
I, 1 1 , 3
XVI, 3
I, 1 1 , 4
XVI, 4
I, 1 1 , 5 -6
XVI, 5
I, 12, 1 -3
XVI, 6
I, 1 2 , 3
XVI, 7
I, 12, 14- 1 6
XVI, 8
I, 13 , l
XVI, 9- 1 0
I, 1 3 , 2
XVI, 1 0
I, 13, 4
XVI , 1 1
l
XVI, 12
I, 1 4 , 4
XVI, 13
Ad nat. n, 4 , 2
XVII, l
Ism.,
Etym.
XIII, l , l
XVIII, 5
Ism.,
Etym.
VI, 3 , 5
XXI, 4
Quod id. 1 0 Quod id. 1 0 Ps-CYPR., Quod id. 1 1 Ps-CYPR., Quod id. 1 0 Altercatio Heracliani Ps-CYPR. , Quod id. 12 Ps-CYPR., Quod id. 1 3 Ps-CYPR., Quod id. 1 3 - 1 4 Ps-CYPR. , Quod id. 13 LACT., Div. Inst. IV, 1 9, 7 Ps-CYPR. , Quod id. 14 Ps-CYPR., Quod id. 14
I, 14,
XXI, 5 XXI, 6-7 XXI, 1 1 XXI, 1 2 - 1 4 XXI, 1 5 - 1 6 XXI, 17 XXI, 1 8 XXI, 1 9 XXI, 2 1 XXI, 23 XXI, 25
Ad nat. n, 8, 5-6
XXIV, 8
Ad nat. Ad nat. Ad nat.
II, 1 7 , 3 -4
XXV, 2 XXV, 3
II, 1 7 , 5
XXV, 7
II, 17, 2
VERG., Aen. I, 16- 1 8 VERG., Aen. I, 47
Ps-CYPR., Ps-CYPR. ,
APOLOGETICUM
Ad nat. II, 17, 6-7 Ad nat. II, 17, 7 Ad nat. II, 17, 1 1 - 12 Ad nat. II, 17, 13 Ad nat. II, 17, 14-15 Ad nat. II, 17, 16 VERG., Aen. I, 279 Ad nat. II, 17, 16 Ad nat. II, 17, 17
XXV, 8 XXV, 9 XXV, 12 XXV, 13 XXV, 14 XXV, 15
Ad nat. I, 17, 6
XXVIII, 4
l
Tm 2 , 2
Acta Fr. Arv. , CIL. , VI, 2086, 17; VI, 2014, 3 6
Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat. Ad nat.
I, 9, 3 I, 9, 5-6 I, 9, 6 I, 9, 8 I, 9, 8 I, 9, 7
409
XXV, 16 XXV, 17
XXXI , 3 XXXV, 4 XXXV , 7
De idololatria XV, 1 1
XXXVIII, 4
Ism . ,
Etym. XVIII, 59
Ism . , Ism. ,
Etym. VIII, 6, 19 Etym. VIII, 6, 20
XLVIII, 14
Ism . ,
Etym. XIX, 6, 4
L, 6 L, 9
VAL., Mem. III, 3 , VAL. , Mem. III, 3 ,
XL, 2 XL, 3 XL, 4 XL, 5 XL, 6 XL, 8
Ad nat. II, 2, 12 Ad nat. II, 2, 1 1
XLVI, 5 XLVI, 8
Ad nat. II , 2 , 5 - 6 Ad nat. II, 2, 7 Ad nat. II, 2, 8 Ad nat. II, 2, 7
XLVII, 4 XLVII, 5 XLVII, 6 XLVII, 7
ext. ext.
4 2
410
2 - INDICE ANALITICO A Aborto (v. Delittt). Accademici 3 , 6. Achei 14, 2 ; 25 , 4. Admeto 14, 4. Adriano 5, 7. Adulterio (v. Delittt) . Africa 9, 2 ; 24 , 8; 40, 4. Albino (Clodio) 35, 9. Alburno 5, l . Alessandro 1 1 , 1 5 ; 46, 15. Amazzoni 26, 2. Anacarsi l , 8. Anafe 40, 3 . Anassagora 46, 14. Anassarco 50, 6. Ancaria 24, 8. Angdi (v. Demonz) . Annibale 40, 8. Anubi 15, l . Apaturie 3 9, 15. Apicio 3, 6. Apione 19, 6. Apollo 14, 4; 46, 5-6. Arabia, Arabico 16, 2; 24, 8; 42, 7; 30, 6. Argivo, Argo 19, l*; 19, 3 ; 2 1 , 29; 47 , 2 (v. Inaco) . Aristarco 3 , 6. Aristeo 18, 7. Aristide 1 1 , 15. Aristippo 46, 16.
APOLOGETICUM
411
Aristotele 46, 15 . Arpocrate 6, 8 . Asclepiodoto 23 , 6. Ascoli 24, 8. Asia 40, 4 . Assiri 1 9 , 2*; 2 6 , 2. Atargate 24, 8 . Atene, Ateniesi, Attico 1 0 , 7 ; 1 4 , 8; 1 6 , 6 ; 2 1 , 2 9 ; 3 9 , 13 . 1 5 ; 46, 10; 50, 8 . Atlantico 40, 4. Attici (v. Misterz) . Attis 15, 5. Augusto 34, l. Aurelio (v. Marco). Autorità. Autorità dei magistrati: l , l . Autorità delle leggi: 4, l. 8 ; 45, 5 . Autorità dd senato: 6, 7 . Autorità degli antenati: 6, 10. Autorità dell'imperatore: 14, 4. Autorità della Scrittura: 19, l . 7*. Autorità del nome di Roma: 25, 2. Autorevolezza morale: 45 , 2 .
B Babilonesi 2 6 , 2. Baccanali 37, 2. Bacco 6, 10. Bdeno 24, 7 . Bellona 9, 1 0 . Belo 19, 2*. Beozia 21, 29. Beroso Caldeo 19, 6. Bestiarii 9, 5; 35, 6; 42, 5. Bracmani 42, l .
412
APPENDICI
c Caldei 19, 5-6. Callinico 50, 14. Campania 40, 8. Campidoglio 6, 8; 1 3 , 5 ; 17, 6; 25, 7 . 13 ; 26, 2 ; 40, 8. 14. Canne 40, 8. Cartagine 25, 9; 50, 5 . Cassino (di) 24, 8 . Cassio (Avidio) 3 5 , 9 . Cassio Severo 1 0 , 7 . Castori (Castore e Polluce) 22, 12. Catilina 9, 9. Catone 1 1 , 16; 39, 12. Celeste 12, 4 ; 23 , 6; 24, 7. Cerere 1 1 , 6; 13 , 9; 16, 6. Cesare. I cristiani non delinquono contro i Cesari: 4 , 1 1 . Tiberio Cesare e il senato sulla questione dei cristiani: 5 , 2 . La spada cesariana di Nerone contro i cristiani: 5 , 3 . Relazione di Pilato a Tiberio Cesare: 2 1 , 24. Chi cerca il favore di Cesare: 24 , 4. L'accusa ai cristiani di non onorare Cesare: 2 8 , 3 . I pagani giurano per il Genio di Cesare: 28, 4 . Gli dèi sono iii potere di Cesare: 29, 2-3 . I cristiani pregano per la salute dell'imperatore: 3 0 , 4; 3 1 , l . I cristiani non giurano per il Genio dell' imperatore: 32, 2. Cesare è costituito tale da Dio: 3 3 , l. La maestà di Cesare viene dopo quella di Dio: 3 3 , 2 . Nelle feste di Cesare i pagani non rispettano Cesare: 35, 3 -7. 9. I pagani non vogliono il vero bene di Cesare: 35, 12-13 . Cibele 12, 4 ; 15, 2; 25 , 4. 6. Cicerone (v. Tullio) . Ciclopi 7 , 5 . Cinico (v. Van-one). Cinocefalo 6, 8. Cinopeni 8, 5 . Ciro 19, 4 * . Cleante 2 1 , 1 0 .
APOLOGETICUM
413
Confessione. Del nome cristiano: 2 , 3 -20. Gli dèi sono uomini divinizzati: 1 0 , 1 0 . Gli dèi sono dèmoni : 23 , 6 ; 2 4 , l . Confessione dei demoni e dei dèmoni esorcizzati: 24, l ; 46, l . Confessione religiosa, cioè religione: 3 9 , 6 . Riconoscimento da parte dei pagani: 50, 12. Coribanti 25 , 7. Corinto 40, 4. Cornelio Nepote 10, 7. Cornelio Tacito 16, l. 3 . Corruzione (di vergini e adolescenti) (v. Delitti) . Cos 40, 3 . Crasso 1 1 , 16. Creso 1 1 , 15; 22, 10; 19, 4*; 46, 8. Crestiano 3 , 5 (v. Cristiano) . Creta 25 , 7 . Cristiani. L a questione sui cristiani: l , l . L'odio irragionevole verso il nome cristiano: l, 4; 2, 18; 3 , 1 -7; 4, l . 10-13 ; 49. I cri stiani sono pagani convertiti alla verità: l , 6. Loro diffusione e numero: l, 7; 37, 4; 50, 1 3 . Non è loro permesso di difen dersi: 2, 3 . La prassi contraddittoria seguita da Plinio e legit timata da Traiano: 2, 6-7. Incongruenze processuali contro i cristiani: 2, 8-20. Sono accusati di tutti i delitti: 2, 16. Non è un delitto essere cristiano: 2, 20; 3 , 1 -8. Etimologia del nome cristiano e crestiano: 3 , 5. Si odiano i cristiani perché si odia Cristo, il loro fondatore: 3 , 6. Sono considerati pazzi e degni d'irrisione: l , 13 ; 47 , 12; 49, l ; 50, 4. La legge romana non permette di essere cristiani: 4, 4. Un senatoconsulto all'origi ne dell'illegalità della fede cristiana: 5 , 1 -3 . La persecuzione di Nerone, di Domiziano e di altri empi imperatori: 5, 3 -5 . G li imperatori favorevoli ai cristiani: 5 , 6-8. I cristiani sono accusati di infanticidio, di pasti disumani, d'incesto: 2, 5. 20; 4, 1 1 ; 7 , l; 8 (ne sono colpevoli i pagani: 9). Sono accusati di empietà e di lesa maestà: 10 (ma il culto pagano è illogico: 1 1 -13 ) . Sono accusati di adorare una testa d'asino: 16, 1 -4. 12 (sono i pagani ad adorare divinità animalesche: 16, 5 . 13 ).
414
APPENDICI
Sono accusati di adorare una croce: 16, 6 (anche i pagani venerano le croci: 16, 6-8). Sono accusati di adorare il sole: 16, 9- 1 1 (sono i pagani ad adorarlo) . D Dio dei cristiani è il Dio creatore dd mondo, riconosciuto naturalmente da ogni anima, rivdatosi pienamente nel suo Figlio Gesù Cristo: 172 1 . Sono accusati di irrdigiosità: 24 (ne sono rei i pagani: 29, 5 ) . Sono accusati di non essere romani: 24, 9- 10 (lo sono, ma adorano il Dio di tutti) . Sono accusati di lesa maestà: 28-36 (altri offendono l'onore e minacciano la vita dell'imperatore: 35). Leali verso l'impero pregano per l'imperatore, ma non partecipano alle solennità pagane né a quelle in onore degli imperatori, né giurano per il Genio dell'imperatore: 27-35. Sono ritenuti nemici del genere umano: 3 7 , 8-10 (invece fanno dd bene). I cristiani non sono una setta pericolosa e, quindi, una fazione illecita: 38; 3 9, 20. La vita dei cristiani comporta preghiera, amore ai nemici, benevolenza reciproca (con agape fraterna), condivisione dei beni, castità, impegno nel bene: 39. Sono ritenuti causa delle pubbliche sciagure: 40 (ma sono i pagani a procurarsele) . Sono accusati di essere socialmente inutili: 42 (invece contribuiscono onestamente al benessere sociale: 42 -43 ) . Innocenza dei cristiani: 44-45 . I cristiani e i giudei: 2 1 . I cristiani e i filosofi: 46. Supplizi inflitti ai cristiani: 2. 15; 12, 3-5; 2 1 , 28; 30, 7; 37, 2; 49, 3; 50, 3 . Non s i nasce, m a s i diventa cristiani: 18, 4 . Cristo. I cristiani cantono a Cristo come a u n Dio: 2 , 6. È cono sciuto come un uomo qualunque, ma è Dio: 2 1 , 3 . È stato preannunciato da Dio, ed è il Figlio di Dio da lui generato: 2 1 , 7. Figlio di Dio e nato da una vergine: 27, 9. È il Logos del Padre, proferito dal Padre, e quindi Figlio di Dio: 2 1 , 1012. Dio originato da Dio, e insieme al Padre un unico Dio: 2 1 , 13. Dio-uomo, nato da una vergine e chiamato Cristo: 2 1 , 1 4 . I profeti hanno annunciato l a sua prima venuta, ma aspettiamo la sua seconda venuta: 2 1 , 15- 16. Ritenuto da molti un mago per i suoi miracoli, ma è il Verbo primordiale di Dio, nato per la salvezza di tutti: 2 1 , 17. Aveva predetto, come pure i profeti, la sua passione e morte: 2 1 , 18. Fu croci fisso e sepolto, ma come aveva predetto risuscitò da morte lasciando il sepolcro: 2 1 , 1 9-2 1 . Dopo la sua risurrezione apparve ai suoi discepoli dando loro il mandato di predicare
APOLOGETICUM
4 15
nel mondo, e ascese in cielo: 2 1 , 22 -23 . Relazione di Pilato a Tiberio: 2 1 , 24. I cristiani adorano Dio per mezzo di Cristo: 2 1 , 28; 23 , 18. La divinità di Cristo è vera: 2 1 , 3 1 . Cristo non è una favola: 23 , 12. Cristo giudicherà il mondo: 23, 13 . I cri stiani esorcizzano nel nome di Cristo: 23 , 15. La conquista della Giudea è un castigo divino per l'incredulità in Cristo: 26, 3 . Cristo è nato sotto Tiberio: 40, 3. La regola della verità viene da Cristo, tramite la trasmissione apostolica: 47 , 10. Crudeltà (contro i cristiani) 5 , 4. 7; 9, 7 ; 27 , 4; 49, 4; 50, 13 . Ctesia 9, 1 6. Curis 24 , 8.
D Danae 21, 8. Danao 19, l * ; 1 9, 3 . Dario 1 9, 4*. Dèi. n cristiano è ritenuto nemico degli dèi: 2, 16; 4, 1 1 . n loro culto è soggetto all' approvazione uman a : 5 , 1 -2 ; 1 3 , 3 . Variazioni umane nel culto degli dèi: 6, 7- 10. I cristiani non onorano gli dèi essendo uomini divinizzati dopo morte: 10, 1 - 1 1 ; 1 1 - 16; 2 1 , 3 1 ; 27, l . n loro culto è vano come la loro esistenza: 1 2 - 1 3 . 16; 42 , 7. Dileggi nel culto, nella poesia, nella filosofia, nei teatri, e oscenità nei templi: 14-15. n culto agli dèi, gli oracoli e certi prodigi sono opera demoniaca: 22 , 6- 12; 27, 4. Gli dèi pagani sono dèmoni: 23 , 1 - 19. Conviene più il favore di Cesare che non quello degli dèi: 24, 4. Si spergiura più facilmente per gli dèi che per il Genio di Cesare: 28, 3. Vane superstizioni pagane (divinizzazioni di animali) : 24 , 7. La grandezza di Roma precede il culto agli dèi: 25 -26. Gli dèi non salvano, ma sono soggetti all'impera tore: 29, 1 -3 . Le calamità non sono colpa dei cristiani, ma dei pagani che onorano i falsi dèi: 40-4 1 . Gli dèi mendicano offerte: 13 , 6; 40, 8. Disprezzo deifilosofi per la religione pagana: 12, 6; 14, 7; 46, 5 (v. Demoni) . Delitti. I cristiani sono considerati grandissini delinquenti e accusati di tutti i delitti: 2, l . 16. I cristiani non vanno ricer cati, ma condannati per i loro supposti delitti: 2, 6-20. Ai cri-
APPENDICI
416
stiani non si chiede la confessione dei delitti, ma la sconfes sione del nome cristiano: 2, 10-20. Infanticidio: 2, 5. 1 0; 4, 1 1 ; 7 , l . 5 ; 8, 2. 7 ; 9, 2-6. 12; 23 , l . Omicidio: 2, 4. 20; 9, 4-5 . 7 -8. 1 2 ; 1 1 , 2 ; 3 5 , 10; 45 , 3 . Parricidio (dei figli ) : 9, 4 -6. Aborto: 9, 8. Pasti di sangue: 7 , l. 5 ; 8, 2. 7 ; 9, 9-15. Incesto: 2, 4-5 . 20; 7, l ; 8, 3 . 5. 7-8; 9, 16. 19; 1 1 , 12; 2 1 , 8. Adulterio: 1 1 , 12; 15, 7; 45 , 3 ; Stupro: 1 1 , 12; 2 1 , 8. Corruzione di vergi ni: 1 1 , 12. Corruzione di adolescenti: 1 1 , 12; 46, 10. Furto: 1 1 , 12; 2 1 , 20. Frode: 2, 7; 1 1 , 12; 4 1 , 9. Empietà: 2, 16; 4 , 1 1 ; 1 0, 1 -3 ; 12, 6-7 ; 1 3 - 1 5 ; 24 , 6 . 9. Sacrilegio: 2 , 4. 1 1 ; 10, l ; 12, 6; 13, l ; 35, 5 . Lesa maestà: 2 , 8. 16; 4, 1 1 ; 10, l ; 28-36. I cristiani non commettono alcun delitto: 2, 16-17; 9, 1 9-20;
36, 4; 45 , 1 -7 . Delo 40, 3 . Delventino 24 , 8. Demetrio Falereo 18, 5; 19, 6. Democrito 46, 1 1 . Demòni, Dèmoni. Sono spiriti malvagi: 22, l . 4 ; 29, l . Dalla Scrittura sappiamo che i demòni sono angeli volontariamente pervertiti nel male e operano la perversione dell'uomo: 22 , 4; 27 , 4; 35, 12. Capo dei demòni è Satana: 22, 2. Dai demòni sono sorti i dèmoni: 22, 3 . Infliggono mali all'anima e al corpo dell'uomo, e corrompono le cose: 22 , 4-6; 3 7 , 9 . Inducono al culto degli dèi: 2 2 , 6-7. Inducono a irridere la verità di Cristo: 23 , 12-13. Sono alati e perciò di estrema agi lità: 22, 8. Operano attraverso la divinazione, gli oracoli: 22 , 9-10. Possono operare portenti: 22 , 1 1 - 12. I maghi utilizzano la loro potenza per operare prodigi: 23 , l . Gli dèi pagani sono dèmon i : 23 . Tutti in modo naturale ammettono l'esistenza di spiriti malvagi: 22 , 2 . Testimonianza dello stes so Platone e dei maghi: 22, 2. ll volgo si serve dei poteri dei demòni nelle maledizioni: 22, 2. Le arti magiche sono demo niache: 35, 12. I Geni degli imperatori sono dèmoni: 32, 2-3 . Potere occulto dei demòni che spingono i giudici all'ostilità contro i cristiani: 2, l. 18- 19; 27, 3 -4. I dèmoni dei filosofi: 46, 5 . Socrate era guidato da un dèmone: 22, l . Cristo ha scacciato i demòni: 2 1 , 17. Cristo ha dato ai cristiani il potere di esorcizzare i demòni: 23 , 4- 19; 27 , 5 -7 ; 37, 9- 10; 43 , 2 . Sono già condannati per il giorno del giudizio insieme ai loro adoratori: 23 , 14-15; 27 , 6.
APOLOGETICUM
4 17
Demostene 1 1 , 15. Diana 1 3 , 9; 15, l . Dio (dei cristiani) . Offensivamente è chiamato razza d'asino: 16, l . 12. I cristiani non adorano il sole, ma si riuniscono nel giorno del sole: 16, 9. È l'unico e vero Dio: 17, 1 -2. 5 ; 22, 7 . 12; 23 , 1 1 ; 24, 2. 10; 25 , l ; 30, l ; 35, l ; 4 0 , 8; 43 , 2. Creatore del mondo: 17, 1 -2 ; 42, 2 . Invisibile in sé ma visibile nelle sue opere, e quindi conoscibile: 17, 3 -5 . Testimoniato natural mente dall'anima: 17, 6. È Dio di tutti: 24, 10. Governa la storia e lo si prega per la stabilità dell'impero e la salute del l'imperatore: 25-36. Ha rivelato se stesso e il suo disegno di s alvezz a , e questa rivelazione è contenuta nella sacra Scrittura che chiede la fede: 1 8-20. L ' unico Dio è costituito da tre Persone divine, Dio Padre, il suo unico Figlio, Logos eterno che si è incarnato, e lo Spirito Santo (solo accennato) : 2 1 , 7-3 1 . D cristiano crede i n Dio e giunge a lui tramite Gesù Cristo: 2 1 , 28; 23 , 18 (v. Cristo) . Le riunioni cristiane sono incontri di preghiera a Dio e a Cristo, meditazioni sulle divi ne Scritture, impegno a vivere secondo la volontà di Dio: 2 , 6; 39, 1 -2 1 ; 45 , 1 -6. I cristiani accettano come prova le calamità che Dio permette come castighi del paganesimo: 4 1 , 1 -6. I fùosofi non sono giunti a verità certe su Dio, defor mando la semplice verità rivelata: 47, 1 - 1 4 (v. Filosofia). Dio permette la persecuzione: 50, 12. Dio sarà giudice di tutti: 17, 6; 18, 3 ; 32, 2; 36, 3 ; 40, 10; 4 1 , 3 ; 45, 7; 47, 12; 48, 4. 14-15 . Dopo l a risurrezione dei morti Dio riserva a i buoni l a vita eterna e beata con lui: 8, l; 18, 3 ; 48, 12- 13. Diodoro Greco 10, 7. Diogene 14, 9; 39, 14; 46, 10. 12; 50, 14. Diomede 14, 2. Dionigi 46, 15; 50, 9. Dionisiache (feste) 39, 15. Disciplina. ll genere di vita cristiana: 2 , 6; 3 , 6; 7, 3; 21, 7 ; 37, 5 ; 3 9, l . 3 . 1 9 ; 46, 3 . 8. 17; 47 , 1 1 . I buoni costumi: 6 , l ; 2 0 , 3 ; 2 1 , 5 . Le leggi morali: 1 8 , 3 . La dottrina cristiana: 23 , 1 1 ; 45, 2. La fede cristiana: 30, 5 . Dispositivo legale: 35, 3 . Prassi di vita: 39, 12. Corretto svolgimento rituale: 39, 17. Dottrina. Dottrina divina: 1 9 , 5*. Dottrina di Cristo: 2 1 , 1 8 . Dottrina umana: ·45 , 2 . Dusare 2 4 , 7.
418
APPEN DICI
E Ebreo, Ebraico 18, 6. 8 (v. Giudei) . Edipo 9, 1 6. Efeso (di) (v. Menandro) . Egitto, Egiziani 16, 2; 19, 5-6; 24 , 7; 26, 2; 40, 7 . Elea (di) (v. Zenone) . Eleusini (v. Misten) . Elisi (campi) 47 , 13 . Emilio (M.) 5 , l . Empedocle 50, 5 . Empi. Imperatori empi: 5 , 4 . 7 . Empie libidini: 7 , l . Timore degli empi: 7, 7. Empi contro i genitori: 1 1 , 12. Parole empie: 12, 6. Giove empio: 14, 5. Pena eterna degli empi: 18, 3; 48, 13. Dopo la sua risurrezione Cristo non è apparso agli empi: 2 1 , 22. Empietà dei sicari degli imperatori: 35, 10. A causa degli empi Dio permette la sofferenza dei giusti: 4 1 , 2. Empietà (v. Delittt) . Enea, Eneadi 9, 5 ; 14, 2; 25 , 8. Enotria 10, 8. Epicuro, Epicurei 3, 6; 3 8, 5 ; 45 , 6; 47, 6. Epona 16, 5 . Eraclito 47 , 6. Erasistrato 3, 6. Ercole 14, l. 9; 15, l. 3. 5 ; 39, 15. Ermia 46, 15. Erodoto 9, 9. Esculapio 14, 5; 23 , 6; 46, 5. Esorcismi (v. Demonz) . Etna 50, 5 .
F Falereo (v. Demetrio). Falisci 24, 8. Fama 7, 8-14; 18, 5 ; 46, 18; 50, 4. Paria (v. Cerere). Fato 25 , 9.
APOLOGETICUM
419
Fede (dea) 24, 5 . Fenici 1 9, 5 . Fenicio (v. leromo). Filadelfio (v. Tolomeo) . Filosofia, fùosofi. Filosofia significa amore alla sapienza: 1 9 , 6*. L'incredulità considera la fede cristiana una specie di fùoso fia: 46, 2. I fùosofi si denominano dal loro maestro: 3 , 6. Non costretti a sacrificare agli dèi: 46, 4. Influsso dei dèmoni: 46, 5; 47, 1 1 . Falsificano e disprezzano la verità cercando la glo ria umana: 46, 7; 47 , 3 . Incompatibilità tra un fùosofo e un cristiano: 46, 18. I fùosofi hanno deformato la verità attinta dalla Scrittura: 47 , 1 - 14. Con la fùosofia gli eretici deformano la verità della fede: 47, 9. Le fandonie fùosofiche screditano la certezza dell'esistenza della verità: 47 , 1 1 . Diverse opinioni su Dio di Epicuro, Pitagora, Eraclito, Platonici, Epicurei, Stoici : 47 , 5 - 7 . Diverse opinioni sul mondo e sull' anima umana: 1 1 , 5; 47, 8. Un operaio cristiano sa su Dio più di un fùosofo pagano: 46, 9. Talete non aveva certezze su Dio: 46, 8. Anassagora mancò di onestà: 46, 14. Democrito fu vittima della concupiscenza: 46, 1 1 . Pitagora e Zenone furono ambi ziosi: 46, 13 . Socrate disprezzava gli dèi: 14, 7 ; era guidato da un dèmone: 22, l; 46, 5; fu lenone con la moglie: 39, 13 ; cor ruttore di adolescenti: 46, l O ; condannato a morte dagli Ateniesi: 14, 8; 46, 10; fece sacrificare ad Apollo in cui non credeva: 46, 5 -6. Platone sostenne l'esistenza di dèi, di angeli e di dèmoni: 22, 2 ; 24, 3 ; affermò il giudizio d'oltretomba: 23 , 13 ; la difficoltà di conoscere Dio: 46, 9; parlò di un dilu vio avvenuto sulla terra: 40, 5; non fu immune da superbia: 46, 12; e da golosità: 46, 15; sostenne la reincarnazione delle anime: 48, l . Aristotele mancò di lealtà e adulò Alessandro: 46, 15. Diogene si prese gioco di Ercole: 14, 9; fu schiavo della sessualità: 46, 10; dominato dalla superbia: 46, 12. Varrone il cinico dileggiò Giove: 14, 9. Speusippo morì colto in adulterio: 46, 10. Aristippo amò il lusso: 46, 16. lctia fu ucciso tramando contro la patria: 46, 16. Epicuro insegnò a disprezzare il dolore e la morte: 45, 6. Seneca si scagliò con tro la superstizione pagana: 12, 6. Zenone parlò del logos divino: 2 1 , 10. Menedemo ammise l'intervento della provvi denza nella traduzione dei Settanta: 18, 7. Concordanze fùo-
APPENDICI
420
sofiche sul giudizio ultimo e sulla sorte eterna degli uomini:
47, 12- 13 ; 48, 14. Si esalta la filosofia, considerando le verità di fede come stoltezze degne di irrisione e di punizione: 49, l. Ammirevole l'imperturbabilità d'animo di Anassarco: 50, 6; e di Zenone di E1ea: 50, 9; come pure gli insegnamenti sulla sopportazione dd dolore e della morte di Cicerone, di Seneca, di Diogene, di Pirro e Callinico: 50, 14. Fortuiti (Casi, di Seneca) 50, 14. Frigia 25, 4. Frine 1 3 , 9; 46, 10. Frode (v. Delittz). Fuoco. I cristiani sono arsi col fuoco: 12, 5 ; 30, 7; 49, 3 . Un tea trante bruciato vivo: 15, 5 . n fuoco eterno o geenna: 18, 3 ; 23 , 16; 47 , 1 2 ; 48, 1 3 - 1 5 . I cristiani non si vendicano col fuoco: 3 7 , 3 . Un fuoco ha distrutto Sodoma e Gomorra, Volsinio e Pompei: 40, 7-8. Eraclito suppone Dio costituito da fuoco: 47 6. n paradiso è separato dalla terra da una zona ' di fuoco: 4 7 , 1 3 . La morte di Empedocle tra le fiamme dell'Etna: 50, 5 . Furto (v. Delittt).
G Gabinio 6, 8. Gaio 48, l . Gaio Seio 3 , l . Galilea 2 1 , 23 . Galli 9, 5 . Genio (dell'imperatore) 28, 3 ; 32, 2-3 ; 35, 10. Germania 5 , 6. Gerusalemme 16, 3 . Giane, Giano l O , 7 ; 28, l . Gimnosofisti 42, l . Giove 9 , 5 . 16; 10, 1 1 ; 1 1 , 6 ; 1 3 , 7 ; 14, 3 . 5 . 9 ; 15, 1 -2 . 5; 2 1 , 8.
10; 19, 2*; 24, 3 . 5 ; 25 , 7-8. 10; 28, 1 . 3 ; 35, 7; 40, 14-15; 42, 8. Giuba 19, 6. Giudea 2 1 , 23 ; 26, 3 .
APOLOGETICUM
42 1
Giudeo, Giudaico. Vespasiano debellatore dei Giudei: 5 , 7 . Ostilità dei Giudei verso i cristiani: 7 , 3 . La Guerra giudaica: 16, 2. Origine, nome e religione dei Giudei: 16, 2-3 . 1 1 . Le sacre Scritture, i profeti e la traduzione dei Settanta: 18, 5-9. I Giudei come primi destinatari della rivdazione di Dio: 19, 2 * . Il giudeo Flavio Giuseppe: 19, 6. Antichità e autorità della sacra Scrittura ebraica: 19, 1 -9*; 19, 1 -7 ; 2 1 , l; 47, 3. TI giudaismo è radice dd cristianesimo, ma questo è specifica mente diverso dal giudaismo a motivo di Cristo: 2 1 , 1 -2; 40, 7 . I Giudei e Gesù Cristo: 2 1 , 3. 17-22. Avvento di Cristo preannunciato dai profeti: 2 1 , 1 5 . I Giudei attendono la venuta di Cristo: 2 1 , 15. Incredulità dei Giudei e loro casti go: 2 1 , 4 - 6 . 1 6 . Persecuzione dei cristiani da parte dei Giudei: 2 1 , 25. Mediazione di Mosè e mediazione di Cristo: 2 1 , 29. Giudizio. È compito dei magistrati giudicare con giustizia: l, l ; 4 , 1 2 ; 5, 8; 7, 5 ; 1 0 , 3 ; 3 0 , 7; 44, 1 -3 ; 50, 12. Incongruenze processuali contro i cristiani: 2, 3 . 10. 12-20; 4, 10- 1 3 ; 7, 2; 49, 3 . Pregiudizi: l, 9; 3, 2 ; 10, l. Un uomo ha giudicato alcuni dèì: 15, 2. Dio è giudice: 17, 6; 18, 3 ; 32, 2; 36, 3; 40, 10; 4 1 , 3 ; 45 , 7; 47, 12; 48, 4. 14-15. Cristo giudicherà tutti gli uomini: 23 , 1 3 - 1 5 . Il giudizio di Minosse e Radamanto: 23 , 13 . I demòni sono già stati condannati per il giorno del giudizio insieme ai loro adoratori: 23 , 14; 27, 6. I giudici che condannano i cristiani sono subomati da satana: 27, 4. n giu dizio nella comunità cristiana: 39, 4-5 . Giulie (v. Leggt). Giunone 13 , 9; 15, 2; 24, 8; 25 , 8-9. Giuppitri (v. Giove) . Giuseppe Giudeo (Flavio) 1 9 , 6. Giustizia. La giustizia dei magistrati dev'essere diligente: l, l ; 1 1 , 13 . Odio anticristiano ingiustificato: l , 5 . Punizioni ingiuste inflitte ai cristiani: l , 9. La legge non è giusta in quanto legge, ma perché moralmente giusta: 4, 1 3 . Il culto pagano divinizza uomini che non brillano per giustizia: 1 1 , 10. 14. La giustizia di Aristide: 1 1 , 15. La giustizia dei profe ti: 18, 2. La giustizia è diventata rara: 20, 3 . La giustizia dei patriarchi: 2 1 , 4. È praticata in modo diverso dai cristiani e dai filosofi: 46, 2 .
APPENDICI
422
Gloria. I magistrati non acquistano gloria nel condannare la verità: l, 3. La verità è gloria della giustizia : l, 9; 2, 5 . L'essere denunciati come cristiani è motivo di gloria: l , 12. È gloria l'essere stati perseguitati da Nerone: 5 , 3 . Gloria trion fale dell'imperatore: 3 3 , 4. I cristiani sono insensibili ad ogni desiderio di gloria umana: 3 8, 3 . I ftlosofi cercano la gloria umana: 46, 7; 47, 3 . La gloria umana lecita: 50, 10. ll cristia no cerca la gloria che viene da Dio: 50, 2. 4 . Gneo (v. Pompeo). Gomorra 40, 7. Grecia, Greco 10, 5 . 7 ; 17, l; 18, 8; 19, 7; 25, 4. 13 ; 39, 12. 16;
46, 18.
I Ictia 46, 16. Ida 25, 7. Iera 40, 3 . Ieromo Fenicio 19, 6. iliaco (v. Troiant). Imperatori. Augusto 34, l . Tiberio: 5 , 2; 7 , 3 ; 2 1 , l . 24; 40, 3 . Nerone: 5 , 3 -4 . Vespasiano; 5 , 7 . Domiziano: 5, 4. Traiano: 2 , 6-7 ; 5 , 7 . Adriano: 5 , 7 . Pio (Antonino) : 5 , 7 . Marco Aurelio: 5 , 6 ; 25 , 5 . Vero ( Lucio ) : 5 , 7 . Severo ( S ettimio) : 4 , 8 . Imperatori empi: 5 , 4 . 7. Dio concede a Cesare l'impero: 29. Preghiere dei cristiani per l'imperatore: 3 0-3 1 . Genio del l'imperatore: 28, 3 ; 32, 2-3 ; 35, 10. L'imperatore non è un dio, ma un uomo sottomesso a Dio: 3 3 -34. I cristiani non sono nemici dell'imperatore: 35, 5. Ipocrisia dei pagani verso l'imperatore: 35, 6- 13 . Lealtà dei cristiani all'imperatore: 36, 1 -3 (v. Cesare) . Impero (romano) l , l ; 25 , 3 . 12. 16- 17; 30, 1 -4 ; 3 1 , 3 ; 32, l ; 34,
l ; 50, 10. Inaco Argivo 19, 3 . Incesto (v. Delittz). Indiani 42, l . Infanticidio (v. Delittz) .
APOLOGETICUM
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Iniquità. Iniquità o ingiustizia contro i cristiani: l, 3 -6; 4, l; 10, l ; 27 , 4 ; 49, 4 ; 50, 12. L'iniquità dd mondo punita col dilu vio: 19, l*. La crescente iniquità dd mondo pagano: 20, 3 . È frutto dell'azione demoniaca: 27, 4 . L'innocenza cristiana tempera l'iniquità del mondo: 40, 13 . Iside 6, 8. Italia, Italico 6, 7. 10; 10, 7-8; 24, 8.
L Laberio 48, l . Lacedemoni, Laconi (v. Sparta) . Laide 13 , 9 . Laomedonte 1 4 , 4. Larentina 1 3 , 9; 25 3 . 9. Lari 13 , 4. Legge. La verità rafforza il valore della legge: l, 3; 4, 3. La perse cuzione anticristiana contraddice la funzione della legge: 2, 14. 1 7 . n cristiano non è nemico delle leggi: 2, 16. n legislato re Licurgo: 4, 6; 46, 14. Le leggi possono essere corrette e abrogate: 4, 6-10; 5, l ss. Leggi Papie e Giulie: 4, 8. Solo la giustizia dà valore morale alla legge: 4, 10. Le leggi ingiuste vanno condannate e sono stolte: 4 , 1 0- 1 1 . Nessuna legge umana si autogiustifica: 4, 13 . Un senatoconsulto all'origine delle leggi anticristiane: 5, l . Solo gli imperatori empi hanno emanato decreti anticristiani: 5 , 7 . Decadenza legislativa romana: 6, 1 -9. La legge divina fu promulgata tramite Mosè: 19, 3 * . Mosè è più antico di tutti i legislatori: 19, 4; 45, 4. Le leggi giuste sono un riflesso della legge divina: 19, 5*; 45 , 4. La persecuzione anticristiana avviene anche in ossequio a leggi ingiuste: 3 7 , 2. Autorità delle leggi umane e della legge divina: 45 , 5 . Alcune legislazioni hanno bandito la fùosofia: 47 2.
Lentulo 15, l . Liberali (feste) 42, 5. Libero 6, 7; 11, 6. 8; 12, 4.
APPENDICI
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Libertà. Libertà tassata dei Giudei: 18, 9. Diritto di libertà reli giosa : 24 , 6 ; 2 8 , l . Asservimento della libertà: 3 9 , 1 6 . Equiparazione per i cristiani alla libertà concessa ai filosofi:
46, 3 . Licurgo 4 , 6; 46, 14. Lidia 22 , 10. Lucania 40, 4. Lucio Tizio 3 , l. Lucullo 1 1 , 8. Luna 15, l . Luperci 26, 2 .
M Macedoni 9 , 16. Maestà. I cristiani sono accusati di lesa maestà: 2, 8; 10, l ; 28, 3 ; 29, l . 4 ; 3 1 , 2 . Gli dèi pagani ricevono maestà dagli uomini: 6, 8. Gli dèi hanno associato alla loro maestà uomini indegni e viziosi: 1 1 , 13 . La maestà degli dèi è oggetto di lucro: 13 , 6. Nei teatri si insozza e si distrugge la maestà degli dèi: 15, 3 . 6 . Dio ha creato il mondo a ornamento della propria maestà: 17, l. I segni della maestà di Dio nella natura: 18, 3. La mae stà della sacra Scrittura: 20, l. Gli dèi degradano la loro mae stà dichiarandosi dèmoni: 23 , 9. n dio che deifica deve posse dere la perfetta maestà: 24, 3 . Inesistente maestà di Cibde: 25 , 5. La maestà di Cesare viene dopo quella di Dio: 33 , 2 ;
35, 5 . Magistrati. N d giudicare i cristiani mancano d i giustizia: l , l . Sottostanno all'influsso dei dèmoni: 2, 14. 19. Giudicano tal volta con animosità: 3 7 , 2. Talora nelle condanne si lasciano influenzare dall'ostilità anticristiana della folla: 49, 4 . Manetone Egiziano 19, 6 . Marco Aurdio 5 , 6 ; 25 , 5 . Marcomanni 37, 4 . Matte 1 4 , 3 . Mauri 3 7 , 4.
APOLOGETICUM
425
Mauritania 24, 7. Medi 26, 2. Megaresi 39, 14. Melampo di Argo 21, 29. Menandro di Efeso 19, 6. Mendes (di) (v. Tolomeo) . Menedemo 18, 7. Mercurio 9, 5 ; 15, 5. Metennio 6, 4. Minerva 1 1 , 6; 13, 4; 15, 2-3 . Minasse 23 , 13 . Misteri. I riti di Libero: 6, 7 . La regola del silenzio: 7, 6. I riti Samotraci ed Eleusini: 7, 6. n padre dei riti sacri: 8, 7 . I riti Attici: 39, 15 (v. Sacramenti) . Morte, Morti. lnfanticidio rituale: 8, 7 ; Gli dèi sono mortali divi nizzati: 10, 10- 1 1 ; 1 1 , l . 4; 12, l . 7; 13, 7; 15 , l ; 2 1 , 3 1 ; 28, 3 ; 29, l . Còmpito di Mercurio e Plutone verso i morti: 1 5 , 5 . Frequenti mortalità: 2 0 , 2. Cristo ridava l a vita ai morti: 2 1 , 17. L a morte di Cristo in croce: 2 1 , 1 8 - 1 9 . Cristo predisse la sua risurrezione da morte: 2 1 , 20. Gli imperatori vivi valgono più degli dèi che sono uomini morti: 30, l . La divinizzazione di un imperatore vivo è un cattivo augurio di morte: 34, 4. n furore dei pagani contro i morti cristiani: 3 7, 2. Il cristiano affronta con coraggio la morte: 3 7, 3 . La terra senza i cristia ni sarebbe come morta: 37, 7. n bagno dei morti: 42, 4. Le condanne e i supplizi umani non durano oltre la morte: 45 , 6. Il Piriflegetonte è il fiume dei morti: 47, 12. Dio ha creato il mondo traendolo come dal vuoto della morte: 48, 7. 1 1 . La morte di ciascun uomo è unica: 48, 1 3 . Esempi gloriosi di morte tra i pagani: 50, 7-9. 14. n cristiano preferisce la morte al peccato: 50, 12 . Mosè 19, 1 -2*; 19, 3 -4; 2 1 , 29; 45 , 4. Mucio (Scevola) 50, 5. Museo di Atene 21, 29. Mutuno 25 , 3.
APPENDICI
426
N Narni 24, 8. Nepote (v. Cornelio) . Nerone 5, 3 -4 . Nettuno 14, 4 . Nigro (Pescennio) 35, 9 . Nilo 4 0 , 2. Norico 24, 7. Norzia 24, 8. Numa Pompilio 2 1 , 29-3 0; 25, 12.
o Ocricoli (Otricoli) 24, 8. Olimpo 28, 3 . Omero 19, 3 . Omicidio (v. Delittt). Orfeo di Pieria 2 1 , 29. Ostia 24 , 8. Ostilio 15, l . ·
p Palestina 5, 2 ; 40, 7. Pallade Attica 16, 6. Papie (v. Leggt). Parricidio (v. Delittt) . Partenio 35, 9. Parti 37, 4. Pasti. Pasti di sangue: 7, l . 5; 8, 2-7; 9, 9-15; La cena cristiana, cioè l'agape fraterna: 39, 16-18. Pazzia. La fede cristiana è considerata una pazzia: l , 13 ; 47, 12; 49, l; 50, 4 . Pazzie prodotte dai dèmoni: 22, 6.
APOLOGETICUM
427
Persecuzione. Violenze: l , 1 1 - 13 ; 2, 5-20; 5, 3 -8; 3 1 , 2; 37, 1 -3 ; 40, 1 -2; 46, 6 ; 4 9 , 1 -6; 50, 1 - 16. Dio permette l a persecuzio ne: 50, 12. Persiani 9, 1 6; 16, 9. Perversità (contro i cristiani) 2 , 1 1 . 14. 17; 27, 4. Pessinunte 15 , 5 . Pieria 2 1 , 29. Pilato (v. Ponzio). Pindaro 14, 5. Pio (Antonino) 5 , 7. Piriflegetonte 47, 12. Pirro 22, 10. Pirrone 50, 14. Pisistrato 18, 5 . Pisone 6, 8 . Pitagora, Pitagorici 3 , 6 ; 1 1 , 5 ; 4 6 , 1 3 ; 47 , 6 ; 4 8 , l . Pizia, Pizio 22, 10; 4 8 , 9 . Platone, Platonici 3 , 6; 1 1 , 5; 22 , 2 ; 23 , 13; 2 4 , 3 ; 40, 4-5 ; 46, 910. 12. 15; 47, 6-7 . Plinio Secondo 2, 6. Policrate 1 1 , 15. Pompei 40, 8. Pompeo 1 1 , 1 6; 16, 3. Pompilio (v. Numa). Ponto 1 1 , 8. Ponzio Pilato 21, 18. 24. Priamo 1 9, 3 . Priene 46, 13 . Proculi 2 1 , 23 . Profeti, profezia 18, 5 -6; 19, 3 -4*. 6*; 19, 4 (v. Scrittura) Prometeo 18, 2. Punico 25 , 8.
Q Quiriti 35, 6.
APPENDICI
428
R Radamanto 23 , 1 3 . Regolo (Attilio) 5 0 , 6 . Religione, religiosità. Magistrati religiosissimi (ironico) : 6, l . Perdita del religioso rispetto verso gli antichi: 6 , 9 . Roma reli giosissima {ironico) : 9, 5. Irreligiosità dei pagani verso gli dèi: 13 , l ; 28, 4 ; verso il vero Dio: 29, 5 . La religione pagana mendica offerte: 13, 6; 42, 8. La religiosità pagana venera dèi viziosi: 14, 6. I pagani sono più religiosi al circo che a teatro: 1 5 , 4. La religione giudaica: 16, 2-3 ; 2 1 , l. Chi adora una croce è correligionario dei cristiani: 16, 6. La religione milita re: 16, 8. La religione del sole: 16, 1 1 . La religione cristiana: 16, 14. Valore di una religione: 19, l . Nessuno può mentire sulla propria religione: 2 1 , 27 . Lesa religione, soprattutto romana: 24, l; 27, l. La vera religione del vero Dio: 24, 2; 35, l; 3 9, l. I magistrati rischiano l'irreligiosità togliendo la libertà religiosa: 24, 6. I cristiani sono privati della loro reli gione: 24 , 9. I romani non dominano il mondo per la loro religiosità: 25 , 2 ; 1 4 - 1 7 ; 26, 3 . Evoluzione della religione pagana: 25 , 1 2 . Venerazione religiosa dei cristiani verso l'imperatore soggetto a Dio: 33 , l; 34, 3 ; 35, 5; 36, 2. Non è religiosità la licenziosità morale nelle feste dell'imperatore: 35, 3. Ipocrisia religiosa dei romani verso l'imperatore: 35, 8. L'appartenenza alla religione cristiana non si compra: 39, 5. La religione non ammette bassezze morali: 39, 17. Ris u rrezion e : Cristo predisse la sua risu rrezion e : 2 1 , 2 0 . Possibilità e motivo della risurrezione dei corpi: 4 8 , 1 - 1 3 . La risurrezione è unica per i giusti e per gli empi, ma con esiti diversi: 48, 1 3 - 1 5 . Certezza cristiana nella risurrezione: 50,
11. Rodi 40, 3 . Roma. Qui si è sviluppato il cristianesimo ed è scoppiata la per secuzione: 5, 3 . È al centro di notizie: 7, 10. A Roma è stato versato da Nerone il sangue dei martiri: 2 1 , 25 . A Roma si venerano dèi non romani: 24, 8; 25 , 10. Roma non deve la sua grandezza alla religiosità pagana: 25 , l ss, L'impero di Roma è nei disegni di Dio: 26, 1 -2. Roma è anteriore ai suoi dèi: 26, 2. Le sciagure si sono abbattute su Roma prima del l'avvento del cristianesimo: 40, 8.
APOLOGETICUM
429
Romano l, 1 ; 6, 10; 10, 5 ; 14, 8; 16, 7 ; 2 1 , 18. 29; 24, 1 . 8-9; 25 ,
2-4. 7 . 9. 12- 13 ; 15. 17; 26, 3 ; 32, 1 ; 35, 5-6. 8-9; 36, 1 ; 3 9, 1213; 40, 8. Romolo 6, 4 ; 2 1 , 23 .
s Sabei 42, 7 . Sacramenti. I riti cristiani: 2 , 6. n rito sacro dell'infanticidio: 7, l ; 9, 3 . 6. I l padre dei riti: 8, 7 . I riti pagani: 1 2 , l ; 3 5 , 10. L ' ordinamento della religione cristian a : 1 5 , 8 ; 47, 1 4 . L'ordinamento della religione giudaica: 19, 2 (v. Misten). Sacrifici. Rifiuto dei cristiani di sacrificare agli dèi pagani: 2, 6; 9, 15 ; 27, 1 -2 ; 28, l ; 29, l . Rifiuto dei cristiani di sacrificare per gli imperatori: 10, l ; 28, 2. Scadenti sacrifici pagani: 14, l. Indegnità morale dei sacerdoti pagani: 30, 6. Ai filosofi non è richiesto di sacrificare: 46, 4 . Sacrilegio (v. Delittz). satt 10, 7 ; 26, 2 ; 39, 15. Sarno 25 , 8. 13. Sarnotraci (v. Mistert). Sangue. Infanticidio e pasti di sangue: 8, 2 . 7 . Sacrifici umani cruenti: 9, 2- 6. Assunzione rituale di sangue: 9, 9- 10; 25 , 5 . Carni sanguinolente: 9 , 1 1 - 1 5 . Sangue incestuoso: 9, 17-18. Sangue umano nel circo: 15, 4-6. I dèrnoni chiedono sacrifici di sangue: 22, 6; 23 , 14. Sangue di animali sacrificati: 30, 5 . Consanguineità: 9 , 1 8 ; 3 5 , 13 ; 3 9 , 8 . Il sangue dei cristiani: 9, 6; 2 1 , 25; 23 , 6. 19; 40, 1 -2; 46, l ; 50, 13 . n sangue del marti rio ottiene il perdono dei peccati: 50, 15. Santo (dio) 13 , 9. Sarpedone 14, 3 . Satana 22 , 2 (v. Demonz) . Saturnali (feste) 42 , 4. Saturno, Saturnio 9, 2 . 4; 10, 6-1 1 ; 1 1 , 6; 13 , 4; 16, 11; 19, 2*;
25 , 10. Sciapodi 8, 5. Scipione 1 1 , 16. Sciti 9, 9.
430
APPENDICI
Scrittura. Sacra Scrittura e rivelazione: 18, 1-5. Antichità e auto rità della Scrittura: 19, 1 - 1 0*; 19, 1 -7 . Verità e divinità della Scrittura: 20, 1 -4. La Scrittura e la fùosofia dei pagani: 47, 214. Interpretazione scritturistica degli eretici e della Chiesa (regola della fede) : 47, 9-10. Secondo (v. Plinio) . Seio (v. Gaio) . Seneca 12, 6; 50, 14. Senoni (Galli) 40, 8. Serapeo 18, 8. Serapide 6, 8. 10; 39, 15. Setta (cristiana) . L'odio contro la setta cristiana l , l . Nome e valore dal suo fondatore: 3 , 6-7 . È sconosciuta nella sua verità: 3, 8. È stata perseguitata da Nerone: 5, 3. È fondata sulla divina rivelazione: 2 1 , l . I suoi elementi fondamentali: 2 1 , 27 . È la setta di Dio: 37, 3 ; 39. 6. Non è una fazione illeci ta: 3 8 , l . Ha origine storica dal giudaismo: 40, 7. Non è socialmente dannosa: 43 , 2. La sua bontà: 46, 2. La persecu zione provoca interesse verso i cristiani: 50, 13. Settimio Severo 4, 8. Severo (v. Cassio) . Sibilla 19, 10*. Sicilia 40, 4. Sigerio 35, 9. Silla 1 1 , 16. Simon Mago 13, 9. Simulacri (degli dèi) (v. Dèt) . Sirene 7, 5 . Siria 5 , 2; 2 1 , 1 8 ; 24, 8. Sirmio 25 , 5. Socordio 23 , 6. Socrate 1 1 , 15; 14, 7-8; 22, l ; 3 9, 12; 46, 5 . 1 0. Sodoma 40, 7 . Sole. ll Sole piange il figlio morto: 15, 2; Adorazione del sole: 16, 9- 10. Giorno del sole e religione del sole: 16, 1 1 . Solone 19, 4*.
APOLOGETICUM
43 1
Sparta, Spartani 4, 6; 6, 3; 46, 14; 47 , 2; 50, 9. Speusippo 46, 10. Sterculo 25 , 3. 10. Stoici 3, 6; 47 , 6-7. Stupro (v. Delitti) . Supplizi. Supplizi inflitti ai cristiani: 2. 15; 12, 3 -5 ; 2 1 , 28; 30, 7; 37, 2; 49, 3 ; 50, 3 . Supplizio eterno: 49, 2 . Sutri 24 , 8 .
T Tacito (v. Cornelio) . Talete 19, 4*; 46, 8. Tallo 10, 7; 19, 2*; 19, 6. Tartaro 1 1 , 1 1 . Taurico 9, 5 . Tebe 47 , 2 . Temistocle 1 1 , 1 5 . Tenazio 23 , 6 . Tevere 35, 6; 40, 2 . Tiberio (imperatore) 5 , 2; 7, 3 ; 2 1 , l . 24; 40, 3 . Tiberio (proconsole d'Mrica) 9 , 2 . Tiro 1 9 , 6. Titani 19, 2*. Tizio (v. Luào). Tolomeo Filadelfo 18, 5 . 7-8. Tolomeo di Mendes 19, 6. Toscana, Toscani 25 , 13; 40, 8. Traiano 2 , 6-7; 5 , 7. Trofonio di Beozia 2 1 , 29. Troiani 14, 2 ; 19, 2*; 25 , 4. Tullio (Cicerone) 1 1 , 16; 50, 14. Turi 46, 13 . Tuscolane (di Cicerone) 50, 14.
432
APPENDICI
v Valenzia 24, 8. Varrone Cinico 14, 9. Venere 14, 2; 15, 2. Verità. La verità desidera farsi ascoltare: l , l . Sua condizione terrena e cdeste: l , 2. Si condanna la verità senza conoscerla: l , 2-3 . La verità accresce l'autorità delle leggi: l , 3 . Non si consente ai cristiani di esporre la verità della loro condizione: 2, 3 . La verità replica a tutte le accuse anticristiane: 4, 3 . La legge non si antepone alla verità: 4, 3 . La verità è oggetto di odio: 7 , 3 ; 14, 7 ; 46, 6. La fama emargina la verità: 7, 8. Il pregiudizio e la malafede si oppongono alla verità: 10, l . La verità sugli dèi è la loro inesistenza: 12, l . La verità contrasta la menzogna e l'errore: 15, 8. La verità della Scrittura: 19, 7*. La verità nelle profezie della Sibilla: 19, 10*. La verità delle profezie scritturistiche: 20, 3 . Menzogne sulla verità cri stiana: 2 1 , 14. Persecuzione dei cristiani a causa della verità: 2 1 , 25 . Cristo conduce alla conoscenza della verità: 2 1 , 30. La verità cristiana è evidente: 46, 2. Socrate aveva colto la verità negando l'esistenza degli dèi: 46, 5. I filosofi falsificano e disprezzano la verità: 46, 6-7 . 18. Semplicità della verità cri stiana: 47, 4. Gli eretici falsificano la verità: 47 , 9. I cristiani possiedono la verità: 47, 9. La regola della verità cristiana: 47 , 10. Contraffazione demoniaca della verità: 47, 1 1 . I cri stiani combattono per la verità: 50, 2 . Vero (Lucio) 5 , 7 . Vespasiano 5, 7 . Visidiano 2 4 , 8 . Vita eterna 8, l ; 18, 3 ; 4 8 , 12- 13 . Vittoria. Le Vittorie pagane: 16, 6. La vittoria cristiana: 50, 2. Volsinio (Bolsena) 24, 8; 40, 8.
z Zaccaria 19, 4*. Zenone di Elea 21, 10; 46, 13 ; 50, 9.
INDICE
ABBREVIAZIONI TER11JLUANEE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
5
INTRODUZIONE CAP. l . L' AUTORE E L'OPERA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
9
1 - Quinto Settirnio Fiorente Tertulliano . . . . . . . . . . . . . . p.
9
2 - La data dell'Ap ologeticum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
11
fra l'Ap ologeticum, l'Ad Nationes e l'Octavius . . . p.
12
3 - n rapporto
.
4 - L'Ap ologia di Apollonio
come fonte dell'Apologeticum . . .
........
. . . . . . . . . . . . . . . . p.
15
5 - Tertulliano e il fondamento giuridico
delle persecuzioni anticristiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 2 1 . . p . 24
6 - La struttura dell'Ap ologeticum . . . . . . . . . .
.
.
..
.
......
.
..
CAP. 2 . 11 PENSIERO DI TER11JLLIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
27
1 - n piano logico dell'Ap ologeticum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 27 2 - L'apologetica di Tertulliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
33
3 - n confronto tra cristianesimo e paganesimo . . . . . p.
47
4 - Elementi teologici p resenti nell'Apologeticum
....
p. 56
CAP. 3 . LA STORIA DEL TESTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 67 1 - Le due recensioni: Vulgata e Fu/dense .
. p.
67
2 - La tradizione indiretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
70
3 - n problema dell'autenticità delle due redazioni . . p.
72
4 - Manoscritti ed edizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
81
.
........
..
A - Manoscritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 8 1 B - Principali edizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 83 BIBLIOGRAFIA
....................................................................
p.
89
NOTA DEL TRADUTTORE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 0 1
INDICE
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TESTO E TRADUZIONE
APoLOGETICO p. 1 07 l L'odio anticristiano: la verità è condannata senza essere conosciuta p. 1 07 2 - Incongruenze processuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 15 3 - Irragionevolezza dell'odio anticristiano . . . . . . . . . p. l25 4 - Necessaria moralità della legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 3 1 5 - Iniquità delle leggi anticristiane . . . . p. 137 6 - Decadenza del paganesimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 145 7 - Falsità accusatorie. Delitti occulti: infanticidio, cannibalismo, incesto p. 153 8 - Incredibilità delle accuse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 159 9 - Nefandezze dei pagani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 65 l O Delitti manifesti: l'accusa di empietà e di lesa maestà . . . . . . . . . . . . . . . p. 177 1 1 - illogicità del culto pagano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 83 12 - Vanità dei simulacri pagani . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 89 13 -Inesistenza di divinità private e pubbliche . . . . . p. 1 93 14 -Irrispettosità religiosa pagana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 201 15 -Derisioni e oscenità pagane . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . p. 205 1 6 - Deformazioni del culto cristiano: culto all'asino, alla croce, al sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 2 1 1 1 7 - n Dio dei cristiani: Dio unico, creatore e giudice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . :. . . . p. 2 1 9 1 8 - L a rivelazione biblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 223 1 9 - Antichità e autorità della Sacra Scrittura . . . . . . . p. 229 20 - L'avverarsi delle profezie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 237 2 1 - Specificità del cristianesimo: Gesù Cristo, Dio-uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 239 22 - Esistenza, natura, attività degli spiriti malefici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 259 23 - Gli dèi pagani sono dèmoni . p. 265 24 - Irreligiosità dei pagani, non dei cristiani .. p. 275 25 - La grandezza di Roma precede il culto agli dèi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 279 26 - Dio dispensatore dei regni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 291 27 - n cristiano non può simulare il culto pagano ... p. 293 28 - Libertà religiosa e accusa di lesa maestà . . . . . . . . p. 295 ......................................•.••.•.•.•.............
-
..
.
.............
.
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................
..........
.....
INDICE
435
29 - Gli dèi non salvano l'imperatore, ma sono da lui protetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 297
30 - I cristiani pregano Dio per la salute dell'imperatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 299
3 1 - n dovere dei cristiani di pregare per l'imperatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 303 32 - I cristiani non giurano per il Genio dell'imperatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 05 33 - L'imperatore non è dio, ma un uomo sottomesso a Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 07 34 - L'imperatore non è un signore divino . . . . . . . . . . . p. 3 09 35 - I cristiani non sono pubblici nemici . . . . . . . . . . . . . . p. 3 1 1 3 6 - Rispetto e fedeltà dei cristiani all'imperatore . . .p . 3 1 9 3 7 - I cristiani non odiano, non si vendicano, ma fanno del bene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 2 1
3 8 - I cristiani non sono una setta pericolosa . . . . . . . . p. 327 3 9 - Le riunioni cristiane: preghiera e reciproco amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 329 40 - I cristiani non sono causa delle pubbliche sciagure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 3 9 4 1 - Diversità tra cristiani e pagani nelle comuni disgrazie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 347 42 - I cristiani non sono inutili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 5 1 4 3 - I cristiani non favoriscono i guadagni illeciti . . p. 355 44 - N on vi sono criminali cristiani o cristiani criminali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 357 45 - I cristiani vivono nell'innocenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 6 1 46 - I l cristianesimo non è una filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 63 47 - Deviazioni dall'unica verità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 373 48 - Risurrezione, giudizio, premio o castigo eterno p . 3 8 1 49 - Necessità e utilità del cristianesimo . . . . . . . . . . . . . . . p . 3 9 1 50 - Vittoria della fede: il sangue dei martiri è seme di cristiani . . . . . . . . . p. 3 95 APPENDICI l -
PROSPETIO LETIERARIO
2 - INDICE ANALITICO
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. p. 405 .
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p. 4 1 0
437
Collana
l TA L E N T I diretta da Marta Sordi
La collana «l Talenti», edita da Edizioni San Clemen te e Edizioni Studio Domenicano, ospita testi classici di varie tradizioni culturali, cristiane e non cristiane, occi dentali e orientali, riproducendo il testo antico nella sua lingua originale, la sua traduzione in italiano accompa gnata da introduzioni, apparati critici e note esplicative.
l . TERTULLIANO, Di/esa del cristianesimo (Apologeticum)
2. BARDFSANE, Contro il Fato (Peri heimarmene) 3 . ELISEO CARMENo, Omelie su Giudici, (in preparazione)
439
Collana SouRCES CHRÉTIENNES EDIZIONE ITALIANA
l.
CIPRIANO DI CARTAGINE, l}unità della Chiesa; pp. 346
2. CIPRIANO DI CARTAGINE, A Donato; e La virtù della pazienza; pp. 296 3 . MANuELE ll PALEOLOGO, Dialoghi con un musulmano. VII discussione; pp. 256 4. A Diogneto 5 . CIPRIANO DI CAlrrAGINE, A Demetriano (in preparazione)
Di prossima pubblicazione: La dottrina dei dodici apostoli IRENEO DI LIONE, Contro le eresie ( l O volumi) ; EVAGRIO PONTICO, Centurie Gnostiche; GREGORIO DI NISSA, Discorso catechètico; GREGORIO DI NISSA, Omelie sult>Ecclesiaste; GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Genesi; GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a Giobbe.
l TALE NTI
L
a Difesa del cristianesimo (Apologeticum)
è l ' indiscusso c a
p ol avoro di Tertulliano, una delle op ere più significative della letteratura latina.
C o n stile p e r s o nale che unisce concisione e p a s s i o n e, rigore l o g i c o e s atira mo rdace, c o nvinz i o n e e d entusiasmo, l'autore evi denzia i l contrasto in atto tra paganesimo e cristianesimo. La p e r s e cuzione anticristiana, causata d a u n o dio immo tivato e ir ragi o n evole, n o n trova alcuna giustificazione giuridica, p o litica, culturale o s o ciale. Tertulliano mostra l ' ingiustizia dei p r o c e s s i e delle c o n d anne in ferte ai cristiani, difende la fe de cristiana in n o m e della libertà re ligi o s a, evidenzia i l b e n e che i l cristianesimo app o rta all'umanità. è , in de finitiva, un invito a s c o p rire l a b ellezza della verità cristia
n a che rende pienamente umana l a vita, anzi uman o - divinai un invito ad arrendersi alla grazia s alvifi c a di Cristo. Tertulliano n a c q u e a C a r t a g i n e v e r s o i l 1 6 0 e morì i n t o r n o al 240. Fiera mente avverso al cristianesimo e iniziato ai misteri di Mitra, ebbe una e c c e l l e n t e formazione letteraria, fi l o s o fi ca, s t o r i c a e giuri d i c a . C o n s i d e ra n d o l'eroismo dei m a r t i r i c r i s t i a n i e meditando i testi della B i b b i a, s i c o nvertì a Cristo intorno al 1 9 3 . Negli ultimi anni d ell a sua esistenza aderì al m o ntani smo, setta rigorista e intransigente caratterizzata dalla credenza nel l a p erenni tà del p ro fetismo e dei carismi tra i fe deli. S u c c es s ivamente fo n d ò egli stesso una setta ancor più rigorista.
~ '
È i l p r i m o grande scrittore ecclesiastico latino.
EomON• Srumo Do•rn•c,No
EDIZIONI SAN CLEMENTE
€ 28,00