© 2008, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2008
Margherita Pelaja Lucetta Scaraffia
Due in una carne Chiesa e sess...
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© 2008, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2008
Margherita Pelaja Lucetta Scaraffia
Due in una carne Chiesa e sessualità nella storia
.Editori l.ater:m
Referenze iconografiche Fig. l: © Contrasto Fig. 2: Per gentile concessione della Soprintendenza BAPPSAE dell'Umbria Fig. 3: © 1999. Foto Scala, Firenze Fig. 4: © Contrasto Fig. 5: © 1990. Foro Scala, Firenze Fig. 7: © Contrasto
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel luglio 2008 SEDIT- Bari (ltaly) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-87 39-7
Fig. 8: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 1990. Foto Scala, Firenze Fig. 9: MSK Ghent, photo ©Lukas-Art in Flanders vzw Fig. 10: Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © 2007. Foro Scala, Firenze
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Introduzione DUE IN UN LIBRO
Due nomi, due biografie, due passioni intellettuali. Sono mol ti i libri che affiancano autrici e autori diversi in una stessa pro spettiva di ricerca, in un comune progetto conoscitivo. In questo libro le differenze tra le autrici sono più profonde, perché toccano la concezione stessa dell'oggetto di indagine; ma aggiungono senso alla ricerca, perché si propongono di mostrare la possibilità di confrontare, interrogare - mai contrapporre ideo logicamente e mai mediare per opportunità politica - due visioni diverse nella sostanza. E il lavoro comune si basa su una condivi sa volontà di riesaminare e verificare stereotipi acclamati, come quello che il cristianesimo prima, e la Chiesa cattolica poi, siano caratterizzati da una sostanziale sessuofobia. Si basa anche sulla fiducia - che qui diventa una concreta scommessa - che un lavo ro di ricerca storica possa essere svolto insieme da due studiose che pure si collocano su posizioni ideologiche per alcuni aspetti opposte. Margherita Pelaja è laica. Storica e militante femminista negli anni Settanta, ha progressivamente saldato interessi scientifici e passione politica nel progetto e nell'esperienza della storia delle donne. Insieme con altre studiose ha fondato nel l981 «Memo ria», una rivista importante nel panorama dei gender studies in Ita lia, e più tardi la Società italiana delle storiche. Ha orientato le sue ricerche soprattutto sull'interazione di donne e famiglie con la giustizia e gli apparati giudiziari tra Sette e Novecento, privile giando i conflitti che avevano al loro centro questioni sessuali. Nello studio dello Stato pontificio ha così potuto analizzare le po litiche delle diverse istituzioni ecclesiastiche nelle loro articola-
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zioni storiche, scegliendo - pur con una certa inquietudine - di non prendere in considerazione le critiche di chi ritiene parziale o addirittura fuorviante un'analisi che non comprenda in sé la di mensione spirituale e la questione della fede. Lucetta Scaraffia condivide la lunga pratica di storia delle don ne e di femminismo, ma da circa vent'anni è tornata a sentirsi ap passionatamente cattolica, e quindi ad affiancare alla sua attività di ricerca sulla storia delle donne e della vita religiosa un impegno culturale che si può definire militante. Oggi, oltre a insegnare Sto ria contemporanea all'Università di Roma «La Sapienza», è mem bro del Comitato nazionale di bioetica. il suo impegno culturale e quello religioso si fondono quindi in molti suoi libri e articoli, ma sempre con l' awertenza di non piegare la realtà studiata a obiettivi ideologici, con la certezza che solo una onesta conoscen za della storia può permettere di capire il presente, anche per in tervenirvi polemicamente. Esaurite le presentazioni, possiamo cominciare a esprimerci al plurale, usando un «noi» che indica la convinzione che fosse non solo possibile, ma anche fecondo e stimolante, scrivere insieme un libro che non c'era: la ricostruzione di lungo periodo del discorso e della politica della Chiesa sulla sessualità. Una ulteriore ragione è la complementarietà delle nostre direzioni di ricerca: più socia le quella di Margherita Pelaja, più culturale e teorica quella di Lu cetta Scaraffia. Le ricerche finora disponibili sul tema che affrontiamo sono infatti indagini dettagliate su contesti specifici e cronologicamen te delimitati; oppure sintesi su singoli aspetti della sessualità Oa contraccezione, la masturbazione); o ancora testi che con una cer ta frettolosità divulgativa sembrano partire tutti da assunti ideo logici preconfezionati, da ribadire soltanto nel corso dell'esposi zione. E, più in generale, sembrano confermare un'antica dicoto mia, prendendo in esame le norme da una parte, e i comporta menti - preferibilmente «devianti» - dall'altra, trascurando tra l'altro quello che per Michel Foucault era l'aspetto centrale di uno studio sulla sessualità: il discorso prodotto sul tema, che com prende anche gli aspetti simbolici, l'arte, l'immaginario. Ci sembrava importante, come abbiamo detto, porre in que stione soprattutto il pregiudizio più diffuso e radicato: quello che attribuisce alla Chiesa cattolica un'antica e lineare sessuofobia,
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che si dipana nel corso dei secoli in un atteggiamento repressivo costante e generalizzato. Il luogo comune è solido: per il cattoli cesimo il piacere è colpa, il sesso è peccato. Da praticare con par simonia e disagio esclusivamente nel matrimonio, e principal mente per procreare. Non tutto del luogo comune va sfatato; al cuni enunciati si ripetono nel corso del tempo nella predicazione cattolica, fino a rendere possibile una sintesi così brutale. Ma sen sibilità più libere, analisi circostanziate dei testi e delle politiche possono di volta in volta articolare, smentire, porre in relazione con territori e finalità diverse, fino a sgretolare forse il potenziale interpretativo di un assunto così generico. Sul piano teologico va richiamato subito per esempio il modo completamente nuovo con cui il cristianesimo affronta il proble ma del rapporto sessuale: il rapporto sessuale fra una donna e un uomo deriva dall'Incarnazione, è metafora del rapporto fra l'ani ma e Dio, fra la Chiesa e Cristo, anticipo del piacere d'amore che si vivrà in paradiso. E poiché l'Incarnazione promuove il corpo al lo stesso livello dello Spirito, all'atto sessuale viene dato un signi ficato spirituale inedito, che lo carica di un'importanza e di una luce che lo assolvono, per sempre, dal sospetto e dal disprezzo con cui lo guardavano, per esempio, gli stoici. Ne deriva una conse guenza fondamentale: se il rapporto sessuale è pervaso di signifi cati spirituali, esso deve essere privato dell'aspetto Iudica che lo aveva contrassegnato nel mondo pagano, e soprattutto deve venir regolamentato con attenzione e severità. La storia della genesi e delle contraddizioni che di volta in volta si addensano su tale re golamentazione è anch'essa ricostruita in questo libro. Non sem pre infatti l'unità indissolubile fra anima e corpo che caratterizza la visione cristiana viene rispettata; la tentazione di giocare lo spi rito contro la carne segna periodi e figure della storia della Chie sa, pur non determinandone in modo continuativo l'impronta cul turale e morale. Ci siamo mosse quindi cercando di affiancare l'indagine sulle Scritture, sui trattati, sulle opere di formazione del clero e dei fe deli alla verifica di quanto di quei testi trovasse applicazione nel governo delle anime, e in che modo. Una prospettiva questa che ha contribuito a definire l'architettura di tutto il nostro libro, che si compone di capitoli insieme tematici e cronologici. Non ab biamo considerato però la cronologia come una gabbia rigida, ma
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abbiamo preferito ampliare di volta in volta la trattazione dei sin goli temi con ampi flashback oppure con anticipazioni sul futuro, scegliendo di privilegiare l'interpretazione anche a scapito del ri spetto di una periodizzazione predefinita. Si trattava insomma di individuare ciò che in ogni epoca storica ha contraddistinto l 'at teggiamento del cristianesimo prima e della Chiesa cattolica poi verso i molteplici aspetti della sessualità umana e - come in ogni ricerca storica - di dar conto di tali tratti distintivi nelle trasfor mazioni, nelle permanenze, nelle flessibilità. Alle fondamenta della morale sessuale cristiana- dalle Scrit ture alla patristica- è dedicato il capitolo d'inizio, che copre tut to il primo millennio; il capitolo successivo, sui simboli e l'imma ginario, si sofferma sulla disinvoltura con cui - sulla scorta del Cantico dei cantici - la cultura cristiana ha usato per secoli ardite metafore sessuali per trattare del rapporto dell'anima con Dio, raggiungendo vette stilistiche importanti con i mistici. Allo stesso modo, fino al Cinquecento, l'arte rappresenta con simboli sessua li dogmi teologici, come quello della vera umanità di Cristo, ri tratto a questo fine con l'organo sessuale in erezione. La cesura è operata dalla Riforma, che denuncia la corruzione e il lassismo della Chiesa di Roma anche nel campo della morale sessuale. Si aprirà da qui una lunga stagione densa di contraddi zioni, nella quale il cattolicesimo amplierà e perfezionerà il pro prio apparato normativa accentuando il rigore degli enunciati e mettendo in atto nello stesso tempo strategie articolate di con trollo e tolleranza. È il lento processo del disciplinamento, che prende le mosse dagli ultimi secoli del Medioevo per protrarsi almeno fino al Set tecento. Centrato su due strumenti decisivi, il diritto e la confes sione auricolare, il disciplinamento si propone di definire gli am biti e le forme entro cui può esprimersi la sessualità, e di affinare i dispositivi più adatti a saldare la presa sulle coscienze dei fedeli. Ma è anche la stagione della politica. Una politica della ses sualità che deve esibire la capacità della Chiesa di governare i com portamenti dei fedeli: si articolano allora gerarchie e responsabi lità, affidando ai parroci e ai confessori il compito di temperare l'universale intransigenza delle norme con le necessità quotidiane e particolari della carne e del desiderio. Flessibilità e pragmatismo diventano così le chiavi di volta di un sistema di controllo che
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mentre ripete condanne assolute - della masturbazione, della so domia, della prostituzione - alterna repressione e clemenza, aven do ben cura di instillare e rafforzare nelle coscienze quel senso del peccato e della colpa che garantisce la perpetua soggezione delle anime. È un sistema raffinato, capace di funzionare per secoli e di re sistere alle sollecitazioni più diverse fino a quando un altro pro cesso - che gli storici hanno chiamato modernizzazione - ne in crinerà le basi, facendo emergere nuove agenzie che contesteran no alla Chiesa il monopolio sulla morale sessuale. Il conflitto nasce alla fine del Settecento e si inasprisce nel se colo successivo, quando il discorso sulla sessualità viene attribui to all'esclusiva competenza di medici, biologi, antropologi e poi psicoanalisti. I nuovi scienziati negheranno alla Chiesa il diritto di imporre norme universali e ai teologi la capacità di definire il sen so e il valore dell'atto sessuale, ai loro occhi ormai depotenziato di ogni significato spirituale. Mentre molti Stati e molte leggi si proporranno di erodere la sovranità esclusiva del diritto canoni co sui comportamenti sessuali. La contesa non occupa soltanto il terreno della teoria, ma è an zi l'eco di sommovimenti profondi, che toccano gli assetti sociali, economici e culturali di tutti i paesi occidentali: dalla rivoluzione demografica ai mutamenti culturali indotti dall'Illuminismo, dal l' affermarsi dell'individuo come soggetto di diritti al fatto che il sesso viene progressivamente sottratto alla dimensione religiosa per essere studiato come fenomeno scientifico. Non è un caso che il termine «sessualità» venga coniato solo nell'Ottocento: vi fece ro ricorso in un primo tempo zoologi e botanici, in seguito venne usato per classificare il comportamento sessuale degli esseri uma ni secondo gli stessi metodi usati per studiare animali e piante, fi no ad arrivare, negli anni Sessanta del Novecento, alle ricerche di un entomologo, il dottor Alfred Kinsey, che i mass media faranno diventare un vero e proprio guru della sessualità. il controllo delle nascite ha costituito quindi l'oggetto di una lunga contesa che ha diviso società e Chiesa a partire dall'Otto cento. Il suo rifiuto da parte della Chiesa è stato sancito da ben due encicliche: Casti connubii del 1 930 e Humanae vitae del 1968, che ribadiscono la ferma opposizione della Chiesa alla separazio ne fra sessualità e riproduzione. Abbiamo scelto come termine
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cronologico I'Humanae vitae - alla stesura della quale ha contri buito il cardinale Wojtyla - perché questa enciclica contiene già tutti i temi che sono oggi al centro della discussione che divide la concezione della Chiesa da quella della società laica: la legge di na tura, il valore del matrimonio, l'indivisione dei due aspetti del l' atto sessuale, l'unione fra gli sposi e la procreazione, e la richie sta alla scienza di percorrere strade di ricerca rispettose della mo rale cattolica. Temi che sembrano aprire un solco profondo so prattutto tra la visione cattolica e le esigenze e le inquietudini di coloro che per lungo tempo sono state le custodi più fervide dei valori religiosi e le alleate più sicure della Chiesa come istituzio ne: le donne. Di fronte alla diffusione crescente di comportamenti sessuali estranei alla legittimità coniugale, il cattolicesimo sembra pro gressivamente irrigidire le proprie posizioni, opponendo una con danna dura e solitaria: come se alla secolare tolleranza avesse so stituito un rigore coerente e selettivo. L'esito dei processi descritti ci appare ancora lontano. Perché l'ambito del dibattito continua ad ampliarsi, includendo soggetti - gli omosessuali, per esempio - che reclamano diritti inediti alla genitorialità ma anche alla dimensione religiosa delle proprie scel te affettive; o includendo i punti di vista di altre religioni, ormai contigue e imprescindibili nel mondo globalizzato in cui siamo immersi. Ma anche perché la sessualità di uomini e donne tende a disarticolarsi, distribuendo brani di sé al brusio mediatico o al l' asetticità del laboratorio, e depositando la densità del vissuto in angoli sempre più remoti dell'interiorità dei singoli. La Chiesa, a partire dall'Humanae vitae, ma ancora più deci samente con Giovanni Paolo Il, tenta di riaffermare quell'unità fra corpo e spirito che aveva costituito la specificità della rivolu zione cristiana, e di riproporre, in una società in cui la sessualità - separata dalla procreazione - appare legata a una dimensione prevalentemente individualistica, il significato spirituale di questa fondamentale esperienza umana. Quelli che si confrontano non sono, tuttavia, due sistemi fondati l'uno su regole e limitazioni, l'altro su libertà e piacere; ma due concezioni diverse della ses sualità, del rapporto dell'essere umano con il corpo, e più in ge nerale della ricerca di una nuova etica del rapporto della persona con il mondo.
Introduzione. Due in un libro
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Questo è un libro di sintesi. Si basa dunque - soprattutto per quanto riguarda le parti di taglio storico-sociale - su indagini già svolte piuttosto che su ricerche d'archivio originali. Al lettore - al più curioso come al più avvertito - non sfuggiranno le numerose lacune che segnano la ricostruzione da noi proposta; non possia mo tuttavia ascrivere tante mancanze ai vuoti del patrimonio sto riografico disponibile. Ci assumiamo la responsabilità di scelte e omissioni, perché abbiamo preferito svolgere il filo dei problemi piuttosto che garantire la completezza del quadro d'insieme. Al lettore n oh sfuggirà neanche l'assenza di una conclusione univoca, che ricomponga materiali e questioni trattati nel corso dell'esposizione. Anche in questo caso si tratta di una decisione consapevole, anzi ricercata: perché ci è sembrato riduttivo cerca re da due punti di vista così diversi come i nostri una sintonia ca pace di proporre interpretazioni e prospettive unitarie; perché proprio in un tempo in cui le distanze tra laici e cattolici sembra no ampliarsi e irrigidirsi in visioni contrapposte ci è sembrato op portuno esaltare quello che è il nostro denominatore comune, e cioè la ricerca di dialogo e confronto; perché infine preferiamo ve dere questo libro come uno strumento in grado forse di dare profondità e spessore storico a polemiche troppo spesso appiatti te su un presente apparentemente immobile ed eterno. Al lettore, di nuovo, l'opportunità e la responsabilità di sce gliere un versante o di elaborare nuovi interrogativi, anche sulla base, speriamo, del cammino percorso in questa lettura. M.P. L.S.
Mentre l'Introduzione e le Conclusioni sono comuni così come il progetto complessivo del libro, Margherita Pelaja ha scritto i capitoli III, IV, i paragrafi 2 e 3 del capitolo V, il paragrafo 4 del capitolo VI; Lucetta Scaraffia ha scritto i capitoli I, II, i paragrafi l, 4 e 5 del capi tolo V, i paragrafi l, 2 e 3 del capitolo VI. Data la vastità e la varietà degli argomenti trattati in questo studio abbiamo preferito non includere una bibliografia generale. Molti rife rimenti bibliografici sono indicati in nota, cosa che rende più agevole individuare le fonti di ciascun argomento.
DUE IN UNA CARNE CHIESA E SESSUALITÀ NELLA STORIA
I IL CORPO, LE PULSIONI
l. Una rivoluzione culturale «Ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio ma rito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito», scrive l'apostolo Paolo nella Pri ma lettera ai Corinzi (7, 2 -3 ) , e poco più avanti: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito [ .. .] e il marito non ripudi la moglie» (7, 10- 1 1 ) . E in un'altra let tera paolina si legge: «E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa [ . . ] . Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ha preso in odio la propria carne; al con trario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, perché sia mo membra del suo corpo» (Lettera agli Efesini, 5, 25 e 28-30). In queste frasi paoline si manifesta tutta la potenza dell'innovazione cristiana sul piano dei rapporti sessuali: permettendo questi rap porti solo all'interno del matrimonio, la nuova fede prevedeva una reciprocità di doveri e di diritti fra marito e moglie assolutamen te inedita nel mondo antico. Insieme con la proposta di scegliere la castità, seguendo il modello di Gesù e dello stesso apostolo Pao lo, questo fatto costituisce l'aspetto più innovativo del cristianesi mo nascente: un diverso modo di concepire il sesso, piuttosto che una repressione, come è luogo comune pensare. È infatti opinione diffusa che il profondo cambiamento nel modo di concepire e di vivere la sessualità provocato dalla cre scente affermazione del cristianesimo nel mondo antico consi.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
stesse in un'ondata di restrizioni morali e di proibizioni, che piombano su una società tendenzialmente libera e portata a valo rizzare il piacere. La situazione in realtà è più complessa, perché anche nel mondo pagano di quel periodo si stavano affermando forti correnti ascetiche: certo è che le culture antiche considera vano la sessualità come un aspetto dell'essere umano dato dalla natura, e quindi non oggetto di controllo, ed erano interessate so lo a disciplinare il comportamento femminile in modo da con trollare la paternità. Per il resto, per gli uomini tutto era libero e possibile, e solo alcune correnti filosofiche greche - in primis gli stoici - pensavano all'istinto sessuale come a un ostacolo irrazio nale al controllo di sé da parte della ragione, e quindi lo vedeva no come un pericolo da combattere1 • Come ha scritto lo storico Peter Brown, l'ascesa del cristiane simo nel mondo romano, più che come il passaggio da una società meno repressiva a una più repressiva, dovrebbe essere visto «co me il prodotto di un sottile cambiamento nella concezione del corpo. Nei secoli successivi, infatti, gli uomini e le donne non si sarebbero trovati semplicemente attorno a un muro di proibizio ni diverse e più rigorose, ma sarebbero pervenuti a una visione del proprio corpo assai differente»2• Come aveva detto Paolo, il cor po non è solo natura, ma, con l'Incarnazione, è diventato il tem pio di Cristo, e quindi parte integrante della persona umana, e non si scinde dalla sua natura spirituale. Il cristianesimo infatti, pur condividendo in parte la visione stoica, fa molto di più: toglie la sessualità dalla sfera naturale e la inserisce in quella culturale, dandole un posto preciso nella storia della salvezza. Se la carne è a immagine di Dio, anch'essa può di venire strumento di salvezza. Questo concetto è stato sviluppato da tutti i Padri della Chiesa, e in particolare da Agostino, che ha fissato e precisato le grandi linee della concezione cristiana occi dentale della sessualità. Era evidente, infatti, che attraverso l'In carnazione di Cristo Dio era sceso sulla terra per far sì che anche il corpo fosse capace di trasformarsi. Proprio per questo, all'in1 Cfr. A. Rousselle, Sesso e sodetà alle origini dell'età cristiana, Laterza, Ro ma-Bari 1985. 2 P. Brown, Il corpo e la sodetà. Uomini, donne e astinenza sessuale nel pri mo cristianesimo ( 1988), Einaudi, Torino 1992, p. 24.
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terno della tradizione cristiana, il comportamento sessuale non sarà mai considerato solo come un settore da regolare attraverso una precettistica morale, ma costituirà fin dall'inizio un nodo teo logico fondamentale, la cui definizione risulta centrale in tutti i momenti di svolta della storia della Chiesa, a cominciare dalla riforma gregoriana per arrivare al Vaticano II, passando per la Riforma e il Concilio di Trento. E proprio per questo è divenuto uno dei motivi dominanti di quasi tutte le eresie. La differenza cristiana sul posto da dare alla sessualità e al cor po si affermò prendendo le distanze non solo dal paganesimo, ma anche dalla cultura ebraica. Questo nuovo modo di concepire la sessualità non solo assu me un'importanza crescente nel definire l'identità cristiana, ma avrà l'effetto di cambiare radicalmente i rapporti tra i sessi. Si trat ta di una rivoluzione simbolica e culturale dalla quale la cultura occidentale riceverà le caratteristiche che la contraddistinguono ancora oggi, se pure con modalità contraddittorie. I cristiani, in fatti, cercano con passione tutte le vie che li possono trasformare già in questa vita, rendendoli più liberi dai gravami della condi zione umana e aperti a ricevere lo Spirito: la sessualità viene indi viduata come il nodo fondamentale, come il punto in cui corpo e spirito si intrecciano e sul quale, quindi, si può agire per avanza re nel cammino spirituale. TI matrimonio e la castità acquistano entrambi lo statuto di via spirituale, e proprio per questo è tanto importante delinearne le nuove leggi e rivelarne i significati simbolici. Un primo importante passaggio è costituito dallo spostamen to dell'attenzione dall'atto all'intenzione individuale che lo sot tende, aprendo così la via a quella che, nel corso del tempo, di venterà l'analisi dell'uomo interiore e delle sue motivazioni. Il pri mo passo in questa direzione è lo strappo con la tradizione ebrai ca della purità, uno strappo che costituisce uno degli aspetti più «scandalosi» dei Vangeli, e coinvolge allo stesso tempo il cibo e la sessualità. Gesù stabilisce infatti chiaramente- con le parole e con l'esempio - la fine delle categorie tradizionali di contaminazione materiale, per sostituirle con la impurità metaforica dell'intenzio, ne. A tal punto che, nel suo rovesciamento delle gerarchie uma ne, promette il regno dei cieli alle prostitute, che del resto fre quenta e con cui parla in vari episodi evangelici.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
Al tempo stesso, la sua breve vita è contraddistinta dalla più ri gorosa castità: Cristo, il modello a cui si rifaranno tutti i cristiani, ha scelto di non avere rapporti sessuali, ha scelto di non aderire al modello del pater /amilias a cui si erano omologati i grandi pa triarchi e i profeti. Il dovere di perpetuare la specie, la famiglia, l'etnia, che nella società antica incombeva su ogni essere umano, viene così fortemente messo in crisi, minato da questo esempio, tanto che, per influsso del cristianesimo, nascerà la prima società che accetta, anzi valorizza, la scelta di castità, non solo per gli uo mini, ma anche per le donne. Forse è proprio per questa rivolu zione che ancora oggi, al cristianesimo, e in particolare al cattoli cesimo, è rimasta appiccicata un'idea di oppressione sessuale. Non è stata certo secondaria, nel momento in cui si diffonde l'a spirazione al casto modello di vita di Gesù, la forte tensione apo calittica che si respirava nella società giudaica. Se la fine del mon do sarebbe arrivata a breve scadenza, anche la tensione verso i le gami umani e familiari e le proiezioni sul futuro umano come la procreazione tendevano a perdere rilievo. Il codice di comportamento sessuale cristiano non solo non si è formato immediatamente, ma ha conosciuto tensioni contra stanti e opposte, e ha dato origine a numerose eresie. L'unico pun to sul quale tutti i primi scritti cristiani sembrano concordare è proprio il distacco dalle Sacre Scritture dell'ebraismo, che pro ponevano un'etica sessuale basata sull'impurità: era considerato impuro avere rapporti sessuali durante le mestruazioni (per coe renza con l'idea di impurità del sangue), praticare l'adulterio e l'o mosessualità, frequentare prostitute. In queste occasioni si cade va in uno stato di impurità uguale a quello che contaminava chi mangiava animali proibiti o non eseguiva i lavacri prescritti, per uscire dal quale bisognava sottoporsi a un rito di purificazione. Il cristianesimo, cancellando l'impurità materiale, trasferisce sul piano etico le prescrizioni ebraiche, e le giustifica non con l'im purità, ma con la rottura dell'armonia comunitaria. Le intenzioni del cuore - la cupidigia, la volontà di possesso - sono considera te i motori peccaminosi di queste pratiche, e per questo vengono condannate, e si insiste sugli effetti di discordia che atti come l'a dulterio possono provocare nel gruppo. Naturalmente, su tutto svetta l'esempio di Cristo, che però
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non è possibile seguire per tutti: il matrimonio viene allora pro posto da Paolo come una scelta meno alta, ma ugualmente santa. n passaggio dalle norme precedenti a quelle nuove non avvie ne però senza scosse e contraddizioni: ci sono comunità che pen sano - liberate dall'impurità - di poter praticare una totale libertà sessuale, come i discepoli di Valentino e di Marcione, noti per la vita sessuale molto libera degli uomini, che si accompagnava a una stretta fedeltà alla fede cristiana, o come alcuni gruppi gnostici che estendevano questa libertà anche alle donne e integravano nel cristianesimo anche l'omosessualità e la pedofilia. Queste sette non reagivano ad alcuna oppressione sessuale, ma anzi aderivano a una cultura molto diffusa integrandola in un sistema religioso in cui si cercava l'unione con Dio. Gli gnostici condannavano al nul la la materia, compreso il corpo: proprio per questo ciò che si fa ceva con il corpo non aveva importanza. Molto più numerose erano invece le comunità che cadevano nella tendenza opposta, interpretando il modello casto di Cristo come obbligatorio. Questa scelta restrittiva, che - in una pro spettiva apocalittica - impone a tutti la castità, darà origine a una eresia, l' encratismo, che influenzerà dall'esterno la cultura cristia na diffondendo una demonizzazione dell'atto sessuale. Ma se fra il III e il IV secolo assistiamo a una vittoria della ca stità come ideale, che concretamente ha preso forma nelle comu nità monastiche maschili e femminili, dobbiamo tenere presente che non si tratta solo di influenza cristiana: la limitazione sponta nea dei rapporti sessuali si era estesa nella società anche prima del la diffusione della nuova religione, come dimostra la stagnazione demografica nelle classi superiori dell'impero. Era una pratica consigliata dai medici, che ritenevano dannosa per l'uomo l'emis sione del seme: nel II secolo Sorano scrive che «ogni emissione di seme [maschile] nuoce alla salute» e addirittura che «il rapporto sessuale è in se stesso nocivo»3• La continenza - detta enkràteia, cioè «dominio di sé» e dunque, in questo caso, ritenzione di sper ma - è raccomandata anche dai filosofi, che vedono in essa una vittoria della parte più nobile dell'uomo, la ragione, sull'istinto. La proposta cristiana, quindi, trova un terreno fertile nella società 3
Gynaecia, I, VII, 30-32.
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Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia
dell'epoca sia pagana che giudaica - dove la setta degli esseni, ad esempio, praticava l'ascetismo assoluto - e le eresie che predica no il totale annullamento del corpo hanno radici in questo passa to, più che in una esasperazione della valorizzazione cristiana del la castità. Nelle Sacre Scritture ebraiche e cristiane non c'è differenza per ciò che riguarda i peccati sessuali: l'elenco che ci fornisce Pao lo nella Prìma lettera aì Corìnzì ( 6, 9) prevede la condanna dei pòr noì (fornicatori), moìchòì (adulteri), malakòì (effeminati) , arse nokòìtaì (sodomiti). Le novità introdotte dal cristianesimo riguar dano invece due punti importanti: il matrimonio e il celibato. Il primo ad affrontare problemi di etica sessuale è appunto Paolo, pressato dalle domande dei cristiani di Corinto, comunità da lui fondata e seguita per un periodo abbastanza lungo (si pensa un anno e mezzo) . Evidentemente Paolo non aveva mai affrontato con loro il tema dell'etica sessuale e nella comunità si era verifica ta una frattura fra modi diversi di affrontarla, che andavano dal li bertinismo al rifiuto totale del matrimonio e dei rapporti sessua li. I libertini applicavano anche alla sfera sessuale la convinzione di Paolo, che aveva affermato che il Vangelo è superiore alla leg ge, interpretandola come la fine di ogni restrizione morale. Altri, sottolineando la scelta celibataria di Paolo, nonché il suo uso ne gativo del termine «carne», concludevano che il cristianesimo in coraggiava una totale astinenza dal sesso. Altri ancora, vedendo che Paolo era in buoni rapporti con le famiglie tradizionali, opta vano per questa ipotesi più tranquillizzante. Le più forti tensioni erano provocate dal gruppo degli asceti, che fondavano la loro scelta anche sulla convinzione - ampiamente condivisa - che ogni problema di continuazione del gruppo umano doveva essere ac cantonato davanti all'imminenza della fine del mondo4• Paolo, pur condividendo questa certezza della prossimità del la fine, risponde dando precise norme di etica sessuale, vicine sen za dubbio alle parole di Gesù, ma con una inclinazione meno ri voluzionaria, più attente a non sovvertire la società esistente. A questo fine, nella Prìma lettera aì Corìnzì condanna senza mezzi termini il caso di un uomo che si era unito alla moglie del padre, 4 Si veda in proposito F. Watson, Agape, Eros, Gender. Towards a Pauline Sexual Ethic, Cambridge University Press, Cambridge 2000.
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senza considerare un'attenuante il fatto che quest'ultimo era mor to: come nella cultura ebraica e in quella greco-romana, questo doveva considerarsi un incesto perché si trattava di un'offesa con tro la sovranità patriarcale. Veniva ritenuto infatti un peccato contro la gerarchia familiare, e non contro la purità, perché con questo gesto il figlio si metteva alla pari del padre, mancando co sì di rispetto verso la famiglia che gli aveva dato la sua identità. Paolo insiste quindi che questo vada considerato un'offesa grave contro l'etica della famiglia patriarcale, da difendere anche in prossimità della fine dei tempi, nonostante che alcuni membri del la comunità avessero difeso il figlio, sentendosene addirittura or gogliosi. La colpa non si doveva ascrivere comunque a una tra sgressione della purità, ma della proprietà, cioè al prendere ciò che appartiene a un altro. Allo stesso modo viene giustificata la condanna paolina dei maschi cristiani che frequentavano le pro stitute: mentre l'Antico Testamento condannava questa pratica come spreco delle risorse familiari, egli la condanna come furto da parte del cristiano, che dà a un'altra il corpo che aveva offerto a Cristo. Il corpo del cristiano - e Paolo dà a questo termine il sen so di unità e integrità dell'essere umano - appartiene infatti già a Cristo, a Dio, e non può appartenere, neppure per poco, a una donna pagata. Egli infatti insiste su questo tema: «Fuggite la for nicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impudicizia pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stes si? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (I Corinzi, 6, 1 8-20). Anche se dichiara fermamente che l'astinenza sessuale è la condizione migliore, perché permette all'uomo di affrancarsi dal le preoccupazioni quotidiane e di dedicarsi totalmente a Dio, Paolo non è contrario al matrimonio, anzi, lo considera una voca zione diversa, ma altrettanto degna di stima, e sempre nella Prima lettera ai Corinzi (7, 7) scrive: «Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono [chàrzsma] da Dio, chi in un mo do, chi in un altro». Il rapporto sessuale nel matrimonio non en tra in conflitto con l'appartenenza a Cristo del corpo del creden te a condizione che ne vengano rispettate le indicazioni: cioè che si realizzi un attento equilibrio fra la proprietà sessuale della mo-
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glie da parte del marito e l'equivalente proprietà del marito da parte della moglie. Paolo dimostra qui di accettare completamen te la rivoluzione che Gesù aveva operato nel matrimonio, negan do la possibilità di ripudio da parte del marito, l'unico, nella leg ge ebraica, a «possedere» il corpo della moglie. Negando il ripu dio a entrambi, Gesù stabilisce infatti che anche il marito è pro prietà della moglie, inaugurando così una eguaglianza fra i coniu gi assolutamente inedita in tutte le società antiche. Nella Prima lettera ai Corinzi (7, 9) Paolo detta la famosa fra se che sembra condannare la sessualità nella cultura cristiana - «se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» - ma è significativo che l'apostolo riconosca la soddisfa zione del desiderio sessuale come una ragione legittima e suffi ciente per il matrimonio. Data la prossimità della fine dei tempi, per Paolo la ragione principale del matrimonio non poteva più es sere la continuazione della famiglia, e la nuova giustificazione che proponeva teneva invece conto del desiderio sessuale. n presente è da lui percepito come breve e provvisorio: non vale la pena, quindi, per i cristiani sposati, cambiare condizione né cercare di cambiare radicalmente l'istituto familiare in modo conforme alle innovative proposte di Cristo. Ciò che conta per lui è come si de ve vivere senza peccare negli ultimi giorni. In sostanza, Paolo segue l'insegnamento di Gesù sul piano del la proprietà sessuale, proponendone l'uguale diritto per uomini e donne, e in questo modo incrina la base dell'autorità del pater /a milias dell'antica tradizione israelita, confermata dal diritto ro mano. Egli parla delle donne considerandole alla pari degli uomi ni nelle questioni di proprietà sessuale, anche se - ribadisce - al di sopra di tutto chi possiede il credente è Cristo, e la vita sessua le deve tenerne conto. Dal momento invece che Paolo si dichiara contrario alla parità in altri ambiti, come per esempio la predica zione, possiamo dedurre che la parità fra i sessi per lui era am messa solo per i diritti sessuali, appunto: senza arrivare, del resto, alla conclusione che sotto questa nuova ottica la famiglia fosse da riformarsi, forse per la sua convinzione dell'imminenza del regno di Dio. Anche se Paolo considera il matrimonio uno stato inferiore al celibato, perché per certi aspetti distrae dalla fedeltà a Cristo, non condivide certo l'idea dei sostenitori a oltranza dell'ascetismo che
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il sesso costituisca un male intrinseco, e questa posizione è stata condivisa in sostanza negli Atti degli apostoli. Con il tempo, però, anche fra i cristiani si è affermata nuovamente la tendenza con servatrice rispetto alla famiglia tradizionale e quindi si è affievoli ta la tensione all'eguaglianza fra donne e uomini proclamata dal Vangelo. Tutto il pensiero cristiano sulla sessualità dipende da Agosti no, che era senza dubbio segnato, nella sua esperienza personale, da una forte passione sessuale, la cui pratica gli era ben nota nel periodo precedente la conversione. E non è senza significato che l'incontro fra Agostino e il cristianesimo sia passato attraverso un'esperienza di ascesi narrata nell'ottavo libro ( 12, 28-30) delle Confessioni. Ponticiano racconta ad Agostino e Alipio come due amici avessero abbracciato la via ascetica e contemplativa dopo la lettura della Vita del monaco egiziano Antonio. Poco più avanti è lo stesso Agostino che, ricordandosi dell'esempio di Antonio con vertitosi ascoltando per caso un passo del Vangelo, decide di ab bandonare la sua vita disordinata: una adesione al cristianesimo, quindi, venata di tensione ascetica e, conseguentemente, escato logica. Per Agostino, sia il corpo in generale, sia la sfera dei sensi, non soggiacciono ad alcuna condanna in se stessi, ma solo se legati al la concupiscentùz5• Si tratta di un nuovo concetto che avrà gran dissima fortuna nella letteratura cristiana successiva, pur assu mendo spesso un significato più rigido. La concupiscenza, per Agostino, non è né la sensibilità, né il corpo, né il sesso, quindi non appartiene all'essere umano in quanto tale, ma è provocata dall'intervento dell'intelligenza e della coscienza dell'uomo. È quel vizio per cui la carne desidera contro lo spirito e diventa ma trice di peccato. Si tratta di un male che viene all'uomo per colpa dell'antico peccato di Adamo. Agostino inserisce così i rapporti sessuali nella teologia della salvezza, collegandoli al peccato origi nale e quindi al problema del libero arbitrio e con questo trasfor ma completamente lo statuto della sessualità: non più solo feno meno naturale, da disciplinare, ma segno della condizione umana � Cfr. E. Samek Lodovici, Sessualità, matnmonio e concupiscenza in sant'A gostino, in Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, a cura di R.
Cantalamessa, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 2 12-272.
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e suo banco di prova spirituale. Per lui, infatti, il termine caro non designa semplicemente il corpo, ma la vita di tutto l'uomo sotto la legge del corpo, così come spiritus non è semplicemente l'ani ma, lo spirito dell'uomo, ma designa la vita di tutto l'uomo se condo la legge dello spirito. Alla base del suo pensiero sta la con futazione della teoria di Pelagio, che negava l'esistenza del pecca to originale e proponeva di abbandonare la pratica del battesimo dei bambini, ritornando a quello degli adulti. Ma contro il batte simo, per motivi opposti, erano anche altri eretici, i manichei, se condo i quali i corpi non erano creati da Dio, ma dallo spirito del male. Già Ireneo aveva condannato queste posizioni, sostenendo che il battesimo garantiva anche al corpo un destino spirituale e una vita incorruttibile. Per Agostino, il peccato originale c'è, e ne vediamo le conse guenze nella nostra vita, non solo perché ne dobbiamo sopporta re le pene - come la morte, il lavoro e il parto doloroso -, ma per ché ne siamo moralmente condizionati, come prova lo stato di di sordine e di rivolta morale in cui viviamo. Egli nega risolutamen te che il peccato di Adamo ed Eva sia consistito in una trasgres sione sessuale - come invece sosteneva la setta eretica dei messa liani -, ma pensa sia stato essenzialmente un peccato di orgoglio, da cui è derivato il doloroso dissidio fra la carne e lo spirito che angustia l'essere umano. È proprio a causa di questa corruzione del corpo che la concupiscenza carnale fa sentire i suoi stimoli. Prima del peccato, infatti, l'uomo non provava concupiscenza, era padrone del suo istinto sessuale e i genitali venivano mossi senza difficoltà per comando della volontà: «È infatti pena giustissima del peccato che perda ciò che non volle usare bene chi avrebbe potuto usarlo senza alcuna difficoltà, solo se lo avesse voluto»6• Da quel momento il corpo disobbedisce alla volontà con un mo vimento di rivolta, fino ad allora sconosciuto, come fosse una pe na reciproca della precedente disobbedienza verso Dio7• Sono almeno tre, secondo Agostino, le caratteristiche che in dicano la concupiscenza come legata al peccato originale: l'indo-
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Agostino, De libero arbitrio, III, 18.52. Cfr. P.F. Beatrice, Tradux peccati. Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale, Vita e Pensiero, Milano 1978. 7
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mabilità, intrinseca alla libido; la vergogna che vi si collega (che è quella provata da Adamo ed Eva); l'innaturalità della sua presen za, che dimostra come dopo il peccato originale la natura umana sia viziata anche se rimane opera di Dio. Il pensatore africano chiama la concupiscenza peccatum, perché è apparsa con il pec cato e opera il peccato, ma in sé non è peccato, come dimostra il fatto che se ne può fare buon uso nel matrimonio. Per Agostino l'atto sessuale compiuto nel matrimonio, anche se provoca dilet to nei coniugi, non è peccato in sé, anzi esiste una serie di testi ago stiniani in cui è espresso un invito positivo all'esercizio della vita sessuale. Non è quindi da regolare il piacere in sé, quanto la ri cerca esclusiva del piacere, cioè la concupiscenza. L'uso smodato della comunione sessuale rivela la propria schiavitù alla libido, che si contrappone alla delectatio - la quale rientra invece nella sfera naturale - in quanto si caratterizza non solo come una rivolta con tro la ragione, ma soprattutto come peccato spirituale, cioè come mancata adesione di tutto l'uomo alla legge dello Spirito Santo. È lo spirito di Dio che deve comandare al corpo e allo spirito uma no. Per farsi capire meglio, Agostino fa un confronto con l'uso del cibo: è la stessa differenza fra chi vive per mangiare e chi mangia per vivere. Prima della caduta, infatti, secondo Agostino, il matri monio avveniva attraverso l'atto sessuale, praticato con diletto, ma senza concupiscenza, come prova il fatto che gli organi ses suali erano controllati dalla ragione, in completa obbedienza del l' anima razionale e del corpo a Dio. Il rapporto sessuale non è solo conseguenza del peccato, ma anche il suo modo di trasmissione: per Agostino il peccato origi nale si trasmette per generazione e non per imitazione. Proprio per questo hanno suscitato tante preoccupazioni teologiche le vi cende matrimoniali di due coppie protagoniste della storia sacra: Anna e Gioacchino e Maria e Giuseppe, sui quali si tornerà più avanti. TI battesimo dei bambini è dunque necessario, in contrap posizione alle idee pelagiane, ma è anche necessario ribadire il li bero arbitrio, come Agostino non mancherà di fare con il con sueto vigore contro i manichei. Tommaso d'Aquino, nel XIII secolo, riprenderà, per ampliar la, la concezione agostiniana: il peccato originale non è uno stato, ma una disposizione malvagia, una sorta di malattia che provoca una grande privazione di beni soprannaturali. Più ottimista di
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Agostino, però, Tommaso enumera le facoltà positive che sono ri maste all'essere umano: la ragione e la volontà, attraverso le qua li può trionfa�e sui sensi. La ragione sola - scrive -, e non la sen sualità, ha il potere di condannarci alla fine eterna o di salvarci. La dottrina tomista è profondamente umana, perché sostiene che il fedele, aiutato nel combattimento spirituale dalla preghiera e dal la grazia, può raggiungere la perfezione armoniosa, umana e divi na al tempo stesso. La posizione pessimista agostiniana viene ri presa in campo protestante e giansenista, e quella di san Tomma so, più ottimista, dai gesuiti e da san Francesco di Sales, affer mandosi definitivamente nel cattolicesimo del XIX secolo. In ogni modo, il collegamento fra peccato originale e sessua lità - ribadito dal Concilio di Trento, al di là delle sottigliezze del pensiero agostiniano e della chiarezza positiva di Tommaso8 - ha contribuito in misura non indifferente a caricare di negatività la vita sessuale agli occhi della cultura cristiana meno avvertita e a condizionare le norme relative ai comportamenti, come dimo strerà, in negativo, la liberalizzazione del comportamento sessua le che si accompagnerà alla secolarizzazione9. Ma, al tempo stes so, il collegamento fra sessualità e peccato originale ne fa un'alta questione teologica, cruciale sul piano della salvezza, dando alla sfera sessuale una importanza che la cultura antica non le aveva mai riconosciuto.
2 . Il matrimonio cristiano Anche se in apparenza poteva sembrare che la famiglia cristia na riprendesse le virtù di una buona famiglia della tradizione ro mana, anch'essa monogamica, la natura del legame era cambiata completamente di significato, e non solo perché alla donna veni va concesso un posto egualitario nella relazione e veniva solleci tato il libero consenso degli sposi, ma soprattutto perché ne era8 Cfr. A. Vanneste, Le décret du Concile de Trente sur le péché originel, in «Nouvelle Revue Théologique», 87, 1965, pp. 688-726. 9 Si veda in proposito, sia pure fortemente critico nei confronti della tradi zione cristiana, G. Israel, Volupté et crainte du Ciel. Peut-on se libérer du péché ong,ni el?, Payot, Paris 2002.
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no stati completamente trasformati il senso e lo scopo, attraverso un profondo lavoro di revisione simbolica. Gesù ne stabilisce la sacralità: ricorda l'affermazione della Scrittura - «i due saranno una sola carne» (Genesi, 2, 24), che attesta una vocazione origi naria dei sessi a unirsi a partire dalla creazione - e ne riporta l'in terpretazione autentica e definitiva: «L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 9; cfr. Matteo, 19, 6) che dà al matrimonio il peso di una scelta di vita, di una vocazione e di un destino. Il matrimonio, infatti, si pone fin dai primi tempi della tradi zione cristiana al centro di dispute non solo morali, ma anche teo logiche10, diversamente dalla cultura antica, in cui offriva terreno di riflessione per i moralisti, ma soprattutto per i medici che ne dovevano regolare le abitudini ai fini di una buona procreazione e di una buona salute, dimostrandosi in sostanza un legame pre valentemente naturale, finalizzato alla procreazione. Nel cristianesimo, invece, è l'accordo di coppia che costituisce l'essenziale del matrimonio e non la fecondità come tale: in esso, infatti, non è più motivo di separazione la sterilità, che nelle so cietà antiche era vissuta sempre come malattia femminile. n lega me fra i due sposi era concepito come un legame d'amore; certo, non nel senso di amore romantico come noi intendiamo dopo il XIX secolo, ma nel senso di carità reciproca, di solidarietà profon da, resa più forte dalla comune appartenenza spirituale. Tertullia no, un Padre della Chiesa che pure si è espresso chiaramente a fa vore della superiorità dell'ascetismo sulla vita coniugale, così par la degli sposi cristiani: «Che coppia quella di due cristiani uniti da una sola speranza, un solo desiderio, una sola norma di vita, dallo stesso servizio ! Ambedue fratelli, ambedue compagni di servizio; nessuna divisione né nello spirito né nella carne»1 1. E non poteva essere diversamente, se pensiamo come l'amore sia al centro di tutto l 'insegnamento di Gesù: il matrimonio costituisce quindi una sorta di prima esperienza dell'amore che lega ogni esse re umano a Dio. In tale esperienza, di cui fa parte la passione ses suale, il soggetto acquisisce infatti, senza bisogno di una mediazio1° Cfr. Donna e matrimonio alle origini della Chiesa, a cura di E. dal Covo lo, Las, Roma 1996. 11 Tertulliano, Ad uxorem, Il, 8, 7.
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ne discorsiva o logica, un sapere essenziale, quello del sacrificio e del dono di sé. È solo staccandosi da sé, infatti, rinunciando a sé, ri mettendo il proprio destino nelle mani di un altro, abbandonando si all'altro, che il soggetto può dare un senso alla sua esistenza. Già le Scritture ebraiche davano un ruolo simbolico importante al rap porto tra uomo e donna: è come «maschio e femmina» (Genesi, l, 27) che Dio ha creato l'uomo a sua immagine; la storia del popolo di Israele è attraversata dall 'amore che unisce le coppie - Adamo ed Eva, Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, Sanso ne e Dalila, Booz e Ruth, Davide e Betsabea- e nella letteratura pro fetica (per esempio, in Osea) il rapporto sponsale diviene metafora del rapporto tra Dio e il suo popolo, mentre il Cantico dei cantici ce lebra l'unione carnale. Ma nel Nuovo Testamento l'unione fra l'uo mo e la donna acquista uno spessore simbolico ancora maggiore, di venta figura della partecipazione dei credenti a Cristo secondo il corpo e lo spirito e, soprattutto, figura della relazione di Cristo con la Chiesa, sua sposa. Il fiorire dell'interpretazione simbolica trasforma così il rap porto di coppia da un evento sociale e naturale in un legame sa cro, per definire il quale viene utilizzato il termine greco mystè rion, che in latino verrà tradotto come sacramentum. Le tradizio ni cristiane orientali e il cattolicesimo hanno mantenuto l'antica indicazione che vedeva del matrimonio non soltanto il contesto etico, familiare e sociale, ma il mistero del dono di una grazia in timamente trasformante, che in alcune occasioni, per mantenere la pratica delle virtù, può divenire un soccorso offerto da Dio. Anche per la definizione del matrimonio cristiano siamo debi tori ad Agostino, meno severo di Tertulliano e di Girolamo, che esaltano decisamente la continenza e il celibato. Per Agostino, in vece, anche il matrimonio è un bene, perché l'unione fra uomo e donna è naturale conseguenza della creazione di due sessi diver si. I beni del matrimonio non sono solo la sessualità e la conse guente procreazione (bonum prolis) , ma anche la fedeltà recipro ca (il bonum /idei) e l'indissolubilità (il bonum sacramenti) . E in questa valorizzazione del matrimonio Agostino si contrappone a Gregorio di Nissa, che aveva interpretato la sessualità solo come una consolazione offerta da Dio all'uomo dopo la caduta, e supe ra Clemente di Alessandria, che aveva difeso il matrimonio ve-
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dendovi una collaborazione all'opera del Creatore attraverso la procreaziOne. Se il fine della procreazione non rompeva con la tradizione precedente, e si rifaceva alla teoria degli stoici, il bonum /idei co stituisce invece una vera novità, perché impone non solo il reci proco adempimento del dovere coniugale, ma la convivenza per tutta la vita in una unione paritaria e fedele. Nella società roma na, al contrario, la legge puniva duramente le adultere, mentre l'infedeltà dei mariti non era soggetta a sanzioni penali, né a una seria disapprovazione morale. Era anzi pienamente accettato che l'uomo intrattenesse rapporti sessuali con gli schiavi di ambo i ses si presenti nella casa. Rifacendosi alle radici bibliche, Agostino scrive - sulla traccia di Paolo (cfr. I Corinzi, 6, 12-20) - che l'ec cellenza di una unione fedele è così grande che i coniugati diven tano membra stesse di Cristo, per cui mancare alla fedeltà signifi ca prostituire le membra stesse di Cristo. n bonum sacramenti, poi, trasforma il matrimonio da un con tratto puramente umano in una realtà superiore che trascende la volontà dei contraenti, rendendo indissolubile il rapporto. L'in dissolubilità del matrimonio nasce quindi dalla partecipazione terrestre a un mistero divino di amore indissolubile, quello fra Cristo e la Chiesa, rappresentato secondo Agostino dalla trasfor mazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana. Non si tratta, quin di, di una indissolubilità naturale, ma di una indissolubilità teolo gica, per cui la generazione della prole non può essere considera ta da sola l'essenza del matrimonio. Viene quindi condannata la pratica diffusa per cui il marito si poteva unire a un'altra donna in vista della procreazione. Ed è proprio la visione non naturalistica, ma teologica, che Agostino ha del matrimonio a impedirgli la con siderazione puramente biologica di esso. Anche la procreazione, comunque, ha un senso teologico in quanto ha lo scopo di mette re al mondo i membri dell'umanità definitiva, la Città celeste. Se, nell'Antico Testamento, i patriarchi dovevano procreare per pre parare l'arrivo del Messia, così, dopo la venuta di Cristo, per al cuni cristiani non sembrava più necessario mettere al mondo dei figli. Cristo però è venuto, ma non ancora definitivamente, dice Agostino, bisogna generare figli per la sua seconda venuta. L'esperienza delle persecuzioni potenzia e intensifica la soli darietà e il sostegno reciproco fra gli sposi cristiani, che insieme
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vanno in esilio o affrontano il martirio. Uno dei pochi casi di ma trimonio esemplare tramandato dalla tradizione tardo-antica è quello di Paolina con Therasia: Paolina, nato in una ricchissima e influente famiglia senatoriale della Gallia romana, compie il cur sus honorum nella società del suo tempo e sposa la spagnola The rasia, cristiana appassionata che lo induce alla conversione: «Pel legrino, varcati i Pirenei, giunsi al vicino paese degli Iberi: lì hai permesso che io prendessi una sposa secondo la legge umana; lì tu guadagnasti in una sola volta due vite; ti eri servito del giogo della carne per mettere insieme la salvezza di due anime, e con i meriti dell'una hai compensato le esitazioni dell'altra», scrive nel carme XXI di Ad conìugem (398-403 ). li matrimonio diventava spesso una via di conversione per gli uomini: è ampiamente noto l'importante ruolo che le donne hanno svolto nel cristianesimo dei primi secoli per indurre gli uomini alla conversione. Paolina e Therasia, dopo la morte del loro unico figlio, deci dono insieme di donare i beni e di trasferirsi presso il sepolcro del martire Felice, a Nola, dove fondano una comunità cristiana di coppie - alcune con figli - dedite a Dio. Lì, nella vita comune, si rafforza il loro legame paritario, come dimostra la conclusione dell'Ad conìugem di Paolina: «Siamo l'un l'altro esempi di una vi ta pia; sii custode del tuo custode; sosteniamoci vicendevolmen te; rialza colui che cade, rinfrancati con l'aiuto di colui che si è rial zato, affinché non soltanto abbiamo in comune la stessa carne, ma anche la stessa mente e uno stesso spirito nutra due anime». Nel la loro vicenda, così come ci è stata tramandata da Paolina stesso, la trasformazione dell'unione dei corpi - essere una stessa carne in un legame spirituale diventa vera e vissuta. Considerando la procreazione un bene, Agostino conferma anche il valore sociale del matrimonio, cioè il legame storico fra matrimonio e politica presente nella tradizione romana che, con le parole di Cicerone, considerava il matrimonio «il nucleo primo della città e quasi il semenzaio dello Stato». L'idea di matrimonio di Agostino era quindi in stretta assonanza con la tradizione ro mana: la carità che univa i coniugi avrebbe dovuto creare legami di pace e di unità sociale, avrebbe costruito la pace nella comunità politica. Ma come poteva realizzarsi questa visione così mitizzata e spi ritualizzata del matrimonio in una società in cui il consenso era
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spesso solo una formalità, e molto spesso anche il celibato era de ciso dalla famiglia? Per la cultura cristiana, infatti, la rivendica zione del libero consenso al matrimonio va di pari passo con la li bertà di monacazione, ma in entrambi i casi i poteri delle famiglie erano più forti della libertà individuale di scelta. li problema della libertà di scelta viene sentito nel corso del tempo come centrale per la validità del sacramento: nel XII seco lo i canonisti affermarono il diritto della donna a scegliere il ma rito, mentre si parla sempre più esplicitamente di affetto coniu gale che viene favorito e rinsaldato dal piacere sessuale12• Natu ralmente, un piacere che deve essere ragionevole; nel caso in cui il piacere carnale superi la misura del ragionevole - scrive nella se conda metà del XII secolo Ecberto di Schonau nei Sermones con tra Catharos (PL, 197 , 30) -, «può esservi qualcosa di peccamino so [aliquid peccati] : ma questa traccia di peccato, da una parte, è leggera e, dall'altra, è giustificata dal bene che risulta al matrimo nio». Lo prova il fatto che nella Summa per confessori di Tomma so di Chobham (composta fra il 12 10 e il l2 1 6) veniva consiglia to agli sposi di fare reciproco apostolato spirituale approfittando proprio del momento dell'unione carnale, in cui si supponeva che il coniuge fosse meglio disposto nei confronti dell'altro13• E que sto atteggiamento indulgente verso il piacere sessuale nel matri monio, che dura a lungo, non fa differenza fra piacere maschile e piacere femminile, anche se coloro che scrivono, naturalmente, sono sempre ecclesiastici che conoscono solo la vita ascetica. Proprio per questo, l'esempio più noto di passione amorosa fuori dalle regole nel Medioevo è un caso drammatico e contro verso, che si risolve con la scelta dell'ascetismo: la vicenda di Eloi sa e Abelardo - sposatisi segretamente, dopo essere stati amanti protagonisti di una violenta passione, dal cui frutto era nato un fi glio. Lo zio e tutore di Eloisa li aveva scoperti, e per vendetta ave va fatto castrare Abelardo: i due amanti decisero quindi di dedi care la loro vita a Dio ritirandosi in monastero. Abelardo ricor derà gli incontri amorosi con il senso di colpa di chi deve espiare i peccati commessi, mentre Eloisa, che non rinnegherà mai quel 12
Cfr. J. Leclercq,
I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo
(1983 ), Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 19. 1 3 lvi, p. 56.
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periodo d'amore, lo rimpiangerà sempre, cercando di tramutare la dedizione appassionata all'amante in abbandono a Dio. Nessu no dei due, a differenza della società del tempo, giudica negativa mente la realtà sessuale: Abelardo - convinto com'è che Dio tie ne conto non delle cose che si fanno, ma dell'animo con cui si fan no - conferisce alla persona una centralità nuova grazie al princi pio di intenzionalità, ma iscrive ogni vicenda della vita in un pro getto provvidenziale. Tanto che Pietro il Venerabile - abate di Cluny, dove si era rifugiato Abelardo - può inviare a Eloisa la no tizia della morte dell'amato facendo un chiaro riferimento alla lo ro passione, ormai sublimata e purificata: «Sorella venerabile e ca rissima nel Signore, colui al quale tu fosti prima unita nella carne, poi legata con un nodo tanto più saldo quanto più perfetto era il legame della carità divina, colui con il quale e sotto il quale tu hai servito il Signore, Cristo lo tiene ora nel suo seno al tuo posto e come un'altra te stessa te lo custodisce affinché alla venuta del Si gnore [. ] per grazia sua ti sia restituito» (lettera XV). Mentre in una delle storie più antiche di coppie cristiane, quel la cioè tra Paolina di Nola e Therasia, è la donna a ispirare la svol ta religiosa, nella vicenda di Eloisa e Abelardo è questi che impo ne alla donna il monastero. Paolina muore nel 43 1 , Abelardo nel 1 142: in questi settecento anni sembra sia cambiato molto il mo dello di matrimonio. Per realizzare la sublimazione del legame della carne - simboleggiato dalla trasformazione dell'acqua in vi no alle nozze di Cana - Abelardo ed Eloisa dovranno scegliere la vita monastica e la castità, mentre Paolina e Therasia avevano po tuto vivere insieme, in un rapporto di reciprocità che la pur sa piente Eloisa non riesce più a raggiungere. ..
3 . Un desiderio che vince gli altri desideri Senza dubbio l'esperienza più forte e più specifica legata al l' affermarsi del cristianesimo è quella di permettere e, anzi, di sug gerire come positiva la scelta della castità per un vasto numero di persone, donne e uomini, facendo della verginità un ideale e in sieme una prassi di vita. Attraverso la pratica della castità si svi luppa la mistica cristiana, che orienta la concupiscenza umana
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verso un'altra finalità: quella dell'amore per Cristo come deside rio che vince gli altri desideri. Le opere degli autori cristiani che, come già il medico pagano Galeno e Tertulliano, sostengono questa scelta di vita come l'uni ca che permette non solo di aspirare alla salvezza, ma anche alla santità, trovano un riscontro concreto nella nascita del monache simo, scelta di vita ascetica che per la prima volta coinvolge anche le donne. Molti storici vedono nella fortuna dell'ascetismo nel IV secolo un tentativo di recuperare l'eroismo del martirio dopo la fine delle persecuzioni contro i cristiani. È infatti al termine delle grandi persecuzioni in Oriente, dopo l'editto di Costantino, che Eusebio di Cesarea indicò le due vie proposte ai cristiani: «Dun que il Signore ha dato alla Chiesa due modi di vivere. Uno è so prannaturale, al di là dell'esistenza umana ordinaria, poiché non ammette il matrimonio, la maternità, la proprietà e il possesso dei beni [ . . ] . Come esseri celestiali, costoro guardano alla vita uma na dall'alto e servono Dio onnipotente in rappresentanza di tutta l'umanità [. . . ] . La via più umile e umana spinge gli uomini a unir si in casto connubio, a generare figli, a governare, a comandare i soldati che si battono per la giustizia, e consente loro di dedicarsi tanto alla religione quanto all'agricoltura, al commercio e ad altri interessi più secolari»14• In alcuni apocrifi si trovano le più violente requisitorie contro il rapporto sessuale. In particolare gli Atti di Giuda Tommaso scritti in Siria intorno al 220 descrivono con estrema vivezza la scena della rinuncia al sesso di due sposi nella prima notte di noz ze: «Quindi il Signore [ .. .] sotto l'aspetto di Giuda Tommaso [ ...] si sedette sul letto, ordinò loro di sedersi sulle sedie [ . .. ] . I giovani si astennero dal soddisfare l'immondo desiderio e attesero il mat tino castamente». Allo stesso modo gli Atti di Pietro ci rivelano un cristianesimo d'urto, in forte contrapposizione con la società esi stente: «E ancora molte altre donne s'innamorarono della dottri na sulla purezza [ .. .] e anche gli uomini smisero di giacere con le mogli [ .. . ] . Perciò Roma cadde nello sgomento» (capitolo 34). In realtà, come si è detto, il cristianesimo ha fatto propria e po tenziata una tendenza già in atto nel mondo ellenistico: la scelta .
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14 Eusebio eli Cesarea, Demonstratio evangelica, I, 8.
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per la castità era già diffusa in Palestina, dove il deserto della Giu dea ospitava grandi gruppi di maschi ribelli. Gli osservatori ro mani erano colpiti dalle colonie di celibi, in particolare dagli es seni. Plinio il Vecchio - contemporaneo di Gesù - li definisce «popolazione solitaria e con una caratteristica unica fra i popoli del mondo. Vivono infatti senza donne ed hanno rinunciato a ogni desiderio sessuale [. .. ] . Così - incredibile a dirsi è riuscita a so pravvivere per migliaia di anni una popolazione in cui non nasce nessuno»15• Secondo Filone di Alessandria e Flavio Giuseppe, due autori ebrei ellenizzati, gli esseni avevano realizzato un'uto pia totalmente maschile, con l'intento di rifondare Israele raffor zando la separazione con il mondo pagano. Allo stesso tempo, nel mondo pagano, gli stoici predicano, se non l'ascesi totale, almeno l'astinenza periodica, e gli stessi medici vedono il rapporto ses suale, per gli uomini, come un pericoloso dispendio di energie sottratte a compiti più alti. Questa diffusa convinzione spiega probabilmente il grande successo che conobbe la Vita di Antonio, dettata intorno al 356 da Atanasio, vescovo di Alessandria, prima vita di un anacoreta, a cui seguirono la Vita di Paolo di Tebe composta da Girolamo verso il 379, la Vita di san Martino scritta da Sulpicio Severo, nonché gli Apophthegmata Patrum, raccolte di detti e di episodi riferiti a san ti eremiti, che hanno conosciuto nell'antichità ben sette traduzio ni. Questi testi, scritti da intellettuali che si recavano nel deserto in visita a monaci eremiti per capire come fosse possibile pratica re l'astinenza totale e definitiva, furono e sono restati la fonte prin cipale del monachesimo orientale e occidentale. Questo tessuto vivente di esperienze ha portato al consolidamento e allo svilup po di quel particolare sistema di vita religiosa che è il monachesi mo: si trattava di esperienze del tutto inedite per gli eremiti. Essi, infatti, si trasferivano nel deserto senza alcun bagaglio di precetti su come affrontare la solitudine, il digiuno, l'astinenza sessuale: hanno semplicemente provato. Antonio, l'iniziatore, era un contadino egiziano che, sentite le parole del Vangelo che invitavano a seguire Gesù, decise di ab bandonare famiglia e beni e di cercare un incontro faccia a faccia -
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Plinio, Naturalis historia, XV, 75, 53.
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con Dio nel completo isolamento. Scoprì così che i desideri del l'uomo erano dentro di lui, e non si spegnevano quando i contat ti con l'esterno venivano sospesi. Antonio li descrive come assalti diabolici, e scopre che il più irriducibile è proprio il desiderio ses suale: «Chi dimora nel deserto e vive nel raccoglimento non deve affrontare tre combattimenti: quello con l'udito, quello con la chiacchiera e quello con la vista. Il solo combattimento che resta è quello con la fornicazione»16• Per portare alla ragione il suo cor po prova a sfinirlo privandolo di sonno, di cibo, di ogni comodità. n desiderio rimane però una tortura lancinante, per lui e per gli altri eremiti, non attutita neppure dall'età e dal tempo trascorso in solitudine. Gli episodi narrati in proposito sono innumerevoli: un vecchio eremita malato, «sicuro che il suo corpo fosse morto», scese a far si curare in un villaggio, dove dimorò presso una famiglia e mise incinta la giovane che lo accudiva. Storie come questa dovevano essere così frequenti che, se una donna rimaneva incinta fuori del matrimonio, spesso dava la colpa agli eremiti. La tentazione ses suale si manifestava anche come sogno ricorrente, che talvolta di ventava allucinazione - i Padri la descrivono come assalti del de monio -, tanto che alcuni arrivavano a evirarsi, altri si torturava no con un ferro rovente; Pacone si chiuse nella tana di una iena, sperando di morire piuttosto che cedere o, in altra circostanza, si avvinghiò un serpentello ai genitali; Evagrio passò notti intere im merso in un pozzo gelato17• Naturalmente, uno dei provvedimen ti più frequenti era la rinuncia totale e definitiva ad avere contat ti con le donne, in quanto risvegliavano desideri alla sola vista: «Un monaco incontrò per la via delle monache; vedendole, si al lontanò dalla carreggiata, ma la loro superiora gli dice: 'Se tu fos si un monaco perfetto non ci avresti guardate e non ti saresti ac corto che eravamo donne'>>, narrano gli Apophthegmata Patrum. Per evitare queste tentazioni gli anacoreti cercarono di ridurre al minimo i contatti con l'esterno: abbandonarono così i lavori arti gianali che li portavano periodicamente a scambiare i loro pro16 17
Apophthegmata Patrum (Antonius, 11).
Una vivace sintesi di queste storie è in H. C. Zander, Quando la religione non era ancora noiosa. Eremitz; asce!� stiliti: le incredibili avventure e le diver tenti imprese dei padri del deserto, Garzanti, Milano 2003 (2001 ).
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dotti con il pane nei villaggi, e si ritirarono sempre più lontano dall'abitato, cercando di vivere solo di erbe e radici. Rimaneva co munque il pericolo di incontrare qualcuno nei posti di riforni mento di acqua. La questione dei rapporti umani che risvegliavano gli stimoli sessuali era la più grave da risolvere: ce ne informano gli stessi ere miti che non nascondono come l'incontro con una donna o con un ragazzo, dopo anni di castità, diventasse spesso occasione di caduta al richiamo del sesso. Sono oggetto di tentazione i bambi ni, talvolta affidati ai Padri che sceglievano il deserto. Numerosi testi, infatti, mettono in guardia dall'abitare con un fanciullo, co me in un'affermazione di Macario: «Quando vedrete dei ragazzi alla Scete, prendete le vostre meloti [pelli animali usate come ve stiario] e ritiratevi». Sogni e pensieri erano causa naturalmente di erezioni ed eia culazioni involontarie, mentre per gli anacoreti il fine da raggiun gere era la soppressione di qualsiasi espressione sessuale, anche non voluta. I segni di una involontaria attività sessuale - opera an che questa del demonio - non sono considerati peccato, ma osta colo al progetto di ascesa spirituale del monaco. Giovanni Cas siano dedica a questo tema un'intera conferenza (collatio), la ven tiduesima, ritenendoli «segno di una concupiscenza che si na sconde nelle profondità del nostro essere» ( 1 2 , 7) e gli anacoreti considerano compiuto il loro cammino verso la perfezione, cioè verso l'unità completa di corpo e di spirito, solo quando queste emissioni finiscono; così, a proposito dell'abba Sereno riferisce che «fra tutte le virtù che la grazia del Signore faceva risplendere nelle sue opere, nei suoi costumi e persino nella sua faccia, egli aveva ricevuto il dono particolare di una castità sì alta da non sen tire più, neanche durante il sonno, i moti naturali della carne» (7, 1), e altrettanto si tramandava di Evagrio, che morì a 54 anni, da tre anni libero dalla concupiscenza. Una caduta sessuale non costituiva, però, una ragione per ab bandonare l'impresa: i monaci più giovani ricorrevano in questi casi ai consigli di un anziano e, in generale, intensificavano la mor tificazione del corpo con privazioni alimentari: «Quando si vuole conquistare una città le si tagliano l'acqua e i viveri. Similmente per le passioni della carne. Se un uomo vive nel digiuno e nella fa me, i nemici della sua anima sono indeboliti», dice Giovanni il
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Breve18• E ilarione, ancora giovane, così ammonisce il suo corpo in cui si risvegliano gli stimoli del desiderio: «Caro il mio asinello, t'insegnerò io a non tirare calci; non ti nutrirò d'orzo, ma di pa glia; ti sfinirò a forza di fame e sete, ti caricherò di pesi enormi, ti metterò alla prova con la calura e con il gelo»19• Non tutti gli anacoreti mangiavano allo stesso modo, ma nella ricerca di una dieta lo scopo fondamentale era quello di trovare alimenti che facilitassero la resistenza alle tentazioni sessuali. Non era tanto un problema di quantità e qualità - per coloro che, co me Antonio, provenivano dalle classi popolari, l'abitudine a man giare poco, anche per mantenere le numerose famiglie, era così ra dicata che talvolta la dieta dell'eremita era considerata un lusso ma di dosare digiuni e alimenti in modo da spegnere l'istinto ses suale. In genere digiuno significava mangiare una sola volta al giorno, al tramonto, e i digiuni totali erano praticati in occasioni eccezionali, per combattere una tentazione particolarmente vio lenta. Secondo alcuni, per combattere il desiderio sessuale biso gnava non mangiare nulla di cotto; per altri, lo sperma proveniva da una sovrabbondanza di umori, e si consigliava quindi una die ta alimentare disseccante: «più secco è il corpo, più fiorente è l'a nima»20. Secondo Evagrio, i luoghi umidi erano frequentati dai demoni. Anche il sonno inumidisce: proprio per questo, gli ana coreti passavano le notti in piedi, o seduti, pregando. Giovanni Cassiano sostiene che, privandosi del sonno, bevendo poco e ac contentandosi di due pani al giorno, il novizio poteva in sei mesi conseguire una castità quasi perfetta, ma questo non valeva per i più poveri, abituati già a questo regime di vita. Ben presto l'esperienza dell'eremita solitario venne affiancata, o sostituita, da una forma organizzata che coinvolgeva più perso ne. Già intorno all'eremitaggio di Antonio - che morì a 1 13 anni - si erano insediati molti discepoli e, nel IV secolo, migliaia di uo mini in tutto l'Egitto raggiunsero i primi anacoreti cercando di imitarli: nel deserto di Nitria vivevano, soli o in piccoli gruppi, cir ca cinquemila monaci; nella Tebaide, si trovavano milleduecento 18
4, 19.
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Girolamo, Vita di Ilarione. P!Gv, 10, 17.
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monaci e nelle vicine spelonche vivevano molti anacoreti. Nei pressi del villaggio di Ermupoli, intorno all'abbas Apollo, si era no raccolti cinquecento discepoli. Ma il primo a pensare un'orga nizzazione monastica collettiva fu Pacomio, che fondò a Tabenni si un monastero composto da trenta o quaranta case che ospitava tra i milleduecento e i milleseicento monaci. Una rigida regola or ganizzava il loro lavoro, i ritmi della preghiera e le eventuali usci te dal monastero, e comprendeva anche delle norme preventive per impedire che nascessero fra i monaci amicizie carnali: i mo naci dovevano coprirsi le ginocchia quando erano seduti in as semblea, non dovevano rimboccare troppo la tunica quando fa cevano il bucato, non dovevano guardare gli altri durante il lavo ro o al momento dei pasti, le relazioni tra loro dovevano sempre essere mediate da un responsabile. A maggior ragione non si po tevano isolare a due a due quando riposavano sulla stessa stuoia, non dovevano salire sullo stesso asino, né parlare nell'oscurità e, soprattutto, dovevano sempre mantenere l'uno con l'altro la di stanza di un cubito. Questa scelta di astinenza perpetua deve essere letta come ri sultato di un contesto sociale in cui si era convinti di essere alle so glie del ritorno di Cristo, e per questo sembrava necessario vani ficare la continuità del mondo. Diversamente dai filosofi pagani sostenitori dell'astinenza, e dagli ebrei, che volevano una società capace di imbrigliare e disciplinare il flusso continuo della ses sualità umana, i cristiani sceglievano la castità per dimostrare che era possibile invertire le cose, arrestare il flusso vitale, e mettere a nudo così la fragilità di un ordine sociale solo apparentemente im mutabile. In una società in cui ognuno aveva l'obbligo di non mu tare funzione, mestiere, dimora, e quindi di contribuire alla ri produzione del gruppo umano a cui apparteneva, scegliere la ca stità e la povertà significava rompere con tutto, fare una rivolu zione. Era una scelta rivoluzionaria soprattutto per le donne: dal momento che la mortalità infantile era altissima, per garantire la continuità nel tempo di un gruppo sociale era indispensabile che le donne, fin dalla pubertà, fossero destinate alla procreazione, necessità resa ancora più ineluttabile anche a causa della frequen te mortalità per parto. Le uniche donne che, nella società roma na, potevano conservare la propria verginità, cioè le vestali, cu stodi del fuoco sacro, dopo i trent'anni si sposavano. Una scelta
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totale di castità per le donne, che per tradizione non potevano di sporre di se stesse, era inconcepibile. Naturalmente, non era faci le per loro realizzare questa scelta: in un mondo in cui venivano maritate giovanissime dal padre, ben poche furono quelle in gra do di opporre un rifiuto. Le più libere erano quelle che rimanevano orfane prima di ar rivare in età da marito, o le vedove che riuscivano a resistere a tut te le pressioni per un secondo matrimonio: caso emblematico quello di Olimpiade che, maritata a diciott'anni e vedova a di ciannove, dovette resistere alle pressioni dell'imperatore Teodo sio, che la voleva far sposare a un suo parente. Ma talvolta le don ne erano votate alla verginità - fin dalla nascita - dai loro paren ti cristiani, come il caso della figlia di Melania Iuniore, o di Pao la, donna dell'aristocrazia senatoriale romana che porta sulla strada della verginità la figlia Eustachio. Sono queste donne che scelgono la castità, se vedove, o che tentano di coinvolgere i ma riti in questa scelta ascetica e spingono i figli al celibato: l'asceti smo diviene la scelta di intere famiglie, come nel caso di una don na romana trasferitasi a Betlemme, che esortava il marito rimasto a Roma ad abbandonare tutto e a seguire la via dell'ascetismo, co me le aveva promesso. Un caso emblematico è quello di Melania Seniore, vedova, che lascia la famiglia per i luoghi santi, e con quista con il suo esempio la nipote Melania Iuniore, costretta al matrimonio giovanissima. La giovane Melania, dopo la nascita di due figli che muoiono subito, riesce a convincere il marito e, in sieme alla nonna, trascina sulla via della castità anche il padre e la madre. La coppia che si astiene dai rapporti sessuali diventa un esem pio da imitare, specialmente per le donne, anche se non tutte le spose riuscivano a convincere i loro mariti, e quindi i vescovi si vi dero costretti a ricordar loro gli impegni coniugali, consideran dole - come sottolinea Giovanni Crisostomo nella diciannovesi ma omelia - «responsabili dei disordini dei loro mariti». E alle donne maritate loro malgrado, i cui mariti respingevano la voca zione ascetica, Basilio di Ancira consiglia di comportarsi come quelle che «Succubi di violenza, non partecipando l'anima al pia cere, sembravano schernirsi del proprio corpo come fosse morto e la loro anima, che rifiutava di concedersi alla voluttà di colui che la oltraggiava, si presentava senza macchia al cospetto dello Spo-
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so con una fedeltà e una verginità più radiose»21• li desiderio fem minile, nei trattati spirituali e nelle Vite, è perfettamente ricono sciuto, proprio come nei testi dei medici greci, anche se si tende a pensare che si manifesti soprattutto nelle donne che hanno cono sciuto il sesso piuttosto che nelle vergini. Si capisce quindi come proprio le donne fossero le più pro pense alla conversione al cristianesimo, anche perché consentiva loro di scegliere la castità che le salvava da mariti non voluti, dal la morte per parto e - cancellando la differenza biologica - le ren deva uguali agli uomini. Realtà che del resto era ben chiara a mol ti Padri della Chiesa i quali, in antitesi alla scelta verginale, pre sentano con vivezza alle donne il dolore del parto, il malumore e la prepotenza del marito, la morte dei figli. Giovanni Crisostomo scrive apertamente alla donna sposata: «Sopporta [ . ] tutta que sta schiavitù: sarai libera solo quando egli morirà»22, mentre Ba silio di Ancira aveva affermato che con la dote la donna compra va in realtà un padrone. Si spiega così il maggiore successo devo zionale di Blandina, martire vergine appesa a un palo con le brac cia distese, rispetto a un'altra martire sbranata dalle belve ma spo sa e madre, Perpetua, che aveva gioiosamente allattato il bambi no in prigione poco prima di morire. La fantasia pagana era mol to colpita dall'esistenza di questo numero crescente di vergini, tanto che, verso la fine del III secolo, le persecuzioni delle donne cristiane cominciarono ad assumere sempre più spesso la forma di violenza sessuale, spesso come condanna a prostituirsi nei lupa nan. Anche la castità maschile, proposta e valorizzata dalle Vite de gli eremiti, diventa oggetto di supplizio. Racconta Girolamo che, durante la persecuzione di Decio e Valeriano, un martire, dopo aver resistito a crudeli supplizi .
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fu portato in un giardino amenissimo. lvi, in mezzo a candidi gigli e rose rosse, mentre accanto serpeggiava con dolce mormorìo d'acqua un ruscelletto, e il vento sfiorava con un fruscio sommesso le fronde degli alberi, fu posto riverso su un letto di piume, e lasciato lì, dolce21 Basilio di Ancira, De virginitate, 52 (testo attribuito anche a Gregorio di Nissa). 22 Giovanni Crisostomo, De virginitate, 40, l .
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mente avvinto da ghirlande intrecciate, perché non potesse in alcun modo balzar via. Quando tutti si furono allontanati, sopravvenne una bellissima meretrice, che prese ad avvinghiarglisi al collo in un ab braccio voluttuoso e - cosa infame anche solo a raccontarla - a bran cicargli il sesso con la mano; dopo averne eccitato il corpo alla libidi ne, la svergognata vincitrice intendeva giacere sopra di lui. n soldato di Cristo non sapeva che fare, a quale partito appigliarsi: non l'aveva no vinto i tormenti, e ora lo sopraffaceva la voluttà! Infine, per un'i spirazione celeste, si mozzò coi denti la lingua, e la sputò in faccia alla donna che lo baciava: così l'intensità del dolore, sostituendosi alla sen sualità, riuscì a sopraffarla.
Questo episodio, che a prima vista sembra una esasperata di fesa della castità da parte dei cristiani, non è altro che una raffi nata ripresa letteraria di un tema già presente nella cultura classi ca, ma applicato a un filosofo che si mangia la lingua per non ri velare un segreto durante le torture. Il morso della lingua viene at tribuito anche a due donne: Leena, una prostituta che aveva par tecipato alla congiura dei tirannicidi e che non vuole rivelare il no me dei complici, e Timica, la moglie incinta di un filosofo pitago rico, sempre per evitare di tradire un segreto. I due esempi fem minili stanno a testimoniare come i pagani sapessero resistere al dolore ma non al piacere - si tratta di una prostituta e di una don na incinta - e quindi non fossero capaci di autentica virtù. Nel te sto di Girolamo, in cui l'amenità del luogo costituisce un tòpos di incitamento al piacere, l'aneddoto viene rivestito da un alone di sensualità - in parte ricavata da un racconto di Petronio nel Saty ricon - e si colora dei toni della rivincita del maschio, stranamen te casto, sulla donna impudica, cioè ribadisce la superiorità della razionalità maschile sulla passionalità femminile23 • Una superio rità messa in forse nell'unico punto debole maschile, quell'invo lontario motus genitalium, che imbarazzava anche teologicamen te Agostino. Questa variazione cristiana del tema della lingua morsicata apre spiragli sulla concezione della sessualità cristiana, intesa co me l'esaltazione della maschilità. Non solo, quindi, l'uomo cri2 3 Cfr. C. Nardi, La lingua in /accia al persecutore. Fra antichi sapienti e mar tiri cristiani, in Paideia cristiana. Studi in onore di Mario Naldini, Gruppo edito
riale internazionale, Roma 1994, pp. 397-427.
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stiano è superiore al pagano, ma anche alla donna, più debole di fronte al piacere. E in questa esaltazione della castità maschile si nasconde forse una nota polemica sull'importanza crescente del le vergini nella vita della Chiesa.
4. Una scelta individuale La scelta di una vita casta si configura quindi, nella società an tica, come una prima possibilità di scelta individuale all'interno di una società che considerava stabilito e immutabile il destino ma trimoniale, in particolare per le donne. Ben diverso, come già si è accennato, era il caso delle vestali, scelte dalle famiglie, e che si sposavano dopo i trent'anni. L'opportunità per le donne di com piere una scelta di verginità costituiva infatti un apporto nuovo, in grado di offrire autentici spazi di emancipazione femminile. Ha piena consapevolezza di questa novità, che permette di superare i pregiudizi del mondo classico sulla debolezza e inferiorità fem minile, Girolamo, che collega alla figura di Maria la possibilità di scegliere la castità anche per le donne: «Ma dopo che una vergi ne ha concepito nel suo ventre ed ha partorito per noi un bambi no [ ... ] la maledizione è stata annullata. La morte attraverso Eva, la vita attraverso Maria. Perciò il dono della verginità si è diffuso anche più largamente tra le donne, perché ha avuto inizio da una donna»24• Una eguaglianza con gli uomini ben esemplificata dalla attri buzione loro di «animo virile», come scrive Gregorio Nazianze no: «Hanno mente elevata esse [le vergini] che con animo virile hanno rigettato dal cuore l'ingannevole Eva [ . . . ] . Hanno dimenti cato la debolezza, una volta attaccate alle solide frange di Cristo. Sono venute meno di fronte al senno la delicatezza della carne, l'e leganza delle vesti, la bellezza della prima stagione, rapida ad ap passire, sia quella naturale, sia quella esteriore artificialmente ma nipolata con tratti da impudiche, sicché la forza dell'animo rende le femmine uguali agli uomini, nel corpo come nella sapienza»25• 24 Girolamo, Epistulae, 22, 21. 2� Gregorio Nazianzeno, Carmina, II, 2,
l, vv . 233-246.
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Una virilità intesa come disposizione interiore, metafora usata nel linguaggio del tempo per alludere al progresso morale e spiritua le comune a uomini e donne, che implica un superamento della divisione dei sessi. Nella concezione patristica, dunque, la vergi nità è una scelta interiore e libera nella quale l'illibatezza fisica non è l'elemento determinante, ma ciò che conta è la disponibilità to tale a donare se stessi a Dio, come scrive Giovanni Crisostomo: «Non basta non essere sposata per essere vergine, ma occorre an che la castità dell'anima, e per castità io intendo non solo la lon tananza da desideri cattivi e vergognosi, da ornamenti e cure su perflue, ma anche la purificazione da preoccupazioni materiali. Se non c'è questo, a che serve la purezza fisica?»26• È evidente che questa insistenza sulla scelta interiore presuppone una libertà as solutamente inedita per le donne, in una società che non lasciava loro molto spazio all'autodeterminazione. Non bisogna trascurare il fatto, inoltre, che le donne che sce glievano la castità cristiana spesso provenivano da ricche famiglie romane, contribuendo così in grande misura alla sussistenza del la Chiesa, ma ne condizionavano anche la vita intellettuale - dal momento che finanziavano gli studiosi cristiani - come non era mai successo. Melania, giunta nel 374 ad Alessandria, andò a de porre ai piedi del famoso Apa Pambo un grande forziere che con teneva centocinquanta chili di oggetti d'argento, una ricchezza che salvò dal collasso totale le comunità monastiche situate nei pressi della città; in seguito, trasferitasi a Gerusalemme, assunse la direzione di un convento che ospitava cinquanta vergini alle pendici del Monte degli Ulivi, e da lì esercitava una grande in fluenza sulla Chiesa della città, rafforzata anche dalle regolari e in genti somme di denaro che le spediva il figlio. Ambrogio - fratel lo della vergine Macrina - ne era ben consapevole, e si adoperò per convincere imperatori, prefetti e governatori di provincia a non porre ostacoli alla scelta di vita casta da parte di vedove e ver gini abbienti, e cioè a tollerare che i beni di grandi famiglie, tra mite quelle donne, finanziassero le opere cristiane. Egli fu il pri mo a scrivere un testo, dedicato appunto alla sorella Macrina, fi nalizzato a dare una definizione dottrinale della verginità: nel De 26
Giovanni Crisostomo, De virginitate, 77.
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virginibus �2• La castità, in ogni modo, creava le condizioni per una amicizia fra donne e uomini che non aveva riscontro nel mondo antico e che diventa un tratto specifico e qualificante dell'esperienza cri stiana. Si tramutano in amicizia legami fraterni, quali quelli fra Ambrogio e la sorella Marcellin� , o coniugali, come tra Melania e Piniano, ma soprattutto ne na�cono di nuovi fra persone colte, che condividono la ricerca sulle Scritture e la volontà di avanzare nel cammino spirituale. Oltre ai già citati legami fra Girolamo e Paola, compagna dello studioso nell'esilio, nell'edizione dei testi, nelle traduzioni della Scrittura, in un impegno severo profonda mente condiviso, è particolarmente significativo il legame fra Gio vanni Crisostomo e Olimpiade, con lui e per lui perseguitata. Olimpiade gli è compagna nella prova, gli è vicina nel mantenere i contatti, come il suo cuore e il suo braccio, occupandosi anche del suo vestiario e del suo frugale cibo, in un rapporto - come di mostrano le lettere - di intimità e di condivisione totale. Una sin tenia profonda per cui, come scrive Giovanni, vedersi e parlarsi è essenziale: «Immagino che tu soffra anche per la separazione dal la nostra povera persona, e che per questo tu pianga continua mente, dicendo a tutti: non possiamo più ascoltare quella voce, godere del suo consueto insegnamento»33 • L a valorizzazione della scelta ascetica portò naturalmente al l'affermazione tacita di una gerarchia interna alla comunità cri stiana, basata sull'astinenza. n fatto che si affermasse una élite di asceti costituiva una novità assoluta: mai prima di allora era stata richiesta a un uomo pubblico questa virtù, del resto considerata tipicamente femminile. Le solenni cerimonie pubbliche di consa crazione che mettevano le vergini su un piedistallo servivano quindi a rafforzare la gerarchia clericale. Opponendosi a Giovi niano e ai suoi discepoli, che rifiutavano di aderire a questa idea, Ambrogio affermava con chiarezza: «Ogni giorno, attraverso le Scritture e nella predicazione dei vescovi, la Chiesa elogia l'one sta vita coniugale, ma la gloria suprema va senz' altro all'integrità 32 Brown, Il corpo e la società, cit p. 349. 33 Giovanni Crisostomo, Epistulae, 8, 1 1 . .,
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verginale»34. Egli applicava, attraverso l'uso di immagini retori che, le qualità della vergine all'intera Chiesa cattolica, intesa co me un corpo intatto che aveva la miracolosa capacità di crescere e di alimentarsi.
5 . Celibi per forza Se l'astinenza sessuale costituì una delle prime possibilità di scelta individuale, facendo della castità monastica un cardin� del la vita religiosa cristiana, ben presto si pose il problema della vita sessuale di coloro che svolgevano le funzioni che erano state degli apostoli, e che non sceglievano, in gran numero, il celibato. Pro prio a questo proposito, infatti, la Chiesa cominciò ben presto a esercitare una pressione, cercando di spingere al celibato anche coloro che non ne avevano sentito la vocazione ascetica, ma svol gevano funzioni di chierico nella comunità. Non si trattava tanto di un problema morale: all'inizio del III secolo l'affermazione di un clero cristiano - comprendente da al meno un centinaio di anni chi esercitava le funzioni di vescovo, presbitero e diacono - come gruppo separato avviene contempo raneamente all'avvento di una proprietà ecclesiastica, presente ben prima che Costantino concedesse ufficialmente alla Chiesa il diritto di conservare un patrimonio proprio35• li clero, infatti, non solo comincia a essere mantenuto dalla comunità, ma a svolgere un ruolo centrale nell'amministrazione di queste proprietà; sa ranno soprattutto i vescovi a distribuire le cariche, ma anche a of frire doni e a nutrire i poveri. La prosperità del clero, fondata sui beni ecclesiastici, diventa rapidamente il segno per eccellenza del la benedizione di Dio e gli ecclesiastici riassumono e rappresen tano simbolicamente la Chiesa, perché realizzano l'ideale della co m unità di beni sperimentata dai primi cristiani. È proprio questo ideale a suggerire un modello di vita comuJ4 Ambrogio, De virginibus. 35 Su tutta la questione si veda
A. Faivre, Ordonner la fraternité. Pouvoir d'innover et retour à l'ordre dans l'Église ancienne, Les Éditions du Cerf, Paris 1992; cfr. anche G.M. Vian, Dai cimiten· al potere temporale: note sulle origini della proprietà ecclesiastica, in «Vetera Christianorum», 42, 2005, pp. 307-3 16.
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ne che suppone la continenza o il celibato. È evidente infatti co me l'assenza di una famiglia, o almeno di figli, garantisca una mi gliore gestione dei beni ecclesiastici e impedisca la trasmissione degli uffici ecclesiastici all'interno della famiglia. Ma il problema del celibato dei clerici veniva a scontrarsi con quella che era una delle principali innovazioni della cultura cri stiana: il valore dato alla libera scelta, soprattutto nel campo del la vita ascetica. Affiancare alla castità scelta dei monaci una castità obbligata dei chierici, se pure necessaria-pér molti e validi motivi, significò un percorso accidentato nella storia della Chiesa, e aprì un'insanabile contraddizione sul valore dell'intenzione. La questione del celibato ecclesiastico è stata infatti discussa fin dai primi tempi del cristianesimo, a cominciare dalle ipotesi avanzate sulla vita familiare degli apostoli, Paolo compreso. Mol ti autori, infatti, hanno cercato di accreditare l'opinione che gli apostoli fossero tutti modelli di celibato, anche se si sa per certo che Pietro era sposato, mentre più tardi la leggenda gli attribuisce una figlia, Petronilla. Un figlio maschio avrebbe infatti sollevato una sorta di questione dinastica nella successione dei vescovi di Roma, eredi appunto dell'apostolo Pietro. La posizione degli apo stoli su questo problema non è chiara: di certo si sa solo che nel l'epistolario paolino è sottolineata l'esigenza, per i vescovi, di una rigida monogamia: i vescovi rimasti vedovi non avrebbero infatti dovuto risposarsi, e questa è considerata da alcuni storici la prima tappa verso il celibato. Ma anche la questione della monogamia era controversa: si affermano infatti fra i cristiani opinioni diver se sulla validità dei matrimoni contratti prima del battesimo. Per alcuni, la fedeltà richiesta ai vescovi riguardava solo la donna pre sa in moglie dopo l'iniziazione cristiana, ma la questione verrà chiarita dai papi Innocenza I e Leone il Grande, che si dichiara rono a favore della validità anche delle unioni precedenti. Nono stante questo, e lo ricorda Girolamo, la società cristiana era piena di vescovi, senza parlare dei preti e dei diaconi, che avevano pre so una seconda moglie: in realtà bigami che per questo avrebbe ro dovuto essere esclusi dagli ordini36• 36 Cfr. T. Sardella, Eros rt/iutato ed eros proibito, in Pricoco (a cura di), L'E ros difficile, cit., pp. 197-238 (in particolare, pp. 226-228).
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L'alta considerazione di cui godeva la verginità fece sì che, fin dai primi secoli, molti ecclesiastici praticassero spontaneamente il celibato, valorizzato soprattutto in Occidente, senza che la Chie sa promulgasse una normativa rigida in proposito. Dal momento, infatti, che lo stato matrimoniale veniva, come si è visto, dotato di carattere religioso e spirituale, era difficile escluderne gli ecclesia stici senza provocarne una svalorizzazione. Solo nella seconda metà del II secolo il celibato del clero cominciò a prendere la for ma di una pratica diffusa, considerata, se non necessaria, almeno altamente auspicabile. Nel IV secolo, Eusebio di Cesarea scrive che «la continenza conviene ai preti e a tutti coloro che sono im piegati al servizio del Signore>�7 mentre alcune Chiese, come quel la egiziana, cercano di imporre la castità almeno ai vescovi. Ma a questa pratica si oppone Girolamo, scettico sulle sue possibilità di attuazione: «che diventerebbero le Chiese d'Oriente? Che diven terebbero le Chiese di Egitto e di Roma, che non accettano che chierici vergini o continenti, o che esigono, quando hanno a che fare con chierici sposati, che rinuncino a ogni rapporto con le lo ro mogli?>�8. Altrettanto consapevole di quanto fosse lontana dal la realtà questa proposta è Epifania: La santa Chiesa rispetta la dignità del sacerdozio a tal punto che non ammette al diaconato, alla funzione di prete, di vescovo e neppu re di suddiacono, colui che vive ancora nel matrimonio e genera dei figli; e ammette solamente colui che, sposato, si astiene da sua moglie o colui che l'ha perduta, soprattutto nei paesi dove ci sono severi ca noni ecclesiastici. In verità, in certi luoghi, i preti, i diaconi e i sud diaconi continuano ad avere bambini. Io rispondo che questo non si fa secondo le regole, ma a causa della mollezza degli uomini, perché è difficile trovare dei chierici che si applichino seriamente alle loro fun zioni. Quanto alla Chiesa che è ben costituita e ordinata dallo Spirito santo, ha sempre giudicato più decente che coloro che si votano al san to ministero non siano distratti, fino a che è possibile, da niente e adempiano alle loro funzioni spirituali con una coscienza tranquilla e gioiosa3 9• 37 Eusebio di Cesarea, Demonstratio evangelica, 38 Girolamo, Adversus Vigilantium, Il. 39 Epifanio, Adversus Haereses, 48, 9.
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Come h a rilevato acutamente Giovanni Crisostomo, però, la necessità di una legge che imponesse al clero la continenza si scon trava con la libertà di scelta che, come valore morale, era stretta mente connessa alla scelta ascetica40. La discussione sul celibato ecclesiastico rimane a lungo aperta, e lunga e tenace è la resistenza, all'interno della Chiesa, al movi mento rigorista che voleva introdurre il celibato obbligatorio per i chierici, come dimostra la difficoltà di stabilire una norma vin colante, benché spesso richiesta, per tutta la Chiesa. Più spesso prevale la tolleranza, come nel 343 al Concilio di Gangres, dove con il canone 4 si stabilisce che chiunque faccia distinzione fra pre ti sposati e preti celibi che celebrano il sacrificio eucaristico è pas sibile di anatema. Il sacramento, infatti, ha validità indipendente mente dalla condizione morale del sacerdote che lo somministra. E ancora nel 400 le Costituzioni apostoliche si limitano a ordinare la monogamia ai rappresentanti del clero, anche se vedovi. Lo sto rico Socrate, a questo proposito, riferisce un aneddoto significati vo: nel Concilio di Nicea, ad alcuni vescovi che volevano stabilire l'astinenza, avrebbe risposto un venerabile e casto vescovo egizia no, Pafnuzio, sostenendo che sarebbe stato imprudente imporre un fardello di astinenza anche alle spose dei chierici. Secondo lui, quindi, bisognava accettare anche il clero ordinato dopo il matri monio, lasciando alla libertà di ciascuno di decidere se vivere in castità oppure no41• Questo racconto, poi ampiamente diffuso, trova una conferma nei testi del Concilio di Nicea. Una linea differente però era stata espressa, a partire dalla pri ma metà del IV secolo, da molti sinodi locali, come quello di El vira (l'attuale Granada), che aveva obbligato il clero di quella dio cesi alla castità, così come i Concili di Cartagine del 390 e del 40 1 , d i Toledo del 400 e di Torino del 40 1 . Papa Siricio, nel 3 86, in una lettera al vescovo di Tarragona, e successivamente in lettere ai ve scovi africani, interviene per raccomandare almeno di rispettare i periodi di continenza già stabiliti dalla legge ebraica durante le funzioni religiose più importanti, mentre Leone il Grande cerca di imporre il celibato, come testimonia una lettera scritta al ve scovo Atanasio nel 446: «Mentre a chi non appartiene all'ordine 4° Giovanni Crisostomo, De virginitate, 9, 2. 41 Socrate, Historia ecclesiastica, I, 1 1 .
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clericale è consentito sposarsi e avere figli, per realizzare alla per fezione la più completa castità, non sarà concesso nemmeno ai suddiaconi il matrimonio con rapporti sessuali, così che anche quelli che hanno moglie devono comportarsi come se non l'aves sero»42. O almeno, in ogni regione, si cerca di limitare la carriera ecclesiastica ai preti celibi, non solo per motivi di impegno nella missione, ma anche per impedire la dispersione dei beni della Chiesa. Infatti quando, nel 554, il futuro papa Pelagio I finirà per ac cettare la nomina di un vescovo padre di famiglia, lo farà a condi zione che ai figli non vada nulla di ciò di cui il prelato entrerà in possesso dopo il suo accesso all'episcopato. Alle preoccupazioni economiche, naturalmente, si accompagnavano quelle spirituali: Isidoro di Siviglia (morto nel 636) aveva proposto una etimologia allegorica di caelebs (celibe), spiegato come coelo beatus (beato nel cielo). Ma, in sostanza, almeno sino alla fine del IV secolo, anche se la continenza era osservata dalla maggior parte dei preti sposa ti, almeno dopo la loro elevazione agli ordini maggiori, la Chiesa autorizzava ugualmente coloro che non sentivano la vocazione del celibato a usufruire dei loro diritti coniugali. È solo a partire dalla fine del IV secolo che la legge del celiba to comincia a prendere forma, segnando così la separazione fra la Chiesa greca e quella latina. La prima frattura aperta su questo te ma si presenta durante il secondo sinodo Trullano - così chiama to dal thrùllos, il salone a volta nel palazzo imperiale di Bisanzio dove si tenevano le sessioni - convocato dall'imperatore Giuliano II e tenutosi nel 691 -692. Qui la Chiesa orientale si oppone al pa pa, come testimonia il canone 1 3: «Nella Chiesa romana coloro che vogliono accedere al diaconato o al presbiterato, promettono di non avere più rapporti sessuali con le loro mogli, noi invece concediamo loro, secondo i Canoni apostolici di continuare a vi vere nel matrimonio. Chi vuoi interrompere tali matrimoni sia de posto, e il chierico che con il pretesto della pietà lascia la propria moglie, sia scomunicato. Se persiste in questo, sarà deposto». Uni ca concessione nei confronti di Roma è quella relativa ai vescovi: «Se uno viene consacrato vescovo, sua moglie deve andare in un
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Leone Magno, Epistulae, 14, 4.
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convento piuttosto distante. Ma il vescovo deve provvedere a lei. Se è degna, può anche diventare diaconessa»43• La Chiesa ortodossa fa riferimento ancora oggi a questi de creti: infatti, anche se i vescovi sposati osservano abitualmente la continenza - ma per evitare il problema vengono abitualmente nominati vescovi dei monaci - è accettato che i preti di grado in feriore si sposino prima dell'ordinazione. Al momento della rot tura ufficiale fra le due cristianità, nel 1054, il cardinale Umber to di Silva Candida, che guidava la delegazione pontificia a Bi sanzio, si espresse con aspra durezza contro i preti ortodossi spo sati: «GiovanLmariti spossati dal recente piacere carnale servono all'altare. E immediatamente dopo essi con le loro mani santifi cate dall'immacolato corpo di Cristo abbracciano di nuovo le lo ro mogli. Questo non è il segno di una vera fede ma un'invenzio ne di Satana»44• Come si spiega il fatto che in Occidente, invece, si affermasse sempre più l'idea che la vita matrimoniale era incompatibile con il ministero ecclesiastico? Probabilmente, all'origine di questo at teggiamento non sta solo una preoccupazione di ordine morale e spirituale, ma la certezza che un clero celibe avrebbe garantito il mantenimento delle proprietà nelle mani della Chiesa, rafforzan do quest'ultima davanti al potere politico. Ciononostante, a par tire dall'VIII secolo la disciplina ecclesiastica subisce una crisi ge nerale e in particolare ne risente proprio la pratica del celibato. Secondo Bonizone, vescovo di Sutri, la corruzione si diffondeva ovunque: «Non sono solo i ministri di secondo ordine, sacerdoti e diaconi, ma addirittura gli stessi pontefici vivono in regime di concubinato; e questo è divenuto così comune che il disonore re lativo a tale condotta è in qualche modo cancellato»45• Roma stes sa è descritta in preda a questo disordine, come constata un papa, Vittore III, lamentando anche che i beni della Chiesa venivano de voluti ai figli dei vescovi. il problema del celibato del clero si po ne quindi a metà fra la condotta morale dei sacerdoti e i proble4 3 I canoni del secondo sinodo Trullano si leggono nella classica SS. Conci liorum nova et amplissima collectio (1757-1798) di Giovanni Domenico Mansi
(XI, 92 1 -1006) . 44 Il testo è citato in U. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli (1988), Rizzoli, Milano 1 990, p. 1 04. 41 Bonizone, Liber ad amicum, 3.
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mi della Chiesa come istituzione e come potenza economica, che si veniva definendo in quegli anni come autonoma nei confronti dell'impero. Per rafforzare questa autonomia appena conquistata era quindi indispensabile un intervento forte, che garantisse la riforma morale del clero, colpendo sia il nicolaismo, ovvero il con cubinato dei preti, sia la simonia, la vendita dei beni ecclesiastici. Ma, nonostante la severità della procedura ecclesiastica contro il clero sposato - che prevedeva il carcere, fustigature e bastonatu re pubbliche -, intorno alla fine del primo millennio cristiano un gran.numero di preti era sposato. Sarà il movimento di riforma che prenderà poi il nome di gre goriano - da papa Gregorio VII, morto nel 1085 e che diede gran de impulso alle correnti riformatrici già in atto - a rendere più se vero l'atteggiamento della Chiesa in proposito: Leone IX ( 1 0491 054) ordinò che le mogli dei preti fossero ridotte in schiavitù per servire nelle proprietà ecclesiastiche, mentre il Concilio del Late rane del 1059 così si esprime al canone 3 : «Nessuno potrà assi stere alla Messa di un prete, che notoriamente tenga presso di sé una concubina o una subintroducta mulier». Nicolò II ( 1 0581061) aggrava le già severe sanzioni contro i preti sposati o convi venti e cerca anche di prevenire il male obbligando gli ecclesiasti ci alla vita in comune. Duro fustigatore di chi si opponeva al celi bato ecclesiastico fu Pier Damiani, vescovo di Ostia e autore del De celibatu sacerdotum, il quale sosteneva che solo mani verginali potessero toccare il corpo del Signore. Da proibizioni di tipo so ciale, finalizzate non solo a garantire la buona condotta morale dei chierici, ma anche la compattezza del patrimonio ecclesiastico, si torna pertanto a motivazioni di ordine spirituale e teologico, pe raltro sempre esistite, e a problemi relativi alla purità46• Anche per la sua imposizione del celibato ecclesiastico, come per altre sue riforme, Gregorio VII considerato il simbolo più alto della riforma che da lui prese poi il nome - non proponeva certo novità, ma nuova era la radicalità della richiesta, avanzata con grande energia subito dopo la sua elezione al pontificato nel 1073, per vincere le numerose resistenze che venivano soprattut to da parte del basso clero. Sembra che solo nella diocesi di Co-
46 Cfr. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli,
cit., p. 105.
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stanza si fossero radunati in un sinodo 3 . 600 ecclesiastici per ma nifestare il loro dissenso, mentre circolavano vari opuscoli a favo re del matrimonio del clero. Le resistenze furono forti in partico lare in Lombardia, dove la Chiesa ambrosiana si oppose al celi bato in nome della sua antica autonomia da Roma, ma dove la po sizione romana fu sostenuta con forza dal movimento dei patari, laici intransigenti che - mettendo �iscussione la validità dei sa cramenti consacrati da preti sposati - perseguitavano il clero che rifiutava il celibato con minacce e rappresaglie. L'azione riforma trice fu brutale: le mogli dei preti vennero considerate concubine, e i loro figli, perso lo statuto di liberi, divennero servi della pro prietà ecclesiastica. Nel secondo Concilio Lateranense ( 1 139) si fece un altro pas so decisivo in questa direzione: si affermò infatti che i matrimoni contratti dopo l'ordinazione non erano validi e al tempo stesso chi era coniugato non poteva più essere ordinato prete. Nel Decreto di Graziano - raccolta di leggi compilata intorno al 1 140 e che ha costituito il nucleo principale del diritto canonico nella Chiesa ro mana fino al l917 - viene fissata la normativa che regola la vita privata dei chierici: «Vi sono due generi di cristiani, i chierici e i laici. A questi è permesso di avere dei beni, [ .. .] di sposarsi, di col tivare la terra, di essere giudici, avvocati»47• Si chiudeva così una delle questioni più interessanti affrontate dalla canonistica durante il primo millennio cristiano, creando una società spaccata in due, laici da un lato e chierici e religiosi, obbligati al celibato, dall'altro. La Chiesa mirava, pertanto, a istruire e formare una classe dirigente di sicuro prestigio e ascen dente religioso e a fare del comportamento sessuale continente un indicatore esterno adeguato a delimitare i confini tra laici ed ec clesiastici. Ma, al tempo stesso, «proprio la necessità di una legge che imponga al clero la continenza, si scontra con la libertà di scel ta che, come valore morale, per Crisostomo deve essere connessa alla scelta ascetica, destituita di significato se, diversamente, sog getta a costrizione»48• Si tratta di una contraddizione che si apre nella società cristiana, in cui vengono messe insieme - per delimi-
47 Graziano, Decretum, 12, quaest. l , 7 . 48 Sardella, Eros rifiutato ed eros proibito,
cit., p. 221 .
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tare i confini fra laici ed ecclesiastici - due forme ben diverse di celibato: quello scelto dei monaci, e quello imposto del clero. Si tratta di provvedimenti che si inseriscono in un'opera di complessiva riforma della vita religiosa e dell'istituzione ecclesia stica caratterizzata da due obiettivi: il rafforzamento della Chiesa di fronte al potere imperiale e la formazione di un clero come ce to separato, da considerarsi nettamente superiore al resto della popolazione cristiana. È a partire da questo periodo, infatti, che il termine Chiesa viene a significare l'insieme dei chierici, e non più tutti i cristiani, per i quali venne forgiato il nuovo termine di
Christianitas. Ma la realizzazione piena di questa norma fu lenta e molto con trastata; Guidone, legato di papa Clemente IV al sinodo di Brema del 1266, dovette ribadire che i suddiaconi e i chierici con gli ordini maggiori che si prendono una concubina col titolo di moglie e di fatto si legano a essa in matrimonio sono privati per sempre del beneficio ecclesiastico. I figli di tali unio ni illegittime non hanno alcun diritto alle masserizie dei loro padri, e ciò che costoro lasciano alla loro morte sarà diviso tra il vescovo e la città. I figli di tali preti sono per sempre infami. Ma poiché alcuni pre lati tollerano la disonestà per il danaro, noi scomunichiamo e colpia mo con l'anatema tutti coloro che a tale scopo fanno sì che questo sta tuto, di cui deve essere data lettura nei sinodi diocesani e provinciali, non venga rispettato. Coloro invece che, chierici e laici, d'ora in poi danno le loro figlie o le loro sorelle ai chierici con gli ordini maggiori per un supposto matrimonio o per concubinato, sono esclusi dall'en trata in chiesa49•
Queste parole lasciano trasparire una abituale forma di corru zione: molti preti sposati ottenevano il silenzio dei loro vescovi versando loro periodicamente del denaro. Una prassi di lunga durata: nella continuazione del Roman de la rose - opera scritta intorno al 1277 che conobbe un successo ec cezionale - Jean de Meung combatte vivacemente il celibato ec clesiastico per bocca di Natura, così come nel 152 1 i protestanti denunciano pubblicamente il vescovo di Costanza, Ugo di Lan49 K.J. von Hefele, Konsiliengeschichte, Freiburg im Breisgan
1867, VI, p. 84.
I. Il corpo, le pulsioni
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denberg, perché riceveva per il suo ve�ado circa seimila fiorini annui di multa per i figli dei preti che nascevano. Molti preti-pa dri divennero allora protestanti per evidenti motivi economici50• Che questo costume, soprattutto in regioni lontane dal con trollo di Roma, fosse rimasto vivo, lo dimostra il fatto che Erasmo da Rotterdam era figlio secondogenito di un prete, e che Ignazio di Loyola aveva un fratello prete, Pedro Lopez, che lasciò alla sua morte quattro figli, mentre Francesco Borgia, terzo generale dei gesuiti, era vissuto nel palazzo arcivescovile di Saragozza dove suo nonno, l'arcivescovo don Alfonso d'Aragona, viveva ufficialmen te con sua nonna, Anna Urrea. Fra il 1488 e il 1489 circolavano svariate falsificazioni di bolle pontificie, per consentire il matri monio di alcuni preti. È noto come la Riforma luterana abbia trovato terreno fecon do proprio nella scontentezza dei preti tedeschi per l'obbligo del celibato: nel suo discorso sulla situazione della Germania tenuto al Concilio di Trento nel 1562 , il rappresentante del duca di Ba viera, Agostino Bauttlgartner, afferma che «tra cento preti, ne so no stati trovati appena tre o quattro che non vivono in pubblico concubinato o che già clandestinamente o del tutto apertamente non abbiano contratto matrimonio»51 • L a piaga del nicolaismo guarì più o meno velocemente, a se conda dei paesi e degli uomini, ma il miglioramento dei costumi morali del clero appariva incontestabile già nel XII secolo e il ce libato venne ribadito risolutamente dal Concilio di Trento a metà del Cinquecento, per rimanere in vigore fino a oggi: «Se qualcu no non dice che è meglio e gradito a Dio rimanere nella verginità o nel celibato piuttosto che sposarsi, sia scomunicato». La que stione fu in qualche modo riaperta dalla Rivoluzione francese: nel 1791 venne stabilito infatti che a nessun uomo si può impedire di sposarsi e quindi molti preti francesi - fra cui il vescovo Talley rand - presero moglie. Il celibato ecclesiastico è stato confermato ancora dal Concilio Vaticano II, durante il quale i padri concilia ri, pur riconoscendo esplicitamente che l'astinenza non è richie sta dalla natura stessa del sacerdozio, raccomandano il celibato ri chiamandosi a necessità religiose e pastorali. Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli, cit. 5l Concilium Tridentinum, VIII, p. 620.
�o Cfr.
II EROS E SANTITA
l. Simboli sessuali «li mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta»: questi versi fortemente erotici appartengono al la Bibbia, e più esattamente al Cantico dei cantici (5, 4). Benché gli interpreti antichi e medievali si siano impegnati a spegneme la ca rica erotica dando una interpretazione metaforica di questo verso - per Ruperto di Deutz, ad esempio, l'adolescente è l'anima, tre mito divino, la mano è quella del crocifisso che si stacca dalla cro ce1 -, la presenza di questo e altri versi simili nella tradizione cri stiana costituisce la prova che la sfera sessuale non offre solo oc casione di prescrizioni morali o di regole ascetiche, ma costituisce il patrimonio di metafore e simboli a cui era normale attingere per parlare del sacro. Purtroppo, oggi se ne è perso il ricordo, così co me sembra scomparsa la percezione dei «sensi sovrannaturali», attraverso i quali un corpo ancora vivente può divenire molto si mile a un corpo glorioso. Quell'antica sensualità trascendente scrive Cristina Campo - è stata cancellata dalla Riforma e dall'Il luminismo: «ogni prova fu puntualmente superata dalla dottrina ma sembrò strappar via con sé un lembo della corporeità rag giante, della vivida pelle dell'antica vita cristiana»2• 1 Cfr. ].C. Schmitt, La conversione di Ermanno l'Ebreo. Autobiografia, sto ria, /inzione (2003 ), Laterza, Roma-Bari 2005 , pp. 119- 120. Per uno sguardo sul
l'interpretazione antica e medievale si veda l'Introduzione di M. Simonetti a Origene, Il Cantico dei cantici, Fondazione Lorenzo Valla, Roma-Milano 1998, pp. IX-XXXI. 2 C. Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p. 23 7 .
II.
Eros e santità
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Noi siamo come il giovane monaco protagonista del Nome del la rosa, il celeberrimo romanzo di Umberto Eco, che capisce il sen so del Cantico dez" cantù:z" solo quando vive concretamente l'amore umano con una fanciulla: si tratta di una proiezione della menta lità odierna su un passato che, invece, interpretava il libro biblico in modo esclusivamente allegorico. A noi, infatti, la sconcertante franchezza con cui questo poemetto parla dell'amore, la concre tezza erotica delle sue immagini, fa solo venire in mente l'amore fi sico mentre, fin dalla sua inclusione nei testi sacri ebraici, a ques.to testo è stata data sempre una interpretazione metaforica. Anche se gli stu.diosi ipotizzano che si tratti, all'origine, di un esempio di poesia erotica, simile a quella dei papiri egizi dello stesso periodo, il significato metaforico ha finito con il sovrastare a tal punto quel lo letterale che per secoli nessuno l'ha più letto secondo il signifi cato originario. Senza dubbio, su questo testo e sulla sua esegesi si fonda l'uso metaforico della sessualità nella tradizione cristiana. Attribuito dalla leggenda a Salomone, ma in realtà di molto posteriore, era stato inserito fra gli altri libri della Scrittura, no nostante il suo contenuto profano e il linguaggio fortemente ero tico, perché considerato una metafora dell'amore di Dio per Israele, e l'amore non sempre fedele da parte di Israele per Dio. Questa lettura costituisce una conferma di quanto l'allegoria del l'immagine sponsale fosse divenuta patrimonio comune del pen siero religioso d'Israele. Basta, del resto, ricordare un'immagine utilizzata da Isaia (62, 5) per spiegare la rivelazione dell'amore di vino per rendersene conto: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te». Nel Can#co dez" can#d, l'amore fra un uomo e una donna vie ne considerato l'unica realtà umana che può rendere in qualche modo intellegibile il mistero dell'amore di Dio per l'umanità. In esso la sessualità non viene vissuta come una forma misteriosa di unione con il sacro - come nei riti di fertilità delle religioni paga ne - ma come realtà teologica in sé. A ragione è stato infatti sot tolineato in proposito che «non vi è un amore 'spirituale', 'puro' ed uno profano; esiste solo l'amore e basta. Anzi, l'amore contie ne in sé qualcosa di divino»3• 3 R. Infante, Lo sposo e la sposa. Percorsi di analisi simbolica tra Sacra Scrit tura e cristianesimo delle origini, San Paolo, Milano 2004, p. 15.
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Molti commentatori hanno osservato come nel Cantico dei can tici vi sia piena parità della donna con l'amato, anch'essa sogget to attivo nel rapporto, a cui viene riconosciuto lo stesso diritto di esprimere il proprio desiderio e la propria voglia di amore. La ri cerca dell'amato è quasi sempre sua, anche in condizioni rischio se, ed è alla sua bocca che il poeta affida le parole più belle: «Met timi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; per ché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la pas sione. Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signo re! le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi tra volgerlo» (8, 6-7) . Solo l'amore e l'eros hanno la possibilità di vin cere le potenze distruttrici, perché solo l'amore è creatore e fonte di vita in quanto dotato di potenza divina. I cristiani, che ripresero dai giudei l'uso della Sacra Scrittura come fondamento divinamente ispirato di vita e di dottrina, ma che hanno cominciato a leggerla considerandola come un insieme di profezie e simboli della verità portata da Gesù, non sembra ab biano awertito alcuna remora ad accogliere anche il Cantico dei cantici, benché non ci siano riferimenti diretti a questo poema nel la letteratura cristiana sino alla fine del II secolo, quando compa re un commentario a cura di lppolito. Questa prima interpreta zione - per cui, ad esempio, il profumo dello sposo diventa sim bolo della generazione del Logos e della successiva Incarnazione e la nerezza della sposa è simbolo dei passati peccati della Chiesa - apre le porte a un genere che conoscerà una fortuna crescente nella letteratura cristiana, quello cioè della spiegazione allegorica del Cantico dei cantici, nella comune convinzione che la Scrittura vada accostata con timore e devozione per decifrare la chiave del linguaggio simbolico con cui è scritta. Poco tempo dopo, infatti, Origene dettò un commento al poemetto in dieci libri, basato su un accurato lavoro filologico. Fin dal prologo egli affronta, risol vendolo in senso allegorico, il problema del linguaggio erotico dell'opera, presentando il Cantico dei cantici come «espressione della vetta più alta cui può aspirare l'anima umana nella ricerca di Dio». Come ha scritto Ann Matter, studiosa della fortuna del Can tico dei cantici nella storia del cristianesimo, «è con questa inter pretazione dell'amore nuziale del Cantico dei cantici come amore tra Dio e l'anima del cristiano credente, che comincia la vera sto ria del matrimonio mistico nella tradizione cristiana. Inoltre, que-
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sta lettura legittima anche l'idea della vita di devozione come ma trimonio con Dio»4• Dopo il successo di questo commento, il Can tico dei cantici viene considerato - e per sempre - uno dei punti più alti di mistica nell'ambito della Sacra Scrittura. I commenta tori successivi si rifanno tutti all'esempio origeniano, fino a quan do Apponio, nel 4 10, introduce anche un'interpretazione in sen so mariano, che avrà una buona fortuna nel Medioevo. Del resto, che l'interpretazione metaforica del Cantico dei can tici sia ormai accreditata ovunque - a parte alcuni casi marginali rappresentati da canti goliardici, come i Carmina burana - lo di mostra la libertà con la quale Bernardo di Chiaravalle, nei suoi ser moni di commento al Cantico dei cantici, utilizza la descrizione realistica dell'incontro amoroso. Così, mentre il poema biblico si limita a dire «Mi baci con i baci della sua bocca», Bernardo spe cifica che si tratta di «congiunzione delle labbra» e «per dare un bacio, bisogna che le due labbra di ogni bocca si premano l'una su l'altra» per arrivare poi all' «abbraccio che non si può districa re»5. È ben chiaro come la sposa non sia solamente passiva, ma contribuisca a produrre questo bacio in un rapporto di egua glianza. Ogni parola è concreta, ma basta che egli aggiunga pochi termini, anch'essi biblici, di risonanza spirituale, perché si disveli un significato sublime: la libertà è quella dello Spirito Santo, il ca lore è quello dello Spirito di Cristo. Perché la metafora sia giusta e legittima, infatti, bisogna che la realtà di riferimento sia chiara e concreta, cioè l'amore carnale fra un uomo e una donna, a cui egli aggiunge un particolare che nel Cantico dei cantici non c'era: che si tratti di uno sposo e di una sposa, di un amore lecito. TI fonda mento della metafora è dunque il matrimonio, in antitesi ad altri tipi d'amore carnale, come la prostituzione, l'adulterio e l'unione libera, lodata dagli eretici renani suoi contemporanei. Naturalmente questa interpretazione di Bernardo, che legge la metafora su tre piani diversi - e presuppone uno stretto paralleli4 E.A. Matter, Il matrimonio mistico, in Donne e fede. Santità e vita religio sa, a cura di L. Scaraffia e G. Zarri, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 45; cfr. anche E.A. Matter, The Voice o/My Beloved. The Song o/Songs in Western Medieval Christianity, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1992. 5 Bernardo di Chiaravalle citato in J. Leclercq, I monaci e il matrimonio. Un'indagine sul XII secolo, Società editrice internazionale, Torino 1984, p. 1 55.
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smo fra l'unione carnale e quella spirituale - rinnova profonda mente la tradizione dei commenti del Cantico dei cantici. Nel ba cio Bernardo identifica l'insufflazione attraverso la quale Cristo Risorto dona il suo Spirito alla Chiesa. Infatti la sua idea di base è che la rivelazione avvenga con un bacio, cioè per mezzo dello Spi rito Santo. Ma il bacio esprime anche l'unione di Dio con l'uomo Gesù: «la bocca del Verbo preme la natura umana: così, Dio si uni sce all'uomo, in cui, ormai, risiede tutta la pienezza della divi nità»6. Ma la metafora coniugale si presta anche a esprimere l'u nione di Cristo con la c;hiesa, tenendo presente il fatto che la Chie sa è fatta dalla comunione delle anime. Sin da questa vita, e poi meglio nella gloria, ognuno di noi aderisce alla Chiesa nell'ab braccio dell'amplesso, formula che presuppone, più ancora del bacio, l'unione totale. Attraverso il vigore di queste metafore, Ber nardo riesce a cogliere una realtà misteriosa, che sarebbe estre mamente difficile formulare in altri termini. Anche il teologo con temporaneo Hans Urs von Balthasar scrive a proposito della Chie sa, velata nel mistero sponsale, che si tratta di «un mistero d'amo re, che noi possiamo circondare solo della nostra reverenza»7. L'attività amorosa degli sposi viene così applicata alle relazio ni tra il Verbo e l'anima, e il mistero è espresso in termini d'amo re: «non vi è una sola anima, ve ne sono molte, riunite in una so la Chiesa, abbracciate da una sola Sposa»8• Anche se la Chiesa sarà perfetta sposa di Cristo solo nella gloria futura, già da ora gli è unita come lo sono marito e moglie. n termine latino con il qua le Bernardo esprime questo incontro amoroso è proprio quello che designa l'amplesso nel senso più forte, adherere, assumendo tuttavia per lui un significato solo spirituale: «Questo amore vi cendevole, intimo e forte, che unisce i due, non in una sola carne ma, veramente, in un solo spirito»9• L'amore di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio è necessaria mente espresso in un linguaggio umano, nutrito di immagini e di simboli umani e di esperienze umane. Altri scrittori cistercensi rilvi, p. 158. H.U. von Balthasar, Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1972, p. 55. Bernardo di Chiaravalle citato in Leclercq, I monaci e il matrimonio, cit., p. 159. 9 lvi, p. 161. 6 7 8
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prenderanno, dopo di lui, il simbolismo del letto e delle delizie dell'amplesso, e il fatto che spesso queste metafore si trovino an che in sermoni rivolti alle monache conferma come non ci fosse alcun timore a riferirsi con franchezza all'amore coniugale. Come scrive ]ean Leclercq, «niente, in loro, tradisce l'ossessione e la re pressione»10, né si comportano come se questi temi fossero tabù. Con la formazione dei nuovi ordini monastici del XII-XIII se colo, infatti, era cambiato il tipo di religioso: cominciano a preva lere gli adulti fra coloro che scelgono la vita nel monastero. Si trat ta cioè di persone che avevano avuto un'esperienza diretta dell'a more profano, o per aver sperimentato il matrimonio, oppure per conoscenza letteraria o, magari, dall'esperienza dovuta alla pro miscuità abitativa allora molto diffusa, se non abituale. Ed è pro prio per la facilità con la quale viene compresa questa esperienza, probabilmente, che molti monaci come Bernardo si sentono spin ti a creare, parallelamente alla letteratura amorosa dei trouba dours, una letteratura amorosa sacra. Non dobbiamo poi dimen ticare la capacità, diffusa fra tutti i monaci medievali e il clero - e, seppure in minor misura, anche fra i laici -, di interpretare sim bolicamente, almeno in due sensi, la parola sacra. Quelle immagi ni che a noi - che siamo portati dal senso comune a escludere la natura spirituale dell'uomo e l'esistenza di Dio - sembrano solo il ritorno di un istinto erotico rimosso nell'inconscio erano per loro, invece, immagini ricche di senso profondo che li spingevano a cer care, a partire dai simboli biblici, significati misteriosi e nascosti. Per capire ancora meglio quale fosse il potere trasformante dell'interpretazione spirituale di scritti carichi di contenuto eroti co, bisogna ricordare anche che una operazione simile a quella sul Cantico dei cantici era stata fatta, nel Medioevo, su un testo ben più difficile da «spiritualizzare», cioè I'Ars amandi di Ovidio. Cer to, in alcune copie monastiche qualche riga era stata espurgata, ma in sostanza anche a esso si applicava una vera e propria esege si, utilizzando lo stesso procedimento che si applicava alle Sacre Scritture, sino a fare di Ovidio un cristiano e ad arrivare alla de dica che un pio frate francescano scrive alla Vergine, nella vigilia di una sua festa, su un codice del poeta pagano. IO
lvi, p. 164.
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L'immagine sponsale, del resto, è presente anche nei Vangeli, proposta da Gesù stesso che, in più di un episodio, si sostituisce a Yhwh nella metafora dello sposo e sarà ripresa da Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi ( 1 1 , 2) , che stavano correndo il grave pe ricolo dell'infedeltà: «lo provo infatti per voi una specie di gelo sia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo». Bernardo è stato senza dubbio l'intellettuale cristiano che ha meglio saputo trasferire ogni desiderio di amore umano in desi derio di unione con Dio, partendo appunto dal Cantico dei canti ci, ma poi procedendo oltre, sempre però all'interno della stessa metafora sponsale. Per lui, l'amore fra un uomo e una donna non è che una delle espressioni dell'amore cristiano, che sempre rin via all'amore più alto, la carità. Egli si sforza, riuscendoci, di su blimare una pulsione fondamentale dell'essere umano, quella del l' amore, partendo da una conoscenza profonda della psiche uma na. Nel suo trattato Sulla necessità di amare Dio, Bernardo stabi lisce che l'amore divino integra e assume in sé tutte le manifest� zioni umane dell'amore che sono in accordo con l'ordine dei va lori fissati da Dio. Proprio per questo Dante attribuisce a Bernardo un ruolo cen trale nella Commedia, il cui tema di fondo è l'importanza dell'a more. Nel poema assistiamo infatti al passaggio dall'amore per Beatrice a quello per Dio, dalla guida di Beatrice a quella di Ber nardo. Simbolo comune fra il poeta e il monaco è la sposa del Can tico dei cantici, più volte citata da Dante nelle sue opere. Se le esperienze che Bernardo e Dante hanno vissuto sono state diver se, uguale è il processo attraverso il quale le trascendono, e per en trambi è una donna - sia essa Beatrice, oppure la sposa del Can tico dei cantici, o Maria - a esprimere simbolicamente la parte mi gliore di loro stessi, e quindi di tutto il genere umano. li Cantico dei cantici, quindi, testimonia come anche nella tra dizione giudaico-cristiana sia presente l'idea che il piacere sessua le, essendo riflesso della beatitudine divina, ci permette di coglie re qualcosa di Dio1 1 • Ne parla esplicitamente Alain Daniélou nel suo saggio sulla scultura erotica indù, cogliendo le somiglianze 1 1 Cfr. A. Griin, Mistica ed eros (1994), Berti, Piacenza 2000.
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con questa tradizione, in quanto «riflesso dello stato di perfezio ne, dello stato divino, è il godimento. Per un istante l'uomo rea lizza lo scopo suo vero. Dimentica i suoi interessi, i suoi proble mi, i suoi doveri, e partecipa al sentimento di felicità che è la sua vera natura, la sua natura immortale»12. Accanto a una tradizione - ben rappresentata da grandi Padri della Chiesa, come Ambrogio, Agostino e Girolamo - che vede la corporeità sessuata come un grave limite dell'essere umano, dal quale egli deve liberarsi quanto più gli è possibile per awicinarsi alla trascendenza divina, ne esiste quindi un'altra che vede nell'e sperienza erotica una chiave per comprendere Dio. Una posizio ne, questa, sostenuta anche da Tommaso d'Aquino, il quale scri veva che, anche se «i progenitori in paradiso non ebbero rappor ti, perché, poco dopo la formazione della donna, ne furono scac ciati a causa del peccato; oppure perché attendevano l'ordine dal l'alto che ne determinasse il tempo, perché da Dio ne avevano ri cevuto un comando generico»13, se l'avessero fatto ne avrebbero provato più piacere, perché «il piacere è tanto più grande, quan to più pura la natura e più sensibile il corpo» (ibid.) . Perché per Tommaso l'essere umano è stato fatto a somiglianza di Dio nell'a nima e nel corpo: «l'anima unita al corpo assomiglia di più a Dio di quella separata dal corpo, perché possiede più perfettamente la propria natura»14, per cui la separazione dal corpo impedirebbe la beatitudine perfetta: «la separazione dal corpo, infatti, impedi sce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione del l'essenza divina, poiché l'anima desidera godere Dio fino al pun to che il godimento ridondi sul corpo, nella misura del possibile. Perciò, finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo ap petito, pur quietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe anco ra che il suo corpo arrivasse a parteciparne»15• Da questo si può dedurre come Tommaso fosse convinto che il piacere sessuale - tanto più intenso quanto maggiore è la purez za della natura - è un dono che ci apre alla conoscenza della divi12
A. Daniélou, La sculpture érotique hindoue, Buchet-Chastel, Paris 1973. 13 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 98, a. 2. 1 4 Tommaso d'Aquino, Quaestiones de potentia, 5, 1 0 ad 5. 15 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, 1-IIae, q. 4, a. 9.
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nità: noi conosciamo Dio dalle perfezioni che egli comunica alle creature16 in una visione molto concreta della natura umana; dei piaceri, egli scrive «alcuni sono corporei, altri dell'anima; il che in sostanza è la stessa cosa [ ... ] e il bene sensibile è il bene di tutto il composto umano»17• Data l'unicità del composto umano non ci deve stupire che egli concepisca l'unione con Dio come un'espe rienza insieme spirituale e fisica: «Sebbene il nostro corpo non possa godere di Dio con la conoscenza e con l'amore, tuttavia pos siamo arrivare alla perfetta fruizione di Dio con opere compiute col corpo. Ecco perché dal godimento dell'anima ridonda sul cor po una certa beatitudine [ ... ] perché il corpo è partecipe in qual che modo della beatitudine, può essere amato con amore di ca rità»18. Come era sottinteso nel Cantico dei cantici, infatti, non c'è contrapposizione fra l'amore umano e quello divino: «l'amore verso Dio e l'amore verso l'uomo sono identici nella specie [. .] hanno lo stesso abito di carità»19. Questa libera interpretazione del Cantico dei cantici cominciò a incontrare degli ostacoli al momento della Riforma protestante, così come tutti gli aspetti più concreti e mistici della tradizione cri stiana. E le critiche alla natura materiale e superstiziosa della fede romana spinsero anche nella cultura cattolica a proibire la lettura integrale dell'inno e a presentarne esegesi censurate. Particolarmente problematica divenne la lettura del Cantico dei cantici nella Spagna della Controriforma, in cui l'unica inter pretazione consentita era quella agostiniana, cioè la Chiesa come sposa di Cristo, preferita a quella della Scolastica, che proponeva il matrimonio dell'anima individuale con Dio. Un grande studio so della Bibbia, Luis de Le6n, fu incarcerato dall'Inquisizione dal 1572 al 1575 per avere messo in dubbio l'accuratezza della Vul gata e per avere tradotto in spagnolo il Cantico dei cantici, ma so prattutto perché ne aveva fatto una traduzione troppo letterale, poco attenta all'allegoria ecclesiologica che ne doveva spegnere il carattere erotico. .
16
Cfr. Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I, q. 1 3 , a. 3 . Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 3 0 , a . l . 1 8 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q. 25, a. 5 . 1 9 Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, I-Ilae, q . 2 5 , a . l . 17
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2. Prostituta casta («casta meretrix») Alla sposa pura e appassionata del Cantico dei cantici nei testi sacri si opponeva un modello negativo, quello della prostituta, già utilizzata nei testi sacri ebraici come simbolo di crisi nelle relazio ni fra Dio e il suo popolo. Ma la prostituta delle Sacre Scritture è una figura ambivalente: in alcuni episodi biblici il suo ruolo è provvidenziale, come nella vicenda centrale di Osea, profeta a cui Dio aveva dato l'ordine di andare da una prostituta e di generare con lei dei figli, sui quali ricadesse la vergogna della madre. n se gno dato al popolo ebraico è chiaro: Dio, sebbene offeso dal suo tradimento, si riabbassa di nuovo verso l'uomo, rappresentato da questa prostituta. n mistero dell'amore di Dio è tale che anche la riprovazione avviene nel segno della provvidenza, ed è una strada verso una nuova elezione. Agostino dirà che la meretrice del libro profetico di Osea deve essere interpretata dal Nuovo Testamento come la Chiesa dei giudei e dei pagani, di cui Cristo è il cardine e la pietra angolare. Matteo inserisce varie donne irregolari nella genealogia di Cri sto perché - scrive Anselmo di Laon - l'evangelista voleva «di mostrare che Cristo non doveva nascere solo dai Giudei ma an che dai pagani, non solo dai giusti ma anche dai peccatori»20• Questo elenco di prostitute è stato sottolineato e interpretato da esegeti delle Scritture, come Rabano Mauro che scrive: Omesse le mogli legittime, vengono assunte nella genealogia di Cri sto quattro donne straniere: Thamar, che siede al crocicchio sotto le spoglie di una meretrice, Rahab, la prostituta che si unisce a Salmon, il principe giudeo di Gerico, Ruth, che dopo la morte di suo marito viene da Mohab e si unisce a Booz, Bethsabea, che viene resa incinta dall'adulterio del re Davide. Ciò avvenne affinché noi ammirassimo fin nel senso letterale l'estrema bontà del Signore che per cancellare i pec cati umani non solo si è degnato di nascere dagli uomini ma addirittu ra dai peccatori e dalle meretrici. Secondo il senso spirituale però in queste donne è prefigurata la Chiesa che viene al Signore dagli errori del paganesimo.21
20 Anselmo di Laon, In Mattheum, l (PL 1 62, 1239). 2 1 Rabano Mauro, Homiliae in Evangelium, 1 63 (PL 1 1 0,
458).
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Anche Rahab viene considerata dagli esegeti come simbolo della Chiesa; per esempio, Girolamo scrive con grande incisività: «Rahab, la meretrice giustificata, prefigura noi»22 • Gregorio di Elvira23 ha messo in luce la ricchezza e la com plessità di questo tema biblico: «Infatti, in molti passi della scrit tura incontro questa meretrice, non solo come ospite dei santi, ma addirittura come sposa. Ecco Osea, il profeta del tutto irreprensi bile, cui il Signore comanda di prendere in moglie una meretrice [ . . . ] e lo stesso Signore, ch'è nostro salvatore, seduto presso un pozzo della Samaria a discorrere con una meretrice [ . ] . E infine è ancora una meretrice che lava con le sue lacrime i piedi del Sal vatore». Nei Vangeli un posto importante è occupato da Maddalena, prostituta redenta da Gesù, imitata poi nel primo cristianesimo da «sante puttane» come Pelagia, Maria Egiziaca, Taide. Questa fi gura è senza dubbio il personaggio più sensuale della letteratura evangelica: lo rivela l'arte sacra, che ha rappresentato la Madda lena come giovane e bella, spesso discinta e con i lunghi capelli sciolti nel dolore del pentimento: in sostanza, l'unico dei perso naggi dei Vangeli proposto come modello erotico, a cui gli artisti prestano la sensualità di Venere. Il solo modo per ritrarre una pro stituta, nella società rigidamente controllata della Controriforma, era di presentarla sotto le vesti della peccatrice pentita dei Van geli: così per esempio è raffigurata la Maddalena di Tiziano, che esprime al tempo stesso offerta sessuale e devozione sincera. Del resto, non solo il suo stato di peccatrice pentita - si sup pone di peccati sessuali - induce ad attribuirle questa carica ero tica, ma anche i gesti che compie sul corpo di Gesù: l'unzione dei piedi e poi dei capelli con costosi olii profumati, e l'asciugatura dei piedi con i propri capelli sciolti. Tanto che si è immaginato, da parte di eretici di tendenza gnostica e poi da scrittori che arriva no fino al modesto Dan Brown del Codice da Vinci, che il legame tra il predicatore di Nazareth e la donna fosse di carattere sessua le, e cioè che Gesù fosse sposato con lei (oppure che fosse il suo ..
22 Girolamo, Epistulae, 22, 38. 23 Si veda il trattato XII edito da P. Batiffol e A. Wilmart nei Tractatus Ort� genis de libris S. Scrzpturae, Paris 1900, pp. 128- 139.
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amante) e che avessero dei figli, e naturalmente che tutto ciò sia stato tenuto nascosto dalla Chiesa. In realtà, che Maddalena godesse di un legame particolarmen te intenso con Gesù risulta evidente dagli episodi evangelici che la vedono protagonista, come infatti ben coglie uno dei primi e più famosi agiografi che ne scrive la biografia,]acopo da Varagine: «In tutte le occasioni [Gesù] prendeva le sue difese. La discolpò pres so i farisei, che la chiamavano immonda, presso sua sorella che la trattava da pigra, presso Giuda, che la accusava di prodigalità»24• All'interno della sua vocazione universale, del suo amore per tut ti gli uomini, il maestro di Nazareth aveva quindi delle preferen ze, e questa donna che sapeva amare era una di queste. Non c'è dubbio che Maria Maddalena sia un personaggio mol to intrigante: nei Vangeli gioca infatti un ruolo dirompente, qua si trasgressivo, fino alla scena più importante, quella dell'incontro con Gesù risorto, che si mostra a lei per prima, e le chiede di diffondere l'annunzio della risurrezione. Che Gesù risorto fosse apparso per la prima volta a una don na che non era sua madre, anche se questa donna aveva avuto il coraggio di seguire ogni fase della sua passione ed era rimasta sot to la croce fino al termine dell'agonia, è un fatto che a lungo ha turbato gli uomini cristiani, come traspare già nel racconto degli stessi Vangeli canonici. Il problema si ripropone nei secoli, tanto da suscitare la leggenda che forse Gesù era apparso dapprima a sua madre, ma in forma segreta: farà propria questa ipotesi addi rittura Ignazio di Loyola, che propone questa apparizione come tema di meditazione - l'unico non fondato sulle Scritture - degli Esercizi spirituali. La Maddalena era stata una grande peccatrice e quindi, nonostante le esplicite narrazioni evangeliche, si fatica ad accettare che il primo testimone della risurrezione sia proprio lei. Metterla in concorrenza con la Vergine Maria è servito dun que a ridimensionarla. Ma non è questo l'unico modo in cui si cerca di sminuire il suo ruolo nella vita di Gesù. Basandosi sul fatto che non è chiaro se sia sempre Maria Maddalena la protagonista di alcuni importanti episodi - la contrapposizione con la sorella Marta in casa di Laz24
Jacopo da Varagine, La leggenda aurea, 92.
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zaro, loro fratello, e l'unzione con olii preziosi prima dei piedi e poi del capo di Gesù in due circostanze distinte -, molti com mentatori dei Vangeli hanno infatti identificato tre personaggi di versi, le «tre Marie». Imbarazza questi autori soprattutto il succe dersi di atti che segnano una profonda sintonia con il Messia da parte di una unica donna, descritta dagli evangelisti sia come pec catrice pentita sia come indemoniata guarita da Gesù. Una pre senza perturbante, che arriva al suo culmine proprio quando l'un zione del capo di Gesù diventa per Giuda - indignato per un uso così «inutile» del denaro - la molla decisiva che lo spinge a tra dirlo. Una donna «fatale», insomma, sia nel senso di grande pec catrice che in quello di elemento scatenante delle forze del desti no. Ma anche la protagonista di una relazione molto intensa con Gesù: una relazione particolarmente significativa, e certo non ben vista dagli immancabili moralisti. Proprio per questo molti hanno cercato di sfumare il suo ruo lo attribuendolo a tre personaggi diversi e diminuendone, di fat to, il peso. Le tradizioni cristiane orientali hanno optato in gene re per questa soluzione, mentre quelle occidentali - se pure con numerose eccezioni nel corso dei secoli, anche importanti, come per esempio quella del grande predicatore seicentesco Jacques Bénigne Bossuet - hanno preferito pensare che si tratti di una so la donna. Maria Maddalena, appunto. Che sarebbe quindi nativa di Magdala (da qui il suo nome), un borgo della Galilea, e sorella di Lazzaro e di Marta, poi trasferitisi a Betania, nei pressi di Ge rusalemme. Questa relazione privilegiata ha suscitato reazioni moralisti che, ma anche strenue difese, come quella di sant'Agostino che, anch'egli peccatore convertito, poteva capire meglio di altri il mi stero della peccatrice convertita che diventa prediletta del Signo re. Ma il privilegio suscita sempre sospetti e gelosie: due Vangeli apocrifi - quello attribuito a Tommaso, e un altro, detto di Maria, tutto dedicato alla Maddalena che ne è anche presentata come l'autrice - suppongono un sentimento di gelosia da parte degli apostoli per la relazione speciale di Gesù con la pentita, fino a ipo tizzare (in quello di Tommaso) che Pietro l'avesse cacciata come indegna dal gruppo. Abbiamo visto come il ridimensionamento del ruolo di Mad dalena sia avvenuto a favore di un'altra donna, Maria Vergine. E
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dunque non sarebbe tanto una motivazione misogina a ispirare il ridimensionamento del posto della Maddalena nella vita di Gesù, quanto piuttosto un eccesso di moralismo. Con gli slanci di amo re per Gesù, con la familiarità che dimostra con il suo corpo, Ma ria Maddalena è senza dubbio inquietante, e da sempre molti si sono domandati fino a che punto si è spinta questa relazione pri vilegiata. il matrimonio fra il Messia e una prostituta non sarebbe stato impossibile da accettare per la tradizione ebraica, come infatti di mostra la storia del profeta Osea. E il carattere erotico delle azio ni della Maddalena hanno ispirato un apocrifo del III secolo, il Vangelo gnostico di Filippo, dove si legge che «il Signore amava Maddalena più dei discepoli. La baciava spesso sulla bocca. Gli altri discepoli videro che amava Maria, e gli dissero: 'Perché l'ami più di noi?'. Il Salvatore rispose e disse: 'Come mai non vi amo quanto lei?'». In questo testo Maddalena è designata come com pagna di Gesù, ma bisogna tenere conto che il bacio sulla bocca, nelle sette gnostiche, non aveva un significato amoroso, bensì de signava la fraternità fra gli iniziati. E gli gnostici - prima nell'apocrifo a lei intitolato, poi nel più esplicito Pt'stis Sophrà - avevano fatto di Maddalena, alla pari con Giovanni, la loro iniziata originaria: Cristo avrebbe rivelato solo a lei le dottrine esoteriche destinate a essere trasmesse a pochi ini ziati, ed essa prende così il posto di Iside, la dea che tiene i miste ri della vita. Maddalena veniva quindi prescelta come iniziatrice dai protagonisti della prima grande corrente cristiana eterodossa, lo gnosticismo, che aveva fatto di Cristo un rivelatore di misteri sacri, al tempo stesso iniziato e iniziatore. E di Maddalena l'ini ziata perfetta, simbolo dell'essere umano assetato di purezza e di conoscenza dell'Assoluto. La tentazione gnostica ha costituito una costante nella storia del cristianesimo, ed è oggi più viva che mai: anche se nell'età con temporanea, scrive Roland Hureaux25, la gnosi è ancora più ra zionale e meno esoterica, perché coincide con la scienza, la cui esaltazione comporta la svalorizzazione delle morali tradizionali. Proprio come l'eretico Marcione (che peraltro va distinto dagli
2' R. Hureaux, ]ésus et Marie-Madeleine, Perrin, Paris 2006.
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gnostici), oggi tutti, tesi al nuovo, svalorizzano il passato. La tra dizione ortodossa del cristianesimo sostiene invece che il messag gio di Gesù è universale, e che la Chiesa non nasconde segreti. Maddalena, in quanto donna, provoca però dei problemi an che agli gnostici26, che sono fondamentalmente misogini - in coe renza con la mentalità prevalente nell'antichità - e non accettano una donna come iniziatrice: nel Vangelo detto di Maria, infatti, la Maddalena viene trasformata in maschio da Gesù stesso. Così questa donna libera e appassionata - che trasgredisce il suo ruolo prima come peccatrice, poi come iniziataliniziatrice - diventa il prototipo dell'androgino, tema centrale nello gnosticismo. Ritor na così evidente, a proposito della peccatrice pentita Maddalena, il conflitto radicale sulla concezione del corpo, della sessualità e della salvezza che separa la tradizione cristiana dallo gnosticismo: per gli gnostici, infatti, la materia è malvagia e da disprezzare per ché condannata alla distruzione, e quindi per loro la castità asso luta è uguale al disordine sessuale, cioè non conta nulla; per l' au tentica tradizione cristiana, invece, la carne è così importante che se ne stabilisce con cura l'uso, dando all'atto sessuale un valore al tamente positivo: la carne è importante perché è creata da Dio, e il rapporto con la carne - destinata alla risurrezione finale - è al centro della nostra salvezza. Per gli gnostici, che pensano che il corpo sia da dimenticare e da trascendere, Maddalena trasmette una aspirazione profonda ed eterna dell'essere a ritrovare la supposta unità androgina pri mitiva. Essa infatti incarna il tentativo di superare la divisione/ mutilazione dei sessi - presente ad esempio nel Simposio di Pla tone - per raggiungere l'armonia della fusione nella perfezione dell'Unità originaria. Una tensione omogenea a quella che perva de la società contemporanea, nella quale molti cercano, con la ne gazione della polarità sessuale biologicamente determinata, di ri creare per tutti, con la sola forza del desiderio, la possibilità di es sere, al tempo stesso, donna e uomo. Ma se Maddalena è semplicemente una donna, rimane aperto il problema di una possibile unione sessuale fra il maestro e la di26 Cfr. S. Fabrizio-Costa, A l'ombre de Marie-Madeleine, in La pureté. Que te d'absolu au péril de l'humain, a cura di S. Matton, Autrement, Paris 1993, pp.
1 5 1 - 1 69.
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scepola prediletta. Questa unione è sostenuta da alcuni con il de bole argomento che, nella società ebraica del tempo, i rabbini do vevano essere sposati, ma l'ipotesi non è autorizzata dalle fonti, e anzi può facilmente essere contraddetta tenendo conto di un con testo nel quale agiscono Giovanni Battista, anch'egli celibe, e gli esseni, comunità dove era praticata una castità di tipo ascetico. Del resto, neppure gli accusatori di Gesù alludono mai a sue espe rienze sessuali e sembrano invece urtati proprio dal suo essere co sì diverso dai comuni mortali, e quindi pericoloso. Gesù propone, a chi si sente in grado, la via difficile della ca stità, e questo è del tutto coerente con il messaggio essenziale del Vangelo, cioè che la natura umana è infinitamente più ricca di po tenzialità, infinitamente più aperta di quanto l'uomo ordinario, fermo al suo orizzonte limitato, possa immaginare. Perché è aper ta sull'infinito. Del resto, ragiona Hureaux, il cristianesimo, per porsi come religione universale, doveva obbligatoriamente pre scindere da una dinastia, che avrebbe legato la nuova religione a un popolo e a un'area geografica circoscritti, così come era per l'e braismo e, almeno in parte, sarà per l'islam, nel cui ambito i di scendenti di Maometto sono considerati degni di un ruolo privi legiato. Nell'elaborazione teorica che subisce la figura di Maddalena da parte della tradizione medievale, Rabano Mauro e Bernardo compresi, il tema centrale non è più la prostituzione intesa come colpa sessuale, ma il pentimento: il nemico non è la lussuria, ma l'orgoglio. Al centro della sua figura sono il mistero del peccato e del perdono, la prevalenza data alla compassione sulla stretta os servanza dei principi morali. L'umiltà e la bontà non sono virtù cristiane inferiori alla castità. E questo è dimostrato, del resto, an che dalla larga accettazione che la Chiesa ha sempre praticato nei confronti delle prostitute pentite, a cui era aperta la possibilità di diventare religiose o spose. Ma c'è di più. La rappresentazione della Chiesa come prosti tuta pentita, sposa di Cristo per amore come Maddalena, si fonda sull'idea di una singolare duplicità: essa è immacolata, in quanto luogo beneficato da Dio, ma al tempo stesso peccatrice sempre im pegnata a confessare le sue colpe. È stato Ambrogio a inventare l'icastica definizione di casta meretrix, applicandola però a un al tro aspetto simbolico della Chiesa, il suo amore per i peccatori: la
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Chiesa, come una meretrice, «non ha rifiutato il suo amplesso ai molti che accorrevano, e quanti più sono quelli cui si unisce, tan to più casta essa diventa: vergine immacolata senza rughe, immu ne dal sentimento di vergogna, pubblica-universale nel suo amo re, una meretrice casta, una vedova infeconda, una vergine fecon da. Meretrice perché viene visitata da molti amanti, con tutte le at trattive dell'amore, ma senza la macchia di una colpa»27• Bernar do non chiama meretrice la Chiesa, ma dice che i cattivi pastori, che l'hanno devastata in luogo di edificarla, l'hanno prostituita. Il degarda di Bingen, in una visione, vedrà la Chiesa ricoperta di im mondezza, con un vestito lacerato e calzature infangate.
3 . La triplice verginità di Maria Ma figura della Chiesa è soprattutto Maria, la madre di Gesù, nella sua identità complessa di vergine-madre, carica di significa ti simbolici che bisogna sviscerare per comprendere lo statuto del la sessualità nella tradizione cristiana. Molti critici del cristianesimo, e soprattutto della sua idea di sessualità, considerano il dogma della verginità della madre di Ge sù una prova della sessuofobia che avrebbe caratterizzato, fin dal le origini, la tradizione della Chiesa. Secondo questi critici, infat ti, negando con tanta risolutezza la possibilità di una vita sessuale all'essere umano che ha cooperato all'Incarnazione, si giudiche rebbe implicitamente lo stato verginale molto superiore a quello sponsale, e quindi si caricherebbe la vita sessuale di un significa to fortemente negativo. La verginità di Maria, invece, sembra piuttosto legata a que stioni teologiche, relative allo statuto di Gesù come vero uomo e, al tempo stesso, vero Dio, piuttosto che a condizionamenti mora li del comportamento sessuale, che ne derivano solo marginal mente. Ma certamente, anche se il centro del dibattito sulla ver ginità di Maria, così intenso e ricco nel corso della storia del cri stianesimo, è il problema della verità dell'Incarnazione, non si può negare che l'insistenza sul suo stato di verginità abbia svolto 27 Ambrogio, In Lucam, 8, 40.
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una funzione importante e abbia avuto anche un ruolo di rilievo nella creazione di un modello asessuato di santità. La dimensione verginale di Maria è stabilita in base a una se rie di passi della Scrittura: secondo Matteo ( 1 , 20-25) un angelo appare in sogno a Giuseppe per avvertirlo che Maria ha concepi to dallo Spirito Santo: quod enim in ea natum est, de Spiritu sanc to est, recita la Vulgata. L'angelo afferma anche che la gravidanza di Maria realizza la profezia di Isaia (7 , 14) sulla venuta del Mes sia: «Ecco, la vergine concepirà e genererà un figlio al quale darà il nome di Emmanuele» e soprattutto l'annuncio secondo il Van gelo di Luca ( 1 , 26-28) , dove Maria si stupisce del messaggio di Gabriele perché non conosce uomo, e l'angelo risponde che lo Spirito Santo verrà su di lei per coprirla con la sua ombra. Però, sulla base di questi dati, secondo John P. Meier, «la ri cerca storico-critica semplicemente non ha le fonti e gli strumen ti disponibili per raggiungere una decisione definitiva sulla stori cità del concepimento verginale come è narrato da Matteo e Lu ca»28. Già verso l'anno 150, Giustino propone di interpretare la profezia di Isaia come «vergine», e quindi di attribuire a Maria il concepimento verginale per provare che Gesù non è opera uma na, ma divina. Ireneo poi vede nel concepimento verginale il se gno del creatore stesso: la verginità di Maria rimanda alla terra vergine da cui fu tratto Adamo. Mentre i gruppi gnostici sosten gono il significato esclusivamente simbolico del concepimento verginale, Tertulliano, con uno scrupolo realista, replica che Ma ria ha perduto la verginità partorendo Cristo. Origene sostiene che Maria non avrebbe potuto unirsi a un uomo dopo la nascita di Gesù, quindi la propone come archetipo della verginità fem minile, come Cristo lo è di quella maschile. Ma a spostare decisamente l'interpretazione del termine al malparthènos nel senso della verginità come stato fisico vero e proprio è senza dubbio, alla fine del II secolo, il protovangelo di Giacomo, che in un episodio fa intervenire una ostetrica, Salomè. Per verificare la verginità di Maria dopo il parto, Salomè inserisce la sua mano e non solo è costretta ad ammettere la verginità, ma 28 J .P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, vol. l, Le radici del problema e della persona (1991), Queriniana, Brescia 2001, p . 222.
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il suo braccio per punizione si atrofizza. Lo stesso testo difende la verginità successiva di Maria, presentando i fratelli di Gesù men zionati nei Vangeli come figli del primo matrimonio di Giuseppe. Di qui deriva, per rendere più credibile la verginità di Maria do po il matrimonio, la tradizione di Giuseppe come anziano. La tra dizione iconografica, infatti, rappresenta Giuseppe canuto e stan co, con in mano il giglio della purezza29• La verginità di Maria viene accreditata dai Padri della Chiesa perché funzionale al dogma della natura divina e umana al tempo stesso di Gesù: generato da una donna, quindi, come tutti gli es seri umani, ma da una donna eccezionale, vergine nonostante il parto. Mentre nella vita cristiana si afferma sempre più il presti gio della castità e della verginità, i Padri propongono Maria come modello alle vergini e ai monaci asceti: «che la vita di Maria sia per voi come l'immagine della verginità», predica sant'Ambrogio a Milano alla fine del IV secolo. La verginità in partu viene così con fermata dal Concilio di Efeso (43 1) e da quello di Calcedonia (45 1) , che dà a Maria il titolo di sempre vergine: viene stabilita co sì la verginità della Madonna, «prima» della concezione vergina le di Gesù, «durante» il parto e «dopo», cioè nella vita matrimo niale con Giuseppe. In realtà, come si è detto, solo l'enunciato del concepimento verginale possiede solidi riferimenti scritturistici, cioè soprattutto il racconto dell'annuncio di Gabriele a Maria (l'Annunciazione) nel Vangelo di Luca. In particolare, la questio ne della castità del matrimonio con Giuseppe è stata oggetto di aspre discussioni teologiche, fra chi, come Ambrogio, sostiene la sua perpetua verginità e chi - come Elvidio e Gioviniano - pensa che abbia partorito una numerosa serie di figli, i «fratelli» di Ge sù. Questione difficile da chiarire, dal momento che nella lingua ebraica uno stesso termine serviva a designare il fratello, e al tem po stesso un parente stretto. Anche se il dogma della verginità è stato sostanzialmente ac cettato in tutto il mondo cristiano, esso ha suscitato una infinità di ipotesi sul modo concreto in cui l'Incarnazione di Cristo sia av venuta. Una particolare attenzione è stata portata al concepimen29 Si veda in proposito M. van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge. Les théories médiévales de la génération extraordinaire. Une étude sur les rapports en tre théologie, philosophie nature/le et médecine, Les Belles Lettres, Paris 2004.
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to verginale, senza dubbio il problema principale perché quello immediatamente collegato alla paternità divina, e la soluzione più accreditata è stata l'inseminazione attraverso l'orecchio: «e poiché il diavolo, insinuandosi attraverso l'orecchio con la persuasione, aveva ferito Eva e le aveva dato la morte, Cristo, entrando in Ma ria attraverso l'orecchio, recide tutti i vizi del cuore e, nascendo dalla Vergine, guarisce la ferita della donna. Accogliete il segno della salvezza! Alla corruzione è seguita l'integrità, al parto la ver ginità», scrive il vescovo Zeno di Verona intorno al 38030. Maria, prima discepola del figlio, è così caratterizzata anzitutto dall'a scolto della parola: «Nascerà da qui - scrive Enzo Bianchi - la tra dizione patristica che parla del cristiano come di colui che, grazie all'ascolto della parola di Dio e alla fede, è chiamato a concepire e a generare il Cristo nella propria anima. A divenire egli stesso 'madre del Signore' »3 1 . Ma, più in generale, l a verginità di Maria, senza bisogno di spiegazioni plausibili, viene assimilata al miracolo: «Quello che vedo non riesco a comprenderlo - scrive Romano il Melode, il più grande innografo bizantino del VI secolo - è al di sopra di ogni umano intendimento che il fuoco faccia avvampare l'erba senza consumarla, che l'agnella porti sopra di sé un leone, la rondine un'aquila, e la serva il proprio padrone. Nel suo seno mortale, sen za circoscriverlo, Maria porta il mio Salvatore, che così ha voluto. Perciò esclamo con gioia: 'una vergine partorisce e, dopo il parto, è ancora vergine'»32• Delle tre forme di verginità, è naturalmente quella durante il parto che ha suscitato le maggiori perplessità, a cui si è cercato di rispondere, da parte dei Padri della Chiesa, con teorie immagino se, come l'idea di una ricostituzione immediata dell'imene dopo l'espulsione del figlio, o invece, più prudentemente, con la pro posta di una lettura allegorica. In sostanza, la verginità in partu e post partum è ammessa in maniera generale dalla teologia a parti re dalla fine del IV secolo, mentre quella ante partum, menziona3° Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la vierge, cit., p. 4 1 3 . 3 1 E. Bianchi, Introduzione, in Maria. -Testi teologici dal I a l XX secolo, a cu ra della Comunità di Bose, Mondadori, Milano 2000, p. 6. 32 Citato in van der Lugt, Le ver, le démon et la•vierge, cit., p. 432.
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ta nel Credo, è già unanimemente riconosciuta dalla prima patri stica. Non c'è dubbio che questo dogma, centrale e precoce nella tradizione cristiana, sia all'origine di una svalorizzazione dell'atto sessuale, come si può vedere dai numerosissimi commenti espres si sul tema dai Padri della Chiesa: «Davvero il Signore Gesù a vrebbe potuto insudiciare con la semenza virile questa dimora ce leste - scrive Ambrogio - come se gli fosse stato impossibile assi curare la protezione del suo pudore verginale?»33• E Girolamo, per difendere Maria dal sospetto di non avere mantenJ.ItO la ver ginità post partum espresso da un certo Elvidio, arriva a rilancia re, affermando anche la verginità di Giuseppe: «Tu dici che Ma ria non è restata vergine. Quanto a me, io chiedo di più: che a cau sa di Maria Giuseppe sia stato vergine, al fine che da una unione verginale nasca un figlio vergine. Piuttosto che qualche impurità potesse contaminare un uomo santo, e non è scritto che egli ha avuto un'altra donna, è stato piuttosto il guardiano che lo sposo di Maria, che tutti credevano sua moglie. Per cui chi ha meritato di essere il padre del Signore è restato vergine con Maria»34• Ma ria diventa così il modello di ogni verginità, e quindi di ogni vita religiosa votata alla castità, al punto che Dominique Cerbelaud si domanda se non sia stata invece proprio la pratica cristiana di ascesi, sempre più diffusa nel nascente monachesimo, a influen zare questa fissazione dottrinale, cioè che «non sarebbe dalla ver ginità di Maria alla verginità cristiana la relazione di causa, ma nel senso contrario»35• È una riflessione che sembra confermata dal fatto che le Chiese cattolica e ortodossa, che in vario modo pre vedono la pratica del celibato clericale e monastico, sono molto più portate a difendere la verginità di Maria delle confessioni riformate, dove non esiste un clero celibe. Bisogna ricordare, però, che dal canto suo la Chiesa cattolica ha affermato solenne mente la superiorità della verginità sul matrimonio solo nel Con cilio di Trento (sessione XXIV, canone lO), come risposta diretta agli attacchi di Lutero contro il celibato ecclesiastico. 33 Ambrogio, De institutione virginum, VI, 44. 34 Girolamo, De perpetua virginitate beatae Mariae adversus Helvidium, 9. 35 D. Cerbelaud, Marie, un parcours dogmatique, Les Éditions du Cerf, Paris 2003, p. 74.
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-La verginità di Maria è considerata perfetta, perché coinvolge anche l'intenzione, la mente, ed è noto che lo stesso Tommaso d'Aquino considerava la verginità più alta proprio quella menta le, mentre quella fisica poteva essere valutata come solo acciden tale. TI senso che veniva dato alla condizione di verginità già nei primi Padri della Chiesa, infatti, era più spirituale che fisico, cioè significava il totale distacco dal mondo, da cui derivava una in corruttibilità che lo Spirito Santo portava con sé e che era condi zione dell'anima e non del corpo: «Ciò che avviene fisicamente nella incorrotta Maria, quando la pienezza della divinità rifulse in Cristo attraverso la Vergine, si compie - scrive Gregorio di Nissa - anche in ogni anima che vive verginalmente secondo il Logos»36• La condizione di verginità spirituale viene quindi considerata, dai grandi mistici, come essenziale perché in ogni cristiano si ripeta la maternità della Vergine: nella sua anima, vuota e libera, si può ge nerare il Logos. Massimo il Confessore lo scrive con grande chia rezza: «Mediante la grazia, Cristo viene misticamente generato nell'anima, prende corpo attraverso i salvati e in questo modo ren de l'anima che lo genera una vergine madre»37• Sarà Agostino a far prevalere il tema della Chiesa come madre di Cristo, e perciò madre verginale e feconda del credente, rispetto alla teoria della generazione nell'anima stessa del fedele. Ma tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV qualcosa cam bia, e cominciano a risvegliarsi interessi di tipo scientifico. Si apre allora un dibattito sulla interpretazione biologica della concezio ne miracolosa di Gesù, e molti teologi cominciano a interrogarsi sulla natura della materia con cui si è costituito il suo corpo, tema che implica la realtà della sua umanità, nonché il ruolo svolto da Maria nella sua formazione fisica, arrivando perfino a discettare su una sua eventuale somiglianza fisica con la madre. Si tratta in fatti di un miracolo che deve avere anche degli aspetti naturali e quindi deve essere spiegato in base alle conoscenze scientifiche di sponibili sulla generazione umana. Così, i teologi cercano di spie gare in quale modo una nascita straordinaria possa rientrare nel le leggi naturali, cercando di risolvere con argomenti scientifici il 36 Gregorio di 37 Massimo il
889 C).
Nissa, De virginitate, 2 . Confessore, Brevis expositio orationis dominicae (PG 90,
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problema della formazione del corpo umano di Cristo. La que stione da spiegare era quella della sua generazione realizzata sen za emissione di sperma maschile e, naturalmente, anche senza pia cere femminile. E già a partire dal XII secolo i teologi - per ga rantire la realtà dell'Incarnazione - cercano di far rientrare que sta nascita straordinaria all'interno delle leggi naturali. Nella ricerca di una spiegazione la scienza si intreccia, però, con la teologia, e le due diverse teorie mediche della generazione allora prevalenti - cioè quella aristotelica e quella galenica - sono scelte anche in rapporto al ruolo mariano che suggeriscono. I do menicani seguono Tommaso d'Aquino nel considerare la conce zione di Cristo come miracolosa e naturale insieme: in assenza di sperma, che secondo la teoria aristotelica dovrebbe costituire il materiale per la formazione del feto - per il filosofo greco, infat ti, la donna sarebbe semplicemente un contenitore, e rimarrebbe passiva nella generazione -, sarebbe stato utilizzato il sangue ma terno, ma un sangue puro, non quello impuro delle mestruazioni. I francescani, invece, che volevano ampliare la partecipazione di Maria all'Incarnazione, preferirono la teoria galenica, secondo la quale, per la fecondazione, è indispensabile l'emissione di un se me femminile, provocato dal piacere carnale. Questa teoria, però, pur dando più importanza al ruolo biologico della madre, apriva il problema del piacere, e quindi della verginità totale di Maria: i francescani lo risolsero non parlando di semen - che avrebbe ri chiamato subito l'idea di piacere - ma sostenendo che lo Spirito Santo aveva fatto sì che la vergine producesse la materia per il fe to per via soprannaturale38• Per chiarire il mistero del concepimento verginale, e al tempo stesso per provarne la possibilità naturale di fronte ai dubbiosi, vennero anche proposti esempi presi in prestito dal mondo natu rale, cioè animali o vegetali di cui si credeva che la riproduzione avvenisse senza congiungimento carnale, come il verme - credu to frutto della putrefazione della carne - o l'ape, considerata ani male asessuato. Dal mondo vegetale venivano utilizzate come piante simbolo, per lo stesso motivo, la palma e l'olivo. L'idea che 38 Si veda in proposito il volume, già citato, di van der Lugt, Le ver, le dé
mon et la vierge.
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Dio avesse creato nella natura altre forme di generazione straor dinaria e verginale serviva a rendere più plausibile il miracolo. Tutti i teologi concordano nell'affermare che Maria non ha co nosciuto la concupiscenza - condizione di grazia da cui si ricava l'idea della sua esenzione dal peccato originale - ma si interroga no su altri problemi fisiologici, come l'eventuale assenza in lei di mestruazioni. Il corpo sessuato di Maria compare però nelle im magini che la rappresentano mentre allatta il figlio, immagini ne cessarie per garantire la vera umanità di Cristo, ma che, come scri ve Timothy Verdon, talvolta si soffermano «in modo un po' indi screto sulla particolare bellezza della giovane donna che allatta»39• In ognuna di queste opere, infatti, viene esposta una nudità eroti ca, se pure non si arriva alla conturbante madonna allattante di pinta intorno al 1450 da Jean Fouquet ad Anversa, che rappre senterebbe l'amante del re di Francia. La verginità di Maria, accolta nel Corano, è sempre stata re spinta dagli ebrei, che arrivarono a spiegarla con la leggenda po lemica di un concepimento illegittimo da parte di Maria, che avrebbe avuto rapporti sessuali con un soldato romano di nome Pantera, un racconto che periodicamente è stato poi ripreso dal la letteratura anticlericale. Più recentemente uno studioso, il rab bino Riccardo Di Segni40, ha sostenuto che il vero significato del termine ebraico alma poi tradotto come «vergine» (in greco, parthènos) - sia invece «non mestruata», quindi non ancora capa ce di generare. La verginità di Maria non è stata messa in dubbio invece dai protestanti, almeno fino all'ondata razionalista del XVIII secolo: Lutero ha sostenuto e predicato la verginità perpe tua di Maria durante tutta la sua vita, e Zwingli è stato altrettanto affermativo, così come anche Calvino. Un discorso critico di origine antica è quello di chi sottolinea la somiglianza di questa tradizione con i miti ellenistici incentrati sulla nascita straordinaria dell'eroe. Per costoro la verginità di Maria sarebbe solamente la traduzione fisica per gente semplice del mistero dell'Incarnazione. Già a partire dal Settecento, molti studiosi protestanti si sono scagliati con ironia e disprezzo su que-
Verdon, Mana nell'arte europea, Electa, Milano 2004, p. 64. Di Segni, «Colei che non ha mai visto il sangue». Alla ricerca delle radi ci ebraiche dell'idea della concezione verginale di Marta in Verginità, a cura di G. Fiume e L. Scaraffia, in «Quaderni storici», 3 , dicembre 1990. 39 T. 40 R.
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sto dogma, brandendo la storia delle religioni e i miti di genera zione miracolosa come arma contro la Chiesa cattolica, e sottoli neando come l'idea della concezione verginale dipenda in realtà dalla fede nell'Incarnazione, e non il contrario. L'esegeta cattoli co Grelot, che ha dedicato un saggio al tema, sostiene invece che questo dogma «esprime una riflessione teologica che si avrebbe torto a guardare come ingenua» e che invece «la narrazione vuo le presentare concretamente il senso che il passaggio di Gesù sul la terra comportava nella realizzazione e nello svelamento del di segno di Dio» 41• Edmund Leach, u n antropologo che h a studiato l e >, così tra il VI e il VII se colo il vescovo di Siviglia Isidoro, grande erudito dagli interessi enciclopedici, riprendeva un'immagine classica della fisiologia tardo-antica consegnando alle scienze naturali e alla teologia del Medioevo una concezione della riproduzione tutta basata sulla teoria degli umori 1 • Non si trattava però di un semplice fluido cor poreo: già alcuni secoli prima il cristiano Tertulliano aveva spie gato che «in un unico impeto, mentre tutto l'uomo è scosso, il suo seme spumeggia, traendo umore dalla sostanza corporale, calore da quella animale [ ] . In quel momento [ ] nell'ultima dirom pente vampa di piacere, [ . ] non abbiamo forse la sensazione che una parte dell'anima esca fuori di noi?»2• Affine, nelle descrizio ni più crude, al sudore, al fiato, all'urina, a tutte le secrezioni che garantiscono un'appropriata evacuazione degli umori corporei, lo sperma possiede qualità specifiche e superiori: lo spirito vitale, ca pace, nella concezione classica, di preservare forza e virilità; la po tenza generativa, che fa dell'uomo lo strumento del divino nel do nare la vita, al punto che tanto gli gnostici quanto la tradizione ...
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1 T. Laqueur, L'identità sessuale rki Greci a Freud (1990), Laterza, Roma Bari 1992, p. 73. 2 Tertulliano, De anima, 27, 25-27; 29-2.
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manichea vedevano nell'eiaculazione «la tappa finale della libera zione della luce/spirito dalla vile materia»3. Liquido immondo e prezioso, dunque, il seme maschile ha ge nerato nella tradizione cristiana un'ambivalenza forte, a sua volta origine di inquietudini, di prescrizioni contraddittorie. Perché ap pare dotato, tra l'altro, di due poteri fondamentali nella rappre sentazione dell'ordine generativo: quello di assicurare la legitti mità, l'ordine paterno, ma anche quello di fluire dal corpo a pre scindere dalla volontà, e di associarsi così al disordine del deside rio. Dunque, un umore anch'esso da disciplinare, ricercando un equilibrio impossibile tra la sua custodia - casta ma creatrice di ingorghi pericolosi per la salute - e un'emissione regolata: tre eia culazioni all'anno - suggeriva un monaco citato da Cassiano - pri ve di fantasie erotiche sarebbero state appunto la media per un buon monaco4• Gran parte del dibattito tardo-antico e medieva le sulla polluzione si iscrive così nella grande questione teologica sul libero arbitrio e sui suoi confini: delimitati dal sonno - che ot tundendo la coscienza renderebbe incolpevole ogni emissione oppure aperti a una vigilanza indefettibile, capace di dominare anche il sogno. Lo stesso dibattito rivela inoltre ansie e fantasmi incoerenti: quelli su una mascolinità - governata dalla ragione, su periore a una natura femminile sempre dominata dalle emozioni e da passioni corruttrici - irrimediabilmente sopraffatta da carna lità incoercibili, resistenti a ogni controllo, memoria perpetua del la Caduta dalla grazia originaria; e quelli di un'esperienza sessua le passiva, opposta dunque al significato stesso della virilità. Immunditia, impurità che nel sonno o nella veglia sorprende lo spirito macchiando il corpo; Cassiano dedica una conferenza intera alle polluzioni notturne, questione decisiva perché non so lo mette in dubbio la possibilità di avvicinarsi-agli uffici divini, ma rivela soprattutto un'insufficiente capacità di dominare gli istinti più profondi. Voce isolata nel suo rigore e nelle sue ossessioni, egli parla ad asceti dei deserti bramosi di assoluto, proponendo una battaglia non tra il corpo e l'anima ma dell'anima con se stessa, e ponendo come obiettivo il dominio sulle immagini, sulle figure oniriche, sul corso spontaneo dei pensieri, sui sogni: le emissioni 3 Laqueur, L'identità sessuale dai Greci a Freud, cit., p. 339, n. 50. 4 Brown, Il corpo e la società, cit., p. 382.
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notturne sono «il segno di un male che covava interiormente, al quale l'ora della notte non ha dato origine, ma che, nascosto nel più profondo dell'anima, riaffiora sotto il riposo del sonno, che ri vela la febbre nascosta delle passioni contratte alimentandoci ininterrottamente di passioni malsane»; dobbiamo dunque «sfor zarci di reprimere i moti dell'anima e le passioni della carne af finché la carne soddisfi le esigenze della natura senza suscitare vo luttà, sbarazzandosi della sovrabbondanza dei suoi umori senza alcun prurito malsano e senza innestare una lotta per la castità»5 • Finché l'assenza totale di polluzioni sarà il segno finale della san tità: «Quia tu possedisti renes meos», scrive Cassiano citando i Salmi e indicando nella consegna a Dio dei reni - considerati il centro dell'energia sessuale - la vittoria definitiva sulla concupi scenza. È posto così, nei primi secoli della cristianità, un tema domi nante che diverrà l'asse portante del governo della sessualità da parte della Chiesa: la relazione tra «il polo involontario, quello sia dei movimenti fisici, sia delle percezioni che si ispirano ai ricordi e alle immagini che si presentano e che, propagandosi nella men te, investono, richiamano e attirano la volontà; e, d'altra parte, il polo della volontà che accetta o respinge, si volge altrove oppure si lascia catturare, indugia, acconsente»6• L'essenziale non è il cor po ma la volontà e la memoria7, e «questi elementi vanno consi derati con la massima attenzione», sosterrà Gregorio Magno, per ché «bisogna ricordare che l'uomo [ . ] è schiavo e libero allo stes so tempo»8• I monaci combatteranno per sempre la loro battaglia contro le fantasie e le polluzioni, ma non fu questo il perno della predica zione medievale rivolta ai laici nel mondo. Altri spettri agitavano una Chiesa preoccupata di porre argini al pulsare dei corpi: oc correva prima di tutto governare gli aspetti sociali del desiderio, ..
� Giovanni Cassiano, De Institutis Coenobiorum, VI, 1 1 e 22, citato in M. Foucault, La lotta della castità, in P. Ariès et al., I comportamenti sessuali. Dal l'antica Roma a oggi (1982), Einaudi, Torino 1 983 , p. 32. 6 Foucault, La lotta della castità, cit., p. 29. 7 Brown, Il corpo e la società, cit., p. 397 . 8 Gregorio Magno, Epistolae, P L XI , LXIV, col. 1200a, citato i n Brown, Il corpo e la società, cit., p. 397 .
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frenare adulteri e incesti che generavano conflitti nelle famiglie e nelle comunità, contenere ratti e stupri che rendevano incerta e violenta la paternità. Presunto e segreto, il piacere che deriva dal l' abbandono solitario alle immagini carnali poteva essere più fa cilmente ignorato, taciuto, oscurato da altre priorità; anche per ché gli uomini avvezzi alle pratiche con le donne erano ritenuti in denni dalla polluzione. Nei primi penitenziali, che i monaci del l' alto Medioevo scrivevano per chi come loro viveva recluso nei conventi, le emissioni notturne venivano poste in relazione con la somministrazione o l'assunzione dell'eucaristia: chi riceverà l'eu caristia dopo un'emissione notturna, scriveva Burcardo di Worms nel X secolo (Decretum, 5.42-43 ; 5.5 1 ), dovrà fare penitenza per sette giorni9. Con il passare dei decenni e dei secoli, tuttavia, la ri flessione divenne più sofisticata, e associò con frequenza sempre maggiore la polluzione con il peccato di lussuria; soprattutto, co minciò a porla su un continuum semantico e dottrinale con la ma sturbazione. ll primo fu Villelmo de Montibus, vissuto tra il XII e il XIII secolo, che nei suoi trattati da un lato circostanziò e pro pose tariffe predefinite per ogni emissione: se il seme fosse fluito baciando una donna il prete avrebbe dovuto espiare con quindici «discipline», ma se il seme fosse fluito sulla carne nuda della don na o sui suoi vestiti, le «discipline» sarebbero divenute trenta, e ad esse si sarebbero dovuti aggiungere altri atti di espiazione; la stes sa penitenza avrebbe dovuto essere imposta a colui che fosse arri vato all'eiaculazione «con la propria mano o con qualche altro su dicio movimento»1 0 • Dall'altro lato, Villelmo de Montibus ritenne che il pericolo della polluzione non riguardasse esclusivamente re ligiosi e celibi, ma toccasse tutti gli uomini, e che tutti gli uomini dunque dovessero essere interrogati al .riguardo in confessione. Si rivolgeva ai monaci invece il vescovo di Lincoln, Roberto Grossatesta, quando alla metà del XIII secolo scrisse un'opera de stinata a orientarli nel loro personale esame di coscienza. Un te sto sorprendente, scritto in prima persona a partire dalla propria esperienza di eccitazione sessuale, raffinato nel guidare all'intro spezione lungo un percorso scandito dai cinque sensi: se la vista 9 Citato in J. Murray, Men's Bodies, Men's Minds: Semina! Emissions and Sexual Anxiety in the Middle Ages, in «Annual Review of Sex Research», 1 997. 10
Citato ivi.
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di una bella donna o di due animali che copulano può suscitare desiderio, e magari polluzione, \n uomini più ardenti di lui, Gros satesta confessa di aver peccato più volte con il tatto, toccando il proprio corpo o quello di altri: «ho accarezzato spesso membra proibite, membra vergognose, sia su di me che su altri [ ... ] . Spes so ho riportato la mia mano al mio grembo, carezzando la carne e infiacchendola, e rendendola incline alla stimolazione e all'eccita zione da toccamenti di quel genere»1 1 • Vista, tatto e udito si sono poi combinati in seduzioni collettive: il vescovo ammette di aver provocato altri uomini, sia con carezze, sia esibendo la propria erezione, sia eccitandoli in altri modi indicibili. L'esondazione è ormai palese: il tema della polluzione ha superato le mura dei con venti ed è esplicitamente associato con la masturbazione e con le pratiche omosessuali. L'ultimo, decisivo passo sarà compiuto nei primi anni del Quattrocento dal teologo francese Jean de Gerson, il quale affer merà che le emissioni di seme sono un problema comune a en trambi i sessi 12• Riservato prima ai monaci poi a tutti i celibi, poi a tutti i maschi, infine a maschi e femmine, da problema fondamen talmente idraulico a veicolo di dissolutezza e perversione: la gran de colpa del piacere solitario occupa ormai la scena della morale cristiana, e richiede tecnologie specifiche per essere individuata ed estirpata. A partire dalla confessione, la quale stava nel frattempo awiandosi a mutare di senso - dall'esteriorità delle penitenze al l'intimo della contrizione - e a raffinare le sue tecnologie. Nei manuali per i confessori elaborati dopo il Concilio di Tren to e dopo le riforme di Carlo Borromeo la polluzione non occupa certo lo stesso numero di pagine dedicate alla sessualità coniuga le o alle infinite possibilità dell'incesto, ma è collocata spesso in crocevia significativi, in snodi delicati di quel processo di disci plinamento di cui la confessione è componente decisiva. Come corruzione del confessore stesso, turbato dalla nuova intimità sta bilita in confessionale con i penitenti e con i loro peccati; come abbandono alle fantasie, classificato ormai sotto quella pericolosa fattispecie chiamata dilettatione morosa. Luigi di Granata appare a questo proposito flessibile, aperto alla contestualizzazione del 11 12
Citato ivi. Jean de Gerson, De cognitione castitatis seu De pollutione diurna.
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desiderio: la regola, egli sostiene, è «che se l'opera cogitata non è peccato mortale la cogitatione non è (formalmente parlando) pec cato mortale»; dunque, nell'uomo ammogliato e nella donna ma ritata la dilettatione del pensare di essere l'uno con l'altro non è morosa, è incolpevole, «eccetto però quando con avvertenza si esponessero à rischio della pollutione»13• È l'effusione del seme a porre il confine tra desiderio legittimo e masturbazione colpevo le. Ma non basta. Si possono concepire distinzioni più ardite, tec niche di assoluzione più sofisticate. Qualche decennio più tardi, la Summa Diana appare categori ca: «ogni pensiero venereo è una polluzione iniziata» (omnis cogi tatio venerea est inchoata pollutio14). Tuttavia, mentre la mastur bazione vera e propria, il peccato di mollities, non è ritenuta de gna di una trattazione specifica perché attinente senza ambiguità al vizio della lussuria, alla polluzione è dedicato invece un intero capitolo, per discutere casi e circostanze della sua colpevolezza. Definita «solemnis emissio sine copula», secondo la Summa Dia na la polluzione può essere distinta in involontaria e volontaria; quest'ultima, si afferma subito, è «peccato mortale contro natura, è intrinsecamente cattiva e non può esserelegittimata con alcun giusto fine»15• Ma, pubblicato in un'epoca in cui la giuridicizza zione della morale trova nella casistica lo strumento per declina re all'infinito l'applicabilità del principio, il trattato si affretta a re lativizzare l'univocità della sentenza; citando proprio Tomas San chez, secondo il quale potrebbe esistere una forma di polluzione per così dire terapeutica, procurata mediante medicamenti o ad dirittura con sfregamenti, destinata all'emissione di seme corrot to e velenoso; e non sarebbe grave se insieme al seme malato ef13 Prima parte del memoriale della vita christiana: composta dal R. P. Fra Lui gi di Granata [. . .], Trattato secondo, Della penitenza e confessione, in Tutte l'o pere del R. Padre fra Luigi di Granata dell'Ordine di San Domenico [. . .], In Vi
netia appresso Gabriel Gioito di Ferrario, MDLXXII, p. 101.
1 4 Summa Diana. In qua opera omnia duodecism Partibus comprehenda An tonius Cotonius Siculus tertzj" Ordinis Sancti Francisci, necnon Andreas Guadagno S. T. D. Septem à primo, ceateris ab hoc expletis, IN unicum volumen, alphabetico simul & doctrinali ordine digestum & bipartitum, eodem Antonino Diana Panor mitano clerico regulari [. .] Notabili legentium commodo ac utilitate, arctarunt & eleganter remiserunt [. . .], Venetiis, Apud Benedictum Milochum, MDCLXXVI, .
p. 262. 1 5 lvi, p. 724.
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fluisse anche una piccola parte di seme «vero», perché ciò acca drebbe per accidente, all'interno di un'operazione lecita. La pol luzione involontaria è assai più frequente, e la sua esemplificazio ne non si riferisce più agli impossibili desideri dei religiosi, ma ri guarda ormai le circostanze della vita quotidiana di uomini e don ne che vivono nel mondo: può derivare infatti dall'assunzione di cibi caldi, dalla pratica dell'equitazione (ma non sarà necessario per questo andare sempre a piedi, rassicurava Sanchez), da toc camenti di parti intime di un infermo da parte di un chirurgo, dai contatti tra corpi che si hanno nelle pubbliche danze, dal pro nunciare parole d'amore tra sposi promessi. Un popolo sempre sull'orlo dell'orgasmo può così essere diviso tra innocenti - colo ro nei quali l'effusione del seme sopraggiunge in modo imprevi sto e incontrollabile - e variamente colpevoli - coloro i quali pur avvertendo chiaramente l'eccitazione non fanno nulla per rimuo verne le cause. n peccato viene così scomposto secondo geometrie variabili, per mostrare facce diverse a seconda della prospettiva di osserva zione. Se l'inclinazione al piacere solitario è riconosciuta come parte integrante della sessualità umana, la morale cristiana elabo ra strategie e tecniche atte ad amministrarla, a ricondurla di volta in volta a crimine contro natura oppure a incauta dissipazione di energie riproduttive, a fallimento episodico e veniale nel control lo dei propri istinti. Perché il confine tra masturbazione e pollu zione è mobile, e lambisce i territori dell'interiorizzazione delle norme più che gli spazi della lussuria; gli uomini e le donne che effondono il proprio seme appaiono così cristiani su cui il pro cesso di disciplinamento ha avuto scarsa efficacia, più che depra vati dediti a un vizio innominabile. La depravazione giungerà nel Settecento, e avrà altre origini16. Intorno al 17 12 fu pubblicato a Londra un opuscolo anonimo, scritto probabilmente dal chirurgo empirico John Marten, autore di altre opere sulla sessualità, dal lungo titolo Onania; ovvero l'o dioso peccato dell'autopolluzione, e tutte le sue spaventose conse guenze per entrambi i sess� con consigli spirituali e materiali per co loro che si sono già rovinati con questa pratica abominevole. E op16
Cfr. T.W. Laqueur, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione (2003 ), a cura di V. Lingiardi e M. Luci, Il Saggiatore, Milano 2007.
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portuni avvertimenti ai giovani della nazione di ambo i sessi. . . Fu l'inizio di un profluvio di pubblicazioni e di angosce: alle varie rie dizioni del libretto di Marten seguirono altri opuscoli, carteggi17, infine l'opera di uno dei più influenti medici francesi, Samuel-Au guste Tissot, il quale intorno al 17 60 diffuse in lingua francese il suo I.:onanisme18• Era stata inventata una parola, e intorno ad es sa erano state costruite visioni fosche e minacciose: la masturba zione non era più soltanto un vizio, una debolezza morale, un mo mentaneo cedimento dell'autocontrollo, ma era divenuta una ma lattia, origine a sua volta di altri morbi orrendi e incurabili. So prattutto, l'interlocutore per un'inclinazione così perniciosa do veva essere il medico e non più il confessore, la cura doveva ri guardare più il corpo che l'anima. Un vento nuovo si era alzato, imponendo alla Chiesa competizioni e alleanze tutte da speri mentare. 2. Gli angeli di Sodoma Si chiamavano «Ufficiali di notte», ma il loro compito non era quello di pattugliare anfratti e vicoli bui alla ricerca di peccatori e di perversi accoppiamenti; dovevano semmai raccogliere denun ce, stimolare delazioni, porsi come interlocutori di sospetti e vo ci, rappresentare il proposito del governo cittadino di reprimere il vizio più eversivo dell'ordine morale e sociale. E la «notte» del la loro denominazione rimandava alle tenebre di turpitudini se grete, di commerci vergognosi. Nei primi decenni del Quattrocento, a Firenze, la sodomia fu al centro di un'ondata di preoccupazione pubblica senza prece denti, che spazzando via l'indifferenza e la relativa tolleranza che aveva contraddistinto i secoli passati dette origine a provvedi menti legislativi, giurisdizioni apposite, commissioni dedicate, 17 Per una storia delle varie edizioni cfr. Laqueur, Sesso solitario, cit. , pp. 18-22. 18 S.-A. Tissot, L'onanisme ou dissertation physique sur !es maladies produi tes par la masturbation traduit du latin de Mr. Tissot [ .], À Lausanne: de l'irn prirnerie d'Antoine Chapuis, 1760. L'opera è la versione ampliata dell'edizione originale latina del 1759. ..
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epurazioni interne alla classe politica, infine alla magistratura de gli Ufficiali: sei cittadini eletti annualmente, assistiti da un notaio e da qualche coadiutore, che avviavano procedimenti a partire da denunce segrete e da confessioni, e che amministravano una giu stizia sommaria 'con l'intento di sradicare l'«abhominabile sogdo mie vitium»19• Tra il 1432 e il 1502, l'anno della soppressione, la magistratura giudicò circa quindicimila uomini e ragazzi, e ne con dannò più di duemila; la popolazione fiorentina si attestava in quel periodo intorno ai quarantamila abitanti20• Calzolai, rigattie ri, tessitori, in realtà appartenenti un po' a tutti i mestieri, soprat tutto nati in città, prevalentemente giovani sotto i trent'anni, i de nunciati e i perseguiti mostravano quanto comuni fossero tali pra tiche e quanto sfuggente fosse la loro definizione, così legate co me erano a comportamenti condivisi di iniziazione sessuale21 • A Venezia si chiamavano i «Signori di notte» i magistrati che dalla metà del Trecento giudicavano i reati di sodomia, prima di passare le loro competenze, nel XV secolo, al Consiglio dei Die ci. Leggi reiterate munirono queste istituzioni di guardie che per lustravano la città e il porto; fu avviato addirittura, intorno alla metà del Quattrocento, una sorta di censimento cittadino, attua to da un gruppo di nobili (due per parrocchia) incaricati di ricer care nella loro zona qualunque segno del vizio, dai luoghi sospet ti ai contatti insoliti tra giovani e vecchi22; e nel 1467 una legge im pose a chirurghi e barbieri di denunciare chiunque si fosse rivol to a loro per lesioni sospette: «Eliminare il vizio della sodomia da questa nostra città vale ogni sforzo perché ci sono molte donne che favoriscono tale vizio e sono rotte nelle parti posteriori e an che molti ragazzi sono rotti in tal modo e tutti questi vengono me dicati e tuttavia nessuno di essi viene denunciato e i loro atti re stano impuniti; quindi poiché è saggio onorare Dio, allo stesso 19 M.]. Rocke, Il controllo dell'omosessualità a Firenze nel XV secolo: gli >, vol. 27, l , 1985.
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porti eterosessuali. Inoltre, in ossequio al diritto canonico che proibiva alle prostitute di reclamare in prima persona contro abu si e insolvenze, i magistrati dell'Onestà le rappresentavano in giu dizio, offrendo così un accesso ai tribunali più diretto di quello consentito nello stesso periodo alle donne oneste85• Anche a Bologna nella seconda metà del Quattrocento esiste vano non solo il pubblico lupanare, fatto di un gruppo di case e di osterie situate proprio al centro della città, ma anche un regi stro delle meretrici e una magistratura - l'Ufficio delle Bollette che aveva tra i suoi compiti quello di redigere il registro, indivi duare e legalizzare le prostitute clandestine, imporre e riscuotere le imposte sulla prostituzione, giudicare nelle cause in cui fossero coinvolte le meretrici86• E quando papa Giulio Il nel 15 13 annetté la città allo Stato pontificio non pensò affatto di abolire tanta or ganizzazione: si limitò a chiudere il bordello, un po' per arginare il diffondersi della sifilide e un po' per soddisfare le richieste dei padri cappuccini, la cui chiesa sorgeva accanto alla zona «a luci rosse» che turbava spesso con i suoi schiamazzi il pio svolgimen to di funzioni e devozioni. Il governo papalino conservò il registro e l'organismo giudiziario: fino a Seicento inoltrato dunque le pro stitute bolognesi poterono rivolgersi all'Ufficio delle Bollette per reclamare il pagamento delle proprie prestazioni. Chiedevano il sostegno della magistratura «pro mercede carnali» e i giudici, in difesa di quella «obbligazione naturale» che si era stabilita tra le donne e i loro clienti, condannavano questi ultimi a pagare una o due lire per una notte, alcune decine per un rapporto esclusivo durato vari anni. Così Lucrezia Malaguti reclamò nel 1604 chie dendo di essere pagata «pro concubito et re carnali», avendo pas sato la notte con un cliente che pensava di essersela cavata of frendole la cena; e quando, per garantire i diritti di Camilla Beni ni, i giudici interrogarono nel 1 625 lo sbirro Sebastiano Belpassi, gli chiesero se fosse a conoscenza del fatto che «qualsivoglia don85 Cfr. S. Cohen, The Evolution o/ Women's Asylums since 1 500: From Re fuges/or Ex-Prostitutes to Shelters/or Battered Women, Oxford University Press, Oxford 1 992, pp. 42-44; M.S. Mazzi, Prostitute e lenoni nella Firenze del Quat trocento, ll Saggiatore, Milano 1991; RC. Trexler, Famiglia e potere a Firenze nel Rinascimento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1990. 86 L. Ferrante, Pro mercede carnali. . . Il giusto pre:r.:r.o n'vendicato in tribunale, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», 2, 1 986.
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na, ancor che meretrice, che si induce a lasciarsi godere carnal mente da qualsivoglia sbirro merita molta maggior recognitione di quello meritaria da qualsivoglia altro non facesse detta profes sione di sbirro», sostenendo in pratica che l'infamia dello sbirro era senz' altro superiore a quella della prostituta87• Se dal meretricio provenivano imposte sicure e laute elargizio ni, era necessario che il popolo delle prostitute fosse riconoscibi le e separato dal resto della comunità. Oltre che a facilitare censi menti e tassazioni, l'identificazione si rendeva indispensabile a un insieme di scopi: in società - come quelle del tardo Medioevo e della prima età moderna - in cui l'appartenenza a corpi e a ceti doveva essere immediatamente leggibile attraverso grammatiche tutte esteriori, doveva essere impossibile scambiare per prostitu ta una donna onesta, mettendone a rischio l' onorabilità con in terlocuzioni inopportune; altrettanto semplice doveva risultare il riconoscimento a preti e religiosi, così che potessero allontanare le donne di mala vita dalle processioni o dalle funzioni più solen ni; anche gli sbirri infine dovevano appurare agevolmente iscri zioni ai registri e patenti di esercizio, aggiungendo l'efficacia del controllo poliziesco all'eliminazione di ogni contaminazione so ciale e religiosa. I segni della diversità dovevano essere posti nell'abbigliamen to e nell'acconciatura: avevano cominciato a suggerirlo alcuni ca nonisti del XIII secolo, riprendendo un'antica legge romana se condo la quale le matrone che si fossero vestite come le prostitu te avrebbero perso i loro privilegi sociali. Molti statuti municipa li si affrettarono ad accogliere l'indicazione, stabilendo ognuno a suo modo il marchio della separatezza: il colore in molte aree di lingua tedesca, così che le prostitute dovevano vestire di verde ad Augusta, di rosso a Zurigo, di giallo a Vienna e a Lipsia, mentre dovevano portare una cuffia color zafferano a Cordova in Spagna; lo stile dell'abito o addirittura la fabbrica di produzione in altre città; i gioielli, gli orecchini in particolare, in altre ancora88• An che i comportamenti erano regolamentati, in alcune zone all'inse gna di una contaminazione che accomunava ebrei e meretrici: ad 87 88
lvi, p. 49. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 468.
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Avignone, secondo lo statuto del 1243 , né gli uni né le altre pote vano toccare il pane o la frutta esposti nei mercati, a meno di non comprare ciò che avevano tastato89• In altri paesi il principio ispi ratore era la distinzione sociale: nella Roma papalina bandi reite rati fino al XVII secolo e oltre proibivano alle prostitute di anda re in carrozza, sotto la pena della frusta, dell'esilio, della confisca della carrozza, dei cavalli, dei vestiti e dei gioielli indossati90• Introdotti in genere nel Duecento, tali prowedimenti rimase ro attivi nei secoli subito seguenti - quando la prostituzione fu concepita come un proficuo servizio sociale, di cui andavano ri conosciuti gli operatori, più che come una vergogna appena tol lerabile - e furono confermati in epoca di Controriforma, quan do i dettami del Concilio di Trento imposero di isolare e garanti re l'ordine delle famiglie, e quando le nuove responsabilità pasto rali e anagrafiche dei parroci resero necessario conoscere e ben di stinguere i fedeli91 • n senso dell'identificazione risiedeva infatti non nel progetto di estirpare la prostituzione ma in quello di go vernarla, in una cooperazione efficace tra poteri laici e istituzioni ecclesiastiche. Identificate, separate, segregate, le meretrici non erano tutta via depositarie di un marchio indelebile, di una colpa foriera di dannazione eterna; nella percezione sociale, nelle rappresentazio ni letterarie, nelle elaborazioni giuridiche e teologiche il peccato più esecrabile era semmai quello di chi si faceva tramite e sfrutta tore delle copule mercenarie. Nel Medioevo i canonisti bollavano di infamia mezzane e lenoni, ritenuti personalmente responsabili di ogni trasgressione commessa dalle donne da loro controllate, condannavano in misura appena inferiore i proprietari dei bor delli e chi aiutava le prostitute ad adornarsi; ma nel Rinascimento e nella prima età moderna anche quell'infamia era svanita, scalza ta dal più concreto proposito di acquisirne vantaggio economico. Nel lungo periodo della storia del cristianesimo, invece, l'imma gine della prostituta veniva associata, più che a un'innata depra-
89 lvi, p. 469. 90 Archivio di
Stato di Roma, Biblioteca, Bandi, b. 4 1 0 (si ringrazia Angela Groppi per la segnalazione). 9 1 Cfr. L. Allegra, Il pa"oco: un mediatore fra alta e bassa cultura, in Storia d'Italia. Annali, vol. IV, Intellettuali e potere, Einaudi, Torino 198 1 .
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vazione, all'abbandono nella povertà e nella solitudine, a una lot ta per la sopravvivenza priva di appoggi familiari e istituzionali. La sua colpa era la debolezza della vittima, la disperazione della sedotta. Come tale dunque era reversibile, conservava la speran za del riscatto. L'aveva mostrato Maria Maddalena, la redenzione era possibi le, e la riabilitazione delle meretrici fu un impegno costante del cristianesimo. Nell'XI secolo il culto della Maddalena fu attiva mente stimolato da papa Leone IX, mentre Ivo di Chartres rac comandava come un atto di grande carità cristiana quello di spo sare una prostituta strappandola alla sua vita di peccato92• Un se colo dopo il progetto prese ad ampliarsi, e il recupero non si li mitò più al matrimonio - meritorio ma sporadico - tra un singo lo fedele e una singola meretrice; divenne dapprima scelta pasto rale, poi programma istituzionale. Nei primi anni del Duecento, in Francia, il predicatore Folco di Neuilly seppe indurre al penti mento un gran numero di prostitute, al punto che dovette trova re un convento vicino Parigi dove riunirle e garantire loro un'esi stenza protetta e penitente. Fu l'inizio di un movimento che si estese in tutta Europa e per tutta l'età moderna, coinvolgendo soggetti laici e istituzioni ecclesiastiche in politiche complesse di carità, di scambi economici e di visibilità sociale. In Renania Ro dolfo di Worms fondò l'ordine di Santa Maria Maddalena, ap provato da papa Gregorio IX nel 1227 e subito esteso a molte città francesi e tedesche: le prostitute pentite si ricoveravano nei con venti dell'ordine e vivevano vestite di bianco una vita di preghie ra, in attesa di prendere i voti o di tornare al mondo trovando un marito93. Non si poteva certo, infatti, vincolare alla monacazione la possibilità del riscatto, !imitandola a una scelta forse inadatta a molte; il matrimonio rimaneva la soluzione più sicura, la sanato da garantita di ogni vita dissoluta. n progetto allora non parve completo se non avesse affiancato alla fondazione di conventi specifici la raccolta e l'erogazione di doti, capaci di attirare uomini alla ricerca di nozze convenienti. E la missione del recupero delle prostitute divenne una fitta ramifi cazione di elargizioni, lasciti, finanziamenti e trattative. 92 93
Ivo di Chartres, Decretum, 8. 37-38. Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 395.
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I conventi sembravano infatti al tempo stesso troppo prowi sori e troppo definitivi, a seconda che li si osservasse dal punto di vista del ricovero immediato dalla strada o da quello della scelta dei voti; e anche troppo promiscui, nel loro unire in convivenza prostitute pentite, vergini consacrate alla preghiera, nobildonne consegnate al velo dalle politiche familiari. Erano necessari istitu ti specializzati dove le donne di mala vita potessero consumare il loro pentimento e ricevere gli strumenti indispensabili a una one sta esistenza nel mondo: i rudimenti di un mestiere, una dote, una nuova garanzia di onorabilità. I ricoveri per le meretrici in cerca di riscatto fiorirono in tutta Europa a partire dal Cinquecento, quando la tensione contro riformista indusse la Chiesa cattolica e i potenti devoti a gareg giare con il rigore protestante nell'ostentare impegno contro ogni pubblica depravazione. Erano retti da congregazioni e confrater nite istituite ad hoc, o comunque in grado di riservare alla loro ge stione una parte cospicua della propria attività, supportate da no bili, mercanti, prelati, dame, tutti desiderosi di investire denaro e risorse relazionali in istituzioni pie, capaci di remunerare copio samente in termini di patronage e di visibilità. Divennero ben pre sto istituzioni complesse, dalle attività diversificate: fornivano asi lo, espiazione e formazione alle prostitute redente, collocavano sul mercato i manufatti prodotti dalle ricoverate, bandivano e as segnavano periodicamente doti da aggiungere al capitale ricosti tuito di onore e abilità. Altrettanto diversificate dovevano essere dunque le risorse finanziarie che alimentavano tanto impegno: rendite dei patrimoni delle congregazioni stesse, proventi delle attività svolte all'interno degli istituti, elemosine ed elargizioni periodicamente sollecitate o imposte ai congregati, lasciti testa mentari di cittadini abbienti. L'intreccio di missione pastorale, ca rità privata, interessi economici, strategie familiari, carriere ec clesiastiche, politiche di assistenza pubblica non poteva essere più fitto. Uno degli istituti più antichi fu quello di Santa Caterina della Rosa a Roma, fondato dalla Compagnia delle vergini miserabili, una confraternita di laici e di ecclesiastici istituita nel 1536 allo scopo di «prowedere e owiare a' molti scandali ch'accorrevano per le figliole di cortigiane e di poveri huomini le quali erano al-
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levate a malavita»94; tra i suoi fini caritatevoli figurava dunque an che la prevenzione, inaugurando quel filone di ricoveri per «peri colanti» che avrebbe avuto grande sviluppo nei secoli successivi95. Nel 1579 nacque a Firenze la Compagnia di Santa Maria Mad dalena sopra le Malmaritate, una confraternita di laici ed eccle siastici che fondò la Casa delle Malmaritate - un ricovero per pro stitute pentite e donne di dubbia moralità - e che seppe trovare subito un accordo vantaggioso con le altre istituzioni cittadine: il rigore controriformista e la paura della sifilide avevano infatti da to nuovo impulso alla promozione delle redenzioni, e la magi stratura dell'Onestà si impegnò a destinare parte dei suoi proven ti al finanziamento del locale monastero delle Convertite e alla Ca sa delle Malmaritate. Si instaurava così un circuito ipocrita ma vir tuoso: le tasse pagate dalle prostitute per esercitare il mestiere ser vivano anche per redimerle e ricoverarle dopo il pentimento96• Del resto, smentendo le leggi medievali, alla metà del secolo una disposizione del governo cittadino aveva stabilito che le meretri ci potessero risiedere anche a poca distanza dai conventi, purché vivessero in apparente modestà e decenza97• Alla fine del Cinquecento l'offerta di riscatto riservata a Bolo gna alle prostitute era ricca e diversificata: c'era la Casa del Soc corso di San Paolo, retta anch'essa da una congregazione di laici ed ecclesiastici e destinata ad accogliere donne cadute nel pecca to per reinserirle nella società attraverso il matrimonio, la collo cazione a servizio presso famiglie oneste o la monacazione98; c'e ra il convento dei Santi Giacomo e Filippo, detto delle Converti te, istituito nel 1568 per accogliere le prostitute pentite che desi94 Citato in A. Groppi, I conservatori della virtù. Donne recluse nella Roma dei Papi, Laterza, Roma-Bari 1 994, p. 2 1 . 9� Cfr. Groppi, I conservatori della virtù, ci t., e A . Camerano, Assistenza ri chiesta ed assistenza imposta: il Conservatorio di S. Caterina della Rosa di Roma,
«Quaderni storici», 82, 1993. 96 Cfr. Cohen, The Evolution o/ Women's Asylums since 1500, cit., p. 45. 97 lvi, p. 5 1 . 98 L . Ferrante, L'onore ritrovato. Donne nella casa del soccorso di S. Paolo a Bologna (sec. XVI-XVII), in «Quaderni storici», 53, 1983; Ead., Patronesse e pa in
troni in un'istituzione assistenziale femminile (Bologna, sec. XVII), in Ragnatele di rapportz: Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, a cura di L. Fer rante, M. Palazzi e G. Pomata, Rosenberg & Sellier, Torino 1988.
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deravano prendere i voti; c'era l'intervento certificatore dell'Uffi cio delle Bollette. Oltre alla prerogativa di giudicare e valutare il «giusto prezzo» di ogni amplesso mercenario, l'Ufficio delle Bol lette aveva infatti un altro, decisivo, potere: quello di cancellare dai propri registri il nome di una prostituta, restituendola così a una vita rispettabile e onorata. Certo non era facile: bisognava avere un certificato di matrimonio - l'unico documento capace di reintegrare definitivamente l'onore di una donna deflorata -, op pure il parere favorevole del Sindaco delle Madri Convertite, me glio se accompagnato da una lauta elemosina alle religiose del convento. Muovere la disponibilità di quelle monache a ricono scere la nuova onestà delle ex meretrici era obiettivo non sempre realizzabile, e non solo per la diffidenza delle suore verso penti menti forse solo di facciata. Grazie a un decreto di papa Pio V in vigore dal 1569, l'anno successivo alla fondazione, il convento del le Convertite - come molti altri analoghi, in altre città - godeva della prerogativa di ereditare i beni delle prostitute. Ogni cancel lazione dal registro redatto dall'Ufficio delle Bollette comportava dunque sì la riabilitazione di una donna non più perduta, ma an che la scomparsa di una probabile entrata per l'istituto99• Intorno al recupero delle meretrici, tra laici e religiosi, tra istituzioni civi li e istituzioni ecclesiastiche, si accendevano non solo collabora zioni fruttuose ma anche conflitti di interessi, aspre rivalità. TI modello italiano si estese a molti paesi cattolici europei, e i ricoveri per prostitute pentite si moltiplicarono per tutta l'età mo derna, ripetendo all'infinito denominazioni e schemi organizzati vi: all'inizio del Seicento i gesuiti fondarono a Siviglia la Casa Pia, nel 1619 nacque a Madrid il rifugio di Santa Maria Magdalena de la Penitencia, mentre l'esempio delle casas de recogidas comincia va a espandersi perfino nelle terre della Conquista; a Marsiglia fu fondato nel 1640 l'Ospizio del Rifugio e nel 1668 il rifugio di Cler mont; verso la fine del secolo a Lione la potente confraternita del la Compagnia del Santo Sacramento istituì il rifugio delle Reclu se e quello delle Penitenti100• 99 Ferrante, Pro mercede carnali , cit. 100 Cfr. Cohen, The Evolution of Women's ...
128- 129.
Asylums since 1500, cit.,
pp.
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Negli asili per le ex prostitute era incluso fin dall'inizio un ger me prolifico, che nelle rappresentazioni sociali e nelle esperienze operative generò lentamente ma coerentemente ampliamenti di destinazione, associazioni di significato, slittamenti di collocazio ne nel panorama della beneficenza pubblica e privata dell'Euro pa cattolica. Fondati con lo scopo specifico di dare ricovero alle meretrici pentite, gli istituti offrirono il primo esempio di reclu sione femminile: presto nuove case aprirono le porte a donne di reputazione dubbia, a mogli abbandonate, a vedove, a zitelle po vere, a tutte le donne prive di un capofamiglia capace di dare ga ranzie di tutela, perché tutte le donne sole erano minacciate e mi nacciose, e perché i confini del popolo delle prostitute rimasero sempre mobili e incerti. Nuove confraternite furono create per re stituire onestà alle donne perdute ma anche per smacchiare ono rabilità offuscate, per conservare virtù in pericolo. A partire dal Seicento fino al Novecento, la reclusione delle donne divenne una forma di sostegno alle famiglie e una risorsa decisiva per poveri e marginali: dalla redenzione all'assistenza, nascevano dalla prosti tuzione gli embrioni del wel/are moderno101• 4 . I.:impotenza li disordine che nella lunga storia del cristianesimo era asso ciato al sesso non riguardava soltanto gli eccessi del desiderio o le pratiche immonde della lussuria più sfrenata. Come se missione e passione della Chiesa fossero esclusivamente la negazione e la re pressione di ogni istintualità. Disordine sessuale era anche il si lenzio dei corpi, colpevoli erano i membri virili che si rifiutavano di funzionare secondo i dettami del diritto canonico, era obbligo congiungersi spesso e fertilmente, traendone un piacere confor me alla legge ecclesiastica. E godere dell'amplesso coniugale era un diritto da garantire a tutti, anche alle minoranze dotate di cor pi abnormi e doppi, di genitali sproporzionati o chiusi alla legitti ma penetrazione. La tutela del diritto a un'ordinata sessualità ha trovato nei se101
Su tutto questo si veda Groppi, I conservatori della virtù, cit.
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coli terreni d'applicazione impervi, che la storiografia ha quasi sempre ricondotto alla complessità inesauribile della dottrina sul matrimonio; essa rimanda invece anche a questioni altrettanto de licate, come la teoria della sovranità, la cooperazione e il conflitto con il sapere scientifico, la violenza sempre connessa all'applica zione della legge. Nella seconda metà del IX secolo, negli stessi anni in cui l'ar civescovo di Reims Incmaro pose la copula carnale a fondamento del matrimonio cristiano102, l'impossibilità di consumare le noz ze, e dunque di portare a compimento il sacramento, prese a co stituire per i canonisti un terreno di esercitazione ricco e articola to, fertile di sviluppi a volte inauditi. Come conseguenza del po tere fondativo dell'amplesso, nell'alto Medioevo l'incapacità ses suale di uno dei coniugi divenne causa possibile di separazione e nuove nozze. Ma con una serie di cautele. Occorreva verificare che l'impotenza fosse innata, che precedesse cioè il matrimonio, e che non fosse invece transitoria, dovuta magari a sortilegi o male fici. Se si fosse appurata un'impotenza permanente, il coniuge «sano» avrebbe potuto risposarsi, ottenendo così la garanzia di una soddisfacente sessualità coniugale, mentre l'altro avrebbe do vuto vivere in castità permanente; se all'origine di tutto si fosse trovata invece una magia, i coniugi colpiti avrebbero dovuto di giunare, fare elemosine, pregare, sottoporsi a esorcismi, avrebbe ro infine potuto essere separati, ma mai più procedere a seconde nozze. La teoria sul matrimonio era appena abbozzata: non esi steva ancora l'idea di nullità, un concetto che richiedeva un senso giuridico capace di dissociare una situazione di fatto - un'unione esistente - da uno stato di diritto, la rispondenza cioè a requisiti stabiliti da norme universalP03. Qualche secolo dopo, verso la fi ne del l l OO, la messa a punto di un sistema teorico compiuto su gli impedimenti ebbe conseguenze evidenti anche sulla concezio ne dell'indissolubilità, e offrì nuovi argomenti di riflessione sul l'impotenza e sul diritto alla sessualità. L'impossibilità di congiungersi carnalmente fu classificata tra gli impedimenti assoluti, capaci di rendere nullo un matrimonio 102 Cfr. supra, cap. III. 103 Gaudemet, Il matrimonio in Occidente, cit., p. 146.
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già contratto indipendentemente dalla volontà dei coniugi; il pa pa dunque avrebbe potuto dissolvere le unioni non consumate poiché il legame matrimoniale era stabilito dalla Chiesa e non dal la legge divina o naturale. Il potere papale sul matrimonio au mentava enormemente, e rischiava di entrare in conflitto con la teoria che poneva le basi del legame sul consenso reciproco dei coniugi; alcuni canonisti proposero allora una soluzione che inte grava la questione dell'impotenza nella perfezione del consenso. Secondo Stefano, vescovo di Tournai, la capacità sessuale era una condizione essenziale su cui doveva basarsi il consenso, una sorta di prerequisito alla stipulazione del contratto matrimoniale104• Al tri si dichiararono semplicemente in disaccordo con le decretali che conferivano al papa il potere di sciogliere i matrimoni non consumati, e cercarono almeno di !imitarne la casistica: si affermò, per esempio, che non si sarebbero dovute annullare le nozze mi nate dall'impotenza senile, perché quest'ultima avrebbe potuto essere superata, almeno a intermittenza, attraverso medicine e diete opportune105. Di fatto, il papato fu chiamato spesso a diri mere questioni coniugali controverse, e la necessità di appurare, verificare, circoscrivere si fece sempre più stringente. Uguccione propose una classificazione di successo distinguendo tre cause di impotenza: quelle fisiche, quelle mentali, connesse alla follia, quelle sia fisiche che mentali, come l'età troppo giovane. Mentre le ultime due erano cause certe di nullità, l'impotenza esclusiva mente fisica richiedeva indagini più accurate: bisognava appura re che fosse congenita e non acquisita, bisognava soprattutto pro varne l'autenticità. Questione spinosissima, la prova dell'incapacità sessuale met teva in risalto i limiti degli strumenti utilizzati dalla Chiesa per go vernare comportamenti sessuali e moralità dei fedeli. Confessio ni, giuramenti e testimonianze - le conoscenze normalmente ac quisite attraverso la strategia della parola - non potevano consi derarsi sufficienti per giudicare su argomenti tanto intimi; soprat tutto - percorrendo all'inverso l'itinerario che, dall'esteriorità di peccati e penitenze tutte fisiche, stava conducendo la pastorale 1 04 Brundage, Law, Sex, and Christian Society, cit., p. 291. M lvi, p. 376.
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cristiana nel profondo di anime, intenzioni, desideri - era neces sario che a esprimersi fossero i corpi. I corpi di uomini e donne, e loro soltanto. L'impotenza, infatti, non riguardava soltanto membri virili ina datti alla penetrazione, ma comprendeva nel suo ambiguo disor dine vagine serrate, imeni impossibili da perforare. Genitali ribelli all'obbligo coniugale, immaturi, maledetti da sortilegi o congeni tamente estranei all'accoppiamento dovevano essere svelati, ispe zionati, messi alla prova e curati se possibile, in vista del bene su periore della legittimità matrimoniale. E per questo, con prelati e giudici ufficialmente incompetenti di organi sessuali dovevano collaborare altri saperi e altre esperienze, convocati dalla Chiesa con pragmatica spregiudicatezza. Giuristi e teologi si confrontarono dapprima sul grado di im potenza tollerabile: mentre Bernardo di Montemirato sosteneva che per ritenere valido il matrimonio l'uomo dovesse essere in gra do non solo di penetrare, ma anche di effondere il seme, Tomma so d'Aquino e Bonaventura non consideravano indispensabile l'eiaculazione, visto che la questione da dirimere era la consuma zione e non la sterilità, e altri canonisti arrivarono a sostenere che il matrimonio potesse essere consumato anche con la sola insemi nazione, «sine effractione claustri pudoris»106• Stabilirono poi tre procedimenti convenzionali per ottenere la prova, sia dell'impotentia coeundi che della /rigiditas: un'accurata ispezione dei genitali, sia dell'uomo che della donna, la testimo nianza giurata dei vicini, la certezza di una coabitazione conti nuata di almeno tre anni. La parte più complessa era ovviamente quella dell'ispezione. Se c'era da verificare l'incapacità del marito si cominciava con il controllare la verginità della moglie; se l'ime ne era intatto si doveva avviare l'esame del marito, alla ricerca di tracce di immaturità o di anomalie fisiche. Se anche questa circo stanza fosse stata da escludere occorreva spingersi oltre, all'inda gine sul funzionamento. Ma non si poteva certo esigere che fosse ro i giudici - maschi e preti - a stimolare membri apatici per pro vocarne una qualche reazione; nei tribunali ecclesiastici inglesi si ricorreva spesso all'aiuto di donne di provata esperienza (proba106
Petrus de Sarnpsone, Lectura in decreta/es, citato ivi, p. 456, nota 201.
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bilmente prostitute) che si adoperavano a baciare, carezzare, stro finare pene e testicoli dell'esaminando per provocarne l'erezione. Se la prova - naturalmente pubblica - fosse fallita, con tutta pro babilità il tribunale avrebbe riconosciuto l'impotenza del marito. Giudici per esperienza anziché per carriera ecclesiastica, le pro stitute avevano così l'ultima parola sulla validità del sacramento matrimoniale. La verifica e il trattamento dell'incapacità femminile potevano essere ancora più radicali. L'impossibilità dell'amplesso poteva di pendere da un imene troppo spesso o dal disturbo oggi chiamato vaginismo: in entrambi i casi Guglielmo di Pagula, canonista dd XIV secolo, aveva pronta la soluzione. Con uno sguardo attento alle eventuali difficoltà di erezione del marito, il quale forse > in un caso napoletano di fin e Cinquecento, Fridericiana, Napoli 1999, e Id., Medid e con fessori. Medidna del corpo, medicina dell'anima, Carocci, Roma 1999. 1 16
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sesso abbandonato. Ma che un unico corpo avesse la possibilità di sperimentare l'amplesso in forma sia attiva sia passiva era una cir costanza troppo intrigante per non stimolare la passione analitica dei giuristi e dei teologi che soprattutto nel corso del Seicento si appassionarono a confezionare nuove e raffinate vesti alla morale cattolica. Nel 1676 il giurista e uomo di Stato spagnolo Lorenzo Mateu y Sans pubblicò il Tractatus de re criminali, un repertorio legale che intendeva esporre i casi più notevoli portati alla Corte supre ma di diritto penale del suo paese. Il trattato aveva ricevuto non solo il permesso di pubblicazione da parte dell'Inquisizione spa gnola («In quest'opera non c'è nulla che sia in contrasto con la no stra morale o contrario alla fede cattolica»), ma anche un aperto elogio del gesuita incaricato dell'esame 1 18• La quarantottesima controversia discussa narra del caso di due ermafroditi i quali, «sposatisi legittimamente l'uno con l'altro, s'erano ritrovati incin ti per avere reciprocamente adoperato l'uno e l'altro organo geni tale di cui erano provvisti»; la· vicenda, priva com'è nel testo di ri ferimenti ad atti processuali o a pareri legali, appare più una figu ra giuridica che un dato di realtà, ma il suo interesse risiede ov viamente nelle argomentazioni sviluppate dall'autore. Deve dav vero essere considerato un delitto che un individuo pratichi la propria bisessualità naturale? Per rispondere, Mateu y Sans in traprende un lungo ed erudito viaggio che dal diritto canonico giunge al diritto romano soffermandosi su commentari e giuri sprudenza, e la conclusione è sorprendente: il diritto canonico non ha mai affrontato esplicitamente la questione degli ermafro diti, l'obbligo di elezione di un sesso e il giuramento di non usare dell'altro non hanno fondamenti giuridici119• Né le analogie - al trettanto sorprendenti - proposte dall'interpretazione corrente sono risolutive: perché si sostiene che sia sconveniente che nei rapporti sessuali un ermafrodito faccia uso dell'uno come dell'al tro genitale, come è sconveniente che una stessa persona sia in sieme prete e abate, o che abbia la titolarità di due chiese, eppu1 1 8 Cfr. V. Marchetti, L'invenzione della bisessualità. Discussioni tra teologz; medici e giuristi del XVII secolo sull'ambiguità dei corpi e delle anime, Bruno
Mondadori, Milano 200 1 , p. 217. 1 1 9 lvi, pp. 252-253.
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re questo succede, per motivi di interesse superiore; e si sostiene che sia sconveniente che la stessa persona eserciti sia il ruolo atti vo di maschio che quello passivo di femmina, come è sconvenien te che una persona coniugata benefici del patrimonio ecclesiasti co, e anche questo succede, perché il principio di necessità a vol te impone moralmente e legalmente di allontanarsi dalla nor ma120. Ma qual è la necessità che consente la deroga? Come sem pre per la Chiesa cattolica, è l'adattamento alle infinite spirali del desiderio umano, il bisogno di offrire loro sponde legittime e go vernabili, l'obbligo di allontanare il rischio dell'incontinenza. Ma teu y Sans sostiene che l'ermafrodito il quale, compiuti la scelta e il giuramento, si congiunge con l'altro secondo il sesso d'elezione sentirà certamente invadere il proprio genitale interdetto dal de siderio per l'organo vietato dell'altro; la disponibilità di quattro apparati genitali raddoppia la potenza sessuale, perché ognuno di essi è eccitato dall'attività degli altri e richiede la propria soddi sfazione. Non procurargliela - continua il giurista - significhe rebbe esporre il coniuge inappagato al pericolo della fornicazio ne, e ciò sarebbe in contrasto con tutte le prescrizioni della Chie sa, da Paolo a Tommaso d'Aquino a Tomas Sanchez, i quali tutti affermano che ogni coniuge è tenuto a portare aiuto all'altro quando avverte che rischia di cercare soddisfazioni non conformi al matrimonio cristiano121. L'uso promiscuo dei corpi dunque non è peccato purché i diversi si trovino e si uniscano tra di loro, pur ché tutte le copule possibili siano coniugali. 120 lvi, pp. 254-255. lvi, p. 289.
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l. «Un piacere innocente, al quale la natura, madre e sovrana, ci in vita tutti» «Non so che cosa sia quel che tu chiami religione, ma non pos so pensarne che male, dal momento che ti impedisce di gustare un piacere innocepte, al quale la natura, madre e sovrana, ci invita tutti», dice il selvaggio Orou al cappellano della nave francese che ha raggiunto le coste dell'isola di Tahiti e che gli ha appena rive lato l'obbligo alla castità che impostogli dalla sua scelta religiosa, nel pamphlet che Denis Diderot ha scritto nel 1774 con il titolo Supplemento al viaggio di Bougainville1• n sottotitolo dell'opera è rivelatore delle sue intenzioni polemiche: Sull'inconveniente che nasce dall'attaccare delle idee morali ad alcune azioni fisiche che non ne comportano. Le azioni fisiche in questione, ovviamente, so no i rapporti sessuali. n filosofo francese scrive sotto l'impressio ne del Viaggio intorno al mondo, pubblicato dal de Bougainville nel l77 1 - che aveva conosciuto uno straordinario successo nella società francese dell'epoca anche perché l'esploratore aveva por tato con sé un selvaggio in carne e ossa da esibire a corte -, un li bro che nasceva con l'esplicita intenzione di offrire «una prova empirica dell'esistenza sulla terra di una perfetta società naturale e felice»2• Se de Bougainville offre agli europei un perfetto para1 D. Diderot, Supplément au voyage de Bougainville, Dialogue par Diderot, in Opuscules philosophiques et littéraires, la plupart posthumes ou inédites, lm· primerie nationale, Paris 1796, p. 2 16. 2 L. Zecchi, Sognare Tahiti, in A. Ferraro (a cura di), Altérité et insularité. Relations croisées dans !es cultures /rancophones, Forum, Udine 2005, p. 78.
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digma della società di natura, Diderot coglie la sfida estendendo la al comportamento sessuale, tema appena toccato nell'opera ori ginaria. n dialogo fra il cappellano e il selvaggio, infatti, ruota in torno alla diversità delle regole relative al comportamento sessua le fra la cultura di matrice cristiana e quella «primitiva». In so stanza, il problema che gli interlocutori si pongono è capire come mai «è potuto capitare che un atto il cui fine è così solenne, e al quale la Natura ci invita con le più dolci attrattive, i più innocen ti piaceri, sia divenuto la fonte più feconda della nostra deprava zione e dei nostri mali?»3• Nel paese immaginario di Otaiti si seguono gli istinti della na tura, non esiste la distinzione tra «tuo» e «mio» neppure per quanto riguarda i rapporti fra i sessi: «le nostre figlie e le nostre donne sono in comune - dice un anziano - e tu, europeo, hai con diviso questo privilegio con noi», ma in cambio gli abitanti di que sto paradiso hanno conosciuto la vergogna e il peccato, insieme con le malattie veneree. Secondo Orou, le regole cristiane sul ma trimonio rendono «la condizione dell'uomo peggiore di quella dell'animale»4 perché obbliga gli esseri umani a rinunciare alla Natura. n sistema indigeno nei confronti della sessualità, invece, libera da colpe e condanne: nella loro società non ci sono più la giovane disonorata, la moglie infedele, il seduttore e lo sposo li bertino: «la passione dell'amore ridotta a semplice appetito fisico, non produce nessuno dei nostri disordini»5. Perfino l'incesto è ac cettato senza riprovazione, perché l'unica cosa che conta è la na scita di bambini, che garantiranno il benessere della società. Con questo libretto, per la prima volta nella storia europea, vie ne proposta una totale indipendenza della vita sessuale da ogni ca tegoria di ordine etico-religioso, e vediamo subito come la propo sta si appoggi su una documentazione antropologica che dovreb be testimoniare un comportamento «naturale», non ancora con taminato da regole e divieti. Non si sa quanto Diderot fosse vera mente fiducioso dell'esito positivo di un ritorno alla natura, e lo studioso Lionello Sozzi nega che questo scritto sia un «manifesto di ingenuo naturalismo»6, ma certo questa idea conobbe un di3
Diderot, Supplément au voyage de Bougainville, cit., p. 234.
4 Ibid.
� lvi, Dialogue, p. 253. L. Sozzi (a cura di), L.A. de Bougainville, Viaggio intorno al mondo con il
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screto successo anche negli anni successivi, fino a saldarsi con l'u so dell'antropologia fatto dai medici positivisti di fine Ottocento. Non era certo la prima volta che arrivavano in Europa notizie sui costumi liberi delle popolazioni indigene: ne avevano parlato molti missionari nelle loro relazioni, ma il punto di vista era quel lo di chi descrive per ordinare e moralizzare costumi che quasi sempre prevedevano la poligamia - anche per motivi demografi ci, perché la mortalità dei maschi guerrieri era molto più alta di quella delle donne - scoprendo che nelle lingue indigene non ci sono parole per definire il matrimonio. Sono i missionari, infatti, i primi a raccontare in Occidente la diversità di costumi delle popolazioni con le quali, attraverso l'ampliarsi delle aree di dominio coloniale, i paesi europei veniva no in contatto, denunciando con orrore la mancanza di moralità in queste comunità alle quali per la prima volta arrivava l'inse gnamento evangelico. E le loro narrazioni si propagavano in mol ti strati sociali: era infatti in uso, durante la seconda metà del l'Ottocento, che i religiosi di ritorno dalle terre di missione giras sero per i paesi europei a raccogliere offerte e vocazioni per l'o pera missionaria, raccontando gli orrori di inciviltà a cui bisogna va porre rimedio. Fra gli argomenti più trattati il comportamento sessuale, che a loro appariva senza regole. Di questo si parlava an che nelle relazioni dei missionari, spesso pubblicate, a cui poi han no attinto abbondantemente gli antropologi, anche perché il pro blema della sessualità - compresa quella dei missionari - era dram maticamente presente. Come scrive Gianpaolo Romanato nella sua biografia di Daniele Comboni, uno dei primi missionari che ha avuto il coraggio di addentrarsi nell'alta valle del Nilo, nelle sue lettere «qualche cenno troviamo anche, peraltro molto discreto, ai rischi morali cui è esposto il missionario, costretto " ad impor re una legge così contraria agli usi, alla natura e alle leggi locali [ .. .] la tentazione, favorita dalla solitudine, dalla mancanza di control li, è quella di lasciarsi convertire dalla 'dominante corruzione', an ziché convertirla"»7• Una libertà sessuale che sconvolge e, al temsupplemento al viaggio di Bougainville di Denis Diderot, ll Saggiatore, Milano
1983 , p. 413. 7 G. Romanato, L'Africa nera fra Cnstianesimo e Islam. L'esperienza di Da niele Comboni, Corbaccio, Milano 2003, p. 3 1 O.
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po stesso, mette in pericolo i missionari, è dunque al centro delle narrazioni, ed è considerata uno dei mali più gravi che i missio nari, con l'aiuto dei buoni cristiani europei, devono estirpare. «Chi è di coscienza meticolosa - si legge in un testo vergato da Comboni in un momento di grande sincerità - si spaventa, si con turba, e temendo per se stesso si lascia sopraffare dallo scoraggia mento. Chi invece non è di coscienza timorata lo diventa ancor meno, e corre il rischio di lasciarsi trascinare dalla corrente ad oc chi chiusi»8• Per evitare le cadute in questo senso - peraltro non tanto rare - Comboni invoca l'arrivo di suore missionarie che, con la loro sola presenza, avrebbero costituito un freno per i religiosi: egli infatti le considera particolarmente necessarie «nei paesi poi dove uomini e donne vanno vestiti colla sola pelle dei nostri pri mi padri Adamo ed Eva»9• Per l'eterogenesi dei fini, proprio le relazioni allarmate dei mis sionari diventano, agli occhi degli scienziati, prove convincenti dell'esistenza di uno stato nell'europeo moderno: «rigide convenzioni ci rendono impossibi le scoprire le leggi della natura in questione, soffocandole sul na scere»10, scrive uno dei primi sessuologi, l'inglese Havelock Ellis. Questa «naturalità» - garante di buona salute fisica e psichica sarebbe stata soffocata dall'intervento del clero che, diffondendo la morale cristiana, avrebbe inibito ogni spontaneità e favorito la repressione degli istinti naturali. Nel Settecento, il primo segnale della secolarizzazione tocca proprio la sessualità, e le relazioni di viaggiatori e missionari di ventano, invece che una denuncia di inciviltà, prova dell' esisten za di uno stato di natura felice. Nel pamphlet di Diderot ci sono già tutte le argomentazioni che utilizzeranno, a fine Ottocento, i pionieri del libero amore: l'i dea che le regole cristiane siano innaturali, e quindi impossibili da seguire, e che proprio per questo creino infelicità e storture so ciali, e soprattutto che sia pericoloso il celibato ecclesiastico, ims Ibid. 9 E. Pezzi,
L'istituto Pie Madri della Nigrizia. Storia dalle origini alla morte del Fondatore, EMI, Bologna 1 98 1 , p. 152. 10 H. Ellis, Brevi saggi sull'amore sessuale, Hoepli, Milano 1936, p. 9 1 .
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possibile da mantenere, e quindi apportatore di atti amorali e di malattie. Il processo di secolarizzazione avviato dagli illuministi, se condo cui la religione costituisce solo un'opinione fra tante e non più un termine di riferimento dell'intera comunità, bensì una scel ta particolare del singolo cittadino, ha immediate conseguenze, quindi, sulle norme di comportamento sessuale fino ad allora sta bilite dalla Chiesa. Anche la sessualità viene investita da quel pro cesso sociale e spirituale che, secondo Marcel Gauchet11, segna per due secoli tutta la dinamica del mondo contemporaneo: il pas saggio da una società eteronoma, strutturata dalla religione, a una società autonoma che, dopo essere uscita dalla religione, si è data leggi proprie con il fine dell'autogoverno. Questa società ha svi luppato un'autocomprensione, in contrapposizione con la reli gione, su tutti i temi della vita umana, quindi anche sul compor tamento sessuale. Questa trasformazione epocale si è compiuta in Europa prima e dopo la Rivoluzione francese, tra il 1750 e il 1850, quando l'or ganizzazione della vita associata si sgancia dalla credenza in un or dine soprannaturale che impone dall'esterno e dall'alto la sua leg ge. Abolita la mediazione della religione tra Dio e il mondo degli uomini, spetta soltanto alla società il compito propulsivo di qual siasi trasformazione, attraverso le analisi che le forniranno i suoi scienziati. Finisce così il monopolio che gli uomini di Chiesa avevano esercitato sulle regole e sul discorso relativi al comportamento sessuale e compare, per la prima volta, un nuovo vocabolario, di natura scientifica, per parlarne. È interessante notare, a questo proposito, che il termine «sessualità» appare in inglese nel 1800, in tedesco nel 1820, e in francese nel 1 860, e sempre usato, in un primo tempo, in ambito zoologico e botanico. Da questa nuova impostazione prendono il via varie discipli ne, che si aggiungono all'antropologia: la pedagogia, la psichia tria e la psicologia, l'igiene, la medicina, e infine, negli ultimi de cenni dell'Ottocento, la sessuologia vera e propria. Tutte disci1 1 M.
Gauchet, Credenze politiche e credenze religiose, in Idem, La democra zia contro se stessa, Città aperta, Troina 2005.
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pline che hanno in comune il proposito di regolare le condotte in dividuali a partire dalla definizione di normale e di anormale, che sostituisce la precedente antinomia fra peccato e virtù, fra con cesso e proibito. Con una importante novità: questa trasposizio ne del discorso sulla sessualità dal piano morale e religioso a quel lo scientifico ha determinato - negli ultimi decenni - una pro gressiva incorporazione di quelle che venivano definite perver sioni nella sfera della «normalità». Ai manuali dei confessori si so stituisce una letteratura scientifica prodiga di consigli e di inse gnamenti, mentre il buon funzionamento della sfera sessuale co mincia, a fine Ottocento, a essere considerato essenziale per la riuscita del matrimonio, cosa che - come abbiamo visto - la Chie sa aveva sempre considerato come scontata. Con una differenza, però: secondo gli ecclesiastici, la pratica sessuale costituiva sem pre e comunque un piacere per gli sposi, e in questo senso servi va a tenere unito il matrimonio, mentre i nuovi esperti di sessua lità cominciano a distinguere fra donne e uomini, e ad affrontare il tema della frigidità. La stessa istituzione matrimoniale, a sua volta, subisce in que sto periodo profondi cambiamenti: l'idea di realizzazione indivi duale che si afferma dopo le rivoluzioni americana e francese, per cui ogni individuo ha diritto di scegliere chi essere e cosa pensa re, si allarga immediatamente al matrimonio e naturalmente, dal momento che si parla di una novità assoluta - cioè di scegliere il proprio consorte in base a quella che viene chiamata la propria in clinazione, ma che l'immaginario romantico trasforma subito in un sogno d'amore -, anche le donne vengono coinvolte in prima persona. Accanto ille nuove possibilità di scegliere professione, credo religioso, idee politiche, luogo di abitazione, che la moder nità apriva agli esseri umani di sesso maschile, si poneva quindi, quasi subito, il problema della scelta matrimoniale che, come i ro manzi insegnano, era l'unico tipo di scelta per il momento riven dicabile da parte delle donne. Un ruolo chiave per la diffusione di questa inedita interpreta zione del rapporto matrimoniale lo svolsero i romanzi, a partire da quelli di Jean-Jacques Rousseau, iniziatore di un nuovo rap porto fra scrittore e lettore. È con lui, infatti, che il romanzo da genere di svago diventa guida per le scelte di vita, capace di pe-
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netrare nella realtà quotidiana e di dare «un senso alle cose più importanti della sua esistenza: amore, matrimonio, paternità»12• L'idea romantica del matrimonio d'amore, in realtà, all'inizio non sembrava mettere in crisi il rapporto cardine dell'istituzione familiare, né tanto meno la sua durata nel lungo periodo ma, an zi, sembrava prenderlo ancora più sul serio, rinsaldarlo, farne qualcosa di intimamente vero invece di una istituzione dettata dal le norme morali e dalle convenienze sociali. In un certo senso, sembrava avvicinarsi ai valori morali del cristianesimo che, come si è detto, assimilava l'unità fra uomo e donna a quella mistica fra esseri umani e Dio. Solo che qui Dio scompare, e rimangono so lo i due coniugi, con le loro difficoltà e le loro incapacità, e il so gno d'amore romantico si infrange nell'incontro con la realtà. Con il progetto di amore romantico, da cui discende la crea zione di una «storia comune» fra gli sposi, si separa il legame ma trimoniale dagli altri aspetti dell'organizzazione familiare, confe rendogli un primato e un'importanza inedita L\ Su questa affermazione del matrimonio d'amore nella società si riponevano quindi molte speranze, sia di felicità individuale come rivelano i molti romanzi incentrati su questo tema, sia in po sitivo, come quelli di Jane Austen, che in negativo, come i tor menti d'amore del giovane Werther di Goethe - sia di felicità col lettiva. Non sono poche, infatti, le femministe sostenitrici della li bera scelta matrimoniale, così come alcuni progressisti radicali, a sperare che se tutti si fossero sposati per amore sarebbe scompar sa la prostituzione, e naturalmente le famiglie sarebbero state tut te concordi e felici, con figli allevati in un'atmosfera serena, e quindi esseri umani migliori. Un esempio classico di questa visio ne utopistica della felicità, possibile grazie alla scelta matrimonia le libera e centrata sull'amore, è il romanzo di Nikolaj Cerny5ev skij, Che /are?, scritto nel 1860, che avrebbe avuto poi tanto suc cesso - grazie all'entusiastico favore riservatogli da Lenin, che ad dirittura diede lo stesso titolo a un suo libro - nell'Unione Sovie tica comunista. Lo scrittore russo, vissuto in esilio in Francia per 12 R. Darnton, I lettori rispondono a Rousseau: la costruzione della sensibilità romantica, in Idem, Il grande massacro dei gatti, Adelphi, Milano 1988, p. 299. n Cfr. A. Giddens, La trasformazione dell'intimità. Sessualità, amore ed ero tismo nelle società moderne, Il Mulino, Bologna 1995.
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molti anni, dipinge una nuova società basata sul matrimonio d'a more e sulla fine della proprietà privata, sostituita da una coope razione fra padroni e operai, proposta come l'obiettivo a cui tutti i rivoluzionari dovevano ispirarsi, e introduce anche il divorzio come possibilità concreta di realizzare la felicità sentimentale in dividuale. Il romanzo quindi mette in luce la contraddizione in terna al progetto di matrimonio romantico: se il matrimonio si ba sa sull'amore romantico fra gli sposi, qualora l'amore finisse, sa rebbe logico pensare al divorzio. Si arriva così a minare, in nome della libertà individuale, l'indissolubilità del matrimonio ribadita dal Concilio tridentino. Le femministe emancipazioniste si di chiaravano in gran parte favorevoli al divorzio, così come le fran ge radicali del partito democratico in Italia e negli altri paesi eu ropei, mentre i teorici di utopie politiche come Fourier, Saint-Si mon e Enfantin, già all'inizio dell'Ottocento, avevano proposto addirittura nuove società dove non esisteva più la famiglia, in cui uomini e donne si amavano in modo libero, per il tempo dettato dal loro desiderio, mentre i figli venivano allevati collettivamente. Si trattava naturalmente di utopie, ma alcune scrittrici di grande fortuna, come George Sand e Flora Tristan, incarneranno agli oc chi dei contemporanei un nuovo modello di donna che, grazie al l' affermazione intellettuale, può vivere liberamente anche la sua vita sentimentale davanti agli occhi di tutti. La Chiesa natural mente vide subito i pericoli di questa ricerca della felicità attra verso l'amore umano, e denunciò la fragilità di un'istituzione, co me quella matrimoniale, se abbandonata ai sentimenti caduchi dei due sposi. La lotta contro la lettura dei romanzi - considerati in particolare pericolosi per le giovinette - durerà più di un secolo, e costituirà il versante culturale di quella lotta contro il divorzio che la Chiesa comincerà a combattere dagli anni della Rivoluzio ne francese14• Dall'amore romantico come ingrediente fondamentale di un buon matrimonio alla passione e alla sessualità il passo è breve, anche se, almeno fino ai primi decenni del XX secolo, non è com piuto dallo stesso tipo di intellettuali: mentre l'amore romantico è difeso e cantato da scrittori, musicisti e poeti, della sessualità co14 Si veda in proposito M. De Giorgio, Le italiane d.JI/'Unità a oggi, Later za, Roma-Bari 1 992.
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minciano a interessarsi riformatori politici e scienziati, in primo luogo naturalmente medici, ma in seguito anche antropologi. 2. Una sovranità contesa Vibrazioni lievi, o scosse tanto profonde da risultare quasi im percettibili ai contemporanei - ma soprattutto agli storici che se coli dopo hanno teorizzato l'erosione del monopolio cattolico sui comportamenti sessuali -, si manifestarono a partire dal Sette cento proprio nel territorio su cui fino ad allora la Chiesa aveva esercitato un'egemonia indiscussa: il diritto, la legiferazione, la competenza giurisdizionale. L'insieme delle leggi e dei poteri che si coagulava intorno al matrimonio e agli scambi che presiedeva no alla sua formazione. Nella Francia gallicana l'urto era stato violento e precoce: rac cogliendo orientamenti già apparsi nel corso del Seicento presso la monarchia, nel 1712 il cancelliere de Pontchartrain affermò la tesi della competenza civile in campo matrimoniale in una lettera inviata al primo presidente del Parlamento di Besançon, soste nendo che il re aveva un potere diretto sul contratto, e indiretto sull'amministrazione del sacramento, il quale, avendo come mate ria proprio il contratto, in caso di sua nullità non avrebbe più avu to oggetto su cui applicarsi!�. Era la subordinazione del sacra mento al contratto, l'avvio di una teoria e di un processo che avrebbero portato i parlamenti a giudicare anche sulla validità del vincolo coniugale. Le «libertà gallicane», sostenute da molti ca nonisti francesi pronti a difendere le prerogative della corona, in dicarono un percorso che presto molti principi avrebbero segui to. In ordine sparso, secondo orientamenti e obiettivi che di volta in volta assegnavano la priorità a ideali libertari, a coerenze inter ne ai sistemi giuridici, a necessità concrete di governo dei popoli. Già dai primi anni del Seicento, la Congregazione del Conci lio - incaricata di applicare e garantire i canoni tridentini - aveva ammesso la validità dei matrimoni celebrati alla presenza di un 1 � ]. Gaudernet, Il matrimonio in Occidente (1987), Società editrice interna zionale, Torino 1989, p. 246.
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magistrato civile in Olanda e nella Frisia occidentale; nel 1719 in Ungheria fu elaborato un progetto di codificazione che regolava anche il fidanzamento, il matrimonio e gli impedimenti, anche se pochi anni dopo fu ristabilita la competenza su di essi dei tribu nali ecclesiastici; il Codex Maximilianus del 1756 in Baviera con siderava il fidanzamento un contratto civile, ma rispettava le nor me tridentine in materia di celebrazione del matrimonio; l'impe ratore Giuseppe II d'Austria emanò nel 1783 un decreto che ri servava allo Stato la giurisdizione su tutto ciò che riguardava i contratti civili, compreso il matrimonio, e l'anno successivo lo estese alla Lombardia16• C'era un meccanismo soprattutto che suscitava la preoccupa zione dei governanti e dei legislatori: l'istituto della promessa di matrimonio e le pratiche sociali che intorno a essa si addensava no. li diritto canonico classico aveva sancito il valore giuridico della promessa, che faceva nascere l'obbligo di coscienza a spo sarsi; il rispetto dell'obbligo poteva essere imposto anche per via legale o almeno - per non violare troppo platealmente il principio della libertà del consenso - poteva far sì che in caso di nozze sfu mate si costringesse lo sposo fuggitivo a pagare una dote a titolo di risarcimento: aut nubet, aut dote!, aut triremes, matrimonio, do te o galera erano le alternative poste all'uomo che intendesse rom pere la promessa e volare verso nuovi legami. La garanzia che una promessa più o meno pubblica forniva alle nozze ebbe una con seguenza importante: quella di autorizzare i rapporti sessuali tra fidanzati, i quali potevano così trasformare l'impegno per il futu ro (verba de futuro) in matrimonio de praesente, valido per il pre sente, perché l'unione carnale era considerata prova definitiva di consenso17• Passato indenne attraverso le norme del Concilio di Trento che non aveva preso una posizione esplicita sulla promessa - tale meccanismo divenne l'origine di molti matrimoni d'età moderna: 16 lvi, p. 288, e D. Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni dal Concilio di Tren to alle riforme settecentesche, in Storia del matrimonio, a cura di M. De Giorgio
e C. Klapisch-Zuber, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 244. 17 M. Pelaja, Il cambiamento dei comportamenti sessuali, in A. Bravo, M. Pe laja, A. Pescarolo e L. Scaraffia, Storia sociale delle donne nell'Italia contempo ranea, Laterza, Roma-Bari 200 1, pp. 192-193.
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le donne si rendevano disponibili ai rapporti sessuali dopo accor di matrimoniali formali o soltanto ventilati per poi, in caso di con flitti familiari o ripensamenti maschili, reclamare presso i tribunali ecclesiastici perché la deflorazione fosse riparata con le nozze. Le querele per stupro semplice come era chiamato qualunque am plesso extraconiugale tra persone consenzienti - affollavano le au le giudiziarie e gli uffici dei parroci, sempre mediatori, sempre te stimoni del «retto fine matrimoniale» della disponibilità di donne considerate comunque innocenti, fragili, esposte alla seduzione e alla corruzione. Qualcosa poi lentamente cominciò a incrinarsi in un congegno pur così lungamente collaudato: per attriti provenienti da ambiti diversi, orientati a finalità apparentemente disparate. Dai conflit ti di sovranità, che lo spirito del tempo rendeva via via più espli citi, tra magistrature laiche e magistrature ecclesiastiche; dal mon do del diritto, che secondo percorsi tutti interni alle costruzioni giuridiche andava elaborando una nuova concezione delle donne e delle «arti» femminili; dal malcontento di padri e lignaggi, con traddetti gli uni e inquinati gli altri da alleanze imposte dalla co pula e dalla Chiesa. Qualche voce si era già levata, anche all'interno delle gerarchie ecclesiastiche, per denunciare gli abusi generati dall'istituto della promessa: alla fine del Seicento il gesuita Paolo Segneri aveva scritto che «La libertà, che v'è nella gioventù, di vagheggiarsi in sieme, e di trattare domesticamente, sotto pretesto di futuro ma trimonio [. .. ] non può oramai tenersi in conto di altro, che di una invenzione diabolica, ordita novellamente nel gran Consiglio di Satanasso, per rovina di anime innumerabili»; e come rimedio aveva suggerito di seguire l'esempio di popoli lontani, lontani dal l'Occidente e dal cattolicesimo: -
I Turchi quando prendono moglie, non l'hanno mai comunissima mente veduta in viso; e tra' Chinesi si pratica questa ritiratezza con tan to rigore, che finché la sposa non è condotta a casa dello sposo, non si lascia vedere a niuno. Anzi per assicurarsi maggiormente di una som ma ritiratezza nelle loro femmine tutte, non solo avanti il matrimonio, ma anche dapoi, costumano quei popoli, per altro i più riputati di tut to l'Oriente, costumano, dico, alle loro bambine di latte stringere sì
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fortemente colle fasce i teneri piedi, che queste fatte adulte se ne ri sentono poi per tutta la vita, e penano a camminare. 18
Ma gli avvertimenti e gli esempi di Segneri erano rimasti ina scoltati, e i tribunali ecclesiastici avevano continuato a protegge re la disponibilità femminile e a condannare al matrimonio gli in cauti seduttori. Finché appunto, nel corso del Settecento, il disagio sociale, po litico e giuridico divenne intollerabile. Negli antichi Stati italiani i mutamenti furono dapprima cauti e contraddittori: cominciò, nel 1740, la Modena degli Estensi, limitando con un apposito editto il diritto delle donne a sporgere querela per stupro ai casi in cui prove legittime e verificabili potessero dimostrare con cer tezza l'avvenuto scambio della promessa di matrimonio19• Seguì, nel 1754, un motuproprio toscano che obbligava il seduttore ac cusato di stupro semplice - non accompagnato cioè da promessa - a devolvere una somma di denaro non alla sedotta bensì ai po veri degli ospedali del Granducato, ma confermava le pene pre cedenti (il matrimonio, la dote o la galera) all'uomo che avesse de florato una donna dopo averle promesso di sposarla20• La posta in gioco era delicata ma decisiva, perché apriva una breccia nel mo nopolio ecclesiastico attribuendo ai sovrani laici un primo, limi tato potere di normare e governare anche sulla morale e sui com portamenti sessuali dei sudditi. « ... Riconosce la Società dalla legislazione il suo stato civile, e con serva l'interna sua felicità a misura che si sostiene la decenza, e l'ono re delle Famiglie, che le compongono», declamava il prologo della Prammatica IV emanata nel 1779 nel Regno di Napoli. «Le norme co stituiscono quel primo vincolo, la cui buona direzione è come la base del pubblico vincolo sociale. Perciò i savj Legislatori rivolsero le loro più serie attenzioni a questo oggetto interessante, acciocché riuscisse-
1 8 P. Segneri, Il cristiano istruito nella sua legge, III, Firenze 1686, pp. 403 e 417, citato in Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, ci t., pp. 237-238. 19 Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 24 1 e nota 44. 2° Codice della Toscana legislazione, vol. Il, Siena 1778, p. 77; cfr. anche G. Alessi, L'onore riparato. Il rz/ormismo del Settecento e le «rtdicole leggi» contro lo stupro, in Onore e storia nelle società mediterranee, a cura di G. Fiume, La Lu· na, Palermo 1989.
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ro plausibili i parentadi, virtuosa l'educazione, ed onorata la discen denza.21
La Prammatica stabilì così Che niuna Donna, o altra Persona, cui interessa, di qualunque gra do e condizione ella sia, abbia azione di querelare di stupro, ancorché siano preceduti alla vera o simulata deflorazione li sponsali, o parola di matrimonio contratta coram Parocho, o capitoli matrimoniali, an che rogati per mano di pubblico Notajo, o altro qualsiasi rito, o solen nità, indicante la legittima promessa di future nozze, ed ancorché fos sero simultaneamente preceduti atti confidenziali, o trattamenti in ca sa, o qualunque altro somiglievole atto induttivo allo stupro; di ma nieraché dopo la promulgazione di questa nostra Sovrana Legge, niun Giudice, o Magistrato della Capitale, o del Regno, riceva, o dia corso, sotto qualunque pretesto, a sì fatte querele, eccetto l'unico e solo ca so, se lo stupro si commettesse con vera, reale ed effettiva violenza, esclusa qualunque interpretativa, che si traesse dal pretesto delle blan dizie, allettamenti, promesse verbali o somiglievoli cose; Essendo no stra Reale volontà, che le Donne non possano, né debbano profittare della complicità del delitto, ma che badino a conservare l'onore delle Famiglie.22
La legge è categorica, precisa nell'elencare gli atteggiamenti e le motivazioni più diffuse nelle pratiche sociali, e soprattutto nel l'indicare i soggetti deputati all'applicazione della legge; ma la sua puntigliosità non è ancora sufficiente, perché un conflitto - anco ra strisciante ma già aspro - sta lacerando i delicati meccanismi della convivenza tra il potere del re e quello della Chiesa. Soltan to un anno più tardi, nel 1780, una nuova Prammatica polemizza esplicitamente con i tribunali ecclesiastici, ponendo limiti defini ti alle loro competenze: avendo con la salutare legge per gli stupri promulgata nell'anno scorso efficacemente provveduto alla custodia della pudicizia, ed alla quiete delle famiglie, è avvenuto, che col pretesto degli sponsali o car21 Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, 15 voli., tomo I, con Prefazione di L. Giustiniani, Napoli, nella stamperia Simoniana, 1803 - 1 808, p. 3 10. 22
lbid.
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piti, o non veri, s'impediscono bene spesso i matrimoni presso le Cu rie Ecclesiastiche, le quali confondendo il giudizio della validità [ . . ] con quello dell'esistenza, si arrogano abusivamente la cognizione be nanche della esistenza degli sponsali medesimi, in pregiudizio non me no della libertà dei cittadini, che dei sacri diritti del Trono.23 .
Re Ferdinando allora comanda che il giudizio sull'esistenza . degli sponsali sia riservato ai giudici laici, che la cerimonia degli sponsali rispetti procedure stabilite, che i giudici ecclesiastici, una volta accertata la validità degli sponsali, non possano perseguire i «renitenti» «senza prima con distinta relazione dame parte a Noi per otteneme il permesso [ . . . ] . E finalmente, che nemmeno i Pa rochi, che le Curie Ecclesiastiche, sotto la grave pena della Reale indignazione, stiano avvertite ad osservare questo Sovrano Edit to, ch'è diretto ad evitar le frodi, che si commettono, a sostenere la libertà de' Cittadini, ed a conservare la pace, e il decoro delle famiglie»24• Più timida e conservatrice fu in definitiva la Toscana di Pietro Leopoldo, che pure con le sue complesse riforme operò con de cisione a eliminare le interferenze della Chiesa nell'amministra zione della giustizia nel Granducato25• li motuproprio del 1754 aveva introdotto una disposizione ancora una volta importante e contraddittoria: aveva confermato il valore economico della ver ginità femminile ma, obbligando il seduttore a pagare una «pena di lire Trecento» agli ospedali di Firenze e di Siena, aveva impe dito che la riparazione dell'offesa andasse a beneficio della stu prata, e aveva così disinnescato un incentivo potente alla querela. Ma, nonostante la proposta di Pietro Leopoldo, che respingeva «la ridicola legge presente di doversi dotare, e sposare, la stupra ta, o andare in galera, la quale serve d'incentivo alli stupri»26, il principio giuridico del risarcimento rimase intatto: l'articolo III della Leopoldina estendeva ai familiari della sedotta la facoltà di 23 Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, cit., tomo 7-8, pp.
2 10-2 1 1 . 24 lvi, p. 2 1 1 .
2' La Leopoldina nel diritto e nella giustizia in Toscana, a cura d i L . Berlin guer e F. Colao, Giuffrè, Milano 1 989. 26 Citato in G. Cazzetta, Praesumitur seducta. Onestà e consenso femminile nella cultura giurtdica moderna, Giuffrè, Milano 1 999, p. 341.
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ricorrere in tribunale per stupro, confermando tutte le disposi zioni vigenti e soffocando l'impeto riformatore del Granduca. n quale nell'elaborazione del nuovo codice aveva trovato tuttavia un alleato imprevisto: il vescovo Scipione de' Ricci, che guidò il si nodo di Pistoia del 1786 verso l'abolizione degli effetti giuridici degli sponsali. Le spose promesse e sedotte non avrebbero più po tuto ricorrere ai tribunali ecclesiastici per reclamare il matrimo nio riparatore. Non solo: i vescovi riuniti a Pistoia andarono oltre, riprendendo quella distinzione tra sacramento e contratto già as sunta in alcuni sistemi giuridici settecenteschi per attribuire «al potere civile il potere di legiferare sul contratto matrimoniale e, in particolare, di stabilire impedimenti, cioè di rendere nulli alcuni tipi di matrimonio»27• Ma le leggi granducali finirono per assu mere i principi del diritto canonico tradizionale perché le deci sioni del sinodo furono aspramente avversate dalla maggioranza dei vescovi toscani e poi condannate dalla Curia romana: con la bolla Auctorem /idei del 28 agosto 1794, papa Pio VI qualificò co me eversive ed eretiche le proposizioni con cui i vescovi pistoiesi intendevano sottoporre gli impedimenti matrimoniali all' appro vazione dei principF8• n dibattito, i risultati e la condanna del sinodo di Pistoia ave vano tuttavia reso evidente che anche in Italia, vicino allo Stato del Papa, il fronte ecclesiastico si andava incrinando, mostrando cre pe e contraddizioni che avrebbero inciso significativamente - se non ancora nel diritto - nella politica ecclesiastica verso il matri monio e la sessualità. Prima delle leggi, oltre i processi e le sanzioni, un clima nuovo si stava diffondendo tra i giuristi addetti all'elaborazione delle norme matrimoniali: toccava la rappresentazione delle donne e delle qualità femminili, capovolgeva concezioni secolari investen dole di una nuova conflittualità, pretendeva di separare con una frattura insanabile un passato ormai degenerato da un futuro il luminato da nuove coerenze. I delicta carnis erano al centro di un dibattito che si prefiggeva un compito inaudito: quello di separa re la morale dal diritto, il peccato dal crimine. 27
Lombardi, Fidanzamenti e matrimoni, cit., p. 243 . A.C. }emolo, Il matrimonio nel diritto canonico. Dal Concilio di Trento al Codice del 1917, ll Mulino, Bologna 1993, pp. 87-88. 28
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I giuristi d'antico regime fondavano le loro teorie su una pre sunzione universale, che raffigurava le donne come sempre one ste, fragili, esposte a seduzioni e raggiri, incapaci di riconoscere una volontà personale svincolata da interessi familiari e da logiche di gruppo. Donne bisognose di protezione da ogni istituzione con cui venissero a interagire: famiglia, Chiesa, sistema giudiziario, ap parati di controllo e di carità avevano l'obiettivo prioritario di pre servare e garantire la naturale innocenza di un sesso debole e cor ruttibile. «Le donne sono composte di una tessitura più molle, e più delicata degl'Uomini, e perciò più facilmente sono soggette ad essere vinte da un tratto spiritoso, e seducente. Colui che profitta di questa loro debolezza naturale, è certamente più reo di quello, che semplicemente richiede i loro favori, e merita perciò di esse re punito con una pena che sia capace a compensare la deteriora ta condizione di quella che è stata vittima delle sue più seducenti allettative. [ ... ] L'obbligo di sposare, o dotare la sedotta Fanciulla è la pena più giusta da imporsi al seduttore»29• Le conseguenze di una simile concezione nelle pratiche socia li erano ormai sotto gli occhi di tutti: per conquistare un matri monio con l'aiuto delle leggi ecclesiastiche, le donne avevano usa to tale immagine per piegarla ai propri interessi, rendendosi di sponibili a farsi sedurre, investendo nel fine matrimoniale una verginità molto concreta e una fragilità tutta rappresentata. Gli «abusi delle donne)) erano stati percepiti anche dalla Chiesa, per sino nello Stato del papa; un editto emanato nel 1736 dal cardinal Guadagni, vicario di Clemente XII, rende con efficacia il caratte re di emergenza dell'intervento ecclesiastico di fronte al dilagare irrefrenabile di quella che appare ormai come una vera e propria pratica di contrattazione sociale: «[. .. ] siccome l'esperienza ha fat to conoscere, che la sicurezza dell'Impunità goduta dalle Giovani Deflorate, e la speranza dell'incontro, che da loro si ha, di poter a costo dell'onore conseguir la Dote, o l'effettuazione del matrimo nio, non solo rende le medesime meno accorte nel custodir la pro pria pudicizia: ma forte talora serve d'incentivo alla loro prostitu29 L. Cantini, Illustrazione della Legge per gli stupri del 24 gennaio 1 754, in Id., Legislazione toscana raccolta e illustrata, 32 voli., vol. XXVII, Firenze, nella Stamperia Albizziniana per Pietro Fantosini e figlio, 1800-1808, p. 55.
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zione»30, il vicario ordina che anche le deflorate, «come corree del Delitto», siano obbligate a pagare una pena al fisco e persino car cerate. Una diffidenza esplicita dunque - che sospetta la vittima di simulare inganno e arrendevolezza per estorcere dote o matri monio - prende a propagarsi dall'amministrazione della giustizia al mondo del diritto, esigendo nuove sistematizzazioni. A partire dalla fine del Settecento allora giuristi e penalisti lai ci elaborano figure giuridiche che prendono in considerazione una variabile inedita: la libera volontà della donna, la sua capacità di esprimere consenso o rifiuto di fronte ai tentativi di seduzione maschili. Non più vittima a priori, la donna non ha più diritto a una tutela che prescinda dal suo «colpevole consenso» al rappor to carnale; in ogni ricorso per stupro dunque, la querelante appa re come socia criminis, a meno che non sappia dimostrare la pro pria innocenza esibendo sul proprio corpo i segni, le prove tangi bili della violenza subita. Agli «abusi delle donne» si risponde ora con la presunzione di colpevolezza, e il riconoscimento della vo lontà della donna abbandona la tutela indiscriminata per esigere dimostrazioni positive di onestà31 • L a rappresentazione delle colpevoli astuzie femminili sarà poi perfezionata e arricchita per tutto l'Ottocento, fino a ottenere i to ni e le luci di una retorica capovolta: «il maschio parrebbe che tra scini e la femmina parrebbe che resista: ed ivi novanta volte su cento abbiamo una vittima nel preteso rapitore; vittima della com binata cecità del proprio trasporto amoroso con la frigidità calco latrice della femmina»; «la donna è sedotta [. ] ma da sé medesi ma: sedotta dalla sua avidità, sedotta dai sensi, sedotta dall'ambi zione di divenire una signora»32• La Chiesa cattolica non si appropria di una rappresentazione così univoca; l'editto del vicario di Roma aveva sì indicato le «Gio vani Deflorate» come «corree del Delitto» e aveva minacciato lo ro carceri e multe ma - come spesso accadeva nell'amministra zione quotidiana delle colpe e delle anime - la minaccia era rima..
30 Archivio storico del Vicariato di Roma, Varie, citato in M. Pelaja, Matrz� monio e sessualità a Roma nell'Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 54. 3 1 Ma su tutto questo si veda Cazzetta, Praesumitur seducta, cit. 32 P. Viazzi, Ratto, in Endclopedia giuridica italiana, XIV.1 , Società editrice libraria, Milano 1900, pp. 199 e 2 1 1 , citato in Cazzetta, Praesumitur seducta, cit.
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sta ad aleggiare sui progetti e sulle disponibilità femminili, predi sponendo piuttosto a strategie più complesse, a nuove mediazio ni. Nel corso dell'Ottocento la sessualità perse progressivamente il suo carattere di garanzia per diventare una risorsa, uno stru mento di pressione all'interno di una trattativa che aveva come fi ne la conclusione delle nozze: il rapporto sessuale che seguiva la promessa di matrimonio - che a sua volta aveva perso quasi tutti gli elementi di formalizzazione - apriva soltanto una nuova fase di una contrattazione dagli esiti ancora incerti. Se un conflitto si apriva dopo la copula - perché magari lui, dopo aver insistito nel la richiesta, si ritraeva sostenendo di non aver mai avuto intenzio ni matrimoniali e accusando lei di una eccessiva disponibilità -, le donne e le loro famiglie continuavano a rivolgersi ai parroci e ai tribunali ecclesiastici per ottenere la conclusione delle nozze. La Chiesa cattolica era ancora l'arbitro di queste contese, e conti nuava a ergersi a tutrice della vulnerabilità femminile: il/avor ma trimonii che ispirava la politica ecclesiastica diventava protezione e appoggio agli intenti delle donne, anche se, naturalmente, ave va come fine prioritario la tutela dell'ordine familiare e non quel la delle donne in particolare. Così, dopo la deflorazione, si apriva una nuova fase di nego ziazione in cui la sessualità entrava nella sfera giuridica, ma senza più alcun automatismo; in una dimensione corale anzi, in cui pa rentele, vicinati e gerarchie ecclesiastiche dovevano farsi pubbli camente garanti del «retto fine del matrimonio». Le giovani do vevano divulgare al massimo l'avvenuta conoscenza carnale, le fa miglie mostrarsi certe degli accordi matrimoniali, i parroci pro clamare l'onestà pubblica delle deflorate e intercedere per loro presso i tribunali; istruttorie e processi non avevano esiti sconta ti, dovevano semmai accogliere e sancire la /ama più accreditata, premiare la parte provvista delle reti più estese e più autorevoli. Si trattava per la Chiesa di proteggere e garantire sì donne e fa miglie, ma soprattutto di preservare la propria egemonia nel go verno della morale e della popolazione, secondo quella miscela di valori universali e di mediazioni particolari che aveva secolar mente caratterizzato la sua politica. Finché gli equilibri da preservare cominciarono a farsi troppo delicati e precari: troppo aleatorie le promesse, non più formaliz zate da documenti o ritualità, soprattutto tra i ceti meno abbien-
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ti; troppo confuse le voci, sovrapposte e smentite di continuo dal la crescente mobilità e complessità urbana; troppo contradditto ria la tutela delle deflorate, ormai platealmente dissipatrici di quello che la Chiesa stessa predicava come il nuovo bene supre mo delle donne: la verginità. Non più patrimonio da investire, l'integrità dell'imene era divenuta valore assoluto, prioritario non solo rispetto a qualunque «retto fine» matrimoniale ma anche ri spetto alla vita stessa. Sarà intorno alla figura di Maria Goretti, uc cisa per aver difeso la propria castità, che la Chiesa del Novecen to costruirà il suo nuovo modello femminileJ3. Nel frattempo, alla fine dell'Ottocento, un evento decisivo modificava la collocazione della Chiesa cattolica negli assetti isti tuzionali del mondo occidentale: la fine del potere temporale can cellava definitivamente quella particolare doppiezza che contras segnava lo Stato pontificio e la figura del papa, nello stesso tem po apice della Chiesa universale e sovrano di un territorio prowi sto di confini e di apparati di governo, capace di porsi in concor renza con gli altri Stati dell'Occidente. Era la fine di un processo secolare, che aveva visto il papa-re usare il proprio regno tempo rale per affermare l'indipendenza della Santa Sede rispetto agli imperi, ma anche per esibire - nella dialettica tra centro e perife ria della cristianità - il potere sulle coscienze e sulla morale dei cattolici. Con la fine dello Stato pontificio «il difficile cammino per la costruzione di una nuova sovranità sulle anime»34 affronta un'altra tappa: quella della collocazione della sovranità spirituale del pontefice su un piano parallelo a quello della sovranità tem porale dei principi35. La delocalizzazione della Chiesa ha implicazioni ed esiti a ca tena: l'abolizione dei tribunali ecclesiastici successiva alla fine del lo Stato pontificio proietta l'interlocuzione dei fedeli sulle istitu zioni centrali della Santa Sede e dunque sposta la frontiera tra il foro esterno - obbediente ai diritti dei diversi Stati - e il foro in terno - sempre più intimamente saldato alla norma religiosa. Cu stode della nuova frontiera, la Chiesa necessita ora di universali 33 Cfr. in/ra, cap. VI, par. 6. 34 P. Frodi, Post/azione, in Id., Il sovrano ponte/ice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, li Mulino, Bologna 20062, p. 428. 3' lvi, p. 43 1 .
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più efficienti. Non più flessibile, disarticolato da quel meccani smo che consentiva di mitigare il rigore della norma con la me diazione «politica» delle gerarchie, il sistema etico cattolico deve riaffermare il suo primato attraverso dettati elementari, enunciati univoci, assoluti non negoziabili. Non di governo si tratta ora, ma di egemonia; e la trattativa su lecito e illecito non può che svol gersi nel segreto del confessionale, nell'intimo delle coscienze, senza muovere clientele e reti sociali. La nuova configurazione della Chiesa esige a sua volta un'atti vità legislativa coerente con equilibri e obiettivi acquisiti: la pro mulgazione del Codex iuris canonicis nel 1917 sottolinea il paral lelismo con il processo di codificazione che aveva caratterizzato gli Stati laici del secolo precedente36, divulgando un sistema di norme capace di rappresentare il nuovo universalismo cattolico. Per tornare al matrimonio, o meglio al processo della sua for mazione, l'opera del Codex- anticipata dal decreto Ne temere del la Congregazione del Concilio del 1907 - mirò a eliminare le dif ferenze tra i paesi dove erano stati applicati i canoni tridentini e i paesi in cui il matrimonio poteva essere celebrato in qualsiasi for ma; e soprattutto intese limitare, scarnificare, giuridicizzare l'isti tuto della promessa sottraendolo al terreno delle pratiche sociali e della negoziazione politica per parlo sul piano del rigore forma le, astratto, inutile. Per avere validità riconosciuta, la promessa de ve essere redatta in un atto scritto, firmato dalle due parti e dal parroco o dal vescovo (il che esclude ovviamente la grande mag gioranza dei fidanzamenti celebrati tra le classi popolari). Soprat tutto essa non genera obbligo al matrimonio: proprio per porsi sullo stesso piano delle legislazioni civili ed evitare finalmente i mali dei matrimoni coattP7, il canone 1017 del Codex stabilisce che dalla promessa ratificata negli sponsali non scaturisca più un grave obbligo al matrimonio, ma soltanto l'impegno a rispettare l'accordo, o almeno a risarcire il danno recato dalla sua rescissio ne in termini di fama, di occasioni perdute, di spese già effettua te in vista delle nozze38• lvi, p. 434. ]emolo, Il matrimonio nel diritto canonico, cit., p. 100. Js Cfr. Margherita Pelaja, La promessa, in De Giorgio e Klapisch-Zuber (a cura di), Storia del matrimonio, cit. J6 H
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La sessualità prematrimoniale perde così il suo valore origina rio di risorsa, di strumento con cui le donne, sostenute da preti e famiglie, potevano trascinare all'altare fidanzati incerti e recalci tranti; la copula che precede le nozze è ora prova d'amore, ricatto degli uomini per ottenere prestazioni sessuali in vista di matrimo ni ancora aleatori, è colpa segreta, da smentire invece che esibire pubblicamente come attestato di impegno matrimoniale. E il ve ro capitale delle donne - intangibile, inviolabile è un nuovo e concretissimo assoluto: l'integrità dell'imene, la verginità. -
3 . Peccato e malattia
Copia delli primi dodici dubbi del Giappone è il titolo di un do cumento conservato presso l'archivio romano dei gesuitP9; in es so erano esposte alcune delle più frequenti «perplessità morali» in cui nella prima metà del Seicento si imbattevano i missionari im pegnati nell'evangelizzazione dell'Estremo Oriente. li sesto dub bio riguardava anche le gravidanze illegittime e trattava il caso di giovani nubili incinte che rischiavano per questo motivo non solo di perdere l'occasione di matrimoni previsti e vantaggiosi, ma ad dirittura di essere uccise dai propri parenti per salvaguardare l'o nore familiare. Ai missionari del Giappone sembrava questa una circostanza in cui prendere in considerazione la possibilità di un aborto, da praticare ovviamente nella fase iniziale della gravidan za, prima dell'animazione del feto. Non si trattava certo di dubbi esotici; questioni del genere era no all'ordine del giorno anche nell'Occidente cristiano, tanto più urgenti quanto più le disposizioni tridentine penetravano nella politica della Chiesa, rendendo incerti gli esiti della sessualità p re matrimoniale e irreparabili i destini delle madri illegittime. «Il me dico, che ordina rimedii a una donna gravida, o che li fa cavar san gue, o li dà conseglio, acciò disperda, ancorché questo lo facci, o per l'honor di quella donna, o per evitar il scandalo o homicidii 39 Copia delli primi dodici dubbi del Giappone, in Archivum Romanum So cietatis lesu, Iap.-Sin. 1 8-1, cc. 1 62r-164v, citato in A. Prosperi, Dare l'anima. Storia di un in/anticidio, Einaudi, Torino 2005, p. 284.
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quali potessero succeder venendo in luce il parto, o scoprendosi la gravidanza [ ... ] , se sa di certo che la creatura sia animata, e di anima intellettiva, commette omicidio, et per conseguenza il pec cato mortale, et diviene irregolare», aveva scritto già nel 1589 un medico di Imola, Gian Battista Codronchi, autore di un testo, Ca si di conscienza, destinato a medici e infermieri40• La posta in gio co, all'interno di dibattiti e disquisizioni via via più accaniti, che a volte si perdevano in casistiche remote, era di portata enorme: i medici infatti avrebbero potuto cancellare, insieme alla gravidan za, la visibilità sociale della sessualità irregolare, impedire l'espia zione pubblica del peccato ricacciandolo nell'intimo delle co scienze, fuori dal corpo. C'era un tempo in cui, fino a tutto il Seicento e oltre, preti e medici erano alleati nella battaglia comune per una salvezza che sembrava porre confini fluidi tra corpo e anima: i medici sentiva no l'obbligo di curare soltanto malati in regola con i sacramenti e sperimentavano speciali siringhe in grado di far penetrare l'acqua benedetta nell'utero materno, consentendo così il battesimo di fe ti in pericolo di vita ma lasciando alla religione la prerogativa di regolare qualunque espressione della sessualità; i teologi e i cano nisti elaboravano teorie su feto e gravidanza, ma preferivano go vernare i comportamenti sessuali attraverso la categoria della col pa dell'anima piuttosto che con quella della salute del corpo. I rapporti tra discorso medico e discorso religioso rimanevano cau ti e fiduciosi: i medici avanzavano sempre più di frequente dubbi e proposte alla Congregazione del Sant'Uffizio, ma l'Inquisizione evitava di pronunciarsi con nettezza e in termini generali, prefe rendo semmai rispondere caso per caso, con prudenza e reticen za. Alla collaudata lungimiranza delle gerarchie ecclesiastiche di ventava sempre più chiaro che dietro la specificità e l'apparente tecnicismo dei quesiti si celava la possibilità di pronunciarsi sulla vita e sulla morte. La medicina intanto ampliava rapidamente le sue conoscenze e le sue ambizioni: in primo luogo intorno alla scena della gravi danza e del parto - in cui inoltre la questione del taglio cesareo 4° Casi di conscienza, pertinenti a medici principalmente, et anca a infermi, in fermierz; e sanz; descritti per Battista Codronco , citato in Prosperi, Dare l'anz� ma, cit., pp. 245-246. ...
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pose per secoli alternative tragiche e certe tra la vita del bambino e quella della madre41 - ma aggredendo anche la sfera giuridica dove, a partire dalle Quaestiones medico legales redatte dal medi co pontificio Paolo Zacchia42, il parere dei clinici prese ad acqui stare una rilevanza crescente nei processi penali e nei conflitti por tati dinanzi alle diverse magistrature. Lo spazio guadagnato ri chiese inizialmente giustificazioni teologiche: il carattere sacrile go da molti attribuito all'autopsia, che profanava un corpo fatto a immagine del suo Creatore, fu confutato per la prima volta nel 1627 da un teologo della Chiesa riformata inglese, con l'afferma zione che l'anatomia e le sue applicazioni avrebbero permesso di conoscere meglio l'opera di Dio43• Si venivano a comporre così in tutto il loro spessore semantico i due termini che si sarebbero col locati nel tempo sui due opposti poli del conflitto, latente ma già riconoscibile, tra sapere medico e religione: l'invio/abilità da un lato di organismi appartenenti a un ordine naturale di matrice tra scendente e la manipolabilità dall'altro di meccanismi passivi, sot toposti al dominio e al controllo delle conoscenze umane44• Il Settecento segnò il trionfo della sperimentazione umana: ve leni diversi venivano somministrati ad ammalati sofferenti dei più vari morbi per verificarne gli effetti terapeutici o letali, il virus del vaiolo fu inoculato a schiavi, galeotti e orfani, prima che a pazienti di più elevato status sociale, per ricercare la garanzia dell'immu nizzazione. Il corpo di uomini e donne divenne laboratorio di esperimenti arditi, il cui esito spesso mortale fu calcolato come possibile incidente di percorso, o più di frequente ascritto a pre cedenti e sconosciute malattie45• Risultava così sempre più palese 4 1 Cfr. N.M. Filippini, La nascita straordinaria. Tra madre e figlio la rivolu zione del taglio cesareo, sec. 18.-19, Franco Angeli, Milano 1995. 42 Pauli Zacchiae Quaestionum medico-legalium opus, Lugduni, M.A. Ra
vaud, 1661. 43]. Weemes, The Pourtraiture o/the Image o/God in Man: In his Three Esta tes o/ Creation, Restauration, Glorification, Printed for Iohn Bellamie, London 1627, citato in R. Muchembled, L'orgasmo e l'Occtdente. Storia del piacere dal Rinascimento a oggi, Raffaello Cortina, Milano 2006, p. 89. 44 Cfr. G. Pomata, Donne e rivoluzione scientifica: verso un nuovo bilancio, in Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico all'età contemporanea, a cu ra di N.M. Filippini, T. Plebani e A. Scattigno, Viella, Roma 2002, p. 165. 4' Cfr. L. Schiebinger, La sperimentazione umana. Sesso e razza nel XVIII se
colo, ibtd.
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che la medicina stava diventando capace di controllare la vita e la morte, in un'evoluzione travolgente. Gli sviluppi scientifici modi ficavano di continuo gli aspetti morali dei problemi, rendendo sempre più arduo aggiornare legittimità e divieti per garantire la conformità con i dettami della Chiesa. Mfiancando l'assimilazione di saperi e pratiche antiche a teo rie inedite, a nuovi farmaci e a strumentazioni ardite, i medici del l'Ottocento conquistarono la fiducia del popolo degli infermi: ri ducevano fratture e incidevano ascessi, osservavano e individua vano morbi invisibili, prescrivevano rimedi capaci non solo di al leviare la sofferenza, ma anche di guarire dalla malattia. n loro po tere cresceva di pari passo con le loro conoscenze46• Così, lentamente, la scienza medica divenne garante di se stes sa. Si emancipò dal dominio della trascendenza per pretendere anzi di disegnare il proprio, autonomo, ordine naturale. Si dette come priorità quella di elaborare categorie e metodi capaci di de scrivere accuratamente il reale, di classificarlo, per definire cosa appartenesse oggettivamente alla natura - e fosse dunque da di fendere e preservare - e cosa invece se ne discostasse, ne rappre sentasse una distorsione da curare o estirpare. Erano le categorie della normalità e della patologia, che dalla medicina esondarono presto verso le nascenti «scienze dell'uomo» che insieme alla scienza medica si applicarono subito all'individuazione delle dif ferenze tra maschile e femminile, nel tentativo di stabilire - an cora una volta oggettivamente - cosa fossero per natura gli uomi ni e cosa fossero per natura le donne47• Non solo di corpi quindi si trattava e si disquisiva, ma anche di comportamenti, di collo cazione e relazioni nei sistemi sociali. Il confine tra salute e pa tologia si estese nei suoi significati e nelle sue implicazioni fino ad assorbire quella che fino ad allora era stata la bussola, il crite rio di riferimento di ogni valutazione degli atteggiamenti indivi duali: il discorso normativa cattolico sul confine tra innocenza e p-eccato. 46 G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste ne ra ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari 2005. 47 Cfr. V.P. Babini, F. Minuz e A. Tagliavini, La donna nelle scienze dell'uo mo. Immagini de/femminile nella cultura scientifica italiana di/ine secolo, Fran
co Angeli, Milano 1986.
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Una natura non più creazione e dono di Dio ma meccanismo complesso in continua evoluzione, da sezionare e perfezionare in vece che fame oggetto di ammirazione e gloria: questa natura - se adeguatamente conosciuta - può fornire i nuovi parametri di giu dizio su chi è sano, chi affetto da mali curabili e dunque da sotto porre a opportuni trattamenti da parte di chi ne possiede le com petenze, chi infine è colpito da malattie prive di rimedio, ed è quindi da rinchiudere, emarginare, separare comunque dal mon do dei sani. n territorio del peccato viene così a restringersi: i comporta menti non conformi ai dettati di una morale i cui assunti domi nanti rimangono per ora quelli elaborati nei secoli dal cristianesi mo non sono più ascrivibili semplicemente alla libera volontà di scegliere il male, ma a nuove incapacità fisiologiche - più tardi psi chiche - che possono essere sottoposte a terapia oppure bollate senza riscatto. La cura si sostituisce alla redenzione, la strategia della colpa si affievolisce, e la Chiesa vede progressivamente sgre tolarsi uno strumento decisivo di dominio sulle coscienze. All 'inizio di questo processo, nella prima metà del XVIII se colo, le sue conseguenze non apparvero limpide neanche ai cat tolici più avvertiti; i quali comunque scelsero subito di rimanere aggrappati al concetto di peccato e di evitare l'uso delle categorie scientifiche come nuovi argomenti per orientare alla continenza i fedeli in balia di una prepotente sensualità. Ma la progressiva ero sione della categoria di peccato e il dilagare di quella di malattia renderà pian piano evidente un avvicendamento ben più signifi cativo: ciò che era rimasto indomato dal disciplinamento di ma trice religiosa - e più tardi non solo quello - sarà fatto proprio da un sistema medico-scientifico che si appresta a diventare una nuo va, autonoma, agenzia normativa. A cominciare dal peccato che la Chiesa aveva maledetto e in sieme dissimulato: quello di Onan. La masturbazione moderna ha scritto uno studioso che le ha dedicato un'importante ricerca48 - possiede una data d'inizio di una precisione rara nella storia del la cultura. Era il 1 7 12 quando fu pubblicato a Londra un opu scolo il cui titolo può essere tradotto così: Onania; ovvero l'odio48 T.W. Laqueur, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione a cura di V. Lingiardi e M . Luci, Il Saggiatore, Milano 2007.
(2003 )
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so peccato dell'autopolluzione, e tutte le sue spaventose conseguen ze per entrambi i sessi, con consigli spirituali e materiali per coloro che si sono già rovinati con questa pratica abominevole. E opportu ni avvertimenti ai giovani della nazione di ambo i sessi. . . L'autore, anonimo, è stato identificato da Thomas Laqueur inJohn Marten, un chirurgo empirico che si proponeva principalmente scopi commerciali: vendere tinture e polveri di sua fabbricazione che avrebbero sconfitto l'odiosa tentazione. li successo del libretto andò ben oltre quello di testi analoghi che in quegli anni circola vano offrendo descrizioni minuziose di organi e attività sessuali e soddisfacendo così tanto la sete di conoscenza quanto la ricerca di sollecitazioni erotiche, al punto da essere definiti pornografia medica49• Onania fu ristampato più volte lungo tutto il Settecen to, diffondendo un nuovo termine per nominare la masturbazio ne; termine che fu ripreso nel trattato di uno dei più importanti medici francesi, Samuel-Auguste Tissot, che scrisse una prima versione in latino nel 1758 e una seconda in francese, l}onanisme, pubblicata a Losanna nel 17 60. Gli argomenti di Tissot non sono affatto nuovi, dato che sem brano limitarsi a riformulare in termini medici proibizioni e mi nacce espresse nei secoli precedenti in chiave teologica. Ma lo slit tamento è compiuto: le conseguenze dell'onanismo riguardano ormai la macerazione del corpo e non la dannazione dell'anima, e la descrizione di tormenti infernali ha il suo scenario nella vita ter rena. A partire dalla tradizionale teoria degli umori la dissipazio ne del seme provocherà una debolezza mortale. Ancora poco per gli altri scienziati che per tutto l'Ottocento riprenderanno le teo rie di Tissot attribuendo alla masturbazione infinite malattie: pu stole orrende, febbri violente, fino alla tubercolosi spinale e all'e pilessia. Niente più dibattiti sul confine tra polluzione volontaria e in volontaria, un confine che tra Medioevo ed età moderna era sta to spostato di continuo per ampliare il margine di tolleranza ver so una propensione incoercibile-5°; niente più indagini discrete dei confessori. L' onanismo è divenuto malattia mortale da curare con ogni mezzo. E a elaborare sistemi di cura e repressione si appli49 '°
Cfr. R. Muchembled, L'orgasmo in Ocddente, cit., pp. 145 sgg. Cfr. supra, cap. IV.
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cano in molti, gareggiando - loro, gli addetti alla cura - in fanta siose perversioni, che risuonano di strane assonanze con le morti ficazioni cui si sottoponevano i monaci medievali: mani legate al la testata del letto o costrette in una specie di camicia di forza du rante la notte; apparati genitali stretti in cinture di castità; canali dell'uretra cauterizzati e mantenuti in uno stato di costante in fiammazione così da rendere dolorosissimo ogni toccamento; am putazioni della clitoride; applicazione agli uomini di congegni con allarme elettrico in caso di erezione; utilizzo di anelli provvisti di punte acuminate pronte a conficcarsi nel membro eretto51 • Non sono solo i medici ormai i responsabili di un così violen to accanimento terapeutico: altre scienze tra Settecento e Otto cento si applicano a mettere a punto un sistema morale - e all'in terno di questo una visione della sessualità - che mette al suo cen tro priorità inedite. Parte integrante di un ordine naturale cono scibile e manipolabile, il corpo umano è un meccanismo delicato, deperibile, che funziona grazie a complicati flussi di energia. Un'energia che deve essere dunque preservata, risparmiata, non dissipata in atti sessuali inconsulti e insani. Molti storici hanno sottolineato nei loro studi il carattere economico della morale ses suale messa a punto dalle borghesie nascenti tra Settecento e Ot tocento; nella cultura dell'epoca - scrive Robert Muchembled «il corpo è pericoloso. Però, non più perché allontana dalla sal vezza eterna, ma perché costituisce un capitale, una meccanica da gestire per trarne il miglior profitto [. . . ] . L'educazione dei sensi ha dunque come obiettivo il risparmio. La cultura medica alimenta il timore che 'le perdite' portino ineluttabilmente al trapasso, co me è accaduto all'uomo che ha assunto una pozione afrodisiaca contenente polvere di cantaride. 'Lo stolto ha ottantasette rap porti con la moglie quella notte, spande inoltre molto sperma nel suo letto. Cabrol, chiamato il mattino per curarlo, vede questo no vello Ercole, ancora più famoso dell'eroe che aveva meravigliato l'Antichità, avere ancora tre eiaculazioni successive strofinandosi sulla testiera del letto. La morte mette fine a questa crisi eroti ca'»52. L'economia biologica e sociale è offesa da tanto sperpero, da un'incapacità di autoregolazione che contraddice l'emergente 51
52
Cfr. Muchembled, L'orgasmo in Occidente, cit., pp. 230-232. lvi, p. 222.
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esaltazione del mercato: se grazie al mercato infatti anche gli atti di avidità e di soddisfazione dei desideri individuali potevano tra sformarsi nel bene generale in quanto motore che alimenta l'inte ra imprenditorialità, gli eccessi sessuali - e tra questi soprattutto la masturbazione - rappresentavano l'unica forma di ricerca del piacere che sfuggiva a ogni autocontrollo, per di più improdutti va e assolutamente gratuita. È meglio, scrisse il medico e pensa tore Bernard Mandeville, che i ragazzi frequentino i bordelli an ziché commettere stupri contro i loro stessi corpP3• La prostituzione acquista così una rilevanza strategica: la nuo va morale sessuale che dal Settecento si diffonde per dominare fi no agli ultimi decenni del secolo scorso conserva infatti gli assetti di quella cattolica messa a punto in età moderna, ponendo al suo centro la relazione matrimoniale. Nello stesso tempo tuttavia ope ra una dislocazione decisiva: il piacere - che il cattolicesimo pre scriveva, insegnava, cercava di garantire nella copula coniugale è collocato ora fuori del matrimonio. La rigida distinzione fra i sessi, e dentro i sessi, fra sani e depravati/malati impone che le donne oneste e sposate siano frigide. L'amplesso coniugale è an cora, e ancora più rigidamente, procreativo, mentre le donne di soneste/ninfomani sono nei bordelli, dove si costruisce il nesso in dissolubile tra piacere e malattia. Già Agostino, pur sempre condannandolo come peccato or rendo, aveva associato il meretricio a una cloaca che «impedisce che l'intero palazzo sia lordato dagli escrementi»54; ora l'immagi ne viene ripresa e perfezionata da chi ha dawero tutti i titoli per riproporla. Nel 1836 Alexandre Parent-Duchihelet, medico e i gienista, dopo essersi a lungo occupato del funzionamento delle fogne di Parigi, scrive De la prostitution dans la ville de Paris, con sidérée sous le rapport de l'hygiène publique, de la morale et de l'ad ministration55; il corpo della prostituta è davvero la fogna del se" B. Mandeville, Modesta dz/esa delle pubbliche case di piacere ( 1724), tra duzione e note di F. Bande! Dragone, Passigli, Firenze 1998. �4 Cfr. supra, cap. IV. " A.-J.·B. Parent-Duchatelet, De la prostitution dans la ville de Paris, con
szdérée sous le rapport de l'hygiène publique, de la morale et de l'administration: ouvrage appuyé de documens statistiques... par A.-].-B. Parent Duchatelet; précédé d'une notice historique sur la vie et !es ouvrages de l'auteurpar Fr. Leuret, Société beige de librairie Hauman, Cattoir et C., Bruxelles 1836.
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me maschile, e come tale va mantenuto pulito, sano e separato da gli altri corpi femminili. Organizzato quindi, e regolato da norme efficienti, e sorvegliato da apposite figure di controllo. È la sanzione pubblica del passaggio dal proibizionismo alla tolleranza. Fino al Settecento infatti il meretricio era ufficialmen · te condannato anche dalle autorità civili e perseguito con editti tanto reiterati quanto evidentemente inutili. Tra il XVI e il XVIII secolo, per esempio, vennero emanate nel Regno di Napoli ben sedici Prammatiche, le quali prevedevano per chi esercitasse o fa vorisse il meretricio la frusta, l'esilio, la galera, il taglio del naso56• E due Prammatiche, rispettivamente del 1734 e del 1737, inten devano colpire anche gli affittuari delle case ove si esercitava la prostituzione, la prima vietando semplicemente l'affitto, e la se conda introducendo pesanti disincentivi economici: il contratto d'affitto sarebbe stato nullo, le meretrici sarebbero state esonera te dall'obbligo di pagare la mercede, le case stesse avrebbero po tuto essere confiscate57• E il Bando per li vagabondi e per le putta ne cassariote, emanato in Sicilia dal viceré principe di Caramani co nel maggio 1793, ripristinava le Prammatiche sul lenocinio va rate più di due secoli prima, tra il l5 15 e il 1553 , proibendo alle donne di girare per strada di notte e di affittare case di persone oneste, minacciando la frusta e la rasatura delle ciglia e condan nando gli uomini trovati in compagnia di prostitute all'esilio, o al la frusta, o al carcere58• Ma con il passaggio all'Ottocento un cambiamento rapido in veste gli assetti normativi, gli apparati di controllo, la percezione stessa del fenomeno e dei suoi protagonisti. La meretrice-fogna descritta da Parent-Duchatelet è il vaso in cui viene depositato quell'eccesso fisiologico di liquido spermatico prodotto da corpi maschili privi di vasi legittimi in cui deporlo: celibi, militari, gio� 6 Pragmatica edicta decreta interdicta regiaeque sanctiones Regni neapolita ni. De Meretridbus, Napoli 1772, citato in L. Valenzi, Donne, medici e poliziot ti a Napoli nell'Ottocento. La prostituzione tra repressione e tolleranza, Liguori,
Napoli 2000, p. 24. '7 lvi, p. 25. ' 8 Archivio di Stato di Palermo, Ministero e Rea! Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale delle due Sicilie - Polizia, p. 408, doc. 1060, citato in G. Fiume, Le patenti di infamia. Morale sessuale e igiene soda/e nella Sidlia del l'Ottocento, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», n. 17, 1886, pp. 78-79.
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vani altrimenti preda della tentazione masturbatoria. L'immagine tuttavia è già arretrata rispetto ai mutamenti in corso: perché or mai assidui e regolari frequentatori delle prostitute stanno diven tando i mariti. Insoddisfatti dell'algido talamo coniugale e bra mosi di piaceri negati dalle caste spose legittime. La promiscuità è forte, e va esorcizzata. Se la frequentazione delle meretrici non appartiene più a determinate fasi della vita, ma è esperienza che attiene alla quotidianità di mariti e padri di fa miglia che possono passare dai luridi e contaminati panni del gia ciglio delle prostitute al nitore della biancheria di casa, allora il confine tra piacere e castità deve essere demarcato - concreta mente e simbolicamente - con strumenti nuovi ed efficaci. Sul piano normativa, la definizione scelta senza più ipocrisie per i nuovi sistemi di controllo dà un nome, tolleranza, all'atteg giamento che ha preso il sopravvento: comincia il Regolamento napoleonico del 1 802, che prevede registrazioni, visite mediche e maisons de tolérance; nel 1 820, a Palermo, la Direzione generale di polizia, appena istituita, crea le «patenti di tolleranza», docu menti che servono a censire le prostitute non occasionali. Tali do cumenti devono essere vistati ogni dieci giorni dall'ispettore ad detto e dal «chirurgo visitatore»: la visita medica praticata nell'o spedale è pubblica e obbligatoria, pena l'arresto, e serve a verifi care l'esistenza di malattie veneree59• Nel corso dell'Ottocento il regolamentarismo si diffonde in tutta Europa, in un susseguirsi di disposizioni che si propongono infinite garanzie: la garanzia dei diritti e dei profitti di chi gestisce i bordelli, la garanzia di una se parazione senza ambiguità tra donne oneste e donne perdute, la garanzia dell'igiene e dell'impossibilità del contagio. Sul piano operativo, si afferma e si struttura il connubio così sottilmente analizzato e ipostatizzato dagli studi di Michel Fou cault: quello tra medico e poliziotto. Un connubio che in una ge rarchia tutta implicita unisce chi - il poliziotto - ha il compito di controllare i comportamenti socialmente pericolosi e chi - il me dico - ha le competenze per collocare tali comportamenti nella devianza consapevole e colpevole o in una malattia che si distri buisce su vari gradi di innocenza e di curabilità. Anche il Regola59
lvi, p. 79.
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mento sulla prostituzione, detto Regolamento Cavour, promulgato nel 1 860 tra i primi prowedimenti legislativi dello Stato italiano, impone la visita forzata: «La visita, in quel dispensario, si fa con mirabile celerità», riferisce il medico Agostino Bertani criticando tale disposizione. «li medico, estratto lo speculum da una, appe na lo striscia su una spugna inzuppata d'olio e lo applica ad un'al tra. Dopo 50 visite all'incirca la spugna è carica di muco e di san gue, ma il medico imperturbabile continua. E con pari celerità si procede visitando la bocca introducendovi una spatola che, nel l'istantaneo passaggio da una bocca all'altra il medico striscia sul suo grembiale»60• E poiché, per esempio a Bologna - continua Mary Gibson -, attraverso quelle ispezioni fu trovato infetto solo il 17% delle donne controllate tra il 1 864 e il 1 886, per l'altro 83 % la visita medica forzata rappresentò essenzialmente un «rito di ini ziazione» per l'ingresso in un bordello. Se il controllo medico si aggiungeva alla registrazione e alla re clusione nei bordelli per caratterizzare la politica degli Stati laici nei confronti della prostituzione, tale politica si mostrava invece priva di uno dei tratti costitutivi dell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso le meretrici: la tensione al recupero, il progetto di redimere, di salvare l'anima delle donne cadute togliendole dal peccato e garantendo loro una sussistenza fatta di pentimento e di speranza. Nell'organismo sociale congegnato dalle borghesie ot tocentesche le prostitute svolgono un ruolo «igienico» essenziale e devono dunque essere disponibili in abbondanza; non bisogna redimerle ma solo mantenerle sane e pulite, registrate e chiuse in luoghi ben separati dai territori - anch'essi ben delimitati - ac cessibili alle oneste spose e madri. Classificare e separare è ormai attività quotidiana di una scien za medica in cerca di ambiti sempre più vasti su cui dispiegare la propria capacità disciplinatrice. E all'interno di una sessualità concepita come interesse pubblico altre figure vengono costruite per definire e isolare ogni inclinazione e ogni comportamento che 60 A. Bertani, La prostituzione patentata e il regolamento sanitario: Lettera ad Agostino Depretis, Quadrio, Milano 188 1 , citato in M. Gibson, Medici e poli ziotti. Il Regolamento Cavour, in «Memoria. Rivista di storia delle donne», n. 17, 1886, pp. 92-93; si veda anche Ead., Stato e prostituzione in Italia 1860-1915, Il Saggiatore, Milano 1995.
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si discosta dal «normale» esercizio della copula coniugale e della copula mercenaria. Per tutta l'età moderna la sodomia era il «vizio nefando», la colpa abominevole di cui tutti i fedeli potevano macchiarsi senza per questo compromettere un'identità sessuale che trovava altro ve i suoi parametri costitutivi61 • Nei primi decenni del Settecento nacquero a Londra le molly houses, ritrovi specializzati per chi preferiva avere incontri sessuali con persone dello stesso sesso e prime enclaves di una sottocultura fiorente. I frequentatori delle «case per effeminati» vi si recavano spontaneamente per trovarvi soddisfazioni molteplici - vi si praticava per esempio anche la fla gellazione - e forse anche l'armonia di un'appartenenza ancora in embrioné2• È sempre difficile e controverso stabilire la data di nascita di un atteggiamento culturale, e il dibattito storiografico sulla nasci ta dell'omosessuale moderno è ancora aperto63; è possibile però ritenere che le molly houses, pur offrendo ai propri visitatori il ger me di una nuova percezione di sé e di una nuova cultura, non ge neravano allarme sociale, non sembravano minacciare un ordine dei sessi che si andava costruendo in forme sempre più rigide e violente. n labeling, la collocazione dei sodomiti in una specie autono ma - non più da condannare soltanto per i suoi atti immorali, ma da studiare e perseguire per la sua identità perversa -, avvenne più tardi, verso la fine dell'Ottocento, per la convergenza di due pro cessi: uno, maturato in ambito giuridico anche sotto l'influenza della nascente antropologia criminale, faceva slittare il giudizio e la condanna dall'atto, isolato nella sua circostanzialità, all'indivi6!
Cfr. supra, cap. IV. Cfr. R. Norton, Mother Clap's Molly House: The Gay Subculture in En gland, 1 700-1830, GMP, London 1 992, e Muchembled, L'orgasmo in Occiden te, cit., p. 177. 6 3 Tra le diverse posizioni al riguardo cfr. }. Weeks, Against Nature: Essays on History, Sexuality and Identity, Rivers Oram, London, 199 1 ; The Making o/ Modern Homosexual, a cura di K. Plummer, Rowman & Littlefield, London 1981; M. Duberman, M. Vicinus e G. jr Chauncey, Hidden /rom History. Re claiming the Gay and Lesbian Past, Meridian, New York 1980; R. Norton, The 62
Myth o/the Modern Homosexual: Queer History and the Search /or Cultural Unii, Cassell, London 1997.
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duo, portatore di uno stigma vizioso e criminale nell'insieme dei suoi comportamenti; il secondo, risultato della fusione dell' ap proccio medico, biologico e psichiatrico, componeva corpi e ca ratteri in figure sociali marchiate da anomalie molteplici, tutte in dirizzate verso un'aberrante inversione sessuale64• Un'inversione che presto avrebbe trovato nei progressi scientifici la via per esse re sanata. Nella gara ingaggiata per individuare l'origine dell'anorma lità, anatomia ed endocrinologia si contendevano fantasiosamen te il primato: secondo Paolo Mantegazza l'omosessualità deriva va «da un'anomalia anatomica che indirizzava i nervi spinali, de stinati alla voluttà, non verso gli organi genitali ma verso il retto. Anche i pederasti attivi avevano un'anomalia che li portava a de siderare di sentire il penis circumclusum (desiderio di strettezza). L'origine della sodomia era quindi da ricercare nei centri nervo si»65. Maggiore seguito e prestigio ottenne l'approccio endocrinolo gico; offrendo una sintesi felice delle teorie lombrosiane, dell'or ganicismo e della teoria della bisessualità di Otto WeiningerM, gli endocrinologi ritenevano che l'omosessualità derivasse da un'a nomalia congenita che si manifestava in alcune disfunzioni ormo nali. Le applicazioni di tale teoria furono entusiastiche e racca priccianti: il fisiologo Eugen Steinach compì a Vienna molte ri cerche sui testicoli degli omosessuali prima di procedere alla loro castrazione e all'innesto su di essi di testicoli di persone eteroses suali. I risultati dei suoi esperimenti - compiuti in collaborazione con il collega Robert Lichtenstern - furono celebrati dall'italiano Ferdinando De Napoli: Sono notevoli specialmente i risultati ottenuti da Lichtenstern su gli omosessuali. Egli li ha fatti tornare come gli altri uomini del loro sesso; li ha fatti agire, pensare, amare come questi, normalmente (e noi
64 M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), a cu ra e traduzione di V. Marchetti e A. Salomoni, Feltrinelli, Milano 2004. 6' P. Mantegazza, Gli amori degli uomini. Saggio di una etnologia dell'amo re, Milano, s.d., citato in L. Benadusi, Il nemico dell'uomo nuovo. L'omosessua lità nell'esperimento totalitario fascista, Feltrinelli, Milano 2005, p. 54. 66 O. Weininger, Sesso e carattere, Fratelli Bocca, Torino 1912.
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vedremo quanto diversamente agiscono non nella sola sfera sessuale, ma in tante manifestazioni spirituali, questi poveri invertiti ! ) . Li ha re si diversi con l'innesto della materia buona, dopo di aver asportata la materia non buona, anormale e difettosa, per cui questi infelici, per lungo tempo, apparvero come malati di mente o, peggio ancora, furo no giudicati viziosi. Non è dunque la materia che domina, che in fluenza, che guida e che piega anche lo spirito?67
Non potevano scegliersi toni più trionfali: scientismo positivi sta e materialismo dimostravano finalmente la possibilità di ma nipolare non soltanto i corpi ma anche le emozioni e i sentimen ti; e dunque di ridisegnare la geografia del vizio e dell'innocenza, del condizionamento e della libera scelta. Gli omosessuali sono ta li per tare congenite: sono dunque incolpevoli e soprattutto cura bili. La scienza medica è in grado di governare e ripristinare l'or dine dei sessi. La competizione con la visione cattolica del sodomita come peccatore responsabile del proprio vizio è esplicita e agguerrita; l'antagonismo dei medici appare così ben più aggressivo di quel lo dei giuristi, che fra Ottocento e Novecento in Italia si ritrasse ro per ben due volte dall'intervento sull'omosessualità. Con mo tivazioni solo in parte diverse, i redattori del Codice Zanardelli del 1889 e quelli del Codice Rocco del 193 1 rinunciarono a persegui re specificamente i comportamenti omosessuali. Per i giuristi li berali lo Stato non doveva invadere i territori della morale, e gli atti di libidine contro natura dovevano essere puniti solo se com portavano violenza o pubblica offesa al pudore, altrimenti dove vano essere abbandonati «come peccati alla sanzione della reli gione e della privata coscienza»68. Con il risultato che l'introdu zione del codice unitario estese a tutta l'Italia la depenalizzazione dell'omosessualità, perseguita invece nel Lombardo-Veneto e nel Regno di Sardegna. Gli argomenti dei legislatori fascisti erano soprattutto di ca rattere estetico: pur dopo un lungo dibattito, decisero che l'intro67 F. De Napoli, Sesso e amore nella vita dell'uomo e degli animali, vol. I, Fra telli Bocca, Torino 1927, pp. 192-193, citato in Benadusi, Il nemico dell'uomo nuovo, cit., p. 58. 68 lvi, p. 1 02.
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duzione dell'omosessualità come reato a sé stante avrebbe offer to agli stranieri l'immagine di una nazione popolata di pervertiti e bisognosa dunque di una esplicita tutela da parte della legge. Me glio il silenzio allora, e una delega forte alla Chiesa sulla preven zione e sul controllo di tale turpitudine. Tra Ottocento e Novecento dunque le gerarchie ecclesiastiche furono costrette a costruire e affinare nuovi strumenti per gestire con efficacia sia il controllo dei comportamenti sessuali dei fede li sia l'interlocuzione con teorie e sperimentazioni che si stavano diffondendo nell'ambito della scienza medica. Lo fecero rinno vando l'impegno nella formazione dei confessori: perché l'omo sessualità - come ogni altro atto sessuale compiuto al di fuori del matrimonio - tornasse a essere fino in fondo un peccato da por tare al tribunale della penitenza e perché i sacerdoti sapessero ma neggiare con cognizione di causa concetti e terminologie che dal la comunità scientifica rischiavano di esondare verso strati sempre più ampi della società. Nel 1905 fu pubblicata la prima edizione di un testo più volte ristampato nei decenni successivi: la Medici na pastoralis in usum con/essariorum et curiarum ecclesiasticarum di Giuseppe Antonelli, corredato di tavole anatomiche esplicati ve, che dedicava pagine specifiche al tema dei rapporti contro na tura; pochi anni più tardi, nel 1910, padre Agostino Gemelli die de alle stampe, sempre in latino come era in uso nella Chiesa cat tolica soprattutto quando si trattava di questioni delicate dal pun to di vista morale e sessuale, il suo Non moechaberis. Disquisitio nes medicae in usum con/essariorum, che nel capitolo quinto trat tava De sexualibus aberrationibus earumque cura. Nel 193 0 infine, e finalmente in italiano, iniziò le pubblicazioni a Bologna la «Ri vista medica per il clero», il cui obiettivo era quello di fornire gli strumenti per comprendere il nesso tra malattia fisica e malattia morale. Un arduo compito attendeva i cattolici che si prefiggevano di illuminare quella terra di confine: soprattutto chi - come padre Gemelli - nel corso della prima metà del secolo avrebbe ap profondito da psicologo i suoi studi sulla sessualità, cercando da un lato di difendere il libero arbitrio dal determinismo biologico di stampo positivista, e dall'altro di riaffermare la dimensione spi rituale della castità in polemica con quello che all'epoca veniva de finito come il «pansessualismo» della psicoanalisi.
V.
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Proprio la psicoanalisi infatti andava nel frattempo elaboran do quella che sarebbe divenuta la rappresentazione dominante della condizione umana. La rivoluzione fu lenta ma irreversibile, e avvenne attraverso progressive dislocazioni, secondo un movi mento che riportava nell'anima quello che era stato appena loca lizzato nel corpo, e che ancora nell'anima, all'interno del sogget to, poneva l'origine e il senso della colpa e del castigo69• Osser vando i sussulti delle isteriche, Freud capì che le cause delle loro sofferenze andavano ricercate non in disfunzioni fisiologiche o in lesioni anatomiche, ma nei «nervi dell'anima», in conflitti fra de sideri e interdizioni che parlano al corpo attraverso il sintomo; capì che ogni desiderio trae direzione ed energia da pulsioni ero tiche risalenti alla prima infanzia; che l'interdetto posto al loro soddisfacimento ne provoca la rimozione, la quale a sua volta ge nera l' autorappresentazione del soggetto condizionandone la vo lontà e l'agire. La ricerca della verità attiene allora a un percorso interiore, che attraverso il disvelamento della rimozione recupera l'identità più profonda di ognuno. Per la psicoanalisi quindi la sofferenza continua - come nella religione e nella morale tradi zionale - a essere lontananza dalla verità, ma è lontananza da una verità interiore che non si raggiunge con il perdono e con la re denzione ma con il disvelamento e la conquista della coscienza. Un altro sapere dunque parla di verità ma esclude ogni asso luto, indica percorsi di conoscenza e di responsabilità che attra versano la decodifica e il dominio delle pulsioni; è il sapere più vi cino alla pluralità di opzioni e di progetti che la modernità di spiega all'individuo occidentale. 4. Rigenerare l'umanità? Questo cambiamento di mentalità, che ha segnato una frattu ra con la morale cristiana sia per quanto riguarda sia il matrimo nio sia il comportamento sessuale, non era solo provocato da fat tori culturali, ma anche dalla profonda trasformazione demogra69 Cfr. Il secolo della psicoanalisi, a cura di G. Jervis, Bollati Boringhieri, To rino 1999.
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fica delle società occidentali realizzatasi a partire dal 1750 e affer matasi decisamente dalla seconda metà del XIX secolo. A comin ciare da questo periodo, il miglioramento delle condizioni di vita ha consentito un allungamento della vita umana e, soprattutto, grazie all'adozione di norme igieniche e delle nuove medicine, un crollo della mortalità infantile e della mortalità per parto delle donne. Come scrive il sociologo francese Paul Yonnet, sono le donne e i bambini i grandi beneficiari di questa rivoluzione, un cambiamento che provoca anche importanti trasformazioni nel modo di concepire l'infanzia - il bambino diventa una persona e nella definizione del ruolo femminile, dal momento che non sa ranno più necessarie molte gravidanze per garantire un figlio vi vente, cosicché alle donne si apre la possibilità di impegnare in al tri campi la propria vita. La rivoluzione demografica, scrive Yon net, «è originata - fondamentalmente - dalla· coniugazione di un calo delle mortalità con una rivoluzione ideologica e culturale» che non solo avrà profondi effetti sul comportamento sessuale «ma arriverà a influenzare la formazione dell'io»70• il nuovo ordine della fecondità, per cui i bambini abbondano, fa nascere il desiderio di avere un bambino, cioè il desiderio di scegliere quando avere un figlio. Anche in questo campo, Rous seau, che abbandona all'orfanotrofio i cinque figli avuti dall'a mante - e non «desiderati» in quanto egli non si ritiene un «buon padre» - disegna la strada per tutti. L'abbandono dei figli non de siderati, che aumenta costantemente nel corso del XIX secolo, co stituisce infatti, secondo Yonnet, la prima forma di scelta: perché esista il bambino desiderato, deve esserci quello rifiutato. All'ab bandono si sostituiranno ben presto, come fenomeno di massa, la contraccezione e l'aborto, ma le motivazioni sono sempre le stes se: non più l'accettazione naturale della discendenza ma, come di ce Rousseau, la decisione di tenere un figlio o no si basa sullo sta to della coppia, e sulla capacità dei genitori di soddisfare le pro prie attese di fronte ai figli che desiderano avere. Questa rivolu zione non si limita a programmare le nascite in proporzione al ca lo della mortalità, ma va oltre, come dimostra il fatto che nei pae si occidentali l'incremento demografico è sceso al di sotto del rin70 P. Yonnet, Le recul de la mort. L'avènement de l'individu contemporain, Gallirnard, Paris 2006, p. 143 .
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novo generazionale. La «ritirata della morte», infatti, ha liberato delle aspirazioni che non sono più legate all'equilibrio della spe cie o all'equilibrio della società, né agli interessi di sopravvivenza di un gruppo sociale, ma solo ai desideri individuali, che saranno al centro di una nuova dinamica. L'aborto volontario si diffonde solo in questo periodo come pratica di massa nelle società umane, scrive Yonnet71, grazie alla scoperta dell'asepsi e degli antibiotici - prima l'aborto era troppo rischioso, ed era più sicuro invece abbandonare il bambino - e co mincia a essere legittimato dall'accettazione sociale della regola morale del bambino desiderato. La prima fase di questo cambiamento inizia nel XVIII secolo, quando si diffonde come forma di controllo delle nascite l'abitu dine a ritardare la data del matrimonio, comportamento diffuso con cui i Paesi occidentali di tradizione cristiana cominciano a dif ferenziarsi dal resto del mondo. È chiaro che questa nuova economia familiare porta a una cri si della morale tradizionale, che non scompare, ma che si rifor mula intorno ai valori dell'autenticità del legame: «non è perché le relazioni sessuali prima del matrimonio sono immorali che so no proibite, è perché minacciano l'equilibrio demografico che so no dichiarate immorali», afferma Yonnet72, e conclude sostenen do che, con l'accettazione e la diffusione del controllo delle na scite, la società occidentale inventa una nuova morale, centrata sul figlio desiderato, che non ha più bisogno della protezione del ma trimonio, della maschera del conformismo sociale. Il controllo delle nascite viene proposto pubblicamente nelle società occidentali per la prima volta da Francis Piace, un operaio inglese impegnato nella politica, che stampa nel 1822 un breve trattato sui metodi anticoncezionali. Al libro vennero affiancati dei manifesti, rivolti «ai coniugati di ambo i sessi», che illustrava no tecniche anticoncezionali semplici e di facile impiego, come la spugna vaginale e il coito interrotto. Lo sfondo teorico con cui Piace giustifica la sua propaganda è utopistico - il controllo delle nascite permetterà di debellare la povertà e di migliorare il teno re di vita delle masse -, così come utopista era l'altro pioniere del71 Cfr. Yonnet, Le recul de la mort, cit., p. 1 65. 72 lvi, p. 1 90.
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la contraccezione, il filantropo Robert Owen, e questa tensione utopica rimarrà una caratteristica di tutta la propaganda anticon cezionale, almeno fino alla metà del Novecento. Un'altra caratte ristica del movimento di controllo delle nascite è lo stretto legame con i movimenti anticlericali e di propaganda dell'ateismo, come quello del Libero pensiero, e con gli evoluzionisti che sosteneva no la necessità di una selezione eugenetica per accelerare l'evolu zione della specie umana. Ritroviamo tutti questi elementi nei due protagonisti di un processo che si tenne a Londra fra il 1 877 e il 1879 per la pubbli cazione e la diffusione di un opuscolo di informazioni anticonce zionali compilato da un medico, George Drysdale, fondatore del la Lega neomalthusiana: Charles Brandlaught, giornalista e capo della National Secular Society, associazione che si proponeva co me obiettivo la predicazione dell'ateismo, e la sua stretta collabo ratrice, Annie Besant. Entrambi furono assolti, e il processo die de grande risonanza alla loro iniziativa, che poi la Besant sfruttò pubblicando un opuscolo più aggiornato - Law o/Population - di larga diffusione, ristampato più volte e tradotto in varie lingue. In questi anni il movimento neomalthusiano si diffonde rapidamen te in tutta Europa, attraverso reti socialiste ed evoluzioniste - che spesso coincidevano - in sintonia con le teorie eugenetiche. I neomalthusiani, per affrontare questo tipo di problema, sen tivano il bisogno di una giustificazione etica, e presentavano per tanto il controllo delle nascite come una pratica eugenetica, inte sa come speranza di rigenerare l'umanità: «allo scopo dunque di migliorare il tipo fisico umano, il materialismo scientifico doveva proibire la procreazione alle persone non perfettamente sane, re stringendo la prole nei limiti consentiti dalla buona salute della madre, ed imporre il dovere di non mettere al mondo dei figli quando non è possibile fornire ad essi le condizioni di buon alle vamento», scrive Annie Besant73• La Besant parla apertamente «del dovere umano di cooperare razionalmente con la natura del l'evoluzione» per costruire una società perfetta, nella quale - eli minate le ragioni della sofferenza - il dolore sarebbe scomparso. D A. Besant, Autobiografia, prefazione di L. Scaraffia, Le Lettere, Firenze 2002, p. 194.
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La motivazione al controllo delle nascite veniva ricondotta, quin di, alla necessità «superiore» di rigenerare l'umanità. n concetto di «rigenerazione», il cui significato originario era legato al battesimo cristiano, viene considerato una possibilità umana a partire dalla Rivoluzione francese, fino a diventare un to pos del lessico giacobino. Si sposa perfettamente poi con la con cezione darwiniana della storia, secondo cui la società tende a tra sformarsi costantemente in senso positivo. Si può ben capire, quindi, come questo termine venga utilizzato ampliamente dai movimenti neomalthusiani favorevoli al controllo delle nascite: nel 1900 la Lega internazionale neomalthusiana - fondata dai pro pagandisti George Drysdale, Paul Robin e Johannes Rutgers prese il nome di Ligue pour la régéneration humaine. Ma già Ro bin, nel 1890, aveva fondato la Ligue de la régéneration humaine, che aveva come motto «bonne naissance-éducation intégrale», apertamente femminista, e che pubblicava la rivista , il promotore svizzero, Robert Bovet, in un articolo intitolato Éloge du mariage impar/ait48• In Italia un gruppo che si riallaccia a questa tendenza è la Pro Civitate Chri stiana, la Cittadella di Assisi, e la sua rivista «Rocca>> si apre a di scutere questioni come l'indissolubilità del matrimonio, le tecni che anti-fecondità e l'educazione sessuale. Si parla anche di fem minismo, e si discute il caso della «Zanzara» - il giornale studen tesco del liceo Parini di Milano dove un articolo aveva rivelato una pratica abbastanza disinvolta di rapporti prematrimoniali fra le studentesse - sostenendo «un'educazione positiva alla sessua lità»49. Attento a questi temi era anche il centro Idoc, nato du rante il Concilio, che pubblica una collana di libri fra cui compa re anche Diritti del sesso e matrimonio (pubblicato in prima edi zione nel marzo 1968), testimonianza di come anche le nuove ge nerazioni cattoliche avessero assorbito la cultura laica dominante: La Chiesa dopo il Concilio Vaticano II è impegnata in diversa mi sura nei confronti dei problemi del sesso, del matrimonio, del con trollo delle nascite. In una società che respinge l'ipocrisia ed esige l' au tenticità, la scottante tematica dell'amore va affrontata in modo per sonale ed esistenziale. Se il cattolicesimo non sceglierà la strada del dia logo più aperto il solco che divide i fedeli dalla gerarchia ecclesiastica e la Chiesa dal mondo moderno si allargherà sempre di più. La parte più viva della cattolicità vuole affrontare i problemi della vita intima dell'uomo e della donna, della famiglia, della procreazione, con co raggio e schiettezza e abbattere i tabù che hanno distorto il nostro giu dizio.50
47
Ibid.
48 Cfr. ivi, p. 82. 49 lvi, p. 84. 50 lvi, p. 85.
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Già prima della seconda guerra mondiale, in alcuni paesi eu ropei si erano alzate voci autorevoli, come quella del padre do menicano Benedetto Lavaud, professore di teologia all'Università di Friburgo, a favore di un rinnovamento radicale della teoria dei fini del matrimonio, valorizzando il secondo fine, l'unione fra i co niugi, invece della procreazione, messa al primo posto da sant'A gostino e san Tommaso. Anche un gesuita francese, padre Boige lot, conferma la necessità di precisare le relazioni fra i due fini, e il 10 aprile 1 94 1 , in un discorso al tribunale della Sacra Rota, Pio XII risponde che il fine secondario è legato al primario da un le game di subordinazione, giudizio ripetuto il 1 ° aprile 1 944 da un decreto del Sant'Uffizio e, come abbiamo visto, nel suo celebre discorso alle ostetriche nel 1 95P1• Ma in questa occasione il pa pa apporta una nuova e importante precisazione: i due fini erano da considerarsi inseparabili, cioè l'amore coniugale era. a servizio della procreazione e l'attività procreatrice non poteva essere se parata dalla relazione personale fra gli sposi. E nel sostenerlo ab bandonava il vocabolario del diritto canonico che definiva il fine secondario come «aiuto reciproco» e «rimedio alla concupiscen za» per riconoscere «tutto ciò che c'è di buono e di giusto nei va lori personali che risultano dal matrimonio e dalla sua realizza zione»52 . Giovanni XXIII, tre mesi prima di morire, nel marzo del 1 963 , suscitò speranze nuove con la nomina di una piccola commissio ne di teologi - alcuni esperti di demografia - incaricati di studia re con calma il tema del controllo delle nascite sia dal punto di vi sta demografico che da quello dell'etica coniugale. Una prova, se condo il giornalista Giancarlo Zizola, che egli «considerava pro blema ciò che era comunemente considerato, a parte un piccolo gruppo di teologi, ancora una verità di fede»53. li nuovo papa Paolo VI, desideroso di arrivare a un accordo unanime sul pro blema, nel 1 964 allarga la commissione, che viene così a com5 1 Si veda in proposito Sevegrand, L'amour ou !es deux/ins du mariage, cit., p. 178. 52 Pio XII, Discorso alle ostetriche, cit., p. 849. 53 G. Zizola, Genesi dell'enciclica «Humanae vitae», in G. Zizola, A. Zarri, G. Gozzer e P. Donizetti (a cura di}, La questione della pillola, Mursia, Milano 1969, p. 2 1 .
VI. Competizione e conflitti
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prendere venticinque teologi, fra cui due vescovi, diciannove de mografi, sociologi ed economisti, dodici medici e infine - innova zione importante - tre coppie (una canadese, una americana e una francese) . Il Terzo Mondo contava tredici rappresentanti su qua rantaquattro membri europei e nordamericani e - altro aspetto nuovo e importante - i laici erano in maggioranza in rapporto al clero e ai religiosP4 • Ma il dibattito ormai si era aperto presso l'opinione pubblica, rivelando all'esterno gli aspri conflitti interni alla Chiesa stessa su questo tema. Anche per questo, nel giugno 1 964, Paolo VI an nunciò che aveva deciso di sottrarre al dibattito conciliare le que stioni relative al controllo delle nascite. Ai padri conciliari venne lasciata solo una parte del problema, quella relativa al rinnova mento della morale coniugale, tema che darà occasione ad alcuni di loro di parlare esplicitamente di amore nel 1964, durante la ter za sessione del Concilio. «Bisogna assolutamente proporre l'amo re coniugale come un vero fine del matrimonio», dice il cardinale Léger, arcivescovo di Montréal, e con lui concordano il cardina le Suenens, arcivescovo di Bruxelles, e il cardinale Alfrink, arci vescovo di Utrecht, mentre nel dibattito che segue si oppongono i cardinali di Curia, e in particolare Ottaviani e Browne, che di fendono la dottrina tradizionale. Ancora più netta la demarcazione fra i padri conciliari riguar do i mezzi di controllo delle nascite, questione su cui Suenens, considerato portavoce delle correnti più aperte, afferma con chia rezza: «Seguiamo i progressi della scienza. Vi scongiuro, padri, evitiamo un nuovo processo a Galileo. Uno basta alla Chiesa»55 • La lotta fu particolarmente aspra, e si risolse solo in seguito a un intervento di Paolo VI nel 1964, che propose di mantenere la dot trina dei due fini, primario e secondario, dottrina che non appa riva nella prima versione del testo conciliare. Si palesò quindi apertamente la forte divergenza fra la maggioranza conciliare de siderosa di affermare la grandezza dell'amore coniugale e un pa pa teso a mantenere l'insegnamento tradizionale. Ma la costitu zione conciliare Gaudium et Spes, votata nel dicembre 1965, nel 54 M. Rouche, La préparation de l'enryclique «Humanae vitae>>, in Pau! VI et la modernité dans l'Église, École française de Rome, Roma 1 984, pp. 361-384. 55 Zizola, Genesi dell'enciclica «Humanae vitae>>, cit., p . 25.
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capitolo consacrato al matrimonio non parla dei due fini, e so prattutto della loro gerarchia. n testo conciliare, rompendo deci samente con la teoria del remedium concupiscentiae del diritto ca nonico, si sforzava infatti di restituire tutto il valore alla vita ses suale degli sposi e al dialogo fra i corpi: «Gli atti che realizzano l'unione intima e casta degli sposi sono degli atti onesti e degni. Vissuti in una maniera veramente umana, essi significano e favo riscono il dono reciproco attraverso il quale gli sposi si arricchi scono vicendevolmente nella gioia e nella riconoscenza»56• Come scrive il gesuita Mattheeuws, questo testo conciliare, in un'ottica influenzata dalla filosofia personalista, testimonia «la cancellazio ne del linguaggio della finalità» e