Ewa Wipszycka Storia della Chie a nella tarda antichità
Brtlno Mondadori
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Ewa Wipszycka Storia della Chie a nella tarda antichità
Brtlno Mondadori
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Ewa Wipszycka Storia della Chiesa nella tarda antichità Traduzione di Vera Verdiani Scelta e commento delle immagini di Eli bieta Jastrz�bowska
La. traduzione di questo libro è stat:� finanziata dal © POLAND Po.li$h Literary Fund, istituito dal Ministero delta Culmra e delle Arti della Repubblica polacca.
Titolo originale: Kofcidl
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i ego amyku iwiecie pcin
Tutti i diritti riservati © 2000, Paravi a :Bruno Monda dori Editori Traduzione dal polacco di Vera Verdiani
È vietata la riproduzione, anche par.dale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non auto.rizzaw. L'editore potrà concedere a pagamento l'nutorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vrumo inoltrate a: Associazione Italiana per i Dirini di Riproduzione delle Opere dell'ingegno { AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano Progetto grafico: Massa & Marci, Milano In copertina: Perugino, Consegna delle cbiavi (Cappella Sisrina)
Copyrigflled m atenal
Indice
Prefazione
Xl l
I. I pastori del popolo di Dio
2
1.1 L'Oriente greco e l'Occidente latino: la fine dell'unità
3
1.2 Chiesa e Chiese
4
1.3 Il ruolo dci vescovi nella Chiesa
6
1.4 La gestione del patrimonio ecclesiastico
8
1.5 Le elezioni dei vescovi
mediterranea
11
1.6 Due casi di elezione diametralmente opposti: Damaso
13
1.7 La sorte dei vescovi rifiutati dalle loro pecorelle
15
1.8 La provenienza sociale dci vescovi
e Ambrogio
16
1.9 Matrimonio mistico del vescovo con la sua Chiesa l. lO Cresce il ruolo dci presbiteri
17
1.11 Le carriere dei diaconi
18
1 12
19
1 13 Le caratteristiche del clero antico
Il basso clero
22
l 14 Il cursus bonorum del clero
24
115 La questione dell'astinenza sessuale del clero
26
1.17 La nascita della rete metropolitana
1.16 Relazioni tra le Chiese 27
118 Ruolo della corrispondenza tra i vescovi
29
1.19 Sinodi
34
1.20 Difficoltà nel definire la simonia
37
1.21 Simonia o munificenza
40
c
concili
2. Le grandi capitali del mondo ecclesiastico 2.1 Le strutture sovrametropolitane
41
2.2 La storia dei vescovi di Roma: un tema scottante
43
2.3 ll primato onorario del vescovo di Roma
44
2.4
La posizione del vescovo di Roma ai tempi di Costantino il Grande l cambiamenti sotto il pontificato di Giulio
46
2.5
50
2.6 Damaso e la svolta nella storia della Chiesa romana:
comincia la storia del papato
53
2.7 La supremazia Ji Alessandria sull'Egitto
55
2.8 Antiochia: la partner più Jebolc tra le grandi capitali
56
2.9 La difficile strada del vescovo di Gerusalemme alla dignità
c
sulla Libia
patriarcale 58
2.10 l modesti inizi del patriarcato di Costantinopoli
59
2.11 Le decisioni del concilio del 381 in materia di strutture
60
2.12 Costantinopoli diventa la nuova Roma
ecclesiastiche
62
3. Le conversioni 3.1 Cause della lentezza del processo di cristianizzazione
dell'impero 63
3.2 Quanti erano i cristiani a metà dci
64
3.3 Come si diventava cristiani
ii t
secolo
67
3.4 La via alla Chiesa dell'intellettuale
68
3.5 Difficoltà dei matrimoni misti
70
3.6 La religione pagana dopo la svolta costantiniana:
73
3.7 Il ruolo della violenza nella cristianizzazione Jcll'impero
74
3.8 Non bisogna vergognarsi dell'intolleranza
da una tolleranza ostile alla repressione
75 77 79
3.9 La conversione Jcgli iberi caucasici 3.10 Gli inizi Jella cristianizzazione in Etiopia 3.1 l
La conversione dci goti
3.12 Percbé la Chiesa non organizzava missioni 81 84
3.13 Barriere culturali e barriere religiose
4. Le persecuzioni 4.1 Il cristianesimo: religione di superstizione e di empietà
86
4.2 La scandalosa novità della fede cristiana
87
4.3 Condannare a morte, ma non ricercare
89
4.4 I governatori delle province di fronte ai cristiani
90
4.5 Le grandi persecuzioni del m secolo
91
4.6 Quanti furono i martiri
93
4.ì Chi erano le vittime delle persecuzioni
95
4.8 La tattica dci persecutori
97
4.9 Le persecuzioni di Diocleziano dette Grande Persecuzione
101
4.10 Persecuzioni in Africa
102
4.11 I bei tempi della Piccola Pace Ecclesiastica
104
4.12 Quanti cristiani cedettero al tempo delle persecuzioni
106
4.13 La gente comune durante le persecuzioni:
come salvare la vita senza commettere apostasia IlO
5. Una qualsiasi comunità, un qualsiasi
vescovo del 111 secolo 5.1 li cristiano in strada e alle terme 112
5.2 Chi scegliere come vescovo
114
5.3 L'ordine durante la messa
115
5.-1 L'amministrazione ùel patrimonio ecclesiastico
117
5.5 Le persecuzioni dal punto di vista ùi una normale comunità
118
5.6 Quel che doveva leggere il cristiano
119
5.7 Come mai una comunità qualunque
c
il suo pastore
meritano tanta attenzione 121
6.
Gli imperatori
c
la Chiesa
6.1 La strana moda di studiare le relazioni tra gli imperatori
e la Chiesa 123
6.2 l fondamenti religiosi del potere imperiale
125
6.3 L'atteggiamento dei cristiani verso Costantino il Grande
126
6.-1 Una pioggia di privilegi per la Chiesa
nel mondo pagano
128
6.5 Costantino al concilio di Nicea
130
6.6 Le liti tra i vescovi e gli interventi imperiali
131
6.7 La contesa tra cattolici c donatisti
136
6.8 Dubbi sul valore dci dossier
138
6.9 Il ruolo di Costantino nella fase iniLiale della controversia ariana
145 .
6.10 Mcliziani contro cattolici: la mancata unità
1-16
6.11 Costantino
149
6.12 La natura episcopale del potere di Costantino
150
6.13 Costanzo, la "bestia nera" della storiografia ecclesiastica
153
6.1-1 La nuova politica di Tcodosio il Grande: fede cristiana
156
6.15
160
6.16 «Che cosa c'entra l'imperatore con la Chiesa?»
162
6.17 Che cosa si aspettavano i vescovi dagli imperatori cristiani
della Chiesa in Egitto c
Atanasio
e ortodossia si possono imporre ormai con la forza
165
Il caso della sinagoga bruciata
7. Le
c
dd la citta punita
controversie dominali in Oriente (1): l'arianesimo
7.1 Lo stupore di Costantino di fronte ai conflitti teologici 166
7.2 Come mai il cristianesimo attribuiva tanta importanza
168
7.3 Pensiero filosofico applicato alla 13ibbia
169
7.-1 La preistoria della controversia ariana
alla teologia
171
7.5
172
7.6 HomoouJzos: come si può usare un termine non biblico
l fondamenti biblici dell'arianesimo
174
7.7 Guerra di citaLioni bibliche
175
7.8 «Inganno armeggiante col vuoto suono delle parole»
177
7.9 Quanto era forte il campo ariano?
178
7.10 Perché l'arianesimo non si diffuse in Occidente
180
7.11 Il cristiano comune di fronte alle dispute
181
7.12 Lo stile delle polemiche dottrinali
183
7.13 Se non Satana, almeno il cattivo carattere
18-1
7.14
L: vero che gli ariani negavano la divinità di Cristo?
185
7.15 Gli scomodi rigoristi
186
7.16 Le violenze perpetrate in nome della fede
188
7.17 Gli ondeggiamenù dell'opinione pubblica
190
8. Le controversie dottrinali in Oriente (2): la prima fase dei conOitti cristol ogici 8.1
L'oggetto dei conflitti cristologici
191
8.2 La tradizione antiochena e quella alessandrina
192
8.3
194
8.4 Cirillo: la sua religiosità e le sue violenze
197
8.5 Le ragioni profonde delle dispute cristologiche
198
8.6
Theotokos o anth1·opotokos?
n concilio di Efeso: gli avvenimenti prima dell'arrivo di rutti i partecipanti
200
8.7 Le. vicende di Nestorio dopo la sconfitta
202
8.8 Le Ione a Efeso non si estinguono
203
8.9 Le condizioni del compromesso
204
8.10 Nasce il monofisismo
206
8.11
207
8.12 Il "brigantaggio" eli Efeso nel449
n "faraone" Dioscoro
210
8.13 Come si manipolavano le assemblee episcopali
213
8.14 Dioscoro ricorre alla forza
216
9. Le controversie dottrinali in Oriente (3 ): il concilio
di Calcedonia 9.1 L'appello di Teodoreco a Leone Magno 218
9.2 L'imperatore si dichiara contento del "brigantaggio"
219
9J l teologi del V secolo hanno paura di pensare
220
9.4
.D capovolgimento della situazione: convocarjooe di un nuovo concilio
221
9.5 l legati pontifici durante i dibattiti
222
9.6 Burrascosi dibattiti durante il concilio
223
9.7
224
9.8 ll processo a Dioscoro e ai suoi collaboratori
229
9.9 l monaci devono obbedire ai vescovi
U Credo del concilio di Calcedooia
230
9.10 Costantinopoli dichiarata seconda città del mondo cristiano
232
9.11
234
9.12 Narura e porrata cle!J'opposizione al concilio in Oriente
2.36 238
9.13 Impossibile compromesso 9.14 La virroria di Pin-o di papa Ormisda
2.39
9.15 L'apo.logi.a della politica orientale dei papi: lo sviluppo
D conflitto tra Leone Magno e il concilio circa la posizione del patriarca di Costantinopoli
della dottrina del primato papale dopo Damaso 24.3
10. Il matrimonio e il sesso nella teoria e nella pratica ecclesiastica 10.1 Cesario di Arles
Copyrighted
m
aterial
244
10.2
Il minimo religioso del
10.3
Giaci con tua moglie al solo scopo di fare figli
\'l
secolo
Persistcn za degli dèi pagani nel cuore degli uomi ni
247
10.4
248
10.5
Brindisi di ubriachi in onore di santi e angeli
249
10.6
Il tributo delle decime
25 0
10.7
La morale coniugale secondo Basilio di Cesarea
252
10.8
Adulterio o fornicazione)
253
10.9
Trent'anni di penitenza per i peccati di sodomia c
di omosessualità
255
10.10 Matrimonio giust o, matrimonio unico
256
10.11
Da una parte i precetti ecclesiastici, dall'altra la realtà
257
10.12
259
10.13
La leg islazione sul divorzio [ divorzi nella realtà
261
10.14
J «bestiali costumi dell'ambiente pagano»
263
10.15
La morale coniugale dci pagani: come studiarla?
264
10.16
Cambiamenti dalla pa rte pagana
10.17
Due autori quasi cristiani : Plutarco
266 10.18 Amicizia 268
10.19
c
c
Musonio Rufo
salute
Da dove proviene l'avversione dei moralisti cristiani verso il sesso?
La Chiesa
le donne
271
11.
272
11.1
273
11.2
San Paolo ostile alle donne?
274
11.3
La posizione delle donne nelle comunità ebraiche e pagane
275
11 .4
Il grave problem a delle donne che profetizzano
277
11.5
Il ruo l o delle donne nei movimenti eterodossi
11.6
Tempo di vedove
c
Le lettere del corpus paolino sul ruolo delle donne nella Chiesa
279
11.7
VedO\'C canoniche e vedove giovani
282
11.8
Quando comincia il tempo delle vergini )
283
11.9
Le diaconesse
286
11.10
Il ruolo delle donne nel movimento monastico
287
11.11
Le grandi dame nella vit a della Chiesa
288
11.12
Sensibilità delle donn e al messaggio evangelico
291 292 295 297 299
12.
l miracoli
12.1
l razionalisti non sanno spiegare niente)
12.2
Cristianesimo senza miracoli?
12.3
La nostr a difficoltà a capire la fede nei miracoli
12.4
li significato religioso dei miracoli per cristiani e pagani
12.5
La tipol ogia miracol istic a
12.6 Miracoli di Asclepio 12.7
Miracoli punitivi
301
12.8 Miracoli come segno della volontà divina
304
12.9
Miracoli in occasione della morte di grandi peccatori c di santi
305
12.10 Miracoli per fermare Satana
306
12.11 l miracoli e il mcravigioso
13. Il culto dei santi
308
13.1 Tentativo di definizione 311
13.2 A quando risale il culto dci santi?
312
13.3 Ossa piu pre ziose di rare gemme
314
13.4 La differenza tra l'adorazione di Dio c il
317
13.5 Il culto dci santi: una manifestazione della
319
13.6 Il culto dei santi e la mentalità contemporanea
La testimonianza del Martirio di Policarpo cu lto
religiosit à popolare? 320
13.7 Gli inizi dello studio del culto dci santi
321
13.8 l hollandisti 13.9 Il conf1itto tra i bollandisti e i carmelitani
323 325
13.10 Interviene l'Jnquisizione sp agnola
329 Percorso bibliografico 343 Tavole cronologiche 389 Indice delle persone, dci personaggi biblici e
mitologici
dei martiri
Prefazione
Questo non vuole essere un libro sul cristianesimo antico nel suo insie me. Esso riguarda essenzialmente la storia dell'istituzione che siamo so liti chiamare "la Chiesa", nei secoli lll-\'1. Tratterò della gerarchia e della carriera ecclesiastiche, dei sinodi e dei concili che stabilivano i princìpi da seguire nell'attività pastorale, delle controversie dottrinali, dei capi ecclesiastici, del loro modo di pensare, della loro tattica, dei loro rap porti con le autorità laiche, del loro atteggiamento verso le leggi e le usanze in materie importanti per la Chiesa, come per esempio il matri monio. Dalla storia del cristianesimo antico ho cercato di ritagliare la storia della Chiesa in modo tale che essa si presentasse nitidamente, ma, al contempo, con tutte le sue complicazioni. Chiesa o Chiese? Più esatto sarebbe il plurale, anche quando abbia mo a che fare con l'antichità. Nella bimillenaria storia del "popolo di Dio", molto breve è stato il tempo in cui esisteva una sola Chiesa di Cristo. Tuttavia siamo abituati a dire e a scrivere "storia della Chiesa", al singolare. A quest'uso mi sono attenuta nel titolo del mio libro, c l'ho fatto perché non mi piacciono le stranezze lessicali. Il lettore constaterà che nel corso del libro non dimentico mai che esistevano (ed esistono) più Chiese, e non una sola Chiesa. La storia della Chiesa (delle Chiese) è oggetto di dispute numerose e a volte arroventate. Non si può studiarla con lo stesso freddo distacco con cui si studia, per esempio, la struttura politica delle città greche nel l'età ellenistica o l'andamento delle campagne galliche di Giulio Cesare. Le controversie sul passato del cristianesimo hanno più di una causa. Certamente una causa importante consiste nel fatto che le fonti di cui disponiamo per lo studio di questa o quella questione non sono abba stanza numerose o abbastanza degne di fede. Là dove la ricostruzione storica del passato si fonda non su attendibili informazioni provenienti dal passato stesso, ma su congetture di studiosi, è impossibile eliminare i dubbi e creare un ampio consenso. Se, per esempio, vogliamo rico struire il processo della cristianizzazione di un dato territorio in una data epoca, e ci mancano le informazioni indispensabili per calcolare il numero delle Chiese esistenti in quel territorio e in quell'epoca, nessuna operazione scientifica permetterà di raggiungere risultati soddisfacenti. Se sulla fase più antica della storia della Chiesa di Roma e di quella di Alessandria le nostre fonti ci forniscono ben poco, nessuna ipotesi che XI
Storia della Chiesa nella tarda antichità
uno storico proponga, per intelligente e dotta che essa sia, si salverà dalla critica impietosa dei suoi colleghi. Tuttavia altrettanto importante, come fonte di controversie sulla storia del cristianesimo, è il nostro atteggiamento verso la Chiesa quale essa è qui e ora, verso la sua forma odierna, verso La dottrina che essa professa oggi e le iniziative che oggi intraprende. Le opinioni sul passato e quelle sul presente della Chiesa sono infatti così strettamente legate tra di loro, che perfino a uno studioso che sappia osservare la disciplina intellettuale e abbia imparato a tenere sotto controllo le proprie simpatie e antipatie, riesce difficile evitare di proiettare le passioni, le inquietudini e i proble mi del suo tempo sui tempi passati, per Lontani che siano. All'interno della storia della Chiesa, il periodo antico costituisce un campo particolarmente delicato. Né le opere di storia della Chiesa me dievale, né quelle relative alla storia della Chiesa de.U'età moderna susci tano nei lettori quello stato di tesa vigilanza o addirittura di sospetto che di solito accompagna la lettura delle pubblicazioni riguardanti la Chiesa antica. Opinioni negative o perfino esplicite malignità a proposi to di papi dd xv o del XVI secolo passeranno inosservate, ma qualsiasi giudizio su uno dei grandi costruttori del papato, come Damaso o Leone Magno, sarà notato e commentato. Questo stato di cose ooo è affatto strano. 11 cristi�mesimo in tutte le sue varianti ba sempre attribuito e continua ad atrribuire un'autorità speciale alle opinioni degli autori cristiani antichi. Non per nulla questi scrittori furono chiamati Padri della Chiesa. Le loro opinioni venivano citate nel corso delle numerose controversie religiose, anche in quelle sorte molti secoli dopo la loro morte. Ancora oggi i rappresentanti delle Chiese cercano negli scritti dei Padri giustificazioni per decisioni odier ne; l'accordo del pensiero cristiano atmale con La dottrina formulata nella tarda antichità è considerato un argomento importante in favore delle prese di posizione di oggi. Nell'antichità (in parte prima di Costantino, in parte dopo Costantino, fin verso la fine del VI secolo) tutti i più importanti riti cristiani acquistarono una forma che sarebbe poi rimasta immutata fino a oggi, nacquero il culto dei santi e quello deUa Vergine, compa.rvero i monasteri, si sviluppò l'usanza dei pellegri naggi ecc. Quando si legge la lettera di Gregorio di Nazianzo che critica coloro che attribuiscono troppa importanza al pellegrinaggio a Gerusalemme (per esempio 2, 9: !>e e!>cl us ivam en te nell'ascoltare le discussioni c nel presentarne una relazione a Silvestro. A dire il vero Gelasio di Cizico, che scrisse verso la fine del v secolo, sostiene che il vero rappresentante di Roma era stato il presidente dei dibattiti Osio di Cordova, molto sti mato dall'imperatore. Tuttavia, gli autori più vicini al concilio non san no niente riguardo a questa funzione di Osio; evidentemente Gelasio trasporta in un passato per lui ormai remoto una situazione caratteristi ca della sua epoca. L'assenza del vescovo di Roma tra tanti personaggi che, agli inizi dd IV secolo, decidevano le sorti della Chiesa su tutto il territorio dell'im pero, non significa affatto che l'importanza di quel ministero si fosse drasticamente ridotta. Occorre distinguere due livelli di funzionamento del primato romano: quello delle regioni legate a Roma (prima di tutte l'ltalia, seguita dalla Gallia, dalla Spagna c, in misura molto minore, dall'Africa), e quello dell'impero nel suo complesso (che comportava l'imposizione del proprio punto di vista ai vescovi dell'Oriente greco). Il fatto che in Oriente la voce del vescovo di Roma contasse poco non significa che nelle regioni vicine a Roma non fosse in atto un processo di rafforzamento del suo potere. Nella seconda metà del Ili secolo, nell'Italia centrale si formò una solida struttura di Chiese locali sottopo ste a Roma; nel IV secolo la potenza del vescovo di Roma impedì il sor gere di metropoli nell'Italia centrale. Ce ne fornisce la prova il canone 6 del concilio di Nicea, il cui testo greco recita: «In Egitto, nella Libia e nella Pentapolis sia mantenuta l'antica consuetudine per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province, com'è consuetu dine anche per il vescovo di Roma. Ugualmente ad Antiochia e nelle al tre province siano conservati alle Chiese i loro privilegi».4 L'interpretazione di questo testo presenta tuttavia qualche problema. Durante un sinodo svoltosi a Cartagine nel 419 se ne lesse una versione leggermente diversa, tratta dall'esemplare latino dei canoni, portato da Nicea dal vescovo della città, Ceciliano, che aveva partecipato al concilio: Antiqua per Egyptum atque Penrapolim consuctudo servctur, ut Alexandrinus episcopus horum habcat sollicitudinem, quoniam et urbis Rornac episcopo si milis rnos est, ut in suburbicaria loca sollicituJinem gcrat; nccnon et apud Anriochiam itaque et in aliis provinciis propria iura scrvetur metropolitanis ec clesiis.� -- -- --
-- -- ------
Conàliorum Oecumenicorum Decreta, cit., canone 6 del concilio di Nicea. �C.M. Turner, Ecdesiae Occidentalis Monumenta luris Antiquissimae, ClarenJon Press, Oxford 1899, vol. I, p. 120. 4
45
Storù1 della Chiesa nella tarda antichità n testo di Ceciliano conteneva una frase che indicava con precisione su quali regioni il vescovo di Roma esercitasse il proprio potere ecclesiasti co: suburbicaria loca erano i territori della diocesi (civile, non ecclesiasti ca), detti Italia Suburbicaria e comprendenti l'Italia centrale e meridio nale. Nel testo greco invece non veniva affatto precisata la sfera del controllo ecclesiastico esercitato dal vescovo romano. n testo del cano ne ci è stato indubbiamente tramandato nella versione latina di Ceciliano, e non in quella greca, ed è facile spiegare come mai dal testo greco sia stata eliminata l'allusione all'Italia Suburbicaria: la cosa è comprensibile dal punto di vista dei vescovi d'Oriente, per i quali quel canone contava soprattutto come base formale del potere dei pastori di Alessandria e di Antiochia; precisare in quale parte d'Italia esercitasse il vescovo di Roma il proprio potere era un particolare del tutto seconda rio, tanto più che a Nicea la sua posizione non era stata oggetto di cli scussione, ma un semplice punto di riferimento. Viceversa sarebbe estremamente difficilé spiegare perché mai Ceciliano avrebbe dovuto aggiungere quell'informazione io un testo �he non la conteneva Negli anni del pontificato di Silvestro, Roma non esercitò quindi un ruolo importante nell'ambito della Chiesa. La situazione cambiò solo con l'avvento di papa Giwio ()37 -.352). .
2.5 I cambiamenti sotto il pontificato di Giulio n sensibile aumento di prestigio del vescovo di Roma fu dovuto in parte all'eminenza del nuovo pastore, io parte, e forse soprattutto, ai cambia menti .in atto ne.lle Chiese d'Oriente sconvolte dalla grande disputa dottri nale suscitata da Ario. Entrambi i contendenti, infatti, volevano assicurar si l'appoggio del vescovo di Roma e il mondo cristiano era .in preda a una febbrile attività diplomatica, con scambi di lettere e invii di delegazioni. Le iniziative dell'imperatore Costanzo, che sosteneva l'arianesimo e imponeva le sue soluzioni sia dottrinali sia personali, condussero a Roma non solo innumerevoli delegazioni, ma anche persone che, scac ciate dai loro episcopati, nella capitale cercavano aiuto nella lotta all'e resia. Nel 399 giunse il profugo più illustre, iJ vescovo di Alessandria Atanasio, che nei mesi del suo soggiorno romano ebbe il tempo neces sario per esercitare la propria influenza su Giulio e il suo entourage, af fascinati dalla personalità carismatica del potente vescovo della Chiesa egiziana. n fatto stesso che Atanasio cercasse aiuto a Roma doveva esse re motivo di grande soddisfazione per Giulio e le persone a lui vicine. Il suo arrivo, seguito da queJJo di altri perseguitati "niceni", fece tempora neamente di Roma un centro dell'opposizione all'arianesimo. Esisteva anche un altro fattore favorevole al nuovo ruolo rivestito dal vescovo di Roma nei confronti delle contese d'Oriente. Negli anni del pontificato di Giulio l'impero fu dapprima diviso fra gli imperatori Costantin o n, Costanzo n e Costante, successivamente, tra il 340 e il 46 Copyrighted
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aterial
Le grandi capttaù del mondo eccleiiastico 350, fra Costanzo 11 e Costante. Mentre Costanzo era favorevole all'aria nesimo, i suoi due fratelli lo avversavano. Le differenze tra i sovrani permettevano a persone come Atanasio e Giulio di mettere in atto una tattica complicata che consentisse a Costantino e a Costante di sopraffa re Costanzo; il quale, a sua volta, non poteva non tener conto delle pre ferenze dottrinali e personali dci suoi fratelli. Un fenomeno analogo, per quanto scarse siano le informazioni in nostro possesso, doveva sicu ramente verificarsi anche sul versante ariano, dove i vescovi filoariani cercavano l'appoggio di Costanzo. Giulio tendeva a convocare a Roma un grande raduno di vescovi sot to la propria guida; il suo compito sarebbe stato quello di annullare i decreti approvati dai sinodi d'Oriente e di riportare Atanasio sulla cat tedra episcopale di Alessandria. In questo libro ci imbatteremo a più riprese in tentativi dei vescovi ro mani di organizzare in Italia riunioni di vescovi d'Occidente e d'Oriente (secondo la nostra terminologia: concili); essi tuttavia non arrivarono mai a buon fine in quanto erano sgraditi all'imperatore: secondo il punto di vista della tarda antichità i concili dovevano venir organizzati dall'im peratore, non dal vescovo, fosse pure di una città prestigiosa come Roma. I vescovi di Roma tendevano a collocare la riunione in Italia poi ché erano convinti di poterne influenzare in modo determinante la com posizione, inserendo numerosi vescovi italici nelle delegazioni conciliari; nella loro veste di presidenti avrebbero inoltre avuto i mezzi necessari per dominarli. Per le stesse ragioni per cui appoggiavano l'idea di un concilio in Occidente, essi si opposero ripetutamente, ma come vedremo senza successo, ai progetti di convocare concili in Oriente. All'invito di Giulio il gruppo dei vescovi orientali fautori dell'ariane simo rispose con un rifiuto la cui motivazione è quanto mai significati va: gli_apostoli avevano insegnato in Occidente, ma avevano portato la � nonc"era"dunqùe motivo cFie t vescoVi Buona Novel l a dall' Oi �lei i Tali si 'rèéa"Ssero"ln Oc�idente per questioni già risolte da sinodi orientali perfettamente validi. Inoltre tali vescovi non riconoscevano il primato del vescovo di Roma. Lo si deduce dal riassunto della loro let tera, riportato nella Storia ecclesia�·tz"ca di Sozomeno: Riunitisi ad Antiochia, essi risposero a Giulio con una lettera elegante e avvo catcscamcnte elaborata, piena di ironia e non priva di gravissima minaccia. Riconoscevano in questa lettera che la Chiesa di Roma aveva, agli occhi di tutti, una posizione onorifica, in quanto era stata fin dall'inizio scuola degli apostoli c metropoli della religione, sebbene coloro che vi avevano introdotto la fede fossero venuti dall'Oriente. Tuttavia non ritenevano di dover occupa re il secondo posto per il fatto di non avere la superiorità per la grandezza o la popolosità della loro Chiesa: sostenevano infatri di essere superiorip�r la -
virtù e per i princìpi6
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'' Sozomcno, Storia ecdeswstica, ediz. J. Bidez, JII, 8, 4-5. 47
Storia della Chiesa nella tarda antichità
Resosi conto che un sinodo generale di tutti i vescovi d'Oriente era im possibile, alla fine del 340 Giulio convocò un sinodo locale, al quale parteciparono una cinquantina di vescovi, tutti provenienti dall'Italia, e la cui sentenza corrispose alle aspettative di Atanasio: si dichiararono nulli i decreti emanati dai precedenti sinodi d'Oriente, che lo avevano fatto deporre dalla carica. E degna di nota la procedura finale: i vescovi espressero le loro opinioni con grida e acclamazioni, la sentenza del si nodo fu annunciata personalmente da Giulio e successivamente consi derata come iudicium episcopi romani; in tal modo il vescovo di Roma veniva a occupare un posto di giudice al di sopra dci sinodi. I vescovi d'Oriente protestarono in nome della dignità dei sinodi. Nella motivazione della sentenza, Giulio indicò il comportamento c la procedura da seguire in caso di conflitti importanti. Le persone inte ressate dovevano scrivere ai vescovi d'Occidente per stabilire insieme to dikaion («ciò che è giusto»). Si rendeva quindi necessaria una serie di consultazioni scritte, secondo gli usi dell'epoca passata che non cono sceva ancora il principio della regionalizzazione, e soprattutto (ecco la novità) il parere del vescovo di l�oma, al quale, secondo Giulio, spetta va il diritto della consultatio ante sentcntiam («consultazione prima del la sentenza»). La lettera sinodale menzionava anche la particolare atten zione che la Chiesa di Pietro rivolgeva ad Alessandria, che fu anch'essa «guidata dagli apostoli». Giulio si richiamava apertamente alla tradizio ne di Pietro: «Quello che scrivo lo scrivo nel comune interesse, c quel che vi trasmetto ci viene dal beato apostolo Pietro». Nelle sue parole ri suonava già il tono caratteristico della dottrina della Chiesa romana dd la seconda :netà del l\' secolo. Sul piano pratico, l'effetto di queste dichiarazioni romane fu piutto sto scarso. La mo�sa successiva infatti non spettò a Giulio, ma all'impe ratore Costante.. L'attivo gruppo di ves.ç_qvi presente a corte.s!Ysd.a_sgo-llince..re l'imQeratore della necessità di intervenire, e nell'autunno 343 si riunì ìl sinodo di Serdica, con a testa Osio di Cordova 1fa-s�a1irma fi gura afPrìnio p o�egli atti); Giulio rifiutò di partèCipare a una riu nione fuori Roma e vi inviò tre suoi rappresentanti: due presbiteri e un diacono, che non si misero particolarmente 111 luce nelle discussioni. l n realtà, il punto di vista romano poteva essere (c fu) perorato dai vescovi strettamente legati a Giulio. Nel corso dei dibattiti venne approvata una norma essenziale, che de finiva le competenze del vescovo di Roma nel caso in cui, su richiesta di un interessato, egli esaminasse la fondatezza di un verdetto emanato da un sinodo provinciale. Sollevare tale questione a Serdica significava vo ler legittimare e confermare a posteriori il precedente del tribunale ro mano del3-IO, giacché il caso esaminato era esattamente uguale a quello di Atanasio. La proposta fu enunciata da Gaudenzio, vescovo di Naisso: Il vesco\'0 Gaudenzio disse: '·A questa proposta, piena di santità, che hai p re·
sentato, si Jggiungc, se sembra bene, quanto segue: 'E qualora un vcsco\'O sia 48
Le ?,randt capita/t del mondo ecclesiastico stato deposto per un giudizio dei vescovi che dimorano nei luoghi vicini, e
(
qualora egli abbia dichiarato che egli de\'e sostenere la sua causa nella città di Roma, non si ordini un altro vescovo sulla sua cattedra dopo l'appello di co lui che sembra essere stato deposto, a meno che la causa sia stata decisa nel tribunale del \'eSCO\'O romano'" .7
La deliberazione del sinodo non ebbe effetti concreti immediati, e sa rebbe trascorso molto tempo prima che la realtà della pratica ecclesia stica realizzasse questo programma ambizioso; quel che è certo è che questo canone, proprio in virtù del suo intento programmatico, la dice lunga sulle aspirazioni di Roma già ai tempi di Giulio. l convenuti a Serdica parlavano c scrivevano del vescovo di Roma con la massima ri\·erenza. Nella lettera sinodale, per esempio, si dice che i vescovi ritengono opportuno presentare una relazione ad caput, id est ad Petri apostoli sedem («al capo, ossia alla sede dell'apostolo Pietro») e inoltre si prega Giulio di inviare i canoni sinodali alle altre C:hic·se. S di._mrl a delle decisioni dei�ino:fi, neanche _ � � PJI.r:o1a... Da questo punto dt vtsta, fa sttuaztonc era tdenuca a quella . oel sinodo di Arles. Attorno alla metà del IV secolo l'impero subì un violento mutamen to, dapprima con l'usurpazione di M_agnenzio, per effetto della quale fu ucciso�C�, i�uito,.i'iè1353, con la �clamazione a impera tore OiCostanzo, s11l ri .'Tali eventi ebbero immediate ri percussiOni negative sulla posizione del nuovo vescovo di Roma Liberia, salito al trono nel352. Malgrado le mutate condizioni, Liberia cerco dr!)roseguire la tattica cfel suo predecessore, ma, non godendo più della protezione di un imperatore filoniceno, restò esposto alle pressioni sempre più forti e brutali del vittorioso Costanzo. L'im peratore pretendeva da Liberia la firma di una confessione di fede for mulata durante un sinodo di tendenza ariana, nonché la condanna di Atanasio. Liberia mostrò dapprima grande fermezza, per cui l'imperatore, irri tato, lo condannò all'esilio a Berea in Tracial...facendolo trasferire da Al suoposto fu eletto vescovo un arcidia Roma alla chetichella cono di Liberia, felice, if quale, particolare significativo, incontrò più opposizione tra il popolo che tra il clero. Tuttavia Liberia, stanco dell'e silio c delle pressioni, accettò le condizioni dettate da Costanzo, il quale acconsentì al suo ritorno (aflosto 321ll . Felice abbandonò in fretta e fu__,... na ta èittà. T1 comportamento di Liberia apportò un grave danno al pre stigio del vescovo di Roma, che non poteva più incarnare agli occhi del mondo cristiano la linea di fedeltà intransigente alla fede e ai costumi tradizionali. Quando ad Ariminium si riunirà il grande sinodo com prendente i vescovi di Gallia, d'Africa e d ' ltalia, Liberio non vi invierà
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;illilrioso
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bé[e
(I2]2f.
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-- --- --- --- ---7 P.-P. .foannou, Dùcipltne ?,énérale anlique (1\'"-IX" siècles), Tipografia Italo· Orientale. Roma 1962, vol. 11: l.c1 Canom des Jynodes parliculiers, pp. 163-164. 49
Storia della Chiesa nella tarda amichità nemmeno un rappresentante e resterà completamente escluso dalla lot ta svolta dai partecipanti in difesa dell'ortodossia nicena. Tuttavia, ancora una volta la situazione doveva cambiare per effetto degli avvenimenti politici. Dopo il breve regno di Giuliano l'Apostata (361-363) l'impero venne diviso tra Valentiniano 1 (364-375) e Valente (364-378), fautori di due diverse op7ioni teologiche. Ancora una volta in Oriente s.i formò un gruppo di fautori del Credo di Nicea, bisognosi d'appog�:,rio contro l'imperatore che li perseguitava, e in quel frangente Liberio poté recuperare almeno in parte l'autorità perduta.
2.6 Damaso e la svolta nella storia della Chiesa romana: comincia la storia del papato ll cambiamento fondamentale nella storia della Chiesa romana si veri ficò con il pontificato di Damaso. I suoi inizi, come abbiamo visto, era no stati disastrosi, e anche gli anni successivi posero Damaso di fronte a prove difficili: coinvolto in un processo e accusato dai seguaci di Ursino dovette difendere con tutte le forze la propria posizione. Tuttavia fu proprio lui a contribuire in modo decisivo a una nuova formulazione del primato papale e del suo fondamento teologico, dedotti dalle parole di Cristo a Pietro riportate dal Vangelo secondo Matteo (16, 13-19): Arrivato Gesù nel territorio di Cesarea di Filippo, domandò
ai
suoi discepoli:
"La gente, chi dice cbe sia il Figlio dell'uomo?". Essi risposero: "Alcuni dicono che sei Giovanni Battista, altri Elia e altri Geremia, o uno dei proferin. "Ma voi" domandò loro "cbi dite cb'io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente". E Gesù a lui: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non la carne oé il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, cbe tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di essa. A te darò Je chiavi del regno dei cieli: qualunque cosa legherai sulla terra sarà legata anche nei cieli; e qualun· que cosa scioglierai sulJa terra sarà sciolr.a anche nei cieli".
Su questo passo, oggetto dell'interesse degli esegeti a partire dalla fine del D secolo, si fondava l'asserzione dd particolare ruolo di Pietro nella diffusione della Buona NoveiJa. Pietro sarebbe stato il primo discepolo a sostenere la divinità di Cristo, e sarebbe stato lui a gettare le basi deiJa dottrina e dell'unità della Chiesa. NeJl'esegesi tradizionale il brano cita to veniva riferito a tutti i vescovi, in quanto eredi di Pietro grazie all'i· ninterrotta catena di consacra?ioni dai tempi apostolici. La novità della dottrina di Damaso consisteva nel formulare apertamente la tesi secon do cui solo il vescovo di Roma era 1'erede privilegiato di Pietro e solo a lui si riferivano le parole di Cristo appena citate. Elevando il passo di Matteo (16, 18) a fondamento del primato roma no, Damaso conferiva coerenza alla convinzione dell'eccezionalità di 50 Copyrigflted
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ae t rial
Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
Roma, convinzione di origini antichissime, profondamente radicata nel la coscienza dei cristiani di quella città e che assumeva varie forme. (Possiamo seguirne le tracce anche nei reperti archeologici, che docu mentano il legame con la persona di Pietro e glorificano il suo posto tra gli apostoli e i suoi miracoli.)
')
La dottrina che attribuiva ai vescovi di Roma il ruolo di eredi di Pietro ricevette una formulazione chiara e ampia nella decisione del si nodo romano convocato da Damaso nel 382 in risposta alle decisioni del concilio di Costantinopoli del 381, svoltosi senza la partecipazione dei rappresentanti di Roma.x l vescovi riuniti da Damaso approvarono il testo del Credo e il canone dell'Antico e del Nuovo Testamento, non ché il testo seguente: Dopo tutti gli scritti profctici, evangelici
c
apostolici sopra riportati, sui qua
li per grazia di Dio si fonda la Chiesa cattolica, riteniamo di dover anche ri cordare che sebbene le Chiese cattoliche sparse sulla terra costituiscano un unico talamo di Cristo, tuttavia la santa Chiesa romana è stata posta sopra le altre Chiese non da delibere di sinodi, ma ha ricevuto il primato in virtù del
la voce C\'angelica del nostro Signore e Salvatore: Tu es Petrus... [segue il
passo citato del Vangelo secondo Manco, 16, 18]. A ciò si è aggiunta la par tecipazione del beatissimo apostolo Paolo, vaso di perfezione, che non in un altro tempo, come blaterano gli eretici, ma nello stesso tempo giorno insieme con Pietro lottò
c
morì di morte gloriosa
c
c
nello stesso
ottenne la corona
del martirio nella città di Roma sotto l'imperatore Nerone. E parimenti essi fPictro
c
Paolo] consacrarono la sopraddetta Chiesa romana a Cristo
Signore, innalzandola sopra tutte le altre Chiese del mondo con la loro pre sem:a e il loro \'enerando trionfo. La prima sede di Pietro apostolo è dunque la Chiesa romana, senza macchia né ruga né altro del genere. La seconda
�
sede fu consacrata ad Alessandria a nome del beato Pietro da Marco suo discepolo ed evangelista che, mandato in Egitto da Pietro apostolo, predicò il verbo della verità e subì glorioso martirio. La terza sede del beatissimo apo stolo Pietro è ad Antiochia cd è considerata degna di onore perché egli lì abitò prima di venire a Roma
e
lì per la prima volta sorse il nome del nuovo
popolo cristiano.9
Questo testo, pur non accennando alle decisioni del concilio di Costantinopoli, ingaggia con esse un'aspra polemica. A differenza di Costantinopoli, Roma non avrebbe bisogno di una delibera conciliare, ossia umana, che ne precisi il rango: il vescovo di Roma deriverebbe il suo primato direttamente da Cristo.
' l papi della tarda antichità negavano ogni validità alle delibere del concilio di Cosrantinopoli, essendo irritati specialmente dal canone 3 che conferiva al vescovo di Costantinopoli il secondo posto dopo il vescovo di Roma; di tale concilio parlerò diffusamente più avanti. 'i Conciliorum Oecumenicorum Decreta, cit. 51
�'torta della Chiesa nella tarda antichztà
Indubbiamente sia il clero sia la popolazione di Roma avvertivano fortemente la presenza fisica dell'apostolo Pietro: dopotutto le sue spo glie mortali riposavano nella città. Ricordiamo che nel rv secolo esplose il culto dei santi, sviluppatosi a partire dalla seconda metà del secolo p recedente; le reliquie, fonte di potere miracoloso, vi svolsero un ruolo importante e sempre crescente. Il c ulto di Pietro vantava a Roma un lungo passato ed era profondamente radicato nella coscienza popolare. La secolare presenza di Pietro nella basilica vaticana era uno dci prin cipali argomenti a favore della posizione privilegiata del vescovo di Roma nei confronti di tutti gli altri vescovi del mondo cristiano. Questa convinzione è stata formulata in modo particolarmente chiaro da Margherita Guarducci, professoressa di epigrafia all'Università di Roma, che con entusiasmo ha preso parte agli scavi eseguiti nella basili ca di San Pietr o, nel corso dci quali sono stati scoperti i resti di uno scheletro identificato con lo scheletro dell'apostolo Nel suo libro, con statando amaramente che G iovanni Paolo 11 non si mostrava interessato ai risultati di quei lavori, Margherita Guarduc ci scrive : ,
.
D'altra parre non riesco a comprendere come mai Giovanni Paolo Il, sollecito per rutto ciò che riguarda la Chiesa, non abbia se ntito
c
non senta la necessità
d'informarsi- quasi vorrei dire, per dovere d'ufficio- direttamente e in rutti i più minuti particolari circa un vitale problema qual è quello della reale prc senza di Pietro nella basilica Vaticana. Lgli parla alle folle con illuminata sag gezza
c
percorre, eroicamente, le vie del mondo pe r annunciare a tutti gli uo
mini la Buona ì\:ovclla. Chissà se ogni tanto egli si ferma con particolare at
tenzione sul pensiero che la forza della sue parole di Pastore della Chiesa uni versale è garantita, in ultima analisi, da quanto si trova sotto l'altare della Confessione e soprattutto dalle ossa dell'Apostolo giacenti nel secolare loculo sotterraneo? 10
Esattamente quel che pensavano i cristiani romani della tarda antichità. Se la dottrina sull'eredità di Pietro nella formulazione espressa da Damaso incontrò serie opposizioni in Oriente, nemmeno in Occidente essa fu accolta senza proteste. t\c sappiamo poco, giacché la nostra do cumentazione sulla storia della Chiesa latina è passata attra\'erso la cen sura romana (che pure qualche lacuna l'avc\'a, vista la conservazione del pamphlet contro Damaso), ed è evidente che nella cerchia del ve scovo di Roma nessuno si preoccupava di tramandare la memoria di posi zioni contrarie a quelle papali Sappiamo però che molti tra i vesco vi d'Occidente continuavano a interpretare il testo di Matteo in senso .
tradizionale, e che durante il sinodo di Aquileia dcl381 girava tra i par tecipanti un'opera che c ri ticava le pretese di Damaso al dirirto di pro nunciarsi in materia di dogmi al di fuori delle riunioni episcopali.
'" M. Guarducci, La lomha dz san Pietro. Una straordinaria vicenda, Ruscon i Milano 1989, pp. 140-141. 52
,
!.c grandi capttali del mondo cccleJiastico
L'atteggiamento degli imperatori nei confronti del primato romano richiederebbe un capitolo a parte; qui mi limito a osservare che nessu no di loro lo attaccò apertamente, il che non significa che il program ma di Damaso fosse totalmente accettato, soprattutto in Oriente; a questo proposito sussistono nette e comprensibili di(ferenze tra Oriente c Occidente. Colpisce in modo particolare il ritardo con il quale il pri mato di Roma divenne oggetto della legislazione imperiale, di solito così sollecita a conferire forza legislativa alle varie decisioni ecclesiasti che: la prima costituzione imperiale sull'argomento, infatti, risale al -14 5 , quindi al tempo del pontificato di_Leone Ma&.no e del regno di ntiniano III, imperatore debole e succube della carismatica perso nal•tad�l�
\tare
2.7 La supremazia di Alessandria sull'Egitto e sulla Libia
In precedenza ho citato il canone 6 del concilio di Nicea, che attribuiva un'eccezionale ampiezza alla sfera di potere del ve�covo di 4iessanQda, comprendente, oltre all'Egirro, la Libia (la Libya ";J [ erior o Libya Marmarica) e la Pentapolis Su i trattava, specialmente per l'Egitto, di un assat vasto. Nella valle del Nilo lo sviluppo della Chiesa fu relativamente tardivo: i primi episcopati sorsero in(atti solo nella prima metà del ll1 secolo, mentre risale alla seconda metà lo sviluppo intensivo del cristianesimo al di fuori di Alessandria. A partire da quel momento la nuova religione sembrò invece diffondersi più velocemente c più estesamente che nelle altre regioni: alle soglie del IV secolo era già profondamente radicata nelle campagne e verso la fine del \' il paganesimo era ormai ridotto a un fenomeno secondario. All'inizio del LV secolo Alessandria godeva di una solida posizione nel l'ambito della cultura cristiana. Clemente Alessandrino, Dionigi Ales sandrino e soprattutto Origene erano autorità universalmente riconosciu te. Riferendosi al periodo a cavallo tra il III c il I\' secolo, gli storici della dottrina cristiana parlano dell'esistenza di una corrente di pensiero che, tra virgolette, possiamo definire "scuola alessandrina". Ricordiamo a que sto proposito che alla fine dell'antichità Alessandria era una delle città "universitarie" c che vi affluivano folle di giovani per studiarvi, tra le al tre, discipline quali la matematica, la filosofia e la medicina. La presenza di innumerevoli studenti e l'esistenza di un vivo centro culturale conferi vano ad Alessandria un carattere dd tutto particolare. Verso la metà del IV secolo esistevano già circa settanta episcopati nel solo [gitto c circa trenta in Libia. Si trattava di episcopati piccoli, i cui titolari, soggetti alle pressioni del più potente collega di Alessandria, non riuscivano a mantenere quell'autorità che invece continuava a ca ratterizzare le Chiese di altre regioni orientali. Nel IV secolo i vescovi della valle del Nilo venivano consacrati dal vescovo di Alessandria, nel
p'òtèrè
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Storia della Chiesa nella f(jrda anticbità senso che questi non si limitava semplicemente ad approvare la scelta compiuta a livello locale, ma partecipava personalmente alla consacra zione. Capitava di frequente che il vescovo di Alessandria consacrasse persone che non erano state nemmeno presentate al clero locale e che non avevano niente in ·comune con la futura diocesi. Con il passare del tempo il controllo del ve.'lcovo di Alessandria su quanto avveniva nelle diocesi aumentò progressivamente mentre dimi nuì la capacità dei vescovi locali di esprimere un'opinione indipenden te, con il conseguente e rapido abbassamento del loro livello dottrinale e culturale. E inte.ressante notare che, mentre in Egitto non sorsero metropoli, ce n'erano invece nella vicina Libia. La ragione è chiara: in Libia esisteva un'antica tradizione di vita cittadina risalente ai tempi della Grande Colonizzazione, assente invece in Egitto. La mentalità delle é)jte libiche era diversa da quella delle élite egiziane, e l'abitudine ad amministrare da soli i propri affari facilitava la resistenza alJe pressioni esterne anche in ambito ecclesiastico. La Chiesa alessandrina disponeva di enormi mezzi materiali, che pro venivano in parte (non sappiamo quale) dalle offerte dei fedeli, in parte dalle donazioni imperiali. Questa ricchezza conferiva al vescovo di Alessandria un'enorme influenza sugli strati poveri della società, assai numerosi, influenza che consisteva anche nella possibilità di manipolare una parte della popolazione, inducendola se necessario a fomentare di sordini: un'arma pericolosa tra le mani di un vescovo ambizioso. Inoltre egli disponeva di un gruppo di infermieri, detti parabalaneis, che anno verava tnl le dnquecento e le seicento pe.rsone e che divenne una sorta di poli7Ja privata ecclesiastica, impiegata negli scontri con gli avversari. A metà del v secolo Dioscoro, uno dei vescovi più bellicosi di Alessandria, portò con sé alla rilmione episcopale di Efeso un contin gente di parabalaneis, che svolse una poco encomiabile azione di terrori smo nei confronti dei vescovi contrari a .6.rmare le decisioni da llù impo ste (avrò modo di tornare ancora sull'argomento). Le ricchezze accumulate oeUe mani dei vescovi alessandrini potevano servire anche fuori d'Egitto: più volte essi furono accusati di corrompe re gli alti funzionari e le dame della corte imperiale. Come sempre in questo genere di accuse, è difficiJe stabilire la verità, ma non si può escludere che effettivamente i vescovi recassero doni a Costantinopoli o che li inviassero per interposta persona. Almeno un caso è stato attesta to. L'offerta di regali a persone altolocate era comunque un consueto mezzo di captatio benevolentiae, e non sempre è possibile stabilire iJ Li mite esatto tra dono e corruzione. Eusebio di Cesarea, che scrisse la sua Stora i ecclesiastica all'inizio del rv secolo, non e.ra affarto sicuro dell'autenticità della tradizione cbe at tribuiva la fondazione della Chiesa di Alessandria all'evangelista Marco. Nelle generazioni successive quest'ombra di dubbio scomparve del tut to e nessuno vi fece più ailusione; per la Chiesa alessandrina la presenza '
54 Copyrighted
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Le grandt captlali del mondo ecclesiastico
dell'evangelista nei pnmt anni della propria storia costituiva una base per rivendicazioni nei confronti delle altre Chiese. I vescovi alessandrini cominciarono a estendere il loro potere al di fuori dell'Egitto fin dal 111 secolo. Come abbiamo visto, durante il con cilio di Nicea, quindi già nel 325, la supremazia di Alessandria sulla vi cina Libia era una questione scontata; non c'è da stupirsi: da secoli esi stevano forti vincoli di carattere economico e culturale tra l'Egitto e i territori posti a Occidente. Nel sistema amministrativo creato da Diocleziano essi costituivano un'unica diocesi, sottoposta a un unico funzionario chiamaro vlcarius. La posizione del vescovo di Alessandria corrispondeva esattamente alla posizione di questo funzionario. Il vero e proprio artefice della potenza dell'episcopato alessandrino fu Atanasio Q28-373 ) . Egli riuscì a schiacciare l'opposizione interna fonmta"'"&itmeli7i'anésimo (ne parlerò nei prossimi capitoli) e uscì vin citore dalla lotta contro l'eresia ariana sul proprio territorio. Atanasio si trovava quindi a capo di una Chiesa relativamente unita. Il suo presti gio, formarosi negli anni della lotta contro l'arianesimo, era immenso; per Roma e per tutto l'Occidente egli rappresentava il simbolo dell'or todossia, le sue parole erano considerate determinanti anche quando si pronunciava (cosa che teoricamente non aveva diritto di fare) su fac cende di altre Chiese orientali. Per questo motivo in Oriente l'operato e le opinioni del vescovo alessandrino suscitavano minore entusiasmo: tuttavia, tra coloro che erano avversari dell'arianesimo e seguaci del Credo niceno nessuno si azzardava a mettere in dubbio la sua autorità. Negli anni dell'esilio Ji Atanasio, tra Alessandria e Roma si formò una stretta alleanza che sarebbe durata fino alia metà del v secolo. Essa venne rafforzata dall'apparire di un nuovo avversario comune: il vescovo di Costantinopoli, il cui potere cresceva rapidamente. Dal punto di vista alessandrino il vescovo di Antiochia, seppur altrettanto malvisto, era molto meno pericoloso. Al tempo dell'episcopato di Teofilo sembrò che la vittoria nella contesa tra Alessandria e �opoli sa rebbe toccata ad Alessandria, ma per poco. Teofilo fece destituire Giovanni Crisostomo, ma non fu in grado di insediare il proprio candi dato sul trono episcopale di Costantinopoli. Alla sua morte Cirillo (412� n�_guerra a C:ostantin.Q..g? li, riportando un 'e o successo. n suo succe � sore dopo una iniziale vitto�ia 1 vescovo ales � . sandrmo nusct nuovamente a nmuovere dalla canea il vescovo dt Costantinopoli) riportò un'ignominiosa sconfitta, per opera non solo del l'imperatore, ma anche di papa (eone Magno:7\vrò occasione di tornare su questi avvenimenti nel descrivere le controversie dottrinali in Oriente.
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2.8 Antiochia: la partner più debole tra le grandi capitali Ma torniamo al canone 6 del concilio di Nicea. Accanto a Roma e ad Alessandria il canone menzionava un terzo grande episcopato: Antiochia. 55
Storia della Chiesa ncl!ti ttlrda antJcbitd Le tradizioni di Antiochia erano gloriose quanto quelle romane e nella sua storia più antica ritroviamo gli apostoli Pietro c Paolo. C:entro di for mazione della dottrina cristiana, il suo ruolo nei primi tempi della storia della Chiesa fu indubbiamente molto importante. Antiochia dominava tradizionalmente la Siria, la Fenicia, la Palestina e i\ la Mesopotamia settentrionale. Era ricca e colta; nel I\' secolo occupava f una posizione eccezionale tra i centri urbani d'Orienre, appartenendo alle città "capitali", vale a dire alle città in cui l'imperatore c i suoi uffici soggiornavano per lunghi periodi. Poiché la minaccia persiana costringe va il sovrano a sorvegliare personalmente le attività belliche sulla vicina frontiera, nel IV secolo Anriochia fu in diverse occasioni una sede impe riale più importante della stessa capitale ufficiale, Costantinopoli. Antiochia possedeva una solida tradizione di polis. Sorgeva in una re gione ricca di città fondate all'inizio dell'età ellenistica, sulle quali essa aveva sempre primeggiato, all'inizio come capitale del regno dci Seleucidi e poi come capitale della provincia della Siria, senza mai rag giungere, tuttavia, una posizione monopolistica paragonabile a quella di Alessandria d'Egitto. La mentalità degli abitanti di Antiochia e delle città della regione era diversa da quella degli abitanti dell'Egitto: in essa si av vertiva chiaramente l'eredità culturale dell'antica civiltà della polir. Nelle zone sottoposte all'influenza di Antiochia si formarono in modo naturale metropoli con una forte tendenza frondista; per il vescovo an tiocheno era quindi molto difficile delimitare esattamente il proprio am bito di potere, e ancora di più difendere le prerogative acquisite. La storia del patriarcato antiocheno è la storia del suo progressivo rim picciolirsi. La principale fonte di debolezza di Antiochia erano i dissidi interni. Nel secondo quarto dd IV secolo un ruolo decisivo ebbero i con flitti tra ariani e seguaci del Credo niceno; nel 362 nel campo niccno ini ziò lo scisma tra i fautori di Paolino e i sostèiiìfu-ri di Melezio, uno sci_,.,___ sma doloroso, protrattosi fino � che avvelenò i rapporti all'interno della Chiesa non solo antiochena. La storia di questa scissione mostra quanto gravi potessero essere gli effetti delle divisioni nelle Chiese, qua lora le parti avverse trovassero appoggio fuori della propria città (con Paolino si schierarono i vescovi di Alessandria, Atanas io e i suni sttcces sori, nonché, su sua raccomandazione, i vescovi occidentali; in favore di Melizio si schierarono invece vescovi orientali antiariani quali Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa). L'aiuto esterno per metteva a piccoli gruppi, altrimenti condannati a estinguersi, di conti nuare a esistere durante molti decenni.
2.9 La difficile strada del vescovo di Gerusalemme alla dignità patriarcale Nel I\' secolo il prestigio dd vescovo di Gerusalemme crebbe lentamen te, fino a conquistare, come vedremo nei prossimi capitoli, un rango pari 56
Le grand1 capitali del mondo ecclesmstico
a quello dei vescovi di Alessandria, Antiochia e Costantinopoli nella pri ma metà del secolo successivo. Agli inizi del 1\' secolo Gerusalemme era tuttavia una piccola città, posta in basso nella gerarchia delle città della regione. Ricordiamoci che dopo la conquista di Tito nel 70 essa aveva praticamente cessato di esistèré.'Su11csue tovi� o -;;eva fondato una nuova città chiamata Aclia itoli;;;" (f Ùa dai nomcn gentile Aelius dell'imperatore e Capitolina aalrlOVC Capitolino, in onore del quale venne eretto un tempio per ordine del so\Tano). Agli ebrei era sta to vietato di stabilirvisi; è vero però che questo divieto, più tardi, non era osservato rigorosamente. La comunità cristiana di Gerusalemme, mal grado la prestigiosa tradizione, non svolse un ruolo particolarmente im portante nella storia della Chiesa, restando nell'ombra della più impor tante Chiesa di Cesarea, capitale della provincia di Palestina. A Cesarea oper;va-e··S'éri've\ià""("Mgene, che lasciò una splendida collezione di libri. Vescovi della città flirònopersonalità eminenti come Panfilo ed Eusebio, storico c teologo. Tra il clero di Gerusalemme c quelkT'di1':esa� porti dovevano essere piuttosto tesi, come dimostra il fatto che durante il concilio di Nicca a essi venne dedicato uno dci canoni, il canone 7, in base al quale si stabiliva che il vescovo di Aclia Capitolina-Gerusalemme doveva essere «onorato», conferendogli «quanto deriva dalla sua onore vole posizione», ma senza intaccare le prerogative del mctropolita, ossia del vescovo di Cesarea. Faccio osservare che in quel momento il vescovo di Cesarea era Eusebio, personaggio influente sia a corte sia tra i vescovi d'Oriente, particolarmente attento a che la propria metropoli non venis se danneggiata. Non è del tutto chiaro in che cosa consistesse !"'onore vole" posizione del vescovo di Gerusalemme. La decisione di Nicea tut tavia non eliminò gli attriti tra le due Chiese né tantomeno frenò le am bizioni di Gerusalemme; poco dopo il concilio, infatti, il vescovo di Aclia Capitolina-Gerusalemme assunse il ruolo di organizzatore di un si nodo dedicato alla questione di Atanasio; c veniamo inoltre a sapere che egli invadeva la sfera d'azione del metropolita, consacrando i vescovi. Un ruolo importante nel processo di espansione di Gerusalemme fu svolto da Cirillo, detto GJ;.roso.l.imirano""vescovo della cittaJal549arca al386. Ciril1o si schierò dall rte dei fautori della confessionè"d'ì'tede nicenà'; il che, se al momento g ivalsel'esiliO, in seguito, a causa della �ttor:a dell'ortodossia, si rivelò salutare per la citt�t, tanto più che Cesarea di Palestina, sua concorrente, era stata in mano agli ariani fin dall'inizio della controversia. Le ambizioni dei vescovi di Gerusalemme non derivavano però sol tanto da un glorioso passato. Nel mondo ormai cristiano la città aveva cominciato ad acquistare un'importanza sempre maggiore. Oggetto del le attenzioni di Costantino, su ordine del quale si costruivano chiese, meta di pellegrinaggio di sua madre Elena, Gerusalemme suscitava un interesse universale; il flusso dci visitatori, tra i quali si trovavano perso ne di ogni condizione, compresi i membri dell'élite imperiale, cresceva; il suo vescovo riceveva da loro generosi regali che ne rafforzavano la
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Storia della Chiesti nella tarda antichità posizione. Nella nuova situazione diventava sempre più forte il. desi.de rio di porre fine alla dipendenza (anche nominale) da Cesarea. Nella guerra più o meno aperta vinceva ora una parte, ora l'altra. La realizzazione graduale delle ambizioni del clero di Gerusalemme fu merito di Giovenale, uomo profondamente antipatico, cbe comprò la prestigiosa posizione della città con una serie di tradimenti nei confron ti dei suoi alleati ecclesiastici. 11
2.10 I modesti inizi del patriarcatO di Costantinopoli Quando nel 330 Costantino il Grande dette un nuovo inizio alla storia della città sul Bosforo, conferendole con l'occasione anche il proprio nome, la Chiesa di Bisanzio era una Chiesa secondaria, come se ne con tavano a centinaia nell'impero. La città contava poco: distrutta dopo un lungo assedio da Settimio Severo (196), era rìdotta al rango di misero centro urbano. Sede della metropoli non era Bisanzio, bensì la vicina Eraclea Tracia, e il fatto di non trovare il vescovo Alessandro tra i con venuti al concilio di Nicea fa capire quanto siano stati infimi gli inizi della grandiosa storia del patriarcato costantinopolitano . .Alessandro occupò a lungo la cattedra episcopale e la sua morte, avve nuta un anno dopo quella di Costantino (nel338), aprì un lungo e aspro conflitto tra Paolo e Macedonia, i due aspiranti alla successione. Ll soddisfatto di entrambi, il nuovo imperatore Costanzo II affidò la deci sione a un piccolo sinodo eli vescovi, che chiamarono sul trono della ca pitale Eusebio eli Nicomedia, sostenùore di Ario e personalità di grande rilievo. Si trattava di una traslazione, una procedura, come abbiamo vi sto nel primo capitolo, contraria ai canoni Eusebio, infatti, era stato pre cedentemente vescovo di Beirut. Con il nuovo pastore la Chiesa di Costantinopoli entrò nella storia tempestosa della controversia ariana. Dissidi interni, legati solo in parte al conflitto tra gli ariani e i loro avver sari, soprattutto dopo la morte di Eusebio (341), ne frenarono lo svilup po; a lungo sconvolta dalla lotta, che a volte degenerava in tumulti di strada, ua Paolo e Macedonia (un tempo allontanati da Costanzo TJ), la Chiesa di Costantinopoli avTebbe tardato non poco a ritrovare l'equili brio infranto dai vari gruppi. E utile ricordare elle in quegli anni Costantinopoli non era la sede stabile dell'imperatore: Costanzo risiedeva più spesso ad Antiocllia, e così pu r e Valente. Fu solo a partire dal regno di Arcadi o (395) che gH imperatori risiedettero stabilmente nella capitale La presenza o l'assen za del sovrano rivestiva un'enorme importanza per il vescovo, e non è '
.
tJ Di Giovenale parlerò più avanti, in occas.ione della storia del sinodo di Efeso del 449 e del concilio di Calcedonia del451. ln tutta la storia della Chiesa dell'antichità, Giovenale è l'unico uomo di Chiesa che io sospetti di avere avuto un atteggiamento freddo e cinico nei confronti della religione.
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Le grandi capitali del mondo ecclesiastico
un caso che la Chiesa costantinopolitana sia entrata per davvero nel suo periodo d'oro proprio alla fine del IV secolo. Nel 379, convocato dai fautori del Credo niceno privi di un pastore ortodosso, giunse a Costantinopoli Gregorio di Nazianzo, grande ora tore e teologo, che assunse il difficife complfo ctìf'i'ècsstrdlfe la comunità cattolica in una città dominata dagli ariani. Gregorio non riportò un grande successo, al contrario: dovette lottare con Massimo, appoggiato da Alessandria e consacrato vescovo della capita cedura con traria a tutti i canoni, ma che, grazie appunto all'appoggio alessandrino, era ben visto in Occidente (alla questione prese personalmente parte Ambrogio, vescovo di Milano). Il cambiamento decisivo avvenne in seguito all'intervento dell'impera tore. Entrato a Costantinopoli il 24 novembre 380, Teodosio il Grande impose immediatamente al vescovo della città, Demofilo, di firmare una dichiarazione di fede ortodossa; questi rifiutò, andando in esilio. Il 27
re20ri'P'ro
novembre Gregorio di Nazianzo prese possesso di Haghia Sophia e dei Santi Apostoli, le due più importanti chiese della città: inviso sia al po polo che al clero, dovette ricorrere ai soldati. L'ordinazione ufficiale del nuovo vescovo avvenne solo nel maggio del 381, ma gli intrighi orditi dal vescovo di Alessandria T imoteo, che non aveva rinunciato ad appog giare Massimo, spinsero in breve tempo Gregorio a dimettersi. Al suo posto, dalla lista dei candidati presentata dal concilio riunitosi nella città, Teodosio scelse Nettario, uomo anziano, senatore ed ex pretore che con ammirevole rtò la città alla calma e dopo alcune dif ficoltà, con l'aiuto dell'imperatore, allacciò rapporti corretti con le altre Chiese.
abilirrripo
2.11 La decisione del concilio dcl381 in materia di strutture ecclesiastiche Al concilio di Costantinopoli del381 convocato da Teodosio il Grande presero parte soltanto vescovi orientali (su questo concilio, fondamen tale per la storia della dottrina cristiana, tornerò ancora varie volte). Essi cercarono di riorganizzare la Chiesa d'Oriente allo scopo di creare strutture sovrametropolitane dai confini netti e di porre fine alle scan dalose guerre in atto tra le diverse Chiese. Come base fu assunta la divi sione amministrativa d'Oriente nelle cinque diocesi civili: Egitto, Oriente, Ponto, Asia, Tracia. .......__
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l vescovi di una diocesi non intervengano nelle Chiese situate fuori dai suoi confini, né le gettino nel disordine; ma secondo i canoni, il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l'Egitto, i vescovi dell'Oriente solo l'Oriente, salvi i privilegi delle Chiese di Antiochia contenuti nei canoni di Nicea; i vescovi delle diocesi dell'Asia amministrino solo l'Asia; que lli del Ponto solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia. A meno che non vengano 59
Stona della Chiesa nella Iarda antJchttà chiamati, i vescovi non escano dalla propria diocesi per ordinazioni e altri atti del loro ministero. Secondo questo canone è chiaro che le questioni di
una
prm·incia do\Tà regolarle il sinodo della stessa pro\'incia, secondo le decisioni di Nicea. Le Chiese di Dio fondate tra i popoli barbari siano go\'Crnatc se condo le consuetudini introdotte dai nostri padri.
2
I padri conciliari avevano tentato di porre un argine al fenomeno delle ingerenze da parte delle diverse Chiese (essi pensavano soprattutto al l'operato dci vescovi alessandrini, ma non solo), fenomeno che in passa to aveva generato confusioni e favorito l'insorgere di pericolosi scismi locali. Il testo del canone or ora citato, però, non era affatto chiaro. A parte quelli di Alessandria c di Antiochia, non venivano menzionati i vescovi dotati di un primato a livello sovrametropolitano; inoltre, il ca none parlava di "vescovi" al plurale, intendendo probabilmente i sinodi che riunivano i vescovi della diocesi, ma nella penultima frase si accen na a sinodi provinciali. Possiamo cercare di risolvere le difficoltà create da questo testo ricor rendo al decreto del sinodo convocato nel 382 dal vescovo di Costantinopoli, K'ettario. Secondo tale decreto le accuse contro i vesco vi (a condizione che non provenissero da scomunicati o da eretici) do-t vcvano essere esaminate da un sinodo provinciale; se esso si fosse di chiarato incompetente, la questione andava sottoposta a un sinodo «più importante», quindi a livello della diocesi civile, cui sarebbe spettata la decisione definitiva. l lJ.eq�� oltre vietava di «.!Il��tare l'imperato re» o diJi!esentare denunce ai tribunaleèiVilc. o riuscirono quindi a creare li cOiiCillO'del'38lci1sinodo del 382 nn stabili strutture sovrametropolitane dell'organizzazione ecclesiastica, c il citato canone 2, pur aprendo la strada all'espansione delle grandi "ca pitali" ecclesiastiche, non conferì loro alcuna nuova prerogativa, trac ciando invece dei limiti alle loro ambizioni.
2.12
Costantinopoli diventa la nuova 1\oma
Assolutamente nuova era invece la decisione contenuta nel canone 3: «Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d'onore dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la nuova Roma».11 Il canone definiva esclusi vamente la questione del rango, non della giurisdizione (in nessuno dei testi canonici dell'epoca ·�1 pi'?ci� il conrinc�rtroFime del vescovo di Costantinopoli, ma in pratica già allora egli svolgeva un ruolo di istanza d'appello, soprattutto nei confronti della vicina Tracia, territorio di fatto "riservato" alla nuova capitale ecclesiastica). 'Conciliorum Oecumemcorum Decreta. cit., canone 6 del concilio di Costan tinopoli. 11 l vi, canone 3 del concilio di Costantinopoli. 60
Le grandi capita/t del mondo ecclesiastico
Alle decisioni del concilio costantinopolitano i grandi capi delle Chiese occidentali, che non vi ave\'ano preso parte, reagirono chiedendo la con \'Ocazione di un nuovo concilio in Occidente, al quale partecipassero i vescovi delle due parti dell'impero. A questa proposta l'imperatore Teodosio rispose gelidamente, invitando i vescovi d'Occidente a non in tervenire negli affari delle Chiese d'Oriente, mentre i vescovi orientali declinarono l'invito al concilio adducendo a pretesto le eccessive diffi coltà del lungo viaggio. L'indifferenza di Teodosio il Grande nei riguardi del punto di vista di Eoma (nonché della dottrina sull'eredità di Pietro enunciata da Damaso, che tuttavia non contestò mai pubblicamente) si comprende alla luce della doppia vittoria riportata dal sovrano (il periodo della controversia ariana si era chiuso grazie al suo intervento c la sua politica verso i goti era stata coronata dal successo), vittoria che ora gli permet teva di occupare una posizione di forza. Roma invece aveva perso gran parte della sua prestigiosa clientela orientale, in passato bisognosa del suo appoggio contro gli ariani e gli imperatori che li sostenevano (seb bene alla capitale d'Occidente continuassero a rivolgersi vescovi in cer ca di aiuto nelle situazioni conflittuali, una volta esaurite tutte le possi bilità d'appello in Oriente). È tuttavia degno di nota che nel 381 né Alessandria e né Roma sentissero il bisogno di combattere il vescovo di Costantinopoli allo scopo di !imitarne la sfera d'azione: a loro premeva soprattutto che sul trono di Costantinopoli si inscdiassc l'uomo giusto. Per lungo tempo la Chiesa di Costantinopoli non rivestì un ruolo im portante al di fuori dei propri confini. Essa fu il teatro della rivalità dc gli altri vescovi piuttosto che un protagonista nella lotta per l'egemonia nel mondo cristiano. Forse qualche grande uomo di Chiesa intuì le enormi opportunità che la capitale, una volta superate le crisi interne, avrebbe potuto offrire al pastore della comunità; tuttavia, ammesso che avesse avuto tali intuizioni, le tenne per sé. Nello studiare le vicende della Chiesa di Costantinopoli del IV secolo si deve essere consapevoli del rischio di interpretare gli eventi di quel periodo alla luce di avvenimenti successivi, una tentazione, questa, a cui fin troppi studiosi hanno finito per cedere. Gli uomini di quelle genera zioni non avevano il dono della chiaroveggenza; non potevano sapere che un giorno gli imperatori avrebbero smesso di spostarsi da una città all'altra per risiedere stabilmente nella capitale c che ciò avrebbe confe rito una posizione di primo piano ai pastori di Costantinopoli. Non po tevano quindi rendersi conto che il futuro della storia della Chiesa si sa rebbe svolto (per un certo tempo) all'insegna della lotta tra Roma e Costantinopoli.
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3. Le conversioni
Seguendo il processo di cristianizzazione del mondo mediterraneo sia mo colpiti dalla sua lentezza, sorprendente soprattutto nei primi cento cinquant'anni di vita della nuova religione. Solo verso la fine del rv se· colo i cristiani rappresenteranno una decisa maggioranza tra gli abitanti dell'impero. L'lslam, fenomeno paragonabile al cristianesimo, si diffon derà in modo molto più rapido.
3.1 Cause della lentezza del processo di cristianizzazione dell'impero La lentezza con cui procedette l'evangelizzazione dell'impero non deve stupirei. L'accettazione della nuova fede costituiva una vera e propria rivoluzione, comportava il distacco dal vecchio modo di pensare, di sentire e di agire, richiedeva una disponibilità originata dall'inquietudi ne religiosa, dalla lacerazione, dalla scontentezza, da aspirazioni non realizzate nonché dalla paura dell'aldilà. Nel l eu secolo gli abitanti del le città dell'impero, soddisfatti del proprio mondo, del posto che vi oc cupavano e degli dèi che si prendevano cura di loro, erano candidati al cristianesimo alquanto improbabili Naturalmente anche in quel mondo pervaso di superbia non mancavano persone, o addirittura interi grup pi, più sensibili, alla ricerca di una pienezza religiosa che il culto tradi zionale non offriva. Tuttavia gli ambiemi pronti ad accogliere la parola del Vangelo erano poco numerosi; collocati ai margini della comunità, erano oggeno di commiserazione se non addirittura di sospetto pronto a trasformarsi in odio (nel prossimo capilOlo, quando tratterò la proble matica delle persecuzioni, avrò occasione di descrivere con maggior precisione la reazione dei pagani al cristianesimo). Fu solo con la crisi del m secolo, quando nemici esterni attaccarono con successo le frontiere dell'impero distruggendo il mito dell'invinci bilità romana, quando la pace interna fu mrbata da pretendenti al trono in lotta per il potere, quando, infine, si approfondì la crisi delle città, terreno naturale della civiltà antica, che il numero di persone toccate dal peso delle disgrazie collettive e individuali crebbe notevolmente. Le generazioni testimoni del crollo della solida costruzione che aveva assi curato benessere e pace dello spirito ai loro predecessori, iniziarono a cercare febbrilmente nuovi dèi, capaci di arrecare speranza e conforto. 62 Copyrighted
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Le conversioni I cambiamenti religiosi subentrarono quindi in ragione della sofferenza toccata in sorte alle comunità del mondo romano. Coloro tra gli storici della Chiesa moderni che negano la lentezza della cristianizzazione, descrivendone l'avanzata come una rapida marcia trion fale, peccano di ingenuità; la fatica con cui gli uomini si staccarono dagli antichi dèi non dimostra affatto la debolezza del cristianesimo, la quale, al contrario, derivava da ciò che secoli dopo si sarebbe rivelata la sua for za, ossia un monoteismo senza compromessi, che esigeva una profonda trasformazione del vecchio modo di pensare e di vivere. La rete delle comunità cristiane si infittì in tempo relativamente rapido; le comunità erano piccole, circondate di diffidenza, e le assurde accuse di cui erano fatte oggetto (avvelenamenti, omicidi rituali, raffinata dissolu tezza) dimostrano non solo il senso di estraneità che suscitavano, ma an che la grande ignoranza degli accusatori. Alla fine del m secolo, gli am bienti fervidamente pagani avrebbero odiato con molta più forza i cristia ni, ma non li avrebbero più accusati di reati comuni: tutti (o quasi tutti) sapevano ormai chi fossero e come vivessero i seguaci della nuova fede.
3.2 Quanti erano i cristiani a metà del m secolo Quanti cristiani vivevano nell'impero romano all'inizio, alla metà e alla fine del TTT secolo? Quante erano a quel tempo le Chiese? Purtroppo non siamo in grado di rispondere a queste semplici e fondamentali do mande, poiché le fonti non ci forniscono alcun supporto. Potremmo elencare le città in cui l'esistenza delle comunità cristiane è ben docu mentata, ma si tratterebbe di una lista incompleta, giacché le nostre co noscenze sono dolorosamente carenti. La mancanza di informazioni su una data città non significa affatto che non vi fossero cristiani. Parlando in termini specialistici, direi che la prova ricavata dal silenzio delle fonti (argumentum ex silentio) in questo caso non può essere applicata. Non solo è impossibile determinare il numero dei cristiani nelle comunità, anche in quelle meglio conosciute, ma non possiamo indicare nemmeno un ordine di grandezza approssimativo. Il lettore dovrebbe convincersi che le cifre che talvolta compaiono nei libri e negli articoli (dettate dal l'irresistibile tentazione di tradurre semplici impressioni nel linguaggio dei numeri) sono completamente prive di fondamento. Pur rinunciando a lavorare con i numeri, possiamo tuttavia cercilfcc cli stabilire l'entità approssimativa della diffusione del cristianesimo ricor rendo ad argomenti indiretti. È meglio sapere poco che niente. L'analisi delle azioni della Chiesa e di quelle contro la Chiesa sembre rebbe indicare un aumento sensibile del numero dci cristiani attorno alla metà del m secolo. Ciò si manifesta in vari modi: le strutture orga nizzativc della Chiesa si complicano, le regole del suo funzionamento, prima fluide c affidate alla tradizione orale, si formalizzano, i mezzi economici a disposizione dei vescovi crescono visibilmente. Ma l'au63
Storia della China nella tarda antichità
mento delle comunità cristiane è testimoniato soprattutto dal nuovo modo di combatterle. Le persecuzioni dei cristiani nelle diverse località dell'impero ebbero un carattere sporadico fino alla metà del Ili secolo. Professare la fede in Cristo poteva comportare ovunque una condanna a morte; tuttavia non esisteva una vera e propria politica degli imperatori nei riguardi della Chiesa. Non erano stati presi provvedimenti legali che definissero il comportamento dei funzionari nei confronti delle comunità, né si attac cavano i cristiani contemporaneamente in tutto l'impero. Solo nel 250, per la prima volta, la Chiesa divenne oggetto di una repressione v@�a e guidata dall'alto. L'editto di J4!cio. che ordinava a tutti gli abitanti dell'impero di offrire �ificio agli dèi, colpiva naturalmente le co munità cristiane, perché tutti i membri di queste che non avessero par tecipato alle cerimonie si esponevano a gravi pene. L'imperatore agiva per ragioni religiose: di fronte alla dura crisi provocata dalle incursioni dei barbari riteneva opportuno invocare la benevolenza delle divinità, e questo era lo scopo principale dell'editto. Tuttavia, sia l'imperatore sia il suo entourage sapevano bene che i casi di disobbedienza si sarebbero avuti soprattutto tra i seguaci di Cristo. È dunque chiaro che a metà del ITT secolo le comunità cristiane dove vano essere numerose, ben visibili e influenti. Costituivano un nemico importante, che andava attaccato sistematicamente e distrutto. Il tempo dei pogrom sporadici era ormai chiaramente finito.
3.3 Come si diventava cristiani
Purtroppo sappiamo poco del modo in cui avvenivano le conversioni. Possiamo dire qualcosa riguardo alla preparazione al battesimo, ma in genere le fonti tacciono in merito alle circostanze che avevano portato i catecumeni a scoprire la nuova fede. Probabilmente, prima della svolta di Costantino l'elemento decisivo era l'attività individuale dei membri della comunità: erano loro a predicare il Vangelo nella cerchia dci cono scenti e a testimoniare con l'esempio il valore della nuova religione; non risulta infatti che le Chiese prendessero l'iniziativa di tenere pubbliche discussioni o conferenze (o perlomeno che lo facessero sistematicamen te), e in ogni caso l'atmosfera generale non favoriva simili iniziative. Non sappiamo nemmeno in quale misura le riunioni delle prime co munità cristiane fossero aperte a tutti, poiché la tendenza a rinchiudersi in gruppi coesi era molto forte. Il cristianesimo antico, infatti, univa in modo sorprendente due qualità apparentemente opposte: l'universalità (e quindi la missione di convertire tutta l'umanità) c il settarismo.' I ca-
1 Mi rendo conto del giudizio qualitativo che questo termine comporta, ma non riesco a trovarne un altro: mi riferisco alla tendenza a dar vita a gruppi net tamente separati dal mondo, composti di persone moralmente e teologicamente
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Le conversioni
J tecumeni, per esempio, non potevano partecipare all'intera messa e ve
nivano allontanati dalla riunione prima dell'inizio dell'offerta eucaristi ca, considerata un mistero, un segreto accessibile solo a coloro che ave vano ricevuto il battesimo, mentre le prediche rivolte dal vescovo ai fe deli erano accessibili a tutti. Nel Il! secolo, dopo che la letteratura cristiana si era ormai sviluppata, certuni scoprivano la nuova fede attraverso le letture, ma si trattava di casi isolati. Le persone colte si sentivano respinte dallo stile letterario della Bibbia, così distante dai modelli stilistici appresi nelle scuole. Le apologie del cristianesimo, che cominciarono a diffondersi verso la metà del n secolo, non erano letture adatte ai pagani, sebbene proprio a loro fossero ostensibilmente destinate: la religione pagana era trattata con orrore e i seguaci delle antiche divinità insultati senza complimenti. Sicuramente tali "difese" del cristianesimo servivano ad appagare i bi sogni degli stessi cristiani, rafforzando in loro la certezza di essere nel giusto; inoltre, agli occhi dci membri più colti delle comunità, esse no bilitavano la nuova religione, esponendo le sue verità in uno stile lette rario conforme alle regole classiche. Le opere non apologetiche tocca vano invece argomenti in grado di suscitare l'interesse delle persone già convertite al cristianesimo. Un ruolo fondamentale nella diffusione del cristianesimo ebbero in vece le persecuzioni. Di fronte ai processi pubblici c ai martirii nelle arene degli anfiteatri e dei circhi, furono probabilmente in molti a chie dersi che cosa spingesse i cristiani a conservare con tanto ardore la pro pria religione. Certo la maggioranza vedeva in questo una riprova del fanatismo dei seguaci di Cristo; i più sensibili però provarono interesse c simpatia per i martiri c cercarono di saperne di più sul cristianesimo entrando in contatto con le comunità. Fin dalle origini il cristianesimo annoverò tra i suoi seguaci persone delle più diverse condizioni sociali. La cosa non deve mcravigliarci, poi ché la crisi religiosa si manifestava a tutti i livelli della scala sociale. Naturalmente esistevano ambienti più o meno disponibili alla conversio ne: le donne, per esempio, erano più di altri disposte ad accogliere il Vangelo (di ciò parlerò più estesamente nel capitolo 11), mentre forti re sistenze si riscontravano da un lato tra l'élite che amministrava l'impero a livello centrale (senatori e cavalieri), dall'altro tra i contadini, maggior mente legati all'ordine morale e religioso tradizionale. Ben presto, però, il cristianesimo avrebbe fatto breccia anche in questi gruppi refrattari.2
pure, gruppi ai quali si accede mediante un'iniziazione, al fine di distinguere co loro che ne fanno parte da coloro che ne restano esclusi. 1 A questo proposito vorrei sottolineare in modo categorico che la divisione della storia del cristianesimo in un'epoca caratterizzata dalla conversione delle persone semplici e un'altra segnata dall'adesione dci ceti più colti e abbienti, è un'idea ormai superata dal punto di vista scientifico. Se talvolta riappare in qualche opera ciò non depone a favore degli autori. 65
Storia della Chiesa nella tarda antichità Si sono conservate pochissime descrizioni di conversioni individuali. Tra quella dì Paolo e quella di Agostino, per citare le più famose, inter corrono oltre tre secoli, durante i quali il mondo mediterraneo si è cri stianizzato. In tutto questo lungo periodo estremamente rari sono i casi in cui siamo in grado di stabilire che cosa abbia indotto una persona educata in ambiente pagano o ebraico ad abbandonare la religione tradi zionale per entrare in una comunità cristiana, quali fatti abbiano dato il via a questo processo, quali parole, e di chi, quali azioni, e di chi, abbia no spinto persone tanto diverse ad accogliere il messaggio del Vangelo. Risulta quindi difficile cogliere il meccanismo psicologico della conver sione, menue sembra essere più facile avanzare congetture di tipo socio logico. Oltretutto non dobbiamo dimenticare che nella cultura antica l'interesse per l'individuo, per le trasformazioni della sua vita interiore, per l'oscillazione di pensieri e sentimenti, per i mutamenti degli stati d'a nimo o per la lotta ua il freddo razionalismo e l'emotività non si spinge va molto lontano, o perlomeno non tanto quanto nella cultu.ra europea del XIX e XX secolo. Nella letteratura antica, o comunque antecedente a sant'Agostino, cercherenuno invano l'annotazione di stati di coscienza e di flussi di pensiero: l'analisi minuziosa degli eventi passati, che permette di ricostruire la tortuosità del percorso compiuto, noo esiste; sia la men talità pagana sia quella cristia.na erano prive di quei presupposti che in ducono a riflettere sulla metamorfosi interiore dell'individuo. Non deve quindi sorprenderei la scarsità delle testimonianze sul cammino seguito dagli individui per giungere a Dio e alla Chiesa. Lo storico che desideri ricostruire il processo di cristianizzazione del mondo antico si imbatte in un'ulteriore difficoltà. l pagani di ieri, dive nuti cristiani, si allontanavano cos1 nettamente dal proprio passato, cbe finivano per non capirlo più. Tutto quello che apparteneva alla vita pre cedente sembrava loro riprovevole o comunque poco importante. Ri partivano da zero, quanto mai riluttanti sia a ripensare agli atteggiamenti e alle abitudini del passato, sia a parlarne. Se scrivevano della loro con versione era per testimoniare pubblicamente la nuova fede e la nuova moralità, non cerro per indagare su c:he c:osa avesse provocato quella grande trasformazione. La consapevolezza dell'aiuto di Dio era più che sufficiente, e neanche per un attimo dubitavano che fosse stato proprio il suo intervento a indurii ad abbandonare la vita di prima. I cristiani che li avevano sostenuti nella conversione erano stati solo un mezzo della gra zia divina: occorreva quindi ringraziare Dio per l'aiuto, senza soffermarsi sull'opera dei suoi strumenti umani. Uo esempio signitìcativo di questa profonda incomprensione per il proprio passato ci viene offerto dalle apologie scritte da intellettuali cri stiani neoconvertiti: leggendole si direbbe che gli autori abbiano perso ogni nozione della religione pagana (che pur dovevano avere). Le apo logie non sono una buona fonte per la storia delle religioni antiche; lo storico che conosce la documentazione di parte pagana non crede ai propri occhi, nel constatare quanto sia diverso il quadro del paganesi66
rinhtf>ri;,l
Le conversioni
mo tratteggiato dagli autori convertiti al cristianesimo e animati dal de siderio di allontanarsi dal proprio passato e di condannarlo.
3.4 La via alla Chiesa dell'intellettuale Esistevano però delle eccezioni. La più famosa è quella di Giustino (100 ca.-165 ca.), nato da una ricca famiglia pagana di Flavia Ncapolis (oggi Nablus), in Palestina. Nel Dialogo con Trt/one Giustino narra le circostanze in cui avvenne la sua conversione. Ad avvicinare Giustino al cristianesimo era stata la filosofia. Nella sua ricerca della verità su Dio, il giovane si era dapprima interessato agli stoici (che costituivano la principale scuola filosofica del tempo), ma la loro dottrina gli parve sterile: per quanto studiasse, la sua conoscenza di Dio non progrediva e il maestro di Giustino diceva che si trattava di una «cognizione inutile». Il giovane allora cercò una guida spirituale in un altro filosofo, un aristotelico, il quale dopo alcuni giorni volle stabili re il compenso per i propri insegnamenti. Giustino ne rimase deluso, così come lo deluse il contatto con i neopitagorici. Quando il maestro di quella scuola seppe che Giustino voleva diventarne un adepto, chie se: «Vediamo, hai coltivato la musica, l'astronomia, la geometria? O pensi forse di poter discernere alcunché di quanto concorre alla felicità senza prima esserti istruito in queste discipline, che distolgono l'animo dalle cose materiali e lo preparano a trarre frutto da quelle spirituali, sì da giungere a contemplare il bello c il bene?». Senza lo studio di quelle discipline il neopitagorico non volle accettare Giustino, il quale riteneva ragionevoli le richieste, ma, nel suo desiderio di avvicinarsi a Dio, era troppo impaziente per dedicare anni e anni alle varie fasi dell'insegna mento. La persona da cui Giustino imparò di più fu un filosofo della scuola platonica: «Mi affascinava la conoscenza delle realtà incorporee e la contemplazione delle idee eccitava la mia mente. Ben presto ritenni di essere diventato un saggio c coltivavo la sciocca speranza di giungere alla visione immediata di Dio». Un giorno il giovane decise di cercare la solitudine in un luogo appar tato per «stare solo con se stesso senza essere disturbato». Strada facen do incontrò sulla riva del mare un vecchio «dall'aria mite e veneranda», che indicò a Giustino un altro modo di avvicinarsi a Dio: il Vangelo. Quanto a me, un fuoco divampò all'istante nel mio animo e [ ] trovai che que ...
sta era l'unica filosofia certa sono un filosofo
c
c
proficua. In questo modo e per varie ragioni io
vorrei che tutti assumessero la mia stessa risoluzione e più
non si allontanassero dalle parole del Salvatore. Esse infatti incutono un certo timore e sono sufficienti a confondere coloro che deviano dalla retta strada, mentre una quiete dolcissima pervade coloro che le mettono in pratica. l
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San Giustino, Dta/og.o con Tri/one, Edizioni Paolinc, Milano 1988, pp. 88-92. 67
Storta della Chiesa nefta tarda antichità
li racconto di Giustino non va preso troppo alla lettera: esso riprende infatti stereotipi letterari e filosofici ricalcati su modelli prestabiliti. Più che i fatti reali, ciò che conta è il modello proposto, la strada ideale che l'intellettuale dovrebbe seguire per convertirsi al cristianesimo. Poco importa, quindi, la verità della narrazione; per noi è sufficiente che Giustino abbia presentato questa versione ai suoi lettori, che evidente mente la ritenevano plausibile. (Naturalmente la via della ricerca filoso fica era accessibile solo agli i.!)t,fllett�.g_!i. non certo all'uomo qualunque N e non possiamo pretendere che simili scritti testimoniassero le esperien-(1 ze della gente comune.) Nel racconto di Giustino vorrei però sottoli neare la presenza dell'inquietudine e della scontentezza, premesse indi spensabili di ogni com;'èrsroile:a�lla con�er;ibne Ji tutti, non solo degli intellettuali.
3 .5 Difficoltà dei matrimoni misti
Per lungo tempo furono i singoli individui, e non i gruppi sociali o pro fessionali, ad abbracciare il cristianesimo. Spesso nella medesima fami glia convivevano pagani e cristiani e ciò era fonte di tensioni, conflitti, accuse reciproche e denunce alle autorità. Delle difficoltà originate dalla differenza di fede narra in modo sor prendentemente realistico Tertulliano (155 ca.-220 ca.), scrittore latino originario dell'Africa settentrionale: Ogni donna cristiana perciò dovrà essere necessariamente fedele nel servizio di Dio. E come mai potrebbe questa servire a due padroni, al Signore e al marito, per di più pagano? Se ella si preoccupa di aderire alle esigenze del marito pagano, cercherà di mettere in evidenza i pregi stimati dai pagani,
c
cioè la bellezza, l'acconciatura, le raffinatezze secolari e le lusinghe piuttosto oscene. Perfino i segreti dell'intimità coniugale diverranno peccaminosi. [ ... ]
Giudichi ella stessa come riuscirà a adempiere i suoi impegni nei confronti del marito [.. ]. Infatti ella avrà sempre al suo fianco un servitore del demo-. .
nio, vale a dire un procuratore solerte di questo suo padrone, incaricato di frapporre ostacoli alle buone premure
c
agli impegni dei cristiani. Le conse
guenze saranno queste: se occorre dedicarsi alla stazione,4 il marito, proprio quel giorno, dovrà recarsi ai bagni; se bisognerà osservare il digiuno, il mari to, quel giorno stesso, darà un banchetto; se c'è necessità di uscire di casa, mai sopravvengono tanti lavori di casa che esigano la vigilanza sugli schiavi. Chi mai permetterebbe alla moglie di passare di rione in rione allo scopo di
visitare i fratelli, entrare nelle case più povere e perfino nei tuguri più misera
bili) E chi mai lascerebbe di buon grado che la moglie gli si staccasse di fian co, quand'anche lo esigesse il suo compito per recarsi alle riunioni notturne) E chi infine sopporterebbe serenamente che durante le solennità della Pasqua
4 Cioè partecipare a una riunione dei cristiani in cui si prega stando in piedi. 68
Le conversioni ella passasse la notte fuori di casa? E chi mai consentirà, senza averne sospet to, che la moglie frequenti la mensa del Signore, che è motivo di tante calun nie ignominiose? Chi potrà tollerare che la moglie si insinui furtivamente dentro le carceri allo scopo di baciare la catena di un martire? Potrà egli ammettere che la moglie si avvicini a qualcuno dei fratelli per scambiare il bacio della pace, rechi l'acqua per lavare i piedi dei santi, s'inte ressi premurosamente del cibo c della bevanda per loro, desideri farlo e non pensi ad altro se non a questo? Poi, nel caso che sopravvenga un fratello da un lungo viaggio, quale ospitalità potrà ricevere in una casa a lui del tutto estranea? [. . ]
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Così infatti il Signore afferma: "Non gettate le vostre perle innanzi ai porci, af finché non le calpestino c poi si rivoltino per abbattere anche voi". Vostre per le sono pure le testimonianze della vostra vita quotidiana. E allora, per quanto tu ti preoccupi per occultarla, tanto più la renderai motivo di sospetto, e per ciò tanto più ne farai oggetto di curiosità, da parre dci pagani, per conoscerla meglio. Potresti tu nasconderlo alla sua attenzione, quando fai il segno della croce sul tuo corpo, quando, con soffio, procuri di cacciare via qualcosa d'im puro, come anche quando ti alzi di notte per pregare? Non sembrerà forse che tu operi qualche segno di arte magica? Non saprà forse tuo marito che cosa tu prendi in segreto prima di assumere ogni altro cibo) E se saprà che si tratta di pane, non penserà forse che è proprio quello, di cui si parla? [ ]
...
Così la serva di Dio finirà per dimorare in compagnia degli dèi estranei, ed è in tale ambiente che ella sarà frastornata dalla celebrazione di tutte le solen nità in onore dci sovrani, al cominciare dell'anno, all'inizio dci mesi, in mezzo alle esalazioni degli incensi. Uscirà così, dalla porta di casa, tutta adorna di al loro
c
di lampade, come da un sito novello destinato alle riunioni a scopo di
pubbliche libidini. Ella si siederà a tavola col marito, spesso in occasione di banchetti di amici, sovente, nelle stesse tavernc. E talvolta dovrà adattarsi a occuparsi di persone malvagie, Ici che un tempo era abituata a servire i santi.
[ .. ] E della bevanda di chi presumerà d'essere partecipe? Che cosa canterà il
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marito per lei, e che cosa canterà lei per il marito? Ella dovrà senza dubbio sentire gli echi di tutto quello che si produce nei tea tri, nelle tavernc
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nell'inferno. Quale invocazione
a
Cristo? Quale alimento
alla fede, derivato dalla lettura della Scrittura? Dove la benedizione di Dio? Tutto \·i sarà estraneo, tutto ostile, tutto degno di condanna, tutto provocato dal maligno allo scopo di invalidare la salvezza.5
(
Dalla sua esposizione Tertulliano trae la conclusione seguente: «Stando così le co se , risulta che i cristi ni se contraggono il matrimonio con perseme pagane, si rendono ovviamente colpevoli di fornicazione e perciò debbono essere esclusi da ogni comunione con iT\·aféni». ùnverdetto, questo, che derivava dal rigorismo morale dell'autore: n.on...pru.:e infatti.. c molci cristiani condi�SCJ:.Qs>..lli!:ioni così radicali. I matrimoni mi sti urono comuni fino a cent'anni dopo Tertullìàno, e anche oltre
a ,
� 5
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Tertulliano, Alla con.wrte, Il, -1, 3; n, 6, 1-2. 69
Storia della Chiesa nella tarda anticbità '
E facile trovare testimonianze analoghe a quella di Tertulliano, sebbene non altrettanto pittoresche e ricche di particolari; esse riguardano in variabilmente le donne e le loro sofferenze. Quest'attenzione c.oncen· trata sulle donne è perfettamente comprensibile alla luce di ciò che sap· piamo della loro posizione nella società; sottoposte al potere degli uo mini (padri, mariti, fratelli, tutori), non potevano scegliere liberamente la propria vita e, nel caso di differenze religiose, il marito trattava la mo glie da 1.ma posizione di forza, imponendole, se non la propria confes sione, perlomeno le condizioni del compromesso domestico che gli tor· navano più comode.
3.6 La religione pagana dopo la svolta costantiniana: da una tolleranza ostile alla repressione La conversione di Costantino al cristianesimo e il conseguente cambia mento della politica dello staro nei confronti della Chiesa crearono le nuove condizioni per la cristianizzazione dell'impero, che cominciò a procedere assai \lelocemente. A molte persone, soprattutto a quanti formavano l'apparato del potere o ne dipendevano direttamente, la conversione sembrava una scelta conveniente: facilitava la carriera sta tale, procurava le opportune protezioni, offriva una copertura nelle si· ruazioni pericolose. Non dobbiamo tuttavia vedere in questi vantaggi materiali il principale né tantomeno l'unico motivo che affrettò il pro· cesso di diffusione del cristianesimo. L a crisi complessiva, che aveva spinto le generazioni precedenti ad abbracciare una nuova fede, non scomparve con l'inizio del IV secolo; con il passare del tempo si fece . anz1 ptu acuta. I figli di Costantino, Costante e Costanzo, dichiararono guerra aperta aUa vecchia religione. Tta iJ341 e il356 essi emanarono ben cinque leg gi che proibivano il culto pagano e imponevano la chiusura dei templi. Cesset strperstitio, sacri/iciorum aboleatur insania («Cessi la superstizio· ne [dove superstitio sta senza dubbio per ''religione pagana"] e venga abolita la follia dei sacrifici») dichiara una legge di Costante.6 In un a]. tro atto Costanzo afferma che quanti oseranno offrire sacrifici agli dèi subiranno la pena della spada (Cod. Th , XVI, 10, 4). La politica di repressione per mezzo di atti legali continuò con Teodosio il Grande. Nel 38ll'imperatore proibì l'offerta di sacrifici sia di giorno che di notte, nonché la visita ai templi; le pene previste erano tuttavia più miti di quelle dettate dai figli di Costantino: invece della morte era prevista la deportazione (Cod. Th., XVI, 10, 7). L'anno seguen te venne promulgata una legge che proibiva l'offerta di sacrifici (Cod. Th., XVI, 10, 8). Con una legge del392 Teodosio, a nome proprio e dei figli, condannava a morte il paganesimo: .
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6 Codex Theodosianus, X'Vl, 10, 2. 70
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Le conver.rioni
Gli imperatori Teodosio,Arcadia e Onorio a Rufina, prefetto del pretorio. A nessuno di qualsivoglia condizione [. ..l in alcun luogo, in alcuna città è consentito offrire sacrifici [. .] a statue senza vita, come pure venerare all'interno delle c ase Lari, Geni l J o Penati, accendere lumi in loro onore, bruciare incenso o appendere ghirlande. Chiunque osi offrire un sacrificio cruento o trarre vaticinio dalle interiora sarà considerato colpevole di ksa n�����; ��i )20trannq_�c�!!;: l o e �� ...,_ l';�us��o verrà e�m.!.�r2 il .� èJ..:;. er.��t,t.ç>k a!l.che se e l non avrà cercato di �yit,. sapere nicnfé'èOntro la salvezza o sulla salvezza deg i im eraton. .. . Uìipoivenerse dalla.carica, sostenendo che la consacraziOne eFf'èrn:nmt da un vescovo indegno non aveva alcun valore; inoltre si accusava il nuovo pa store di Cartagine di aver rifiutato, durante le persecuzioni, il cibo ai fe deli incarcerati. Pare che Ceciliano fosse disposto a sottoporsi una se conda volta alle cerimonie di consacrazione, ma per il sinodo la propo sta era inaccettabile. �� quindi un nuovo vescovo, Mag riQS> . Alh sua_!]orte, avve nuta poco dopo, il suo os o u eso da pnato di C asae N}grae, ve _ cl Sahara, uomo di gran scovo di una piccola loca ita num1 a ai limiti èf dc ener gia e coerente rigorista, che già da tempo si era fatto notare. Fu dal suo nome che gli scismatici vennero chiamati "donatisti". Costantino, che dopo la vittoria su Massenzio aveva assunto il gover no dell'Africa, trovò dunque divisa la sua Chiesa. Fin dall'inizio l'impe ratore si schierò dalla parte di Ceciliano, molto probabilmente su sug gerimento di Osio,9 gli fece dono di un'ingente somma di denaro e rac comandò al governatore di aiutarlo in ogni modo. L'esenzione dai mu nera doveva riguardare solo i suoi seguaci. l donatisti si appellarono all'imperatore:
�
Ti preghiamo, ottimo Cesare, tu che provieni da una famiglia giusta, tu, il cui padre, unico tra i cesari, non ha indetto persecuzioni, grazie alla qual cosa le Gallie sono immuni da tale delitto [ossia dalla traditio]. Poiché in Africa è in atto una contesa tra noi
e
gli altri vescovi, ci raccomandiamo alla Tua Pietà af
finché ci faccia assegnare dci giudici delle Gallie.10
Questo testo, firmato da quattro vescovi della pars Donati, fu consegnato al governatore dell'Africa con la preghiera di trasmetterlo all'imperatore. Costantino acconsentì, nominando t�yescovig_allici.. che dovevano i!:!tffioga:fele partÙ ROm�, m presenza dd vescovo romano � La pì-oceaura subì ulteriori com-ptti:azioni quando costui aggiunse al consesso giudicante altri quattordici vescovi italici. Nell'ottobre 313 fu quindi convocato il sinodo. Dopo tre giorni di tempestose discussioni i partecipanti assolsero Ceciliano. [ donatisti respinsero la sentenza, sostenendo che Milziade non aveva diritto di giudicarli, essendo egli stesso un uomo indegno di occupare la
• Altrove i vescovi erano coerentemente ostili ai donatisti, perché non riusci vano a comprendere il senso di un odio così accanitO per i traditores: in altre parti dell'impero la questione non suscitava tanta emozione. 10 I testi donatisti citati si trovano nell'opera di OttatO (Optatus) di Milcvi, Adversus Parmenianum donatistam, in Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum l,atinorum, Wien 1893, vol. XXV!, pp. 25-26.
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Storia dello Chiesa nella tarda antichità sua carica, in quanto consacrato da Marcellino, macchiatosi, secondo i donatisti, di apostasia. Si appellarono nuovamente all'imperatore, il quale decise di rinnovare il processo, affidando la causa a un altro e più vasto consesso di vescovi, convocato ad Arles. I dibattiti si svolsero alla presenza dello stesso Costantino. Vi partecipavano trenratré vescovi e gli argomenti comprendevano varie questioni di disciplina ecclesiastica. IJ sinodo approvò dei canoni (placuit ergo praesente Spiritu Sancto et an gelis eiusdem: sandria; di conseguenza, la sentenza del sinodo non poteva che portare a uno scisma. Entrambe le parti iniziarono allora un periodo di intensa attività propagandistica: sia Alessandro che Ario inviarono a molti vescovi dell'Oriente cristiano let· tere che illustravano i princìpi della propria fede e le circostanze in cui era nata la controversia. � a...;u .J;4 te di Ario si schierarono fin dall'inizio Eusebio, v� dell'importa�k"Zfttà "Ji--�ò;;;e�ii;- (ai tempi di -DìoéleZiano era stata una capitale imperiale) nonc�-un altro Eusebio, il vescovo di Cesarea di Palestina. Su iniziativa di questi ultimi s1 svolse ro 'duè'picco1i"SSri'i'a in -Èitlniae in Palestina, che dichiararono "orto dosse" le opinioni di Ario. Costantino intervenne nel conflitto alla fine del 324, dopo la vittoria \ su Licinio. Su ordine dell'imperatore giunse ad Alessandria Osio, con una lettera per i due esponenti della controversia, nella quale Costantino li invitava a riconciliarsi, sottovalutando però l'oggetto del contendere (ne citerò ampi frammenti all'inizio del capitolo seguente). Ma l'effetto dell'invito fu praticamente nullo. Osio, che simpatizzava apertamente per Alessandro, prese in seguito parte al sinodo di Antiochia (inizio del 325), composto in larga maggioranza da opptlsit�o (teniamo
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L.:impero romano nel i__
IV
secolo
SOOkm
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Confini tra l'impero Occidentale e quello Orientale Confini delle diocesi Confini delle province
Stora i della Chiesa nella tarda antichità
presente che questi sinodi minori di solito radunavano vescovi della me desima idea, quindi non c'è da stupirsi che prendessero decisioni diarne· tralmente opposte). Nel frattempo i due schieramenti operavano per assicurarsi l'appog gio dei vescovi; venivano scritte lettere aperte, trattati polemici, e gli stessi interessati, o i loro inviati, giravano da una città all'altra. L'insuccesso dei tentativi intrapresi dovette rivelare a Costantino la vera entità della controversia e la conseguente necessità di convocare un consesso di vescovi più vasto, con rappresentanti di entrambe le pani e dotato di sufficiente autorità per approvare una professione di fede va lida per tutti. Il modello era quello del sinodo diArles, convocato anni prima per risolvere gli scismi in Africa. Inizialmente si pensò di farlo svolgere adAncira, ma quando Costantino si rese conto che la sua pre senza sarebbe stata indispensabile, convocò i vescovi in una città posta vicino alla propria residenza (che nel 325 era ancora Nicomedia). Furono invitati nmi i vescovi, ma la fatica dd viaggio e le malattie dei pastori, quasi tutti in età avanzata, fecero sì che solo una minoranza ar rivasse a Nicea. Il sinodo radunò dunque più di duecento partecipanti, provenienti da varie diocesi d'Oriente, mentre dall'Occidente non giun. se quast nessuno. Ho già descritto l'apertw·a del consesso e l'atteggian1ento di Costan tino: l'imperatore voleva un ristùtato unanime, in quanto mirava alla concordia della Chiesa e non a schiacciare la parte perdente. Entrambi gli schieramenti annoveravano vescovi che egli conosceva personaLuen te e che stimava: Osio, Eusebio di Nicomedia, Eusebio di Cesarea e al tri ancora. Costantino fece dunque quanto era in suo potere per ottene re il risultato sperato: Ascoltava pazientemente tutti i discorsi, seguendo con la massima attenzione le proposte presentate. Ora intromettendosi, ora incoraggiando ciò che dicevano le due parti, poco a poco riuscì a conciliare le opposte pos izioni Parlando se .
renamente con tutti e servendosi della linj,'11a greca, che pure conosceva, sem pre amabilissimo e lieto, convinceva gli uni con la forza delle sue ragioni, altri li persuadeva con la preghiera ; colmava di lodi quanti esprimevano giuste opi· nioni, invitando rutti alla concordia. Così facendo, riuscl finalmente a rendere tutti concordi e unanimi su tutte le questioni prima controverse. 14
Dopo le discussioni (di cui purtroppo sappiamo poco, non essendosi conservati i protocolli del concilio) i vescovi riuniti a Nicea approvaro no il testo della professione di fede, firmata da tutti tranne che da due stretti seguaci libici di Ario: Secondo di Tolemaide e Teone di Marmarica. Ario fu condannato dal concilio. Se non si può J)arlare di unanimità assoluta, si trattò pur sempre di un risultato imponente, con siderando che tra i vescovi presenti il gruppo dei sostenitori diArio era 1q
Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, ediz. G.Ch. Hanson,
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Gli imperatori
e
la Chiesa
inizialmente molto numeroso (anche se ben lontano dal costituire la maggioranza). L'imperatore contribuì al risultato non solo con incita menti e spiegazioni: tutti sapevano perfettamente che i ribelli sarebbero stati esiliati. Costantino comunicò trionfalmente al mondo cristiano l'esito dei di battiti conciliari; dalla sua cancelleria partirono missive dirette a tutte le Chiese. L'imperatore inoltre emanò nei confronti diArio la seguente di sposizione: Avendo Ario seguito l'esempio di uomini empi e malvagi, merita di subire la stessa pena degli altri. Allo stesso modo che Porfirio, nemico della vera pietà c
autore di opere scellerate contro la religione cristiana, ha avuto degna mer
cede, per cui lui stesso è ricoperto d'obbrobrio presso i posteri e i suoi empi scritti sono caduti nell'oblio, così ora abbiamo deciso che Ario
c
i suoi segua
ci vengano detti "porfiriani" l.. ] E se qualcuno avesse nascosto un libro .
scritto da Ario, invece di prcndcrlo e gettarlo alle fiamme, sia condannato alla pena di morte.15
Il 25 luglio 325 i vescovi presero parte a un grande banchetto, indetto in occasione dei vent'anni del regno di Costantino. In seguito Eusebio narrò che i vescovi banchettarono con l'imperatore come apostoli attor nio a Cristo in Paradiso. L'imperatore distribuì doni, esortò nuovamen te all'amore, alla collaborazione, alla concordia. Ben presto si sarebbe reso conto che i vescovi erano assai lontani da quei nobili sentimenti. Due simpatizzanti diArio, Eusebio di Nicomedia e Tcognide di Nicea, che avevano firmato il Credo rifiutanaosiCiì'Sòtl:"nsciwere-tt-eesto rima nente, si inimicarono l'imperatore stringendo contatti con certi scontenti di Alessandria. Costantino reagì condannandoli all'esilio; nella lettera in- \ viata ai cittadini di Nicomedia ricordò tra l'altro c1ie Eusebio aveva avu to buoni rapporti con Licinio. I n seno alla Chiesa, ormai, il conflitto era divam paro, e non si poteva più parlare di compromessi e di tolleranza in materia di fede. Sebbene il Credo avesse suscitato vivaci riserve teologiche, nessuno aveva osato at taccarlo (nessuno lo fece apertamente finché visse Costantino, che non l'avrebbe mai accettato). Tuttavia ci si combatteva in ogni modo possibi le. Entrambe le parti intrapresero un'azione di "pulizia" dei vescovati al l'interno della loro sfera di innuenza, liberandosi con vari pretesti dci ve scovi scomodi e sostitucndoli con altri fedeli alla dottrina. Accusare un avversario di comportamento immorale in campo sessuale, per esempio, era un modo per liquidarlo; quanto poi ci fosse di vero e di falso in simili accuse (era sempre possibile presentare una donna di facili costumi che incolpasse l'ecclesiastico di dissolutezza), è impossibile saperlo. Per effetto di queste azioni di "pulizia", i fautori diArio conquistarono importanti influssi in Siria, Palestina, Fenicia e anche inAsia Minore.
1�
lvi, l, 9. 143
Storia della Chiesa nella tarda antichità Ancor prima della fine del 327 Ario, Eusebio e Teognide espressero tuttavia il desiderio di rientrare in seno alla Chiesa dopo avere firmato i documenti necessari. Il permesso di lasciare i luoghi dell'esilio fu accor dato da Costantino, ma la decisione di riaccoglierli fu presa da un sino do, certo minore, svoltosi al più tardi nel 328 a Nicomedia o a Nicea. Ario mise per iscritto la sua professione di fede, che nel complesso, seb bene non comparisse il termine homoousios, basilare per il Credo niceno, risultò soddisfacente. Di conseguenza, il ritorno di Eusebio e Teognide dall'esilio fu una semplice formalità. Costantino, immemore di quanto aveva precedentemente detto e scritto di Ario («è evidentemente caduto preda delle forze sataniche»), e visibilmente soddisfatto del corso degli eventi, inviò una lettera ad Alessandro in cui chiedeva di riaccogliere Ario nella Chiesa egiziana con una passionalità pari a quella impiegata un tempo nel condannarlo. Le cose però andarono diversamente. Alessandro, che era contrario, morì, e il suo successore, Atanasio, assun se un atteggiamento ancora più intransigente. Di fr;me alla sua opposizione, Costantino cedette. L'atteggiamento di Costantino nei confronti degli ariani non significa va affatto un cambiamento nella sua politica, bensì ribadiva, ancora una volta, la volontà dell'imperatore di mantenere la Chiesa unita: perché avrebbe dovuto respingere delle persone condannate, ma che riconosce vano i propri errori ed erano disposte ad accettare il Credo niceno) Del resto erano i vescovi riuniti nei sinodi a prendere le decisioni vincolanti, e la guerra che si svolgeva in seno alla Chiesa era sicuramente estranea e sgradita a Costantino, al quale poco importava delle ragioni che impone vano l'allontanamento definitivo dell'awersario. Negli ecclesiastici l'im peratore apprezzava la capacità di trovare un accordo, la disponibilità a lasciarsi convincere, c mal tollerava la rigidezza del rigorismo; per lui era quindi più facile essere d'accordo con i due Eusebio, autori di abili com promessi, che non con Atanasio. Ma nel cristianesimo era ormai in atto un conflitto che non lasciava spazio al compromesso, e questa verità Costantino non la capiva (sarebbe invece apparsa evidente ai suoi figli, cresciuti sotto gli occhi di educatori cristiani). L'imperatore probabilmente non si rendeva conto che gli ariani non avevano alcuna intenzione di schierarsi dalla parte del Credo niceno; su questo punto la sua buona fede è fuori discussione: le sue illusioni na scevano dal fatto che egli non sapeva valutare il peso delle controversie teologiche (me ne occuperò nel capitolo seguente), non conosceva le tecniche specifiche per condurre i conflitti dottrinali c non awertiva i pericoli in essi nascosti. Per i seguaci di Ario non era difficile conferire al testo del Credo un 'interpretazione che permettesse loro di conservare la propria dottrina, soprattuto in una versione più morbida, e di rico minciare a diffonderla. Inoltre sapevano bene che con il passare del tempo l'opposizione al Credo niceno sarebbe aumentata, il che conferi va loro ottime opportunità per il futuro. Coloro che si opponevano al ritorno di Ario e dei suoi sostenitori si rendevano conto di tutto ciò as144
Gli imperatori e La Chiesa
sai meglio dell'imperatore: dal loro punto di vista occorreva agire con la massima severità, senza sopravvalutare il significato dell'unità nella Chiesa, che tante volte ormai aveva superato con successo le lacerazioni provocate dalle eresie.
6.1 O Mcliziani contro cattolici: la mancata unità della Chiesa in Egitto
Mentre in Siria, Palestina c Asia Minore l'arianesimo estendeva la sua in fluenza, in Egitto le cose andarono in modo diametralmente opposto. Dopo la morte di Alessandro nel 328, fu eletto vescovo di Alessandria (non senza dissensi) Atanasio, uomo energico c ambizioso. Rigorista e ac ceso nemico degli ariani, pronto, per la buona causa, a ricorrere alla vio lenza e indifferente sia agli usi costituiti che ai canoni ecclesiastici, Atanasio divenne l'avversario della linea di Costantino; circondandosi di persone che ne condividevano il rigore c lo zelo, c cercando in Occidente l'appoggio alle sue iniziative, il nuovo vescovo di Alessandria fece naufra gare le speranze dell'imperatore nell'unità della Chiesa. La situazione in Egitto era complicata dalla contemporanea presenza di due gruppi ostili ad Atanasio: gli ariani e i meliziani; questi ultimi fu rono all'inizio i nemici più pericolosi, e proprio ai metodi necessari per sconfiggerli si devono i primi attriti tra il vescovo e l'imperatore. Lo scisma meliziano era nato in Egitto ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano. La responsabilità di averlo provocato ricadeva su Melizio, vescovo di Licopoli_(ndl'Alto Egitto), il quale ave�criticato té"'''ietfo, vescovo di Alessandria, per il suo com ortai1i'ènto dura e e p�7.iè5n!:tffiiu tto per essere fuggito senza 1 endere i e e 1 in U'}' mÒ�ntoCOSi difficile, e in secondo luogo per avere dimostrato un'ed-" cessiva tolleranza nei riguardi degli apostati.16 Ancora al tempo delle persecuzioni, Melizio aveva cominciato a con sacrare nuovi vescovi, creando così le basi per la nascita di una nuova Chiesa, sebbene non fossero certo queste le sue intenzioni: a muoverlo, in quei difficili anni di repressioni, era stato esclusivamente il desiderio di assicurare il servizio ecclesiastico alle comunità che ne erano prive. Il conflitto tra meliziani e ortodossi non si estinse con il martirio di Pietro nel311; quanto a Melizio, era stato precedentemente condannato ai la vori forzati nelle cave di pietra. Subentrata la pace, i fautori di Melizio in Egitto erano numerosi e in molte località si formarono gerarchie pa rallele e il melizianesimo si diffuse soprattutto tra gli asceti.
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16 Esi stono evidenti somiglianze tra lo scisma dei donatisti c quello dei meli ziani anche se è diffici l e stabilire fin dove arrivino; nei lavori più recenti, gli studiosi ricercano la "vera" origine del conflitto nelle tensioni tra la Chiesa di Alessandria e le altre Chiese egiziane: pur non essendone completamente con vinta, non ho qui lo spazio necessario per esporre i miei dubbi. ,
145
Storia della Chiesa nella tarda antichità Il conllitro, almeno agli inizi, non rivesù un carattere dottrinale, bensì esclusivamente disciplinare. Le decisioni nei confronti dello scisma era no state prese dal concilio di Nicea: in in l ea di principio esse non priva vano gli ecclesiastici meliziani delle loro dignità, ma li subordinavano al clero consacrato dai continuatori della linea di Pietro; alla morte di un vescovo non meliziano il suo seggio poteva anche venir occupato a pie no titolo da un meliz.iano, ma solo con il consenso del vescovo di Alessandria e dopo la celebrazione di riti supplementari. In tal modo, con il passare del tempo, lo scisma avrebbe dovuto estinguersi. Non è questa la sede per occuparci a fondo del melizianesimo e chiari re come mai e per colpa di chi, nonostante tutto, esso continuasse a per durare. Si tratta di questioni particolarmente ingarbugliate, tanto più che la maggior patte delle notizie sui meliziani provengono dalle opere di Atanasio, loro acerrimo nemico. Sappiamo che i meliziani cercarono giustizia presso .i vescovi fuori d'Egitto nonché presso l'imperatore (tutto sommato non ben disposto nei loro confronti), accusando Atanasio di usar. loro violenza, di perseguitare i loro capi e di non lasciar .li entrare nelle chiese. Atanasio e, sulla base delle sue opere, gli storici della Chiesa Socrate, Sozomeno e Teodoreto sostengono che si trattava di calunnie e che le violenze non erano mai st.ate dimostrate. Gli storici dd XX secolo sono tuttavia propensi, più dei loro antichi predecessori, a prestare ascolto alle affermazioni dei meliziani. In Egitto è stata infatti rinvenuta una lettera scritta da un ecclesiastico meliziano, nella quale vengono det tagliatamente descritte le brutali azioni di Atanasio, che non esitava a ri correre all'aiuto dei soldati e a incarcerare i propri avversari. Si tratta di tma testimonianza estremamente interessante (senza dubbio molto pitto resca e particolareggiata), benché di pane; il fatto poi che la lettera non fosse destinata alla divulgazione, ne accresce ai nostri occhi la credibilità. Oggi tuttavia è impossibile stabilire chi si discostasse dalla verità: proba bilmente, in egual misura, entrambe le parti. Quando si giunse al giudizio episcopale, Atanasio fu in grado di di mostrare che alcune accuse dei suoi nemici erano false e infondate, il che non significa che lo fossero tutte. Nella relazione di Atanasio sui procedimenti intemarigli, colpisce soprattutto il silenzio relativo ai prin cipali capi d'accusa: il vescovo concentra la sua difesa su questioni di importanza seconda1·ia. Atanasio fu sicuramente un avversru·io pericoloso ed efficiente, che riuscì a emarginare, ma ceno non a sconfiggere definitivamente, il meli. . ztanestmo.
6.11 Costantino e Atanasio Costantino sapeva del conflitto tra i meliziani e Atanasio, nonché delle brutalità commesse dal vescovo di Alessandria (non gli arrivavano solo le accuse dei diretti interessati, ma anche i rapporti del governatore del146 Copyrighted
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Gli imperatori c la Chiesa
la città). L a sua opinione era che Atanasio costituisse un fattore destabi lizzante per l'unità della Chiesa, e tuttavia, fatto significativo, non prese alcuna decisione nei suoi confronti, lasciando ai sinodi episcopali il compito di emettere una sentenza. Egli però era disposto a impiegare tutto il suo potere per tradurla in pratica. Atanasio venne convocato davanti a un sinodo incaricato di giudicarlo nel 334, a Cesarea. Tuttavia, nella più totale impunità, il vescovo si rifiutò di lasciare7ttes5aiidria. L'anno seguente, quando i vescovi si riunirono a Tiro, egli fu costretto a comparire davanti ai suoi giudici. In quell'occa sione lo accompagnavano trenta vescovi egiziani da lui prescelti. Il sinodo di Tiro, presieduto dal metropolita di Antiochia, radunava una sessantina di-vesCovi, la maggior parte dci quali di tendenza filoariana; dell organiz zazione del sinodo si era occupato Eusebio di Cesarea, che aveva badato a scegliere gli clementi a lui più congeniali. Indipendentemente dal grado di fondatezza delle accuse rivoltcgli, Atanasio non poteva aspettarsi l'as soluzione. Sebbene non fossero in discussione le sue opinioni teologiche (le accuse riguardavano esclusivamente il suo comportamento), in realtà esse avevano una grande importanza, in quanto determinavano le simpa tie e le antipatie dei vescovi convenuti Rendendosi conto che sarebbe stato condannato (cosa che infatti av venne), senza attendere la sentenza Atanasio fuggì da Tiro, recandosi segretamente presso l'imperatore, al quale intendeva appellarsi (notia mo che Atanasio, perlomeno in quegli anni, non aveva remore ad ap pellarsi all'imperatore contro una decisione presa da un sinodo, quindi da un'istanza ecclesiastica). All'inizio di novembre riuscì a incontrare Costantino, producendo una fortissima impressione sul sovrano e convincendolo che le accuse nei propri confronti erano false. Ne è testimo nianza la lettera spedita ai partecipanti del sinoclo di Tiro e di cui cito qui due passi, soprattutto per mostrare lo stile e il tono dei messaggi imperiali ai vescovi: '
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Costantino Vittorioso Massimo Augusto ai vescovi riunitisi a Tiro. Ignoro che cosa abbiate tumultuosamente c tempestosamente approvato nel vostro sino do, sembrerebbe però che, per mancanza di disciplina e per effetto di discor die, sia stata distort a la verità. Immersi nei vostri litigi, c desiderosi di mante nerli, non avete prestato attenzione a ciò che è grato a Dio. [. ] Voglio per tanto che raggiungiate al più presto la Nostra Pietà, per rendere conto perso nalmente del vostro operaroY ..
Nella lettera Costantino descrive anche le circostanze del suo incontro con Atanasio. Resosi conto che non avrebbe ottenuto udienza secondo la normale procedura, il vescovo attese l'imperatore sulla strada che questi percorreva a cavallo verso Costantinopoli. In un primo momento
"Citato in H.-G. Opitz, llthanasiu.r Werkc, Berlin-Leipzig 1935, vol. II, pp. 164-165. 147
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Storia della Chiesa nella Iarda antichità
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Costantino non riconobbe Atanasio, e furono gli uomini della scorta a spiegargli chi fosse l'importuno. Dapprima si rifiutò di riceverlo (l'idea di aspettarlo per strada era stata infelice, l'imperatore era sicuramente asse diato da schiere di postulanti), ma Atanasio riuscì a vincerne la resistenza e a ottenere il diritto di parlare in sua presenza con i partecipanti al sino do di Tiro. Nel prosieguo della missiva Costantino ordina quindi ai ve scovi di mettersi subito in viaggio: «In tal modo dimostrerete con i fatti, in mia presenza, di aver emesso una sentenza giusta e retta; non potete infatti negare che io sia vero servitore di Dio. [... ] Affrettatevi dunque e cercate di giungere fino a noi».18 Tuttavia, all'arrivo della delegazione sinodale, la situazione si capovol se. A carico dell'imputato, infatti, emerse una nuova accusa: all'impera tore venne riferito che Atanasio avrebbe minacciato di non lasciar partire dal porto di Alessandria le navi con il grano destinato a Costantinopoli. Non sappiamo chi presentasse l'accusa a Costantino né quali prove venissero addotte. Sicuramente le dichiarazioni degli avversari di Atanasio non erano sufficienti: Costantino era già stregato dal suo fascino e, conoscendo l'odio tra le due parti, non vi avrebbe presta to fede. Probabilmente, quella fatale minaccia Atanasio l'aveva davvero pronunciata i suoi nemici erano riusciti a presentare all'imperatore un testimone credibile. Tuttavia, nemmeno stavolta Costantino emanò una condanna (pur avendone il diritto: l'oggetto dell'accusa era ormai di competenza laica), limitandosi a esiliare Atanasio a Trcviri, città che il vescovo avrebbe la sciato solo dopo la mo e (337). Il comportamentodi �tino può sembrare al lettore del tutto in coerente: al rispetto per i vescovi egli affianca la disponibilità a un duro atto di forza, pur avendo precedentemente affermato di voler rispettare e applicare le decisioni sinodali. Il tono delle lettere appare poi irritan te: non si può, infatti, non essere colpiti dai continui ripensamenti, dal succedersi di insulti e complimenti rivolti alla stessa persona. È dunque legittimo chiedersi come mai l'imperatore non si rendesse conto che quei bruschi cambiamenti d'opinione potevano comprometterlo agli occhi dei sudditi. Gli storici cattolici elogiano Costantino sia per l'opera di Nicea, sia per il coerente appoggio dato ai cattolici in Africa contro i donatisti. Negativo invece, nei loro testi, è il giudizio sugli anni successivi al con cilio, quando, secondo loro, l'imperatore deviò dalla retta via e assunse un atteggiamento dispotico nei riguardi della Chiesa. Ma un'analisi fredda della politica imperiale dimostra come il monarca abbia adottato gli stessi metodi sia prima, sia dopo il concilio di Nicea; infatti, se si loda l'imperatore per aver mandato Ario in esilio o per avere ordinato la distruzione delle sue opere, non si può biasimarlo per avere cercato di ricondurre l'eretico in seno alla Chiesa. Inoltre, dal punto di vista dei
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n dclliTif �
\H fbid. 148
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cristiani vissuti all'inizio del JV secolo, l'epiteto "dispotico" appare infondato. Per i cristiani, l'imperatore rappresentava il vero capo del mondo cristiano, sebbene ciò non comportasse l'assenso automatico a tutto quel che egli diceva o faceva: poteva anche sbagliare, ma ciò non turbava la fede nel suo mandato celeste. Il fatto che l'imperatore si affi dasse ai sinodi, riconoscendone l'autorità nelle questioni di fede, agli occhi dei contemporanei non poteva che aumentare il suo diritto a una posizione preminente nella Chiesa. 6.12 La natura episcopale del potere di Costantino
�stantino collocava se stesso tra i vescovi della Chiesa. Nella Vita di Costantino ELsèbw ai Cesarca'narraZhe-�n giornG,"rrc;;,cndo i vescovi, l'imperatore affermò di essere anch'egli un vescovo, esprimendosi in nostra presenza all'incirca con le seguenti parole: "Voi sovrintendete a quanti fanno parte dell'organizzazione della Chiesa [ton eùo tes ekklestas]; io invece è come se fossi stato costituito da Dio vescovo di quei di fuori ltòn ektos Li:s ekklesias]
"
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Conformemente a que
sta sua affermazione, esercitava su tutti i sudditi un premuroso episcopato, esortandoli con tutta la forza del suo animo a seguire la via della fede.19
Questo passo, estremamente importante per la comprensione del pen siero di Costantino, pone seri problemi a traduttori c commentatori. La traduzione, infatti, non rende il duplice significato del termine epùko pos, che in greco significava non solo "vescovo", ma, soprattutto, "so vrintendente"; sia Costantinòè'he"�usebio, che ne rife� ar� hanno pt
19
Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, lV, 24. 149
Storia della Chiesti nella tarda antù-hità Eusebio trattava le parole di Costantino con la massima serietà, non provava alcuna resistenza ad accettarle e non vi vedeva niente di scan daloso (come invece succede oggi a certi storici della Chiesa di tenden ze apologetiche, indignati dalla sfrontatezza dd despota). :boporutto non era obbligato a citarle: se le avesse ritenute offensive nei riguardi di ak"lmi cristiani poteva tranquillamente passarle sotto silenzio. Quel che colpisce nel modo di agire di Costantino è il suo rispetto non solo nei confronti dei vescovi, ma anche verso l'istituzione dei sinodi che deliberavano sulle questioni di maggiore importanza. Dopo le prime esperienze, doveva essersi reso conto che i sinodi cedevano facilmente aUe pressioni e che il loro risultato dipendeva da chi Li convocava e ne stabiliva la composizione. Ovviamente, più grande era il consesso, mag giori erano le probabilità di vedervi rappresentati vari punti di vista (per cui un'illegalità lampante avrebbe suscitato una certa resistenza). Era più facile manipolare i sinodi minori, soprattutto quelli a cui partecipavano vescovi non appositamente invitati, ma soggiornanti occasionalmente nella città. Nel caso di sinodi che riguardavano zone più vaste, invece, la composizione poteva essere manipolata solo fino a un certo punto: l'or ganizzatore del sinodo non poteva trascurare i vescovi più anziani e ri spettati, o residenti nd le città più importanti.
6.13 Costanzo, la "bestia nera" della storiografia ecclesiastica I successori di Costantino condivisero le sue convinzioni riguardo al mandato divino e svilupparono l'idea della natura sacrale deJ proprio potere; anch'essi tendevano ostinatamente, per quanto con esiti diffe renti, all'unità dei cristian.i, scopo supremo e condizione fondamentale per il successo del loro operato extrare.ligioso. i\lcuni di loro nutrivano invece molto meno rispetto per vescovi e sÌJlodi e non esitavano a ricor rere ripetutamente alla violenza: è il caso soprattutto di Costanzo n, che regnò dal337, prima con i fratelli Costantino n (fino al340) e Costante (fino al 350), e poi da solo (fino al 361). Le opere dedicate alla storia della Chiesa tardo-antica mettono assai in evidenza gli interventi di Costanzo n nelle questioni religiose, fornendo ampi particolari sulle persecuzioni da lui intraprese e sulle pressioni esercitate sui sinodi. Anche oggi il figlìo di Costamino è generalmente tratteggiato come il despota par exce!lence, brutale e per giunta capriccioso. Non è però escluso che il suo modo di agire non differisse fondamentalmente da quello dei suoi fratelli e di almeno alcuni dei suoi successori: la maggior parte di ciò che sappiamo su Costanzo proviene direttamente o indiret tamente da scritti polemici di Atanasio, di ilario di Pictavium (oggi Poiriers) e di Lucifero eli Calares (oggi Cagliari), suoi nemici giurati. Costanzo si sentiva il padrone del mondo, totius orbis dominus; diceva spesso di sé aeternitas mea; era convinto di rappresentare la "legge incar nata", "il buon pastore" posto dalla divinità a capo del mondo intero, e 150 Copyrighted
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di assicurare ai cristiani la perpetua securitas. L'accanito, fanatico nemico di Costanzo, Lucifero di Calares, sostiene che l'imperatore si autodefini va episcopus epzscoporum e cH ' eSi ' vantava di decidere che cosa fosse o no conforme al diritto ecclesiastico. Dato che gli altri testi non riportano giudizi così drastici, sarà meglio non prestar fede a Lucifero: l'odio per l'imperatore lo accecava. Ma anche rifiutando queste asserzioni estreme, è chiaro che il sovrano si sentiva il capo del mondo cristiuno e agiva conformemente a tale convinzione. Come Costantino, anche Costanzo si batté per l'unità della Chiesa: re presse quindi ripetutamente i vescovi che rifiutavano di accettare ilsuo punto di vista dottrinale (quello cioè di un moderato arianesimo), SciS!i-tuendoli con pastori a lui vicini; intervenne anche nel cors�deisuccessi vi sinodi, incaricati di elaborare formule di compromesso e di farle ap provare dai vescovi. L o fece personalmente o tramite i suoi rappresen tanti, non esitando a esercitare pressioni sui sacerdoti ribelli o titubanti. I nemici di Costanzo lo accusavano di sopraffazioni ancora più gravi, quali violenze e omicidi perpetrati a sangue freddo contro gli avversari. Per quanto oggi sia impossibile stabilire con quale frequenza l'imperato re si risolvesse a simili atti, l'assassini2_ . .d _ el �avo. di ç_ostanri� Paolo in esi� avvenne sicuramente con la sua approvazione. �costitUiva un caso particolare: non solo aveva lottato con ogni mezzo per restare sul trono episcopale, malgrado l'ostilità di Costanzo e l'opposizione Ji parte del clero, ma lo aveva fatto chiedendo il sostegno popolare e provocando dunque inevitabili tafferugli. L'imperatore vede va in lui non tanto un avversario teologico: (Paolo divenne un martire della questione nicena per colpa di un totale malinteso), quanto un fo mentatore di pericolosi disordini. Dopo la rivolta popolare in favoreill Paolo, nel corso deTiaqùal�stato ucciso il magister militum inviato per ristabilire l'ordine, Costanzo arrivò fulmineamente da Antiochia a Costantinopoli per tenere sotto controllo la situazione. A questo proposito va ricordato che le inquietudini all'interno della Chiesa si accompagnavano molto spesso a scontri, tafferugli, disordini che laceravano profondamente le città; persino ad Alessandria, città che Atanasio aveva in parte pacificato, in parte conquistato alle sue posizio ni dottrinali, gli ariani disponevano di uomini in grado di ingaggiare battaglie per le strade. Gli imperatori, che mancavano dei soldati neces sari per far fronte ai disordini, temevano particolarmente questo genere di sollevazioni, soprattutto nelle città più grandi come Alessandria, Antiochia o Costantinopoli. Nel caso dei vescovi di cui conosciamo il nome, la repressione consi steva generalmente nell'esilio; si trattava però di personalità autorevoli, che godevano di un prestigio che le proteggeva da iniziative più perico lose: lo scandalo provocato dalla notizia dell'uccisione di uno di loro per ordine imperiale si sarebbe infatti rivelato quasi sempre più danno so che non l'operato dei ribelli. Nei riguardi dei vescovi delle città mi nori, dei semplici membri del clero, degli asceti e dei laici zelanti, la re-
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Storia della Chiesa nella tarda antichità pressione esercitata da solleciti funzionari che eseguivano la linea d'a zione indicata dall'imperatore poteva essere assai più brutale. Non c'è alcun dubbio che l'imperatore fosse un uomo profondamen te devoto: formato da educatori cristiani al tempo della controversia ariana, Costanzo possedeva quella solida cultura teologica che mancava a suo padre. Stanziava somme ingenti a favore della Chiesa, garanten dole anche considerevoli privilegi. Cercava inoltre di sfruttare il proprio potere per imporre ai sudditi norme cristiane di comportamento. Combatteva gli eretici, puniva severamente gli apostati e, nei limiti con sentiti dalla situazione, combatteva anche i pagani e gli ebrei (in propo sito ricordo che emanò una legge molto dura contro i pagani, sebbene non fosse assolutamente in grado di farla applicare, dato che essi erano ancon1 molto numerosi; a parte il fatto, assai significativo, che perfino tra i suoi collaboratori si contavano persone dichiaratamente pagane). Costanzo era circondato da un gruppo di ecclesiastici dai quali si face va consigliare. In Oriente, dove l'arianesimo era più forte, costoro gode vano di solidi appoggi in molte Chiese; non erano quindi creature dd l'imperatore al servizio dei capricci di questi. Il principale nemico di Costanzo, Atanasio, in Oriente non godeva affatto di una generale popo larità (i vescovi occidentali non riuscirono mai a capirne il motivo, visto che per loro era il simbolo dell'ortodossia e della santità). Quando, dopo sette anni d'esilio, Atanasio fece ritorno in Egitto, ben quattrocento ve scovi si schierarono dalla sua parte, dichiarando di restare in comunione con lui. Ma, a parte le gerarchie dell'Egitto e della Palestina, soggetta agli influssi egiziani, si trattava soprattutto di vescovi occidentali. In Oriente si rimproveravano ad Atanasio le sue ingerenze nelle questioni interne delle Chiese poste fuori della sua giurisdizione (ci sarebbe molto da dire sul suo arbitrario atteggiamento verso i canoni ecclesiastici); inoltre, non tutti i vescovi che egli voleva destituire dalla carica meritavano, agli occhi dci fedeli, di essere destituiti. La rigidezza dottrinale di Atanasio lo por tava a rifiutare di riconoscere il �imento allora nascente in Oriente iceu.o,.::ma.JlQl.Ùl l ..!D�ldo lJcririco,.e dei qua che accettava, certo, i� le facevano parte i J:g_dri Cappadoci e il v�ovo di Antioch_i a�lizio, avversato da Atanasio. Per colmo di sventura, ad Atanasio era talvolta capitato di accogliere, per rrotivi puramente tattici, personaggi noti in Oriente come eretici. A danneggiarlo mag�iormente era stato l'appoggio olfeno a Marcello di !\f'ffinii;- otoriamente vicino a posmonisabcllianc; è vero che Atanasio sicra.subito affrettato ad abbandonare quella posizione, ma l'episodio era rimasto indelebilmente impresso nella memoria del clero orientale. Queste considerazioni ci aiutano a capire come mai l'azione di Costanzo contro Atanasio suscitasse nella parte orientale dell'impero un'emozione meno forte che in Occidente, dove le controversie che di videvano così aspramente le Chiese orientali riuscivano alquanto in comprensibili (avrò occasione di tornare sull'argomento nel prossimo capitolo). 152
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Dopo la breve inter:uzione del regno di Gi�liano l'Apostata, 'la.kn_te
. . (364-378), che governo la parte onentale dell1mpero, seguì la st'i'li'él'(dJ Costatlzd, comportandosi però in modo molto più brutale verso gli av versari ecclesiastici, mentre i due successivi imperatori d'Occidente, Valcntiniano l 4-375) e Graziano (375-383), cercarono di mantenere un ce to distacco dal e qucstfoni ecdes1asuche. Soprattutto Valentiniano si mostrò riluttante a immischiarsi nelle dispute dottrinali, rifiutandosi di intraprendere persecuzioni nei confronti della parte sconfitta. Suo figlio Graziano, soprattutto nei primi anni di regno, agì conformemente alla li nea paterna, mentre in seguito subì profondamente l'influenza di Ambrogio, severo avversario di ogni manifestazione di tolleranza religio sa. Nel 378, dopo la terribile disfatta subita dall'esercito romano a Adrianopoli, Graziano emanò un decreto &]i to!lçranza che esclJJdeva unicamente i manichéi, i fotmtani e gi eunomiani. Inoltre d�ino� d'éiTe chiese di rVr'ìJ'anOagli';rianl"'che aftfuiv;;;o daiterritori occupati dai goti. Il vero movente di questi gesti fu indubbiamente la fede ariana del la vedova di Valentiniano, Giustina, e di suo figlio V�ntiniano n, fratel lastro di Graziano: non SI poteva certo� loro una chiesa nella città allora capitale. Un anno dopo, tuttavia, incapace di resistere alle pressioni di Ambrogio, Graziano dovette ritrattare le sue decisioni. Graziano morì quattro anni più tardi, ed è poco probabile che, se aves se regnato più a lungo, sarebbe stato in grado di opporsi ad Ambrogio, visto che non vi riuscì nemmeno il più maturo e autonomo Teodosio.
6.14 La nuova politica di Teodosio il Grande: fede cristiana c
ortodossia si possono imporre ormai con la forza
Fin dall'inizio del suo regno Teodosio il Grande si schierò coerente mente dalla parte dei nemici dell'arianesimo. Lo dichiarò in una legge emanata nel febbraio 380, un anno dopo la presa del potere: Tutti i popoli, che sono retti dalla moderazione Jella nostra clemenza, voglia
mo che restino fedeli a quella religione che il divino apostolo Pietro dichiara
che fu tramandata un tempo da lui stesso ai romani e che è chiaro che è segui ta dal ponreficc Damaso e Ja Pier ro, vescovo di Alessa nd ria. [.. . ] Ordiniamo che il nome dei Cristiani cattolici abbracci coloro i quali seguono questa legge mentre gl i altri pazzi e insensati, che giuJicano opportuno sostenere l'infamia ,
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del dogma ereticale
c
non dare alle com unità il nome di Chiese, devono essere
colpi t i dalla punizion e, in primo l uogo dalla vendetta Ji Dio nostro
c
poi anche dal
sdegno, che abbiamo ass un to dalla volontà celesre.20
Ciò che colpisce è il modo di definire l'ortodossia: il metro adottato da Teodosio non sono più i Credo approvati dai consessi episcopali, ma la 2°
Codex Iustinianui, 1, l. l 53
Storia della Chiesa nella tarda anticbittÌ fede di due vescovi, uno d'Occidente e uno d'Oriente. In forza di que sta legge l'eresia divenne un reato perseguibile dallo stato; sarebbero se guite altre leggi, con I' elenco delle pene per chi non le osservava; il fine era quello di annientare i gruppi eretici. lnnanzitutto si proibiva agli eretici la pratica, prima pubblica, poi anche privata, del culto; coloro che disobbedivano a quest'ordine perdevano gli edifici e le proprietà sul cui terreno si era svolta la cerimonia. Oltre agli immobili apparte nenti alle comunità eretiche, si confiscavano anche i cimiteri. Gli eretici non potevano consacrare i propri sacerdori e quelli·già consacrati veni vano privati della dignità ecdesiastica. Non potevano insegnare la loro fede né organizzare sinodi, ed erano soggetti al divieto, emanato nel .388, di tenere dispute pubbliche su argomenti dottrinali. I loro diritti civili erano drasticamente ridotti. Se appartenevano aU' élite, perdevano i privilegi del loro stato nonché il diritto di ricopri.re cariche. Veniva li mitato anche il loro diritto di trasmettere il patrimonio per testamento e di accettare legati, né potevano fare da tutori legali. Analoga la situa7..io ne degli apostati. l manichei e i gruppi a loro vicini, citati nella legge, erano soggetti' a repressioni più severe: venivano allontanati daU'impero e chi osava ritornare si esponeva alla pena capitale. Gli eretici non furono i soli avversari religiosi nei confronti dei quali l'imperatore accentuò la pressione legislativa per indurli a unirsi alla Chiesa ortodossa. Anche i pagani vennero attaccati frontalmente: ho già avuto occasione di citare (capitolo 3.6) il testo della principale legge in merito, quella di più vasta portata, che era stata preceduta da alcune al tre. Per iniziativa dell'imperatore si procedette ad applicare rigorosa mente le precedenti leggi relative alla chiusura dei luoghi di culto nelle località dove finora esse erano rimaste lettera morta. Simbolo della scon fitta del paganesimo divenne la distruzione del Serapeo di Alessandria, famoso e, a quanto pare, splendido santuario. Si inasprirono anche le prescrizioni riguardanti gli -ebrei. Que.sta ondata repressiva era il frutto dell'iniziativa personale di Teodosio, uomo sinceramente religioso e attaccato all'ortodossia. I ve scovi ortodossi accettarono il suo operato, e alcuni di loro chiesero al l'imperatore leggi ancora più severe e una maggior coerenza nel metter le in pratica. Ciò non era sempre possibile e vantaggioso. Gli eretici, come pure i pagani e i manichei (questi ultimi in dandestinità, come i cripwpagani), non erano scomparsi. Tutto dipendeva dalle circostanze: se in una località erano presenti gruppi compatti di non cattolici, questi potevano vivere piuttosto tranquillamente e addirittura praticare il cul to proibito. Prima di perseguitare quelle comunità, i funzionari zelanti dovevano assicurarsi di non correre il pericolo di destabilizzare la zona, con i l conseguente rischio di diminuire le entrate fiscali. Nel timore che un comportamento incauto attirasse su di loro l'ira dei superiori e dello stesso imperatore, molti chiudevano un occhio di fronte al mancato ri spetto della legge. La liquidazione dei gruppi pagani diveru1e possibile solo nel momen•
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Gli imperatori e la Chiesa
to in eu� il loro ?ume�o ?iminuì sensibilmente e alla lotta contro gli adoraton d1_ Idoli commCiarono a prendere parte anche i monaci. A quel punto il paganesimo divenne un fenomeno marginale, più che al tro un'oscura tentazione per intellettuali appassionati di cultura antica. Diversa invece era la situazione degli eretici; le nuove controversie dottrinali, che nei secoli successivi non sarebbero mancate, contribuiro no a moltiplicarli. Teodosio, che con tanto fervore rafforzava la posizione della Chiesa or todossa per mezzo dell'attività legislativa, non si immischiava apertamen . ·�Qggio a Flavian