Pubblicazioni del
CENTRO DI RICERCHE DI METAFISICA (nato nel 19 31 e Il nome d 1. Werner Beierwaltes , . . , d. M Umver...
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Pubblicazioni del
CENTRO DI RICERCHE DI METAFISICA (nato nel 19 31 e Il nome d 1. Werner Beierwaltes , . . , d. M Umverslta di filo sofia nell . d 11. onaco d. . pro f essore f di Baviera) si è imposto ra qu~ 11l eg l stu tosi ·· La .bsua . aud t. pnmo p iano a livello in ternaziOnale. . d torità risulta collegata so prat tu tto ar contr~ utt . a lui dati per la conoscenza del Neoplatomsmo m tl.colare e in oenerale per la conoscenza della par ·o · non so lo ne Il' a~ b.tto d el storia dei 'suoi· mflusst, pensiero antico, ma anche nel corso _dell r?tero arco del pensiero occidentale: dall~ ftlo_softa tardoantica cris tiana al medioevo , al nnasctmento, alla filosofia moderna e contemporanea. Il taolio e l'impostazione della sua indagine hanno 0 uno spessore teoretico notevole, su basi. storic~ mente e filologicamente be n fondate, e, tn particolare, hanno un interesse squisitamente metafisica. In questo libro Beierwaltes dimostra che il pensare metafisica è, fin dalle sue origini, determinato in maniera veramente essenziale dalla domanda che concerne il nesso antologico sussistente fra l'Identità e la Differenza, sia che, come ad esempio in Parmenide , la Differenza (o Alterità) non risulti affatto legittimabile, sia che, come ad esempio in Platone, si pensi la Differenza come un costitutivo strutturalmente necessario dell'essere. Questo problema dell ' Identità e della Differenza e del loro nesso viene trattato da Beierwaltes so tto differenti aspetti e secondo differenti ottiche: viene studiato nel Platonismo e nel Neoplatonismo, nella trasformazione che esso subisce mediante la te_ologia cristiana in Mario Vittorino, in Agostino, m Eckhart, oppure sotto vari influ ssi di istanze moderne in Cusano e in Bruno o nell' Idealismo tedesco di Schelli ng e di H~gel. [segue nell'altro risvolto]
Sezione di Metafisica e storia della metafisica 4.
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CENTRO DI R.I CERCHE DI METAFISICA dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, l - I-20123 Milano
Comitato scientifico: Adriano Bausola Carla Gallicet Calvetti Virgilio Melchiorre Angelo Pupi Giovanni Reale Mario Sina
Werner Beierwaltes
Identità e Differenza
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Traduzione di Presidente: Gustavo Bontadini
Direttori: Adriano Bausola Giovanni Reale
SAL v ATORE SAINI
Introduzione di ADRIANO BAUSOLA
Sezione di Metafisica e storia della metafisica diretta da Adriano Bausola e Virgilio Melchiorre
VITA E PENSIERO Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore Milano 1989
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Titolo originale: Identitii.t un d Differen z ( 1980)
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HENRY DJEI>, e quindi all'«essere» come «differente». Senonchè, nell'interpretazione di Heidegger della storia del pensiero occidentale emerge una lacuna cospicua, che la rende non solo unilaterale, ma artefatta e quindi antistorica. Heidegger, come risulta da tutte le sue opere che finora sono state pubblicate, mostra non solo di ignorare ma addirittura di rimuovere largamente il Neoplatonismo e i suoi influssi storìci. Heidegger su questo tema si è fermato agli schemi della manua!istica dei suoi tempi, peraltro già largamente superati da Th. Whittaker, da W.R. lnge, da R. Arnou, da E. Bréhier e da altri. Ma P/olino e il Neoplatonismo, con una analisi storicamente adeguata e filosoficamente corretta dei loro testi, stanno proprio contro la tesi di Heidegger, in quanto puntano proprio su quel fondamento dell'essere, che secondo Heidegger la filosofia occidentale avrebbe obliato. È evidente che solo un conoscitore come Beierwaltes del Neop!atonismo, riguadagnato non solo su un piano filologico e storico, ma pensato a fondo anche nella sua dimensione speculativa, poteva confutare Heidegger in questa sua tesi, che ancora oggi alcuni pensano di dover ritenere valida ed addirittura indiscutibile. Ecco il passo in cui Beierwaltes riassume queste sue critiche; conviene legger/o con attenzione, perché costituisce uno dei più cospicui contributi di questo libro: «Se con "differenza antologica" si intende la distinzione tra "essere" ed "essere dell'ente", dove la distinzione è ciò che produce proprio la loro differenza, se inoltre il "nulla", "che cooriginariamente è la stessa cosa dell'essere", deve essere pensato come il "totalmente altro rispetto all'ente" o come "il non dell'ente", allora mi sembra legittima la domanda: l'intento del concetto neoplatonico dell'Uno e degli enigmatici nomi cusaniani del principio (non aliud, idem, possest) non è proprio quello di mettere anzitutto in evidenza l'assoluta differenza proprio di questo principio da ogni ente e non solo dì "rappresentare" qualcosa di superlativamente "differente" che fosse
INTRODUZIONE
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incluso all'interno della stessa dimensione, cioè insieme all'ente? L 'Uno plotiniano in quanto[. . .] altro rispetto a tutto l'altro, nulla di tutto - dunque esattamente il "non dell'ente" -, è identico al cusanìano non-aliud o alla coincidenza quale tratto fondamentale dell'esse absolutum, "prima" dì ogni differenza di essere ed ente (esse et id quod est), essere e nonessere. Da questo fondamentale concetto del pensiero neop!atonico non può in ogni caso essere asserito, in un argomentare fondativo, che l'essere della "metafisica" sia sempre e solo l'essere dell'ente, e lo sia sempre attraverso questo nesso». Dunque, la tesi heideggeriana dell'oblio dell'essere di tutta la metafisica occidentale non è più sostenibile in alcun modo, giacché il principio per i Neoplatonici non è l'ente, ma addirittura il sopra-ente, e dunque il fondamento è una realtà che è sopra l'ente. A questo proposito, le osservazioni sì potrebbero moltiplicare: il guadagno, dal punto di vista storico e filosofico, della storia del Platonismo, modifica notevolmente molte convinzioni impostesi nel passato. A/lettore verrà spontanea, a questo punto, la domanda: quale è la posizione teoretica di Beierwaltes? Ci sembra che la risposta possa essere questa: egli cerca di riproporre, da un punto di vista moderno, proprio la !ematica platonica di cui il nesso metafisica identità e differenza risulta un asse portante, e con quella sensibilità che la problematica e la metodo!ogia del P/atonismo nella sua Wirkungsgeschichte hanno portato in primo piano; questo, pur riconoscendo espressamente che in questa !ematica manca «la fondazione logica del pensiero metafisica con le sue implicazioni», e manca l'indagine della identità e differenza «come fenomeno de/linguaggio, come principio strutturale del tempo e modello interpretalivo dell'evoluzione storica». Ma, in particolare, la sensibilità teoretica e il taglio dell'indagine metafisica di Beierwa/tes emergono nella maniera in cui viene studiata, approfondita e comunicata la storia del concetto, che, come tale, viene presentata come essenziale per un fare filosofia. «L 'accertamento storico del pensare- scrive Beierwaltes- è... essenziale ad esso stesso, e viceversa /'oggetto del pensiero è presente anche al suo auto chiarimento storico». È questo un modo di far filosofia che ci sembra ben condivisi-
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ADR IANO BAUSOLA
bile. Un ultimo punto resta da rilevare. Fin dalle prime battute in cui viene scandito il problema del nesso de/l'identità e differenza risulta la stretta connessione che esso ha con il problema del nesso fra unità e molteplicità. Beierwaltes ha, di conseguenza, chiamato assai spesso in causa anche questo problema, la cui soluzione storica e filosofica ha sviluppato nel suo ultimo libro Denken des Einen (Frankfurt am Main 1985), già citato. Qui non possiamo occuparcene; ma è utile richiamare, per concludere, il sottotitolo, che risulta in certo senso emblematico: Studien zur neuplatonischen Philosophie und ihrer Wirkungsgeschichte. In effetti, qui sta uno dei più significativi e costruttivi punti chiave delle concezioni di quanti ripropon gono la problematico metafisica, e un recupero di quella che si può chiamare henologia, con un riesame dell'antologia anche in questa ottica. Il grande oblio del pensiero occidentale non è quello che nasce dall'aver confuso l'essere con l'ente, come dice Heidegger, ma, semmai, in certa misura l'uno con l'essere, con tutta una serie di conseguenze. Questo non significa, dunque, che si debba contrapporre la metafisica dell'uno (con tutte le implicanze che ne derivano) alla metafisica dell'essere; ma significa che, commisurandosi con la Wirkungsgeschichte della metafisica platonica dell'Uno, la metafisica dell'essere potrebbe trovare una nuova ricchezza dì spunti e di aperture. E già questo volume sulla Identità e differenza di Beierwaltes offre alcuni di questi spunti. Adriano Bausola
IDENT'ITÀj. E DIFFERENZA
Prefazione
II pensiero metafisica risulta, sin dalle sue origini, definito, in modo sostanziale, dalla domanda circa il nesso di identità e differenza. E questo sia che - come in Parmenide - la differenza o l'alterità sembri assolutamente non legittimabile filosoficamente, sia che - come in Platone - si pensi la differenza come ciò che costituisce necessariamente l'essere nell'intero. Tale domanda è, anch'essa sin dalle origini, unita inseparabilmente a quella che concerne l'unità e la molteplicità, il senso e la funzione degli opposti. Il «logos» di Eraclito - almeno nel suo contenuto - deve essere inteso come alternativa all'uno, ossia all'essere indifferenziato o alla pura identità di Parmenide, proprio in quanto esso riconduce l'opposizione, la molteplicità in sé differenziata, all'unità. «Congiungimenti: intero non intero, concorde discorde, armonico disarmonico, e da tutte le cose l'uno e dall'uno tutte le cose» 1 - è questo che definisce l'operare del logos. Anche il proposito di Platone, di assumere nell ' essere il non essere inteso come essere altro o come diversità, deve essere concepito in modo analogo a quella concezione del vuoto che Democrito sviluppava, al fine di chiarire il processo cosmogonico e, in generale, fisico, in opposizione al concetto parmenideo di essere. Solo in questo modo un movimento intelligibile, una relazione di idee come forme intelligibili esistenti e di concetti nel linguaggio, possono essere pensati con evidenza, e, 1
Fr. B IO Diels-Kranz, Fragmente der Vorsokratiker, Berlin !9609, I, p. 153, IO ss. [ed. it. a cura di G. Giannantoni, I presocratici, Testimonianze e frammenti, Bari 1981 , r, p. 198].
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PREFAZIONE
PREFAZIONE
di conseguenza, la partecipazione del logos (della proposizione) al vero e al falso essere ritenuta plausibile e filosoficamente fondata. Se - come suggerisce il Sofista platonico - l'essere corrisponde a ciò che è identico, ed il non essere a ciò che è differente, allora la risposta, che, quand'anche non «parricida», trasforma la comprensione parmenidea dell 'essere, rappresenta lo sviluppo primo, ed insieme ricco di conseguenze, del nesso di identità e differenza: con la scoperta della differenza l'identità è diventata una unità non più fissata in sé, un punto di riferimento di una relazione molteplice. Nella filosofia di Plotino tale concezione viene ad operare quale elemento strutturale del nus atemporale, assoluto: lo Spirito è quell'essere delle idee che pensa se stesso. Ogni singolo intelligibile, ogni idea da pensare, è unito a ciò è che altro, attraverso il pensare, in un atto atemporale. Il pensare, o l'autoriflessione, fonda, dunque, l'unità dell' intero attraverso la differenza del singolo. Lo Spirito è, di conseguenza, un'unità che si riflette nella differenza o un'identità attraverso la riflessione della differenza. Tale identità riflessjva nella differenza è in modo analogo al rapporto esistente tra l'idea platonica di Bene e le rimanenti idee - separata dal principio universale, che è anche il suo principio, proprio mediante questo essere della differenza: essa è «la prima alterità» nei confronti dello stesso Uno, di modo che l'alterità diviene determinante anche per il proprio essere interno. La teologia cristiana filosoficamente caratterizzata (ad esempio Mario Vittorino) nel concetto di un Dio che trinitariamente riflette se stesso ha serbato la diversità dell'unità indifferenziata del principio rispetto alla differenza che riflette su se stessa. In esso la differenza è ridotta al momento coessenziale, ma «necessario», dell'unità. La differenza, che determina l'essere nell'intero insieme all'identità, appare come reale proprio attraverso l'atto della creazione: come libero porre la differenza da parte di una unità riflessiva, trinitaria. Questo abbozzo del nesso di identità e differenza illustra la prima grande fase del suo sviluppo storico: la· configurazione della struttura di fondo del problema e della dimensione concettuale nel «platonismo» e la sua trasformazione nella teologia cristiana, la quale, proprio per questo, deve essere intesa come una teologia filosofica. Il nesso di identità e differenza,
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concepito filosoficamen te, è diventato infatti anche fondamento filosofico del dogma teologico centrale. Superando una rigida presentazione di platonismo e cristianesimo come «confessioni» intransigenti, deve essere, in modo del tutto netto, mostrato che la teologia cristiana, senza i contenuti filosofici che sono costitutivi della sua peculiare nuova forma, non potrebbe essere se stessa, almeno nella misura in cui vorrebbe essere una riflessione implicita o esplicita sulla fede. Che una assunzione puramente formale di contenuti filosofici sia un processo ermeneuticamente inverosimile e difficile da fondare - eventualmente nonostante la resistenza strutturale ed apologetica della teologia - lo rende lampante non solo una riflessione sulla Trinità e sulla creatio. Né la «confusione» secondo il motto «nil novi sub idea» né la separazione estrema di posizioni di coscienza storicamente diverse può avere un senso quale principio ermeneutico, ma piuttosto lo ha l'accettazione di una fusione dialettica di orizzonti la quale lascia scorgere proprio ciò che è nuovo ed inaspettato. A partire da questa prospettiva si dovrebbe ancora difendere il termine «platonismo cristiano» - come forma storica di identità nella differenza e della differenza che mantiene ed insieme determina ciò che è essenziale per la struttura originaria del pensiero . Tale questione - la filosofia come realtà determinante il contenuto in teologia- si incontra, nel momento in cui si segue il filo conduttore di identità e differenza, anche all'interno della seconda fase dello sviluppo del problema: nel primo medioevo sino al suo compimento ed al passaggio all'epoca moderna - nel corso delle mie riflessione esemplificata con Agostino, Meister Eckhart e, soprattutto, Nicolò Cusano. Certo dovrebbe essere qui incluso anche Eriugena: questi ha, infatti, sviluppato, proprio con la sua co ncezione del mondo come «teofania», il pensiero della differenza, che opera nel «manifestarsi», ma, ad un tempo, ha pensato a questa nel suo inseparabile nesso con la sua origine. L'atto di questa ad esso immanente è concepito come una identità, o una unità, che diviene oggetto a se medesima e si differenzia nell'altro come l'inizio- condizione per il suo manifestarsi nel mondo come fondamento di questo stesso: occulti manijestatio 2 • 2
Cfr. a riguardo: W. Beierwaltes, !:legati affirmatio: We/t a fs Metapher. Zur Grundlegung einer mitte!alterlichen Asthetik durch Johannes Scotus Eriugena, in : «P hil. Jahrb. », 83 (1976), pp. 237-265.
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PREFAZIONE
Cusano rappresenta per molteplici aspetti la «meta» della storia dell'influsso della concezione platonica e neoplatonica di identità e differenza - insieme alla concezione di una «riflessione trinitaria assoluta», ma anche quale cardine nello sviluppo verso l'idealismo tedesco. In questo il nesso di identità e differenza - nel contesto del passaggio della logica nella metafisica e della religione nella filosofia - è l' «anima viva» del pensare. Tale posizione diventa chiara in modo paradigmatico nella recezione di Schelling del concetto di unità di Giordano Bruno, la quale si collega alla sua intenzione di esplicare l'unità delle opposizioni nell'io e nell'assoluto, ma in misura non minore diventa chiara anche nella dialettica di Hegel, per il cui movimento la differenza come negazione è costitutiva, per giungere, per suo tramite, all'autocomprendersi del concetto nell'idea assoluta. Questa identità è dialettica o concreta (in opposizione a quella astratto-formale), poiché, nello stesso tempo, supera e mantiene in essa la differenza. Il diventare-altro-dase-stesso mediante negazione produttiva e la mediazione che ritorna all'inizio, in quanto inizio concepito, sono, dunque, i momenti di una riflessività assoluta, la quale è intelligibile tanto logicamente come anche teologicamente. Si chiude qui il cerchio di Plotino, Proclo, Dionigi, Mario Vittorino e Cusano - nonostante la diversità ad esso intrinseca. All'interno della filosofia contemporanea la domanda circa l'identità e la differenza si è mantenuta un tema dominante soprattutto in Heidegger ed Adorno. Heidegger ha pubblicato le conferenze La proposizione dell'identità e La concezione onta-teo-logica della metafisica con il titolo complessivo Identità e Dijjerenza 3 • Entrambe sono parte del tentativo di «portare alla memoria» l'ESSERE e, quindi, di illustrare la «comune appartenenza» di identità e differenza. Heidegger sviluppa la propria concezione dell'ESSERE come «avvenimento» «nell'ambito della tradizione»\ nonostante il fatto che a volte si sottragga e s'allontani da essa. Oltre alle tesi di grande portata che concernono la storia della
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metafisica 5 , a caratterizzare questo tentativo sono le peculiari interpretazioni di Eraclito e di Parmenide. Per la visione di Heidegger dell'evoluzione storica di identità e differenza è istruttivo un accenno al lasso di tempo tra Platone ed Hegel. Platone ha formulato nel Sojista l'autoidentità di categoria dell'essere e categoria del linguaggio e, quindi, anche l'autoidentità di ogni ente con cxìrtò É.cxu-r0 -rcxth6v 6 • Heidegger mette giustamente l'accento sul dativo riflessivo - lo stesso a se stesso («ogni cosa essa stessa con se stessa la stessa cosa» [HeideggerJ)1 - mediante il quale Platone pone una relazione nella identità stessa. Dal punto di vista della storia della filosofia la conclusione di Heidegger suona allora: ·'« prima che, tuttavia, la relazione della ipseità con se stessa (dell'identità con se stessa) regnante (presente) nell'identità, preannunziata già agli albori del pensiero occidentale, venisse (pervenisse) decisamente alla luce ed in modo definitivo (in un modo ben definito), cioè come tale mediazione, prima che persino si trovasse una dimora per questo apparire della mediazione nell'ambito dell'identità [precisamente nell'idealismo speculativo], il pensare occidentale ha impiegato più di duemila anni» 8 • Ritengo che le mie riflessioni storiche intorno al concetto di identità e differenza possano per alcuni aspetti rendere evidente che queste parole di Heidegger, gravide di conseguenze per quanto concerne la storia della questione, sono parte della «violenza necessitante». In dee~ posizione contraria si trova il concetto """) , neoplatonico di spirito~ nel quale l 'identico trova se stesso in altro ed attraverso esso, e, in misura non minore, l'identità f " o l'unità trinitaria, per la quale risulta costitutivo il riflessivo ~ venire-posto-di-fronte-a-se-stesso attraverso il quasi-altro. Più che da Leibniz e Kant, la dialettica di Hegel è stata oggettivamente «preparata» da questa concezione - filosofica nella sua struttura di fondo - , essendo in essa il pensiero dell'automediazione pen_s ato attraverso riflessione. Heicteggef, invece, conseguentemente alla sua costruzione della storia della metafisica, ha dissolto i contenuti filosofici neoplatonici.
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5 3 Pfullingen 1957. [trad . it. di E. Landolt: Heidegger, Identità e differenza, in: «Teoresi», 1966, pp. 3-22; 1967, pp. 215-235]. - -4 Identitiit und Differenz, p. 34 [trad . it. p. 22].
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Per un confronto, vedi qui sotto pp. 365 ss. Sojista, 254 d 15. ldentitiit und Dijferenz, p. 14 [trad. it. p. 10]. !bi, p. 15 [trad . it. p. 10].
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PREFAZIONE
Per Adorno, l'opposizione al concetto di identità di una «metafisica», o «filosofia prima» da lui stesso impoverita conduce ad una elevazione del «non-identico» a categoria fondamentale del pensiero, ossia ad appagante punto prospettico di tutte le intenzioni. La realizzazione del non-identico viene creduta una forza capace di «dirompere» il «vincolo di identità», sotto il quale l'uomo pena nell'attuale situazione sociale. Io cerco di analizzare il non-identico di Adorno come paradigma del nesso di identità e differenza nel pensiero contemporaneo: esso eleva una pretesa di universalità riguardo alla spiegazione dei fenomeni teoretico-conoscitivi, estetici, e - invadendo questi ultimi - storici e sociali. Intenzionalmente antihegeliano, si basa nondimeno sulla dialettica hegeliana, perfino nella negazione. Heidegger ed Adorno non sono sempre da considerare come antipodi. Nonostante i diversi presupposti e le diverse conseguenze della loro critica alla metafisica, perseguono, in un ambito essenziale delle loro riflessioni critiche, l'identico fine. Potrebbe essere mostrato come l'unica cosa, con cui, per mezzo di termini propri della dimensione concettuale di identità e differenza, dovrebbe essere espressa l' «alienazione dell'uomo» dovuta al «dominio dell'essenza della tecnica moderna» (Heidegger) o al «rapporto di irretimento o di accecamento» della società (Adorno), non deve essere solo spiegata, ma come attraverso la riflessione intorno ad identità e differenza potrebbero essere realizzati impulsi ad un nuovo «essere». La «coerente coscienza della non-identità», che spezza l'alienazione o per lo meno avvicina la resurrezione dell'uomo, si incontrerebbe, secondo Adorno, almeno con l'intendimento di Heidegger di «salvare» l'uomo dalla costrizione del «pianificare e calcolare» tecnico: per mezzo di un «pensare che prima di ogni cosa si volga a ciò che viene incontro, come allocuzione dell'essenza dell'identità di uomo ed essere» 9 • L'«identità» indica l'invischiarsi nell'ESSERE, l' «appartenere-insieme» di uomo ed ESSERE 10 , che, secondo Heidegger, è dato al pensare come ... l' «evento», come la «distinzione», «differenza come differenza». La prospettiva fondamentale, che determina tutte le mie anali9
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/bi, p. 34 (trad. it. p. 22]. /bi, p. 32 [trad. it. p. 21).
PREFAZIONE
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si intorno a identità e differenza, ~(}
-· · · 24 !bi, II 9, l, 8; V 3, 13, 34 s.; VI 9, 5, 24. All'opposto la «varierà di colori» del voiiç originata dall'alterità: V 3, IO, 30; VI 4, Il, 15 s; VI 7, 15, 25; 39, 17. 25 o.u~sta dialertica di imp/icatio ed explicatio determina tulti i plaronismi sucCeSSIVI. In tale contesro mareriale la merafora ploriniana deve essere assunra co-
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IDENTITÀ E DIFFERENZA 'SC~. P-' r{
3. Lo Spirito come unità dialettica determinata m~diante la differenza f.l 0 _'\0 / ~~ 11 .3 ;= v t-N ':j f fl\,. t v~ A motivo dell'accezione per cui l'Uno è origine e fo damento, l' «alterità», quale struttura dell'essere e quale categoria der-comprendere, non viene ad essere meno rilevante di quanto lo sia all'interno della questione intorno alla delimitazione dell'Uno da ciò che è già presupposto come altro: l 'alterità viene posta come esistente mediante o nell'atemporale movimento che procede da lui stesso. Proprio per il fatto che l'ente, come qualcosa, è, è, perciò, condizionato nel suo essere racchiuso nell'Uno e nel superamento di questo essere racchiuso, dunque nel passaggio dell'Uno ai molti, nel suo autodispiegarsi. Ciò che è venuto alla luce, o «generato», è il primo modo della moJ!eJ>licità (la duplicità). Esso potrebbe anche essere detto-«prima alterità» 26 , poiché tramite esso qualcosa d'altro dall'Uno è e poiché, inoltre, tale modo nel suo compimento è sostanzialmente determinato dall'alterità. La prima molteplicità, o alterità, che non si separa del tutto dali' origine, o anche il compimento dell'essenza del primo essere mediante l'alterità e nell'alterità, è, secondo Plotino, (<Spirito» (vouç). Il dispiegarsi, l'aprirsi dell'Uno indifferenziato nella differenza sarebbe un atto chiuso e, quindi, incompiuto, se rimanesse fissato in sé in modo insoluto o «indeterminato». Plotinianamente è in questione il come la duplicità, prima di tutto illimitata 0 indeterminata (&optO"'toç OUtXç), la «materia intelligibile» come pura possibilità 2\ determini o delimiti se stessa e, con ciò, divenga una Ù7toa'to:atç, ossia una particolare quiddità in sé esistente, vista a partire dall'origine e nell'orizzonte di ciò che è originato da essa. L'alterità intelligibile è all' «origine della materia (intelligibile), essa e il movimento primo; perciò anche il movimento è detto alterità, poiché movimento e alteme «fonte», «radice», «seme» del traboccare e del permanere dell'Uno. Egli esce e, ad un tempo, rimane diverso da ciò che è uscito : Enn., III 8, IO, 19: IJ.&VOU
Theol. P!at., lii 7; 133, 9 ss.; 3!. Cfr. ad es.: In Eucl., 131, 25 ss.: 1ttp<x~ come causa di opoç (aon"j;, ~ocu•6n"J;;
ma èilttLpov come causa di èilttLpoç 7tp6oooç, ocù~aLç, &vta6n"Jç, tJ.dwaLç, t"ttp6n"j;, per la qual cosa questa seconda «serie» è la «più povera». L'ente molteplice esiste, tuttavia, solo tramite l'operare di entrambe. /bi, 5, 25 ss. 8 In Parm., 1154, 26-30: "tOCU"tOU~OCL ràp X<Xl htpOLOU"t<XL !tpOtÀ~OV"t<X "tà OV"t<X &!tò "tWV ochLWV tJ.E"tCx "tOU tJ.tVtLV Èv <XLJ"tocTç, htpOLOUtJ.EVOC tJ.ÈV ":(il !tpoEÀ ~tTv oÀwç, "tOCU"tOUtJ.tVOC OÈ -: È1tL<J"tpiyoct !tpÒç "tÒ tJ.ETvocv . Cfr. anche 1186, 7 s. Probabile che vi sia un nesso
riguardo al contenuto e alla terminologia con !'«identificare» ed il «diversificare» di Cusano (De Genesi, 149 s. - [Wilpert]). L'alteritas e la diversitas del creato si fondano nell'opera «identificante» (creativa) dell'assoluto-identico (idem absolutum): idem identificai. Questa asserzione esplica la concezione per la quale l'assoluto-identico, in quanto identificante, pone solo ciò che è ad un tempo differente (diversificai), perché anche la diversitas è in esso identità pura (De Gen., 149). Cfr. sotto p. 159 ed il capitolo successivo su Dionigi.
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pROCLO
Ad &7ttLp(cx e ou&ç la unisce, dunque, l'essere causa dell'uscita (1tp6oooç) 9 , della divisione e della suddivisione (oLcxiptcrLç, oL&X.PLcrLç) 10 , del «moltiplicare» (7tÀ7Jt'}uvm, xtpflcx•i~tLv, t'}pu7t'ttLv) 11 , ossia della costituzione della molteplicità, graduata in sé secondo la dignità d'essere, e quindi della posizione delle opposizioni 12 • L'aspetto creativo dell'alterità si mostra anche nel fatto che essa viene intesa, al modo della tradizione (oracolare) pitagorica e «caldaica», come principio femmini le 13 • Tramite il suo carattere fondamentale di superam~ attivo del limite, l'hep6,7Jç crea e moltiplica il movimento (il cambiamento) 14 ; essendo proprio quel tipo di ouvcxfJ.Lç ouo1tm6ç, o &ÀÀo7tOL6ç (potenza che produce ciò che è altro) 1S, essa dà origine ad una continua diminuzione d'essere e, quindi, ad un sempre più grande allontanamento dell'Uno dal molteplice o (dal punto di vista della molteplicità): un allontanamento (u>. Unitas (identitas) e alteritas, injinitas e jinitum non sono più funzioni del principio primo,
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IDENTITÀ E DirrERENZA
ma, in quanto principio primo stesso (identitas), e nell'ambito del principiato (alteritas), sono in un rapporto dialettico. Che Dio, qua unum o unus, potesse essere pensato come idem o identitas, presupponeva certo la rifondazione dell'Uno di Proclo in un concetto cristiano di Dio attraverso Dionigi l'Areopagita. Mentre l'Uno procliano non può dirsi e non può essere né medesimo né altro - è «E-rE.pov mxnwv», come s'è mostrato, solo dal punto di vista degli EnpiX, e non è da sé per essenza -, il Dio cristiano, per il suo concetto, è in sé necessariamente non senza relazioni: è Trinità, pensiero di se stesso, ideazione del mondo; dunque Egli è anche ad un tempo IXÙ-r6ç ed E-rc.poç (medesimo e diverso) 54 • Diviene allora comprensibile l'attribuzione di idem abso!utum data da Cusano a Dio 55 • Quale trinitario idem absolutum, o unilas absoluta, Dio fonda il mondo, il quale è universalmente «costituito dall'unità e dall'alterità, che passano reciprocamente l'una nell'altra» 56 • L'alterità è il modo nel quale l'identità assoluta si dispiega e, quindi, diviene accessibile al pensiero: identitas inexplicabi!is varie differenter in alteritate explicatur, atque ipsa varietas concordanter in unitate identitatis comp!icatur 57 • Dal momento che questa alteritas, che costituisce ogni ente, non può essere totalmente superata dal nostro pensiero, la conoscenza è possibile solo come ars coniectura!is, o coniectura, alla quale rimane ultimamente preclusa la praecisio veritatis: in alteritale veritatem, uti est, participans 58 • D'altra parte questo significa, tuttavia, che la partecipazione dell'ente al fondamento dell'essere e di colui che conosce al fondamento della verità è resa possibile dal cooperare dialettico dell'esplicativo dar parte di sé dell'identità divina all'ente e della forza distinguente dell'alterità, diventata costitutiva per l'ente proprio attraverso l'explicatio. Questa preliminare visione in abbozzo verrà esplicitata con più esattezza nei capitoli che concernono Cusano; qui doveva essere messa in luce solo la rivelanza storica del suo pensiero.
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Dionigi Areopagita, De div. nom., IX 4 s.; PG 3, 912 s. Cfr. il capitolo seguente. Cusano, De Genesi, l; Opuscula, l 147 (Wilpen). De coniecturis, l 9, 39, 2 s. (Koch-Bormann-Senger). !bi, l Il, 55, Il s. I bi, l Il, 57, Il.
IV. Trasformazione della problematica dell'identità e differenza nella teologia di ps. Dionigi Areopagita
l. Identità e differenza come predicati di Dio
La filosofia neoplatonica, in particolare il pensiero di Proclo, non ha mai agito su alcuna forma di teologia filosofica in modo così intenso quanto su quella di Dionigi l'Areopagita. Uno dei suoi scopi centrali è la spiegazione dei «nomi divini» . Questi devono essere concepiti come il pendant teologico alla fondazione filosofica della possibilità di attribuire al principio Uno predicati o caratteri dell'essere, o di negarglieli. Guida filosofica a questa esplicazione è la recezione neoplatonica di due ipotesi, la prima e la seconda, del Parmenide platonico 1 • Poiché i «nomi divini» riguardano, in modo universale, l'essenza di Dio, essi implicano tanto la domanda circa la relazione che vi è in Dio come anche quella circa il suo nesso fondante con l'ente, con la creazione. Di estrema importanza per entrambe è il concetto di alterità (differenza). Esso, in quanto predicato di Dio e della sfera intellegibi le, deve esser inteso, riguardo alla medesimezza (identità), all'unità, all'essere, alla quiete e al movimento, alla similitudine ed alla dissimilitudine, alla grandezza ed alla piccolezza, nel contesto delle categorie «sofistiche» o «parmenidee». Un reale nesso dialettico, indice del reciproco approfondimento delle strutture filosofiche e teol E. Corsini, Il trattato De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi e i commenti neoplatonici al Parmenide, Torino 1962. Per la comprensione delle strutture teologiche e filosofiche di Dionigi sono soprattutto da consultare: R. Roques, L 'univers dionysien, Paris 1954; W. Volker, Kontemplation und Ekstase bei PeusdoDionysius A reopagita, Wiesbaden 1958; E.v. lvanka, Plato Chrìstianus, Einsiedeln 1964, pp. 225 ss. e B. Brons, Gott und die Seienden. Untersuchungen zum Verhdltnis neuplatonischer Metaphysik und christlicher Tradition bei Dionysius Areopagita, Gottingen 1976.
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logiche della realtà e del pensiero, esiste tra essi e termini come «giustizia», «sapienza», «pace» o «logos», stabiliti in modo anzitutto teologico. Secondo Dionigi, Dio è in sé identità e, ad un tempo, differenza 2 • Questa unità paradossale è analoga al paradosso di fondo della sua essenza: egli è semplicemente e, tuttavia, ad un tempo non è in quanto al di sopra dell'essere; unità triadica e, tuttavia, è al di sopra dell'unità. In fondo colui che ha molti nomi coincide con l'indicibile nel nome (ò:vwvufLoç). Con identità si intende, prima di tutto, l'immutabilità del suo essere, l'immutabile essere uguale a se stesso, e quindi la sua infinita perfezione. «L'Identità (il Medesimo) è soprasostanzialmente eterno, invariabile, rimane sempre in se stesso, è sempre nella stessa maniera e si mantiene ugualmente presente a tutte le cose, collocato egli stesso per se stesso e da se stesso stabilmente e interamente nei bellissimi confini di un'Identità soprasostanziale, senza cambiamento, senza perdita ... non mescolato ... semplicissimo, senza bisogno ... sempre esistente e in sé perfetto e sempre il medesimo secondo se stesso e determinato da sé in una sola e uguale maniera, fa risplendere la medesima facoltà ... congiunge ... anche le cose contrarie» 3 • Il concetto di identità viene spiegato attraverso quello della )( permanenza (stasis). Dionigi lo concepisce come «un rimanere di Dio in se stesso» (moné), come «un essere fisso» solidamente in una medesimezza immobile (immutabile) 4 • Perciò Dio è colui che «Sta» o che «permane» (écr-cwç) 5 • Nella determinazione di Dio come identità o medesimezza sono subentrati predicati della riflessione filosofica che riguardano l'Uno (ad es. di semplicità massima, di autarchia, di sopraessenzialità, o di essere non mescolato e, tutta via, in tutto), ma anche tali che caratterizzano l'Uno esistente e lo Spirito; De div. nom., IX 4 e 5; PG 3, 912 B ss. Il problema della differenza deve in questo contesto, essere spiegato prevalentemente sulla scorta dei predicati «par: menidei». Il significato, che la «di fferenza», come sfumatura differenziata della pienezza divina dell'essere, ha per il concetto di «gerarchia», non è dunque propriamente tematizzato. A tal riguardo si veda R. Roques, op. cit., pp. 92 ss. 3 /bi, 912 B. 4 /bi, IX 8; 916 B: fi.ÉVEW cxò-ròv iv tcxu-r IDENTITÀ E DIFFERENZA
presente in Dio. La distinzione o l'alterità avviene piuttosto, per la prima volta, tramite l'esistenza del creato. L'ente è, esso stesso, questa distinzione 19 •
2. Rapporto e differenza con il pensiero neoplatonico genuino Plotiniana e procliana è la concezione genuinamente filosofica che determina in modo sostanziale questi enunciati sull'essere e l'operare di Dio: come dovrebbe essere stato chiarito dalle precedenti riflessioni, lo Spirito, quale processione esistente, è, secondo Plotino, il primo movimento, la prima alterità o molteplicità rispetto all'Uno, diversa da tutto, mxnwv e·n:pov 20 ; è anche in sé costituito mediante l'alterità, la quale si subordina, in quanto pensare, o a causa di esso, atemporalmente all'identità. La distinzione, o alterità, creatrice e movente, concepita da Dionigi, trova le sue analogie nel concetto procliano di alterità. Come è stato evidenziato, essa è condizione di possibilità dell'altro, posto al di fuori dell'Uno; ha la funzione attiva di differenziazione, manda avanti il corso della processione (diakrisis, dihairesis) dell'ente: corso che nasce dall'Uno; infine è, attraverso la costituzione della molteplicità, la causa delle opposizioni nell'ente, dalle quali è tolto in modo assoluto l'origine. Ciò che fondamentalmente distingue questa esplicazione filosofica (di tipo neoplatonico) da quella di Dionigi, consiste nel fatto che essa riguarda esclusivamente, certo in misura variabile, l'ambito dello stesso Uno. Per Plotino, e in modo del tutto evidente per Proclo, l'Uno è (dal punto di vista dell'intero) indifferenziato e irrelato in se stesso. Sebbene tutto nasca da lui e a lui ritorni, non gli viene attribuita in quanto immanente questa mobilità. Piuttosto, in strettissima conformità con la prima ipotesi del Parmenide platonico, per riferirei ai predicati all'inizio accennati, egli non è anzi né essere né medesimezza o alterità, permanenza o movimento, somiglianza o dissomiglianza, grandezza o piccolezza. (Questa caratteristica del-
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l'Uno non viene superata neanche dall'ipotetica riflessione di Plotino sulla volontà dell'Uno nei confronti di se stesso e nei confronti della sua autocostituzione. Una tale riflessione rimanda invece a come potrebbe essere pensato l'Uno, essendo in sé - içtlP'YJf.LÉvov - sopracategoriale, se non dovesse essere - a parte hominis - limitato dalla pura negazione. Al contrario Dionigi nega invero di Dio, in modo identico, tutti i predicati «sofisti» e «parmenidei», ma glieli attribuisce poi di nuovo, come ha mostrato la trattazione intorno all'identità e alla differenza, come nomi divini. In questo egli segue l'interpretazione della seconda ipotesi del Parmenide platonico, che comprende l'Uno come esistente e, di conseguenza, anche come in sé differenziato e relazionale. L'unità di entrambi gli aspetti (la prima insieme alla seconda ipotesi del Parmenide; teologia apofatica e catafatica) lascia comprendere in sé, certo in modo unitario (Évlodwç) 21 , Dio tanto come tutto che come differente, e Lo emancipa, ad un tempo, dall'Uno esistente 22 e dall'Uno in modo assoluto in quanto umpiv 23 • L'identità e la differenza, la permanenza ed il movimento determinano l'essenza di Dio, nella misura in cui Dio è l'esistente, ma in quanto viene considerato come al di sopra dell'essere, non lo è e, così, corrisponde precisamente all'Uno di Procio. Al concetto paradossale di Dio, secondo il quale Egli deve, e non può, essere essere e, al tempo stesso, sovraessere, e quindi identità e differenza insieme, Dionigi non sarebbe stato tanto indotto dalla tradizione del commento al Parmenide si potrebbe pur sempre pensare a Porfirio, il quale per primo ha pensato come compenetrati entrambi gli aspetti: l'essere ed il sovraessere, che è puro pensiero 24 - , quanto piuttosto dalla finalità, cristianamente motivata, di concepire Dio come -rplcxOlx~ év&ç 25 , come À61oç (crocp(cx), che si pensa e s'esprime, 21 Div. nom., XIII 2; 980 A: ... 7tcXvt<X x<Xi oÀ<X 7tcXV't<X x<Xi 1:Òt &nlxdfJ.tVOt x<Xl ~vl<Xiwç 7tpouÀ'fl •0 d vaL) 17 . Una tale concezione implica che l'Uno, se deve essere distinguibile e determinato da se stesso, debba avere una forma determinata di conoscenza di sé, che non è distinta da lui come fosse un altro 18. Questo non significa ancora pensare o conoscere, in lui, nel senso autentico di un essere per sé di pensare e conoscere. Proprio perché essere, pensare e conoscere nell'Uno assoluto sono nel loro essere per sé compiuti, egli è l'assoluto «prima» (prae): "è" "prima" di tutto ciò che è universale e di tutto ciò che è parte, causa prima, praeprincipium, la "forza" o la possibilità esistente di tutte le potentiae; secondo la misura filosofica a7t~Lpoç ouvaflLç, o ouvaflLç •wv 7tav•wv 19 • L'assoluto prae non rimanda ad un incremento superlativistico di tutti i predicati pensa bili: è al di fuori della comparazione, nonostante la forma comparativa del linguaggio, «mosso come ogni movimento, stabile come ogni stato ... continuo come ogni continuità, superiore, come ogni distanza ... penetrabile come ogni pensiero ed ogni corpo» 20 • La conclusione di questa concezione è che l'Uno come assoluto è prima o sopra ogni opposizione pensa bile e la loro propria possibilità - perciò è omnium potentissimum, potentia potentiarum. In teologia: Hic est deus, hic pater2 1• La triade neoplatonica di «permanenza-processione-ritorno» (flov~ - 7tp6oooç - È.7tLÈv oÈ dç ~ò t raw ta'tT) . LimitaziOne deU Ilhmltato (nflesswne): Plot ino, Enn ., II 4, 5, 31 ss . ; VI 7, 17, 14 ss . Cfr. mtorno a questa problematica, sopra pp. 58 s. 35 Adv. Ar., l 51, 34 s.: in semet ipsam recurrit, rursus in semet ipsam conversa. 36 Inni, l 4; III 242 e 245 . 14
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Descritta nelle tre «fasi», la processualità atemporale o l'autocostituzione della Trinità deve essere ancora una volta trattata sotto l'aspetto del nesso di unità, o identità, e differenza. Il fatto che l'interpretazione possa ulteriormente seguire il passo del testo che abbiamo sino ad ora preso come fondamento, dimostra anche esternamente la rilevanza di questo aspetto della questione per Mario Vittorino. La processione e ciò che deriva dalla processione sono rispetto alla loro origine, alla potentia fontana o fontana existentia 37 , in un rapporto dialettico di «interno» ed «esterno>> 38 , esserenascosto ed essere-rivelato, unità o identità originaria, e alterità, o differenza «prodotta». Con l'indicazione di un rapporto «dialettico» si «relativizza» sin dal principio l'essere specifico della differenza. La questione riguarda, dunque, il modo con cui l'essere autonomo della differenza si fonda nell' identità, o crea mediante la sua «relativizzazione» dialettica un concetto determinato di identità. La vita, la vita riflessiva, il logos o il Figlio sono, nel modo d'essere proprio, solo per processione. Questo movimento si «rivela» a partire dal «movimento del Padre», il quale avviene «in una realtà nascosta», ossia è la potentia nascosta rispetto a tutte le altre potentiae. In quanto rivelata, manifestata, essa è «esterna»; ma essa è «interna», nella misura in cui è nell'«inizio» (Padre) come preesistente e nascosta. Originata dalla processione e giunta alla sua realtà peculiare, la vita riflessiva è, di conseguenza interna, ed esterna in pari tempo: vita igitur
et intus et foris est. Vivit igitur deus, vivit ipsa vita. Vita ergo et deus et vita 39 • Bisogna intendere questo rapporto dialettico come un reciproco essere-in; «ciò che è altro e ciò che è identico» (alterum et idem) è in ogni cosa. Bisogna intendere l'alienazione del Padre nel Figlio, dunque il passaggio della potentia fontana in essere - vivere - pensare, nel vero senso biblico (e filosofico) di forma patris (Filippesi 2, 6). Con forma non ci si riferisce certo all'accidente di una essenza (sostanza), ma ad una essenza in sé sussistente, nella quale «si manifesta e si mostra ciò che è nascosto e mascherato in un'altra 37 38
39
A dv. A r., I 52. 42; 55, 21. /bi, I 52, 37 ss. !bi, l 52, 48 ss .
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realtà» 40 • Se lo stesso Dio (Padre) è qualcosa di mascherato, nascosto, inaccessibile a partire da lui stesso, «senza forma», allora ciò che da lui procede è «forma», realtà interna diventata forma nel senso di una manijestatio, apparentia, ejjulgentia, ejjulsio, - espressione chiara del prae-principium come princtptUm, la quale mostra se stessa ed il suo fondamento 41 • Solo in lui e attraverso lui diviene manifesto ciò che l'inizio è in sé e ciò che egli può essere in ciò che è altro. L'alienazione dell'inizio nella sua forma e, quindi, in un'altra realtà o - nel senso dell'homoousia- nella sua necessità è «necessaria», affinché l'inizio «veda se stesso» (videre semet ipsam) in questo (suo altro) 42 • Una inspectio di sé, o autoriflessione, è pensabile assolutamente solo attraverso l'alterità; una alterità, però, non fissata in sé, ma connessa direttamente al punto di partenza e d'arrivo del movimento, e con esso «nuovamente» unita: in isto igitur sine intellectu temporis tempo re ... alteritas nata cito in identitatem revenit 43 • Questo pensiero corrisponde alla concezione porfiriana di un pensare che, nei confronti di un vedere senza oggetto, si priva di questo per vedere se stesso, per essere autoriflessione. La «conoscenza assoluta» (yvwaLç &1t6Àu'toç) - senza oggetto - diviene un movimento che penetra se stesso nel movimento di ritorno a se stesso 44 • Come modo dell'alienazione o della rivelazione, la «forma» del manifestarsi o dell'esprimersi di qualcosa di nascosto è identica alla parola. Nel Figlio Dio si esprime come se fosse la
!bi, I 53, 9 ss. 41 !bi, I 51, 15 ss.; 52, 34 ss.; 53, 17 ss.; Ili l, 31, 36; 7, 26; IV 15, 24; 24, 12 ss. 42 lbi, l 57, 15 ss.; III 5, l ss. Identico a se intellegere ac nosse ve/le: II 2, 46; I 57, 29: sui ipsius cognoscentia, logos sui ipsius: 50, 16. L'identità di esse - vivere- intellegere come autori flessione: cum intellegit deus, se ipsum intellegit. Cum autem se ipsum intellegit, non ut alter alterum, jit ut intel/egentia ipsa se intel/egat. Quod cum est, se esse ejjicit atque in exsistentiam provenir jitque sibi quod est esse atque eodem modo intel/egendo exsistit et suum vivere (IV 40
27, 6-11). - Riguardo alla modalità filosofica della concezione: in opposizione alla conoscenza senza oggetto, assoluta, del puro Uno, per la seconda forma di conoscenza è costitutiva la riflessività dell'Uno esistente, l'alterità (htp6TIJ,). Porfirio, In Parm., XII 18 s. Una concezione analoga in Plotino, vedi sopra p. 60. 43 /bi, I 56, 17-21. 44 ln Parm., VI 8; V 34; XIII l ss.; XIV 19 s.
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propria parola (pronuntiatur - verbum patris) 45 : in lui, nel Padre, la parola è «in ciò che è nascosto», «parola che tace» (tacens verbum), in lui 46 , come Figlio, essa è parola che si annuncia (locutio), autoesplicazione del suo essere e pensare nel pensare e parlare dell' «altro»: la forma della rivelazione intratrinitaria. Dal punto di vista dell'esprimersi, o del manifestarsi, la parola deve essere intesa anche come luce (lumen patris): come irraggiamento o splendore (ejjulgentia, ejjulsio, elucescentia) 41 di ciò che la potentia dell'«inizio» è in sé. La P arola e la luce sono entrambe manifestazioni della differenza, nondimeno il loro nesso non si dà per niente altro che per il proprio «inizio», del quale sono espressione o manifestazione. A partire dal concetto di Trinità è possibile riconoscere la ragione per Cl;li la differenza, come coessenziale espressione della propria identità, possa essere pensata e definita anche come identità: in identitate altera esse et eadem 48 • La mediazione della triade in una unità viene ad essere formulata come: altera in identitate, sive eadem in alteritate 49 • Però l'identità è assolutamente prevalente nei confronti della differenza, quale differenza connessa alla propria identità. L'unità, in modo conforme ad essa, esiste nonostante o con la differenza (secundum identitatem counita alteritate) 50 • Dunque, Adv. Ar., I 53, 19. /bi, I 55, 32 ss.; III 7, 31 ss.; 16, 14-17: est enim pater loquens silentium, Christus vox, paraclitus vox vocis. 47 /bi, I 52, 34 s.; 56, 2; 56, 28; 57, 21; III l, 36. lumen: I 56, 2; Il Il, 22 ss. rejulgentia luminis: I 34, 33. Sull'accordo della terminologia del «dispiegar-
):
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46
si» o del «manifestarsi» (èxq>cx(vtw, exq>cxvcnç) con la rappresentazione della differenza nel neoplatonismo, vedi i miei accenni in: Negati Affirmatio, p. 249, nota 51 (cfr. sopra p. 27). t-~Ì .-JA1t-!l'b.~1' ) 48 !bi, I 54, 18 s. g'?, 49 !bi, I 48, 25. so /bi, I 53, 2. Cfr. anche alter in altero come identità: II 4, 29; Il, 18: alterum in altero unum redditur. Inni, III 19 s.: alterum cum altero. Attraverso le formulazioni suddette, e altre simili, il termine «identità nella differenza», che caratterizza, soprattutto in Hegel e Schelling, l'ambito della riflessività assoluta, è, condizionato da una analoga costellazione di problemi, preformato linguisticamente (cfr. sotto p. 279) . Intorno alla provenienza neoplatonica: Porfirio, Sent., 36 (31, 2 e 5, Mommert): ... o·n 't'Ì)v 1tiicrcxv htpoTI]t'tx 1M Tijç •cxu-.6TIJ•oç U1tÉGTI]GtV ... ÉVOTI]' l.v htpOTI]t'~. 37 (32, 15 s.): htpOTI]ç ijv ll&VOUcrT)ç Tijç t'(X\lt'OTI]-;oç. Riguardo alla sorprendente formulazione di Coleridge dell'autoapertura dell'Uno trinitario: «the absolute Alterity of the Absolute» (The Literary Remains, London 1836-39, IV, p. 2), che vuole essere l'espressione dell'autoaffermazione
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l'alterità o differenza (differentia, I 55, IO) non deve essere affatto esclusa dalla Trinità 51 , giacché l'identità non è da intendere come «ipseità» (ipseìtas) nel senso di tautologia fissata in sé (eadem, non ipsa)S 2 • L'identità nell'essenza include l'intera differenziazione, la quale si delinea nella esplicazione dell' «inizio»: ognuno dei tre momenti nella triade è, per se stesso, qualcosa di diversamente determinato, ma nello stesso tempo tutti i predicati di una realtà singola riguardano l'essere dell'intero. Presentato con l'esempio dello Spirito, questo significa: «Se si vuole sapere ciò che Dio è, il termine "Spirito" significa l'essere di Dio. "Dio" e "Spirito" indicano infatti l'essere. Che cos'è ora la vita? La stessa cosa che lo Spirito. Spirito e vita indicano infatti l'essere. In modo identico lo "Spirito Santo" indica l'essere, ed invero mediante la parola stessa, in unione al tratto che lo distingue rispetto ai primi due, i quali sono definiti solo con un nome. Questa distinzione di tipo sostanziale indica anch'essa l'essere. Ne risulta in modo chiaro che ognuno dei concetti indica l'essere, poiché ciascuno di essi esiste come sostanza. In questi tre lo Spirito è sostanza. Essi sono, quindi, consustanziali (coessenziali), dal momento che sono Spirito - e Spirito non separato da se stesso, essendo uno in tre» 53 • L'interna autodifferenziazione, o generazione, ed il suo nesso riflessivo volto all'«inizio» devono essere compresi come l'assoluta, in quanto atemporale, autocostituzione del Dio trinitario 54 • L'autodifferenziazione all'interno della autocostituzione dell'intero non «lacera» l'identità ( . .. neque scissa est ... ), ma la rende anzitutto un'identità riflessiva. La differenza che non ha una origine temporale ritorna direttamente all'identità (alteritas nata cito in identitatem revenit) 55 , tuttavia l'identità mantiene in sé la differenza quale suo elemento costitutivo. Entrambe sono l'intero come identità, che in sé nasce e ritorna. Il pensiero dell'auto-«generaziotrinitaria o della sintesi dell'unità con il suo stesso «altro», cfr. il lavoro, non ancora dato alle stampe, di F.A . Uehlein, Endliches und Unendliches /eh im Denken von S. T. Coleridge. SI !bi, I 54, 13 s. S2 !bi, I 54, l 4. 53 !bi, I 55, 5-16. 54 !bi, I 18 ss .: sese generare; pater ... suae ipsius substantiae generator; 57, 12: ipsa manifestatio sui, quae genera/io est et dicitur. s5 !bi, I 57, 20.
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ne» o autocostituzione della Trinità non implica quello del «Dio diveniente», dal momento che esso esclude da sé sia la possibilità, la quale non è essa stessa reale, ma è volta alla realtà, così come la finitezza e, quindi, la temporalità. II modello dell'autocostituzione assoluta non è dunque il processo da un prima ad un dopo che implica e lascia stare una differenza reale, al modo di una causa efficiens che pone se stessa e termina in un risultato differente da essa; il pensiero si riferis
Cfr. l'autocostituzionc trinitaria in Agostino ed in Cusano pp. 102 ss., 166 ss., 187 ss. L'incremento di questa concezione nel se ipsum creare di Dio come parola o ambito de lle idee (causae primordiales) in Scoto Eriugena, De div. nat., II 20, PL 122, col i. 683 A; 684 B. 10 Conf, XI 9. Il riferimento biblico: E br. l, 3: Portansque omnia verbo virtutis suae ( = Filius). Virtus Altissimi: Luc. l , 35. Chrisrus Dei virtus et Dei sapientia: I Cor. l, 24. Dal punto d i vista filosofico la potentia, o dynamis, è sempre pensata volta all'alienarsi, pendant di r.p6oòo;, cfr. ad es. lo stesso Uno come ovvOtf.ltç -:wv r.eÀe Ttanet), nel superamento di se stesso: rapis me, ut sim supra meipsum (25; 11 3 v 45; cfr. Ploti no Enn., VI 9, IO, 13 ss. e Il , 23 : il «vedere» non spaziale dell' Uno come Ekstasis). Questo «esser sopra sé nel vedere div ino» non coincide però con il superamento della propria indi- _ vidualità, o personali tà, piuttosto presuppone che l' uomo abbia scelto se stesso in li bertà (posuisti in liberiate mea ut sim, si voluero, meìipsius... ut ego eligam meìipsius esse... meiipsius, liber: 7; 102 r 27 ss.), ossia che in un atto libero di donazione si disponga al vedere di Dio. Lo stesso essere dell'uomo è dunque la condizione preli minare a che ancora Ptenzi se stesso nell' essere ed operare di Dio: s1s tu tuus, et ego ero tuus, l 02 r 27. (E ques to che Dio afferma come ipsa libertas [8; 102 v IO] rispetto all' uomo: una modificazione, caratteristica per Cusano della formula di Cassiodoro, De anima, 12; PL 70, 1308 A: tunc ero meus eu m juero tuus [i. e. de1]). Il potenziamento consiste nel fatt o che l'uomo che vede att raverso la visio intuitiva (De fil. dei, Op. I 52, 5) viene ricondotto al fon damento che rende possibile il suo vedere. Questa è per lui theosis in un duplice senso: diventare identico attraverso il vedere unificante. 92 H .J. Kramer ha presentato una proposta di interpretazione motivata con acribia: Grundfragen der aristotelischen Theologie, in: «Theologic und Philosophie» 44 (1969), pp. 363-382, 481 -505. In essa vengono portate avanti da Kriimer riflessioni dettagliate e, per la storia della questione, di gra nde significato, che, a partire dal concetto di spirito, permettono di collegare Aristotele a Ploti no e di porre,
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aristotelico non deve essere pensato come un fondam ento atemporale che pre-pensa il mondo, ma solo come un fondamento che muove quest'ultimo, ossia che garantisce il suo ordine, in quanto lo dirige, come fine, verso se stesso (xwd wç €.pwfH> vov) 93. Qui viene ad evidenziarsi in modo particolare una precisa differenza rispetto alla concezione di un Dio creatore. Lo sviluppo della concezione filosofica del Dio che pensa se stesso, attraverso la teologia cristiana, il cui interesse principale è rivolto alla fondazione del mondo in Dio , si fonda - come nel pensiero di Mario Vittorino o di Agostino - essenzialmente sul concetto neoplatonico di Spirito. Di conseguenza, questo è diventato determinante per la costellazione filosofica e teologica del problema, però, attraverso di esso, lo è diventato anche il pensiero aristotelico. Un tale stato di cose può essere spiegato, in modo relativamente adeguato , dando un profilo al rilievo storico di Cusano, almeno per il contesto contemporaneo. Nel co ncetto p!o[;niano di Spirito senza tempo e, quindi, assoluto la concezione aristotelica del «pensiero del pensiero>> si lega alla trasformazione del fondamentale concetto parmenideo dell'identità di essere e pensare e al tentativo platonico, ora sviluppato, di determinare l' «essere compiuto» (7t<XV"tc.Àwç ov)94 mediante un atto, ad esso immanente, del pensare. Questo essere dello Spirito è la molteplicità delle idee, che tramite la valenza antologica delle «categorie» di identità e differenza sono invero diverse l'una dall'altra quale ovvcifmç sempre proprie, ma si riferisco no l'una all'altra in modo tale che una cos a si mostri nell 'altra o ciò che è di volta in volta singolo specchi l'intero. La differenza è necessaria affinché il pensiero possa rendersi «opposto» in ciò che è da pensare; tuttavia essa viene contemporaneamente sintetizzata, mediante l'intenso nesso del singolo con l'altro e con l'i ntero , in una unità tramite il pensare o come il pens are; e di essa Plotino dice che è identità senza tempo, e quindi senza distanza, che «vive» attraverso il pensare, identità, dunque, nonostante o nella differenza. Lo Spirito che nel suo essere, nelle idee, pensa se stesso, è perciò, ad un tempo, attenzione alla teologia del logos: Der Ursprung der Geistmetaphysik, Amsterdam !964. Per la tradizione posteriore: R. Im bach, Deus est intelligere, Fribourg (Suisse) 1976. 93 Met., 1072 b 3. 94 Sof, 248 e 7 s.
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secondo la pura, irrelata unità dello stesso Uno , la forma più inte~sa di unità, forma che si costituisce attraverso la differenza nel modus dell'autoriflessione 95 • Se anche secondo Plotino non ci deve essere molteplicità nel fondamento, ma il suo essere, se o perché è, deve essere ridotto all'unità di volta in volta suprema, la comprensione rifless iva della prima alterità o molteplicità, dunque lo Spirito senza tempo, è nondimeno il presupposto filosofico del concetto cristiano di creazione. Ad esempio, nonostante il diverso procedimento conoscitivo dell'essere del mondo, determinato dalla teologia, le discussioni a più livelli di un Agostino non sono, in ogni caso, pensabili senza la concezione, approfondita in modo differenziato da Plotino e portata avanti da Porfirio, della «scuola» medioplatonica: Dio, e non primariamente un pensare temporale (~ux~, ò t6:vo to:), è il «luogo delle idee». A causa di questa trasformazione del concetto aristotelico di autoriflessione, Scoto Eriugena si avvicina moltissimo al pensiero cusaniano tanto per la mediazio ne storica come anche nella forma materiale del pensiero. In misura ancora maggiore rispetto ad Agostino, costui concepisce il creare di Dio in rap porto al vedere. Nella formulazione di questo pensiero da parte dell'Eriugena vengono dati anche gli elementi della concezione cusaniana di una visio absoluta: Dio crea in se stesso tutto, mentre lo vede in se stesso 96 • La produzione della parola, o della sapienza, coincide con la produzione delle «cause primordiali » (causae primordia!es). Essendo la parola o la sapienza del Padre, il Figlio deve, di conseguenza, essere pensato, egli stesso, come il luogo delle idee 97 • Ma questa processione nella parola e nell'idea è ad un tempo «vedere»; «vedere» è dunque l' esterno fondare ed essere delle cose in Dio 98 •
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E se ogni idea, che è un prototipo (prohorisma o prototyon)99 dell' essere del mondo, si costituisce nel «vedere» della ~apienza o della parola, allo stesso modo «Dio ~rea se ste~so» (deus igitur seipsum jecit) proprio nella processrone nelle rdee e nella sua parola 100 • Come è già stato accennato riguardo a cusano, questo non deve essere tuttavia inteso nel senso di un Dio che diviene solo nella storia, o tramite la propria storia, ma come auto-esplicazione senza tempo dell'essenza divina. Se il Padre è l' essere che crea, m a non viene creato, allora il Figlio è colui che crea e «viene creato», natura quae et creatur et creat 101 : il creare interno quale presupposto del creare il mondo , l' "ars Patris" 102 • Tanto il vedere interno, qua creare, come anche la determinazione di vedere e parlare, come sapere o concepire, hanno la loro analogia in Cusano. Il Figlio, la parola o la sapienza, viene infatti pensato da Eriugena come autocoscienza del Padre - ciò che è generato conosce se stesso e la sua origine - , o come il concetto del Padre, nel quale Dio concepisce se stesso come «intero», ossia trinitario 103 . Cusano ha sviluppato in modo conseguente questa fondamentale concezione di Eriugena, e in pari tempo ha intensificato l'aspetto neoplatonico e cristiano di questa, avendo operato una convincente sintesi, decisiva per la metafisica, del concet-· to di unità e trinità a partire dai nominati elementi filosofici ed avendola pensata in modo universale nella prospettiva dell'autoriflessione esistente: il «vedere», quale concetto di sè, viene ad essere la caratteristica, che penetra tutte le sue determina-
!bi, II 204, IO ss. !bi, III 17; 674 A. III 20; 683 A. I 64, 37. IO! !bi, I 36, 24. 102 Jbi, II 120, 30 ss .: pater opifex - ars sua, sapientia, la cui creazione de l «molteplice» si compie simul et seme/. Cfr. riguard o a Cusano, nota 83. 103 Intorno alla fondazione: W. Beierwaltes, Das Problem des absoluten Selbstbewusstseins bei Scotus Eriugena, in : Platonismus in der Philosophie des Mittelalters ("Wege der Forschung", 197). Darmstadt 1969, pp. 484-5 16, sop rat~utlo pp . 498 ss. Sul rapporto di Cusano con Eri ugcna, che tocca Il pensiero d1 entrambi nei punti nevralgici, ho pubblicato una ricerca speci fic a: W. Beierwaltes, Eriugena und Cusanus, in AA.VV., Eriugerw Redivivus. Zur fV_irkungsgeschichle seines Denkens in Mittelalter und im Ubergang zur Neuze1t. (Vortrage des V. Intemationalen Eriugena - Colloquiums, Werner-Reimers-Stiftung, 26-30 August 1985), herausgegeben von W. Beierwaltes, Heidelberg 1987, pp . 311-343.
99
100
95 Questo ab bozzo del problema è sviluppato nell'introduzione al mio commento Ploti no, Enn., III 7, Ober Ewigkeit und Zeit, 21 ss., 28 ss. Vedi anche
à
sopra pp. 58 ss. 96 De div. nat. , I 60, 20 s. (l. P. She!don-\:V illiams): ipse enim (videns) omnia quae suni in se ipso videt ... 32: videndo ila et currendo (th6ç da {)iw) fiunt omnia. 9 7 De div. nat. , II 204, IO ss. Pro!. in Joh. Ev ., VIII ; 238 , 15 ss. (É. Jeau neau): nihil extra ipsum est factum, quia ipse ambii intra se omnia, comprehendes omnia. 98 De div. nat., IV 9; PL 122, 778 D: ... sapientia creatrix, quod est Verbum Dei, omnia, quae in ea jacla sunt, priusquam fierent, vidit, ipsaque visio eorum, quae priusquam fierent, visa sunt, vera et incommutabilis aeternaque essentia est.; rrr 17; 673 c s.
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IDENTITÀ E DIFFERENZA
zioni, dell'essere assoluto. Questo è in sè visi o absoluta e, msieme, fondamento creativo.
b) «Visio absoluta» e concezione hegeliana di «Dio che pensa se medesimo» Punto di partenza oggettivo e storico delle mie rit1essioni intorno al concetto cusaniano di una visio abso!uta è stata la concezione, centrale per la teologia filosofica, secondo la quale Dio pensa se stesso. Hege! non ha propriamente conosciuto Cusano, tanto che un confronto diretto tra le due strutture concettuali risulta impossibile. Se il loro legame deve essere ugualmente posto in esame, allora la forma aristotelica della esplicitata concezione, o la sua trasformazione neoplatonica, può essere assunta, in modo realmente legittimo, come mediazione del pensiero cusaniano ed hegeliano. In esso comincerebbe ad essere evidente che l'oggettiva continuità di Hegel rispetto al tardo medioevo - proprio in base al concetto di spirito - è più forte e feconda di quanto suggeriscano da un punto di vista storicofilosofico gli «stivali delle sette leghe» propri di Hegel, che egli calza per superare il più presto possibile il «secondo periodo» della storia della filosofia. Senza passare sotto un silenzio livellante la concezione, sostanziale per la dialettica hegeliana, del giungere-a-se-stesso dell'assoluto, può essere ritenuto un intento aristotelico ed hegeliano il fatto di concepire il divino assoluto come un essere che pensa se stesso, che è in rapporto con se stesso nel concetto di sè; e ciò significa: come riflessione assoluta. Questo è venuto a chiarirsi già nella particolare discussione intorno al nesso di identità e differenza all'interno della prospettiva che da Cusano porta ad Hegel. A partire dal pensiero aristotelico e neoplatonico la tematizzazione dell'autoriflessione assoluta conduce conseguentemente al legame di Hegel con questi due momenti essenziali della storia che lo precede. Tra l'altro Hegel mostra di collegarsi al culmine della teologica aristotelica per il fatto che egli, al termine della sua Enciclopedia, cita, come testo greco senza ulteriore commento, quel passo della metafisica aristotelica 104 che 104
Met., 1072 b 18-30.
cUSANO
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ha a contenuto l'autopensare di Dio. Ciò che lega questo passo al te!os dell'evoluzione concettuale di Hegel non mi sembra tanto essere la «teoria piena di avidità» 105 , quanto Dio quale più intensa forma o realizzazione della theoria. Hegel considera come «momento capitale» della filosofia aristotelica il fatto che la «sostanza del pensato è il pensare», o che «l'atto del pensare e l'oggettivo pensato» sono «uno» 106 • Proprio per questa ragione il suo principio non è, nel senso di Hegel, un' «arida», «morta identità», ma «un'unità, che sia attività, movimento, repulsione, e nel differenziarsi sia a un tempo identica con sè» 107 • Se tale - conformemente all'interprezione hegeliana - è l'attività del Dio aristotelico, una t'hwp(o: assoluta che è totalmente connessa a se stessa, e quindi che trae ogni ente a sè e lo garantisce nel suo essere. Allora «in fondo - rispetto al concetto hegeliano di idea assoluta - il modo di vedere fondamentale è il medesimo». Allora anche Aristotele «non si esprime nello 105
M. Theunissen, Hegels Lehre vom absoluten Geist als theologisch-politischer Traktat, Berli n l 970, p. 326. Il passaggio da Cusano ad Hegel può apparire
un «salto» dal punto di vista dello sviluppo storico del problema. Se si volesse, almeno nella metafora del vedere, procedere oltre, allora si dovrebbe accanto a Marsilio Ficino (Plat. Theol., I 6 [vol. I 70 ed. Marcel], II 9; 101 e II IO; 104: oculus infinitus), Giordano Bruno (cfr. ad es. Spaccio de la bestia trionfante, in: Dia!. it., ed. Aquilecchia, p. 649: «occhio, che è la luce istessa, luce, che è l'occhio istesso»), Leibniz, Hegel (questi legittima la concezione centrale della sua filosofia della religione, «conoscere Dio come Spirito», citando, con l'aiuto di Baader, Meister Eckhart: «l'occhio col quale Dio mi vede è l'occhio col quale io lo vedo. Il mio occhio ed il suo fanno uno», cfr. sopra nota 2. Vorles. iib. d. Plzil. d. Re!., ed. Lasson, Leipzig 1925, I, p. 257 [trad. it. I p. 290]) e Schelling (VI, p. 198. VII, pp. 360 s. 363), porre attenzione in particolare a Jacob Bohme. Cfr. ad es.: Mysterium Magnum, c. l , 7 (VII 6. W .E. Peuckert): «Un occhio del vedere eterno». De signatura rerum, c. 3, 2 (VI l, 18): il «nulla» (di Dio), «questo è un occhio dell'eternità, un occhio senza fondamento». De incarnatione verbi, II. parte, c. l, 8 (IV 121): il non fondamento come occhio, il quale è il proprio specchio. Sex puncta theosophica, l, l, 9 ~IV 2, 4 s.): nel vedere di Dio è celata la natura; il vedere «appare dallo spirito», Il quale è suo occhio e specchio (ibi, 12, p. 5). Come sapere assoluto, attività che ritorna a quel sé nel qual e sono identici attività e prodotto, la trasformazione trascendentale dell'io è «la luce libera che si guarda come esistente» (J .G. Fichte, Darstellung der Wìssenschaftslehre [ 180 l], Werke II 31). 106 Vorlesungen iiber die Geschichte der Philosophie, Werke XIV (1842), p. 294. [tra d. it., II, p. 308]. 107 /bi, p. 295 [trad. it., II, p. 309]; Logik, II 27 [trad. it., II, p. 32]: «l'identità è la rit1essione in se stessa, che è questo solo come un respingere interno, e questo respingere è, come riflessione in sé, un respingere che immediatamente si riprende in sé». Riflessione come «identità davvero asso luta», ìbi, p. 169.
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stesso modo della filosofia odierna» 108 • Tutta via ciò in cui la filosofia ha «ora», ossia nella fase dell 'idealismo assoluto, la sua verità è l'idea quale pensare semplicemente identico a sè; dal suo essere altro l'identico del pensare ritorna a se stesso ed è, in questo , ciò che di più ricco v'è in sapere ed essere. Tramite tale ritorno, il più ricco è ad un tempo «il più concreto e il più soggettivo»: è ciò che ha mediato il proprio inizio, nel quale esso è già in sè l' assoluto, con se stesso riflessivamente verso la «pura personalità» 109 ; e questa, come dice l'ultimo paragrafo dell 'Enciclopedia, «si produce e gode se stessa eternamente come spirito assoluto» 11 0 • Uscendo dal concetto preliminare di un pensare costitutivo, Hegel però si distingue da Aristotele quando, parlando di costui, afferma: l'attività dell'accogliere «produce quello che appare come un venire accolto». Dunque egli vede in Aristotele l' «atto stesso del pensare», e non il pensato, come la cosa «più eccellente». Rispetto a ciò per Aristotele si tratta di determinare l'essere del principio primo, o della sostanza prima come pensare puro, ossia esclud ente ogni possibilità progettante e, perciò, connesso a se stesso, senza a vere l'intento di stabilire una conclusione puramente formale (ma certo necessaria) del «sistema». L'uguaglianza, o l'identità, di «pensato» e pensare stabilisce proprio la pura realtà del principio divino. Resta poi da considerare un elemento sostanzia le , che divide Ar istotele da Hegel e a motivo del quale la citazione dalla «teologia» di Aristotele, posta al termine dell'Enciclopedia, non può apparire una semplice identificazione di Hegel con Aristotele: nella misura in cui la fi losofia «enciclopedica» di Hegel, la quale concilia il punto finale con quello iniziale, deve essere intesa come processo di superamento del pensare finito nel sape re assoluto, proprio questo punto finale rimanda al fatto che nell'idealismo assoluto è riuscito al fin ito ciò che Aristotele era costretto ancora a separare (l 072 b 24-26), sebbene esso (dal punto di vista hegeliano) lo formulasse almeno come possibi li108 Gesc~ich te der Philosophie, pp. 294 s., 296 [trad. it. , pp . 308 s., 310] . A questo cornsponde - ancora adesso - l'osservazio ne di C.L. 1v1ichelct secondo la quale 1-Iegel è stato colui che ha «i n una certa misura riscopcrto la pro fond ità speculativa di Aristotele» (Das System der Philosophie, III , Berlin 1878, p. 666). 109 Logik, II , p . 502 [trae!. it., III, pp. 37 1-372]. 110 Enzyklopadie, § 577; 463, 14 s. [trae!. it. di B. Croce: Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Bari !97 33 , II, p . 529) .
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tà del dispiegarsi storico del pensare. In quanto a cw Hegel rappresenta il compimento che trasforma Aristotele e non un semplice ritorno a lui. Il concetto aristotelico di Dio implica un'unità di essere e pensare come vita: r1 yò:p voli ivtp;Eto: ~vYi}, o nella traduzione di Hegel: «l'attività del pensiero è vita. Ma egli (sci!. Dio) è l'attività; l'attività volgentesi su se stessa ( = attività in sè) è la sua più eccellente ed eterna vit a» 111 • In questo punto l'autocomprensione di Hegel s'incontra talmente con una interpretazione, oggettivamente appropriata, del suo pensiero che il suo proprio concetto di idea può essere inteso come il compimento e l'esplicazione moderna del pensiero centrale della teologica aristotelica che identifica essere, o unità, o riflessione, o pensare, e vivere. Senza nominare lo stesso Aristotele , benché di fatt o a lui simpateticamente unito , tranne che in una diversa coscienza storica, Hegel formula l'i ntento della sua «logica» rispetto all 'idea assoluta: «essendo il concetto razionale» , questa sola «è essere, vita che non passa, verità di sè conscia, ed è tutta la verità» 112 • La convergenza di Hegel con l'affermazione aristotelica, secondo cui «la realtà dello spirito è vita» , consiste principalmente nel fatto che in lui non solo Io spirito viene pensato come vita, ma anche la vita, nella sua intensità suprema, come spirito. Ciò ha anche una analogia nel pensiero platonico, secondo il quale la vita dell ' anima culmina, quale originario movimento di sè, nella capacità del pensare ed ha la sua immortalità proprio dall'un ione con il mondo dell'idee, unione che si documenta nel pensare. Con questo non si deve privilegiare l'idea che l' autoriflessione del principio sia, come vita, soltanto una proiezione della dimensione fisica. Se si considera che questa fo ndamentale concezione aristotelica si sviluppa produttivamente, anche secondo Hegel 113 , nel concetto neoplatonico di spirito, allora, prop ri o a ragione del legame di Hegel con la prima e con la tarda metafisica greca, la concezione cristiana della rifl essione assoluta, della visio ab~ yàp 'JOG ivipym,; ~w~, hélvoç o~ ~ t•;ip'(&\0'. " i vÉpj"E\0'. Ot ixeivou ~')'t'l]p, in realtà solo recettivo (Ù7toooxf)). Plotino, III 6, 19, l ss.; 18: f.lirtTiP invero, e tuttavia: o:lol.v rò:p <XU'tT) r•vv~. Al cont rario Bruno: generatore, fertile, partoriente: C. , 60, 40; 102, 34 e 103, 21. 62 Sulla concezione neoplatonica della materia come egestas, inopia, paupertas (evowx, 1wAo:) rispetto alla «ricchezza», alla «pienezza» e al «puro essere» dell'intelligibile, cfr. W. Theiler, Forschungen zum Neuplatonismus, Berlin 1966, p. 192. 63 C., 95, 20 ss . [141, 2 ss.]. V., 695, 25-27: eiusmodi est materia per universum, extra quam nulla est forma, in cuius potentia, appetitu et dispositione omnes suni jormae. 64 Cfr. nota 63. 65C., 41,4 s. 66 v.' 696, 2. 67 C., 68, 4; IlO, 14: e continenza di tutta la materia.
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senz'altro «qualcosa di divino» (divinum quoddamY'8 • Nel terzo dialogo del De la causa tale tratto fondamenta le diventa particolarmente manifesto nel significativo capovolgimento del pensiero che prende le mosse dalla esplicazione del concetto di universo e del principio «supremo». Questo viene inteso in un senso attivo come potestà assoluta, dunque anche come essere per eccellenza, che dice di sé: «io sono colui che sono». Ma ciò è «assoluta realtà» («atto assolutissimo») 69 • L'unità del principio consiste proprio nella coincidenza di questi due aspetti: la sua facoltà assoluta è la sua realià assoluta, possest. A questa concezione segue l'affermazione decisiva per il concetto di materia: «se vi piace chiamarla ragione di materia, che non hanno penetrato i filosofi volgari, la possete senza detraere alla divinità trattar più altamente, che Platone nella sua Politica, et il Timeo» 70 • A partire da ciò viene almeno consolidato il concetto dell'attività della materia. La sua autooriginaria attività ha se stessa come ambito d'azione (unità di posse jacere e posse fieri) e in essa o fuori di essa la forma non può essere incontrata isolata; entrambe sono piuttosto momenti diversi di un unico ed identico essere. Questo unico essere è unità di momento «corporeo» e momento «spirituale» 71 • E viene a manifestarsi anche la loro determinatezza a causa del principio divino, non tuttavia un'identità con esso, come viene in un certo modo indicata da Davide da Dinant. Quell'essere che da questa unità di sostanza spirituale e corporea fa procedere nuove, o altre forme, dunque l'activa potentia della materia, è spirito: virtus mira quae praedita mente est 72 • Un tale spirito, o elemento che forma ed opera nella materia, è, nella sua caratteristica fondamentale, difficilmente separabile dall'anima del mondo: al modo di questa, esso è descritto come «arte vivente» (ars vivens), che dalla materia 68
V., 695, 29 e 696, 13. C., 61, 16; 103, 12: principio necessario eterno e divino. 92, 4; 137, 18: cosa divina. 69 C., 70, 17 s.; 113, 5: potestà assoluta; 16: «atto assoluto» come «absolutissima potenza». 7oc., 71, 13 ss.; 114, 7 ss. 71 C., 72, 25 ss.; 115 , 16-1 8: sustanza spirituale e corporale: .. .l'una e l'altra se riduca ad uno essere, et una radice. n !m., 312 (OL I 2).
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o iORDA O DRUNO
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ad essa propria dispiega ciò che essa stessa contiene di non dispiegato 73 • In questo consiste la sua fecondità razionale 0 intelligibile. Dal punto di vista della questione della materia l'anima del mondo, o lo spiritus mundi, appare, dunque, act un tempo come l'elemento spirituale e, mediante lo spirito, come l'elemento produttivo della materia, il suo centrum esistente ed operante. La concezione di una materia dinamico-produttiva, la cui attività è spirito formante ed al cui essere spetta una dignità divina, ha anche conseguenze per il concetto di natura. Questa non può essere intesa né come l'essere della realtà sensibile nel suo complesso, o come l'unità dell'intera processualità, né come l'ambito di rappresentazione di uno spirito il cui essere in sé è la sua immagine originaria, distinguibile chiaramente da essa. In seguito alla determinazione bruniana dell'universo, della materia e dell'anima del mondo, la natura può con difficoltà essere rappresentata come realtà indipendente. Essa appare più simile che sinonima dei predetti. L'inesattezza di questo enunciato dipende dal fatto che mediante la trasformazione del contenuto di questi co ncetti è stato perturbato anche il loro accordo in sommo grado differenziato nei nessi reciproci. Completamente teso ad una dinamicizzazione della materia tramite lo spirito fondante, Bruno concepisce, di conseguenza, la natura come una «forza nelle cose» (virtus insita rebus), come il loro facitore interno (jabrejactor)' 4 • O anche: la materia, in quanto «ottima parente, genetrice e madre», è nella sostanza la natura intera («la natura tutta in su stanza») 75 • La predicazione, secondo cui la natura è vis, actus, ratio, verbum, vox, ordo, voluntas 16 , rimanda all'origine di questa alienazione; origine che si realizza e si dispiega in essa o come essa. La natura è, cioè, lo strumento, o la «mano», di Dio 77 • Non è dunque solo della materia essere «una realtà divina», ma anche della natura: divina potestas, che «trascina» o muo-
ve formando la stessa materia, una forza divina, che si manifesta determinante e creatrice nelle cose, invero Dio stesso, la cui «parola» penetra le «parti» della natura: natura enim aut est Deus ipse, aut divina virtus in rebus ipsis manifestata. Questo può, a ragione, essere inteso come una anticipazione materiale del concetto spinoziano di una natura naturans che è Dio 78 • Un a tale concezione di natura è essenzialmente diversa da quella di Platino, sebbene costui, come nessun altro prima di lui, comprenda la natura come attività pensante: la sua 7tp&çtç è la sua ~e.wpCa, e viceversa 79 • La conoscenza speculativa della natura è in un modo tale direttamente produttiva da rendere il mondo - certo in modo diverso rispetto a se stessa - specchio dell'intelligibile. La sua prassi teoretica riallaccia continuamente il creato ai logoi, al nous e quindi allo stesso Uno che è senza fondamento ed è fondamento di altro; ambiti che, nonostante l'immanenza, sono per la loro essenza trascendenti tanto rispetto alla natura quanto ai logoi.
Ibidem. LTS., 49, 14 ss.: spiritus vivificans come art((ex, qui non circa materiam, sed intra omnem materiam et naturam operatur; 50, 28: spiritus universalis seu anima mundi. 74 !m., 310, 3I2 (OL I 2) .
tu ttavia in opposizione a quei testi citati nelle note 94 ss. che hanno visto la luce nella stessa epoca (1591). Una simile d iscrepanza mi semb ra essere risolta dal contesto, il quale è diretto in modo del tutto pronunciato verso l'operare eli Dio immanente alla natura ed alla materia. 79 Plotino, Enn., III 8, 6, 10. so C. , 97 , 1 s.; 142, 3. 81 C., 142, II Aq.
i3
75
C., 92, 6; 137, 18-20. 234 (OLI!) .
16Jm. , 7ì
Manus cunctipotentis: STM., 101.
5. L 'Uno come principio divino che è in sé e come attività unificatrice dell'universo «È dunque l'universo uno, infinito, immobile» 80 • Questi ed altri predicati dell'universo, in particolare l'essere quasi eterno, senza parti, vale a dire invisibile, o l'essere in sé indistinto e l'ab bracciare «tutto lo essere» 81 , appaiono riducibili all'«Uno», o all'«in sé unico» e all'«infinito». Ciò non significa che i restanti predicati fossero tautologie superflue, anzi espiiIm. , 193 (OL I 2); STM., 101; Spaccio, dia/. III (Dia/. ìt. , 776): nmura est deus in rebus. Sull'argomento in generale, cfr. H. Védrinc, La conception de la nature chez Giordano Bruno, P aris l 967. Ancor più lontano giunge evidentemente allorché «precorre» Spinoza in !m., 312 (OL I 2): Deum esse infinitum in infinito. ubique in omnibus, non supra, non extra, sed praesentissimum (sulla poesia : Ergo age, comprendas ubi sit Natura Deusque). Questa espressione sta
78
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IDENTITÀ E DIFFERENZA
citano i predetti predicati fondamentali e così, nonostante abbiano un unico punto di convergenza, mettono in evidenza la differenziazione interna del pensiero. Bruno chiarisce il modo in cui l'universo è unità: esso accoglie in sè la cosa singola e quindi anche l'ente diverso, ma in pari tempo annulla la sua potenziale e implicita esclusività: nell'universo vi è (anche) ciò che si oppone reciprocamente. L'Uno «è "concorde"» o «coincide» (co inciden[z]ia) 82 con l 'altro. P er dirla nella dimensione dell' universo: esso è l'i ntero, o il tutto, senza distinzione («indifferentemente») 83 , cioè è in ogni cosa il fondamento che conduce all'unità dell'intero. Questo tutto «senza distinzione» deve essere indizio non certo del caos, ma dell'essere disposto della cosa singola ad una perfetta unità. «Tutto è in tutto», tuttavia non in modo tale che ciò che è proprio di ogni ente sia totalmente superato : «non totalmente et omnimodamente in ciascuno» 84 • Ciò è pur sempre analogo a quell'affermazione di P roclo sulla struttura del Nous che pone attenzione alla differenza e per la quale tutto (vale a dire tutto l'intelligibile) è, in esso, in tutto, e tuttavia in modo sempre particolare 85 • La forma completa della concezione di coincidenza diviene evidente nella caratterizzazione dell' universo come unità condizionata, non assoluta, di possibilità (facoltà, potenza) e realtà: esso è tutto ciò che può essere 86 • Questo significa anche l'unità di tutto lo spazio e di tutto il tempo: all'esterno dell'universo non v'è nessuno dei due. L'universo è un essere et erno, che si mantiene intero e al quale la cosa singola, mossa dal tempo e caduca, appare s2 C. , 11 4, 4. 114, 27. 142, 22. 155, 26. 159, IO Aq. (coincidenza come indice di infinità). E., 1130; I, 153 ss. 83 C., 143, IO Aq.
C., 101, 2 s.; 146, 13 ss. La form ulazione c la concezione di omnia in amnibus deriva da Anassagora (cfr. la nota di Aquilecchia a C., 77, 5-7), ma non rimane confinata alla sua interpretazione, anzi accenna alla permanente problematica di Bruno: F.A. Yates, Giordano Bruno, cit. p. 248. Si deve certo considerare anche che in questo il significato teologico di l Cor. 15, 28, ut deus sit omnia in omnibus, è penetrato nel concetto cosmologico di unità. Cfr. a questo proposito p. 214 sopra. 85 Proclo, Elem. theol. , 103; 92, 13 (Dodds); Tim., I 423, 13 s.; Plorino, Enn., v 8, 4, 4-11. 86 C., 99, 18 ss. Essere immagine come condizione: C., 68, I ss. (11 0, 11 $S.]. Cfr. inol tre 72, 5. 84
GJORD;\NO BRUNO
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. ·eme come accidente 8ì . Mediante il movimento fondamentaInsr · c ·rpt~ · ) e .d el :lto~no · le della processione dell'~no \co~e pnn ad 0 l'unità dell'intero e costrtmta come umtà m se ammata, ess ' tutto «Concorre» 88 m · essa, e' - p~r d'rr la c?n Sch e11·m~ attiva: _una universio in sé mossa. La struttura mterna dr questa umtà ha la sua metafora nelle immagini di scala natu~ae. e di .catena aurea 89 , le quali rappresentano, da una parte, 1 drversr gradi di intensità, determinati dal rispettivo grado di unità, dall'altra la coesione causale dei singoli ambiti ed accadimenti. Nel concetto di universo, come unità perfetta di opposti in sé congiunti e come unità condizionata da possibilità e realtà, divenaono operanti i concetti basilari di Cusano: coincidentia opposftorum e possest. Entrambi cercano esclusivamente di comprendere e di delineare in modo enigmatico l'essere assol uto di Dio90. Se Dio in quanto luogo dell'intersecarsi degli opposti, in quanto superamento esistente di essi o in quanto pura unità, è senza opposti e, quindi , al di sopra di essi, se, in quanto unità di possibilità e realtà, è pura realtà (poter-essere), nella quale niente più è mancante, e tutto ciò che diviene possibile «una volta» mediante creatio è la sua realtà, ossia realtà di Dio, allora l'essere di Dio, in tal modo concepito, deve essere inteso in stretta distinzione dall'essere dell'universo o del mondo. Sebbene nell'universo ogni ente sia da considerare funzionale ad ogni altro ente e proprio il reciproco nesso (q uodlibet in quolibet) 91 costituisca l'unità relativa dell'intero, esso non deve essere, tuttavia, caratterizzato, quale ambito della realtà finita e limitata, in modo coincidente, ma in modo assolutamente comparativo e proporzionale. Contrariamente al maximum e minimum ed al loro intersecarsi, ogni ente è insieme excedens ed excessum, di volta in volta più grande o più piccolo rispetto ad un altro (e ciò non riguarda solo la quantità, ma soprattutto l'intensità d'essere). Ogni cosa singola non è ciò che le è possibile essere, --------------------------------------------7 8
C., 103, 30. A., 96 ss. Bruno fa uso continuo del Parmenide per la sua concezione di unità, sebbene questo non sia compatibile con il concetto bruniano di infinito (sui «limiti » dell'essere: Fr. B 8, 42 ss.). 88 C., 101, 37; 147, 12. Concurrunt: !m., 310 (OLI 1). U., 22 s. 45: cum vero ref!uunt uniuntur usque ad ipsam unitatem quae unitatum omnium jons est. 89 Cfr. C., 86, 11 ss.; 131,20 ss. U., 28. 90 Vedi a tal riguardo, pp . 150 ss. e 161 ss . 91 D. i., II 5.
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!DENTIT À E DIFFERENZA
vale a dire: è determinata dalla variabilità temporale e spazia~ le, è finitezza in genere. La differenza, alla quale s'é precedentemente accennato, del principio divino rispetto all'ambito del finito e del limitato (jinitum) non significa certo l'esclusione di Dio dal mondo: il suo essere-in nel mondo tramite una alienazione creativa costituisce proprio l'essenza di ogni singolo ente. Il mondo è la sua esplicazione. Il modello complicatio~ explicatio potrebbe chiarire l'essere-in causante e l'essere-sopra, ad un tempo, di Dio: Dio è tanto complicativo come anche esplicativo di tutto, tuttavia in modo sempre diverso. Come ciò che racchiude, in sè tutto l'ente «da esplicare» (il mondo, l'universo) è solo se stesso; al di fuori di lui, cioè come esso stesso, l'ente è solo mediante l'operare di questo. Dunque, egli è, come suo fondamento, in esso, e non come egli stesso. La descrizione di Bruno dell'universo con i concetti di coincidentia e possest solleva la domanda riguardo a ciò che distingue e ciò che unisce le due concezioni, e con essa un'altra che si chiede se e in quale misura Bruno abbia proseguito oppure portato mutamenti alla forma originaria della metafisica. I predicati cusaniani di Dio non vengono dal pensiero di Bruno applicati in modo diretto all'universo, così che questo sia tutto ciò che in passato «era» proprio di Dio. Il verdetto o l'affermazione perentoria di un panteismo bruniano sarebbe illimitatamente legittima se Bruno sostenesse di fatto un'identità indifferenziata di mondo e Dio, fondamento e fondato . Certo alcune affermazioni del De la causa e del De l'infinito favoriscono un'interpretazione di questo tipo. Essa sembra sostenere in particolare la tesi che l'universo e i mondi, o il mondo, siano nel complesso infiniti poiché solo una causa infinita ( = il Dio infinito) può porre un effetto infinito 92 • Se «infinito» fosse univocamente usato per Dio e per il mondo, il mondo dovrebbe essere inteso come un raddoppiamento o un'autoesplicazione totale di Dio. Ciò viene però contraddetto dalla comprensione bruniana del modello comp!icatio-exp!icatio in rapporto al concetto di infinito, dal suo insi stere sulla trascendenza di Dio, nonostante l'immanenza, e dalla sua caratterizzazione dell'universo come immagine, ombra o specchio dell'immagine originaria. Tali affermazioni non possono esse92
Cfr. ad es.: l., 43 ss. e 337 s.; lm., 294 (OL I 12).
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re trascurate - come semplici façons de parler - ad esclusivo favore della solita etichetta di panteismo 93 • Bruno concepisce l'«uno summo ente» come una cosa infinita, e in un duplice senso: «l'uno ente summo, nel quale è indifferente l'atto dalla potenza, il quale può essere tutto assolutamente ed è tutto quello che può essere, è complicatamente uno, immenso, infinito, che comprende tutto lo essere ed è esplicatamen te in questi' corpi sensibili e in la distinta potenza e atto che veggiamo in essi» 94 • Alla infinità complicativa, o intensiva, corrisponderebbe cusanamente l'infinità «negativa», o vera, di Dio (injinitas abso!uta), alla infinità esplicativa, o estensiva, l'infinità «privativa» , «Cattiva» (infinitas finita o confl·acta) del mondo, pensabile solo a partire dalla vera. Questo parallelo con Cusano, che appare legittimo dal punto di vista dell'affermazione citata, deve essere, tuttavia, modificato: l'universo, nella prospettiva di Bruno, non è, come potrebbero suggerire alcune espressioni, un infinito puro, in sé comprensibilile, ma un infinito determinato in modo assoluto dalla differenza. L'universo è tanto poco pura e assoluta coincidentia oppositorum quanto puro e assoluto possest: ciò che nel principio è pura unità («complicato, unito e uno indifferentemente») è nell'universo unità dalla molteplicità e nonostante la molteplicità. O anche: l'infinità di Dio è l'infinito «co mplicativamente» e «totalmente», al contrario l'universo è infinito «tutto nel tutto» «esplicatamente e non totalmente», è una totalità analoga a quella assoluta 95 • Certamente l'affermazione che l'universo è unità di possibilità e realtà e, quindi, tutto ciò che può essere (quale «continenza di tutta la materia»), non deve essere semplicemente superata. Le differenze, i modi, le proprietà e le individualità nell'universo lo rendono un «estensivo» possest, un'ombra allungata dell'unità. Esso è pure un 93
La formulazione dell 'essere assoluto («superessentiale») è intesa da Hegel proprio come rimando all'affinità con il pensiero neoplatonico («ùotepo\lotcc in Procio» , Vorlesungen iiber die Geschichte der Philosophie, Jubilaumsausgabe, XIX p. 238 [trad. it., III / l, p. 328)). Le incornprensioni di Bruno nella linea d'una «totale emancipazione dalla metafisica» sono diversamente comprensibili anche oggi per il fatto che gli scritti latini non sono stati in modo su fficiente «oggetto di uno studio serio» (così già H. Steffens, Uber das Leben des Jordanus Brunus, Nachgelassene Schriften, Berlin 1846, p. 75). 94 C. , 105, 9 ss.; 150, 23 ss. !., 381 s. e 388 s. («infinità intensiva ed estensiva») . 95 l .' 381.
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IDENTITÀ E DIFFERENZA
«grande simulacro», una «grande immagine» dell'«altezza
del~
l'archetipo» • Ciò non corrisponde però ad una radicale im~ manentizzazione del divino e ad una (solo da questo condizionata) divinizzazione totale del mondo; Bruno non distrugge, di conseguenza, il concetto della trascendenza del principio, sebbene le riflessioni sullo spirito del mondo, sull' anima del mondo e sul loro nesso con la materia sembrino indicare questa direzione. Nella Summa terminorum metaphysicorum Bruno concepisce, e persino con una termi nologia classicamente metafisica (in prevalenza di stampo neoplatonico), Dio come l'atto più semplice, che si aliena nel tempo come una forma della differenza. Dio, come Uno, è la stessa «grandezza» incommensurabilmente al di sopra di tutto il genus più grande o del genus della cosa più grande. In lui è superata la differenza, attiva nell' ente, di essere ed essenza. Dio viene, invero, pensato in tutto e tutto in Dio, e tuttavia non in modo identico . In tal modo la differenza di comprendente e compreso, di fondamento e fondato viene mantenuta: Dio è immediate in tutto , ossia da se stesso; e questa proposizione non può essere invertita n. II Deo nihil est oppositum di Bruno non corrisponde solo verbalmente alla proposizione di Cusano che pone in rilievo la differenza di Dio. Infatti afferma Bruno: 96
Illi nihil est contrarium, sed omnia contraria illi sunt subiecta ex contrariis omnia jacienti 98 • Ed anche la concezione, tipica di Cusano e della tradizione neoplatonica, per la quale l'Uno, o Dio, è tutto (in quanto fon damento) e nulla ad un tempo (in quanto irriducibile a qualcosa di determinato e solo così fondamento, in sé senza fondamento, di tutto) rimane centrale per Bruno: est enim omnia in omnibus, quia dat esse amni-
bus: et est nullum omnium, quia est super omnia, singula et
96 C., 67, 36 ss.; 110, 9 ss. 104, 12; 149, 27. lm ., 239 s. (OLI 1): magnum simu!acrum (dei immensi), vestigium. 241: specu!um. 97 STM., 81, 22-25: sed Deum intelligamus in omnibus et omnia in Deo non eodem modo; Deus in omnibus tanquam continens, in Deo tanquam contenta ab eo, sicque Deus in omnibus immediate, in Deo omnia non immediate. 83, 5 ss.: licet habeat dijferentiam ab omnibus, non tamen ita d(ffert ab omnibus, sieu t singula a singulis ... creatum vero et creator differunt plus qua m genere ... 97, 25 s. Perciò anche la parteci pazione del singolo al princi pio divino è differente in modo assolu to: STM., 89, 24 ss.; 90, 21 ss. 98 STM., 83, 19 s.
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universa essentia et nobilitate et virtute praetergrediens 99 • Ciò che è, è solo per lui e in lui, perché egli solo - in una interpretazione metafisica di Esodo 3, 14 ego sum qui sum - può essere inteso come I' essere stesso (esse ipsum, qui est o quod est)i 00 • Anche se modificato, il mantenimento della concezione della trascendenza permette che abbia ancora senso il discorso intorno al principio creatore, implicando esso la differenza di atto e risultato. II creare del principio è, anch'esso, un atto atemporale, che pone nell'attimo dell'eternità e dall'attimo dell 'eternità (ab instanti aeternitatis) 101 infinite successioni (vicissitudines); un susseguirsi, che, tuttavia, non emerge come tale, ma è esso stesso, ossia infinito temporale e spaziale, solo «quando» è prodotto da sé: haec a se ipso producens - immutabiliter jacit mutabilia, aeterne temporalia 102 • In vero il concetto bruniano di creazione respinge la concezione di una creatio ex nihilo, e supera l' ipotesi di una fine del mondo che porterebbe con sé un giudizio di esso 103 • Non ne segue, tuttavia, la li mitazione dell 'atto che determina, delimita e costitu isce la form a mediante la creatio. II principio di vino è pensato, piuttosto, in un'unità riflessiva come fons idearum e mundus ideatus ad un tempo 104 , come il supremo modo del pensare, nel quale l'atto di questo è identico a ciò che è da pensare, al «concetto» dell'universo 105 • Questa concezione appare comprensibile nella prospettiva del concetto cusaniano di «concetto assolu-
99 !bi, 86, 13 ss .; 97, 19: super omnem ordinem ( = «taxis» come «gradm>), super omnem seriem, omnis seriei et ordinis auctor. TMM., 146, 13: et simu/ in cunctis totum manet et super ipsa; 7 s.: pariterque movetur l Et stat; nam simu/ it rediens, rediitque quiescens. 100 STM., 86, 18-21. 101 !bi, 93, 12. Cfr. note 30 e 114. Che il concetto di creatio implichi tout court quello di differenza viene ad es. chiarito da E., 1097: il principio divino parteci-
pa la sua pienezza di essere «all'universo infinito e agli innumerevoli mondi in esso»; 11 25: dalla Monas divina, la quale è «la vera essenza di tutto l'essere», procede «la natura, l'universo, il mondo»: come similitudine, immagine, specchio o ombra della «luce assoluta». 102 !bi, 93, 22 e 19 s. 103 CC., 155. 104 S., 164, 27 ss. IOS C., 108, 29 ss.; 154, 9 ss. STM., 113, Il ss. 116, 24 ss. 79, 2 s.: sibi soli
notus.
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IDENT ITÀ E DIFFERENZA
to » (il «conceptus absolutus» che è identico al VERBUM quale ideale «mundus per se subsistens») a partire dalla tradizione neoplatonica del pensare 106 • Da quest'unica autoriflessione, conforme alla volontà divina, vengono alla luce molteplici unità, ed esse hanno, ad un tempo, questa come fin e del loro ritorno, che ristabilisce l'unità dell'intero dalla molteplicità 107 • La dialettica dell 'essere e dell'operare trascendente ed insieme immanente del principio divino mantiene intenzionalmente l'inclinazione di un ciclo di descensus ad ascensus. Se, analogamente al concetto neoplatonico dell'Uno e al concetto cusaniano di Dio, questo principio divino è insieme tutto e nulla, «ovunque» e «in nessun luogo» (come esso stesso), «interno a tut.t o e, tuttavia , non incluso in esso, esterno a tutto e, tuttavia, non escluso da esso» 108 , se inoltre, nonostante ogni nesso del finito con l'infinito, «non c'è - come per Cusano - una proporzionalità (ossia la possibilità di paragone) tra il finito e l 'infinito ( = assoluto)» 109 , allora si può, a ra-
Su questa sfera di problemi in Cusano: pp . 188 ss ., 193 s. , 205. U., 23 s. e 49. C ., l 06, l ss. l 08 , 33 ss . (scend ere e salire: 1tp6oooç . ~1t\· cr-;poq>~). TMM., 187, 2 1 ss. 108 TMM., 147, 5 ss .: (Deus) ubique et nusquam, infra omnia fundans, super 106
!Oi
omnia gubernans, intra omnia non inclusus, extra omnia non exclusus ... in quo sunt omnia, et qui in nullo .. . est ipse. Redatto dopo il De la Causa, questo testo, che precisa il rapporto tra trascendenza ed immanenza, è già stato st ampato da Brucker in una raccolta di passi relativamente ampia : Ilistoria Critica Philosophiae, Leipzig 1744, tom. IV 2, 44, T ext XXXI - con tro il pia tto livellamen to eli Dio al mondo . STM., 98, 28 ss. Sulla storia del pro blema inerente a questa dialettica: W. Beierwaltes, Platonisnzus und Idealismus, Frankfu rt 1972, p. 62 [trad. it., p. 7 1] e sopra pp. 55 s. Al fi ne d 'una comprensione adeguata del pensiero bruniano importa far «esistere» come tale l'am biva lenza paradossale della dialettica di trascendenza cd immanenza , n Ila quale ad enunciati pii1 immanentistici stanno di fronte enuncia!Ì esattamente trascendenti. Un accecamento degli enunciati di trascenden9. Il concetto fo n damentale di Hegel che l'essere , nel suo complesso, sia determinato dall a ragione, o che il pensare rìfletta, nello spiegarsi dei suoi momenti, se stesso come essere che si compie, o che l'idea stessa sia il movimento dialettico della 36 Riguardo alla cosiddetta scissione soggetto-oggetto ed al suo su perarnento si deve mettere a confronto in modo particolare il System des transzendenta/en ldealismus (1800). 37 B., 203 [trad . it., p. 1211. 38 B., 302 , 323 [trad . it., pp. 120, 1451. 39 A questo proposito W . Beierwaltes, P/atonismus und l dealismus, pp . 71 s. [trad. il., pp. 81 s.].
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cosa: ebbene, questa concezione ha, a ncor prima della sua elaborazione nella Grande Logica (1812- 16) , il suo p endant nel sistema schellinghiano del 1804. Però questo testo non poteva essere direttamente noto ad Hegel, poiché venne pubblicato solo nell'Opus postumum del 1859. Jl fi ne della filo sofia consiste, secondo Schelling, nel superare la fin itezza della soggettività umana. La conoscenza appare ad essa raggiungibile solo allorché il soggetto distingue da sè un oggetto. Se la finitezza della soggettività deve essere vinta dal filosofare , allora è necessario che venga superata la differenza di soggetto ed oggetto , essendo questa un prodotto proprio della soggettività . La sintesi degli opposti è dunque, anche in questo contesto concettuale, il principale intendimento del filosofare schellinghiano . Il superamento sintetizzante della differenza di soggetto ed oggetto ripristina l' uguaglianza di entrambi. La modalità con cui si esprime questa uguaglianza è identica a quella della soggettività finita : la conoscenza; ma, ora, una conoscenza tale che «in essa ogni eterna uguaglianza conosce se stessa» 40 • In questo tipo di conoscenza, che Schelling concepisce come «ragione», cessa, con ciO, ogni soggettività 41 ' e cioè - riguardo ad essa stessa si può dire anche così: qu est a conoscenza è proprio la forma suprema di soggettività, poiché sintetizza in sé la propria oggettività, la possiede in modo inseparabile da essa , per se stessa. In una forma tale di conoscenza di sè della ragione, l' «identico» conosce «l' identico» e così, rispetto ad un'opposizione determinante di soggettività ed oggettività, è esclusione assoluta della differenza. Questa escl usione caratterizza il conoscere che procede in modo assoluto e la cui «legge fondamenta le» è quella dì identità: autoconoscersi dell' eterna uguaglianza 42 • Q uesta asso luta identità viene semanticamente rapp resentata dalla formula A= A. Il soggetto è il predicato, ed entramb i sono superati l'uno nell 'altro - in sé diversi, tuttavia un unico atto. Schelling, come già è stato accennato, definisce il compimento di questo conoscere, che è in quanto assoluto un autoconoscersi dell 'assoluto, affermare. L' «è» nella proposizione A= A 40
Werke, VI 141. !bi, 142. 42 !bi, 145. 41
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signi!ica, quindi, «A afferma A». Se il soggetto afferma il predicato A, allora A afferma se stesso, o esprime se stesso nel conoscere. «Ciò che come tale afferma se stesso, è solo l'assoluto o Dio» 43• Secondo Schelling, l'unica vera idea di Dio è, perciò, Dio quale «affermazione assoluta di se stesso» o assoluta autoaffermazione, che è, ad un tempo, autoconoscenza44. Concetto - come concetto di sé - ed essere si uniscono in esso in assoluta identità. Dalla sintesi assoluta, dall'assoluta autoaffermazione, consegue, per Schelling, che Dio non è l'altissimo ma «l'Uno per eccellenza» 45 , dunque non semplicemente, pensato in modo superlativo, l' ultimo membro di una serie, ma il centro che riunisce in sé tutto l'essere e perciò, lo pensa. In senso vero e proprio non può, così, «na~ scere» da lui alcun mondo, nella misura in cui egli è, in quanto autoaffermazione assoluta, tutto (dunque anche il mondo). Oppure: l'autoaffermazione di Dio è nello stesso tempo affermazione del «tutto» 46. Proprio per il fatto che da questo atto sintetizzante dell'autoconoscersi è escluso un prima ed un poi, e così l'intera temporalità47; per questo ciò che viene affermato non è un prodotto dell'affermare o di colui che afferma. L'assoluta uguaglianza di affermante ed affermato implica che colui che afferma sia anche «affermato», ma implica pure che ciò che viene affermato sia anche e allo stesso modo «affermante». Entrambi gli aspetti del conoscere hanno sempre già in sé l'altro, sono questo aspetto sempre a partire dall' «altro». Sebbene tutto l'interesse di Schelling sia diretto a non far sorgere nell'assoluto alcun tipo di opposizione, nella misura in cui questa è particolare, o di differenza 48 , un tale atto appare, tuttavia, 43
/bi, 148. 168 e 171. 152 e 157. 46 /bi, 155.
44 /bi, 45 Ibi,
47 L'assoluto è «eterno» (ibi,
pp. 158 ss.), è «già sempre» interamente uno. L'affermazione di sé da parte di Dio o dell'assoluto non deve essere intesa secondo il modello dell'azione che va al di là di sé (p. 170). 48 Se, dunque, Schelling non vuole comprendere l'autoconoscerc di Dio come «au~odiffer~nzi~zi o ne~> o_ come «usci re da se stesso» (pp. 170 s.), è solo per non porre m questt atu, che mdtcano verbalmente un a differenza, anche una differenza reale, esistente. È una configurazione analoga a quella della speculazione trinìtari a (inseparabilis distinctio et tamen distinctio, Agostino, Conj., XIII Il, 12).
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difficilmente comprensibile se non si ammette - almeno transitoriamente nel procedere del comprendere - la concezione e la terminologia della differenza . In caso contrario l'assoluto sfuggirebbe totalmente ad un tentativo di comprensione ed Hegel avrebbe ragione a definire - senza, però, conoscere questi testi che avrebbero corretto il suo giudizio - l'assoluto schellinghiano come quella « notte» nella quale «tut te le mucche» sono «nere». Il diritto ad una terminologia e ad un pensiero, da lasciare di nuovo in sospeso, della differenza mi sembra trovare, nella prospettiva di Schelling, la sua legittimità già nella formulazione linguistica dell'unità dell'assoluto: colui che afferma e ciò che viene affermato sono verbalmente differenti , allora viene suggerito un oggetto. Una tale rappresentazione ha, però, il suo superamento nel fatto che l'oggetto deve essere lo stesso soggetto. Il conoscere non è vuoto, esso conosce se stesso. Se l'autoconoscersi conosce, dunque, un oggetto, questo oggetto è, ad un tempo, identico e, con ciò, supera di nuovo l' oggettualità dell'identico. Che la ragione sia nell'intero queìla cosa «nella quale Dio stesso si conosce nell'unità totale di tutte le conseguenze della sua idea» 49 , è una formulazione che pensa il tutto come il medio attraverso il quale Dio pensa se stesso: egli stesso è il fondamento e il contenuto della sua mediazione - o assoluta automediazione. Essa esclude la concezione del prodotto e del divenire come risultato: è l'assoluta automediatezza. Del tutto coerente all'accezione cusaniana e plotiniana, il concetto schellinghiano dell'autoaffermazione dell'assoluto può essere concepito come la processione di questo in se stesso (nonostante il ri fiuto di questa tenni nologia 50 , la quale insiste sull'unità assoluta), come il diventar oggetto a se stesso, senza che questo «uscire» in se stesso divenga differenza nell'assoluto. Come identità assoluta, questo atto rimanda proprio al fatto che ciò che procede o ciò che diviene oggetto a se stesso non è altro che Io stesso assoluto, l'
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d'essere e pensare. Proprio questi quesiti, che convergono con quelli di Bruno, sono anche i quesiti centrali che si pone il pen~ siero neoplatonico. Per lo stesso Bruno, essi sono stati mediati da Nicolò Cusano (coincidentia oppositorum, possest), e da Piotino (unum). E perché il senso specifico della ricezione di tali questioni attraverso Bruno possa essere comprensibile, devono essere anzitutto ricordati tanto il principio cusaniano della coincidentia oppositorum 62 che i suoi elementi neoplatonici . La finitezza costituisce - secondo Cusano - la dimensione della nostra conoscenza. In essa un ente limita l'altro (finitum), è più piccolo o più grande di un altro, sta in opposizione ad un altro. Perciò il conoscere, il quale deve adattarsi a questa struttura, è anzitutto conoscenza del rapporto (proporfio) degli enti fra di loro: mediante essa viene reso comprensibile il ruolo funzionale dell'ente nell'intero dell'essere. La funzione o la delimitazione (d1jjinitio) di un ente si mostra come sua essenza. La conoscenza della proporzionalità dell'ente-finito avviene, tuttavia, alla luce del tentativo di conoscere l' essere infinito (injinitas absoluta), la sua verità ed unità asso luta. La difficoltà di poter pensare e dire, anche in modo solo approssimativo , l'infinito, ossia ciò che non è limitato da altro, ha il suo fondamento nel fatto che tra il finito e l'infinito non è pensabile una proporzionalità, quale esiste reciprocamente tra tutti gli enti-finiti: ex se manifestum est infiniti ad jinitum proportionem non esse 63 • Nell'ambito della finitezza non è possibile trovare un «assolutamente massimo» (maximum simpliciter), dunque è sempre pensabile una cosa più grande. Se al contrario Dio, in quanto injinitas absoluta, è la cosa rispetto alla quale non vi può essere cosa più grande 64 - questa è in confronto la formu lazione cusaniana dell'argomento antologico - , dunque è il massimo per eccellenza, allora questo stesso, non può essere pensato come il vertice della finitezza, guadagnata mediante una continua ascesa, ma come il «totalmente altro», opposto, ma non in senso categoriale, all'ente. 62 Cfr. a ques to propo ito J. Ri tter, Docta ignorantia (Leip:dg 1927), pp. 14 ss., 61 ss., e sopra, pp . !50 ss. 63 D. i., I 3; 8, 20. 64 D. i., I 2; 7, 4 ss.: maximum, quo nihif maius esse potest.
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Essendo semplicemente o assolutamente massimo, Dio è tutto ciò che può essere 65 , ossia è puro atto, l'intera possibilità è in lui realtà; di conseguenza l'asserto [maximum absolute est] omne id qu·od esse potest 66 significa anche: egli è tutto ciò che può essere. Ma se egli è il massimo, dunque la cosa al di fuor i della quale nulla è, egli è anche il minimo. Il superlativo implica che Dio sia insieme massimo e minimo, o che in lui coincidano tutti gli opposti (maximum minimo coincidere; .. .in sua simplicitate absoluta omnia complectl) 67 • Ciò che è opposto non è, di conseguenza, in lui come tale, ma è in lui l'origine stessa, la cui essenza è unificazione e unità: omnia in deo sunt deus 68 • Che egli sia l'assolutamente, cioè illimitabilmente massimo, implica che egli sia tutto e che tutto sia in lui: assoluta, infinita unità in sé dialettica 69 , quindi l'essere semplicemente, riflettere puro: absolutus conceptus, simpli-
cissima et abstractissima intel!igentia, ubi omnia su n t unum ... ipsum unum omnia; et per consequens quodlibet in ipso omnia'0 • Proprio come unità assoluta, o, semplicemente, come unità, egli è l'unità dialettica degli opposti che sta, senza opposizione, al di sopra di essi: supra omnia opposita per me-
dium coincidentiae maximi et minimi videtur superexaltatum ... 71 • La concezione d'una unità sovraopposizionale rimanda a Proclo, il quale riteneva l'Uno privo d'ogni categorialità, dunque anche come irrelato sovra-esistente, ma ancor prima a Schelling, che ha fatto del paradosso dell'unità degli opposti unità che rispetto a loro è al di sopra - di nuovo la fo rma fondamentale del suo concetto d'identità. L'altro elemento della concezione, la coincidenza degli opposti, è stato approfondito 65
Intorno a questa interpretazione, cfr. sopra, p. 150, n. 26. Questa possibilità interpretativa viene appagata con I 4; 11, l : maximum abso/ute est omnia absolute actu, quae esse possunt. Anche 12, 31. Mediante questo aspetto il possest cusaniano, influenzato dal concetto cristiano di creazione, si distingue dall'iden ti ficazione aristotelica del Dio che pensa se stesso con la pura realtà. 67 !bi, 10, 16. 11 ' 21. 68 !bi, I 22; 45, 16. 69 !bi, I 5; 13, 2: unitas infinita, ossia un'infinità delimitata, lim itata da nulla, al di fuori della quale nulla è, poiché è, come maximum absofutum, tutto. ìo r IO; 20, 7 ss. ì J Princ., n. 34, 15 s. e 23 s. 66
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dal punto di vista teologico da ps. Dionigi Areopagita: come modello preliminare in sè opposto, Dio è tutta questa opposizione «seconda una sola unione non confusa». Le categorie platonico-pannenidee (e, in seguito, anche cusaniane) di identità - differenza, movimento - quiete, grande - piccolo, limite - senza limite, formano in lui un'unità dialettica (trinitaria); ma è, ad un tempo, necessario che egli sia «antecedente» a questi opposti in quanto tali, se deve essere l'Uno 72 • Anche Plotino porta un contributo decisivo a tale concezione, delineando un concetto di unità - pensato però non per il primo principio in sè irrelato, l' gv - , che congiunge ciò che è opposto ad un riflessivo essere uno. Nello Spirito, precisamente nel primo uno-molteplice, ogni possibilità è realtà, perché non c'è in esso, a causa dell 'assenza della temporalità, un prima e un dopo. Tutto è sempre e contemporaneamente, il movimento (del pensiero) è quiete (immutabilità) e, viceversa, la «quiete» dello spirito deve essere rappresentata come suo moto riflessivo, la cosa singola è l'intero, e l'intero è tramite la cosa singola ed è in essa, l'essere è il pensare, il molteplice in esso è un ' unità dinamica 73 • Con la parte iniziale delle nostre riflessioni intorno a identità e differenza dovrebbe essere evidente - cosa che qui ricordo ancora una volta - che la trasformazione, compiuta da Plotino, delle categorie dell'essere del Sofista e del Parmenide platonico in uno spirito assoluto pensato come ipostasi, dunque libero, nel quale la cosa distinta, ed anche opposta, si configura come unità nella differenza, costituiva l'oggettivo presupposto in base al quale Dionigi poteva pensare anche il pri ncipio divino uno come un'unità riflessiva deg li opposti. Cusano ha elevato questo teologumeno filosofico a principio centrale della sua riflessione su Dio e sul pensiero umano. Concepito già nel De docta ignorantia nella prospettiva della maximitas absoluta - insieme con la coincidentia appositorum - , questo pensiero secondo cui in Dio tutto è possibile, cioè che tutto ciò che può essere è sempre già reale, è stato, più tardi, da Cusano fissato in un termi ne, esatta espressione n Dionigi Areopagita, De div. nom., V 7; PG 3, 821 B e IO; 825 B. Cfr. sopra 85, n. 15. 73 W. Beierwal tes, Plotin, pp . 25 ss. e Enn., VI 6, 3, 28 ss.
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del concetto: D io è il poter-essere, «possest» (absolutum posse è absolutum esse), possibilitas absoluta come puro essere attuale 74 ; il suo potere è identico al suo essere, il suo essere al suo potere. Oltre che nel dialogo Bruno, proprio questa identificazione - però senza un richiamo diretto a Cusano, ed anche diversamente da lui nel concepire la funzione di una metafisica del volere assoluto - ha avuto un ruolo determinante nella filoso fia «positiva» di Schelling: poiché Dio è ciò che l'ente stesso è - «signore dell'essere» - , egli è, ad un tempo, ciò che pone in modo assoluto l'essere. Egli non lo è come possibilità passiva, non ancora adempiuta, ma, nel significato che gli dà il concetto schellinghiano, come suprema e pura potenza, ossia come actus purissimus qua omnipotentia. È, tuttavia, tramite la sua volontà che egli pone l'essere; eo-li è ciò che vuole essere. In questo si «completa» e si conserv~ il suo potere. In Dio essere, potere e volere sono, di conseguenza, da comprendere come elementi dell'unico atto, in modo supremo reale, che coincide con il compimento della sua essenza 75 •
4. Cusano in Bruno
Nella riconduzione all'ambito problematico del De la causa era divenuto già evidente che tanto il principio cusaniano della coincidentia oppositorum come anche il concetto di possest, quale nome divino di coincidenza, sono elementi costitutivi del tentativo di Giordano Bruno di illustrare, sotto eleganti presupposti fisici, il mondo e la sua origine creatrice e conservatrice. Alcuni aspetti essenziali del pensiero cusaniano erano noti a Bruno 76 ; e il suo rapporto con lui era, nonostante la stima
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Ad es.: Vis., c. 15 ; Possest, n. 6; 7, 12 sg. il term ine possibilitas absoluta. A riguardo in modo più esauriente: Platonismus und ldealismus, pp. 76 ss. [tra d. it., pp. 87 ss .] 7 6 Sul rapporto di Bruno con Cusano, vedi F.J. Clemens, Giordano Bruno und Nicolaus von Cues, Bonn 1847; H . Ritter, Geschichte der christlichen Philosophie Hamburo 1850; V 595 ss., passim.; H. Blumenberg, Die Legitimitdt der Neu~eit (rrantfurt !966), pp. 435 ss. (centrale punto di divergenza: l'incarnazione come scandalo fondamentale), e sopra pp. 227 ss . 4
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di principio, ambivalente a causa delle diverse concezioni dei principi cosmologici 77 • Il principio cusaniano di coincidenza è, per Bruno, tanto principio ermeneutico dell'essere dell'origine divina, dell'Uno, come anche - e in questo si distingue in modo essenziale da Cusano - principio della struttura del mondo. Però certamente Bruno non identifica semplicemente Dio, il principio assoluto e il mondo senza distinzione termino logia e di contenuto. La trascendenza (nonostante la sua immanenza) di Dio, o dell'Uno, trascendenza pensata enfaticamente da Cusano e da Plotino, viene, tuttavia, modificata da Bruno, dal momento che questi non cerca anzitutto di spiegare l'essere in sè di Dio, ma il suo operare nel mondo, nell'universo, nella natura, senza cancellare, però, il concetto del «sopra-essere» del principio-mondo. In connessione con questo tentativo, il concetto di materia riceve - come s'è mostrato proprio nello schizzo della questione del De la causa una nuova valenza rispetto alla tradizione (in particolare in opposizione ad Aristotele): la materia non è senza forma, ma essa stessa è pienezza di forme, e per questo è intelligibile. Essa non è pura possibilità, ma anche potenza produttiva, dunque anche fondamento del cominciamento e mezzo dello spiegarsi dell'essere: Plotino- almeno per quanto concerne il concetto dell'uno e della materia intelligibile- e Democrito dovrebbero venir unificati. In un passo del terzo dialogo del De la causa, la recezione del principio di coincidenza giunge il più vicino possibile all'originaria concezione cusaniana: «il primo principio assoluto è grandezza e magnitudine; ed è tal magnitudine e grandezza, che è tutto quel che può essere. Non è grande di tal grandezza che possa essere maggiore, né che possa essere minore, né che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non è tutto quel che può essere; però è grandezza massima, minima, infinita, impartibile e d'ogni misura. Non è maggiore per essere minima; non è minima, per essere quella medesima massima; è oltre ogni equalità, perché è tutto quel che ella possa essere» 78 • 77
Ri manda a Cusano, ad es. CC. 91, C. 335 (d'ora in poi citato secondo Dia/. !t.). Ved i anche sopra p. 226, nota 82. Oratio valedictoria (1588), OL I l, 17:
Huius ingenium, si presbyterialis amictus non imperturbasset, non Pythagorico par, sed Pythagorico longe superius agnoscerem, projiterer. I 440 ss. (critica alla cosmologia cusaniana) . Bruno, C., 283 . Ecco la traduzione tedesca: «Das erste absolute Prinzip ist
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Di conseguenza, il principio è (unitamente e indifferentemente)19 ogni ente, pura unità nella quale tutto è in tutto; ciò che normalmente è opposizione, è in esso uno e identico, «senza differenza e distinzione» 80 • II principio assoluto è dunque la coincidenza degli opposti 81 • Poiché in esso possibilità e realtà di se stesso e di tutto l'ente sono identiche, in quanto è tutto ciò che può essere, come anche tutto ciò che esso stesso può essere, Bruno Io definisce «possibilità assoluta», possibilità o potenzialità assoluta, attiva: «il possere essere è con lo essere in atto ... Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell'esser suo comprende ogni essere» s2 . Fedele all'intento cusaniano, Bruno ha così concepito la coincidentia oppositorum ed il possest in un'unità . Ma egli abbandona il pensiero di Cusano, allorché ritiene anche l'universo dunque congiuntemente, il mondo ed il suo principio identità di essere e potere: anche l'universo è tutto ciò che può essere 83 ; lo è tramite il suo principio che opera ovunque ed in esso come intero. Ne risulta la concezione, talvolta definita, nella recezione bruniana, come «monismo», per la quale «il tutto , secondo la sustanza, è uno» 84 ; l'Uno è anche tutto: «hen kai pan». Che questo sia solo uno degli aspetti della questione intorno al rapporto di principio e mondo, deve essere sempre mantenuto presente a proposito dell'asserto bruniano Erhabenheit und Gr6J3e; es ist solche Gr6J3e und Erhabenheit, daJ3 es alles ist was es sei~ kann. Es ist nicht groJ3 ( = erha ben) in dem Sinne (v o n solcher Gr o: Be), daJ3 s1e noch gr6J3er sein konme, auch nicht, daJ3 sie klciner werden oder geteilt werden konnte , wie jede andere GroJ3e, clie nicht alles ist was sie sein kann; vielmehr ist es die gr6J3te, dic kleinste, unendliche, unterilb;re Gr6J3e und von jeglichem MaJ3. Sie ist nichr das Gr6J3te, weil sie das Kleinste ist· sie is t nicht das Kleinste, weil sie zugleich das Gr6J3te ist; sie ist jenseits aller GI~ichheit (i.iber allen Vergleich hinaus), denn sie ist alles, was sie sein kann ». - Non può esservi dubbio sul fatto che questo passo rimandi a Cusano benché costui non venga nominato. Cfr. De possest, n. 9; IO, 8 ss. D. i.,' I 4 e 5. 79 c., 282. 80
Ibidem .
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Più spesso Bruno usa il termine «coincidenzia», ad es. C., 286. E.; 1130. Spaccio, 573. Con lo stesso signif.icato: , 16 (1969), p. 132. 125 Wesen der menschlichen Freiheit, VII 355. [trad . it. , p. 95]. 126 Enn., VI 8, 18, 18; VI 8, 9, 32 s. Il suddetto passo si trova nelle tradu:.doni, note a Sch lling, di Plotino di Windischmann: attraverso le linee che parton o dai centro del cerchio (tv) «l'assoluto appare ovunque, evoluto e, tuttavia, anche involuto» ( = testo 7 in Platonismus und ldealismus, p. 214 [trae!. it., pp. 243 s.]).
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cosa analoga avviene per le metafore di seme e radice, me~ diante le quali Plotino descrive la potenzialità dispiegata del~ l'Uno «prima» della sua processione, ma che potrebbe anche indicare la sua forza di conservazione «dopo» la processione. Per ciò che concerne il fatto che tutto ciò che ha avuto origi~ ne, inclusa la sfera del tempo che è nato da un «caso», rimane centrato nell'Uno, non è, nonostante la sua «lontananza», se~ parato da lui, si fa garante - come in Schelling, in modo funzionale - la metafora della luce: «che cosa dobbiamo pen~ sare di lui che è immobile (Uno)? Splendore tutt'intorno dif~ fuso, sì, da lui, ma da lui che se ne sta fermo, come, nel sole, lo splendore che gli fa quasi un alone d' intorno; splendo~ re che si rigenera, eternamente, da lui, ch'è fermo» 127 • Op~ pure: «il sole che ne è un'immagine, poiché esso è come un centro per la luce che si diffonde da esso: questa è ovunque, con lui e non si spezza, ma se tu vuoi dividerla in due parti, la luce rimane soltanto dalla parte del sole» 128 • La luce ren~ de evidente la paradossale unità di processione e permanenza. L'assoluta priorità dell'Uno origine, del centro, della luce sorgente rispetto a ciò che è originato, ai raggi e alla circonferenza (ciò che equivale alla cosa «illuminata») permette di affer~ mare che l'Uno è ovunque, ma anche assolutamente in nessun luogo, è tutto e, tuttavia, nulla di tutto e, dunque, il sovraesistente per eccellenza l29 . A parte gli intenti relativizzanti riguardo alla differenza, Bruno s'avvicina, come accennato, alla concezione plotiniana in quegli aspetti, in particolare degli scritti latini, che pongono in risalto l'assolutezza dell'Uno. Questi erano, tuttavia, del tutto sconosciuti a Schelling. All'Uno di Schelling, di Plotino e di Bruno è proprio, in modo analogo, il fatto d'essere difficilmente asseribile o d'essere incomprensibile 130 • La parola, precisamente, che cerca di dire l'Uno, è «presa dalle copie», e a causa della sua struttura di
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l, 6, 27-30. I 7, l, 23-28. 129 In questo Plotino viene a convergere con il significato dell'asserto Deus est sphaera infinita, cuius centrum est ubique, circumjerentia nusquam , cfr. nota 100. 130 Schclling , B., 302 [trad. it.. p. 119]; Bruno, C. , 227, 285; Jacobi, 27; Plotino, Enn., V 3, 13, l e VI 9, 10, 19. 128
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differenza, nella quale vengono tenuti separati soggetto ed oggetto , non è adeguata ad esprimere l' indifferenza. L' indifferenza degli opposti o !'ev in sé senza relazione e senza opposizione esigono proprio l'intuizione intellettuale, consona all'unità, o l'estasi mistica come un medio dell'evidenza, preparato invero dal pensare discorsivo che tuttavia viene scavalcato 131 • L'intuizione intellettuale e l'estasi mistica non sono però un atto irrazionale di un sentimento che illude se stesso, ma il punto d'arrivo del tentativo di rendere conoscibile l'«incomprensibilità» dell'unità assoluta e quindi d'accertarsi intorno allo stato del finito rispetto all'assoluto. Negli abbozzi schellinghiani ai Weltalter (Le età del mondo) si afferma: «questa incomprensibilità di Dio ha il suo fondamento nel fatto che è un'essenza astrusa ... Inoltre si deve fare una distinzione tra comprendere e conoscere. Infatti incomprensibile è ciò che non può essere compreso, trascritto, incluso in un concetto, ma proprio ciò, l'actus purissimus, è in sé anche ciò che è in massimo grado conoscibile, poiché è identico alla materia purissima del conoscere» 132 • Sebbene in aspetti essenziali e in forme caratteristiche d'espressione si siano evidenziate delle affinità tra Schelling e Bruno, non si può certo dire che Schelling abbia portato avanti l'intento metafisica e cosmologico di Bruno in una direzione «panteista»; egli sembra, piuttosto, aver respinto, proprio mediante gli elementi che lo legano al filosofare neoplatonico, ciò che vi era di teologicamente eretico nel pensiero del «filosofo martire» 133 • Questo vale tanto per la concidentia oppositorum, pensata esclusivamente come struttura dell'assoluto e non anche dell'universo infinito-finito, come anche per il nesso di identità (di assoluto) e mondo. Nell'esplicazione dei propri contenuti Schelling non è sempre fedele alla tendenza presente nei testi di Bruno a lui noti; infatti per Schelling l'infinito, in quanto indifferenza di tutte le opposizioni, mantiene se stesso in opposizione assoluta con il mondo, quand'anche non senza il mondo e questo non possa essere senza l'assoluto infinito. 131 Per Bruno ad es. E., 987 ss. W. Beierwaltcs, Actaeon. Zu einem mythologischen Symbol Giordano Brunos, in : «Z. f. phil. Forsch.», 32 (1978), pp. 345 ss. 132 Die Weltalter, a cura di M. Schròter (Miinchen 1946), p. 220. 133 J.G. Hamann, Lettera a J.G. Steudel, 4 maggio 1978 (ed. Roth, Leipzig 1825, VII 414).
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II. Differenza, negazione, identità. Il movimento riflessivo della dialettica hegeliana
Le riflessioni sinora proposte intorno alla tradizione platonica hanno, per diversi aspetti, rimandato alla dialettica di Hegel tanto dal punto di vista del contenuto quanto dell' influsso sto- -· rico: questa forma del filosofare dovrebbe essere intesa come prosecuzione affermante, trasformatrice e critica d'una concezione dello spirito che si compie nel cooperare in unità di identità e differenza, unità e molteplicità. Nel contesto di un concetto ermeneutico di metodo , il punto di contatto nel contenuto e nella forma del pensiero era, ed è, costituito ad esempio dai concetti di concreta totalità, triplicità, unità _degli opposti, nflessione assoluta.
l. Connessione fra negatività e differenza Nella prospettiva di un'ampia ricerca storico-terminologica e concettuale, dovrebbero essere analizzate, in particolare nell'ambito della differenza, le nuances di significato di alterità, distinzione, opposizione, contraddizione, negazione, separazione e limite a seconda che il loro luogo sistematico sia, di vo lta in volta, nella Logica o nell'Enciclopedia. Per il presente scopo considero giustificato l'uso indistinto di differenza ed alterità; entrambe sono determinate da una negazione che dirime e pone dei limiti. L'identità deve essere ricondotta al concetto d'unità e, come tale, essere intesa nelle sempre diverse sue modificazioni: identità come forma attiva, cioè riflessiva ed intellettiva, d'unità, connessa alle singole dimensioni della realtà e all'intero in qualità di sistema che si costituisce da sè (dal concetto). In ogni caso, ai concetti di identità non dovrebbe essere associata l'identità
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vuota, morta, arida, astratta; questa deve essere pensata, nel senso di Hegel, come identità da superare. Essa caratterizza la costituzione ed il procedere formale della filosofia dell'intelletto, che argomenta, secondo la sua essenza, in modo dialettico 1 • Rispetto a ciò l'identità - sia detto preliminarmente - che parte dal metodo dialettico deve essere pensata come identità concreta o in sé dialettica 2 • Per essa, costitutive sono differenza, negazione e contraddizione: essa s'unisce a se stessa a partire dalla differenza, dalla negazione e dalla contraddizione; è automediazione della separazione (superata). Tutto questo verrà a mostrarsi, in particolare, nel nesso di concetto ed idea. L'identità si chiarisce solo nello «specchio» della differenza. Ma la negazione non è né materialmente né concettualmente separabile dalla differenza. Come momento essenziale della differenza - l'alterità è non essere - , essa fon da il «movimento del contenuto» e, ad un tempo, lo mantiene o Io muove. Sebbene la dialettica, quale movimento del contenuto, favor isca il concetto di processo, si rende, tuttavia, plausibile in questa prospettiva un legame reale con il pensiero platonico e neoplatonico: il rapporto dell'Uno con il molteplice (in termini platonici: il comune cammino del molteplice verso un èidos o la comprensione del molteplice a partire da un eidos o dall'Uno) diviene una proiezione del sistema, e allo stesso modo lo diviene il dispiegarsi del molteplice dall'Uno-Principio, il quale sarà tuttavia, per «riduzione» (riconduzione), una realtà una nel molteplice, un'identità nella differenza. La differenza tra · la concezione hegeliana di questo rapporto e quella platonica sta - come accennato - essenzialmente nella storicità, o processualità, di essere e pensare (sapere, comprendere). Mentre l' idea platonica o il nous plotiniano sono «sempre» ciò che «già» sono - perfetta realtà, che non viene determinata dalla storia -, l'idea in Hegel è «solo alla fine» ciò che deve o 1 Ad es. Enc. (1830), § 74 e prefazione p. 6 [trad. it. di V. Vena, op. cit. p. 91]; § 573 nota, p. 460, l. Logik, Il , pp . 26 ss . 237 [trae!. it., pp. 32 ss., 244] . Religion, XV , p. 163; XVI, p. 236. Filosofia dell 'intelletto: Kant quale suo prototipo; compiuta filosofia dell'intelletto come «fine» della «metafisica» dogmatica «dell'intelletto» (XIX, p. 610 [n·ad . it., op. cit., III/2, p. 339]). Cfr. anche l'introduzione a Fede e sapere [trad. il. di R. Bodei, op.cit., pp. 123-135]). 2 Cfr. ad es., Logik, II, pp . 239 s., 327 s., 410 s., 485 [trad. it., III, pp. 41 s., 149 s., 247 ss., 336].
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può essere, ma è, ad un tempo, ciò che «già» era. Nel dispiegarsi, l'identità, o unità, viene raggiunta come risultato del movimento, ed essa è identità vera, assoluta, mentre nell'ambito del molteplice - ad esempio, nel nous atemporale - l'unità è, nei confronti dello stesso Uno, unità non vera, ma solo analoga (simile dunque all'origine, ma determinata in sé e rispetto a questa dalla differenza): identità dinamica. L'affinità tra le due concezioni ha un ulteriore fon damento nel modo con cui si compie ' l'identità: in un senso sempre diverso, nella riflessività assoluta3. Dei possibili aspetti del problema dell' «identità e della differenza» deve essere posto in risalto quello metafisica e quindi nel senso di Aristotele - «teologico». Riandando, di nuovo, con lo sguardo ai concetti trinitari di Mario Vittorìno e di Cusano si ripropone la domanda riguardo al modo con cui il nesso dì unità e molteplicità, identità e differenza, medesimezza e alterità, o separazione, è per Hegel costitutivo dell'essere e del movimento della Trinità. Ad un tale quesito si può in una certa misura dare una ri sposta solo se, da una parte, (a) la struttura metafisica della logica hegeliana, la quale implica l'elemento teologico, e, dall'altra, (b) il superamento della religione nella filosofia vengono resi e mantenuti coscienti mediante la filosofia hegeliana della religione . Con questo aspetto della questione né si deve né si può risolvere il carattere trascendentale della logica e della filosofia della religione. Io voglio, tuttavia, assumere con estrema serietà la caratterizzazione data da Hegel alla struttura metafisica della logica e della filosofia della religione, di modo che non mi inquieti la facile accusa d'aver proposto un'interpretazione «eccessivamente metafisica». Il peso della dimostrazione spetta a coloro che o girano intorno alle relative affermazioni di Hegel o le interpretano in modo puramente trascendentale, logico-riflessivo. Anche qui sì potrebbe mettere in evidenza il fatto che la logica hegeliana ha un tratto storìco-dialettico, mediando, essa, tra metafisica e filosofia trascendentale 4 • Su questo problema in Plotino e nel tardo neoplatonismo , cfr. sopra pp. 58 s. - Non adopero i termini «riflessione» e «riflessività» nel senso limitato della «logica oggettiva», ma col significato di «pensare a se stesso», di «nesso pensante di sé» o di «ritorno del pensiero a se stesso». Non si deve in ogni caso associare l'aspetto negativo della «filosofia della riflessione». 4 Deve essere provato in modo argomentativo come la realizzazione storica del3
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z.
La struttura metafisica della logica di Hegel
Anzitutto deve essere spiegato il significato della presente tesi: la logica di Hegel ha, per quanto riguarda lo stesso contenuto, uno stretto rapporto con la metafisica. Il fatto di comprendere l'unione di «logica e metafisica» come un asserto sul carattere della filosofia hegeliana nel suo complesso, ha la sua origine da un intento' storico-filosofico. Questo è rivolto a quel luogo storico nel quale la logica è passata nella metafisica, e viceversa. «La logica oggettiva ... prende il posto della metafisica di una volta, come di quella che era l'edifizio scientifico sopra il mondo, da innalzarsi solo per mezzo di pensieri» 5 • Tale affermazio ne di Hegel non proviene, in alcun modo, da una semplificazione della problematica sin qui trattata, e nemmeno annuncia una soppressione dei limiti delle discipline. Essa indica, piuttosto, una trasformazione della logica secondo una prospettiva metafisica, ma, nello stesso tempo, in modo universale della metafisica a partire dal concetto logico. Sino ad Hegel, la logica era pensabile come logica cosiddetta formale, la quale aveva ad oggetto le regole e l'esatto funzionamento del pensare. Come tale era nella sua essenza determinata dal rapporto dì soggetto - oggetto e, così, quale metodo che oggettiva e procede strumentalmente, era in un certo modo esterla logica hegeliana abbia sintetizzato in una teoria unitaria le questioni che riguardano la trascendentalità della coscienza o del pensare con quelle dell'onto-teologia. A differenza di D. Henrich mi sembra che, «insieme a ciò che è connesso con la dottrina metafisica di Dio» , l'assoluto, quale principio e fine della logica, non solo non sia eliminabile, ma sia, insieme all'evoluzione del movimento di riflessione, il suo vero e proprio punto di divinazione. Solo con difficoltà si può, in opposizione all'espressa indicazione hegeliana, sostenere un ' interpretazione fondamentalmente «non metafisica» della logica (a riguardo cfr. il seguito). Inoltre la realizzazione della concezione «enciclopedica» di fondo, quale cerchio dei cerchi, mostra che anche nella logica - come in ogni forma diversa della sfera enciclopedica - ciò che è in questione è l'assoluto. Questo non è messo acriticamente dinnanzi alla logica come fosse un «dogma»; anzi è il contenuto, che inizia con essa stessa, della logica che si legittima nel movimento ri flessivo dell'oggetto. 5 Logik, I, p. 46 [trad. it., I, p. 49]. Di una particolare interpretazione necessiterebbe la presente quest ione: come si distinguono gli aspetti, e che cosa hanno in com une quelli tra i quali Hegel, a partire dalla logica dell'essere, dell'essenza e del concetto, vede di volta in volta la «metafisica» come una posizione della coscienza che deve essere sottoposta alla critica, ma anche che termina nella Logica come momento della storia e del contenuto stesso. La pretesa di Hegel che la logica nella sua totalità debba essere il superamento critico della metafisica non viene co ntraddetta da un pu nto di vista sempre diverso (cfr. nota 8).
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na all'oggetto del pensiero. Ma poteva anche riflettere - come nel significato dato ad essa dalla critica kantiana della ragione - la possibilità o le condizioni del pensare: le forme dell'intuizione, le categorie e le idee di questo. La logica era, quindi, fissata ad una descrizione della possibile attività del soggetto. Come ancora verrà posto in evidenza nelle nostre riflessioni, rispetto a ciò Hegel, in punti decisivi, ha, insieme al concetto della logica, modificato anche quello di meto do: la reciproca estraneità di metodo e contenuto diviene «interno muoversi del suo contenuto» 6 • Ciò viene già ora a chiarire che la logica si basa, in un modo del tutto nuovo rispetto alla tradizione (parmenidea), sul principio di pensare ed essere, o concetto e contenuto, di modo che il pensare possa essere inteso come il movimento riflessivo dell'essere e l'essere come interpretazione pensante di sé. Il compito della logica consiste nell'analizzare proprio questo modo di appartenersi di concetto e contenuto, essere e pensare, realtà e pensiero. «Essa contiene (come scienza pura) il pensiero in quanto è insieme anche il contenuto in se stesso, oppure il contenuto in se stesso in quanto è insieme anche il puro pensiero. Come scienza, la verità è la pura coscienza che si sviluppa, ed ha la forma del sé, che quello che è in sé e per sé è concetto saputo, e che il concetto come tale è quello che è in sé e per sé» i. In questo contesto - sia qui anticipato ciò che verrà detto nella trattazione seguente - non viene con «Concetto» indicata esattamente la formulazione astratta di un contenuto, da esso stesso risolvibile, ma, piuttosto, l'atto riflessivo dello stesso contenuto: il suo concepire se stesso. Poiché l'atto del concepire comprende sempre qualcosa, e ciò che viene compreso è lo stesso contenuto, il concetto concepente e il concepito sono nel contenuto identici. La possibile rappresentazione di un concepire, esterno rispetto al contenuto da esprimere, e della relativa concordanza, caratterizzata in modo sostanziale dalla differenza, è, anche nel concetto di «verità», posta a favore d'una unità di pensare concepente e contenuto da concepire, la quale si rende totalmente manifesta e supera se stessa. Pensare, concepire, sapere sono facoltà di alcuni momenti della ragione, in 6 i
Logik, l, p. 35 [trad. it., I, p. 37]. !bi, pp. 30 s. [trad . it., l, pp. 32 s.].
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cui la ragione, quale «fondamento» universale, espone se stessa. La logica diviene così l'analisi di queste facoltà della ragione, concepite, tuttavia, non come «pure forme» del pensare, come concetti riflessivi della soggettività, ma come strutture concettuali della cosa o dell'essere, come forme esistenti di riflessione. II pensiero, la ragione e lo spirito penetrano, secondo Hegel , Ja realtà nel suo complesso. È perciò solo una conseguenza, se la logica, quale scienza del pensiero o dello spirito, ne fa, in base al suo nesso effettivo con la metafisica e con la sfera «teologica» di questa, il proprio oggetto. «La logica è ... da intendere come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, com'essa è in sé e per sé senza velo. Ci si può quindi esprimere così, che questo contenuto è la esposizione di Dio, com'egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito» 8. Questo asserto spiega, in riferimento al contenuto, l'affermazione storico-filosofica di Hegel, secondo la quale, cioè, la logica è subentrata, in un senso determinato, alla metafisica, e la funzione della metafisica prosegue ora in modo più adeguato, dal momento che, sinora, la logica non poteva per sé pretendere d'avere a contenuto la rappresentazione di Dio. Questa pretesa non può essere avanzata neanche a proposito della critica kantiana della ragione, la quale ha pensato Dio come idea della ragione, come postulato della ragion pratica; e, come tale, essa rimane una forma del pensare del soggetto, con la quale quest'ultimo sembra poter viver meglio che senza di essa. La logica di Hegel concentra, invero, la sua attenzione anche su tutte le categorie che sono state tradizionalmente sviluppate dalla logica: essere, esistenza, finitezza, infinitezza, quantità, qualità, identità, differenza, contraddizione, opposizione ecc. Infatti, essa persegue - nonostante l' epoché critica nei riguardi della sua tendenza all'aggettivazione - lo stesso intento della filosofia trascendentale, ma all'interno di un nuovo contesto. Ma anche altre formulazioni della questione, che, tradizionalmente, sono state soprattutto oggetto della metafisica, essa include in sé: ancora una volta l'essere, l'essenza, identità e differenza, realtà e fenomeno, sostanza e soggetto, s !bi.. p. 31 [trad. it. , l , p. 32].
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l'idea, l'assoluto, l'idea assoluta. L'analisi dì ogni categoria, tanto dì quelle «Un tempo logiche», come di quelle «un tempo metafisiche», è interamente determinata dali ' universale orizzonte concettuale di un'unità di pensare ed essere. Tutte le categorie, che secondo la tradizione sono specificamente logiche - tra le altre, in particolare il concetto, il giudizio, il sillogismo - , divengono strutture o momenti dell'essere nel suo complesso, forme, nelle quali l'essere comprende, giudica se stesso e conclude in un sillogismo. Coinvolgendo anche il momento teologico della metafisica, la logica viene ugualmente a concepirsi come scienza del «concetto divino» o del «conoscere divino» 9 • Proprio sotto questo punto di vista la logica si rivela come una logica trasformata in metafisica, o una logica che supera e persegue criticamente in se stessa questa, in quanto, come metafisica, considera, al modo dell'autoriflessione assoluta, l' essere come Dio o Dio come l'essere. La logica non sviluppa, nel concetto divino che comprende se stesso, solo la «pura personalità», ma anche la concezione del determinare se stesso o della libertà assoluta. Come si mostrerà, l'assoluto che concepisce se stesso ha, certo, in se stesso tutti i momenti che esso stesso ha percorso per diventare ciò che è, benché questi non superino l'essere in e per sé dell'assoluto, dunque la sua autonomia e libertà, ma li costituiscano. L'essere in sé e per sé assolutamente libero dell'idea equivale al concetto della personalità o dell' assoluto essere io .
de. Lo scopo del filosofare hegeliano consiste, quindi, nella trasformazione completa della realtà nel concetto. Nel procedere di questo movimento, anche il fenomeno della religione viene superato nella riflessione filosofica; come sfera dello spirito assoluto, la religione trova, al pari dell'arte, il suo compimento nella filosofia. «Superamento» non significa distruzione di queste sfere, ma il loro determinarsi a momenti necessari della filosofia, come il venire a se stesso del concetto. In quanto realtà singole e reciprocamente diverse, i fenomeni hanno il loro kairos in ogni situazione storica; ma, quest'ultimo spinge al di là di sé, verso la forma più propria al concetto o verso il concetto stesso. L'autosuperamento della religione nella filosofia è già preannunciato nel fatto che la religione è solo «mediante il pensare e nel pensare» 11 , poiché Dio è il supremo pensiero esistente. In opposizione al convincimento paolinoluterano secondo cui l'uomo diviene «giusto» (giustificato) solo mediante la fede, H egel insiste sulla concezione per la quale la religione riceve la sua giustificazione solo «dalla coscienza pensante», dunque nella filosofia 12 • «Quando il tempo è compiuto e la giustificazione mediante il concetto è un'esigenza, allora non vive più nella coscienza immediata, cioè a dire nella realtà , l'unità dell'interiore e dell'esteriore, ed essa non è più giustificata nella fede » 13 • L'intento della filosofia di mediare tutta la realtà immediata o astratta attraverso il concetto, si rivela anche nel rapporto che la fi losofia ha con la religione o la fede: se non s'apre al concetto, fine del proprio movimento, la fede rimane, come sapere immediato , inviluppata nel fi nito, nel sentimento e nella sensazione. Lo sco po che Hegel si prefiggeva nelle sue lezioni sulla filosofia della religione consisteva allora anche «nel conciliare la ragione con la religione» 14 • Se la filosofia non solo supera in sé la religione, ma la legittima in quanto tale - come momento dello spirito assoluto -, allora si può, a buon diritto, porre la questione -che riguarda la loro reale comunanza nell'ambito dell'oggetto. Partendo
3. Superamento della religione nella filosofia Dall'intenso nesso della logica con l' ambito reale della «teologica» metafisica diviene possibile comprendere in modo completo lo stretto legame che unisce religione e filosofia. Essendo il metodo «il concetto che si esplica», ... «e questo è solo Uno», «anche in tutta la scienza» vi può «essere un solo metodo» 10 • Come concetto che si esplica, è la filosofia a pretendere d'essere questo metodo. Essa pone, infatti, in rapporto con se stessa tutti gli ambiti della realtà e della scienza, mentre li compren-
11
!bi, p. 62. XV I, pp. 350 s., 353 [trad . it., II , pp. 421 s., 424]. 13 lbi, p. 355 [trad. it., Il , p. 425]. 14 Ibidem . 12
! bi, II , pp . 505 e 506 [trad . it. , III , pp. 360 c 361 ]. o Religion, X V, p. 59.
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da una parte, ad asserire che l'elemento emozionale, o rituale, di ciò che è religioso ha un ruolo attivo, ossia che la filosofia è «di fa tto servizio di Dio» 21 , e, dall'altra, a stabilire, tuttavia, uno stretto legame tra la religione o la filosofia della religione e la logica. E la logica non è solo il presupposto, ma un momento essenziale, cioè materialmente determinante, della filoso fia della religione. II suo oggetto è detto, nel linguaggio della logica, «idea assoluta», la quale è spirito che sa 22 , che riflette se stesso; come «idea» assolutamente «concreta» 2\ essa implica tutte le determinazioni del pensiero in cui si spiega l'idea logica, ma le oltrepassa in quanto «concilia», o media, il loro manifestarsi nella natura e nella storia con se stessa, quale loro inizio. Se, dunque, la domanda circa la funzione dell'identità e della differenza deve essere perseguita all'interno della speculazione trinitaria di Hegel, allora non solo è legittimo, ma è persino necessario comprendere, a partire dalla logica, quell'aspetto di tale questione che è proprio della filosofia della religione. Ciò significa anzitutto: il concetto di Dio, cioè di uno spirito che riflette se stesso, e si spiega trinitariamente in natura e storia, deve essere concepito a partire dal concetto logico di idea assoluta e dal metodo ad esso legato della dialettica 24 . Solo così si verifica la tesi dì Hegel: «la filosofia si rende esplicita solo in quanto rende esplicita la religione e, rendendosi esplicita, fa esplicita la religione» 25 • Affermare che il concetto hegelìano di idea si differenzia in modo essenziale dall'idea di forma platonica o lockiana, e che con esso non si intende né il veì·o essere, come esistente forma sensibile, né la semplice rappresentazione della coscienza finita, è in sé una banalità. Tuttavia, è realmente utile, per un'adeguata comprensione storica di «idea», tenere presente, ora come contrasto rispetto ad Hegel, ora come aspetto principale di quella tradizio ne che Hegel intende continuare, soprattutto la concezione platonica di essa come dell'essere sempre identico a se stesso, immutabile nel tempo e nella storia. Da questo
dalla suddetta intenzione Hegel spinge la comunanza sino all'identità: il loro oggetto «è la verità eterna nella sua stessa oggettività, Dio e null'altro che Dio ed esplicazione di Di0»1s. Tanto nella religione come anche nella filosofia, lo spirito entra in relazione con il suo «interesse supremo»: con lo spirito, o con se stesso, nella sua forma assoluta. La ragione, o lo spirito, o lo spirito divino, sono, di conseguenza, contenuto di entrambi 16 • Questo implica che la religione non può essere ridotta alla morale razionale, nel significato che Kant dà a questa, né che deve sciogliersi in indole, in sentimento, in sensazione, in cuore 17, cosa che H egel sempre mette in evidenza come pericolo dell'impostazione di J acobi. La religione è, all' opposto, solo nel e mediante il pensiero, perché Dio non viene esperimentato e rappresentato come la sensazione suprema, ma pensato come il «concetto supremo» 18 . Analogamente alla fi losofia, la religione è, perciò, elevazione pensante della soggettività finita all'assoluto; la fede, come forma iniziale di religione, trapassa in un saper intorno a Dio. Dio diviene senz'altro manifesto, nella misura in cui si sa nello spirito fìnito 19 e questo, attraverso di Lui, si sa in se stesso. Nella concezione di un Dio che diviene, nella manifestazione totale di sé, pienamente conoscibile anche allo spirito finito 20, il telos hegeliano d'una filosofia della religione si distingue in modo essenziale da una filoso fia congetturale (Cusano) e dal metodo d'una dialettica negativa (neoplatonismo), sebbene anche queste credettero che la ragione o la riflessione argomentativa (elevazione pensante) fosse assolutamente necessaria sulla via che porta all'assoluto. La convinzione che l'oggetto stesso sia penetrabile e formulabile rimane l'elemento diversificante al' lorché Hegel crede di poter rischiarare con il pensiero il mistero. L'identità dell'oggetto della religione e della filosofia conduce, 15
XV, p. 21 [trad. it., l, p. 86].
16
!bi, p. 34 [trad. it., l, p. 97].
17 Come. segno di un qualcosa di antagonista rispetto alla ragione e allo spirito, la metatora «cuore» è per Hegel senza senso; comunque è accettata nel senso pascaliano di raison du coeur: un «cuore dello spirito» o lo spiri to «comandato alla potenza del cuore». 18 Religion, XV, p. 62. !9 XVI, p. 192. 20 !bi, p. 352.
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21
XV, p. 21. XVI, p. 209; XV, pp. 98 e 28. 23 XV, p. 28 [trad. it., l, p. 89]. 24 !bi, p. 47. 25 !bi, p. 21 [trad. it., I, p. 86]. 22
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punto dì vista, inoltre, è degno di nota che l'interesse di Hegel non sia tanto diretto a idee o concetti, ma all'idea e al concetto. I momenti molteplici e diversi del pensare e del concepire · vengono assunti come elementi che costituiscono un'unica forma, di modo che proprio l'idea ed il concetto possano fungere da paradigmi del rapporto dell'identità con la differenza, dell 'unità con la molteplicità.
4. Idea, concetto e movimento dialettico come elementi della «teologia» hegeliana
Concepito come attivo, e non come risultato di un'astrazione logico-formale tendente ad una definizione, il concetto è la forma attraverso la quale il pensare comprende, sì, se stesso, ma nei suoi oggetti o nella sua oggettività. Questo atto penetra ciascuno dei suoi elementi sino al tutto da pensare, tanto che ciascuno dei momenti è anche il tutto che egli stesso è 26 • Il comprendere se stesso del concetto è, dunque, la sua propria genesi; ed il «contenuto» nel quale comprende se stesso, e lo comprende in quanto tale, è determinato da un movimento dialettico-progressivo. La via di questo movimento, o il «creare» del concetto, va incontro ad una totalità intensiva 27 : tutto ciò che è differente e si mostra nel «contenuto» viene mediato reciprocamente e in direzione dell'intero, o superato in esso. Ciò non significa, certo , che la differenza come tale venga tolta; al contrario, quale elemento costitutivo di ciò che è diventato intero, si mantiene in esso . Solo essendo una tale mediazione di se stesso, mediazione che contiene tutto il pensato ed il da pensare, il concetto rappresenta «l'assoluta identità con sé» 28 • Solo mediante il concetto l'identità è identità concreta, l'assolutamente concreto 29 : tutto ciò che è astratto, vuoto, indeterminato è·in sé determinato dalla determinazione negatrice ed è mediato con ciò che è ( = il suo) altro, o è unito nel concetto. Il concetto dunque esaurisce tutto il non Enc., § 160; p. 15 1, l ss. Logik, li, p. 504 [trad. it. , III , p. 359] . 28 !bi, II, p. 240 [trad. it., III, p. 43]. 29 Enc., § 164; p. 153, 15. 26
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vero (in quanto astratto) e, dal momento che è questo movimento verso la concrezione e la mediazione assoluta, è, ad un tempo, l' accadere della verità. Dall'impostazione di questo concetto, dal movimento o dal precedere del contenuto , emerge con chiarezza che, nel contesto hegeliano, verità non significa, primariamente , una operazione dell'intelletto, che conduce ad un giudizio astratto, ma con essa, piuttosto, si deve intendere un carattere fondamentale del concetto che concepisce se stesso. «Il vero» è (solo) «l'intero». «Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo» 30 • Se l' assoluto deve essere identico (ciò che sarà da mostrare) al concetto assoluto, o all'idea assoluta, allora di esso bisogna affermare che «è essenzialmente risultato, e che solo alla fine è ciò che è in verità» 31 • E tuttavia la sua verità sta nel fatto che l'assoluto diviene uguale a se stesso o nel fatto che è l'identità di sé in movimento. Essa non gli si fa incontro come se venisse dall' «esterno» - allo stesso modo che l'enunciato su di una cosa viene pensato spettante a questa -, ma è la sua essenza ed è, dunque, identica al metodo in quanto procedere riflessivo dello stesso contenuto. La verità è, quindi, compiuta mediazione con se stesso: la definizione classica di verità, veritas est adaequatio rei et intellectus, o intellectus ad rem , viene trasformata nel movimento del concetto immanente al «sistema» che si pensa. In esso è superata la differenza , in caso contrario possibile, di realtà e concetto: entrambi «corrispondono» reciprocamente (adaequatio come correspondentia! ). Il concetto s'è, come tale, realizzato, ha raggiunto !'«esistenza» come sua verità. È ora opportuno determinare in modo più esatto il rapporto del concetto con l'idea. Da una parte, il concetto non è, all'interno della sfera ad esso propria della logica, pensato come realtà compiuta, tanto che esso deve innalzarsi all'idea, ma, dall'altra, l'idea assoluta non può essere pensata senza concetto: in essa il concetto diviene identico all'oggettività o alla realtà da esso stesso intesa. La riflessività, nella quale l'idea media sé con tutte le fo rme logiche in essa contenute, è il lavoro del concetto. L'idea può, perciò, essere concepita come l' «uni-
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30
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Phiinomenologie, Vorrede, p . 21 [trad. it., Prej. , p. 15]. Ibidem.
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lDE~TlTÀ E DIFFERENZA
tà assoluta del concetto e dell'oggettività» 32 ; e oggettività, in quanto il concetto compiuto è il contenuto stesso in sé e per sé esistente oggettività, trasformato in soggettività da astratto essere in sé (fissato). Nell'idea la sostanza è diventata soggetto assoluto 33 • Essa, di conseguenza, è tanto l' «unità del concetto e della realtà effettiva», come anche il «concetto liberato» rispetto alla sua «soggettività» 34 • L' autocostituzione del soggetto-oggetto assoluto, nel quale la soggettività è diventata del tutto oggettiva (reale) e l'oggettività del tutto soggettiva (riflessiva, pensante) , dunque l'identità di essere e pensare come fecondissima mediazione della realtà iniziale immediata, riconduce di nuovo al concetto di verità. Con l'espressione «l'idea è il vero in sé e per sé», o «l' idea è la verità», si intende, perciò, che il concetto ha raggiunto nell'idea la sua oggettività, è diventato assoluto accordo con sé e, solo allora, «vera realtà effettiva». Questa è, tuttavia, soggetto, o «spirito» 35 • Dal momento che il concetto nell'idea, o come idea, si identifica con la sua oggettività o si assimila ad essa nel processo del divenire di sé, l'idea è il concetto «adeguato» (il vero in quanto tale) 36 • In un richiamo oggettivo alla concezione aristotelica del pensar-si divino, l'idea è, secondo Hegel, il concetto assoluto, che è in armonia solo con se stesso e, grazie a ciò, contiene in sé tutta la realtà. Solo l'idea assoluta, come concetto assoluto, «è essere, vita che non passa, verità di sé conscia ed è tutta la verità» 37 • L'elemento platonico di questo pensiero si evidenzia nel fatto che l'idea «sola» viene intesa come «quel che è veramente reale» 38 , ma è questo solo in quanto comprende se stesso. Hegel - detto storicamente ha, così, «dato un soggetto» all'idea platonica come a ciò che è veramente essere o è reale nel concetto e, ad un tempo, ha 32 33
Enc., § 213; p. 182 , 4 s. C fr. Phiinomenologie, Vo rrede, pp. 19 s. [trad. it. , Prej. , p. 13 s. ]: sull'in-
tento generale di H egel di concepire la sostanza come «Soggetto», in modo di opporsi all ' astratta separazione di soggetto e oggett o. 34 Logik, II, pp. 409 e 411 [trad. it., III , p . 245 c 247]. 35 Enc., § 213; p. 182, 31. ' 6 Logik, II , 407 s. [trad. it ., III , pp. 243 s.]. 37 !bi, p . 484 [trad . it., III, p. 335]. A riguardo cfr. le riflessioni connesse alla cusaniana visio absoluta, pp . 173 s. 38 Aslhetik, I, p. 116 (Basscngc) [trad . it ., p. 128].
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trasformato l'aristotelico pensiero del pensiero nell'automovimento riflessivo dell'idea assoluta 39 • Questo automovimento dell'idea verso la più concreta o ricca totalità soggettiva è, a partire dalle singole fasi dell'evoluzione, costituito da una negatività produttiva che prosegue il processo, da concepire come unità dinamica o come identità nella differenza. «L'idea è essenzialmente processo (non sostanza), poiché la sua identità è soltanto l'assoluta e libera identità del concetto , in quanto essa è la negatività assoluta e perciò è dialettica» 40 • L'elemento «identificante» di questa identità è la riflessione, il pensare o il concepire. L'idea è, du nque, il «pensare semplicemente identico a sé», verità conscia di sé, concetto supremo e «assoluto» 41 • No~créwç v6Tjcrtç è l' idea (logica) assoluta, infatti essa «intuisce» nella forma del concetto il «proprio contenuto come se stessa. Essa è contenuto a se stessa, in quanto essa è il distinguersi idealmente di sé da sé, e l'uno dei distinti è l'identità con sé, nella quale però la totalità della forma è contenuta come il sistema delle determinazioni del contenuto»42. L'autodistinguersi dell'idea in sé non distrugge, dunque, la sua identità, ma addirittura la costruisce. Nel distinguere sé, l' «idea che pensa se stessa» 43 non rimane ferma alla differenza rispetto al suo cominciamento riflessivo, riferisce piuttosto l'altro in essa, come suo altro a se stessa, e ne fa, di conseguenza, sua proprietà. Per questo l'idea è anche «infinito ritorno» a se stessa 44 • Secondo il rapporto fo rma e contenuto, questo significa: la forma non si rende indipendente nei confronti del contenuto, e viceversa, la forma e il contenuto costituiscono piuttosto, riflessi l'uno nell'altro, una unità o identità che non si scioglie. In connessione con il concetto-idea deve essere, ancora una volta, posta l'attenzione sul concetto di metodo. Esso permette di chiarire sostanzialmente il primo. Hegel pensa che sia 39
Cfr. sopra p. 202 ss.
Enc., § 215; p. 184, 36 ss .. 4 1 Il>i, § 18; p . 51 , 3 ss. § 574; p. 462, 2 ss. Logik, II , p. 484 [trae!. it. , III, p. 33 5]. Re!igion, XV , p. 62. 42 Enc. , § 237 ; p. 194, 13 ss . 43 !bi, § 236; p . 194, 7 s. 44 !bi, p. 214; p . l S3, 14. In tal modo viene comuneme nte determina to anche 40
lo Spirito.
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dialettico il metodo peculiare al suo sistema. Se l'idea è lo spiegarsi riflessivo di un iniziale essere astratto in un «essere pieno» 45 , se questo è il «movimento dello stesso contenuto», allora l'asserto, che identifica idea e metodo, afferma conseguentemente: «l'idea è essa stessa la dialettica» 46 • Il metodo non può, come viene qui detto, essere inteso in un senso strumentale, ossia come pensare concepente che si confronta solo «esternamente» alla cosa da concepire. Né la logica è quindi, al modo dell'Organon aristotelico, sussidio d'una precisazione del concetto. È, invece, l'auto-esplicazione interna del «contenuto» o l'auto-movimento dialettico dell'idea 4i. Questo si compie come «eterno» distinguer-si-da-sé e, insieme, come riconduzione di ciò che è distinto al cominciamento che distingue. L'assoluto è ciò che - quale concetto conscio di sé ha se stesso ad oggetto. Successivo alla precedente citazione, il seguente passo unisce i sunnominati momenti del movimento dialettico di sé, o del contenuto: «l'idea è essa stessa la dialettica che eternamente separa e distingue l'identico a sé dal differente, il soggettivo dall'oggettivo, il finito dall'infinito, l'anima dal corpo, e solo così è creazione eterna, vitalità eterna e spirito eterno. In quanto l'idea in tal modo è anche il passare o, piuttosto il trasferirsi, nelì' intelletto astratto, l'idea è anche eternamente ragione; essa è la dialettica che porta l'intellettivo, il diverso, a intendere nuovamente la sua natura finita e a comprendere che l'apparenza d'indipendenza delle sue produzioni è un'apparenza falsa, e riconduce ciò che è intellettivo nell'unità. In quanto questo movimento raddoppiato non è temporale, né in qualche modo separato e distinto - altrimenti sarebbe di nuovo soltanto intelletto astratto è il suo eterno intuirsi in altro; il concetto che, nella sua oggettività, ha realizzato se stesso, l'oggetto che è finalità interna, soggettività essenziale» 48 • Il presupposto di questa identificazione di metodo e contenuto nell' idea è il fondamento del fatto che la processualità, dal suo cominciamento sino alla fine che in essa termina, venga pensata come un'attività concettuale o una «riflessione» efficace, presente e attiva in forma
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diversa (con inclinazione ali' assoluta concretezza). Essendo questa elaborazione di un contenuto sempre più ricco e più concreto, il metodo dialettico è la mediazione della fine con il cominciamento; e tuttavia, non in modo tale che solo la fine che porta a compimento l'intero si unisca con il suo cominciamento e lo faccia, così, apparire nella luce trasformante del concetto; piuttosto, è all'interno di ogni sfera della mediazione progressiva che si compie l'unione di fine e cominciamento: ogni singolo «membro, essendo animato dal metodo, è il ripiegamento in sé che, in quanto ritorna nel cominciamento, è insieme il cominciamento di un nuovo membro». L'intero in sé mosso e movente deve essere, perciò, pensato come un «circolo di circoli» 49 • L'asserita mediazione di ciò che di volta in volta e definitivamente è fine con il suo cominciamento non dispensa dal porsi una domanda tipica tra le numerose cruces dell'interpretazione di Hegel: come e con che ha inizio il processo? Come esce da sé il cominciamento, ed è così, secondo il significato del concetto, cominciamento effettivo di ciò che è altro? La questione ritorna, in modo analogo, nel dispiegarsi da sé della Trinità. Il tefos del movimento spinge comprensibilmente o addirittura necessariamente a presupporre , al modo hegeliano, che il movimento inizi con la cosa più vuota ed astratta, da Hegel concepita come «essere» 50 : il semplice rapporto a sé, l'assolutamente immediato e non dispiegato, il punto in sé raccolto. Certo l'assoluto sostanzialmente deve essere inteso come risultato, ed allo stesso modo lo sviluppo dell'evoluzione iniziale deve essere concepito come una rappresentazione dell'assoluto; ma proprio per questo non si può pensare dell'assoluto che esso, in una qualsiasi fase del processo, aderisca ad esso; per così dire entri in modo immediato nel movimento. L'assoluto - «soltanto allora in sé» - è anche nel cominciamento o coincide con esso ed è perciò la sua propria negazione nel cammino verso la pienezza di sé. All'inizio, o in quanto inizio, l'assoluto «non è in pari tempo l'assoluto» 51 • In questo HeLogik, II, p. 504 [trad. it., III, p. 359]. so Ibidem, e I, pp. 58, 66 ss. [trad. it., I pp. 62, 72 ss.] - Sulla comprensione del c"oncetto di essere nella forma espressa dalla logica, cfr. W. Wieland, Bemerkungen zum Arifang von Hegels Logik, in: Wirklichkeit und Rejlexion. Walter Schulz zum 60. Geburtstag, a cura di H. Fahrenbach, Pfullingen 1973, pp. 395-414. 51 Logik, Il, p. 490 [trad. it., III, p. 342].
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45 Logik, II, p. 46Enc., § 214; 47 Logik, II, p. 48 Enc., § 214;
504 [trad. it., II, p. 359]. p. 184, 7. 485 [trad. it., III, p. 336]. p. 189, 7 ss.
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gel si distingue in modo sostanziale dalla concezione neoplatonica del procedere dell'Uno come di un assoluto che non necessita d'una auto-esplicazione per essere se stesso o - con una terminologia hegeliana - l'assoluto esistente in sé e per sé. In relazione a questa concezione può essere compresa anche quell 'annotazione di Hegel che cerca di dare una cornice al proprio concetto di assoluto: «l'avanzamento non è quindi quasi un che di superfluo; sarebbe tale, se veramente l'iniziale fosse già assoluto ... Solo quando è compiuto esso è l'assoluto» 52 • Se il cominciamento è il vuoto, l'astratto, l'indeterminato e l'immediato, l'assoluto è soltanto nel suo in sé; ma se deve, ad un tempo, essere l'idea come attività, che còncepisce in forma sempre diversa, o riflessione sviluppante, allora bisogna che nel cominciamento ci sia anche riflessione, soggettività, spirito. Però questo essere nel cominciamento non è ancora se stesso, come una cosa giunta a sé. La domanda circa il cominciamento (o intorno a ciò che costituisce l'inizio della scienza) può essere anche così formulata: come e in che modo viene prodotto il passaggio dall'immediatezza dell'in sé? Come e in che modo l'essere raccolto in sé del «punto» rende dall'interno accessibile se stesso al movimento? Come movens del processo e dynamis universalmente mediatrice, Hegel assume la negazione determinata, la quale supera a priori l'immobilità e l'astrattezza e, così, determina il negato ad una forma sempre più alta. La negazione non è posta «dall'esterno», ma opera immanente al negato; essa è anzitutto l'essere relativo a sé 53 • Anche nel suo modo più elementare e più primitivo, questo non può essere, tuttavia, ritenuto niente altro che riflessione. Hegel definisce il cominciamento non solo puro essere (in sé), ma anche «unità indivisa» di essere e nulla (non essere): l'essere come nulla da cui deve aver origine qualcosa 54 • La negazione è, dunque, già nell'essere come cosa operante senza la quale sarebbe del tutto inimmaginabile un effettivo cominciamento del cominciamento, un oltrepassarsi del cominciamento in altro o l'effettivo emergere della differenza. In quanto rela52
Ibidem. 53 Cfr. a questo proposito D. Henrich, Hegels Grundoperation, in Der Idealismus und seine Gegenwart, Fs. f. W. Marx, Hamburg 1976, pp. 215 ss. 54 Logik, I, pp. 58 s. [trad. it., I, p. 62].
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zione, la negazione è reale, o «all'opera» nell'essere. L'atto elementare della riflessione sarebbe allora l'unione di «è» e «no n è» nell'asserto: il non essere dell'essere esiste come nulla di questo. Ma, con ciò, l'astratto cominciamento si oltrepassa come cominciante. Se, dunque, il cominciamento è l'assoluto in sé o la totalità concreta in sé 55, allora è in sé anche riflessione o pensiero di sé per negazione. Unito al nulla, l'essere si definisce perciò per negazione, traduce la sua astrattezza nella prima sfera di concrezione. Che l'essere, inizialmente astratto e vuoto, si muti in sfere più concrete e più ricche, lo mostra la definizione dell'idea assoluta come «essere pieno»: la «pura immediatezza dell'essere, nel quale dapprima sembra estinta ... ogni determinazione, è l'idea che per via di mediazione ... è giunta alla sua corrispondente uguaglianza con sé» 56 • Lo stesso astratto è dunque, come idea, diventato l'assoluto concreto, tanto che, con riguardo all'essere astratto del cominciamento, può radicalmente significare: «solo l'idea assoluta è essere ... » 57 ; ossia quale verità che è «ora» conscia di sé. Il soggetto è nei diversi aspetti, fasi o gradi l 'identico. Alla concezione che il cominciamento immediato implichi, nella forma astratta dell'in sé, ciò che - in quanto saputo sarà, al termine del movimento concettuale, in sé e per sé, si oppone un'interpretazione dell'inizio della Logica 58 che cerca di evidenziare che l'essere non perde mai la sua immediatezza, che l'essere è, quindi, anche nel divenire, nel quale è già «sciolto» o superato per negazione, ed è poi, nello stadio della qualità, della quantità, della misura, e così via, già e del tutto libero dalle strutture della riflessione. Dall'essere non potrebbe, dunque, mai venire qualcosa d'altro. Solo una libertà come quella delle strutture della riflessione potrebbe rappresentare in modo appena adeguato l 'inizio della logica, che H egel dice essere, a causa della sua vuotezza ed assenza di presupposti, «non analizzabile» 59 • Lo sviluppo dell'essere vuoto non potrebbe essere guadagnato col riflettere sulla determinazione presente nel concetto di indeterminatezza. Non viene chia55 56 57
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!bi, II, p. 490 [trad. it., III, p. 342]. !bi, II, p. 504 [trad. it., III, p. 359]. !bi, II, pp. 409 e 484 [trad. it., III, pp. 245 e 335]. D. Hcnrich, H egei i m Kontext, Frankfurt 1971, pp. 73 ss. Logik, I, p. 60 [trad. it., I, p. 64].
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rito, attraverso un'interpretazione di questo tipo, ciò che, invece, necessita assolutamente di un chiarimento: con quale operazione immanente giungerà mai la riflessione al puro e vuoto cominciamento, e alla evoluzione di questo? Sino ad ora è difficilmente comprensibile in che senso il determinarsi del cominciamento, il suo giungere all'esterno di sé, l'atto del passare e del superare, ed il ritorno al cominciamento che si compie certo anche all'interno della logica dell'essere, possa essere inteso come un atto non riflessivo. Come possono i suddetti termini caratterizzare ancora l' «immediatezza»? L'immediatezza pura, cioè stretta, non dovrebbe assolutamente ammettere in sé un movimento che prosegua dal cominciamento. Anche a questo, che la logica considera immediato, si oppone il detto di Hegel secondo cui non c'è nulla nel cielo e sulla terra che non sia già mediato 60 • L'immediatezza del cominciamento della logica sarebbe, di conseguenza, mediata nel suo in sé dalla negazione, o riflessione, immanente. E questo non appare chiaro se non quando si concepisce l'inizio della logica come assoluto. Un inizio nuovo , ma nella continuità con la fenome nologia 61 • Senza la sua azione preparatoria il pensare sarebbe difficilmente in grado di distinguere l'immediatezza vOlta alla mediazione. Le ragioni dovrebbero essere sviluppate in modo più dettagliato in vista dell'affermazione che le determinazioni non sono, nel movimento della logica, da cercare là dove esse vengono come tali generate, al contrario sono già implicate anche prima del loro «luogo sistematico». II primo essere in sé - ad esempio, l'esistenza come qualcosa, da Hegel pensata «in sé riflessa» - può essere concepita come riflessività, sebbene questa, in senso vero e proprio, non compaia, al momento, ancora. Un tale modo di vedere non deve, però, condurre ad una concezione livellante o riduttiva del processo logico. II movimento dall'astratto al concreto - ossia la «concrezioBeweise, p. 26 [trad. it . di G. Burruso: G.W.F. Hegel, Lezioni sulle prove della esistenza di Dio, Bari 1984, p. 46]. Logik, I, p. 52 [trad. it. , I, pp. 54-55]. 6l Cfr. a riguardo H. Fulda, Das Problem einer Einleitung in Hegels Wissen schajt der Logik, Frankfurt/ M. 1965. - Benché dalla Fenomenologia in poi l' inizio della logica sia da concepire come un inizio mediato più immediatamente, il suo esser mediato deve di nuovo essere «messo in disparte» (Logik, I, p. 53 [trad . it. , I, p. 55]) di modo che l' inizio possa essere realmente inizio, ossia immediato . 60
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ne» del concetto o dell'idea è, nello scavalcamento o nel superamento della differenza e dell' alterità, una forma attiva della sintesi. Presente all'interno delle singole fasi, la concrezione dà uno sguardo precorritore alla coesione dell'intero con se stesso, all'intero identico a se stesso nella differenza: totalità concreta come determinazione dell'idea. Nella fine di tutte le fasi sintetizzanti, nelle quali il cominciamento si rinnova, di volta in volta, su un altro grado, essa diviene, attraverso l'assoluto ritorno a sé, vero cominciamento: cominciamento mediato con se stesso, che si determina mediante se stesso, che riflette ed è riflesso in sé. Così viene raggiunta- nell'atto di mediazione permanente - una nuova forma di immediatezza mediata, la quale si apre, quale totalità intensiva o soggettiva, ad un'altra sfera rispetto alla logica: «assolutamente sicura di sé e riposando in sé l'idea si affranca da se stessa» in natura e storia, nella «esteriorità dello spazio e del tempo» 62 • La determinazione del concetto di idea doveva essere, in un certo modo, chiarita per fondare la funzione aperta, affermata in precedenza, della logica nei confronti della filosofia della religione, e soprattutto della speculazione trinitaria. Dopo aver giocato un ruolo nella trattazione del nesso di logica e metafisica, gli stessi aspetti ritornano, ora, in una forma più ricca, concretizzata dal concetto di idea: dal momento che la perfetta manifestazione del concetto, nella logica , si «equilibra» con questo stesso o si trova nella verità di essa, la stessa logica è «quella teologia metafisica» che «considera lo sviluppo dell'idea nello spazio del concetto puro» 63, o fissa a suo contenuto «la rappresentazione di Dio», «quale è nella sua essenza eterna prima della creazione della natura e di uno spirito finito»64. Il «corso logico» dell 'idea non è, dunque, anzitutto un accadimento trascendentale, ma la «determinazione all'essere che Dio opera di sé» 65 e che si specchia nella trascendentalità della coscienza. Quale momento riflessivo dell'idea, il concetto, che raggiunge in essa la sua oggettività, o realtà (essere), è «concetto assoluto, divino» 66 : e ciò che lo-caratterizza è la Logik, II, p. 505 [trad. it. , I, pp. 359-360]. Enc., § 244; p. 196, 32 ss. Beweise, p. 86 [trad. it., p. 104]. 64 Logik, I, p. 31 [trad . it., I, p. 32]. 65 !bi, II, p. 356 [trad . it., III, p. 182]. 66 Ibidem .
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«personalità» 67 • Perciò, la logica è già anch'essa, come tale dimostrazione dell'esistenza di Dio, che, implicita nello stess~ corso logico, diviene esplicita nella filosofia della religione. Attraverso le determinazioni della logica, la filosofia della religione pensa Dio, o la natura divina, come il «concetto assoluto» o come l' «idea assoluta» 68 - essendo essa spirito che «si riflette in se stesso» 69 • È l'assoluto che sa o pensa se stesso 7o. Il delimitarsi della logica a scienza «del solo concetto divino» (dunque, di Dio come unico regno del concetto puro) può trovare nella filosofia della religione una precisazione: nel suo essere in sé, Dio è Dio come idea logica o come l'essere pieno del concetto supremo; essere, che può schiudersi in natura e storia 71 • Ciò non può, però, essere pensato come pura possibilità, ma come essere che realizza anche questa sua facoltà. Proprio in tale processione, o uscita, l'idea realizza o evidenzia il suo essere-spirito, in quanto si realizza «per sé»: essere spirito per lo spirito è il compimento del suo proprio concetto. La filosofia della religione riflette, perciò, l'idea assoluta «unitamente al modo con cui essa appare, si manifesta» 72 , Dio dunque, non solo nel suo in sé, ma come essenza che appare, come sua manifestazione e rivelazione. Vi è qui implicito tanto il concetto di creazione, come anche quello di incarnazione e di conciliazione del finito con l'infinito. La filosofia della religione analizza, di conseguenza, lo sviluppo o il compimento dell'idea temporale attraverso l'alienarsi di questa nel suo altro, in quanto essa riconduce la finitezza, come modo dell'idea che appare e si spiega storicamente e temporalmente, nel suo cominciamento atemporale. Soltanto allora, nel momento in cui il finito viene conosciuto come un momento di Dio 73 , dell'infinito, l'assoluto dimostra la sua verità. La filosofia possiede «il medesimo contenuto e fine» dell'arte e della religione, ma essa è il «modo supremo» della ri flessio!bi, II, pp. 484 e 502 [trad . it., III, pp. 335 c 356]. Religion, XVI, pp. 209 s. Beweise p. 28 [trad. it., p. 47]. 69 Religion, XV, p. 28 [trad. it. , p. 89]. 70 !bi, XV, pp. 26 s. e 98 [trae!. i t., pp . 87 s. e 135]. 71 XVI, pp. 219 s. n XV, p. 28 [trad . it., p. 89]. 73 XV, pp. 192 s. [trad. it., pp. 192 s.]. 67 68
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ne «di concepire l'idea assoluta» 74 • Dal superamento legittimante della religione nella riflessione filosofica segue proprio che Dio viene pensato come l'idea che esiste in sé e per sé. Secondo la stessa prospettiva teologico-rivelativa, in questa identificazione risalta un ' ulteriore determinazione del concetto di idea: con il manifestarsi in tempo e storia e con il ritorno, che fonda la conciliazione, di tempo e storia, l'idea è (la) trinità. L'orizzonte della speculazione trinitaria di H egel è costituito dalla fondamentale peculiarità di Dio, di essere cioè spirito assoluto che si spiega in una trinità in sé unita. Secondo Hegel con «spirito» si dà la definizione suprema dell'assoluto 75 • Tutte le espressioni intorno al dispiegarsi trinitario dell'idea divina vengono, dunque, a chiarire anche il concetto e l'essenza dello spirito.
5. Identità e differenza nell'ambito della speculazione trinitaria di Hegel Il dispiegarsi della Trinità, come nella tradizione teologicofilosofica da Mario Vittorino in poi, è anche nel pensiero di Hegel di grande rilievo per il rapporto di identità e differenza, unità e molteplicità. Determinante per l' idea logica, la tipologia di questo rapporto viene qui ampliata alla storia e, in essa, modificata, in modo tale che la trinità, quale «storia divina» 76 , guadagna se stessa, come totalità massimamente possibile, soltanto passando attraverso la finitezza. La trinità viene, invero, pensata come identità, come identità che costituisce e produce se stessa; ma la differenza è, in essa, il presupposto necessario proprio di questo atto: l' idea divina deve apparire, si deve «manifestare», per diventare spirito per lo spirito 77 e unirsi così all'identità, o unità trinitaria, con se stessa. La storia temporale della trinità di viene, di conseguenza, il compimento della sua storia eterna ed asso luta; solo in essa può essere conosciuto ciò che il processo assoluto o eterno è come tale. L'assoluto stesso si rivela alla fine ciò che 74
Logik, II p. 484 [trae!. it., III , p. 335]. Cfr. Enc., § 384; p. 314, 24 ss. 76 Religion, XV I, p. 219. 77 Enc. , § 564; p. 446, 9. Religion , XVI, pp. 47 e 197 . 7'
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«già» era all'inizio 78 : nella sua compiuta automediazione che include in sé tutta la realtà. Col linguaggio della teologia Hegel chiama la Trinità unità dei tre regni: del Padre, del Figlio e dello Spirito. Nell'ambito della riflessione filosofica vengono intesi come tre «sfere particolari, o elementi, in ciascuna delle quali il contenuto assoluto si rappresenta come contenuto eterno, che resta in possesso di sé nella sua manifes~azione; come distinzione dell'essenza eterna dalla sua manifestazione, la quale mediante questa distinzione diviene il mondo dell'apparenza in cui entra il contenuto; come infinito ritorno e conciliazione del mondo alienato con l'essenza eterna, come il tornar di questa dall'apparizione nell'unità della sua pienezza» 79 . AI regno del Padre corrisponderebbe l'idea logica, la dialettica senza tempo dell'essere, il quale si concreta, attraverso la riflessione, in «eterno contenuto» assoluto . La «rivelazione», o la «manifestazione», di Dio costituisce il regno del Figlio. Il suo compimento sta nella soggettività infinita, assoluta, che si distingue da sé, si «dirime» 80 in sé, ma certo in modo tale che in . tale disgiunzione rimanga identica a se stessa 81 o ritorni alla sua identità 82 • Nella «riflessione assoluta» la negatività, la quale è in diretto rapporto con se stessa» 83, si rivela, ad un tempo, essere questa disgiunzione e questa potenza che ritorna a sé. La negazione deve sempre essere pensata come determinazione. In tale concezione viene determinata l' idea concreta. La disgiunzione è, dunque, negazione d'una determinazione o negazione della negazione 84 • A sua volta questa, in quanto negazione di sé da parte di Dio, Suo alienarsi (kenosis, Fil. 2, 7), è il Figlio: la differenza, che procede verso la finitezza 85 , l'altro s6, nel quaReligion, XVI, p. 241. Enc., § 566; p. 447, 26 s. so Religion, XVI, pp. 197 s. SI Enc., § 567; p. 448, 6. 82 Religion, XVI, pp. 296 e 279 . Come «spirito vivente» Dio è questo: «distin78
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guersi da sé, porre un altro e in questo altro rimanere con sé, avere in questo altro l'identità del suo sé con sé». . S3 Religion, XVI, p . 240. 4
Pensata in forma di struttura di «mediazione»: Logik, I, p. 135 [trad. it., I , p . 157]. Enc., § 111; p. 121, 29 ss. Enc. (181 7) , § 187 (Jub. Ausg., VI, p. 143): la negazione della negazione come «anima vitale della totali tà» (idea). C fr. anche not a 100. 85 Religion, XVI, p. 247. 86 Jbi, pp. 198, 247, 249, 280, 308. 8
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le l'inizio del movimento coincide con se stesso, o - cosa che dal punto di vista trinitario, nel quale si conserva l'unità di Dio, ha lo stesso significato - anche: riprende di nuovo in sé l'alterità, è un eterno essere-ritornato-a-sé 87 • Ma in questo, nel superamento del! 'essere altro 88 nel suo aver inizio, egli si rivela come l'amore o come Spirito (Santo). L'intento filosofico di Hegel di determinare la realtà nel suo complesso a partire dallo spirito - quale intensità suprema della soggettività s'unisce qui al principio giovanneo nel modo più intimo: «Dio è spirito (pneuma), e quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità» 89 . Come «scienza del ·concetto o dello spirito» la filosofia giustifica il cristianesimo come la religione dello s~irito: «questa religione .... è la esplicita conoscenza che Dio è spirito, propriamente, che egli, esattamente come in sé e per sé sta a se stesso come al suo altro (che si chiama il Figlio), ' se stesso come amore. E' essenzialmente come questa mee in diazione con sé» 90 • Come risulta chiaramente dal dettato della filosofia hegeliana della religione, lo Spirito Santo non è spirito nel senso d'una personalità «Conclusa», al contrario è proprio questo aprir-si del cominciamento e, ad un tempo, il ritorno ad esso: mediazione della mediazione che si supera. Se ciò che caratterizza lo spirito è il distinguersi da sé e il diventare, nel procedere da sé, oggetto a se stesso, ma insieme l'essere ritorno in sé - «identità ... che deve tornare ed è tornata in sé»9 1 - , allora Dio è, come intero, spirito. L'identità che si sta compiendo trinitariamente deve essere intesa anche nella prospettiva della triplicità logica di «concetto - giudizio - sillogismo»: l'autoapertura del concetto assoluto pone se stessa come distinzione, diventando così «giudizio» 92 ; ma, da l punto di vista dell'identità, il soggetto media se stesso a «predicato», o si media con se stesso nel predicato, in quanto lo pone come identico a se stesso. Anzi è il concetto stesso che sì esprime nel giudizio. Compientesi nel giudizio, questa 87
!bi, p. 249.
ss !bi, p. 28 1. Giov., 4, 24. Beweise, p. 28 [trad. it., p . 47]. 91 Enc. , § 554; p. 440, 12 s. n Religion , XVI, pp. 228 s. 248. Cfr. anche Enc. § 577 ; 463, 7. 89
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«identificazione» - il ritorno - è il chiudersi dello spirito in se stesso, il compimento del porre e del saper se stesso, o il «tornar "dell'essenza eterna" dal fenomeno all' unità della sua pienezza» 93 . Il ritorno dello spirito a se stesso corrisponde, teologicamente, a lla m orte e resurrezione di Cristo. Con l'alienarsi, come infinito, nella soggettività fi nita e nel porsi come identico ad essa, nell' «assumerla», Dio la supera ad un tempo: nella morte di Cristo è «stata uccisa la fin itezza dell'uomo»94; la morte di Cristo diviene, nella resurrezione, la «morte della morte» 95 , ma, con questo, anche il superamento della finitezza alienata e del male 96 • Essa è il rovesciamento vero, che rappresenta nella storia finita «ciò che è accaduto in sé e ciò che eternamente accade» - «la storia assoluta dell'idea assoluta» 97. A complemento dell 'alienazione per negazione, qui si compie di nuovo una «negazione della negazione»98, la quale non deve essere concepita come una categoria, esterna rispetto al divino, della riflessione, ma come un momento ad esso immanente 99 • Il ritorno della natura divina dalla «cima somma del fenomeno» a se stesso come negazione della negazione è, perciò, responsabile del concetto teologico che mette in ri lievo una caratteristica fondamentale di Dio: li berazione, conciliazione, amore. Questa negazione della ne93 Enc., § 566 ; p. 447, 32 s. 571; p. 449, 24 ss. Religion, XVI, p. 308 [trad. it., II, p. 377]. 94 Religion, XVI, p. 305 (trad. it. , II, p. 375) . 95 !bi, pp. 300 s. [trad. it., II, pp. 370 s.]. -Le affermazioni di Hegel si pongono qui nell'orizzonte di pensiero e di linguaggio di Lutero. Egli rimanda a quest'ultimo: «in un canto luterano si dice che Dio stesso è morto» (Vorl. iiber die phil. d. Re!., a cura di G. Lasson, Hamburg 1966, p. 172 [trad. it., II, p. 374]). La frase si trova nella seconda strofa del corale O Traurigkeit, o Herzeleid [O mestizia, o patire del cuore], che, a dire il vero, è di Johannes Rist). Intorno alla mors mortis: Lutero, Predigt am Ostersonntag Vormittag 1524 (Weim. Ausg. 15; 518, 26 s.); In ep. S. Pauli ad Gal. Com., 2, 19 (40/l ; 267, l ss.): mors mortis ... sic mors devorat mortem, quae est vita quae occidit mortem; ibi 3, 13 (440, l ss.; 13): Christus, qui factus est mors mortis. - Eriugena, De div. nat., V 7; PL 122, 875 C sulla resurrezione come mors mortis. 96 Enc., § 569; p. 448, 33. Phanomenologie, p. 541 [trad. it., p. 295]. Retigian, XVI, pp. 258 ss. e 267 ss. [trad. it., II, pp. 328 ss. e 333 ss.] (peccato originale). La riconciliazione è necccssaria a causa del male: p. 270 [trad . it., II, p. 377]. Asthetik, I, pp. 421 s. [trad. it. , pp . 574 s.] . 97 Religion, XVI, pp. 302 s. [trad . it., II , pp. 373 s.]. 98 !bi, pp. 300 s., 304 [trad. it., II, pp. 370 s. 374]. 99 !bi, pp. 304, 307 [trad. it. , II, pp. 374, 376].
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gazione diviene pura (assoluta) affermazione di sé da parte di Dio attraverso la fini tezza del mondo e dell'uomo, di modo che questa, nell'atto di quell'affermazione di sé, si eleva a suo momento)(){). Affermazione - passaggio nel suo altro -, ne100 D. Henrich ha cercato di caratterizzare la negazione come negazione «autonoma», prendendo le mosse anzitutto dalla Logica. In quanto semplice nesso con sé, la negazione non sarebbe «in una relazione originaria con un concetto ad essa corrispondente», come accade con una affermazione (Hegels Grundoperation, in: Der ldealismus und seine Gegenwart, Fs. f W. Marx, Hamburg 1976, p. 21 4). La negazione deve essere li berata da ogni correlazione. Se essa deve essere vista a priori in rapporto a se stessa e tutto ciò che è al di fuori della negazione deve essere eliminato dal processo logico, allora la negazione sarebbe «sempre» «negazione duplice» (p. 215). Non mi sembra chiaro il motivo per cui la negazione duplice, nel senso d'una negazione della negazione o del negativo, non debba poter diventare un'affermazione, perché dunque Hegel non avrebbe dovuto trasformare anche l'assioma duplex negatio est affirmatio (come altri assiomi della logica forma le) nella logica del concetto che concepisce se stesso. A partire dal concetto di dialettica può essere più esattamente detto che il negativo deve essere inteso come un elemento strutturale dell'affermativo, dunque che l'affermativo può essere solo un elemento strutturale del negativo (p. 221). Se la negazione della negazione non diventasse affermazione, non mi apparirebbe chiaro in quale modo l'idea possa spiegarsi, attraverso il movimento delle negazioni, in una sempre più ricca, più concreta realtà. II telos del «movimento della cosa» è nella logica l' idea assoluta, poiché essa è semplicemente mediazione, com prensibile solo come affermazione di se stessa, che ha in sé le negazioni come momenti separati, ossia come momenti che rimangono costitutivi per l'intero. Hcnrich cita (p. 221) invero la seguente affermazione della Logica (II, p. 496 [trad. it., III, p. 350]): la negatività è «l'intima fonte di ogni attività, di ogni spontaneo movimento della vita e dello spirito, l'anima dialettica che ogni vero possiede in se stesso», ma passa sott o silenzio il suo contesto. In esso Hegel chiarisce il «negativo del negativo» come «il toglimento della contra ddizione» e come il «momento oggettivo della vita e dello spirito», «per cui viene ad essere un soggetto, una persona, un libero». Questo atto della negazione appare come «ciò che media», «perché racchiude in sé se stesso e l'immediato di cui è la negazione» (Logik, Il, p. 497 [trad. it., III, p. 35 1]). Ma !'«immediatezza» mediata o posta, prodotta per negazione è proprio il «positivo, l'identico, l'universale (II, p. 497 [trad. it., III, p. 351]). Come punto dell' inizio (nel senso di «risoluzione» dell' idea) questa «immediatezza» può risultare «mediata»; essa è, quale risu ltato dello spiegarsi del «primo» inizio, «l' intero che è giunto a sé ed è identico a sé». Inoltre come determinazione essenziale del pensiero, valida anche per il pensare dell'idea, Hegel concepisce >. Attraverso la poesia (Valéry), mediata «dalla natura», la metafora de ll' «apparition» (manifestazione celeste), al modo dell'epifania, metafora, questa, che ha rilievo storico-religioso, è assunta ad indice del non-identico (ÀT., p. 125 [trad. it., p. 137]), Tertium comparationìs tra «apparizione» ed epifania è la loro fugacità, mutabilità, appartenenza all'attimo: nei loro luoghi di culto gli dei si manifestano «fugacemente» - come la manifestazione nei cieli passa velocemente. Le opere d'ar te sono l' «a ttimo » che evidenzia la loro storicità, la loro fragili tà nella storia, la loro realtà sempre non identica e, di conseguenza, la loro realtà anticipatrice. E secondo tale concezione, anche «i fuochi d'artificio» - una manifestazione artificiale nei cieli possono diventare un fenomeno di significato artistico (AT., p. 125 [trad. it. , p. 137]). 26 AT., p . 100 [tra d. it ., p. 108].
IV. La musica come la forma più intensiva del non-identico secondo Adorno
In relazione alla fondazione della dialettica negati va come nervatura di una estetica altrettanto, almeno nella pretesa , negativa, è risultato evidente che è intento della filosofia giungere», tramite il concetto, oltre di esso» 1 ; e che il concetto possa arrivare a ciò che è senza concetto. Questo intento della filosofia però s'inviluppa continuamente nell'aporia di dover nondimento esprimere il rifiuto nei confronti del concetto in un linguaggio concettuale che cerca d ' opporsi permanentemente al concetto: il tentativo di un «disincanto» del concetto, di una liberazione da esso, in una determinata misura rimane lo stesso in questa sfera o trapassa in immagine come forma di ciò che è senza concetto 2 • Proprio nell'uso, che la filosofia si permette, dell' «inesprimibile», la filosofia viene, nel contesto della concezione adorniana, «affratellata veramente alla musica» 3 • Suprema forma di un filosofare ancora possibile, la teoria estetica ha di conseguenza il suo centro oggettivo nella musica: ciò in cui sempre si concluderà la riflessione estetica e dal quale è sempre determinata 4 • Se dunque ciò in cui la filo sofia è «imparentata» all'arte e, in particolare, alla musica è l'immacrinifico o ciò che è senza concetto, la filosofia sarebbe allora 1:> il modo per rendere evidente ciò che è senza concetto quale vero e proprio fine del comprendere, e avrebbe la funzione, ND., p. 25 [trad. it., p . 15]. Cfr. sopra, pp. 325, 327. 3 AT., p. 113 [t rad. it., p. 123]. 4 Come alcun altro filosofo del presente, Adorno ha rivolto il suo impegno concettuale non solo all'inter pretazione della musica moderna, ma anche a quella delle epoche passate . Qua le allievo di Alban Berg, ed egli stesso compositore , possedeva degli strumenti adeguati per l'esatta in terpretazione specifica delle opere d'ar te musicali . Le sue riflessioni di fi losofia della mus ica si possono dire rilevanti tanto filosoficamente (o sociologicamente) come musicologicamen_te_._ __ l
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che oltrepassa e supera se stessa, di preparare a «ciò che è essenziale» 5 , pur dovendosi pure distinguere essenzialmente da ciò che è in sé senza concetto e dalla realizzazione artistica di questo. Ciò che è provvisorio, oscillante e (in rapporto al suo telos) paradossale nella filosofia è proprio il fatto che essa s'è affermata, anche nella teoria estetica, attraverso il concetto. Se la filosofia prescrive o usa - in opposizione critica ad una determinazione precipitosa - il concetto, esso è lo strumento nel quale deve compiersi l'interpretazione dell'arte come riflessione su ciò che è senza concetto per essere comunicabile e per poter rinviare in modo plausibile alla di versità dell'arte. «La filosofia, che volesse imitare l'arte, che volesse diventare di per sé opera d 'arte, cancellerebbe se stessa» 6 • La riflessione intorno alla struttura delle opere d'arte musicali deve, proprio per questo, prestare in misura particolare attenzione al fatto che la «logica» 7 - i cosiddetti linguaggio e sintassi - musicale è in generale una logica assolutamente «frao-ile» rispetto a quella filosofica. Sebbene la musica abbia ad ~ggetto proprio ciò che è senza concetto, parlare di un linouaggio e d'una logica della musica è legittimo e produttivo fuori dalla analogia solo se ad essa spettasse un proprio linguaggio ed una logica che siano sovraformati in modo non eteronomo dal linguaggio e dalla logica discorsiva, o modellati su di essa. La struttura che scaturisce dalla premessa di concezioni determinate è leggibile nell'opera d'arte musicale in quanto «logica» di quel tipo. Nel particolare linguaggio e nella particolare logica della musica, tesa a ciò che è senza concetto e a ciò che è l'inesprimibile, Adorno vede l'elemento che l'accomuna alla teologia: «la musica è, rispetto al linguaggio dell'os Denominata o meno con questo ter min e, anche la filoso fia eli Ad orno va in cerca di esso (cfr. sopra p. 324, nota 11 eli p. 320 e nota 22 eli p. 349). Indice d'ogni pensiero realmente «impegnato». Non per ultimo, questo non permette di chiarire proprio la polemica, spesso sin troppo aggressiva, contro il «gergo essenzialista». L'impegno per la realtà non ha, _invero, la sua pro~a né in una fissa zione ideologica né in una costruzione esotenca d'una nuova mitologia (riguardo ad una tale tenden za, da Holderlin sino ad Heidegger: \\'. Brocker, Dialektik, Positivismus, Mythologie, Frankfun 1958, p. 89). 6 ND., p. 24 [taci. it. , p. 14]. 7 Intorno alla metafora che articola questo complesso, cfr.: H .H . Eggebrecht, Musik als Tonsprache, in: «Arch. f. Musikwissenschaft », lR (1961), pp. 73-100. F. Reckow, «Sprachdhnlichkeil» der i'vfusik als terminologisches Problem, Freiburg 1977.
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pinione, un linguaggio di tipo del tutto diverso. In esso è presente il suo aspetto teologico. Ciò che la musica afferma, è nascosto e, ad un tempo , determinato come realtà che si manifesta. La sua idea è la forma del nome divino . È preghiera etimologizzata, liberata dall'incantesimo dell'agire; il tentativo umano, anche vano come sempre, di dar nome, non di partecipare a significati» 8 • Proprio tramite questo linguaggio aconcettuale e, rispetto a ciò che il discorso è, inintenzionale, la musica è, con particolare intensità, espressione del non-identico. Non è, al pari del linguaggio della parola e del concetto, più o meno univocamente determinabile: la sua struttura ha un significato «disordinato», ma nondimeno comprensibile, direttamente traducibile in linguaggio discorsivo. Proprio in questo si mostra l'avversità del non-identico verso un totale trasformazione in concetto: cosa che minaccerebbe di «sostituire» in modo inespresso l'opera d'arte. Il convincimento, condizionato alla dialettica negativa, che l'arte debba fare le veci del non-identico e che proprio in questo si trovi la sua funzione critica rispetto all'esistente, ha nella filosofia della musica, come conseguenza, che Adorno sì interessi proprio a quella musica che sembra più di ogni altra assecondare tale concetto: alla scuola di Vienna tra i moderni, a quegli aspetti della musica del passato che non mettono in mostra una concordanza facile e positiva con ciò che viene conseguito, ma si aprono un varco nella «situazione storica». Ma, con questo, intende anche che un tale tipo di musica, che in misura particolare si opponeva al suo tempo, non poteva contare sull'immediato consenso del pubblico; la cosa, dunque, che è eventualmente in opposizione al suo tempo e nella quale può emanciparsi da esso, o quella cosa che permette di intravedere ciò che già annuncia il futuro. Ma tutto questo deve essere tipologicamente chiarito in uguale misura tanto in
s Quasi una janrasia, Fragment uber Musik und Sprache, p . l l. La somiglianza con Walter Benjamin sarebbe certo da chiarire sulla scorta della concezione del «nome divino», che a Benjamin era nota per ciò che di esso v'è nella cabala, cfr. Ober Sprache, in Angelus Novus, Frankfurt 1966, pp. 9 ss., in particolare 13 ss. [trad. it., pp. 55 ss., 58 ss.]. La filosofia del linguaggio ha, qui, il suo più intimo legame con la fi losofia della religione (con la creazione Dio rese conoscibili le cose nel loro nome ... la natura è «percorsa da un linguaggio muto»; p. 26) .
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Bach, Beethoven o Mahler come nelle opere della scuola di Vienna. Lo sguardo all 'aspetto emancipatorio del non-identico in una musica non ha nulla a che vedere con il modo di dire riduttivo, banale, di colui che afferma: «qui Haydn (ad es.) ha un suono già beethoveniano» . II non-identico in musica s'evidenzia in modo particolare per il suo fondamentale tratto utopico. Qui Adorno, come potrebbe essere delineato, è fedele nella sostanza a Lo spirito dell'utopia di Ernst Bloch . Nella misura in cui spinge verso qualcosa di agognato, di desiderato come possibile - e questa è una concezione che è agli inizi dell'evoluzione del pensiero di Adorno , presente già nel 1928 - la musica di Schubert «registra l'annuncio del mu tamento qualitativo dell'uomo ... Piangiamo senza sapere perché; perché noi non siamo ancora come quella musica promette, e nell'innominata felicità secondo cui la musica ha bisogno d' essere solo in modo d'assicurarci di ciò: che noi un tempo saremo così» 9 • Il > .qualciÀoç ia·n xaì tJ.iaov n<Xnw'i -rò tv, o:u-:ò oì npòç iu.nò 1:0u1:wv oùoàv ~;(
tio, ut vides, ipswn projecto est unitrinum et non alia ratione, quam quia se ipsum definit. 32 Wegmarken, p. 102 [trad. it., p. 42). Nella quarta edizione (Frankfurt 1943) si dice a p. 26: « .. .che l'essere è certo senza l' ente».
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HEIDEGGER
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ridotto la verità all'«esattezza dello sguardo» 33 _ Prima di lui, la verità, per lo meno in un concetto che balena all'improvviso, ma che poi di nuovo si nega, sarebbe stata intesa come un tratto .fondamentale dell'essere, come sua non-ascosità. Ma con Platone sarebbe inizi ata - qui, HeideggEr~-péT ragione diverse, concorda con Nietzsche - la «decadenza» come oblio di essere e verità nel senso di una non-ascosità dell' essere da pensare di nuovo. «D'ora in poi l'impronta dell' essenza della verità come esattezza del rappresentare asserente diviene determinante per l'intero pensiero occidentale» 34 • Il paradigma di questa riduzione , introdotta da Platone, della non-ascosità all' esattezza, o consonanza, di un enunciato è, per Heidegger, la definizione di verità che T~,PI)J..as.o_d' Aquino ha ripreso dalla tradizione aristotelica: véi-itas est adaequatìo rei et intel!ectus 35 , l'adeguazione e la consonanza del conoscere , che si esprimere nell 'enunciato, con la cosa, cioè con l'ente o con il fatto. Che questa definizione di verità come verità dell'enunciato non sia tuttavia «determinante per l'intero pensiero occidentale», lo rende evidente già la determinazione platonica dell 'idea come essere vero o essere in senso proprio; una determinazione che Heidegger respinge a favore di una interpretazione etimologizzante che s'attiene al termine «idea». La conseguenza di questa rimozione è «l'idea come puro apparire nel significato dell'affermazione "il sole appare"»; oppure: l'idea è «ciò che appare» 36 , a cui deve corrispondere la posizione esatta dello sguardo. Sebbene per Platone la riflessione intorno al nesso del conoscere «visivo» con la forma (idea) «sensibile» sia centrale, eglì non ha prop rio negato la verità come tratto fondament ale dell'essere, ma l'ha_co~~epita c~me~ supp?~-~~-~~~ «vedere»; il fatto che «a conseguenza del soggio-
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gamento all' idea» la verità sia diventata «esattezza» 37, occulta un elemento genuinamente platonico presente nel concetto di verità. Un elemento che manca alla tradizione aristotelica. La concezionè platonica di fondo non è caduta nell' «oblio» a motivo dell'interesse di Aristotele per la logica proposizionale, s'è anzi indubbiamente mantenuta ed intensifìcata nel concetto che Plotino ebbe di verità. Tale concetto avrebbe dovuto correggere e mettere in discussione la costruzione heideggeriana della storia di essere ~ .:verità. La concezione plotiniana di verità è, cioè, un paradigma che persuade del fatto che la verità è una caratteristica fondament ale dell'essere ed invero dello stesso essere assoluto, atemporale. Questo essere è ad un tempo pensare, ed il compimento riflessivb-della·-loro- identìtà è la'~entà cfel pensare esistente e dell'essere pensante (voùç). La verità dello spirito come verità dell 'essere non è però il risultato di una coincidenza con qualcosa di esterno a l pensare, ma è «sempre già» l'atemporale autocoincidenza dell'essere con 1- il pensare. Una distinzione tra una cosiddetta verità dell'essere ~ ed una cosiddetta verità dell'enunciato diviene perciò senza sen- · · so: «la reale e pura verità non s'accorda con altri che con se stessa, e null'altro esprime ed è fuor che se stessa; e quello che è, quello , ad un tempo, ella esprime» 38 • La verità come/· caratteristica fondamentale di essere e pensare, come pura autodeterminazione, è anche il fondament:o_del fatto che l'essere nel pensiero di se stesso è trasparente a se stesso (~vo:py~ç whòç · o:u-r(i>) 39 ' o è del tutto rischiarata (o~wpo:v'ij yàp nano:) 40 : la «non-ascosità» tout court esistente in se stessa e a se stessa ri fles sa, nella quale deve superarsi il pensare determinato nel tempo. Una alternativa a questa verità - non vero o falso - non esiste. Una corrispondenza dello «Spirito» plotiniano, come atemporale e riflessiva autocoincidenza, per il contenuto è data in momenti essenziali dal concetto cusaniano di veritas
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33 Platons Lehre von der Wahrheit,
p. 41. !bi, 44, 46: «In quanto non nascondimento, la verità non è più la caratteristica dell'essere, ma è diventata, in seguito al suo soggiogamen to all ' idea esattezza, e· quindi segno della conoscenza . dell'ente». Vom Wesen der Wahrheit · PP~· 6 ss .; Zur Sache des Denkens, p. 76: ad un pensiero nell 'intenzione no r; più «me tafisica» il termi ne «verità» appare inusabilc a causa di una possibile tendenza all'occultamento. 35 Quaestiones disputatae de veritate, I l , C01pus articuli. Sull'origine aristotelica di questa definizione: Gottingische Gelehrte Arzzeigen, 220 (1969), pp. 7, 9-12 . 36 Platons Lehre von der Wahrheit, pp. 34 s.
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!bi, p. 46. P lotino, Enn.,
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