• I
Jacques Derrida
La serillara e la dilierenza Traduzione di Gianni Pozzi Introduzione di Gianni Vattimo
Titolo o...
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• I
Jacques Derrida
La serillara e la dilierenza Traduzione di Gianni Pozzi Introduzione di Gianni Vattimo
Titolo originale L ',"(rittlre et La difference ([) 1967 Editions du Seuil ({~)
I
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I9()O
Giulio Einaudi editc're s. p. a.) Torino ISBN 88~o6~I '473~5
Indice
-,
p,
VII
Derrida e l'oltrepassamento della meta/isica di Gianni Vattimo
La scrittura e la differenza 3
39 8I
99
Forza e significazione Cogito e storia della follia Edmond Jabes e la interrogazione dellibro Violenza e metafisica Saggio sui pensiero di Emmanuel Levinas
I99 2I9
255 299
325
«Genesi e struttura» e la fenomenologia Artaud: la parole soufHee Freud e la scena della scrittura II teatro della crudelta e la chiusura della rappresentazione Dall'economia ristretta all'economia generale Un hegelismo senza riserve
377
La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane Ellissi
385
Indice dei nomi
'359
Derrida e l'oltrepassamento della metafisica
La scrittura e fa differenza e uscito per Ia prillliL'ioJta nel H)'{17, ed e state stampato in questa traduzione nel 1971. Nei vent' anni, pili 0 meno, che sono passati, l' opera di Derrida si e accresciuta, ed e cresciuta anche Ia sua recezione nella cultura contemporanea; il «decostruzionismo» e penetrato Iargamente anche in aree culturali che inizialmente sembravano refrattarie al suo stile e aIle sue tematiche. Sono anche usciti numerosi ottimi Iavori che presentano criticamente il pensiero derridiano; e molti che, in qualche modo, 10 proseguono Una introduzione alIa riedizione de La scrittura e fa differenza non puo non tener conto di tutta questa Wirkungsgeschichte - per usare il termine di Gadarner - cioe della «storia degli effetti» entro Ia quale l' opera, oggi, ci e consegnata. Cia anzitutto significa, probabilmente, che non e il caso di tentare qui una descrizione preliminare del pensiero di Derrida che avvii a una «prima Iettura» deIl'opera. Non si tratta solo del fatto che bisognerebbe comunque far entrare in gioco anche tutto illavoro che l' autore ha compiuto dopo questa libro; 0, all' opposto, tentare di collocarsi nel punto di vista di un ideale <dettore originario», con una operazione ermeneuticamente impossibile. Questa e una difficoltache riguarda ovviamente tutte Ie opere a cui ci si accosta da una distanza temporale rilevante. Cio che pera tocca specificamente Derrida, e rende difficile 0 addirittura impossibile pensare a una introduzione sistematica che «inquadri» quest' opera determinata nell'insieme del suo pensiero, precedente e successivo, e il fatto che, gia ne La scrittura e fa dif /erenza e soprattutto dopo, illavoro di Derrida ha accentuato progressivamente il proprio carattere «decostruttivo», rifiutandosi sempre pili esplicitamente a ogni tentativo di descrizione sistematica. Epersino difficile stabilire una qualunque gerarchia tra i numerosi termini a cui 1.
1 Una bibliografia aggiornata degli scritti di e su Derrida si puo trovare nell'eccellente capitola che a «Gadamer e Derrida» ha dedicato MAURIZIO FERRARIS nella sua Stario dell'ermeneutica, Bompiani, Milano 1988.
VIII
Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
Gianni Vattimo
di volta in volta si applica la sua meditazione: sarebbe arbitrario partire (lalla differenza, dalla scrittura, dalla stessa nozione di decostruzione. Chi ha ascoltato Derrida in Iezioni e seminari, e ha partecipato alle discussioni, sa quanta sia difficile fargli accettare qualunque ricostruzione sistematica del suo pensiero. Spessissimo egli si dichiara frainteso dai suoi interlocutori 1, e cio specialmente quando si cerca di stabilire correlazioni delle sue tematiche con scuoIe, linee di pensiero, mode culturali 0 esigenze spirituali dell' epoca. Nemmeno Ia vicinanza a Heidegger e a Nietzsche, a cui pili spesso, e abbastanza Iegittimamente, i Iettori e commentatori di Derrida pensano quando cercano di «inquadrare», anche a scopi didattici, il suo Iavoro, gli sembra una chiave di Iettura accettabile: del resto, egli comincia con il negare che ci sia una vera continuita tra Nietzsche e Heidegger, e Ii gioca piuttosto, spesso, 1'uno tontro l' altro - con una predilezione per il primo, che pero ein fondo tnotivata principalmente dal fatto che il pensiero di Nietzsche si sot!rae .a qualunque sforza diricostruzionesistematica., edunque un penslero :gia essenzialmente decostruttivo. Forse per questa ragione, molto del Iavoro «critico» che si efatto su Derrida, 0 «a partire» da lui, si esviluppato finora piuttosto come una prosecuzione della sua attivita decostruttiva - molto al di Ia della normale fascinazione a cui soggiace sempre chi si mette a studiare un grande pensatore, finendo non solo per assumere in proprio Ie sue ragioni, ma anche per imitarne 10 stile. Nel caso di Derrida, si etrattato certo anche di questa; con 1'aggiunta, pero, che il contenuto stesso del suo pensiero sembrava determinare precisamente questo atteggiamento come 1'unico possibile, 1'unico «fedele» - giacche farne oggetto di una ricostruzione storico-critica «tradizionaIe» sarebbe apparso come un tradimento. Senza alcuna responsabilita di Derrida, ovviamente, si e venuta COS! moltiplicando una Ietteratura filosofica, e critico-Ietteraria, che molto spesso ha ripreso i caratteri pili superficiali del suo stile, conferendo a non pochi testi, filosofici e non, pubblicati in questi ultimi dieci-quindici anni una oscurita, auraticita, 0 vera e propria illeggibilita (tanto pili paradossale, se si pensa che siamo pur sempre nell'ambito di una «filosofia della scrittura», quale che sia Ia portata di questa definizione), molto Iamentevole perche non di rado si trattava di testi il cui contenuto teorico avrebbe meritato una ben migliore articolazione e possibilita di ricezione. Anche la, spesso Iegittima, irritazione per una
IX
Ietteratura «derridiana» troppo pedissequamente mimetica nei confronti di certi tratti dello stile del maestro entra a costituire l' atteggiamento con cui, oggi, ci si accosta a La scrittura e fa di/ferenza. Questo atteggiamento, e non solo ne principalmente come reazione al «manierismo» di certi derridiani si potrebbe definire, in termini molto approssimativi, «ricostruttivo>;;'Cio di cui sembra (a noi) esserci bisogno oggi nei confronti dell' opera di Derrida, contro alIa tendenza a proseguire (0, spesso, semplicemente a imitare) illavoro di «decostruzione», euno sforzodi-sistemaziolle..che, senza pretendere a tutti i costi di riconoscervi una articolazione teorica forte, per 10 meno Ia interroghi quanto alIa gerarchia interna dei suoi concetti e quanta ai suoi nessi con Ia cultura .e Ia filosofia dell' epoca. Cio non implica necessariamente l' assunzione di una posizione polemica nei confronti di Derrida; solo, il riconoscimento di una dislocazione, nella quale ci troviamo posti per Ia stessa distanza temporale che ci separa daIl' opera (in questa specifico caso, La scrittura e fa differenza) e che Ia porta a noi nel quadro di una complessa «storia di effetti». Di questa storia fa parte sia quello che abbiamo chiamato il «manierismo» di molti derridiani 0 comunque ispirato a Derrida; sia 10 svolgersi del pensiero di Derrida in senso sempre pili accentuatamente (cOS! almeno pare a noi) decostruttivo - anche se, con un movimento che certo contrasta con questa ipotesi, gli scritti recenti di Derrida rivelano l' ampliarsi del suo interesse nella direzione di tematiche, in largo senso, politiche 1; sia, in termini molto pili generali, quello che ci sembra di poter chiamare l'affermarsi dell'ermeneutica, negli anni recenti, come vera e propria nuova koine di una Iarga parte della nostra cultura Quest'ultimo fatto, se etale, impone all' ermeneutica, e anche al pensiero della decostruzione in quanta ne e una componente essenziaIe, una nuova responsabilita, il compito di fornire risposte e non pili soItanto di porre, avanguardisticamente, domande. In effetti, si puo Iegittimamente pens are che l' esigenzaricostrutti~ che si avverte oggi nei confronti del discorso derridiano (che e, insieme, I' esigenza di ricostruire sistematicamente questa pensiero e l' esigenza di collocarlo nel quadro della storia dell' epoca) sia anche Iegata al pili generale tratl101110 - ne.l.tarte e nella Ietteratura, non meno che nella filosofia - dello spirito dell'avanguardia, che, in campo filosofico, ha 2.
1
Cfr.
MAURIZIO FERRARIS,
Derrida 1975'1985. Sviluppi teoretici e/ortuna/iloso/ica, in «Nuova Cor·
rente», n, 31,1984. 1 Si vedano, su cio, varie pagine eli Posizioni, un volume che raccoglie colloqui di Derrida con diversi interlocutori (1972), edizione italiana acura di G. Sertoli, Bertani, Verona 1975.
2 Mi permetto qui di rimandare al mio saggio Ermeneutica nuova koine, in «aut-aut'>, n. 217-18, gennaio-aprile 1987 (ora nel volume Etica dell'interpretazione, Rosenberg, Torino 1989).
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Gianni Vattimo
trovato da ultimo espressione nella «dialettica negativa» adorniana e in molto pensiero radicale francese dei decenni recenti, ivi compreso il decostruzionismo derridiano. Avanguardistico e il «modello» del coup de des mallarmeano, che Derrida richiama molto spes so " e che e uno sfondo costante di tutto il suo modo di concepire e praticare Ia filosofia. Ma quando, come ormai e accaduto anche per effetto della ricezione dell' opera di Derrida, questa avanguardia diventa «ortodossia» (seppure accademicamente ancora debole in Francia, come Derrida spesso privatamente Iamenta; ma certo Iargamente affermata ed egemone quanta aIla diffusione dei suoi testi e delle sue tematiche in tutta Ia cultura, anche accademica, europea e americana), aIlora essa si trova confrontata con richieste in quaIche sen so «sistematiche », ci si aspetta che fornisca risposte, tesi, non soIp, provocazioni e domande. LTutto cio per dire - con Ie cautele preparatorie che il soggetto richiede, e che del resto egli stesso mette in opera nell' avvio di molti suoi saggi, anche in quelli contenuti in questa volume -che proprio Ia ricezione e Ia diffusione che ha avuto il decostruzionismo (usiamo qui, in modo del tutto provvisorio e approssimativo, questa «etichetta» per indicare il pensiero di Derrida) nella cultura attuale sembra giustificare oggil'esigenza di ricostruire Ia decostruzione; 0, evitando il bisticcio, potremmo dire l' esigenza di « secolarizzarla», non solo togliendola daIl' atmosfera auratica in cui inevitabilmente il suo aspetto di coup de des tende a collocarla (c'e sempre qualcosa di «geniale» nelle scelte deco~truttive di Derrida, almeno nel deliberato cominciare senza «introdu~ione», senza Iegittimazione argomentativa esplicita); rna anche, pili semplicemente, collocandola nel secolo, provando a domandarsi come risponde a richieste, aspettative, esigenze che in qualche modo (e sia pure con tutta Ia problematicita che il Derrida di oggi non mancherebbe di rimproverare a un simile concetto) si annunciano nella nostra epoca. Per quanta dunque consapevoli dei rischi che I'impresa comporta, riconosciamo I'esigenza ricostruttiva come un tratto determinante della stessa fortuna attuale (0 Wirkungsgeschichte) della decostruzione; e, aIla Iuce di tale Wirkungsgeschichte, riassumiamo questa esigenza nella questione su Derrida e l' oltrepassamento della metafisica. Questa domanda, se anche non condurra, almeno qui, a una soIuzione del problema ricostruttivo nei termini ampi e articolati che meriterebbe, aiutera alme, Cfr. per esempio vari saggi contenuti ne La disseminazione (1972), trad. it. a cura di S. Petrosino, Jaca Book, Milano 1989 (per esempio pp. 95, 299); e efr. I'insistenza suI gioco nella conferenza su La dif jerance (1968), contenuta in Marges de la philosophie, Minuit, Paris 1972.
Derrida e I' oltrepassamento della metafisica
XI
~o ~d avvia~e e 'prep~rare, 0 anche solo a giustificare pili ampiamente, 1 eSl?enza d~ cm p~rhamo. La scelta di questo tema specifico per ricos~rulre Derr~da ha vantaggio di collocarlo nel quadro di quelle filosof~e ch~, quall che SIano poi Ie specificazioni, gli sono comunque pili vi~ne. E d:I resto anche Ia domanda con cui egli si misura in quella sorta dl opera maugurale che e Ia prima parte di Della grammatologia'. Di «oI~repassamento della metafisica», come si sa, ha parlato soprattutto Heidegger - rna al di Ia di lui Ia questione, nel senso in cui concerne anche Derrida, e comune a pen sa tori come Nietzsche, Levinas Foucault, ai quali Derrida si richiama esplicitamente; e a filosofi che ~li sono per tanti aspetti affini, come Adoroo'. Nell' assumere quasi come scontato il compito, per il pensiero, di 01t~epassare Ia metafisi2-.che sono scritti dagli uomini; non solo: IDa questa persistente idea di una inferiorita dellibro scritto dall'uomo si riverbera anche nella subordinazione del singolo segno alia totalita del libra, che permette di capirne il vero senso; e che dunque rappresenta ancora sempre l' espressione di un predominio della presenza, nella £ormaaella totalita, fosse pure solo Ia totalita di un sistema disegni scritti. Contro l'idea dellibro come «protezione enciclopedica della teologia e Hellogocentrismo », bisogna Iasciar agire «1' energia dirompente, afori~tica della scrittura» (G 2 I). (In fondo, si puo ricordare qui solo di passaggio, nell'idea di una verita aforistica della scrittura, contro la totalita dellibro, si cela unodei puntidi contrasto di Derrida con Heidegger: Ia concezione che quest' ultimo, e poi forse il suo discepolo Gadamer, hanno dell' essere come Ueber-lie/erung, tradizione-trasmissione di messaggi Iinguistici scritti, e ancora Iargamente improntata al modello del libro). La prospettiva dell' emergere della scrittura, dalla quale Derrida fa specificamente l' esperienza della chiusura della metafisica, determina anche il suo modo di pens are l' essenza della metafisica stessa. Il nascondersi dell' essere mentre fa apparire gli enti, che in Heidegger e un concetto assai difficile da spiegare, e che si e sempre tentati di illustrare e
XIX
iustificare con l'indebitoricorso a metafore £otologiche (per Ie quali il elarsi dell' e.s. sere e com~ il ce!arsi ?ella fonte di Iuce, che proprio co sf asciavederele cose cheillUlllina) SI connota..(anche se, ancora una volta, non si «spiega») in Derrida come il fatto dell'istituirsi d~'origi~e che immediatamente si da come origineprima, nascon4endo il proprto carattere di istituzione e, in definitiva, di iscriziane. E Iecito, e forse inevitabiledomandarsi se anche qui siamo in presenza di una metafora (come quella fotologica che domina e caratterizza Ia metafisica): .~fgia dasempre in essa, la ripetizione finalmente avvertita, e portata finalmente aIle dimensioni della cultura mondiale, di una sorpresa di proporzioni diverse da ogni altra da cui prese Ie mosse quello che viene chiamato il pensiero occidentale; questa pensiero il cui destino consiste tutto neII'estendere il suo regno, a mana a mana che l'Occidente riduce il suo. Nella sua intima intenzione e come ogni interrogazione suI linguaggio, 10 strutturalismo sfugge dunque a quella storia classica delle idee che ne presuppone gia la possibilita, che appartiene in-modo irigenuo alIa sfera dell'interrogato ed e proferita in essa. Tuttavia, per tutta una zona che in esso e irriducibile di irriflessione e di spontaneita, per l'ombra essenziale del non manifesto, il fenomeno strutturalista dovra essere pres~ in esame dallo storicodelle idee. Bene o male. Sara necessario prendere in esame tutto quello che in questa fenomeno non e trasparenza di per se della interrogazione, tutto quello 2
1 Nell'Univers imaginaire de Mallarme (Ed. du Seuil, Paris 1961 p. 30 nota 27) J.-P. Ri. chard difatti, scrive: «Saremmo lieti se iI nostro lavoro potesse offrir~ qualche nuovo materiale per quella storia futura dell'immaginazione e della sensibilitii, che non esiste ancora per il XIX secolo, rna che ctrto dovrii portare avanti Ie ricerche di Jean Rousset suI barocco, di Paul Hazard suI XVIII secolo, di Andre Monglond suI preromanticismo». 2 d'truttura - nota Kroeber nella sua Anthropology (Harcourt, Brace and World, New York 1948, p. 325) - sembra non denatare altro che I'indulgenza di fronte ad una parola dalla significa. zione perfettamente definita rna che improvvisamente assume, per una deeina d'anni, una seduzio· ne di mcda - allo stesso modo ehe la parola "aerodinamica" - e in seguito tende ad essere appli· eata indiscriminatamente nel periodo che resta in voga, per I'attrattiva delle sue consonanze », Per afferrare la profonda necessitii che si eela sotto iI fenomeno, d'altronde incontestabile, della moda, bisogna operare dapprima per «via negativa»: la scelta di questa parola e, da principio, un insieme - certamente, strutturale - di esclusioni. Sapere perche si dice «struttura» e sapere perche si vuole smettere di dire eidos, «essenza», «forma», Gestalt, «insieme», «composizione», «com· plesso~), «costruzione», «correlazione», «totalita», «Idea», «organismo», «stato», «sistema», ecc. Bisogna comprendere perche mai ognuna di queste parole si sia rivelata insufficiente, rna anche perche la nozione di struttura continui ad attingere da esse a!cune significazioni implicite c a lasciarle soprawivere in se.
Forza e significazione
5
che, nelI'efficacia di un metodo, implica quel genere di infallibilita che si suppone nei sonnambuli e che in passato si attribuiva alI'istinto, asserendo che era tanto pili sicuro quanta pili cieco. La dignita di quella scienza umana che e chiamata la storia sta fra l'altro, nel privilegio che Ie compete di interessarsi, negli atti e nelle istituzioni dell'uomo, dell'immensa regione del sonnambulismo, di quel quasi-tutto che non e il puro stato~cli,;.X~.8.~La, l'acidita sterile e silenziosa deIl'interrogazione stessa, il.quasi-nictJ1P. Poiche viviamo nella fecondita strutturalista, e troppo presto per eccitare il nostro sogno. Dobbiamo immaginare in esso quello che poirebbe significare. Forse domani 10 si potra interpretare come un rilassamento, se non un Iapsus, nell>attenzione aIla forza, che e tensione della forza stessa. La"forma affascina quando nonsi ha pili Ia forza di cpmprendere Ia forza iictsuo interno. Cioe di creare. Ecco perche'Ia critica Ietteraria e strutturalista in ogni epoca, pel' essenza e destino. Essa non 10 sapeva; incomincia a capirio ora, e pens a se stessa in quanta concetto, in quanto sistema e in quanta metodo. Sa ormai di essere separata dalla forza e si vendica, taIvolta, dimostrando'con protondita e serieta che Ia separazione e Ia condizione dell'opera e non soltanto del discorso sull'opera '. Si spiega in tal modo Ia nota profonda, il pathos malinconico che e possibile cogliere attraverso Ie grida di trionfo del1'~g~.!1gsita tecnica 0 della sottigliezza matematica che talvolta accompagnano certe analisi cosiddette «strutturaJi». Come Ia malinconia per Gide, tali analisi non sono possibili che in seguito a una certa sconfitta , SuI tema della separazione dello scrittore, efr, in particolare iI cap. III dell'Introduzione di ]. Rousset a Forme et signification (Corti, Paris 1962). Delacroix, Diderot, Balzac, Baudelaire, Mallarme, Proust, Valery, H. James, T. S. Eliot, V. Woolf sono chiamati qui a testimoniare che 1a separazione e esattamente I'opposto dell'impotenza critica. Insistendo su quest. separazione tra I'atto critico e Ia forza creatrice, non facdamo che segnalare I. pill banale necessitii d'essenza ~ al· trC
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e,
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pura e la Critica del giudizio, malgrado Ie differenze, ci parlano della . stessa immaginazione. Arte,. certo., rna «arte nascosta» che non si puo «esibire patentemente dinanzi agli occhi» '. «L'idea estetica si puo chiamare una rappresentazione inesponibile dell'immaginazione (nel suo libero gioco)>> 3. L'immaginazione e la liherta che non si manifesta _se n()n nelle sue op~re. Queste ultime non sonol nella natura rna non stanno in un altro mondo dal nostro. «L'immaginazione (come facolta dicorioscere produttiva) ha una grande potenza nella creazione di un' altra natura daIla materia che Ie fornisce 1a natura reale» '. Ecco perche l'intelletto non deve essere 1a facolta essenziale del critico, quando esso si accinge al riconoscimento delI'immaginazione e del bello, quello che noi chiamiamo bello, e «in cui l'intelletto sia a servigio dell'immaginazione e non viceversa» 5. Perche appunto «la liberta dell'immaginazione consiste nello schematizzare senza concetto» 6. Questa origine enigmatica dell 'opera come struttura e unit a indissociabile - e come oggeito della critica strutturalista - e, secondo Kant, la prima cosa sulla quale noi dobbiamo portare la nostr~ attenzione.'. Co sf anche per Rousset. Fin dalla prima pagina, egli coIlega «la natura del fat to letterario», sempre interrogata insufficientemente, «al ruolo neII'arte di questa funzione capitale, 1'immaginazione», a proposito della quale «abbondano Ie incertezze e Ie opposizioni». Questa nozione di una immaginazione che producelametafora - cioe tuttonellinguaggio, fuorche il verbo essere - resta per i critici quello che alcuni filosofi chiamano oggi un cO}!cet~Qg'pe?:.'1.tJ.vo i1}R~nuamente utilizzato~ Superare questa, ingenuita f~~f.1ica, vuol dire riflettere il concetto operativo come con~~tto temq:', tiCQ~ Proprio questa sembra essere uno dei progetti di Rousset. Per riconsiderare pili da vicino l'operazione deIl'immaginazione creatrice, bisogna percio rivolgersi alI'interno invisibile della liberta pg~tic~l. Bisogna distaccarsi per raggiungere nella sua notte l'origine cie