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Léger-Marie Deschamps UN'UTOPIA SENZA DOMENICHE 2003 Traduttore: Roberto Canonici ****************************** Libreria Dell'Orso Collana :Traduzioni Tit. orig.: Observations morales ISBN: 88-7415-007-5 ************************** Un'utopia senza domeniche Epistola ai miei simili gli uomini Dell'enigma della Natura accettate Voce e preziosità: quel che la voce sottrae per sempre alle divinità, voi lo guadagnate oltre misura; e tutto quello che ci perde la legge, quel turpe freno da cui questa voce vi scioglie, i vostri costumi, liberàti dal giogo di chiese e regge, lo guadagnano senz'altre doglie. I - La felicità dell'individuo non può realizzarsi senza la felicità degli altri. Ogni uomo è legato al patto sociale contratto coi suoi simili, così come la freccia della favola è legata alle altre due: che dire del benessere, della sicurezza nel corso della vita, delle sue difese contro ciò che può nuocergli, della sua stessa felicità, se non ricordare che gli derivano dal vivere all'interno di una società? Ma non è sufficiente rendersi conto di tali vantaggi; è necessario che la sua condizione sociale non gliene faccia desiderare una diversa, e men che mai lo spinga ad augurarsi di vivere da solo; è necessario che questi vantaggi siano reali e visibili; senza di questo tale condizione si riduce a cosa buona di per sé, ma passibile di produrre più danni che vantaggi, se mal interpretata.1 La felicità dell'individuo non può realizzarsi senza la felicità degli altri: si tratta di una verità tanto convenzionale quanto per noi sterile, almeno fino a quando la nostra condizione sociale poggerà sugli stessi fondamenti attuali; fino a quando ignoranza, disegua-glianza morale e proprietà ne saranno i princìpi costitutivi. È a causa di tali sventurati princìpi che non siamo in grado di produrre che particolari modelli di società, uno più sballato dell'altro; che non facciamo altro che approfittare del legame che ci tiene uniti per perseguitarci e distruggerci l'uno con l'altro, cittadino contro cittadino, nazione contro nazione; e che invece di adottare la ragione prima e seconda, cerchiamo di autoregolarci con sistemi fasulli, coi dogmi più assurdi, le favole più ridicole e le leggi più tiranniche.2 II - Solo un libro come questo può traghettare gli uomini dallo stato legale allo stato etico. Tale libro, esaurito il proprio compito, sarà buono soltanto, come tutti gli altri, a qualche utilizzo pratico, come scaldare un forno. Solo col tempo la verità, sviluppandosi e manifestandosi, potrà farsi valere e
dissipare le nebbie che l'offuscano, rischiarare tutta la terra e sostituire l'etica a quelle leggi che avrà annichilito. Proviamo a trasferirci in questo tempo ideale e vediamo come apparirà allora la società degli uomini. Tuttavia è opportuno sottolineare che non è attraverso un paragone con il modo in cui noi pensiamo e viviamo attualmente che si può intuire qualcosa su come dovremmo pensare e vivere; trattandosi di una prospettiva così semplice che, di per sé, non fornisce neppure argomento di discussione. Lingua e costumi saranno sufficienti per mettere i bambini al riparo da ogni impressione assurda, per impedire che la limpidezza della loro immacolata intuizione venga appannata, e di conseguenza che in seguito ci sia bisogno - come invece avviene oggi per noi - di spazzare via quel nugolo di false credenze che ci condiziona. Sarà bene tuttavia trasmettere loro la conoscenza dell'origine del male e del bene fisico;3 ma senza l'aiuto dei libri, dal momento che non sarà più necessario assoggettarli al compito importuno e faticoso di imparare a leggere e a scrivere. Una volta pervenuti allo stato etico noi saremo tornati ad essere, senza bisogno di schiavitù né di guerre, più o meno quello che eravamo prima dell'invenzione delle arti liberali, prima che gli uomini fossero andati oltre all'uso di ciò che è utile e pratico, cadendo negli eccessi visibili sotto ogni riguardo. La vita al tempo dei patriarchi è l'esempio più consono, per quanto ancora imperfetto, della condizione di vita in cui ci troveremo allora. Sarà necessario, per arrivarci, non soltanto bruciare i nostri libri, titoli e carte, ma perfino distruggere tutto quello che siamo soliti chiamare le belle produzioni dell'arte. Il sacrificio, senza dubbio, sarà grande, ma inevitabile: a qual fine dovremmo lasciare sussistere monumenti che non avrebbero più alcuna funzione e che, testimoniando ai nostri discendenti la nostra intelligenza, sarebbero prova concreta della nostra follia? e che sarebbero inoltre di danno rispetto all'obbiettivo, utilissimo per loro, di allontanarsi in ogni modo dai nostri costumi? Con questo vado contro alle idee di quella parte di umanità che pretende di essere la migliore, quelli che si definiscono saggi e sapienti, una modesta porzione di uomini che, distinguendosi da quella massa sulla quale domina e dalla quale deriva la sua stessa sussistenza, lussi e comodità, si ritiene autorizzata a ritenere le proprie opinioni in tutto superiori a quelle del volgo: ma niente può obbiettare rispetto a quanto sto accertando, e il sacrificio di cui parlo non è che la naturale conseguenza. Più ci si pensa e più ci si rende conto che i nostri stessi libri di fisica e di metafisica più celebrati, così come tutti gli altri, hanno un senso solamente in assenza della verità, a causa della nostra intrinseca ignoranza e dei suoi tristi effetti; in realtà non avremo alcun bisogno di loro in uno stato etico, dal momento che l'esperienza dei padri sarà, come accade nelle botteghe artigiane e nei campi, un libro sempre aperto per i bambini, a tale punto che ciascuna pratica, via via che si perfeziona, non avrà certo bisogno di essere scritta per la sua trasmissione. I nostri libri, per dirlo chiaro una volta per tutte, richiedono un solo testo, quello che prova la loro inutilità e l'inutilità di sé medesimo, una volta che gli uomini l'abbiano capito; e un testo simile, non potendo esistere che per loro, produce come risultato che non possiamo impadronirci delle conoscenze che ci mancano se non per mezzo delle conoscenze assurde e superflue che lo hanno preceduto. Avrei mai potuto meditare e produrre riflessioni simili senza tutto quello che ho visto, che ho letto e che ho capito di contrario alla dritta ragione, senza tutte le contraddizioni che ho percepito nei nostri modi di pensare e d'agire? Gli uomini non sono d'accordo su niente di essenziale, neppure sulla loro intelligenza e sulle loro scoperte, di cui pure menano gran vanto. C'è una cosa, tuttavia, sulla quale generalmente si trovano d'accordo, ed è la consapevolezza della loro ignoranza e della loro infelicità; e in effetti, nella condizione in cui vivono, non può essere che così. Si è creduto di potere supplire all'ignoranza reale in cui ci si trova per mezzo di esperienze e osservazioni di varia natura, grazie alla geometria più sublime,
all'erudizione più ampia, allo studio più ostinato di arti e scienze; ma si tratta di un errore grossolano, dal momento che è evidente che tutto questo, che ci dà una così grande e falsa idea di noi stessi, non ha potuto trovare spazio che a causa di quest'ignoranza, e che non servirà più a niente una volta che saremo riusciti a vincerla.4 III - Un'esistenza fisica felice. A cosa si riducono i bisogni ragionevoli dell'uomo, se non a costruire una società sicura assieme ai propri simili, avere un ricovero sano e grazioso, dove sia possibile e semplice tanto l'attività che il riposo, essere moderatamente occupati - e giammai pressati! - in lavori utili, avere di che nutrirsi, qualcosa per vestirsi e qualcuno assieme al quale gioire? Tutto quello che va al di là di questi bisogni, così come tutti gli accorgimenti che inventiamo per soddisfarli, è un superfluo che ci opprime. Se è vero che la vita degli uomini, un tempo, è stata così lunga come è stato scritto, di sicuro la causa principale risiede nella semplicità dei costumi e del sistema di vita; eppure, quanto lontana è ancora quella semplicità da quello che dovrebbe essere! Una volta arrivati allo stato etico, aboliti comandamenti e obbedienza, trascorreremo l'esistenza nell'abbondanza del necessario, senza più distinzione tra tuo e mio, laboriosamente senza fatica, comodamente con poca spesa, frugalmente senza disgusto, voluttuosamente senza sazietà, con una vita sana senza medicine, a lungo senza caducità, amichevolmente senza legami particolari, in modo sociale senza timore degli altri, senza bisogno di quei perfidi sotterfugi così ricorrenti nelle nostre società; uniformemente senza noia e tranquillamente senza inquietudine né alcuna pena spirituale, senza il timore di disillusioni per la nostra condizione, senza paura di stare meno bene, senza desiderio di essere migliori, senza bisogno di provare invidia, vista l'uguaglianza che regnerebbe, per la sorte dei nostri simili. Ci occuperemo della natura quel tanto che basta per le cose indispensabili, per ciò che ci è davvero utile, e anche in quel caso ce ne occuperemo limitatamente alle cose a noi più vicine, più facili e più consone al nostro stile di vita. Ognuno di noi darà il suo contributo per i bisogni comuni della società, unico oggetto delle nostre occupazioni, e ogni attività sarà pressappoco ripartita in maniera analoga per ciascuno, dal momento che si tratterebbe di occupazioni semplici e nient'affatto complesse. Ogni uomo sarà capace di fare tutto e disponibile per passare da un lavoro ad un altro, di modo che la folle e funesta divisione in diverse condizioni non avrebbe più ragione di essere, neppure per le condizioni utili. Non ci sarà più motivo di gioire dei piaceri e dei vantaggi che ci allietano, nel nostro stato incivilito, se non per la follia medesima di questo stato; non si proveranno più quelle impressioni teatrali che ci conducono allo stato convulsivo del riso e del pianto,5 di quelle forti passioni che ci snervano, facendoci gioire in eccesso; non si potranno più gustare le sensazioni vive, ma del tutto effimere, di un amante felice, di un eroe vittorioso, di un'ambizione soddisfatta, di un artista arrivato , di un avaro che contempla il suo tesoro, di un nobile tronfio per titoli e nascita; non ci sarà più posto per donne adorabili, per palazzi superbi, per magnifici arredi, giardini incantati, parchi, viali immensi, mete ricercate, gioielli preziosi, carri trasparenti ecc., cose che producono assai meno la felicità di chi le possiede rispetto all'infelicità di tutti quelli che ne sono privi. Ma tutti questi vantaggi e queste gioie fattive che non rientrano nell'insieme dei veri bisogni dell'uomo, e che per ciò stesso portano poi con sé disgusto e inconvenienti, saranno compensati da gioie e vantaggi assai più reali, assai più durevoli e di tutt'altra qualità. Né d'altronde ci sarebbe motivo di soffrire per la loro mancanza, dal momento che non ne avremmo la più pallida idea. IV - Amore e lavoro. Gli uomini, nello stato etico, non saranno divisi in famiglie come facciamo noi, e
i figli non saranno i figli specificamente di un uomo e di una donna, ma dell'intera famiglia che racchiude ogni abitazione naturale dell'uomo, vale a dire il villaggio. Ciascuno vedrà nei propri simili degli uguali, uomini a cui la società non concede né di più né di meno che a loro stessi. Non potrà quindi trovare spazio alcuno l'ambizione, né la gelosia né la rivalità,6 ma neppure l'odio o quei crimini che derivano di necessità dalle disugua-glianze. Non si potrà avere occhi che per il bisogno di cooperare al bene dei propri simili, di operare per sé operando contemporaneamente per gli altri, di dividere fra tutti i lavori utili alla società. Le donne, per dirlo ancora una volta, saranno per gli uomini quello che gli uomini saranno per le donne: un bene comune, senza che ne possa mai derivare il minimo inconveniente, la minima frattura; perché solo in caso contrario questo si può verificare, quando i concetti di tuo e mio si concretizzano al riguardo: è allora che imperversano tutti gli inconvenienti di cui la storia di ogni tempo e di ogni luogo trabocca, inconvenienti a cui siamo così abituati che neppure ci facciamo più caso. Naturalmente, per immaginarsi il reale vantaggio di una comunione delle donne, per rendersi conto di quale straordinario strumento di pace e di unione sarebbe per noi, non si può certo guardare al mondo come è adesso, ma vederlo in prospettiva, così come si realizzerà quando saremo in grado di formare una comunità del genere; non una comunità come questa, fondata sul tuo e sul mio, ma esattamente all'opposto. Non sarei capace neppure d'immaginare, e tanto meno di descrivere, tutta la follia che uno stato legale produce in relazione agli istinti amorosi, e proprio a causa dei freni che è costretto a mettere a tali istinti. Solo la difficoltà di immaginazione può rendere poco credibile l'idea che possa esistere una società in cui il desiderio di soddisfare i normali appetiti amorosi sia più difficile o problematico del nostro bisogno di mangiare, di bere e di dormire. Si sarà sempre portati a pensare che gli uomini si disputeranno le donne nello stato etico così come nello stato legale o in quello selvaggio; e tuttavia, quanto più plausibili sono le ragioni apparenti che portano a pensarlo, tanto meno risultano reali. E posso dire altrettanto di tutti i beni della terra. Ma perché arrivo a pensare, in relazione alla forza dell'apparenza riguardo alla proprietà, che sia poco ragionevole per noi farci sopra un grande affidamento? Perché lo stato selvaggio e lo stato legale, i soli di cui abbiamo percezione, sono a tale proposito in netto contrasto con lo stato etico. La comunione delle donne è la conseguenza logica della catena dei costumi che hanno il loro fondamento sulla rovina del tuo e del mio, così come l'assenza di comunione è la conseguenza logica del fondamento contrario. Sarebbe proprio una bella mancanza di logica, dato che si tratta di distruggere il concetto di tuo e di mio, e di conseguenza ogni legge, fare un'eccezione per le donne! Le donne sono fatte per procurarci la gioia più facile, per soddisfare uno dei nostri appetiti più vivi, di sicuro il più naturale, per perpetuare la specie, per vivere assieme e per concorrere, per quanto possono e per la loro stessa soddisfazione, non più a dividerci (come hanno sempre fatto), ma ad unirci gli uni con gli altri! Da questa unione nascerebbe quello che manca, dal momento che le donne sono disunite tra di loro proprio per il fatto che sono loro che ci dividono. Il loro lavoro sarà diverso da quello degli uomini, ma vivranno tutti assieme e in comune sotto lunghe tettoie di grande solidità e ubicate dove preferiscono, dal momento che potranno limitarsi ad abitare i luoghi migliori della terra. Ciascuna di queste lunghe tettoie, con quelle destinate al bestiame, con i granai e i magazzini, andrebbero a formare, sia sulle rovine delle nostre città che nelle nostre campagne, quello che chiamiamo villaggio, e tutti i villaggi si aiuteranno a vicenda in ragione della loro vicinanza; avranno cose in comune tra di loro, come mulini e ferriere, senza incorrere mai nella minima contestazione sulle competenze, né su qualsiasi altra cosa. In effetti, che materia di contestazione ci potrebbe mai essere in uno stato di uguaglianza, dove gli uomini avrebbero a disposizione e in abbondanza tutto quello che serve per dare risposta ad appetiti e bisogni, perfino quelli meno ragionevoli dell'animalità, ma anche per condurre una vita assai comoda ma senza mollezze? Lì un uomo non avrebbe niente da invidiare ad un
altro uomo; le donne, senza dubbio più sane, più formose, più a lungo giovani, procureranno senza alcun mistero (senza per questo perdere la reputazione) e non più ad uno che ad un altro, una gioia sempre facile e sempre rinno-vabile. Ciascuno avrà preferenza naturale per il proprio villaggio natale e per la comunità che lo compone,7 con un tale grado di coesione che a nessuno potrebbe venire in mente di allontanarsene per un altro, perfino nel caso in cui si fosse in presenza di qualche piaga o fosse stato rimosso qualche membro, dal momento che simili accidenti non si potrebbero verificare che per sbaglio. V - Basta che uguaglianza morale e comunità dei beni trionfino su disuguaglianza e proprietà per spazzare via dal mondo tutti i vizi morali che la fanno da padroni. Non ci sarà bisogno di culto né di subordi-nazione, né di guerra o di politica, giurisprudenza e finanza, esazioni e commercio, frode e bancarotta; perfino dei giochi non ci sarà bisogno, né furti o assassinii, male morale o leggi penali. Ogni passione fittizia, senza alcuna eccezione, tutti i gusti depravati e le follie di ogni genere saranno sconosciuti; invece gli appetiti naturali, sempre saggiamente temperati, non oltrepasseranno mai i confini che la ragione, la salute e la durata dei nostri giorni prevedono di prescrivere. Il nostro modo di autogovernarci sarà in tutto simile a quello che verrebbe adottato da uomini e donne illuminati dalla verità e trasportati su di un'isola deserta o in una terra disabitata, avendo a disposizione quello che serve per la loro sussistenza. Proviamo ad immaginarceli, questi uomini e queste donne così trasferiti; scopriremmo a vista quanto sono diversi da quel che erano obbligati ad essere prima e vedremmo con quanto ardore abiurerebbero, in tutto simili al giovane Ottentotto della storia, le nostre leggi, i nostri costumi e le nostre usanze. Tali diventeremmo, tanti quanti siamo, se la verità si manifestasse. Immaginiamo anche i discendenti di una simile comunità; li vedremmo in tutto simili a quello che avremmo potuto essere noi, se i nostri padri fossero stati rischiarati dalla luce della verità. È chiaro che ci sarebbero di necessità delle differenze tra questi uomini e i loro discendenti, visto che l'attuale condizione sarebbe in maggior misura annientata e dimenticata rispetto a loro, che al contrario vi sono nati e vi hanno vissuto. Tuttavia, quale gioia per questi uomini e queste donne ragionevoli, potendo raffrontare libertà, tranquillità, sicurezza, coesione e uguaglianza di cui godono adesso alla precedente condizione di schiavitù, alle discordie, inquietudini, pene spirituali, fram-menta-zione e disuguaglianza in cui vivevano! È lo stesso paragone che si può fare con il piacere di un uomo libero o convalescente dopo essere stato a lungo in carcere o su un letto di dolore; si tratta dello stesso tipo di piacere. Qualcuno potrebbe obbiettare che tutto questo non funziona se applicato ai grandi della terra, ai felici di questo mondo; ebbene, io so che ci sono dei grandi sulla terra, ma chi sa indicarmi i felici? E anche ammesso che ce ne siano, li troveremmo tra i grandi? Senza dubbio, secondo i nostri parametri, ci sono uomini nati con la camicia, a cui il mondo sembra sorridere; ma è certo che la loro felicità la giudichiamo in confronto con quella degli altri uomini, non con quella che potrebbe scaturire da un vero stato sociale. Non si trova nessuno che, dopo avere gustato di tutto, non riconosca la vanità della gioia, che non sia costretto ad ammettere la triste verità, cioè che nella vita per un momento di piacere si paga il conto di lunghi dolori, che le pene sopravanzano di gran lunga le gioie. VI - Nello stato etico tutti i giorni si assomiglieranno. Nello stato etico ognuno seguirà le proprie inclinazioni, che saranno però sempre subordinate alla dritta ragione e conformi all'armonia della società. Sarà un regno di totale fiducia; non ci sarà spazio neppure per la discrezione o analoghe virtù, dal momento che tali virtù esistono solo per la presenza del vizio che vi si oppone, per gli scarni rapporti che intercorrono tra di noi, per la totale diffidenza nella quale siamo costretti a vivere. Una tale diffidenza costringe tutti ad indossare una maschera sul viso, ci tiene senza sosta in costrizione e a disagio, proprio per la costante contraddizione tra le nostre inclinazioni e le
nostre regole. Quella legge che noi chiamiamo naturale sarebbe semplicemente quella legge sociale che abbiamo sempre intravisto senza mai metterla a fuoco:8 una legge d'uguaglianza e d'unione alla quale una sana riflessione metafisica ci conduce, che è richiesta sia dall'interesse particolare che da quello generale, dalla quale non ci possiamo allontanare senza con questo allontanarci dalla felicità, senza dare spazio al male morale. Senza altre leggi che questa (una legge del tutto diversa dalle nostre, in quanto risultato dell'applicazione della dritta e sana ragione sociale) tutti i giorni si assomiglieranno. Gli uomini si alzeranno e si coricheranno tranquilli, sempre contenti di loro stessi e dei propri simili, ognora soddisfatti della loro condizione, una condizione che in breve produrrà grandi gioie, nonostante i costumi e le abitudini che abbiamo contratto, visto che si protrarrà dall'oggi al domani. Voglio dirlo ancora: è precisamente questo che intravediamo come massimo desiderio, quello di cui avvertiamo la mancanza e che inconsapevolmente assumiamo come termine di paragone quando diamo della nostra condizione un giudizio così negativo, definendola depravata, quando ce ne lamentiamo, la malediciamo: cosa che tutti facciamo più o meno, chi ad alta voce chi fra sé e sé.9 VII - I bambini non apparterranno che alla società. I bambini, educati ben diversamente dai nostri nella prima infanzia e molto meno seguiti, compiranno da soli il loro percorso d'istruzione, una volta staccati dal seno delle nutrici; impareranno la sapienza della manualità senza bisogno di altra tecnica d'apprendimento che l'esempio; e non ci sarà opera utile, perfino le operazioni chirurgiche, che ciascuno d'essi non sappia portare a compimento e compia adempiendo alle necessità richieste dalla società. La società: non conosceranno che lei e a lei sola apparterranno, unica proprietaria; e nasceranno, senza possibile dubbio, più sani, più robusti, meno omicidi della loro madre e più inclini ai veri costumi di quanto nasciamo noi.10 Le donne, che avranno latte senza bisogno di essere incinte, metteranno a disposizione il loro petto indistintamente, senza preoccuparsi di sapere se si tratti del figlio loro; dal momento che l'esclusione che ha luogo sotto questo aspetto nello stato selvaggio si verificherebbe ancora meno nello stato etico che in quello legale, dove donne mercenarie danno nutrimento ai propri figli e a quelli di madri che, pagando, se ne risparmiano la cura e la pena. Madri di questa natura certo non ce ne sarebbero più, dato che ciascuna sarebbe nutrice tanto di bambini che di anziani, che si fortificheranno, che grazie a quel latte addirittura ringiovaniranno. Ma come, potrebbe dire qualcuno, una madre che non si appropria dei figli? No; che bisogno c'è di una simile proprietà (del resto spesso punita da parte degli stessi figli) dal momento che non ci sarebbe bisogno di unioni particolari, di famiglie a sé stanti, che tutto sarebbe in comune e che ogni madre potrebbe trovare in tutti i bambini quello che desidera trovare nei suoi quanto a gioia, amicizia e amore per lei stessa?11 VIII - Lavoro e riposo. Gli uomini, così come io me li immagino, vivranno amorevolmente in società, in ragione del fatto che migliorerebbe la loro condizione proporzionalmente alla loro unità. Il gusto di vivere appartati, per conto proprio (un gusto che spesso, presso di noi, trova adepti, a causa della pochezza d'unione, d'armonia, di rapporti e d'interesse che la nostra società riesce a sviluppare), non avrebbe più alcuna ragion d'essere e quindi scomparirà. Ciascun uomo, infatti, proprio dalla convivenza con gli altri vedrà accrescere la pro-pria sicurezza e la facilità di procurarsi ciò di cui ha bisogno. Si divideranno fra di loro, secondo età, forza e sesso, i lavori necessarî; ma tutti coloro che ne avranno il carico saranno occupati in modo davvero leggero, sia per la modestia dei bisogni che per il grande numero di lavoratori, facendo tutti qualcosa. Il gusto dell'ordine, delle cose ben sistemate, della comodità e della
pulizia in ogni cosa darà loro sempre modo di trovarsi occupati e il vantaggio di essere sempre in molti tutti assieme a fare gli stessi lavori: questo impedirebbe di provare quella forma di disgusto e di scoraggiamento che ci assale così spesso nelle nostre faccende. Il bisogno di sonno e di riposo, questo bisogno così impellente per noi, che siamo sempre sovraccarichi di stanchezza o di noia, sarà per loro tra i meno importanti: così avranno a disposizione più tempo di noi per le loro faccende (assai meno impegnative delle nostre) e potranno eseguirle, specialmente i lavori dei campi, più di notte che di giorno, quando la grande calura o altre motivazioni lo consigliano. Il loro sonno, in dosi ragionevoli, non li ucciderà e non li renderà infermi, come invece succede a noi, che ci affidiamo al riposo o troppo o troppo poco: perché abbiamo il vizio di esagerare in tutte le cose, sia per difetto che per eccesso. IX - La lingua. Nello stato etico si parlerà una lingua facilissima da imparare, dal momento che sarà più povera di termini e assai più semplice di quelle che ci trasmettono, obbligandoci ad apprenderle, tutte le assurdità e le bizzarrie dei nostri padri. L'uso sarà del tutto sufficiente perché i bambini l'apprendano, non ci sarà necessità di basarsi su regole e princìpi né bisogno di assoggettare chic-chessia a leggere e scrivere; e infatti, a qual fine si dovrebbe imporre ai bambini un compito così indigesto per loro, dal momento che non gli servirebbe a niente? Tutte le nostre scritture, tutti i nostri libri esistono soltanto a causa della follia dei nostri costumi.12 Il linguaggio saprà liberarsi da solo di tutti i termini che sono di troppo; che bisogno potrebbe più esserci di tali parole per uomini illuminati dalla verità? Non ci sarà più motivo di discussione, non si parlerà più tanto per parlare, come facciamo adesso, saremo liberati da passioni fittizie e da tutto ciò che di falso abbiamo saputo introdurre perfino nei nostri desideri, nelle nostre vane conoscenze, nelle nostre arti superflue. C'è da augurarsi che, in uno stato etico, si parli ovunque la stessa lingua: è un obbiettivo facile, dal momento che si tratterà di una lingua semplicissima e che gli uomini, un po' alla volta, parleranno tutti assieme tra di loro, senza essere divisi in diverse nazionalità. Né ci sarà da temere che tale lingua cambi, che scivoli verso il dialetto, oppure che sia sottoposta, come le nostre, ad essere continuamente aggiornata, epurata o arricchita; sarà invece una lingua perfettamente stabile, senza alcuna variazione. Nello stato etico gli uomini si capiranno con grande facilità, proprio quanto è difficile per noi; senza alcun bisogno delle nostre regole di logica, saranno però in grado di costruire pensieri conseguenti grazie al potere che la verità produce, quello di organizzare un discorso in modo conforme ai bisogni.13 Per loro non ci sarà bisogno di lezioni d'eloquenza, di poesia, di musica, di pittura o di altre arti liberali; risulteranno inutili né più né meno dello studio della grammatica e della logica; gli uomini sapranno limitarsi alle conoscenze essenziali, così che la loro infanzia non sarà tirannizzata come la nostra, come la nostra adolescenza, come sempre avviene con grave danno della nostra ragione, dell'equilibrio del nostro umore, della nostra tranquillità e salute. Quelle arti ricercate di cui facciamo gran conto, come l'eloquenza e la poesia, esistono solo in danno della verità e dei costumi che ne derivano. Si dice sempre che la verità è fatta apposta per apparire nuda, ed è un'affermazione che va ben oltre quel che comunemente si crede, visto che la verità non soltanto sdegna ogni ornamento, ma perfino ogni falsa armonia che non risulti strettamente indispensabile. Perché ci siano oratori, poeti, cantanti, danzatori, pittori, ecc. nello stato etico, dovremmo essere mille volte più pazzi di quanto non lo siano i pazzi reclusi adesso nei manicomi. È una verità dura da inghiottire; ma ancora una volta non siamo noi che sbagliamo, è una conseguenza della nostra organizzazione sociale. Le arti piacevoli sono ingredienti indispensabili per i nostri costumi, di cui abbiamo bisogno per ricrearci dalle nostre fatiche spirituali e fisiche, per combattere la noia, per inserire qualche stilla d'armonia nella disarmonia della
nostra esistenza e per consentire alla nostra immaginazione di pascersi di quelle bellezze della natura di cui non può certo bearsi all'interno delle nostre città e di qualsiasi altra visione capace di produrre gioia. Ma se la nostra condizione di vita ci consentisse di occuparci di problemi semplici, cui assolviamo per nostro piacere e per nostro interesse, se fosse una condizione che di per sé stessa produce felicità e rifiuta qualsiasi motivo di contrasto, a che ci servirebbero delle arti cosiffatte? X - Vestiti, armi, terra. Gli uomini, una volta sottomessi alle sole leggi della ragione in società, non conosceranno più né vizî né virtù; sarebbero saggi, giusti, virtuosi, sempre in concordia tra di loro, senza neppure poterselo dire; e come potrebbero, mancando loro ogni possibile paragone (di cui al contrario noi abbiamo grande abbondanza)? L'unico confronto possibile sarebbe quello con gli animali, la cui imperfezione non potrebbero fare a meno di notare. Parlo soprattutto degli animali selvaggi, in quanto quelli domestici, trattati assai meglio di quanto non facciamo noi, non avendo più a che fare con le nostre imperfezioni, non avranno più motivo di vivere randagi e di battersi l'uno con l'altro come fanno adesso.14 I diversi ed eterni motivi di disputa e di controversia, che servono da continuo alimento alla nostra follia e che producono così tanto odio e disordine, per loro non saranno neppure un ricordo. I secoli trascorsi, ai loro occhi, sarà come se non fossero mai esistiti; potranno soltanto conoscere qualcosa in generale grazie alla tradizione e a qualche vestigio concreto dei nostri costumi, cose sufficienti per arrivare a dedurne che gli uomini, prima di pervenire ad uno stato sociale ragionevole, abbandonavano l'utile per conseguire il merito insensato di fare cose difficili. Non avranno motivo di arrossire della propria nudità e la coprirebbero appena per mettersi al riparo dalle ingiurie del tempo e di tutti gli accidenti ai quali un corpo nudo sarebbe soggetto restando senza protezione; ci sarebbe anche per loro, come per noi, il piacere di coprirsi: questo per non avere continuamente sotto gli occhi quelle parti che, stando nascoste, procurerebbero un piacere maggiore quando si avvicinano loro. Ma come saranno semplici gli abiti! Come saranno comodi! E come sarà facile procurarsene in abbondanza! Tutto l'ornamento di uomini e donne non sarà altro che tenere i capelli in ordine, il corpo e gli abiti sempre puliti. Certo non si ammazzeranno più a scavare nelle viscere della terra per attingervi ricchezze che sarebbero inutili, non si darebbero pena di costruire e addobbare palazzi come i nostri,15 di costruire baluardi e fortezze, di fondere altri metalli che il ferro, questo sì veramente utile,16 di forzare sempre e comunque la natura per difendersi gli uni dagli altri e per distruggersi reciprocamente; né si darebbero pena di studiare assurdità per tutta la durata della vita e di farsi ripetutamente violenza per piegare i propri costumi a tali assurdità. Lavori proporzionati ai modesti bisogni di una vita frugale, sentieri agevoli, qualche fossa, qualche recinto, qualche prosciugamento e utili dighe; lasciare andare l'acqua in direzioni tali che non manchi a nessuno questa risorsa fondamentale e che consenta ovunque igiene e salubrità al massimo grado; armi per combattere gli animali nocivi e tutto ciò che è necessario per un benessere ragionevole e permanente; questi saranno gli unici obbiettivi di tutti i loro sforzi. Del resto tutto il lavoro, perfino quando faticoso, non produrrà né pigrizia né brontolii; infatti sarebbe ben poca cosa, dal momento che non si conosceranno il lusso né il superfluo e quindi ognuno si metterà a lavorare senza che qualcuno (come succede tra di noi) si occupi di altro o profitti del lavoro altrui senza fare niente.17 Il mobilio si ridurrà a qualche banco, tavoli e ripiani: infatti, ai fini della salute e senza che la mancanza di letti del tipo dei nostri rappresenti una privazione, non avranno per giaciglio altro che paglia ammucchiata su panche sollevate da terra, sistemate sui diversi lati delle loro sale comuni. Dei bracieri posti in mezzo a queste sale farebbero in modo di mantenere sempre un'adeguata temperatura; legna da ardere certo non ne mancherà, dal momento che ne faranno un
uso così limitato! Né si daranno pena di fare uso di inutili vetri; analogamente faranno volentieri a meno di tutto quello che richiede una tecnica troppo avanzata per rappresentare una vera gioia. Non avranno bisogno né di fucili né di polvere, ma faranno uso di frecce, trappole e altre armi simili, strumenti che richiedono una lavorazione molto più semplice dei fucili e creano minori inconvenienti. Per loro sarà facile, servendosi di armi simili e avendo tanto tempo a disposizione, bonificare le proprie abitazioni da tutti gli animali nocivi, forse fino ad estinguerne la razza. Conserveranno gli animali da pascolo che abbiamo addomesticato, ma senza lasciarli moltiplicare come sta succedendo adesso, visto che il bisogno non sarebbe analogo ma di gran lunga inferiore. Meno terre al pascolo e di conseguenza maggiore coltivazione di cereali, di legumi di ogni specie e boscaglie. La terra coltivata sarà la più fertile possibile, assai più redditizia che per noi; lo testimonia senza dubbio alcuno il fatto che la sentirebbero propria e che tutti darebbero il loro contributo. Il tuo ed il mio, come conseguenza inevitabile di uno stato legale, distolgono necessariamente una quantità di persone dalle attività veramente utili; si tratta dei proprietari terrieri, certo non coloro che la terra la lavorano, e da questo consegue una sterilità stupefacente, se raffrontata con l'abbondanza che potrà produrre la comunione dei beni. Tale abbondanza sarà anche abbondanza di uomini e di tutto ciò che ha un'effettiva utilità, raggiungendo una potenziale densità demografica ben superiore all'attuale. Seguendo principi del genere e grazie alla generale intelligenza diffusa ovunque, villaggio per villaggio, l'uomo diverrà veramente il signore della terra, come mai finora è riuscito ad essere, capace di affrontare e superare qualsiasi ostacolo alla propria sicurezza ed al proprio benessere. Saranno in grado di regolare la quantità della popolazione senza farsi condizionare da alcun pregiudizio, in modo che il numero degli uomini e delle donne di ciascun villaggio sia sempre proporzionato ai beni che il terreno (assai più fertile, sotto la loro conduzione) potrà loro fornire. XI - Nello stato etico scomparirà il lavoro come lo intendiamo noi, perché il lavoro sarà sempre divertimento e piacere. Meno distratti di noi, più consapevoli di sé stessi, gioiranno dello spettacolo della natura con una voluttà incapace di affievolirsi; ai loro occhi tutto apparirà più animato, saranno capaci di percepire bellezze e potenzialità che a noi sfuggono del tutto. L'immagine dell'ordine e dell'armonia, sempre riprodotta in tutte le loro azioni e operazioni, saprà commuoverli ben più delicatamente di quanto non facciano, per noi, le produzioni artistiche. Saranno dotati di un gusto sicuro e più o meno uniforme, dal momento che gli oggetti da gustare saranno intrinseci alla natura come i loro costu-mi, non concentrati nell'arte, come invece lo sono i nostri. Non si perderanno certo dietro ad analisi del sentimento, limitandosi invece a provare gioia e ad ab-bando-narvisi, con quella saggia moderazione che impedisce di farla affievolire e la rende invece sempre viva e gradita; a differenza nostra, adotteranno sempre un medesimo comportamento, senza arrivare a concludere, come invece facciamo noi rispetto ai comportamenti animali, che questo è segno di mancanza d'intelligenza e di razionalità.18 Avranno molte ambizioni in meno rispetto a noi, ma quelle le vivranno più intensamente e ne ricaveranno una gioia assai maggiore. Solo le conoscenze veramente utili saranno tramandate alla posterità. A che servirà infatti tramandare tutti gli avvenimenti, come facciamo noi con le diverse arti? Nel loro caso i costumi, le azioni, i processi, non offriranno differenze rilevanti di secolo in secolo, e gli uomini riprodurranno sempre sé stessi nei loro discendenti. Le loro occupazioni agricole e domestiche, assieme al piacere più dolce che si possa sognare, quello di dedicare, tutti insieme e di concerto, ogni cura alla comunità, procureranno una gioia continua che non lascerà spazio a quei vuoti che, in noi, chiedono insistentemente di essere riempiti: una richiesta tanto più
inevasa, quanto più ci allontaniamo da una condizione naturale e ci affidiamo soltanto a tutto quello che può contribuire a sradicarci da noi stessi. Di tutte le nostre arti non conserveranno, all'incirca, che quanto basta adesso ai contadini e al popolino per vivere e per vivere più felicemente di noi. Non ci penseranno nemmeno, essendo incompatibile rispetto ai loro costumi, a conservare quello che ai nostri occhi insensati appare come grandemente prezioso.19 Amarezza e rimorso, inquietudine e timore, tutti affanni che ci perseguitano, sotto quei tetti non troveranno mai ricovero: si vedranno regnare nelle loro case quella dolce serenità, quella naturale gaiezza, quel candore ingenuo e quell'amabile semplicità che meritano assai di più rispetto che non tante brillanti qualità. Non ci riesco a descrivere gli uomini di quel tempo con esattezza, né per le qualità fisiche né per quelle morali, tanta è l'abissale differenza che separa il nostro mondo da quello. Quello che noi chiamiamo lavoro e fatica si trasforma agevolmente - in un mondo siffatto - in divertimento e piacere. Ci saranno laboratori di diverso genere per i bisogni domestici e ognuno si dedicherà all'uno o all'altro scambievolmente, secondo le proprie inclinazioni e sulla base delle necessità comuni. I pasti, quattro al giorno, saranno molto semplici, moderati nelle quantità e del tutto uniformi nella qualità; ci sarà un'ora per alzarsi ed una per andare a letto, ma senza che questa sia una regola ferrea. Della paglia fresca, accomodata per gli uomini così come per il bestiame, sarà il letto comune e salutare in cui riposeranno: prenderanno posto a caso, uomini e donne assieme, ma solo dopo avere provveduto ai bisogni ed al riposo degli infermi, degli anziani e dei bambini, che dormiranno separatamente. Volendo, potranno anche mettere qualche ordine in questa distribuzione, regolandola in modo da garantire l'alternanza: operando di concerto, sarà facile trovarsi d'accordo, con soddisfazione di tutti. È proprio questa capacità di concerta-zione - impossibile nello stato legale - che produce tut-ti i vantaggi dello stato etico. Saprebbero nuotare con naturalezza nei fiumi, senza bisogno - come noi - di imparare a farlo.20 Saprebbero procurarsi acqua in abbondanza, più che sufficiente per alimentare bagni comuni; ma sarà facile averne anche presso le abitazioni, sempre in funzione e ben mantenuti, cosa semplice e salutare ma difficile se non quasi impossibile per la maggior parte degli uomini, non per loro. Non avranno altro obbiettivo - come noi, del resto - che il raggiungimento del benessere: solo che le strade che prendiamo noi per conseguirlo sono assai contorte, almeno quanto le loro saranno semplici e dirette. XII - Il nutrimento. Non staranno a perdere la testa per capire com'è fatto il globo terrestre né a fabbricare navi per viaggiare, per emigrare, per andare a cercare altrove, di là dal mare, cibo, stoffe, utensili o materie prime.21 Si renderanno subito conto che la natura mette loro sotto gli occhi, a portata di mano e facilmente raggiungibile, tutto ciò che serve; non ci vuole - per averne in abbondanza - che un po' di lavoro e la saggezza di sapersi contenere negli appetiti; lontano da noi risiede soltanto ciò che è superfluo.22 Limitandosi ad abitare i luoghi in cui sono nati ed a fruire dei prodotti di quella parte di mondo, non avranno alcun desiderio di essere altrove né di possedere più di quel che hanno. Avranno coscienza del fatto che i medesimi costumi sono diffusi ovunque e che altrove non troverebbero niente di diverso. L'idea stessa di città e di tutto quello che la compone, i nostri templi, i nostri Louvres, le fortezze, gli arsenali, i tribunali, i fori, i conventi, i mercati, le banche, le botteghe, le scuole, le accademie, le sale d'armi, i maneggi, i manicomi, gli ospedali, le prigioni, ecc., quest'idea stessa - dicevo non avrebbe più senso per loro. È talmente chiaro che è un'idea folle in sé stessa, per cui non potrà che risultare incompatibile coi loro costumi, fondati sulla dritta ragione! Le cose veramente utili, come legno, ferro, laterizi e pietre, passeranno un po' alla volta anche in quei villaggi che non possono procurarseli da soli; tali villaggi offriranno in cambio, se necessario, qualche altra cosa, senza stare a
misurare col bilancino chi ci guadagna o ci perde. Ci potranno essere comunità che vivono sui fiumi, scambiando mutuamente e secondo necessità i propri beni con le comunità di terra; tutto senza scontentare mai qualcuno, senza alimentare il desiderio di una situazione diversa. Del resto la stessa piena facoltà di cambiare situazione costituirà un ottimo deterrente per metterla in pratica. Non si farà uso né di carne né di pesce, né di sale né di spezie, né di alcun prodotto alcolico; ci si nutrirà semplicemente di pane e d'acqua, legumi, frutta, latticini, burro, miele e uova. Un modo simile di nutrirsi - il più sano e ragionevole - richiederà davvero poco in preparativi, cure e lavoro; esattamente al contrario del nostro, che invece altera le nostre facoltà e abbrevia i nostri giorni, ma ne richiede in modo stupefacente; senza tenere conto di tutti gli ostacoli che produce per le grandi quantità di grano che richiede, per i numerosi vigneti, i pascoli sterminati, le innumerevoli e vaste strade di cui ha bisogno. Gli uomini hanno bisogno soprattutto di grano, ma a fatica ce n'è per tutti, e che cattivo pane tocca in sorte alla maggior parte di loro! Il cattivo raccolto di un solo anno precipita nella miseria città e campagne; se il grano viene a mancare per due o tre anni di seguito, tutto è perduto. Ben altra sorte è prevedibile nel nostro stato etico: lì questo primario bene alimentare sarà sempre abbondante, a dispetto delle annate di carestia, e una brutta stagione non sarà mai un sinonimo d'allarme! Si avrà a disposizione dell'ottimo e sostanzioso pane, dal momento che le terre destinate alle colture della segale, a forza di concimazione, potranno trasformarsi in eccellenti terre da frumento. Si potrà bere acqua della migliore qualità, grazie alla cura con la quale si cercherà di procurarsela, nel caso in cui non la si avesse sotto mano. XIII - La perfetta uguaglianza è la natura, non nella natura. Niente nell'universo potrà essere oggetto di stupore per gli uomini nello stato etico, al punto di farlo gridare al miracolo, al soprannaturale: saranno consapevoli del fatto che lo straordinario è nell'ordine naturale delle cose, che tutto più o meno è possibile; in qualsiasi fatto, in qualsiasi avvenimento, non vedranno che l'effetto di qualche causa, magari più o meno nascosta per loro, così come nella maggiore o minore abbondanza riconosceranno il più o il meno dell'essenza delle cose relative, che poi sono le cose stesse. Non conosceranno niente d'essenziale, di metafisico in sé stessi, che non abbiano in comune con qualsiasi altro animale, con qualsiasi altro essere e di conseguenza avranno di sé stessi proprio quella giusta idea che devono avere. Sapranno per esempio - cosa del tutto naturale - che la differenza più consistente tra il modo di vegetare delle piante ed il loro non è che la differenza più consistente fra due modi di essere; vale a dire che, trattandosi di due sostanze distanti tra di loro, devono per forza rispondere a due diversi modi di vegetare, ma non - come crediamo noi - che si tratti di cosa del tutto altra, cioè che la vita dell'uomo e la vita delle piante appartengano a due diverse nature. Il male fisico e lo stare bene, che hanno contribuito a renderci assurdi, da ignoranti che eravamo, li considereranno come eventi naturali, senza ritrovarsi mai, come facciamo noi, a farne oggetto di un ragionamento; si limiteranno semplicemente a prendere la strada più facile in direzione del bene e a cercare di evitare il male. Il cielo lo studieranno limitandosi a ciò che è più semplice da capire: di quale utilità volete che sia per loro uno studio più approfondito? Che bisogno avranno della scienza dei Copernico, dei Newton e dei Cassini? Potranno vivere senza darsi pensiero di contare giorni e anni, da potersi permettere d'ignorare perfino la propria data di nascita e meno che mai di stare a prevedere l'ultimo momento, al quale arriveranno senza infermità, passando dalla vita alla morte così come si passa dalla veglia al sonno.23 Assai più dediti a sé stessi e meno distratti dei nostri contadini, che fanno riferimento al battere delle ore oppure ai nostri orologi, sapranno vivere in modo così cadenzato senza fare alcun ricorso a simili prodotti dell'arte come se ne facessero uso. Distingueranno le ore e le diverse stagioni quel tanto che basta per la loro utilità, e non avranno alcun bisogno di connotare con la data le diverse
epoche. Si limiteranno alla conoscenza di pochissime cose, proprio quelle che sono più facili da capire. I loro giorni non saranno interrotti, come succede a noi, da giornate di riposo, per il semplice fatto che non saranno mai dominati dalle loro occupazioni, vista la pochezza delle necessità ed il gran numero di braccia utilizzabili per la loro soddisfazione. Gli anziani lavoreranno fino alla morte (che arriverà inopinatamente) mentre i bambini cominceranno a farlo molto presto. Ciascuno nel lavoro darà spazio alle proprie inclinazioni, ma con la stella polare di utilità e necessità; in modo tale che non manchino mai (né possano mai mancare) occupazioni di tal genere.24 Non vedranno nei pianeti che grandi corpi i quali, come tutti i corpi che li compongono, sono parti del tutto: non li considereranno che come centri particolari in un centro universale, e di conseguenza non vedranno in essi altro che una grande apparenza di regolarità e stabilità. Partendo da un così genuino punto di vista, saranno in grado di comprendere che questi sono capaci di provocare sconvolgimenti sufficienti per muovere di posto e per cambiare tutte le specie di cui sono composti in altre specie, tanto da non avere il minimo dubbio (ma senza che questa prospettiva li spaventi) che gli uomini esistono unicamente grazie a eventi simili e che un giorno, per lo stesso motivo, moriranno tutti, per essere forse poi riprodotti di specie in specie nel corso del tempo.25 Troppo chiaroveggenti per farsi false idee sulla natura, come invece ce ne siamo fatte noi in tutte le epoche, saranno capaci di giudicare con equilibrio quello che noi consideriamo meraviglioso. Ad esempio, di fronte al mare che corrode le coste, che le sommerge oppure se ne ritira, non vedranno che una gran massa d'acqua che, a causa dell'imperfetta regolarità dei suoi flussi e riflussi e dell'intera stabilità all'interno del bacino che occupa, lascia il suo letto per coprire poco alla volta il continente già coperto dalle sue antiche vestigia. Saranno consapevoli del fatto che i cambiamenti lenti, inavvertiti, talvolta si possono realizzare anche tutti una volta, all'improvviso, vuoi perché una cometa si è avvicinata troppo, oppure a causa di un terremoto, di un'eruzione o di qualche altro sconvolgimento. Proprio questo modo di valutare in forma veritiera i fatti della natura sarà, senza che produca alcuna apprensione, la base della loro fisica, che del resto si limiterà alle conoscenze più semplici, quelle di reale utilità. Quindi studieranno la natura solo quel tanto che basta per i loro modici bisogni, cosa che li trarrà d'impaccio rispetto alle mille difficoltà che altrimenti vi s'incontrano, quando si è così folli da spingersi al di là dei giusti limiti, quando si prende slancio troppo lontani da noi stessi. Infatti le difficoltà sono proporzionalmente sempre più grandi (e i risultati progressivamente meno utili), quanto più le cose che cerchiamo, interessando meno da vicino coloro che le indagano, risultano più estranee ai loro veri interessi, più fuori di loro. Noi ci crogioliamo nell'idea assurda della pre-de-sti-nazione; loro si accontenteranno della sola e verace idea della necessità. Sapranno che i fatti, tutti i fatti, sono contestuali al loro accadimento e che non esistono mai di per sé, ma solo relativamente. Sapranno che tutto quello che accade è effetto necessario, destinato a trasformarsi a sua volta in causa necessaria, e che non può mai essere previsto da alcuno, neppure all'incirca, dal momento che gli avvenimenti, quando si realizzano, non hanno altra caratteristica che quella di essersi realizzati. XIV - Sogni e salute. Trascorrere giornate infinitamente più serene e tranquille delle nostre consentirà notti più gradevoli, esentando da tutti quei sogni che ci inquietano e ci affaticano nel bel mezzo del riposo, e perfino dopo il risveglio, alle volte. Così non avranno bisogno di cercare di interpretare i loro sogni, al fine di trovarci presagi buoni o cattivi;26 li considereranno quello che sono, cioè un concerto di fibre del loro cervello, rotto da fibre piegate in modo difforme; ma che sonni dolcissimi, e che sogni leggeri! Avrebbero conoscenze anatomiche sufficienti per le operazioni più semplici, quelle sole che vale la pena di effettuare. Se, a un certo punto, si trovassero di fronte
a qualche operazione difficile, lascerebbero fare alla natura, aiutata soltanto per mezzo di qualche topico o qualche altro rimedio. Tuttavia sarebbe opportuno che in ciascuna abitazione ci fossero un paio di persone dedite in modo particolare alla cura dei mali del corpo, e che tali persone trasmettessero a qualche alunno le loro conoscenze. La salute sarà considerata come la fonte primaria di ogni gioia, motivo per cui ne terranno grandemente di conto, stando lontani da qualsiasi eccesso. Guarderanno i mali del corpo non tanto come una punizione - come assurdamente facciamo noi - ma come degli accidenti che fanno parte della catena delle cose; naturalmente faranno il possibile per evitarli, sia grazie alle attenzioni e alla cura che metteranno in ogni cosa, sia soprattutto grazie al loro modo assai semplice di vivere. Quando fossero obbligati a ricorrere a qualche medicina, ne avrebbero a portata di mano alcune del tutto naturali e a queste sole farebbero ricorso. Ma sarebbero davvero poche le occasioni di farne uso, e sarebbe facile per ciascuno essere il medico di sé stesso. Quanto a quei mali che noi siamo soliti chiamare pene spirituali, e che non sono altro che qualche stiracchiamento all'interno della nostra nervatura e delle nostre fibre, ne saranno del tutto esenti. Infatti, da dove volete che vengano questi mali, che contri-buiscono così decisamente a rendere la nostra esistenza un percorso tutto in salita, ad alterare la nostra salute e ad abbreviare i nostri giorni, se non da questi soliti costumi, falsi fino all'eccesso, che ci molestano e ci tirannizzano senza sosta? Nascita, vita e morte potranno al contrario riconoscersi nel loro corso naturale, visto che tutto comincia, dura e poi finisce per ripro-dursi in seguito sotto altre forme, in tutti i diversi corpi circostanti.27 Ciascuno sarà libero di darsi la morte, quando sia per lui più opportuna rispetto ad una vita da infermo, tale da essere importuno per sé stesso e per gli altri; ma dato che saranno generalmente al riparo dalla maggior parte dei guai che perseguitano noi, in sostanza non accadrebbe mai di preferire la morte alla vita.28 Esattamente come non faranno per niente caso, come del resto noi, di essere stati morti, disinteressandosi cioè di come parte di loro è esistita in forma umana nel passato; allo stesso modo, più conseguenti di noi, non faranno nessun caso neppure del fatto che in futuro cesseranno di vivere sotto la forma attuale. Ma da cosa deriva questa differenza tra noi e loro a tale proposito? Come mai facciamo così conto della forma umana che dobbiamo abbandonare? La risposta è questa: in una società come la nostra le particelle di cui siamo composti non possono separarsi se non violentemente; la loro disaggregazione è impossibile senza che sia preceduta dal dolore che abbiamo ragione di temere e dal terrore di una vita successiva. Se invece la riunione delle nostre particelle fosse quella che dovrebbe essere, la loro separazione dopo la maturità non potrebbe avere luogo che in modo insensibile, tanto da portarci alla morte senza neppure accorgercene, senza alcun timore. Invece oggi siamo attaccati alla vita da legami così mal tessuti, così complessi, e ciononostante così forti, che per noi l'idea di lasciarla è davvero un problema, a meno che non vi siamo condotti a causa di una malattia che ci abbia del tutto prostrati e abbia reso molto più tenui quei legami. Non abbiamo paura della morte soltanto quando ci pensiamo molto intensamente, quando siamo nel pieno vigore di una buona salute o al principio di una malattia.29 XV - La morte. Nello stato etico la morte non sarà altro che la sera di una bella giornata. Essa non sarà preceduta, come solitamente succede, da una malattia dolorosa, dalla visione poco rassicurante di un confessore, di un medico, di un notaio, di una famiglia desolata e di tutte le pene spirituali che in quelle condizioni ci affliggono e contribuiscono ad affrettarla. Si morirà in modo dolce, con una morte del tutto simile alla vita, così come per noi risulta amara, né più né meno che la vita che abbiamo condotto. La sepoltura non sarà diversa da quella del bestiame, senza bisogno di alcun cerimoniale, perché ogni tipo di cerimonia sarebbe fuori luogo. Non è un altro bel vantaggio su di noi? Nel nostro caso un funerale porta con sé un secchio di
lacrime, vere o false che siano, una valanga di fastidi e di formalità che ci massacrano! Ma allora si potrebbe obbiettare: come, saranno così poco attaccati gli uni agli altri, né più né meno che come alle loro bestie? Rispondo in questo modo: così come la ragione indicherà che il bestiame vivo rappresenta molto meno per loro rispetto ai proprî simili, nello stesso modo capiranno che questi, una volta morti, saranno morti esattamente come il bestiame. Si vorranno bene l'uno con l'altro come noi, per il bisogno reciproco che avranno; con la differenza che tale bisogno non si appunterà più su di uno rispetto ad un altro, come avviene secondo i nostri costumi, e quindi non si affezioneranno a qualcuno in particolare, al punto di considerare la sua morte come una perdita che lo ferisce e lo fa rimpiangere.30 Amicizie, legami, qualsiasi tipo di unione particolare non sono altro - lo dico un'altra volta - che un ostacolo all'amicizia, ai legami e all'unione generale nei confronti della quale tutti gli uomini sono propensi; ma si tratta di un obbiettivo che non hanno mai avuto modo di perseguire, prima che potessi offrire loro il mio sistema, le vrai système, che è l'unico che non può essere contraddetto. Questo sistema si limita a mettere la scienza al posto dell'ignoranza, lo stato etico o dell'uguaglianza morale al posto dello stato legale o della disuguaglianza morale; avremo come conseguenza il risultato di uno stato sociale privo di inconvenienti al posto di uno stato sociale in cui gli inconvenienti sbucano da tutte le parti; perché - voglio dirlo una volta ancora - se si vuole ritornare al principio di tutti gli inconvenienti e di tutte le miserie del nostro stato sociale, lo si individua con facilità nella nostra ignoranza e nella disuguaglianza morale, cause che tuttora sussistono nel nostro stato legale. Abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili per perfezionare questo stato disgraziato. In realtà lo stato legale è così vizioso in sé stesso che tali sforzi non sono serviti a niente ed è il colmo della cecità da parte nostra quello di addossare la colpa della situazione alla nostra cattiveria, senza renderci conto che essa non è altro che la conseguenza necessaria di quel vizio originale. Lo stato etico, o stato sociale senza leggi, così come ho appena finito di tratteggiarlo, è il vero stato dell'uomo in società. E se qualcuno, dopo avere letto e avere visto la sua vittoria sulla nostra ignoranza, avesse ancora il coraggio di dire che non lo si può mettere al posto dello stato legale, oppure che è una proposta impraticabile o che si porta dietro una serie d'inconvenienti, oppure che gli va preferito uno stato che si ispiri alle leggi di Dio e a quelle dell'uomo, non troverei altra risposta che quella di un invito a rileggere tutto daccapo e a rifletterci meglio.31 I soli lettori meritevoli di una risposta diversa sono quelli che, pur già soddisfatti dalle mie speculazioni metafisiche e morali, avessero necessità di qualche chiarimento. Mi auguro che se ne trovino molti di questa specie, perché è grazie ai chiarimenti richiesti e forniti che lo sviluppo del sistema acquisterà tutta la sua forza e la persuasione troverà spazio nello spirito umano così diffusamente come esige la verità per conseguire il proprio effetto. NOTA Della vita di Léger-Marie Deschamps non si conoscono molti particolari; quello che si sa, tuttavia, pare sufficiente per escludere che informazioni ulteriori possano stravolgere un quadro semplice e ordinato, decisamente agli antipodi rispetto alla corrosiva vitalità dei suoi scritti. Nasce a Rennes il 10 gennaio 1716; a diciassette anni è già in convento, come novizio, a Montreuil-Bellay, nel Poitou; in quel medesimo convento, non ancora sessantenne, conclude la propria esistenza terrena. È il 19 aprile 1774. Una rapida e per noi ignota malattia lo porta in poco più di tre mesi alla morte, non senza il conforto della religione, come si addice ad un onorato rappresentante dell'ordine benedettino. Basta leggere qualcuno dei suoi scritti, tuttavia, per avvertire una dissonanza evidente rispetto a tanto banale normalità di provincia; a conferma del fatto che neppure le sale dei vecchi castelli e le celle dei monasteri erano immuni, a quel tempo, dagli sconvolgimenti prodotti dalla febbrile novità di un dibattito filosofico che solo in parte la dea ragione riusciva a contenere nell'alveo della dottrina illuminista.
Per completare in breve un panorama della vita dell'abate, restano da citare poche cose, per quanto tutte di relativo rilievo. Innanzitutto si dovrà ricordare che dom Deschamps, benché abbia scritto con buona regolarità, ha pubblicato in vita solo due testi. Il primo è rappresentato dalle Lettres sur l'esprit du siècle, un pamphlet del 1769 che, con l'aria di sparare bordate di grosso calibro contro la razionalità illuminista, già introduce in sostanza una concezione del mondo rigorosamente anarchica come visione dello stato ed atea come visione religiosa; né più né meno di quanto risulterà - ma lì in modo più approfondito e argomentato, nonché ancora più lacerante - da tutti gli scritti rimasti inediti. Il secondo, La voix de la raison contre la voix du temps, et particulièrement contre celle de l'auteur du Système de la nature, altro non è, in analogia col precedente, che una secca confutazione del progetto filosofico del D'Holbach, il cui Système era stato appena pubblicato. Siamo nell'anno successivo, nel 1770, ed è quasi superfluo annotare che entrambe le opere del benedettino escono coperte da un rigoroso anonimato. Tutti gli altri scritti, abbastanza numerosi, rimasero invece affidati, per un intero secolo alcuni, addirittura per un secolo e mezzo altri, alle carte manoscritte, ancora conservate in unico esemplare nella Biblioteca municipale di Poitiers, nella versione in copia di un giovane amico e seguace del frate, il fedele dom Mazet. Un secondo elemento che caratterizza fortemente la sua vita è quello dei complessi rapporti con i philosophes. Durante l'ultimo quindicennio della vita, quando il vrai système è ormai delineato, se non ancora del tutto elaborato, dom Deschamps cerca con ostinazione di trovare ascolto presso tutti i più insigni pensatori del tempo, col fine dichiarato di convertirli alla propria filosofia. L'insieme degli interlocutori costituisce un parterre da brividi, che va da Rousseau a Voltaire, e che comprende il meglio dei maîtres à penser del suo tempo: vi compaiono infatti, oltre ai due appena citati, l'abate Yvon e Diderot, l'abate Barthé-le-my e Helvetius, d'Alambert e Robinet. Con tutti questi dom Deschamps intrattiene rapporti epistolari o talvolta diretti, esponendo i tratti essenziali della propria filosofia e cercando di coinvolgere, con stringente dialettica ma senza risultati pratici, interlocutori di volta in volta esterrefatti, titubanti, intimoriti, affascinati oppure decisamente renitenti nei confronti delle avances del monaco. Il primo e più approfondito approccio è quello con un circospetto ma disponibile JeanJacques Rousseau. Dopo un intenso scambio epistolare, che sembra fare maturare nel corrispondente una sincera curiosità per il vrai système, la necessità di una fuga in Svizzera, a causa della condanna subìta in Francia per l'audacia delle sue opere, mette la pa-ro-la fine su quell'ambizioso rapporto. Così dom Deschamps sa-rà costretto ad annotare, nella puntuale cronistoria degli insuccessi: M. Rousseau di Ginevra è il primo con cui ho fatto dei tentativi per la diffusione della mia opera. Esaminando le lettere intercorse si potrà vedere che cominciava a stabilirsi tra noi una reciproca fiducia: egli aveva già visto le mie due Epîtres di dedica e la prefazione al mio lavoro; (...) ma la proscrizione del suo libro Emile e quindi dell'autore ha fatto cessare, almeno fino a questo punto, la nostra corrispondenza . Non molto dissimile la vicenda degli incontri con Diderot, che in alcune lettere a Sophie Volland manifesta addirittura entusiasmo - temperato soltanto dal timore della polizia - per il pensiero del benedettino: Giudicate voi quanto un'opera del genere, sebbene scritta assai male, abbia potuto farmi piacere: dal momento che mi sono ritrovato tutto d'un tratto immerso in quel mondo per il quale mi sento nato . Tornato a casa dopo uno degli incontri col monaco, Diderot confessa di avere nuovamente riflettuto, a mente fredda, sui princìpi espressi dal suo gros Bénédictin e di non avere trovato neppure una riga da cancellare in tutta la sua opera, tanta è la condivisione che avverte. Né gli enciclopedisti né altri, tuttavia, se la sentono di sposare realmente un programma e un progetto così audaci; dom Deschamps rimane pertanto circoscritto nel chiuso di un cenacolo, per quanto titolato e selezionato come quello di Château des Ormes, il feudo dei d'Argerson. La nobile famiglia, confinata nel Poitou dopo i recenti fasti vissuti al tempo di Luigi XV, si trovava a fare i conti con l'inedia della vita di provincia. La presenza di uno spirito insieme bizzarro e lucido come quello del benedettino rianimò il marchese Marc-René di Voyer, che volle diventare il suo
protettore nonché il più fervido tra gli apologeti del suo pensiero. Fu così che Château des Ormes, dove dom Deschamps trascorreva lunghi periodi, divenne la sede di un vero e proprio cenacolo intellettuale fondato sulle idee del vrai système. Il pensiero deschampsiano, anche alla luce dei rapporti intercorsi coi philosophes, illumina appieno uno dei motivi ricorrenti nel Settecento francese: quell'incontroscontro tra utopia e riformismo che vede contrapposti pensatori radicali, tutti dediti alla costruzione di società ideali, e lo schieramento vincente, quello dei padri nobili della rivoluzione a venire. Laddove i primi, isolati geograficamente, socialmente e culturalmente, si consegnavano al ruolo di profeti inascoltati (e inascoltabili) a difesa delle classi subalterne, i secondi interpretavano alla perfezione quello più concreto di cantori del procedere della storia, spianando così tutte le strade per l'inesorabile affermarsi dell'egemonia borghese. A dire il vero la costruzione utopica di Deschamps non sembra però sorgere da una reale esigenza di emancipazione popolare, quanto piuttosto da un'approfondita e dottrinale meditazione filosofica. Non si tratta, in altre parole, del tentativo di porre rimedio alle brutture del mondo, ma del risultato (a suo dire inevitabile) di una consapevolezza metafi-sica. L'apporto più originale del suo pensiero consiste proprio in questo: nel proporre una visione utopica del futuro che non è calata dall'alto e neppure procurata dal basso, ma che si autoproduce in quanto esito naturale del rapporto tra fisico e metafisico. L'uomo esiste metafisicamente secondo il suo pensiero - in quanto forma con gli altri esseri un tutto unico; ma esiste anche fisicamente in quanto uomo e moralmente in quanto uomo in società. In rapporto alla unitarietà filosofica della condizione umana dom Deschamps effettua la propria traslazione verso il morale, in quanto parte costitutiva della porzione fisica; anche di fronte all'aspetto morale possiamo perseguire l'unita-rietà, cioè l'uguaglianza. A un'uguaglianza morale fondata su quella metafisica possiamo pervenire solo attraverso il dispotismo dell'evidenza metafisica e morale sull'ignoranza in atto. L'ordine razionale destinato a regnare nello stato disegnato dal pensatore benedettino non è tanto il risultato di una riforma o di una rivoluzione, quanto piuttosto il frutto della scoperta del tout,* che porta necessariamente alla distruzione degli impulsi individuali, e quindi all'opportunità di una vita comunitaria. Infatti, per avere ragione delle cose, basta la verità: la conoscenza del tout porta quindi alla distruzione di tutte le superstizioni e tutti gli errori dell'uomo, perché per distruggerli basta svelarne il senso profondo. La sola strada possibile per la felicità risiede quindi nella conoscenza della natura e delle sue leggi: una concezione metafisica che pone alla base l'unità razionale del tutto e svela l'inutilità degli sforzi dell'uomo. Noto ai philosophes e al ristretto cenacolo di Montreuil-Bellay finché fu in vita, il pensiero di dom Deschamps scomparve di fatto con la sua morte; le trascrizioni manoscritte della sua opera da parte di dom Mazet rimasero mute per poco meno di un secolo, quando Emile Beaussire vi si imbatté e portò per la prima volta (1864-65) all'attenzione degli studiosi questo singolare personaggio. La consacrazione definitiva del suo ruolo nel secolo dei lumi e una conoscenza più approfondita della sua opera dovevano però attendere ancora parecchi decenni. Furono Jean Thomas e Franco Venturi, nel 1939, a tratteggiare il pensiero e soprattutto a pubblicare i testi fondamentali del benedettino, riuniti sotto un titolo davvero emblematico: Le vrai système. Da allora in avanti l'utopia di dom Deschamps è stata più volte scandagliata, tanto da richiedere, nel 1963, una riedizione dei suoi scritti e soprattutto da fare avvertire in seguito l'esigenza di sottoporli a inedite attenzioni filologiche. In Italia il testimone fu raccolto a suo tempo da Cesare Vasoli, che sulla scia della prima edizione Thomas-Venturi introdusse anche da noi, con un lungo saggio comparso su Inventario nel 1955 (e in seguito con alcuni corsi universitari), la dirompente novità del radicalismo deschampsiano. Nella seconda metà dell'ultimo secolo (limitatamente al versante italiano) agli studi sul suo pensiero, relativamente numerosi, si è aggiunta anche l'edizione accurata di un testo fondamentale, le Observations métaphysiques, curato da Leana Quilici (Scuola Normale Superiore, Pisa 1988): ma trattandosi di un'edizione critica, per quanto
edito in Italia il testo rimane logicamente in francese. Mancava e continua a mancare, in conclusione, uno strumento di lettura per il pubblico italiano non specialistico: la presente edizione, nella sua esiguità, non può certo assolvere ad un compito del genere, ma forse può conseguire un obbiettivo più semplice, quello di fare da civetta rispetto ad un terreno pressoché inesplorato. Si tratta di una funzione che in realtà ha un suo interessantissimo precedente (che naturalmente, secondo la più consolidata delle tradizioni, abbiamo scoperto del tutto casualmente e a lavoro concluso): costitui-to da un volumetto della collana Sansoni Scuola aperta , Utopia e socialismo nel '700 francese (Firenze 1974), curato da Walter Bernardi. Il curatore (autore fra l'altro, come del resto la Quilici, di una corposa monografia sull'argomento), scolasticamente e quindi molto efficacemente, presentava il tema generale e i suoi protagonisti: il barone di Lahontan, Jean Meslier, Morelly e naturalmente dom Deschamps. Per ciascuno di loro produceva inoltre una scelta antologica di brani, che nel caso che ci interessa riguardava proprio le stesse Observations morales di cui ci stiamo occupando. Bernardi proponeva brani scelti da entrambe le parti, prima e seconda, da cui è composta l'opera, mentre in questa circostanza si propone soltanto la seconda, ma in versione integrale secondo l'edizione Thomas-Venturi. Come accennato in precedenza si dovrà tenere conto del fatto che il pensiero dell'abate ha l'ambizione costante di puntare alla costruzione di un vrai système, in cui lo sviluppo logico del pensiero gioca un ruolo di primo piano. In questo senso non soltanto potrà apparire riduttiva la scelta di limitarsi alla traduzione della sola seconda parte delle Observations morales saltando la prima, ma lo sarebbe perfino quella di offrire al lettore l'opera nella sua interezza, se escludesse le premesse di ordine metafisico del système; premesse che l'autore riteneva strettamente connesse e correlate al tutto. In realtà si sarà potuto vedere che il breve testo qui proposto - preceduto a mo' di epigrafe dall'Epistola ai miei simili - ha un'autonomia logico-narrativa pressoché assoluta, ed è quindi capace di intraprendere un proprio percorso anche in solitudine. In ultimo appena qualche cenno sulla traduzione. Naturalmente il titolo, allusivo rispetto ai contenuti, riproducendo una sola porzione del testo, è nostro. Il linguaggio di dom Deschamps è molto semplice e diretto, per cui di norma non presenta particolari difficoltà né d'interpretazione né di restituzione. Si è preferito fare ricorso alle espressioni stato legale e stato etico , in analogia all'espressione stato selvaggio , ma sarà utile ricordare che mentre quest'ultima è traduzione letterale, le prime andrebbero invece tradotte con stato delle leggi e' stato dei costumi . Infine: rispetto all'uniforme utilizzo nel testo francese del modo condizionale, si è alternata una restituzione che fa largamente ricorso - in sua vece - a un più realistico indicativo futuro.