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LYNDA LA PLANTE OLTRE OGNI SOSPETTO (Above Suspicion, 2001) RINGRAZIAMENTI Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno dedicato parte del loro tempo ad aiutarmi con le ricerche per Above Suspicion, in particolare Sue Akers, Raffaele D'Orsi, Lucy D'Orsi, il dottor Ian Hill e la dottoressa Liz Wilson, la dottoressa Helen McGrath, Hazel Edwards e il dottor Adam Johannsen per le loro impagabili consulenze sulle procedure della polizia e della scientifica. Un ringraziamento al mio prezioso staff della Plante Productions: Liz Thorburn, George Ryan, Pamela Wilson, Richard Dobbs, Hannah Rothman e George Robertson, e un ringraziamento speciale a Jason McCreight. Grazie anche a Alison Summers, Kara Manley, Stephen Ross e Andrew Benner-Smith. Come sempre, grazie alla mia fantastica agente Gill Coleridhe e a tutto lo staff della Rogers, Coleridge e White. Un ringraziamento speciale a Suzanne Baboneau, a Ian Chapman e a tutte le persone della Simon & Schuster con cui ho la grande fortuna di lavorare. Dedico questo libro a mio figlio, Locarn William Henry La Plante. 1. L'ispettore capo Langton stava fissando i volti delle donne morte. Tutte e sei avevano la stessa espressione tormentata e infelice. Tutte erano di età simili e avevano svolto la stessa professione. La prima vittima era stata strangolata dodici anni prima. L'ultima era stata rinvenuta sei mesi addietro; al momento del ritrovamento doveva essere morta almeno da diciotto mesi. Langton era stato chiamato a Queen's Park per occuparsi del caso. Dal momento che non c'erano né sospettati né testimoni, aveva cominciato ad analizzare il modo in cui la donna era stata assassinata, scoprendo così altri cinque casi irrisolti praticamente identici. Era sicuro che le vittime fossero state uccise dalla stessa persona, ma finora non aveva alcun indizio su chi potesse essere. Si trattava del caso più
frustrante cui avesse mai lavorato. L'unica cosa di cui era sicuro e su cui lui e i profiler si erano trovati d'accordo era che ci sarebbe stata un'altra vittima. A causa dell'ampio lasso di tempo tra la scoperta dei vari cadaveri, la copertura dei media era stata minima. Langton voleva che le cose restassero così; l'eccitazione e il panico avrebbero causato alla sua indagine più danni che altro e gli avvisi della polizia, solitamente, venivano ignorati dalle prostitute. Anche se lo Squartatore dello Yorkshire era stato per anni sulle prime pagine dei giornali, alla fine era stato preso in compagnia di una prostituta nella sua macchina. Gli avvisi della polizia non significavano un granché per le ragazze di strada che avevano bisogno di denaro per la droga o per l'affitto, per i loro figli o per i loro protettori. Langton sfogliò l'ultima pila di rapporti sulle persone scomparse. Una fotografia attirò la sua attenzione. «Melissa Stephens», lesse. Secondo il rapporto, aveva diciassette anni. La foto mostrava una ragazza incredibilmente bella con capelli biondi lunghi fino alle spalle e un sorriso dolcissimo. In confronto alle altre donne del fascicolo, quella ragazza aveva l'aspetto di un angelo innocente. Perché la sua foto era finita lì? Langton mise da parte i dettagli sulla ragazza e tornò a concentrarsi sulle prostitute scomparse, tutte tra i trenta e i quarant'anni. Studiò attentamente le foto dei loro volti malconci. Annotò il fatto che molte delle donne del fascicolo erano europee e solo alcune erano russe. Il sergente Mike Lewis interruppe la sua concentrazione. «Non corrisponde al profilo.» Si sporse sulla scrivania e raccolse la foto di Melissa. «Sì, lo so. È per questo che l'ho messa da parte.» All'inizio la squadra aveva focalizzato le ricerche nell'area urbana, ma ora le avevano ampliate fino a includere Manchester, Liverpool e Glasgow. Stavano monitorando le segnalazioni di donne scomparse che avevano profili simili a quelli delle vittime. Era un pensiero orribile ma Langton non poteva evitarlo: una nuova vittima avrebbe potuto fornire indizi vitali che li avrebbero condotti al serial killer. «Hai saputo di Hudson?» chiese Lewis. «No. Cos'è successo?» «È malato. Lo hanno portato all'ospedale. Potrebbe trattarsi di qualcosa di serio.» «Cazzo! Il capo ci sta già tenendo d'occhio. Perderemo metà della squadra se non otterremo qualche risultato al più presto.» «Hudson potrebbe non tornare per un po'.»
Langton si accese una sigaretta. «Trovami qualcuno che lo sostituisca, e in fretta.» «Okay.» Un'ora più tardi, Lewis appoggiò una dozzina di fascicoli sulla scrivania di Langton. «Cristo! È tutto qui quello che hai trovato?» si lamentò l'ispettore capo. «È tutto quello che hanno.» «Lasciali qui. Ti farò sapere.» Lewis chiuse la porta e tornò alla sua scrivania. Langton cominciò a esaminare i possibili sostituti di Hudson. Il primo fascicolo era quello di un agente con cui aveva già lavorato in passato e non si era trovato bene. Passò a quello successivo. Il fascicolo del sergente Anna Travis era davvero notevole. Dopo essersi laureata in economia a Oxford, aveva seguito il classico addestramento di diciotto settimane a Hendon, poi le era stato affidato il suo primo incarico in uniforme con una squadra di pronto intervento. Verso la fine del periodo di prova era stata assegnata alla Squadra furti e rapine del Dipartimento indagini criminali, prima di essere trasferita alla Squadra anticrimine. Una nota del suo sovrintendente sottolineava che Travis era un'agente molto «proattiva». Langton sfogliò il resto del suo curriculum con minor interesse. Anna Travis aveva bruciato le tappe del Programma per lo Sviluppo del potenziale del ministero degli Interni. L'elenco degli incarichi che le erano stati assegnati lo aveva fatto sorridere: rapine, furti con scasso, periodi di servizio presso il Dipartimento indagini criminali e l'Unità per la sicurezza della comunità. L'unica cosa che le mancava ancora era partecipare alle indagini su un omicidio anche se, notò Langton, Travis aveva già fatto richiesta tre volte senza successo. Langton cominciava a sentire il peso degli anni. Vagamente depresso, continuò a leggere. Prese con le molle gli entusiastici elogi dei superiori di Travis: aveva bisogno di qualcuno che conoscesse la strada e fosse intuitivo, non di una persona dotata solo di un curriculum interessante. Fu l'ultimo paragrafo ad attirare la sua attenzione. Raddrizzò le spalle mentre leggeva: «Anna Travis è la figlia del defunto sovrintendete capo Jack Travis». Con aria pensierosa, Langton prese a picchiettare con la penna sul fascicolo: Jack Travis era stato il suo mentore. Fuori dal suo ufficio, Mike Lewis rispose prontamente al telefono. Poi
fece capolino dalla porta aperta della stanza di Langton. «Capo?» Langton sollevò lo sguardo dalla scrivania, distratto. «Chi è?» «Non lo ha detto. Ci vuoi parlare?» «Certo, certo», disse Langton prendendo il telefono. «Resta.» Mike prese a sfogliare alcune carte mentre Langton parlava in tono sbrigativo. «Quanti anni? Chi se ne sta occupando? Okay, grazie. Mi richiami. Lo apprezzo molto.» Langton riappese. «È stato appena ritrovato un cadavere a Clapham Common. Non mi sembra che abbia a che fare con il nostro caso - pare che la ragazza sia giovane - ma hanno appena risposto alla chiamata.» Si appoggiò allo schienale con aria pensosa. «Mike, conosci l'ispettore capo Hedges? Capelli a spazzola, testa quadrata, terribilmente pieno di sé.» «Certo. Un vero stronzo.» «Il caso è suo, è la sua zona. Voglio che tu segua le indagini. Se troviamo qualche dettaglio che ci interessa, voglio poter subentrare.» Lewis guardò le fotografie disposte sulla scrivania: «Credi che potrebbe essere l'angelo scomparso?» «Potrebbe.» Tese un fascicolo a Lewis poi si alzò in piedi. «Fa' entrare nella squadra questa Anna Travis.» «Cosa, la novellina?» «Esatto.» «Ma non ha mai fatto parte di una squadra assegnata a un omicidio.» Langton si infilò il cappotto. «Suo padre era Jack Travis. Forse prendere con noi sua figlia ci porterà fortuna.» Si fermò sulla soglia. «E comunque, per come stanno andando le indagini, potremmo non avere più nemmeno un caso. 'Notte.» «'Notte.» Lewis tornò alla sua scrivania e compose il numero di telefono di Anna Travis. Il mattino seguente, alle otto meno un quarto, Anna Travis era seduta a bordo di un'auto della polizia che si stava dirigendo sulla scena del delitto. Anche se le era stato detto che avrebbe sostituito un altro agente in malattia, Anna era eccitata perché finalmente si trovava a lavorare a un caso di omicidio. Insieme a lei, a bordo dell'auto, c'erano Lewis e un altro detective di una
certa età, l'agente Barolli. Mike Lewis aveva le spalle larghe e ben presto sarebbe stato in sovrappeso. Il suo volto rotondo dalle guance rubizze lo faceva sembrare perennemente di buonumore. Barolli era più piccolo, con i tratti del volto marcatamente italiani, ma aveva l'accento di East London. Mentre raggiungevano il parcheggio di Clapham Common, Anna notò la presenza del furgone della scientifica e di numerose altre auto civetta. Anche se i cordoni della polizia permettevano l'accesso solo agli agenti, era stata fatta un'eccezione per il furgone del catering che stava già rifornendo di torte e sandwich le squadre intente a organizzare la base operativa. Ciò che la sorprese fu la mancanza di una sensazione di urgenza. Lewis e Barolli si allontanarono dall'auto e si diressero subito al «Teapot One» a prendere un caffè. Anna si limitò a restare nelle vicinanze. Quando guardò verso il parco in direzione dei nastri gialli che delimitavano il parcheggio, vide alcuni agenti della scientifica che indossavano tute bianche. «Questo è il luogo del delitto?» chiese a Lewis. «Mi sembra ovvio. Sì.» «Non dovremmo informare l'ispettore capo Langton che siamo arrivati?» domandò Anna esitante. «Allora hai già fatto colazione?» domandò Lewis. «Sì, prima di uscire.» A dire il vero, Anna aveva bevuto solo un paio di tazze di caffè nero; si sentiva troppo nervosa per mangiare qualcosa. Attese mentre Lewis e Barolli facevano la coda per i loro sandwich al bacon. Quando furono serviti, li fecero sparire in pochi bocconi, quindi insieme a lei si diressero verso il luogo del delitto. Anna lasciò che fossero loro a fare strada restando deliberatamente indietro. Percorsi settecento metri, presero a scendere lungo una sponda scoscesa. Anna notò che entrambi gli agenti sembravano tesi, adesso. Lewis si tolse di tasca un fazzoletto e lo scosse; Barolli tolse un chewing-gum dall'involucro. Si avvicinarono a un capannello di persone in piedi vicino a un gruppo di alberi in una piccola radura. C'erano agenti della scientifica inginocchiati o intenti a muoversi con cautela lì attorno. Anna camminò sulle assi poste su un punto strategico della riva fangosa. Anche se i due detective rivolsero cenni di saluto a diverse persone, nessuno parlò. Il silenzio era inquietante. Poi lo sentì: era un odore simile a quello di foglie morte rimaste troppo a lungo a marcire nell'acqua, foglie dai gambi fradici e scoloriti. Ben presto divenne opprimente. «Ve la siete presa comoda», abbaiò l'ispettore capo Langton rivolgendosi ai due detective. Si voltò per accendersi una sigaretta e Anna vide un
uomo alto e allampanato che indossava una tuta bianca della scientifica, il mento squadrato già coperto da un'ombra di barba. Langton aveva il naso aquilino e occhi duri e penetranti che rendevano difficile sostenere il suo sguardo. Nessuno dei due detective gli rispose ed entrambi invece si voltarono verso la tenda bianca che era appena stata eretta. Langton aspirò una profonda boccata, poi lasciò uscire il fumo dalle narici. Anna sentì Lewis chiedere a bassa voce al suo superiore: «È una delle nostre?» «Sì. Ma c'è un problema. La testa di cazzo che è a capo della squadra si aggrapperà al caso con tutte le sue forze se non riusciremo a dimostrare che abbiamo ragione, e dobbiamo farlo in fretta.» Langton spostò lo sguardo su Anna. «Sei il nuovo sergente?» «Sì, signore.» «Conoscevo tuo padre. Un brav'uomo.» «La ringrazio», disse lei a bassa voce. Il sovrintendente capo Jack Travis era andato in pensione due anni prima e sei mesi più tardi era morto di cancro. Anna sentiva terribilmente la mancanza del padre. Era stato un uomo generoso, affettuoso e sempre disponibile, e lei lo aveva adorato. Il fatto che se ne fosse andato prima della sua promozione ad agente in borghese era un grande dolore per lei. E adesso che era entrata nella Squadra omicidi, che aveva rappresentato una parte così importante della vita di suo padre, quel dolore era ancora più intenso. Il soprannome di suo padre era stato «Jack il Coltello» per via della sua capacità di tagliare i dettagli inutili e arrivare sempre al punto. E ciò che Anna desiderava più di ogni altra cosa era avere lo stesso successo di Jack Travis. Un filo di fumo salì dalla sigaretta di Langton mentre indicava la tenda. «Penso che potrebbe essere il nostro angelo, la ragazza scomparsa.» Si diresse verso l'apertura della tenda. «Vuoi venire a dare un'occhiata?» chiese ad Anna al di sopra della spalla. A Lewis e Barolli vennero date tute e sovrascarpe di carta per impedire che contaminassero la zona. «Sono a corto di mascherine», spiegò Langton mentre prendeva da una scatola di cartone una tuta per Anna. «Mettitela e poi cammina sulla passerella.» Spense il mozzicone di sigaretta e se lo mise in tasca. Anna si affrettò ad aprire il sacchetto da cui estrasse la tuta. Se la infilò sopra la gonna e la giacca, poi chiuse il velcro attaccandolo alla giacca di
tweed. In bilico prima su un piede e poi sull'altro per infilarsi le sovrascarpe, continuò a fare profondi respiri per tenere a bada l'intenso fetore, inspirando con la bocca e poi soffiando fuori il fiato. Alle sue spalle un agente si stava lamentando con un collega. «Che cosa ci fa lui qui? Questo non è il suo territorio, giusto?» «No, ma voleva dare un'occhiata. Si sta occupando di un caso senza speranza a Queen's Park. Stronzo invadente; mi piacerebbe sapere come cazzo ha fatto ad arrivare qui tanto in fretta. In più s'è portato dietro quei due idioti dei suoi tirapiedi. Chissà chi si crede di essere. L'ispettore capo Hedges sarà su tutte le furie.» Quando Anna entrò nella tenda ripensò a ciò che le era stato detto: non c'è addestramento che possa prepararti a una cosa simile. Possono mostrarti foto di corpi senza vita, farti analizzare referti autoptici (Anna aveva persino assistito a un'autopsia) ma trovarti di fronte al tuo primo vero cadavere sulla scena del crimine è qualcosa di completamente diverso. Tutti dicono che il primo cadavere è quello che continua a ossessionarti per il resto della tua carriera. «Pensi che sia lei?» sentì sussurrare Lewis. «Può darsi», disse Langton. «Stessa età, stesso colore dei capelli.» «Dev'essere qui già da un po'.» Barolli annusò l'aria, disgustato. «Comunque, è in ottima forma. Niente decomposizione. È per via del tempo. È rimasta coperta dalla neve, ma ieri è stata una giornata strana, c'erano più di venti gradi.» Mentre Langton discuteva con i suoi due detective, Anna si avvicinò camminando sulla passerella. «Pensiamo che fosse una studentessa, la sua scomparsa è stata segnalata sei settimane fa», disse Langton interrompendo d'un tratto la conversazione per esporre i fatti ad Anna, «ma non potremo esserne sicuri finché non sarà stata effettuata l'autopsia.» Tornò a rivolgersi ai suoi detective. Langton divenne una macchia sfocata; Anna poteva vedere le sue labbra che si muovevano, poteva udirlo debolmente, ma quando le persone davanti a lei si fecero da parte per permetterle di vedere con chiarezza il cadavere, le venne da vomitare. Adesso era molto vicina e il fetore era denso e pesante, peggiorato dallo spazio chiuso della tenda. La vittima giaceva sulla schiena, i lunghi capelli biondi come un ventaglio attorno alla sua testa. Il viso era gonfio, gli occhi le erano sprofondati nel cranio e aveva le orbite piene di vermi che le entravano e le uscivano
dalle narici e dalla bocca, strisciando e agitandosi: un ammasso disgustoso e brulicante. Attorno al collo della ragazza c'era quella che sembrava una sciarpa nera. Era stata annodata così stretta che il collo era gonfio come un pallone e la pelle aveva una sfumatura bluastra. Aveva le braccia dietro la schiena, il corpo leggermente inarcato. La T-shirt le era stata sollevata al di sopra dei seni, la gonna tirata su sopra il ventre. Aveva le gambe divaricate, una scarpa ancora al piede, l'altra abbandonata vicino al fianco. Sulle ginocchia, ferite e graffi insanguinati coperti di mosche e vermi, e attorno al cadavere ronzavano grossi mosconi che si posavano anche sulle tute bianche dei detective. «Sono arrivate in fretta per via del tempo», disse Langton, scacciando una mosca dalla tuta. Anna sentì che le ginocchia minacciavano di cederle. Inspirò profondamente, facendo tutto il possibile per non svenire. «Andiamo.» Langton guardò Anna che barcollava davanti a lui, ansiosa di abbandonare la tenda. Sapeva esattamente che cosa sarebbe successo. Anna riuscì a raggiungere un albero, si appoggiò al tronco e vomitò. Lo stomaco le si rovesciò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Gli altri due detective si stavano togliendo le tute bianche. Le gettarono in un bidone dei rifiuti. «Ci vediamo al parcheggio», disse Langton, ma Anna non riuscì nemmeno a sollevare la testa. Quando alla fine li raggiunse, erano seduti a un tavolo da picnic. Langton stava mangiando un sandwich e gli altri stavano bevendo caffè. Il volto di Anna era quasi dello stesso blu di quello della ragazza morta. Si sedette sul bordo della panchina. Langton le porse un tovagliolino di carta. «Mi dispiace», mormorò lei pulendosi il viso. «Torniamo alla centrale. Non c'è niente che possiamo fare qui. In questo momento, la ragazza non ci appartiene.» «Mi scusi?» chiese Anna. Langton sospirò. «La ragazzina non è nostra. La polizia locale ha chiamato la Squadra omicidi di questa zona, quindi il caso spetta a loro, non a me. Non abbiamo il permesso di occuparcene a meno che non dimostriamo che c'è un collegamento. Burocrati del cazzo! Hanno affidato il caso a un vero stronzo.» «Pensi sempre che sia il nostro uomo?» domandò Lewis.
«Sembra di sì, ma non saltiamo alle conclusioni», rispose Langton. Anna notò che l'ispettore capo riusciva a fumare e a mangiare contemporaneamente. Masticava il sandwich mentre il fumo gli scivolava fuori dalle narici. Lewis insistette: «Secondo me è il nostro uomo, a giudicare dal modo in cui le ha legato le mani». Barolli intervenne: «Sono d'accordo». Anna si accorse che stava ancora masticando un chewing-gum. «L'hanno trovata solo ieri sera. Come hai fatto a chiamarci così in fretta? Hai un informatore?» «Ho sentito la segnalazione alla radio. Sono arrivato qui quasi insieme ai tizi della scientifica.» Lewis sapeva che il suo capo non stava dicendo la verità perché era insieme a lui alla centrale quando aveva ricevuto la soffiata. Stava cercando di proteggere la sua fonte, era evidente. «Mi sono già scontrato con l'ispettore capo Hedges.» Entrambi i detective seguirono lo sguardo di Langton che si era spostato sull'uomo biondo intento a prendere un caffè al Teapot One. Sentendosi osservato, l'uomo si voltò per lanciare loro un'occhiata prima di tornare alla sua tazza di caffè. Anna avrebbe voluto dire qualcosa ma si sentiva troppo a pezzi anche solo per tentare di mettere insieme una frase sensata. Salirono in macchina e si diressero verso la centrale. Queen's Park era piuttosto lontano da Clapham Common. La polizia locale che si trovava sul luogo del delitto avrebbe provveduto a organizzare al più presto una sala operativa. Anna non era mai stata alla centrale di Queen's Park, così non aveva idea di dove stesse andando quando seguì Mike Lewis lungo una rampa di scale che portava alla sala operativa. La centrale era vecchia e malconcia; le pareti di pietra dei corridoi e delle scale erano dipinte di un verde che faceva pensare al colore di un bagno pubblico. Il secondo piano aveva i pavimenti coperti di linoleum consunto e le pareti e il soffitto con la vernice scrostata. Numerosi uffici conducevano a stanze degli interrogatori e agli archivi. Nell'aria c'era un senso di precarietà acuito dagli schedari sparpagliati a intervalli irregolari lungo i corridoi. Quel luogo confondeva Anna, non somigliava minimamente alle descrizioni del manuale d'addestramento dei seminari che aveva seguito al college. Barolli si era infilato in bagno; quanto a Langton, Anna non aveva idea di dove fosse. «Tu sostituisci Danny, giusto?» ansimò Lewis mentre raggiungeva la
cima della rampa di scale. «Credo di sì», rispose lei. «Ha una specie di virus intestinale. Un attimo prima stava benissimo e un attimo dopo era piegato in due dal dolore. Credevo fosse appendicite, ma a quanto pare è un virus intestinale. Conosci Danny?» Ora Lewis stava arrancando lungo lo stretto corridoio. «No», disse lei cercando di stargli dietro. Lewis raggiunse le doppie porte in fondo al corridoio e le spalancò. Le porte oscillarono indietro e Anna ci sarebbe andata a sbattere contro se lui non avesse afferrato in tempo uno dei battenti. «Scusa», le disse distrattamente. Anna non si sarebbe mai aspettata di trovare tante persone al lavoro su un caso in cui era appena stato scoperto il cadavere. C'erano otto scrivanie, occupate da alcuni agenti in uniforme e da due impiegati. C'erano file di schedari straripanti di fascicoli e documenti. A una parete era appesa una lunga lavagna bianca coperta di date e nomi scarabocchiati a pennarello da mani diverse e molte foto inquietanti delle vittime da vive e da morte. Su una scrivania c'era il fascicolo di una persona scomparsa. Anna lo aprì e si ritrovò a fissare la fotografia di una bellissima ragazza, Melissa Stephens, diciassette anni, scomparsa all'inizio di febbraio. C'era una lista che comprendeva il colore dei suoi occhi, i vestiti che indossava l'ultima volta che era stata vista e diversi altri dettagli. «La vittima di stamattina è stata identificata?» domandò a Mike Lewis. L'uomo era seduto sul bordo della scrivania e stava parlando con alcune agenti. «Non ancora», rispose al di sopra della spalla per poi tornare subito alla sua conversazione. Anna raggiunse la lavagna per guardare le altre fotografie. C'erano sei foto delle vittime, una accanto all'altra. Sotto ciascuno scatto erano appuntati descrizioni, luoghi e stato delle indagini. I volti di quelle donne erano duri e vecchi se confrontati con quello di Melissa Stephens, i loro sguardi ostili. «Sono tutti casi aperti?» chiese Anna a Lewis. Lui non la sentì, stava parlando con Barolli che era appena arrivato. Anna continuò a leggere. Le vittime erano state tutte stuprate e strangolate e i loro corpi scaricati in luoghi isolati: Richmond Park, Epping Forest, Hampstead Heath. A tutte erano state legate le mani dietro la schiena, tutte erano state strangolate con i loro collant.
«La vittima di questa mattina e le altre sono ancora casi aperti? Voglio dire, c'è un collegamento?» Barolli la raggiunse. «Nessuno ti ha spiegato perché il capo ci ha sbattuti giù dal letto a quest'ora del mattino?» «No. Alle sette ho ricevuto una telefonata in cui mi informavano che mi sarei unita alla squadra di Langton. Nessuno mi ha detto niente dell'indagine.» «Tu sostituisci Danny, giusto?» «Mike mi ha detto che si trova in ospedale.» Barolli indicò le foto delle vittime. «Questa indagine va avanti da mesi; sei mesi, per la precisione. Cinque di questi casi sono vecchi di anni. Sono rimasti in archivio finché il capo non li ha scovati.» «Sei mesi?» chiese Anna, scioccata. «Già.» Picchiettò sulla lavagna. «Questa era la nostra vittima più recente e quando è stata ritrovata era morta da più di un anno. Abbiamo incominciato a raggrupparle qualche mese fa: come puoi vedere, sono state uccise con lo stesso modus operandi.» «Vuoi dire che è lo stesso assassino?» «Noi pensiamo di sì, anche se finora non abbiamo scoperto un cazzo. Ma se tra il cadavere di stamattina e gli altri c'è un collegamento, potremmo trovare qualche nuova pista. Potremmo anche non trovare niente e non ottenere il caso. Il capo lo vuole a tutti i costi perché, dato che la vittima è stata uccisa da poco, dovremmo riuscire a trovare molti più indizi.» In quel momento le doppie porte si spalancarono e tutti gli occhi si fissarono su Langton. «È Melissa. Le impronte dei denti combaciano.» Langton raggiunse il centro della stanza in cui era calato il silenzio. Aveva l'aria stanca, occhiaie profonde e l'ombra della barba sul suo viso era ancora più scura. «Sono stati veloci per noi, ma dovremo aspettare gli altri risultati. Ora vado al laboratorio. Finché non avremo dettagli più precisi, non saprò se dovremo fare una riunione di coordinamento con l'Associazione capi della polizia. Mike, vuoi venire con me?» Sentendosi come una scolaretta, Anna alzò la mano. «Potrei venire anch'io, signore?» Langton la studiò per un attimo senza dire niente. «Hai già assistito a un'autopsia?» «Sì.» «Svienimi addosso e ti rispedisco a casa, intesi?» Indicò Barolli. «Occu-
pati tu della situazione qui. Qualsiasi risultato arrivi, abbiamo bisogno di conoscerlo immediatamente. Prepara la lavagna.» Barolli teneva in mano un pennarello nero mentre guardava la fotografia di Melissa. Trascrisse sulla lavagna un appunto sulle impronte dentali, poi in stampatello scrisse MELISSA STEPHENS, VITTIMA 7, seguito da un punto interrogativo. Langton sedeva sul sedile anteriore, il capo sul poggiatesta, gli occhi chiusi. Anna si chiese se stesse dormendo. Si appoggiò allo schienale, cercando di tenere la bocca chiusa. Alla fine, Langton parlò. «I media ne faranno un grosso show. La vittima è giovane e molto bella. Devo convincere il comandante della Omicidi ad affidarmi il caso. Ciò su cui abbiamo lavorato finora non è esattamente di grande interesse per il pubblico, ma se otterrò il caso, otterrò anche la squadra di cui ho bisogno, e con l'aiuto del database Holmes raggiungerò dei risultati.» Anna annuì, ancora leggermente confusa. «Grazie.» Anna e Langton attraversarono il parcheggio dell'ospedale. Lui sapeva esattamente dove andare e camminava in fretta, spalancando le porte senza voltarsi a guardare, certo che lei lo stesse seguendo. Alla fine arrivarono all'obitorio, dove Langton indicò una porta su cui era scritto «Signore». «Va' a vestirti là dentro e poi raggiungimi», disse lui. Anna si legò una mascherina attorno alla testa, fece scivolare i piedi nelle sovrascarpe e infine indossò il camicie protettivo verde. Entrò nella camera autoptica, rabbrividendo. L'aria era gelata. Anche se era stato ristrutturato di recente e munito di attrezzature e tavoli d'acciaio moderni, l'obitorio sfoggiava ancora le sue piastrelle vittoriane. In piedi vicino a uno dei tavoli, un gruppo di assistenti stava tagliando i vestiti sudici del cadavere di una tossicodipendente trovato quella mattina. Il pavimento era bianco e scivoloso. Un secondo tavolo era vuoto e un altro assistente lo stava lavando con un potente getto d'acqua. Sul terzo tavolo, coperta da un telo di plastica verde, giaceva la loro vittima. Mentre il suo assistente faceva un elenco degli abiti della vittima, il medico legale, il dottor Vernon Henson, parlò a bassa a voce a Langton. Anna rimase a guardare mentre una T-shirt nera e una gonna rosa venivano infilate in un sacchetto per le prove che sarebbe stato inviato alla scientifica. «Niente biancheria intima?» domandò Langton. «Niente mutandine», rispose Henson. «Ma c'è un reggiseno. Scommetto che vorrà dare un'occhiata al modo in cui era legato.»
Langton fece cenno ad Anna di avvicinarsi, mentre Henson scostava il telo di plastica che copriva il cadavere. Fu in quel momento che entrò l'ispettore capo Hedges. Indossava un camice e si stava infilando dei guanti di lattice. Lanciò a Langton un'occhiata di fuoco. «Continui ad alitarmi sul collo, Jimmy? Oppure sei venuto solo per il brivido?» «Sono qui, Brian, perché se questa ragazza è mia dovrai rinunciare al caso.» Hedges scrollò le spalle. «Prima dovrai dimostrarlo. Per ora il caso è ancora mio. Quindi, se non ti spiace, vedi di levarti di torno.» Langton si fece da parte. Hedges si avvicinò al tavolo mentre i due assistenti dell'anatomopatologo voltavano con delicatezza il corpo a faccia in giù. Le mani erano legate con un reggiseno di cotone bianco. Il reggiseno era stato stretto attorno ai polsi e poi legato con una forza considerevole. Prima di tentare di sciogliere il nodo, Henson si spostò per permettere che venissero scattate fotografie da ogni angolazione possibile. Il reggiseno resistette ai suoi sforzi. «Dovrò tagliarlo», disse quasi in tono di scusa. «Proceda», ordinò Hedges. Tentando di causare il minor danno possibile, il patologo tagliò il tessuto dai polsi della vittima. Le mani rimasero chiuse, con i pugni stretti. Le piaghe attorno ai polsi erano color viola scuro. Quando la ragazza venne di nuovo voltata a faccia in su, le sue braccia vennero spostate sui fianchi ma i pugni rimasero serrati. «Abbiamo quelli che credo siano i suoi collant; anche in questo caso sono stati stretti attorno alla gola e hanno lacerato la pelle, dubito che sarò in grado di sciogliere il nodo.» Vennero scattate altre fotografie del modo in cui erano stati annodati i collant. Langton e Hedges andarono a sbattere praticamente l'uno contro l'altro per poter vedere meglio. I collant erano talmente stretti che fu quasi impossibile rimuoverli. Alla fine Henson dovette tagliare il nodo. Il gonfiore aveva reso il collo della ragazza due volte più grosso del normale. I segni erano profondi, tagliavano la pelle e i lividi erano neri, vermigli e viola scuro. Era difficile pensare che la ragazza sul tavolo d'acciaio fosse la stessa della fotografia. «Abbiamo mandato al laboratorio molte delle larve prese dagli occhi e dalla bocca; serviranno a farci capire quanto tempo il cadavere è rimasto nel bosco. Le larve si sono sviluppate molto rapidamente, per via delle insolite condizioni atmosferiche. Qualche giorno fa, mi sono accorto che nel
mio giardino erano sbocciate le rose in mezzo alla neve.» Henson aveva una voce bassa e profonda. «Può sistemarla un po'? Solo per evitare che i famigliari la vedano così», suggerì Hedges. «State indietro, per favore. Quando la taglierò, il gonfiore diminuirà», disse il capo patologo. «Le abbasseremo le palpebre così i suoi parenti non vedranno le orbite vuote. Gli insetti le hanno invaso anche le gengive e le manca la punta della lingua; potrebbe avergliela staccata una volpe.» Si voltò verso Langton e prese un abbassalingua per mostrare la lesione. «A meno che non se la sia staccata da sola. Se è così, la troveremo nel suo stomaco.» «Ha preso un brutto colpo alla tempia destra, proprio sopra l'orecchio.» Accompagnata dal bagliore del flash, la macchina fotografica continuò a scattare primi piani del volto, del collo, degli occhi, della bocca e del naso. Henson attese che l'assistente avesse finito, poi tirò indietro i lunghi capelli biondi della ragazza rivelando un livido circolare coperto di sangue secco. «Direi che si è trattato di un oggetto smussato e tondeggiante, della grandezza di una moneta da dieci pence. Anche in questo caso, la zona attorno alla ferita è infestata dai vermi e ci sono anche delle uova, e questo ci dirà di più sul momento della morte.» Henson si sistemò la mascherina. Langton annuì. «Approssimativamente, da quanto tempo crede che sia morta?» «Dannatamente difficile dirlo. La decomposizione non è in stato così avanzato, ma sotto il corpo ci sono zone molto scure che ci dicono che il cadavere è rimasto in questa posizione per parecchio tempo. Potrebbe trattarsi di alcuni mesi o di alcune settimane, ma di sicuro non di giorni.» Henson cominciò ad aprire le dita della ragazza. «Le unghie sono in buone condizioni. Temo che non ci troverò molto, sotto, ma naturalmente controlleremo.» Henson fece un passo indietro per osservare il corpo dalla testa ai piedi, che avevano le unghie dipinte di rosa. «Non ci sono graffi o altri segni che indichino che la vittima ha opposto resistenza. C'è da sperare che la ferita alla tempia le abbia fatto perdere i sensi. Da un esame superficiale, direi che c'è stata penetrazione vaginale e anale.» Il patologo indicò la vagina della ragazza, sfiorando la pelle con la punta delle dita. «Vedete questi lividi? Significano che la penetrazione è stata
brutale. Prenderemo dei tamponi, ovviamente, ma l'ano è lesionato in due punti. In pratica questo è tutto finché non l'avremo aperta per scoprire qualcosa di più, quindi direi che è meglio cominciare, giusto? È già stata pesata: soltanto quarantacinque chili, povera creatura. Le radiografie arriveranno tra poco. Non ho trovato niente di rotto ma ve le faremo avere in ogni caso. C'è una piccola voglia sulla spalla destra, ma a parte questo la pelle non mostra alcuna imperfezione. Doveva essere molto graziosa da viva.» Langton annuì. Non aveva guardato in direzione di Anna nemmeno una volta e lei si sentì sollevata perché sapeva che la parte visibile del suo volto doveva essere dello stesso bianco della mascherina. Ma lo stesso valeva per l'ispettore capo Hedges, e Anna rimase sorpresa quando lo vide voltarsi verso Henson. «Mi tenga aggiornato. Vado a vedere se alla scientifica hanno scoperto qualcosa analizzando i vestiti.» Hedges uscì e Anna sentì Langton fare una risatina sprezzante. Anche Henson se ne accorse e i suoi occhi si strinsero al di sopra della mascherina. «È già stata lavata, possiamo cominciare. Ho solo bisogno dello stabilizzatore sotto la sua testa.» Henson impugnò il bisturi. Si chinò sul cadavere per praticare l'incisione a Y. Praticò due tagli che partivano dalle spalle e si incontravano allo sterno, poi aprì l'addome fino alla pelvi. Quando gli organi interni vennero esposti, il fetore di gambi di fiori marci divenne insostenibile. Mentre il sibilo dei gas e dei fluidi corporei permeava la stanza, Anna trasse alcuni rapidi respiri cercando di restare in piedi. Le girava la testa. Non c'era da meravigliarsi del fatto che Hedges avesse avuto tanta fretta di andarsene. Henson tagliò le costole e le clavicole quindi sollevò la gabbia toracica della ragazza mettendo in mostra gli organi interni. Li rimosse uno dopo l'altro per pesarli. Dopo aver raccolto campioni di fluidi dagli organi, il patologo aprì lo stomaco e gli intestini per cominciare a esaminarne il contenuto. Nonostante il giramento di testa, Anna notò che gli assistenti lavoravano come una squadra molto affiatata. Henson non doveva mai dare ordini e mentre gli assistenti si occupavano di pesare gli organi e analizzare il sangue, lui poté concentrarsi sulla testa del cadavere. Quando Henson cominciò a esaminare le orbite di Melissa, la vista di Anna si offuscò. Senza voltarsi, il patologo disse ad alta voce: «La vittima
ha avuto una forte emorragia, il che è consueto nei casi di strangolamento, e gli insetti stanno facendo un vero e proprio banchetto nelle cavità orbitali. Piccoli figli di puttana». Anna si concentrò per tentare di assimilare ciò che Henson stava dicendo invece di fissare il cadavere aperto della ragazza. Anche se la vista del contenuto dello stomaco l'aveva quasi fatta svenire, in qualche modo era riuscita a restare in piedi. Henson cominciò a praticare l'incisione per sollevare lo scalpo. Iniziò a tagliare dalla nuca, poi tirò in avanti lo scalpo sopra il volto della vittima, esponendo il cranio. A quel punto, un assistente gli porse una potente sega oscillante per aprire il cranio. Dopodiché il patologo prese uno scalpello e scoperchiò la scatola cranica. Fino a quel momento, Anna era riuscita a controllarsi. Con il trascorrere dei minuti, era diventato via via più facile; il fetore si era mescolato all'odore del disinfettante e questo l'aveva aiutata. Tuttavia il suono dello scalpello fu troppo per lei. Incapace di trattenere i conati, riuscì a raggiungere appena in tempo la toilette delle signore. Entrò di corsa nella cabina, cercando affannosamente di riprendere fiato. Si inginocchiò davanti alla tazza e vomitò. Dopo diversi minuti, quando cercò di alzarsi in piedi, il suo corpo stava ancora tremando. Fece scorrere l'acqua fredda nel lavandino e continuò a sciacquarsi il volto e ad asciugarselo con una salvietta di carta, ma ogni volta che raddrizzava le spalle, i conati ritornavano. Il fetore sembrava avere impregnato i suoi vestiti, i suoi capelli e le sue mani, anche se le lavava e le rilavava con il sapone liquido. Ancora stordita, Anna si appoggiò alla parete del corridoio e attese. Dopo un po' Langton uscì dalla camera autoptica. «È morta da circa quattro settimane», mormorò ad Anna togliendosi il camice verde. «È rimasta lì per tutto questo tempo.» Aveva ancora la mascherina appesa al collo. «Maledizione, si stenta a crederci.» Langton raggiunse la toilette degli uomini ed entrò. Un attimo dopo uscì e fece cenno ad Anna di seguirlo lungo il corridoio. «Hai mai fatto nuoto sincronizzato?» le domandò, finendo di chiudersi i pantaloni. Anna non era sicura di aver sentito bene. «Mi perdoni?» «Quei tappanaso che usano per restare sott'acqua sono molto utili. Se te ne metti uno sei obbligata a respirare con la bocca.» «Potresti anche mangiare delle Mint Imperiai», le disse quando salirono sull'auto. «Sai, quelle mentine rotonde.» Appoggiò il braccio sullo schiena-
le dell'altro sedile. «Ti ci abituerai. Quando saprai cosa aspettarti, diventerà più facile.» «La ringrazio», mormorò Anna, imbarazzata. Non sapeva cosa dire, o se ci fossero delle domande che avrebbe dovuto fare. L'odore di pino del sapone liquido le stava facendo venire la nausea. Come se il suo stomaco non fosse stato messo già abbastanza a dura prova. Chiuse gli occhi pregando di non ricominciare a vomitare. «Mi dispiace», disse Langton quando lei aprì il finestrino. Anna notò che aveva in mano una sigaretta accesa. «Non si può fumare alla centrale. Be', in teoria non si può. Ormai ci sono un mucchio di posti in cui non si può, quindi...» Scrollò le spalle poi, aspirando una lunga boccata, si appoggiò allo schienale. Qualche istante dopo, senza alcun preavviso, le chiese: «Tua madre è ancora viva?» «No, è morta due anni prima di mio padre.» «È vero, ora mi ricordo. Come si chiamava?» «Isabelle», rispose lei confusa. «Isabelle? Certo. Era una donna molto bella.» Lei lo guardò gettare il mozzicone di sigaretta fuori dal finestrino. L'aria fresca che entrava dall'esterno fece diminuire la nausea. Con suo grande stupore, Anna si sorprese a dire: «Io assomiglio a mio padre». Langton fece una risatina. «Immagino di sì.» Suo padre era stato un uomo robusto: spalle larghe e folti riccioli rossi. Sua madre invece aveva avuto la carnagione olivastra e i capelli corvini. Era stata una donna stupenda, alta, snella e molto creativa; aveva lavorato come designer. Anna aveva i capelli ribelli di suo padre, che portava sempre cortissimi. Malgrado il colore dei capelli, la sua pelle era insolitamente scura, diversa da quella pallida e lentigginosa di suo padre, e aveva ereditato gli occhi scuri della madre. Piccola ma piuttosto robusta, non aveva un filo di grasso addosso, solo muscoli. Anna andava a cavallo fin da quando era bambina. Aveva vinto talmente tante gare che avrebbe potuto coprirsi dalla testa ai piedi con i nastri rossi e blu delle coccarde. Una volta suo padre gliele aveva appuntate tutte agli abiti e le aveva fatto una fotografia; all'epoca Anna aveva soltanto undici anni. Tornò a concentrarsi su Melissa. Com'era stata la sua vita prima di essere ridotta in quello stato? Ripensò a com'era stata alla sua età e a com'era stata ancora prima. Poi si rese conto che Langton le stava parlando e si sporse in avanti. «Mi perdoni, signore, non l'ho sentita.»
«La ragione per cui mi costringo ad affrontare le autopsie, a vedere le vittime tagliate, sventrate, spogliate della loro umanità, è che tutto questo in qualche modo rende le cose più facili. Bilancia la rabbia. Quel coglione di Hedges non è riuscito ad arrivare in fondo, naturalmente. Che rammollito!» L'ispettore capo chiuse gli occhi; la conversazione per il momento sembrava conclusa. Anna seguì Langton nella sala operativa dove lui si tolse il cappotto, prese un pennarello e raggiunse la lavagna. Incominciò a stilare un elenco delle informazioni che aveva ricevuto da Henson. Senza nemmeno voltarsi, chiese: «Jean, puoi portarmi un sandwich pollo e pancetta senza pomodori e un caffè?» Jean, un'agente in uniforme dal viso sottile, stava lavorando a uno dei computer. Si alzò in piedi non appena si sentì chiamare per nome: «Vuole anche un Kit-Kat o qualcos'altro?» Non sembrava una persona molto paziente. «No, grazie. Un sandwich pollo e pancetta senza pomodori.» Mike Lewis entrò mentre Langton continuava a scrivere sulla lavagna: «Mike, a quanto pare la nostra soffiata era giusta». «Ottimo. Sappiamo già con esattezza quando è morta?» «No, non ancora. Ma è morta da almeno quattro settimane. È stata strangolata e ha subito violenza sessuale. Vai dal sovrintendente, digli che abbiamo una situazione critica. Avremo bisogno di organizzare una squadra investigativa. Rischiamo di perdere la fiducia dei cittadini. Mettiti in contatto con la squadra revisione omicidi, informali che ora siamo noi a occuparci delle indagini. Barolli è già tornato?» «Non ancora, ma sarà qui tra poco. È stato alla scientifica.» «Riunisci la squadra per l'aggiornamento alle...» Langton lanciò un'occhiata al suo orologio poi controllò quello appeso alla parete. «Sono già le tre. Cazzo. Facciamo tra mezz'ora?» Tutti, a parte Anna, erano pronti per la riunione. L'addestramento non l'aveva preparata a unirsi a una squadra già operativa. «Mi scusi, signore. C'è qualcosa su cui vuole che mi concentri?» Langton sospirò. «Studia i casi. Trovati una scrivania e comincia subito.» Indicò le lavagne, poi alcuni schedari allineati lungo il muro. «Bene, signore.»
Anna fece del suo meglio per dare l'impressione di sapere che cosa stesse facendo, ma non aveva idea da dove cominciare e non riusciva a decifrare il sistema usato per l'archiviazione. Su molti schedari c'erano pile traballanti e disordinate di fascicoli. Un agente in uniforme le passò accanto portando un vassoio pieno di tazze di tè. «Mi scusi, qual è lo schedario del primo caso?» «Quello più vicino al muro», rispose l'agente senza guardare. Quando Anna aprì il primo cassetto, lo trovò completamente stipato di fascicoli. Ne prese una pila e si guardò attorno nella sala. Lo stesso agente di prima le passò accanto con il vassoio vuoto. «Ehm... C'è una scrivania che potrei usare?» La scrivania in fondo alla sala era invasa da cartoni e confezioni di takeaway. Il cestino della cartastraccia era stracolmo di scatole vuote di hamburger e patatine fredde. Anna rimise in ordine per farsi spazio. All'improvviso nella stanza riecheggiò un grido. Langton teneva in mano il suo sandwich e lo stava agitando nell'aria. «Te l'ho detto non una ma due volte: niente pomodori del cazzo, Jean!» «Io l'ho chiesto senza pomodori.» Jean era rossa in viso. «Be', è pieno di pomodori e io li detesto, lo sai!» «Vuole che glieli tolga?» azzardò Jean, ma Langton li stava già gettando nel cestino. Anna abbassò il capo; non mangiava da quella mattina. Nessuno le aveva offerto una tazza di tè o di caffè. Sembrava che nessuno si fosse accorto della sua presenza. Trovò la sua valigetta e aveva appena estratto il taccuino e le matite nuove quando si rese conto che erano quasi le quattro. Teresa Booth aveva quarantaquattro anni quando il suo cadavere era stato trovato in un campo vicino allo svincolo di Kingston. Era una prostituta, anche se non di quella zona. Teresa aveva lavorato per molti anni nel quartiere a luci rosse di Leeds. Data la vicinanza di quella strada così trafficata, non erano molti i pedoni che frequentavano la zona e la vittima era stata trovata da un ragazzo che si era fermato per un guasto allo scooter. Mentre spingeva il motorino sullo stretto marciapiede per allontanarsi dal traffico, aveva intravisto un piede attraverso la vegetazione. Il ragazzo si era arrampicato lungo il pendio e aveva trovato il corpo. Le mani della vittima erano state legate dietro la schiena con un reggiseno; la donna era stata strangolata con un paio di
collant neri. Il corpo era rimasto dietro i cespugli per tre o quattro settimane. Ma c'era voluto molto più tempo - quattro mesi - per identificarla. Il ritrovamento era avvenuto nel 1992. Nel fascicolo c'erano le foto dell'autopsia e del luogo del delitto. Il volto senza vita di Teresa era di una bruttezza angosciante. La pelle era butterata e su una guancia c'era una profonda cicatrice. I capelli ossigenati avevano una ricrescita nera. Le iniziali «TB» sul braccio sembravano essere state graffiate o incise nella pelle e sulla coscia destra aveva il tatuaggio sbiadito di un cuore rosa. La zona dei genitali era coperta di lividi. «TB» era stato identificato come Terence Booth, il primo marito della donna. Teresa, in seguito, era stata sposata altre tre volte. Aveva avuto tre figli ma nessuno dai suoi mariti. Due erano stati dati in affidamento quando erano ancora molto piccoli mentre il più giovane, un maschio, aveva vissuto con la madre. Teresa sembrava molto più vecchia dei suoi quarantaquattro anni. La sua storia era triste e squallida. Era un'alcolizzata che era stata in prigione per prostituzione, furto di carte di credito ed emissioni di assegni a vuoto. Era stata identificata grazie alle impronte digitali e alle fotografie. «Travis!» Anna sollevò lo sguardo. Mike Lewis era sulla soglia e le stava facendo cenno di sbrigarsi. Era stata così assorbita dalla lettura del fascicolo che non si era accorta che la sala operativa si stava poco a poco svuotando. «In sala riunioni», le disse Lewis prima di scomparire. Anna si stava affrettando a raggiungerlo quando Jean la chiamò: «Per favore, non lasciare fuori i fascicoli; rimettili nello schedario». Anna tornò alla scrivania dove raccolse il fascicolo letto per metà e lo rimise dove lo aveva preso. Quando chiese dove fosse la sala riunioni, Jean rispose bruscamente: «Al piano di sotto, seconda porta sulla sinistra». Mentre usciva, sentì Jean lamentarsi con un'altra agente: «Ne ho fin qui di farmi trattare così da lui. E comunque andare a prendergli il pranzo non è il mio lavoro. Sono tutti stranieri là, non capiscono una parola di quello che gli dici. Chiedi "niente pomodori" e loro te ne mettono il doppio!» Anna scese quasi di corsa la stretta rampa di scale e si ritrovò in un corridoio buio. Trovò facilmente la sala riunioni seguendo il rumore delle voci. File di sedie erano state sistemate disordinatamente davanti a una scrivania. La stanza era grande e malconcia e odorava di tabacco stantio, anche se alle pareti erano appesi cartelli gialli macchiati che dicevano «Vietato Fumare». Anna trovò un posto libero in fondo alla stanza e si sedette stringendo
tra le mani il taccuino. Davanti alla scrivania, Lewis e Barolli furono raggiunti da otto detective e sei agenti in uniforme. Le due detective erano una bionda grassa che sembrava pronta per la pensione e una donna alta, dal volto sottile, sui trentacinque anni, con dei brutti denti incapsulati. Il sovrintendente cui facevano capo le indagini, Eric Thompson, entrò seguito da Langton. Thompson aveva un aspetto atletico: il volto fresco, la schiena e le spalle dritte. Aveva la fronte alta e i capelli radi pettinati all'indietro. In confronto a lui, Langton sembrava stanco e trasandato. Barolli, seduto poco lontano, si stava allentando il nodo alla cravatta. «Un po' di silenzio!» abbaiò Langton. Poi si appollaiò sul bordo della scrivania e si sporse in avanti rivolgendosi ai presenti. «La vittima è stata formalmente identificata oggi da suo padre. E, o meglio, era Melissa Stephens, diciassette anni. La dichiarazione del suo ragazzo rilasciata la notte della scomparsa è tutto ciò che abbiamo finora, ma sono convinto che Melissa sia finita nell'area di interesse del nostro assassino. Fino a oggi tutte le sue vittime sono state prostitute di età comprese tra i trentaquattro e i cinquant'anni. Melissa potrebbe essere la nostra scoperta più importante. È vitale che agiamo il più in fretta possibile.» Anna stava prendendo molti appunti, ma dato che non aveva familiarità con il resto dei fascicoli, non riusciva a capire la maggior parte delle cose che Langton stava dicendo. Ciò che riuscì ad afferrare fu che la sera della scomparsa Melissa aveva litigato con il suo ragazzo. Era accaduto in un locale dalle parti di Covent Garden. L'ultima volta che era stata vista viva, si stava incamminando in direzione di Soho. Il suo ragazzo aveva pensato che fosse diretta alla stazione della metropolitana di Oxford Circus. Aveva finito il drink e l'aveva seguita. Tuttavia, a quanto pareva, Melissa aveva trovato una scorciatoia, forse in Greek Street. Inavvertitamente, si era inoltrata nel quartiere a luci rosse. Il ragazzo di Melissa, Mark Rawlins, l'aveva chiamata sul cellulare molte volte dalla stazione della metropolitana, ma inutilmente. Il telefono era stato spento. Dopo essere tornato al Bistrot attorno alle 2.30, Mark aveva preso la metropolitana a Oxford Circus ed era andato a cercarla al suo appartamento, ma Melissa non era ancora arrivata a casa. Né Mark né le sue tre coinquiline l'avevano più vista viva. Il giorno seguente, dopo aver chiamato i genitori di Melissa a Guildford e tutti gli amici a cui era riuscito a pensare, Mark si era finalmente rivolto alla polizia. Quarantotto ore più tardi era stato diramato un bollettino sulla scomparsa di Melissa, completo di fotografie e richiesta di informazioni.
Nessuno si era fatto avanti, nemmeno quando, quattro settimane dopo la scomparsa, era stata trasmessa in televisione una ricostruzione dei fatti. Non c'era un solo testimone oculare che potesse fornire qualche indizio, con la possibile eccezione di un cameriere che stava fumando una sigaretta davanti a un famoso locale gay e che aveva visto una ragazza bionda parlare con il conducente di un'auto dal colore chiaro, forse bianca. Sul momento, aveva pensato che si trattasse di una prostituta. Anche se non l'aveva vista bene in faccia, aveva notato la T-shirt nera della ragazza, decorata con brillantini che luccicavano alla luce dei neon del centro massaggi dall'altra parte della strada. Langton ipotizzò che il killer, che andava a caccia nei quartieri a luci rosse, potesse aver scambiato Melissa per una squillo: una ragazza bionda vestita in modo sexy, con una gonna corta e sandali coi tacchi alti, davanti a un locale di strip-tease, la notte molto tardi - era possibile che l'uomo che l'aveva abbordata fosse l'assassino? Il briefing continuò per un'altra ora, tuttavia il sovrintendente alla fine decise che non c'erano ancora abbastanza informazioni perché potesse rivolgersi al comandante e chiedere che l'indagine fosse affidata alla squadra di Langton. A quel punto, l'ispettore capo balzò in piedi tenendo le fotografie delle sei donne morte come un mazzo di carte. «Le mani legate con il reggiseno, tutte strangolate con i loro collant. Se la scientifica riesce a dimostrare che i nodi attorno al collo e ai polsi sono stati fatti in modo simile, allora Melissa Stephens diventa la vittima più recente di un serial killer. Se otterremo il caso ci sarà qualche speranza di prendere quel bastardo, ma dobbiamo sbrigarci! La riunione era finita; avrebbero semplicemente dovuto aspettare il mattino seguente. Dopo che la squadra ebbe lasciato la sala riunioni, Langton rimase seduto con aria cupa su una sedia dallo schienale rigido. Sollevò lo sguardo quando si accorse che Anna si stava avvicinando. L'ispettore capo teneva ancora in mano le fotografie delle vittime. «Erano tutte vive. Anche se in condizioni miserevoli, comunque erano vive e avevano delle famiglie, dei mariti, alcune dei figli. Adesso sono morte e che fossero o meno delle tossiche, delle prostitute, delle ubriacone o semplicemente degli esseri umani senza speranza, dobbiamo dare la caccia a chi le ha uccise con lo stesso impegno con cui daremo la caccia a chi ha ucciso Melissa Stephens.» Langton sospirò, grattandosi il naso. «Certo, potrei anche sbagliarmi.
Non saremo sicuri al cento percento finché non vedremo i risultati della scientifica.» «Però lei è convinto che sia lo stesso uomo.» Anna cominciava a sentirsi più a suo agio con lui. «Essere convinti non è sufficiente, Travis. Sono le prove che contano. E se le prove mi diranno che il reggiseno di Melissa o i collant con cui è stata soffocata non sono stati legati come quelli di quelle povere puttane, allora, non è lo stesso assassino.» «Sono mai state trovate tracce di DNA?» Lui la fulminò con lo sguardo. «Leggiti i fascicoli; non farmi perdere tempo.» «Potrei portarmene a casa un paio per leggermeli? Oppure potrei restare qui oltre l'orario per mettermi al passo con gli altri.» «Devi firmare per qualsiasi cosa porti fuori di qui.» Langton uscì sbattendo la porta. Anna scosse la testa; a quella gente piacevano davvero le uscite melodrammatiche. Prese il suo taccuino e le matite. Si avviò verso la porta, poi si fermò a lanciare un'occhiata alla stanza ancora piena di fumo. Le sedie erano ancora più in disordine adesso, le tazze e i piattini usati come portacenere erano pieni di mozziconi di sigarette e sul pavimento erano sparpagliati fogli di carta appallottolati e vecchi giornali. Anna si chiuse silenziosamente la porta alle spalle. Si sentiva stranamente esaltata al pensiero di essere entrata a far parte del mondo di suo padre. 2. Era mezzanotte passata quando Anna finì di prendere appunti sul caso di Teresa Booth ed erano le due passate quando finì di studiare il fascicolo della vittima successiva. Sandra Donaldson, quarantun anni, aveva un background simile a quello della prima vittima: una vita di abusi, droghe, alcol, quattro bambini tutti dati in affidamento e un compagno tossicodipendente. Era stata arrestata la prima volta per prostituzione quando aveva vent'anni ed erano seguiti numerosi altri arresti per furto, ricettazione e ancora per prostituzione. Secondo il rapporto del medico legale, era stata pestata con ancora più violenza della prima vittima. I suoi lividi avevano un aspetto spaventoso: alcuni vecchi e gialli, altri più recenti. Il suo reggiseno nero era stato usato per legarle le mani dietro la schiena e la donna infine era stata strangolata
con i suoi collant. Quando Anna mise a confronto i due primi piani dei nodi, non fu sorpresa nel notare che erano identici. Sandra era stata violentata brutalmente e presentava lesioni alla vagina e all'ano. Come Teresa, il suo corpo era stato scaricato e lasciato a marcire. Anna rifletté sulla fine tragica di quella vita tragica. C'erano volute intere settimane perché qualcuno andasse a reclamare il cadavere per la sepoltura. Era stata identificata solo perché le sue impronte digitali erano schedate. Anna prese un appunto per ricordarsi di controllare se anche le altre vittime fossero state negli archivi della polizia. Fu l'ultima cosa che fece prima di abbandonarsi esausta sul letto. Lo sfinimento non era però visibile sul suo volto o nel suo comportamento quando il mattino dopo, poco prima delle nove, arrivò al lavoro a bordo della sua nuova Mini Cooper. Un agente in uniforme la indirizzò al parcheggio sul retro della centrale di polizia, completamente occupato dalle auto di pattuglia. Era evidente che non c'era un posto riservato per lei, così Anna passò qualche minuto ad aggirarsi nel parcheggio prima di fermarsi accanto a una vecchia Volvo malandata. Mentre chiudeva la portiera, pregò che chiunque fosse il proprietario della Volvo non graffiasse la sua bambina facendo manovra per uscire. La sala operativa era silenziosa quella mattina e Anna, non senza un certo sollievo, notò che i cartoni e i contenitori di cibo erano stati fatti sparire dalle scrivanie. «Buongiorno, Jean», disse allegramente. «Non è ancora arrivato nessuno?» Jean, l'unica altra persona che si trovava nella stanza oltre a lei, rispose al suo saluto con un tiepido sorriso. «Stai scherzando! Sono in sala riunioni già da un'ora. C'è una grossa riunione strategica.» «Nessuno ne ha parlato, ieri sera», protestò Anna togliendosi il cappotto. Rimise rapidamente i fascicoli nello schedario prima di dirigersi verso la porta. «Avevi il permesso di portarli fuori dalla centrale? Non dovrebbero lasciare l'edificio, sai.» «Lo so, Jean», rispose Anna cercando di tenere a freno la propria irritazione, «ma ho chiesto il permesso all'ispettore capo Langton. Li ho segnalati e ho firmato il registro. Chi c'è alla riunione?» «Il comandante. Se l'ispettore capo Langton riesce a dimostrare che i nostri delitti sono collegati al caso di Melissa Stephens e che la nostra squa-
dra conosce perfettamente tutti i reati collegati, avremo tutto l'aiuto che ci serve.» Anna attese che Jean continuasse e poi gli spiegò, come se stesse parlando con una bambina non particolarmente intelligente: «Il Dipartimento degli affari pubblici collaborerà con il D/SIO e il SIO si occuperà di rilasciare dichiarazioni alla stampa e di organizzare briefing. Ormai è tutta politica. È una cosa che mi fa impazzire. Per ogni indagine ci sono sempre più scartoffie da smaltire». «Da ieri sera è emersa qualche prova decisiva che colleghi Melissa Stephens alle indagini?» «Non lo so, ma il capo stamattina è arrivato prima degli addetti alle pulizie, quindi credo che abbia trovato qualcosa.» Con aria compiaciuta, Jean riprese a battere sulla tastiera del suo computer. Anna uscì dalla sala operativa. Non c'era anima viva in corridoio o sulle scale; anzi, il silenzio era quasi minaccioso mentre Anna si dirigeva alla sala riunioni al piano di sotto. Poiché quello era il quartier generale delle operazioni, in una mattina qualsiasi i telefoni avrebbero dovuto suonare in continuazione. Ma non quel giorno. Le doppie porte della sala riunioni erano chiuse e, a differenza di quelle delle stanze degli interrogatori, non avevano pannelli di vetro. Anna si avvicinò alle porte sperando di sentire qualcosa. Ma a parte un basso mormorio di voci, non riuscì a udire nulla. Non sopportava l'idea di entrare nella stanza a riunione iniziata. Decise quindi di tornare nella sala operativa, si voltò e andò quasi a sbattere contro l'agente Barolli che, asciugandosi le mani con una salvietta di carta, stava uscendo dalla toilette degli uomini. «Come procede la riunione?» chiese lei a bassa voce. «Non saprei. Il comandante è una donna molto abbottonata.» Gettò la salvietta appallottolata verso un cestino, mancandolo. «Abbiamo ricevuto qualcosa dalla scientifica?» «Stai scherzando! Quelli se la prendono comoda.» «Quindi non ci sono nuovi elementi.» «Non che io sappia. Quei coglioni di Clapham non ti lasciano neanche un vaso in cui pisciare.» Barolli si incamminò lungo il corridoio e Anna tornò nella sala operativa, dove lesse il fascicolo sul terzo caso. Il nome della vittima era Kathleen Keegan. Aveva cinquant'anni, intelligenza al di sotto del normale ed era analfabeta. Affetta da depressione e problemi di salute, era stata arrestata
varie volte per ubriachezza molesta e, come le altre vittime, per prostituzione e vagabondaggio. Un tempo era stata rossa, ma nelle fotografie i suoi capelli avevano una brutta tinta bionda e un aspetto stopposo. Le foto del suo corpo cadente e dei suoi seni svuotati erano deprimenti. I sei figli della donna erano stati affidati a istituti o famiglie adottive a causa della sua incapacità di prendersene cura. Il suo cadavere già in decomposizione era stato rinvenuto in un parco pubblico, nascosto tra le ortiche. Era stata legata esattamente come le altre ma quelle fotografie erano particolarmente atroci. Dalla bocca sporgeva la dentiera, come se la donna stesse ridendo: un terribile clown con il volto macchiato di rossetto rosso. Era uno schema disgustoso e tragico, pensò Anna, e anche se Kathleen per tutta la vita era stata brutalizzata, la sua morte era comunque una fine ingiusta e terribile. Erano le dodici passate quando la riunione terminò e Langton e la sua squadra tornarono nella sala operativa. Anna notò che l'ispettore capo stava sorridendo. Tutti gli altri si raccolsero attorno a lui per ascoltare com'era andata mentre Anna rimase seduta alla sua scrivania. «Allora, il caso di Melissa Stephens è stato assegnato a noi. Il comandante chiederà quindici detective. Siamo ancora a corto di uomini ma non possiamo lamentarci. Avremo anche un altro coordinatore amministrativo, altri due impiegati e l'accesso all'Holmes Due. E con il sostegno del ministero degli Interni, la nostra diventerà un'indagine prioritaria.» Langton interruppe un accenno di applauso. «Voglio che qualcuno vada a Clapham per raccogliere tutti i particolari sul caso di Melissa. Mentre aspettiamo i risultati del laboratorio, potremo cominciare a lavorare.» Fissò alla lavagna una fotografia di Melissa Stephens. Poi prese un pennarello nero, scrisse il numero «7» e lo cerchiò due volte. «Sappiamo che ha lasciato il suo ragazzo alle undici e trenta e si è diretta verso la stazione della metropolitana di Oxford Circus.» Langton ordinò alla squadra di percorrere ogni possibile strada tra Covent Garden e Oxford Circus. Gli agenti avrebbero dovuto setacciare i locali di strip-tease che spesso erano dotati di telecamere di sicurezza. «Controllate i nastri delle telecamere a circuito chiuso dei locali, dei pub, dei parcheggi di tutte quelle strade. E prendete tutto quello che potete. Sono passate più di quattro settimane e ho il sospetto che già gran parte del materiale sia stata distrutta. Voglio sapere con esattezza che strada ha fatto
Melissa Stephens quella notte. Si è fatto avanti un testimone, un cameriere. È sicuro di aver visto Melissa parlare con qualcuno che era a bordo di un'auto. Non ricorda né il modello né il colore - anzi, non è nemmeno certo che si trattasse di lei - ma voglio il nastro della ricostruzione, voglio quell'uomo e voglio la sua auto. Perché...» Langton fece un gesto per indicare il muro della morte «...abbiamo a che fare con un serial killer. Prego Dio che la morte di Melissa sia stato il suo primo e ultimo grande errore. Diamoci una mossa.» Mentre gli agenti si dividevano i compiti, Anna rimase seduta alla sua scrivania sentendosi come un pezzo di ricambio. Nessuno si era accorto di lei, nessuno le aveva ancora rivolto la parola. Quando la stanza cominciò a svuotarsi, si alzò e si avvicinò a Langton. «Lavoro ancora al caso, signore?» Per un attimo, Langton diede l'impressione di non riuscire a riconoscerla, poi picchiettò con un dito sul ripiano della scrivania. «Vai con il sergente Lewis, si occuperà delle telecamere di sorveglianza.» «Credo sia già andato», disse lei guardandosi attorno nervosamente. «Resta con me, allora. Ho fatto convocare il ragazzo di Melissa. Puoi assistere all'interrogatorio. Hai già pranzato?» «No.» «Va' a mangiare qualcosa e torna qui per l'una e un quarto.» «La ringrazio.» Anna fece per tornare alla sua scrivania, poi si voltò. «Non mi sembra che il rapporto della scientifica sia già arrivato. Ieri notte abbiamo ottenuto altre prove che collegano Melissa al nostro caso?» Langton le rivolse un'occhiata fredda. «No.» Anna non riuscì a sostenere quello sguardo penetrante; tornò alla sua scrivania e tenne gli occhi bassi, temendo che lui la stesse ancora fissando. Andò agli schedari per riporre il fascicolo di Kathleen Keegan. Era sicura che l'ispettore capo la stesse osservando e questo la fece arrossire. Il pensiero di sentirsi così inadeguata la infastidiva terribilmente. Non vedeva l'ora di uscire dalla sala operativa. La mensa era all'ultimo piano ed era piuttosto piccola rispetto a quelle delle altre centrali in cui Anna aveva lavorato. Quasi tutti i tavolini erano già occupati. Con il vassoio in equilibrio su una mano e la valigetta nell'altra, Anna si diresse verso il fondo della sala, dove alcuni agenti in uniforme stavano lasciando un tavolo. Spinse da parte i piatti sporchi e aprì il suo yogurt voltando involontariamente le spalle al tavolo accanto dove sedevano l'ispet-
tore capo Hedges e due componenti della sua squadra. «E comunque, chi cazzo crede di essere quello?» stava dicendo l'ispettore capo Hedges a voce alta. «Quel caso era mio. Com'è possibile che l'abbia spuntata sostenendo che le sue sei vittime, le sue sei vecchie prostitute, sono state uccise con lo stesso modus operandi? Sono tutte stronzate e lui è il peggior stronzo che abbia mai incontrato!» Anna si voltò appena verso l'altro tavolo e vide l'ispettore capo Hedges prendere una forchettata di fish and chips. «No, cazzo, non esiste. La ragazza aveva le mani legate? E allora? Langton non ha alcuna prova scientifica, non ha il rapporto sull'autopsia e riesce a mettercela in culo, tagliandoci fuori. Non esiste che le sue vecchie troie abbiano qualcosa a che fare con l'omicidio della ragazzina. Sono tutte stronzate. A meno che non se la faccia con il comandante. È stata dalla sua parte fin dall'inizio.» Ci fu una pausa scandita dal tintinnio delle posate sui piatti, ma ben presto Hedges ricominciò. «Langton si prenderà tutta la stampa, tutta la copertura dei media. Cazzo, è disgustoso!» «E se fosse vero?» chiese cupamente un agente dalla pelle butterata. «Vero cosa?» «Che c'è una serial killer?» «Stronzate. Non esiste che la ragazzina faccia parte della sua indagine. Ci sta dietro da sei mesi, ha messo insieme omicidi di vecchie zoccole avvenuti in tutta l'Inghilterra. Date retta a me, l'ispettore capo Facciadicazzo Langton è disperato. L'ha spuntata solo perché ha leccato il culo al comandante o perché se l'è scopata, altrimenti sarebbe stato impossibile che gli affidassero il caso, assolutamente impossibile.» Mentre Anna finiva di mangiare, i tre uomini continuarono ad attaccare duramente Langton, senza prestarle la minima attenzione. Era da poco passata l'una quando, tornando nella sala operativa, Anna si ricordò di controllare che la sua nuova Mini fosse ancora intatta. Lo era. Stava per rientrare dall'ingresso posteriore della centrale quando vide Langton in compagnia del comandante Jane Leigh. Lui le teneva una mano sul gomito destro come se la stesse accompagnando alla sua auto. Anna vide Langton ridere insieme al comandante mentre si avvicinavano alla macchina di lei. Lui le aprì la portiera posteriore. Chiaramente, c'era della confidenza tra di loro. Quando lei salì sui sedili posteriori, lui si chinò verso di lei per finire la conversazione. Anna tornò alla sua scrivania poco prima di Langton, che entrò spalancando la porta.
«Hai mangiato bene?» «Ehm, sì, la ringrazio. E lei?» «Non ho avuto tempo. Mangerò un sandwich.» Rivolse un cenno del capo a Jean che rispose con un'occhiata sarcastica. L'ispettore capo controllò l'orologio, poi guardò Anna. «Stanza degli interrogatori numero due. Vado un attimo in bagno.» «Sì, signore», disse lei preparandosi con il taccuino e le matite mentre le doppie porte si chiudevano oscillando alle spalle di Langton. Erano quasi le due meno un quarto quando Langton entrò nella stanza degli interrogatori dove Anna lo stava aspettando. Aveva in mano una tazza di caffè avvolta da un tovagliolino di carta. «Il ragazzo è appena arrivato», disse sedendosi accanto a lei. «Si chiama Mark Rawlins, è uno studente. London University. Economia e commercio.» Bevve un sorso dalla tazza. «Tu hai frequentato Oxford, giusto?» «Sì.» «Jack dev'essere stato molto orgoglioso di te.» «Sì. Insomma, lo era perché ero stata ammessa a Oxford.» «Come credi che si sentirebbe adesso?» «Mi perdoni?» «Be', eccoti qui in una vecchia centrale di polizia, a lavorare su un caso pieno di prostitute...» Prima che Anna avesse il tempo di pensare a come rispondere, la porta si aprì e Jean fece capolino tenendo in mano un sandwich al pollo. «Il suo panino, signore, senza i pomodori. Alla reception c'è un certo Mark Rawlins.» «È da solo o c'è qualcuno con lui?» «E con suo padre.» «Be', di' al padre che voglio parlare solo con Mark. Anzi, no, lascia perdere. Che porti pure chi vuole.» Jean chiuse la porta. «È un sospettato?» domandò Anna. «Non ancora», rispose Langton, addentando il sandwich. Masticava rapidamente, come se avesse avuto un treno da prendere, pensò Anna. «Mi guardi come se sapessi qualcosa che io non so o come se mi disapprovassi. Quale delle due?» Lei arrossì. «Mi dispiace. Temo di essere troppo ansiosa.» «Davvero? È di questo che si tratta?»
Ci fu una pausa: Langton mangiò un altro boccone. «Alla mensa ho sentito per caso l'ispettore capo Hedges.» «Capisco, e...?» disse lui con la bocca piena. «Lei non gli piace affatto.» «Dimmi qualcosa che non sappia già.» «Ha detto che non sapeva come avesse fatto a ottenere il caso e che c'è riuscito solo perché ha una storia con il comandante. Ha detto che non c'è alcun collegamento tra gli omicidi», continuò Anna. «Secondo lui, la sua teoria sul collegamento tra i casi è solo una stronzata.» Langton finì il suo sandwich e ripulì il tavolo dalle briciole con la mano. «Tu cosa ne pensi?» «Non lo so», rispose lei, esitante. «Melissa era giovane e bella. A giudicare da quanto ho letto finora, l'assassino cerca delle donne ben precise: maltrattate, vecchie, talmente sole che non verrebbero nemmeno inserite nella lista delle persone scomparse perché a nessuno interessa abbastanza di loro da segnalare la loro sparizione.» «Sono d'accordo, ma è il modo in cui i collant sono stati stretti tre volte attorno al collo che ha attirato la mia attenzione.» «Ma durante l'autopsia... Non ricordo che Hanson abbia detto che...» «Eri in bagno a vomitare», ribatté bruscamente Langton. «No, ero lì quando ha tagliato i collant.» Langton si massaggiò gli occhi. «Ieri sera sono stato al laboratorio della scientifica e ho controllato quei fottuti collant: tre volte, l'assassino li ha avvolti tre volte attorno alla gola della ragazza. È lo stesso uomo.» «E il reggiseno? È stato legato nello stesso modo?» Anna aveva la sensazione che Langton le avesse appena mentito ma, prima che l'ispettore capo avesse il tempo di rispondere, bussarono alla porta e Jean fece entrare Mark Rawlins e suo padre. Langton si trasformò. Affabile e rilassato, si alzò in piedi per stringere la mano ai due, quindi li invitò a sedersi. «Grazie per aver accettato di venire. Spero che riusciremo a cavarcela il più in fretta e nel modo meno doloroso possibile.» Lanciò uno sguardo bonario a Mark, un ragazzo dal volto fresco che dimostrava più sedici che diciannove anni. «Tutto questo dev'essere terribile per te.» Il padre di Mark, un uomo elegante dai capelli bianchi, era molto più nervoso del ragazzo. «Mio figlio è un sospetto?» chiese bruscamente a Langton. «Niente affatto. Ma è l'ultima persona che ha visto Melissa viva. Qualsiasi cosa riesca a ricordare potrebbe essere determinante per le indagini.»
Quell'interrogatorio fu illuminante per Anna. Langton cominciò cercando di mettere il ragazzo a suo agio, quindi riesaminò frase per frase la sua prima dichiarazione. Quando insistette per capire per quale motivo lui e Melissa avessero litigato, Mark divenne nervoso. L'atmosfera si fece tesa quando Langton aumentò la pressione. «Sei stato il ragazzo di Melissa per diciotto mesi», disse l'ispettore capo in tono impaziente, «e ci hai ripetuto un mucchio di volte quanto l'amavi, quindi penso che capirai perché sono sorpreso che tu l'abbia semplicemente lasciata andare via. Erano le undici e mezza, Mark.» Il ragazzo continuava a lanciare occhiate a suo padre, ma il signor Rawlins quasi non aprì bocca per tutta la durata del colloquio. «Avevo intenzione di aspettare solo qualche minuto prima di seguirla ed è quello che ho fatto. Ho pagato il conto e sono andato nella stessa direzione.» «Ovvero?» Langton restò in attesa. «Melissa ha attraversato Covent Garden, così ho pensato che stesse andando alla stazione della metropolitana ma quando sono arrivato lì l'ho trovata chiusa. Non sapevo se fosse andata verso Leicester Square oppure verso Oxford Circus, quindi sono tornato indietro per Fiorai Street.» Langton prese una cartina e chiese a Mark di indicargli il percorso. La mano del ragazzo tremava e sulla fronte luccicavano gocce di sudore. «Tu e Melissa avevate una relazione di tipo sessuale?» Quando Langton ripeté la domanda, Mark cominciò a piangere. «È proprio necessario?» domandò il padre a bassa voce. «Ho bisogno di sapere, Mark, se tu e Melissa avevate rapporti sessuali completi.» Mark scosse la testa. «C'è un testimone che dice di aver visto Melissa parlare con il conducente di un'auto.» Mark sollevò il capo. «Melissa era il tipo di ragazza che avrebbe potuto chiedere un passaggio a uno sconosciuto?» «No. Non l'avrebbe mai fatto.» «Era una ragazza promiscua?» Il ragazzo sgranò gli occhi, scioccato. «No, no. No!» «Perché avete litigato quella sera?» Mark strinse la penna così forte che sembrò sul punto di spezzarla.
«Sto cercando di capire di che umore fosse Melissa; nient'altro, Mark.» «Gliel'ho già detto. Era arrabbiata.» Mark gettò la penna sul tavolo, poi cominciò a singhiozzare scosso da un tremito. Dopo qualche istante, il padre gli si avvicinò per confortarlo, gli strinse forte il braccio. «Lei non me lo lasciava fare», mormorò Mark. «Che cosa?» «Ho detto che Melissa non mi lasciava fare sesso con lei», gridò il ragazzo. «È per questo che se n'è andata: perché volevo che venisse a casa mia. Io volevo fare sesso con lei ma lei non voleva, si è rifiutata...» Non riuscì a finire la frase. «Mi stai dicendo che Melissa era vergine?» Mark tentò di controllarsi. «Sì, e non sarebbe mai salita sulla macchina di uno sconosciuto; non l'avrebbe mai fatto. Il modo in cui cerca di farla apparire è disgustoso. Lei è disgustoso.» Langton trattenne il padre e il figlio ancora un po'. Mentre lasciavano la stanza degli interrogatori, il signor Rawlins si voltò per lanciargli un'occhiata sdegnata. «Mio figlio è distrutto. Insinuare che Melissa non fosse una ragazza innocente è terribilmente crudele. Spero soltanto che tratterete i suoi genitori con più rispetto.» La porta si chiuse silenziosamente alle spalle dell'uomo. Anna chiuse il suo taccuino. Anche lei la pensava così, ma non poteva dirlo chiaramente. Quindi fu ancora più sorpresa dalla rabbia contenuta che sentì nella voce di Langton. «Una ragazza vergine che viene sodomizzata, stuprata e assassinata! La vita è un vero schifo.» «Sì.» D'un tratto Anna sentì l'impulso quasi irresistibile di stringere il braccio all'ispettore capo per confortarlo. Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Va bene, andiamo alla scientifica. Vediamo se hanno scoperto qualcosa.» Uscì dalla stanza a grandi passi. Anna riuscì a raggiungere la porta un istante prima che le si richiudesse in faccia. Nel laboratorio della scientifica i vestiti di Melissa erano stati disposti su alcuni tavoli. Langton e Anna si fermarono davanti a una T-shirt nera con una scritta fatta di lustrini rosa che diceva «strip». Su un lato c'era un piccolo quadrato di velluto rosa su cui campeggiava un unico brillantino. Langton scosse la testa. «Strip?» «È una T-shirt molto costosa», si affrettò a spiegare Anna. «Vede il mo-
do in cui è fatta la "t"? È il logo di Theo Fennel.» «Di chi?» chiese lui in tono brusco. «Di Theo Fennel. È un gioielliere dell'alta società, ha un negozio in Fulham Road.» Langton si rivolse all'assistente della scientifica. «Avete trovato qualche fibra sulla maglietta? I lustrini hanno bordi affilati.» Coral James, l'assistente di laboratorio, si tolse gli occhiali. «No. Lo speravamo, ma la T-shirt è stata sollevata e ha coperto i lustrini. Come può vedere, ne manca uno.» Langton a Anna guardarono più attentamente. Dalla «s» mancava una pietra che lasciava vuoto il minuscolo castone. Spostarono la loro attenzione sulla minigonna di cotone rosa dalla cintura elasticizzata. Il tessuto era costoso e lucido e le speranze che vi fosse rimasto attaccato qualcosa erano ben poche. Le scarpe di Melissa, eleganti e dal tacco basso, erano rovinate, ma presentavano pochissime tracce di fango. Langton si rivolse a Coral James. «Niente fango? Ce n'era dappertutto quando siamo arrivati lì. Speriamo di ricevere presto la conferma che la vittima è stata uccisa sul posto.» «Be', ha fatto freddo. Poi c'è stata quella strana nevicata. È difficile dirlo; il terreno potrebbe non essere stato fangoso quando la ragazza è stata condotta lì.» «O trasportata.» Poi passarono a esaminare il reggiseno bianco di Melissa che il patologo aveva tagliato e fissato a un cartoncino. Accanto al cartoncino c'erano disegni del nodo e fotografie del modo in cui il reggiseno era stato trovato sul cadavere. «Abbiamo completato i test che ha richiesto. Laggiù potrà vedere gli altri esami che abbiamo eseguito.» Dall'altra parte del laboratorio, sul tavolo vicino alla parete, erano stati disposti i reggiseni delle altre vittime. C'erano altre fotografie, frecce e sottolineature a pennarello per indicare i punti in comune. Quella biancheria sporca e scolorita non era una vista piacevole. Coral accompagnò Langton e Anna a un tavolo su cui era steso a faccia in giù un manichino a grandezza naturale. «Il modo in cui i reggiseni delle vittime sono stati legati secondo noi è pressoché identico. Vi faccio vedere.» Con movimenti sicuri, Coral avvolse i polsi del manichino con un reggiseno nero per mostrare loro il modo in cui il reggiseno di Melissa era stato
stretto due volte e i gancini usati per fermare il nodo. «Sono stati tutti legati con grande forza, hanno lasciato dei tagli nei polsi e hanno quasi dislocato le spalle. Potete vedere che i nodi sono molto stretti. Ma il reggiseno di Melissa è stato più difficile da annodare; non era elastico come gli altri che erano di nylon elasticizzato. Il reggiseno di seta si è strappato mentre veniva annodato.» Coral passò ai collant. Era stato necessario tagliarli per toglierli dal collo. In tutti i casi, i collant erano stati stretti tre volte attorno alla gola delle vittime e poi annodati. Anna trovava difficile credere quanto fosse piccola quella garrotta, non più di cinque centimetri di diametro. Seguendo Langton, prese molti appunti. Alcuni dei vestiti delle vittime precedenti erano stati sigillati in buste di plastica. Langton non aveva voluto vederli di nuovo. Continuava a guardare con impazienza l'orologio. Quando tornarono a esaminare gli abiti di Melissa, pose la domanda cruciale: «Allora, le notizie sono buone o cattive?» chiese a bassa voce. «Direi che non c'è niente di buono in tutto questo.» Coral si tolse i guanti di lattice. «Ma so cosa mi sta chiedendo e la risposta è sì. Siamo convinti che la ragazzina sia stata uccisa dalla stessa persona: i nodi e il metodo con cui sono stati stretti sono identici.» «La ringrazio», disse lui. «Stiamo ancora lavorando sui vestiti, quindi potremmo trovare ancora qualcosa di nuovo; comunque, per il momento non abbiamo nulla.» Fuori, nel parcheggio, Langton si accese una sigaretta. «Incredibile, vero? Niente, nemmeno una fibra di moquette.» Aspirò il fumo e accennò a voltarsi verso Anna. «Lo stronzo sa esattamente quello che fa.» «Pensa che ci sia un posto dove le porta tutte?» domandò Anna. «Forse le uccide lì e scarica altrove i cadaveri.» «No. Le uccide sul posto o nelle vicinanze. In ogni caso, le vittime hanno accettato di seguirlo.» «Questo vale per le prostitute. Ma Melissa non avrebbe mai accettato di seguirlo, a meno che non lo conoscesse, e il suo cadavere è stato ritrovato a una grande distanza dal suo appartamento.» Anna avrebbe voluto continuare a fare ipotesi, ma Langton gettò via la sigaretta e si incamminò verso l'auto della polizia che li stava aspettando. «Dobbiamo andare a trovare Henson al laboratorio di medicina legale», disse ad Anna senza nemmeno aspettarla. «Magari avrà qualcosa per noi.» Chiuse la portiera del passeggero. Anna riuscì a stento a salire dietro
prima che l'auto si allontanasse. Al laboratorio di medicina legale trovarono Henson seduto davanti a una grossa fetta di torta alla crema e una tazza di caffè. Il patologo sorrise vedendoli entrare. «Sto facendo lo spuntino di metà mattina anche se sono già le quattro del pomeriggio, ma la mia vita diventa così quando voi cominciate a fare pressioni per avere i risultati. Solo che c'è in ballo la mia carriera se commetto un errore, quindi vi dico subito che non sono ancora pronto.» Langton fece una smorfia. «D'accordo. Una cosa posso dirvela: so che l'ultimo pasto della vittima è stato a base di hamburger, patatine fritte e Coca-Cola. Niente alcol, niente droghe. Era una ragazza in ottima forma. Ottimo tono muscolare e pelle fresca, perfetta. Era bionda naturale e aveva un bel taglio di capelli; niente tinte ma qualche colpo di sole. Portava pochissimo trucco.» Henson finì la sua fetta di torta e si pulì la bocca con un tovagliolino di carta. «Datemi altre ventiquattr'ore e avrò tutti i risultati. A quel punto, il coroner dovrebbe dare l'autorizzazione per la sepoltura. Abbiamo preparato le diapositive e tutto il resto.» Lanciò un'occhiata obliqua ad Anna. «Diamo un'occhiata. Questa volta dovrebbe riuscire a non svenire. Le diapositive sono più facili da digerire.» Henson sorrise con aria comprensiva e Anna arrossì. Attraversarono la stanza e raggiunsero il punto in cui tutte le diapositive erano state ingrandite su pannelli illuminati. Henson si rivolse a Langton, d'un tratto molto serio. «Vede questo segno sul collo? Non mi piace darvi delle risposte approssimative: forma irregolare, le dimensioni di un vecchio scellino, ma con un'area sporgente sulla superficie.» Si premette l'indice sul collo. «È penetrato abbastanza profondamente, più di un centimetro. Però non l'ha uccisa; direi che la ragazza era già priva di sensi. Stiamo svolgendo dei test sulla materia cerebrale, quindi anche su questo potrò darvi delle risposte.» «Grazie», disse Langton. «Il più in fretta possibile, d'accordo?» «Certo», rispose Henson con un sorriso e sparì oltre la porta di uno degli altri laboratori. Langton guardò Anna. «D'accordo, torniamo in centrale. Vediamo se i ragazzi hanno scoperto qualcosa per noi.» «Sì, signore.» Anna era esausta. Avrebbe dovuto mangiare qualcosa di più di uno yogurt, a pranzo. La sala operativa era affollata. C'era qualcuno seduto alla sua scrivania,
ma prima che Anna avesse il tempo di dire qualcosa, Langton stava già battendo le mani per attirare l'attenzione degli altri. Vennero raggiunti dai nuovi detective assegnati al caso, dal coordinatore amministrativo e dagli impiegati, e Langton fece rapidamente le presentazioni prima di passare agli aggiornamenti. Per prima cosa confermò che la persona che aveva legato i polsi di Melissa era la stessa che aveva ucciso le altre sei vittime. Ora la ragazza poteva essere considerata a tutti gli effetti la vittima numero sette. Venne portato un carrello con un grosso televisore. Langton prese una videocassetta. «Okay, ragazzi. Questo è per quelli di voi che si sono persi la prima ricostruzione quando Melissa era solo una "persona scomparsa". Dopo la palla passerà a chi scoprirà qualcosa di nuovo. Finora la notizia migliore è che stiamo dando la caccia allo stesso bastardo che...» Non finì la frase. La sigla di Delitti e misteri riecheggiò nella stanza ora silenziosa. Una fotografia riempì lo schermo e la voce di uno speaker cominciò: «Melissa Stephens, vista per l'ultima volta qui al Bistro di Covent Garden, indossava una T-shirt nera con una scritta fatta di brillantini rosa e una gonna rosa. Chiediamo a chiunque l'abbia vista quella sera dopo le undici e trenta di mettersi in contatto con noi». La ricostruzione continuava per altri cinque minuti e mostrava Melissa che si allontanava a piedi dal Bistro diretta verso la stazione della metropolitana. C'era una breve intervista ai suoi genitori che pregavano chiunque fosse in possesso di qualche informazione di farsi avanti. Dicevano più volte che Melissa non se ne sarebbe mai andata senza avvertirli e che per questo temevano il peggio. Poi Langton mandò avanti il nastro saltando alla parte successiva, nella quale il conduttore diceva che era arrivata una chiamata da un testimone sicuro di aver visto Melissa quella sera. Venne mostrata un'altra fotografia a tutto schermo di Melissa con in sovrimpressione il numero da chiamare. Il televisore venne spento. Passò qualche istante prima che i presenti cominciassero a parlare. L'atmosfera generale era di depressione perché tutti si rendevano conto che quando il programma era andato in onda, la figlia degli Stephens era già morta. I detective cominciarono a studiare i loro ordini per il giorno successivo. Langton tornò alla lavagna. «Okay, il caffè sta arrivando; nel frattempo diamoci da fare. In base all'aggiornamento, vi verranno assegnati tra poco nuovi incarichi.» Indicò Mike Lewis che si fermò accanto a lui. «Per adesso, sedete e ascoltate.
Mike?» Mike aprì il suo taccuino. «Ho interrogato il testimone che ha chiamato il programma. Gli agenti che si occupano delle persone scomparse lo avevano già rintracciato, quindi non è stato difficile trovarlo. Si chiama Eduardo Moreno; è cubano e parla pochissimo l'inglese. Lavora al Minx Club, un locale all'angolo di Old Compton Street, a Soho. È un ritrovo di travestiti, possono entrare solo i soci. Dall'altra parte della strada c'è un centro massaggi, un posto da quattro soldi con un'insegna al neon rosa. Il neon è piuttosto importante perché non solo è rosa ma lampeggia. Così, verso mezzanotte il signor Moreno, che lavora come cameriere-lavapiatti, è in piedi fuori dal locale e sta fumando una sigaretta. È sicuro che la ragazza che ha visto fosse Melissa, anche se il suo racconto è un po' confuso, perché ha pensato che la ragazza fosse uscita dal centro massaggi-bordello.» Lewis spiegò che Moreno aveva visto Melissa chinarsi per parlare con qualcuno a bordo di un'auto. Non ricordava il colore o il modello ma solo che la macchina era grossa e chiara. Non era in grado nemmeno di dire se Melissa fosse salita o meno a bordo del veicolo; Moreno si era voltato a parlare con qualcuno che stava passando e quando era tornato a guardare, sia l'auto che Melissa erano scomparse. Non era stato nemmeno in grado di descrivere il conducente, ma pensava che fosse un uomo. Langton ordinò di portare Moreno alla centrale per mostrargli foto di vari modelli di auto. Era scettico riguardo la sua scarsa conoscenza dell'inglese poiché Moreno era riuscito a fare quella telefonata al programma. Lewis spiegò che era stato un altro cameriere a chiamare al posto suo poiché entrambi avevano pensato che potesse esserci una ricompensa. La buona notizia era che il Minx Club era dotato di telecamere di sicurezza a circuito chiuso, così come il centro massaggi, e che dopo qualche insistenza entrambi i locali avevano accettato di fornire i loro nastri. C'erano moke registrazioni e una sola telecamera riportava l'orario delle riprese. Qualunque immagine di Melissa avrebbe potuto essere migliorata in laboratorio. Mike disse che prima avrebbe visionato i nastri da solo. Poi fu il turno di Alan Barolli. Raccontò di aver passato la giornata a setacciare le strade della zona in cerca dei possibili percorsi di Melissa. La troupe televisiva aveva avuto a disposizione solo quarantotto ore per girare, così aveva scelto la via più diretta. Barolli, invece, aveva controllato ogni altra strada che Melissa avrebbe potuto seguire. In quel modo aveva ottenuto altri sei nastri di telecamere a circuito chiuso che erano già allo
studio nella speranza che potessero fornire nuovi dettagli sul percorso seguito da Melissa. Comunque, come Langton aveva supposto, visto che era passato più di un mese, molti locali avevano già riciclato i loro nastri. Langton chiese se qualcuno avesse delle domande. Anna sollevò la mano e arrossì quando si rese conto che tutti si erano voltati a guardarla. «Si tratta di due cose, in realtà. Doveva far freddo quella notte. Melissa, come sappiamo, indossava una T-shirt e una gonna corta. Sappiamo se aveva qualcos'altro, una giacca o un cappotto?» Notando che nessuno conosceva la risposta, Langton ordinò di fare un controllo e chiedere al ragazzo di Melissa. Stava per continuare, quando si accorse che Anna aveva ancora la mano alzata; annuì. «Inoltre, la T-shirt ha quella scritta fatta di lustrini. È possibile che il nostro assassino, che finora aveva rimorchiato solo prostitute, abbia pensato che Melissa fosse uscita dal centro massaggi. La scritta sulla T-shirt dice "strip" e questo potrebbe avergli dato un'idea sbagliata.» Langton annuì e controllò l'orologio. «Okay, sono le otto. Per oggi è sufficiente. Domani riprendiamo a pieno ritmo. Porteremo qui il cubano, esamineremo i nastri e vedremo se il rapporto dell'autopsia ci dirà qualcosa.» Ci fu un esodo di massa; alcuni degli agenti, come Anna, erano in servizio dalle nove del mattino se non da prima ancora. Anna prese il cappotto e la valigetta e andò allo schedario. «Capo, posso prendere il fascicolo della vittima numero quattro?» Langton annuì distrattamente e continuò a parlare con il coordinatore della rotazione dei turni. In vista dell'arrivo dei nuovi agenti, erano già state preparate molte copie dei fascicoli e Anna si limitò a prenderne una, firmò il registro e se ne andò, esausta. Quando raggiunse il parcheggio, scoprì con grande irritazione che la sua amata Mini aveva un graffio. Impossibile dire se la colpa fosse della Volvo malconcia posteggiata accanto. Anna gettò la valigetta sul sedile posteriore e rimase seduta per qualche istante a chiedersi se non fosse il caso di tornare alla centrale per lamentarsi o per chiedere un parcheggio riservato, ma alla fine prevalse lo sfinimento, e decise di tornare a casa. 3. Anna lavorava nella squadra da soli due giorni, ma questo aveva già cominciato a influenzare la sua vita domestica. Il bagno era pieno di vestiti
da lavare e la cucina semivuota. Anna fece la lista della spesa e decise che sarebbe passata a comprare ciò che le serviva la mattina dopo, andando alla centrale. Si versò un bicchiere di vino e cominciò a preparare la cena. Erano le undici passate quando finì di mangiare e si rese conto, aprendo il fascicolo sulla quarta vittima, di essere troppo stanca per incamerare altre informazioni. Mise la sveglia alle cinque e trenta e si addormentò. La mattina dopo fece una doccia, si vestì e preparò il caffè. Alle sei, quando aprì il fascicolo, si sentiva già molto meglio. Barbara Whittle, un'altra prostituta nota alle forze dell'ordine, aveva quarantaquattro anni quando era morta. Il suo cadavere era stato ritrovato in avanzato stato di decomposizione. C'erano le solite fotografie scattate sul luogo del ritrovamento, alcuni primi piani delle sue mani legate e del suo collo, del punto in cui i collant erano stati stretti per strangolarla com'era accaduto con le altre. Il caso era stato archiviato nel 1998. Barbara era alta quasi un metro e settantasei e il suo fisico era stato devastato dall'alcol. Sul cadavere erano visibili numerosi lividi, abrasioni e lacerazioni. Il segno lasciato dai collant, un taglio orizzontale che le circondava il collo, era molto profondo. A causa del lungo periodo trascorso prima del ritrovamento, le mani legate della vittima erano bianche e gonfie e la fede nuziale aveva tagliato in profondità la carne dell'anulare. Barbara aveva la pelle piuttosto scura, i capelli tinti e crespi. Anna pensò che un tempo doveva essere stata molto carina. Come le altre, aveva avuto diversi figli dei quali non si sapeva più nulla. Anche se era stata assassinata a Londra, Barbara Whittle era stata residente a Manchester. C'erano voluti sei mesi perché il suo cadavere fosse identificato. Anna sentì un brivido percorrerle la schiena. La polizia avrebbe dovuto informare la stampa: quelle donne, indipendentemente da ciò che erano diventate le loro vite, avrebbero meritato che qualcuno le mettesse in guardia sull'orrore che le attendeva. Se l'assassino aveva intenzione di continuare a uccidere prostitute, avrebbero dovuto essere consapevoli del rischio che stavano correndo. Anna sollevò lo sguardo sull'orologio e fu presa dal panico: avrebbe fatto tardi al lavoro. Quando arrivò, Langton aveva già lasciato la sala operativa per dirigersi al laboratorio di medicina legale. Anna ci andò in macchina. Erano le dieci e trenta e lei era molto in ritardo. Entrò di corsa nell'edificio e trovò Langton in compagnia di Henson, intento a osservare delle diapositive. Entrambi si voltarono quando Anna entrò nella stanza, scusandosi per il ritar-
do. Langton tornò a studiare l'immagine. Ingrandita sullo schermo, la strana ferita circolare sul collo di Melissa appariva profonda. La superficie della pelle era stata lacerata. Langton si avvicinò per guardare meglio. «Potrebbe essere stato un anello con una pietra circolare?» «Potrebbe», mormorò Henson. «Ma se avesse colpito il collo con violenza, avrebbe lasciato molti più lividi. Non ne ho idea. A proposito, sulla parte posteriore della testa c'è una piccola chiazza calva. Sembra che sia stata strappata una ciocca di capelli.» Henson passò all'immagine successiva. «Okay, la prossima. Questa è una radiografia del tessuto cerebrale. Vede quelle aree blu e grigie? L'area blu è allargata. Questo significa che la ragazza è stata priva di sensi per un certo tempo prima della morte.» Henson proiettò quindi un'altra diapositiva che mostrava la ferita al collo. «È così profonda che ha quasi tagliato la giugulare. Le abrasioni causate dallo strangolamento sono spaventose. Questa povera ragazza non aveva speranze.» La foto seguente mostrava l'addome di Melissa. «Questo è interessante. Come vedete ci sono dei segni sul suo stomaco. Direi che si sono formati durante il trasporto, forse sulla spalla di qualcuno. Vedete la rientranza qui e appena sotto l'ombelico?» Henson inclinò il capo continuando a osservare l'immagine. «Direi che l'uomo non era mancino.» Fece finta di sollevare qualcosa di pesante e di metterselo sulla spalla. «Potrebbero essere pugni?» azzardò Anna. Henson strinse gli occhi. «Pugni?» «Sì, uno dei segni sullo stomaco mi sembra un pugno.» Henson strinse le labbra. «Ne dubito. Come ho detto, sembra più un livido dovuto al trasporto.» Langton sembrava sempre più impaziente, ma Henson non aveva ancora finito con le sue valutazioni. «È morta nel luogo in cui l'avete trovata. Abbiamo stabilito che il momento della morte è stato all'incirca cinque settimane fa. Stiamo aspettando altri risultati sui processi decompositivi, ma sarà difficile che scopriamo di più perché le condizioni climatiche hanno un ruolo molto importante in questa storia. Nell'arco di una giornata, siamo passati da un freddo intenso a quasi ventun gradi.» Langton disse che non voleva che il coroner desse il via libera alla sepol-
tura finché non fossero stati ultimati tutti i possibili esami. «Come vuole. I genitori non fanno altro che chiamare. Vogliono poter organizzare il funerale. Ma se ha bisogno della ragazza, benissimo; la terremo sotto ghiaccio.» Depresso per le scarse informazioni che aveva ottenuto, Langton tornò al parcheggio in silenzio insieme ad Anna. Fermandosi accanto alla Mini, Anna disse: «Mi dispiace per il ritardo, signore». «È tua questa?» chiese lui, ancora cupo. «No, l'ho rubata per venire qui!» Anna si mise in cerca delle chiavi e quando sollevò lo sguardo per rivolgergli un sorriso, Langton si stava già dirigendo verso l'auto della polizia guidata da un agente in uniforme. Lei salì sulla Mini e trovò un biglietto appiccicato al parabrezza: «Parcheggio riservato agli impiegati dello staff medico. La sua auto verrà rimossa». I suoi tentativi di strappare il biglietto lasciarono sul vetro pezzi di carta parzialmente incollata. Anna imprecò a bassa voce. Mike Lewis sollevò lo sguardo dalla scrivania mentre Anna riponeva il fascicolo di Barbara Whittle e firmava il registro per portarsi a casa la sua lettura notturna sulla quinta vittima. «Scoperto qualcosa di utile da quel vecchio coglione di Henson?» «No. È stata assassinata nel luogo del ritrovamento», rispose Anna. «È possibile che il killer l'abbia portata lì sulle spalle. E tu, hai scoperto qualcosa?» «Metri e metri di stramaledette riprese di telecamere a circuito chiuso, senza contare le due ore che ho dovuto passare con quel cubano. Puzzava terribilmente e, credimi, nel corso degli anni ne ho incontrati di odori poco piacevoli.» Vennero interrotti da un improvviso scoppio di risa che si era levato dal gruppo di detective raccolti attorno alla scrivania dell'agente Barolli, il quale stava leggendo ad alta voce un articolo del giornale interno della polizia metropolitana. «Qui dice che hanno intenzione di abbassare l'altezza minima richiesta per le donne che vogliono entrare in polizia; non hanno altra scelta. Lo hai letto questo, Jean?» Jean rivolse ai detective un'occhiataccia ma Moira, una bionda robusta dal seno abbondante, fece un sogghigno di scherno. «Idioti, è col cervello,
non con i muscoli, che si risolvono i casi.» Moira attese una risposta ma gli altri evitarono il suo sguardo e tornarono borbottando alle loro scrivanie. «Qualcuno di voi fusti è riuscito a ritrovare la borsetta della ragazza? Potreste anche provare a muovere il culo!» Moira si interruppe quando Langton apparve sulla soglia. Tornò a scrivere sulla lavagna. «Che cosa c'è?» chiese lui raggiungendola. Anna restò ad ascoltare con attenzione. Anche lei era rimasta colpita dal fatto che Melissa non avesse una borsa e che nessuna delle borsette delle altre vittime fosse mai stata ritrovata. Moira rispose a Langton in modo diretto. «So che non ne hanno parlato nella ricostruzione, ma senza dubbio doveva averne una, giusto? Perché avrebbe dovuto scaricare il suo fidanzato andandosene senza la borsa, quando la sua destinazione in teoria era le metropolitana?» «Il ragazzo non riesce a ricordare se avesse una borsa o meno.» «Già, ma è normale che non l'abbia notato. Ha detto la stessa cosa a proposito della giacca di Melissa.» Moira sfogliò il suo taccuino. «La ragazza aveva addosso soltanto una T-shirt e una minigonna, giusto? Con quel freddo? Tuttavia il problema della borsa mi preoccupa davvero. Non ha senso.» «Già, lo so.» Langton si rivolse a Barolli. «Sei tornato al Bistro?» «Sì. Abbiamo interrogato i camerieri, il proprietario e siamo riusciti a rintracciare un paio di clienti. Nessuno ricorda granché. Il locale era molto affollato e quindi, anche se faceva freddo, alcuni clienti avevano mangiato fuori. Melissa e Rawlins sedevano al tavolo cerchiato in questa fotografia.» Langton si accigliò studiando le foto del ristorante. «I nastri delle telecamere sono già tutti qui, Mike?» «Dovrebbero arrivare da un momento all'altro, capo. Ce ne sono ancora una montagna da controllare. Se la testimonianza del cubano è esatta, possiamo collocare la ragazza in Old Compton Street all'angolo con Greek Street, quindi abbiamo dovuto coprire un sacco di possibili percorsi.» «Be', digli di sbrigarsi. Abbiamo bisogno di vedere che cosa c'è lì sopra. O che cosa non c'è. Il Bistro ha telecamere di sicurezza?» «No. E nella ricostruzione di Delitti e misteri non hanno fatto parola della borsa.» «I vestiti della ragazza erano senza tasche», rammentò loro Moira. «Forse si aspettava che il ragazzo la raggiungesse», disse Langton in tono piatto.
Due ore più tardi, quando arrivarono tutti i nastri delle telecamere di sicurezza, il sergente Mike Lewis si fermò davanti al televisore con il telecomando in mano e si rivolse alla squadra. «Abbiamo notizie buone e notizie cattive», disse mentre cominciavano a scorrere le immagini sfocate in bianco e nero. Lewis spiego che in un fotogramma avevano identificato Melissa mentre passava accanto alla boutique di Paul Smith in Fiorai Street. Fermò il nastro proprio in quel punto. «Guardate: niente borsa. Niente giacca. La ragazza va davvero di fretta. Scompare in un istante.» Lewis riavvolse e mostrò di nuovo il momento in cui Melissa passava davanti alla telecamera. Camminava velocemente, quasi correndo. L'avvistamento successivo era in Exeter Street, vicino al ristorante Joe Alien. La ragazza camminava più lentamente ma aveva un'aria confusa. A un certo punto si voltava offrendo alla telecamera un'altra angolazione. «Supponiamo che si stia dirigendo oltre l'Opera House verso Bows Street.» «O forse sta tornando dal suo ragazzo», suggerì Moira. «No, aspettate, ora arrivano le buone notizie. In questo punto è segnalato l'orario della ripresa: sono le undici e quindici, ed eccola che arriva.» Tutti si sporsero in avanti a guardare Melissa che compariva nell'inquadratura e passava davanti al Donmar Theatre. La ripresa era stata fatta da una telecamera sull'altro lato della strada. «Due ragazzi di colore, che indossavano parka col cappuccio, cercano di fermare Melissa per parlarle. Quando uno dei due allunga una mano, lei si ritrae. Non vuole avere niente a che fare con loro. I due la seguono per qualche metro poi lei comincia a correre. I ragazzi restano a guardarla mentre scompare dall'inquadratura. Poi se ne vanno.» Lewis mandò un po' avanti poi fermò di nuovo il nastro. «Il Donmar era già chiuso e così anche il Pineapple Dance Centre. Guardate, quello nell'angolo non vi sembra il suo ragazzo? Non ne sono sicuro al cento percento ma a me sembra proprio Rawlins.» Riavvolsero e riguardarono le immagini, scrutando la ripresa sgranata. Si trovarono d'accordo sul fatto che avrebbe potuto trattarsi di Mark Rawlins, anche se era impossibile esserne certi dal momento che la figura si trovava ai margini dell'inquadratura. «Fai fare un ingrandimento», disse Langton. «Se ne stanno già occupando.» Lewis sollevò il telecomando. «Passiamo
alla ripresa successiva.» «Perché Melissa non ha preso la metropolitana a Covent Garden?» domandò Moira. «La stazione lì chiude alle dieci e mezza perché le banchine sono troppo affollate. Okay, questa è la ripresa migliore che abbiamo, viene dalle telecamere del Minx Club e conferma quello che ci ha detto il nostro amico cubano. E abbiamo anche le riprese delle telecamere del centro massaggi. Quindi stiamo per vedere due versioni della stessa sequenza da due prospettive diverse. «C'è il nostro cubano che cammina avanti e indietro e si accende una sigaretta. È esattamente di fronte al centro massaggi. Gli passano davanti diverse macchine, una è una Range Rover e l'altra è una Jaguar. Potete vedere il bagliore del neon dell'insegna del centro massaggi; è per questo che la luce è così strana. Allora, c'è un veicolo nascosto dalla Range Rover. È una macchina bassa e sta svoltando a destra. Potete vedere la freccia che lampeggia insieme alla luce al neon. Ma non c'è modo di capire quale sia il modello del veicolo. Abbiamo i numeri di targa di tre delle auto che sono passate ma non siamo riusciti a scoprire gli altri due.» Ci fu una breve pausa mentre passavano alla sezione successiva. «Okay, quello che stiamo vedendo ora è il nastro delle telecamere del centro massaggi. E anche questo conferma la dichiarazione del cubano. Ecco che arriva la ragazza, entra nell'inquadratura da destra. Forse ha intenzione di imboccare Greek Street per dirigersi verso Soho Square. Se decidiamo di credere al suo ragazzo, Melissa era diretta a Oxford Street, per prendere la metropolitana in Tottenham Court Road o per continuare fino alla stazione di Oxford Circus. Questo avrebbe più senso dal momento che la ragazza viveva a Maida Vale, che si trova sulla linea di Bakerloo. C'è una ripresa chiara di Melissa solo per un secondo, mentre passa davanti al centro massaggi e sembra di nuovo incerta sulla direzione da prendere. Resta ferma per un istante. Poi torna indietro, passando di nuovo accanto al centro. Esce quasi dall'inquadratura e la si può vedere mentre guarda qualcosa o qualcuno prima di scomparire del tutto.» Lewis sollevò una mano. «Ora, in questo fotogramma, si può vedere una piccola sezione di un veicolo di colore chiaro. Potrebbe essere bianco o grigio, ma tutto quello che abbiamo è quella minuscola sezione di fiancata e di paraurti posteriore.» Lewis dovette riavvolgere due volte prima che l'immagine che stava indicando sul margine dell'inquadratura fosse chiara anche agli altri: «Una
frazione della fiancata di un'auto e una piccola sezione del paraurti». «Potrebbe essere la stessa macchina nascosta dalla Range Rover; oppure il conducente sta percorrendo Old Compton Street da Tottenham Court Road per parcheggiare sull'angolo. La faremo ingrandire e cercheremo di scoprire il modello della macchina. Tuttavia, penso che potrebbe essere una Mercedes, una vecchia Mercedes di una trentina di anni fa.» Il nastro finì e Lewis riavvolse. La visione del video aveva lasciato alla squadra una sensazione strana, in qualche modo surreale. Melissa aveva preso vita davanti a loro, eppure i detective sembravano più lontani che mai dalla cattura dell'assassino. Langton chiuse la porta del suo ufficio in modo insolitamente tranquillo. Anna cominciò a studiare il fascicolo della quinta vittima. Beryl Villiers aveva trentaquattro anni. Giovane e più in forma delle altre, aveva opposto più resistenza all'assassino. Tuttavia, aveva entrambi gli occhi neri e gonfi e il naso rotto; due denti erano stati rotti e trovati nelle vicinanze del corpo. Anche lei era stata una prostituta e aveva avuto problemi di droga, tuttavia l'autopsia non aveva rivelato segni che stesse facendo ancora uso di stupefacenti o alcol. Aveva vissuto a Bradford ed era stata identificata grazie ai numeri di serie delle sue protesi al seno. Una volta identificata, la polizia aveva interrogato tutte le prostitute che lavoravano dalle parti della stazione di King's Cross. Nessuna ricordava chi avesse caricato Beryl la notte della sua scomparsa dopo un paio di clienti abituali che la donna aveva portato sotto i portici della vecchia stazione. L'ultima volta che era stata vista, attorno alle dieci e un quarto, stava battendo al suo solito posto. Quattro settimane dopo la sua scomparsa, avvenuta nel marzo 1999, il corpo di Beryl era stato rinvenuto a Wimbledon Common. Beryl era più giovane delle vittime precedenti. Non aveva avuto figli. Era una «pendolare del week-end» che arrivava da Bradford ogni venerdì sera e tornava a casa il lunedì. Era originaria di Leicester, dove i detective avevano rintracciato sua madre; la donna era parsa più sconvolta della scoperta che sua figlia era stata una prostituta che dalla notizia della sua morte. Anna prese molti appunti e infine ripose il fascicolo nello schedario. «Cosa stai facendo?» chiese Moira. In realtà, si stava tenendo occupata. «Sto solo cercando di prendere confidenza con il caso», rispose. «Tu sei la figlia di Jack Travis, non è vero?»
Gli occhi di Anna si illuminarono. «Lo conoscevi?» «Tutti conoscevano Jack. Era unico. Mi dispiace che sia morto.» «Aveva il cancro.» «Sì, lo so. Abbiamo mandato dei fiori. Come sta affrontando la cosa tua madre?» domandò Moira. «È morta due anni fa.» «Oh, mi dispiace tanto. Era una donna bellissima. L'ho incontrata una volta sola. Nessuno di noi riusciva a credere che quel vecchio brontolone fosse riuscito a tenercela nascosta per così tanto tempo.» «Lui l'adorava.» Anna sorrise. «E tutti noi adoravamo tuo padre. Se questo caso fosse stato affidato a lui, a quest'ora avremmo già ottenuto dei risultati. Credo che Langton non sia all'altezza. E ti dirò anche un'altra cosa: quella ragazza doveva avere una borsa con sé. Perché non ci stiamo concentrando su questo?» Anna sentì l'improvviso bisogno di difendere Langton. «In realtà lo stiamo facendo.» «Fatto così non serve a niente. E quella ricostruzione? Melissa non aveva la borsa nemmeno nel filmato. Dannati principianti. Perché non hanno chiesto a sua madre se mancava una delle borse di Melissa?» «Abbiamo già controllato l'appartamento di Melissa?» domandò Anna. «Naturalmente. Aveva un mucchio di borse.» Moira fissò le fotografie fissate alla parete. «Aveva una vita migliore di queste povere puttane. Quando guardo queste foto è come se i loro occhi mi seguissero, come gli occhi di certi cani maltrattati. Hanno tutte la stessa espressione, vero?» «Hai notato quante di loro venivano dal nord del paese?» Moira annuì. «Leeds, Liverpool, Blackpool, Manchester, Bradford...» «Mi chiedo se non ci sia un qualche possibile collegamento; se le vittime per caso non si conoscessero.» Moira scrollò le spalle. «Se chiedi in giro nelle grosse stazioni - Euston, King's Cross, Paddington - scoprirai che molte prostitute vengono in treno dal nord in cerca di clienti. Veri e propri sciami. Di solito sono delle drogate, che cominciano per colpa di un protettore, oppure delle ubriacone. Lo so perché ho lavorato per sei anni alla buoncostume.» Moira si allontanò come se la conversazione ormai fosse finita. Anna prese l'ultimo fascicolo e lo portò alla sua scrivania. La porta dell'ufficio si aprì e Langton la chiamò bruscamente: «Travis! Vieni qui un attimo». Anna si fermò davanti alla scrivania di Langton. Lui stava giocherellando con una matita, che faceva ondeggiare avanti e indietro. «Sei arrivata in
ritardo stamattina. Ieri hai vomitato sul luogo del delitto e hai vomitato di nuovo durante l'autopsia. Stavo cominciando a pensare che fossi uno spreco di spazio, Travis.» Lei si irrigidì. «Ma Henson ha telefonato poco fa. A quanto pare, avevi ragione. I segni sullo stomaco di Melissa sono parte di un pugno. Il pugno non è stato dato direttamente sulla pelle ma attraverso la T-shirt; sull'epidermide sono state trovate minuscole tracce di fibre che corrispondono al materiale della maglietta. Impossibile avere un'impronta chiara, ma Henson è convinto che queste tracce ci daranno un'indicazione sulla dimensione del pugno, quindi, se trovassimo l'assassino, sarebbe possibile fare un raffronto con il suo pugno.» «Bene», disse lei a bassa voce. Lui le rivolse uno sguardo attento. «Cosa c'è?» Lei esitò. «Ehm, stavo solo pensando che dovremmo rilasciare una dichiarazione alla stampa per mettere in guardia le prostitute.» «Non servirebbe a niente. Niente riuscirebbe a fermarle.» «Stavo leggendo il fascicolo della quinta vittima e...» «Beryl Villiers», disse lui tra sé e sé. «Be', non era distrutta come le altre, niente problemi di droga o di alcol e...» «Non mi stai dicendo niente di nuovo, Travis», la interruppe lui impaziente. «E comunque faremo una conferenza stampa. Presto.» Ma Anna non si diede per vinta. «Avete mai scoperto se c'era un qualche collegamento tra le vittime? Ho notato che erano tutte originarie del nord dell'Inghilterra.» «Lo hai notato?» Langton si appoggiò allo schienale. «Be', continua a leggere i fascicoli; quando avrai finito, leggi i rapporti sull'inchiesta e sulle migliaia di dichiarazioni raccolte e scoprirai che siamo giunti alla conclusione che non c'era alcun legame. Le vittime non si conoscevano tra loro!» Mike Lewis fece capolino dalla porta. «Vuoi che portiamo qui Rawlins? Abbiamo fatto un altro controllo e pensiamo che potrebbe essere lui quello che si vede sul margine dell'inquadratura.» «Sì, portatelo qui. Appena avete qualcosa, chiamatemi.» «Certo.» Lewis si chiuse la porta alle spalle. Langton aveva gli occhi chiusi, le braccia incrociate sulla scrivania. Anna si stava domandando se non fosse il caso di lasciarlo solo, quando lui
parlò. «Qualcosa non va. Il modo in cui Melissa correva nelle riprese. C'è qualcosa che non va.» «Be', aveva appena litigato con il suo ragazzo», disse Anna, incerta. «È il modo in cui corre. Non sembra una ragazzina incazzata con il suo fidanzato. L'impressione è che sia spaventata.» Anna stava cercando di ricordare l'ordine delle riprese. «Forse era per via dei due ragazzi che l'hanno avvicinata?» «Già, penso che potrebbe essere stata scippata e che ci manchi quella parte. L'unica cosa certa è che abbiamo un testimone e un orario che indica che Melissa era ancora viva alle undici e mezzo.» Sollevò il capo e la guardò. «Tu lavoravi con quel profiler, Michael Parks, vero?» «Ehm, sì.» «Non presto mai molta attenzione a quei profiler. Mi sembra che non facciano altro che ribadire l'ovvio.» «Credo che Parks sia molto in gamba», disse lei nervosamente. «Davvero? Be', se il sergente Travis ha un'alta opinione di lui, dovrei dare retta alla squadra investigativa e farlo entrare nella squadra, giusto?» «Parks ha svolto un ottimo lavoro quando abbiamo affrontato un caso di rapimento.» «Sul serio? Be', speriamo che riesca a fare un buon lavoro anche per noi.» Anna attese di essere congedata. Langton prese un fascicolo e cominciò a leggerlo. Quando sollevò lo sguardo un attimo dopo, parve sorpreso nel vederla ancora lì in piedi e le disse che poteva andare. Anna tornò alla sua scrivania, irritata con Langton. In fondo alla sala, Moira stava parlando con Mike Lewis. «Se è stata scippata e i ragazzi le hanno preso la borsa, ha più senso che possa aver accettato un passaggio.» Ascoltando la conversazione senza farsi notare, Anna finse di focalizzare tutta la sua attenzione sul fascicolo. Ben presto, però, venne assorbita dal contenuto. Langton sembrava essersi occupato di ogni possibile pista. Anna sapeva che, dopo aver letto il rapporto sulla vittima successiva, avrebbe dovuto trovare il tempo per controllare i rapporti sulle indagini della polizia. Non voleva dare a Langton l'occasione di fare qualche altro commento sarcastico. Jean comparve con un vassoio pieno di tazze di caffè. «Non è rimasta neanche una ciambella e gli avvoltoi hanno già cominciato a svuotare la
mensa. La conferenza stampa comincia in sala riunioni tra quindici minuti.» Mentre venivano distribuiti i caffè, Jean guardò Anna. «Mi dispiace. Non c'eri quando ho preso gli ordini.» «Non c'è problema», disse Anna, stanca e ancora molto impegnata. «Chi vuole che vada con lui?» chiese Moira. «Barolli e Lewis?» «Sì, esatto. Vuole gli inseparabili», disse Jean. Si voltò verso Anna. «Vuole anche te, Travis.» Nella sala riunioni, la stampa era arrivata in forze. Seduti sulle sedie, i giornalisti lessero il comunicato che era appena stato rilasciato. Il coordinatore si era consultato con Langton su cosa diramare: una serie di fotografie e alcuni dettagli dei crimini. Davanti alle sedie era stata sistemata una lunga scrivania con un microfono. Due videocamere stavano riprendendo. Anna restò in attesa fuori dalle doppie porte. Dalla sala riunioni le giungeva un ronzio sommesso: i giornalisti stavano parlando a bassa voce tra di loro. Anna vide Langton che percorreva il corridoio affiancato da Lewis e Barolli. Notò che tutti e tre si erano rasati e avevano indossato camicie pulite. Langton indossava un completo grigio e una cravatta blu e sembrava a disagio. Si rivolse ai suoi due fedeli aiutanti. «Bene, andiamo. Travis, siediti accanto a me.» «Sì, signore», disse lei seguendoli oltre le doppie porte. Il silenzio calò nella stanza mentre loro si sedevano al lungo tavolo. Sulla parete alle loro spalle c'erano degli ingrandimenti delle foto di Melissa Stephens. Langton prese i suoi appunti dal fascicolo e li appoggiò davanti a sé. Tossì un paio di volte, poi provò il microfono. «Prima di tutto, vi ringrazio di essere venuti», esordì. «Abbiamo bisogno della vostra collaborazione. Abbiamo sempre mantenuto buoni rapporti con la stampa e, in questo caso specifico, devo chiedervi ancora una volta di rispettare le nostre linee guida. Siete tutti al corrente, credo, del fatto che il cadavere di Melissa Stephens è stato recuperato sei settimane dopo la sua scomparsa. Ciò che non sapevamo fino a oggi, ehm... Esaminando le prove, abbiamo stabilito che l'omicidio di Melissa è collegato ad altri su cui stiamo già indagando.» A quel punto Langton diede il via alle domande. La conferenza stampa si concluse alle sette passate. Langton aveva fornito ai giornalisti molte delle informazioni di cui la squadra era in possesso, anche se non tutte, e riuscì a girare attorno alle domande più insistenti. Era stato paziente e disponibile, anche se misurato. Anna era rimasta molto
colpita dal modo in cui aveva gestito la situazione. A Langton non piaceva usare il termine «serial killer» e se n'era servito una volta sola, ma i giornalisti non tardarono a fare riferimento al caso di Jack lo Squartatore. Quando la stampa se ne fu andata, l'ispettore capo si rivolse alla squadra, allentandosi la cravatta. «Bene. Domani sarà il caos. Probabilmente i telefoni non smetteranno un attimo di squillare. Ci sarà molto lavoro extra perché dovremo separare i mitomani da tutti coloro che hanno informazioni credibili. Ci vorranno giorni, forse settimane. Quindi siate preparati. Voglio tutti in sala riunioni alle due del pomeriggio. Verrà un profiler, il professor Michael Parks, la squadra investigativa lo ha informato sul caso e già da tre giorni gli è stato dato l'accesso a tutti i nostri fascicoli, quindi speriamo che ci possa fornire qualche dettaglio utile. Okay, è tutto per stasera. Cercate di dormire. Domani sarà un inferno.» Dopo aver chiuso la valigetta, Anna lasciò la sala insieme a Jean. Sulle scale, chiese alla donna qualcosa sulla vita privata di Langton. «Che cosa intendi dire?» sbuffò Jean. «Non ha una vita privata. È un drogato di lavoro. Il primo ad arrivare, l'ultimo ad andarsene. E adesso, invece di andare a casa, è andato in sala di proiezione a vedere i filmati delle telecamere a circuito chiuso. Il povero Mike è incazzato nero: è il compleanno di sua moglie. È incinta e di sicuro gli farà una scenata. E lui non riuscirà ad andare a casa prima delle undici.» «Langton è sposato?» chiese Anna. Jean la fissò. «Ah, intendevi questo per vita privata. Be', è stato sposato un paio di volte e ha convissuto con alcune donne. Ma nessuno sa con chi stia o cosa faccia in questo momento. Preferisce tenerlo per sé.» «Capisco», disse Anna. Si fermò prima di dirigersi verso l'uscita che portava al parcheggio. «Posso darti un passaggio, Jean?» «No, grazie. Il mio vecchio mi sta aspettando.» «Buona serata, allora.» Anna non poteva crederci. Il suo paraurti posteriore era ammaccato. La Mini adesso aveva una fiancata graffiata, resti di carta appiccicati al parabrezza e il paraurti posteriore danneggiato. La sua nuova auto scintillante, il suo orgoglio e la sua gioia, per cui aveva risparmiato e fatto economie. La mattina dopo, molto presto, Anna studiò il caso della sesta vittima, che aveva trentaquattro anni. Bionda ossigenata con un fisico prosperoso e una dipendenza dalla cocaina, Mary Murphy era una prostituta con la fe-
dina penale pulita. Il suo cadavere, scoperto nel luglio del 2003, faceva di lei la vittima più recente prima di Melissa Stephens. Mary era stata trovata solo tre giorni dopo l'omicidio a Hampstead Heath. Era originaria di Preston, nel Lancashire. Non era stata rinvenuta nessuna borsetta. Il suo cadavere non era stato identificato per due settimane. Quello di Mary Murphy era il primo caso di cui Langton si era occupato. Il profilo della donna era molto diverso da quello delle altre dal momento che Mary aveva studiato e proveniva da una famiglia della classe media. Dopo il suo divorzio, avvenuto cinque anni prima, le figlie di Mary erano andate a vivere con il padre. Mary aveva probabilmente cominciato a vendersi quando la sua dipendenza dalla cocaina si era aggravata. Aveva lavorato per un'agenzia di accompagnatrici ma il suo ultimo cliente conosciuto era stato già interrogato e non faceva più parte della lista dei sospetti. Mary aveva lasciato la suite dell'uomo al Dorchester Hotel all'una del mattino ed era morta tra le due e le quattro. L'ultimo a vedere Mary al Dorchester era stato il portiere, che l'aveva riconosciuta mentre lasciava l'albergo. Gli agenti avevano pensato che Mary fosse andata in cerca di un altro cliente. Dopo quell'ultimo avvistamento era stata abbordata dal suo assassino. Nel suo fascicolo c'erano le stesse tragiche fotografie. La camicetta era sollevata fino al collo e i collant erano legati sempre nello stesso modo. Le mani le erano state legate dietro la schiena con il reggiseno di pizzo rosso. Anche se era stata violentata e picchiata, non erano state rinvenute tracce di DNA; com'era successo per le altre vittime, l'assassino aveva usato una protezione. Quando ebbe finito di leggere la documentazione, Anna aprì la porta di casa per raccogliere il giornale. Il caso era arrivato in prima pagina: «Sospetto serial killer in Azione». Anche se l'ispettore capo Langton aveva sperato di evitare il panico, il panico era ciò che aveva ottenuto. Il caso era sulle prime pagine di tutti i giornali. C'erano continui riferimenti sia a Jack lo Squartatore sia allo Squartatore dello Yorkshire. Il titolo a caratteri cubitali di un tabloid gridava: «Jack è tornato». Alla centrale Anna percorse i corridoi che portavano alla sala operativa. Mentre si avvicinava, notò l'incessante squillo dei telefoni e il suono delle voci che si faceva sempre più forte. Nella sala operativa, adesso, c'erano altri quattro telefoni e tutti i detective erano impegnati a rispondere. Tutte le chiamate venivano registrate: nomi, indirizzi e dettagli rilevanti veniva-
no comunicati dagli agenti al coordinatore. Quando Anna raggiunse la sua scrivania, il telefono stava già squillando. Jean le rivolse un'occhiata afflitta. «Benvenuta nella città dei telefoni. Sono le nove meno un quarto e abbiamo già ricevuto centocinquanta chiamate, quindi mettiti al lavoro.» Anna prese il suo taccuino e sollevò il ricevitore. «Sala operativa di Queen's Park. Sono il sergente Travis.» Fu una giornata lunga e frastornante. E in mezzo al caos, con i loro occhi scuri e disperati, c'erano le sette vittime: Teresa Booth, Sandra Donaldson, Kathleen Keegan, Barbara Whittle, Beryl Villiers, Mary Murphy e ora Melissa Stephens. 4. Erano arrivate migliaia di telefonate che avevano però portato ben poche informazioni. Tuttavia, la scientifica aveva scoperto quella che avrebbe potuto essere la prova più significativa. I test condotti sui campioni di DNA, che erano privi sia di sangue che di seme, avevano rivelato il tipo di preservativo usato dall'assassino, un Lux-Oriente che era fabbricato in America e facile da rintracciare per via del lubrificante utilizzato. Anche se la scoperta che l'assassino aveva acquistato i preservativi negli Stati Uniti era confortante, il fatto che la Lux-Oriente vendesse milioni di confezioni ogni anno rendeva praticamente impossibile risalire all'acquirente. Un altro passo avanti venne fatto quando Rawlins, il ragazzo di Melissa, crollò e confessò che durante la loro ultima discussione erano venuti alle mani. Mark aveva seguito Melissa e aveva continuato a litigare con lei mentre si allontanavano dal Bistro. Il ragazzo ricordava che Melissa aveva con sé una borsetta di piccole dimensioni, che lui le aveva lanciato contro. Anche se non ne ricordava il colore, disse che era di pelle morbida e scura. Tra le bancarelle deserte del Covent Garden Market, c'era stata una colluttazione che si era conclusa quando lui aveva dato un pugno a Melissa. Anche se l'impronta sull'addome di Melissa non poteva più essere considerata una prova che avrebbe potuto condurli al killer, stavano arrivando buone notizie. Rawlins si era ricordato che quell'ultima sera Melissa aveva con sé un cardigan nero. Quando Mark l'aveva raggiunta vicino a Fiorai Street ed era scoppiata la lite, l'aveva strattonata afferrandole il maglione. Dopo il pugno, Melissa aveva dichiarato con rabbia di non voler mai più rivedere Rawlins e si era allontanata, furiosa. Quando lui ci aveva ripensa-
to e aveva cercato di raggiungerla, lei era già scomparsa... per sempre. A quel punto dell'interrogatorio, Mark si era mostrato profondamente a disagio. Si incolpava della morte della ragazza. Se solo si fosse scusato per ciò che aveva fatto e l'avesse accompagnata a casa, Melissa sarebbe stata ancora viva. Era stata la vergogna a spingerlo a tenere segreta la discussione. Era quello il motivo per cui non aveva raccontato tutto alla troupe televisiva che si era occupata della ricostruzione. Langton ordinò che Rawlins venisse rilasciato. Non solo avevano perso tempo prezioso, ma anche la possibilità che qualcuno trovasse e riconoscesse il cardigan nero o la borsa. Tuttavia, non vedeva alcuna buona ragione per accusare il ragazzo di intralcio alla giustizia; Mark Rawlins aveva già avuto la sua condanna. Avrebbe dovuto vivere per sempre con la consapevolezza di essere il responsabile della morte di Melissa. Fu diramato un comunicato stampa in cui si chiedeva a chiunque avesse informazioni sulla borsa scomparsa di farsi avanti. Benché avessero assicurato la massima discrezione e sottolineato il fatto che alla pulizia interessava soltanto il luogo del ritrovamento della borsa, non ricevettero nemmeno una telefonata. La polizia doveva presumere che da qualche parte, lungo il percorso seguito da Melissa, la borsa fosse stata rubata, dal momento che nelle riprese delle telecamere di sicurezza la ragazza non aveva né il maglione né la borsa. Il fatto che Langton avesse avuto ragione a proposito della corsa spaventata di Melissa rappresentava una magra consolazione: tra il momento in cui aveva lasciato il suo ragazzo e il momento in cui era apparsa davanti a una delle telecamere era successo qualcosa che l'aveva terrorizzata. Il cubano venne portato tre volte alla centrale ma a ogni interrogatorio divenne sempre più confuso. Nemmeno l'interprete fu capace di cogliere altre informazioni. La sezione dell'auto fu identificata come appartenente a una Mercedes del 1970 circa, anche se gli agenti non furono in grado di determinare il colore esatto dal momento che la pellicola era in bianco e nero. Il morale della squadra cambiò con l'arrivo del profiler. Il professor Michael Parks aveva circa quarantacinque anni, i capelli radi e occhiali dalla montatura di tartaruga. Disse che dovevano cercare un maschio sui trentacinque anni, benestante, probabilmente attraente. Malgrado quelle qualità, non era sposato e svolgeva una professione che gli permetteva di viaggiare spesso.
Parks disse che gli irregolari intervalli di tempo tra un omicidio e l'altro erano preoccupanti. Il primo delitto era avvenuto nel 1992, il successivo nel 1994, quello dopo ancora nel 1995. Poi, dopo un lungo intervallo, c'era stato un altro omicidio nel 1998 e uno nel 1999. Quindi, dopo un intervallo di quasi tre anni, c'era stata Mary Murphy, uccisa nel 2002, e infine l'ultima vittima, Melissa, uccisa nel febbraio di quell'anno. La squadra ascoltò con attenzione mentre Parks spiegava che un serial killer può diventare temporaneamente inattivo quando i suoi desideri sono saziati. In alcuni casi, potrebbe anche non uccidere più. Tuttavia, il profiler era convinto che il loro assassino non si sarebbe fermato. Era quasi certo che, in corrispondenza di quei lunghi intervalli, fossero stati commessi altri delitti. Parks indicò le fotografie delle vittime, quei volti ormai così familiari per i componenti della squadra. «Un evidente denominatore comune è il fatto che le donne erano prostitute. Un'altra cosa che ho notato, e che è molto comune nei serial killer, è la somiglianza fisica tra le varie vittime. Tutte le donne, compresa l'ultima vittima, avevano gli occhi castani. Tutte avevano i capelli ossigenati, tinti o biondi naturali. Sono convinto che quest'uomo abbia cominciato uccidendo una donna che lo ha ferito, che forse lo ha lasciato, o forse una figura materna, a sua volta una prostituta. Quindi, per prima cosa, ha ucciso sua madre. In ogni caso, con il progredire della catena di delitti, ha cominciato a uccidere donne più giovani, apparentemente in modo indiscriminato. Questo significa che non è riuscito a soddisfare il suo bisogno. Il modo in cui lascia esposti e umiliati i loro cadaveri è un'indicazione del suo odio. Quest'uomo detesta le prostitute e cerca di profanarle in ogni modo possibile», proseguì Parks. La stanza era immersa nel silenzio. Molti degli agenti, compresa Anna, prendevano appunti su appunti. Ma Langton sedeva impassibile, fissando il pavimento. «I serial killer», continuò Parks, «sono soliti prendere un qualche tipo di trofeo. È possibile che per il nostro uomo siano le borse. Questo potrebbe fornirgli il piacere di rovistare tra le cose delle sue vittime, in un secondo momento. Anche se è possibile che conservi una serie di piccoli oggetti, le borse sono troppo grandi da tenere, troppo pericolose; quindi probabilmente a un certo punto se ne sbarazza, gettandole via o bruciandole.» Parks si tolse gli occhiali. «L'assassino è molto intelligente. Non lascia tracce di DNA, non lascia prove. Per il mondo esterno, probabilmente è un individuo del tutto rispettabile.
«Le prime quattro vittime erano abituate a salire su auto di sconosciuti. Ci sono pochissimi segni di lotta perché potrebbero aver acconsentito a farsi legare i polsi. Nessuna di queste donne è stata imbavagliata, il che ci indica che devono aver assecondato il desiderio dell'assassino di legare loro le mani dietro la schiena. Direi che quelle che hanno lottato, come Beryl Villiers, potrebbero essersi rifiutate. Melissa, lo sappiamo, è stata priva di sensi quasi fin dall'inizio.» Parks piegò gli occhiali e se li infilò nel taschino. «Questo è tutto quello che ho da dirvi per oggi. Prima di andare, aggiungerò però una cosa.» Fece una pausa a effetto. «L'assassino non è ancora sazio. Anzi, il contrario, direi. L'omicidio di Melissa, l'attenzione da parte dei media che è ne seguita potrebbero aver acuito il suo desiderio di uccidere di nuovo, sempre che non l'abbia già fatto.» Nei quattro giorni successivi, la squadra continuò a interrogare le persone che avevano chiamato e che sembravano avere informazioni in qualche modo valide e a verificare le loro dichiarazioni. Alla fine, la telefonata più interessante risultò essere quella di una donna dalla voce molto profonda che aveva insistito per mantenere l'anonimato ma si era detta sicura di aver visto Melissa la notte della sua scomparsa. Era quasi mezzanotte quando aveva notato, in Old Compton Street, una ragazza che corrispondeva alla descrizione di Melissa e che si stava chinando per parlare con il guidatore di un'auto sportiva azzurro chiaro. Non sapeva di che modello si trattasse ma solo che era un'auto «vecchio tipo». Non aveva visto con chiarezza il volto del conducente ma era sicura che fosse ben rasato e «biondiccio» e che, anche se era piuttosto tardi, indossasse un paio di occhiali da sole. La donna stava per attraversare la strada per andare a parlare con la ragazza e dirle che non poteva cacciare di frodo nel suo territorio, quando Melissa era salita sull'auto che poi si era allontanata. Avevano cercato di rintracciare la telefonata. Proveniva da un cellulare ma questo non era bastato a individuare il luogo da cui era stata fatta. Langton ordinò a Lewis di ritentare. «Rintracciarla?» Lewis scosse la testa poco convinto. «E come? Non sappiamo nemmeno che aspetto ha; non abbiamo un nome. Non abbiamo niente di niente.» «La voce!» ribatté bruscamente Langton. «Mike, per Dio, riascolta la telefonata! Sai che la donna lavora a Old Compton Street. Probabilmente è
un travestito: quella è la loro zona e lì c'è il Minx Club. Va a parlare con tutti quelli che riesci a trovare. Confronta la voce! Lui o lei è tutto ciò che abbiamo finora.» «D'accordo, capo. Sarà fatto.» «Adesso prestate tutti attenzione. Dobbiamo tornare all'inizio. Rivediamo il caso di Teresa Booth. E poi riesamineremo ciascuna delle vittime per scoprire se ci è sfuggito qualcosa.» Erano passate tre settimane. Non erano stati individuati nuovi testimoni, non erano stati trovati nuovi indizi che potessero rivelare l'identità dell'assassino e il Gruppo revisione omicidi aveva cominciato a ronzare attorno alla squadra, a pretendere risultati. Anche il comandante che dirigeva la squadra investigativa voleva dei risultati, che per il momento non c'erano. Senza nuove prove, il caso di Melissa sarebbe stato affidato a un'altra squadra, oppure la squadra attuale sarebbe stata dimezzata. Le indagini sui vecchi casi procedevano lentamente e Langton, frustrato come non mai, lo sapeva. Anche se alla fine di ogni giornata si ritrovavano a mani vuote, i ritmi continuavano a restare frenetici. Erano le tre e un quarto del pomeriggio quando arrivò la telefonata. Fu Jean a rispondere e avvertì subito il coordinatore amministrativo che andò a parlarne con Langton. «Cosa c'è?» «C'è stata una telefonata ieri. Dalla Spagna.» «Dalla Spagna?» «Sì, di un certo Barry Southwood, un ex detective. Ha detto di avere delle informazioni sui delitti. Ha lasciato un numero a cui possiamo raggiungerlo.» «Southwood?» disse Langton accigliandosi. «Ha detto di essere un ex agente di polizia.» «Già, bene, ho capito. Qualcuno ha già fatto un controllo su di lui?» «Sì, ci ha pensato Barolli. Pare che fosse un poliziotto corrotto. Ha lavorato quindici anni nella Buoncostume. "Pensionamento forzato".» «Bene. Trovate tutto quello che c'è su di lui. Poi richiameremo quel vecchio bastardo.» Langton si fermò vicino alla scrivania vuota di Anna. «Dov'è Travis?» Barolli sollevò lo sguardo. «È con Lewis. Non sono riusciti ancora a trovare la nostra prostituta con la voce da baritono; stanno ancora setacciando la zona di Soho. Vuoi che li richiami?»
«No», ringhiò lui, tornando nel suo ufficio. Erano quasi le sei; Anna e il sergente Lewis si trovavano davanti a un piccolo, sudicio caffè nei pressi della stazione di King's Cross. Era un locale frequentato da magnaccia e prostitute, soprattutto nelle giornate di pioggia come quella. I due detective avevano passato ore e ore a fermare le prostitute a ogni angolo di Soho. Avevano anche ispezionato le principali stazioni ferroviarie ma non avevano ottenuto niente. Dato che l'unica descrizione che potevano dare era «una voce bassa, maschile o femminile», non avevano molto su cui basarsi. Era come cercare un ago in un pagliaio. Lewis si diede per vinto. Avrebbero stilato i loro rapporti la mattina dopo, alla stazione. Lewis andò a prendere l'autobus, Anna invece decise di tornare a casa in metropolitana. Trovò la stazione e scese con la scala mobile. Era esausta e i piedi le facevano un male d'inferno. Sull'altra scala mobile stava salendo una donna alta, con i capelli folti, neri e ricci. Indossava una gonna di pelle rossa attillata, una giacca di pelle ornata da borchie e un top scollato. Aveva a tracolla una grossa borsa e stava discutendo animatamente con una bionda bassa e grassoccia. «Così gli ho detto "Per dieci sterline, non ti accenderei neanche la sigaretta!" Quello stronzo! Allora lui dice...» Anna si voltò. Era sicura che si trattasse della «voce». Scese dalla scala mobile e prese quella che saliva. Notò in cima alla scala la gonna di pelle rossa; la donna se ne stava andando, in bilico sui tacchi a spillo. Fuori dalla stazione, Pelle Rossa sembrava scomparsa. Frustrata, Anna controllò il posteggio dei taxi, poi tornò alla stazione ma ormai l'aveva persa. Sospirò, poi notò il cartello della toilette delle signore. Che fosse il suo camerino? All'interno, la donna bionda era davanti allo specchio e si stava truccando le labbra con il gloss. Qualcuno tirò uno sciacquone. Anna si controllò il trucco. La donna bionda si rivolse alla sua amica: «Mia madre ha detto che vuole che le paghi la tariffa piena. Io le ho detto che è un po' troppo!» Pelle Rossa uscì da una delle cabine e si avvicinò a un lavandino. «Mmmm», disse. «Insomma, quelle dannate baby sitter si prendono venti sterline all'ora, lo sapevi?» «Mmmm.»
Anna si lavò le mani. Stava dando le spalle alle due donne ma poteva vederle entrambe riflesse nello specchio sopra i lavandini. Finirono di truccarsi e si sistemarono i capelli. La bionda non la smetteva di parlare nemmeno per un attimo mentre la donna vestita di pelle rossa, di cui Anna era ansiosa di sentire la voce, continuava a non dire una parola. «Okay, allora. Ci vediamo lunedì.» La bionda uscì. Anna si avvicinò all'asciugamani elettrico e si sfregò le mani sotto l'aria calda. Il cuore prese a batterle più in fretta quando Pelle Rossa si lavò le mani, se le scrollò e si voltò verso di lei. «Quei cosi ce ne mettono di tempo, vero? Insomma, sarebbe meglio che lasciassero delle salviette di carta.» Anna era certa che si trattasse della stessa voce. Pelle Rossa entrò in una delle cabine da cui prese un lungo pezzo di carta igienica. La prostituta tornò a guardare verso lo specchio asciugandosi la mani. Cercando di sembrare disinvolta, Anna si avvicinò e disse: «Dimmi una cosa. Hai chiamato la centrale di polizia di Queen's Park e hai detto di avere delle informazioni su Melissa Stephens, vero?» Pelle Rossa sollevò gli occhi di scatto. «E allora? Ho detto tutto quello che sapevo.» Si allontanò di un passo da Anna. «Non c'è nient'altro. Scusami.» «Vorrei parlarti», disse Anna, sorpresa di aver avuto ragione. Pelle Rossa rimase davanti allo specchio a leccarsi le labbra. «Be', mi dispiace per te, tesoro. Ho già fatto la mia stronzata da brava cittadina. Comunque, Cristo, come hai fatto a trovarmi?» «Hai una voce molto insolita.» «Già. Devo ringraziare un cliente che mi ha calpestata, schiacciandomi la laringe. Accidenti a lui.» Pelle Rossa si avvicinò alla porta e Anna la seguì. «Possiamo parlare solo per qualche minuto?» La mano di Pelle Rossa era già sulla porta. «Mi è dispiaciuto per la ragazzina, okay? Ho raccontato tutto quello che ho visto. Non voglio farmi vedere in giro con te. Con quel vestito e quelle scarpe è come se avessi la scritta "Buoncostume" stampata in fronte. Mi creeresti un sacco di problemi.» «Non lavoro con la Buoncostume.» «Tesoro, non me ne frega un cazzo anche se lavori per il Royal Ballet.» Pelle Rossa uscì seguita da Anna. «Sono con la Squadra omicidi. Non costringermi ad arrestarti.»
Pelle Rossa si fermò e ringhiò: «E con quale cazzo di accusa?» «Non possiamo semplicemente prendere un caffè insieme?» «Gesù Cristo!» «Ti pagherò per il tuo tempo», disse Anna. «Cinquanta sterline. Torna nel bagno. Non ho intenzione di farmi vedere in giro con te.» «Entra prima tu», ribatté Anna sicura che, in caso contrario, la donna se ne sarebbe andata non appena le avesse voltato le spalle. Pelle Rossa sospirò rumorosamente e tornò nella toilette. Anna la seguì. Quando Langton riuscì a chiamare Southwood in Spagna, trovò la segreteria telefonica. Moira si era già messa la giacca ed era pronta ad andarsene. «L'unica cosa che so, capo, è che era un poliziotto disonesto. Davvero un bel tipo. Io allora portavo ancora la divisa; è stato parecchio tempo fa. Lo chiamavamo Mani Lunghe.» «Credi che le informazioni di cui parla possano valere qualcosa?» «Non so. Bisogna dire che non ha chiamato subito; sono passate settimane. E insisteva molto per avere una ricompensa.» Langton fece un sorriso amaro e disse a Moira che poteva andare. Sapeva di dover prendere seriamente quella telefonata, tuttavia il budget era ridotto. Una trasferta in Spagna era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, soprattutto se fosse stata una perdita di tempo. Riprovò a chiamare il numero e trovò di nuovo la segreteria. Depresso, riagganciò. Erano quasi le nove di sera e la squadra era ridotta all'osso per il turno di notte. Langton si fermò al centro della sala operativa. Non c'era una pausa ormai da settimane. La sensazione era che il caso fosse in un vicolo cieco. In quel momento, Anna entrò nella stanza, il volto arrossato. «Oh, per fortuna è ancora qui.» Langton sorrise. «Sto pensando di trasferirmi qui alla centrale.» Anna si tolse la giacca. «Ho trovato la testimone.» «Cosa?» «Alla stazione di King's Cross. Uno dei motivi per cui non avevamo avuto fortuna è che è una pendolare del week-end; prende il treno da Leeds ogni venerdì e torna a casa il lunedì. A proposito, non è un transessuale, è una donna ma uno dei suoi clienti...» Dovette fermarsi per riprendere fiato tanto era eccitata. «Fa' un respiro profondo, Travis, e raccontami tutto.»
Anna prese il suo taccuino e cominciò a sfogliarlo. Langton si sedette sul bordo della sua scrivania. «La donna si chiama Yvonne Barber. È una prostituta; divide una stanza con altre due ragazze sopra un negozio di articoli fetish, in Old Compton Street. Yvonne è sicura che la macchina su cui è salita Melissa fosse una Mercedes, un vecchio modello.» Anna le aveva mostrato una serie di foto di auto e la donna ne aveva indicata una in particolare, senza esitazioni. «Era questa, una Mercedes SL00 decappottabile; il colore era azzurro chiaro.» Langton applaudì. Anna era raggiante. «La descrizione del guidatore è comunque molto vaga: tra i trentacinque e i quarant'anni, vestiti eleganti, capelli corti castano chiaro o forse biondi, occhiali da sole. Ma la cosa più interessante è questa: Yvonne ha detto che ha avuto l'impressione che Melissa lo conoscesse.» «Che cosa?» «Ha detto che Melissa non sembrava spaventata, che sorrideva e gli parlava mentre girava attorno all'auto per salire dalla parte del passeggero. Ha detto che sembrava che conoscesse veramente il guidatore.» «Lo conosceva?» Langton era ancora accigliato. «Sì», disse Anna. «È per questo che Yvonne si è allontanata. Stava per andare a parlarle perché quella parte di Old Compton Street è il suo territorio, okay?» «Be', questo apre delle prospettive del tutto inaspettate.» Langton allungò una mano e le toccò la spalla. «Hai fatto davvero un buon lavoro.» «Grazie.» Erano le dieci e mezza passate quando Anna finì di scrivere il suo rapporto. Uscendo, vide che la luce nello studio di Langton era ancora accesa. Arrivò a casa alle undici e mezza. Mentre si infilava a letto, toccò la fotografia di suo padre e sussurrò: «L'ho trovata, papà». Quando Anna arrivò alla centrale, la mattina dopo, Lewis le indicò il suo rapporto. «Sei stata fortunata.» «Sì, credo di sì.» Non era esattamente la reazione in cui aveva sperato. Si sedette alla sua scrivania e chiese a Moira: «Dov'è il capo?» «Al laboratorio. Hai presente quel viaggio in Spagna? Vuoi che metta il tuo nome nell'elenco? Certo, sarà il capo a decidere chi deve andare, ma potrebbe essere una buona occasione per fare un po' di shopping.»
«In Spagna? Perché in Spagna?» «C'è stata una telefonata di un ex poliziotto che dice di avere delle informazioni sull'assassino. Probabilmente sono tutte stronzate. Era un corrotto. Allora, vuoi che ti inserisca nella lista o no?» «Sì, certo.» Nessun altro voleva andarci. Sarebbe stato un volo in classe turistica, andata e ritorno in un giorno solo, per non parlare del viaggio fino all'aeroporto di Luton. Nel frattempo, Langton stava camminando nervosamente avanti e indietro davanti alla porta del laboratorio. Alla fine venne raggiunto da Henson, che si tolse la mascherina. «Puoi anche telefonarmi, lo sai, vero?» «Volevo vederlo di persona.» «Vedere cosa?» «Il cadavere di Melissa Stephens.» Nella cella frigorifera Henson estrasse lentamente il cassetto in cui si trovava il corpo. «I risultati delle analisi sui processi decompositivi non sono ancora pronti.» Langton scosse la testa. «Non si tratta di questo. Durante l'autopsia ha detto che la punta della lingua è stata staccata con un morso, forse da una volpe. Giusto?» «Sì. Abbiamo esaminato il contenuto dello stomaco; non è stata lei a ingoiarla.» «Qual è la dimensione del morso?» «Glielo mostro.» Henson tirò indietro il lenzuolo che copriva la testa. Con un abbassalingua, aprì la bocca e quindi, con un oggetto simile a una pinza dalle estremità piatte, tirò delicatamente in avanti la lingua di Melissa. «Come può vedere, mancano la punta e un'altra piccola sezione.» Langton inclinò la testa di lato, poi guardò Henson. «È sicuro che sia stata una volpe o un cane?» «Se devo essere sincero, no, non sono sicuro. So dove vuole arrivare ma sono piuttosto dubbioso.» «Può fare un controllo?» «Chiamerò un odontoiatra perché se ne occupi. È possibile che sia necessario asportarle la lingua, quindi dovrà avere il permesso dei suoi genitori. Non fanno altro che chiamare, tutto il giorno; sono ansiosi di seppellirla. Ormai sono passate settimane.» Langton fissò Henson. «Otterrò quel permesso; potrei convincerli dicen-
do loro che riavranno il cadavere della figlia se ci lasciano fare questi ultimi test.» Henson coprì di nuovo la testa di Melissa con il lenzuolo, poi richiuse il cassetto. «Voglio che venga fatto oggi», disse Langton. Henson annuì. Non gli piaceva ammettere i suoi errori ma sapeva che avrebbe dovuto prendere in maggiore considerazione la possibilità che il morso fosse umano anche se, cosa di cui era ancora convinto, si fosse scoperto che era stata opera di un animale. Langton entrò sorridendo nella sala operativa. Quando richiamò l'attenzione dei presenti, Anna pensò che stesse per dire a tutti che lei era riuscita a rintracciare Yvonne. Si appoggiò allo schienale e ascoltò Langton che diceva: «Ci sono grandi novità questa mattina». Nella sala si levò un mormorio; tutti ora gli stavano dedicando la massima attenzione mentre lui spiegava che Henson stava facendo una serie di test sulla lingua di Melissa. «Se l'assassino ha staccato la punta con un morso, potremmo avere un'impronta dei suoi denti. La famiglia ci ha concesso il permesso di rimuovere la lingua. Quindi ora dobbiamo solo aspettare. Nel frattempo, torniamo ai familiari della vittima: qualcuno che conoscono guida una Mercedes Benz azzurra? Chiediamo anche a Mark Rawlins e a tutti gli amici di Melissa.» Poi Langton guardò Anna. «Abbiamo fatto anche un altro passo avanti, ieri sera. Travis ha rintracciato la donna dalla voce bassa. Si chiama Yvonne Barber e ha una lista di denunce per prostituzione lunga come il mio braccio. La donna ha detto di essere certa che Melissa conoscesse il suo assassino. Quindi diamoci una mossa. Finalmente stiamo cominciando a fare progressi.» Quando Langton entrò nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle, il coordinatore amministrativo chiese chi si fosse offerto volontario per il viaggio in Spagna. Tutti si voltarono a guardare Anna. «Hai vinto tu, Travis. Passa da me, organizzeremo tutto.» Anna abbozzò un sorriso. Si chiese se non fosse stato Langton a intercedere in suo favore. Più tardi, quella mattina, gli portò nel suo ufficio gli aggiornamenti sulle telefonate. «Domani voglio che tu venga con me in laboratorio, ci saranno i test sulla lingua e...»
«Non posso. Devo andare in Spagna. A Maiorca.» «Cosa?» «Devo andare a Palma a interrogare Barry Southwood. Sono stata fortunata.» Langton sogghignò. «No, ti sei fatta fregare dal resto della squadra.» «Mi perdoni?» chiese lei, sbalordita. «Non importa. Sei la persona migliore per questo incarico. Non posso permettermi di perdere uno degli altri.» Perplessa, Anna tornò alla sua scrivania e trovò l'itinerario del giorno successivo, insieme a un appunto che le diceva di passare a ritirare il suo biglietto al banco della Easyjet. Mentre leggeva le indicazioni, rimase senza fiato. Doveva essere all'aeroporto due ore prima del decollo. Questo significava che avrebbe dovuto uscire di casa alle quattro del mattino. Continuò a leggere e, per calmarsi, dovette trarre un profondo respiro. Il volo di ritorno era fissato per il pomeriggio! L'aereo sarebbe atterrato a Luton alle nove di sera. Quando Anna sollevò lo sguardo, sconvolta, notò i sogghigni degli altri agenti. Senza volere, scoppiò a ridere. «Bastardi, mi avete proprio fregata. Andata e ritorno in un giorno solo, eh?» «È il professor Henson.» Langton afferrò il ricevitore e ordinò bruscamente: «Passamelo». «Ispettore capo Langton?» «Sono io.» «Ho chiesto alla "fatina dei denti" di dare un'occhiata alle analisi.» «Cosa?» «È così che chiamiamo l'odontoiatra. Lei aveva ragione e io avevo torto. L'odontoiatra è d'accordo con lei, il morso è umano. Anche se abbiamo solo l'arcata superiore, dovremmo essere in grado di fare un buon calco.» «Umano?» ripeté Langton. «Sì», ammise Henson quasi imbarazzato. «Quindi, adesso dovete solo trovarlo.» «Be', ci sto lavorando. Grazie per avermi chiamato così prontamente.» Quella era la conferma che il loro assassino stava diventando sempre più sadico. Non si era fermato, tutt'altro. Il mostro che aveva assassinato Melissa Stephens era attivo e avrebbe ucciso ancora se non fossero riusciti a fermarlo in tempo.
5. Anna era in coda all'aeroporto di Luton, in attesa di imbarcarsi al Cancello 4. L'aereo era mezzo vuoto e non c'era di che meravigliarsi, pensò lei, vista l'ora spietata del check-in. Sospirò: sarebbe stata una lunghissima giornata. A Londra, Langton stava osservando Henson impegnato a disporre una sezione della lingua tagliata di Melissa in modo da poter registrare e fotografare ogni dettaglio. Il patologo posizionò due righelli formando una "L" accanto alla lingua. L'angolo dello scatto doveva essere preciso, esattamente perpendicolare al segno del morso. Le foto, in seguito, sarebbero state migliorate grazie al computer e alla tecnologia a infrarossi. Sarebbe stata una procedura lunga e difficile. Henson stava passando delicatamente la lingua con un tampone di cotone sterile inumidito di acqua distillata. La speranza era di trovare tracce della saliva dell'assassino e quindi il suo DNA. «I segni sono molto chiari», commentò Henson. «L'odontoiatra è stato in grado di rilevare un'ottima impronta.» L'aeroporto di Palma era così caldo e soffocante che Anna si rallegrò di aver deciso di viaggiare leggera. Uscita dal terminal, trovò il posteggio dei taxi e al conducente diede l'indirizzo di Southwood: Villa Marianna, Calle Alcona. Il tassista indossava un berretto da baseball, una T-shirt e dei jeans sudici. Era sudato, il che faceva intuire che il taxi fosse sprovvisto di aria condizionata, benché fosse un veicolo registrato con tanto di radio. «Conosce la zona?» domandò Anna. Il tassista si voltò, sogghignando, e con un pesante accento di Liverpool rispose che conosceva la città come le sue tasche. La informò che l'abitazione di Southwood si trovava ai margini di Palma. Anna si appoggiò allo schienale e abbassò il finestrino per far entrare un po' d'aria, mentre il conducente, che sì chiamava Ron, le raccontava la storia della sua vita. Aveva conosciuto sua moglie a Palma, durante una vacanza. Adesso lavorava part-time come falegname e dava anche una mano in un'agenzia immobiliare. Senza nemmeno prendere fiato, passò a concentrarsi su Anna. «Allora, per cosa è qui? È in cerca di una proprietà da comprare, vero? Insomma, vedo che non ha bagagli. Quanto tempo ha intenzione di restare? Posso
farle vedere delle belle case, a seconda di quanto ha intenzione di spendere. Si possono fare ancora dei buoni affari ma, insomma, bisogna sapere dove cercare.» «Sono un'agente di polizia», disse lei. «Sul serio? Un poliziotto! Cristo, vi prendono sempre più giovani! E allora che cosa ci fa qui?» «Sono qui per un'indagine. Manca ancora molto?» Sfortunatamente, sì, mancava ancora molto. Il sole di mezzogiorno batteva spietato. Anche con il finestrino abbassato, Anna continuava a sudare. «E su cos'è questa indagine, allora?» domandò Ron. Anna lo sorprese di nuovo a guardarla nello specchietto retrovisore invece di guardare la strada. «Non ne posso parlare, purtroppo», rispose, sperando di metterlo a tacere. Non funzionò. «È una storia di droga, vero? Abbiamo un sacco di tossici, qui. Specialmente nell'alta stagione. Si tratta di droga?» «No, non si tratta di droga.» Per distrarlo dalle sue domande, Anna gli chiese di parlarle della zona. Per la mezz'ora successiva, Ron le diede dettagliate spiegazioni sui migliori ristoranti, gli hotel, i locali notturni e le fabbriche di oggetti di ceramica. «Mio cognato lavora nella fabbrica più grande, al centro di Palma. Ci ha regalato dei piatti stupendi. Dovrebbe farci un salto. Posso farle fare una visita guidata, mi chiami in qualsiasi momento. Però mi chiami direttamente, non attraverso la compagnia dei taxi. Le farò avere un ottimo prezzo.» Le mani dell'uomo lasciarono il volante. Il taxi sbandò mentre Ron prendeva diversi biglietti da visita che corrispondevano alle sue varie attività. «Per favore, si concentri sulla strada», disse Anna. «È meglio che accosti. Così darò un'occhiata alla cartina.» Il taxi si fermò bruscamente. «Okay. Com'era il nome della via?» «Calle Alcona.» Lui prese a sfogliare lo stradario, accigliandosi. Era evidente: Ron non aveva la minima idea di dove si trovasse la villa. Anna stava digrignando i denti quando l'uomo scese dal taxi. Lo vide attraversare la strada per andare a parlare con un poliziotto addetto al traffico. Sospirando, Anna restò a guardarli discutere e consultare con aria dubbiosa lo stradario. Entrambi gesticolarono animatamente e alla fine Ron tornò al taxi. Anna controllò
l'orologio. Erano quasi le due. «Okay, dobbiamo solo tornare indietro. Andiamo al porto, poi svoltiamo a sinistra e risaliamo dietro la città vecchia.» «È la direzione opposta», fece Anna in tono brusco, sul punto di perdere le staffe. «È un posto fuori mano, fa parte di un nuovo complesso... Così nuovo che non l'hanno nemmeno finito», disse lui, ridendo. Quindici minuti più tardi si lasciarono alle spalle la città vecchia. Raggiunsero un quartiere pieno di siepi ben curate e strade nuove. Le ville erano molto eleganti, proprietà circondate da muri di cinta e con giardini pieni di fiori. Per un attimo, Anna si chiese come facesse un ex poliziotto della Buoncostume a permettersi di vivere in un quartiere come quello; ma poco dopo, le strade cambiarono. D'un tratto, Anna vide una serie di costruzioni completate a metà e Ron imboccò una strada sterrata. «Dovrebbe essere quassù. Cerchi il cartello. Dev'essere qui da qualche parte.» Il taxi arrancò lungo la strada ondeggiando e sobbalzando tra una buca e l'altra. Il cartello che diceva «Calle Alcona» giaceva abbandonato a terra. Ron fece retromarcia e percorse qualche metro, poi imboccò quello che sembrava poco più di un viottolo di campagna. In fondo alla strada c'era un grosso cancello controllato elettronicamente. Le parole «Villa Marianna» erano scritte in ferro battuto accanto all'immagine di una ballerina spagnola. Anna scese dal sedile posteriore del taxi e suonò il citofono. Prima che potesse dire anche solo una parola, il cancello si aprì su un vialetto che curvava verso destra. Il taxi passò accanto a una grande piscina circondata da sdraio malconce. Una tettoia rovinata forniva ben poca ombra alla zona della piscina. E in fondo, oltre le buganvillee in fiore, c'era la villa: due piani con persiane bianche, molte delle quali rotte. Ron rimase in silenzio finché non raggiunsero il portico davanti al quale erano parcheggiate diverse auto costose: una Porsche, una Saab decappottabile e una Cornicile gialla con la capotte beige abbassata e gli interni di pelle color crema. «Accidenti! Belle. Proprio belle», mormorò Ron, tirando il freno a mano. «Mi può aspettare per riportami all'aeroporto?» chiese Anna. «Dovrò farle pagare anche l'attesa.» «Va bene. Ma resti qui, ho un aereo da prendere.»
Anna scese dal taxi e suonò alla porta. Attese per qualche minuto, poi suonò di nuovo e, infine, dovette fare un balzo all'indietro quando un uomo spalancò di colpo la porta. L'uomo era abbronzato, aveva i capelli scuri, setosi e lunghi fino alle spalle. Indossava una camicia sbiadita di jeans sbottonata fino all'ombelico. «Sì?» disse, annoiato. «Sono qui per parlare con Barry Southwood.» Lui la degnò a malapena di uno sguardo mentre faceva strada nell'ampio atrio. «Barry! Barry!» gridò in direzione di una larga scalinata di marmo. «Barry!» Senza aggiungere altro, cominciò a salire facendo due gradini alla volta e scomparve sul pianerottolo. Anna rimase nell'atrio e si voltò solo quando sentì alle sue spalle il ronzio di una sedia a rotelle elettrica. L'ex detective Barry Southwood, ansimando, fermò la sedia. Era molto grasso, il ventre sporgente quasi appoggiato sulle ginocchia. «Barry Southwood?» chiese lei. Lui la fissò, il volto arrossato e i capelli radi, unti, pettinati all'indietro. «Sono il sergente Anna Travis.» Fece per aprire la borsetta per mostrargli il distintivo. «Gesù Cristo! Ma quanti anni hai?» «Ventisei.» «Ventisei, e ti hanno fatta sergente? Cazzo, ma è ridicolo! Ai miei tempi, bisognava essere nella polizia da almeno dieci anni. Voi invece uscite dall'università che non sapete niente e vi fanno subito fare carriera.» «Possiamo andare a parlare da qualche parte?» Anna si sentiva la mascella irrigidita. Southwood scosse la testa, spargendo attorno a sé gocce di sudore. «Cazzo, ci hanno messo tutto questo tempo e alla fine mi mandano qui una ragazzina! Branco di stronzi ingrati. Be', tu puoi andartene affanculo e di' ai tuoi capi di mandarmi un vero poliziotto.» «Signor Southwood, ho fatto un lungo viaggio per venire a parlare con lei. Collaboro alle indagini sull'omicidio e lei ha detto di avere delle informazioni che potrebbero aiutarci.» «Be', tornatene a casa e di' agli altri di andare a farsi fottere.» Anna si avvicinò all'uomo e sentì odore di alcol. «Moira Seddley le manda i suoi saluti. Ha detto grandi cose sul suo conto», mentì.
«Chi?» «Moira Seddley. Era nella sua stessa squadra della Buoncostume. Una donna bionda.» «Oh, già, grosse tette. Una sgualdrina.» Dal piano di sopra giunse una serie di mugolii seguiti da un urlo acuto e da altri mugolii. Ansimando, Southwood fece per girare la sedia a rotelle. «Non farci caso. Seguimi.» Sparì oltre le doppie porte in fondo all'atrio. Anna riusciva ancora a sentire i gemiti e i mugolii della ragazza e, mentre entrava nel grande salone, il suono dietro di lei si tramutò in una serie di risatine isteriche. Southwood si stava versando da bere. «Una volta da qui potevo vedere il porto, prima che quei froci mi costruissero davanti un condominio.» Indicò la bottiglia di scotch. «No, grazie. Ma gradirei un bicchiere d'acqua.» «Serviti pure.» Aprì una bottiglietta d'acqua e se la versò nel bicchiere pieno per metà di scotch. «Come hai detto che ti chiami?» «Anna. Anna Travis.» «Cin cin.» Bevve un lungo sorso di whisky e poi ruttò rumorosamente. Spostò la sedia vicino alla finestra aperta. «Ho il volo di ritorno», disse lei seguendolo. Le portefinestre erano aperte e davano su una terrazza. «Devo essere in aeroporto per le tre.» La leggera brezza che filtrava dalle finestre fu un sollievo per Anna. Southwood lanciò un'occhiata verso la piscina vuota. «C'è una ricompensa?» «No, temo di no», disse lei con decisione e bevve un sorso d'acqua. Da una tasca su un lato della sedia a rotelle, Southwood prese un pacchetto di sigarette. Respirando affannosamente, se ne accese una. Anna vide il volto dell'uomo farsi ancora più rosso mentre aspirava il fumo. «Ha detto di avere delle informazioni», ripeté lei. «Può darsi. Siediti.» Anna sprofondò in un grosso divano dai cuscini decorati con fiori sbiaditi e frange dorate sfilacciate. Si allontanò dal portacenere stracolmo che si trovava sul tavolino davanti a lei. Southwood cercò di farvi cadere dentro la cenere, ma lo mancò. «Chi c'è a capo delle indagini?» ansimò. «L'ispettore James Langton e il sovrintendente Eric Thompson, il comandante Jane...» Lui agitò la mano, impaziente. «Va bene, va bene... mai sentiti nomina-
re. Cazzo, ormai ci sono anche le donne comandanti. Lo so che le promuovono per via di tutte quelle stronzate sulla discriminazione ma sono fottutamente inutili. Mai incontrata una che sapesse cosa stava facendo.» «Come ha saputo del caso?» Lui bevve un sorso del suo drink, stringendo il bicchiere con le dita gonfie e macchiate di nicotina. «Ero dal dentista. Un tizio aveva dei quotidiani inglesi. Di solito, non li guardo neanche: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Comunque c'era scritto che c'è in giro un altro Squartatore.» «Sì, i mezzi di informazione hanno ipotizzato che...» «"I mezzi di informazione hanno ipotizzato"», la scimmiottò lui. «Se ha delle informazioni, le sarei grata se potessimo discuterne.» Raddrizzò le spalle mentre l'uomo si sporgeva in avanti per parlarle. «Mi hai detto che non c'è una ricompensa, giusto? Nemmeno dopo sette vittime? Immagino che non ci sia per le vecchie zoccole, ma l'ultima, la ragazzina, era molto attraente.» «Non c'è nessuna ricompensa.» «La sua famiglia non ne ha offerta una?» Anna appoggiò il bicchiere lentamente. «No. Come le ho detto, devo essere in aeroporto per le tre, quindi non ho molto tempo. La prego, se ha qualche informazione...» Dalla finestra giunsero una risata stridula, il suono di alcune voci e della musica ad alto volume. Southwood manovrò la sua sedia a rotelle e tornò rapidamente vicino alla finestra. Sospirando frustrata, Anna si alzò e lo seguì. Guardò fuori e fu così scioccata che rimase immobile, a bocca aperta. Un cameraman stava riprendendo una ragazza bionda nuda abbandonata su una sdraio con le gambe aperte. In mezzo alle sue cosce c'era la testa di un uomo nudo, mentre un altro uomo nudo si masturbava vicino al viso di lei e un terzo le baciava e le succhiava i seni. L'uomo dai capelli neri era in piedi in disparte e dirigeva la scena, gridando ordini. Southwood protestò quando Anna chiuse la finestra e le tende. «Non sono venuta qui per perdere tempo. Se ha delle informazioni, farà meglio a dirmi di cosa si tratta.» Southwood allontanò la sedia che emise un ronzio. «Non hai mai fatto una scopata decente in vita tua, basta guardarti per capirlo. Piccola stronza repressa.» «E tu non vivrai molto a lungo, basta guardarti per capirlo.» Southwood rimase a bocca aperta. «Cosa?»
Anna aveva il volto arrossato per la rabbia. Si avvicinò e appoggiò le mani sui braccioli della sedia a rotelle. «Guardati», disse con disprezzo. «Eri un poliziotto corrotto. E adesso che cosa sei? Un ex poliziotto della Buoncostume che affitta il cesso in cui vive per girare dei film porno. Sarei pronta a giurare che quella ragazza è minorenne. Potrei farti arrestare dalla Buoncostume spagnola, schifoso bastardo.» Southwood la allontanò con uno spintone. «Non conosci nemmeno la legge, ragazzina. La Buoncostume spagnola? È una barzelletta! Se vuoi accusarmi di qualcosa, dovresti prima tornare all'accademia.» Southwood con il volto madido di sudore, diresse la sedia a rotelle verso la porta d'ingresso. «Levati dai coglioni, fuori da casa mia», gridò infuriato. Qualche istante dopo, Anna era in piedi davanti alla villa. Sapeva di aver rovinato tutto. Spiegare il perché a Langton sarebbe stato difficile e se Southwood davvero era in possesso di informazioni vitali, ormai era improbabile che riuscissero a ottenerle. «Ha fatto in fretta», disse Ron, sogghignando. «Dove andiamo, adesso?» «Torniamo all'aeroporto», rispose lei bruscamente. Anna era sudata quanto Southwood, adesso. Moira le aveva suggerito di indossare qualcosa di molto accollato e lei aveva scioccamente scelto un maglione color crema. Adesso, il golf era fradicio e le stava appiccicato alla pelle. Arrivò in anticipo all'aeroporto. Seduta nella sala d'attesa delle partenze, cercò di decidere che cosa avrebbe detto a Langton. Forse non avrebbe dovuto ammettere di aver perso le staffe; forse sarebbe stato sufficiente dirgli che il poliziotto era un ubriacone e non aveva alcuna informazione. Alle sei e mezza, una voce annunciò che a causa di un problema tecnico, l'ultimo aereo per Luton sarebbe partito in ritardo. Venti minuti dopo, i passeggeri furono informati che il volo era stato cancellato; il primo volo disponibile per Luton sarebbe partito la mattina dopo. Langton era di pessimo umore quando Moira bussò ed entrò nel suo ufficio. «Travis non tornerà prima di domattina.» «Cosa?» «Abbiamo appena ricevuto un suo messaggio. Il volo è stato cancellato. Dice che non è riuscita a sapere niente da Southwood.» Langton scosse la testa. «Dannazione, sapevo che sarebbe stata una per-
dita di tempo. Questo significa che dovremo pagarle un albergo per la notte? Il biglietto aereo è già costato più di cento sterline.» «Ci penseranno loro. La responsabilità è della compagnia aerea.» Moira era ansiosa di andare a casa. «Di' a Lewis che voglio vederlo», borbottò Langton prima che Moira chiudesse la porta. Il comandante aveva telefonato per chiedere un aggiornamento. I tamponi non avevano rivelato alcuna traccia di DNA e anche se il laboratorio aveva fornito le impronte dei denti, non sarebbero servite a nulla senza un sospetto. Il tempo era contro di loro. Erano passate più di quattro settimane dal ritrovamento del cadavere di Melissa. Il suo caso si stava raffreddando sempre di più col passare dei giorni, e più a lungo l'indagine si fosse trascinata, minori sarebbero state le informazioni che potevano aspettarsi di trovare. Mike Lewis, scuro in volto, entrò nell'ufficio. «Nessun'altra telefonata. I ragazzi sono ancora fuori. Abbiamo finito di interrogare gli amici di Melissa e i suoi familiari e nessuno di loro ha una Mercedes. Le cose si stanno fermando, vero?» «Già», disse Langton, altrettanto depresso. Gli porse le fotografie delle impronte dentali scattate in laboratorio. «Questo è tutto ciò che abbiamo. Quel bastardo le ha staccato la punta della lingua con un morso.» Lewis guardò le foto con aria disgustata. Langton picchiettò con un dito su uno degli scatti. «Henson dice che quel pezzo di merda, probabilmente, le ha morso la lingua mentre la violentava, per impedirle di gridare.» «Che razza di bastardo», disse Lewis. «Anna ha scoperto qualcosa?» «Travis? Per quanto ne so, sta bevendo sangria in un bar sul lungomare. Il suo volo è stato cancellato. Deve fermarsi per la notte.» «Cazzo», disse Lewis. «Perché non mi sono offerto volontario?» Anna decise di tornare alla villa di Southwood. Non poteva andarsene senza tentare un'ultima volta di scoprire se l'uomo sapesse davvero qualcosa. Uscendo dal terminal, trovò Ron ad aspettarla. «Ho saputo che il suo volo è stato cancellato, ho pensato che magari avrebbe voluto andarsene dall'aeroporto. Posso portarla a un ottimo bed & breakfast. E a buon mercato; lo gestisce un mio amico.» «No. Mi riporti alla villa, per favore.» Anna salì sul taxi maleodorante e si appoggiò allo schienale. Non poteva sperare di trovare un altro taxi dal momento che tutti gli altri passeggeri del suo volo erano in coda per cerca-
re di prenderne uno. «Conosce il tizio da cui è stata oggi? Quel posto è suo?» «Sì.» «È un ex sbirro.» «Sì, lo so.» «Ho parlato con un mio amico.» «Ah sì?» «Ci girano i film porno in quella casa. Quella Corniche è di un tizio che fa il magnaccia. È lui che dirige i film. Lei è della Buoncostume, vero?» Anna chiuse gli occhi e appoggiò la testa allo schienale. «No.» «Che cosa ci fa qui, allora?» Lei sospirò. Ron la guardò nello specchietto retrovisore. «Sono della squadra omicidi», rispose lei in tono piatto. «Sul serio? Sembra troppo giovane.» «Be', forse ha ragione.» Stava cercando di decidere che cosa avrebbe fatto una volta tornata da Southwood. Si chiese che cosa avrebbe fatto suo padre al posto suo. Ron insistette: «Perché lo vuole vedere, allora?» Anna aprì gli occhi, la mascella irrigidita. «Stiamo dando la caccia a un serial killer. E lui dice di avere delle informazioni, ma non vuole rivelarmi niente senza una ricompensa.» «Be', oggi è entrata e uscita veloce come il vento», disse Ron. «Sono stata sbattuta fuori!» «E adesso vuole tornarci?» «Sì, esatto, Ron. Voglio tornarci.» «Che cosa ha intenzione di fare?» «Non lo so.» Ron ripeté il suo numero del «volante senza mani» e si voltò a guardare Anna. «Sa che cosa farei io?» «Se non guarda dove stiamo andando, finiremo tutte e due all'obitorio», ribatté bruscamente Anna. «Mi scusi. Questa storia è davvero forte.» Proseguirono in silenzio per un po'. Poi Ron tornò a voltarsi verso di lei. «Lo minacci», disse. «Cosa?» «La paura fa parlare chiunque, tesoro. Deve spaventarlo: se uno se la fa nei pantaloni, alla fine parla. Queste cose le so. È per questo che me ne sono dovuto andare da Liverpool. Là i poliziotti sono dei veri bastardi e non
ci mettono niente a pestarti.» «Per favore, potrebbe guardare la strada?» Anna si sporse in avanti. «Mi scusi. Comunque, dovrebbe metterlo sotto pressione, se sa qualcosa di questo serial killer. Picchi duro!» «La ringrazio, Ron, ma dubito che arriverò a dargli una ginocchiata all'inguine.» Anna era sicura che chiedere «gentilmente» l'aiuto di Southwood non avrebbe prodotto alcun risultato. Tuttavia, non aveva intenzione nemmeno di dargli una testata. Il cancello della villa era aperto e nel vederlo Anna si sentì molto sollevata. Disse a Ron di parcheggiare il taxi fuori dal cancello perché non voleva che Southwood si accorgesse del suo arrivo. Ron scese, ansioso di accompagnarla, ma Anna gli disse di restare sul taxi ad aspettarla. «Ho un manganello nello scomparto portaoggetti. Per la mia sicurezza. Sa, se dovessi caricare un cliente pericoloso. Lo vuole?» «No, grazie. Mi aspetti e basta.» Nell'oscurità, Anna si sentiva piccola e vulnerabile. Lui la guardò sistemarsi la giacca e incamminarsi lungo il vialetto che portava alla casa. Anna suonò alla porta e prima che potesse parlare, attraverso la griglia sentì la voce ansimante di Southwood. «Sei fottutamente in ritardo! Lascia la roba dentro, vicino alla porta.» Quando la serratura scattò, Anna entrò in casa. All'inizio, l'atrio era immerso nell'oscurità poi, d'un tratto, venne invaso da un'orribile luce giallognola. Anna sentì il ronzio delia sedia a rotelle di Southwood che le si avvicinava, poi una voce disincarnata disse: «Vuoi restare a farti un goccetto veloce con me, Mario?» Quando la sedia girò l'angolo, sul volto di Southwood comparve un'espressione scioccata. «Che cazzo di storia è? Credevo che fossero venuti a consegnarmi la roba da bere.» Anna scosse la testa. «Sei sfortunato, Barry. Sono di nuovo io. E non ho intenzione di andarmene. Non sono sola. C'è un'auto di pattuglia che mi aspetta fuori dal cancello.» «Cosa?» «Posso farti arrestare, stasera», lo avvertì lei. «Oh, davvero? E con quali accuse? Per essermi bagnato i pantaloni?» «Per avere permesso che la tua abitazione venisse usata per la realizzazione di materiale pornografico.»
Southwood emise una risatina fredda. «Stronzate. Gli attori sono adulti consenzienti e non c'è alcuna legge contro i film per adulti. Lo so, dolcezza, ho lavorato per la Buoncostume per molto tempo.» «Quindi ammetti di avere permesso che la tua abitazione venisse usata per la realizzazione di film pornografici?» «Sì. Devo guadagnarmi da vivere. Quindi, se vuoi pagare per sapere quello che so, siamo d'accordo. Se invece sei venuta per fare la carina e convincermi, puoi anche levarti dalle palle. Quella è la porta, usala.» Southwood voltò la sedia e si diresse verso il salone. Anna restò a guardarlo per un istante, poi lo seguì. Le luci, che evidentemente erano regolate da un qualche congegno a tempo, si spensero. Southwood si fermò davanti alla portafinestra e si accese una sigaretta. In una tasca della sua sedia c'era una bottiglia di scotch mezza piena. Anna lo guardò manovrare la sedia e spostarsi sulla terrazza, come se volesse assicurarsi che lei se ne fosse andata. Anna si avvicinò silenziosamente alla finestra e sentì il respiro affannoso dell'uomo. Rimase nascosta in parte dalle tende mentre lui si dirigeva verso la rampa che conduceva alla piscina. Lei avanzò di qualche passo e riuscì a distinguere la sagoma scura del taxi di Ron che l'attendeva al cancello. Mentre attraversava il patio vicino alla piscina, Southwood armeggiò con la bottiglia. Era talmente impegnato ad aprirla che la sua sedia virò pericolosamente avvicinandosi al bordo della piscina. La sedia sobbalzò oltre il gradino e rimase incastrata. Lei rimase in silenzio a guardarlo mentre tentava di far arretrare la sedia, la bottiglia che colpiva la pietra e poi andava in pezzi. «Merda», ringhiò lui, continuando ad armeggiare con i controlli. «Ti serve aiuto, Barry?» chiese lei dolcemente. Southwood girò il collo per vederla, sbattendo gli occhi nell'oscurità. La sedia ronzava e ogni movimento l'avvicinava sempre di più al bordo della piscina. «Tirami indietro, okay? Devo ricaricare le batterie», ringhiò lui. Anna si avvicinò ma continuò a restare alle spalle di Southwood. Di nuovo lui si voltò per cercare di vederla più chiaramente, ma ogni suo movimento avvicinava ancora di più la sedia alla piscina. «Gesù Cristo, ma cosa stai facendo?» La voce di lui divenne più stridula per il panico. Anna restò in silenzio mentre lui sudava e tentava di nuovo di far uscire la sedia dal solco nel terreno.
«D'accordo. D'accordo. Ho delle informazioni. Io ti dico tutto, se mi aiuti a spostare questa maledetta sedia. Hai sentito cosa ti ho detto? Tira indietro la sedia!» «Lo farò. Ma prima comincia a parlare.» «Cosa?» «Penso che tu mi abbia sentita.» «Cadrò in questa piscina del cazzo», gridò lui. «Ti dico cosa faremo. Io terrò ferma la sedia per essere sicura che tu non cada. Così, prima mi dirai quello che sai, meglio sarà.» Southwood afferrò i braccioli. «Probabilmente quello che so non vale un cazzo. Cristo santo, allontanami da qui. Non so nuotare e non posso nemmeno camminare.» Anna si fermò esattamente dietro la sedia. Il grassone stava sudando per la paura. «Okay, okay. Questo è quello che so. Solo, tienimi la sedia. Non farmi avvicinare al bordo.» Southwood cominciò, a bassa voce, alternando accessi di tosse e boccate dalla sua sigaretta. Vent'anni prima, prima di trasferirsi a Londra, aveva lavorato come ispettore per la Buoncostume di Manchester. Una nota prostituta di nome Lilian Duffy era stata trovata morta, strangolata con i suoi collant. L'assassino le aveva legato le mani dietro la schiena con il suo reggiseno. Duffy era stata violentata. Aveva quarantacinque anni. Anna ascoltò. Non disse niente quando Southwood chiese se quella storia le facesse suonare qualche campanello. L'ex poliziotto continuò il suo racconto. Lilian Duffy era stata arrestata numerose volte dalla Buoncostume. Aveva scontato una breve condanna in carcere per prostituzione. Southwood la descrisse come un'autentica prostituta indurita dalla vita di strada. Negli archivi della polizia risultava una denuncia per aggressione fatta dalla Duffy circa un anno prima. La donna aveva dichiarato di essere stata violentata da un uomo che l'aveva caricata e che poi aveva tentato di strangolarla. La Buoncostume si era dedicata alle indagini con scarso interesse. Lilian Duffy, dopotutto, era alcolizzata e faceva uso di droghe. Tuttavia, aveva fornito una descrizione molto dettagliata del suo aggressore e loro avevano cominciato a confrontarla con altri casi. Poi, all'improvviso, la donna aveva ritirato la denuncia, il che aveva fatto incazzare tutti per via del tempo che avevano perso. Quando era stata nuovamente arrestata per prostituzione, un'agente della Buoncostume aveva tentato di scoprire perché la
Duffy avesse ritirato la denuncia e lei aveva dichiarato che l'aveva fatto per «motivi personali»: l'aggressore era suo figlio. A quel punto Anthony Duffy, che all'epoca aveva diciassette anni, era stato arrestato. Il ragazzo aveva negato di aver aggredito sua madre. Un anno dopo, Lilian Duffy era stata rinvenuta priva di vita in una zona boscosa, strangolata e con le mani legate dietro la schiena. La Squadra omicidi, a cui la Buoncostume aveva girato il caso di aggressione, aveva portato alla centrale Anthony Duffy per un interrogatorio. Vent'anni prima non c'erano ancora specialisti del DNA e, senza testimoni e con un cadavere in avanzato stato di decomposizione, non avevano potuto procedere contro di lui. Anthony Duffy era stato rilasciato, anche se gli agenti avevano avuto la sensazione che fosse colpevole. Southwood restò ad aspettare che Anna dicesse qualcosa. Quando l'uomo si voltò, lei notò che aveva la fronte madida di sudore. «È tutto. È tutto, cazzo!» ansimò lui. «Perché?» chiese Anna. «Perché cosa, Cristo santo?» «Perché avevate la sensazione che Anthony Duffy fosse l'assassino?» Southwood si asciugò il viso con la manica della camicia. «Era una questione d'istinto. Duffy era un ragazzino veramente strano, molto calmo. Era stato cresciuto da famiglie affidatarie, ma verso i quindici anni aveva rintracciato sua madre, che viveva con un magnaccia giamaicano. C'erano un sacco di ragazze che vivevano in quel buco di merda a Swinton, fuori Manchester.» «Il ragazzo era stato cresciuto bene o aveva subito degli abusi?» Southwood stava tremando. «Nah. Buona educazione... Molto intelligente. Andiamo, adesso riportami dentro. Devo bermi un goccio.» Anna dovette dare uno strattone per liberare la sedia dal solco. Southwood emise un latrato di paura, certo che lei avesse intenzione di spingerlo nella piscina. Tuttavia, Anna riuscì a far girare la sedia. Lui armeggiò con i controlli ma la batteria era quasi del tutto scarica. Lei dovette spingerlo su, lungo la rampa. Southwood pesava almeno centoventi chili, ma alla fine riuscì a riportarlo nel salone. Anna raggiunse il mobile bar e versò un bicchiere d'acqua per l'ex poliziotto. Lui quasi le strappò il bicchiere di mano e lo svuotò tutto d'un fiato. «Dammi un po' di quella vodka. Ho finito lo scotch. È per questo che ti ho lasciato entrare, pensavo che fossi Mario, il tizio che fa le consegne per me. Puoi attaccare il caricabatterie? È vicino al tavolino.»
Anna accese una lampada e trovò il caricabatterie. Poi versò da bere a Southwood, che la guardava con occhi acquosi e pieni di rabbia. Con calma, aprì il suo taccuino e, appoggiandosi al mobile bar, prese appunti su tutto ciò che lui le aveva raccontato. Southwood rimase in silenzio a bere avidamente, poi sollevò il bicchiere per chiedere di riempirglielo di nuovo. «Farò un controllo su questa storia», disse Anna versandogli dell'altra vodka. «C'è altro?» «Nah, questo è tutto. Come ho già detto, potrebbe non servire a un cazzo. Però c'era qualcosa in quel ragazzo.» Esitò. «Qualcosa che ti metteva a disagio. Penso che fossero gli occhi. Aveva degli occhi grandi e distanziati.» «Anthony Duffy», disse Anna a bassa voce. «Già, era veramente un bellissimo ragazzo. Sa Dio dove sarà finito adesso. È successo vent'anni fa.» Southwood aveva un'aria patetica: curvo sulla sua sedia, intento a stringere il suo bicchiere. «È tutto quello che so. Lo giuro sulla tomba di mia madre. È tutto.» Anna mise via il taccuino. «Controlleremo. Grazie.» Si incamminò verso la porta. «Perché non resti a bere qualcosa con me?» Lei gli lanciò un'occhiata, poi scosse la testa. Quell'uomo enorme e volgare ora sembrava vulnerabile. Anche se doveva essere terribilmente solo, Anna non avrebbe potuto sopportare la sua compagnia un minuto di più. «No. Grazie.» Uscendo dalla villa, Anna notò che vicino alla porta d'ingresso era stata depositata una cassa di scotch. Southwood la chiamò dall'interno della casa. «Buonanotte», disse lei, richiudendosi la porta alle spalle. Ron balzò giù dal taxi e andò ad aprirle la portiera. «Tutto bene?» chiese. «Stavo cominciando a preoccuparmi.» «Sto bene. Ho solo bisogno che mi trovi un posto a buon mercato in cui il cibo è buono e la sangria decente. E ho bisogno di trovare un albergo.» «Come se fossimo già lì», disse lui mentre il taxi ondeggiava scendendo lungo la collina, allontanandosi dalla villa cadente e dal suo proprietario ubriaco e altrettanto in rovina. «Ha ottenuto le informazione che voleva?» domandò Ron. «Sì», rispose lei, mentre il nome di Anthony Duffy le riecheggiava nella mente. Era possibile che non ci fosse alcun collegamento. Ma se così non fosse stato, finalmente avevano un sospetto.
6. Langton continuava a fissare il memo. «Anthony Duffy?» Guardò Lewis. «Cos'è questa storia?» «Travis ha mandato un messaggio a Moira. Questa è la stampata.» «Tutto qui?» «Già, non ha detto altro. Dovrebbe essere di ritorno questa mattina.» «Cosa mi sai dire di questo Anthony Duffy?» Lewis si grattò la testa. «Non è schedato, non c'è alcun fascicolo su di lui. Temo che dovremo aspettare che Travis ci racconti tutto.» Langton strinse le labbra, irritato; tornò nel suo ufficio. Moira lanciò un'occhiata a Lewis. «Ti avevo detto di aspettare che fosse tornata.» Lewis rispose seccamente: «Questa è una cazzo di indagine su un omicidio, Moira! Travis si deve organizzare: un maledetto sms! Non si è nemmeno messa in contatto con il poliziotto spagnolo con cui c'eravamo messi d'accordo perché l'aiutasse». Fu un viaggio da incubo per Anna. L'amico di Ron che gestiva il bed & breakfast era in realtà il proprietario di un ostello sudicio e malconcio. La stanza era minuscola, umida e c'era un bagno in comune dalle dubbie condizioni igieniche. Senza contare gli effetti della sangria terribile, dell'hamburger unto e delle patatine fritte prese nel locale preferito di Ron, che l'avevano tenuta sveglia gran parte della notte. Barcollando aveva fatto avanti e indietro dalla toilette per tutto il viaggio. Non stava esattamente male, ma aveva l'impressione di avere una betoniera nello stomaco. Quando arrivò alla centrale di polizia, poco dopo le due, non si sentiva affatto meglio. La betoniera continuava a girare ma adesso ad Anna girava anche la testa. Moira si avvicinò alla sua scrivania. «Il capo è molto irritato per il tuo messaggio», le sussurrò. «Volevi che glielo mostrassi, giusto?» «Sì, naturalmente.» «Be', preparati a una bella strigliata.» «Perché? Mio Dio, non ho chiuso occhio, mi sono fatta un culo così e Southwood era ancora peggio di come me lo avevi descritto. Il capo non ha idea di quello che ho dovuto passare per ottenere le informazioni che aveva.» «Travis!» L'urlo riecheggiò dall'ufficio di Langton. Anna lo raggiunse.
«Siediti», disse lui in tono brusco. «Che cosa diavolo hai combinato? Non ti sei messa in contatto con le autorità. Non hai usato l'auto di pattuglia che era pronta per te.» «Nessuno mi ha detto di contattare nessuno», balbettò lei. «È la fottuta procedura, Travis! Credevi che ti avremmo mandata lì senza un qualche tipo di supporto? E alla fine, mi danno il tuo sms! Hai perso la voce? Non potevi chiamare?» «Era molto tardi quando ho ottenuto le informazioni.» La betoniera prese a girare ancora più velocemente e Anna cominciò a sudare freddo. «Temo di avere una leggera intossicazione alimentare», aggiunse. «Prendi del Bisodol! Stai per vomitare, giusto?» «No. Semplicemente, non mi sento molto bene.» «Nemmeno io. Allora, vediamo un po'! Chi è questo Anthony Duffy, questo sospetto? Gesù Cristo, chi cazzo è?» Anna impiegò più di quindici minuti a spiegare come fosse riuscita a ottenere le informazioni da Southwood. Langton l'ascoltò senza interromperla; prese qualche appunto ma la sua rabbia era palpabile. «Quindi, se il profiler ha ragione quando dice che il nostro assassino sta cercando di vendicarsi della madre, il sospetto di Southwood potrebbe essere l'uomo che stiamo cercando.» Anna deglutì rumorosamente. Fissandola, Langton sollevò una mano. «Pensi che il tassista abbia visto quello che hai fatto alla piscina?» «No, signore. Mi dispiace che sia stato un comportamento poco etico o contrario alla normale procedura, ma mi è servito per ottenere un risultato.» «È vero. Be', prego Dio che non ci siano ripercussioni per noi. Va' a farti passare la nausea e poi ci metteremo al lavoro.» «La ringrazio.» L'espressione di Langton si ammorbidì impercettibilmente. «Mi dispiace di averti strapazzata, Travis. Hai un aspetto orribile, comunque.» «Mi sento malissimo.» Lewis era in piedi vicino al computer. Inserendo il nome di Anthony Duffy nel database dei «criminali conosciuti», la squadra non aveva ottenuto alcun risultato. Anche le ricerche presso i servizi sociali e l'Ufficio immigrazione non avevano dato esiti. Sembrava che Anthony Duffy non esistesse. Avevano inoltrato una richiesta di informazioni anche alla Squadra omicidi e alla Buoncostume di Manchester ma molti fascicoli erano
andati perduti in un incendio avvenuto quindici anni prima. Se fosse stato vivo, Anthony Duffy oggi avrebbe avuto poco meno di quarant'anni. Avevano contattato anche l'Ufficio delle Imposte ma nemmeno lì c'era traccia di Anthony Duffy. C'erano molti Duffy, naturalmente, e c'erano persino diciotto Anthony Duffy, ma nessuno era dell'età giusta. Non risultava una sola multa per sosta vietata a suo nome né una convocazione in tribunale. Sembrava che fosse scomparso dalla faccia della terra. Poi, la fortuna cominciò a girare. In un vecchio registro elettorale era stato ritrovato l'indirizzo della madre, Lilian Duffy. La casa in cui aveva abitato era di proprietà di un certo Jamail Jackson, truffatore da quattro soldi e magnaccia della zona di Swinton. Ma d'un tratto, la luce alla fine del tunnel svanì. La casa era stata demolita quindici anni prima e quattro anni più tardi Jamail era stato ucciso durante una rissa in un pub. Langton ordinò di svolgere una ricerca presso le agenzie di adozioni. Ma per le sei di quel pomeriggio non erano riusciti a trovare alcuna traccia di Anthony Duffy. Forse si era trasferito all'estero o forse era finito al cimitero. Anna aveva tenuto duro tutto il pomeriggio ma alla fine si sentiva ancora peggio di quella mattina. Non aveva osato mangiare niente e aveva mandato giù solo mezzo flacone di Bisodol. Sdraiata a letto, quella sera, con una borsa dell'acqua calda sullo stomaco, riesaminò tutto quello che Southwood le aveva detto. Duffy era un tipo istruito. Il profiler, Michael Parks, aveva detto che l'assassino doveva avere un'intelligenza superiore alla media. C'era anche un legame con il fatto che la madre fosse stata una prostituta. Era un sospetto più che plausibile. Possibile che ci fosse un collegamento tra le vittime più anziane? Venivano tutte dal nord dell'Inghilterra e si erano trasferite a Londra per una ragione o per l'altra. O, comunque, erano diventate pendolari. Possibile che uno dei parenti delle vittime potesse sapere dove si trovava Duffy? Quella notte, Anna fece molta fatica ad addormentarsi. Quando Anna arrivò al lavoro, il giorno dopo, Langton aveva già diviso la squadra mandando i vari agenti a interrogare parenti e conoscenti delle vittime. Continuarono così per i tre giorni successivi. Il quarto giorno la squadra venne riunita per un briefing. Langton chiese un aggiornamento. Uno dopo l'altro, gli agenti riferirono nei dettagli i loro colloqui con i parenti delle vittime. Molti si erano trasfe-
riti o erano morti, quindi c'era voluto del tempo per rintracciarli. I figli delle vittime avevano subito le sorti più diverse e molti di loro erano finiti nella stessa spirale di droghe e alcol che aveva inghiottito le loro madri. Nessuno sembrava aver mai sentito nominare Anthony Duffy e non c'era ancora nemmeno una sua fotografia a cui fare riferimento. Langton propose di tornare da Southwood per realizzare un identikit elettronico del sospetto. Nel suo rapporto, Anna aveva scritto che l'uomo ricordava bene il volto di Duffy. Grazie al computer avrebbero potuto aggiornare l'immagine e infine divulgarla alla stampa. Poi, il progresso che stavano aspettando arrivò. A Manchester, Mike Lewis trovò un possibile collegamento tra alcuni fascicoli di un'agenzia di adozioni. La responsabile non aveva documenti precedenti a vent'anni prima ma, agendo di sua iniziativa, era andata a trovare Ellen Morgan, che un tempo aveva lavorato all'agenzia in qualità di amministratrice. Da allora, le leggi e le restrizioni sui programmi di affidamento erano diventate più severe, ma vent'anni prima la signora Morgan non solo si era occupata di numerosi affidamenti ma era stata a sua volta una madre affidataria. Fu Moira a prendere la telefonata da Lewis. La signora Morgan si era occupata di un ragazzo di nome Anthony Duffy. La donna ora viveva in una casa di riposo, la Green Acres, a Bramhall, vicino a Manchester. Langton decise di andare a parlarle personalmente e ordinò ad Anna di accompagnarlo. Sarebbero stati via tutto il giorno. Il mattino dopo presero il treno delle otto a Euston. Langton indossava un completo elegante e aveva comprato un gran numero di quotidiani. «Mike è riuscito anche a rintracciare un ex agente della Buoncostume che potrebbe esserci di aiuto», disse ad Anna mentre percorrevano lo stretto corridoio della carrozza per andare a sedersi. «Pensavo che li avessimo già interrogati tutti», disse lei. «Questo agente è andato in pensione per invalidità otto anni fa. Gli hanno sparato a una gamba. Abita a Edge Hill. C'è già una macchina che ci aspetta, così non perderemo tempo. Vediamo cosa riusciamo a scoprire.» Langton si sedette di fronte ad Anna. Prese un giornale e gliene offrì un altro ma lei scosse la testa indicando la sua copia del «Guardian». Essere seduta davanti a lui la faceva sentire a disagio. Non riusciva a impedirsi di chiedersi come sarebbe stato trovarsi così vicina a lui per un viaggio di tre ore e mezzo all'andata e altrettante al ritorno. Si appoggiò allo schienale e cominciò a leggere. Di tanto in tanto lanciava un'occhiata a Langton ma lui sembrava del tutto indifferente alla sua presenza. Il viaggio trascorse quasi
completamente in silenzio. Non appena raggiunsero la stazione, Langton si incamminò rapidamente lungo la banchina senza curarsi di Anna. Fuori, un'auto della polizia di Manchester li stava aspettando. Langton si accomodò dalla parte del passeggero, accanto all'agente gentile e loquace che sedeva dietro il volante. Non parlarono del caso ma chiacchierarono dell'aumento dei prezzi degli immobili. «È sposato?» domandò l'agente. «No. Ci sono passato due volte, quindi ho già dato.» Langton sogghignò. Si voltò all'improvviso a guardare Anna. «E tu?» chiese. «Vuole sapere se sono sposata?» «Sì.» «No, non sono sposata.» L'agente li informò che lui non solo era sposato ma aveva anche cinque figli. «Cinque?» chiese Langton scuotendo la testa sbalordito. «E lei?» domandò l'agente. «Sì, ho una figlia. Vive con la madre. È una ragazzina adorabile, molto intelligente. La vedo nel week-end di tanto in tanto, quando sono libero.» Mentre Langton chiacchierava, Anna rimase sorpresa nel sentire tutti quei riferimenti alla sua vita privata. In compenso, quando arrivarono a destinazione, Langton conosceva praticamente tutto della vita dell'agente. La casa di riposo sembrava un luogo piacevole e si trovava al centro di un giardino ben curato. La reception era luminosa e accogliente. Sulla scrivania c'erano dei fiori e alle bacheche erano appesi biglietti e volantini. La signora Steadly, la gentile direttrice, indossava un completo rosa. «Potete vedere la signora Morgan nella sua stanza, a meno che non preferiate prendere un caffè e dei biscotti in veranda. Nessuno vi disturberà, lì. Non è una bella giornata, oggi, e con le vetrate può fare abbastanza freddo. Dobbiamo far mettere il riscaldamento centralizzato, ma prima dobbiamo trovare i soldi!» spiegò la donna mentre lasciavano la reception. «Credo che sia meglio andare a trovare la signora Morgan nella sua stanza», disse Langton con un sorriso. La stanza era abbastanza grande e sul davanzale c'erano numerosi vasi di fiori. La signora Steadly presentò loro una donna fragile, minuta, con la testa circondata da un alone di capelli bianchi come la neve. Afflitta da un'artrite molto dolorosa, Ellen Morgan si muoveva con l'aiuto di un deam-
bulatore. La signora Steadly uscì dalla stanza e chiuse la porta. Sul letto c'erano due grandi album di fotografie. Anna si sedette vicino alla finestra, Langton sul letto e la signora Morgan si appoggiò al suo deambulatore. «Sapevo che volevate una fotografia. Così, le ho prese tutte e le ho riguardate. Quanti ricordi.» Langton sorrise. «Ha vissuto una vita piena. Quanti bambini ha avuto in affidamento?» «Troppi. Ma mi tengo in contatto con molti di loro e loro vengono a trovarmi», disse la donna avvicinandosi al letto. Con delicatezza, Langton l'aiutò a sedersi accanto a lui e le appoggiò in grembo l'album che lei gli stava indicando. «Mi parli di Anthony Duffy», cominciò lui. «Anthony aveva quattro anni quando l'ho incontrato per la prima volta. Avrebbe dovuto trattenersi solo per poche settimane ma è rimasto con me per otto mesi. Era molto timido, insolitamente nervoso. Quando è arrivato sembrava uno scheletro.» La donna ridacchiò. Langton guardò le dita nodose e contorte che cominciavano a voltare le pagine. Poi la donna indicò una fotografia. «Questa è stata scattata durante una delle sue feste di compleanno. Questo nell'angolo è Anthony.» Langton fissò il volto del bambino, poi staccò la foto dall'album e la passò ad Anna. Anna rimase colpita dall'immagine di quel bambino minuto con indosso un cappellino di carta e un pullover di lana a strisce. Il suo viso da elfo aveva un'espressione seria, con grandi occhi azzurri, straordinariamente belli. «Era un tipo molto solitario. Non che fosse un problema; era piccolo, ma non gli piaceva stare con gli altri bambini. Sua madre era stata arrestata ed era rimasta in prigione sei mesi. Quando è venuta a prenderlo, lui si è aggrappato al corrimano delle scale, urlando. È stata una scena molto triste. A quell'epoca non c'era niente che potessi fare. Quella donna era sua madre.» La signora Morgan prese un'altra fotografia dall'album. «È tornato da me quattro anni dopo. Questo è lui. Era diventato piuttosto alto per la sua età. Non era più così timido ma continuava a non piacergli stare con gli altri bambini. Era molto intelligente ma era diventato più difficile da controllare. Quando non otteneva quello che voleva, veniva colto da terribili accessi d'ira. Non avete idea di come fosse.» Langton passò la fotografia ad Anna. Anthony, all'età di otto anni, era
alto e magrissimo. Indossava dei pantaloni corti, una camicia e una cravatta, e i suoi capelli erano un ammasso di ciuffi disordinati, come se gli fossero stati tagliati con le cesoie da giardino. La signora Morgan fissò lo spazio vuoto sull'album. «Avevo detto che lo avrei tenuto per gli undici mesi di prigione che sua madre doveva ancora scontare, ma non sono riuscita a gestirlo. La casa era già affollata, c'erano le mie due figlie e quattro altri bambini che vivevano con me. Ma non è stata questa la vera ragione. Il fatto era che non voleva che lui turbasse gli altri. «Aveva degli occhi straordinari, "occhi alla Elizabeth Taylor", li chiamavo io. A volte diceva molte parolacce, ma questa era una cosa che potevo affrontare. Però avevamo una gatta, una vecchia gatta a pelo lungo, Milly. Gli faceva venire l'asma. Io gli avevo spiegato che non doveva accarezzarla o avvicinarsi a lei, perché in quel caso la sua asma sarebbe peggiorata e non sarebbe potuto restare. All'improvviso, la sua asma migliorò. Non dimenticherò mai quando trovai Milly. Anthony l'aveva avvolta in un asciugamano. Io lo affrontai e lui non mentì, non tentò nemmeno di inventarsi una scusa. Aveva portato la gatta nel capanno degli attrezzi e l'aveva strangolata. Disse che mi voleva e che non voleva andarsene di nuovo.» Le lacrime cominciarono a scorrere. La donna si asciugò gli occhi con un fazzoletto piegato. «C'era una coppia che aveva già ospitato altri bambini. Erano molto gentili, anziani, benestanti. Accettarono di prendere in affidamento Anthony. Io misi insieme tutte le sue cose e loro vennero a prenderlo con un'auto molto costosa. Lui era così eccitato per quell'auto che non mi guardò nemmeno quando lo portarono via. Poi, nel 1975, Anthony fu affidato a un'altra coppia, Jack e Mary Ellis. Adesso sono entrambi morti.» «Lo ha più visto da allora?» domandò Langton. «Una volta sola; credo sei o sette anni più tardi. Stavo tirando le tende in soggiorno quando vidi un ragazzo in piedi davanti al cancello. Stava semplicemente fissando la casa. Indossava l'uniforme di una scuola: un blazer, una sciarpa gialla e nera, pantaloni lunghi grigi. Capii subito che era Anthony per via dei suoi occhi. Ma quando arrivai alla porta, lui se n'era già andato. Non è mai più tornato. Non l'ho più rivisto.» Di nuovo in auto, Langton sembrava abbattuto. L'agente al volante mise in moto e chiese se volevano essere portati a pranzo oppure direttamente a Edge Hill a parlare con l'ex detective Richard Green. «Direttamente da Green, grazie», disse Langton senza esitazioni. «Che
cosa pensi di quello che ha raccontato la signora Morgan, Travis?» «Che è una storia molto triste», rispose lei. Il suo stomaco brontolò. «Già, il ragazzo ha avuto una vita difficile fin da piccolo. Se non scopriamo niente di utile da questo Green, possiamo tornare alla centrale e tentare di invecchiare le fotografie.» «Allora, come avete fatto a rintracciarmi?» chiese Green quando arrivarono a casa sua. «Non è stato molto facile», rispose Langton, sorridendo. «Lei trasloca spesso.» «Già, be', con la mia pensione non abbiamo molti soldi, perciò compriamo le case, le rimettiamo a nuovo e le rivendiamo. Mia moglie fa le tende e ricopre i divani. È anche brava con le decorazioni. Io mi occupo dei lavori di falegnameria. «Ho pensato a quello che mi avete chiesto», continuò. «È stato molto tempo fa. Probabilmente una ventina d'anni. Ero con la Buoncostume, allora.» Langton annuì. «Sì, lo so.» «Odiavo quel lavoro. È per questo che ho chiesto il trasferimento alla Squadra furti e rapine. E poi cosa succede? Sono lì solo da due anni quando un piccolo drogato del cazzo mi spara alla gamba.» «Che sfortuna.» «Direi un po' più che sfortuna; quello stronzetto aveva tredici anni! Se fossi riuscito a mettergli le mani addosso, sarei stato condannato per omicidio.» «Anthony Duffy», gli ricordò a bassa voce Langton. «Oh, certo. Lo abbiamo portato dentro per interrogarlo. Conoscete Barry Southwood?» Green rise. «Ha dovuto lasciare Manchester. Era terribile con le prostitute. Ha ricevuto un sacco di ammonimenti ufficiali. Era pazzo per il sesso.» Langton ripeté: «Anthony Duffy». «Giusto. Mi sono cotto il cervello per cercare di ricordarmi il più possibile.» «E?» lo spronò Langton. «Lo abbiamo portato dentro per interrogarlo, mi sembra nel 1983. Sua madre, Lilian, era stata pestata a sangue ed era venuta da noi. Gridava come una pazza. Comunque, quando si è calmata, ha detto che voleva fare una denuncia per aggressione e stupro.»
«Avete preso dei tamponi?» «Allora non si dava tutta questa importanza al DNA.» «E così ha fatto la sua denuncia?» «Già. Ha detto che un tizio aveva cercato di strangolarla e che lei si era difesa ed era riuscita a scappare.» «Quando ha detto che era stato suo figlio?» «Non ne sono sicuro, a nessuno di noi interessava molto; Lilian era una vera piantagrane. Credo che l'avesse vista un'agente della squadra antistupro. Poi è tornata e ha detto che non voleva procedere con la denuncia. Ha detto che voleva cambiare la sua dichiarazione e quando le abbiamo dato una bella strigliata, ha cominciato a strillare come un'aquila, a dire che era stato tutto uno sbaglio, che non era stato un cliente. Era stato suo figlio e lei non voleva metterlo nei guai.» Langton sollevò una mano. «Crede che al momento dell'aggressione non sapesse che era suo figlio? Che lo abbia scoperto dopo?» «Non lo so. È possibile. Abitava in una casa piena di vecchie battone, una peggio dell'altra. Era in Shallcotte Street, al numero 12. Era un buco schifoso. C'erano talmente tante risse e tanti pestaggi che l'ambulanza ormai arrivava lì senza bisogno del conducente.» Langton si sporse in avanti per cambiare argomento. «Quand'è stata la volta successiva in cui è saltato fuori il nome di Anthony Duffy?» Green sporse le labbra. Prese un piccolo taccuino su cui aveva scarabocchiato degli appunti e voltò le pagine avanti e indietro. «Dovete ricordarvi che ero alla Buoncostume, non alla Squadra omicidi. Ah, ecco qui. Non mi ricordo la data precisa, dev'essere stato quindici, vent'anni fa. Era un specie di campo. C'erano un sacco di carcasse di vecchie auto, vecchi frigoriferi che erano stati scaricati lì e il consiglio comunale aveva ordinato di ripulire quel posto. È lì che hanno trovato il corpo di Lilian. La sua scomparsa non era nemmeno stata denunciata. Morta da almeno sei mesi. Ho visto le foto del cadavere quando mi hanno convocato. Era tremendo: era stata mezza mangiata da cani randagi e volpi. Era stata strangolata con una calza, le mani legate dietro la schiena con il suo reggiseno. Hanno chiamato la Buoncostume e qualcuno ha recuperato la vecchia denuncia per aggressione. Credo che sia stato Barry Southwood. Poi ho saputo che avevano arrestato il figlio, Anthony Duffy.» «Lo ha visto?» «No. Una delle ragazze ha detto che nessuno riusciva a credere che una come Lilian avesse avuto un figlio così bello. A quanto pare, era ben vesti-
to e parlava bene. Doveva essere stato al college. Comunque, dopo l'interrogatorio, è stato rilasciato senza essere accusato di niente.» «Nient'altro?» Green scrollò le spalle. «Questo è quanto. Mi sono fatto qualche birra con l'agente che lo aveva arrestato. Ha detto che tutti pensavano che poteva essere stato Duffy.» «Cosa intende dire con "poteva"?» «Per come si comportava. Era strano, così silenzioso, così distaccato.» «Perché lo hanno rilasciato se avevano dei sospetti? Duffy aveva un alibi?» «Non lo so. Può darsi. Comunque, stia a sentire, Lilian era morta da molto tempo. Non c'erano testimoni, non c'era l'arma del delitto. Le ragazze che l'avevano vista per l'ultima volta erano tutte messe male. Non si ricordavano dov'era stata o con chi. Nessuno aveva nemmeno denunciato la scomparsa.» Langton si voltò a guardare Anna. «Vuoi chiedere qualcosa?» Lei esitò. «Ricorda i nomi di qualcuna delle altre ragazze che vivevano in quella casa?» Anna aprì il suo taccuino. «Mi sta chiedendo l'impossibile», rispose Green, grattandosi la testa. «Se le leggessi qualche nome, potrebbe dirmi se ce n'è qualcuno che le sembra familiare?» «Certo. Ma è stato tanto tempo fa. Quasi tutte ormai saranno al cimitero.» Langton le rivolse un breve cenno col capo. «Teresa Booth?» Green scosse la testa. Anna continuò, scegliendo a caso tra i nomi delle vittime e ottenne la stessa reazione per Mary Murphy; Green scosse la testa anche per Beryl Villiers e di nuovo per Sandra Donaldson. Tuttavia, quando Anna disse il nome di Kathleen Keegan, l'ex poliziotto esitò. «Penso che fosse in quella casa. Il nome mi sembra familiare.» «E Barbara Whittle?» «Certo. Anche questo mi sembra familiare.» Green non riuscì a ricordarsi con esattezza se le due donne avessero vissuto lì, e disse soltanto che riconosceva i loro nomi. «Ce n'erano di tutti i tipi e di tutte le età, in quel posto. Anche un sacco di ragazzini abbandonati a sé stessi. Quelli dei servizi sociali erano lì un giorno sì e l'altro pure.»
La casa era stata demolita. Questo significava che avrebbero dovuto compiere un'altra ricerca approfondita tra i vecchi rapporti. Le famiglie Keegan e Whittle avrebbero dovuto essere ascoltate di nuovo, per scoprire se qualcuno si ricordava se una delle vittime avesse vissuto al numero 12 di Shallcotte Street. Langton ondeggiò lungo il corridoio della carrozza, portando due tazze di caffè. Le appoggiò sul tavolino in mezzo a loro e si accese una sigaretta. «Quanto le devo?» chiese Anna. «Offro io. Nessun problema.» Langton prese il cellulare e cominciò a scorrere l'elenco delle telefonate. Si alzò, si avvicinò alla porta e Anna lo vide sparire oltre il pannello di vetro, impegnato in una conversazione. Fece una telefonata dopo l'altra, il volto concentrato e serio. Langton, pensò Anna, aveva dei tratti piuttosto belli. Aveva il naso troppo sottile e leggermente aquilino, ma i suoi occhi erano espressivi, così come le sue mani. L'ombra scura attorno al suo mento era allo stesso tempo attraente e respingente. Per essere un agente di polizia, non si vestiva poi così male, decise Anna. Il suo completo era piuttosto elegante, così come le sue scarpe. Mentre Langton tornava da lei, Anna si affrettò a distogliere lo sguardo. Lui bevve tutto d'un fiato il suo caffè ormai freddo, poi si sedette di nuovo. «Hai fatto bene a leggergli l'elenco delle vittime, Travis. È una stata una buona idea.» «Grazie.» Lui si appoggiò allo schienale e si allentò la cravatta. «Finora abbiamo fatto un passo avanti e due indietro, ma credo che oggi abbiamo fatto un progresso importante. Cosa ne pensi?» Lei trasse un profondo respiro. «Penso che, se Duffy è il nostro assassino, gli deve essere successo qualcosa in quella casa di Shallcotte Street. L'immagine di lui che grida mentre viene obbligato a lasciare la casa della signora Morgan è tragica. L'incidente del gatto ci dice quanta paura dovesse avere. Dai quattro agli otto anni. È un tempo molto lungo per un bambino costretto a vivere in un luogo infernale. Questo potrebbe aver modellato il suo carattere, se è lui l'assassino.» Langton disse qualcosa a voce così bassa che lei non riuscì a sentirlo. «Mi scusi?» «Scommetto che è lui.»
Rimasero in silenzio per un po'. «Come va il tuo stomaco?» chiese lui sbadigliando. «Bene. Grazie per avermelo chiesto.» Anna stava cercando di pensare a qualche argomento di cui parlare. «Quanti anni ha sua figlia?» «Kitty? Ha undici anni, vive con la mia ex moglie.» Si tolse il portafogli dalla tasca. Frugò tra una serie di scontrini ed estratti conto prima di prendere una piccola fotografia. «Questa è stata scattata qualche anno fa. Aveva appena perso i denti davanti.» Anna guardò la foto. Kitty aveva i capelli scuri e ricci, degli occhi grandi e luminosi e rivolgeva all'obiettivo un ampio sorriso. «È molto carina.» «È un vero maschiaccio.» Lei lo guardò riporre la foto nel portafogli. Poi Langton fissò il proprio riflesso nel finestrino. «È divorziato?» chiese lei in tono esitante. Lui si voltò lentamente a guardarla. «Sì, sono divorziato.» Le sorrise e la guardò quasi divertito. «Ce l'hai un fidanzato?» «Oh... esco ogni tanto, ma niente di serio. Be', ora non avrei comunque il tempo per una relazione. Immagino che sia ancora più difficile per una persona nella sua posizione.» «Perché?» «Be', sa, perché è un'occupazione a tempo pieno, giusto?» «È per questo che il mio matrimonio è andato in pezzi?» chiese lui. Anna non sapeva come reagire. «Mi scusi?» Lui fece una risatina. «Travis, è evidente, stai cercando di spremermi delle informazioni. La verità è che sono un drogato di lavoro ma il lavoro non ha niente a che fare con il mio divorzio. Direi che il fallimento del mio matrimonio è stato causato da relazioni extraconiugali.» Restò in silenzio per un attimo. Poi sollevò lo sguardo e rise. «Relazioni bionde, soprattutto. Ho proprio un debole per le bionde.» C'era un luccichio nei suoi occhi. Anna non sapeva se le stesse dicendo la verità o la stesse prendendo in giro. Lui si appoggiò allo schienale. «Per cos'hai un debole tu, Travis?» «Per i sandwich al formaggio affumicato e bacon.» Lui sogghignò poi chiuse gli occhi. «Tuo padre sarebbe fiero di te.» Anna si sentì sull'orlo del pianto. Quando guardò di nuovo Langton, le parve che stesse dormendo profondamente. Rimase a osservarlo mentre la sua te-
sta scivolava di lato. Dopo un po', anche lei si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. Anna si svegliò di soprassalto; Langton le stava sfiorando la guancia. «Siamo arrivati.» Lui raddrizzò le spalle e si sistemò la cravatta. «Oh, devo essermi appisolata.» «Altroché. Sono cinque minuti che cerco di svegliarti.» Erano nell'ultima carrozza. Quando lui aprì la porta, si trovarono di fronte a un ampio spazio tra la banchina e il treno. Langton saltò. Con grande sorpresa di Anna, si voltò, la presa per la vita e la sollevò per farla scendere sulla banchina. Era così vicino a lei che poteva sentire l'odore di nicotina e caffè nel suo respiro. «Mio Dio, sei più pesante di quanto sembri», disse lui in tono scherzoso, poi si allontanò con il suo solito passo spedito. Anna si affrettò a seguirlo, afflitta. Sapeva di avere un aspetto minuto ma era muscolosa. Uno degli scherzi preferiti di suo padre era farla sedere sulle sue ginocchia e toccarle le gambette dicendole che erano tutte muscoli. Alla fine gemeva: «E che muscoli. Questa bambina pesa una tonnellata». Sua madre, Isabelle, aveva membra lunghe e sottili. Suo padre si divertiva a stuzzicarla dicendole che avrebbe dovuto essere un ragazzo perché il loro prossimo bambino avrebbe preso da sua madre. Ma Anna non aveva mai avuto un fratello. Non era stato un motivo di dolore o di conflitto, nella loro famiglia. Semplicemente, non era mai accaduto. Fuori dalla centrale, lei e Langton si separarono. Lui aveva deciso di tornare a casa in metropolitana e Anna gli disse che avrebbe preso l'autobus. Ma in realtà non lo fece. Una volta che l'ispettore capo se ne fu andato, fermò un taxi. Lo faceva sempre quando era così tardi. Jack Travis le aveva insegnato che le giovani donne che la sera tardi tornavano a casa a piedi dalla fermata dell'autobus o della metropolitana correvano molti rischi. L'amore e le attenzioni di suo padre erano state per Anna come una nube protettiva. Mentre si lasciava cadere sul letto, quella sera, le parve di sentire la sua voce. A volte, anche se raramente, udiva la voce di sua madre. Una volta, mentre cenavano, sua madre aveva preso in giro suo padre per il suo eccessivo allarmismo. «Non dovresti spaventare Anna», gli aveva detto. In risposta, lui le si era avvicinato e l'aveva stretta forte tra le braccia. «Izzy, se vedessi quello che faccio ogni giorno, capiresti. Ho le due donne più preziose al mondo. Dio non voglia che vi succeda qualcosa di
male.» Ad Anna mancavano i suoi genitori. In certi momenti, si sentiva davvero un'orfana. Incapace di prendere sonno, cominciò a rimuginare sul lavoro che avevano svolto quel giorno. Alla fine si tirò su a sedere e prese il taccuino. La signora Morgan aveva descritto la sciarpa dell'uniforme di una scuola; forse avrebbero dovuto concentrarsi sulla ricerca del sospetto in quel quartiere. Ma ancora una volta, Langton era un passo avanti ad Anna. Aveva già ordinato a un agente della squadra di risalire al college che il loro sospetto poteva aver frequentato. Langton sperava di trovare una foto più recente di Anthony Duffy da diffondere attraverso i mezzi di informazione per scoprire se qualcuno sapeva qualcosa su di lui. I risultati giunsero solo nel tardo pomeriggio del giorno seguente. Anthony Duffy non era andato a scuola a Manchester ma a Great Crosby, nella contea di Merseyside. La Merchant Taylors School confermò che un ragazzo di nome Anthony Duffy, che corrispondeva all'età e alla descrizione del sospetto, aveva frequentato la loro scuola. Avevano diverse sue foto. Era stato uno studente eccezionale. Anthony aveva avuto il massimo dei voti in tutte le materie. Il preside non si ricordava con precisione di Duffy, dal momento che vent'anni prima era un giovane docente che insegnava a studenti ancora più giovani. Un vecchio professore di matematica si ricordava però di lui. Era rimasto sorpreso dal fatto che Duffy non fosse mai tornato a ritirare i suoi attestati. All'età di diciotto anni il ragazzo avrebbe potuto essere accettato da un gran numero di università. Ma, dalla fine del college, nessuno lo aveva più visto o sentito. Alle sei, arrivò un corriere con un elenco degli studenti della classe di Anthony Duffy con gli ultimi indirizzi conosciuti, ma l'indizio più importante si trovava sotto quell'elenco: un plico di fotografie. C'erano due foto di Anthony Duffy con la squadra di rugby. Il preside lo aveva evidenziato con un cerchio. Aveva la testa leggermente girata ma era visibile parte del suo profilo. C'era un'altra sua fotografia insieme alla squadra di nuoto: otto ragazzi allineati in costume da bagno. Anche in quello scatto, Duffy sembrava tentare di nascondersi dietro a un ragazzo davanti a lui, che teneva tra le mani la grossa coppa vinta dalla la squadra. Questa volta era visibile l'altro lato del suo volto. Il gruppo teatrale della scuola aveva fornito tre fotografie. Erano sempre foto di gruppo ma mo-
stravano Anthony Duffy molto più chiaramente, malgrado le parrucche e i cappelli che indossava. In una delle foto interpretava re Enrico nell'Enrico V di Shakespeare. Indossava un'armatura e teneva in mano un elmo ornato da una piuma rossa che gli copriva parte del viso. Aveva le gambe divaricate e il mento alto e i suoi occhi erano ipnotici. In un'altra foto portava una lunga parrucca e dei baffi neri. Il costume suggeriva che stesse interpretando re Carlo I. Era circondato da ragazzi con costumi femminili. Nell'ultima foto, che ritraeva l'intera compagnia d'arte drammatica, era in piedi accanto a un ragazzo vestito da giullare. Duffy teneva in mano un teschio, il che lasciava intuire che stesse interpretando Amleto; fortunatamente, in quella foto il suo volto era a fuoco e privo di trucco. Le foto vennero mandate in laboratorio per essere ingrandite. Tutti attorno a Duffy vennero cancellati e furono eliminate le due fotografie che mostravano un profilo parziale. Gli agenti riuscirono inoltre a contattare due suoi ex compagni di scuola, ma nessuno dei due aveva più visto Duffy da quando si erano diplomati, vent'anni prima. All'inizio, uno dei due non era riuscito nemmeno a ricordarsi di lui. Si erano messi alla ricerca anche di un terzo compagno di scuola, che ora viveva in Australia. Gli altri nomi forniti dall'attuale preside del college erano quelli di persone decedute o impossibili da rintracciare. La mattina dopo, le stampe erano pronte; la foto del loro «Amleto» venne attaccata alla lavagna. Il corpo del ragazzo era tonico e muscoloso. Aveva i capelli biondi, gli zigomi alti e le labbra sottili. I suoi occhi insoliti conferivano al viso una bellezza quasi femminile. Stavano aspettando un esperto che si sarebbe occupato di «invecchiare» la fotografia, dal momento che ora Anthony Duffy doveva avere quasi quarant'anni. La stanza ronzava di chiacchiere allegre quando Jean si avvicinò alla scrivania di Anna. «Posso dirti una cosa?» chiese a voce bassa. Anna le sorrise. «Naturalmente.» «Non vorrei che qualcuno se la prendesse con me se mi sbagliassi, capisci?» «Certo. Di cosa si tratta?» «Di Anthony Duffy.» «Continua.» «Be', come ti ho detto, potrei benissimo sbagliarmi. È solo per via di
quegli occhi. Insomma, sono particolari, vero?» «Sì, molto.» Anna restò in attesa. «Credo di averlo riconosciuto. Ma dato che a nessun altro è venuto in mente, o mi sto sbagliando oppure nessuno guarda tanta tv quanta ne guardo io. Comunque, fino a un po' di tempo fa, c'era una serie di cui ero molto appassionata. Andava in onda il sabato e lui interpretava un detective. Si intitolava La città del peccato, la trasmettevano alle dieci e mezza di sera. Sembra proprio lui. Da allora ha fatto più cinema che televisione, ne sono abbastanza sicura.» «Dimmi come si chiama.» Anna prese il suo taccuino. «Alan Daniels. Sono anche le stesse iniziali.» «Grazie, Jean.» Anna si alzò dalla sedia. «Vado a parlarne col capo, vediamo se riusciamo a scoprire qualcosa.» Qualche minuto dopo, Langton si appoggiò allo schienale della sedia nel suo ufficio. «Alan Daniels? Mai sentito nominare. E tu?» «No. Ma Jean è una sua grande fan. Ha recitato in una serie poliziesca chiamata La città del peccato.» «E adesso cosa sta facendo?» «A quanto pare è piuttosto noto; fa cinema, adesso.» «Jean è sicura?» «Sì. Ci ha pensato su a lungo. Era nervosa all'idea di parlarne.» «Della Città del peccato? Cazzo, non mi stupisce. Be', Travis, non lasciamo niente di intentato. Mettiti in contatto con il sindacato attori, come si chiama? L'Equity. Avranno foto di tutti gli iscritti. Più tardi potrai prendertela con Jean. Ho il sospetto che farà una figuraccia.» La mattina dopo Anna si recò agli uffici dell'Equity e rimase a lungo a sfogliare le pagine dello «Spotlight», l'annuario di tutti gli attori registrati. Alan Daniels aveva mezza pagina. Non veniva fornita l'età ma, a giudicare dalla fotografia, doveva avere tra i trentacinque e i quarant'anni. La sua agenzia si chiamava AI, Artists International, ed era una delle più importanti del Regno Unito. Anna prese molti appunti. Daniels veniva descritto come «alto un metro e ottantacinque, occhi azzurri». Appena ebbe lasciato l'Equity, chiamò la centrale riuscendo a stento a trattenere l'eccitazione. «Sono Travis. Ho bisogno di parlare con il capo.» Rimase in attesa qualche istante. «Langton.» La sua voce era limpida. «È lui», disse Anna a bassa voce.
«Cosa? Ne sei sicura?» «Sono gli stessi occhi. Sì, ne sono sicura. Che cosa vuole che faccia?» «Non dire niente a nessuno. Torna qui in fretta, poi decideremo come procedere.» «Okay.» «Anna, ascoltami. Se è una cazzo di star della TV, dovremo muoverci con molta cautela. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è un caso mediatico.» Anna chiuse la comunicazione e trasse un profondo respiro per calmarsi. Nella sala operativa, Jean ebbe quasi un arresto cardiaco quando lo venne a sapere. Langton le prese il viso tra le mani e la baciò rumorosamente sulla bocca. «Avevo ragione?» Langton si appoggiò un dito sulle labbra. «Shhh. Non dire una parola a nessuno. Intesi?» Lei annuì con fare solenne. Dopo che Langton fu tornato nel suo ufficio, Jean lanciò un'occhiata alle fotografie delle vittime e infine fissò il volto giovane e sorridente di Anthony Duffy. 7. Anna era nel piccolo ufficio, tra il sergente Lewis e l'agente Barolli. Langton era in piedi dietro la sua scrivania, di fronte a loro. Aveva un'aria piuttosto elegante con il suo completo grigio, la camicia bianca e la cravatta blu. Si era rasato con cura, pensò Anna, notando l'assenza dell'ombra di barba che in genere aveva sulle guance. Si concentrò su di lui quando, d'un tratto, Langton esordì: «Lo portiamo alla centrale oggi pomeriggio. Siamo tutti d'accordo sul fatto che si debba agire con grande cautela. Il comandante vuole che Daniels sia interrogato senza che la cosa diventi di dominio pubblico. Soltanto se dovessero emergere altre prove, penseremo a un arresto. Comunque ricordatevi: sta solo dando una mano alle indagini». Sorrise. «Non voglio che lo diciate alle vostre mogli e alle vostre fidanzate... Ehm, al tuo fidanzato, nel tuo caso, Travis... intesi? Quando i media si gettano come avvoltoi su casi importanti come questo, riescono solo a rendere il nostro lavoro più difficile. Ora, abbiamo soltanto prove indiziarie per i primi sei casi, ma per il caso di Melissa, abbiamo qualcosa di meglio. E se Alan Daniels è il colpevole, lo arresteremo per tutti e sette gli
omicidi.» Anna sentì la tensione crescere nella stanza. Impilate sulla scrivania c'erano una quindicina di videocassette, di film e serie televisive in cui aveva recitato Alan Daniels. Anna notò che c'erano anche molte riviste di cinema e televisione. Langton indicò la pila di videocassette. «Le ho viste quasi tutte e mi aspetto che voi facciate altrettanto. Usate il videoregistratore della sala riunioni. Non serve che le vediate per intero, limitatevi ad arrivare a Duffy mandando avanti il nastro. Siate consapevoli di chi è la persona con cui abbiamo a che fare. Non dimenticate mai che è un attore. Lì ci sono dei vecchi numeri di riviste di cinema di «Hello!» e di «OK», a cui voglio che diate un'occhiata. Perché Duffy è apparso su tutte quelle riviste. «Vive da solo in una grande casa di sua proprietà a Queen's Gate, Kensington. L'unica via d'accesso è la porta d'ingresso; non c'è una porta sul retro. Il seminterrato è occupato da quattro studenti del Royal College of Art. Due donne del Victoria And Albert Museum, invece, hanno preso in affitto il piano sopra Duffy. In questo momento, però, lui è l'unico occupante dell'intero edificio.» Langton continuò ad aggiornarli. Il sospetto non guidava una Mercedes ma una Lexus. Era ricco, aveva in banca più di due milioni di sterline, pagava regolarmente le tasse e sembrava del tutto rispettoso della legge; non gli era mai stata fatta nemmeno una multa per sosta vietata. Il suo agente era stato di grande aiuto, spiegò Langton. Apparentemente inconsapevole delle gravi implicazioni della situazione, l'uomo aveva fornito a Langton tutti i dettagli sulla disponibilità e sugli impegni di lavoro del suo cliente. Al momento stava girando un film ai Pinewood Studios, ma ci sarebbe stata una pausa di quattro giorni in cui sarebbe stato disponibile per un colloquio. Langton gli aveva promesso di richiamarlo. L'ispettore capo concluse la riunione con un'ultima informazione: c'erano due agenti che sorvegliavano la casa di Queen's Gate da ventiquattro ore. Avevano l'ordine di informare la centrale se Duffy, come Langton continuava a chiamarlo, fosse uscito di casa. Langton aveva deciso di presentarsi a Queen's Gate per prelevare Duffy alle due del pomeriggio. Nella sala operativa regnava una strana aria di disagio. Langton aveva dovuto prendere in fretta una decisione difficile riguardo al coinvolgimento di Duffy nelle indagini e quel giorno avrebbero saputo se, finalmente, avevano trovato un sospetto.
Quando Travis, Lewis e Barolli entrarono nella sala riunioni per visionare i nastri, Lewis rimase sorpreso nell'accorgersi di quanti di quei film avesse già visto. Non erano grossi blockbuster, spiegò, ma alcuni erano ottimi film di genere. Anna trovò strano vede Daniels che invecchiava sullo schermo. Nei film che aveva girato da ragazzo, la sua voce non era ancora maturata, ma in quelli dei primi anni Novanta, Daniels aveva acquisito un timbro profondo e un accento aristocratico. Sembrava più a suo agio nei drammi in costume. Lewis teneva il telecomando in una mano e continuava a riavvolgere e mandare avanti i nastri senza consultare gli altri. All'improvviso mise in pausa e disse: «Ho visto questo film. È strano, non avevo mai saputo il suo nome, finora. Le sue parti diventano sempre più importanti, vedete? In questo è in quasi tutte le scene». Lewis premette di nuovo il pulsante del fast forward. «Non potremmo vedere un paio di scene?» domandò Anna, impaziente. «Ti piace, vero?» scherzò Lewis. «Vorrei solo riuscire a vederlo meglio.» «È strano che stia guadagnando una fortuna, visto che un sacco di gente come me non lo ha mai sentito nominare», intervenne Barolli. Un'ora più tardi stavano guardando Falcon Bay, una miniserie americana. Le continue chiacchiere dei suoi colleghi stavano cominciando a irritare Anna. Si sentì sollevata quando Lewis e Barolli decisero di aver visto abbastanza per il primo giorno e la lasciarono sola. Prese il telecomando. Ora poteva concentrarsi su Alan Daniels, che era dotato di un evidente talento. La sua presenza sullo schermo si faceva più forte scena dopo scena. Era la sua calma, pensò Anna, la cosa più affascinante. Saltò a una scena ambientata in un'ampia camera da letto piena di tende e drappi di seta scossi dal vento. Daniels era seduto sul letto, un fucile quasi abbandonato tra le mani. Il suo costume - stivali da cavallerizzo, pantaloni attillati, camicia aperta fino alla cintola e una sciarpa di seta avvolta attorno al collo - metteva in mostra il corpo asciutto e muscoloso. Quando si voltò lentamente Anna notò la donna che era sdraiata dietro di lui, i capelli scuri sparsi sul cuscino. Indossava una camicia da notte di pizzo che le scopriva le spalle. «Da quanto tempo lo sai?» chiese lui a bassa voce. «Da Natale», rispose lei con gli occhi chiusi. «E me lo dici soltanto oggi?»
«Non sapevo come dirtelo. Non volevo perderti. Ti prego, vieni a letto. Sdraiati qui accanto a me, per un'ultima volta.» Anna si avvicinò allo schermo, affascinata dalla performance di Daniels. La sua sensualità trasudava mistero. Lo osservò togliersi lentamente la sciarpa dal collo e gettarla via prima di inginocchiarsi ai piedi del letto come per pregare. «Vieni da me, tesoro», lo supplicò lei. Quando la donna tese le braccia, lui sollevò il fucile. Lei sgranò gli occhi impaurita mentre lui premeva il grilletto, il sangue della donna che gli schizzava sul volto e sulla camicia bianca. Lentamente, ricaricò l'arma poi, d'un tratto, inaspettatamente, la rivolse verso di sé. Mentre l'inquadratura si stringeva, lo sguardo di Anna era incollato allo schermo. Gli occhi di lui, in quel momento, erano come quelli di un animale ferito, colmi di dolore. Proprio mentre stava per tirare il grilletto, si fermò e gettò via il fucile. Salì sul letto per avvicinarsi al corpo senza vita della donna. Poi si sdraiò accanto e lei e, delicatamente, le abbassò la camicia da notte mettendo a nudo i seni. Le appoggiò la testa sul cuore. «Un'ultima volta, mio tesoro», mormorò prima di voltarsi a baciarle i seni. Anna sobbalzò sulla sedia. La porta era stata spalancata e, dalla soglia, Lewis la stava fissando con un ghigno sulle labbra. «Aha! Lo stai ancora guardando. Non riesci a smettere, eh?» Lei prese il telecomando e, rossa in volto, spense il videoregistratore. «Il capo ha chiesto di te.» «Di me?» «Ha bisogno del tocco femminile nel suo ufficio.» Anna tolse la videocassetta e la rimise nella scatola. Sulla copertina Alan Daniels, con il fucile in mano, sembrava uscito da Via col vento. Lewis era ancora sulla porta. «A quanto pare, tu e Langton vi intendete a meraviglia.» «Cristo santo, Mike, levati di torno.» «Dovresti stare attenta, Travis.» Le strizzò l'occhio. «Il capo ha una pessima reputazione.» «Perché lo stai facendo? Sei incazzato perché non ti ha chiesto di andare a Queen's Gate?» «Dio, no. Cerco solo di comportarmi da amico», borbottò Lewis andandosene. Langton era al telefono quando lei entrò nel suo ufficio. Con un cenno le
chiese di aspettare che avesse finito la sua conversazione, quindi continuò a parlare nel ricevitore: «Giusto. Sì, sì, lo faremo. Sì, sì. Travis e io stiamo per andare a prenderlo». Rivolse ad Anna un'espressione esasperata. «Perfetto. La ringrazio. Ci sentiamo più tardi.» Riagganciò. «I capi stanno cominciando a preoccuparsi. Non vogliono che Daniels sia interrogato senza che ci sia un avvocato presente. Quindi, quando lo preleveremo, potrà fare la sua telefonata.» «Ha detto a Lewis che voleva che venissi con lei?» «Già. Voglio che ci andiamo con i piedi di piombo. Se non è lui, lo capiremo in fretta. Dal momento che questa storia ormai è in mano a un branco di burocrati del cazzo, voglio provare a farlo parlare prima che cominci a giocare al gioco del "no comment".» La fissò attentamente per un istante. «I capelli ti crescono così, o è una specie di pettinatura?» Inclinò la testa di lato. Anna si passò goffamente una mano tra i capelli. «Ho la brutta abitudine di fare sempre così.» «Be', vai a darti una sistemata. Usciamo di qui all'una meno un quarto. Mangia anche qualcosa se non l'hai già fatto.» Lei si diresse verso la porta. «Travis?» disse Langton a bassa voce. «Sì?» «Cosa ne pensi dei suoi film?» Anna esitò. «Ha talento e le sue parti diventano sempre più importanti. Se è il nostro uomo, perderà tutto. È un grosso rischio. Ma se non lo fosse?» «Infatti. È per questo che dobbiamo fare molta attenzione. A Queen's Gate abitano parecchi pezzi grossi delle ambasciate, sono abituati a vedere in giro dei poliziotti. Nessuno sospetterà niente.» «Pensa che sia lui l'assassino?» «Quello che penso non ha importanza se non ho le prove per dimostrarlo. Qual è la tua sensazione, comunque?» «Sinceramente, non lo so.» Anna abbassò gli occhi sulle scarpe. «Con il suo aspetto, potrebbe avere qualsiasi donna. E in quelle riviste si parla delle sue storie con molte starlet. In un certo senso, è assurdo che metta a rischio il suo futuro in questo modo, ma se è uno psicopatico, forse la cosa che lo eccita è il fatto di avere una vita segreta e di riuscire a nasconderla
così bene.» «Ha trovato la professione giusta per nasconderla: un attore convive con la finzione.» «Tutte quelle riviste di gossip continuano a parlare di chi è stato visto in giro con chi, ma a quanto pare non ha una donna fissa. Forse è gay; in fondo, ha trentotto anni e non si è mai sposato. Avrebbe senso.» Langton sfogliò una delle riviste. «Meglio leggerne qualcuna. Detesto questa roba.» Il colloquio sembrava finito e Anna uscì dall'ufficio. All'una e quarantacinque Langton e Anna erano a bordo di un'auto della polizia davanti all'abitazione di Daniels, sul lato sinistro di Queen's Gate, poco lontano dai giardini di Kensington. Secondo i due agenti che stavano sorvegliando la casa, Alan Daniels non era ancora uscito quel giorno. Langton rivolse ad Anna un mezzo sorriso prima di precederla sui gradini di pietra del grandioso ingresso fiancheggiato da colonne. Sul citofono, i pulsanti degli altri piani erano contrassegnati dai nomi, mentre quello della parte occupata da Daniels non aveva alcun segno di identificazione. Langton suonò. Dopo qualche minuto, una voce disse: «Sì?» «Signor Daniels?» «Sì», rispose cauta la voce. «È la polizia.» Pausa. «Potrebbe aprire la porta, per favore?» La porta si aprì con un clic. Langton e Anna entrarono in un bellissimo atrio dal soffitto alto, che profumava di detergente. Il pavimento era un mosaico costruito attorno alla statua di una dea greca che si ergeva al centro. C'era un lungo tavolo di mogano scintillante su cui erano impilate ordinatamente alcune lettere. La porta che presumibilmente conduceva all'appartamento di Daniels si trovava alla destra di un'ampia scala coperta da una passerella rossa, che portava ai piani superiori. Le pareti erano tappezzate di dipinti a olio. Per un istante Anna rimase scioccata quando la porta si aprì e si ritrovò a osservare la versione in carne e ossa dell'immagine di celluloide che aveva visto tutta la mattina. Daniels sembrava più alto e più snello e i suoi capelli erano diversi: biondi, setosi, con un taglio che, secondo lei, cercava di richiamare lo stile vittoriano. I lineamenti erano più delicati e gli zigomi alti rendevano il suo volto più scavato di quanto non le fosse sembrato sullo schermo. Nella vita reale i suoi occhi restavano di un viola straordinario, che veniva enfatizzato dalle ciglia scure. Indossava una polo nera, jeans
sbiaditi e un paio di vecchie pantofole di velluto con le iniziali ricamate. «È per il problema del parcheggio residenti?» «No.» Langton prese il distintivo e glielo mostrò. «Sono l'ispettore capo James Langton e lei è il sergente Anna Travis. Avremmo bisogno di parlarle, signor Daniels. Possiamo entrare?» «Direi di sì.» Daniels esitò, poi si fece da parte per lasciarli passare nel corridoio. «Prego.» Niente in lui lasciava intuire qualcosa del suo passato, rifletté Anna; certamente non il suo tono di voce aristocratico né i suoi modi alteri. Lo seguirono in un'ampia sala da pranzo in cui la luce entrava da una parete coperta da una vetrata a piombo. Anna era affascinata. Sopra il tavolo era appeso un lampadario di cristallo e alle due estremità della mensola del caminetto c'erano delle straordinarie lampade, sempre di cristallo. Il tavolo doveva essere lungo sei metri e le sedie erano foderate di velluto rosso. «Ogni volta che c'è un concerto all'Albert Hall insistono per ritirare il permesso di parcheggio ai residenti.» Daniels si stava lamentando con Langton. «Trovo disgustoso che dobbiamo pagare tutti il parcheggio, qui.» Langton annuì, dimostrando scarso interesse per la questione. Anna stava studiando il disegno del tappeto orientale sotto i suoi piedi quando Daniels interruppe la sua rêverie. «Da questa parte, sergente», disse con un debole sorriso. Imbarazzata, Anna seguì i due uomini nel salone che dava su Queen's Gate. Due pelli di tigre erano disposte sul pavimento di legno lucido e alle pareti erano appesi diversi dipinti a olio. Con un cenno, Daniels li invitò a sedersi. Anna si accomodò goffamente su uno dei grandi divani bianchi coperti di cuscini di seta colorati. Non aveva mai visto tanta ricchezza in vita sua. Langton rimase in piedi, senza accorgersi della sua immagine riflessa alle sue spalle in uno specchio alto tre metri. Daniels si sedette sul divano davanti a lei, prestando ad Anna ben poca attenzione. In mezzo ai due divani c'era un tavolino di legno intagliato su cui erano impilate riviste costose e libri d'arte. «Ho la sensazione che si tratti di una faccenda seria.» Daniels sollevò leggermente la testa guardando Langton. «Temo proprio che sia così», disse l'ispettore capo a bassa voce. «Stiamo indagando su una serie di omicidi. Vorremmo che rispondesse a qualche domanda.» In quella grande stanza, la voce di Langton aveva una leggera eco. «Una faccenda più seria di quella dei parcheggi, quindi», ribatté Daniels
con un sorrisetto come per scusarsi. «Posso offrirvi qualcosa? Del caffè? Del tè?» «No, grazie, signore.» «Gli omicidi sono stati commessi in questa zona?» «Sì. Vorremmo accompagnarla alla centrale di polizia di Queen's Park.» Daniels sgranò gli occhi per la sorpresa. «Per quale motivo?» «Sarebbe preferibile interrogarla alla centrale e non qui, nella sua casa. È disposto a venire con noi?» «Naturalmente, ma vorrei qualche informazione in più. Insomma, è stato assassinato qualcuno che conosco? Qualche mio vicino di casa?» «Se lo desidera, potrà richiedere la presenza di un suo rappresentante legale.» Il volto di Daniels mostrò qualche leggero segno di irritazione. Controllò l'orologio poi sollevò lo sguardo su Langton. «Mi sta arrestando?» Anna aveva la sensazione che si fosse completamente dimenticato del fatto che c'era anche una terza persona nella stanza con loro. «Vogliamo semplicemente scoprire se può aiutarci nella nostra indagine.» «Mi sta dicendo che potrei conoscere l'assassino?» Alan Daniels rimase seduto sul bracciolo del divano, con aria rilassata. Di fronte al silenzio di Langton, lui continuò rapidamente: «Come minimo, dovrebbe dirmi a proposito di cosa mi vuole interrogare. In caso contrario la sua proposta è inaccettabile». «Sto indagando su una serie di omicidi; questo è tutto ciò che le posso dire.» Daniels si passò una mano tra i capelli. «Accetta di venire con me e con il sergente Travis alla centrale?» insistette Langton. «È tutto piuttosto strano ma, naturalmente, se vi posso aiutare in qualche modo, cercherò di farlo. Prima, però, credo che dovrei parlare con il mio avvocato.» Daniels andò a un tavolino di marmo bianco e sollevò il ricevitore del telefono. Mentre componeva il numero, rivolse un breve sorriso a Langton. «È questo che si intende per "collaborare con le forze di polizia"?» «Assolutamente sì, signore», rispose Langton imperturbabile. Daniels parlò con un uomo di nome Edward. Anna e Langton si scambiarono un'occhiata. La cosa più interessante era il fatto che Daniels non
sembrava nervoso. Anzi, contrariamente a ciò che si erano aspettati, il loro unico sospetto stava cominciando a comportarsi come se quella situazione fosse una specie di gioco. «Sì, Edward, sto bene. Ascolta, ho bisogno della tua consulenza. C'è qui un ispettore che vuole che lo accompagni alla... quale centrale ha detto?» «La centrale di Queen's Park», rispose Anna in tono secco. Langton inarcò le sopracciglia, divertito. «Ha a che fare con alcuni omicidi», continuò l'attore. «L'ispettore pensa che potrei conoscere l'assassino o le vittime.» Spiegò che, dal momento che Anna e Langton si erano rifiutati di fornirgli altri dettagli, non aveva idea di cosa volessero esattamente da lui, tuttavia, scherzò, una visita alla centrale di polizia avrebbe potuto essere materiale interessante per un personaggio da interpretare. «Ci raggiungerà lì.» Daniels riagganciò. «Allora, vado a mettermi calze e scarpe e poi possiamo andare.» Anna era seduta accanto a Daniels a bordo dell'auto della polizia. L'attore fece diverse telefonate dal cellulare, una delle quali a una persona che avrebbe visto più tardi all'opera. In generale, sembrava così rilassato da risultare fastidioso. Era successo qualcosa, disse in tono discorsivo, e forse avrebbe fatto tardi ma non c'era motivo di preoccuparsi. Poi chiamò la sua domestica per chiederle di fare la spesa e di passare a ritirare alcuni vestiti alla lavanderia a secco. Per tutto il tempo, cercò di stare il più possibile lontano da Anna e le rivolse la parola soltanto per scusarsi quando accidentalmente le urtò un piede con il suo. Arrivati alla centrale, entrarono dal retro per evitare il viavai giornaliero. Langton lasciò il comando ad Anna nella stanza degli interrogatori e uscì ad aspettare il legale di Daniels. Dall'ultima telefonata, Daniels non aveva quasi aperto bocca. Ora, all'interno della stanza, sembrava divertito. C'erano un tavolo e quattro sedie. Impilati sui ripiani c'erano numerosi fascicoli, alcuni dei quali contenevano delle fotografie. Anna lo fece sedere in modo che desse le spalle alla porta e andò a sedersi di fronte a lui. Aprì il suo taccuino. Langton non era ancora tornato e il tempo che dovette passare da sola con Daniels le parve interminabile. Edward non era altri che Edward Radcliff, uno dei più noti avvocati del paese. Langton chiese di parlare prima da solo con lui.
«D'accordo. Mi piacerebbe sapere di cosa si tratta. Mi sembra tutto estremamente poco etico.» «Mi sto limitando a proteggere il suo cliente. Alan Daniels è un personaggio noto. Invece di trasformare in uno show la sua presenza qui per l'interrogatorio...» «Interrogatorio su cosa?» «Sono a capo di un'indagine su una serie di omicidi. L'ultima vittima conosciuta è Melissa Stephens...» «Gesù Cristo.» L'avvocato si fermò di colpo. Langton continuò: «Ma ci sono altre sei vittime e siamo convinti che siano state uccise dallo stesso assassino». «È incredibile, voglio dire, inconcepibile pensare che Alan possa avere un qualsiasi legame con quelle povere donne.» «Ho bisogno di fargli qualche domanda; se sarà in grado di rispondermi, allora sarà libero di andarsene. Registrerò e filmerò l'interrogatorio.» «Non lo avete accusato di niente, dico bene? Non lo avete arrestato?» «È esatto, ma devo comunque seguire la procedura.» Radcliff fece un respiro profondo; poi, dopo un momento, disse che sarebbe stato meglio cominciare. Un registratore e una videocamera erano stati preparati nella stanza. Quando Langton fece entrare Edward Radcliff, Daniels si alzò in piedi e strinse la mano al suo avvocato che poi si sedette accanto a lui. Langton andò a sedersi accanto ad Anna e appoggiò le mani sul tavolo. Il registratore e la videocamera vennero messi in funzione. Langton disse la data e l'ora e che i presenti nella stanza degli interrogatori della centrale di polizia di Queen's Park erano lui, il sergente Travis, Alan Daniels e il suo avvocato, Edward Radcliff. Daniels lanciò un'occhiata a Radcliff, apparentemente perplesso per tutte quelle formalità. L'avvocato rassicurò il suo cliente dicendogli che si trattava solo di normali procedure e che dovevano leggergli i suoi diritti. Langton continuò: «Il signor Alan Daniels ha accettato di aiutarci nelle nostre indagini. Non è in stato di arresto ma è venuto alla centrale di sua spontanea volontà. Signor Daniels, ha il diritto di restare in silenzio...» «Aspetti un attimo...» cominciò a protestare Radcliff. «Mi scusi», disse Langton. «Voglio dire che se fosse in stato di arresto, avrebbe il diritto di restare in silenzio ma la sua difesa verrebbe danneggiata se non facesse parola in questa sede di qualcosa che in seguito dovesse dire in tribunale. Tutto ciò che dirà, potrà essere usato contro di lei.»
Guardò Radcliff. «Se fosse necessario, naturalmente.» Daniels scosse la testa, sbalordito. Il nastro nel registratore stava girando e lui lo fissò, accigliato. Langton attese qualche istante prima di porre la prima domanda. «Signor Daniels, il suo vero nome è Anthony Duffy?» Daniels sbatté le palpebre. Attese un istante prima di rispondere. «Sì. Sì, esatto.» Radcliff gli lanciò un'occhiata poi prese un appunto. «Ha cambiato nome con un atto unilaterale? O lo ha fatto con qualche altro metodo?» Daniels si appoggiò allo schienale. Sembrò incerto. «Non siamo riusciti a rintracciarla per diverso tempo. Si è rivolto all'anagrafe per cambiare il suo nome legalmente?» Vi fu un'altra lunga pausa; Daniels si guardò le mani poi sollevò gli occhi e rispose in tono pacato. «È stato più di quindici anni fa. C'era un altro attore che si chiamava come me, così ho cambiato nome. All'epoca, vivevo in Irlanda. Il mio cambiamento di nome dev'essere registrato lì da qualche parte, ma sì, in origine mi chiamavo Anthony Duffy. Il cambiamento è stato legale.» «Sua madre era Lilian Duffy?» La sua facciata imperturbabile crollò. Divenne d'un tratto nervoso e cominciò a torcersi le mani. «Sì, sì. Il fatto che io sia disposto o meno a descriverla come madre è un altro paio di maniche. Sono cresciuto in affidamento.» «Ed è vero che sua madre è stata assassinata?» Daniels si sporse in avanti. «E questo cosa diavolo c'entra?» «Potrebbe rispondere alla domanda, per favore, signor Daniels?» «Sì, sono stato informato quando è successo.» «Ed è stato interrogato dalla polizia di Manchester, all'epoca dell'omicidio?» «Cristo! Avevo diciassette anni. Sono stato portato alla centrale di polizia. Mi hanno portato lì per dirmi che era morta. Dio santo!» Radcliff stava prendendo appunti. Se qualcosa di ciò che stava ascoltando lo sorprese, non lo diede a vedere. «Sappiamo entrambi che non è stato così semplice», disse Langton. «È stato arrestato e interrogato.» «Sono stato rilasciato. Perché diavolo ritirate fuori questa faccenda dopo vent'anni?»
«È stato interrogato a proposito di una precedente aggressione a sua madre?» «Cosa?» «Sua madre aveva dichiarato di essere stata aggredita da lei.» «No. No, questo non è esatto.» I suoi occhi si illuminarono di rabbia, poi si rivolse a Radcliff. «Non ci sono mai state accuse. Cosa diavolo è questa storia, Edward? Sono venuto qui in buona fede.» Radcliff fissò freddamente Langton. «Queste domande hanno una qualche attinenza con il motivo per cui il signor Daniels si trova qui?» «Credo di sì.» Langton aprì il fascicolo che aveva davanti a sé. «Per favore, potrebbe guardare queste fotografie, signor Daniels, e dirmi se conosceva qualcuna di queste donne?» Estrasse la prima fotografia e lanciò un'occhiata alla videocamera. «A beneficio della ripresa e della registrazione, sto mostrando al signor Daniels una fotografia di Teresa Booth.» Daniels guardò la fotografia in bianco e nero scattata all'obitorio, poi scosse la testa. «No, non la conosco», disse con decisione. Seguirono le altre, una alla volta: Sandra Donaldson, Kathleen Keegan, Barbara Whittle, Beryl Villiers, Mary Murphy. Ogni volta, gli venne chiesto «Conosceva questa donna?» e ogni volta Daniels scosse la testa e rispose di no. Sedeva con la schiena dritta, le dita strette sul bordo della sedia. «Ha mai abitato al numero 12 di Shallcotte Street, a Swinton?» Daniels rivolse al suo avvocato un'occhiata impotente. «Rispondi solo sì o no, Alan», disse Radcliff. «Credo di sì. Fino all'età di quattro o cinque anni, e in seguito di nuovo dopo un periodo in affidamento.» «Ricorda se Kathleen Keegan vivesse a quello stesso indirizzo?» «Ero solo un bambino. Naturalmente non mi ricordo», rispose con rabbia. «Ricorda se Teresa Booth vivesse a quell'indirizzo?» «No, non ricordo.» «Ricorda se qualcuna di queste donne vivesse a quell'indirizzo?» «No, non ricordo nessuna di loro. Come le ho già detto: ero solo un bambino.» «Grazie. Potrebbe dirmi dov'era la notte del sette febbraio di quest'anno?»
Daniels chiuse gli occhi e sospirò. «Quando?» «Sabato, sette febbraio; tra le undici di sera e le due del mattino.» «Probabilmente ero a letto. Stavo girando un film, a febbraio; sì, eravamo in Cornovaglia. Posso fare un controllo ma sono sicuro di essere stato là.» «In Cornovaglia?» «Sì. Stanno girando un remake di La Taverna della Giamaica.» «Apprezzerei molto se potesse verificare se si trovava in Cornovaglia in quella data.» Daniels disse che il suo agente avrebbe fornito loro la sua esatta scaletta. Scuotendo la testa, sconvolto, guardò Radcliff e disse: «Non posso crederci, Edward; è inconcepibile». L'avvocato gli batté leggermente sul braccio con fare rassicurante. Infine, Langton appoggiò sopra le altre una fotografia di Melissa Stephens. «Conosce questa ragazza?» Daniels si morse il labbro inferiore. «No. Penso di no. Come si chiama?» «Melissa Stephens.» Daniels studiò con attenzione la fotografia. «No, non la conosco. È un'attrice o qualcosa del genere?» «Era una studentessa.» Langton riordinò le fotografie e le mise via con cura. «Sarebbe disposto a permettere a un odontoiatra di fare un calco dei suoi denti?» «Cosa?» Daniels si appoggiò allo schienale, incredulo. «Tutto questo sta diventando piuttosto stupido», disse Radcliff, picchiettando sul ripiano del tavolo con la stilografica. «Avete portato qui il mio assistito. Non lo avete arrestato. Lui ha risposto a tutte le vostre domande. Vi consiglio di lasciar perdere. Sempre che non ci sia qualcos'altro.» Langton spiegò con decisione che se volevano eliminarlo completamente dalla loro inchiesta, avrebbero dovuto prendere l'impronta dei denti di Daniels. Quando Radcliff pretese ulteriori spiegazioni, Daniels gli appoggiò una mano sul braccio. «No, aspetta, Edward. Se vogliono che faccia un test, lo farò. Sono sicuro che dovevano avere una buona ragione per portarmi qui, quindi è giusto che dia loro tutto l'aiuto possibile. Se faccio quello che vogliono ora, non dovrò sprecare altro tempo.»
«Molto bene.» Radcliff guardò Langton. «Vi serve altro?» Quindici minuti più tardi, a Daniels fu permesso di andarsene insieme al suo avvocato. Si fermò sulla porta aperta e si voltò a guardare Langton con un'espressione triste sul volto. «Lilian Duffy era una donna malata. Ho fatto di tutto per dimenticare la mia prima infanzia. Se non fossi stato dato in affidamento a una coppia di persone straordinariamente gentili...» «Il signore e la signora Ellis?» suggerì Langton. «Sì!» Gli lanciò un'occhiata irridente. «Avete studiato proprio bene la mia biografia!» «Prima ancora è stato affidato a Ellen Morgan.» Dal momento che Daniels mostrò un barlume di emozione nell'udire quel nome, Langton continuò: «Siamo stati a parlare con lei». Il sospetto abbassò la voce. «Bene, allora saprete quanto la mia vita sia migliorata quando sono stato allontanato da Lilian Duffy. Ho faticato per lasciarmi alle spalle il mio sfortunato passato. Non avrei mai pensato di essere così turbato da ciò che mi è stato ricordato questo pomeriggio. Tuttavia, la cosa più importante adesso è che la stampa continui a restare all'oscuro del mio passato.» «Non c'è ragione per cui non debba essere così», rispose Langton. «La ringrazio; lo apprezzo molto. Ho in programma di girare un film negli Stati Uniti e della cattiva pubblicità sulla stampa, soprattutto il tipo di cattiva pubblicità che questo orribile caso incoraggerebbe, potrebbe danneggiare la mia carriera che là sta solo cominciando a decollare.» Edward Radcliff mormorò che era ora di andare e, lanciando una breve occhiata ad Anna, il loro unico sospetto se ne andò. Langton si tolse la giacca e si allentò il nodo alla cravatta. Anna si fermò vicino alla porta e lo guardò, cercando di capire che cosa stesse pensando. «Hanno accettato di presentarsi al laboratorio per l'esame dei denti domattina», provò a dire lei. «Sarà una perdita di tempo.» Il tono di lui era cupo. «Perché?» «Perché ha i denti incapsulati.» Prese una sigaretta. «È un ottimo lavoro. Ho notato la differenza appena l'ho visto.» Si picchiettò i denti con un dito. «Forse dovremmo scoprire quando se li è fatti fare», azzardò Anna. «Forse.» Ci fu una pausa. «Nel frattempo, controlliamo il suo alibi. Il film in Cornovaglia.» «Ci penso io», disse lei avvicinandosi al tavolo. «Ha notato che si riferi-
sce a Lilian sempre usando il nome completo? È incapace di usare la parola "madre".» «Già», disse Langton stancamente, accendendosi una sigaretta con il mozzicone della precedente. «Mi è sembrato che il suo discorso alla fine fosse piuttosto artefatto.» «È un fottuto attore», borbottò lui. «Probabilmente lo ha preso dal copione di uno dei suoi film.» «Dovremmo mostrare la videoregistrazione a Michael Parks per sapere cosa ne pensa?» «Già», borbottò di nuovo lui. «Viene anche lei? Stanno tutti aspettando nella sala operativa per un aggiornamento...» «Anna, levati dai coglioni, d'accordo?» ringhiò lui. «Lasciami solo per qualche minuto.» Lei lo fissò. «Muoviti, fuori di qui! Cristo santo!» Anna se ne andò sbattendosi la porta alle spalle. Stava cominciando a diventare un vizio contagioso, pensò cupamente. Mezz'ora più tardi l'intera squadra era riunita. Arrivò anche Langton, che pareva stanco e aveva un'ombra di barba sul viso. Il suo umore sembrava nero. «Okay. Lo abbiamo portato qui. È stato interrogato e rilasciato. L'impronta dei denti non ci servirà a niente; si è fatto incapsulare i denti di recente.» Anna alzò la mano. «Sì!» Langton la fulminò con lo sguardo. «I dentisti devono sempre prendere impronte dei vecchi denti prima di preparare e applicare le capsule. Potremmo metterci in contatto con il suo...» «Sì, bene. Pensaci tu. Grazie, Travis.» Langton trasse un profondo respiro. «Abbiamo bisogno di altre prove. La verità è che non abbiamo niente su di lui. Quindi domani ricominciamo da zero.» Indicò le foto delle vittime. «Riesaminiamo ciascun caso finché non troviamo qualcosa. Se non troviamo niente, siamo fottuti. La squadra investigativa sta arrivando per sentire i dettagli dell'interrogatorio di Daniels.» Spostò lo sguardo sui volti in attesa dei membri della squadra. «La realtà della situazione è che non abbiamo scoperto abbastanza. Detto questo...» Langton fece una pausa e si infilò le mani in tasca «...se anche
la squadra dovesse essere ridotta della metà, il che è probabile, non sono ancora pronto a lasciar perdere questo caso. Combatterò con tutte le mie forze per mantenere questa sala operativa. Perché sono sinceramente convinto che Anthony Duffy, altrimenti noto come Alan Daniels, sia il nostro killer.» Nella stanza si levò un basso mormorio. Langton fece un sorriso mesto, da ragazzino. «Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono le prove che lo dimostrino, quindi da domattina diamoci da fare. Per ora, andiamo a bere qualcosa, maledizione. Ci vediamo al pub. Il primo giro lo offro io.» La tensione di quella giornata stava cominciando a farsi sentire. Anna era esausta e si stava preparando ad andare a casa anziché al pub quando, sollevando lo sguardo, vide Jean in piedi accanto a lei. «Com'era?» le sussurrò Jean con aria da cospiratrice. Anna sorrise. «Be', è senz'altro molto attraente. Vive in una casa favolosa con mobili bellissimi. È affascinante e in gran forma.» Si accigliò, cercando di capire che cosa non funzionasse. «Continua», la incoraggiò Jean. «Non riesco esattamente a capire. C'è qualcosa di misterioso nei suoi modi. È come se sapesse qualcosa che noi non sappiamo, come se fosse al corrente di un grande segreto.» «Se il capo ha ragione e le ha fatte fuori tutte e sette, ha davvero un grosso segreto.» Jean si chinò verso di lei. «Lo hai trovato sexy?» «Non ne sono certa. Ha degli occhi incredibili. Quando ti guarda, è come se potesse vederti dentro.» «Ogni sabato restavo incollata davanti alla tv. Non hai idea di quanto mi piacesse La città del peccato. Non te la ricordi?» «Ero ancora alla scuola di polizia, Jean.» «Io l'avevo appena finita. Speravo tanto di riuscire a vederlo. Non lo hai trovato per nulla attraente?» Quando Anna notò l'espressione ansiosa di Jean, si rese conto che cosa avrebbe significato rendere pubblico il coinvolgimento di Alan Daniels nel caso. C'era qualcosa di ingordo nella curiosità di Jean e senza dubbio c'erano centinaia di Jean là fuori che si sarebbero affrettate a comprare i giornali del mattino per leggere le ultime notizie su Daniels. Sarebbero bastati i dettagli sul suo passato a scatenare la frenesia dei tabloid. Forse Daniels era stato sincero quando aveva fatto quel discorso prima di andarsene. Se fossero trapelate le informazioni sulle quali lo avevano interrogato, forse la
vita di un innocente sarebbe stata distrutta. «Pensi che sia stato lui?» Jean la stava fissando con interesse. Anna scosse la testa. «Non lo so.» «Langton ne sembra convinto», insistette Jean. «Esserne convinti non è abbastanza», protestò Anna. «Lo ha detto anche lui.» «Ehi, non prendertela con me», ribatté Jean. «Ero solo curiosa di sapere cosa ne pensavi.» «Se vuoi saperlo, mi dispiace per lui.» «Ah, ti è piaciuto, vero?» Anna afferrò la sua valigetta. «No, non mi è piaciuto. E comunque le mie sensazioni sono ininfluenti. A domani.» «A domani», disse Jean. Moira si stava preparando ad andarsene. Indicò con il capo Anna che si stava allontanando. «Cos'è successo?» Jean sospirò. «Direi che si è presa una cotta per il signor Alan Daniels.» Moira ridacchiò anche se non prese seriamente il commento di Jean. «Non ha nemmeno una possibilità», rispose Moira in un sussurro. «Hai visto come si veste? Lui potrebbe avere qualsiasi donna volesse.» «Dubito che l'abbia guardata due volte», si trovò d'accordo Jean. «Travis dovrebbe davvero fare qualcosa per quei capelli.» Anna, umiliata, era in piedi fuori dalla porta della sala operativa. Mentre si incamminava verso le scale, trattenendo le lacrime, poté sentire le loro risate. Anna aveva fatto la spesa nel piccolo supermercato vicino a casa, proprio dietro l'angolo: caffè e un vasto assortimento di zuppe in scatola. Ripose tutto ciò che aveva comprato nei pensili della cucina. Poi si mise a lavare i piatti, dopodiché scelse i vestiti da far lavare a secco e, per tutto il tempo, cercò di scacciare dalla mente i commenti maligni di Jean e Moira. Tuttavia, mentre controllava i vestiti che portava al lavoro, capì ciò che cosa avevano voluto dire: gonna a pieghe grigio ferro e giacca dello stesso colore; gonna dritta grigio scuro e giacca dello stesso colore; due paia di pantaloni marrone scuro e un paio di pantaloni neri. «Noiosa! Sono maledettamente noiosa!» esclamò. Era una detective in borghese che si era «creata» un'uniforme. Non c'era un solo capo nel suo guardaroba che avesse uno scintillio di personalità e questo valeva anche per le sue semplici scarpe dai tacchi bassi. Si vestiva come una maestra
delle elementari degli anni Sessanta, pensò tristemente. Nemmeno sotto la doccia, Anna riuscì a liberarsi dei commenti delle sue colleghe. La sua mente si aggirava nel suo guardaroba e si chiedeva quando avrebbe avuto l'opportunità di fare un po' di shopping. Sentire che cosa pensavano del suo aspetto l'aveva ferita perché sapeva che avevano ragione. Il punto non era il fatto che Alan Daniels non l'avesse guardata due volte ma il fatto che questo fosse vero per qualsiasi altro uomo. Dopotutto, non aveva più avuto una relazione fissa dai tempi di Richard Hunter, un ispettore dell'antidroga, e anche lui aveva dato l'impressione di essere più interessato ad averla come compagna di squash che come compagna di vita. Hunter era un tipo piacevole e avevano giocato bene a squash insieme. Le performance di lui in camera da letto, però, non erano state eccellenti come quelle sul campo. Avevano dato un taglio alla relazione in modo piuttosto amichevole. Anna si tirò su a sedere e diede un paio di pugni al cuscino prima di abbandonarsi di nuovo sul letto. Ma fu tutto inutile. Il sonno non voleva saperne di arrivare. Si alzò, andò a sedersi su uno sgabello nella piccola cucina ordinata, sorseggiò una tazza di tè e si chiese sinceramente quale fosse il punto. Prese uno specchio e si osservò con occhio critico. I suoi capelli. Doveva farci assolutamente qualcosa. Erano lunghi circa dieci centimetri e, come le aveva fatto notare Langton, le stavano in piedi in modo strano. Si domandò se non fosse il caso di tagliarli molto corti. Erano così folti che, se le fossero cresciuti di un altro paio di centimetri, le sarebbero venuti i ricci. Decise di tagliarli non appena avesse avuto il tempo. Avrebbe dovuto comprarsi anche qualcosa di nuovo da indossare. Non voleva più essere trasandata. Quando tornò a letto, accarezzò la foto di suo padre e disse dolcemente: «Buonanotte, papà». 8. Come Langton aveva previsto, le impronte dei denti di Alan Daniels non servirono a nulla. Non solo gli era stato fatto un grosso lavoro odontoiatrico, ma era anche stato fatto negli Stati Uniti, e il dentista che si era occupato di lui non fu di alcuno aiuto. A quanto pareva, Daniels aveva patito notevoli dolori dopo l'inserimento delle capsule e aveva sviluppato un'in-
fezione. Aveva richiesto le lastre e i calchi per poterli portare a un altro dentista. Quando i problemi ai denti erano stati risolti, aveva distrutto le radiografie e le impronte, tuttavia si era rifiutato di pagare al dentista la parcella che ammontava, incredibilmente, a cinquantaduemila dollari. La prima seduta dal dentista era stata prima dell'omicidio di Melissa e il lavoro era stato completato dopo la morte della ragazza. Una coincidenza? Oppure, semplicemente, un'altra falsa pista? La prova più importante che avrebbe potuto dimostrare un collegamento tra Daniels e l'omicidio di Melissa Stephens non esisteva più. L'avvocato di Daniels aveva fornito i dettagli della sua storia dentistica, oltre a una spiegazione scritta del perché fosse stato necessario intervenire: una scena d'azione in un film era andata per il verso sbagliato e una caduta gli aveva danneggiato l'arcata superiore. Per questo motivo, aveva dovuto sottoporsi a un intervento di emergenza ai denti. Ormai, non restavano che prove indiziarie. Sapevano che, da bambino, Daniels aveva abitato al numero 12 di Shallcotte Street, insieme a sua madre, Lilian Duffy, e ad altre due vittime, Teresa Booth e Kathleen Keegan. Mancava ancora la conferma che anche altre vittime, Mary Murphy, Sandra Donaldson, Barbara Whittle o Beryl Villiers, avessero abitato lì. I membri della squadra ora ridotta decisero di concentrarsi ciascuno su una vittima in particolare. Ad Anna era stata assegnata Beryl Villiers, la donna che era stata identificata grazie alle protesi al seno. Aveva chiamato la madre di Beryl, che si era dimostrata gentile al telefono e aveva accettato di incontrarla. Si era risposata e ora si chiamava Alison Kenworth. Il suo nuovo marito, Alec, era un autotrasportatore. La signora Kenworth lavorava come direttrice di una boutique sei giorni alla settimana e disse che avrebbe potuto parlare ad Anna lì oppure a casa una volta chiuso il negozio. Dal suo agente era giunta la conferma del fatto che Daniels era davvero in Cornovaglia a girare un remake di La Taverna della Giamaica durante la settimana del 7 febbraio. Le cose stavano andando a rotoli, e alla svelta. Langton, ossessivamente, continuava a sostenere che Daniels fosse il loro uomo, ma sapeva che se non avessero raccolto al più presto nuove prove, la squadra, già dimezzata, sarebbe stata sciolta. La porta del suo ufficio stava per staccarsi dai cardini, tante erano le volte che era stata sbattuta. Anna era sul treno per Leicester e stava riflettendo sulla prima fase della sua «trasformazione.» Era stata dal parrucchiere, che le aveva fatto un nuovo taglio, molto corto. In ufficio nessuno era parso molto colpito anche
se Langton aveva detto che la faceva sembrare un ragazzo. Anna non aveva ancora avuto tempo di mettere insieme un nuovo guardaroba, anche se aveva cominciato a guardarsi intorno. Su una rivista aveva notato un completo di uno stilista italiano e anche alcune gonne di seta, tuttavia i prezzi erano al di là delle sue possibilità, così aveva deciso di aspettare i saldi. Quando arrivò alla stazione di Leicester, Anna trovò un'auto della polizia ad aspettarla. L'agente al volante sarebbe stato a sua disposizione. Langton, in tono acido, l'aveva informata che, visto che le era stata fornita un'auto, questa volta avrebbe fatto meglio a usarla, invece di servirsi dei taxi. Alle tre del pomeriggio Anna scese davanti alla piccola boutique. La signora Kenworth - una donna elegante sui cinquantacinque anni - l'accompagnò in una piccola stanza sul retro. «Qui può andare bene?» chiese la donna nervosamente. «Va benissimo», rispose Anna appoggiando a terra la sua valigetta. La signora Kenworth prese la giacca di Anna e la sistemò con cura su un appendiabiti vicino alla porta. In bella mostra sulla scrivania c'era una foto di Beryl Villiers. Fino a quel momento, Anna aveva visto soltanto le sue foto segnaletiche e quelle del suo cadavere. «Questa è sua figlia?» domandò inutilmente. Anna non avrebbe mai immaginato che Beryl Villiers un tempo fosse stata così bella. «Ha lavorato per un po' come modella. Ho delle altre fotografie.» La signora Kenworth aprì un cassetto della scrivania da cui prese una grossa busta marrone che conteneva otto fotografie a colori. Anna le esaminò. Erano state scattate in uno studio fotografico. In quelle foto, Beryl dimostrava tra i diciotto e i vent'anni. «È incantevole.» «Fin da quando era piccola, è sempre stata così bella e sicura di sé.» «Deve aver preso da lei.» «Grazie.» Anna notò che gli occhi della signora Kenworth si stavano riempiendo rapidamente di lacrime e si affrettò a chiedere: «Beryl ha mai abitato in Shallcotte Street, a Swinton?» «Non lo so. Ha detto Shallcotte Street?» «Sì. L'edificio è stato demolito quindici anni fa, quindi dev'essere stato prima di allora.» «Oh, no, non penso. Anche se, se devo essere sincera, non posso esserne sicura. Fin da quando ha compiuto diciassette anni, mia figlia si è spostata
molto spesso.» «Quando ha lasciato Leicester, le ha dato un indirizzo dove rintracciarla?» «No.» «Sa se Beryl conoscesse un uomo di nome Anthony Duffy?» «Il nome non mi dice niente.» Il campanello della boutique tintinnò e la signora Kenworth lanciò un'occhiata nel negozio. Si scusò e andò a servire la cliente. Anna tornò a guardare le fotografie. Non riusciva a capire perché una ragazza così bella fosse diventata una prostituta. «Mi scusi», disse la signora Kenworth quando tornò da lei. «Una cliente abituale. Ha preso un paio di vestiti da far vedere a sua figlia. La ragazza sta per sposarsi.» La signora Kenworth prese la brocca del caffè. Il vassoio su cui c'erano tazze e biscotti era già pronto. «Ha detto che se n'è andata di casa a diciassette anni. Perché? Avevate avuto dei problemi?» «Frequentava un gruppo di ragazze poco raccomandabili. Aveva solo sedici anni. Andava molto bene a scuola. Era molto dotata, diceva di voler diventare un'attrice.» Versando il caffè, la signora Kenworth continuò a raccontare. Aveva fatto tutto il possibile per convincere la figlia a non abbandonare la scuola ma Beryl si era rifiutata; aveva cominciato a lavorare in un centro benessere e a prendere lezioni per diventare massaggiatrice. «All'inizio le ho preso un appartamento che divideva con due sue amiche. Era vicino a dove abitavamo e così potevo tenerla d'occhio. Pagavo io l'affitto.» Ma poi Beryl se n'era andata senza dire dove. Sua madre aveva scoperto che era andata a Southport per stare con un uomo che aveva conosciuto al centro benessere. «Si è fatta viva, una domenica, guidava una MG nuova. Ha detto che viveva con un uomo ma non ha voluto dirmi nemmeno come si chiamava.» All'improvviso, la signora Kenworth crollò. «Sinceramente, non so perché non volesse farmi entrare nella sua vita», disse tra le lacrime. «Continuava a dire che voleva vivere a modo suo e senza interferenze da parte mia. Ma io non volevo interferire, ero solo preoccupata; mia figlia aveva soltanto diciassette anni.» «E il padre di Beryl?» La signora Kenworth si asciugò gli occhi. Disse che George Villiers, il suo primo marito, aveva divorziato da lei quando Beryl aveva solo dieci
anni. La bambina lo adorava. All'inizio, Beryl era andata a trovarlo nei weekend, ma dopo qualche anno George e la sua nuova compagna erano andati a vivere in Canada e da allora non avevano più avuto sue notizie. «Ho incontrato Alec sei o sette anni fa. È un uomo fantastico. Non so cosa avrei fatto senza di lui.» Le lacrime tornarono a scorrerle sul viso. Si soffiò il naso scusandosi per aver pianto. «A volte Beryl mi telefonava e mi diceva sempre la stessa cosa: che la vita era fantastica e che lei era felice. Di tanto in tanto veniva a casa, sempre con una macchina vistosa e sempre diversa. Una volta le ho chiesto perché non volesse farmi conoscere l'uomo con cui viveva.» La signora Kenworth trasse un profondo respiro. Beryl le aveva detto di aver lasciato l'uomo di Southport, le aveva spiegato che ora stava con un'altra persona, un uomo migliore e più ricco. «È riuscita a scoprire il nome del nuovo fidanzato?» «No. Come sempre, Beryl era molto attenta a non rivelare niente. Comunque, aveva sempre abiti costosi e un grosso anello di brillanti; aveva anche orecchini di brillanti. Aveva sempre desiderato le cose migliori, fin da bambina. Sono stata troppo debole con lei. Le ho sempre dato tutto quello che voleva, solo per evitare i litigi. C'è sempre stato qualcosa di selvaggio e terribile nel suo carattere.» Anna controllò l'orologio. Quel colloquio non stava portando da nessuna parte; era convinta che non avrebbe scoperto il collegamento che stava cercando. «Era la droga», spiegò la signora Kenworth a bassa voce. Versò dell'altro caffè e riprese a parlare con lo stesso tono sommesso. Circa due anni dopo, una sera tardi, Beryl si era presentata alla porta di casa. Sua madre non l'aveva né vista né sentita per tutto quel tempo. Si era preoccupata nel notare che Beryl era diventata molto magra. «L'ho messa a letto. Aveva un aspetto terribile, continuava a ripetere "Mi dispiace, mamma. Mi dispiace tanto". Era piena di lividi. Non voleva parlarmene. L'unica cosa che diceva era che si era ficcata nei guai. Ci sono state molte telefonate nel cuore della notte. Poi, quando si è ripresa, ha cominciato a restare fuori tutta la notte e a tornare a casa solo al mattino.» La signora Kenworth deglutì rumorosamente. Restò immobile per qualche istante, in silenzio, gli occhi pieni di dolore. «Alla fine, abbiamo avuto un altro feroce litigio. Il mattino dopo, Beryl se n'era andata. Sotto il suo letto ho trovato le ipodermiche e altre cose da drogati. Mi si è spezzato il cuore. Si stava distruggendo.»
«Sapeva dov'era andata? Le ha lasciato un indirizzo o un numero per contattarla?» «No, non lo faceva mai.» Un'espressione interrogativa apparve sul volto della donna, come se si fosse appena ricordata di qualcosa. «A Manchester. È lì che è andata quella volta. A Manchester. Ho trovato un numero di telefono scarabocchiato su un biglietto. Ho chiamato. La donna che ha risposto sembrava ubriaca, o forse era drogata. Ho provato a richiamare altre volte e ha risposto sempre la stessa donna. Tutte le volte mi ha detto che Beryl non era lì. Mi ha detto di smetterla di telefonare.» Strinse le labbra. «Ma io sapevo che mentiva.» «Come faceva a saperlo?» «Lo chiami pure intuito materno. Ho chiamato la compagnia telefonica. Ho pensato che forse loro mi avrebbero dato l'indirizzo. Il pensiero che Beryl si drogasse mi preoccupava davvero molto. Ma loro non hanno voluto aiutarmi. Sono andata alla polizia, ho raccontato la storia di Beryl e ho dato loro il numero.» Anna la interruppe. «Immagino che non abbia più quel numero, vero?» «No. A un certo punto, Beryl è tornata. Era isterica, continuava gridare. Si è messa a dare calci alla porta d'ingresso. Ha detto che le stavo creando un sacco di problemi, che la polizia era stata dalla sua amica e che era tutta colpa mia. Io le ho detto che ero preoccupata per lei e che sapevo della droga.» Le lacrime ricominciarono a scorrere sul volto della signora Kenworth mentre diceva ad Anna che Beryl a quel punto era come un'estranea. Era diventata aggressiva e violenta. Aveva detto a sua madre che non avrebbe più dovuto chiamare la sua amica Kathleen. Che se lo avesse fatto, l'avrebbe fatta finire in un mare di guai. «Kathleen?» «Esatto. Io le ho detto che non poteva essere una vera amica perché aveva mentito quando le avevo chiesto se l'avesse vista. A quel punto, lei è crollata, si è messa a piangere e ha ricominciato la vecchia scena delle "scuse". Io l'ho messa a letto ed è stato allora che ho notato il suo seno. Si era fatta mettere delle protesi. Aveva avuto sempre un seno bellissimo. Era perfetta. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, diventare qualsiasi cosa.» La signora Kenworth chiuse gli occhi. «So di essere stata ingenua, ma fino a quel momento non avevo mai veramente pensato che mia figlia potesse aver cominciato a vendersi, che potesse essere diventata una prostituta. Se me lo avessero detto, non ci avrei creduto.»
Il campanello del negozio suonò di nuovo. Mentre la signora Kenworth era impegnata a servire la cliente, Anna prese qualche appunto. Possibile che quella Kathleen fosse Kathleen Keegan, una delle loro vittime? In quel caso, tre vittime su sei si erano conosciute. Se la polizia di Leicester aveva conservato i vecchi fascicoli, forse sarebbero riusciti a scoprire un nuovo collegamento. La signora Kenworth riapparve con un completo blu che appese su una rastrelliera in fondo al negozio. «Adesso posso chiudere.» «Che bel completo», disse Anna avvicinandosi per guardarlo meglio. «Veramente bello. Mi piace questo colore.» «Avevo deciso di metterlo in saldo. Era in vetrina e c'è una leggera scoloritura dovuta al sole sulla spalla. Che taglia ha lei?» «Una quaranta, credo.» «Le piacerebbe provarlo?» Anna sorrise, esitante. «Sì, la ringrazio. Ha una camicetta da abbinarci?» Erano le cinque a un quarto quando la signora Kenworth accompagnò Anna in auto a casa sua. Anna chiamò la polizia locale con la debole speranza che avessero ancora il rapporto sulla segnalazione della signora Kenworth e l'indirizzo di Manchester. L'appartamento della signora Kenworth si trovava in un quartiere ben tenuto di case popolari. Era pulito e ordinato anche se vi regnava un caldo soffocante. La signora Kenworth aprì la porta della vecchia camera della figlia. «L'ho tenuta com'era quando Beryl se n'è andata la prima volta. Qui ci sono tutte le sue fotografie.» Sfiorò con la punta delle dita la foto incorniciata di una bambina dagli occhi scuri, incredibilmente graziosa, su un pony; foto dopo foto si poteva osservare la bambina che diventava una bellissima ragazza. «A volte, vengo a sedermi qui e parlo con lei.» La stanza era una cripta permeata da un profumo dolciastro. C'era un copriletto di nylon rosa con cuscini coordinati rosa. Su una mensola era esposta una collezione di bambole tutte vestite di rosa. Il guardaroba bianco e dorato conteneva ancora i vestiti della ragazza morta, anche se non aveva vissuto in quell'appartamento per la maggior parte della sua vita da adulta. «Quella è stata l'ultima volta che l'ho vista. Quel Natale mi ha mandato un biglietto d'auguri da Londra. Diceva di aver trovato un lavoro in una casa di moda, di essere tornata a fare la modella. Aveva dei meravigliosi occhi castani», sussurrò la signora Kenworth, inconsolabile, porgendole u-
n'altra fotografia. «Sì, era bellissima», disse Anna, prendendola. Osservò il primo piano scattato da un fotografo professionista. Sembrava impossibile che quella splendida ragazza fosse stata trovata morta in un campo e che fossero servite le sue protesi per identificarla. La figlia della signora Kenworth avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi e invece era stata assassinata a trentaquattro anni, la sua bellezza completamente rovinata da anni di prostituzione, violenze e abuso di droghe. La signora Kenworth alzò gli occhi su Anna. «Non riuscivo a crederci quando la polizia mi ha detto che era una prostituta.» Quando il cellulare di Anna si mise a squillare fece trasalire entrambe. Anna si scusò e, a bassa voce, diede istruzioni all'agente perché l'andasse a prendere all'appartamento. Fu un sollievo quando finalmente salì sull'auto della polizia, qualche minuto dopo. Il calore dell'abitazione e l'angoscia della madre l'avevano prosciugata di ogni energia. Prima di salutarla, Anna aveva lanciato un'occhiata alla signora Kenworth. Le aveva chiesto se il padre di Beryl fosse al corrente della morte della figlia. Il volto della signora Kenworth si era fatto rigido e ostile, le labbra strette. «Non sapevo come rintracciarlo per dirgli che sua figlia era morta. Lui non ha dovuto affrontare la stampa che bussava alla porta, che mi chiedeva di quella prostituta assassinata rimasta non identificata per sei mesi. Ha visto tutte quelle belle fotografie; i giornalisti avrebbero potuto prenderne una qualsiasi, ma invece no, hanno voluto stampare quella terribile foto della scena del delitto. Sembrava una puttana sfatta. Non aveva nulla di mia figlia. Il padre di Beryl non le ha mai mandato neanche un centesimo. Non le ha mai mandato nemmeno un biglietto d'auguri per il suo compleanno o per Natale, niente! Mi ha lasciata per una stronza che consideravo mia amica. E ha spezzato il cuore di nostra figlia. E lei ha spezzato il mio.» Anna le aveva stretto per un attimo la mano e la donna aveva sbattuto le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. «Devo proprio andare. L'auto mi sta aspettando. Ma la ringrazio davvero tanto per il tempo che mi ha dedicato e per l'aiuto che mi ha dato per il vestito.» «Torni a trovarmi quando vuole, cara.» La signora Kenworth era riuscita a fare un mezzo sorriso. «Sa dove trovarmi. Le farò sempre un buon prezzo.» Appoggiandosi allo schienale del sedile posteriore dell'auto della polizia,
Anna chiuse gli occhi e ringraziò il cielo per l'infanzia felice e i genitori affettuosi e comprensivi che aveva avuto. Alla centrale di polizia si diresse alla reception dove il sergente la invitò a raggiungerlo dietro il banco dicendo: «Venga. Abbiamo fatto venire un agente in pensione. Una specie di amico della famiglia Villiers». Nella piccola stanza degli interrogatori c'era odore di vernice. Un detective paffuto e con i capelli bianchi si alzò per stringere la mano ad Anna. Lei notò divertita che l'uomo non perse tempo nemmeno con una presentazione per andare, invece, subito al punto. «Voleva sapere qualcosa di Beryl Villiers? Quanto tempo ha a disposizione?» «Non molto, in effetti», rispose Anna. «Devo tornare a Londra con il treno delle sette.» L'ex sergente Colin Mold si appoggiò allo schienale della sedia e intrecciò le mani sul ventre. «D'accordo, tesoro.» Raccontò una versione diversa della storia della famiglia Villiers, molto turbolenta e burrascosa. Villiers e la moglie non facevano altro che litigare. «Il fatto è che lui non riusciva a tenere l'uccello nei pantaloni. La picchiava, ma ogni volta la moglie lasciava cadere le accuse prima che si arrivasse in tribunale.» A un certo punto, continuò Mold, Villiers era scappato con una parrucchiera, la migliore amica di sua moglie. Nella causa di divorzio, l'uomo aveva perso la battaglia per la custodia di Beryl ma era riuscito a ottenere di poterla vedere. Non molto tempo dopo aveva scaricato la parrucchiera e, in compagnia di un'altra fidanzata, si era trasferito in Canada, lasciandosi alle spalle parecchi mesi d'affitto ancora da pagare. Nessuno aveva più avuto sue notizie. La vera vittima di quella situazione, comunque, era stata Beryl, che adorava il padre. Ridacchiò, ricordando come le due donne, la più anziana e la più giovane, avessero litigato in continuazione. Persino alla tenera età di otto anni Beryl litigava già con sua madre. Un paio di volte era scappata di casa e la madre era andata a riprenderla a casa della parrucchiera. Poi l'ex poliziotto si fece silenzioso per un attimo; disse che non era più accaduto niente di importante finché Beryl non se n'era andata di casa a sedici anni per trasferirsi insieme a due amiche nell'appartamento che sua madre aveva preso per lei. Anna aprì il suo taccuino. «È stato allora che ha cominciato a lavorare per il centro benessere, giusto?» Lui sbuffò. «Non è così che bisognerebbe chiamarlo: era un dannatissi-
mo bordello. Restava aperto fino a notte fonda, ne succedevano di tutti i colori, là dentro.» «Vorrei sapere qualcosa sul periodo in cui la ragazza si è trasferita a Manchester.» «Certo. Così dicevano tutti.» La signora Villiers aveva trovato una siringa nella camera da letto di Beryl e si era presentata alla centrale di polizia in condizioni pietose. Aveva con sé anche un numero di telefono. Era convinta che Beryl fosse a Manchester. «Pensava che la ragazza fosse trattenuta lì contro la sua volontà da qualcuno, una donna. Così mi sono rivolto a un collega che mi doveva un paio di favori. Cerchi di capire, conoscevo la ragazza fin da quando era piccola.» «Chi era la donna?» «Si chiamava Kathleen Keegan, una vera puttana inacidita. Gestiva un bordello, si drogava, era alcolizzata e Dio sa cos'altro. Il mio amico della Buoncostume si è recato sul posto per fare qualche domanda e gli hanno detto che Beryl era stata lì ma se n'era andata prima del suo arrivo.» «Potrebbe darmi l'indirizzo?» L'uomo annuì ma aggiunse che non le sarebbe servito a molto, visto che la casa era stata demolita. «Era in Shallcotte Street?» «No, non quel buco di merda... Mi scusi per il linguaggio. Anche quel posto è stato demolito. Ma sa com'è, quelli sono come topi. Li cacci da un posto e te li ritrovi subito in un altro.» Anna gli porse l'elenco delle sei vittime. «Riconosce qualcuno di questi nomi in relazione a Kathleen Keegan?» Lui si grattò il naso mentre studiava l'elenco. Poi, scuotendo la testa, restituì il foglio ad Anna. «No, mi dispiace. Beryl e la Keegan sono le uniche di cui so qualcosa.» I suoi occhi azzurri e acquosi assunsero un'espressione triste. «Vorrei averla trovata. Se ci fossi riuscito forse oggi sarebbe ancora viva.» Anna gli strinse la mano. La stretta dell'ex poliziotto era decisa. «La ringrazio per il suo aiuto.» «Nessun problema. La ragazza era bellissima, aveva un viso splendido. Se solo quella gentaglia non fosse riuscita a trascinarla nel suo giro quando era ancora così giovane. Ma non l'hanno più lasciata andare e alla fine è morta così: non identificata, lasciata a marcire. Non si meritava una fine simile.»
«No, non si meritava una fine simile», ripeté Anna. «Avete un sospetto?» «Non ancora.» «Penso sempre che se non lo si prende entro le prime settimane non lo si prenderà più. Quando il ferro è ancora caldo c'è una possibilità. Ma con un cadavere lasciato a marcire per settimane, è difficile trovare dei testimoni ed è ancora più difficile trovare degli indizi.» «Sì, è vero.» «Se dovesse avere ancora bisogno del mio aiuto, sa dove trovarmi.» Anna si voltò e stava per uscire quando Mold la chiamò. «Si stava dimenticando i suoi sacchetti.» L'uomo le porse i tre sacchetti della boutique della signora Kenworth. Imbarazzata, Anna li prese. «Ne ha approfittato per fare anche un po' di shopping, eh?» la stuzzicò lui. Arrivò alla centrale appena in tempo. Una volta a casa, appese il suo nuovo completo blu e le sue due nuove camicette alla porta del guardaroba, quindi fece un passo indietro, una mano su un fianco. Il danno causato dal sole, che aveva reso leggermente più chiara la spalla destra della giacca rispetto alla sinistra, si notava a malapena. Anna chiuse la porta del guardaroba, soddisfatta dei suoi acquisti, e si stava preparando per andare a letto quando il telefono si mise a squillare. «Ciao, sono Richard.» «Richard?» Erano trascorsi sei mesi dall'ultima volta che si erano visti e quell'incontro era stato così deludente che Anna non pensava che si sarebbe più presa il disturbo di rivederlo. «Ciao, Richard», disse allegramente. «Pensavo a te proprio l'altra sera. Non ci sentiamo da settimane! Come stai?» «Benone. Ti andrebbe una partita a tennis domani mattina sul presto? La compagna di Phil Butler ha l'influenza e io ho già prenotato il campo, al Centro sportivo della polizia.» «Non saprei, Richard. Sto lavorando a un caso veramente molto importante e poi mi conosci, sono più portata per lo squash che per il tennis.» «E chi non lo è? Su, andiamo, ti servirà a sgranchirti un po'. Facciamo alle sei e mezza? Posso passare a prenderti a casa.» «No, no. Vengo da sola.» «Fantastico. Ci vediamo alle sette meno un quarto e poi facciamo colazione insieme dopo la partita.»
Anna riagganciò. Le avrebbe fatto bene un po' di esercizio. Non voleva diventare come Langton, che non faceva mai sport e fumava come una ciminiera. Più ci rifletteva, più era ansiosa di andare. Puntò la sveglia alle cinque e mezza. Il mattino dopo Anna salì in auto con indosso la tuta e gli short da squash; appoggiò il suo nuovo completo sul sedile posteriore. Si sarebbe fatta una doccia e si sarebbe cambiata dopo la partita. Il garage era sotto il palazzo di Maida Vale in cui abitava. Era un costruzione nuova, abbastanza piccola, composta da solo sei appartamenti. Una delle attrattive di quel posto era il fatto che fosse molto sicuro, con il garage chiuso e la porta d'accesso al piano terra di cui avevano la chiave solo i residenti. C'erano scale illuminate e un piccolo ascensore che Anna comunque usava raramente, perché il suo appartamento era solo al secondo piano. Richard, che era sempre in anticipo, la salutò affettuosamente. Sembrava diverso. «Sei dimagrito?» domandò lei. «Altroché. Ho perso cinque chili e voglio perderne altri due.» Era più attraente di quanto Anna ricordasse. Forse per via del nuovo taglio di capelli. Non ebbero molto tempo per chiacchierare prima dell'arrivo di Phil Butler. Phil era calvo, aveva il viso affilato ed era un ispettore della Squadra furti e rapine. Stringendole la mano, le stritolò le dita. «Sono contento che sia venuta anche tu. Da mesi stiamo facendo una specie di torneo. Oggi c'è la finale. Devo vincere e la mia compagna si prende l'influenza. Ho cercato di rimandare, ma abbiamo scommesso cento sterline e sai com'è fatto Rich.» «Sì.» Anna sorrise, pensando che in realtà non lo sapeva affatto ma che comunque rivederlo le faceva piacere. Si trattava solo del taglio di capelli? E si ricordò che l'ultima notte che avevano passato insieme era reduce da un turno durato ventiquattro ore. Richard andò in cerca del suo compagno, un'agente di polizia come loro. Si chiamava Pamela Anderson, il che era una sfortuna dato che non era bionda, che i suoi seni erano a malapena visibili e che somigliava più che altro a un manico di scopa. Ma sul campo da gioco la signorina Anderson era eccezionale. Aveva un servizio così potente che Anna impiegò quattro game prima di riuscire a rispondere. Il suo compagno continuava a dire «È tutto okay» e poi, ogni volta che la palla si avvicinava alla rete, gridava: «Mia!», cosa che la irri-
tava non poco. Erano praticamente pari. Richard continuava a piazzare ottimi colpi e Anna continuava a pensare di averlo sottovalutato. Non aveva mai giocato così bene. Il punteggio era cinque-quattro con Richard e Pamela in vantaggio, quando Anna cominciò a prendere il ritmo giusto. I suoi servizi andavano a segno e ora riusciva a rispondere ai colpi della signorina Anderson. D'improvviso, il punteggio fu sei-cinque. Anna passò davanti a Phil due volte per andare a rete. Poi in un momento cruciale che avrebbe permesso loro di aggiudicarsi il set, gridò: «Mia, Mia!» e mancò la palla. Avrebbero dovuto andare al tie-break ma c'erano altri giocatori che stavano aspettando di usare il campo. Si salutarono. «Sarà per la prossima volta», disse Phil. Con un asciugamano attorno al collo, l'ispettore prese il portafogli e, controvoglia, porse a Richard una banconota da cinquanta sterline. Anche se non lo diceva apertamente, Anna sapeva che Phil la incolpava del risultato. Fu stupita quando Richard scoppiò a ridere e rifiutò i soldi. «Giocheremo di nuovo quando Tara si sarà rimessa.» Anna notò la rapidità con cui la banconota tornò nella tasca di Phil. La signorina Anderson non era nello spogliatoio delle donne. Anna si truccò, chiedendosi se un altro appuntamento con Richard avrebbe potuto migliorare le sue performance. Come tennista era sicuramente migliorato. Anna si diresse alla mensa. Erano quasi le otto e aveva giusto il tempo per una colazione veloce prima di mettersi al lavoro. I ragazzi avevano ordinato sandwich al bacon e caffè. Richard si alzò e tirò indietro la sedia per Anna. Lei si sedette, colpita. Richard stava migliorando di minuto in minuto. Notò che fece lo stesso anche per Pamela, che adesso indossava l'uniforme. Parlando con la bocca piena, Phil disse: «Mi hanno detto che lavori con Langton». «Sì, sono con la Squadra omicidi, ora.» «Una volta ho lavorato con lui. Mi è bastato.» Tolse una fetta di bacon dal suo panino e poi l'addentò. «Comunque è stato qualche anno fa.» «Non andavate d'accordo?» chiese Anna con aria innocente, sempre più infastidita da Phil. «A volte era un vero stronzo. Hai mai giocato a tennis con lui?» Anna gli rivolse un'occhiata sorpresa. Non riusciva a immaginare Langton impegnato a giocare a qualcosa che non fosse una mano di poker. «Ha un servizio incredibile», disse Phil sorseggiando il suo caffè, «è quasi impossibile da ribattere.»
Poi si alzò e disse che offriva lui. Rivolse ad Anna un breve sorriso e disse a Richard che avrebbe prenotato il campo per un'altra partita. «Dopo che se ne fu andato, ci fu un silenzio imbarazzato. Pamela sbocconcellò il suo sandwich mentre Richard parlava in tono confidenziale con Anna. «Allora, come vanno le cose? Non troppo bene, stando a quanto si dice in giro.» «Abbiamo alcune piste promettenti», protestò Anna. Pamela rise. «Conosco il comandante del vostro ispettore capo. E non mi sembra molto soddisfatta.» «Oh, veramente? Be', forse non è stata aggiornata. Quando si indaga su sette omicidi, alcuni commessi molto tempo...» «Conosco anch'io James Langton.» Pamela si pulì le labbra con un tovagliolino. «Faceva parte della squadra di atletica della polizia. Correva in bicicletta. Lo vedevo spesso alla pista di atletica di Maida Vale.» «Langton in bicicletta?» chiese Anna sorpresa. «È stato un po' di tempo fa, naturalmente; all'epoca era sposato con Debra Hayden. La conoscevi?» «No.» «Debra era incredibile. Correva in bici con lui, li chiamavano "il Diabolico Duo". È stato tutto molto triste.» «Intendi il divorzio?» Anna era affascinata. «No, Debra è stata la sua prima moglie. È morta di tumore al cervello. È stato tragico, davvero; aveva una grande carriera davanti a sé. Ed era bellissima.» Anna si accorse che Richard si era fatto silenzioso ma non riuscì a resistere. «Mi hanno detto che ha un debole per le bionde», cercò di dire in tono casuale. Pamela le lanciò un'occhiata affilata. «Non saprei. Debra era persiana, però.» «Ah», disse Anna e avrebbe voluto continuare quella conversazione ma Pamela stava guardando l'orologio. Raccolse la borsa e si chinò a dare un bacio a Richard. «Ci vediamo più tardi, tesoro», disse. Rivolse ad Anna un sorriso. «Mi ha fatto piacere conoscerti. Richard mi ha parlato molto di te.» Richard, imbarazzato, prese a giocherellare con il cucchiaino. Pamela li salutò con la mano mentre usciva. «Cosa ne pensi di lei?» chiese lui nervosamente.
«Sembra molto carina», rispose Anna, confusa. «Fammi le tue congratulazioni. Ci siamo fidanzati.» «Ah! Congratulazioni! Sono, be', non so cosa dire. Da quanto tempo state insieme?» «Sei mesi, all'incirca.» «Sei mesi? Veramente?» «Non ti ho mai parlato di lei perché l'ultima volta che ci siamo visti non ero così sicuro che avrebbe funzionato.» «Ma adesso lo sei.» «Sì. Siamo andati a vivere insieme.» «Ah. Fantastico.» «Sì. Pammy mi ha fatto mettere a dieta. E vado in palestra. Non sono mai stato così in forma. E ho dieci volte l'energia che avevo un tempo!» «E si vede. Accidenti, guarda che ore sono. Non posso arrivare in ritardo.» Mentre si alzava, Richard la baciò su una guancia. Anna non riusciva a crederci; si era messo persino il dopobarba. «Grazie per stamattina. Phil è davvero un tipo in gamba. Ha divorziato da poco. Mi è sembrato che vi trovaste bene insieme. Magari potremmo rifarlo.» «Scusami», disse lei raccogliendo le sue cose. «In questo periodo il lavoro mi impegna molto.» Anna non vedeva l'ora di andarsene. Se avesse potuto, si sarebbe presa a calci da sola. Perché diavolo non lo aveva fatto mettere a dieta quando stavano insieme? Tutto quel potenziale e lei non lo aveva nemmeno notato? Che grande detective! Tornò brevemente nello spogliatoio e si pettinò. Finì di sistemarsi il completo davanti allo specchio. Aveva la camicetta bianca aperta sul collo che metteva in mostra la catenina d'oro con un piccolo diamante, un tempo appartenuta a sua madre. Aveva un aspetto fantastico. Alla centrale Anna rimase delusa nel notare che nessuno si era accorto della sua trasformazione. Erano tutti riuniti nella sala operativa per un nuovo briefing. Langton era seduto sul bordo di una scrivania e, sulla lavagna alle sue spalle, i volti delle donne morte sembravano fissare i membri della squadra. «Mike, che cos'hai?» domandò Langton a Lewis. A Lewis era stata assegnata la seconda vittima, Sandra Donaldson. Il
sergente disse che era riuscito a rintracciare uno dei figli della donna, a Brighton. Il ragazzo lavorava in un negozio di fish and chips sul lungomare. Secondo Lewis, gli mancava qualche rotella e aveva risposto a tutte le sue domande con grugniti e monosillabi. Il ragazzo era cresciuto in diverse famiglie affidatane. Sosteneva di non conoscere nessuna delle vittime, di non conoscere nessuno a Manchester e di non aver mai veramente conosciuto sua madre. Aveva detto che sua sorella era una puttana e suo fratello un delinquente attualmente ospite di Sua Maestà nella prigione di Brixton. Nemmeno Barolli aveva avuto fortuna. Anche lui aveva rintracciato alcuni parenti delle vittime. L'ex marito di Mary Murphy aveva lasciato l'Inghilterra ed era andato a vivere in Germania, portando con sé le gemelle che aveva avuto dalla donna. Non c'erano altri familiari da contattare. A quel punto, Barolli era passato a dedicarsi ai figli di Kathleen Keegan, nella speranza che potessero essere d'aiuto. Dal momento che vivevano tutti in posti diversi, si era messo in cerca della figlia maggiore, che era sposata e viveva a Hackney con i suoi cinque figli. «Non si è ricordata di nessuno di nome Anthony Duffy e non ha saputo dirmi se sua madre conoscesse qualcuna delle altre donne. Si è ricordata che Kathleen aveva abitato a Manchester ed era tifosa del Manchester United; ha detto che sua madre, probabilmente, si era scopata tutta la squadra di calcio, visto che si scopava veramente chiunque. La odiava.» Barolli si sedette e Moira si alzò per rivolgersi agli altri. Raccontò loro della sua visita a Emily Booth. La madre di Teresa Booth era ancora viva e abitava in una casa di riposo. L'anziana donna era ancora battagliera e lucida. Moira fece ridere tutti quando imitò il suo accento di Newcastle. Era stato un lungo colloquio. La donna non aveva riconosciuto nessuno dei nomi delle vittime, aveva mostrato a Moira delle foto di sua figlia tra cui anche una che ritraeva tre donne sedute sulla ringhiera di un lungomare. Moira esaminò la fotografia. «All'inizio ho pensato che fossero a Brighton, ma la signora Booth mi ha detto che è stata scattata a Southport, nel Lancashire. Non è molto lontano da Manchester, giusto?» Gli agenti si passarono la foto e alla fine arrivò a Langton. «Potrei sbagliarmi, ma guardate la donna sulla destra, quella con il top e la gonna nera. Penso che sia Beryl Villiers.» Mentre attendeva che arrivasse il suo turno di guardare la foto, aprì la valigetta e prese una serie di fotografie che le erano state date dalla madre di Beryl. Quando le venne passata la foto di Moira, la esaminò poi si alzò
in piedi con il cuore che le batteva forte nel petto e si rivolse ai suoi colleghi. «O è lei o è una sua sosia. Ho portato questa foto da Leicester.» La seconda fotografia cominciò a circolare. Langton fu l'ultimo a confrontare i due scatti. Dopo averli valutati, si avvicinò alla parete e le fissò entrambe alla lavagna. «Che cos'altro hai per noi, Travis?» «Kathleen Keegan», rispose lei. Nella stanza si levò un mormorio. Anna raccontò il colloquio con l'ex poliziotto, quindi quello con la signora Kenworth. Jean stava scrivendo gli aggiornamenti sulla lavagna e sottolineava i collegamenti tra le donne con un pennarello rosso. Ormai quattro di loro erano state collegate ed era possibile che tutte avessero avuto qualcosa a che fare con la casa di Shallcotte Street. Le uniche due ancora prive di una connessione con le altre erano Sandra Donaldson e Mary Murphy. «Ottimo lavoro, Travis. Barolli, voglio che ti metta in contatto con la Buoncostume di Manchester. Ci servono informazioni su tutte le donne che sono state arrestate prima che la casa di Shallcotte Street fosse abbattuta.» Lewis alzò la mano. Langton annuì. «Capo, se anche scoprissimo che quelle donne si conoscevano, e che magari conoscevano persino Lilian Duffy, che cosa dimostreremmo?» Langton emise un lungo respiro. «Che anche l'assassino le conosceva; che le conosceva tutte, forse. È questo che ci dicono i collegamenti.» «Be', questo lo sapevo già», ribatté Lewis. «Allora che problema c'è?» «Non riesco a togliermi dalla testa il fatto che Duffy le avrebbe uccise una dopo l'altra. In alcuni casi, sono passati anni interi tra un delitto e l'altro. Penso che dovremmo cercare un altro colpevole, uno dei loro magnaccia o magari un cliente. Duffy, o Alan Daniels, aveva solo otto anni quando ha lasciato definitivamente Shallcotte Street. Sappiamo dove ha vissuto, in quale scuola è andato, eccetera. A che cosa arriviamo dimostrando che quelle puttane si conoscevano? Insomma, pensate a Lilian Duffy. Sono passati vent'anni da quando il nostro sospetto è stato arrestato per il possibile omicidio di sua madre! E l'ultimo delitto, quello di Melissa Stephens? Non era una prostituta, era una studentessa di diciassette anni.» «Stai dicendo che non sei convinto che abbiamo a che fare con un serial killer?»
«Sappiamo che c'è un serial killer. Siamo tutti d'accordo sul fatto che è sempre lo stesso modus operandi.» La tensione nella stanza era palpabile. «Quindi?» «Sto dicendo che non dovremmo dare tutta questa importanza ai vecchi casi e concentrarci solo su Melissa Stephens. Stiamo sprecando tempo prezioso e rischiamo di perdere altri possibili tracce.» «Non ci sono altre tracce, Mike!» «Lo so», ribatté bruscamente Lewis. «Ma ce ne siamo andati in giro per tutto il paese quando avremmo dovuto essere qui. Sto dicendo che se pensi che Duffy sia l'assassino, dovresti far parlare il cubano.» La mascella di Langton stava facendo gli straordinari. «Non l'ha visto in faccia.» «Okay, allora dovresti far parlare la prostituta dalla voce bassa. Ha detto che l'uomo era biondo. Lo ha intravisto.» «Ha detto solo di averlo visto dal finestrino e che l'uomo portava gli occhiali da sole.» Lewis si sedette, sospirando. Langton si guardò attorno, spostando gli occhi da un agente all'altro. «Anche voi la pensate così?» Sembravano tutti a disagio, tutti tranne Anna. Osservandola, lui inarcò le sopracciglia. Lei esitò; Langton stava per spostare lo sguardo quando Anna alzò la mano. «Credo che dovremmo continuare a indagare per tentare di scoprire se quelle donne si conoscevano.» «Grazie», disse Langton e si infilò le mani in tasca. «Nemmeno io so se Daniels sia davvero il nostro uomo, ma non penso che stiamo cercando un cliente occasionale, come ha suggerito Mike, o un magnaccia. Questi omicidi sono collegati, le donne si conoscevano.» Fece una pausa. «Se quella persona era Alan Daniels, allora significa che abbiamo un sospetto. Se è stato lo stesso uomo a uccidere Melissa Stephens, potrebbe significare che il ciclo dei delitti delle prostitute è completo ma che l'assassino ormai non può più fermarsi. Quello che potrebbe essere iniziato come una catena di omicidi a scopo di vendetta potrebbe essergli sfuggito di mano. Forse l'atto di uccidere gli è piaciuto troppo per poter smettere. In questo caso, penso che non si fermerà.» Tutti i presenti ora pendevano dalle sue labbra. Non si sentiva volare una mosca. «Mentre voi ve ne andavate in giro per il paese, ho studiato a fondo le date.»
Langton fece cenno a Jean di mostrare agli altri il diagramma che avevano preparato. «Questi sono gli intervalli di tempo.» Jean voltò la prima pagina di spessa carta bianca. «Non ho incluso l'omicidio di Lilian Duffy, solo quelli delle altre donne, per via dello schema temporale. Ci sono lunghi intervalli tra i vari omicidi, come ha detto Mike. Il più lungo è durato tre anni.» Accanto ai nomi delle vittime erano riportate le date. Langton prese il pennarello di Jean. «In corrispondenza di questi periodi, Alan Daniels è andato a girare dei film negli Stati Uniti», disse Langton. Si voltò a guardare gli altri agenti. «Non so in quali città si siano svolte le riprese, e in questa fase non voglio di certo tornare da Daniels o da quello squalo del suo avvocato. Ci rivolgeremo al suo agente. Ma una volta che avremo scoperto in quali città ha girato, farò una ricerca negli Stati Uniti per scoprire se ci siano siate donne uccise con lo stesso modus operandi.» Anna si appoggiò allo schienale della sedia. Langton non smetteva mai di stupirla. Nonostante la durezza con cui li aveva trattati, non c'era un solo agente nella stanza che ora non provasse per lui lo stesso rispetto reverenziale che sentiva anche Anna. «Travis!» Langton le fece segno di raggiungerlo nel suo ufficio. Quando Anna afferrò il taccuino, notò gli scarabocchi che coprivano un'intera pagina. Prima di chiuderlo, strappò la pagina occupata da file e file di cuoricini. La irritava sorprendersi a comportarsi come una liceale che si era presa una cotta per il suo insegnante. Chiuse la porta dell'ufficio. Lui le dava le spalle. «Cosa ne pensi, Travis?» «Penso che potrebbe aver ragione.» «Potrei anche sbagliarmi.» «Sì, naturalmente.» Lui si voltò e le fece cenno di sedersi davanti alla sua scrivania. «Grazie per avermi sostenuto, prima.» «Credo che anche gli altri abbiano capito», disse lei. «Lo apprezzo molto.» Guardò l'orologio. «Devo incontrarmi con l'agente di Daniels alle otto e mezza. Ha detto che per allora avrebbe avuto le informazioni che gli ho chiesto. Passo a prenderti a casa tua.» «Benissimo», disse lei, sorpresa. «Hai fatto un ottimo lavoro a Leicester e...» Inclinò la testa di lato, osservandola. «Che cos'hai fatto?» Lei abbassò gli occhi, imbarazzata.
«C'è qualcosa di strano nella tua giacca, sulla spalla destra.» Lei fece un movimento con la mano come per pulire la giacca. «Sembra una macchia o qualcosa del genere.» «Oh, è solo, ehm, è stato il sole nella vetrina del negozio. Oh, Dio, si nota così tanto?» «Solo da una certa angolazione.» Sorrise. «Quando eri seduta, avevi la luce della finestra alle spalle. Con i tuoi capelli rossi, sembravi un piccolo faro.» Anna restò in silenzio, sbalordita. «Okay, è tutto per ora. Passo a prenderti alle otto.» «Ci vediamo domattina, signore.» «No, Travis», sbuffò lui, impaziente. «Stasera!» Dopo avere lasciato l'ufficio, Anna si fermò un attimo in corridoio. Be', si disse, era meglio essere notata come un piccolo faro che non essere notata per niente. 9. Dal momento che era una persona ordinata e metodica, Anna portava fuori la spazzatura ogni lunedì, faceva il bucato ogni martedì e fino a quel momento non aveva avuto bisogno di una donna delle pulizie, visto che l'appartamento era piuttosto piccolo. Tuttavia i tempi erano cambiati. Quando, alle otto meno dieci, suonarono alla porta, Anna stava mangiando una cena improvvisata a base di cornflakes. Era arrivata a casa dalla centrale mezz'ora prima e quel tempo le era stato a malapena sufficiente per cambiarsi la camicetta e rifarsi il trucco. Mentre si alzava per andare ad aprire la porta, si versò sulla gonna quel poco che era rimasto del latte e cornflakes. Imprecò e si pulì con un tovagliolo. Il campanello suonò di nuovo. Notando i piccoli frammenti rimasti sulla gonna, Anna gettò via il tovagliolo, afferrò la borsa e aprì la porta. «Mi scusi se l'ho fatta aspettare», disse con il fiato corto. Seguì l'agente in uniforme fino alla macchina della polizia. Langton occupava il sedile del passeggero e stava leggendo l'«Evening Standard». La salutò senza staccare lo sguardo dal giornale. «Stiamo andando a trovare il signor Duncan Warner. Non poteva liberarsi prima. Ha fatto diverse telefonate negli Stati Uniti per controllare alcune cose...» «Oh, certo», disse lei, togliendosi furtivamente qualche frammento di
cornflakes dalla gonna. Notò che l'ispettore capo si era rasato e cambiato la camicia e si domandò se Langton non avesse un guardaroba anche in ufficio. «È tornato a casa?» chiese. Non aveva idea di dove Langton abitasse. «No.» «È troppo lontana?» Lui sollevò lo sguardo dal giornale e osservò la strada. «In realtà, abito a Kilburn, non molto lontano da te.» «Ah.» Stava scoprendo sempre più dettagli sulla vita privata del suo capo. Avrebbe voluto chiedergli di preciso dove, ma si trattenne. Raggiunsero il West End e imboccarono Wardour Street. Parcheggiarono di fronte a un palazzo di quattro piani. Sulla porta a vetri campeggiava la scritta AI Management. Dalla scala scese una ragazza alta e snella che indossava una gonna nera corta e attillata e una camicetta di seta bianca. Aveva esattamente l'aspetto che Anna avrebbe voluto avere se fosse stata dieci centimetri più alta. «Volete seguirmi?» disse la ragazza sorridendo mentre li faceva entrare. «È al secondo piano.» Anna non poté fare a meno di notare quanto fossero bianchi i denti della ragazza. Aveva i capelli biondi con una lunga frangia che le ricadevano lisci sulle spalle. Era così che Anna avrebbe voluto averli, se non fossero stati corti, ricci e rossi. «Sono la segretaria del signor Warner.» Strinse la mano a Langton. «Mi chiamo Jessica.» «Lei è il sergente Travis», disse lui indicando Anna. «Posso offrirvi qualcosa da bere?» domandò Jessica quando entrarono nell'ufficio della AI. «No, la ringrazio, stiamo bene così», rispose Langton con aria rassicurante. C'era una specie di tensione sotterranea nell'aria, ma Anna non era sicura di cosa si trattasse. «Dirò al signor Warner che siete arrivati.» Langton studiò la reception. Sulle pareti c'erano locandine di film e foto dei clienti dell'agenzia. Sembrò particolarmente interessato a una locandina che mostrava l'immagine di una casa stregata; dietro le finestre si vedevano occhi enormi e sgranati. Il titolo del film, Torna a casa, Emma, era scritto in grandi caratteri insanguinati. Si avvicinò per leggere le scritte in piccolo, poi si voltò a guardare Anna. «Ha recitato anche in questo. Sem-
bra una vera idiozia.» Anna lo raggiunse. Durante il giorno, pensò, in quel luogo doveva essere tutto un fervore di attività, ma la sera vi regnava una calma quasi inquietante. La porta dell'ufficio di Warner si aprì. Jessica, uscendo, disse rivolta al suo principale: «Ci vediamo domani mattina. Buonanotte». Si voltò e spalancò ancora di più la porta. «Volete entrare?» «La ringrazio», disse Langton. Mentre le passavano accanto, Jessica li abbagliò di nuovo con il candore dei suoi denti e scomparve. L'ufficio era ampio, dominato da una grande scrivania. C'erano molte sceneggiature nella libreria e impilate sul pavimento. Su ogni superficie disponibile delle pareti c'erano fotografie di attori, molte con autografi che iniziavano con: «Al caro Duncan...», «Al miglior...», «Al mio carissimo Duncan...» Il «Duncan» in questione era un uomo sulla cinquantina dai capelli radi e portava occhiali dalla montatura di metallo. Indossava una camicia di seta, un paio di pantaloni di velluto a coste e delle vecchie pantofole consumate. Accanto alla scrivania c'era un paio di scarpe. «Venite, accomodatevi.» Sembrava molto affabile. «Gradite del tè, del caffè o un bicchiere di vino?» «Niente, grazie.» Langton si sedette ma Anna rispose con un sorriso: «Gradirei un bicchier d'acqua, grazie». «Benissimo, e acqua sia.» Andò al frigo e lo aprì. «Ovviamente, sono molto preoccupato.» Prese una bottiglietta d'acqua, svitò il tappo e la porse ad Anna. «E, se devo essere sincero, non sono ancora del tutto sicuro di aver capito che senso abbia questa storia.» «Grazie», disse lei. Si sedette sul basso divano di pelle nera, il più lontano possibile da Langton, per lasciargli spazio. Warner si accomodò su una poltrona girevole. Dietro la scrivania c'era un carlino nero sdraiato su un cuscino. Aveva sbattuto i grandi occhi acquosi guardando Anna quando era entrata nella stanza, ma a parte questo era rimasto talmente immobile che avrebbe potuto essere impagliato. Quando Warner tornò alla sua poltrona, il cane, come per offrire una testimonianza del fatto che si trattava di una creatura viva, ruotò leggermente la testa prima di abbandonarla di nuovo sul cuscino e addormentarsi. A disagio per il fatto di trovarsi più in basso dell'agente, Langton si sporse in avanti. «Vogliamo proteggere il suo cliente il più possibile ed è per questo motivo che le ho chiesto di incontrarci qui. In questo momento, non le posso rivelare alcun particolare. Volevo solo che sapesse che, per
evitare la pubblicità, abbiamo bisogno di ottenere alcune informazioni che speriamo possano farci escludere il suo cliente dalle indagini.» «Di cosa si tratta, di una truffa?» «Preferiremmo non parlarne per ora. Come ho detto, potremmo riuscire a eliminare il signor Daniels dalla nostra indagine molto rapidamente.» «Il mio cliente sa che siete venuti a parlare con me?» «No, a meno che non glielo abbia detto lei.» «Io? Oh no, non gli ho detto una parola. È solo che... be', potete capire che io sia preoccupato. Alan ha appena finito di girare un film. La prossima settimana ci saranno molte cose importanti da negoziare. Si tratta di una faccenda seria?» «Molto seria. Ma, come le ho detto, potrebbe trattarsi di un malinteso e, per non rendere pubblica questa storia, mi è sembrato che questa fosse la via migliore da percorrere.» «Sì, sì, ne sono sicuro. Ma, come potete immaginare, un'indagine della polizia mi rende nervoso. Insomma, si tratta di qualcosa che ha a che fare col sesso?» «In parte. Sì.» «Cristo, non si tratterà di ragazzini?» «No.» «Bene. Perché se così fosse, non me ne fregherebbe un cazzo di quello che potrebbe succedergli. Posso sopportare quasi qualunque cosa, ma non questo.» Warner cominciò a massaggiarsi la testa, agitato. «Non potete immaginare da che guai ho dovuto tirar fuori alcuni dei miei clienti, e non solo storie di uomini.» Prese una scatola di sigari, ne offrì uno a Langton. «Cose impensabili.» «No, grazie.» «Quindi Alan non sa niente, giusto?» Langton era in equilibrio sul bordo del divano. «Lo abbiamo interrogato.» «È venuto da voi alla centrale?» «Sì, accompagnato dal suo avvocato.» «Quindi è una cosa seria. E siete sicuri che non si tratti di una truffa.» «Non si tratta di una truffa.» «E non ha niente a che fare con i bambini. È qualcosa che ha a che fare col porno?» Anna riusciva a sentire l'impazienza di Langton. Era evidente che Warner avrebbe continuato a tentare di scoprire qualcosa.
«È un'indagine su un omicidio. Ora, potremmo passare alla ragione per cui sono venuto qui?» «Omicidio?» «Mi ha detto che sarebbe riuscito a fornirmi una serie di date.» Il volto di Warner era bianco come un lenzuolo. «È un testimone o un sospetto o cosa?» «Al momento ci sta solo aiutando nelle indagini. Può capire perché non abbiamo resa pubblica la cosa.» «Oh, sì, certo.» «Se si venisse a sapere, il suo cliente avrebbe della pubblicità molto sgradevole.» «Certo, certo. Senza contare il problema dell'immigrazione.» Warner stava sudando freddo. «C'è una stella del cinema che non vogliono lasciar entrare negli Stati Uniti perché quando era ragazzo è stato arrestato per aver fumato uno spinello.» Langton si alzò in piedi. «Ha le informazioni che le ho chiesto?» Warner annuì. «Ero al telefono con Los Angeles quando siete arrivati. Sono stato in grado di controllare le altre date sui miei registri. Un film è stato girato a San Francisco, l'altro a Chicago. Non erano ruoli di primo piano. Alan deve ancora sfondare in America...» Aprì un cassetto. «...Ma sta per succedere. Non l'ho battuto al computer, ma posso farlo se vi serve.» L'agente porse a Langton una pagina scritta a mano. «No, va benissimo così. La ringrazio.» Quando tornarono all'auto, Anna sollevò lo sguardo sulla finestra illuminata del secondo piano. Toccò Langton sul braccio. «Scommetto che è al telefono e sta raccontando tutto a qualcuno.» «Al suo fidanzato, probabilmente», disse Langton in tono scherzoso e salì in macchina. Disse al poliziotto al volante di lasciare Anna a casa per prima. Poi, quando l'auto partì, restò in silenzio a confrontare le date con un elenco che aveva scritto sul suo taccuino. Dopo un po', chiuse il taccuino con aria trionfante. «Tutti gli intervalli tra gli omicidi coincidono con i periodi in cui Alan Daniels ha lavorato negli Stati Uniti.» «Per quanto tempo si è trattenuto ogni volta?» «Per periodi diversi. A volte cinque settimane, altre volte solo due, e una volta addirittura sei mesi.» Langton porse ad Anna il suo taccuino e il foglio di Warner. Lei comin-
ciò a esaminarli. «Mi metterò in contatto con le autorità americane questa sera stessa», disse guardando fuori dal finestrino. Poi, quasi tra sé e sé aggiunse: «Potrei anche fare un salto lì». «Negli Stati Uniti?» «No, Travis, sulla luna!» Lei gli restituì il taccuino e lui se lo mise in tasca. Quando squillò il cellulare, Langton controllò il numero prima di rispondere. «Ciao. Sarò da te fra tre quarti d'ora.» Rimase ad ascoltare, poi disse a bassa voce: «Mi sembra una buona idea. Altrimenti potremmo mangiare al ristorante italiano». Anna aveva pensato di chiedergli se poteva cucinargli qualcosa. Si appoggiò allo schienale e guardò fuori dal finestrino mentre lui, indifferente, continuava quella conversazione privata. Rise dolcemente prima di chiudere la comunicazione. «Vuoi il giornale?» le chiese senza guardarla. «Grazie.» Lui le porse il quotidiano al di sopra della spalla. Non si dissero altro per il resto del percorso. Langton si addormentò. Quando l'auto si fermò davanti a casa di Anna, lui si svegliò per un attimo per darle la buonanotte con un grugnito. Erano quasi le dieci meno un quarto. Anna si chiese chi fosse la donna con cui avrebbe cenato Langton. Chiunque fosse, era brava a stirargli le camicie. L'appartamento di Anna era composto da una sola camera da letto, un bagno, un ampio soggiorno e una piccola cucina. La moquette era di un morbido color avena. Gli armadi erano grandi e questo le piaceva molto. Era un appartamento ordinato e non rifletteva molto la personalità di Anna, forse perché Anna stessa non era ancora del tutto sicura di quale fosse. Era la prima volta che acquistava una casa invece di limitarsi a prenderla in affitto. Dopo la morte di suo padre non era più riuscita a vivere nel vecchio appartamento di Warrington Crescent, a Maida Vale. Tuttavia, Anna non si era trasferita molto lontano da quella che era stata la sua vecchia casa, e questo continuava a confortarla. Conosceva il giornalaio e gli impiegati dell'ufficio postale e la piccola comunità del quartiere conosceva lei. Sotto la doccia, Anna si rimproverò per aver tentato di scoprire qualcosa sulla vita privata di Langton, soprattutto perché lui non aveva mostrato alcun interesse per la sua. E perché avrebbe dovuto? Lei era solo un sergente con un brutto taglio di capelli e un completo rovinato. Mentre si asciugava
i capelli con una salvietta, il telefono si mise a squillare. Anna trasalì e si chiese chi potesse essere a quell'ora. «Travis?» disse la voce ormai familiare di Langton. «Sì, signore.» «Abbiamo fatto centro: a San Francisco è stato ritrovato il cadavere di una donna uccisa con lo stesso modus operandi. Ci manderanno tutti i dettagli domani. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere saperlo.» «Grazie, è...» Ma lui aveva già riappeso. Anna abbassò lo sguardo sul ricevitore che teneva ancora in mano. Be', pensò, almeno Langton non stava cenando a lume di candela con la sua ragazza in qualche ristorante italiano alla moda. Felice, si lasciò cadere sul letto. Lanciò un'occhiata alla foto di suo padre per augurargli la buonanotte. «Perdonami, papà, ma lui mi piace da impazzire!» Quando chiuse gli occhi per dormire, le tornarono alla mente le parole di suo padre. «Se dovessi diventare un poliziotto, tesoro, sarà meglio che non ti sposi. Non troverai mai un uomo comprensivo come tua madre.» Suo padre era in piedi e con le braccia stava cingendo sua madre. Aveva appena finito di lavorare a un caso e loro non lo avevano visto per giorni interi. Sua madre non si era mai dimostrata turbata dalle sue lunghe assenze o gelosa del suo lavoro. Si limitava a usare quel tempo per scrivere il suo diario o per dipingere. Isabelle aveva riso e aveva detto che sperava che non le stesse consigliando di diventare gay, dal momento che quello sarebbe stato l'unico modo di avere una partner con la gonna. Da bambina, Anna era stata affascinata dalle schermaglie tra i suoi genitori. Il loro era stato un rapporto solido, costruito sulle fondamenta della fiducia, e adesso che era adulta, Anna si domandava se avrebbe mai avuto qualcosa del genere. Certo, erano stati innamorati, eppure nessuno dei due era stato dipendente dall'altro. Sua madre era una donna molto autosufficiente e aveva preso con filosofia le assenze di Jack, molto più di quanto fosse riuscita a fare Anna. Anna si chiese se sarebbe mai riuscita ad avere quella stessa indipendenza. Fino a quel momento, era stata a stento in grado di avere una relazione. Era figlia di suo padre, sposata con il suo lavoro. Lo era stata fino a quando l'ispettore capo Langton non era entrato nella sua vita, spalancando bruscamente la porta.
La mattina seguente, nella sala operativa tutti erano in fibrillazione per la notizia giunta da San Francisco del cadavere di una donna uccisa con lo stesso modus operandi e rinvenuto in avanzato stato di decomposizione. La vittima era stata strangolata con i suoi collant e le mani le erano state legate dietro la schiena con il reggiseno. Si chiamava Thelma Delray, era una prostituta e aveva ventiquattro anni quando era stata uccisa. Non c'erano testimoni né tracce di DNA e, dato che non c'era nemmeno un sospetto, il caso era stato archiviato. Il fatto che sapessero che il loro sospetto si trovava a San Francisco nel periodo in cui la prostituta era stata uccisa non era sufficiente per arrestarlo. Tuttavia, Langton ordinò a uno dei membri della squadra di rivolgersi a un magistrato per chiedere un mandato di perquisizione per le proprietà di Alan Daniels. La sera successiva, ricevettero un'email da Chicago. C'era stata un'altra vittima, uccisa nel lasso di tempo che separava gli omicidi di Barbara Whittle e Beryl Villiers. In quel periodo, Alan Daniels si trovava nella zona di Chicago. L'eccitazione degli agenti stava aumentando; non potevano essere coincidenze. La donna era stata trovata in un terreno abbandonato. Stesso modus operandi. Si chiamava Sadie Zadine ed era una prostituta già nota alle forze dell'ordine. Il suo cadavere era rimasto lì per sei mesi prima di essere rinvenuto. Lo schema degli omicidi e la scelta delle vittime erano praticamente identici. Tuttavia, dovevano continuare a tenere informato il comandante, che aveva dimostrato un grande interesse per l'indagine e voleva essere aggiornata su ogni nuovo sviluppo. Le prove che avevano, però, restavano comunque solo indiziarie. Senza tracce di DNA e senza testimoni, non sarebbero mai arrivati a un processo. Il terzo giorno ricevettero una comunicazione da Los Angeles; avevano fatto centro per la terza volta. La vittima era più giovane: Maria Courtney, un'eroinomane di ventinove anni. Stesso modus operandi: strangolata e legata con la sua biancheria intima. Il Dipartimento di polizia di Los Angeles aveva inviato loro per email delle foto della vittima sul luogo del delitto, tra cui anche alcuni primi piani che mettevano in evidenza il metodo di strangolamento. Tutte e tre le vittime americane erano state violentate e i loro corpi mostravano segni di penetrazione anale. Su nessuna erano stati riscontrati segni di morsi e nessuna era stata imbavagliata. Comunque, non c'era nemmeno un testimone né uno straccio di prova che potesse condurli al responsabile. Non erano stati fatti collegamenti tra le vittime americane, fino a quel momento. Maria Courtney era stata uccisa nel periodo che di-
videva la sesta e la settima vittima, Mary Murphy e Melissa Stephens. La squadra investigativa aveva deciso che, dato l'alto profilo del loro sospetto, l'indagine avrebbe dovuto essere approvata in ogni sua fase. Langton ebbe quasi un colpo apoplettico per la rabbia e la frustrazione quando si vide rifiutare il permesso di arrestare Alan Daniels. I suoi superiori si erano trovati d'accordo sulle «numerose coincidenze», ma non c'era nemmeno una prova che collegasse Daniels ai delitti, e il fatto che Daniels si fosse trovato nelle vicinanze non dimostrava la sua colpevolezza. Lo stesso valeva per la possibilità che avesse conosciuto tutte le vittime inglesi. Il comandante temeva molto le critiche dei media nel caso si fosse scoperto che si erano sbagliati a proposito di Daniels. L'espressione «prova indiziaria» veniva usata in continuazione. Si rivolsero di nuovo al profiler Michael Parks. L'uomo studiò la tabella annuendo di tanto in tanto. «Come immaginavo: l'assassino non ha mai smesso e le vittime sono sempre più giovani. Dopo Melissa, a cui è stata staccata parte della lingua con un morso, è altamente probabile che gli omicidi si facciano più violenti. Il killer sta raffinando le sue arti. Non si fermerà, questo è sicuro.» L'incapacità di Parks di fornire altre intuizioni rese Langton ancora più ossessivo. La porta del suo ufficio sbatteva in continuazione. La squadra stava mettendo insieme particolari sugli omicidi avvenuti in America e stava richiedendo tutte le informazioni possibili. Il nuovo timore di Langton era che, se Alan Daniels fosse tornato negli Stati Uniti per il suo prossimo film, sarebbe scomparso. Malgrado la sua notorietà, in quel caso avrebbero potuto non trovarlo più. «Non è la fottutissima Inghilterra. In America potrebbe continuare a spostarsi da uno Stato all'altro.» L'assenza di prove concrete si stava dimostrando frustrante per tutta la squadra. «Lasciatemi perquisire il suo appartamento, cazzo. Le trovo io, le prove», borbottò Barolli. Fu solo alle quattro e trenta di giovedì che ricevettero l'okay: era stato emesso il mandato di perquisizione. Quella era l'opportunità che Langton stava aspettando. Chiamò una squadra di specialisti del POLSA, anche se era improbabile che riuscissero a trovare prove decisive, visto che nessuno degli omicidi era stato commesso nell'appartamento di Daniels. Durante la riunione, Langton disse che stavano cercando qualunque possibile collegamento con i delitti. Avrebbero dovuto essere particolarmente
accurati. Diede ordine di recarsi sul posto con auto della polizia ben visibili. Barolli e Langton andarono per primi. Travis e Lewis li seguirono. Lewis non faceva che parlare al cellulare con la moglie, che era incinta e aveva già superato i nove mesi di gravidanza. Andava avanti così ormai da giorni. Si ritrovarono davanti alla casa di Queen's Gate. Grazie agli agenti che sorvegliavano l'abitazione ventiquattr'ore su ventiquattro, sapevano che Daniels era in casa e che si era accorto del loro arrivo: lo avevano visto guardare fuori dalla finestra. I quattro detective e i due agenti del POLSA salirono le scale e suonarono alla porta, che venne aperta immediatamente. Mentre Langton e i suoi entravano nell'atrio, Daniels apparve sulla soglia del suo appartamento, il volto tirato e pieno di rabbia. «Be', anche volendo, non avreste potuto farvi notare di più. Quasi mi aspettavo che buttaste giù la porta con un ariete!» Langton gli mostrò una copia del mandato di perquisizione e l'uomo la lesse con attenzione prima di lasciarli entrare nel suo appartamento. «Bene, accomodatevi, allora», disse in tono piatto. «Sappiate comunque che vi farò causa per qualsiasi possibile danno. Ci sono oggetti di grande valore, qui, perciò vi consiglio di fare molta attenzione.» Quando furono entrati, Daniels chiuse la porta e chiese bruscamente: «Da dove volete cominciare?» «Da dove preferisce», rispose freddamente Langton. «Preferirei da nessuna parte», ribatté sarcastico Daniels. «Comunque, penso che potreste cominciare dalle camere da letto» con un cenno del capo, indicò le vetrate a piombo, «così potrò continuare a lavorare in sala.» Girò sui tacchi e scomparve oltre la porta del salotto. «Che casa.» Barolli si guardava attorno sbalordito. Lewis stava studiando un dipinto a olio. Voltandosi al di sopra della spalla, disse: «Questa stanza è grande come il mio appartamento». Langton uscì dalla sala da pranzo e imboccò un piccolo corridoio sulla sinistra. Gli altri lo seguirono in una cucina piccola ed equipaggiata con ogni tipo di accessorio. Coltelli costosi, stoviglie e utensili riempivano i lucidi pensili bianchi, e le luci erano incassate in pannelli di legno. «Controlla questa stanza», ordinò Langton ad Anna in tono secco. Lei si mise al lavoro. Lewis aveva aperto un'altra porta e stava guardando dentro. «Dannazione, date un'occhiata qui: marmo, vasca incassata nel pavimento, sembra una reggia.»
Barolli e Langton lo raggiunsero e osservarono il bagno. Le pareti erano ricoperte da pannelli di legno e allineate sulle mensole c'erano eleganti recipienti pieni di saponi, bottigliette di profumo e file di candele dentro basse ciotole d'argento. Lewis li lasciò a esaminare il bagno e si fermò davanti a una porta fatta di pannelli di vetro piombato. Quando entrò, Langton lo sentì esclamare: «Dovreste venire a dare un'occhiata qui». Langton e Barolli si affrettarono a raggiungerlo. La stanza era sontuosa: un pianoforte a coda, due divani di velluto e un tavolino di cristallo coperto da costosi libri d'arte. Ma la cosa più incredibile era il lucernario, una volta di vetro di diversi colori che luccicava sopra l'ampio ambiente dalle pareti bianche. «In cucina non c'è niente. Non sembra che sia stata usata molto spesso», disse Anna raggiungendoli. I tre uomini restarono in silenzio, sbalorditi, mentre lei continuava: «Il frigo è pieno di frutta fresca e di verdure e... Mio Dio, ma questa stanza è stupenda!» Langton mormorò: «Va' al piano di sopra... comincia tu». «D'accordo.» Anna salì cautamente le strette scale che portavano al piano superiore dove c'erano due camere da letto: la camera principale con bagno privato e la camera degli ospiti. La camera da letto padronale era grande quasi quanto quella del pianoforte al piano di sotto. Il letto a baldacchino era di quercia massiccia con tendaggi di un verde chiarissimo. Anche le pareti erano verdi ed erano occupate da armadi alti fino al soffitto. All'interno di una delle cabine armadio c'era una toilette con un grande specchio, coperta da boccette di profumi e oli allineate ordinatamente. La stanza era immacolata e aveva un leggero profumo. Anna esaminò i vestiti, le tasche, i risvolti dei pantaloni, le schiere di scarpe fatte a mano. In tutte le scarpe c'erano pesanti forme di legno. Soltanto le pantofole di velluto con le iniziali ricamate sembravano consumate. Ce n'erano tre paia: verde chiaro, blu e nere. Ne sollevò una. Era difficile credere che appartenesse all'uomo che era stato Anthony Duffy, figlio di una povera prostituta di nome Lilian. Controllò i maglioni di cachemire e le camicie di seta. Sul comodino, accanto al letto, c'erano alcuni libri, di storia per lo più, tutti rilegati. Anna sollevò il copriletto di seta verde e si accorse che era foderato di cachemire verde scuro. Anthony Daniels sapeva di sicuro godersi la vita. Notò che nella stanza mancavano del tutto memorabilia e cianfrusaglie.
Scostò le lenzuola che sembravano fresche di bucato. Non c'era niente nella camera da letto. Gli agenti del POLSA esaminarono la moquette; non c'erano tracce di sangue o di altro tipo. «Trovato qualcosa?» La voce di Langton, in piedi sulla soglia, la fece trasalire. «No, niente. Stavo solo pensando che è strano che non ci sia niente di personale. Insomma, fotografie...» «È lo stesso al piano di sotto.» Langton raggiunse il letto a baldacchino. «Non dev'essere male farlo qui sopra», disse a bassa voce. «Hai guardato sotto il letto, sotto il materasso?» «Sì», rispose lei arrossendo. «E sopra il baldacchino?» «Non ancora; stavo per farlo», mentì Anna. Langton salì in piedi sul letto. «Niente.» Scese con un salto e aprì l'anta di uno degli armadi. «Comincia il prossimo piano.» Sfiorò il tessuto di una delle camicie di seta e mormorò: «Niente male. Certo che ne ha parecchie». Anna uscì dalla camera da letto e cominciò a salire la breve scala che portava al piano superiore. Quella parte della casa era molto diversa anche se altrettanto grande. Daniels doveva usarla come biblioteca e studio. La scrivania era coperta da sceneggiature, documenti e foto, soprattutto di donne, su cui erano scarabocchiati messaggi d'amore e dediche. Alle pareti erano appese molte altre fotografie: Daniels in compagnia di altri attori, sul set. Sulla scrivania c'era anche un computer portatile e nei cassetti raccoglitori contrassegnati da scritte ordinate: Tasse, Ricevute, e così via. C'era un intero cassetto dedicato alle lettere delle ammiratrici. Anna prese a scorrere i documenti e le lettere. Sentì dei passi sulle scale e dopo qualche istante apparve Lewis. «Conosce proprio tutti, eh?» Si guardò attorno nella stanza e prese a spostarsi da una fotografia all'altra. «Dovresti leggere le lettere delle sue ammiratrici; la compagnia femminile non gli mancherà mai.» «Ci vorranno ore per esaminare tutta questa roba.» In cima alle scale, apparve Langton. «Travis, qui ci pensiamo noi. Va' a dare un'occhiata in salotto, dove c'è il padrone di casa.» «D'accordo.» Quando Anna se ne fu andata, Langton osservò le foto. Si fermò davanti a uno scatto che ritraeva Daniels su uno yacht in compagnia di due bionde
che indossavano succinti bikini. «Un sacco di donne bellissime», commentò. «È per questo che la cosa non ha senso, secondo me», protestò Lewis. «Perché un uomo che può mettere le mani su donne del genere dovrebbe volersi scopare delle vecchie prostitute disgustose?» Langton accese il portatile. «È per questo che penso che ce la stiamo prendendo con il tizio sbagliato.» Lewis, che stava rovistando tra i fascicoli, sollevò lo sguardo. «Un attimo... ha detto di aver perso il materiale del dentista, vero?» «Sì, perché?» «Be', da' un'occhiata qui: ci sono le lastre, i pagamenti e tutto il resto.» «Prendiamo tutto. Fammi vedere.» Langton esaminò le lastre sollevandole davanti alla luce. «Continuiamo così; le cose si stanno facendo interessanti.» Anna bussò alla porta del salone e Daniels venne ad aprire. «Posso entrare?» chiese lei. «Sì, si accomodi.» Lui tornò a sedersi a gambe incrociate sul divano e prese una sceneggiatura. «Ha una casa bellissima», disse lei goffamente. «Grazie.» Imbarazzata, Anna cominciò a rovistare tra le riviste. «Era proprio necessario andare dal mio agente?» «Scusi?» Le sembrava di sentire gli occhi di Daniels che la fissavano. «Le ho chiesto se era proprio necessario andare dal mio agente. Sono venuto con voi alla centrale. Perché non vi siete limitati a chiedere a me quello che avevate bisogno di sapere?» «Non penso che avessimo il...» Anna si fermò, arrossendo. «Dovrebbe chiederlo all'ispettore capo Langton.» Si mise a sfogliare la rivista successiva, in cerca di un biglietto dimenticato o di un pezzetto di carta. Lui piegò la testa di lato, divertito. «Che cosa diavolo sta cercando? Indizi cruciali in un numero di "Architect's Monthly"?» «Non si sa mai», rispose lei, sollevando lo sguardo e rivolgendogli un mezzo sorriso prima di tornare a sfogliare le pagine di «Vogue». «È mai stato sposato?» «Ci sono andato vicino una volta. Non è molto facile vivere con una per-
sona come me», disse lui allungando le gambe per sdraiarsi sul divano. «Sono un maniaco dell'ordine, ma credo che questo lo abbia già notato.» «Sì.» Lei si spostò e cominciò a esaminare i libri. «Sono un po' così anch'io.» «Probabilmente è dovuto al fatto che da bambino non avevo niente di mio. I miei vestiti erano sempre di seconda mano. Quando si vive in affidamento, spesso le famiglie hanno già altri bambini di cui si occupano e ci si ritrova a portare vestiti sporchi e pieni di buchi. Col passare degli anni, ho imparato a odiare l'odore del corpo degli altri: il loro vomito o il loro piscio.» «Per me non è stato così. Dev'essere qualcosa di genetico.» Mentre continuava a cercare, lui si spostò sul divano e la guardò. «Non penso di soffrire di un disordine ossessivo compulsivo, ma so di esserci vicino. Spendo una fortuna alla lavanderia a secco. Da anni mi rivolgo sempre alla stessa persona per le pulizie di casa: la signora Foster», disse lui con una risatina. «È davvero in gamba. Pulisce persino sotto il bordo dei rubinetti, e questa è una mia fobia particolare. Dovrei darle il suo numero, nel caso avesse bisogno di qualcuno per le pulizie.» «Di che fobia si tratta?» «Quella di entrare in un bagno perfettamente pulito, scintillante, di dare un'occhiata attorno al bordo del rubinetto e di vedere che è orribile, lurido.» Lui stava scherzando, cercava di affascinarla. Lei ricambiò il sorriso e passò a esaminare la mensola del caminetto. Anna osservò il riflesso di Daniels nel grande specchio dalla cornice di legno mentre lui ricominciava a parlare. «Quando ero bambino riuscivo a stare anche mesi senza fare un bagno; talvolta la sporcizia attorno al mio collo era disgustosa come quella sotto i rubinetti. Per anni non ho saputo che bisognava lavarsi i capelli. Le sembra possibile?» Lei si spostò accanto al tavolino vicino al divano. «C'erano molte donne che vivevano a Shallcotte Street. Nessuna di loro si è mai occupata di lei?» Lui si appoggiò il mento su una mano e la guardò. «I suoi genitori sono vivi?» «No. Purtroppo sono morti entrambi.» «Li amava?» «Fortunatamente, sì.» Lui le stava dedicando tutta l'attenzione, adesso, e Anna si accorse di a-
vere difficoltà a sostenere il suo sguardo. Era un uomo straordinariamente bello; aveva occhi incredibili. «Che lavoro facevano?» «Mio padre era un poliziotto. Mia madre era un'artista.» Lui non spostò lo sguardo. «Non ho mai conosciuto mio padre. In realtà, credo che non l'abbia mai conosciuto neanche lei.» «Ha mai cercato di rintracciarlo?» «Perché avrei dovuto fare una cosa simile?» «Be', se dovesse mai avere un figlio, potrebbe esserle utile sapere chi è.» «Chiunque sia, ormai mi verrebbe a cercare solo per i miei soldi.» «Immagino di sì.» Anna si spostò accanto al tavolino più vicino a lui. Daniels si girò con aria languida a pancia in giù e continuò a guardarla. «La vita è strana, vero?» Lei fu costretta a inginocchiarsi molto vicina a lui. Lui sporse la testa verso di lei. «Sa che cosa significherebbe per me se la stampa scoprisse che la Squadra omicidi ha perquisito la mia casa?» «Posso immaginarlo.» «Ne è sicura?» «Certo. Nel corso degli ultimi anni, molte celebrità sono state arrestate.» «E rilasciate», disse lui tirandosi indietro. «Sì, ma con le carriere rovinate. Per questo stiamo cercando di essere molto diplomatici nel suo caso.» «Non è stato diplomatico andare dal mio agente. Ha la lingua lunga. Mi ha chiamato subito, era in preda al panico. È stato molto spiacevole. Sentivo che moriva dalla voglia di parlarne con il mondo intero. Ha notato che lui e quel suo disgustoso carlino hanno occhi molto simili?» chiese. Lei rise a disagio. «È orribile andare a cena con lui. Lo porta dappertutto, persino al ristorante e lo fa sedere lì, sotto il tavolo, e il cane fa queste scoregge ripugnanti. Creatura nauseante.» Stare in sua compagnia era molto divertente, pensò Anna. Cercò di allontanarsi da lui e si mise a esaminare l'angolo più distante della stanza. «È sposata?» le domandò, con aria seduttiva. «Mi scusi, non ricordo il suo nome.» «Anna Travis. No, non sono sposata.» «Anna», ripeté lui in tono di apprezzamento. «Anna è un nome adorabile.»
«Grazie.» Lui si stiracchiò sollevando le braccia sopra la testa. «Vuole vedere cosa c'è qui sotto?» Lei soffocò un sorriso e lui reagì fingendosi sorpreso. «Voglio dire sotto i cuscini, naturalmente.» «Sì, naturalmente.» Lei continuò a stare al gioco, divertita. «Sì, grazie. È meglio che controlli.» Daniels si alzò in piedi. «Aspetti, le do una mano.» Cominciò a sollevar i cuscini per permetterle di guardarci sotto. Insieme, rimisero a posto i cuscini, quindi ripeterono la stessa procedura anche con l'altro divano. «Guardi come siamo precisi. Dovremmo sposarci», scherzò lui, cercando di incrociare lo sguardo di Anna. D'improvviso le prese una mano. «Anna, come vede sto solo cercando di aiutarvi, di collaborare, ma tutto questo mi turba davvero molto.» «Ne sono certa.» Lei annuì, comprensiva. Lui era troppo vicino e la faceva sentire a disagio. Anna poteva sentire il profumo della sua acqua di colonia. Tuttavia, Daniels le stringeva la mano troppo forte perché lei potesse allontanarsi senza uno strattone. «Non ho commesso quei terribili omicidi.» Per un attimo, i suoi occhi luccicarono di lacrime. «Lei lo sa, vero?» Anna non sapeva come reagire. Di colpo, lui le lasciò la mano e allargò le braccia. «Rischierei mai di perdere tutto questo? Soprattutto adesso che ho l'opportunità di sfondare veramente. Se questo nuovo film andrà bene, potrò lavorare a Hollywood. Questo tipo di successo, finora, mi è sempre sfuggito.» Lei guardò in direzione della porta, speranzosa. Lui si morse il labbro inferiore. «La sola cosa di cui sono colpevole è l'aver tentato di nascondere il mio passato. È un passato che ho sepolto e se dovesse riaffiorare sarebbe...» «È nostra intenzione garantire il massimo riserbo su questa faccenda», disse lei con decisione. Daniels fece una bassa risata. «La mia vita deve sembrare molto vuota in confronto alla sua.» «No.» «Probabilmente, ritiene molto triste dipendere così tanto dalle cose materiali.» «Non la seguo», disse lei, confusa. Una parte di lei non riusciva a credere che una famosa star del cinema fosse così gentile con lei. L'altra parte,
la parte professionale, disapprovava fortemente quella situazione. Lui le circondò le spalle con un braccio e lei trasalì. «Anna, voglio mostrarle una cosa.» Quando lei cambiò posizione, lui la guardò, sorpreso. «Voglio solo mostrarle una cosa.» Continuò a cingerle le spalle con il braccio e dalla tasca posteriore estrasse un portafogli di pelle di vitello. Langton arrivò silenziosamente sulla soglia e restò a osservarli mentre le loro teste si avvicinavano. «Non l'ho mai fatta vedere a nessuno prima d'ora», stava dicendo Daniels a bassa voce. Le mostrò una foto in bianco e nero di un bambino dagli occhi spaventati. Aveva i capelli unti e attaccati alla testa, indossava pantaloni corti grigi e sformati e un maglione fatto a mano. «È l'unica fotografia che ho della mia infanzia.» Nella tasca opposta del portafoglio c'era un'altra foto, un suo primo piano recente. Era abbronzato, bello e guardava dritto davanti a sé, con grande sicurezza. Alan picchiettò con un dito sulla fotografia. «Vede? Sono una di fronte all'altra. Una vive dentro l'altra. Una conforta l'altra. Queste due foto sono la ragione per cui sono così ambizioso.» Vi fu un sonoro colpo di tosse. Anna si allontanò di scatto, imbarazzata. «Abbiamo finito, signor Daniels», disse Langton freddamente. Lanciò ad Anna una strana occhiata. «Davvero?» domandò Daniels in tono leggero. Ripose il portafogli nella tasca. «Sì, signore. Ho intenzione di prendere alcuni oggetti e avrò bisogno di una sua firma.» Langton fece qualche passo nella stanza. Passando accanto ad Anna, le rivolse un brusco cenno col capo. «Vuole fare un giro della casa per accertarsi che non ci siano stati danni? Tu puoi tornare in macchina, Travis.» «Sì, signore.» Anna fece per allontanarsi ma Daniels le prese la mano. Lei si fermò, confusa, e restò a guardarlo portarsela alle labbra. «Arrivederci, Anna», mormorò lui in tono vagamente scherzoso. Arrossendo fino alla punta dei capelli, Anna si affrettò a uscire. Una volta in strada, scoprì che Lewis e Barolli se n'erano già andati. Salì sui sedili posteriori dell'auto di pattuglia e restò ad aspettare Langton con una certa trepidazione. Quando lui uscì dalla casa, per un attimo
Anna vide Daniels a una delle finestre del piano terra. Langton aprì la portiera dalla parte del passeggero, salì e la richiuse sbattendola così forte che l'auto ondeggiò. «Che cazzo stavi facendo?» Si voltò verso Anna. «Cosa intende dire?» balbettò lei. L'auto partì, il volto di Langton restò teso per la rabbia. «Avresti dovuto perquisire quella cazzo di stanza, Travis. Ma quando sono entrato, eri lì abbracciata a lui. Mi sembrava di essere il terzo incomodo. E che cazzo ti è saltato in mente quando gli hai permesso di baciarti la mano?» Lei deglutì rumorosamente. «Che cazzo stava succedendo? Non ho mai visto nessuno comportarsi in modo così poco professionale.» «Se solo cercasse di calmarsi per un attimo, le spiegherei tutto.» Lui la fulminò con lo sguardo. «Ti ha chiesto un appuntamento?» «No! Mi stava parlando della sua infanzia. Si stava aprendo. Poi, poco prima che lei entrasse, mi ha mostrato una fotografia.» «Che tipo di fotografia, Travis?» «Simile a quella che ci ha mostrato la sua prima madre affidataria: una foto in bianco e nero. E nell'altra tasca, ce n'era una recente.» «Davvero? E cosa deduci da questo?» ribatté lui bruscamente. «Ha detto che una viveva dentro l'altra. Ha anche parlato della sua paura di perdere tutto quello che ha guadagnato. Credo che abbia paura di tornare a essere quel bambino abbandonato.» Langton borbottò: «Be', sei una psicologa davvero in gamba. Travis. Mi fa piacere che tu abbia compromesso la tua dignità per questo prezioso frammento di informazioni. Non ha per caso accusato il bambino abbandonato di essere il vero serial killer?» Anna, depressa, non rispose. Parecchi minuti dopo, Langton tornò a voltarsi. Era più calmo, ora. «Abbiamo trovato le lastre dei suoi denti. Quando ci ha detto che erano andate perse, ha mentito.» Lei guardò fuori dal finestrino, senza parole. Decise di non dire quello che stava pensando, ovvero che, da maniaco dell'ordine qual era, probabilmente Daniels sapeva con esattezza dove fosse ogni cosa. Se quelle lastre avessero potuto metterlo in difficoltà in qualche modo, le avrebbe distrutte. Langton si ammorbidì ancora un po'. «Allora, dopo il tuo tête-à-tête con Anthony Duffy, che cosa pensi?»
Lei trasse un profondo respiro. «Che ha troppo da perdere. Non penso che metterebbe a rischio la sua agiata vita.» Ci fu una pausa. «Quindi, a tuo avviso, è il nostro uomo oppure no?» «No, non penso che sia lui.» Si sporse leggermente in avanti. «Lei cosa ne pensa?» «Che vorrei un guardaroba come il suo.» Le sorrise mesto. «Non è una vera risposta.» Anna riuscì a rivolgergli un mezzo sorriso. «Ti dovrai accontentare per adesso», disse lui. Langton sapeva che quella perquisizione avrebbe potuto rivelarsi un buco nell'acqua ed era preoccupato. La pace tra loro era tornata. 10. La mattina dopo, alle nove, Anna era già alla sua scrivania quando Lewis e Barolli uscirono dall'ufficio di Langton. Lewis le strizzò l'occhio con fare ammiccante e sussurrò: «Mi hanno detto che ti ha quasi sfilato le mutandine!» «Cosa?» sibilò lei. «Stavo solo scherzando, okay?» sogghignò Lewis. D'improvviso il suo cellulare si mise a squillare e lui si infilò una mano in tasca per prenderlo. Rimase ad ascoltare, poi afferrò la giacca e gridò: «Sta per nascere! Il bambino sta per nascere!» e rapidamente uscì dalla sala operativa, accompagnato da applausi e congratulazioni. Quando il baccano si fu quietato, Moira guardò Anna: «Andiamo. A me lo puoi dire. Che cos'è successo tra te e Alan Daniels?» «Cristo!» Anna spinse bruscamente indietro la sedia e, a grandi passi, si avvicinò allo schedario in cui Barolli stava esaminando le fotografie prese a casa di Daniels. Jean gli disse: «Mi hanno detto che ha un appartamento favoloso». Barolli annuì. «È una reggia. Naturalmente, non ho visto la camera da letto. Quella l'ha controllata Travis. Vero, Travis?» Anna sbatté un cassetto dello schedario chiudendolo. «Si può sapere cosa vi prende?» Moira disse ad Anna di ignorarli. Disse che stavano solo cercando di alleggerire l'atmosfera. Barolli sogghignò. Langton entrò nella sala operativa con l'impermeabile e l'ombrello fradi-
ci di pioggia. «Viene giù a secchiate», disse sbottonandosi l'impermeabile. Dalla tasca interna della giacca prese alcuni fogli e li porse all'agente più vicino. «Il rapporto dice che le radiografie non ci sono d'aiuto; le impronte non coincidono. Non sono stati i denti di Daniels a mordere Melissa.» «Abbiamo trovato qualcosa sul suo portatile?» domandò Barolli. Langton scosse la testa. Sembrava stropicciato e aveva bisogno di radersi. Anna si accorse che indossava ancora la camicia della sera prima. «Dov'è Lewis?» domandò lui. «Suo figlio sta per nascere», rispose Jean con un sorriso. «Bene.» Langton entrò nel suo ufficio con l'ombrello che lasciava una scia di gocce dietro di lui e si chiuse la porta alle spalle. «Ehi, Travis. Vieni a dare un'occhiata a questo.» Barolli teneva in mano una lente d'ingrandimento. Anna andò alla sua scrivania e si chinò per osservare una fotografia. «Quella con lui è Julia Roberts?» Anna si voltò per andarsene. «Non saprei.» Jean riagganciò il telefono e annunciò che il comandante e il sovrintendente capo stavano per arrivare. Poi si precipitò alla scrivania di Barolli e prese la lente d'ingrandimento. «Ma no! Non è nessuno. Non somiglia nemmeno a Julia Roberts. Daniels ha un gran fisico, però, vero? Verrà di nuovo qui, Anna?» Anna accese il suo computer e disse: «Non saprei, Jean». «Ma a questo punto, è un sospetto o no?» Anna si mise a battere furiosamente sulla tastiera. Langton mise la testa fuori dalla porta dell'ufficio. «Jean, puoi controllare il costo di un volo per San Francisco? E di altri voli interni per Chicago e Los Angeles?» «Sì, capo. Anche degli alberghi?» Langton annuì brevemente prima di rientrare. Jean si collegò a internet. Mentre controllava i voli, lanciò un'occhiata a Moira. «Sarà un bel viaggetto per qualcuno. Non andrà di certo da solo.» «Non guardate me, io odio volare», disse Barolli riponendo le fotografie nella busta da cui le aveva prese. «Posso vederle?» Anna allungò la mano. Barolli, seduto alla scrivania, le lanciò la busta. D'un tratto, tutti rimasero immobili. I pezzi grossi erano appena entrati nella sala operativa. Il comandante, due membri della squadra investigativa
e il loro capo rivolsero ai presenti gelidi cenni di saluto mentre si dirigevano verso l'ufficio di Langton. Jean sollevò il ricevitore, poi lo rimise sulla forcella. «Cazzo. Mi ero dimenticata di dirgli che stavano arrivando. Mi darà una strigliata.» Tutti smisero di parlare quando le veneziane che coprivano la finestra che dava sull'ufficio di Langton vennero chiuse. «Penso che il suo viaggio in America sia finito prima di cominciare», disse a bassa voce Moira. Barolli trasse un profondo respiro. «Ci scommetto, ci ridurranno ancora.» «Ma non possono fare una cosa del genere», disse Anna scioccata. «Sì che possono. Noi siamo stati chiamati per Mary Murphy. E questo è accaduto otto, nove mesi fa. Sono passati due mesi da quando è stata ritrovata Melissa Stephens e nemmeno su questo abbiamo ottenuto uno straccio di risultato. È troppo costoso tenerci tutti al lavoro su questo caso.» Gli agenti, involontariamente, lanciarono un'occhiata alla finestra chiusa e poi tornarono al lavoro. All'una, Jean portò caffè e sandwich nell'ufficio di Langton. Tornata nella sala operativa, informò gli altri che l'atmosfera era molto tesa. «Il capo ha la faccia di uno che è seduto sui carboni ardenti.» Nel suo ufficio, Langton sedeva infuriato e silenzioso. Non aveva ancora nemmeno cominciato ad affrontare l'argomento del viaggio negli Stati Uniti. Il comandante mise da parte il suo sandwich. «Voglio dire, James, che dobbiamo considerare seriamente la possibilità di ridurre la squadra. A quanto ho capito, il vostro sospetto, Alan Daniels, vi ha dato la sua piena collaborazione. La perquisizione del suo appartamento non ha prodotto alcun risultato, niente che lo coinvolga. Senza nuove prove, sarebbe molto costoso continuare le indagini con così tanti agenti.» «Ne sono consapevole», disse Langton freddamente. «Capisco le ragioni per cui vi state concentrando su Alan Daniels ma le prove sono del tutto indiziarie. Anche se non possiamo ignorare quello che ci dice l'istinto, dobbiamo riflettere a fondo su come hai intenzione di procedere.» «I risultati finora sono questi: c'è un serial killer a piede libero e, come hai letto nei rapporti, potrebbe aver commesso crimini simili anche negli Stati Uniti.»
Langton aprì il fascicolo sulle vittime americane. «L'ho letto, James», disse seccamente il comandante Leigh. «Ma l'assassino non potrebbe essere americano?» Esasperato, Langton sollevò le mani. «Non è plausibile. Daniels è stato negli Stati Uniti: ha girato film a Chicago, Los Angeles e San Francisco. Le coincidenze sono troppe. Sappiamo anche che in due occasioni, per un certo periodo, è stato a New York. Ho richiesto un controllo e...» Lei lo interruppe. «So dell'ultimo rapporto. Ma il fatto che si trovasse nello stesso luogo non significa necessariamente che sia coinvolto. Detto questo, se si scoprisse che l'assassino è americano, potremmo toglierci dai guai. Potremmo farlo sapere alla stampa.» Langton sapeva dove voleva arrivare. «Se te la senti. Ma io non voglio la responsabilità di chiudere la squadra per poi scoprire che c'è stata un'altra vittima», disse. «Perché sono maledettamente sicuro che l'assassino non si fermerà.» «Non è una questione di responsabilità», ribatté lei. «I costi, fino a questo momento, superano i risultati. Devo presentare il mio rapporto al vicecommissario. Questo significa decidere se non sia il caso di coinvolgere una nuova squadra, cosa che non vorrei fare perché aumenterebbe ancora di più i costi.» «Concedimi altro tempo, allora. Lasciami andare negli Stati Uniti a controllare i loro registri delle vittime. Hanno mandato solo dei rapporti in cui si dice che il modus operandi è lo stesso, ma se riuscissi a ottenere altri dettagli, potrei, se non altro per mia soddisfazione personale, escludere Alan Daniels.» Lei sospirò, impaziente. «Escluderlo? Cristo santo, non hai nemmeno uno straccio di prova che lo coinvolga e assolutamente niente che lo colleghi all'omicidio di Melissa Stephens. Non hai altro che un gruppo di donne che potrebbero averlo conosciuto e che potrebbero essersi conosciute tra di loro! Ho letto i rapporti.» Faticava a trattenere la rabbia. «Hai avuto ogni possibile opportunità. Mi dispiace dirlo ma oggi non mi hai detto niente che mi convinca a tenere un'intera squadra omicidi qui a Queen's Park.» «Hai già dimezzato la squadra. Non ti permetterò di andare oltre», disse lui con decisione. «Il punto non è quello che tu vuoi», disse lei con rabbia. «Ascolta, non lasciamo che la discussione degeneri, prenderò in considerazione la possibilità di darti altre due settimane.» «Dammi tre giorni. È quello che mi serve per andare oltreoceano e con-
trollare quei casi.» Il comandante guardò il sovrintendente capo Thompson che fino a quel momento non aveva detto che poche parole. «Io mi fido di James.» Con attenzione, appoggiò la tazza di caffè sulla scrivania. «Se ha la sensazione che ci sia la possibilità di ottenere un risultato, lo manderei anche in Alaska, se fosse necessario.» Langton gli rivolse un'occhiata piena di gratitudine. Il comandante prese la sua valigetta e si diresse alla porta. «Tre giorni, e tienimi informata. Dovremo preparare un comunicato stampa.» I membri della squadra guardarono incuriositi i capi uscire in processione dall'ufficio, ma non riuscirono a capire cosa fosse accaduto esattamente durante il colloquio. Una telefonata di Lewis rischiarò l'atmosfera. Fu Barolli a riferire la notizia con un grido: Lewis aveva avuto un maschio di tre chili e quattro. Parlò al telefono ancora per qualche istante, poi riagganciò. «Ha deciso di richiedere un permesso per maternità», disse Barolli sorpreso. «Credo che tu intenda un permesso per paternità», commentò Jean seccamente. «Che cosa gli hai detto?» domandò Moira. «Gli ho solo detto che da come stanno andando le cose qui, non vedo perché non dovrebbe.» Langton riapparve nella sala operativa. Chiamò Jean che stava stampando del materiale trovato su internet. «Hai le informazioni che ti ho chiesto?» Jean riordinò i fogli. «Mike Lewis ha appena avuto un maschio», lo informò. Lui la guardò confuso per un attimo, poi fece un mezzo sorriso. «Moira, mandagli una bottiglia di champagne e dei fiori per sua moglie. Da parte di tutti noi.» Tornò nel suo ufficio seguito da Jean. «Cristo, Jean, questi sono i voli più a buon mercato che sei riuscita a trovare?» «Sì. Ho controllato tutte le linee aeree e quello della Virgin Atlantic è il meno caro e va direttamente a San Francisco.» Gli porse gli altri fogli. «Le consiglio di noleggiare un macchina a San Francisco per poi andare a Los Angeles. Da lì, potrà prendere un volo interno per Chicago.»
«Grazie», disse lui bruscamente. Poi prese il telefono. Quando Jean tornò nella sala operativa, sorrise ad Anna con aria cospiratoria. «Si lamenta del prezzo ma non è così caro; l'intero viaggio verrà a costare meno di seicento sterline.» Moira aveva parlato al telefono con il Dipartimento di polizia di New York. «Non ci sono buone notizie da New York; nessun riscontro per i periodi in cui Daniels è stato lì.» Riferì il messaggio a Langton con una telefonata interna. Prese un paio di appunti poi guardò Jean. «Jean, puoi metterti in contatto con la CCP di San Francisco? È la divisione che si occupa degli omicidi di prostitute: la Crimini contro le prostitute fa parte della Buoncostume del Dipartimento di polizia di San Francisco. Devi chiedere del capitano Tom Delaware.» Moira si appoggiò alla scrivania di Jean e la guardò trascrivere quello che le aveva chiesto. «Langton vuole un albergo. In un posto che si chiama Tenderloin.» «Il Tenderloin?» chiese Jean. «Sei proprio sicura di aver capito bene?» «Ha detto proprio così. Il Tenderloin.» Langton era appena entrato nella sala operativa e quando sentì quello scambio di battute, disse: «Si chiama così perché, durante la Depressione, soltanto i poliziotti venivano pagati regolarmente e potevano permettersi una bistecca decente». Le due donne si voltarono a guardarlo, stupite, e l'ispettore capo scrollò le spalle. «Adesso lo sapete!» Jean e Moira tornarono al lavoro, ma quando videro Langton chinarsi sulla scrivania di Anna, rimasero a guardare con la coda dell'occhio. «Andremo col volo delle undici di domani mattina. Partiamo da Heathrow, è un volo diretto per San Francisco. Sai guidare una macchina con il cambio automatico?» «Sì», disse Anna. «San Francisco!» Langton si raddrizzò. «Jean, controlla i nostri visti appena possibile, per Travis e per me.» Tornò nel suo ufficio. Moira e Jean si scambiarono un'occhiata. Barolli si appoggiò allo schienale della sedia, irritato. Non che volesse andare a San Francisco, ma era convinto che sarebbe stato giusto che Langton glielo chiedesse dal momento che faceva parte della squadra da molto più tempo. Avrebbe anche voluto sapere cosa diavolo sarebbe successo a Londra in assenza del capo. Langton notò l'espressione di Barolli e aggiunse: «Con Mike impegnato a fare il padre, ho bisogno che sia tu a gestire la sala operativa».
«Quindi esiste ancora una sala operativa», disse Barolli cupamente. «È tutto appeso a un filo. Abbiamo solo due settimane. Parlerò alla squadra tra quindici minuti.» «Benissimo», disse Barolli, per nulla ammorbidito. «E so che detesti terribilmente volare. La strada tra San Francisco e Los Angeles è lunga e dovrò guidare per ore, poi mi aspetta un volo interno fino a Chicago. E ho solo tre giorni per andare e tornare.» «Dannazione.» Barolli emise un fischio. «Tutto dipende dai risultati che otterremo.» Langton si massaggiò il mento che aveva davvero bisogno dell'intervento di un rasoio. «Quindi, mentre sono via, dovrai scavare più a fondo; scopri qualsiasi cosa che mi permetta di togliermi dalle palle quella donna.» «D'accordo. Sarà fatto.» Anna era talmente eccitata che quasi non riusciva a trattenersi. Era la prima volta che andava in America e per di più avrebbe visitato tre delle città più importanti. Segretamente, era anche felice del fatto che avrebbe viaggiato in compagnia di Langton: sarebbero stati solo loro due. Tornata a casa, Anna passò gran parte della serata a scegliere i vestiti da mettere in valigia. Lei e Langton si sarebbero incontrati all'aeroporto alle nove e trenta il mattino dopo. Prese il passaporto e si assicurò di avere abbastanza denaro da cambiare i dollari all'aeroporto. Alla fine, mise la valigia vicino alla porta, pronta per la partenza del mattino. Erano da poco passate le dieci quando il suo telefono squillò. Anna si precipitò a rispondere pensando che fosse Langton. «Anna», disse un uomo dolcemente. «Sì. Chi parla?» «Oh, andiamo. Non riconosci la mia voce?» Anna sentì drizzarsi i capelli sulla nuca. «No, mi dispiace», mentì. «Chi parla?» «Okay, ti piace fare la preziosa. Per me non c'è problema», rise lui. «Sono Alan Daniels.» Lei tentò di riordinare i pensieri. «Come ha avuto il mio numero?» «È sull'elenco, naturalmente.» «Ah, sì.» «Vuoi sapere perché ti ho chiamata?» «Sì, è molto tardi.» Avrebbe voluto poter registrare la telefonata. «Ti piace il balletto?» «Sì. Mi piace. Molto.»
«Mi hanno dato due biglietti. Mi farebbe un immenso piacere se ti unissi a me; magari poi potremmo cenare insieme, all'Ivy, per esempio.» «Oh, be', ehm, sì. Amo il balletto.» Deglutì rumorosamente. «Per quando sono i biglietti?» «Domani sera. So che ti ho dato poco preavviso, ma...» «Mi dispiace tanto, signor Daniels...» «No, no, no... chiamami Alan», la interruppe lui. «Sfortunatamente, non ci sarò.» Per poco non gli disse che stava andando negli Stati Uniti ma si fermò in tempo. «La ringrazio molto di aver pensato a me, Alan.» «Dove vai?» «A Manchester», mentì lei. «Per quale ragione?» chiese lui. «Eh, per lavoro.» «Potremmo comunque riuscire a vederci. A che ora torni?» «Il fatto è che dovrò trattenermi per la notte.» «Be', allora sarà per un'altra volta. Ti farebbe piacere se ti chiamassi ancora?» «Sì, sì, certo. La ringrazio per aver pensato a me.» «Naturalmente. Buonanotte, Anna.» Daniels riagganciò. Il suo numero di telefono non era sull'elenco. Come aveva fatto a trovarlo? Mentre faceva la doccia, ripensò a ogni parola della conversazione. Era impossibile che Alan Daniels avesse semplicemente ipotizzato che potesse piacerle il balletto. Anna adorava il balletto. Come aveva fatto a scoprirlo? Anna si preparò un sandwich e una tazza di tè. La telefonata aveva smorzato una parte della sua eccitazione per il viaggio negli Stati Uniti. Alla fine andò a letto. Si allungò per spegnere la lampada sul comodino ma si fermò e ritrasse la mano. La fotografia di suo padre era orientata in modo da essere rivolta verso la stanza. Anna la toccava ogni notte prima di spegnere la luce. Era sempre rivolta verso di lei, verso il letto, non nella direzione opposta. Strinse gli occhi con forza. Era spaventata. Era stata lei a spostare la fotografia mentre rassettava quella mattina? Cercò di ricordare con esattezza che cosa avesse fatto ma in realtà sapeva di non averla toccata. Aveva lasciato la porta di casa aperta quando era andata a portare giù la spazzatura, ma solo per pochi minuti. Possibile che lui fosse entrato in casa sua? Anna si alzò e si aggirò per il piccolo appartamento. Si assicurò che nient'altro fosse stato spostato, chiuse la porta di casa a doppia mandata e
mise anche il paletto, cosa che faceva raramente. Tornò a infilarsi sotto le coperte e si tirò il copriletto fino al mento. Nell'oscurità, ciò che prima le sembrava rassicurante, adesso la terrorizzava. Era possibile che qualcuno si stesse nascondendo dietro la porta socchiusa del guardaroba? Si disse di non fare la ragazzina, tuttavia accese comunque la lampada sul comodino. Guardò il volto forte di suo padre nella fotografia e sussurrò: «Qualcuno è stato qui, papà?» La mattina dopo, all'aeroporto, Anna individuò subito Langton. L'ispettore capo aveva con sé solo un leggero portabiti e non aveva altri bagagli. Lei lo raggiunse al banco della Virgin Atlantic con la sua valigia. «Pensi di poterla portare sull'aereo?» chiese lui, scettico. «Posso abbassare la maniglia», insistette lei. «Bene. Meno tempo sprechiamo per riprendere i bagagli, meglio è.» Dopo il check-in si diressero verso le partenze. Langton, come sua abitudine, camminava velocemente; Anna, tirandosi dietro la valigia, faticava a stare al passo. «Voglio comprare una macchina fotografica», disse lui dirigendosi in fretta verso il duty free. Lei restò in disparte mentre Langton si spostava da un espositore all'altro rimuginando e soppesando i vari modelli. Alla fine ne scelse una molto piccola e dotata di zoom e, dopo aver pagato, andò a comprare le sigarette e una bottiglia di whisky di malto. Poi passò al reparto profumi e le chiese quale le piacesse di più dal momento che lui non sapeva quale scegliere. «Dipende dalla persona per cui lo vuole comprare», rispose Anna, ansiosa di sapere. «Spruzzati un po' di quello e fammelo sentire.» Lei si spruzzò il profumo sul polso da un tester. Quando lui le prese le mano e l'annusò, Anna si sentì attraversare da una scarica elettrica. «Questo andrà benissimo.» Quando le annusò il polso un'altra volta, Anna cominciò ad arrossire. «Le piacerà», disse lui incrociando il suo sguardo. Poi, dopo un istante, aggiunse: «È per Kitty». Un attimo dopo era già al bancone e stava pagando il profumo. Anna lo guardò allontanarsi. Indossava un completo grigio che non gli aveva mai visto e una camicia azzurra con i polsini e il colletto bianchi. Inoltre si era rasato con cura; era molto attraente. Finalmente salirono sull'aereo. Anna prese posto vicino al finestrino e allacciò la cintura di sicurezza mentre lui si toglieva la giacca, la piegava
ordinatamente per riporta nello scomparto sopra i sedili. Quando si sedette accanto a lei e si allacciò la cintura, erano così vicini che la spalla di Anna toccava quella di lui. «Sapevi che Barolli detesta volare?» le chiese Langton, prendendo la rivista della compagnia aerea dalla tasca sul sedile di fronte. «Daniels mi ha telefonato ieri sera», disse lei a bassa voce. «Cosa?» Langton mise giù la rivista e si voltò a guardarla. «Mi ha chiamato a casa. Erano le dieci passate. Ha detto che il mio numero era sull'elenco ma non c'è.» Lui la fissò, confuso. «Perché non me lo hai detto prima? Che cosa ti ha detto?» Lei gli riferì la conversazione quasi parola per parola. «Nient'altro?» chiese lui quando Anna ebbe finito. Lei esitò. Quando si era svegliata, quella mattina, si era sentita meno certa di non aver spostato la fotografia di suo padre. «No, nient'altro.» «Dimmi una cosa, Travis. Daniels ti piace?» «No, per niente!» disse lei con decisione. «A proposito, non so cos'abbia detto a Barolli di quello che è successo a Queen's Gate ma le sue battute non sono molto divertenti.» «Non prendertela così. Sta' a sentire, se Daniels ti invita fuori un'altra volta, voglio che tu accetti. Metteremo il tuo telefono sotto controllo. E se uscirai con lui, ti faremo sorvegliare.» Sembrava talmente eccitato per quella informazione che Anna si sentì vagamente infastidita. «Oh, grazie mille. Non mi ha neanche chiesto come mi sento.» «È una sindrome classica, non capisci? Vuole delle informazioni.» «Immagino di non avere scelta, giusto?» «Sono sicuro che sarà eccitato al pensiero di essere così vicino alle indagini, così vicino a qualcuno che sta lavorando per cercare di inchiodarlo. Non potrebbe andare meglio, Travis.» «Quindi pensa ancora che sia lui?» Langton ignorò la domanda, armeggiò con il bracciolo per sollevare il piccolo schermo del sedile. «Ma se si sbagliasse?» insistette lei. «Se fosse innocente?» «Vuoi dire se tu gli piacessi davvero?» «Non è questo che intendevo.» «Veramente? C'è una stella del cinema che potrebbe avere qualunque donna volesse e invece si invaghisce del sergente Anna Travis. In qualche
modo, riesce ad avere il suo numero di telefono e la chiama sperando in un appuntamento. Ti sembra plausibile? Andiamo, cerca di crescere!» «Ho detto soltanto: e se si sbagliasse?» Lui, ostinatamente, si mise gli auricolari. «Fine della conversazione!» «Non è la prima volta che un uomo mi invita a uscire», disse lei, imbronciata. Lui si tolse appena le cuffie. «Non essere permalosa. Ti credo. Ma quanti degli uomini che ti hanno invitata fuori erano sospettati di omicidio? Sei uscita con qualche serial killer, di recente? Svegliati, Anna. Il nostro uomo è pericoloso. Ti sta addosso perché è un gioco che lo diverte.» «E cosa mi dice del fatto che le lastre non coincidono con il morso sulla lingua di Melissa?» Per tutta risposta, lui si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi, ascoltando il programma musicale dell'aereo. Lei guardò fuori dal finestrino. E se avesse avuto ragione Langton? E se si fosse sbagliato? Perché la verità non poteva semplicemente essere che Daniels era interessato a lei? Dopo un po' anche Anna si appoggiò allo schienale e cercò di dormire, ma non riusciva a smettere di pensare a Daniels, alla fotografia della sua infanzia che lui le aveva mostrato. Era vero che non l'aveva mai mostrata a nessuno prima? Aveva bisogno di usare la toilette. Si slacciò la cintura e dovette scavalcare Langton che era semisdraiato. Lui non si tirò su a sedere nemmeno quando lei tornò al suo posto, anche se si rigirò nel sonno. Anna guardò allarmata la testa di lui ciondolare verso la sua. Era una strana sensazione, sentirlo cosi vicino. Che peccato che non le piacesse più. E Langton, era evidente, non aveva una grande opinione di lei. A un certo punto, durante il volo, anche lei chiuse gli occhi. Entrambi cambiarono posizione. Anna si svegliò con la testa sulla spalla di lui e lui che, gentilmente, le accarezzava una guancia. Si tirò su di scatto. «Mi scusi», disse lei imbarazzata. «Va tutto bene. Stavo cercando di svegliarti. Atterriamo tra quindici minuti.» «Bene.» Anna si sentì ancora più disorientata quando lui si chinò verso di lei. «Stavi russando», disse lui, divertito. Lei lo guardò, perplessa. «Anche lei russava! Ma sono stata troppo gentile per farglielo notare.»
Lui rise. «Be', incrociamo le dita per oggi.» Raddrizzò lo schienale. Poi le sorrise. «Dormi come una bambina. Ti stavo solo prendendo in giro.» Anna non disse niente ma decise che lui le piaceva di nuovo. A San Francisco faceva più caldo del previsto. Alle due del pomeriggio, la temperatura aveva già raggiunto i ventitré gradi. Langton chiese al tassista di portarli al Super 8 Motel di O'Farrell Street, che si trovava solo a un quarto d'ora di strada dall'aeroporto. Il motel era nel Tenderloin, vicino alla centrale di polizia. Quello era il quartiere a luci rosse, probabilmente il peggiore della città, pieno di spacciatori, drogati e prostitute che pattugliavano le strade. Il tassista spiegò: «È un posto fantastico ma dovete fare attenzione: le strade non sono molto sicure e bisogna stare attenti agli spostati. Quindi non lasciateli avvicinare, ma il 'Loin è un posto grandioso e ci sono ristoranti fantastici». Quando arrivarono al motel, Langton diede appuntamento ad Anna alla reception di lì a venti minuti. C'era a stento il tempo di disfare i bagagli, così Anna fece una doccia veloce e si cambiò la camicia. Alla reception trovò Langton impegnato a parlare con il concierge. Aveva diverse cartine e lui e l'uomo si davano già del tu. Il suo nuovo amico gli diede i documenti per il noleggio dell'auto e le chiavi. Langton e Anna raggiunsero il parcheggio. Quando lui individuò la loro auto, rimase sorpreso dalle dimensioni del veicolo. Era una Chevrolet Metro azzurro chiaro; all'interno aveva il profumo di un roseto. «Va bene. Tu guidi, io ti darò le indicazioni», disse lui salendo dalla parte del passeggero e aprendo la cartina. Anna trasse un profondo respiro. «Usciti dal parcheggio, gira a destra e ricordati che qui si guida sull'altro lato della strada. Procedi per un po', poi a sinistra, a destra, a destra, un'altra volta a sinistra e dovremmo esserci.» Spiegò ad Anna che avevano appuntamento con il vice-capo all'Ufficio Investigativo, poi sarebbero andati a parlare con il capitano Tom Delaware, che faceva parte della Buoncostume. Anna riuscì a portarli indenni fino al Dipartimento di polizia. Ogni volta che Langton le indicava la strada in tono secco, Anna digrignava i denti. Alla fine, mentre attraversavano il grande parcheggio davanti al Dipartimento di polizia di San Francisco, Langton le ordinò di «parcheggiare e basta». Lei tirò il freno a mano e lo guardò, furiosa. «Vuole guidare lei? O ha intenzione di lasciarmi fare?» Alla fine trovò un posto libero contrassegnato dalla parola «Visitatori».
In silenzio, lei e Langton si incamminarono verso l'ingresso principale del Dipartimento di polizia. All'interno dell'edificio si gelava per l'aria condizionata. L'incontro con il vice-capo fu breve e attinente al motivo per cui Langton e Anna erano lì. Quando controllò i loro documenti e i loro passaporti, parve quasi volersi scusare e spiegò che era una procedura necessaria dal momento che avrebbero avuto accesso a fascicoli e rapporti su alcuni casi. Una giovane agente li accompagnò poi all'ufficio del capitano Delaware. Bussò e li fece entrare. Tom Delaware era un uomo grosso e robusto, con il ventre che sporgeva sopra la cintura dei pantaloni, e una forte personalità. Li salutò calorosamente e offrì loro del caffè. Langton e Anna rifiutarono. L'ispettore capo gli porse il whisky comprato al duty free. Delaware sogghignò. «Mi colpisci al cuore.» Esaminò la bottiglia poi la mise in un cassetto della scrivania. «So che avete tempi molto stretti, quindi cominciamo subito.» Da uno spesso fascicolo che si trovava sulla sua scrivania, estrasse una foto della vittima: Thelma Delray, ventiquattro anni. Langton pensò che ne dimostrava di più ma non disse niente. La sua triste storia era uno specchio di quelle delle vittime inglesi. «Trixie», come la chiamava Delaware, era una nota prostituta che aveva lavorato nel distretto a luci rosse fin da quando era una ragazzina. Ogni volta che era stata affidata a una famiglia era fuggita per tornare dal suo protettore ed era finita immediatamente sulla strada. Era una tossicodipendente e anche secondo Anna sembrava dimostrare più anni di quanti non ne avesse. Le foto del cadavere ricordavano quelle delle loro vittime. I primi piani confermavano che il modus operandi era stato lo stesso. Il modo in cui era stato annodato il reggiseno sembrava lo stesso e i collant erano avvolti attorno al collo tre volte. «Qualche sospetto?» domandò Langton. Tom disse che il suo magnaccia sembrava non avere alcun movente: Trixie gli faceva guadagnare un bel po' di soldi. Perché uccidere la gallina dalle uova d'oro? Inoltre aveva un'alibi di ferro. Si trovava nel loro appartamento di Bay View, insieme a due testimoni, l'ultima volta che la ragazza era stata vista viva. Tre settimane più tardi l'avevano trovata a faccia in giù nel John Macauly Park, in avanzato stato di decomposizione. Era stata un'estate caldissima. «È stato uno degli inservienti del parco a scoprire il cadavere. Il figlio di
puttana l'ha scaricata quasi in bella vista. Avrebbero potuto trovarla anche dei bambini.» L'ultima notte in cui Trixie era stata vista viva, diverse ragazze l'avevano vista parlare con qualcuno a bordo di un'auto. Era mezzanotte; Trixie non era più tornata al suo solito posto. «Chi è stato a identificare il corpo?» volle sapere Langton. «La madre.» Langton mise sulla scrivania una foto di Alan Daniels. «Ha mai visto quest'uomo?» Delaware si accigliò. «No. Direi proprio di no.» Il capitano, a bordo di un'auto di pattuglia, li accompagnò al parco per mostrare loro il punto in cui era stato scoperto il cadavere di Trixie. «Siamo convinti che l'assassino l'abbia portata qui, che l'abbia fatta scendere dalla macchina e che l'abbia uccisa dietro quei cespugli. Un testimone ha visto un'auto parcheggiata laggiù ma non è riuscito a ricordarsi il modello. Non abbiamo la targa e il testimone dice che aveva i fari spenti.» Erano le sei e mezza e nel quartiere a luci rosse le ragazze erano già in strada. Anna guardò fuori dal finestrino dell'auto di pattuglia. Era così stanca che le si chiudevano gli occhi. Era normale, secondo l'ora di Londra era mezzanotte passata. Langton, invece, sembrava in perfetta forma e propose ad Anna di lasciarla al motel mentre lui e Tom andavano a farsi una birra. Anna era irritata. Sapeva che Langton la stava scaricando. Ma quando arrivò al motel si sentì sollevata. Andò al ristorante dove mangiò un hamburger e poi tornò subito in camera. Controllò la strada per Los Angeles prima di andare a dormire. Il giorno dopo avrebbero dovuto fare un lungo viaggio. Nel frattempo, Langton stava facendo il giro dei bar in compagnia di Tom Delaware. All'inizio Tom credette che Langton fosse alla ricerca di compagnia per la notte ma ben presto si accorse che non era così. Quando arrivarono al Joe's Restaurant in una delle zone più malfamate, all'incrocio tra Taylor Street e Turk Street, Tom aveva mal di piedi ed era affamato. Si sedettero in un comodo séparé con i sedili neri e borgogna e Langton domandò a Tom se ci fosse stata una troupe cinematografica nella zona nel periodo in cui Trixie era stata assassinata. Tom non si ricordava ma chiamò un suo amico ex poliziotto che arro-
tondava la pensione trovando location per le troupe cinematografiche. Mentre lo aspettavano, parlarono ancora e mangiarono. A mezzanotte, l'ex poliziotto li raggiunse e davanti a una tazza di caffè Langton gli mostrò la fotografia di Alan Daniels. Anna si svegliò di soprassalto. C'era stato uno schianto rumoroso nella stanza accanto alla sua. Guardò l'orologio: erano le tre e mezza. Un altro schianto. Forse si era trattato dell'asse da stiro che cadeva sul pavimento. Quindi Langton non sbatteva soltanto la porta del suo ufficio ma riusciva a essere rumoroso ovunque si trovasse. Poi lo sciacquone venne tirato. Altri colpi e tonfi. Anna lo sentì imprecare un paio di volte poi vi fu il clic delle luci che venivano spente. Poi accese, poi spente; perse il conto. Alla fine, silenzio. Anna non riuscì a riaddormentarsi, forse perché adesso a Londra erano le otto del mattino. Si alzò riluttante e fece un'altra doccia per svegliarsi del tutto. Alle cinque del mattino si sdraiò e chiuse gli occhi pensando che avrebbe ordinato la colazione. Si svegliò di soprassalto. Le sembrava di sentire una sirena antincendio. Ma il rumore giungeva dalla stanza accanto alla sua. Langton evidentemente si era alzato e stava facendo la doccia. Decise di vestirsi e di raggiungerlo per fare colazione. Andò a bussare alla sua porta. Lui l'aprì bruscamente. «Mi chiedevo se le andasse di fare colazione», disse Anna evitando di guardarlo. Aveva solo un asciugamano attorno alla vita e in una mano teneva un muffin. Anna notò che era in forma, che aveva lo stomaco piatto e il petto villoso. Ricordava che Pamela Anderson aveva detto che Langton era molto atletico. Tuttavia, rimase sorpresa nel notare che era anche molto snello e in forma smagliante. «Cosa?» grugnì lui. «Vado a fare colazione», disse lei, goffa. Lui indicò il suo muffin. «Ci vediamo alle nove al banco della reception.» «Ci vediamo dopo», disse lei tornando nella sua stanza. Lui sbatté la porta. Langton aveva un doposbronza tremendo e stava malissimo. Anna era al volante e stava studiando la cartina dell'autostrada quando Langton attraversò il parcheggio del motel. Aprì il bagagliaio, vi mise dentro il portabiti, poi salì dalla parte del passeggero. «Sai dove stiamo andando?»
«A Los Angeles», rispose lei. «Esatto. Hai bisogno che ti faccia da navigatore.» «No, ho studiato la cartina. È quasi tutta autostrada.» «Bene.» «Allora siamo pronti?» chiese lei. Lui annuì stancamente. «Si è divertito ieri sera?» Lui chiuse gli occhi. «Stavo lavorando, Travis. Cosa pensi che stessi facendo, bagordi con Delaware?» «Ha mangiato?» Lui sospirò. «Sì, mamma. Adesso possiamo andare? Vorrei chiudere gli occhi per un po'.» Mentre lasciavano il parcheggio, Langton abbassò lo schienale per potersi sdraiare. Anna impiegò un po' a trovare l'ingresso giusto dell'autostrada e finì a spostarsi in cerchio in giro per la città, tuttavia trovò molto divertente andare su e giù per le colline di San Francisco. Almeno stava vedendo qualcosa della città. Si fermarono a fare il pieno, poi continuarono lungo l'autostrada. Anna stava cominciando a divertirsi quando lui si svegliò di colpo. «Siamo arrivati?» «Non ancora», rispose lei. Lui rialzò lo schienale e parve d'un tratto del tutto sveglio. «Ieri notte ho parlato con parecchie prostitute, Travis, e anche con qualche protettore. Ho mostrato a tutti la fotografia, non ho ottenuto niente.» «È sicuro che sia stata una buona idea? Qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo.» «Era questa l'idea, Travis. Tom Delaware ha chiamato un suo amico che lavora per una società che si occupa di trovare location per le troupe cinematografiche.» Langton guardava la strada davanti a loro, concentrato. «Il film in cui ha recitato Alan Daniels è stato girato per lo più al porto. Gli attori stavano in grosse roulotte, non in albergo. Ma l'uomo lo ha riconosciuto.» «E?» «Era lì nel periodo in cui la ragazza è stata vista viva per l'ultima volta. Avevano girato per quattro giorni e poi si erano trattenuti per altri due. Quando il corpo è stato trovato, si erano già spostati in un'altra location.» Anna ascoltava attentamente, continuando a guidare. «Mi ha anche detto che molti componenti della troupe erano stati nel
quartiere a luci rosse e che molte prostitute andavano sul set in cerca di clienti. Gli attori avevano Limousine con autista ma a loro disposizione c'erano anche molte auto a noleggio perché potessero andare in giro per la città quando non c'era bisogno di loro sul set.» Anna ripensò all'unico testimone che aveva visto una macchina ma che non era riuscito a ricordarsi il modello e il numero di targa. «Così tutto quello che sappiamo per certo è che Daniels era lì e che aveva l'opportunità», disse. «Potrebbe aver visto Trixie nelle vicinanze del set e poi averla caricata la notte della scomparsa.» «Sì, proprio così», sospirò lui. Tom Delaware avrebbe controllato se risultava un'auto a noleggio a nome di Daniels. Nessuno dei membri della troupe o del cast era stato interrogato dal Dipartimento di polizia di San Francisco; comunque ormai era passato molto tempo e Delaware dubitava che qualcuno si ricordasse ancora di qualcosa. Langton restò in silenzio per qualche istante. «Abbiamo fatto molta strada per scoprire quello che più o meno sapevamo già», emise un lungo sospiro e appoggiò il braccio sullo schienale del sedile del guidatore. «Guidi bene, Travis», commentò dopo un momento. «La ringrazio. Non è per questo che mi ha chiesto di venire con lei?» Lui non rispose. Anna sentiva il calore del braccio di lui dietro le sue spalle. «So che è lui e che le sue vittime sono sempre più giovani. Trixie aveva solo ventiquattro anni; Melissa solo diciassette.» «Pensavo che avesse deciso di togliere Melissa dall'equazione», disse lei. Langton ritrasse il braccio. «Non l'ho fatto. Daniels è un figlio di puttana veramente astuto. Prima dice di avere distrutto o perso le lastre dei denti. Poi le troviamo e lui si limita a dire di essersene dimenticato.» «Ma non sapeva che avremmo ottenuto un mandato di perquisizione, giusto?» Lui sbuffò. «Andiamo, è stato portato alla centrale per essere interrogato su un caso che riguarda sette omicidi. Se è il nostro uomo, sicuramente ha capito che avremmo cercato di perquisire casa sua. Penso che ci abbia fatto trovare le radiografie per sviarci.» «È possibile», disse lei con scarsa convinzione. «C'è anche un'altra cosa.» Langton si sporse in avanti e prese a giocherellare con i comandi dell'aria condizionata. «L'ex poliziotto - sai, il tizio delle location - ha detto che avrebbe controllato le cose che potevano essere d'aiuto; ha anche detto che molti attori andavano e venivano dal set an-
che quando erano impegnati con le riprese ogni giorno. C'è stato un violento temporale e così per un giorno non hanno potuto girare.» «E questo cosa ci dice?» «Forse ci dà una nuova prospettiva sulla Cornovaglia. Abbiamo controllato le date e, sì, Daniels era impegnato per tutta quella settimana, ma non ci siamo chiesti se le riprese non si siano fermate a causa del maltempo. E se Alan Daniels non si fosse trovato in Cornovaglia la sera dell'omicidio di Melissa Stephens?» Anna rimase in silenzio. Lui la spronò. «Che cosa ne pensi?» «È possibile», rispose lei dubbiosa. «Ma se invece fosse rimasto in Cornovaglia tutto il tempo? Se si fosse semplicemente dimenticato dove aveva messo le lastre? Se Alan Daniels non fosse il nostro assassino?» «È lui.» «Ma le supposizioni e i forse potrebbero essere anche uno spreco di tempo prezioso. Se togliamo Daniels dall'equazione, che cosa ci rimane?» «Grazie per il voto di fiducia, Travis.» «Dico sul serio. Che cosa ci resta?» Lui la fulminò con lo sguardo. «Ci restano sette donne morte, otto con Trixie, forse dieci dopo che saremo tornati in Inghilterra. Vittime ignorate da tutti perché facevano parte dell'immondizia della società.» «Non è vero!» «Invece è fottutamente vero. Esclusa Melissa, naturalmente.» «Su tutti i casi ci sono state delle indagini.» «Stronzate. Se non avessi riaperto quei fascicoli, nessuno avrebbe più pensato a quelle povere puttane. Guarda lo Squartatore dello Yorkshire. Undici donne morte prima che lo arrestassero.» Anna stava cercando di non discutere. «Hanno arrestato lo Squartatore cinque volte. Eppure fino alla fine non sono riusciti a inchiodarlo. Era identico all'immagine fornita dai testimoni ma lo hanno rilasciato perché si stavano concentrando su un nastro che era stato mandato loro.» Strinse il volante più forte. «E l'uomo del nastro non aveva l'accento dello Yorkshire. In altre parole, hanno perso un sacco di tempo studiando una prova mandata da qualche mitomane che non aveva niente a che fare con l'assassino.» «Quindi pensi che stia perdendo tempo?» chiese lui bruscamente. «Forse sta sprecando tempo con Daniels. È questo che sto dicendo.» Sopra di loro cominciarono ad apparire indicazioni per Los Angeles.
Anna chiese a Langton di controllare la cartina per scoprire quale fosse la loro uscita. Lui rimase a studiarla per un po' poi, imbarazzato, la girò dall'altra parte. «Tu esci alla prossima. Poi troveremo la strada.» Lei fece un profondo respiro. Lui si appoggiò allo schienale e disse a bassa voce: «Oh, cazzo, cazzo, forse mi sono perso». «No, è tutto okay», disse lei a denti stretti. «Il cartello dice "Sunset".» «Non intendevo questo, Travis. E se tu avessi ragione e stessi girando a vuoto?» Le rivolse un sorriso obliquo. «Cristo, sei proprio come il tuo vecchio. Lo sapevi, Travis?» Non avrebbe potuto farle un complimento migliore. Quando Langton aggiunse: «E sei altrettanto insopportabile», Anna scoppiò a ridere e lui si unì alla sua risata, facendo svanire la tensione. Poi Langton tornò a concentrarsi sulla cartina e cominciò a darle indicazioni per raggiungere il loro albergo. 11. A Los Angeles faceva ancora più caldo: più di ventisei gradi. Anche se il Beverly Terrace Hotel era più piccolo di quello di San Francisco, aveva la piscina. L'appuntamento era fissato al Dipartimento di polizia di Los Angeles alle due e trenta, quindi avrebbero avuto tempo per disfare i bagagli, fare una doccia o semplicemente rilassarsi. Anna decise di fare un tuffo in piscina. Era arrivata alla decima vasca quando vide Langton. Nuotò fino alla scaletta. «Ha bisogno di me?» chiese. «Finisci di nuotare.» «No, va bene così.» Si scrollò i capelli bagnati. «È solo che sono riuscito a mandare un'email alla centrale», spiegò lui. «Sai, per chiedere un aggiornamento.» Anna stava uscendo dall'acqua, il costume bagnato appiccicato al corpo. Lui l'aiutò sostenendola per il gomito. «Barolli si è messo in contatto con la casa di produzione a Londra per controllare la scaletta di Daniels. Per scoprire se ha avuto delle giornate libere nella settimana del sette febbraio; se ha avuto abbastanza tempo per
andare e tornare dalla Cornovaglia a Londra.» Anna si sedette sulla sdraio e Langton le porse un asciugamano. «Grazie. E il dentista che lo ha curato qui?» «Devo mettermi in contatto con lui. Il laboratorio della scientifica gli sta mandando tutti i dettagli via email. Dovremo andare fino a Orange County. È lì che la vittima è stata ritrovata. Quindi forse dovremo metterci in contatto con il loro dipartimento.» «D'accordo.» «Credo che seguirò il tuo esempio e farò qualche bracciata anch'io», disse lui, ma non si mosse. «Ha portato il costume?» chiese Anna. «No, ma i miei boxer andranno benissimo.» Langton si alzò e andò in una cabina per spogliarsi. Lei raccolse le sue cose e finì di asciugarsi; attese che lui tornasse visto che aveva lasciato lì la sua giacca e il suo portafoglio. Lui riapparve con un asciugamano attorno alle spalle e i vestiti arrotolati sotto il braccio. «È davvero in forma, tutto considerato», disse lei, asciugandosi i capelli. «Tutto considerato, cosa?» «Be', fuma troppo, beve e - fa mai esercizio fisico?» «Se faccio mai esercizio fisico?» chiese lui ironico. «Sì.» «Ne facevo, fino a qualche anno fa.» «Oh, davvero?» disse Anna fingendo di non saperne nulla. Poi gli chiese se avesse mai giocato a tennis e lui scosse la testa. «Avevo una bici da corsa. Sei mai stata su quella pista, non è lontana da dove vivi? A volte ci andavo la sera tardi, scavalcavo la recinzione sollevando la bici e correvo nell'oscurità. Mi serviva a schiarirmi le idee. È un po' di tempo che non lo faccio più.» «E adesso ha le idee chiare, vero?» scherzò lei. Lui inclinò la testa di lato. «Sempre in cerca di informazioni, vero, Travis? Be', adesso ho le idee chiare ma le avrò molto più chiare dopo una bella nuotata.» Lasciò cadere i suoi vestiti sulla sdraio di Anna. «Quando hai finito, potresti portare i miei vestiti nella tua stanza? Mi sono dimenticato che ho la carta di credito e il portafogli nella giacca.» Lasciò cadere l'asciugamano e, dopo un tuffo abbastanza impacciato, cominciò a nuotare lentamente a stile libero. Lei lo osservò per un paio di
vasche, poi raccolse i suoi vestiti e tornò in camera. Anna aveva appena finito di asciugarsi i capelli quando Langton bussò alla porta della sua camera. «Qualche novità dalla centrale?» chiese lei porgendogli i vestiti. «No, niente. Ci vediamo dopo. Facciamo tra venti minuti alla reception.» Detto questo, se ne andò. Il suo guardaroba era una continua sorpresa per Anna. Quando arrivò alla reception, lo trovò vestito con una fresca camicia bianca e un completo chiaro. Portava anche gli occhiali da sole. In macchina arrivarono all'enorme edificio principale del Dipartimento di polizia di Los Angeles e dopo un colloquio di un quarto d'ora tornarono in auto e raggiunsero la centrale di polizia di Orange County, dove avrebbero avuto maggiori dettagli. La seconda vittima, Maria Courtney, ventinove anni, era stata arrestata molte volte a Los Angeles per prostituzione. Era anche una drogata di crack. Il suo omicidio era avvenuto nell'intervallo di tempo tra gli ultimi due delitti in Inghilterra. Quindi, come quello di Trixie, anche il caso di Maria era ormai freddo. Maria era stata vista l'ultima volta, da una cameriera, mentre usciva ubriaca fradicia dal Blues Club sul Sunset. Nessun altro testimone si era fatto avanti per dire di averla vista dopo quel momento. A Langton venne dato il cellulare della cameriera e lui la chiamò ma trovò la segreteria telefonica, così riagganciò. Il corpo di Maria era stato trovato in una nota zona di Orange County in cui si spacciava crack. Come le altre vittime, anche Maria giaceva a faccia in giù con le mani legate ed era stata strangolata con i suoi collant. Anna e Langton raggiunsero in mattinata il Dipartimento di polizia di Orange County dove esaminarono i fascicoli e le foto autoptiche della donna morta. Alle quattro del pomeriggio lasciarono il dipartimento per tornare all'hotel. Guidarono lungo il Sunset, oltrepassarono il Blues Club e raggiunsero gli studi televisivi della CBS a Century City. La receptionist di colore dovette usare una matita per comporre il numero interno sulla tastiera del telefono. Aveva le unghie finte più lunghe che Anna avesse mai visto: si curvavano come artigli. Aveva i capelli pettinati in una massa di treccine con perline multicolori che ticchettavano ogni volta che la donna muoveva la testa. «Ci sono i detective James Langton e Anna Travis.» Ascoltò, poi si ri-
volse a loro: «Salite fino al quattordicesimo, qualcuno verrà a prendervi all'ascensore». «Grazie», disse Anna. Emersero dall'ascensore in un'ampia reception al quattordicesimo piano. Un ragazzo snello con occhiali rotondi e un volto pieno di brufoli si avvicinò loro. Tese la mano ad Anna. «Detective Langton?» «No.» «Questa è il sergente Anna Travis», disse Langton in tono deciso. «Io sono l'ispettore capo Langton.» Seguirono il ragazzo attraverso corridoi stretti tra file di scrivanie. Alla fine raggiunsero una serie di uffici. Intanto il rumore dei telefoni e delle voci degli attori su videocassette avevano creato una straordinaria barriera sonora. Si fermarono davanti all'ultimo ufficio mentre il ragazzo foruncoloso li annunciava balbettante. La persona dentro l'ufficio continuò a parlare. Mentre attendevano, non poterono evitare di ascoltare la parte udibile di quella conversazione. «Quanto hai detto che vuole? Starai scherzando! Non c'è modo di arrivare a quella cifra, a meno che non decidiamo di andare a girare in Romania. Sono sicuro che sia grandiosa, ma ma dovrò richiamarti. Sì, sì, lo so che ha appena adottato un bambino. Assumeremo una tata e metà dei suoi fottuti domestici, se è questo che vuole, ma quella cifra è fuori discussione. Okay, okay.» Anna e Langton videro una mano che faceva loro cenno di accomodarsi. Mentre entravano, Mike Mullins finì la sua telefonata. «Ti amo anch'io, baby. Chiamami. Benissimo, grazie.» Riagganciò il telefono e si alzò in piedi. La stanza era stracolma dal pavimento al soffitto di nastri e sceneggiature e su un lato di una grande scrivania di quercia c'era un'enorme composizione di orchidee. Mike Mullins era un uomo basso, abbronzato, aveva il parrucchino e denti bianchissimi. Indossava una camicia a fiori che gli ricadeva mollemente sullo stomaco e jeans chiari. «Bene. Ora, vi hanno già offerto acqua, caffè, succo d'arancio eccetera?» «Stiamo bene così», disse Langton. «Sedetevi, prego.» Si sedettero l'uno accanto all'altra su un morbido divano di pelle marrone. Mullins porse una sceneggiatura a uno dei suoi assistenti. «Ne voglio quattro copie corrette.»
Mullins tornò dietro la sua scrivania. «Mi dispiace, non riesco a ricordarmi perché siete qui.» «Ha realizzato un film per la televisione, l'anno scorso, intitolato Fuori dal Sistema», rispose Langton. «Oh, Cristo, sì.» «Nel film ha recitato un attore di nome Alan Daniels.» «Davvero?» disse Mullins intrecciando le dita. «Sinceramente, non me lo ricordo. Devo averlo cancellato dalla mia mente.» Aggrottò la fronte. «Sì, penso che ci fosse anche lui. Un attore inglese, giusto?» «Sì, esatto.» Mullins ruotò la poltrona fino a trovarsi davanti al computer, digitò qualcosa sulla tastiera mormorando tra sé e sé. Poi lesse qualcosa, avvicinando il volto allo schermo. «Certo. So chi è. Sì. Alan Daniels, ma non era il protagonista. Sì, mi ricordo di lui. Oggi non potrei più permettermelo.» «Ha un registro delle location in cui avete girato con lui?» Mullins sporse le labbra poi digitò ancora sulla tastiera. «Ho tutto l'elenco delle spese, qui.» «E le date in cui Daniels ha lavorato?» Mullins fece qualche clic con il mouse ma alla fine scosse la testa. «Conosco le date delle riprese perché sono segnate nell'elenco delle spese, solo non attore per attore. Comunque, abbiamo girato per più di sei settimane: abbiamo iniziato il venti di settembre e abbiamo finito ai primi di novembre. Avevamo come base Los Angeles, per cui non ho una lista delle location.» Si voltò, accigliandosi. «Daniels non mi vuole fare causa, vero?» «No. Daniels potrebbe essere stato a Los Angeles per tutta la durata delle riprese?» «Sì, sì, penso di sì. Devo controllare l'elenco del cast e della troupe.» Attesero mentre Mullins continuava a consultare il computer. Fece una stampata e alla fine abbassò lo sguardo sul foglio. «Alan Daniels stava allo Chateau Marmont, vicino al Sunset; non posso darvi questo elenco perché contiene indirizzi privati eccetera.» Langton annuì. «La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato.» «Non può dirmi di cosa si tratta?» «No, mi dispiace, ma stiamo solo svolgendo un'indagine.» «A che proposito?» Langton gli strinse la mano. «Una semplice indagine di routine. Grazie ancora.»
Deluso, Mullins li accompagnò alla porta. Quando la spalancò, il suo assistente, nervoso e balbettante, balzò in piedi dietro la scrivania. «Daniels interpretava un detective, questo me lo ricordo. È uno biondo, molto attraente, giusto?» Anna lo ringraziò per aver accettato di incontrarli. Langton era già scomparso. Lo Chateau Marmont si trovava vicino al Sunset, in Marmont Drive. Erano quasi le sei quando lo raggiunsero e diedero le chiavi della macchina al parcheggiatore. Anna rimase senza fiato alla vista dell'enorme hotel e dei suoi bungalow privati. Si chiese se nel foyer avrebbero incontrato qualche stella del cinema. Il vicedirettore non riuscì a liberarsi subito per parlare con loro. Fu molto diplomatico ed evasivo; disse che la procedura dell'hotel gli impediva di fornire dettagli sui loro ospiti. Langton gli mostrò il tesserino. «Capisco che dobbiate salvaguardare la privacy dei vostri ospiti, ma dal momento che questa è un'indagine di polizia, sarebbe saggio da parte sua darmi tutto l'aiuto possibile. Non vorrei dover tornare con agenti in uniforme e auto del Dipartimento di polizia di Los Angeles.» Se ne andarono quindici minuti dopo. Avevano scoperto che Alan Daniels era stato ospite dell'hotel in uno dei bungalow privati più isolati. Si era trattenuto per cinque settimane e in quel lasso di tempo Maria era stata uccisa. Durante il suo soggiorno, Daniels aveva preso un'auto a noleggio. Una Mercedes Benz. Mentre si allontanavano lungo il Sunset, passarono di nuovo accanto al Blue's Club che non era molto lontano dallo Chateau. Langton inarcò un sopracciglio. «Molto comodo.» Il suo cellulare si mise a squillare e lui se lo cercò nelle tasche. «Non può essere Londra, è mezzanotte passata, lì.» Aprì il telefono. «Pronto? Pronto?» «Chi parla?» disse una voce femminile. «Ho trovato una sua chiamata ma non ha lasciato un messaggio. Così l'ho richiamata.» «Ah, sì, lei è...?» coprì il microfono con la mano e diede di gomito ad Anna. «Come cazzo si chiama la testimone del caso di Maria?» «Angie Dutton», rispose Anna. Langton tornò alla sua telefonata. «Lei è Angie?» chiese in tono gentile.
«Già, e lei chi è?» Anna rimase ad ascoltarlo mentre dava alla donna il minimo delle informazioni necessarie. Alla fine, Langton disse che le avrebbe rubato solo una decina di minuti. Dopo una lunga contrattazione, l'ispettore capo disse che sarebbe passato da lei alle dieci. Chiuse il telefono e sogghignò. «Be', Angie ha una voce molto sexy e probabilmente delle informazioni vitali. Lavora in un locale, il Sequins.... Fa una pausa alle dieci.» «Possiamo mangiare qualcosa prima?» «Certo. Ma tu non vieni con me. È meglio che vada da solo.» Anna gli lanciò un'occhiataccia che lui non notò. «Sai, credo che la fortuna stia cominciando a girare.» Langton decise che sarebbero tornati in albergo per darsi una rinfrescata. Anna aveva appena imboccato la strada giusta quando all'improvviso Langton scoppiò a ridere. «Cosa c'è?» «E io che pensavo che a Los Angeles tutti si tenessero in forma.» Aveva il braccio appoggiato sullo schienale del sedile e la sua mano le toccava quasi il collo. «Hai visto il foruncolo che cammina e il suo capo col parrucchino, Mullins?» Anna fece un debole sorriso. Il lungo viaggio da San Francisco e poi attraverso Los Angeles l'aveva lasciata esausta. Langton se ne accorse. «Cosa c'è?» «Niente, sono solo un po' stanca.» «Perché non andiamo a santa Monica a mangiare un boccone? No, ripensandoci, non abbiamo abbastanza tempo.» «Mi farò portare qualcosa in camera.» «Dannazione, no. Perché non andiamo a mangiare in un posto famoso? Non capita tutti i giorni di trovarsi a Los Angeles.» «Non ho niente di elegante da mettermi ma...» «Okay, in albergo, allora.» In camera, Anna fece una doccia e si asciugò di nuovo i capelli. Con tutte quelle docce e quelle nuotate, i suoi riccioli stavano diventando difficili da controllare. Erano passate da poco le otto quando raggiunse l'atrio. Rimase sorpresa nello scoprire che questa volta Langton aveva preso dal suo sorprendente guardaroba un maglione leggero e un paio di jeans. «A quanto pare non hanno del vero cibo, qui, solo sandwich, quindi ho prenotato in un posto che mi ha consigliato il direttore. Non preoccuparti, Travis, guido io.»
Era un pessimo guidatore e li fece quasi ammazzare mentre lasciava il parcheggio e si immetteva sulla carreggiata sbagliata. In due occasioni, guidò quasi al centro della strada. Dopo un po' rallentò e cominciò a cercare l'indirizzo esatto. Quando arrivarono al ristorante, Langton si trasformò quasi in un gentiluomo e accompagnò Anna al loro tavolo appoggiandole una mano sul gomito. Sembrava davvero di buonumore. Una telefonata di una donna dalla voce sexy può fare quest'effetto a un uomo, rifletté Anna. «Qui va bene, non è vero?» sogghignò lui guardandosi attorno quando ebbero ordinato. «Qualche novità dalla centrale?» chiese lei. «Sta' a sentire, per mezz'ora non parliamo di lavoro.» Stupita, Anna sollevò il suo bicchiere di vino. «Cin cin?» Dopo qualche sorso anche l'umore di Anna cominciò a migliorare. «Allora, tu e il vecchio Jack andavate d'accordo?» domandò Langton all'improvviso. «Sì. Oh, sì, era un padre fantastico. Non era a casa molto spesso, ma quando c'era io e mia madre avevamo la sua attenzione. Organizzava sempre uscite, picnic, ci portava a teatro, cose di questo genere. E veniva sempre a vedermi alle gare di equitazione. Ero fissata con i cavalli. Avrei tanto voluto avere un pony tutto mio ma non abbiamo mai potuto permettercelo per via dei costi di mantenimento, dell'affitto della stalla e tutto il resto. Però cavalcavo ogni sabato pomeriggio.» «Hai mai vinto qualche premio?» chiese lui finendo il suo bicchiere. «Sì, certo. Una volta, mio padre mi ha coperto dalla testa ai piedi con tutte le coccarde che avevo vinto e mi ha fatto una fotografia: primi posti, secondi e terzi, tutti di colori diversi.» Anna sorrise. «Mia figlia Kitty vuole prendere lezioni di equitazione ma so cosa vuoi dire. Costa. Poi bisogna comprare i pantaloni, il berretto e tutto il resto.» «Di solito si possono trovare di seconda mano nella maggior parte dei maneggi.» Fece una pausa. «Sua moglie va a cavallo?» «No.» Rimase in silenzio per un attimo. «Kitty aveva diciotto mesi quando ci siamo sposati. L'ho adottata. Ogni volta che penso che avrei fatto meglio a non sposarmi, mi ricordo di Kitty. È una parte importante della mia vita.» Anna masticò un pezzetto di pane pensando che il discorso fosse finito e fu sorpresa quando lui continuò a parlare di argomenti personali. «Quando perdi così inaspettatamente una persona che ami, il dolore ti
confonde. Quando non passa, cominci a cercare qualcosa, qualsiasi cosa che possa alleviarlo. Per un po', il secondo matrimonio mi è servito a questo, soprattutto perché c'era Kitty ma...» Sospirò. «Mi dispiace, Travis, sei troppo giovane e non sai niente di questa storia. La mia prima moglie è morta per un tumore al cervello. Una sera è andata a dormire con un gran mal di testa. La mattina dopo aveva ancora il mal di testa ma è andata comunque al lavoro e la mattina dopo ancora è svenuta. Due ore dopo, è morta.» «Mi dispiace», disse Anna in tono gentile. Lui sorrise, addolorato. «Anche a me.» Quando arrivò la prima portata, la conversazione finì. Anna non aveva mai visto qualcuno mangiare così in fretta. Lei aveva mangiato solo qualche boccone mentre il piatto era già vuoto. «Ha paura di perdere il treno?» scherzò lei. Lui la guardò stupito e riempì di nuovo i bicchieri. «Me lo diceva sempre mia madre, quando mangiavo troppo velocemente.» «Oh, scusa», sogghignò lui. «Raccontami di tua madre.» prese un pezzo di pane e spalmò sopra del burro. «Isabelle, giusto?» «Esatto.» «Era una brava cuoca?» Anna rise. «No, era brava in altre cose ma non era una brava cuoca.» Lui si appoggiò allo schienale per permettere al cameriere di portare via i suoi piatti. «Allora, chi cucinava?» «Mio padre. Era davvero in gamba in cucina.» «Sul serio?» chiese lui sorpreso. «Sì, era bravissimo. Faceva il pane in casa e anche delle ottime torte...» Fece una pausa quando portarono il suo salmone e la coda di rospo di Langton. Questa volta, all'inizio, lui mangiò con calma, assaporando il suo piatto. Poi riprese il suo solito ritmo. Mentre Anna finiva di mangiare, le mani di Langton non si fermarono un istante; svuotò il cestino del pane e riempì i loro bicchieri più volte. Quando il carrello dei dolci venne portato accanto al loro tavolo, Anna cominciò a guardarlo con interesse ma lui controllò l'orologio. «Non c'è tempo, dobbiamo andare.» Arrivarono in albergo alle dieci meno un quarto. Se avesse guidato Langton ci sarebbe voluta mezz'ora in più. Anna scese dall'auto e lui si spostò dietro il volante. «Se la sente di guidare?» chiese lei, preoccupata.
«No, Travis, sono paralitico. Va' a dormire. Ci vediamo domani mattina. Alle otto alla reception.» Anna guardò la macchina allontanarsi sperando di non essere stata troppo noiosa. Forse si era dilungata troppo con i racconti sull'equitazione. Le aveva fatto piacere stare in compagnia di Langton ma dubitava che fosse stato lo stesso per lui. Quando Anna entrò nella sua stanza, il telefono cominciò a squillare. Il dentista di Alan Daniels l'aspettava al piano di sotto. Anna si affrettò a scendere per raggiungerlo. Arthur Klein era basso e abbronzato. Aveva gli occhiali da sole e le rivolse un breve sorriso quando lei gli strinse la mano e lo ringraziò per essere venuto. L'uomo aveva con sé una grande busta marrone. Sembrava a disagio. «Avevo appuntamento qui con, ehm, il detective Langton, domani mattina, ma non potrò esserci perché ho un paziente alle sette.» «Comincia a lavorare alle sette del mattino?» chiese Anna, perplessa. «È un'emergenza. Una signora ha mangiato una nocciolina e si è spezzata una capsula - una capsula, ci tengo a dirlo, che non le ho applicato io ma quando si lavora per le star del cinema, non ci sono orari.» Klein dava l'impressione di essere un uomo ricco: pantaloni perfettamente stirati, giacca di cachemire e un costosissimo Rolex che guardava in continuazione. Anna si ricordò che l'intervento ai denti di Alan Daniels era costato più di quanto lei guadagnasse in un anno. «Possiamo andare a parlare da qualche parte? Ho solo dieci minuti.» La dépendance era piena di piante di cactus e le poltrone di vimini avevano visti giorni migliori, tuttavia era deserta. Klein rifiutò un drink e si sedette, lisciandosi i pantaloni e guardando disgustato i cuscini macchiati delle poltrone. Si batté leggermente sulla coscia con la busta. «Non ero mai stato in questo albergo.» Anna pensò che, a giudicare dalla sua espressione, difficilmente ci sarebbe tornato. «Penso che sappia che non sono più in possesso delle radiografie di Daniels né del set di denti che avevo preparato per le prove.» «Sì, il mio superiore mi ha detto tutto.» «Alla fine, il lavoro è stato molto impegnativo: tre impianti e un ponte più ogni dente visibile di quello che chiamo "il sorriso".» Per spiegarsi meglio, si passò un dito sull'arcata superiore e su quella inferiore. «Devo dirle che queste radiografie mi hanno confuso.» Estrasse dalla busta le fotocopie delle lastre prese nell'appartamento di Daniels a Queen's Gate. «Perché?»
«Be', se questi sono davvero i denti di Alan Daniels, le radiografie sono state fatte prima del mio intervento. Mi baso sulla mia memoria, visto che non sono più in possesso delle lastre del signor Daniels. Ho fatto ponti su entrambi i lati, capisce, e qui non ce n'è traccia. Ma quando l'ho visitato per la prima volta, ho notato che aveva otturazioni d'oro ai molari posteriori. Quindi, se queste lastre sono sue, non possono essere recenti.» Anna si sporse in avanti. «Ma potrebbero essere comunque dei denti di Daniels? Magari di molto tempo fa?» «Direi proprio di no. Di chiunque siano queste lastre, aveva un problema di masticazione inversa piuttosto evidente.» «La ringrazio molto.» Klein annuì porgendole la busta. «Non sono sorpreso che Daniels sia nei guai con la legge. È stato terribilmente sgarbato e ha cercato di truffarmi. Si è rifiutato di pagarmi il lavoro che avevo svolto. È stato tutto molto spiacevole.» «Alla fine, le ha pagato la parcella?» «Solo quando l'ho minacciato di fargli causa. E a condizione di mandargli tutto: documenti, lastre e impronte dentali.» Klein controllò l'orologio. «Devo proprio andare. Mi dispiace di non esserle stato di grande aiuto.» Si alzò in piedi. «Forse se Daniels non avesse avuto tanta fretta...» «Scusi, come ha detto?» «Aveva una gran fretta. Ho dovuto spostare una serie di appuntamenti per potermi occupare di lui. Ha detto che l'intervento era necessario per delle riprese. Ho accettato solo perché mi era stato mandato da un grosso agente che mi manda molti clienti.» Anna accompagnò Klein nel parcheggio fino alla sua Bentley decappottabile che aprì con il telecomando. «Quando ha preso appuntamento Daniels, esattamente?» Klein aprì la portiera. «Il primo è stato a metà settembre. Era un trattamento lungo. Il suo ultimo appuntamento è stato un paio di mesi fa.» «Secondo lei, Daniels aveva davvero bisogno di un intervento o si trattava di una questione puramente estetica?» Klein si allacciò la cintura di sicurezza poi si appoggiò allo schienale del sedile in pelle. «Be', i denti posteriori non erano in buone condizioni. Ha detto che li digrignava spesso. Ma i denti anteriori non erano messi male.» «Quindi non aveva veramente bisogno del "sorriso"?» Klein si infilò dei guanti di pelle da pilota e appoggiò le mani sul volan-
te. «L'estetica è migliorata ma avrebbe semplicemente potuto farseli sbiancare.» In segno di saluto, le rivolse un sorriso abbagliante. Anna era davanti allo specchio e si stava controllando i denti. Avrebbe dovuto passare a un dentifricio sbiancante? Andò a sdraiarsi sul letto. Se Daniels aveva in programma di sottoporsi a un intervento radicale, probabilmente non gli sarebbe importato lasciare le impronte dei suoi morsi. Possibile che qualcuno fosse tanto calcolatore? Tanto subdolo? Ripensò a quando aveva trovato suo padre seduto davanti al caminetto acceso con un bicchiere di brandy in mano. All'epoca era ancora piccola ed era andata a sedersi sulle sue ginocchia per cercare di portarlo via dal luogo oscuro in cui talvolta sembrava vivere. Lui le aveva rivolto un sorriso triste, quando lei gli aveva chiesto quale fosse il problema, poi le aveva delicatamente scostato i capelli dal viso. Per lei era inconcepibile che suo padre avesse qualche problema. «Non ti senti bene?» gli aveva chiesto, preoccupata. Lui aveva appoggiato per un attimo la fronte sulla spalla di sua figlia. «Sto bene, tesoro. È solo che a volte papà lavora con persone talmente subdole e cattive che la loro malvagità gli resta addosso per un po' come un cattivo odore.» «Cosa vuol dire subdolo?» Lui aveva bevuto un sorso di brandy. «Significa dire che non hai fatto una cosa quando sai di averla fatta; inventare bugie per convincere tutti che non hai fatto quella cosa mentre tu sai di averla fatta e sei felice al pensiero di avere ingannato tutti. Questo è subdolo.» «Qualcuno ti ha fatto qualcosa di subdolo?» gli aveva chiesto lei. «Sì.» Le aveva spiegato che c'era un uomo che aveva giurato di non aver mai fatto del male a una bambina e, dato che lui e i suoi colleghi gli avevano creduto, aveva fatto del male a un'altra bambina. Anni più tardi, la madre di Anna le aveva detto che il padre aveva lavorato al caso di un assassino di bambine, cosa che lo aveva traumatizzato profondamente. Fin da allora, la parola «subdolo» aveva sempre fatto riaffiorale in lei quel ricordo e adesso la collegava anche ad Alan Daniels. Bussarono alla porta così forte che Anna trasalì. Stava dormendo nuda, così, mentre andava alla porta, si avvolse in un grande asciugamano. «Chi è?» chiese.
«Sono io», disse Langton. Anna aprì la porta. Stava ancora finendo di sistemarsi l'asciugamano attorno al petto. Lui sembrava ubriaco e si appoggiò allo stipite. In una mano teneva i biglietti che lei gli aveva fatto scivolare sotto la porta. «E così, interrogare quel Klein è stata una mossa vincente? Il bastardo ha nascosto di proposito quelle lastre nel suo appartamento perché noi le ritrovassimo, vero?» Lei fece un passo indietro. «Direi che è una possibilità.» «Ottimo!» «Vuole che le ordini un po' di caffè?» «No, vado a buttarmi sul letto. Buonanotte.» «Buonanotte.» Si allontanò barcollando lungo il corridoio. Lei rimase a guardarlo mentre cercava di infilare nella fessura la tessera magnetica: Langton dovette provarci tre volte, imprecando, prima che la luce verde si accendesse e la porta si aprisse. Anna tornò in camera, sospirando: se anche gli avesse aperto la porta completamente nuda, con ogni probabilità lui non se ne sarebbe accorto. Anna aveva ordinato caffè, succo d'arancia e un muffin ai mirtilli. Quello che arrivò, invece, fu succo d'uva, caffè e un muffin alla banana. Non aveva tempo di lamentarsi per il servizio in camera, quindi mangiò tutto lo stesso. Andò nell'atrio ad aspettare che Langton pagasse il conto dell'hotel. L'ispettore capo aveva un aspetto orribile, era stropicciato e aveva la barba lunga. «Ha dormito bene?» chiese lei in tono dolce. Lui fece una smorfia e Anna decise di non chiedergli se fosse riuscito a scoprire qualche «informazione vitale». Le sembrava improbabile. All'aeroporto, Anna seguì rassegnata Langton che all'inizio si mise nella fila sbagliata e poi, imprecando, fece ritorno al banco dell'American Airlines. Quando venne annunciato il loro volo, ormai avevano esplorato ogni angolo dell'aeroporto. Anna si rese conto che Langton non sapeva seguire le indicazioni e notò che non faceva altro che controllare il suo passaporto e i loro biglietti. Alla fine salirono sull'aereo. I loro posti non erano vicini, così Anna non poté chiedergli del suo incontro con Angie della sera prima. Non fu un volo molto lungo: meno di due ore. Langton aveva deciso di
non noleggiare un'auto al loro arrivo a Chicago ma di prendere il taxi. Anche se l'hotel era decisamente a buon mercato, non era male. Si diedero appuntamento nell'atrio alle due. Quando Anna arrivò, trovò Langton che camminava su e giù con aria impaziente. Si era rasato, cambiato il completo e indossava una camicia bianca e la sua solita cravatta blu scuro. «Dov'eri finita? Andiamo. Il taxi ci aspetta», disse in tono brusco. Mentre si affrettava per stare al passo con lui, Anna guardò l'orologio. Era in anticipo di cinque minuti. Durante il tragitto in taxi fino al Dipartimento di polizia di Chicago, Langton le chiese di ripetergli la sua conversazione con Klein. Rimase seduto ad ascoltarla, tenendo gli occhi chiusi. Quando ebbe finito, Anna gli chiese come fosse andato il suo colloquio con Angie. Lui scrollò le spalle. «Bene. È andato tutto bene.» «Ne sono certa. Ma ha ottenuto qualche informazione?» «Con questo cosa vorresti dire?» Lui sembrava più teso del solito. «Solo che l'incontro è andato avanti fino a tardi. Si ricorda di avermi svegliata?» «Naturalmente.» La fissò dritto negli occhi per un istante. «A proposito, Travis... Dormi sempre nuda?» Prima che Anna avesse il tempo di pensare a una risposta, arrivarono al Dipartimento di polizia. Langton pagò la corsa e si incamminò verso l'ingresso, lasciandola indietro. «Detective Langton?» chiese un agente in uniforme con i capelli a spazzola andando loro incontro nell'atrio dal pavimento di marmo. Langton si fermò e lui e il poliziotto si strinsero la mano. L'agente rivolse un sorriso ad Anna. «Salve, lei dev'essere Anna. Sono il capitano Jeff O'Reilly», disse stringendole la mano con forza. Ecco un altro americano dai denti smaglianti, pensò Anna. «Piacere di conoscerla. Allora, per prima cosa possiamo andare in archivio. Poi, se volete fare un giro, qui fuori c'è un'auto di pattuglia a vostra disposizione.» Salirono al secondo piano. Anna e Langton seguirono O'Reilly in una stanza cavernosa con migliaia di schedari. Si fermarono alla lettera Z. O'Reilly prese un fascicolo, firmò il registro poi li accompagnò in fondo a un altro corridoio in una piccola stanza in cui c'erano solo un tavolo e alcune sedie. Mostrò loro la fotografia di una donna bionda con gli occhi castani.
«Questa è Sadie Zadine. O meglio, era.» Prese una seconda fotografia della vittima sul luogo del ritrovamento. Era riversa a faccia in giù, le mani legate dietro la schiena con un reggiseno di pizzo rosso. Attorno al collo aveva avvolti dei collant color carne. Il modus operandi era identico; nessun sospetto, nessun testimone. Anna notò un'altra somiglianza. «La borsa di Sadie è stata ritrovata?» «No, nessuna borsa», rispose O'Reilly. Anna e Langton studiarono le dichiarazioni dei testimoni. L'ultima volta che era stata vista, Sadie stava parlando con un cliente a bordo di un'auto. Era salita dalla parte del passeggero e la macchina si era allontanata. Le altre prostitute pensavano che l'auto fosse una Lincoln verde scuro ma non avevano notato la targa né qualche altro particolare che potesse aiutare a identificare il guidatore. Avevano bisogno di verificare se Alan Daniels avesse lavorato a Chicago nello stesso periodo. O'Reilly li accompagnò nel suo ufficio dove avrebbero potuto controllare gli elenchi delle compagnie cinematografiche. O'Reilly chiese se avessero un sospetto e Langton spiegò che avevano un possibile candidato. Un attore. Il capitano consigliò loro di controllare l'emittente televisiva locale, dove un regista suggerì di fare una ricerca tra i programmi promozionali. Trovarono così un programma popolare in cui venivano intervistati scrittori e attori che promuovevano i loro lavori. Sadie era stata assassinata abbastanza di recente perché non solo ci fosse un registro dei personaggi intervistati quel mese ma anche la registrazione delle puntate. O'Reilly stava per staccare. Disse a Langton che, se avessero voluto trattenersi una sera in più, avrebbe lavorato con loro la mattina dopo. «Grazie, ma dobbiamo tornare a Londra», rispose Langton. «Allora, volete dirmi chi è il vostro sospetto?» Langton esitò per un attimo, poi glielo disse. O'Reilly scosse la testa. «Alan Daniels? Non l'ho mai sentito nominare. Non vado mai al cinema e non ho tempo di guardare molta tv.» Strinse le mani di Anna e Langton e augurò loro buona fortuna. «Abbiamo fatto tutto il possibile per trovare l'assassino di Sadie. Un'intera squadra ha lavorato al suo caso per due settimane. Ma i suoi clienti potevano essere solo di passaggio! La città è piena di commessi viaggiatori e uomini d'affari che vengono e vanno. Sadie si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Se riuscirete a trovare quel tizio, mi piacerebbe passare dieci minuti da solo con lui.» Fece un sorriso triste e se ne andò.
Anna e Langton scoprirono che la produttrice di Buon pomeriggio, Chicago era in congedo per maternità. Alla fine vennero messi in contatto con la sua ricercatrice, che stava registrando uno show per la mattina successiva e che disse che non avrebbe potuto fare alcun controllo prima delle sette. Comunque, se le avessero dato il nome dell'intervistato e le date, il suo assistente avrebbe cominciato a dare un'occhiata ai file. Langton, a disagio, le diede il nome di Alan Daniels. Anna e Langton tornarono in albergo. Erano le sette passate. Avrebbero dovuto prendere il primo volo per Heathrow alle nove della mattina successiva. Langton era di pessimo umore: stanco, affamato e frustrato. Si ritirò nella sua stanza dicendo che si sarebbe fatto portare qualcosa da mangiare in camera e che avrebbe atteso la telefonata dell'emittente televisiva. Due ore più tardi, bussarono alla porta della camera di Anna con tanta veemenza che lei si spaventò. Langton sembrava felice come un bambino il giorno di Natale. Fece un discorso confuso e Anna fu costretta a chiedergli di ripetere. «Ci stanno mandando un nastro. Daniels era qui, a Chicago, e ha fatto un'intervista proprio nei giorni che ci interessano.» «Mio Dio.» Lei fece un passo indietro e lui entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle. A voce bassa disse: «Non ho spiegato il motivo per cui volevamo quel nastro. Ho solo detto che stavamo facendo un'indagine». «Quando arriverà il nastro?» «Ce lo stanno mandando con un corriere. Ti avverto non appena arriva.» Anna stava per chiudere la porta quando lui la fermò e le chiese se avesse mangiato qualcosa. La sua eccitazione era contagiosa. «Ho preso un hamburger», disse lei sorridendo. «Com'era?» «Buono.» «Bene. Me ne farò portare uno anch'io.» Anna chiuse la porta con il cuore che le batteva all'impazzata. Non poteva essere una semplice coincidenza. Alan Daniels si era trovato nelle tre città degli Stati Uniti nel periodo esatto in cui erano stati commessi gli omicidi. Quando squillò il telefono, Anna si affrettò a rispondere. Era Barolli. A Londra dovevano essere le dodici passate. «È lì con te?» chiese lui. «No. Di che si tratta?» «C'è stato un altro omicidio.»
«Cosa?» «Adesso non ho tempo per spiegarti. Devo parlare con lui.» «È nella stanza 436.» «Okay. Buonanotte.» Anna riagganciò il telefono e si sedette sul bordo del letto. «Oh mio Dio», sussurrò. 12. Anna bussò alla porta di Langton. «È aperto», disse la sua voce. «Signora?» Anna si voltò e vide il concierge dell'albergo che si stava avvicinando. «È appena arrivata questa per il signor Langton.» Il concierge le porse una busta bianca. «Ho bisogno di una firma. Il corriere sta aspettando di sotto. Ho provato a chiamare il signor Langton ma il telefono era occupato.» Anna prese la busta gonfia. Firmò e stava ringraziando il concierge quando Langton apparve sulla soglia. «È arrivato?» Anna fece scivolare una videocassetta fuori dalla busta. «Sì. Il suo televisore ha anche un videoregistratore? Il mio non ce l'ha.» «Cazzo, non lo so.» Nella sua stanza, Langton si mise in ginocchio ed esaminò il televisore. Frustrato, chiamò la reception e disse che aveva urgente bisogno di un videoregistratore. Mentre Langton camminava avanti e indietro, aspettando che il concierge lo richiamasse, Anna si guardò intorno nella camera in cui regnava il disordine più completo: c'erano abiti abbandonati in giro, hamburger mezzi mangiati e parecchie lattine di birra vuote. Una scia di asciugamani partiva dal bagno e, impilato sul tavolo della toilette, c'era il contenuto delle sue tasche: monete, banconote, scontrini e il passaporto. Quando il telefono si mise a squillare, Langton afferrò il ricevitore. «Perfetto. Non m'importa quanto costa. Portatemene uno immediatamente.» Sbatté il ricevitore sulla forcella, imprecando. «Non vuole dirmi cos'è successo a Londra?» mormorò Anna, portando gli asciugamani bagnati in bagno. Langton doveva aver lasciato aperta la
doccia perché c'erano pozze d'acqua dappertutto. «Non devi farlo», disse lui seccamente quando lei tornò nella stanza. «Lo so. Sto solo aspettando che lei si calmi.» Lui si lasciò cadere sul letto con un sospiro. «Be', c'è un'altra vittima. L'hanno trovata questo pomeriggio presto. Non è ancora stata identificata, ma lo scenario è lo stesso.» «Dove l'hanno trovata?» «Vicino alla A3, non lontano da Leatherhead. Potrebbe trattarsi dell'omicidio di un imitatore. Ho chiesto a Barolli di far rientrare nella squadra Mike Lewis. Non dovrebbe essere un'impresa impossibile. Barolli dice che il bambino lo sta facendo impazzire. Il caso non è ancora di nostra competenza e Barolli non aveva molti dettagli. Ma questo omicidio sta mettendo la nostra indagine sotto i riflettori: i media stanno riproponendo i nostri comunicati stampa.» Si accese una sigaretta. «O'Reilly mi ha dato gli articoli sull'omicidio di Sadie. A quanto pare, la zona in cui è stata trovata è piuttosto famosa.» «Un nome assurdo, non è vero? Roseland.» «Già. È a soli venti chilometri da un quartiere di grattacieli scintillanti e nuovi di zecca. Tutte quelle casette graziose sono a un tiro di schioppo dai bordelli in cui si spaccia crack. Ci sono stati molti omicidi in quella zona. Per un certo periodo, c'è anche stato un sospetto serial killer.» «Ma soltanto Sadie è stata uccisa con lo stesso modus operandi delle nostre vittime.» «Esatto. Ma adesso, con quest'ultimo omicidio, il mio viaggio in America sembra solo un incredibile spreco di denaro pubblico. È come se avessi permesso a quel bastardo di uccidere di nuovo!» «Ma le era stato detto che non aveva abbastanza prove per arrestarlo.» «E non ne ho ancora, dovrei essere là invece di girare come un idiota per Chicago, San Francisco e Los Angeles.» «Un momento... non ha ottenuto niente da Angie?» Lui si accigliò, spegnendo la sigaretta. «Non ho ottenuto un cazzo da lei. Mi ha detto che la vittima è andata da sola nel locale. Ha detto che era molto ubriaca e così hanno dovuto buttarla fuori. Ha detto che la vittima è salita su un'auto, ma non si ricorda che aspetto avesse il guidatore.» Langton lanciò un'occhiata all'orologio. «Dove cazzo è il videoregistratore? Che hotel del cazzo!» Bussarono alla porta. Mentre il cameriere collegava nervosamente il polveroso videoregistratore alla tv, Anna lesse il biglietto
attaccato al nastro che datava 12 luglio 1998. «Dice che era un'intervista in diretta per Buon Pomeriggio, Chicago, "un'ora dedicata alle donne in cui si promuovevano i film appena usciti e gli autori in tour per i loro libri". Buon pomeriggio, Chicago è un programma televisivo locale a basso costo.» Langton prese il biglietto. «Potrebbe trattarsi di una dannatissima perdita di tempo.» Mentre il cameriere usciva dalla camera, Anna gli diede cinque dollari di mancia. Ancora prima che la porta della stanza venisse chiusa, Langton afferrò il telecomando e premette play. Con una mano batté leggermente sul letto per dire ad Anna di sedersi accanto a lui. Con l'avanzamento veloce superò la sezione dedicata alla cucina, una composizione di fiori e una scrittrice, finché non arrivò al punto in cui il presentatore annunciava «direttamente dall'Inghilterra, per promuovere il suo ultimo film a Chicago: Alan Daniels». Il pubblico applaudì mentre Daniels raggiungeva l'intervistatrice sul divano. Indossava una giacca color crema, una T-shirt scura e un paio di jeans. Con i capelli molto più lunghi dell'ultima volta che lo avevano visto, aveva un atteggiamento schivo e modesto e un sorriso in apparenza sincero mentre diceva all'intervistatore quanto fosse felice di essere stato invitato in quel programma. Provocò una risatina nel pubblico quando aggiunse che probabilmente si stavano chiedendo chi fosse. L'intervistatrice scoppiò a ridere, ribatté che ben presto tutti in città avrebbero saputo chi era e disse che ora avrebbero visto un estratto del suo ultimo film, Il diamante azzurro. Si trattava di una breve scena in cui Daniels apriva una cassetta di sicurezza. Il diamante posato su un cuscino di velluto scintillava e illuminava il suo volto con una luce azzurra, rendendo ancora più azzurri i suoi occhi. Alla fine della breve intervista, Daniels era seduto più rilassato con le gambe accavallate. Fece un breve gesto con la mano e un leggero cenno del capo per ringraziare dell'applauso. Aveva affascinato sia il pubblico sia l'intervistatrice. Lei si chinò in avanti per stringergli la mano e lui gliela baciò, nello stesso modo in cui aveva baciato la mano di Anna. Langton, seduto con il telecomando in mano, premette il tasto per riavvolgere la cassetta. «Vuoi rivederlo?» «Sì», disse Anna, leggermente stordita. Mentre guardavano il nastro per la seconda volta, Anna si chiese: era possibile che un bellissimo divo del cinema potesse essere attratto dalla
semplice Anna Travis? Oppure Langton aveva ragione? Stava solo fingendo? In questo caso, lei era in grave pericolo. Guardarono il nastro una terza volta, senza parlare, poi Langton spense il televisore. «Che cosa ne pensi di lui, sinceramente?» domandò alla fine. «Sinceramente, non lo so», disse lei in tono tranquillo. «Sembra affascinante, ascolta gli altri con attenzione...» «Recita molto bene.» «È strano. È attraente e i suoi occhi sono straordinari, ma non è particolarmente sexy.» Anna si voltò verso Langton. «Pensa che sia lui? E lui?» Langton tolse la cassetta dal videoregistratore. «A volte non so neanch'io cosa cazzo pensare.» Anna sistemò il copriletto. «Non crede più che sia lui?» Lui si infilò le mani in tasca. «Diciamo soltanto che non ne sono più così convinto. È stato qualcosa in questa trasmissione. È solo che... Gesù, se ho avuto torto, abbiamo perso così tanto tempo!» «Cosa? Cosa esattamente nella trasmissione?» Lui sollevò lo sguardo su di lei, in cerca di una risposta. «È che era così amabile, non è vero?» «È così che mi sono sentita al suo appartamento quando mi ha mostrato la fotografia. C'era anche qualcosa di ingenuo in lui, ma quando gli ho parlato al telefono, ho avuto paura. Non è stato qualcosa che ha detto, ma c'era... qualcosa.» «Vuoi un drink?» le domandò lui aprendo il minibar con un gesto teatrale. «No, grazie. È meglio che faccia le valigie. Dobbiamo muoverci presto.» «Okay, ci vediamo domani mattina.» «Buonanotte.» «'Notte.» Lui esaminò un bottiglia mignon di vodka e lei notò che non si voltò neanche a guardarla mentre lasciava la stanza. In realtà, aveva già fatto i bagagli. Era soltanto stanca di continuare a discutere di Alan Daniels. Per Langton non era così. Era persino ancora più ossessionato da lui. Rimasto solo, reinserì il nastro nel videoregistratore, premette l'avanzamento veloce fino a trovare Alan Daniels; quindi tolse il volume e continuò a guardarlo, ancora e ancora. Langton aveva puntato la sveglia per le cinque del mattino in modo da poter chiamare Londra per avere un aggiornamento. Mike Lewis disse che
la vittima non era un prostituta ma una ragazza di sedici anni. Aveva visto il corpo e, anche se aveva le mani legate dietro la schiena, non era stata strangolata con i suoi collant ma a mani nude. Dubitava che si trattasse del loro uomo. Avevano già un sospetto in custodia: il patrigno della ragazza. Il volo di ritorno fu tranquillo. Anna e Langton parlarono durante il pranzo e lui le riferì ciò che gli aveva detto Lewis. Accennò al fatto che avrebbero richiamato il profiler per fargli guardare l'intervista tv e vedere se riusciva a cavarne qualcosa. Per il resto del tempo, Anna lesse un libro. Quando annunciarono che l'aereo stava per atterrare, Langton si chinò verso di lei e la ringraziò. «Sei stata un'ottima compagna di viaggio, Travis. Mi spiace soltanto che torniamo con così poco in mano.» «Sono sicura che, quando valuteremo ogni cosa, scoprirà che abbiamo fatto un ottimo lavoro.» Lui fece una risatina. «Grazie per queste parole, Travis. Sono una vera iniezione di fiducia. Non vedo l'ora di "valutare", come dici tu.» Mentre l'aereo atterrava, misero avanti i loro orologi di sei ore. Erano le undici di sera e Langton decise di fare un salto a Queen's Park. L'auto di pattuglia portò Anna a casa e Langton le disse che si sarebbero visti alla centrale la mattina dopo. Mike Lewis lo stava aspettando. Gli confessò che era felice di essere stato richiamato. Il suo fagottino di gioia urlante lo aveva tenuto sveglio fin dal giorno in cui era tornato a casa dall'ospedale. Lewis aggiornò Langton sull'ultimo omicidio. Non era uno dei loro. Quella era la buona notizia. La cattiva notizia era che non avevano scoperto niente di nuovo sul loro caso. «Quindi speriamo tutti che tu abbia qualcosa per noi», disse. Langton restò in silenzio. «Non è andata bene, allora?» domandò Lewis. «No, sono tornato a casa a mani vuote, Mike.» «Cazzo. Ma Daniels è stato in tutte e tre le città, giusto?» «Giusto. Però non ci sono testimoni che possano incastrarlo, sono solo prove indiziarie. Sto cominciando ad avere dei ripensamenti su di lui.» «Gesù Cristo, sono ripensamenti maledettamente costosi.» «Già.» Langton disse a Lewis di tornare a casa da suo figlio. Nella sala operativa c'erano solo quattro persone che stavano facendo il turno di notte. Poiché era troppo stanco per parlare con qualcuno, Langton andò nel suo ufficio dove riordinò in una pila le ricevute e i biglietti. Appoggiò la videocas-
setta sulla scrivania invasa da promemoria e documenti, aprì la sua bottiglia di scotch e se ne versò una dose generosa. Se avessero eliminato Daniels, si sarebbero ritrovati al punto di partenza. Niente testimoni. Nessun sospetto. A casa, Anna mise i vestiti sporchi nella lavatrice. Restò in piedi per un po'; non aveva ancora sonno. Controllò la segreteria telefonica. C'erano quattro messaggi ma quando premette play, non sentì niente. Chiunque avesse chiamato aveva riappeso. Anche se la fotografia di suo padre era al solito posto, non si sentì confortata. Più ci pensava, più si sentiva certa che qualcuno fosse entrato in casa sua prima del viaggio. Non riuscì a dormire e continuò a rigirarsi tra le coperte. Se Daniels era stato nella sua camera da letto, come diavolo era riuscito a entrare? Sapeva che la serratura non era stata forzata. Nessuno tranne lei usava l'appartamento, quindi decise di far analizzare la cornice in cerca di impronte digitali. Quel pensiero la confortò e le permise di addormentarsi. Anche se si era cambiato la camicia e si era fatto la barba, Langton aveva comunque un aspetto malconcio. Quando Anna arrivò la mattina dopo, era già in ufficio con Barolli e Lewis. Moira l'accolse con un sorriso e le chiese se il viaggio fosse andato bene. «Sì. Ma con tre città in tre giorni, non ho visto un granché.» Jean sollevò la videocassetta. «Non funziona con il nostro videoregistratore. Dobbiamo mandarla in laboratorio per farla convertire.» Anna cominciò a lavorare al suo rapporto sul viaggio in America. Prese dalla scrivania una pila di fascicoli sotto i quali c'erano le fotografie dell'appartamento di Alan Daniels. «Cazzo. Qualcuno le cercava?» «Cosa?» «Le foto dell'appartamento di Daniels. Erano sulla mia scrivania.» Jean agitò l'indice verso di lei. «Sei stata proprio una bambina cattiva. Barolli le stava cercando.» «Mi dispiace. Gliele darò io.» Moira si sedette sul bordo della scrivania. «Allora, com'è andata?» «Sai com'è, non abbiamo fatto altro che lavorare.» Lei inarcò le sopracciglia. «Voglio dire, com'è stato stare con lui per tre giorni e tre notti?»
«Oh, Moira! Io gli ho fatto solo da autista.» «Niente cene a lume di candela?» «No! E comunque, lasciami in pace. Devo fare il mio rapporto.» «Ho bisogno delle vostre spese e delle vostre ricevute», disse Jean. «Ha tutto il capo», rispose Anna mettendosi al lavoro. Moira tornò alla sua scrivania. Erano le dieci passate e Langton non era ancora uscito dal suo ufficio. Lewis stava aggiornando la lavagna con le date degli omicidi americani, mentre Barolli era in piedi accanto a lui e stava leggendo ad alta voce gli appunti di Langton. Il nome di Daniels fu unito con delle frecce a ciascuna delle città. Anna prese la busta che conteneva le fotografie. Esitò per un attimo, poi le estrasse. Erano tutte occasioni mondane: Daniels sotto un ombrellone con un gruppo di persone in costume da bagno; Daniels che brindava con qualcuno a un tavolo illuminato da candele; Daniels appoggiato a un'auto. Soltanto parte del veicolo era visibile. Anna andò agli schedari che straripavano nuovamente di documenti. Lesse le dichiarazioni del cameriere cubano, poi controllò quelle di Pelle Rossa (Yvonne Barber) prima di riporle. Bussò alla porta di Langton. «Sì!» fece lui bruscamente. Lei entrò e lo trovò seduto alla scrivania davanti a una montagna di ricevute, foglietti di carta e biglietti. «Puoi sistemare queste stronzate per me? Devono essere in ordine cronologico. Hai la nota di tutto quello che hai speso?» «Sì.» «Bene, allora aggiungila a questa roba. Jean deve approvare le nostre spese, altrimenti dovrò pagare di tasca mia.» «Okay.» Langton mise tutto in una cartellina. «Posso mostrarle una cosa?» Anna gli porse una lente d'ingrandimento per osservare la fotografia di Daniels appoggiato all'auto. «Il cubano dice di non ricordare il modello ma che si trattava di un'auto di colore chiaro. Anche l'altra testimone ha detto che era di colore chiaro. Quando abbiamo interrogato il cubano, gli abbiamo mostrato diversi veicoli. Non è riuscito a individuarne nemmeno uno, ma quel frammento di paraurti che si vede nella ripresa delle telecamere di sicurezza non era di una Mercedes nuova ma di una Mercedes di circa trent'anni fa, secondo Mike.»
«E allora?» «Be', guardi questa fotografia. Non si riesce a vedere molto, ma è una Mercedes, giusto? Ed è color crema.» Langton osservò la fotografia con la lente d'ingrandimento. «Cazzo!» Si appoggiò allo schienale, accigliandosi. «Credevamo che guidasse una Lexus quando Melissa è stata assassinata, vero?» «Sì. Forse la Mercedes non è sua ma sappiamo che ne ha noleggiata una negli Stati Uniti. Quindi è una marca che deve piacergli.» Anna continuò: anche se avevano appurato che negli ultimi nove mesi Daniels aveva guidato una Lexus, non avevano pensato di controllare gli altri veicoli che il sospetto poteva aver posseduto prima di quel periodo. Langton si avvicinò ad Anna, le prese il volto tra le mani e la baciò. «Ti amo, Travis.» Con un latrato, chiamò Lewis e Barolli. Anna tornò alla sua scrivania dove continuò a lavorare al rapporto. Lewis e Barolli si misero a controllare i registri della motorizzazione e la compagnia assicurativa di Daniels. Langton chiamò Travis a voce alta. «Sì?» L'ispettore capo sembrava di ottimo umore e teneva in mano una lista. «Daniels cambia le auto come gli altri si cambiano la biancheria.» Le snocciolò un elenco dei veicoli che Daniels aveva posseduto. Man mano che il suo patrimonio era cresciuto, era passato ad auto sempre più costose, cambiandole spesso e a distanza di pochi mesi. Ma l'auto di maggiore interesse per loro era una decappottabile azzurro chiaro, una Mercedes 280 SL del 1971, l'auto che Daniels aveva guidato fino al periodo dell'omicidio di Melissa. Il motivo per cui non se n'erano ancora accorti era che Daniels l'aveva acquistata usando il nome di una società, e quindi la Mercedes non era risultata nell'elenco delle sue proprietà. La notizia si diffuse alla velocità della luce e tutti si congratularono con Anna. Poi arrivarono le cattive notizie: la Mercedes non era stata venduta e non risultava appartenente a un nuovo proprietario. Daniels avrebbe dovuto essere convocato alla centrale per un nuovo interrogatorio. «Non abbiamo ancora prove sufficienti per arrestarlo», disse Langton ad Anna. «Dobbiamo seguire la procedura alla lettera. Potremmo essere accusati di non aver rispettato i suoi diritti. Dobbiamo portarlo qui e mettere in chiaro che non è accusato di niente e che ha diritto all'assistenza di un le-
gale. Questo significa un altro interrogatorio con Radcliff al suo fianco.» Le fece cenno di avvicinarsi, poi disse a voce bassa: «Quando arriverà, non voglio che tu ci sia». Poi si voltò e abbaiò: «Lewis! Andiamo a prenderlo!» Contrariamente a quanto si erano aspettati, Daniels accettò subito di recarsi alla centrale. Non insistette nemmeno perché Radcliff fosse presente. Il loro indiziato non sembrava minimamente turbato. Era ancora più affascinante della volta precedente e sembrava che si stesse sforzando di rendersi utile in ogni modo. Restò in silenzio nella stanza degli interrogatori insieme a Lewis e Langton mentre gli venivano letti i suoi diritti. Poi estrasse un taccuino. Spiegò che comprava e vendeva le sue auto in rapida successione perché, anche se aveva un parcheggio riservato, se si allontanava dalla città per delle riprese, non gli piaceva lasciare le auto incustodite per lunghi periodi. Stava cercando già da qualche tempo un garage nella zona ma fino a quel momento non aveva avuto fortuna. I prezzi erano astronomici. Langton gli chiese della Mercedes-Benz. Daniels sorrise, rilassato. Le Mercedes erano tra le sue preferite, disse, ma persino nella zona di Queen's Gate una decappottabile era troppo attraente per i ladri. «Continuavano a squarciarmi il tettuccio. Sembrava che qualunque teppista con un coltello passasse di lì...» «L'ha venduta?» domandò Langton, incredulo. «Peggio. Volevo farlo. Avevo già sospeso l'assicurazione. Poi ho avuto un incidente e tutto è finito lì.» «L'ha venduta?» ripeté Langton. «Be', si potrebbe dire di sì.» «Che significa?» «L'ho portata dallo sfasciacarrozze. Mi sarebbe costato una fortuna farla riparare e alcune parti erano anche arrugginite. Così ho pagato per farla rottamare.» Langton si sentì mancare la terra sotto i piedi. Ogni volta che facevano un passo avanti ne facevano due indietro. Appuntò il nome dello sfasciacarrozze e lasciò andare Daniels, guardandolo dalla finestra mentre veniva scortato alla sua Mercedes nera a bordo della quale attendeva l'autista. Anna fu felice di non doverlo affrontare. Contattarono lo sfasciacarrozze il quale confermò che la Mercedes di Alan Daniels era stata ridotta a un cubo di metallo di sessanta centimetri per lato. Il lavoro era stato eseguito il giorno dopo l'omicidio di Melissa Ste-
phens. Attorno alle quattro del pomeriggio, Anna cominciò a sentire gli effetti del jet lag. Quanto agli altri, dopo essere stati così «su», adesso erano tutti crollati. Poi Barolli fece notare che se Alan Daniels aveva portato l'auto a rottamare, aveva mentito quando aveva detto di non essersi trovato a Londra. Anna andò da Langton a chiedergli se poteva andare a casa e lui sospirò. «Sì. Perché no? Non sta succedendo un cazzo.» Lei si massaggiò la fronte che le stava pulsando. «Sì, ma il fatto che abbia avuto un'auto identica a quella su cui è stata vista salire Melissa significa che...» «Non significa niente», la interruppe lui. «Non significa niente a meno che non riusciamo a dimostrare che era l'auto di Daniels, che al volante ci fosse lui quella sera e che l'assassino di Melissa fosse il guidatore. Sono tutte prove indiziarie. Non verrebbero nemmeno ammesse in tribunale. E anche se fosse e lui riuscisse a farla franca, sarebbe finita. Non riusciremmo più a inchiodarlo. Questa è la maledettissima legge.» «Il profiler verrà domani?» «Sì.» «Ci vediamo domani, allora.» «Sì, sì, domani.» Arrivata a casa, Anna prese un paio di aspirine. Si sentiva davvero male. Forse se avesse ricevuto buone notizie, si sarebbe sentita meglio. Adesso non voleva altro che andare a letto e dormirci sopra. Controllò la segreteria telefonica e quando la voce elettronica la informò che l'ultima persona che aveva chiamato aveva usato il numero privato, Anna cancellò tutto. Tornò in cucina e si infilò un paio di guanti di gomma. Prese la cornice dal comodino, la voltò e ruotò i piccoli fermagli. Aveva deciso di togliere la foto e poi di avvolgere la cornice in un sacchetto di plastica per portarla al laboratorio, facendo attenzione a non toccare i bordi d'argento. Con attenzione, mise il vetro e la cornice nel sacchetto che poi chiuse nella sua valigetta. Quella fotografia era stata sul comodino di sua madre per anni ed era stata la prima cosa che aveva visto al mattino e l'ultima cosa che aveva visto la sera. Incuriosita, Anna la guardò meglio: tra la foto e il pannello posteriore c'era una busta. Si mise a letto e l'aprì. Riconobbe subito la calligrafia di suo padre. Sulla parte anteriore della
busta erano scritte le parole «Alla mia amata». All'interno c'era un unico foglio coperto dalla grafia fitta e ordinata di suo padre. Mio bellissimo tesoro, non posso trasformare quello che è successo in qualcosa di semplice come un brutto sogno. Se potessi lo farei. So quanto ti turba e ti influenza. Ti amo incondizionatamente, di un amore che accetta tutto ciò che mi puoi dare. Ma sono ugualmente preoccupato. Se permetterai alle tue paure di dominare la tua esistenza, la belva diventerà una presenza costante. Lasciarti alle spalle la paura ti renderà più forte. Ti prego, lascia che ti aiuti. Tesoro, sei troppo perfetta, troppo bella per fare di questa casa una prigione, anche se piena della tua dolcezza e della tua meravigliosa anima. Ti amo. Papà. Papà era il modo in cui la madre di Anna aveva sempre chiamato suo padre. Anna rilesse la lettera, confusa. Sembrava una lettera di incoraggiamento scrìtta a una vittima ma non riusciva a capire a cosa facesse riferimento. Non c'era alcuna data. La piegò e la fece scivolare sotto il cuscino ma continuò a pensare alla calligrafia ordinata e alla parola «belva.» Si rigirò tra le coperte chiedendosi se fosse successo qualcosa di terribile a sua madre. Il telefono cominciò a squillare. Anna impiegò qualche istante a trovarlo nell'oscurità. «Anna», disse una voce morbida. «Sì.» Questa volta sapeva esattamente chi fosse. «Bentornata.» «Grazie.» «Il viaggio a Manchester è andato bene?» chiese lui. «Sì, sì, bene.» «Ma non sei andata a Manchester, vero?» Lei si sentì irrigidire. «Ho chiamato la centrale. Mi hanno detto che eri negli Stati Uniti.» «Sì, è così. È stata una cosa inaspettata.» «Ti sei divertita?» «Sì.» «Dove sei stata esattamente negli Stati Uniti?»
Anna aveva la mano umida di sudore, stava stringendo il ricevitore troppo forte. «È molto tardi, Alan; sto per andare a letto.» «Tardi?» chiese lui malizioso. «Sono solo le dieci.» «Lo so, ma sono molto stanca. Che cosa voleva?» «Ho degli altri biglietti per il balletto. Mi hai detto che ti piaceva il balletto così quando me li hanno regalati ho pensato subito a te. Sono per Giselle.» «Oh. Quando sarebbe?» «Questo giovedì, al Covent Garden. Sei libera?» «Posso richiamarla, Alan? Devo controllare se sono impegnata per il turno di notte.» «Sì, ma non metterci troppo.» «La chiamerò domani. Buonanotte.» «Buonanotte, Anna.» Anna trasse qualche respiro lento e profondo, poi fece scivolare una mano sotto il cuscino per toccare la lettera di suo padre. Era stata scritta per confortare sua madre ma adesso stava calmando lei. Si alzò dal letto e controllò le finestre, poi chiuse a chiave la porta d'ingresso. In quel momento, ebbe un flashback della casa in cui era cresciuta. Sia la porta principale sia quella sul retro avevano avuto diverse serrature e anche le finestre erano state dotate di un sistema d'allarme. Sua madre aveva avuto paura di qualcuno? Era per questo che per tutta la vita era stata così prudente? Anna si sentì certa che qualcosa avesse invaso la casa dei suoi genitori. La «belva» di cui aveva parlato suo padre aveva fatto di sua madre una reclusa. Ripensando ai suoi genitori, Anna si rese conto che sua madre non usciva quasi mai di casa; mai da sola e raramente in compagnia di suo marito. Era suo padre che andava ad assistere alle sue gare di equitazione. Sempre lui. Si voltò a guardare la sua fotografia. Per un secondo, si era dimenticata di averla tolta dalla cornice perché pensava che fosse stata toccata dalle mani di un estraneo. Tuttavia non era spaventata, semmai arrabbiata perché aveva permesso ad Alan Daniels di metterla a disagio, non una ma due volte. Se quell'uomo aveva in mente di impaurirla e di perseguitarla, aveva scelto il bersaglio sbagliato. 13. «Ho chiesto ai miei vicini», disse Anna. «Non hanno notato nessuno aggirarsi attorno al palazzo, al garage o sul mio pianerottolo.»
Langton annuì stringendo le labbra. «Potrei sbagliarmi, ma ho pensato che fosse il caso di controllare se ci sono impronte. Non si sa mai.» Lui si appoggiò allo schienale della sua sedia. Anna indossava una camicetta nuova, una gonna nera attillata e delle scarpe nuove. Teneva su un ginocchio il sacchetto di plastica che conteneva la cornice. Aveva un bell'aspetto; Langton sapeva di non poter dire altrettanto di sé. Comunque Anna aveva anche qualcos'altro di diverso, sembrava più decisa. «Così hai intenzione di uscire con lui?» «Sì. Penso che dovremmo sfruttare ogni occasione possibile.» «Be', sempre che non cerchi di allungare le mani.» «Posso gestirlo», disse Anna. «Naturalmente, avrò addosso un microfono e potrei... potrei...» Esitò «...potrei portare una piccola telecamera nascosta?» Lui scoppiò a ridere. «Travis, con un caso dal profilo così alto, non vedo perché la polizia non dovrebbe permetterti di portare un'intera troupe cinematografica.» Lei per un attimo parve confusa. Langton tornò serio. «Non potrai avere né la telecamera né il microfono. Diventerebbe troppo pericoloso per te se lui si rendesse conto che lo stiamo controllando. Inoltre non possiamo dare l'impressione di volerlo incastrare. Se lo filmassimo, non potremmo usare il materiale in tribunale. E lo stesso vale per qualsiasi altro tipo di registrazione. È una buona idea, ma solo nei film, non nella vita reale. A questo proposito, devi fare molta attenzione, Anna. Non devi correre rischi inutili. E non devi tornare a casa sua, intesi? Dovete restare in luoghi pubblici.» Lei gli porse la cornice. «Prenderò le sue impronte mentre siamo al balletto.» Lui scosse la testa. «Hai visto troppi episodi della Signora in giallo. Lascia che ce ne occupiamo noi.» Lewis bussò alla porta ed entrò. Disse che il profiler aveva visto tre volte l'intervista ad Alan Daniels ed era pronto a discuterne. Quel che restava della squadra si era riunito nella sala operativa. Il silenzio calò nella stanza quando Michael Parks cominciò a spostarsi lentamente dalle fotografie di una vittima a quelle della vittima successiva, prima di voltarsi a guardare il pubblico. «Potrei sbagliarmi. La mia prima impressione è stata che ci trovassimo ad avere a che fare con uno psicopatico. Se avete il sospetto giusto, l'assas-
sino non è uno psicopatico seriale. Ora che ho visto la videocassetta, sono convinto che Alan Daniels sia un sociopatico. Non c'è una grande differenza dal punto di vista clinico ed è una categoria non meno pericolosa, ma basandomi sulla mia esperienza posso dire che i sociopatici sono molto più astuti, intelligenti e affascinanti degli psicopatici. Inoltre, non provano alcuna paura. Sono straordinariamente pericolosi perché la loro distruttività non è facile da individuare e le loro doti spesso suscitano ammirazione, purtroppo.» Parks si fermò davanti al grande blocco con un pennarello nero dalla punta larga. «Dico purtroppo perché i sociopatici sono intrinsecamente malvagi.» Incominciò a stilare una lunga lista. «Se un sospetto mostra questi sintomi, potete essere ragionevolmente sicuri che si tratti di un sociopatico.» Parks scrisse in stampatello: 1. È EGOTICO ED EGOCENTRICO? «A giudicare dall'intervista di Chicago, direi senza dubbio.» 2. MANIPOLA GLI ALTRI INDIVIDUANDO MOLTO FACILMENTE LE LORO VULNERABILITÀ? Picchiettò con il pennarello sulla pagina. «Direi di sì. Avete notato che l'intervistatrice era nervosa? Daniels l'ha messa a suo agio mostrandosi timido, dandole la sensazione di avere il controllo. E ben presto, l'ha avuta in pugno.» 3. PROVA POCO SENSO DI COLPA, POCA VERGOGNA O POCO RIMORSO? È CAPACE DI TESSERE UNA RAGNATELA DI MENZOGNE E INGANNI? SOPRATTUTTO, È CONVINTO CHE NESSUNO POSSA SCOPRIRLO? Langton incrociò lo sguardo di Anna. Entrambi sapevano che era così. Parks passò al numero quattro. 4. HA UN FASCINO SUPERFICIALE: SI RELAZIONA CON GLI ALTRI A LIVELLO SUPERFICIALE? Parks picchiettò di nuovo con la penna. «Il vostro sospetto è un attore: quale professione migliore?» Langton si sporse in avanti, accigliandosi. Si sentiva formicolare la nuca. «Guardate di nuovo la cassetta», continuò Parks. «Notate il modo in cui usa il suo fascino. Come riesce a manipolare il pubblico.» Tornò a guardare il blocco. 5. È IN GRADO DI AMARE? DI DIMOSTRARE FEDELTÀ IN UN LUNGO PERIODO? È IN GRADO DI PROVARE EMPATIA? È CAPACE DI SENTIRE AFFETTO PROFONDO PER GLI ALTRI?
«Un sociopatico finge solo di possedere e di provare questi sentimenti. Ma vi assicuro che è tutto falso.» Langton ripensò a come Alan Daniels si fosse rifiutato di usare la parola «madre» e a come si fosse rifiutato di parlare della madre adottiva. Anna era d'accordo con tutto ciò che stava dicendo il profiler. Quella descrizione calzava come un guanto. 6. HA UN'ATTITUDINE ALLA SUPERIORITÀ O UN'ECCESSIVA STIMA DI SÉ? «Avete notato alla fine dell'intervista come saluta con la mano con aria regale, chinando leggermente la testa?» «Cazzo», borbottò Langton, «non me n'ero affatto accorto.» 7. USA GLI ALTRI? È UN TRADITORE? UN BUGIARDO? MENTE PER IL PIACERE DI MENTIRE OLTRE CHE PER RAGGIUNGERE I SUOI SCOPI? Anna stava scrivendo furiosamente sul taccuino. 8. RICERCA LA GRATIFICAZIONE IMMEDIATA? USA GLI ALTRI PER LA PROPRIA AUTOESALTAZIONE? Langton sussurrò ad Anna: «Si compra una macchina nuova ogni sei mesi!» Lei annuì e rispose a bassa voce: «E che dire dei mobili nel suo appartamento?» 9. DIMOSTRA IMPROVVISI SBALZI DI UMORE, DALL'AMICHEVOLE AL RABBIOSO? MAGARI PERSINO QUALCHE TRACCIA DI VIOLENZA? Parks girò la pagina e cominciò a scrivere sul foglio successivo. «Ora, sembra che il vostro sospetto non sia sposato né lo sia mai stato. Non ha avuto molte relazioni lunghe. Questo è un altro sintomo.» 10. POCHI AMICI INTIMI. SPESSO TURBATO E AGITATO. NON GLI PIACE STARE DA SOLO. STARE SOLO CON SÉ STESSO LO FA SENTIRE AGITATO. Mike Lewis scosse la testa. Disse che avevano visto diverse fotografie in cui Daniels era in compagnia di amici. Possibile che si trattasse solo di colleghi di lavoro? Parks si tolse la giacca. Aveva aloni di sudore sotto le ascelle. Continuò: «I sociopatici per la maggior parte non solo sono dotati di un'intelligenza superiore ma anche di uno spietato egocentrismo. Per loro le persone sono solo oggetti da manipolare. Se hanno una relazione, è sempre basata sullo sfruttamento dell'altro. Capite? per loro le persone esistono solo per soddi-
sfare le loro necessità. Per loro, una persona non è un essere umano ma solo un mezzo per raggiungere un fine». Langton alzò la mano. «E il sesso?» Parks lo fissò. «Continui.» «Be', questi omicidi sono a sfondo sessuale: violenza e sodomia.» Il profiler risucchiò l'aria tra i denti. «Infatti. Okay. Anche se un sociopatico può amare molto il sesso, il sesso per lui è sempre privo di autentica intimità. Sono persone incapaci di innamorarsi. Non si impegnano mai in alcun modo: per loro le persone sono come Kleenex, le gettano via facilmente.» «Sono inclini a uccidere come gli psicopatici?» chiese Barolli. Parks annuì. «Sì. Comunque esistono due tipi di sociopatici. Il primo è un predatore passivo, il genere di persona che può truffare una signora anziana o derubare un disabile. Non provano quasi rimorso e possono essere recidivi, ma i sociopatici passivi uccidono raramente. Il tipo aggressivo è il più pericoloso. Mostra una completa assenza di rimorso e possiede la capacità di spersonalizzare le sue vittime. La vittima è soltanto un oggetto.» Anna alzò la mano. «Il sospetto non si è dimostrato molto aggressivo; il contrario, semmai.» Parks annuì di nuovo. «Ottima osservazione. Comunque dovete capire che questo tipo di aggressività è molto sotto controllo. Potreste anche non averla notata ma c'è. E quando affiora, lui uccide.» Parks si spostò passando accanto alla galleria delle vittime e picchiettando su ogni fotografia con il pennarello. «Deve esistere un motivo per la scelta di queste povere donne, un odio già consolidato. Ma la ragazza, Melissa...» Fissò la sua foto. «Sembra che abbia commesso un errore. La ragazza era nel quartiere a luci rosse. Era bionda e aveva gli occhi castani. Ma lui non è riuscito a controllarsi. Probabilmente ha pensato: "Che diavolo, perché no? Ucciderò anche lei". Con questa freddezza. Questo non vuol dire che il modo in cui ha ucciso fino a quel momento non fosse calcolato.» Anna passò a Langton il suo taccuino e gli indicò qualcosa che aveva scritto. Lui glielo restituì annuendo. Anna aveva pensato che Melissa poteva essere salita sulla macchina di Daniels perché l'aveva riconosciuto. Quando Parks disse che la riunione era finita, molti membri della squadra si radunarono attorno a lui per porgli altre domande. L'atmosfera nella sala operativa era molto tesa: Alan Daniels aveva riguadagnato il suo status di primo sospetto. Era come una scarica di adrenalina, come se fossero
sul punto di catturare il loro killer. Anna attese Langton nel suo ufficio. Dopo aver chiuso la porta, lui emise un fischio e disse: «Ritiro quello che ho detto sul suo conto. Questa volta ha fatto centro». «Aveva anche più materiale su cui lavorare. Probabilmente, questo ha aiutato.» Anna controllò l'orologio. «Devo fare quella telefonata.» «Già, lo so. Ho chiesto a Parks di fare una chiacchierata in privato con te. Può spiegarti cosa dire e come dirlo. Ma dobbiamo fare molta attenzione, non vogliamo dare l'impressione di volerlo incastrare.» Dopo ciò che aveva appena sentito, Anna fu grata a Langton per quella idea. «Ma vorrei parlarti un attimo prima che arrivi. Volevo dirti che se hai cambiato idea, non sei costretta a farlo. Se così fosse ti capirei; devi solo dirmelo.» «La ringrazio ma me la sento.» «Vado a chiamare Parks, allora.» Un attimo dopo tornò in compagnia del profiler che ascoltò attentamente mentre Anna raccontava la telefonata di Daniels. «Bene! Deve sentirsi molto minacciato se ha deciso di correre il rischio di un contatto personale con qualcuno che lavora alle indagini. Deve anche essere convinto di poterla manipolare. Deve stare al gioco, Anna. Se ho ragione, quest'uomo conosce perfettamente l'inganno e il fascino, e ha intenzione di usarla; si ricordi di non abbassare mai la guardia. Il senso della vita per lui è il potere di prendersi quello che vuole. Darà per scontato che lei si fidi di lui e continuerà a cercare di mostrarsi degno di fiducia.» Sollevò lo sguardo su Anna. «Le dispiacerebbe riferirmi con esattezza che cos'è successo la prima volta che ha incontrato il sospetto?» Anna gli raccontò di quando Daniels le aveva mostrato le fotografie che teneva nel portafogli; di come si fosse comportato in modo fin troppo amichevole, circondandole le spalle con un braccio; di come le avesse baciato la mano quando lei se n'era andata. Parks annuì. «È un camaleonte. Ha la capacità di individuare le sue fragilità e di diventare ciò che lei vuole che sia. Farà di tutto per creare un legame istantaneo tra di voi. Da quel primo incontro, ha capito di potersi avvicinare a lei fisicamente anche se lei era lì per svolgere una perquisizione.» Anna si sentiva lo stomaco stretto in una morsa; aveva il sospetto che Parks avesse ragione.
Il profiler continuò: «Le ha mostrato qualcosa di molto privato, le fotografie nel suo portafogli. L'ha attratta dicendo di non averle mai mostrate a nessuno. Poi ha fatto sfoggio della sua vulnerabilità: il bambino povero e sofferente che torna a perseguitare l'adulto di successo». Anna annuì. Aveva provato compassione per lui e lui doveva essersene accorto. Si era sentito abbastanza sicuro di sé per chiamarla quella sera stessa. E se si era davvero introdotto nel suo appartamento, ora conosceva molti altri suoi punti deboli. «Da cosa deve guardarsi Anna?» domandò Langton. Parks esitò. «A parte le cose più ovvie, voglio dire. Come dovrebbe interagire con lui per guadagnarsi la sua fiducia e usarla a nostro vantaggio?» «Non sarà facile. È un esperto nel raggirare e nel mentire. Ma potrebbe esserci quella che definisco una "falla". Se riuscirà a ingannarlo, a farlo uscire allo scoperto, potrebbe indurlo a sbagliare i suoi calcoli, a spingersi un po' troppo in là - magari vantandosi o raccontandole una storia su una o più azioni criminose che ha commesso. In nessun caso si dimostri infastidita o disgustata da ciò che le racconterà. Non mostri ciò che sta pensando veramente. Potrebbe indurlo a rivelare qualcosa di importante.» Langton prese le lastre scoperte nell'appartamento. Parks era convinto che fosse stato Daniels a farle ritrovare. «Se nell'appartamento ci fosse stato qualcosa di compromettente per lui, le garantisco che lo avrebbe distrutto. È probabile che le abbia lasciate lì di proposito.» Langton annuì. «È stato facile scoprirle. Ma in una foto si vede il veicolo su cui è stata vista salire Melissa Stephens.» Parks scrollò le spalle. «Non è lo stesso veicolo che è stato consegnato allo sfasciacarrozze? Vede, anche se ci fosse un legame, non può essere dimostrato o usato in qualche modo. Il suo ego è tale che lo induce a pensare di essere al di sopra di ogni sospetto. Sa che non avete nulla a parte prove indiziarie.» Parks trasse un profondo respiro. «Penso che in questo momento sia molto pericoloso. Forse si sta preparando a uccidere di nuovo e, non voglio spaventare nessuno, ma è possibile che stia pensando al sergente Travis come alla sua prossima vittima. Questa eventualità potrebbe eccitarlo perché è particolarmente pericolosa. Commettere un omicidio proprio sotto il vostro naso, sarebbe molto eccitante per lui. Non mi stancherò mai di ripetervi che quest'uomo è davvero pericoloso.» «E non ha dubbi sul fatto che sia lui il responsabile?» chiese Langton e-
sitante. «Nessun dubbio. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, non ero ancora al passo con l'inchiesta. Ma da allora ho letto tutti i rapporti e ho esaminato le prove e la mancanza di prove. Sono convinto come voi che Alan Daniels sia l'assassino.» Langton ammise: «Devo dire che ero giunto alla conclusione opposta guardando l'intervista televisiva». Parks sorrise con aria rassicurante. «Non sono sorpreso. Se non sa che cosa cercare, quei segni rivelatori di cui vi ho parlato prima, è difficile apprezzare l'astuzia di Daniels. Solo così può scorgere ciò che si nasconde dietro la maschera.» Quando i due uomini si voltarono a guardarla, Anna cercò di sorridere coraggiosa. «Allora, quando Anna farà la telefonata, come dovrà comportarsi?» «Cominci con un segreto», le consigliò Parks. «Dovrà convincerlo che il suo superiore non sa niente del vostro incontro e che lei crede alla sua innocenza. Se Daniels avrà il benché minimo sospetto che lei stia eseguendo degli ordini non si aprirà. Deve credere di piacerle e perché questo accada lei dovrà far leva sul suo ego.» «In questo modo si fiderà di me.» «Esattamente: si guadagni la sua fiducia ma proceda lentamente. Non deve insospettirlo in alcun modo.» Passarono altri quindici minuti nell'ufficio di Langton. Anna aveva deciso di chiamare Daniels alle sei e mezza. Non appena Anna se ne fu andata, Langton chiese quanto fosse davvero pericoloso usarla. Parks scrollò le spalle. «Mi sembrava di essere stato assolutamente chiaro. Anna non deve in nessun caso accettare di trovarsi da sola con lui, devono rimanere in luoghi pubblici. Lui all'inizio cercherà solo di spremerle informazioni. Spero che scoprirete quello che state cercando prima che Daniels porti l'interazione al livello successivo. Penso anche che i rinforzi e la sorveglianza dovrebbero essere orchestrati alla perfezione. Si ricordi che lo avete portato qui per interrogarlo; riconoscerà gli agenti che ha già visto. Bisogna impedire che non si fidi di Anna; se questo dovesse accadere, tenterà un'altra tattica.» «Quale potrebbe essere?» «È difficile dirlo.» Langton era a disagio, ma poiché era arrivato fino a quel punto decise di andare in fondo. Dopo che Parks se ne fu andato, si mise in contatto con il
comandante della squadra investigativa per chiedere un incontro. Avrebbe avuto bisogno di una squadra di sorveglianza composta da agenti mai visti da Daniels e sconosciuti anche ad Anna. Avrebbe anche chiesto un prolungamento dell'inchiesta visto che erano sul punto di effettuare un arresto. Poi Langton chiamò Mike Lewis e gli consegnò la cornice che gli aveva portato Anna. Quando aveva detto a Parks che c'era la possibilità che il loro sospetto poteva essersi introdotto nell'appartamento di Anna, il profiler lo aveva messo in guardia su un altro punto. Parks era convinto che Alan Daniels avesse preso di mira Anna; se fossero riusciti a dimostrare che si era introdotto illegalmente nell'appartamento, avrebbero potuto arrestarlo e trattenerlo per violazione di domicilio. La speranza era che, dato che nulla era stato rubato, la fotografia spostata fosse la «falla» di cui aveva parlato Parks. Sarebbe stato abbastanza per trattenerlo, ma quanto a lungo? Langton dubitava che avrebbero ottenuto un qualche risultato perché era certo che se Daniels si era introdotto nell'appartamento avesse indossato i guanti. Mike Lewis inviò la cornice al laboratorio della scientifica. Le impronte di Anna erano già in archivio, così come quelle di tutte gli altri agenti, quindi non ci sarebbe voluto molto per ottenere un risultato. Langton si sarebbe inventato qualcosa per prendere le impronte di Daniels e fare un confronto. Langton lasciò ad Anna il suo ufficio per permetterle di fare la telefonata in tutta tranquillità. La chiamata sarebbe stata registrata e ormai Anna conosceva a memoria il copione. Si sedette alla scrivania di Langton. Lui prese posto di fronte a lei, si infilò le cuffie e le fece un segnale per dirle di chiamare. Il telefono squillò quattro volte prima che Daniels rispondesse. «Sì?» «Alan, è lei?» «Sì.» «Sono Anna.» «Lo so; stavo cominciando a perdere le speranze. Questi biglietti sono come oro. C'è Darcey Bussell, è una serata di gala.» «Mi dispiace. Non sono riuscita a stare sola neanche per un attimo.» Anna abbassò la voce. «Sono ancora alla centrale.» «Capisco. Okay. Comunque non è Giselle ma il Lago dei Cigni.» «Oh, è fantastico.» «Sì, la Bussell è eccezionale.»
«Oh, mio Dio, che cosa devo indossare? Un abito da sera?» «Sì. Allora, vengo a prenderti io?» «Oh, sì, grazie. Devo indossare un abito lungo?» «Be', non ci si mette più eleganti come un tempo ma non si può essere casual. Io mi metterò un completo da sera.» «Per che ora devo essere pronta?» «Per le sette meno un quarto. Sembra molto presto ma c'è un ricevimento di beneficenza, prima. Ho prenotato un tavolo all'Ivy quindi faremo piuttosto tardi. Va bene per te?» «Dovrò chiedere se posso uscire prima, ma sono sicura che non ci saranno problemi.» Abbassò la voce e in un sussurro disse: «Non potrò dirlo a nessuno. Penso che non approverebbero». Ci fu una pausa, poi lui rise dolcemente. «Capisco. Mi dai il tuo indirizzo?» Lei glielo diede; lui le confermò che sarebbe stato da lei alle sette meno un quarto. «Non vedo l'ora di rivederti, Anna.» «Grazie. Grazie per avermi invitato.» Lui chiuse la comunicazione. Langton si tolse le cuffie mentre Anna traeva un profondo respiro e riagganciava il ricevitore. «Ottimo lavoro», disse Langton a bassa voce. Lei gli mostrò le mani tremanti e sogghignò. «Hai un abito decente da indossare?» chiese lui in tono preoccupato. Lei scoppiò a ridere. «Un abito decente?» «Sto solo dicendo che non c'è alcun bisogno che tu sfori il tuo budget. Potremmo noleggiarne uno per te.» «Certo che ho un abito da sera», protestò lei. «Il fatto è che non lo indosso tutti i giorni.» «È il vestito giusto per un'occasione formale?» «Non posso crederci! Sì, ho vestiti per tutte le occasioni, signore.» «Non ci scherzare sopra, Travis, e non pensare neanche per un momento che mi stia divertendo. Domani devi essere pronta per tempo. Non devi lasciarlo entrare nel tuo appartamento. Ci saranno rinforzi a teatro e al ristorante. Scotland Yard sta organizzando una squadra. Sarai protetta.» «Spero solo che riusciranno a trovare dei biglietti. Mi hanno detto che sono come oro!» scherzò lei. «Fuori di qui», borbottò lui. Quando Anna tornò nella sala operativa, molti le fecero i complimenti. Moira la guardò e le strizzò l'occhio.
«Ho un fantastico vestito di paillettes, se ne hai bisogno.» Anna sogghignò. «Dubito che mi starebbe, Moira. Non sono così prosperosa.» Il fatto che Anna si sentisse in grado di scherzare allentò la tensione. Cominciarono a discutere di Michael Parks e di quanto li avesse colpiti. Anna era felice di avere il suo copione. Sperava solo di essere in grado di seguirlo. Non aveva mai lavorato sotto copertura prima d'ora, così come non aveva mai partecipato a un'elegante serata di gala alla Rovai Opera House. Non aveva mai nemmeno cenato all'Ivy. Non pensava che avrebbe dovuto faticare molto per mostrarsi impressionata. Qualunque cosa fosse accaduta, quella sarebbe stata una serata che non avrebbe dimenticato. Mercoledì mattina, il laboratorio si era messo in contatto con Langton. Avevano confrontato facilmente le impronte di Anna. C'erano altre tre impronte. Una era troppo confusa perché potesse servire per un'identificazione ma speravano di ottenere le altre due. Ci sarebbe voluto altro tempo, dato che le due impronte erano sovrapposte. C'era una nuova tecnologia per prelevare un'impronta da un'altra e separarle in due impronte chiare. Il metodo era all'avanguardia nella digitalizzazione di impronte sovrapposte ma all'inizio era stato dichiarato inaccettabile dal tribunale. Recentemente, le cose erano cambiate e i vantaggi di una simile tecnologia si erano dimostrati notevoli. Sfortunatamente, l'esperta della scientifica più vicina lavorava a Nottingham. Era arrivata con un treno quella mattina presto. Quando Langton arrivò al laboratorio, l'esperta della scientifica aveva appena trattato le impronte con il DFO. Spiegò che si trattava di un nuovo composto chimico simile alla ninidrina che diventava fluorescente quando esposto a una fonte di luce. Il DFO avrebbe evidenziato e migliorato il dettaglio delle creste sulla foto. Erano, ovviamente, le creste delle impronte digitali a permettere il processo di identificazione dal momento che non c'erano due persone con le stesse creste. Il procedimento era lento e quando l'esperta rimosse un'impronta dall'altra, le creste apparvero offuscate e frammentarie. Langton sospirò, sicuro che stessero sprecando tempo. Ma l'esperta non aveva ancora finito. L'impazienza di Langton, che continuava a sbirciarla al di sopra della spalla, stava cominciando a irritarla. «Ci vorrà un po' di tempo», lo avvertì. «Adesso devo usare le fotografie per migliorare l'immagine delle impronte.»
«Quanto tempo ci vorrà?» «Circa quattro ore.» «Quattro ore?» sbottò lui. Le labbra sottili della donna si strinsero in una linea ancora più sottile. «Se queste devono essere usate come prove, non posso affrettare i tempi. Ogni impronta dev'essere documentata fotograficamente in ogni fase dell'ingrandimento. Ho accettato di dare la priorità a questo lavoro, quindi dovrà essere paziente.» «Pensa di riuscire a ottenere qualcosa?» «Se non lo pensassi, non sarei qui.» Langton guardò l'orologio. Erano quasi le dodici. Le diede il suo numero di cellulare e le chiese di contattarlo non appena avesse ottenuto un risultato. Poi si recò a Scotland Yard per discutere della sorveglianza e aggiornare il comandante sugli ultimi sviluppi. Convincere il comandante a mettere insieme una squadra di sorveglianza continua non era stato facile, soprattutto perché c'erano già due agenti che controllavano la casa di Daniels. La richiesta di due postazioni, all'Opera House e all'Ivy, aveva portato a una discussione accesa ma alla fine Langton l'aveva spuntata. I posti di Alan Daniels erano in prima fila, i migliori di tutto il teatro. Gli altri posti attorno a loro erano già stati venduti, così avrebbero messo due agenti a fare da maschere. Anche se l'Ivy non aveva un tavolo disponibile con un preavviso così limitato, c'erano sempre molti paparazzi che attendevano davanti al ristorante alla moda per fotografare le star che entravano e uscivano. Due agenti si sarebbero finti fotografi, un altro avrebbe seguito Anna e Daniels a piedi e non lontano ci sarebbe stata un'auto civetta. Invece di una squadra ridotta all'osso, Langton adesso aveva tutti gli agenti che gli servivano. A ogni uscita dell'Opera House e dell'Ivy ci sarebbero stati poliziotti sotto copertura. Il costo dell'operazione era astronomico, come il comandante non mancò di far notare, tuttavia aveva ceduto su tutta la linea. L'omicidio avvenuto mentre Langton e Anna erano oltreoceano l'aveva resa ancora più nervosa. Anche se era stato arrestato un altro sospetto, il fatto che un serial killer fosse a piede libero e la possibilità di un altro omicidio avevano colpito nel segno. Così come il rapporto di Michael Parks; non solo il profiler aveva predetto che ci sarebbero stati altri omicidi, ma aveva anche sostenuto che il responsabile era Alan Daniels. Langton riferì alla squadra le ultime informazioni. Aveva ricevuto una telefonata dall'esperta della scientifica. Aveva due impronte chiare che e-
rano già state inserite nel database ma senza alcun risultato. L'intruso non era schedato. Langton spiegò nei dettagli dove sarebbero stati posizionati gli agenti della squadra di sorveglianza. Dopo il briefing, Langton le diede un'ultima opportunità di tirarsi indietro. Con suo grande sollievo, Anna rifiutò ancora una volta, guadagnandosi la sua ammirazione per come si stava comportando. Sarebbe persino andata alla centrale la mattina dopo, anche se aveva accettato di prendersi il pomeriggio libero per andare dal parrucchiere a spese del dipartimento. A casa, quella sera, Anna guardò i vestiti sparpagliati sul letto e pensò tristemente che la sua indecisione su cosa indossare aveva almeno fatto trascorrere più in fretta il tempo. Alla fine scelse un abito aderente color crema e uno scialle di cachemire. Poi si rituffò nel guardaroba in cerca delle scarpe adatte. Non riuscì a trovarle e si lasciò cadere in ginocchio piangendo per la frustrazione. Trasse un profondo respiro per riprendere il controllo. Aveva i nervi a fior di pelle. Avrebbe avuto tutto il tempo per comprare un nuovo paio di scarpe mentre andava dal parrucchiere. Si disse di smetterla di reagire in quel modo. Dall'ultimo cassetto prese una piccola borsetta da sera decorata con perline. L'aprì lentamente: poteva sentire ancora il profumo di sua madre. Prese la lettera che aveva trovato nella cornice e la lesse ancora una volta. Seduta con la borsa in grembo, le si riempirono gli occhi di lacrime. Si ricordava di quando, dopo la morte di sua madre, aveva ritrovato quella borsa che conteneva ancora i suoi trucchi. Si era seduta davanti alla toilette di sua madre e aveva aperto il rossetto. Era color corallo pallido. Si era applicata il rossetto consumato dalle labbra di sua madre e le era sembrato un ultimo bacio d'addio. Ricordando il sorriso affettuoso della madre, Anna pianse. Quando si sentì più calma, pensò alla serata che avrebbe passato con Daniels. Scelse vari oggetti da portare nella borsa. Era contenta che fosse appartenuta a Isabelle. Prese anche un paio di gemelli di suo padre. Così, l'amore dei suoi genitori l'avrebbe circondata e Anna era certa che si sarebbe sentita protetta dal male. Giovedì era una giornata piovosa e il tempo nella sala operativa si trascinava lentamente. Anna continuava a picchiettare con un dito sul vetro dell'orologio convinta che si fosse fermato. Finalmente arrivarono le due del pomeriggio. Bussò alla porta di Langton, poi mise dentro la testa. «Devo andare.»
«Okay», disse lui in tono distratto. «Allora ci vediamo domani mattina?» «Ci vedremo prima», disse lui prendendo un blocco per gli appunti dal cassetto della scrivania. «Sarò da te per la fine dell'operazione.» «Oh, davvero?» Lui cominciò a scrivere. «Aspetterò che tu torni a casa.» «Ah. Ci vediamo dopo, allora.» «Sì, ci vediamo dopo.» Lui non sollevò lo sguardo quando lei se ne andò. Solo quando la porta si fu richiusa, gettò via la penna. Fin da quella mattina l'aveva osservata attraverso le veneziane del suo ufficio. Quella rossina cominciava a piacergli. Era da tanto che non si sentiva così protettivo nei confronti di qualcuno. Era certo che il loro rapporto non potesse diventare altro che un'amicizia. Anna in ogni caso non era il suo tipo. Anzi, non la trovava nemmeno attraente. Ma c'erano delle buone ragioni per sentirsi protettivi nei suoi confronti. Una volta che Anna ebbe lasciato la centrale, Langton andò nella sala operativa per fare due chiacchiere con la sua squadra. Disse che se le impronte trovate nell'appartamento di Anna erano di Daniels, lo avrebbe arrestato immediatamente. Non era pronto a farle correre rischi inutili. Lewis inclinò la testa di lato. «Non è un grosso rischio con la copertura che ha.» «Be', stasera mi occuperò personalmente della sua sicurezza. Se Daniels è stato davvero nel suo appartamento, significa che Travis è un bersaglio.» Alcuni agenti si scambiarono qualche occhiata ma nessuno disse niente. Involontariamente, molti spostarono gli occhi sulla lavagna a cui erano appese le foto delle vittime, comprese quelle americane. Anna Travis si era guadagnata ancora una volta la loro ammirazione. Tutti speravano che non le capitasse niente di male. 14. Anna indossava una cuffia di plastica per la doccia per proteggersi i capelli e mantenerli lisci. Il suo nuovo taglio piuttosto mascolino era moderno, dal tocco quasi punk, e i colpi di sole, facendole sembrare più chiari i suoi folti capelli rossi, le donavano molto. I nuovi sandali con il tacco alto color crema si intonavano perfettamente al vestito. Erano le cinque del pomeriggio quando suonarono alla porta.
Anna era seduta davanti alla toilette, indossava un kimono e si stava truccando. Quando aprì, Langton sogghignò indicando la cuffia di plastica. «Sei molto affascinante», disse entrando. Solo in quel momento, Anna si rese conto di avere ancora in testa la cuffia. «Impedisce al vapore di farmi arricciare i capelli.» «Continua a fare quello che stavi facendo. Farò come se fossi a casa mia.» «Prenda pure un caffè», disse Anna chiudendo la porta della camera da letto. Lo sentì rovistare tra le stoviglie in cucina. «Ne vuoi uno anche tu?» le gridò. «No, grazie.» Si tolse la cuffia e si passò le dita tra i capelli come le aveva fatto vedere il parrucchiere. Ritornarono subito a posto e per di più rimasero lisci. Langton controllò le finestre e le serrature della porta d'ingresso. Appena arrivato, aveva studiato l'esterno dell'edificio, notando che nessuno lo aveva fermato. Aveva visto soltanto un inquilino che stava uscendo dal garage e non aveva mostrato alcuna curiosità nei suoi confronti. Se Daniels si era introdotto nell'appartamento di Anna probabilmente c'era riuscito perché lei aveva lasciato la porta socchiusa. Langton salì al piano superiore, poi scese a quello inferiore e notò che c'era un ascensore. Se Anna era scesa per le scale e Daniels aveva preso l'ascensore, era possibile che non si fossero incrociati. Non c'era nemmeno la portineria. Langton uscì dalla porta sul retro dove venivano tenuti i bidoni della spazzatura. C'era un piccolo cortile delimitato da una cancellata. Uno stretto vicolo conduceva alla strada principale per il ritiro della spazzatura. Langton impiegò solo pochi minuti a scendere le scale dal secondo piano e raggiungere il cortile, e un altro paio di minuti per compiere il percorso inverso. Esplorò il garage. Era ben illuminato e i nomi degli inquilini e i numeri dei loro appartamenti erano scritti su piccole targhe. Ma se le porte del garage erano aperte come ora, chiunque avrebbe potuto entrare nell'edificio passando dal piano terra. Langton notò che la porta che univa il garage all'atrio non era chiusa a chiave. La Mini di Anna era nel suo parcheggio; gli altri posti erano vuoti. Langton era sicuro che se Daniels era entrato nell'appartamento di Travis, era stata un'intrusione dettata dall'opportunità. Tornò in cucina e si versò una tazza di tè. Aprì la scatola dei biscotti e si sedette su uno sgabel-
lo accanto al bancone a leggere il giornale. Sentì un profumo delizioso e sollevò lo sguardo. Anna era in piedi sulla porta. «Che ne pensa?» chiese lei. Lui la squadrò dalla testa ai piedi. «Molto carina.» A dire il vero, Langton era rimasto colpito dall'aspetto quasi virginale di Anna con quel semplice vestito. Le sue nuove scarpe con i tacchi alti la facevano sembrare più snella. Non glielo disse, però, e si limitò a commentare: «Non avrai freddo vestita così?» «Ho uno scialle di cachemire.» «Bene. Sei molto elegante.» Lui controllò l'ora: le sei e venti. «Hai mangiato qualcosa? Dovrai aspettare molto prima di cenare.» «Non ho molta fame.» «Be', non bere a stomaco vuoto», cominciò a masticare un biscotto. «Sembra mio padre.» Prima di tornare in camera da letto, Anna si voltò a sorridergli. Langton non si sentiva affatto paterno, tutt'altro. Anna era talmente bella che lo aveva lasciato quasi senza fiato. Il suo cellulare si mise a squillare proprio in quel momento. Si frugò nelle tasche e lo estrasse. Quando entrò in camera da letto per aggiornare Anna, la trovò seduta davanti alla toilette. «Ha appena lasciato Queen's Gate. È su una Mercedes Benz nera con i vetri fumé guidata da un autista. È un auto presa a nolo da una compagnia di Knightsbridge.» «Non ce lo aspettavamo», disse lei. «Significa che potrebbe allungare le mani sui sedili posteriori.» «Oh, la prego», disse lei. «Vado a spegnere le luci in cucina e in soggiorno. A proposito, le porte del garage di solito vengono lasciate aperte?» «Qualche volta, se qualcuno degli inquilini si dimentica le chiavi. Ma di solito la notte sono chiuse.» Langton andò a sedersi nel soggiorno immerso nell'oscurità mentre Anna rimase in camera da letto. Sentì squillare di nuovo il cellulare di lui poi Langton apparve sulla porta della camera da letto. «L'auto sta parcheggiando qui fuori.» Lei si mise sulle spalle lo scialle di cachemire e prese la borsetta. Langton era ancora al telefono. «Ha mandato l'autista a chiamarti.» Quando suonò il campanello, Anna aprì la porta. L'autista fece un inchi-
no molto cortese e la informò che il signor Daniels la stava aspettando in macchina. Lei lo seguì e Langton rimase a guardare fuori dalla finestra della cucina. Il sole non era ancora tramontato. Langton vide Daniels scendere dalla Mercedes. Lo chauffeur tenne aperta la portiera per Anna; Daniels salì accanto a lei. Il cellulare squillò di nuovo. «Sono partiti», disse la voce di uno degli agenti di sorveglianza che si trovavano sull'auto che avrebbe seguito la Mercedes. «Sì, lo so.» Si sedette nel soggiorno che dava sul cortile interno e accese il televisore. Sarebbe stata una lunga attesa. A bordo della Mercedes, Daniels appoggiò la testa contro il finestrino. «Sei davvero affascinante», disse a bassa voce. «Grazie», rispose Anna. «Ci ho messo un po' a decidere che cosa indossare. Non sono abituata a serate così eleganti.» Lui non ebbe alcuna reazione e, ricordandosi i consigli di Michael Parks, Anna prese ad adularlo. «Ha un completo bellissimo! Dove l'ha preso?» Lui indossava un'immacolata giacca di velluto bordata di satin bianco e una camicia di seta bianca. I pantaloni dello stesso colore erano stirati alla perfezione e la piega sembrava affilata come la lama di un coltello. «È una creazione di Valentino. L'ho indossato in un film e così l'ho avuto a un quarto di quello che avrei speso se lo avessi comprato in un negozio.» «Le sta alla perfezione! E la camicia è fantastica.» «Grazie. Valentino ha insistito per il colletto alto senza papillon nero. È di seta purissima. Guarda questi.» Le mostrò i polsini. «Un tantino eccessivi, non trovi?» Per la prima volta, Anna notò i gemelli di smeraldo. «Ma... sono veri smeraldi!» «Facevano parte della collana indossata dall'imperatrice Giuseppina. E attorno ci sono diamanti rosa.» «Santo cielo.» «Hai avuto difficoltà a lasciare prima la centrale?» «No. Ho detto che avevo un impegno familiare.» «Hai detto una piccola bugia, allora.» Lei rise. «Il fatto è che non credo avrebbero approvato che tu e io ci vedessimo.» «Ma senza dubbio non sono più sospettato di avere qualcosa a che fare con... come si chiamava quella ragazza?»
«Melissa Stephens?» «Ah, sì, con l'omicidio di Melissa Stephens.» La scrutò. «Giusto?» «Sospettato?» «Sì.» Lei sorrise. «Ne dubito, ma allo stesso tempo il fatto che lei sia stato interrogato significa che non è del tutto corretto che io e lei usciamo insieme.» «Allora sono sorpreso che tu abbia accettato di accompagnarmi.» Lei distolse lo sguardo, fingendosi imbarazzata. «Perché l'hai fatto?» Lui si avvicinò. «Sono una grande appassionata di balletto, signor Daniels. Non ho potuto dire di no. Non vedevo l'ora che arrivasse questa sera.» «Per l'amor di Dio, chiamami Alan», la stuzzicò lui. Prese il cellulare. «Scusami. È sul muto. Se hai con te il tuo cellulare, ricordati di spegnerlo durante l'esibizione.» «Non ci stava nella borsetta.» Sollevò la piccola borsetta da sera di sua madre ma lui stava ascoltando qualcosa al cellulare. Era sollevata dal fatto che Langton avesse scartato la sua idea di una telecamera nascosta. Daniels l'avrebbe scoperta molto in fretta. Lui sospirò, irritato. «Ascolta, questa cosa ci sta sfuggendo di mano. Ho detto che non me la sentivo di prendermi un'intera giornata per una prova costumi a Parigi; non importa se è l'Eurostar o un aereo privato.» Coprì il ricevitore e sussurrò ad Anna: «Scusami. In realtà non è un problema ma è solo una prova. Gli ho proposto che portassero la parrucca a Londra. Potrei fare la prova qui e in questo caso significherebbe un solo viaggio a Parigi anziché due». Tornò alla sua telefonata. «Sì, mi interessa lavorare con loro, digli che mi piace la sceneggiatura.» Si appoggiò allo schienale, infastidito. «Parlagli di nuovo e poi richiamami. Davvero, non è un buon momento; sto andando al balletto.» Chiuse la comunicazione e si infilò il cellulare in tasca. «Era il mio agente. Maledizione! È una cosa talmente semplice. Non capisco perché non possano mandare qui la parrucca, il parrucchiere e il truccatore.» L'autista si voltò. «Mi scusi, signore. Ci sono molte auto davanti all'Opera House. Devo mettermi in coda o vuole che la faccia scendere qui?» «Scendere qui?» ripeté Daniels. «Non credo proprio! Aspetteremo in coda. È una serata molto speciale per la signorina Travis e per me. Per di più, abbiamo tempo.»
La coda di auto arrancava in direzione dell'Opera House. Il marciapiede era gremito di persone e davanti all'entrata era stato steso un tappeto rosso. Anna si voltò a guardare Daniels. «A me non dispiace camminare.» «A me sì!» ribatté lui stizzito. Restarono in silenzio mentre la Mercedes avanzava lentamente verso la Opera House. Quando si fermò davanti al tappeto rosso, Daniels disse all'autista: «Dovrai scendere ad aprirci la portiera. Non hanno i lacché qui». «Sì, signore.» L'autista si affrettò ad andare ad aprire la portiera e Daniels scese in un turbine di flash di macchine fotografiche a cui sembrava indifferente. Prese Anna per mano e l'aiutò a scendere sul tappeto rosso. Con aria rassicurante, le appoggiò una mano sul gomito. «Signor Daniels, può guardare da questa parte? Alan!» «D'accordo, Anna... avanti a tutta forza», disse lui in tono gentile. «Alan, a destra! Alan, solo una foto!» «Ti dispiace? È meglio che conceda qualcosa», mormorò lui. «Certo, nessun problema.» Lui fece una pausa per rivolgere ai fotografi un breve sorriso, senza quasi fermarsi. Raggiunsero la fine della passerella rossa. «Alan, Alan!» gridarono i fotografi in un'ultima frenetica esplosione di flash. Voltandosi, Daniels circondò con il braccio la vita di Anna e le mormorò: «Ancora una. Sorridi». Entrarono nell'atrio dell'Opera House dove due ragazze si avvicinarono goffamente a Daniels per chiedergli un autografo. Lui le accontentò benevolo ma tenne Anna vicino a sé, il braccio ancora attorno alla sua vita. «Il ricevimento è al piano di sopra.» Lui la guidò con sicurezza attraverso la folla. Anna si sentiva in soggezione per lo sfarzo che la circondava, ma Daniels sembrava a suo agio e riuscì anche a firmare altri due autografi senza smettere di fendere la folla, finché non arrivarono al ricevimento privato al primo piano. Gli uomini indossavano cravatte nere e le donne abiti eleganti. Molte persone diedero il benvenuto a Daniels. Quando lo ringraziavano per essere intervenuto, lui rispondeva: «Questa è la vera ragione per cui sono qui. Posso presentarle la signorina Travis? Anna adora il balletto». Un cameriere era in piedi vicino a loro con un vassoio pieno di bicchieri di champagne. Con un gesto teatrale, Daniels ne prese uno per Anna e glielo porse.
«Grazie.» Anna cominciava ad avere caldo in quella sala così affollata. Aveva bevuto quasi mezzo bicchiere quando si accorse che Daniels stava sorseggiando acqua con ghiaccio. Rimasero leggermente in disparte a osservare la folla. Lui sussurrò: «Questo ricevimento di beneficenza è per Dio sa cosa, AIDS, cancro al seno o qualche paese straniero straripante di orfani. Cercano sempre di invitare qualche celebrità. Ce ne sono parecchie, stasera». Osservò la sala con aria di apprezzamento. Anna si accorse dei tanti sguardi che Daniels attirava. Quando posò il suo bicchiere su un vassoio portato da un cameriere, prese un altro bicchiere di champagne per Anna. «Sto bene così, grazie.» «Non se ne parla neanche, prendine un altro. È gratis.» Anna prese il bicchiere ringraziandolo con un sorriso. «Ho fatto danza da bambina.» Offrì quel frammento di informazione sperando di trovare qualcosa di più interessante da dire. «Davvero? Non riesco a vederti come una ballerina.» «Poi sono passata all'equitazione. Non riuscivo mai a stare dietro alla musica e ancora meno a ricordarmi i passi.» Anche se Daniels le rivolse un sorriso gentile, sembrava più che altro interessato a osservare gli altri ospiti. Da un altoparlante giunse il suono di una campana. Alan firmò l'ultimo autografo per il cameriere mentre Anna appoggiava il suo secondo bicchiere vuoto sul vassoio. Si incamminarono verso il Royal Circle. Quando si avvicinarono, una maschera prese da una pila che teneva sotto il braccio un programma patinato e lo tese con una mano guantata. «Buonasera, signor Daniels. Benvenuto alla Royal Opera House. Desidera un programma souvenir?» Anna, sorpresa, guardò Alan prendere una banconota da cinquanta sterline e dire alla maschera di tenere pure il resto. «Grazie mille, signor Daniels», disse la ragazza. «Il piacere è mio; è per una buona causa.» Daniels guidò Anna lungo il corridoio, sussurrando in tono cospiratorio: «Qualunque sia la causa». Appena voltarono le spalle, la maschera mise la banconota dentro una busta di plastica, la sigillò e porse i programmi al capo maschera prima di lasciare rapidamente il teatro. Per quella sera, aveva fatto il suo dovere.
Langton ricevette la telefonata in cui veniva avvertito che dal bar dell'Opera House era stato prelevato un bicchiere con le impronte di Daniels oltre a una banconota da cinquanta sterline. «Sarà difficile che la banconota ci serva a qualcosa per le impronte. Sa Dio quante persone l'avranno maneggiata prima di Daniels. Come se la sta cavando Travis?» domandò. «Bene. A quanto pare, stanno per alzare il sipario.» Mentre attendevano che il sipario si alzasse, Anna si guardò attorno, affascinata dallo sfarzo del teatro. Accanto a lei, Daniels stava sfogliando il programma e di tanto in tanto si chinava verso di lei per mostrarle le fotografie di qualche ballerino, ma non tentò mai di toccarla. Quando cominciò il primo atto del Lago dei Cigni, si sporse in avanti, concentrandosi sul palcoscenico. Langton stava dormendo sul divano quando arrivò la chiamata successiva. «È iniziato l'ultimo atto. Qui in direzione ci dicono che dovrebbero lasciare il teatro tra circa mezz'ora.» «Bene. Spettacolo maledettamente lungo. Sono già le dieci passate», borbottò lui. Nel teatro, Anna era in piedi accanto a Daniels e applaudiva con entusiasmo. Vennero portati dei mazzi di fiori agli interpreti principali che poi lasciarono la scena seguiti dal resto della compagnia. «Bene.» Alan sbadigliò. Controllò l'orologio. «Decidi tu, adesso. Possiamo farci largo verso la folla per cercare di salutare Darcey oppure possiamo andare direttamente a cena. Cosa preferisci?» «Mmm, è una scelta impossibile», disse lei. «Vogliamo andare a mangiare?» «Sì, ti prego. Muoio di fame.» «All'Ivy, allora.» Mentre lasciavano i loro posti e si incamminavano lungo il corridoio, lui prese il cellulare e diede istruzioni all'autista perché li andasse a prendere davanti al teatro. Lo chauffeur li stava aspettando seduto. Daniels si assicurò che Anna fosse seduta comodamente in auto prima di salire a sua volta. Si appoggiò allo schienale, osservandola. «Ti è piaciuto quanto ti aspettavi?» «Oh, sì. I ballerini sono stati straordinari, non trovi?» Lui chiuse gli occhi, cosa che lei interpretò come una richiesta di restare in silenzio. Il tragitto dal teatro al ristorante non durò più di dieci minuti. Quando scesero dalla macchina, molti fotografi cominciarono a chiamare
Daniels per nome, ma questa volta lui ignorò completamente le macchine fotografiche e i cacciatori di autografi, affrettandosi insieme ad Anna verso l'ingresso dell'Ivy. Quando si furono accomodati sul divanetto di uno dei migliori tavoli del ristorante, lui le indicò dove si trovava la toilette delle signore. Quindi suggerì di ordinare il tortino di salmone per entrambi. «Io, ehm... devo andare alla toilette», mormorò Anna. Daniels si alzò e scostò il tavolo per lei. «Vuoi ordinare anche per me?» Lasciò di proposito la borsetta sul tavolo, dandogli l'opportunità di controllarne il contenuto. Quando tornò, c'era una bottiglia di champagne in ghiaccio e la sua borsa sembrava esattamente dove l'aveva lasciata. Daniels l'aiutò a sedersi. Dopo che il cameriere ebbe versato lo champagne, Alan sollevò il bicchiere. «A te.» I loro bicchieri si toccarono e i loro sguardi si incontrarono. «Dopo uno spettacolo perfetto.» «Vieni qui molto spesso?» chiese lei. «Direi di sì. È uno dei pochi ristoranti che restano aperti dopo la chiusura dei teatri.» «Hai mai recitato in teatro?» «Mi piacerebbe, ma pagano così poco. Resto un attore televisivo e cinematografico.» «Nemmeno nel West End?» chiese lei, ma in quel momento lui si scusò e andò a un altro tavolo. Anna lo guardò parlare animatamente con una coppia. Il sospetto, notò, era elegantissimo nel suo abito da sera. Naturalmente, continuava in parte a recitare. Lei e gli altri due stavano discutendo del balletto e Daniels con un braccio fece alcuni movimenti di danza apparentemente senza alcun imbarazzo, anche se nel ristorante affollato molti occhi erano fissati su di lui. Baciò la donna sulla guancia e tornò da Anna proprio mentre veniva servita la prima portata. «Lui è un attore con cui ho lavorato in Irlanda. Un vero pazzo! Non so come facesse a svegliarsi all'alba ogni mattina perché sembrava che non andasse mai a letto. Ha appena firmato per girare un grosso film a Los Angeles e la donna che è insieme a lui è la sua ex moglie! Bon appetit!» disse sollevando la forchetta e infilzando una foglia di lattuga. Anna mangiò la sua insalata in silenzio cercando di pensare a qualcosa da dire per attirare la sua attenzione. Alan prese la borsa di Anna. «È molto carina.» «Apparteneva a mia madre.»
«Davvero? Posso dare un'occhiata dentro?» «Certo.» Daniels aprì la borsetta. «Si può capire molto di una donna dal contenuto della sua borsa.» Stava flirtando con lei? Estrasse uno dopo l'altro tutti gli oggetti contenuti nella borsa. Anna non poté impedirsi di pensare che era come essere spogliata lentamente. Tolse il cappuccio al rossetto e aprì il portacipria. Tenne le sue chiavi sul palmo della mano poi le fece dondolare da un dito. Estrasse il fazzoletto e se lo portò al naso per annusarlo. «È una cosa così antiquata, portarsi dietro un vero fazzoletto», disse in tono malinconico, «dovrebbe essere profumato, ma non lo è.» «Mi ricorderò di profumarlo la prossima volta», disse lei. Anna notò che lui non aveva nemmeno toccato la sua insalata, a parte quella prima foglia di lattuga. Daniels rimise con cura ogni cosa nella borsa. «Quindi pensi che ci sarà una prossima volta, Anna.» «Intendevo dire la prossima volta che lo userò», rispose lei. Non avrebbe voluto sembrare così brusca ma le aveva dato fastidio vederlo rovistare nella borsa di sua madre in modo così intimo. «Ti piacerebbe passare un'altra serata con me?» Gli occhi azzurri di Daniels si fissarono nei suoi. «La serata non è ancora finita.» «Cosa intendi dire? Mi stai punzecchiando?» «Be', magari ti sto annoiando terribilmente», disse lei a disagio. Con un cenno, lui chiese al cameriere di versare altro champagne. Lei cercò di tornare al copione messo a punto da Michael Parks. «Comunque sto benissimo.» Mise la mano sopra il bicchiere. Daniels disse al cameriere che poteva allontanarsi. «Ah, il capo non approverebbe. E potrebbe essere piuttosto difficile in questo momento.» «Scusa?» «Quello che mi stai dicendo è che Langton non approverebbe il fatto che tu sia uscita con me. Giusto?» «Non lo so. Non mi importa.» Anna stava cominciando a sentirsi tesa. «Può portare via tutto», disse Daniels distrattamente al cameriere che era già pronto a sparecchiare. Daniels appoggiò il braccio sullo schienale del divanetto. Anna per un attimo quasi si aspettò che le toccasse il collo ma lui non lo fece. «È un problema per te farti vedere in mia compagnia?» chiese Alan.
«No! Anche se all'inizio me lo sono chiesta. Sai, una persona famosa come te; mi sono chiesta se fossi davvero interessato a me o se avessi un altro motivo per invitarmi.» «Un altro motivo?» «Sì.» «Per esempio?» «Magari per scoprire come procede l'indagine.» Daniels bevve un sorso d'acqua poi appoggiò il bicchiere con attenzione. «Non è così, Anna. Sì, sei molto diversa dalle donne che incontro di solito ma è questo che ti rende interessante. Nel mio mondo c'è molta falsità, ci sono molte persone fasulle, persone che sono attratte da me per i motivi sbagliati: fama, denaro, potere. Mi sei piaciuta molto fin dalla prima volta. Mi sei sembrata sincera, gentile e diretta. Quando ti ho mostrato la mia fotografia da bambino, ti ho detto la verità. Non l'avevo mai mostrata a nessuno. Ma non ho potuto farne a meno. Mi sentivo in qualche modo attratto da te. Sapevo che avresti capito.» «È stato un gesto molto toccante», disse Anna. «Non volevo che ti sentissi "toccata"», commentò lui sarcastico. Anna sentì scemare l'interesse di Daniels, fu come una secchiata d'acqua fredda. «Non voglio la tua compassione!» «Be', non ho potuto impedirmelo», disse lei tentando disperatamente di tornare alla traccia di Parks. Passò all'adulazione. «Eri un bambino così bello. E ho provato una grande ammirazione anche per l'adulto dell'altra foto. Mio Dio, hai superato circostanze incredibilmente difficili e sei riuscito a raggiungere un grande successo. Ora sei famoso in tutto il mondo. Tutti qui dentro ti guardano, lo vedo. È naturale che mi sia sentita toccata.» Anna pensò che se quello fosse stato un concorso di tip-tap, si sarebbe meritata il primo premio. L'espressione di Daniels si ammorbidì. «Grazie per aver capito. A volte è così difficile far convivere quelle due parti di me. È per questo che porto sempre con me il bambino; mi ricorda costantemente la fortuna che ho avuto.» «Non è stata fortuna, Alan. Tu hai un grande talento.» «Be', il talento, sì. Immagino che c'entri anche il talento.» Il cameriere servì la portata principale e loro rimasero in silenzio. Quando le versò altro champagne, Anna non rifiutò. Si chiese se non stesse tirando troppo la corda, ma Daniels sembrava soddisfatto. «Sembra tutto delizioso», disse lei a bassa voce.
Lui si guardò attorno distrattamente poi salutò con la mano un gruppo di persone alla porta. Anna aveva appena cominciato a mangiare quando lui le chiese educatamente: «Allora, com'è andata in America?» Lei inghiottì il boccone e distolse lo sguardo. «Ho lavorato sodo; ho passato quasi tutto il tempo a guidare.» Ora andava meglio, pensò Anna. Daniels aveva intenzione di carpire qualche informazione. C'era voluto parecchio tempo perché arrivassero a quel punto, considerando anche il fatto che lui sapeva già che lei era stata negli Stati Uniti. «Conosco molta gente. So tutto. So che sei stata a Los Angeles!» Lei si finse scioccata. «Come sei riuscito...» «In realtà è stato semplice. Il mio agente va dallo stesso dentista. Così il dentista ha chiamato il mio agente e gli ha detto che un certo Langton stava facendo un sacco di domande sul mio conto. E così il mio agente ha chiamato me. Com'è piccolo il mondo.» «Sì, hai ragione.» «Allora, hai intenzione di dirmi perché mi avete voluto mettere così in imbarazzo? Sai che le dicerie spesso creano un sacco di problemi. Il mio agente voleva sapere perché vi interessavano tanto i miei appuntamenti dal dentista.» «Tu sai perché, vero?» «No, non lo so. Ho lasciato che Langton si portasse via le mie lastre ma nessuno mi ha spiegato con esattezza perché sono così importanti.» «Non sono sicura di potertelo dire.» «Perché no? Non mi metterò di certo a gridarlo a squarciagola qui al ristorante.» «Be', la vittima, Melissa Stephens...» Lui attese, la forchetta sollevata. «Sì?» «Non è una cosa molto piacevole soprattutto ora che stiamo mangiando.» «Avanti, non tenermi sulle spine. Cos'è capitato a Melissa Stephens?» «Le è stata staccata parte della lingua con un morso.» «Mio Dio, la lingua?» «Sì.» «E questo cosa diavolo ha a che fare con me?» «Abbiamo un'impronta dentale. In realtà non ha niente a che vedere direttamente con te. Serve solo a eliminarti dall'inchiesta.» «Mio Dio, sono sbalordito.» «E ora ti abbiamo escluso perché i tuoi denti non combaciano.»
«Be', naturalmente. Sono sconvolto al pensiero di essere stato addirittura sospettato. Sono sorpreso che tu abbia accettato di uscire con me.» «Non sei sospettato», disse lei bevendo un sorso di champagne. «Ma è per questo che sei andata a Los Angeles?» «Sì, una delle ragioni era questa. Sono stata anche a San Francisco e a Chicago. Alan, davvero, non dovrei parlartene. Sono informazioni riservate.» «Cazzate! Hai detto che sono stato escluso dalle indagini. A meno che tu non stia mentendo.» «No, è la verità.» Lui mangiò un paio di bocconi poi posò la forchetta. «Continua, cos'altro hai fatto a Los Angeles?» «C'era un'altra vittima di nome Maria Courtney; è stata uccisa con lo stesso MO della nostra vittima di Londra.» «Cosa significa MO? Non me lo ricordo.» «Modus operandi; lo stesso metodo.» «Mio Dio! Quindi pensate che l'assassino della ragazza possa avere ucciso qualcuno anche negli Stati Uniti.» «Sì.» Anna cominciò a passare alla fase successiva del copione. Il suo compito era farlo uscire allo scoperto, adulando non più il suo ego di attore ma l'altro suo lato: il sociopatico. Cominciò a spiegare quanto fosse astuto e brillante il loro assassino e disse che non erano stati in grado di trovare alcuna prova. Lui ascoltò con attenzione, scuotendo di tanto in tanto la testa come se fosse sbalordito. Lei fece una risatina. «Forse sono un po' brilla, non dovrei dirti tutte queste cose. Sai, rischio di finire in guai seri.» «Non lo dirò a nessuno», disse lui dolcemente prendendole la mano. «Puoi fidarti di me, Anna; non riferirei mai ad anima viva quello che mi hai raccontato. Ma è affascinante. È difficile credere che quest'uomo l'abbia fatta franca. E ancora più difficile è credere che non abbiate il minimo indizio sulla sua identità. Detto questo, è davvero terrificante pensare che mi abbiate interrogato e che per un po' abbiate creduto che potessi essere coinvolto. Quest'uomo dev'essere un mostro.» Lei annuì e gli si fece più vicina. «Lo è, ma è anche incredibilmente intelligente. Non lascia mai alcuna traccia di DNA; niente impronte digitali, niente di niente. Non che conosca tutti i dettagli. Il mio capo è un tipo solitario e ha un ego molto ingombrante.»
«Però ti ha portata in America.» «Be', sì, ma gli ho fatto solo da autista.» «Ha ottenuto qualche risultato? Hai detto che siete stati anche a San Francisco e a Chicago.» Lei scosse la testa e si sporse verso di lui. «Se non scopriamo qualcosa al più presto, la squadra verrà sciolta.» «Davvero? Mi prendi in giro?» «No, è la verità.» Lui sbatté le palpebre, un'espressione stupefatta che gli animava i bellissimi occhi. «Quante donne ha ucciso?» Anna appoggiò coltello e forchetta sul piatto. «È un'informazione riservata. Non abbiamo ancora lasciato capire alla stampa quanto quest'uomo sia pericoloso.» Daniels non aveva quasi toccato cibo. Posò ordinatamente sul piatto il coltello e la forchetta e con un cenno disse al cameriere che poteva portarli via. Quando il tavolo fu sgombro, Daniels vi appoggiò sopra i gomiti avvicinandosi ad Anna. «Quante?» chiese in un sussurro. «Pensiamo che siano dieci.» «Dieci?» «Sì, questa è una delle ragioni per cui sei stato interrogato.» «Io?» «Sì, perché ti trovavi negli Stati Uniti nei periodi corrispondenti agli omicidi. Il capo ha riaperto alcuni vecchi fascicoli qui e in America.» «Vecchi fascicoli?» Lui si accigliò avvicinandosi ancora di più ma non fece alcun riferimento al fatto che si era trovato effettivamente nelle tre città menzionate da Anna. «Sì, alcune delle donne uccise qui conoscevano tua madre; erano tutte prostitute e potrebbero aver vissuto nella stessa casa in cui hai abitato da bambino.» «No!» «Sì.» «Oh mio Dio! Ora capisco. Mi sentivo così confuso quando sono stato interrogato; per metà del tempo, non sono riuscito a capire che cosa volessero da me.» Anna lo guardò, interrogativa. «Che vuoi dire?» «Che adesso capisco il perché di tutte quelle domande sulla mia infanzia.»
Anna si sporse verso di lui. «Ti prego, Alan, se dovessero interrogarti di nuovo, promettimi che non dirai niente di quello che ti ho raccontato. Ti prego. Potrei ritrovarmi in guai terribili. Potrebbero persino licenziarmi.» Lui le prese la mano. «Naturalmente, non dirò nulla a nessuno. Ma perché dici che potrebbero interrogarmi di nuovo? Che cosa diavolo vogliono ancora da me?» «Non lo so.» «Ma lo devi sapere! Voglio dire, se la stampa venisse a sapere di questa storia, la mia vita e la mia carriera sarebbero rovinate.» Anna annuì. «È per questo che l'indagine è così delicata. Come ti ho detto, se non otteniamo un risultato, la squadra verrà sciolta e non se ne farà più niente. Potrebbero anche non interrogarti più.» Daniels chiamò il cameriere. Ordinò due caffè, poi disse: «Hai ragione, non dovremmo parlarne. Non voglio che tu finisca nei guai, ma puoi capire perché questa faccenda mi interessi tanto; penso che sia abbastanza ovvio. E, se devo essere sincero, mi spaventa a morte». «Mi dispiace, non intendevo...» «Ma lo hai fatto. Come possono anche solo sospettarmi? Per di più non mi viene in mente nulla che potrei dire o fare per aiutarti. In ogni caso, ci penserò.» Rimase seduto in silenzio. Anna si guardò attorno, il ristorante cominciava a essere un po' meno affollato. Erano le undici e mezza passate. Bevve il suo caffè; Daniels mescolò lentamente il suo. Poi picchiettò con un dito sul lato della tazzina. «Sai, questa storia mi ha davvero depresso. Odio ripensare a quel periodo della mia vita, è come se dentro di me si aprisse un abisso ed è un luogo buio e terribile in cui tornare. Ma ci deve pur essere un qualche legame se, come dici tu, tutte queste donne si conoscevano e tutte sono state assassinate.» «Sì.» «Anche le vittime americane si conoscevano tra di loro?» «No, che sappiamo, no.» Anna bevve l'ultimo sorso di caffè. «Ma qualunque cosa abbia scatenato la frenesia del killer...» «Non si tratta esattamente di frenesia», disse lui in tono brusco. «Be', in effetti no, sono passati anni interi tra gli omicidi commessi in Inghilterra. Tuttavia, se si aggiungono le vittime americane, emerge lo schema di un assassino che passa da una sorta di vendetta all'incapacità di controllare il suo odio per una certa categoria di donne.» «Le prostitute», disse Daniels guardando nella tazza.
«Sì, ma potrebbe anche aver commesso un errore con Melissa.» Lui si appoggiò allo schienale, gli occhi privi di espressione. «Uno sbaglio?» Anna annuì e gli spiegò che c'erano due testimoni, il cameriere cubano e la squillo dalla voce bassa. «Lo hanno visto?» domandò lui, incredulo. «Sì.» «Ma questa è... questa è una buona notizia, dico bene?» Quella reazione non era sufficiente. Se era lui il loro assassino, stava facendo molta attenzione a non scoprire le sue carte. Anna era stanca e aveva la sensazione di essere finita in un vicolo cieco. Si alzò dicendo che doveva andare in bagno. Daniels si alzò a sua volta per lasciarla passare. «Dovrei andare a casa, Alan. Domani mattina devo lavorare.» «Ti prometto che non parleremo di questo argomento, neanche per un secondo. Va' a incipriarti il naso, io penserò al conto. A meno che tu non voglia un brandy.» «No, nient'altro. Ti ringrazio.» Anna si sentiva completamente svuotata. Aveva fatto del suo meglio fornendogli informazioni che, in realtà, lui avrebbe potuto scoprire grazie alla stampa. Ma Daniels non aveva commesso passi falsi né, per usare le parole di Michael Parks, le aveva mostrato la «falla» che Anna aveva sperato di trovare. Quando tornò al tavolo, lo trovò in piedi ad aspettarla, il suo scialle tra le mani. Glielo avvolse dolcemente attorno alle spalle. «Non pensi che ti abbia invitata per carpirti delle informazioni, vero? Non voglio che lo pensi. Perché non è così.» Lei disse a bassa voce. «No, non lo penso. Mi è piaciuto molto stare con te.» Lui l'attirò a sé. «Sei una persona molto speciale, Anna.» Mentre si allontanavano dall'Ivy in macchina, Anna cominciò a chiedersi quale sarebbe stata la fase successiva della serata, ma Daniels l'anticipò. Disse all'autista di riaccompagnare la signorina Travis al suo appartamento. Poi aggiunse: «Dal momento che sono di strada, può lasciare a casa prima me. Spero che non ti dispiaccia». «No, per niente.» Restarono in silenzio per qualche minuto. Lui sedeva a una certa distanza da lei, il viso avvolto dall'oscurità. Tra le ombre dell'abitacolo le prese la mano. «Non hai idea di quanto
fossi spaventato, la prima volta che sono venuto alla centrale dove lavori. Mi ha fatto ripensare a quando hanno ritrovato il suo cadavere.» «Quello di tua madre?» Lui sospirò. «Ero solo un ragazzo e mi hanno tenuto in cella una notte, mi hanno interrogato per ore e ore. Non avevo nessuno a cui chiedere aiuto. E adesso mi sento come se stesse accadendo di nuovo, ma questa volta ho molto di più da perdere. Hai visto come mi chiamavano i fotografi e i giornalisti, stasera. Riesci a immaginare che cosa farebbero se si venisse a sapere che sono stato interrogato? Devi aiutarmi. Aiutali a capire che sono innocente. Com'è possibile che io sia ancora un sospettato? Perché mi stanno facendo questo?» «È solo per via del collegamento, Alan.» «Perché sono cresciuto in un bordello disgustoso insieme a un branco di puttane? Che cosa significa questo?» chiese lui con rabbia. «Non mi ricordo nessuna di loro. Ho fatto di tutto per cancellarle dalla mia mente.» Anna rimase perplessa nel vedere le lacrime che gli scorrevano lungo le guance. Lui se le asciugò con il dorso della mano tirando su col naso. «Scusami. Temo di aver bisogno del tuo fazzoletto.» Lei fece per aprire la borsa ma lui scosse la testa. «No, no - ora sto bene.» «Alan, la realtà è che non sei in arresto e che le prove contro di te sono solo indiziarie. Se avessero avuto qualcosa di concreto, saresti già stato arrestato. Devi credermi quando ti dico che non avrei accettato di vederti stasera se avessi pensato anche solo per un istante che tu potessi essere coinvolto.» Lui le strinse la mano. «Dici davvero?» «Naturalmente.» Lui si appoggiò allo schienale. «Grazie a Dio. Perché ho bisogno di te, Anna. Avrò bisogno del tuo aiuto per superare questa faccenda. Vieni qui; appoggia la testa sulla mia spalla.» Chiuse gli occhi. A disagio, Anna scivolò verso di lui. Lui la circondò con il braccio. Lei sentì il profumo leggero del suo dopobarba, la morbidezza della giacca di velluto contro la guancia. Il cuore le martellava nel petto quando lui sollevò il viso e la baciò sulle labbra: un bacio delicato, dolce. Poi le accarezzò lentamente i capelli. «Sei già molto speciale per me e sono sicuro che col passare del tempo diventeremo molto importanti l'uno per l'altra.» Le sfiorò la guancia con il dorso della mano. Dal sedile anteriore, l'autista li interruppe. «Siamo a Queen's Gate, si-
gnore.» «Buonanotte, Anna.» Daniels le baciò la mano mentre l'autista gli apriva la portiera per farlo scendere. Anna lo guardò salire gli scalini che conducevano alla porta d'ingresso e poi voltarsi a salutarla con la mano. Quando l'auto ripartì, Anna stava tremando. Una volta raggiunto il suo appartamento, ringraziò l'autista e gli disse che non c'era alcun bisogno che l'accompagnasse fino alla porta del suo appartamento. Stava ancora cercando le chiavi quando Langton aprì. «Com'è andata?» chiese. Anna entrò e si lasciò cadere sul divano togliendosi le scarpe. Il soggiorno era disseminato di tazze di caffè e sandwich al formaggio mezzi mangiati. Anche il giornale di Langton era a pezzi, alcune pagine abbandonate sul pavimento vicino al posacenere stracolmo. «Hai scoperto qualcosa?» «Non molto.» «Cazzo. Com'è possibile? Sei stata fuori molto a lungo.» Lei scosse la testa, incapace di parlare. Langton notò che era turbata ma aveva atteso tutta la sera qualche informazione e l'operazione era costata una fortuna in straordinari. «Cosa c'è, Travis? Ci ha provato mentre eravate in macchina?» Lei cominciò a singhiozzare. Rovistò nella borsetta in cerca del fazzoletto, poi cominciò a togliere tutto mentre cercava freneticamente. «I gemelli di papà!» Era distrutta. «Erano nella tasca interna.» Langton la guardò, confuso. Con quel nuovo taglio di capelli e il volto rigato di lacrime, Anna sembrava una bambina di dieci anni. «Shhh, è tutto okay. Sei al sicuro, adesso.» Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma andò a sedersi accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio. Lei cominciò a singhiozzare incontrollabilmente contro il suo petto. «Shhh. Respira a fondo, cerca di rilassarti. Poi lavati la faccia e cerca di dormire un po'.» Lei si staccò da Langton. «La smetta di dirmi cosa devo fare. Mi lasci in pace.» «D'accordo. Ma domattina voglio un rapporto, Travis.» Lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Dimmi solo una cosa. È lui?» Lei tirò su col naso. «È lui?»
«Non lo so.» Lui la fissò mentre lei si dirigeva in camera da letto. «Be', cazzo, strepitoso», borbottò. Sotto il piumino che si tirò fin sopra la testa, Anna pianse disperata. Aveva fallito. Peggio ancora, aveva permesso alle sue emozioni di avere la meglio sulla sua razionalità. Aveva scoperto che Alan Daniels le piaceva; il ricordo del bacio delicato che le aveva dato sulle labbra era ancora vivo nella sua mente. I sentimenti che provava per lui la confondevano. Come avrebbe fatto ad affrontare i suoi colleghi nella sala operativa, di lì a qualche ora? 15. Seduto sul divano, Langton rimase in ascolto. Era stato svegliato da uno strano suono stridulo che giungeva dalla cucina. Si infilò i pantaloni e aprì la porta. Vide Anna avvolta nel suo kimono intenta a scrivere su un taccuino, sorda al suono che le gambe dello sgabello producevano sulle piastrelle del pavimento. Lei trasalì, spaventata. «Che diavolo sta facendo?» «Sono le sei del mattino», rispose lui stancamente. «Scusa se ti ho spaventata. È solo che ho sentito un rumore.» Lei si strinse nel kimono, imbarazzata. «Stavo prendendo appunti per il mio rapporto. Non riuscivo più a dormire e non volevo dimenticarmi niente.» «Vuoi un caffè?» Lei coprì con un mano la pagina su cui stava scrivendo. «Sì, grazie. L'ho appena fatto.» «Bevuto troppo, ieri sera?» «No, assolutamente no!» rispose lei con rabbia. «Hai trovato i gemelli?» «No. Telefonerò al ristorante. Potrebbero essermi caduti mentre ero in macchina.» Langton versò due tazze di caffè nero e ne appoggiò una davanti ad Anna. Lanciò un'occhiata al taccuino. «Ti va di parlarne?» «No. Aspetterò la riunione.» «Okay. A proposito, verrà anche Michael Parks per sentire come te la sei cavata con Daniels.»
Anna si strinse ancora di più nel suo kimono. «Devo fare la doccia. Vuole farne una anche lei?» «No, posso aspettare finché non sarò tornato a casa.» Lei esitò. «Non sarebbe meglio andare insieme, stamattina?» Lui sogghignò. «Travis, mi stai invitando a fare la doccia con te?» «Molto divertente!» «Volevo dire che mi farò la doccia stasera, quando tornerò a casa.» «Okay, okay.» Quando sentì il rumore dell'acqua che scorreva, Langton prese il taccuino e cominciò a leggere la pagina coperta dalla calligrafia nitida e ordinata di Anna. Il cuore gli sprofondò nel petto. Lo aspettavano molte critiche. Aveva finito di leggere quando Anna riemerse dalla camera da letto, vestita. Langton notò l'espressione dolente che aveva sul volto. «Sei ancora preoccupata per i gemelli di tuo padre?» «Mi ricordo che Daniels a un certo punto ha svuotato la mia borsa. Forse sono caduti per terra.» Tenendo la tazza tra le mani, Langton si sedette sul bracciolo di una poltrona. «Li avevo messi nella borsa. Che stupida! Be', probabilmente lo penserà anche lei, ma avevo preso la borsetta preferita di mia madre e i gemelli preferiti di mio padre.» «Ah.» Anna esitò. «Mio padre...» «Era un grand'uomo.» «Conosceva mia madre?» «L'ho incontrata qualche volta. È stato molto tempo fa. Non posso dire di averla conosciuta bene.» «Vorrei mostrarle una cosa. È una lettera. Era nella cornice, nascosta dietro la foto di mio padre.» Anna uscì dalla stanza e lui si accese una sigaretta. Quando tornò, gli porse la lettera. «Vuole leggerla?» «Naturalmente», disse lui allungando la mano. «Sa dirmi a cosa si riferiva papà? Non riesco a capirlo.» Langton la lesse rapidamente, poi gliela restituì. «Non te l'ha mai detto?» chiese. «Detto cosa?» Langton esitò. «Non sono sicuro dei particolari, ma prima che tuo padre passasse alla Squadra omicidi lavorava alla Buoncostume.» Aspirò una lunga boccata poi si lasciò scivolare il fumo fuori dalle labbra. «È accaduto molto prima che cominciassi a lavorare lì anch'io.»
Anna notò il suo disagio. «La prego, mi dica tutto. Ho bisogno di saperlo.» «Okay. Ma ricordati che non conosco tutti i particolari.» «Me lo dica e basta.» Lo stava quasi implorando, ormai. «Non è una storia piacevole. Tua madre studiava arte al college. È stata trovata nella sua stanza brutalmente violentata. È stato sconvolgente; lei era così traumatizzata che ha perso l'uso della voce. È stato chiamato tuo padre e gli è stato affidato il caso. Non riusciva a togliersi tua madre dalla mente. Era bellissima, lo era anche quando l'ho conosciuta io.» Anna dovette sedersi; le gambe non la reggevano. «Comunque, per tuo padre è diventata un'ossessione. Era deciso a catturare lo stupratore. Alla fine ha arrestato uno studente di un college vicino. Lo ha interrogato per sedici ore senza concedergli la presenza di un legale e alla fine lo ha rilasciato, il che non aveva assolutamente senso dato che il ragazzo era crollato e aveva ammesso di aver violentato Isabelle. Poi il ragazzo si è impiccato.» «Era stato lui?» insistette Anna. «Sì. Ma invece di chiudere il caso, di andare avanti con la sua vita, tuo padre ha continuato a vedersi con tua madre. Non riusciva a togliersela dalla testa. La famiglia di lei l'aveva messa in terapia e con il tempo, gradualmente, si è ripresa. Lui ha continuato a tenersi in contatto con lei. Due anni dopo si sono sposati. Si diceva che lei...» Langton fece una pausa. «Cosa si diceva?» domandò Anna in tono affilato. «Be', che tua madre non si fosse ripresa dal trauma e che fondamentalmente avesse sposato il suo salvatore. Il vecchio Jack avrebbe anche ucciso per lei. Ho sentito dire che aveva conciato il ragazzo veramente male.» «Davvero?» Langton la fissò. «Devi dirmelo tu. Comunque, Isabelle non è più tornata al college. Lei e Jack si sono sposati e poi sei arrivata tu. Quando l'ho conosciuto era a capo della Squadra omicidi. Non so quanto tempo dopo, un delinquente a cui tuo padre stava dando la caccia si è introdotto in casa vostra. Anche se non ha toccato tua madre, penso che l'intrusione abbia scatenato qualcosa perché...» Sospirò a disagio per i risvolti personali di quel racconto. «Perché cosa?» Langton scrollò le spalle. «Tua madre ha cominciato a ricordare certe cose, ad avere paura di uscire di casa. A volte, quando era incazzato, Jack ammetteva che essere sposato con Isabelle era come avere in casa un me-
raviglioso uccello del paradiso che solo lui poteva vedere.» «Anche io. Anch'io la vedevo. Non l'ho mai saputo.» «Non è stato facile. Come ti ho detto, tua madre era molto fragile e penso che lui sapesse che se il suo meraviglioso uccello del paradiso non fosse mai stato ferito, non avrebbe avvito una sola chance di sposarla. Ma a quanto mi dici, erano felici insieme. E lo sai anche tu, Anna, quando vieni ferito o spaventato, un salvatore è importante se si vuole continuare a vivere.» Anna si alzò, la lettera di suo padre stretta tra le mani. «Grazie per avermelo raccontato.» Lui le tese la mano. «È tutto okay?» «Sto bene. Come le ho detto, non sapevo niente dell'angoscia e della sofferenza di mia madre. È stata una madre meravigliosa, amorevole.» Ignorò la sua mano. Anna tornò in camera da letto. Ripose la lettera piegata nel suo piccolo portagioie sopra la toilette e si guardò riflessa nello specchio. Era talmente triste al pensiero di non avere mai avuto l'occasione di parlarne con la madre e di confortarla, di non aver mai saputo nulla del dolore che si era consumato in casa sua. Alle otto e trenta, Langton e Anna lasciarono l'appartamento e si diressero verso la centrale a bordo della Mini. L'atmosfera era tesa e il silenzio tra loro quasi assoluto. Anna non credeva più che Alan Daniels fosse il loro assassino. La sera prima aveva sentito il suo dolore e aveva reagito in modo protettivo. Era sicura che lui non fosse il mostro che stavano cercando. Langton, convinto che il silenzio di Anna fosse dovuto al racconto della tragedia di sua madre, alla fine tornò ad affrontare l'argomento. «Sono cose che succedono, Anna», disse in tono pacato. «Bisogna solo continuare a vivere. Quando la mia prima moglie è morta, ho continuato a lavorare. Ho continuato a tenermi impegnato in modo da non sentire il vuoto.» Lei gli lanciò un'occhiata turbata, mentre lui continuava a parlare con una confidenza a cui Anna non era abituata. «Un mese dopo il suo funerale, ho messo via tutte le sue cose. Sembravano così poco; eppure era la sua vita con me. È stata quella la prima volta che me ne sono reso conto. Ci sono volute sei settimane per vendere la casa; mi sono trasferito, ho ricominciato da capo, ho incontrato la mia seconda moglie e, be', è stato tutto uno sbaglio, escludendo Kitty. «Avrei voluto avere dei figli, un giorno, ma dubito che mi sposerò un'al-
tra volta. Tu hai qualcosa di perfetto; è sbagliato fare dei paragoni ma probabilmente li farò sempre. Adesso ho una casa in affitto, niente di ciò che contiene significa qualcosa per me. Se bruciasse domani, non me ne importerebbe nulla.» Dopo una lunga pausa, sospirò. «Be', questa è la mia storia, Travis. Spero di essere riuscito a tirarti su il morale.» Si scambiarono un sorriso ironico, poi lui guardò l'orologio. «Meglio andare al lavoro.» «Appena arriviamo, comincerò subito a scrivere il mio rapporto.» «Brava ragazza.» «Langton», ringhiò lui al cellulare quando raggiunsero il parcheggio della centrale. Scese mentre lei si guardava attorno in cerca di un posto e continuò la telefonata dirigendosi verso l'edificio. Poi con un cenno indicò un posto libero. Anna sorrise. Almeno, Langton si ricordava ancora di essere con lei. Il posto era accanto alla vecchia Volvo sporca. Anna parcheggiò tenendosi il più lontano possibile dal veicolo. Non sapeva ancora di chi fosse e aveva paura che la sua Mini subisse altri danni. Langton fissò una riunione per le undici, l'ora in cui sarebbe arrivato anche Michael Parks. Seduta alla sua scrivania, Anna cominciò a scrivere al computer il suo rapporto. Nessuno le aveva chiesto come fosse andata la serata; era come se si fossero aspettati un fallimento. Con un'ora e mezza di ritardo, Moira entrò di corsa nella sala operativa. Lanciò un'occhiata a Lewis. Aveva gli occhi arrossati per il pianto. «Non cominciare nemmeno. Ho avuto una mattina terribile. Devo parlare con il capo appena possibile.» «È impegnato. Di cosa devi parlargli?» «È una faccenda personale», disse lei in tono brusco. Langton e il capo della squadra di sorveglianza erano barricati nel suo ufficio e stavano discutendo della sera precedente. L'autista aveva già presentato il suo rapporto. Anna non sapeva ancora che avevano sostituito l'autista della Mercedes con un poliziotto sotto copertura; nessuno le aveva detto niente nemmeno della maschera. Langton sfogliò i rapporti. Sapeva che ci sarebbe stata una reazione molto dura da parte del comandante. Era stato uno sbaglio affidare una simile responsabilità a un'agente di soli ventisei anni. Naturalmente, c'erano ancora le impronte di Daniels da esaminare. Anche se, con ogni probabilità, la banconota da cinquanta sterline non sarebbe servita a niente, i bicchieri che aveva usato all'Opera House e all'Ivy sa-
rebbero stati utili. Se le impronte fossero combaciate con quelle trovate sulla cornice, sarebbe stato l'unico risultato positivo di un'operazione costosissima. Langton disse al capo della sorveglianza che poteva andare. Qualche istante più tardi Lewis lo chiamò per dirgli che Moira voleva vederlo e, a voce bassa, aggiunse che era sconvolta. Moira sembrava essersi calmata quando entrò nell'ufficio di Langton. «Volevi vedermi?» chiese lui. «Sì. Potrebbe non essere importante ma... non si sa mai.» «Spara pure.» «Mia figlia Vicky esce da un po' con un cosiddetto DJ. Lei ha solo sedici anni e lui ne ha ventisette. È un tipo arrogante. Io l'ho messa in guardia, ho fatto tutto quello che potevo per convincerla a smettere di vederlo, ma lei non mi ha dato ascolto. È una vera stronzetta, molto difficile da gestire.» Langton fece una smorfia, chiedendosi che cosa diavolo avesse a che fare lui con quella storia. «Esce con lui da quando aveva quindici anni.» «Moira, potresti venire al punto, per favore?» «Certo. Ero maledettamente sicura che Vicky si facesse di qualcosa, così l'ho perquisita. Be', una notte è arrivata a casa, chiaramente sbronza, ma ha negato tutto e poi alla fine ha detto di aver bevuto qualche drink di troppo. Comunque, per venire al punto, ieri sera è uscita di nascosto dalla finestra ed è andata nella discoteca in cui lavora lui. È tornata a casa dopo le tre ma io la stavo aspettando.» Langton chiuse gli occhi. «Se hai bisogno di un permesso per motivi familiari...» «No, ascolta. Vicky era in condizioni terribili, piangeva e aveva la camicetta tutta strappata. Ero pronta a darle una bella strigliata ma quando l'ho vista in quello stato mi sono preoccupata veramente. Piangeva disperata, ha detto che avevano avuto una discussione e poi ho visto che aveva un brutto segno sul collo. Rotondo. Un livido delle dimensioni di una moneta da dieci pence, forse anche più grande.» Langton si appoggiò allo schienale. Stava per esaurire la pazienza. «Le ho chiesto "Che cos'è questo? Ti ha picchiata?"» «Anch'io ho avuto una nottataccia. Puoi venire al fottutissimo punto, Moira?» fece Langton bruscamente. Lei rispose altrettanto bruscamente: «Cazzo, ci sto arrivando, signore! Aspetta un attimo e ascoltami, okay? Vicky ha detto che lui le ha spinto la testa giù, verso l'inguine. Ha solo sedici anni, Cristo santo. Il segno era
rosso! Davvero terribile. Le ho chiesto se lui l'avesse costretta a un rapporto orale. E lei ha cominciato a gridare che no, non aveva niente a che fare con lui». Moira si sporse in avanti, indicandosi il collo e premendovi sopra un dito. «Proprio qui. Ha detto che se lo era fatto con il cambio della macchina. Era delle stesse dimensioni e della stessa forma del segno sul collo di Melissa Stephens. Il DJ ha una Mercedes Benz decappottabile, una 280 SL. È in condizioni schifose ma... ha il cambio automatico.» Langton la stava fissando, ascoltandola con attenzione. «Il segno era identico», disse Moira con convinzione. «Forse l'assassino ha cercato di farle fare quello che voleva anche il dannato ragazzo di mia figlia, un pompino, ma Melissa ha lottato e ha colpito con il collo la leva del cambio.» Langton e Moira studiarono la lavagna della sala operativa. Lei gli indicò l'ingrandimento del livido sul collo di Melissa Stephens. «È identico, te lo giuro. Lo stesso segno che c'è sul collo di mia figlia.» Langton si rivolse a Mike Lewis. «La Mercedes del sospetto aveva il cambio automatico?» «Non lo so.» «Mettiti in contatto con la compagnia assicurativa per controllare.» «Certo.» Quando vide Michael Parks entrare nella sala operativa, Langton diede appuntamento agli membri della squadra in sala riunioni di lì a quindici minuti. Poi si fermò davanti alla scrivania di Anna. «Hai già finito il tuo rapporto?» «Sì, signore», rispose lei porgendogliene quattro copie. «Grazie.» Langton accompagnò Parks nel suo ufficio e gli diede il rapporto di Anna. «Vedrà che Travis non ha scoperto molto, ma quando discuterà il rapporto non sia troppo duro con lei. È emotivamente turbata. Non aveva abbastanza esperienza. È colpa mia, non mi sono accorto che non era all'altezza dell'incarico.» «D'accordo.» Parks annuì e si mise gli occhiali per leggere ciò che Anna aveva scritto. Lewis confermò che la Mercedes guidata da Daniels era dotata di cambio automatico. Il livido sul collo di Melissa Stephens avrebbe potuto esse-
re stato causato dall'urto contro la leva del cambio, durante una lotta a bordo della macchina. Forse il sospetto aveva cercato di tenerla giù durante la colluttazione e questo avrebbe potuto spiegare perché una ciocca di capelli era stata strappata dalla nuca. Davanti alla squadra, Langton ringraziò Moira perché gli aveva permesso di formulare quella teoria. Moira gli rivolse un cenno col capo; era molto soddisfatta di sé. Langton spiegò che stavano ancora aspettando i risultati delle analisi sulle impronte rilevate dai bicchieri usati da Daniels, che avrebbero confrontato con quelle della cornice del sergente Travis. Se ci fosse stato un riscontro, avrebbero potuto arrestare Daniels per sospetta effrazione. Non sarebbe stato abbastanza per trattenerlo a lungo, ma avrebbe potuto metterlo sotto pressione; la minaccia di rendere pubblica l'accusa di effrazione avrebbe reso la sua vita un inferno. Un attimo dopo Michael Parks entrò nella sala riunioni. Langton disse che la sera prima Anna aveva fatto un buon lavoro e ringraziò il poliziotto che aveva guidato la Mercedes. Anna arrossì per l'imbarazzo nello scoprire che si era trattato di un agente in borghese. Era mortificata soprattutto perché non aveva scritto nel suo rapporto che il sospetto l'aveva baciata e la sua omissione sarebbe stata evidente nel rapporto dell'autista. Sedeva con il capo chino, prendendo appunti, quasi spaventata all'idea di sollevare lo sguardo e incrociare gli occhi di Langton. Si sentiva un'idiota: senza esperienza, incompetente e, ora che sapeva quanto era costata l'operazione, anche frivola e inutile. Michael Parks sollevò un grande foglio di carta e lo fissò alla lavagna. Anna vide che teneva il suo rapporto tra le mani e notò con orrore che era coperto di segni rossi. «Prenderemo in esame il rapporto del sergente Travis, sezione per sezione, e poi entreremo ancora di più nei dettagli. Sono evidenti i classici segni del profilo del sociopatico che vi ho tracciato. Primo esempio: Daniels manda l'autista a prendere il sergente Travis e la fa accompagnare alla macchina, poi scende e l'aiuta a salire. La sta rassicurando sul fatto che non dovrà trovarsi sola con lui ma che ci sarà una terza persona presente, l'autista.» Anna sollevò lo sguardo, attenta, accorgendosi che quella era l'esatta sensazione che aveva avuto in quel momento. «Il sospettato risponde al cellulare ma nello stesso tempo ricorda al sergente Travis di spegnere il suo. Questa semplice interazione ha un duplice scopo. Primo: si è assicurato che il sergente Travis non fosse in contatto
con i suoi superiori. Secondo: non pensa al fatto di non essere nella condizione di lasciare l'Inghilterra per via del suo coinvolgimento in un caso di omicidio. Dice di rifiutarsi di andare a Parigi e chiede che la parrucca gli sia portata a Londra. Se dovrà andare a Parigi, dovrà essere pagato. «Ora passiamo all'arrivo all'Opera House. Presta poca attenzione alla stampa, concentrandosi invece sul sergente Travis. Dà alla maschera una banconota da cinquanta sterline per ostentare la propria ricchezza, la propria importanza. Quest'uomo è un autentico attore. Dopo essersi assicurato che il sergente Travis era a suo agio con lui, le appoggia una mano sulla schiena, poi sulla spalla. Non è ancora sicuro che lei non abbia microfoni con sé così le chiede di vedere il contenuto della sua borsetta. Soltanto a questo punto, quando è certo che non ci siano microfoni nascosti, affronta l'argomento che gli sta a cuore.» Parks scrisse sulla lavagna: POTREI FINIRE NEI GUAI PER AVERTI PARLATO DEL CASO. Il profiler si voltò a guardare i presenti. «Travis lo ripete diverse volte. Lui le assicura che non vuole farla finire nei guai, che le ha chiesto di passare la serata con lui perché ha sentito un legame tra di loro. È a questo punto che comincia a cercare di estorcerle informazioni con l'inganno. Quando si mostra turbato per la faccenda delle lastre dei denti, interpreta brillantemente la parte dell'uomo innocente che si sente perseguitato.» PUOI AIUTARMI? scrisse Parks in stampatello. «Dal momento che è solo e nessuno può aiutarlo, ha bisogno di Travis. Continua a cercare di guadagnarsi la sua compassione. Per ben due volte le spiega che la sua carriera andrebbe in pezzi se la stampa venisse a sapere del suo coinvolgimento in un caso di omicidio. Anche se sembra turbato dal punto di vista emotivo, è in grado di scoprire che la polizia ha due testimoni. Tuttavia è interessante notare che non ha chiesto ulteriori informazioni in proposito. «Per finire, concentriamoci sul viaggio di ritorno. Daniels propone di farsi lasciare a casa per primo. Poiché per tutta la sera si è comportato in modo affascinante e cortese, questo potrebbe sembrare un particolare fuori posto. La realtà è che non vuole far sentire Travis sotto pressione. Alla fine gioca la sua carta migliore. Mostra una parte del suo terribile passato: il bambino sfortunato cresciuto in un bordello. Piange. Rievoca per Travis un'immagine tragica. E lei, saggiamente, gli permette di credere di essersi bevuta tutto. Gli permette di prenderla tra le braccia e a questo punto lui le chiede di proteggerlo, di aiutarlo. Poi aggiunge che cercherà di aiutarla a
sua volta, che cercherà un modo per darle un mano con l'indagine. Pensate all'audacia che ostenta in questo momento!» Parks si sporse in avanti. «Posso assicurarvi che relativamente presto il sergente Travis avrà notizie da Daniels e che questa volta lui le indicherà un sospetto. Sono convinto che siamo riusciti a farlo preoccupare. Il pericolo è che fugga, ma dubito che ora lo farà. Adesso che ha quello che crede sia un contatto con qualcuno della polizia, l'ego di Daniels avrà la meglio sulla sua ansia. Vedete come tutta la serata sia stata usata da Daniels per carpire la fiducia del sergente Travis?» Parks fece le sue congratulazioni ad Anna per aver efficacemente mantenuto una facciata di rassicurante apertura e innocenza che aveva impedito a Daniels di percepirla come una minaccia. Anna arrossì quando gli altri applaudirono brevemente. Si sentiva meglio ora che aveva ascoltato l'interpretazione di Parks della serata. Alla fine del briefing, Langton chiamò Anna nel suo ufficio. «Dovrò mettere il tuo telefono sotto controllo. Sei d'accordo?» chiese lui. «Sì.» «Ieri notte hai detto che non pensavi che Alan Daniels fosse l'assassino. Ricordi?» «Certo.» «È riuscito a piacerti, non è vero, Travis?» Lei non rispose. «Hai dovuto bere parecchio.» «Lo so. Lui continuava a ordinare e...» «Suppongo che tu abbia notato che Parks non ha parlato di questo né del fatto che lo hai baciato! Cristo santo, Travis, cosa cazzo credevi di fare? È stato maledettamente poco professionale. Vuoi leggere il rapporto dell'autista?» «Mi sarebbe stato utile sapere dell'autista.» «Stronzate! Ti avevo detto che ci saremmo presi cura di te.» Lei scrollò le spalle. «Guardami.» Lei lo guardò. «Daniels si metterà di nuovo in contatto con te. Questo lo sai, vero?» Lei irrigidì la mascella. «Credevo che fosse questo il punto.» «Be', non ci sarà una prossima volta, Travis. Non ho intenzione di affidarti un'altra azione sul campo. Finiresti di certo a letto con lui e te lo sco-
peresti.» Il primo impulso di Anna fu quello di dargli un pugno in pieno petto e di insultarlo. Ma in qualche modo riuscì a controllare la rabbia. Non reagì nemmeno quando lui continuò: «Devi darti una regolata e smetterla di comportarti come una bambina di dieci anni». «Farò del mio meglio, signore», rispose lei sarcastica. «Finora il tuo meglio non è stato abbastanza. E adesso fuori di qui.» Lei uscì senza dire una parola, ma stava facendo di tutto per non scoppiare a piangere. Riuscì a raggiungere il bagno delle donne e una volta entrata in una delle cabine, si coprì la bocca con una mano in modo che nessuno potesse udire i suoi singhiozzi. Nel caso Daniels si fosse messo in cerca dei due testimoni, Barolli venne mandato a controllare il cameriere cubano, mentre Mike Lewis tentò inutilmente di mettersi in contatto con la loro «gola profonda». Nel frattempo Daniels venne messo sotto sorveglianza ventiquattrore su ventiquattro. Langton venne convocato a Scotland Yard dove riferì le opinioni di Parks sul rapporto di Anna. Il comandante non fu molto colpita; non c'erano stati progressi significativi. Anche se poteva essere interessante scoprire che un profiler aveva confermato i loro sospetti, questo non li aveva fatti avvicinare in alcun modo a un possibile arresto. Anzi, il comandante credeva che avessero fornito all'indiziato fin troppe informazioni. Non prese quasi in considerazione il ruolo giocato dal sergente Travis e invece rimproverò Langton per aver fatto dipendere il successo dell'operazione da un'agente così giovane e inesperta. Visto che le cose stavano andando sempre peggio, che il budget era ormai ampiamente superato e che non si erano ancora ottenuti dei risultati, Langton ormai poteva solo affidarsi al raffronto tra le impronte digitali nella speranza di riuscire ad arrestare Daniels. Ma anche in quel caso l'ispettore capo aveva solo notizie deludenti per il comandante. Le impronte non erano state ancora verificate. Poiché nel bicchiere era stata servita acqua gelata, la condensa le aveva rese troppo sfocate perché potessero essere d'aiuto. Sulla banconota da cinquanta sterline c'erano numerose impronte che dovevano ancora essere separate, anche se c'era la possibilità di migliorarne elettronicamente la definizione. Anche quella notizia venne accolta con scetticismo dal comandante. Sapeva dove Langton voleva andare a parare e non voleva che la stampa diventasse un problema. «Arrestare Alan Daniels per sospetta effrazione ti
permetterà di trattenerlo solo per poche ore.» Daniels rimase sotto osservazione tutto il giorno. Passò un'ora in compagnia del suo agente nell'ufficio di Wardour Street. Poi andò in taxi da Harrods dove rimase a lungo nel reparto abbigliamento maschile; da lì, percorse a piedi Beauchamp Place fermandosi a guardare le vetrine. All'una si fermò al ristorante San Lorenzo e pranzò con una donna che portava un turbante di seta e che gli fece una specie di intervista. Poi Daniels tornò da Harrods, prese un taxi, si fece riportare a Wardour Street e tornò nell'ufficio del suo agente. Fu lì che lo persero. Anna entrò nel suo appartamento. Il telefono era già sotto controllo, ma la cosa non la disturbava molto. Era depressa; aveva chiamato l'Ivy e le era stato detto che non avevano trovato niente. Pensò di telefonare alla compagnia di noleggio auto ma alla fine decise di farsi una tazza di caffè e si sdraiò sul divano. Chiuse gli occhi, cercando di ricordare il momento in cui Daniels aveva estratto il contenuto della borsetta. Era certa di averlo visto rimettere a posto i gemelli. All'inizio non lo sentì; qualcuno stava bussando leggermente alla porta. Poi rimase ad ascoltare e il suono si ripeté. Andò alla porta d'ingresso e guardò dallo spioncino: era Daniels. Per un attimo Anna si fece prendere dal panico e tornò in soggiorno per telefonare. Ma lui bussò di nuovo, più forte. Non c'era tempo per fare una telefonata. Doveva andare ad aprire o restarsene in silenzio? Prese una decisione e disse: «Chi è?» «Sono solo io, Anna. Alan.» Anna aprì la porta e lui era lì davanti a lei, sorridente. Con un'espressione maliziosa sul volto, aprì il palmo della mano. «Questi sono tuoi, vero?» «Credevo di averli persi. Ero preoccupatissima; ho chiamato persino il ristorante. Dove li hai trovati?» Lui sogghignò come uno scolaretto dispettoso. «Erano nella mia tasca.» «Li hai presi tu?» «Sì. Avevo bisogno di una scusa per rivederti.» Lei si costrinse a sorridere. «Avresti potuto semplicemente chiamarmi.» «Ma se non avessi accettato di rivedermi? Ero troppo imbarazzato per il modo in cui sono crollato davanti a te, ieri sera, e non potevo rischiare un tuo rifiuto. Non mi fai entrare?»
Lei esitò. «Ieri ti ho detto che avrei cercato di ricordarmi qualcosa che potesse aiutarti a trovare l'assassino.» «Sì.» «Be', forse mi è venuto in mente qualcosa.» Lei chiuse la porta e gli indicò il salotto. «Mi sono appena preparata del caffè. Ne vuoi una tazza?» «No, posso restare solo pochi minuti.» Si guardò attorno nel soggiorno. «È molto carino qui.» «Poca cosa in confronto al tuo sontuoso appartamento.» Lui si sedette sul divano. «Era un disastro quando l'ho comprato. Alcune stanze non venivano usate da vent'anni. Puzzavano di muffa e di escrementi di uccello. Quando ero bambino, di solito dormivo in una stanza piccolissima, poco più di uno sgabuzzino; non aveva nemmeno una finestra. C'era un materasso sul pavimento: niente lenzuola ma un paio di coperte e un cuscino senza federa; il materasso era sporco e puzzava di urina di gatto.» Si alzò a andò a guardare fuori dalla finestra. «Ho comprato l'appartamento per via di quelle bellissime vetrate. Sono delle William Morris originali. La mattina, quando la luce le illumina, sembra di essere dentro una lanterna magica.» Si voltò a guardare Anna. «Ho pensato ad alcune cose di cui abbiamo discusso. In realtà ieri notte ho dormito ben poco.» Lei si sedette sul bracciolo della poltrona e rimase ad ascoltare. Lui tornò a sedersi sul divano e si accigliò osservandosi le mani. «Ci sono cose che ricordo, cose a cui mi sono sforzato di non pensare. Comunque...» Si appoggiò allo schienale e si leccò le labbra. Spiegò che quando era bambino era sempre stato difficile dormire per via dei festini che andavano avanti fino alle prime ore del mattino. La polizia veniva chiamata spesso per placare le risse. Poi, un giorno, i servizi sociali lo avevano preso e lo avevano affidato a una famiglia. La sua vita era cambiata drasticamente: tre pasti al giorno e vestiti puliti. Ma veniva rimandato sempre a casa. «Era lei che pretendeva di riavermi. Non ne ho mai capito il motivo; apparentemente non mi voleva affatto. Urlavo e piangevo perché non volevo essere riportato lì.» Anna notò che la sua voce era priva di emozioni. Daniels non parlò dei suoi sentimenti ma solo degli eventi della sua infanzia: aveva fatto avanti e indietro in quel modo finché un giorno non era scappato. A quel punto, i servizi sociali lo avevano messo in un istituto e da lì era stato trasferito
nella casa della sua seconda famiglia affidataria. «Lontano da quel buco infernale, ho cominciato ad andare bene a scuola. Ho persino vinto una borsa di studio che mi ha permesso di frequentare una buona scuola privata. E per tutto quel tempo non ho mai ricevuto né una lettera né una telefonata da lei. Quando avevo circa quindici anni, un giorno ero sull'autobus, ho guardato fuori dal finestrino e l'ho vista. Aveva un aspetto spaventoso. La faccia gonfia per l'alcol, le tette cascanti, indossava una minigonna e barcollava sui suoi tacchi a spillo con le gambe nude coperte dalle vene varicose. Era disgustosa.» Per la prima volta, parve turbato; trasse un profondo respiro prima di continuare. Gli altri ragazzi l'avevano vista e, senza sapere che si trattasse di sua madre, avevano cominciato a ridere di lei. Si erano messi a gridarle insulti dai finestrini, chiamandola «troia» e «puttana». Daniels scosse la testa: «E io mi sono unito a loro». Langton era furibondo. Gli era appena stato riferito che Daniels era «scomparso». Gli agenti di sorveglianza si erano giustificati dicendo che il sospetto aveva usato l'uscita laterale dell'edificio in cui si trovava la AI Management per attraversare Wardour Street e raggiungere il garage. La sua auto era ancora parcheggiata. Langton imprecò e disse che erano degli incompetenti. Le scale del garage sotterraneo probabilmente lo avevano riportato sulla strada e da lì il sospetto doveva aver raggiunto Oxford Street, che si trovava poco lontano e dove di certo non mancavano autobus e taxi. Poteva persino aver preso la metropolitana in Tottenham Court Road. Langton ordinò immediatamente che una macchina lo portasse all'appartamento di Anna. Anna si stava chiedendo il motivo di quella visita. Ma sapeva che doveva essere paziente. Daniels disse che aveva preso nuovamente quell'autobus, da solo però, e che era sceso nel punto in cui aveva visto sua madre. L'aveva trovata in un vicolo, appoggiata contro il muro, la gonna sollevata fino alla vita mentre un uomo, con un completo azzurro, la prendeva a schiaffi. Lei stava gridando ubriaca ma lui l'aveva colpita ancora più forte finché lei non aveva cominciato a scivolare a terra. «Mi sono gettato su di lui e ho cominciato a prenderlo a pugni ma lui aveva un coltello. Lei si è messa in mezzo e ha cominciato a urlare contro di me, a dirmi di andarmene e di farmi gli affari miei! Lui mi ha detto che se non avessi obbedito, l'avrebbe uccisa. Così
sono scappato. Più tardi lei è stata portata alla centrale dai poliziotti. Ha detto di essere stata violentata e picchiata e che voleva sporgere denuncia.» Daniels spiegò che la mattina dopo si era recato alla vecchia casa per controllare che lei stesse bene e ad aprirgli la porta era stato proprio l'uomo dal completo azzurro. Mentre fuggiva, era stato arrestato e sbattuto su un'auto di pattuglia. «Lei ha detto che ero stato io a picchiarla. A interrogarmi è stato un uomo ripugnante, un vero maiale, che mi ha maltrattato. Ma la cosa peggiore era che lo avevo già visto alla casa. Era un agente della Buoncostume che bazzicava sempre da quelle parti.» Anna immaginò che si stesse riferendo a Barry Southwood. Daniels riprese a parlare a voce così bassa che quasi si stentava a udirlo. «L'hanno trovata morta diciotto mesi dopo e mi hanno arrestato con l'accusa di omicidio. Era tutto talmente irreale, terrificante. Non avevo soldi per pagare un avvocato, non avevo niente. Ero sicuro che fosse stato lui. Sono tornato in quella casa disgustosa per affrontarlo e una delle donne mi ha detto che aveva preso tutti i loro soldi e se l'era svignata. Ha detto che le aveva minacciate dicendo che se avessero raccontato qualcosa di lui ai poliziotti, le avrebbe uccise tutte fino all'ultima.» Daniels adesso era in piedi, guardava dritto davanti a sé come ipnotizzato, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi. «Hai mai scoperto che fine avesse fatto? L'uomo con il completo azzurro?» «Il loro magnaccia?» Annuì. «L'ho visto sulla prima pagina del "Manchester Daily News". Aveva aperto un nuovo nightclub. Era circondato da stelle della tv. Sembrava in tutto e per tutto un uomo d'affari di successo.» «Come si chiamava?» «John George McDowell.» La guardò alzarsi per prendere il suo taccuino. Anna appuntò il nome dell'uomo. «Domattina, per prima cosa, lo darò alla squadra.» «Adesso devo andare. Spero di esserti stato d'aiuto. È stato doloroso raccontarti queste cose. Spero che mi proteggerai, Anna.» «Farò tutto quello che posso.» «Me lo prometti?» Le si avvicinò. «Te lo prometto, Alan.» Lui le prese il volto tra le mani. Quando suonarono alla porta, trasalirono entrambi.
Anna guardò dallo spioncino: era Langton. «È il mio capo», disse disperata. Daniels scrollò le spalle. «Non stiamo facendo niente di male, Anna.» Lei aprì la porta. «Ciao, ho bisogno di parlarti», disse Langton. Prima che lei potesse fermarlo, le passò accanto, raggiunse il soggiorno e si fermò di colpo. Lei lo seguì. «Piacere di rivederla. Me ne stavo andando.» Daniels gli tese la mano. «Ci vediamo, Anna.» Langton rimase immobile, in preda a una furia silenziosa mentre Daniels usciva tranquillamente dall'appartamento. Anna chiuse la porta alle spalle del suo visitatore. «Cosa cazzo sta succedendo?» sibilò Langton. «È venuto a trovarmi.» «Cristo santo!» Si lasciò cadere sul divano. «Continui a stupirmi, Travis. Perché diavolo lo hai lasciato entrare?» Lei si morse il labbro inferiore. «Ehm... sono ancora viva.» «Risparmiati il sarcasmo con me, cazzo. Perché non hai chiamato la centrale? Avrebbe potuto ucciderti.» «Perché non mi lascia dire il motivo per cui è venuto a trovarmi?» «Non vedo l'ora», ribatté lui seccamente. Lei gli riferì la conversazione con Daniels e alla fine gli mostrò il suo taccuino su cui aveva scritto il nome di John George McDowell. «Tutte stronzate.» «Ma dovremmo controllarlo comunque.» «Travis, non sai perché sono qui?» chiese lui. Lei sbatté le palpebre, tesa. «Gli agenti di sorveglianza lo hanno perso di vista in Wardour Street.» La guardò ansioso. «Hai sentito quello che ti ho detto?» «Sì, signore. È per questo che è venuto qui.» «In parte. Il tuo ragazzo è stato nel tuo appartamento. Travis, combaciano. Tesoro, quelle sulla cornice del tuo papino sono le impronte digitali di Alan Daniels.» Il corpo di Anna prese a tremare. Era stata sola con Alan Daniels per più di tre quarti d'ora. Langton prese il taccuino di Anna. «Controlleremo questo "John George McDowell". D'ora in avanti, Travis, non farai una sola mossa senza prima informare me e la squadra.»
«Sì, signore.» «Metteremo qualcuno a sorvegliarti visto che non sembri in grado di comportarti in modo professionale.» «Resterà qui con me?» Lui la fulminò con lo sguardo. «Cosa cazzo credi che sia io, Travis? La tua stramaledetta baby-sitter? C'è un agente a bordo di un'auto davanti a casa tua. Domani, voglio un rapporto dettagliato su quello che ti ha detto Daniels.» «Sì, signore.» Quando Langton se ne andò sbattendo la porta, Anna chiuse a chiave tutte le serrature. Rimase in piedi nel piccolo ingresso. Ribolliva di rabbia. Non per Langton questa volta, ma per Alan Daniels che l'aveva usata in modo così abile, come se lei non fosse altro che una pedina nel suo gioco. 16. John George McDowell aveva una lunga fedina penale con le accuse più diverse: sfruttamento della prostituzione; due anni per aggressione; altri diciotto mesi per ricettazione. Quando, anni prima, il suo nightclub aveva chiuso, McDowell aveva passato diverso tempo in prigione per furto aggravato. Poi il processo si era interrotto e Mike Lewis stava faticando non poco per scoprire dove si trovasse attualmente. Stava aspettando che la polizia di Midlands lo richiamasse. Anche Barolli era al telefono. Gli era stato affidato il compito di tenere d'occhio il cameriere cubano, cosa che si era rivelata più difficile del previsto perché l'uomo era stato licenziato dal club di travestiti per aver rubato. Alla fine Barolli aveva scoperto che adesso lavorava in un ristorante della stessa zona. Ora Barolli era seduto alla sua scrivania e si stava occupando di rintracciare il loro secondo testimone. Scherzando, Jean gli disse che perdere un testimone era una sfortuna ma perderne due era pura incompetenza. Lui non parve divertito. Yvonne Barber, la prostituta dalla voce profonda, aveva cambiato indirizzo e nessuno sembrava sapere dove fosse andata. Una sua coinquilina disse che si era trasferita a Brighton ma che non la sentiva da più di una settimana. Barolli imprecò. Era un lavoro molto frustrante, soprattutto perché alla donna era stato detto di tenere informata la polizia sui suoi spostamenti. Anna stava finendo il suo rapporto sulla sera precedente quando Lewis
gridò a Barolli di chiedere se ci fosse qualche buona notizia sulle impronte digitali di Daniels. Barolli scosse la testa. «Stanno aspettando l'esperta di Nottingham.» Anna sollevò lo sguardo su Barolli. «Che cos'hai detto?» «A che proposito?» «Le impronte. Pensavo che ci fosse una corrispondenza.» Barolli scosse la testa. «Io non ne so niente. Come ti ho detto, sta arrivando quella tizia di Nottingham.» Anna stampò il suo rapporto, pinzò le pagine e si diresse verso l'ufficio di Langton. Bussò e senza aspettare risposta entrò e si richiuse la porta alle spalle, sbattendola. Quando Langton sollevò lo sguardo, sorpreso, lei lasciò cadere il rapporto sulla scrivania. «Lei è un bastardo, lo sa?» Appoggiò entrambe le mani sulla scrivania. Aveva il volto rosso per la rabbia. «Ha detto che c'era un riscontro sulle impronte. Ha mentito.» «Forse avevo le mie buone ragioni.» «Per esempio? Spaventarmi a morte? Farmi sentire terrorizzata al pensiero di essere sola in casa?» «Forse l'ho fatto perché avevo la sensazione che ti servisse un bel calcio nel culo.» «Che bastardo. Non aveva il diritto di comportarsi così!» Lui spinse indietro la sedia. «Avevo tutti i diritti di cercare di farti ragionare; hai fatto entrare in casa tua quel figlio di puttana.» Facendo infuriare Anna ancora di più, lui la scimmiottò: «"Non so se è colpevole. Il fatto è che mi piace davvero"». «Non ho mai detto una cosa simile.» «E cosa mi dici del suo monologo melodrammatico sulla sua tragica infanzia? Ti ha preso per il culo, Travis. Avresti potuto essere la sua prossima vittima. Per fortuna sono arrivato io. Sono venuto da te solo perché la squadra di sorveglianza lo aveva perso!» «E così ha deciso di terrorizzarmi?» «Avevi bisogno di capire che razza di pericolo stessi correndo.» Prima che lei potesse rispondere, Mike Lewis bussò alla porta ed entrò. «Posso parlarti un attimo, capo?» Langton guardò Anna. «C'è altro?» Lei uscì e questa volta non sbatté la porta. Stava tremando per la rabbia. Ogni volta che aveva l'impressione di conoscere Langton, si rendeva conto di essersi sbagliata. Non lo conosceva meglio, ora, ma aveva imparato una
cosa: mai fare passi falsi quando c'era di mezzo lui perché avrebbe potuto ostacolarla e addirittura danneggiare la sua carriera. All'interno dell'ufficio di Langton, Lewis si passò un dito nel colletto della camicia. «Ascolta, capo, forse Alan Daniels ci ha fatto un favore. McDowell è in custodia alla centrale di polizia di Manchester; ha passato lì la notte. Lo hanno sbattuto dentro per aver pestato una prostituta e il suo magnaccia e per aver steso due degli agenti che stavano tentando di arrestarlo.» «È un cliente abituale, allora.» «È stato arrestato parecchie volte ed è rimasto dentro sempre per brevi periodi. È un fottutissimo incubo ma non era in galera quando sono state uccise le nostre vittime, ho controllato.» «Manchester?» «Già. Daniels ha detto a Travis che McDowell conosceva Lilian Duffy. Potrebbe avere facilmente conosciuto anche le altre. Inoltre, guida una Mercedes Benz quattro porte color crema del 1987.» «Possono trattenerlo finché non arriviamo lì?» «Direi di sì. Hanno aspettato a interrogarlo perché gli passasse la sbornia.» Langton e Mike Lewis si stavano preparando per andare a Manchester quando ricevettero una telefonata della polizia del Sussex. Era stato rinvenuto il cadavere di una donna sotto i vecchi piloni del molo di Brighton. Il molo stava per essere demolito; l'accesso al pubblico era stato vietato. La donna era stata strangolata con una cintura di cuoio stretta così forte attorno al collo che la fibbia aveva squarciato la pelle. Era possibile che fosse la loro testimone? Era coperta di lividi e di tagli slabbrati, che secondo il rapporto autoptico potevano essere stati causati dagli scogli attorno al molo o dall'urto del corpo contro i piloni. Il cadavere non era stato identificato; se non fosse stato portato vicino alla spiaggia dall'alta marea avrebbero potuto non trovarlo mai. Langton ordinò ad Anna di recarsi a Brighton per scoprire se si trattasse o meno della testimone. Avrebbero avuto anche bisogno dell'ora della morte che avrebbe permesso di controllare se il loro sospetto, Alan Daniels, avesse avuto il tempo di recarsi a Brighton. Anna fu delusa perché non le era stato offerto di recarsi a Manchester a interrogare McDowell, ma dopo il loro ultimo scambio di battute dubitava che Langton le avrebbe chiesto di accompagnarlo anche solo al parcheggio della centrale.
Langton se n'era già andato in compagnia di Lewis. Anna attese che Moira le procurasse un'auto di pattuglia con autista. Da dietro la scrivania, Moira le lanciò un'occhiata. «Tutto okay? Sembri di pessimo umore, oggi.» «Lo sono.» «Se ne vuoi parlare...» «No, non voglio.» Jean guardò Moira inarcando il sopracciglio. «Stai diventando una prima donna», disse Moira in tono allegro. «Prima la sorveglianza a casa tua, poi l'Opera House, adesso l'auto privata per andare a Brighton!» «Cerca solo di farmela avere entro oggi, Moira, per favore.» Poco dopo, Moira la informò che l'auto l'avrebbe aspettata nel parcheggio di lì a quindici minuti. «Grazie.» «Non c'è di che.» Moira alzò appena la voce in modo che anche Jean potesse sentirla. «Sono rimasta un po' sorpresa quando ho visto che non eri col capo sul treno per Manchester. Di solito ti porta con sé.» «Non andrò con lui da nessuna parte, né adesso né in futuro», disse Anna cupamente. «Anzi, prima lascerò questo caso, meglio sarà.» Moira sporse le labbra. «Pensavo che voi due andaste d'accordo.» «Be', ne ho avuto abbastanza; non so come facciate voi a sopportarlo.» «Cosa vorresti dire con questo?» Anna sbottò: «È un bastardo, ecco cosa voglio dire. È un egoista, egocentrico, maniaco del controllo». Moira si sporse in avanti e con calma disse: «Fa' attenzione a quello che dici sul suo conto. Perché tutti noi lo stimiamo. E se il problema è che è venuto a casa tua per darti una strigliata, allora dovresti rifletterci sopra. Perché appena ha scoperto che la squadra di sorveglianza aveva mandato tutto a puttane, l'unica cosa di cui si è preoccupato è stata la tua sicurezza. È venuto a controllare personalmente che stessi bene. È così che si comporta con tutti noi. Anche se è sempre impegnato, ha trovato il tempo di venire a casa mia per parlare con mia figlia. Suo padre il tempo non lo ha trovato, ma lui sì. Ha detto due parole al suo ragazzo. Non era obbligato a farlo ma lo ha fatto perché voleva aiutarmi. Aiuterebbe chiunque di noi avesse bisogno di lui». «Ti ha raccontato che cosa mi ha detto?» Moira si avvicinò alla scrivania di Anna. «Non voglio essere messa in
mezzo; sto solo dicendo che dovresti fare attenzione a quello che dici. Siamo tutti dalla parte del capo e lo siamo da molto più tempo di te! L'ho visto affrontare il suo inferno privato e non ha mai scaricato il peso di quello che gli succedeva su nessuno.» «So che sua moglie è morta, Moira.» «Be', la seconda se n'è andata con uno dei suoi migliori amici. E lui sta ancora pagando per il mantenimento della figlia di lei.» Poi continuò, rossa in viso: «Ti ho detto anche troppo, quindi non andare in giro a parlarne con nessuno, altrimenti te la farò pagare cara!» Anna raccolse la sua valigetta e, senza dire una parola, lasciò la centrale. Al volante c'era un agente robusto e fin troppo loquace. L'uomo iniziò parlandole del suo hobby che consisteva nel comprare auto ormai buone solo per la discarica e rimetterle a nuovo per venderle. Le raccontò che controllava gli sfasciacarrozze che spesso prendevano pezzi di ricambio dalle auto prima che venissero demolite. Le spiegò anche quanto risparmiava, comparando i prezzi con quelli dei normali rivenditori. Alla fine, arrivarono all'obitorio e Anna fu felice di scendere da quell'auto. La polizia del Sussex aveva svolto delle indagini ma non aveva concluso nulla. Quanto al momento della morte, la loro ipotesi era che fosse avvenuta un paio di settimane prima. La donna era rimasta nell'acqua per tutto quel tempo e il tasso alcolico nel sangue era molto alto: cinque volte più del limite legale. Anche se il corpo era in condizioni terribili e il volto era gonfio, Anna la riconobbe. Era Pelle Rossa. Nessuno aveva denunciato la sua scomparsa e nessuno aveva idea di dove avesse vissuto. Non erano stati ritrovati documenti e non avevano idea di dove fosse stata la notte in cui era morta. Anna disse agli agenti quel poco che sapeva e diede loro l'indirizzo di Leeds dove contattare la sua coinquilina per rintracciare eventuali parenti. Dissero che avrebbero fatto pubblicare una richiesta di informazioni sulla stampa locale e che l'avrebbero contattata non appena avessero scoperto qualcosa. La morte era avvenuta per strangolamento ma il modus operandi non era lo stesso con cui erano state uccise le loro vittime; non le erano state legate le mani e non era stata utilizzata la sua biancheria per strangolarla o immobilizzarla. La cintura era da quattro soldi e da donna, non da uomo; forse era stata presa da un impermeabile. Quando Anna tornò dal suo garrulo autista, si appoggiò allo schienale e disse che la notte prima aveva fatto tardi e che ora aveva bisogno di sonno.
Telefonò a Barolli sul cellulare per confermare che il cadavere era davvero quello della loro testimone, poi si mise comoda. Erano quasi le quattro del pomeriggio. Mentre si addormentava, Anna si accorse vagamente che l'autista le stava parlando della verniciatura delle macchine, dei costi della vernice spray, del fatto che certi modelli avessero bisogno di almeno quattro mani di vernice, di come stendeva la vernice e poi la sfregava fino a raggiungere la consistenza e la brillantezza giuste. I profitti maggiori derivavano sempre dalle auto d'epoca anche se era difficile trovare i pezzi di ricambio, soprattutto per le vecchie Mercedes. Ma i rivenditori che conosceva gli tenevano sempre da parte fari, paraurti e persino sedili. In quello stesso momento, Langton e Mike Lewis stavano scendendo da un taxi davanti alla centrale di polizia di Manchester. Prima di interrogare McDowell, che era rinchiuso in una delle celle, il sergente di turno e l'agente che aveva eseguito l'arresto li accompagnarono in un piccolo ufficio dove raccontarono loro i particolari della sera prima. McDowell lavorava come buttafuori per un pub irlandese; lo faceva per bere gratis e guadagnare qualche sterlina alla fine della settimana. Era tardi, quasi le undici e mezza, quando qualcuno aveva chiamato la polizia. Una prostituta aveva cominciato a creare problemi nel locale. Lui aveva cercato di sbatterla fuori ma lei e il suo protettore l'avevano aggredito. Quando la polizia era arrivata, il litigio era già sfociato in una rissa. McDowell, che aveva alzato parecchio il gomito, si era scagliato sui poliziotti come un toro impazzito. C'erano voluti tre agenti per immobilizzarlo. In cella, aveva perso i sensi. «Quanti anni ha?» Langton si accigliò, scorrendo il fascicolo di McDowell. «Cinquantadue.» I crimini commessi dall'uomo erano in parte di poco conto, ma era il suo legame con la prostituzione che Langton trovava interessante. Diverse ragazze avevano lavorato per lui al nightclub e molte di loro erano state prostitute. McDowell era stato accusato di sfruttamento della prostituzione. «Avete mai avuto un suo indirizzo? Ha forse abitato a Shallcotte Street?» L'elenco degli indirizzi era così lungo che sembrava quasi un elenco delle strade di Manchester, ma non risultava che l'uomo avesse mai vissuto nella stessa casa di Anthony Duffy o della madre di Duffy. McDowell cambiava casa in continuazione. «Adesso vive nel seminterrato di una vecchia casa che dev'essere demo-
lita, non lontano dagli studi televisivi della Granada.» Il sergente scosse la testa, disgustato. «È un vero buco di merda. Direi che ci dorme e basta, oppure perde i sensi lì quando è sbronzo. Ha un problema serio col bere. Il nightclub ha avuto abbastanza successo per un po'; lo frequentavano anche un sacco di celebrità. Purtroppo, i guadagni che non si bevuto se li è sniffati. Credeva di essere un grande seduttore.» «E la sua Mercedes?» «È nel parcheggio della polizia da una settimana. Aveva cinquanta multe non pagate per divieto di sosta.» Langton annuì. «D'accordo. Andiamo a parlare con lui.» Vennero accompagnati in una stanza per gli interrogatori e venne servito loro del caffè. Dieci minuti più tardi sentirono una serie di passi pesanti e una voce che gridava: «Ma cosa cazzo avrei dovuto fare? L'avete arrestata quella troia? Ci scommetto il culo che l'avete lasciata andare e io invece sono stato qui tutto il giorno, cazzo! Voglio parlare con il mio avvocato perché non è giusto, cazzo!» Quando la porta si aprì, c'erano due agenti in uniforme alla destra e alla sinistra di McDowell. Nonostante tutto ciò che avevano sentito raccontare di lui, riuscì comunque a stupire Langton e Lewis. Aveva un'espressione torva: era alto un metro e novanta, aveva i capelli biondi e sudici lunghi fino alle spalle e una calvizie incipiente. Gli avevano tolto la cravatta e le stringhe, quindi aveva i piedi che uscivano dalle scarpe a ogni passo. Il suo completo azzurro aveva una strana aria anni Cinquanta, con la giacca lunga, le spalle squadrate e i pantaloni larghi. La camicia era sporca e aperta sul petto. Aveva spalle larghe e curve che facevano pensare a Robert Mitchum. Quando vide Langton e Lewis seduti al tavolo spoglio, sembrò confuso. «Che succede?» Langton si alzò in piedi. «Sono l'ispettore capo James Langton della polizia di Londra e questo è il sergente Lewis.» Langton gli tese la mano e la stretta di McDowell fu d'acciaio. Abbassò lo sguardo sulla mano grossa e nodosa dalle nocche sporgenti, arrossate e callose. «Vorremmo parlare con lei.» McDowell chiuse gli occhi. «Oh, cazzo. Non l'ho ucciso, vero?» «Chi?» «Lo sbirro che ho steso.» «Sono qui per un'altra indagine. La prego, si sieda.» «No, se non mi dite che storia è.» McDowell rimase in piedi, le gambe
divaricate. «Mi occupo di un'indagine per omicidio, signor McDowell. Vorrei rivolgerle qualche domanda.» «Non se ne parla, cazzo. Voglio un avvocato.» Langton sospirò. «Molto bene, possiamo procurarglielo.» McDowell si sedette. Chiese una sigaretta; Langton gli porse il suo pacchetto poi gli fece accendere. Il sergente di turno andò a cercare un avvocato d'ufficio e loro non ebbero altra scelta che restare seduti ad aspettare. McDowell aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. «Non mi state accusando di niente, vero?» «Dobbiamo farle qualche domanda per eliminarla dalla nostra inchiesta.» «Che ore sono?» Lewis guardò l'orologio. «Sono le cinque e mezza.» «Perderò il mio cazzo di lavoro per colpa di questa storia.» McDowell scosse la testa. «Mi hanno tenuto qui per sedici ore. Conosco i miei diritti!» Aspirò un'altra boccata e lasciò uscire il fumo dalle narici mentre spostava gli occhi acquosi da Langton a Lewis. «Cazzo, è una faccenda seria, vero?» Tornata alla centrale, Anna aveva stilato il suo rapporto su Brighton e lo aveva portato a Barolli. Gli lanciò un'occhiata. «Quando è stato commesso l'omicidio, Daniels era sotto sorveglianza?» «No, la sorveglianza è cominciata dopo.» «Quindi è possibile che Daniels si sia recato in macchina a Brighton.» «Come avrebbe fatto a sapere che la donna era lì?» Anna scrollò le spalle. «Forse lo ha chiesto al vostro amico cubano in Old Compton Street. O forse quando lei è stata interrogata è riuscita a scoprire l'identità di Daniels e si è messa in contatto con lui. Potrebbe essere successo anche il contrario.» «Farò un controllo», rispose lui sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. Anna tornò alla sua scrivania ed esaminò i memo che si erano accumulati in sua assenza. Chiese a Jean: «Ho il turno di notte, oggi?» «Sì, il capo e Lewis non ci sono.» «Va bene.» Si alzò. «È meglio che vada a mangiare un boccone alla mensa.» «Sii gentile, archivia questo per me mentre vai.» Anna prese il fascicolo che Jean le stava porgendo, ma prima di archi-
viarlo scorse il rapporto che conteneva informazioni dettagliate su McDowell. In piedi vicino allo schedario, lesse con attenzione. Era arrivata alla descrizione della macchina di McDowell, una Mercedes Benz color crema. Dopo un attimo di esitazione, mise via il fascicolo. Aprì un altro cassetto e rovistò tra i fascicoli finché non trovò quello sulle auto di Alan Daniels. Poi trovò quello che stava veramente cercando. Il posto dove Alan Daniels aveva mandato la sua Mercedes a demolire si chiamava Wreckers Limited. «Credevo che volessi andare a mangiare qualcosa.» Anna tornò alla sua scrivania e prese il taccuino. «Jean, l'agente che mi ha accompagnata questo pomeriggio lavora al piano di sotto?» «Sì.» «Come si chiama?» «Non me lo ricordo. Ce l'ho sulla punta della lingua. Agente...» Moira concluse per lei: «Agente Gordon White». «Grazie. Per favore, puoi controllare se è ancora alla centrale?» «Era in mensa un attimo fa», rispose Jean. Lei e Moira guardarono Anna uscire a grandi passi dalla sala operativa e si scambiarono un'occhiata divertita. L'agente Gordon White aveva appena finito una bistecca con pasticcio di rognone quando notò Anna che si dirigeva verso di lui dal fondo della sala. «Gordon, puoi fare una cosa per me?» «Naturalmente», rispose lui. Anna appoggiò sul tavolo davanti a lui la fotografia di un'auto identica alla Mercedes che Alan Daniels aveva guidato. White annuì, con aria di approvazione. «Mercedes 280 SL decappottabile; ottimo motore.» «Se una persona avesse un piccolo incidente», cominciò Anna, «niente di grave, solo un'ammaccatura, quanto pensi che costerebbe la riparazione?» «Dipende. Sono macchine pesanti e hanno paraurti molto grossi», rispose lui con aria solenne. «Il costo sarebbe elevato. Se fosse solo un problema di carrozzeria, probabilmente verrebbe a costare duemila sterline, ma i pezzi di ricambio non sono facili da reperire. È un modello del '71, quindi bisognerebbe rivolgersi a qualcuno che tratta quei pezzi di ricambio specifici.» Sogghignò. «Oppure bisognerebbe rivolgersi a me.» «C'è una compagnia chiamata Wreckers Limited. Dev'essere uno sfasciacarrozze o un demolitore.» «Sì, è a Watford.»
«Mi ci potresti accompagnare?» «Adesso? Ho appena staccato.» «No, non intendevo... ascolta, si tratta di una faccenda privata. Potremmo andarci domattina presto? Vorrei che fossi con me mentre parlo con il gestore.» «Domani faccio il turno dalle tre alle nove. Potremmo vederci lì, per esempio alle dieci del mattino?» «Ti ringrazio», disse Anna, soddisfatta. «Ci vediamo lì alle dieci.» L'avvocato di McDowell indossava un completo grigio e una camicetta. Doveva avere poco più di vent'anni. L'avevano aspettata tre quarti d'ora dal momento in cui era stata convocata. In quel lasso di tempo, McDowell aveva cominciato a sudare copiosamente. Quando beveva dell'acqua, il suo corpo tremava così tanto che doveva tenere il bicchiere con entrambe le mani. Stava collaborando e rispondeva alle loro domande; aveva un terribile bisogno di alcol. Quando all'inizio gli era stata mostrata la fotografia di Lilian Duffy, aveva subito fornito il nome della donna. Aveva ammesso di aver abitato per un breve periodo nella casa di Shallcotte Street. Langton gli chiese se avesse conosciuto il figlio di Lilian, Anthony Duffy. «Sì, lo conoscevo.» Aveva la fronte imperlata di sudore. «Era proprio un piccolo bastardo, il figlio di Lilian.» «Mi dica quello che sa di lui», disse Langton in tono tranquillo. «È stato molto tempo fa», sospirò McDowell. «Una delle mie ragazze, una ragazzina veramente adorabile, mi aveva mollato. Mi avevano detto che si era trasferita a casa di Lilian e così ci sono andato. Lilian era fuori, in strada. Alla fine l'ho trovata in un vicolo, aveva la gonna alzata e un cliente ci stava dando dentro. Io l'ho spinto via, allora lui prova ad alzare le mani e io gli mollo uno schiaffo. Lei si mette a dare calci e a urlare. Allora io la prendo per la gola e le dico che voglio sapere dov'è la mia ragazza. Un attimo dopo, mi ritrovo addosso quel ragazzino del cazzo che mi tira un pugno in testa. Credo che lei non sapesse neanche che era suo figlio. Comunque, quando ho sentito la sirena, l'ho lasciata a terra, non volevo avere problemi con la polizia; stavo cercando di far decollare il mio locale, okay? Poi mi dicono che l'hanno sbattuta dentro, che è così fuori di testa che dice che è stata aggredita. Non mi aveva nemmeno riconosciuto, tanto era messa male.» «Vorrei mettere una cosa in chiaro.» Langton si massaggiò le tempie. «Lei ha effettivamente aggredito Lilian. Suo figlio, Anthony Duffy, ha in-
terrotto la lotta. Ma quando Lilian ha denunciato l'incidente, ha dichiarato che era stato suo figlio a picchiarla, non lei.» «Esatto. I poliziotti hanno fatto tutta la trafila: hanno chiamato un dottore per farla visitare, hanno ascoltato la sua dichiarazione. Poi sono andati a prendere suo figlio e lei ha negato tutto. Posso?» Prese una delle sigarette di Langton. «Lei è stato arrestato per questo incidente?» «Cazzo, no. Ormai avevo imparato a starmene alla larga da quel branco di troie. È stata una di loro che mi raccontato tutto.» «Ricorda quando ha visto Anthony Duffy la volta successiva?» McDowell aggrottò la fronte, continuando a fumare la sigaretta che teneva con la mano tremante. «Non ne sono sicuro. Si faceva vivo ogni tanto. Doveva avere sedici anni, credo. Mi ricordo che una volta ha buttato giù a calci la porta sul retro, gridando che voleva vedere Lilian. Aveva bisogno di un passaporto. C'era una gita scolastica e lui ci voleva andare, per questo era passato a prendere il suo certificato di nascita. Farneticava e sbraitava, era fissato con quel fottuto certificato di nascita e lei gli ha gridato che non sapeva neanche dov'era. E a quel punto, lui la colpisce. Lei reagisce. E io, più o meno, li ho fatti smettere. Mi ricordo che lei ha cominciato a tirar fuori roba dai cassetti e lui era fuori di sé e a un certo punto si è messo a piangere. Poi a un certo punto lei lo ha trovato e gliel'ha lanciato addosso.» McDowell bevve un lungo sorso d'acqua. «Poi il ragazzino guarda il certificato di nascita e chiede perché non c'è il nome del padre. Lilian era una stronza veramente cattiva.» «Continui, signor McDowell», disse Langton paziente. «Lei si è messa a ridere. Ha detto che non aveva la minima idea di chi fosse; gli ha detto di metterci il nome che gli pareva e lui, Anthony, suo figlio, se ne stava lì con quel pezzo di carta in mano a piangere, perché tutti i ragazzi a scuola avrebbero saputo che lui non aveva un padre.» McDowell continuò raccontando che Lilian gli aveva strappato di mano il certificato, aveva scritto qualcosa sul documento e poi glielo aveva ridato. Il ragazzo aveva letto il nome ad alta voce. Burt Reynolds. «Credo che fosse il suo attore preferito. Quando lui ha letto quello che aveva scritto lei, non ho mai visto un simile...» McDowell si accigliò. «Aveva gli occhi grandi come due pezzi di ghiaccio.» Langton chiese a McDowell se avesse assassinato Lilian Duffy. Lui sbatté le palpebre un paio di volte, stupito, e poi scosse la testa.
Langton dispose sul tavolo, una dopo l'altra, le fotografie delle vittime. Quando vide Barbara Whittle, McDowell la identificò immediatamente come una delle donne di Shallcotte Street. Ammise anche di aver conosciuto la terza e la quarta vittima, Sandra Donaldson e Kathleen Keegan. Disse che Kathleen aveva avuto diversi figli ma che le erano stati tolti dai servizi sociali. «Kathleen era una donna terribile; vendeva i suoi bambini ai pervertiti. Sì, insomma, ai pedofili. Penso che abbia fatto qualcosa anche a Anthony.» «Che cosa?» Langton si sporse in avanti. «Mi hanno detto che aveva usato anche lui, quando era piccolo. Era un ragazzino molto carino. Kathleen avrebbe usato anche sua nonna per soldi.» Quando gli venne mostrata la fotografia di Mary Murphy, McDowell identificò facilmente anche lei. Disse che Mary aveva abitato a Shallcotte Street finché la casa non era stata demolita e lei aveva dovuto trasferirsi. Ma quando Langton gli mostrò la fotografia di Beryl Villiers, la reazione dell'uomo fu diversa. Si mise a singhiozzare incontrollabilmente. Scivolò dalla sedia e restò seduto sul pavimento coprendosi la testa con le mani, gemendo e dicendo che Beryl era il suo amore, l'unica ragazza che avesse mai amato. Lewis e Langton avevano trovato un altro pezzo del puzzle. McDowell era l'uomo per il quale Beryl era scappata da Leicester. L'aveva conosciuta al centro benessere dove aveva lavorato come direttore. Tentarono di continuare con l'interrogatorio, ma McDowell ormai aveva perso il controllo. Non solo singhiozzava e tremava ma gridava e aveva la bava agli angoli della bocca. Venne chiamato un dottore che disse che era in preda al delirium tremens e che non sarebbe riuscito a parlare in modo sensato per un po'. Il sergente di turno li informò che era improbabile che riuscissero a trattenere McDowell ancora per molto. Se lo avessero portato davanti a un magistrato, il mattino dopo, chiedendo di poterlo trattenere, non avrebbero ottenuto più di tre giorni. «Ma aveva un sacchetto di pasticche addosso», protestò Langton. «Ed è per questo che siamo sicuri che il magistrato non gli concederà di uscire su cauzione.» «Fate tutto il possibile. Torneremo domani mattina per interrogarlo di nuovo.» Quando lasciarono la centrale, esausti, erano già le sette e mezza. Non sapevano ancora se McDowell fosse mai stato a Londra o negli Stati Uniti.
Ne dubitavano, tuttavia quell'uomo faceva parte del quadro e loro avevano già un mandato per perquisire il seminterrato dove viveva e per prelevare la sua Mercedes, che sarebbe stata esaminata dalla scientifica. Due agenti in uniforme della polizia di Manchester li accompagnarono a perquisire l'abitazione di McDowell. La scala che conduceva nel seminterrato era disseminata di contenitori vuoti di cibo, siringhe e lattine di birra. Il fetore di urina era insopportabile. Usarono delle tenaglie per spezzare il lucchetto ed entrarono in un ambiente buio e squallido. La moquette sotto i loro piedi era bagnata perché il water perdeva acqua. «Gesù Cristo», mormorò Lewis. Il vecchio contatore elettrico era stato ricollegato illegalmente; era allacciato alla rete elettrica che alimentava i lampioni della strada. La cucina era piena di bottiglie di vodka vuote. C'era un pezzo di pane stantio sul bancone ed escrementi di topo. Una delle due stanze che davano sul corridoio umido era vuota, l'altra aveva la porta sbarrata da assi. L'ultima stanza era la camera da letto di McDowell. Staccarono i lucchetti dalla porta. La stanza sembrava più abitabile del resto del seminterrato. C'erano un televisore, una macchina per il caffè e un armadio. Su una parete erano allineate foto in bianco e nero dai bordi arricciati, per lo più di McDowell in compagnia di donne e celebrità minori che erano state al suo nightclub. Anni prima, McDowell era stato un discreto dongiovanni. C'erano alcune istantanee a colori di lui in T-shirt intento a mostrare i muscoli. In un angolo c'era un set di pesi e manubri. «Dalle stelle alle stalle», mormorò Langton. Nei cassetti e sotto il letto trovarono altre bottiglie di vodka vuote e nell'armadio ne trovarono alcune piene. Esaminarono metodicamente vecchi ritagli di giornale, libri, pile di videocassette e riviste porno, tirapugni, un manganello, due coltelli a serramanico e una federa piena di biancheria intima femminile sporca. Langton sollevò i vecchi tappeti consunti e trovò un vasto assortimento di sacchetti di cocaina, pasticche di ecstasy e marijuana. «Possiamo tenerlo dentro finché ci pare», disse sentendosi svuotato. Lewis gli mostrò una serie di depliant di viaggi negli Stati Uniti. «Avete trovato anche il suo passaporto da qualche parte?» Lewis e i due agenti in uniforme scossero la testa. Quando i poliziotti tornarono in corridoio, Lewis domandò a bassa voce al suo capo: «Cosa ne pensi? È lui?» «Potrebbe», rispose Langton con scarsa convinzione. Uno dei due agenti apparve sulla porta. «Signore, dovrebbe venire a dare
un'occhiata.» Vicino alla porta d'ingresso, accanto al contatore, c'era un pensile che era stato forzato. Nascoste sotto una vecchia coperta logora, c'erano diverse borsette sporche di quella che sembrava polvere di mattoni. Langton si inginocchiò. Usando la sua penna, sollevò la tracolla di una delle borse. L'aprì con la mano protetta da un fazzoletto. All'interno c'erano un portafogli, una boccetta di profumo da quattro soldi, un portacipria e una scatola di preservativi. Aprì il portafogli e l'esaminò. «Gesù.» Si voltò a guardare Lewis. «Questa borsa era di Kathleen Keegan.» Langton disse agli agenti di non toccare niente. Era arrivato il momento di chiamare una squadra della scientifica. Alle dieci erano tornati alla centrale di polizia. McDowell, chiuso in cella, stava urlando, diceva che i muri erano pieni di scarafaggi. Il dottore gli aveva somministrato un sedativo ma non aveva ancora fatto effetto. Mentre attendevano in un ufficio, le prove vennero portate alla centrale chiuse in buste di plastica: tre borse da donna e gli oggetti che avevano contenuto in buste sigillate e catalogate. Sapevano già che una era appartenuta a Kathleen Keegan; le altre vennero identificate come le borsette di Barbara Whittle e Sandra Donaldson. Nel parcheggio della centrale la scientifica stava esaminando ogni centimetro della Mercedes di McDowell. Fino a quel momento, avevano scoperto solo bottiglie di vodka mezze vuote sotto i sedili e della cocaina e una pipa per fumare crack nello scomparto portaoggetti. Langton e Lewis fecero il punto della situazione in un pub poco lontano, dove presero rispettivamente un doppio scotch e un gin and tonic. Fecero tintinnare i bicchieri. «È stata una buona giornata», commentò Langton. «Questo significa che Alan Daniels è scagionato?» domandò Lewis. Langton fissò il suo scotch per un attimo, poi lo bevve tutto d'un fiato. «Sembra di sì, Mike. Sembra di sì.» 17. Anna era in piedi davanti al cancello di lamiera ondulata della Wreckers Limited, appena fuori Watford. Stava aspettando l'agente Gordon White. Lo spiazzo si trovava in fondo a una schiera di piccole case. Il muro di
cinta era alto più di due metri e mezzo ed era sormontato da spirali di filo spinato. Anna lanciò un'occhiata all'interno attraverso una spaccatura nella lamiera. Si voltò quando sentì la macchina, una Corvette. White scese e la indicò orgoglioso con un cenno del capo. «Era un rottame arrugginito prima che ci mettessi le mani io.» «È incredibile.» Quando Anna appoggiò la sua valigetta sul cofano, White fece una smorfia e lei si affrettò a toglierla. Estrasse le fotografie della Mercedes 280 SL. «Quanto costano queste auto?» «Dipende dalle condizioni. Può prenderne una che ha bisogno di qualche restauro per cinque o seimila sterline, forse anche meno. È un modello degli anni Settanta, quindi il chilometraggio dev'essere molto alto.» «E una in queste condizioni?» «Be', se è stata rimessa a nuovo, la cappotte in perfette condizioni, niente ruggine e il motore in buona forma, potrebbe venire a costare anche cinquantamila sterline.» «Cinquantamila?» «Sono pezzi da collezione. I coprimozzi da soli valgono più di duecento sterline.» Anna gli chiese di spiegarle il processo di demolizione di un'auto. «Se l'auto è stata cancellata dai registri della motorizzazione e la compagnia assicurativa è d'accordo, si può portare in posti come questo. Il costo della demolizione non è poi così alto.» Anna si morse il labbro inferiore. «Quindi il proprietario di questa Mercedes, per esempio, se volesse i soldi dell'assicurazione per farla demolire, dovrebbe chiedere alla sua compagnia di accertare che la sua macchina non possa più circolare.» «Con un'auto di questo valore, la compagnia vorrebbe di certo controllarla.» «Se il danno fosse di poco conto, la compagnia pagherebbe lo stesso la demolizione? Oppure pagherebbe la riparazione?» «Dipende dall'entità del danno. Non avrebbe senso demolire questa macchina. Queste Mercedes hanno volanti stupendi, alcuni in legno, che varrebbe la pena salvare; lo stesso vale per tutto il cruscotto e i coprimozzi. Avrebbe più senso smontarla per rivendere i pezzi.» Anna annuì. «Okay, andiamo.» «A fare cosa, esattamente?»
«A indagare sulla Mercedes che è stata portata qui.» Rimise la fotografia nella valigetta. «È collegata al caso a cui sto lavorando.» «Si tratta di una truffa assicurativa, vero?» «No, di qualcosa di più serio.» White, incuriosito, spinse il cancello di lamiera. L'interno della Wreckers Limited era molto più grande di quanto Anna avesse pensato. Il rumore era assordante. Un carrello elevatore stava trasportando il rottame di una macchina da una pila di circa cinquanta carcasse a un grosso autocompattatore. Lo lasciò cadere con uno schianto. Enormi ingranaggi inghiottirono il cumulo di metallo arrugginito. All'altra estremità usciva uno spruzzo alto sei metri di qualcosa di simile a una densa salsa. Sul nastro trasportatore scorreva una fila di cubi di metallo: auto schiacciate. «Non mi crederebbe se le dicessi quanti criminali sono finiti pressati insieme alle loro auto», disse White al di sopra del frastuono. A una certa distanza dalla pila di carcasse, un uomo che indossava una camicia aperta sul petto, delle bretelle rosse e un cappello di panno era in piedi sui gradini di un caravan e li stava guardando schermandosi gli occhi con la mano. Anna e White si diressero verso di lui. «Buongiorno», disse Anna a voce alta. «'Giorno.» «È suo questo posto?» «Cosa?» «Ho detto, è suo questo posto?» «Spegnilo, Jim. Spegnilo!» gridò l'uomo all'addetto che stava manovrando il carrello elevatore. Mentre attendevano in silenzio, Anna gli mostrò il suo tesserino. «Le posso parlare?» L'uomo, con un cenno, li invitò a seguirlo nel caravan. Le pareti erano completamente ricoperte di documenti fissati con le puntine. Su ogni superficie disponibile c'erano scatole da cui fuoriuscivano altri fogli di carta, un divano mangiato dalle tarme, due poltrone e una scrivania con una gamba rotta che poggiava su alcuni vecchi elenchi del telefono. «Questo è l'agente White. Ci servono informazioni su una Mercedes Benz decappottabile.» Gli fornì i dati del veicolo e il numero di targa. L'uomo annuì. «Sa, è venuto un altro sbirro a fare domande su quest'auto, due settimane fa.» «Sì, lo so.»
«Allora, come posso aiutarvi?» «Potrebbe dirmi chi le ha portato l'auto?» Quando si tolse il cappello unto, sulla fronte gli restò una riga rossa di sudore. «È venuto un tizio. Voleva far demolire la macchina. Ha pagato le sue cinquanta sterline e se n'è andato. Non c'è altro.» «Come si chiamava l'uomo che le ha portato l'auto? O l'ha fatta portare da un carro attrezzi?» «No, la guidava lui.» Aprì un cassetto e prese uno spesso libro malconcio che cominciò a sfogliare. Mostrò loro la ricevuta di pagamento. «Il signor Daniels.» Porse loro la ricevuta con la sua firma. «Ne ho già mandato una copia via fax ai vostri colleghi.» «Quindi il signor Daniels ha potuto guidare la macchina fin qui?» «Sì, e poi mi ha pagato e se n'è andato.» Anna esitò. Gordon White si sporse in avanti. «Aspetti un secondo, che danni aveva subito la macchina?» «Stia a sentire, non è compito mio stimare i maledetti danni. Quel tizio voleva farla demolire e io l'ho accontentato.» «Completamente?» «Cosa?» «Le sto chiedendo se ha messo tutta l'auto nel demolitore», spiegò White in tono piatto. L'uomo sporse le labbra. Anna notò che su una placca sulla scrivania c'era il suo nome, Reg Hawthorn. White sospirò e si tirò su i pantaloni. «Reg, questo è il mio hobby. Rimetto a nuovo le auto; compro molti pezzi di ricambio. Mi sta dicendo che si è liberato così di questa Mercedes, con i coprimozzi, il volante, i paraurti, i fanalini di coda, per non parlare del cruscotto? Conosco i prezzi di queste cose.» «Non ho fatto niente che chiunque altro nel mio campo non avrebbe fatto. Fa parte di questo lavoro, okay?» Hawthorn si accese una sigaretta. «Se devo essere sincero, mi è sembrato strano.» «Che cosa?» intervenne Anna. «Be', il danno non era poi così grave. Credetemi, non faccio affari sporchi. Non faccio mai niente senza che ci siano i documenti dell'assicurazione e del proprietario. Non ci penso neanche. Ma quell'uomo aveva tutte le carte. Così mi sono detto, chi sono io per rifiutare un lavoro?» «Prima di demolirla, ha preso qualche pezzo?» domandò lei. Hawthorn aprì di nuovo il cassetto. «Non me lo aveva mai chiesto nes-
suno, prima. Quindi non c'era bisogno che glielo dicessi, giusto?» Prese un altro registro e, con il pollice nodoso, sfogliò pagine e pagine di ricevute disordinate. «Ho venduto diversi pezzi di quell'auto. Alla Vintage Vehicles dalle parti di Elephant and Castle. Non hanno voluto i sedili, probabilmente perché sono di un colore insolito.» Sollevò lo sguardo, cercando di mostrarsi disponibile. «Hanno un garage dove si occupano esclusivamente delle Mercedes.» Sfogliò qualche altra pagina del registro. «I sedili sono stati comprati dalla Hudson's Motors, a Croydon. Sono dei veri taccagni bastardi. Ah, sì, hanno comprato anche la cappotte.» «La ringrazio.» Anna tornò alla sua macchina. Declinò l'offerta di Gordon White di accompagnarla alla Vintage Vehicles. «Ti ringrazio davvero per essere venuto qui con me.» Gli chiese se conoscesse la società di Croydon. Lui corse alla sua Corvette e tornò con uno stradario di Londra. «Qual è l'indirizzo?» «Lo trovo da sola, Gordon.» «Non mi dispiace venire con lei.» «Potrebbe essere tempo perso.» «Potrebbe. Dubito che sarà rimasto qualcosa da controllare. È già passato un po' di tempo.» Si sporse in avanti per parlare attraverso il finestrino abbassato. «Le dispiace se le chiedo di cosa si tratta?» Lei sorrise. «Ho deciso di darmi a un nuovo hobby.» «Mi prende in giro!» «Sì, proprio così. Grazie ancora, Gordon.» La stanza degli interrogatori era soffocante ma il rumore del traffico era troppo invadente per aprire la finestra. Langton si era allentato la cravatta. Accanto a lui, Mike Lewis, i capelli appiccicati al cranio dal sudore, si era tolto la giacca. Anche l'avvocato di McDowell sembrava molto a disagio, ma il suo problema non era il caldo. Il caso stava diventando decisamente serio e la giovane donna si rendeva conto della propria inesperienza. McDowell era stato accusato di possesso di droga ma le cose avrebbero potuto peggiorare. L'avvocato avrebbe potuto ritrovarsi a rappresentare un serial killer. L'interrogatorio veniva videoregistrato. Invece di lamentarsi del caldo, McDowell non faceva che ripetere che aveva freddo. Era abbattuto, letargico. Un dottore aveva autorizzato l'interrogatorio e praticato a McDowell
un'iniezione di vitamine. Anche se soffriva ancora dei sintomi dell'astinenza, il prigioniero non tremava più così tanto. Indossava una tuta da ginnastica della polizia, i suoi vestiti erano stati prelevati perché potessero essere analizzati. Era difficile fargli mantenere la concentrazione. Fumava una sigaretta dietro l'altra e, prima di rispondere, ripeteva tra sé e sé le domande che gli venivano poste. Era tutto molto frustrante. Langton era a corto di pazienza, ormai. L'odore del corpo di McDowell e del fumo formavano una miscela soffocante e il dover porre tre o quattro volte la stessa domanda lo stava portando alla pazzia. McDowell ammise di avere conosciuto le tre vittime le cui borse erano state ritrovate nel seminterrato in cui abitava, ma continuava a sostenere di non essere stato lui a nasconderle lì. Quando gli dissero che le donne erano morte, gridò: «Non vedo nessuna di loro da anni, cazzo, e questa è la verità, lo giuro su Dio. Non so cosa state cercando di farmi dire ma non ho ucciso nessuna di quelle troie. Però lo avrei fatto se fossi riuscito a mettere le mani su quella puttana di Kathleen Keegan. Avrebbero dovuto impiccarla, era una donna disgustosa. Vendeva i suoi bambini. Vendeva anche il figlio di Lilian». «Si riferisce a Anthony Duffy?» «Sì, lo vendeva.» «Sta dicendo che Kathleen Keegan procurava bambini a qualcuno?» «A chiunque. Vendeva i suoi figli, uno di loro aveva solo quattro anni.» «Parla di Anthony Duffy?» McDowell sospirò, impaziente: «Sì, sì. L'ho appena detto, no?» «È sicuro che Lilian Duffy permettesse a Kathleen Keegan di usare suo figlio?» «Sì, sì, il bambino di Lilian. Ma non mi ascoltate? Perché non andate a controllare il registro dei servizi sociali e la piantate di farmi perdere tempo, cazzo? Gli assistenti sociali non facevano altro che portarlo via.» Man mano che le prove contro di lui aumentavano, McDowell diventava sempre più rabbioso. Il suo avvocato doveva ripetergli in continuazione di restare seduto. «Mi state incastrando al posto di un altro. Ammetto la droga; ammetto di averla avuta a casa mia, ma non questa roba di merda, non le borse e tutto il resto. Non vedo nessuna di quelle donne da più di dieci anni.» «Può spiegarci allora perché le borse si trovavano nel suo appartamento?» domandò Langton cercando di controllarsi e di mantenere un tono calmo.
«No! Non posso spiegarvi un cazzo. A casa mia sono entrati Dio sa quante volte.» «Ha denunciato le intrusioni?» «'Fanculo, naturalmente no. Lì ci sto solo per dormire. Non ci sono quasi mai.» «Dove va quando non è a casa?» «Dormo nella mia macchina. Ma quegli stronzi me l'hanno portata via.» «Va mai a Londra?» «Qualche volta, sì.» «Allora, prima ha negato di essere mai stato a Londra, ma ora ammette di esserci andato.» «Già.» «Di recente, o negli scorsi anni, è stato negli Stati Uniti?» «Mai.» Langton appoggiò davanti a McDowell una fotografia di Melissa Stephens ma l'uomo disse di non conoscerla. A quel punto, ansioso di ottenere un risultato, Langton gli mostrò la federa pieni di biancheria intima femminile che avevano trovato nella sua stanza. Fu solo allora che l'uomo crollò. Si mise a singhiozzare dicendo che quella biancheria era appartenuta a Beryl Villiers. Disse di averla tenuta perché l'amava. L'avvocato di McDowell chiese una pausa per il pranzo. Mentre l'interrogatorio continuava, una squadra della scientifica stava smontando pezzo per pezzo lo squallido appartamento di McDowell. Alle undici avevano finito ma non avevano trovato altre borsette o altri indumenti femminili. Langton si incontrò con il capo della squadra della scientifica di Manchester. Gli agenti concentrarono la loro attenzione sulla Mercedes. Il motore era un rottame e c'era così tanta ruggine sotto il cofano che quell'auto era un pericolo. Vennero analizzati due tappetini. Nel bagagliaio trovarono alcuni abiti di McDowell e anche quelli vennero esaminati. I test per determinare per quanto tempo le borsette fossero rimaste a casa di McDowell non erano ancora stati completati. Erano così ammuffite che avrebbero potuto essere rimaste nascoste per anni. O erano state portate da qualche altro luogo? Langton sospirò; possibile che qualcuno avesse nascosto lì le prove? Era un'eventualità che non poteva essere ignorata. Le borsette erano state rinvenute fuori dalla camera da letto di McDowell. Vagabondi e tossicodipendenti avrebbero potuto accedere senza difficoltà
al resto del seminterrato. McDowell fu accusato di possesso e spaccio di droga e, alle quattro e mezza, degli omicidi di tre delle vittime. Langton decise di farlo trasferire da Manchester alla prigione di Wandsworth, a Londra, per averlo a disposizione per ulteriori interrogatori. Esausti, Langton e Lewis presero il treno delle sei per tornare alla capitale. Nella carrozza ristorante mangiarono hamburger rinsecchiti e bevvero un paio di birre. C'erano voluti talmente tanti espedienti per arrivare a quel risultato che era meglio non pensarci. Comunque, avevano dimostrato di aver fatto dei progressi e per un po' sarebbero stati lasciati in pace. Venne rilasciato un comunicato stampa per confermare il fatto che la polizia stava trattenendo un uomo per interrogarlo. La sala operativa aveva informazioni importanti per Langton. Il comunicato stampa della polizia di Brighton aveva portato a un risultato: Yvonne Barber, la loro testimone, era stata vista bere in vari bar della città e poi davanti alla discoteca, vicino al lungomare. Una donna ricordava di averla vista in compagnia di un uomo abbastanza giovane mentre rideva e gridava, ubriaca. Venne fatta circolare la descrizione di un uomo di poco più di vent'anni, con i capelli a spazzola, che indossava jeans e un bomber di pelle. Dal momento che non corrispondeva alla descrizione di Alan Daniels né a quella di McDowell, ipotizzarono che l'omicidio di Yvonne non fosse collegato al caso ma fosse solo una triste coincidenza. Anna non arrivò alla centrale prima di mezzogiorno. Quando Barolli la rimproverò dicendo che l'assenza del capo non era una giustificazione, lei rispose, tesa, che aveva lavorato al caso. Ma a quel punto aveva già perso l'attenzione del suo collega, che era al telefono con Manchester. Anna scrisse il suo rapporto sulle indagini che avevo svolto quel mattino dallo sfasciacarrozze. Chiamò due volte Croydon ma c'era un problema con la linea telefonica. Nel frattempo, Barolli era al telefono con Langton e stavano cercando di decidere se fosse il caso di interrompere la sorveglianza di Travis. Con grande sorpresa di Barolli, Langton disse che avrebbero dovuto mantenerla fino al suo ritorno. E anche il telefono di Anna sarebbe rimasto sotto controllo.
«Non siamo ancora sicuri al cento per cento.» «Quindi Daniels è ancora un sospetto?» chiese Barolli. «Può darsi. Qualche novità sulle impronte digitali?» «Non ancora.» «Ci sentiamo dopo.» Langton riappese. «Travis...» Quando Barolli si voltò per parlare ad Anna, si trovò a fissare una scrivania vuota. «Dov'è Travis?» «Se n'è appena andata», rispose Moira. Barolli allargò le braccia. «Cosa diavolo crede di fare?» Si avvicinò alla scrivania di Anna da cui prese un fascicolo. «Dov'è andata?» «Non lo ha detto.» Moira tornò al lavoro. Barolli grugnì e scorse il rapporto ancora incompleto di Anna. Poi, irritato, controllò lo schedario ed estrasse il rapporto sullo sfasciacarrozze. La Hudson's Motors si trovava dietro un magazzino, in un vicolo su cui si affacciavano esclusivamente garage. C'erano macchine parcheggiate ovunque; alcuni meccanici stavano lavorando su delle auto sportive. Anna si avvicinò a un ragazzo che indossava una tuta sporca. «Dove sono gli uffici della Hudson's Motors?» «Laggiù in fondo.» La sua testa scomparve sotto il cofano di una Bentley Continental. Nell'ufficio c'era soltanto un uomo che indossava un blazer, pantaloni grigi e una camicia a righe. Era seduto davanti a un computer. Quando Anna bussò sulla porta a vetri aperta, l'uomo si voltò. «Signor Hudson?» Lui sorrise. «È morto dieci anni fa. Io sono Martin Fuller. Cosa posso fare per lei?» Quando Anna gli mostrò il tesserino, lui parve sorpreso. «Sa che avete dei problemi alla linea telefonica?» chiese lei mentre lui con un gesto la invitava a sedersi. «Non me ne parli. Stamattina anche il computer non vuole saperne di funzionare.» Anna aprì la valigetta. «Lei ha acquistato alcuni pezzi dalla Wreckers Limited di Watford.» Lui sbatté le palpebre e si appoggiò allo schienale della sedia. «Ho una copia della ricevuta, signor Fuller.» Lui arrossì. «Ogni tanto compriamo qualcosa; ci occupiamo principal-
mente di macchine d'epoca.» «In questo caso si trattava di una Mercedes Benz.» Fuller prese la ricevuta ma non la lesse veramente. Spiegò che non comprava mai niente di illegale. Nessuno dei suoi veicoli proveniva dallo sfasciacarrozze. «Lo so, lei compra solo i pezzi di ricambio.» Anna sorrise. «Esatto. Per che cos'è questa ricevuta?» «Una coppia di sedili, sedili anteriori.» «Ah sì, ora ricordo.» «Davvero?» Il cuore prese a batterle forte nel petto. «Sì, li abbiamo comprati per una Mercedes 280 SL; ho mandato il mio camion a ritirarli.» «Li ha ancora?» Lui annuì. «Davvero?» Anna stentava a crederci. «A essere onesto, se avessi saputo che non erano del colore standard, non li avrei mai pagati quello che li ho pagati. Sono di una specie di azzurro grigio e non li posso mettere in un'altra SL se gli interni non sono in tinta.» «Quindi li ha ancora?» ripeté lei, ansiosa. «Sono in magazzino.» «Qui?» «Sì.» Lei deglutì. «Sono stati puliti o alterati in qualche modo?» «No. Li abbiamo avvolti nella plastica da imballaggio quando li abbiamo tolti e li abbiamo portati subito qui.» «Potrei vederli?» «Usiamo il primo garage come magazzino dei pezzi di ricambio.» Da un cassetto prese un mazzo di chiavi. Anna lo seguì nuovamente nel vicolo. Lui aprì la porta del garage e la fece scorrere. All'interno il buio era assoluto. Il signor Fuller accese le luci: il garage era stipato fino al soffitto di sedili, paraurti, coprimozzi, volanti e così via. «Dovrebbero essere là in fondo. Li abbiamo qui già da un po'.» Jean, con il ricevitore premuto contro l'orecchio, gridò a Barolli: «È Travis, sulla due». Barolli prese il telefono. «Dove diavolo sei, Travis? No, no, tu stai a
sentire me. Non puoi andartene così. Stiamo già esaurendo il budget per far sorvegliare casa tua la notte e adesso tu... no, stammi a sentire... cosa?» Barolli si appoggiò allo schienale della sedia, esasperato. «Ascolta, non posso mandare un camion a prenderli per portarli in laboratorio. Sono le sei. Lo faremo domani mattina presto...» Rimase ad ascoltare. «Perché ti dico che è così, è il meglio che posso fare. Se sono rimasti lì per tutto questo tempo, è improbabile che se ne vadano via sulle loro gambe proprio adesso!» Erano le otto di sera e Langton stava aprendo una lattina di birra quando il suo cellulare prese a squillare. Lui ascoltò senza dire niente, il che attirò l'attenzione di Lewis. Poi, dopo qualche altro istante: «Non sono stati toccati? Cazzo, è eccezionale. Cristo santo, sì! Mandali a prendere il prima possibile». Interruppe la comunicazione e rimase a fissare il vuoto. «Allora, che succede?» domandò Lewis. «Jimmy, chi era?» «Barolli. Credici o no, ma sono riusciti a recuperare i due sedili anteriori della Mercedes di Alan Daniels.» «Cosa?» «Lo sfasciacarrozze li ha venduti a un'autofficina. Dal giorno in cui sono stati rimossi, sono rimasti avvolti dalla plastica da imballaggio.» Ridacchiò. «Travis ha avuto una furiosa discussione con Barolli. Lui non voleva farli portare in laboratorio prima di domattina. Così lei ha noleggiato un furgone e ce li ha portati personalmente.» «Dannazione.» «Cristo, è come suo padre! Jack Travis li avrebbe portati in spalla fino al laboratorio, se fosse stato necessario.» Lewis aprì a sua volta una lattina di birra e, pensoso, disse: «Alan Daniels è ancora in gioco, allora?» Langton annuì. «Non ne è mai uscito, Mike.» Lewis sorseggiò la birra. «Be', me l'avevi quasi data a bere. Ma perché allora far portare a Wandsworth McDowell?» «Se qualcuno ha nascosto lì quelle borse, forse lo ha fatto per cercare di incastrare McDowell.» «Suppongo di sì... ma alla scientifica dicono che sono lì da alcuni mesi, da molto prima che cominciassimo a sorvegliare Daniels.» «Ma chi è stato a darci il suo nome?» «Daniels.» «Esatto. Quindi spiegami perché all'improvviso si ricorda di qualcuno
che in teoria non vede da vent'anni! Secondo me, è così che funziona la sua mente malata e perversa.» Langton si appoggiò allo schienale sorridendo. «Allora, se Daniels è il nostro uomo, come pensi che si sentirà quando i giornali diranno che abbiamo arrestato un sospetto?» Era la prima volta da più di due giorni che Langton si sentiva bene. Lewis era furioso. «Cazzo, possibile che tu ti tenga tutto per te?» «Be', c'è una cosa che non ho intenzione di tenermi per me: chi è lo stupido bastardo che ha controllato quel maledetto sfasciacarrozze?» «Non serve che lo cerchi», disse Lewis a bassa voce. Langton scosse la testa, incredulo. «Sei stato tu?» «Sì, sono stato io. I documenti erano tutti in regola e a quanto dicevano la Mercedes era stata demolita.» «Non completamente. Hai combinato un bel casino.» Lewis si sentiva una merda. «La solita Travis, eh? Quel piccolo demonio rosso.» Langton stava guardando fuori dal finestrino, poi tornò a fissare Lewis. «Ci sono altre novità. Sono arrivati i risultati sulle impronte. Le impronte digitali di Alan Daniels combaciano con quelle rilevate sulla cornice di Travis.» Restarono in silenzio per un attimo ad ascoltare il rumore del treno sulle rotaie. «Ci siamo quasi, Mike. Ci siamo quasi», disse poi Langton sogghignando. 18. La mattina seguente McDowell venne portato in tribunale e accusato non solo dei vari reati legati alla droga e al possesso di stupefacenti ma, cosa molto più seria, dell'omicidio di tre delle vittime. L'uomo negò ogni responsabilità negli omicidi. Non venne concessa la cauzione. La stampa era arrivata in forze. Quando venne portato via dal tribunale, McDowell si tolse la coperta che gli nascondeva la testa e gridò che era innocente davanti ai flash delle macchine fotografiche. Langton si rifiutò di fare dichiarazioni, a parte le solite banalità. I due sedili di pelle, avvolti nella plastica da imballaggio, con le guide metalliche ancora intatte, vennero sistemati su una piattaforma rialzata e il-
luminati da alcune potenti lampade. Due esperti della scientifica che indossavano tute protettive, armati di pinzette, stavano staccando il nastro adesivo con cui era fissata la plastica. Era un procedimento molto lento dal momento che il nastro si era attaccato perfettamente alla plastica come una benda protettiva. Lo tolsero frammento dopo frammento, cercando fibre infinitesimali, capelli o tracce di sangue che potessero essere rimasti attaccati alla parte adesiva. Nel frattempo, nella sala operativa, Langton e il resto della squadra si stavano congratulando con Travis per la sua tenacia nella ricerca delle prove e per la diligenza con cui aveva svolto il suo lavoro. L'ispettore capo aggiornò poi gli altri agenti sulle prove rinvenute nell'abitazione di McDowell. Con un pennarello nero dalla punta spessa, Langton unì con delle frecce la foto segnaletica dell'uomo a quella delle vittime, esclusa Melissa. Cominciò a elencare i collegamenti tra loro e McDowell sulla lavagna. «McDowell: Beryl Villiers lavorava per lui al centro benessere. Se n'è andata di casa per andare a vivere con lui. Il suo nightclub comincia a non funzionare più e anche per la nostra vittima cominciano tempi difficili. Lavora come prostituta part-time per McDowell e, stando a quanto racconta lui, comincia a drogarsi. Quando il nostro uomo è arrestato per sfruttamento della prostituzione e ricettazione di alcolici, il club viene chiuso e lui finisce in prigione. Beryl, frequentando la casa di Shallcotte Street, incontra Lilian Duffy e le altre. McDowell ha confermato che tutte le nostre vittime a un certo punto hanno abitato lì.» Con un pennarello rosso, Langton collegò a Shallcotte Street tutte le vittime, esclusa Melissa Stephens. «McDowell ha ammesso di essere stato l'uomo che stava picchiando Lilian Duffy quando è intervenuto Anthony, il figlio di lei. Lilian ha accusato suo figlio di stupro anche se, come sappiamo, in seguito ha ritirato la denuncia. L'accusa ha portato per la prima volta Duffy all'attenzione della polizia. Vedete come anche il nostro primo sospetto, Anthony Duffy, altrimenti noto come Alan Daniels, sia collegato a McDowell. «Questo ci riporta a Barry Southwood, che lavorava alla Buoncostume di Manchester quando Duffy è stato interrogato. McDowell ci ha detto che sia Kathleen Keegan sia Lilian Duffy hanno abusato del sospetto quando era piccolo, vendendo il bambino ad alcuni clienti. Entrambe le donne vendevano i bambini che vivevano nella casa. Questo ci fa propendere ancora di più per Daniels, tuttavia ricordatevi che non ci si può fidare vera-
mente di McDowell. Anche se sostiene di aver frequentato raramente Shallcotte Street, sembra in possesso di molte informazioni. Inoltre, è ancora un possibile sospetto per tre omicidi.» Langton passò quindi a discutere della possibilità che McDowell fosse stato incastrato. «Le borsette delle tre vittime potrebbero essere state nascoste lì per incriminarlo, anche se McDowell riesce benissimo a incriminarsi da solo.» Tutti scoppiarono a ridere. Langton si guardò attorno. «Okay, questo è quanto. La stampa sa che abbiamo arrestato un sospetto e che faremo trasferire McDowell da Wandsworth più tardi in giornata per continuare a interrogarlo. Perciò atteniamoci a questo. Per fortuna ci sono ancora molte cose su cui indagare. Finalmente.» Langton chiese ad Anna di seguirlo nel suo ufficio. «Hai visto i risultati delle analisi delle impronte digitali sulla cornice?» le chiese. Lei annuì. «Sì. Alan Daniels si è introdotto nel mio appartamento.» «Continueremo a sorvegliare il tuo palazzo e stiamo tenendo Daniels sotto controllo ventiquattrore su ventiquattro.» «Allora McDowell è...» Anna si accigliò. «Un possibile sospetto. Ma anche un'esca.» «Cosa?» «Finché non avremo altre prove, non ho intenzione di arrestare Daniels. Potremmo portarlo dentro per l'impronta sulla cornice, ma poi è entrato nel tuo appartamento con il tuo consenso.» «Aspetti un attimo... questo è successo molto tempo dopo. Avevo portato a far analizzare la cornice già da giorni», disse Anna testardamente. «Lo so. Ma lui potrebbe dire che non è così e in questo caso sarebbe la tua parola contro la sua.» «È ridicolo.» Anna era furiosa. «Comunque, la scientifica può dimostrare che ho ragione.» «Lo so, ma dobbiamo anticipare ogni sua possibile spiegazione. Abbiamo bisogno di altre prove per incastrarlo. È stato a Manchester nelle scorse settimane? Sicuramente ci ha consegnato McDowell su un piatto d'argento.» «Allora, qual è la prossima mossa?» Langton indicò Anna. «Ti terremo d'occhio. Sono sicuro che Daniels cercherà ancora di mettersi in contatto con te per scoprire come procedono le indagini su McDowell.» «Se dovesse farlo, quanto posso raccontargli?»
Langton tamburellò con le dita sulla scrivania. «Oh, penso che tu possa dirgli molto. Non vogliamo spaventarlo, anzi. Più si convincerà che siamo sicuri che la nostra esca è colpevole degli omicidi, più si sentirà al sicuro. Te la senti di farlo?» Lei annuì. «Lo immaginavo. Ora voglio che tu venga con me a interrogare McDowell, ma cerca di rispettare le regole, Travis. Non devi correre rischi, in nessun caso. Sono stato chiaro?» «Sì, signore.» Vi fu una pausa. Lui la stava ancora guardando; Anna non era certa di essere stata congedata. Poi lui le sorrise dolcemente. «La scoperta dei sedili è stata ottima. Tuo padre sarebbe fiero di te.» Anna deglutì cercando di controllare l'emozione che si stava impadronendo di lei. «La ringrazio.» «Okay, questo è tutto per ora.» Ammanettato e con indosso la salopette della prigione, lavato e sbarbato, McDowell venne trasferito dalla prigione di Wandsworth alla centrale di polizia di Queen's Park. Arrivò all'interrogatorio poco dopo le tre del pomeriggio. Sembrava quasi un uomo nuovo, pensò Langton che lo aveva visto quella mattina in tribunale. Era molto più lucido. La cura, i pasti e una buona notte di sonno avevano fatto meraviglie. Capiva la gravità delle accuse e anche se era disposto a dichiararsi colpevole per i reati legati alla droga, continuava a negare di aver commesso gli omicidi. Quando Anna e Langton entrarono nella stanza degli interrogatori, a McDowell vennero tolte le manette. Era seduto accanto al suo nuovo avvocato, un uomo dal volto sottile e dalla fronte alta di nome Francis Bellows. Langton lo presentò ad Anna; lui l'aveva già conosciuto quella mattina in tribunale. Bellows era stato nominato dalla corte, era stato aggiornato sui fatti di Manchester e in prigione aveva avuto un lungo colloquio con McDowell. «Il sergente Anna Travis condurrà l'interrogatorio insieme a me», spiegò Langton scostando la sedia per farla accomodare. Anna si sedette di fronte a McDowell. Era un uomo gigantesco e, contrariamente a ciò che si era aspettata, aveva una sorta di bellezza logora. «D'accordo, cominciamo», disse Langton accendendo il registratore prima di girarsi per controllare che anche la videocamera fosse pronta.
La plastica da imballaggio era stata rimossa da entrambi i sedili e suddivisa in diverse sezioni. La squadra della scientifica aveva esaminato ogni centimetro quadrato con le lenti di ingrandimento. Prelevarono campioni di lana e di moquette sintetica, macchie d'olio, sporcizia e una particella di sabbia. Quando quei campioni furono catalogati e numerati, passarono a occuparsi dei sedili. La cattiva notizia era che entrambi i sedili erano stati puliti con cura prima che la macchina fosse portata dallo sfasciacarrozze. La pelle era in perfette condizioni ma emanava un odore di muffa e di detergente. La pelle è un materiale a cui le fibre non aderiscono. I due esperti lavorarono su un sedile ciascuno, controllando scrupolosamente ogni centimetro, ma non riuscirono a scoprire niente a parte qualche granello di sabbia. Smontarono i sedili e tolsero gli schienali per analizzare la parte inferiore. Lì le cuciture della pelle erano parallele: c'erano riccioli di polvere e una monetina da un pence. Poi ebbero un colpo di fortuna. Impigliato nella cucitura, a stento visibile a occhio nudo, c'era un capello. Ci volle un po' per riuscire a liberarlo. Era un capello lungo e biondo con ancora la radice attaccata e veniva dal sedile del passeggero. La scoperta successiva venne fatta grazie a una torcia elettrica. L'oggetto era incastrato nell'increspatura della cucitura dalla parte del guidatore. Con le pinzette venne prelevato quello che sembrava un pezzetto di vetro rosa. Il capello e il vetro rosa vennero sigillati in contenitori separati, pronti per essere mandati al laboratorio. Erano passate due ore e, con gli occhi pieni di lacrime, McDowell stava parlando della sua relazione con una delle vittime, Beryl Villiers. «A Beryl piaceva l'ecstasy. Non riusciva a farne a meno. Le piaceva essere euforica, capite? Non sono riuscito a farla smettere. Poi ho avuto qualche problema, sono stato arrestato e lei ha cominciato a prenderne come se fossero caramelle. Sono stato dentro solo per sei mesi, okay? Ma quando sono uscito lei mi ha mollato. L'ho cercata per tutta Manchester e alla fine ho scoperto che stava a casa di Lilian Duffy. Cazzo, ho dato fuori di testa; quelle erano proprio un branco di troie, ve lo dico io. Volevo che lei tornasse con me. L'amavo.» «Allora, mi parli di quella volta che è andato a trovare Beryl. Ha detto che stava a casa di Lilian Duffy, giusto?» disse Langton. McDowell ebbe un attimo di esitazione. «Era uno schifo quel posto. Ormai Beryl aveva cominciato a farsi di eroina e Lilian Duffy la faceva
battere in strada.» Langton cominciò a disporre sul tavolo le fotografie delle vittime e McDowell le toccò una dopo l'altra. «Già, già, c'erano anche loro. Oppure andavano e venivano. Prima o poi, qualsiasi puttana di Manchester finiva per stare in quella casa.» Langton lanciò un'occhiata ad Anna. «Ha visto anche il figlio di Lilian, lì?» «Già.» Il quadro rievocato da McDowell era ancora più disgustoso di quanto Anna avesse immaginato. Il bambino, cresciuto in una casa piena di donne, veniva o ignorato o picchiato. L'unica fuga temporanea era l'affidamento, che però era imprevedibile e discontinuo perché la madre continuava a rivolerlo indietro. «È già stato interrogato sull'omicidio di Lilian Duffy, vero?» «Oh, cazzo, quello è stato un errore. È solo perché una volta l'ho picchiata. Era ancora in piedi quando me ne sono andato da quel vicolo e c'era anche suo figlio con un'espressione da pazzo. Poi vengo a sapere che i poliziotti l'hanno trovata coperta di sangue. Era stato lui.» «L'aveva picchiata il figlio?» «Già.» «E l'omicidio?» «Non so. È stato un po' di tempo dopo. Ma lui di certo aveva i suoi motivi.» «Quali motivi?» «Be', per via di quello che lei gli aveva fatto quando lo chiudeva nell'armadio e tutto il resto. A volte restava lì per giorni interi prima che qualcuno lo liberasse.» «Quindi, contrariamente a quanto ha dichiarato, era lì piuttosto spesso.» McDowell scrollò le spalle. «Come ho detto, ci andavo a cercare Beryl.» Langton picchiettò con una matita sulla scrivania. «Be', ci andava anche prima. Poco fa ci ha detto che Anthony Duffy era solo un bambino, poi ci ha raccontato che ha picchiato sua madre.» «Okay, d'accordo.» McDowell aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. «Quante volte è stato alla casa di Shallcotte Street?» McDowell scrollò di nuovo le spalle. «Ve l'ho già detto, avevo perso il mio locale, me la passavo male e quando avevo bisogno di un posto dove dormire andavo lì.» «Quando ha visto per l'ultima volta il figlio di Lilian Duffy?»
«Anthony? Dev'essere stato circa vent'anni fa, quella volta che è venuto per il suo passaporto, o forse dopo che era stato arrestato. Non ricordo. Potrebbe essere morto, per quello che ne so. Ho un gran casino in testa; è il bere.» «Quindi, non si è mai messo in contatto con lei? Diciamo, negli ultimi mesi?» «Lei non mi sta ascoltando. Non l'ho più visto da quando ha pestato sua madre.» McDowell stava cominciando a sudare. «Non mi sento bene.» «Ha bisogno di una pausa?» «Ho bisogno di una fottutissima bottiglia di vodka, ma dubito che me ne darete una!» Erano le sei e mezza quando decisero di interrompere l'interrogatorio per quel giorno. McDowell ormai stava tremando, non riusciva più a pensare chiaramente e il tanfo del suo sudore aveva cominciato a invadere la stanza degli interrogatori. Venne riportato a Wandsworth ma sarebbe stato ricondotto alla centrale per continuare l'interrogatorio la mattina dopo. Le sedici ore legali erano quasi trascorse. Langton rimase sbalordito quando gli dissero delle scoperte della scientifica. Era molto più di quello che si sarebbe aspettato. Si mise in contatto con il laboratorio. Ormai erano le sette e mezza e se n'erano andati quasi tutti. Lewis era già andato a casa da suo figlio. A Barolli era stato affidato il turno di notte e si stava occupando della sorveglianza dell'appartamento di Anna. Anna stava riordinando la sua scrivania e stava mettendo alcune cose nella valigetta. «Allora te ne vai, Travis?» chiese Langton con gli occhi arrossati per il fumo della sigaretta. «Sì, a meno che non abbia bisogno di me.» «No. Buonanotte.» Anna prese la giacca. «Buonanotte, allora.» Le porte si richiusero oscillando alle sue spalle. Barolli aggiornò Langton che era in piedi al centro della sala operativa e si era già messo l'impermeabile. Daniels era rimasto a casa per gran parte della giornata. Era solo stato in palestra nel pomeriggio. Poi era tornato a casa con una copia dell'«Evening Standard». «Almeno sa che abbiamo agito in base alla sua soffiata», disse Barolli mostrando a Langton una copia del giornale. Il titolo principale in prima pagina diceva che era stato arrestato un sospetto per il caso degli omicidi
in serie. Langton inspirò profondamente, poi lasciò uscire il fumo fuori dalle narici. «Te ne vai a casa, allora?» chiese Barolli. Langton si sedette, le spalle curve avvolte dall'impermeabile. «Molto dipende dai risultati delle analisi di domani, vero?» «Già. Dicono che il capello ha ancora la radice e sono abbastanza sicuri di riuscire a ottenere un risultato sul DNA. Sai, capo, forse dovremmo arrestare quel bastardo stanotte.» «Ci ho pensato. Ma Travis sa cosa dirgli se lui dovesse chiamarla.» «Pensi che lo farà?» «Scommetto che muore dalla voglia di sapere a che punto siamo con McDowell.» «Ma perché aspettare? La sorveglianza costa moltissimo, abbiamo già sforato il budget.» Langton spense la sigaretta. «Perché, amico mio, se non otteniamo il risultato giusto dalla scientifica, entrerà e uscirà di qui veloce come il vento.» Guardò l'orologio. «Chi abbiamo davanti all'appartamento di Travis?» Barolli controllò la sua lista. «Dick Field; attacca alle otto.» «Mmmm.» «Volevo andare a prendere qualcosa da mangiare prima che la mensa chiuda.» «Chi sta tenendo d'occhio Daniels?» Barolli controllò la lista e gliela porse. Langton la guardò, poi la lasciò cadere sulla scrivania. Sbadigliò, esausto. «Perché non vai a casa a ricaricarti un po' le batterie, capo?» chiese Barolli, ansioso. La mensa avrebbe chiuso da un momento all'altro. Langton si infilò le mani in tasca e si alzò. «Devo dormire un po'. Chiamami a casa tra un paio d'ore.» Quando uscì, Barolli sospirò, sollevato. «È proprio a pezzi», commentò Moira. «Faresti una corsa su a prendermi un sandwich con il bacon? Sto morendo di fame.» «Moira spinse indietro la sedia. «Spero che il capo metta qualcosa sotto i denti; non ha mangiato niente per tutto il giorno.» «Non dirlo a me.» Anna fece la spesa nel supermercato del suo quartiere. Mentre tornava alla macchina, il cellulare si mise a squillare. Lo tenne stretto tra la spalla e il mento mentre faceva l'equilibrista con i sacchetti.
«Travis», disse. «Ciao.» «Chi parla?» Anna lasciò cadere i sacchetti. Aveva capito immediatamente chi era. «Non riconosci la mia voce?» «Scusami. Sei Alan, vero?» «Sì, sono Alan. Dove sei?» Lei esitò, la mente freneticamente al lavoro. «Sono al supermercato. Sto facendo la spesa.» «Quale supermercato?» Anna salì in macchina. «Quello di Cromwell Road.» «Lo conosco.» Lei chiuse la portiera e abbassò le sicure. Come diavolo aveva fatto Daniels a procurarsi il suo numero di cellulare? «Sei ancora lì?» «Sì. Stavo solo salendo in macchina. Sono nel parcheggio.» «Non sei lontana da Queen's Gate. Che ne diresti se ti raggiungessi lì?» «Mi dispiace, ma deve venire un tecnico ad aggiustarmi la lavastoviglie e devo andare a casa ad aspettarlo.» «Be', sarà per un'altra volta, allora.» «Okay.» Anna non era sicura che Daniels avesse già interrotto la comunicazione. Rimase ad ascoltare e... «Come va?» chiese lui in tono dolce. Lei trasalì. «Come va cosa?» «Ho letto sul giornale che avete arrestato un uomo. Stamattina lo hanno portato in tribunale.» «Sì, infatti. Però lo sai, Alan, non potrei parlarne.» «Perché no?» «Lo sai benissimo. È un caso ancora aperto.» «Ma io sono la persona che ti ha indicato quell'uomo.» Sembrava scocciato. Il sudore cominciò a scorrerle dalle ascelle. «Lo so.» «Allora, hanno trovato qualche prova?» «Il mio capo andrebbe su tutte le furie se te lo dicessi.» «È solo geloso.» «Oh, ne dubito.» Anna fece una risatina. «Adesso devo andare, Alan.» «Allora ciao.» Alan riagganciò bruscamente.
Anna chiamò Barolli, che seduto alla scrivania stava mangiando il suo sandwich al bacon. Gli disse che era stata contattata da Daniels. «Cazzo, dove sei?» Barolli inghiottì il boccone. «Sono al supermercato di Edgeware Road. Nel parcheggio. Voleva raggiungermi ma io gli ho detto che ero in Cromwell Road e che dovevo tornare a casa ad aspettare il tecnico della lavastoviglie. Quindi sa che tra poco sarò a casa.» «Ascolta, ti richiamo subito. Tu continua così, adesso informo il capo.» «Okay.» Anna interruppe la comunicazione. Barolli chiamò Langton a casa. «Cazzo, non risponde», disse a Moira. «Ma dovrebbe essere già arrivato, ormai.» «Lo so. Ma forse è così a pezzi che non sente il telefono. Speriamo che risponda almeno al cellulare.» Per qualche minuto Barolli provò a richiamare entrambi i numeri e alla fine ritelefonò ad Anna. «Travis? Non riesco a trovare il capo. Non abita molto lontano da te. Puoi passare da lui per informarlo prima di tornare a casa?» «Aspetta un attimo.» Anna si appuntò l'indirizzo di Langton. Si era chiesta spesso dove abitasse. Adesso stava per scoprirlo. Continuò verso Kilburn. Quando ebbe trovato la strada in cui abitava Langton, a sinistra di Kilburn High Road, la percorse lentamente in cerca del numero 175. Anna salì i gradini che conducevano al portone e suonò uno dei campanelli senza targhetta. Rispose una voce femminile. «Chi è?» «Mi chiamo Anna Travis. Questo è l'appartamento di James Langton?» Non menzionò il suo grado per ragioni di sicurezza. Sapeva che molti agenti di polizia non volevano che i vicini di casa sapessero troppo del loro lavoro. Fu fortunata. Il pesante portone venne aperto. Anna entrò e si ritrovò in un atrio piuttosto fatiscente. Guardò su verso le scale. «Salga. È al secondo piano; la porta sulla destra», disse la voce. Anna attraversò la porta aperta dell'appartamento ed entrò nel soggiorno. «Sono Anna Travis. C'è qualcuno?» La stanza era piuttosto buia anche se c'era una lampada accesa su un tavolino. Anna osservò i mobili anonimi, le pile di vecchi giornali e fascicoli, e notò che, appoggiata contro una libreria, c'era una bicicletta da corsa. Una donna bionda in accappatoio e pantofole si stava asciugando i ca-
pelli con una salvietta. Era prosperosa e alta, quasi un metro e ottanta. Anche se non aveva nemmeno un'ombra di trucco sul viso, Anna si accorse che era bellissima. «Salve. Scusi se non sono venuta alla porta ma ero completamente nuda. James è al telefono. Sa che lei è qui.» «Si tratta di una questione molto urgente», disse Anna. «Io sono Nina. L'ispettore Nina Davis, lavoro con il vostro comandante.» Le tese la mano. Aveva una stretta forte e le unghie curate, con lo smalto chiaro. Anna evitò di guardare la donna nei grandi occhi azzurri. «Ho sentito parlare molto di lei. Vuole sedersi? James dovrebbe arrivare da un momento all'altro.» «No, grazie.» Anna poteva sentire la voce di Langton che stava parlando al telefono in quella che probabilmente era la camera da letto. «A che ora l'ha chiamata? Hai già un rapporto degli agenti della sorveglianza? Daniels è ancora a Queen's Gate? Il telefono è sotto controllo? Bene, sì. Allora non è uscito. Cosa? Cos'ha detto Travis? Dammi il numero di casa di Mike Lewis.» Nina si stava ancora asciugando i capelli umidi. «Non è a casa da molto. Vuole un caffè o qualcosa da bere? L'ho appena preparato e...» «No, grazie», rispose Anna bruscamente. «Da quanto sento, sa già quello che ero venuta a dirgli. Quindi è meglio che vada.» Dalla camera da letto giunse un grido: «Travis!» Nina si appoggiò allo stipite della porta. «Dice che sta andando.» «Aspetta solo un secondo, Travis», gridò Langton. Nina scrollò le spalle e scomparve in bagno. Anna era piuttosto scossa, non era stata tanto la telefonata inattesa di Daniels a mettere a dura prova i suoi nervi quanto la presenza della bionda. Non aveva pensato che Langton potesse vivere con qualcuno, meno che mai con una collega. Langton indossava una vecchia vestaglia malconcia. «Quindi il bastardo ti ha chiamata. Dimmi esattamente che cosa ti ha detto. Ho solo sentito la versione di Barolli.» «Ha cominciato a chiedermi di McDowell. Ha detto che ne aveva letto sui giornali. Io ero abbastanza nervosa perché lui non era lontano e avrebbe potuto raggiungermi nel parcheggio. Non sono sicura di dove sia adesso.» Langton si massaggiò le palpebre.
«Ho appena controllato. È a casa. Cerca di stare tranquilla. Se dovesse muoversi lo sapremo subito, e davanti a casa tua c'è il nostro cane da guardia.» «Cosa faccio se mi richiama e mi chiede di venire da me?» «Continua a farlo parlare. Digli quello che abbiamo stabilito, niente di più, ma non permettergli di venire da te. Inventati una scusa qualsiasi.» «Ma se lo state facendo sorvegliare e c'è un agente davanti a casa mia, perché no?» «Perché lo dico io, Travis.» «Sì, signore. Ma se mi ha chiamata sul cellulare una volta, può chiamarmi ancora.» «Se squilla il cellulare, non rispondere. Vogliamo che usi la rete fissa, così possiamo monitorarlo. E non accettare di vederlo, chiaro?» «Sì, signore.» Lui inclinò la testa di lato. «Ti senti bene?» «Sì, grazie.» Lei abbassò gli occhi cercando di evitare lo sguardo di Langton. Lui all'improvviso le avvolse il mento con la mano. «Sii sincera con me. Vuoi che venga con te?» «No, no, davvero.» Anna scostò il viso dalla mano di luì. «Oltre tutto, mi sembra che lei abbia...» «Che abbia cosa?» «Niente. Saluti Nina da parte mia. È stato un piacere conoscerla. Buonanotte.» Lui si voltò e controllò l'orologio. Lei chiuse la porta e lasciò l'appartamento. Rimase seduta in macchina per un po' a calmarsi. «Non sono affari tuoi, può vivere con chi gli pare», mormorò. Lui non aveva fatto nulla per nasconderle quella convivenza. Aveva detto che gli piacevano le bionde e se n'era trovata una che per di più rappresentava un filo diretto con il comandante. Anna, irritata, mise in moto, chiedendosi se qualcuno, compreso il comandante, sapesse quanto Langton fosse vicino a Nina. Barolli mise giù il telefono. «Travis è andata a casa del capo», disse a Moira. «Adesso lui sta controllando che tutti siano all'erta! Non mi piace questa storia. Dovremmo semplicemente arrestare quel bastardo.» «È preoccupato per Anna? Pensa che Daniels cercherà di farle del male, vero?» domandò Moira sedendosi sul bordo della scrivania di Barolli.
«Cazzo, è proprio quello che spera, Moira.» Lei si guardò le unghie. «Il nostro uomo sta giocando con lei. Langton dovrebbe stare molto attento. Secondo il profiler, quel bastardo di Daniels è un vero maestro in questo. Come mai voleva il numero di casa di Mike Lewis?» Anna si costrinse a mettere via la spesa. Poi prese una ciotola e mescolò tre uova con del formaggio grattugiato. Mentre metteva un po' di burro nella padella, il suo cellulare squillò. Sapeva che sarebbe scattata la segreteria telefonica, così lo lasciò squillare: cinque volte. Quando smise, alzò la fiamma e vi appoggiò sopra la padella. Il cellulare si mise a squillare di nuovo. Lei lo ignorò, mescolò le uova e il formaggio che si stava sciogliendo. Il cellulare squillò ancora una volta e poi altre due volte. Lei continuò a ignorarlo. Aprì un cassetto, prese una forchetta e poi prese il piatto. Mangiò un paio di bocconi ma non riuscì a mandare giù altro. Stancamente compose il numero della segreteria telefonica: sette chiamate perse, nessun messaggio, numero privato. Ci furono altre due chiamate mentre Anna guardava la televisione; aveva lasciato il cellulare in cucina. Ripensò a quello che aveva detto Michael Parks. La sua reazione avrebbe indotto Daniels a fare un passo falso perché non sarebbe stato in grado di assumere il controllo della situazione. Niente di ciò che vide alla tv riuscì a distrarla. Riprese il suo piatto e per poco non lo lasciò cadere a terra quando il telefono di casa prese a squillare. Lasciò trascorrere un attimo, poi rispose. Era Langton. «Ha chiamato di nuovo?» «Nove volte, sul cellulare. Numero privato.» Ci fu una pausa. «Questo dimostra che non si fida a chiamarti sul telefono di casa. Gli hai detto che saresti stata lì, giusto?» «Sì.» «Okay. Probabilmente sta cominciando a incazzarsi sul serio. Be', continuiamo ad aspettare. Buonanotte.» «Buonanotte.» Anna controllò due volte tutte le finestre e la porta d'ingresso. Poi tornò al divano e rimase ad aspettare nervosamente. Avevano usato McDowell come esca e adesso stavano usando lei. «Mi sta usando, quel bastardo», mormorò massaggiandosi le tempie. In realtà, entrambi la stavano usando, Langton e Daniels, ma per ragioni di-
verse. Langton chiese agli agenti che sorvegliavano l'appartamento di Queen's Gate di controllare che Daniels fosse ancora a casa. Loro gli assicurarono che nessuno lo aveva visto uscire; tutte le luci erano accese. Langton insistette perché uno di loro andasse a interrogare gli inquilini del piano interrato per accertarsi che non ci fossero altre uscite. Gli agenti scesero dall'auto, attraversarono la strada e suonarono il campanello del piano interrato. La porta venne socchiusa senza che la catenella fosse tolta e una ragazza sbirciò fuori. Dopo un paio di minuti di conversazione, uno degli agenti entrò. Quando tornò all'auto disse al suo collega: «Daniels potrebbe essersi calato dal retro; si può raggiungere il vicolo da un tetto piatto. La ragazza dice di averlo fatto una volta perché aveva dimenticato le chiavi al lavoro. Ha detto che è persino più facile arrivare all'appartamento di Daniels arrampicandosi». Langton andò su tutte le furie. Ordinò all'agente di andare a controllare personalmente che Daniels fosse a casa. Qualche minuto dopo, Lewis lo chiamò: «Avevi ragione. Si è calato sul tetto. È a bordo di un taxi; siamo a Marble Arch. Gli sto alle costole». «Teniamoci in contatto», disse Langton. «Aspetto tue notizie.» «Certo.» Lewis interruppe la comunicazione. Moira inarcò le sopracciglia quando Barolli sbatté giù il telefono, fumante di rabbia. «Cazzo, è ridicolo! I nostri dannatissimi agenti di sorveglianza hanno dovuto andare a bussare alla porta per controllare che fosse ancora a casa! E indovina un po'? Nessuno è andato ad aprirgli!» «Non c'era nessuno a controllare il retro.» «Avrebbe dovuto esserci.» In quel momento, Langton, che indossava una tuta con il cappuccio calato sulla testa, girò l'angolo e imboccò correndo la strada di Anna. Andò a sedersi a bordo dell'auto di sorveglianza che attendeva davanti al palazzo. Il cellulare di Anna squillò un'altra volta, la decima. Al quinto squillo scattò la segreteria. Questa volta, però non appena smise di suonare, squillò il telefono di casa. Sentendo una morsa di paura, Anna sollevò lentamente il ricevitore. «Pronto?» «Anna.» «Alan.»
«Non rispondi al cellulare?» «Devo aver lasciato scaricare troppo le batterie. Perché? Mi hai chiamata lì?» «Non importa. È venuto quel tizio a riparare la lavatrice?» «Era la lavastoviglie. Sì, è venuto, grazie.» «Cosa stai facendo?» «Sto per fare un bagno. Ho bisogno di andare a letto presto.» «Hai mangiato?» «Sì, mi sono preparata delle uova strapazzate.» «Allora non ti andrebbe di cenare con me.» «Mi piacerebbe davvero tanto, Alan, ma stasera non si può fare. È molto tardi.» «Mi stai spezzando il cuore, lo sai?» La sua voce si era fatta seducente. «Continuo a ripensare a quel bacio... al momento in cui è accaduto e tu eri tra le mie braccia. È stato speciale anche per te?» Anna esitò. «Sì.» «Grazie a Dio», disse lui con una risatina. «Speravo proprio di non rendermi ridicolo. Quando avrai un po' di tempo libero?» «Non ho con me la scaletta dei miei turni. C'è una grande agitazione sul lavoro, in questo momento.» «Oh, giusto, per via dell'arresto di McDowell. È stato accusato formalmente?» «Sì, questa mattina in tribunale.» «È stato accusato degli omicidi?» «Sì, ma non di tutti. Alan, lo stai facendo un'altra volta. Sai che non dovrei parlarne.» «Su, non essere sciocca.» «Scusa?» «Non devi fare così con me. Conoscevo piuttosto intimamente una delle vittime. È normale che mi interessi questa storia.» «Scusami, Alan. Ti capisco. Più che mai, dopo quello che ci ha raccontato McDowell.» «Che cosa vi ha raccontato?» «Ci ha parlato del modo terribile in cui venivi trattato.» «Lei è una delle vittime che è accusato di aver ucciso?» Anna notò che Daniels non riusciva ancora a usare la parola «madre». Non aveva chiamato per nome Lilian Duffy nemmeno una volta. «Allora, è lei?»
«Tutto quello che posso dirti è che hanno trovato una prova molto importante nello scantinato in cui vive McDowell.» «Ovvero?» Anna sospirò. Le era stato detto di mostrarsi a disagio nel momento in cui gli avesse dato quella informazione. «Una borsetta», disse. «Che apparteneva a una delle vittime.» «Questo sembra decisivo, giusto? Hanno trovato altro? I serial killer spesso prendono trofei dalle loro vittime, non è vero?» «Sì, e McDowell aveva molte donne. Ma si sta dimostrando molto difficile da interrogare. È molto, molto intelligente.» «Stiamo parlando dello stesso uomo? È un ubriacone.» «Non è l'impressione che ci ha dato. E il suo avvocato è uno molto in gamba.» In quel momento, suonarono al citofono di Anna. Lei abbassò lo sguardo: il filo del telefono non era abbastanza lungo per portarlo fino all'ingresso. «Alan, puoi aspettare un attimo. Ho lasciato il caffè in cucina.» Appoggiò il telefono. In corridoio guardò dallo spioncino ma non riuscì a vedere nulla. Poi premette il pulsante del citofono. «Chi è?» «Langton», gracchiò il citofono. Anna aprì. Pochi secondi più tardi, Daniels spalancò la porta dell'appartamento. Si fermò davanti a lei, sorridendo e sollevando il suo cellulare. «Sorpresa, sorpresa. Non mi inviti a entrare? Bella interpretazione, non credi?» Ripeté il nome di Langton con voce roca. «No so a che gioco tu stia giocando, ma ti avevo detto che non potevo vederti.» «Non potevo aspettare. Non essere dura con me, Anna. Me ne andrò dopo una tazza di caffè, te lo prometto.» «Alan, non posso davvero. Ti ho già spiegato il perché.» «Come credi che mi faccia sentire tutto questo?» Si appoggiò una mano sul cuore. «Non ho fatto altro che cercare di aiutarti.» Alla centrale, Barolli stava ascoltando la conversazione con un paio di cuffie. Due agenti erano seduti accanto a lui. «Travis se la sta cavando bene. Ma c'è qualcosa che non va. Non è al telefono. La sento parlare con qualcuno. Oh, Gesù Cristo, è lui», disse Barolli in preda al panico. «Cazzo, è Daniels: è nel suo appartamento.»
Gli altri due agenti non dissero niente; per tutta la telefonata non avevano fatto altro che prendere appunti. Uno dei due accese la radio, rimase in ascolto e poi si rivolse a Barolli. «L'ispettore capo Langton è già lì.» «Mi stai dicendo che sa che Daniels è a casa di Travis?» L'altro agente si sistemò leggermente le cuffie. «Riesco a sentire delle voci, quindi non ha ancora riagganciato la cornetta.» «Grazie a Dio», disse Barolli. Daniels stava andando in soggiorno. «Voglio che tu te ne vada!» «Ti prometto che resterò solo pochi minuti. Mi comporterò da gentiluomo.» Anna vide che il ricevitore del telefono era ancora staccato e che quindi poteva ancora registrare. «Puoi riappendere», disse Daniels indicandolo con un cenno del capo. Il cuore di Anna batteva all'impazzata. Mentre sollevava il ricevitore, premette il pulsante del vivavoce. Quindi riappese. «Hai detto che volevi una tazza di caffè.» «Veramente no. Voglio solo parlare.» Langton salì le scale due gradini alla volta. Aveva visto Daniels entrare nel palazzo di Anna. Vide anche che la porta d'ingresso era rimasta socchiusa. In silenzio, si avvicinò sempre di più finché non riuscì a sentirli parlare. Anna aveva appena invitato Daniels a sedersi. Lui si mise il cellulare in tasca e si accomodò accanto a lei sul divano. Anna si tenne vicino al telefono, sperando che i suoi colleghi riuscissero ancora a sentirla. Lei non aveva detto quante borsette avevano ritrovato e Daniels aveva già fatto un passo falso descrivendo McDowell come un ubriacone, il che suggeriva che potesse averlo visto di recente. Facendo del suo meglio per mantenere la calma, Anna gli sorrise. «Si è risolto tutto con quel lavoro a Parigi?» «Ah, sì. Sono riuscito a fare la prova della parrucca a Londra.» «Allora, quando iniziano le riprese?» «Presto. Devi venire a trovarmi. Sei mai stata a Parigi?» «Dubito che mi lascerebbero venire, Alan. Con tutto quello che mi sta succedendo, a volte dobbiamo fare i doppi turni.» Langton avanzò con cautela nel corridoio di Anna. Poi si infilò rapida-
mente nella camera da letto, passando per la porta che si trovava di fronte a quella del soggiorno. Poteva sentire con chiarezza la voce di Daniels. «Ma sicuramente adesso che è stato incriminato è tutto finito, giusto?» «Non proprio. Perché non è stato incriminato di tutti gli omicidi e anche per quelli di cui è stato accusato... be', il modo astuto in cui si sta comportando durante gli interrogatori fa sembrare le prove meno schiaccianti.» «Astuto? Non è stato molto astuto lasciare le borse delle vittime nel suo appartamento.» «È vero. Ma è possibile che ci fosse qualcun altro che viveva lì.» Anna aveva i nervi a fior di pelle. La tensione dovuta allo sforzo di mantenere il controllo della conversazione per indurlo a fare un passo falso la stava sfiancando. «Qualcun altro che viveva lì?» Daniels si sporse in avanti e la fissò con attenzione. «Che cosa intendi dire?» «A quanto pare, le prove sono state trovate in una parte dell'abitazione usata anche da altre persone. Be', almeno questo è quello che sostiene lui. Come ti ho detto, McDowell è molto intelligente.» La voce di Daniels si fece rabbiosa. «Smettila di ripeterlo. Intelligente? È un vagabondo, un ubriacone.» «Davvero? Quando l'hai visto per l'ultima volta?» Daniels si alzò in piedi. «Non ho più avuto contatti con lui. Perché me lo chiedi? Non lo conosco. Non lo vedo da anni.» «Scusa. È solo che quello che hai detto mi ha fatto pensare che lo avessi incontrato di recente.» «Cosa vorresti insinuare, Anna?» «Niente.» «È solo un nome che ho recuperato dal passato. Stavo solo cercando di aiutarti. Lo capisci?» «Sì, naturalmente.» «Insomma, se risolverai il caso, il merito andrà a te, giusto? È per questo che mi interessa, Anna. È questo il motivo.» «Sì, ma sembra che tu non capisca che quando ti dico che potrei trovarmi nei guai per avere parlato con te, è perché eri un sospetto.» «Non più. Non posso essere sospettato, adesso. A meno che... c'è qualcosa che non mi hai detto?» «No, non c'è niente.» «Ne sei sicura?» «Sì.»
«È molto importante, Anna. Se vogliamo frequentarci, devo potermi fidare di te.» «Naturalmente.» «Vedi, tu conti molto per me, Anna. Vorrei portarti a Parigi, portarti a fare shopping. Ti piacerebbe?» «Sì.» Lui si stava avvicinando e Anna aveva il cuore che batteva così forte che era certa che lui sarebbe riuscito a sentirlo. «Sai l'abito che indossavi al balletto? Era carino ma non era quello giusto per te. Hai una figura adorabile. Ho pensato tutta la sera a come staresti con degli abiti eleganti e veramente belli. Potremmo divertirci immensamente insieme. Cosa c'è, Anna?» «Niente. Sono solo stanca, Alan.» «Non ti sei arrabbiata per quello che ti ho detto del vestito? Il fatto è che non ti donava molto.» Rise dolcemente. «Ti piacerebbe diventare bella, Anna?» «Sì.» «Potremmo fare shopping a Bond Street, domani.» Daniels era molto vicino, ora. «Dammi la mano.» Le prese la mano e la fece alzare, attirandola a sé. «Alan, si sta facendo tardi. Penso proprio che dovresti andare.» «Stai tremando? Sì. Non avere paura, Anna. Non farò niente che tu non voglia.» La circondò con le braccia. «Ma penso di piacerti.» Lei rimase contro il petto di lui. Le braccia di Daniels la tenevano stretta in una morsa d'acciaio. «Non è così, Anna? Tu mi piaci.» Le sue mani le sfiorarono il reggiseno, poi scivolarono lungo il suo corpo. In quel momento, la porta d'ingresso si chiuse di colpo, facendoli trasalire entrambi. Quando Langton entrò nella stanza, Anna si sentì enormemente sollevata. Daniels si allontanò da lei come un animale spaventato. «Oh, scusa.» Langton sembrava confuso. «Non sapevo che avessi compagnia. Il signor Daniels, giusto?» «Sì», disse Daniels in tono amabile. «Mi trovavo da queste parti e ho pensato di passare a salutarla.» Langton si rivolse ad Anna. «Cosa diavolo pensi di fare?» Daniels sembrava aver ripreso del tutto il controllo. «Lavora fino a tardi, ispettore Langton.» Diede un bacio sulla guancia ad Anna. «Ti chiamo domani. Buonanotte.» «Ti accompagno alla porta.» Anna lo seguì fino alla porta d'ingresso.
«Buonanotte, Anna», ripeté lui dolcemente. Ma non si voltò a guardarla e uscendo si richiuse la porta alle spalle. Anna tornò in soggiorno con le gambe tremanti. «Stai bene?» chiese Langton. Lei trasse un profondo respiro. «Non gli è piaciuto il mio abito.» «Cosa?» Anna si sedette sul divano, le gambe pronte a cedere. «Vuole portarmi a Parigi per comprarmi abiti di alta sartoria.» Langton si sedette accanto a lei. «Vieni qui.» «Cosa?» Anna era confusa. «Ho detto, vieni qui. Coraggio.» Le tese le braccia e lei, senza pensare, gli appoggiò la testa sul petto mentre lui la cingeva. «Raccontami tutto», disse lui. Anna chiuse gli occhi. «Non penso di farcela adesso. Sono sfinita. Mi dispiace.» Avrebbe voluto allontanarsi da lui. «Sono esausta.» Lui la strinse più forte. Lei ripensò alla stretta d'acciaio delle braccia di Alan Daniels che l'avevano fatta sentire come una preda senza scampo. Si staccò da lui e si alzò in piedi. «Vorrei sapere come diavolo ha fatto a venire qui!» «Ascolta, era sotto controllo. Non ti sarebbe mai accaduto niente di male.» «Ma era qui nel mio appartamento! Avrebbe potuto uccidermi!» «Non essere stupida.» «Non sono stupida!» disse lei, arrossendo per la rabbia. Aveva la terribile sensazione di essere sul punto di mettersi a piangere e l'ultima cosa che voleva era scoppiare in lacrime davanti a lui. Trasse un profondo respiro per calmarsi e gli fece un breve riassunto della conversazione con Daniels. «Sono riuscita a lasciare acceso il vivavoce, quindi quello che abbiamo detto potrebbe essere stato registrato.» Si diresse verso la porta. «Devo andare a letto.» «Vuoi che venga con te?» «Cosa?» Lei si fermò di colpo. Lui si alzò in piedi. «Ho detto, vuoi che venga con te?» «Perché invece non se ne torna a casa da quella bionda?» Langton allargò le braccia. «"Quella bionda" è la mia ex moglie. Sei gelosa? È per questo che sei così arrabbiata?» «No! La cosa che mi fa veramente arrabbiare è che tutta la sua cosiddet-
ta sorveglianza è andata a puttane e io sono stata lasciata da sola con un serial killer, okay? Ma ho fatto la mia parte e gli ho detto solo quello che gli dovevo dire. Quindi ho fatto il mio dovere, giusto?» Quando Anna sbatté la porta della camera da letto, la sua mente era un groviglio di pensieri. Aveva capito bene? Langton aveva detto davvero quello che pensava avesse detto? Le aveva offerto di venire a letto con lei? Anna si sentiva stordita. Forse aveva frainteso tutto; forse lui non aveva voluto sottintendere niente di sessuale; forse le aveva semplicemente detto che si sarebbe preso cura di lei. E così Nina era la sua ex moglie. Anna si infilò il pigiama e lo chiuse fino all'ultimo bottone. Si lavò la faccia, se la sciacquò con l'acqua fredda, si lavò i denti. Rimase a riflettere per un istante poi prese un cuscino dal letto e una coperta dall'armadio. Tornò in soggiorno. Langton era sdraiato sul divano, il suo lungo corpo rannicchiato, gli occhi chiusi. Lei lasciò cadere il cuscino sul pavimento e aprì la coperta, poi la stese gentilmente su di lui. Rimase in piedi vicino al divano a guardarlo. Poi spense le luci e chiuse la porta. 19. Anna pensava che con Langton nella stanza accanto, se non altro avrebbe passato una notte tranquilla. Ma dopo essersi appisolata, si svegliò in preda all'agitazione, la conversazione con Daniels continuava a occuparle la mente. Alla fine scostò il piumino e accese l'abat-jour. Pensò a ciò che le aveva detto Langton. Possibile che lo avesse frainteso? Non poteva averle proposto di venire a letto con lei. Forse intendeva dire che voleva proteggerla. Ma se invece il senso della sua frase fosse stato sessuale? Lei lo aveva rifiutato categoricamente, quindi forse non avrebbe tentato un altro approccio. Lei voleva che lo facesse? Sì, lo voleva: rendendosene conto, si sentì ancora più turbata. Era ridicolo, Langton aveva un'ex moglie che con ogni probabilità era molto meno «ex» di quanto lui volesse far credere. Anna aprì la sua valigetta. Tirò fuori il taccuino e si sedette davanti alla toilette. Sfogliò il blocco finché non trovò una pagina bianca. Anche se sperava che tutta la conversazione con Daniels fosse stata registrata, e non solo la prima parte, decise di prendere anche alcuni appunti. Mentre scriveva si rese conto che quell'incontro era stato davvero utile. Daniels aveva fatto due importanti passi falsi. Ansiosa di scrivere il più possibile, con la
mano spinse da parte il suo portagioie, qualche trucco e la boccetta di profumo. Il portagioie cadde a terra. Lei fece una smorfia per il rumore; l'ultima cosa che voleva era svegliare Langton. Dal soggiorno non giunse alcun suono. Anna si chinò per raccogliere le spille, gli orecchini e il filo di perle per riporli del portagioie che era appartenuto a sua madre. Prese tra le mani un fermacapelli con i brillantini, ripensando a quando, un Natale, lo aveva visto tra i capelli di sua madre. Era semplice bigiotteria. Alcune delle pietre colorate si erano staccate e i castoni erano appuntiti. Anna vi fece scorrere sopra le dita. Langton si tirò su a sedere senza sapere che cosa lo avesse svegliato. Rimase ad ascoltare per un momento poi andò a controllare la porta d'ingresso. Da sotto la porta della camera di Anna filtrava una luce. All'improvviso, udì uno strano grido acuto e un tonfo. Langton si precipitò nella stanza. «Anna!» Lei si voltò di scatto. Era in piedi davanti alla toilette e lo sgabello era a terra, rovesciato. Quando vide Langton, quasi corse verso di lui. «Il pezzetto di vetro rosa nei sedili della Mercedes!» «Cosa?» «So che cosa potrebbe essere.» «Calmati. Mi hai quasi fatto venire un attacco cardiaco.» Spesso Anna gli sembrava una bambina, e ora più che mai, con addosso quel pigiama troppo grande per lei, i pantaloni che quasi le cadevano. Anna tornò alla toilette, stringendo il cordoncino dei pantaloni. «La T-shirt di Melissa Stephens. La scritta fatta di brillantini.» Tornò verso di lui agitando il suo taccuino. «Il brillantino che mancava.» «Cosa?» «La scientifica ha trovato un frammento di vetro rosa. Era incastrato nella cucitura, proprio sotto il sedile del guidatore. Potrebbe essersi staccato durante la colluttazione tra Daniels e Melissa. La scientifica non sapeva cosa fosse. E se fosse proprio il brillantino mancante?» Langton andò a sedersi sul bordo del letto, massaggiandosi gli occhi. «Cristo, che ore sono? Ma sulla maglietta non c'erano dei lustrini?» «No. Non si ricorda? Gliel'ho detto io. Era costosa. Usano dei minuscoli castoni per fissare le pietre al tessuto.» Lui sbatté la palpebre, cercando di seguirla. Fino a poco prima, stava dormendo profondamente, cosa di cui aveva un grande bisogno. Si lasciò cadere all'indietro sul letto, sospirando. «Cazzo, perché non mi hai lasciato
dormire, Travis?» Anna si avvicinò al letto. «Mi dispiace. Non riuscivo a dormire. Stavo prendendo appunti quando ho fatto cadere il portagioie sul pavimento e...» «Vieni qui», disse lui dolcemente. Anna esitò. «Ti stanno cadendo i pantaloni del pigiama.» Lei se li tirò su, ritraendosi impercettibilmente. Lui sollevò lo sguardo e allargò le braccia. «Vieni qui.» Lentamente lei mise un ginocchio sul letto. «Potrei avere ragione, non crede?» «Credo che sia stata un'ottima ispirazione. Sdraiati qui accanto a me. Andiamo.» Lei non riuscì a impedirselo e si avvicinò piano a lui. Langton era sdraiato su un fianco, girato verso di lei, e quando Anna gli fu vicina, l'attirò a sé afferrando il cordoncino del pigiama. Fece scivolare un braccio sotto di lei e la fece voltare in modo che potesse rannicchiarsi contro di lui, mentre l'accarezzava con l'altra mano. «Travis», disse lui a bassa voce. Le piaceva così tanto essere avvolta da lui, sentirlo attorno a sé. Le sembrava di trovarsi nel luogo più sicuro del mondo. Spostò la testa nell'incavo del suo collo e lo baciò ancora e ancora. Poteva sentire il cuore di lui che batteva contro il suo. Un istante dopo, lui la fece sdraiare sulla schiena e si mise sopra di lei. «Posso toglierti questa?» mormorò Langton mentre cominciava a sbottonarle la casacca del pigiama. La scostò e guardò i piccoli seni sodi di Anna poi chinò il capo e prese a baciarne uno, poi l'altro. Lei emise un basso gemito e con le mani attirò il viso di lui al suo. Si baciarono. Fu un bacio lungo e appassionato e quando si separarono, lei dovette riprendere fiato. Lui cominciò a togliersi la camicia dai pantaloni. Lei gli slacciò la cintura, poi lui si allontanò per togliersi i vestiti, strappandosi di dosso la camicia mentre lei gli abbassava i pantaloni e infilava le dita nell'elastico dei suoi boxer. Lui era molto eccitato e gemette quando lei gli circondò con la mano il pene eretto. Lei si chinò e cominciò a baciarglielo e lui chiuse gli occhi, emettendo un basso mugolio. La sveglia, puntata alle sette, li svegliò entrambi. Anna era tra le braccia di Langton quando lui si tirò su di scatto, spostandola bruscamente, come
se non avesse saputo dove si trovasse. «Gesù Cristo, ma che razza di sveglia hai, Travis? Sembra un allarme antincendio.» Lei spense la sveglia e si appoggiò ai cuscini. Nella fredda luce del mattino, poteva vedere il suo pigiama e i vestiti di lui sparpagliati in giro per la stanza. Anche lui tornò a sdraiarsi e sbadigliò, massaggiandosi le tempie. «Che ore sono?» «Le sette», mormorò lei quasi incapace di guardarlo. Lui la circondò con un braccio e l'attirò a sé. «Sai di che cosa ho voglia? Uova e pancetta. Muoio di fame.» «Anch'io», disse lei sentendosi in imbarazzo all'idea di alzarsi dal letto nuda. Quando lui scostò il piumino e si alzò, si sentì sollevata. «D'accordo. Faccio una doccia. Tu comincia a preparare la colazione. Finirò io mentre tu ti vesti. Va bene?» «Sì.» Langton raccolse i suoi vestiti ed entrò in bagno. Dopo un momento Anna si alzò e prese la vestaglia, felice che lui non la stesse guardando. Poi andò in cucina. Mentre prendeva le uova, la pancetta, la padella e preparava del caffè fresco, sentì Langton che canticchiava sotto la doccia. Lui riapparve vestito, sbarbato e con i capelli ancora umidi; le circondò la vita con le braccia. «Okay, vai a vestirti. Qui ci penso io.» «Okay. Il caffè è su ma fa' attenzione al tostapane; fa sempre di testa sua.» Anna era felice che non ci fosse alcun imbarazzo tra di loro; al contrario, lui sembrava completamente rilassato e faceva sentire a suo agio anche lei. Langton si dimostrò anche di parola, a parte l'aroma di toast bruciato: quando lei tornò in cucina, aveva già trovato le posate, apparecchiato e versato il caffè. «Quel tostapane è pazzo. Dovrò comprartene uno nuovo.» «Funziona, è solo che ha qualche idiosincrasia. Quando lo regoli sul cinque per lui equivale al tre, ma quando lo metti sul due per lui equivale al cinque.» Anna prese i piatti per tenersi impegnata mentre lui finiva di friggere il bacon. «Come vuoi le uova?» «Morbide.» «Piacciono così anche a me.» Si sedettero sugli sgabelli uno accanto all'altra. Lui cominciò a mangiare
voracemente, intingendo il toast nelle uova. «Mangi troppo in fretta», disse lei. «Lo so; è perché ho sempre fame.» Spinse da parte il piatto, poi inclinò la testa di lato e guardò Anna. Un attimo dopo, si sporse a baciarla sul collo. «Sei felice di quello che è successo stanotte?» «Sì.» «Bene.» Lui si alzò e prese i piatti che aveva usato. Per poco non li mise nella lavatrice prima di individuare la lavastoviglie. Poi guardò l'orologio. «Devo fare qualche telefonata e chiedere che controllino il brillantino, poi possiamo andare.» «Okay, sono pronta», disse lei guardando il suo piatto. Quasi non aveva toccato le uova e la pancetta. Langton andò in soggiorno e cominciò a fare le sue telefonate. Anna mangiò un paio di forchettate poi buttò il resto nella spazzatura. Mise il piatto nella lavastoviglie e andò a lavarsi i denti. Il bagno era disseminato di asciugamani fradici, il tubetto del dentifricio era senza tappino e lui aveva lasciato il rasoio sul bordo del lavandino. Anna si guardò nello specchio, poi chinò il capo, quasi non riusciva a credere a ciò che era successo quella notte. «Travis, andiamo!» gridò lui. Lei si guardò allo specchio ancora per un attimo, si spazzolò i capelli e si mise un'ombra di rossetto. «Travis!» urlò di nuovo lui. «Ho sentito!» rispose lei. Quando Langton si richiuse alle spalle la porta d'ingresso sbattendola, Anna fece una smorfia. Andarono a casa di lui con la Mini di Anna e lei parcheggiò davanti al palazzo in seconda fila. Langton salì in casa e poco dopo uscì di corsa con indosso un completo e una camicia puliti. Quando risalì in macchina, si stava ancora annodando la cravatta. «Okay, andiamo. C'è una buona notizia: abbiamo registrato quel bastardo. Anche dopo che hai riagganciato.» Lei gli lanciò un'occhiata obliqua. «La tua ex moglie ti fa il bucato?» Lui rise e scosse la testa. «Neanche per sogno. Ho una domestica. Ha una mano fatata con l'amido.» Poi, finché non arrivarono al lavoro, fece una telefonata dietro l'altra.
Sembrava che nulla fosse cambiato tra di loro, mentre Langton camminava davanti a lei raggiungendo a grandi passi la centrale; Anna rimase incastrata dalle doppie porte oscillanti perché non gli era rimasta abbastanza vicina. «Fa' attenzione, sono dietro di te», disse lei, ma lui parve non sentirla nemmeno. Andò dritto nel suo ufficio e chiuse la porta sbattendola. Era come se quella notte non fosse accaduto nulla. Alle nove e un quarto arrivò Michael Parks. Si sedette insieme alla squadra ad ascoltare la telefonata tra Daniels e Anna. Lei era rossa per l'imbarazzo, non le piaceva doversi riascoltare. Comunque, nessuno fece la benché minima allusione al fatto che ci fosse stata della tensione sessuale tra di loro. Parks riascoltò la conversazione un paio di volte prendendo molti appunti, poi cominciò a esporre la sua interpretazione. «Primo: Daniels commette non uno ma due errori. Descrive McDowell come un ubriacone e questo significa che lo ha visto di recente. Sono passati vent'anni da quando lo ha visto in quel vicolo con sua madre.» Langton guardò l'orologio. «Secondo: c'è un'altra falla quando parla delle borse al plurale anche se il sergente Travis ha fatto attenzione a dire che era stata trovata una sola borsetta da McDowell.» Anche Langton lo aveva notato e stava diventando impaziente. «Tre: possiamo sentire chiaramente la rabbia e la frustrazione quando il sergente Travis insiste sull'intelligenza e sull'astuzia di McDowell. Se è stato Daniels a nascondere lì le prove, immaginate la sua confusione. E di nuovo ripete che McDowell è praticamente un essere miserabile.» Parks sfogliò i suoi appunti mordicchiando l'estremità della matita. «Ciò che si nota molto chiaramente è che il modo in cui tenta di manipolare il sergente Travis è lo schema classico del sociopatico. Per esempio, dice di telefonarle solo "per aiutarla" e in questo modo pianta il germe dell'idea che lei dovrebbe essergli grata perché grazie a questo caso potrebbe essere promossa. Si nota di nuovo il fatto che non chiama mai sua madre per nome, che non riesce nemmeno a usare la parola "madre". Parla sempre di "lei", anche se usa sua madre come spiegazione emotiva della sua curiosità per i progressi nelle indagini.» Picchiettò con un dito sul suo taccuino poi ridacchiò. «Il punto in cui parla del vestito del sergente Travis, dicendo che non la faceva sembrare attraente, è un classico esempio di manipolazione. La sta tentando: un viaggio a Parigi, comprare abiti costosi a Bond Street; lui può renderla at-
traente. In altre parole, sta minando la sicurezza di Travis e allo stesso tempo si pone in una posizione di controllo.» Si voltò verso Anna e le disse che era stata molto brava nel fornirgli le informazioni; Parks era sicuro che adesso Daniels si fidasse di lei. Se avesse scoperto che stavano ancora registrando sarebbe accaduto esattamente l'opposto. Anna si sentì stringere lo stomaco in una morsa. Sollevò leggermente la mano. «Pensa che la mia vita sia stata in pericolo, ieri notte? Daniels era molto vicino e verso la fine mi ha circondata con le braccia come se volesse stringermi. Se non fosse arrivato l'ispettore capo Langton, cosa pensa che avrebbe fatto?» «La sua audacia nel presentarsi al suo appartamento ci rivela le prime crepe. È sempre più disperato. Ma non penso che la stia prendendo in considerazione come prossima vittima: non ancora. In questo momento, in realtà, sta cercando di coprire le sue tracce. Ma penso che sia preoccupato, soprattutto per il fatto che McDowell non è il capro espiatorio che sperava di aver trovato. Quindi questa visita potrebbe averlo indotto a commettere uno sbaglio enorme. Potrebbe anche alimentare il suo bisogno di dimostrare quanto può essere brillante e questo potrebbe voler dire un'altra vittima.» Parks trasse un profondo respiro. «Quindi, per rispondere alla sua domanda, non credo che intendesse farle del male ieri sera - al momento lei gli è troppo utile - ma penso che vorrà fargliene. La sua fiducia in lei è scesa con la comparsa dell'ispettore capo Langton. Spero di averle fatto capire quanto quest'uomo sia pericoloso. Non pensa come un uomo braccato. Pensa come un cacciatore. In questo momento dobbiamo considerarlo una bomba a orologeria.» Langton non aveva lanciato ad Anna nemmeno un'occhiata, anche se era rimasto ad ascoltare con grande attenzione. Tutti nella stanza riuscivano a percepire la sua impazienza ogni volta che Parks parlava di un argomento che avevano già affrontato. Tutto dipendeva, comunque, dai risultati delle analisi di laboratorio. Senza di essi, avrebbero avuto soltanto prove indiziarie che non sarebbero state sufficienti ad arrestare Daniels o a tenerlo in custodia. Non aveva fatto irruzione nell'appartamento di Anna ma era solo «passato a trovarla». Parks concluse: «Vorrei aggiungere che Daniels sa di essere sotto continua sorveglianza e questo significa che sta già correndo dei rischi eludendo la squadra di sorveglianza».
Quando Parks se ne fu andato, Langton si rivolse alla squadra. Era imperativo che continuassero a sorvegliare Daniels. Lanciò un'occhiata a Lewis e disse che dovevano essere tenuti sotto controllo entrambi i lati del palazzo di Queen's Gate. McDowell sarebbe stato convocato per un altro interrogatorio ed era fondamentale che riuscissero a fargli rivelare qualsiasi possibile collegamento con Daniels. Se era stato Daniels a nascondere le borse, doveva sapere che quella era casa di McDowell. Lewis alzò la mano. «A meno che McDowell non abbia davvero ucciso quelle tre donne. È ancora una possibilità.» Langton annuì anche se sembrava dubbioso. Comunque, spiegò, avrebbero dovuto impegnarsi al massimo nell'interrogatorio di McDowell per ottenere un risultato. Dato che non avevano ancora avuto notizie dalla scientifica, ordinò ad Anna e a Barolli di recarsi in laboratorio per mettere fretta ai tecnici. Parlò anche della possibilità che il frammento di vetro rosa si fosse staccato dalla T-shirt di Melissa. «Non abbiamo molto a cui aggrapparci al momento, ma uno di questi elementi potrebbe essere abbastanza per arrestarlo. Quindi mettetevi al lavoro e cerchiamo di togliere quell'animale dalle strade il più presto possibile.» Nel parcheggio, Anna e Barolli incrociarono McDowell ammanettato che veniva fatto scendere da un cellulare. Sembrava meno in forma del giorno prima, aveva un'aria disorientata e camminava accanto all'agente strascicando i piedi. I sintomi dell'astinenza avevano ripreso a tormentarlo e adesso tremava visibilmente, i capelli umidi di sudore. «Sono contento di non doverlo interrogare. Sarà un vero strazio», disse Barolli guardando McDowell che veniva scortato nella centrale. Lui e Anna salirono su un'auto di pattuglia. «Sembra che qualcuno l'abbia malmenato in prigione.» «Posso chiederti un cosa?» domandò Anna in tono pacato. «Naturalmente.» «Ho letto i rapporti sulla sorveglianza. Anche se non c'era un'uscita posteriore nell'appartamento di Daniels, c'era qualcuno a sorvegliare il retro nel caso cercasse di uscire passando per il tetto.» «Sì, esatto.» «Quindi dovevano sapere quando Daniels è uscito.» «Sì... be', il capo lo sapeva.» «Allora sono stata incastrata?»
Barolli sapeva di essere nei guai. Dopo un attimo di esitazione, scrollò le spalle. «Questo non è nei rapporti, d'accordo? Il capo ha chiesto a Lewis di fare delle ore extra. C'era lui sul retro dell'appartamento di Queen's Gate.» «Lo sapevo. È stato Langton a organizzare tutto, vero?» «Ascolta, Anna... io non sapevo niente, okay?» Barolli arrossì. La verità era che non approvava il rischio che Langton le aveva fatto correre. «È stato lui a togliere la sorveglianza dal retro della casa di Daniels?» «Ascolta, è difficile stargli dietro», sospirò Barolli. «Non voglio dire niente che mi faccia finire nella merda, okay?» Lei lo trafisse con lo sguardo. «Però è stato lui, vero?» «Non posso dirtelo.» Anna guardò fuori dal finestrino della macchina di pattuglia, sbalordita dalla propria stupidità. Ogni volta che aveva la sensazione di potersi fidare di Langton, lui la obbligava a ricredersi. «Ho conosciuto la sua ex moglie, Nina», disse cautamente, in cerca di una reazione da parte di Barolli. «Mi hanno detto che è una bellissima donna.» «Sapevi che è un ispettore che lavora per il comandante?» Barolli scoppiò a ridere. «No!» Scosse la testa divertito. «Adesso so come fa il capo a sapere persino cosa mangia a pranzo il comandante! Le donne gli mangiano in mano.» Anna strinse le labbra. E così le donne gli mangiavano in mano? Decise di cambiare argomento. «Sai quando il cadavere di Melissa sarà restituito alla famiglia per la sepoltura?» «Non ancora. Hanno già preso dei campioni, quindi non hanno bisogno dei suoi capelli per un raffronto. Forse hanno già permesso alla famiglia di riportarlo a casa, anche se ne dubito. Il capo vorrà che andiamo al funerale in segno di rispetto. Credo che il cadavere sia ancora all'obitorio.» «A casa», mormorò Anna, colpita dal fatto che Melissa Stephens non sarebbe mai più tornata a casa. Ciò che Langton le aveva fatto passare ultimamente non era niente in confronto. Langton posò un pacchetto di sigarette davanti all'uomo e lo guardò tremare mentre se ne accendeva una. Il suo avvocato, Francis Bellows, l'informò che il suo cliente non si sentiva bene, mentre gli venivano letti nuovamente i suoi diritti.
Dopo una breve occhiata a Lewis, Langton aprì il fascicolo. «Okay, cominciamo. Nelle scorse settimane, qualcuno le si è avvicinato facendole magari domande su di lei, su dove abitava? Qualunque cosa le sia sembrata insolita.» McDowell si appoggiò allo schienale con gli occhi chiusi. «Sì, quello stronzo del poliziotto addetto al traffico mi ha fatto portare via la macchina. Ha detto che non avevo l'assicurazione, che c'erano delle multe non pagate e che non mi ero presentato in tribunale, non lo so.» «Questo è accaduto di recente?» «Non me lo ricordo.» Langton batté il palmo della mano sul ripiano del tavolo. «È accusato di tre omicidi. Se ieri notte se l'è vista brutta in prigione, pensi come sarà passarci vent'anni, magari di più. È ora che cominci a pensare.» «Pensare a cosa?» McDowell sbatté le palpebre, esasperato. «Pensare se si ricorda di essere stato avvicinato da qualcuno, anche qualcuno che conosce, che le abbia fatto domande sulla sua vita.» McDowell si accigliò. Vi fu una lunga pausa. Chinò il capo. Stava «pensando». Usando delle pinzette, l'esperto della scientifica era al lavoro sulla Tshirt di Melissa. Per prima cosa, confrontò il colore dei brillantini, poi aprì un castone per liberare una pietra che esaminò al microscopio. «Il colore è lo stesso», disse a bassa voce. Fece un cenno ad Anna per dirle di avvicinarsi. Mentre lei guardava nel microscopio, l'uomo continuò: «È un frammento piccolissimo. Probabilmente ne vengono venduti a milioni. Il guaio è che ci vorrà del tempo per ricostruire i bordi». Anna lasciò il microscopio a Barolli dicendo che avrebbe controllato i produttori di T-shirt in cerca di altre informazioni. Andò in corridoio per telefonare. Fu scoraggiante scoprire che si trattava di una grossa compagnia e che erano stati prodotti milioni di T-shirt con scritte composte da brillantini. Anna descrisse il modello esatto. Restò in attesa per cinque minuti prima che una nuova voce le rispondesse. La donna le disse che quella particolare T-shirt non era prodotta in molti esemplari e che era stata commissionata da un gioielliere come capo promozionale di lusso. Ne aveva ordinate due dozzine da regalare ai clienti. «Avete fornito voi i brillantini?» domandò Anna. «Sì. Il colore che voleva il cliente era molto vibrante e quindi i brillantini erano più costosi del normale. Ma il cliente era Theo Fenel, un gioiellie-
re esclusivo, che ha un negozio in Fulham Road.» Anna ascoltò cercando di essere paziente. «Sì, ho riconosciuto il suo logo. Quindi mi sta dicendo che le pietre non sono state prodotte in molti esemplari?» «Esatto. Anzi, quelle di cui parla erano le ultime di una serie. Il produttore ha chiuso la ditta poco dopo, così non abbiamo potuto ordinarne altre.» Anna chiuse gli occhi. «Grazie.» Anna tornò a sedersi accanto a Barolli e gli riferì quello che aveva scoperto. L'uomo della scientifica riapparve e li fece avvicinare. Mostrò loro due ingrandimenti. Uno era della pietra staccata dalla T-shirt; l'altro del frammento di vetro rosa. «Nella prima fotografia della pietra intera si notano delle piccole scanalature lasciate dal castone. Nella seconda fotografia abbiamo una sezione della pietra. Nell'angolo in basso a destra, c'è una piccola indentatura che all'inizio non avevamo nemmeno visto. Poi l'abbiamo ingrandita.» Si avvicinarono a un computer per osservare la sezione spaccata che veniva fatta combaciare perfettamente con il castone vuoto. Era l'angolo in basso a destra. «Mio Dio», disse Barolli a bassa voce. «Un'altra pietra potrebbe combaciare con quel castone?» chiese Anna allo scienziato. «Assolutamente no. È come un esame balistico su un proiettile. Anche se sono prodotte in serie, ogni pietra ha un minuscolo difetto che la distingue dalle altre. Queste non sono pietre particolarmente dure, quindi quando vengono fissate al tessuto resta un segno facilmente identificabile.» Barolli e Anna si scambiarono un'occhiata. «Sarebbe disposto a testimoniare in tribunale che, senza ombra di dubbio, questo frammento di pietra proviene dalla T-shirt di Melissa Stephens?» «Sì.» Anna d'impulso gettò le braccia al collo dell'esperto della scientifica, prendendolo alla sprovvista, mentre Barolli osservava la scena, sogghignando. Quello era un passo decisivo. Lewis lasciò la stanza degli interrogatori per rispondere al cellulare. Langton, invece, continuò a interrogare McDowell. Quando Lewis rientrò, passò un memo a Langton che lesse l'informazione e poi per un attimo
chiuse gli occhi. Quindi guardò l'accusato come se non vi fosse stata alcuna interruzione. «Mi scusi. Può ripetere quello che ha appena detto, signor McDowell?» «Ho detto che era straniero.» «Straniero?» McDowell si sporse per sussurrare qualcosa al suo avvocato. Qualche istante dopo, Francis Bellows si rivolse a Langton. «Come sa, il mio cliente sostiene che le droghe trovate in suo possesso e nella sua abitazione erano per uso personale. Teme che se risponderà alla sua domanda riguardo questa persona, potrebbe essere accusato di spaccio di stupefacenti.» Langton sospirò impaziente. C'era voluta mezz'ora solo per far ammettere a McDowell di essere stato avvicinato da un uomo a Manchester. «Se il signor McDowell, è in possesso di informazioni che possono aiutare la mia indagine e dimostrare che non è coinvolto negli omicidi, è evidente che la sua testimonianza sarebbe utile per entrambe le parti.» McDowell guardò il suo avvocato. Langton si sporse in avanti. «Signor McDowell, sto cercando di scoprire se qualcuno l'ha incastrata. Non per la droga ma per i tre omicidi. Ora, riguardo all'uomo che l'ha avvicinata...» In tono esitante, McDowell disse: «È stato un po' di tempo fa, qualche mese. Forse tre o quattro, ma Berry era alla porta, giusto?» Langton lo interruppe. «Mi scusi, chi è Berry?» «L'altro tizio che lavora con me. Ci dividiamo le serate, solo noi due.» «D'accordo, continui.» «Be', ero sul retro e mi stavo bevendo una birra prima di attaccare, e Berry è venuto a dirmi che c'era un tizio che chiedeva di me. Ha detto che era straniero, elegante e che era andato a chiedergli se c'ero.» Disse di aver chiesto a Berry che cosa volesse quel tizio e che Berry gli aveva risposto che voleva un po' di roba. «Berry è un bravo ragazzo, così ha detto al tizio che non sapeva dov'ero. Poi quello gli ha chiesto il mio indirizzo e se poteva andare a cercarmi lì. A quel punto, Berry è diventato sospettoso ed è venuto a parlarmi.» Langton annuì per incoraggiarlo. «Io gli ho detto di continuare a farlo parlare, di chiedergli di mettersi in contatto con me.» «E?» «Quando è tornato davanti al locale, il tipo se n'era andato.» Langton cambiò posizione sulla sedia. «Quindi lei non lo ha visto vera-
mente.» «No. Berry mi ha detto che si era levato dai coglioni così ho cominciato a preoccuparmi. Perché venire al pub, chiedere di me dicendo che voleva della roba e poi andarsene via?» «È più tornato?» «No.» Langton si massaggiò le tempie e guardò un biglietto che gli aveva appena passato Lewis per suggerirgli che forse Daniels aveva seguito McDowell a casa. Langton accartocciò il biglietto. «Lei ha dichiarato che ci sono state molte effrazioni nel seminterrato in cui vive. Ricorda se una di queste effrazioni è avvenuta dopo che lo straniero era venuto a cercarla al pub?» Anche se sarebbe stata una risposta conveniente per lui, McDowell disse di no, scuotendo la testa e spegnendo la sua sigaretta. «Non mi ricordo davvero. Perché lavoro quasi tutte le sere fino alle tre o alle quattro e c'è sempre qualche bastardo che si diverte a strappare i lucchetti dalle porte. Ragazzini, vagabondi.» «Avremo bisogno del cognome e dell'indirizzo del suo collega.» «Berry Pickering.» «E il suo indirizzo?» «Be', viveva con sua madre, a Bolton, ma non è più lì. È al cimitero di Walsall. È morto per un tumore al cervello sei mesi fa.» A quel punto Langton ribatté bruscamente: «Sei mesi fa? Allora, come ha fatto a vedere questo straniero davanti al pub?» Si alzò di scatto, e dando uno spintone al tavolo cominciò a riordinare le carte. «Va bene», disse McDowell a voce alta. «L'ho incontrato.» «Cosa?» «Gli ho parlato.» «Continui.» «Non volevo finire nella merda più di quanto già non lo sia. Per questo ho mentito. Dato che Berry non c'è più, ci sono solo io che sto alla porta.» Langton fece del suo meglio per controllarsi. Quando chiese a McDowell di descrivergli l'uomo, aveva la mascella irrigidita per la rabbia. «Era alto, di bell'aspetto. Aveva un berretto da baseball calato sugli occhi. Gli ho detto che non mi portavo dietro la roba e che doveva aspettare, così è entrato nel pub ed è rimasto per qualche drink. Poi ha preso e se n'è andato.» «Se lo vedesse, Io riconoscerebbe?»
McDowell scrollò appena le spalle. «Non lo so. Se devo essere sincero, ero un po' malmesso.» «Sicuramente ha diversi clienti che vengono a comprare droga da lei. Perché si ricorda proprio di questo?» McDowell fece il broncio. «Be', per cominciare era straniero e poi mi ha dato qualche sterlina.» «E questo straniero non l'ha mai più contattata?» «No.» «Glielo chiedo ancora una volta: se lo vedesse, lo riconoscerebbe?» McDowell sbuffò. «Dipende.» «Dipende da cosa?» «Be', dovreste trovarlo, prima. A quel punto, non lo so.» Barolli fece un cenno ad Anna che si trovava nella sala d'attesa. «Hanno i risultati; sono al piano di sopra.» Anna afferrò la sua valigetta e lo seguì. Lo raggiunse e lo superò salendo le scale fino a raggiungere le doppie porte del laboratorio. In fondo al laboratorio, tra file di potenti apparecchiature per l'ingrandimento, due uomini erano in piedi uno accanto all'altro e stavano guardando dei visualizzatori su cui erano disposte sezioni di un unico capello. «Avete i risultati?» chiese Barolli, nervoso. Il più giovane degli uomini in camice bianco indicò una sottile striscia sul primo visualizzatore. «Questo è il capello rinvenuto nella Mercedes. Lo abbiamo diviso in quattro sezioni. Anche se un campione è risultato inutilizzabile, fortunatamente ne sono rimasti tre.» Passò al secondo visualizzatore. «Questo è un capello prelevato dalla vittima, Melissa Stephens; abbiamo un riscontro del settantacinque percento.» «Settantacinque», mormorò Barolli. «Il follicolo del capello era debole ma il riscontro sul DNA dimostra senza ombra di dubbio che il capello trovato nel sedile della Mercedes era di Melissa Stephens.» Anna sentì le gambe che cominciavano a tremarle. Guardò Barolli, scossa. «Fantastico», disse lui. Langton era talmente stufo di McDowell che decise di smettere per quel giorno. Mentre lui e Lewis discutevano dell'eventualità di organizzare un
confronto all'americana con Daniels, Moira rispose al telefono. Si alzò dietro la scrivania e guardò Langton, emozionata. «In laboratorio hanno finito i test sul capello.» Langton si irrigidì, temendo il peggio. «Combacia. Apparteneva a Melissa Stephens.» I loro occhi si incontrarono. Non appena ebbe pronunciato quelle parole, Moira si coprì la bocca con la mano. Lui le rivolse un sorriso eloquente, poi si rivolse a Lewis. «Procurati un mandato.» Il viaggio sulle montagne russe era cominciato. La tensione crebbe nel corso del pomeriggio. Tutti stavano aspettando di scoprire quando avrebbero potuto prelevare Daniels, ma Langton cercò di mantenere la calma tenendo sempre d'occhio l'orologio. Era tardi. Se avessero arrestato Daniels adesso, non avrebbero avuto modo di interrogarlo per quella notte. Di sicuro il suo avvocato avrebbe preteso di visionare i rapporti. Con un caso di tale importanza, Langton non avrebbe accettato, ma avrebbe dovuto indicare gli argomenti dell'interrogatorio. Quando Barolli entrò in bagno, Langton era in piedi davanti al lavandino e si stava sciacquando la faccia con l'acqua fredda. «Batti un cinque», disse Barolli tendendo la mano. Langton gliela colpì. «Com'è andata con McDowell?» chiese Barolli sedendosi sul bancone. Langton si sistemò la cravatta spiegandogli che il cosiddetto straniero di McDowell avrebbe potuto essere Daniels. «Potremmo tentare di fargli identificare Daniels con un confronto.» «Voglio che ci sia Travis durante l'arresto», dichiarò Langton cercando di evitare l'espressione amara di Barolli. Barolli, imbronciato, borbottò: «Okay». «Se c'è qualcuno che si merita di vedere quel bastardo con le spalle al muro, quel qualcuno è lei.» «Giusto.» «Dalle tregua. Si è impegnata al massimo.» «D'accordo.» Mentre usciva dal bagno, Barolli per poco non andò a sbattere contro Lewis. Langton lo seguì e fissò Lewis finché la porta non si fu richiusa alle sue spalle. «Allora?» chiese Langton. «Ieri sera sono andato a parlare con i ragazzi che vivono al piano interrato del palazzo di Daniels e...» «Hai ottenuto qualche risultato?»
Lewis trasse un profondo respiro, poi espirò lentamente. «Sì. Ce l'abbiamo, Mike. Lo abbiamo in pugno, cazzo.» Quando Anna entrò nell'ufficio per presentare a Langton il suo ultimo rapporto, lui la stupì, chiedendole: «Ti va di essere presente all'arresto?» Lei si morse il labbro inferiore e annuì. «Bene. Andiamo a prenderlo all'alba.» «All'alba?» ripeté lei. «Sì. Va' a casa e cerca di dormire un po'. Domani sarà una giornata maledettamente lunga.» Anna stava prendendo le sue cose quando Barolli passò vicino alla sua scrivania. «Ho saputo che ci sarai all'arresto.» «Sì, il capo mi ha appena informata», disse lei imbarazzata. «Io non, ehm...» Sapeva che per una questione di anzianità quel compito sarebbe spettato a Barolli e non a lei, ma lui le strizzò l'occhio. «Te lo meriti. Il primo caso di omicidio non si dimentica mai. Posso darti un consiglio? Guardarlo negli occhi. Così potrai vedere la sua paura.» Indicò la lavagna e la schiera dei volti delle vittime. Anna pensò che i loro occhi scuri e morti in qualche modo sembravano diversi, adesso. «Stanno sorridendo», sussurrò Barolli prima di allontanarsi. 20. Anna stava aprendo la porta d'ingresso quando apparve la sua vicina di casa con un mazzo di due dozzine di rose rosse per lei. Prendendole, Anna la ringraziò e una volta entrata in casa si affrettò ad aprire il biglietto. Fu felice di leggere: «Grazie per la colazione. Con amore, James». Dopo essersi spogliata per andare a letto, si rannicchiò sotto il piumino tenendo stretto un cuscino che aveva il profumo di lui. Anche se dubitava che sarebbe riuscita a chiudere occhio, dormì così profondamente che quando alle quattro suonò la sveglia, Anna si accorse di aver lasciato acceso l'abat-jour. Era il giorno che tutti loro stavano aspettando e Anna trovava difficile mantenere la calma. Fece la doccia e si lavò i capelli, poi si vestì di tutto punto con il suo nuovo completo, la camicetta e le scarpe nere eleganti. Si guardò nello specchio della toilette, l'adrenalina che cominciava a scorrere.
Non vedeva l'ora di arrivare nella sala operativa. Alla centrale, anche gli altri sembravano sentirsi come lei. Vide che tutti avevano cercato di essere un po' più eleganti del solito. Langton, Anna, Lewis e un agente in uniforme, che si mise al volante, presero una macchina, e una seconda auto li seguì con a bordo altri due poliziotti. Percorsero Kensington High Street, poi svoltarono a destra verso Queen's Gate. Langton usò la radio per contattare l'auto dietro di loro. «Okay, facciamogli sapere che stiamo arrivando.» Poi si appoggiò allo schienale e, lanciando una breve occhiata agli altri, accese i lampeggianti. La sirena del veicolo di supporto cominciò a ululare e le due auto si diressero a Queen's Gate. Quando parcheggiarono in seconda fila accanto alle auto dei residenti, davanti al palazzo di Daniels, con le luci blu che lampeggiavano e le sirene che continuavano a riecheggiare, alcuni passanti si fermarono per vedere cosa stesse succedendo. «È ancora in casa?» chiese Langton via radio agli agenti dell'auto di sorveglianza. «Affermativo», risposero loro. Langton disse agli agenti di sorveglianza che erano dall'altra parte della strada che potevano tornare alla base. Anna notò una normale auto di pattuglia sbucare nella strada dal vicolo dietro la casa di Daniels. I due agenti di supporto erano sul marciapiede vicino alla loro macchina. Affiancato da Anna e Lewis, Langton salì i gradini che conducevano alla porta d'ingresso. «Eccoci», disse. Langton suonò il citofono e rimase ad aspettare insieme agli altri. «Sì?» Era Daniels, aveva la voce assonnata. «Polizia.» La serratura del portone scattò e loro tre entrarono. Un attimo dopo, Daniels aprì la porta del suo appartamento. «Buongiorno, signor Daniels», disse Langton. «Ho qui un mandato d'arresto per lei.» Daniels fece mezzo passo indietro. Lewis avanzò e spalancò del tutto la porta. Langton sollevò il mandato. «È in arresto per l'omicidio di Melissa Stephens. Ha il diritto di non rispondere e tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei.» Daniels li fissò, sbalordito. Anna ripensò al consiglio di Barolli, «guardalo negli occhi» ma gli occhi del sospetto somigliavano a pozze scure e
insondabili. Daniels andò in sala da pranzo. Loro lo seguirono. Anna non distolse lo sguardo; continuava a fissare il suo volto. «È uno scherzo?» chiese Daniels. Per un istante Anna vide un luccichio di paura nei suoi occhi mentre lui si leccava le labbra con la lingua. Ma quando incrociò il suo sguardo, la paura era già scomparsa. «Anna», disse dolcemente. «Cos'è questa storia?» «Per favore, legga il mandato, signor Daniels. Stiamo per portarla alla centrale di polizia di Queen's Park.» Daniels rivolse ad Anna un gesto impotente. Poi in tono pacato si rivolse a Langton: «Voglio chiamare il mio avvocato». «Potrà farlo alla centrale, signore.» Quando Daniels tese la mano per prendere il mandato, fece un altro passo indietro e quasi inciampò su un tappeto persiano. Lesse il documento con calma poi, lentamente, lo scorse ancora una volta prima di restituirlo. «Be', sembra tutto in ordine ma state commettendo un terribile sbaglio.» Scrollò le spalle. «Meglio che vada a vestirmi.» Lewis lo accompagnò. Quando furono usciti dalla stanza, Langton mormorò ad Anna: «Il bastardo ha un bel sangue freddo, eh?» Tornarono poco dopo. Daniels si stava controllando la manica della giacca da cui poi tolse un pezzettino di lanugine. Poi il sospetto, affiancato dai due uomini e seguito da Anna, venne scortato fuori. Quando venne aperta la portiera posteriore, Daniels rivolse ad Anna una lenta occhiata di apprezzamento. Langton, bruscamente, gli fece cenno di sbrigarsi mentre Lewis girava attorno alla macchina per salire dall'altra parte. «Tu vai sull'altra macchina», disse Langton ad Anna prima di prendere posto sul sedile del passeggero e rivolgere un cenno col capo all'autista. Anna guardò l'auto allontanarsi velocemente, poi salì sull'altra macchina accanto a uno degli agenti in uniforme. «Lo stanno portando dentro», disse Moira, entrando di corsa nella sala operativa. Jean si alzò in piedi nervosamente. «In quale stanza degli interrogatori?» «È stata preparata la numero due.» Jean corse alla finestra in tempo per vederli entrare nella centrale. Barolli, che moriva dalla voglia di dare a sua volta un'occhiata, si trattenne e finse di essere impegnato alla sua scrivania.
Anna entrò nella sala operativa. Tutti e tre le si fecero intorno mentre si toglieva la giacca. «Qualche problema?» domandò Barolli. «Nessuno. A quanto pare non ha detto una parola mentre lo portavano qui. Adesso sta chiamando il suo legale.» «Cos'è successo quando lo avete arrestato?» «Ha chiesto se fosse uno scherzo.» Si voltarono di scatto quando Lewis entrò nella sala operativa. «Ci vorrà almeno mezz'ora prima che il suo avvocato arrivi, quindi nell'attesa è stato portato giù in cella», li avvertì. Langton si fermò davanti alla porta della cella mentre il sergente di turno chiedeva a Daniels di svuotarsi le tasche. Quando gli venne chiesto di togliersi le scarpe, si sedette sulla branda senza dire una parola e con cura tolse le stringhe. Poi gli venne chiesto di consegnare la sua cravatta che Daniels si avvolse attorno alla mano e infine appoggiò accanto ai lacci delle scarpe. «La cintura», disse Langton a bassa voce. Daniels se la slacciò, la sfilò dai passanti e la gettò sulla branda. «Quando arriverà il suo legale, verrà portato nella stanza degli interrogatori. Fino ad allora rimarrà in cella.» Daniels guardò il sergente che stava prendendo nota di tutto sulla sua cartellina. Poi piegò la giacca e gliela passò. «Può mettere una firma qui per i suoi effetti personali, signor Daniels?» «Senz'altro.» Daniels fece rapidamente una firma svolazzante. «Anche i suoi gemelli», ordinò Langton. Daniels sospirò e tornò alla branda. Allungò le braccia e si tirò i polsini per togliere una coppia di gemelli d'oro che poi si appoggiò sul palmo della mano e porse al sergente. Dopo che anche i gemelli furono aggiunti all'elenco, un poliziotto in uniforme portò via ogni cosa. Il sergente, a quel punto, si infilò un paio di guanti di lattice. «Potrebbe aprire la bocca, per favore?» Langton si avvicinò. Daniels tirò indietro la testa e il sergente gli guardò in bocca. «Sollevi la lingua.» Il sergente passò poi le dita tra i capelli di Daniels, lo controllò dietro le orecchie e gli chiese di abbassare i pantaloni. Langton uscì socchiudendo con discrezione la porta mentre veniva effettuata l'ultima parte della per-
quisizione. «Tutto a posto», disse il sergente togliendosi i guanti di lattice. Langton lanciò un'occhiata a Daniels che stava fissando la parete davanti a sé. Anche se non aveva reagito indignandosi per la perquisizione corporale, Langton si accorse che aveva la mascella rigida. Quando l'ispettore capo entrò nella sala operativa, tutti gli occhi si spostarono su di lui. Riassunse rapidamente la situazione. «Non è affatto contento, ma non vuole darlo a vedere.» Guardò l'orologio. «D'accordo, facciamo il punto della situazione nel mio ufficio.» Erano già quasi le otto. Anna dubitava che l'interrogatorio sarebbe cominciato prima di mezzogiorno. Radcliff arrivò alla centrale solo alle nove meno un quarto. Si scusò dicendo che aveva trovato molto traffico. Nell'ufficio di Langton gli vennero esposti i capi d'accusa. All'inizio non mostrò alcuna reazione per quei nuovi sviluppi. Esaminò il mandato poi, apparentemente soddisfatto, lo rimise sulla scrivania di Langton. «Al momento della mia visita precedente, avevate soltanto prove indiziarie contro il mio cliente. Devo presumere che ora abbiate prove che lo incriminano, giusto?» «Sì.» «E avete intenzione di accusarlo dell'omicidio di... ehm...» Non riusciva a ricordarsi il nome della ragazza. «Melissa Stephens.» «Certo.» «In realtà lo interrogheremo anche in relazione ad altre dieci vittime.» «Dieci?» sbottò Radcliff. Aprì la sua valigetta e dal taschino della giacca prese la sua stilografica. Annotò l'ora su un piccolo taccuino di Gucci. «Lo state trattenendo qui a Queen's Park?» «Sì.» «Nel discutere le accuse con il mio cliente avrò bisogno di qualche indicazione dei motivi per cui ritenete necessario trattenerlo.» Langton aprì uno dei fascicoli che erano impilati sulla sua scrivania. Era un Radcliff molto diverso quello che seguì l'agente di custodia lungo le scale che conduceva alle celle. Daniels era sdraiato sulla branda e teneva gli occhi chiusi. «Mi dispiace di non essere riuscito ad arrivare prima», disse Radcliff sottotono. «Sono rimasto bloccato nel traffico e poi ho parlato con l'ispet-
tore capo Langton.» Daniels si mise a sedere sulla branda e sbadigliò. «Alan, possiamo parlare qui o, se preferisci, posso chiedere che ci venga assegnata una stanza degli interrogatori.» Daniels si alzò e si stiracchiò. «Fammi solo uscire di qui. Nient'altro», disse a bassa voce. «Potrei non essere in grado di farlo, Alan. Le accuse sono molto serie.» Daniels scosse la testa, impaziente, come se si fosse trovato lì per niente di più serio di una multa per sosta vietata. «Chiederò una stanza degli interrogatori.» Radcliff annusò l'aria, disgustato. La cella puzzava di urina e disinfettante. «Non sopporto questi posti. Mi fanno venire la claustrofobia.» Nel frattempo la squadra aspettava nella sala operativa. Ci fu un ritardo ulteriore quando Daniels e il suo avvocato vennero portati in una delle stanze degli interrogatori dove i due discussero a voce bassa. Alle dieci e mezza Radcliff chiese all'agente in uniforme fuori dalla porta di poter parlare con Langton. Considerata la serietà delle accuse, sembrava sicuro di sé. Tuttavia era molto pallido. Anna non aveva ancora avuto occasione di parlare in privato con Langton. Quando arrivarono il caffè e i sandwich per lui, Anna prese il vassoio da Moira e si offrì di portarglielo. Quando aprì la porta, Langton sollevò lo sguardo, infastidito per l'interruzione. «Hai bisogno di qualcosa?» chiese lei. «Niente, solo calma e silenzio.» Quando dieci minuti più tardi Langton riapparve, ben rasato e con un completo grigio e una camicia bianca, nella sala operativa calò il silenzio. «Okay, cominceremo l'interrogatorio di Daniels alle undici in punto. Ho segnato i fascicoli che richiederò.» Si poteva percepire la sua energia. Gli occhi gli brillavano. «Cercate di tenere duro, la stampa sarà in delirio. Ho rilasciato un comunicato per dire che stiamo trattenendo Daniels. I telefoni saranno roventi.» Quando ebbe finito, Anna lo osservò discutere con altri membri della squadra. Sembrava incapace di stare fermo; continuava a camminare e a fare battute. Secondo l'orologio di Anna, mancavano dieci minuti alle undici quando si imbatté in lui nel corridoio. «L'avvocato dice di essere pronto», lo informò. «Hanno riportato Daniels in cella.» «Bene. Chiedi che lo riportino su. Stanza degli interrogatori numero
due.» «Sì, signore.» Mentre gli passava accanto, lui le prese la mano. «Hai ricevuto quella cosa che ti ho mandato?» «Si, ti ringrazio.» Gli sorrise. «Vuoi esserci durante l'interrogatorio?» «Be', ehm, sì, se fosse possibile.» Lui le toccò il punto sbiadito dal sole sulla spalla. «Okay, saremo tu, io e Lewis. A metà dell'interrogatorio, lascerai il posto a Barolli, così lo terremo buono.» «Grazie.» Lui guardò l'orologio, poi rivolse ad Anna un sorriso dolce. «Andiamo, allora.» Il titolo della prima edizione dell'«Evening Standard» era: «Star del cinema arrestata per omicidio». Sulla prima pagina campeggiava una foto di Alan Daniels. Accanto alla sua fotografia ce n'era una di Melissa Stephens. La sera prima Barolli si era messo in contatto con i genitori della ragazza e li aveva avvertiti. Affiancato da due agenti in uniforme, Alan Daniels venne scortato lungo il corridoio verso la stanza degli interrogatori. Da dieci minuti Jean si aggirava sulle scale sperando di riuscire a vederlo bene. Quando le passò accanto, sollevò lo sguardo per un attimo e vide il viso turbato e arrossato di lei. Jean distolse rapidamente lo sguardo e si affrettò a tornare nella sala operativa. «L'ho appena visto», sussurrò a Moira. «Sei stata lì fuori un bel po'», disse seccamente Moira. «Com'era?» «Molto più bello di come appaia sullo schermo. Ha degli occhi incredibili, Moira. E ha una camicia azzurra che li fa sembrare ancora più luminosi.» Arrossì. «Mi ha guardata.» Si sporse verso Moira. «Dov'è Travis?» «È lì dentro con loro. Barolli è incazzato», mormorò Moira. Jean gli lanciò un'occhiata furtiva. Poi disse qualcosa a bassa voce a Moira, che ribatté sbalordita: «Due dozzine?» Jean sussurrò: «Me l'ha detto la ragazza del controllo radio. Rose rosse». «Mi prendi in giro?» «Gliele ha mandate ieri pomeriggio.» Barolli le guardò. «Di cosa state spettegolando?» «Niente», rispose Moira tornando al lavoro.
Jean andò a sedersi dietro la sua scrivania. Le due donne si scambiarono un'occhiata cospiratoria. Seduta vicino alla porta, Anna guardò Langton e Lewis che sedevano di fronte a Daniels e al suo avvocato. Daniels teneva le mani intrecciate davanti a sé, appoggiate sul tavolo. Il registratore e la videocamera erano accesi. Langton prese il primo fascicolo. Estrasse una fotografia e la mise a faccia in giù sul tavolo. «Signor Daniels, ammette di avere posseduto una Mercedes 280 SL azzurra del 1971?» «Sì.» «L'otto febbraio di quest'anno, ha portato il veicolo alla Wreckers Limited per la demolizione?» «Sì.» «Per favore, potrebbe guardare la fotografia e dirmi se riconosce questi sedili?» Anna si piegò leggermente verso destra per osservare la reazione di Daniels. Lui inclinò la testa di lato e scrollò le spalle. «Potrebbe rispondere alla domanda?» «Sono i sedili di una macchina.» «Questa è una ricevuta della Wreckers Limited del pagamento per i sedili della fotografia davanti a lei. Sono stati comprati dopo essere stati rimossi dalla sua Mercedes e successivamente sono stati portati alla Hudson's Motors di Croydon.» «Se lo dice lei.» Daniels non mostrava nemmeno un barlume di interesse e rimase rilassato, le mani ancora appoggiate sul ripiano del tavolo. «Allora ammette che questi sedili sono della sua Mercedes?» «Non posso esserne sicuro.» Langton spiegò che il concessionario della Mercedes che aveva venduto l'auto a Daniels otto mesi prima dell'incidente aveva fatto un controllo e aveva dichiarato che quei sedili provenivano dall'auto del signor Daniels. Infatti erano stati ricoperti su sua richiesta con una pelle di un colore azzurro piuttosto insolito. Avevano un registro completo dei proprietari precedenti ed erano riusciti ad accertare che quei sedili erano proprio della sua Mercedes. «Se lo dice lei», ripeté freddamente Daniels. «C'è anche un numero di serie sulle guide metalliche del sedile anteriore destro, 006731.» Daniels sbottò, impaziente: «Sì, va bene».
Radcliff gli appoggiò una mano sul braccio. «Il signor Daniels ha pagato la demolizione del veicolo. Quindi è piuttosto strano scoprire che i sedili, in seguito, sono stati venduti senza il suo consenso.» «Possiamo continuare? In nome di Dio, che cosa c'entrano i sedili della mia Mercedes con il fatto che mi trovo qui? Se volessi mandare dallo sfasciacarrozze una Rolls Royce nuova di zecca, potrei permetterlo. Quello che a voi può sembrare uno spreco, è stato fatto semplicemente per evitarmi qualsiasi seccatura. Ho un patrimonio considerevole.» Langton prese la fotografia di Melissa Stephens. «Riconosce questa ragazza?» «No. Me lo avete già chiesto.» Langton gli mostrò alcune foto della T-shirt di Melissa, indicando il brillantino mancante. Spiegò che un frammento della pietra mancante era stato rinvenuto nella cucitura del sedile della Mercedes e che gli esperti della scientifica avevano stabilito che proveniva dalla T-shirt di Melissa. «Può spiegarci perché quel frammento è stato scoperto sulla sua Mercedes, signor Daniels?» «Forse è caduto a chi ha rimosso i sedili dall'auto.» «No. Entrambi i sedili sono stati avvolti in plastica da imballaggio e protetti per tutto il periodo in cui sono stati tenuti alla Hudson's.» Daniels si appoggiò allo schienale e sorrise a Langton, sicuro di sé. «Questo è soltanto ciò che sostiene chi ha rimosso i sedili.» Tuttavia, la rabbia nei suoi occhi lo tradiva. Stava cominciando a preoccuparsi. «Melissa Stephens è mai salita sulla sua Mercedes?» «No! Assolutamente no.» «Può dirci dove si trovava la notte del sette febbraio di quest'anno?» Daniels fece una risatina impaziente. «Ve l'ho già detto: sono stato a girare un film in Cornovaglia per tutta quella settimana.» «Anche se è stato impegnato tutta la settimana, ci sono stati quattro giorni in cui non era richiesta la sua presenza sul set.» «Sono rimasto comunque in Cornovaglia.» «Il piano interrato del palazzo di Queen's Gate in cui lei vive è stato preso in affitto da John e Carina Hood. È esatto?» «Sì.» «Ho qui una loro dichiarazione secondo la quale lei è stato a casa durante due di quei quattro giorni. C'è anche un'altra dichiarazione di due membri della troupe che affermano che lei non è rimasto in Cornovaglia per tutto il tempo, come invece sostiene.»
Mentre Langton leggeva le dichiarazioni, Daniels si appoggiò allo schienale della sedia e guardò il soffitto. Quando Langton ebbe finito, disse soltanto: «Le chiedo scusa. Devo essermi sbagliato». «Quindi lei era a Londra il sette febbraio?» «Se lo dice lei. Comunque senza la mia agenda, non posso dirle con esattezza dove fossi. Il mio agente, però, potrebbe fornirle i particolari.» «La segretaria del suo agente ricorda che c'è stato un ritardo nelle riprese dovuto al maltempo e di averle fatto avere il permesso di lasciare la Cornovaglia. Quindi, la sua presenza non è stata richiesta per quattro giorni, dal cinque all'otto febbraio.» Daniels si sporse verso il suo avvocato per sussurrargli qualcosa. Radcliff prese nota delle date poi disse: «Dovremo fare un controllo». Langton lo ignorò e ripeté la domanda a Daniels. «Mentre si trovava a Londra, ha incontrato Melissa Stephens?» «No.» «Quindi sta dicendo di non averla mai vista?» «Esatto; l'ho già detto tre volte.» «In corrispondenza di quelle date, ha guidato la sua Mercedes a Londra?» «È possibile.» «È possibile?» «È possibile che l'abbia guidata ma avevo anche un'altra macchina e un autista a mia disposizione, quindi è piuttosto probabile che non sia stato io a guidarla.» «Quindi ora ammette di essere stato a Londra in quel periodo?» «Sì, direi di sì.» «Ha guidato la sua Mercedes?» «Ne dubito. Come le ho appena detto.» Langton voltò la pagina del fascicolo. «L'autista in questione era Roger Thorton?» «Ehm, sì, credo di sì.» «Il signor Thorton ci ha rilasciato una dichiarazione. Dice di averla accompagnata dalla Cornovaglia alla sua casa di Queen's Gate il cinque febbraio e poi di essere passato a prenderla per riaccompagnarla a Devon, l'otto febbraio, alle quattro del pomeriggio. Secondo Thorton, lei non ha richiesto la sua presenza il sei e il sette febbraio.» Daniels sospirò come se l'interrogatorio lo stesse annoiando. «Quindi, in quei due giorni, ha guidato la sua Mercedes?»
«È possibile.» «L'ultimo giorno, l'otto febbraio, prima di essere riaccompagnato sul set, la mattina si è messo in contatto con la sua compagnia assicurativa.» Langton gli mostrò un memo dell'assicurazione su cui era trascritto un messaggio di Alan Daniels che sosteneva di essere stato coinvolto in un incidente. Anche se non c'erano feriti, secondo il suo messaggio Daniels aveva la sensazione che l'auto non potesse più circolare e di conseguenza chiedeva che venisse cancellata l'assicurazione. Non aveva fatto alcuna richiesta di risarcimento danni né alcun riferimento alla perdita del veicolo. «È stata una perdita piuttosto costosa. Perché non ha chiesto il risarcimento danni?» «Non avevo tempo da perdere», disse Daniels. «Dovevo tornare sul set.» «Ma quella stessa mattina, prima di tornare in Cornovaglia, ha portato la Mercedes dallo sfasciacarrozze, giusto?» «Sì.» «Senza chiedere alcun risarcimento?» «Come ho già dichiarato, a una persona come lei può sembrare strano, ma ho deciso semplicemente di disfarmi della macchina. Infatti, ne ho comprata una nuova pochi giorni dopo.» Langton insistette con calma: «Nessuna richiesta di risarcimento, anche se la sua Mercedes valeva quarantamila sterline». «Probabilmente anche di più. Una fiancata del veicolo era danneggiata gravemente e non volevo perdere il mio bonus. Ha idea di quanto siano alti i premi assicurativi per chi svolge la mia professione? I pezzi di ricambio delle auto d'epoca, inoltre, costano una fortuna. Mi sono limitato a minimizzare le perdite.» «Quindi, ha portato la Mercedes dallo sfasciacarrozze, giusto?» «Sì.» «Allora poteva ancora circolare.» «Ovviamente.» «Ha mai fatto salire Melissa Stephens sulla sua Mercedes?» «No.» «Dove si trovava la notte prima di portare la Mercedes dallo sfasciacarrozze?» «Ero a casa.» «C'è rimasto tutta la notte?» «Sì.» Langton sfogliò il fascicolo ed estrasse di nuovo la dichiarazione degli
inquilini del piano interrato. Ricordavano di aver parlato con lui sul marciapiede davanti alla casa di Queen's Gate alle nove e mezza quella sera. Erano riusciti a essere così precisi riguardo all'ora e alla data perché la conversazione aveva riguardato la decisione di Daniels di dare loro tre mesi di preavviso per lasciare l'appartamento, dal momento che voleva ristrutturarlo. La Mercedes si trovava nel parcheggio dei residenti, sull'altro lato della strada. Avevano anche dichiarato che Daniels era salito in macchina e aveva lasciato Queen's Gate dirigendosi verso Hyde Park. «Quindi, a quanto pare, non è stato a casa tutta la sera.» «Probabilmente sono andato a fare un giro in macchina. Non mi ricordo.» Langton appoggiò davanti a Daniels la foto di Melissa. «Ha incontrato Melissa Stephens?» «No.» «Quindi nega che la ragazza sia mai salita sulla sua Mercedes?» «Sì, naturalmente.» «Sarebbe così gentile da guardare la fotografia di questa leva del cambio? È di un veicolo dello stesso anno e dello stesso modello del suo. Quella che le sto mostrando è un'automatica identica alla sua, siamo d'accordo su questo?» «Sì.» «Ora, sto per mostrarle una fotografia della ferita sul lato destro del collo di Melissa Stephens; una ferita causata, secondo il patologo, premendo con forza la testa della ragazza contro la leva del cambio, che ha lasciato un chiaro segno circolare.» Daniels la guardò distrattamente. «E con questo? A Londra c'è più di una Mercedes. Forse stava facendo un pompino a qualcuno; non lo so.» Radcliff gli toccò il braccio in segno di avvertimento. Langton chiuse lentamente il fascicolo. «Il capello trovato nel sedile della sua Mercedes è stato identificato come appartenente a Melissa Stephens, e questo significa che lei ha mentito.» Radcliff lo interruppe: «Aspetti un attimo. Quei sedili sono stati fuori dall'auto per diverso tempo. È possibile che qualcun altro vi abbia lasciato sopra non solo il brillantino ma anche il capello della ragazza». Anna, osservando Daniels, notò di nuovo il leggero luccichio di un sorriso. «Avete qualche prova inoppugnabile che dimostri che questa ragazza è stata sull'auto del signor Daniels? Perché non penso che queste sarebbero
sufficienti in tribunale.» Langton prese un altro fascicolo che Lewis aveva già aperto. Anna era colpita dal loro lavoro di squadra, dal modo in cui Lewis riusciva a prevedere di cosa avrebbe avuto bisogno Langton. Radcliff continuò: «Sappiamo tutti del trasferimento delle fibre e dato che i sedili sono stati tenuti per...» Langton lo interruppe: «Ricorderà che quando sono stati rimossi, quei sedili sono stati immediatamente avvolti con della plastica da imballaggio, e che la plastica è stata sigillata con del nastro adesivo per impedire che la pelle subisse danni». «Sì, sì, l'ha già detto. Quello che sto dicendo è che una qualunque delle persone che hanno trasportato i sedili o che li hanno tolti dalla macchina potrebbe aver contaminato le vostre prove.» «Questa è una possibilità», ammise Langton. Per un attimo, Langton parve soddisfatto. Daniels cercò di incrociare il suo sguardo come per congratularsi con lui. Langton non batté ciglio. Anna pensò che sembrava un giocatore d'azzardo professionista. «Comunque, gli alibi di entrambi gli uomini sono stati controllati e abbiamo dichiarazioni giurate che la plastica da imballaggio attorno ai sedili non è stata tolta per tutto il tempo in cui sono stati conservati nel garage.» «Ispettore capo, lei sta annaspando. Con o senza alibi, uno dei due uomini avrebbe potuto sapere dove si trovava il cadavere. Potrebbe essere tornato a rimuovere campioni di capelli o qualsiasi altra cosa. Temo che questo non sia sufficiente. Quante settimane sono passate prima che venisse trovato il corpo della ragazza?» insistette Radcliff. Daniels rivolse all'avvocato un sorriso soddisfatto. «Melissa Stephens è morta la notte della sua scomparsa», disse Langton tamburellando con le dita sul tavolo. «I sedili sono stati avvolti nella plastica la mattina dopo; non sono più stati aperti.» «Questa è solo la loro parola, però, giusto?» «Non solo la parola dei due meccanici ma anche quella dell'addetto alle vernici e del venditore. Inoltre, tenga presente che se il nastro fosse stato rimosso in qualsiasi momento, avrebbe danneggiato la plastica da imballaggio. Invece la plastica era ancora intatta. Quindi, le prove che abbiamo raccolto dai sedili della macchina non sono state contaminate.» Radcliff inarcò un sopracciglio, apparentemente sicuro che avrebbe potuto facilmente confutare quella spiegazione in tribunale. Anna tornò a
guardare Daniels che ora sembrava più sicuro di sé e si dondolava leggermente avanti e indietro sulla sedia. Langton tese una mano e Lewis gli passò un fascicolo. Langton estrasse alcune fotografie. «Fotografia uno del fascicolo due: un primo piano del morso sulla lingua di Melissa Stephens.» Fu come un fulmine a ciel sereno. Radcliff sbatté le palpebre. Non ne sapeva niente. «Un morso?» chiese cautamente. «La fotografia due proviene dal registro dentale del suo cliente. È la fotografia di un calco realizzato da un dentista di Los Angeles. Come può vedere, i denti del signor Daniels sono stati incapsulati di recente. Il lavoro è stato svolto durante il mese di marzo di quest'anno. «Queste sono state rinvenute nello studio del signor Daniels.» Langton estrasse un'altra serie di lastre e fotografie. «Il signor Daniels ci ha detto che si trattava delle sue lastre. A quanto pare non sono del signor Daniels e quindi non sono dei suoi denti.» Lentamente, Langton estrasse dal fascicolo un ingrandimento della bocca di Daniels fotografata mentre si esibiva in un ampio sorriso. Un righello era stato posizionato accanto alla bocca per misurarne le dimensioni esatte. «Questa è stata scattata due anni fa per una pubblicità della miniserie Falcon Bay. Come può vedere, il signor Daniels ha un ampio sorriso e non ha ancora i denti incapsulati.» Daniels si sporse in avanti, sorridendo. «Mi hanno fatto un ottimo lavoro, vero?» disse a Radcliff. Ma l'avvocato aveva intuito l'arrivo di una stoccata e sembrava più incline a prendere le distanze dal suo cliente che a scherzare con lui. «Ecco un'altra fotografia del morso sulla lingua di Melissa Stephens.» Langton la posò accanto all'immagine della bocca sorridente di Daniels. Prese due lucidi colorati e li sovrappose. «Come può vedere, i denti e il segno del morso coincidevano perfettamente prima che il signor Daniels si facesse incapsulare i denti. Questo dimostra senza ombra di dubbio che è stato il suo cliente a mordere la lingua di Melissa Stephens, così come non c'è alcun dubbio sul fatto che Melissa Stephens si trovasse sul sedile del passeggero sulla Mercedes Benz del signor Daniels.» Radcliff stava sudando. Trascorse alcuni lunghi istanti a rigirarsi tra le mani le fotografie. Anna notò le minuscole gocce di sudore che gli erano apparse sopra il labbro superiore. Daniels invece restò impassibile. Anna
pensò che si fosse dimenticato della sua presenza finché non si spostò leggermente di lato e la fissò con un sogghigno appena percepibile, prima di tornare a osservare Langton. Lei si sentì raggelare per l'orrore. Nessun altro si era accorto dell'intimità di ciò che era appena accaduto. Le orecchie le fischiavano al punto che riuscì a stento a distinguere la voce di Langton. «Non abbiamo trovato la punta della lingua di Melissa quando abbiamo controllato il contenuto dello stomaco e non è stata trovata nemmeno sul luogo del delitto. Quindi, suppongo che il suo cliente l'abbia o sputata o mangiata. In ogni caso, siamo in grado di dimostrare che è stato il signor Daniels a mordere la lingua di Melissa Stephens.» Vi fu una breve pausa mentre Lewis riponeva le foto nel fascicolo. «Glielo chiedo di nuovo, signor Daniels», disse bruscamente Langton, «la notte del sette febbraio ha incontrato Melissa Stephens?» Radcliff si sporse verso il suo cliente e si coprì la bocca mentre gli sussurrava qualcosa. «Per favore, risponda alla domanda», disse Langton. «No comment», disse Daniels. Langton risucchiò un respiro tra i denti, deluso. L'ultima cosa che voleva era che Daniels si servisse del «no comment» per rispondere alle altre domande. Decise di cambiare tattica, cosa di cui informò Lewis con un bigliettino. Lewis annuì e prese il fascicolo su McDowell. «Conosce John McDowell?» «Sì.» «Quando l'ha visto l'ultima volta?» Daniels scrollò le spalle e rispose che doveva essere stato vent'anni prima. «Vent'anni fa John McDowell gestiva un nightclub di successo, giusto?» «Sì, è esatto.» Langton aveva deciso di cominciare a parlare di McDowell sapendo che Daniels non avrebbe resistito. Ora che l'attenzione era stata allontanata da Melissa Stephens, l'ispettore capo continuò a porre al sospetto domande per spingerlo ancora una volta con le spalle al muro. «Potrebbe descrivermi McDowell? Stiamo cercando di capire che tipo di uomo sia.» «Be', era grossolano, volgare. Proteggeva le puttane che battevano davanti al suo club. Era anche fissato con la forma fisica quando frequentava la sua casa.» «La casa di chi?»
«La casa di Lilian Duffy», rispose Daniels, seccamente. «Può dirmi qual era il suo rapporto con Lilian Duffy?» «Era una prostituta. Gestiva la casa di Shallcotte Street come un bordello.» «Ma qual è il suo rapporto con Lilian Duffy?» Daniels si morse il labbro inferiore. Odiava usare quella parola. «Che cos'è per lei Lilian Duffy?» insistette Langton. «Mia madre», rispose arretrando con la sedia. «Lei alla nascita si chiamava Anthony Duffy?» «Sì.» «E afferma di non aver mai visto McDowell negli ultimi vent'anni?» «Sì.» Langton premette «play» su un registratore. «Le farò ascoltare un nastro; è la registrazione di una telefonata che lei ha fatto al sergente Travis.» Radcliff sollevò una mano. «Cos'è questa storia?» «È la registrazione di una telefonata che il suo cliente ha fatto al sergente Travis.» Langton si voltò e indicò Anna. «Avete registrato la telefonata?» «Sì, esatto.» Radcliff si rivolse a Daniels. «Sapevi che stavano registrando la telefonata?» «Naturalmente no. Eravamo andati insieme al balletto.» Daniels strizzò l'occhio ad Anna. «Abbiamo passato una serata piacevole, non è vero?» Raddrizzò le spalle. «Non c'era ragione per cui non dovessi chiamarla. Soprattutto dopo che lei ci aveva provato con me quella prima sera.» Langton fece partire il nastro e osservò le reazioni di Daniels, le sue occhiate maliziose ad Anna e il modo in cui si sporgeva verso Radcliff per parlargli a bassa voce. Alla fine della registrazione, Langton fermò il nastro. «Ammette che questa è la sua voce?» «Sì. Perché diavolo dovrei negare di averla chiamata?» Radcliff si sporse in avanti e agitò l'indice verso Langton. «Quali giustificazioni avete per aver registrato una telefonata personale del mio cliente?» «Eravamo preoccupati per la sicurezza del sergente Travis.» «Preoccupati?» Daniels rimase a bocca aperta. «Avevamo i nostri buoni motivi. Durante il vostro cosiddetto "appunta-
mento" siete stati tenuti sotto sorveglianza. Parte di questa registrazione è stata fatta mentre il suo cliente si trovava nell'appartamento del sergente Travis.» «Cosa?» Daniels stava perdendo la calma. «Mentre lei si trovava nel suo appartamento, il sergente Travis ha lasciato aperta la comunicazione. Stava lavorando come agente sotto copertura per la nostra indagine.» «Per quale ragione?» «Direi che è piuttosto ovvio. Lei era il sospetto in un'indagine per omicidio. E direi che il sergente Travis ha fatto un ottimo lavoro. Lei non si è accorto delle sue intenzioni e noi abbiamo ottenuto il risultato che volevamo.» Daniels si sporse in avanti coprendo quasi tutta la larghezza del tavolo. «E cioè?» «Siamo stati in grado di confermare che si è introdotto nell'appartamento del sergente Travis. E da quel momento in avanti è stato tenuto sotto sorveglianza.» «Sono stato nel suo appartamento quella sera su suo invito. E allora?» «In precedenza, si era introdotto illegalmente nell'appartamento del sergente Travis.» «No.» «Abbiamo le sue impronte digitali, signor Daniels, rilevate nell'appartamento del sergente Travis.» «E io vi ho appena detto che sono stato suo ospite. Sarebbe strano se non aveste trovato lì le mie impronte.» «Le impronte di cui parlo, signor Daniels, sono state rilevate prima della prima sera in cui lei è stato lì.» Lewis estrasse una fotografia della cornice chiusa in un busta per le prove. «Questa cornice è stata portata a far analizzare dal sergente Travis prima di quella sera. Le impronte sono state confrontate con la banconota con cui lei ha pagato un programma all'Opera House.» Daniels ruotò la testa come se avesse il collo irrigidito. Langton continuò: «Poco fa ha descritto McDowell come un fanatico della forma fisica che gestiva un night-club di successo, giusto?» «Sì, vent'anni fa, sì.» Langton gli fece riascoltare il nastro nel punto in cui descriveva McDowell come un miserabile ubriacone. «Come faceva a sapere che ora, dopo vent'anni, il signor McDowell è un ubriacone, se non lo ha visto di recen-
te?» «È una conclusione logica; già allora era un forte bevitore.» «Ma all'epoca era un uomo d'affari di successo. Lo ha detto lei stesso. Come faceva a essere al corrente della sua attuale condizione?» «Ho tirato a indovinare.» «Io direi che è stato un po' più di questo, non è vero? Ha fatto riferimento ai suoi attuali problemi con l'alcol per ben due volte. Quindi deduco che lei abbia visto McDowell di recente.» «No, non è vero.» «Sembra anche che lei sia al corrente di alcune informazioni che riguardano certi oggetti rinvenuti nell'abitazione di McDowell.» Daniels si rivolse a Radcliff con un sorriso astuto. «Questo è un palese tentativo di incastrarmi. La donna, Travis, mi ha parlato della condizione di McDowell. Mi ha anche detto delle borse che avete trovato a casa sua.» «Borse?» «Sì, avete trovato tre borse delle vittime. Lo so. Me lo ha detto lei.» Langton riavvolse il nastro. «Per favore, riascolti la telefonata.» Daniels cominciava a essere davvero teso. «Questa è una trappola.» Guardò di nuovo Radcliff. «Questo nastro è una stronzata. Probabilmente lo hanno manipolato.» «Si limiti ad ascoltare la registrazione, per favore, signor Daniels.» Il registratore venne messo di nuovo in funzione. Radcliff ascoltò attentamente; poi si voltò a guardare Anna prima di raddrizzare le spalle e riprendere ad ascoltare, picchiettando con la penna sul suo taccuino. Quando la registrazione finì, Langton scostò il registratore ed espulse il nastro. «Signor Daniels, è pronto a prendere parte a un confronto all'americana?» Daniels si pizzicò in mezzo alle sopracciglia. «Sono un attore conosciuto. È assurdo pensare che abbiate trovato dodici uomini che mi assomiglino. Se così fosse, la mia carriera sarebbe in grave pericolo», rise. Langton non riuscì a trattenersi. «Credo che questa sarà una conclusione inevitabile.» Anna cambiò posizione sulla sedia. Non riusciva a capire perché Langton avesse spostato l'attenzione dalle domande su Melissa. Aveva l'impressione che l'interrogatorio stesse perdendo mordente e anche Daniels sembrava essersene accorto. Stava diventando più espansivo e sembrava sempre in procinto di alzarsi dalla sedia. A volte pareva più interessato a ciò che stava accadendo fuori quando si sentivano le voci delle persone
che passavano in corridoio. «Quindi rifiuta di partecipare al confronto?» Radcliff picchiettò sul tavolo con la stilografica. «Concordo con il signor Daniels. Considerando la celebrità del mio cliente, l'idea di un confronto è ridicola.» Poi l'avvocato guardò Langton. «Non mi è chiaro perché voglia far partecipare il mio cliente a un confronto, soprattutto se il signor McDowell non ha alcun collegamento con il caso di Melissa Stephens.» «McDowell conosceva le altre vittime. Signor Radcliff, credo che il suo cliente sia responsabile anche delle loro morti. E il fatto che sapesse che tre borse delle vittime erano state ritrovate da McDowell ci fa ipotizzare che sia stato proprio lui nascondere lì quelle prove.» «Come siete giunti a questa conclusione?» Langton prese di nuovo il registratore. «Ascoltiamo di nuovo il nastro. Il sergente Travis non fa mai riferimento alle "borse", al plurale, ma parla invece di una "borsetta". È il signor Daniels a usare il plurale nella registrazione. Ed è il signor Daniels che davanti a voi, come può testimoniare la ripresa di questo interrogatorio, ha detto che sono state recuperate tre borse.» «Era solo un'ipotesi.» Radcliff fece un ampio gesto con la mano. «Sapeva che stavate indagando su diverse vittime.» Langton colpì il ripiano del tavolo con il palmo della mano. «Un'ipotesi? È il numero esatto: non una, non due, ma tre! Ha descritto McDowell come un ubriacone anche se dichiara di non vederlo da vent'anni.» Radcliff cominciava a essere agitato. «Mi sta dicendo che ha intenzione di accusare il mio cliente di un altro omicidio oltre a quello di Melissa Stephens? O forse di più omicidi?» «È una possibilità, sì.» «Che noia», disse Daniels. «D'accordo, accetto il confronto, ma sarà un terribile spreco di tempo.» Bussarono alla porta e apparve l'agente Barolli. Langton riferì ad alta voce il suo arrivo per la registrazione audio. Poi guardò un biglietto che Barolli gli aveva appena passato e la busta di plastica che aveva portato con sé. «Propongo una pausa di cinque minuti per andare alla toilette», disse Langton ai presenti. Quando Daniels disse bruscamente che non ne aveva bisogno, Langton gli disse allegramente che invece lui ne aveva bisogno. Prese la busta di Barolli ed estrasse un berretto da baseball che appoggiò sul tavolo. Sempre a beneficio della registrazione audio, spiegò che
era stato portato il berretto e lo sollevò per mostrarlo alla videocamera. Quando Radcliff si alzò, Langton si offrì di indicargli la toilette. Lewis porse ad Anna il biglietto portato da Barolli. Mentre Daniels la guardava, lesse il messaggio che diceva che McDowell stava arrivando per l'identificazione e che, per il confronto, Barolli aveva selezionato una serie di agenti e di altri impiegati della centrale che erano all'incirca della stessa altezza e della stessa corporatura di Daniels. Daniels si sporse sul tavolo verso Anna. «Tu, piccola falsa...» Lewis disse in tono tagliente: «Signor Daniels, resti seduto, per favore». Era come se il sospetto avesse intuito che c'era qualcosa che non andava. Lentamente, spinse indietro la sedia. «Rimanga seduto, per favore», ripeté Lewis freddamente. Daniels tornò ad appoggiarsi allo schienale mentre Langton entrava nella stanza. «Siamo pronti a portare il signor Daniels nella stanza delle identificazioni.» «Dov'è il mio avvocato?», ringhiò lui. «Assisterà al confronto, signor Daniels.» Radcliff si era appena sciacquato il viso con l'acqua gelata e stava osservando disgustato il rotolo con l'asciugamano in tessuto, quando Langton entrò nel bagno. «Un testimone è stato portato nella stanza dei confronti. Vorrei che mi accompagnasse e che assistesse alla possibile identificazione.» «È una mossa piuttosto infida», disse Radcliff. «Non capisco che cosa voglia ottenere, date le circostanze.» L'avvocato si passò tra i capelli un piccolo pettine che poi si infilò in tasca quindi, con un cenno, disse a Langton che era pronto. Mentre i due uomini percorrevano il corridoio, McDowell, ammanettato a Barolli, stava arrivando dalla direzione opposta con indosso la salopette della prigione e una camicia di jeans. Il suo comportamento denotava un netto miglioramento. Sembrava molto più presente. «'Giorno», rivolse un sogghigno a Langton. «Buongiorno, signor McDowell. Può entrare qui, per favore?» Langton gli indicò la stanza dell'identificazione. L'ambiente era piccolo e vuoto, c'erano soltanto due sedie dallo schienale rigido. «Signor McDowell, deve rispondere sinceramente alle domande che sto per porle. Mi ha capito?»
«Sì.» «Voglio che guardi nella stanza oltre il vetro e mi dica se riconosce qualcuno degli uomini in piedi davanti a lei. Si prenda il tempo che le serve. Se riconosce qualcuno, mi dica se è lo stesso uomo che l'ha avvicinata mentre era al suo posto di lavoro a Manchester.» McDowell annuì. «Ha capito che cosa le ho chiesto di fare?» «Sì. Devo guardare quei tizi e dirle se uno è lo straniero con cui ho parlato. È così, no?» «Precisamente.» Langton premette il pulsante per indicare che stavano per sollevare le veneziane dalla loro parte del vetro. Una luce rossa prese a lampeggiare. Nella stanza accanto, Daniels entrò insieme a Lewis. C'erano otto uomini immobili e dai volti inespressivi che indossavano berretti da baseball identici. Lewis gli porse il berretto. «Signor Daniels, può scegliere il punto che vuole nella fila», disse poi a bassa voce. Daniels si calcò il berretto in testa coprendosi il volto con la visiera e osservò la fila di uomini. Scelse di mettersi al centro: quattro uomini alla sua destra e quattro alla sua sinistra. A ciascuno venne dato un cartello con un numero. A Daniels toccò il numero cinque. «Signor Daniels, potrebbe alzare il bavero della giacca?» Daniels sollevò il bavero fino al mento. Langton vide che la luce rossa dalla loro parte aveva smesso di pulsare, il che significava che erano pronti. Fece segno a McDowell di avvicinarsi al vetro a specchio. Le spalle curve di McDowell occupavano quasi tutta la finestra. Rimase lì, sporgendo il mento in avanti, a fissare gli uomini nell'altra stanza per diversi lunghi istanti. Langton rimase deluso quando si accorse che McDowell non aveva riconosciuto Daniels immediatamente e stava per interrompere il confronto, quando McDowell si voltò verso di lui. «Sì, eccolo. È il numero cinque. Il cappellino da baseball. Era questo il problema. Ma, sì, direi che è lui.» «Grazie, signor McDowell.» Langton spense la luce e abbassò la veneziana. Mentre Langton accompagnava Radcliff fuori dalla stanza, Barolli attese un momento prima di riportare McDowell in cella. Daniels si tenne il ber-
retto in testa, e avanzando verso la stanza degli interrogatori girò la visiera di lato, sogghignando. Radcliff glielo levò con un gesto brusco. Langton disse ad alta voce che erano tornati e che l'interrogatorio sarebbe continuato. Attese qualche istante prima di rivolgersi al sospetto. «Signor Daniels, lei è accusato dell'omicidio di Melissa Stephens.» «Lo avevo capito», disse Daniels con aria annoiata. Lewis porse a Langton una cartelletta che conteneva le fotografie di tutte le vittime e l'ispettore capo continuò: «Vorrei cominciare a interrogarla in relazione agli omicidi di Lilian Duffy e di Teresa Booth...» Sul tavolo vennero posate due foto. «Kathleen Keegan...» Venne aggiunta una terza fotografia. «Barbara Whittle...» Una quarta. «Sandra Donaldson...» Langton stava per prendere la fotografia della vittima successiva, quando Daniels, con aria di scherno, lo interruppe: «Beryl Villiers e Mary Murphy». Daniels raddrizzò le spalle e si appoggiò allo schienale della sedia. Sembrava un serpente arrotolato, pensò Anna. Tutti lo stavano fissando e lui sorrise, enigmatico. «Thelma Delray, Sadie Zadine e Maria Courtney.» Langton finì di disporre sul tavolo le fotografie. Coprivano il ripiano per intero. Anna sedeva irrigidita. Non riusciva a credere a ciò che stava accadendo. Nessuno di loro ci riusciva. Lewis lanciò un'occhiata a Langton. Nessuno parlò. Radcliff fissò il suo cliente, ipnotizzato dalla sua voce calma e inespressiva. Daniels allungò una mano e toccò lievemente ciascuna fotografia. Sospirò e cominciò a contare. «Una, due, tre, quattro.» Inclinò la testa di lato. «Ne manca una. Melissa; dov'è la mia bellissima Melissa?» Trovò la foto di Melissa e la mise sotto le altre. Cominciò a sistemare le foto delle donne nell'ordine in cui erano state uccise. Quando ebbe finito, sollevò lo sguardo. «Sono tutte mie.» Prese le foto e se le strinse al petto con le braccia. «Signor Daniels, confessa di aver ucciso tutte queste donne?» «Sì.» Radcliff stava tremando, il volto pallido. «Gesù!» mormorò.
Daniels posò le foto davanti a sé in una pila ordinata. «Sono pronto, quando volete», disse a bassa voce. Sollevò la fotografia di sua madre, Lilian Duffy. Indicò Langton. «No, non voglio che ci sia lui seduto davanti a me.» Si voltò lentamente verso Anna. «Si deve sedere lei al suo posto, altrimenti non dirò una parola di più. La voglio qui al tavolo, davanti a me. Queste sono le mie condizioni.» Langton e Anna si guardarono negli occhi per un istante. Lei annuì quasi impercettibilmente. Langton tornò a rivolgersi a Daniels. «Faremo una pausa per il pranzo. Dopodiché, il sergente Travis si sederà di fronte a lei, signor Daniels.» Daniels sorrise. «La ringrazio.» Con le dita sfiorò distrattamente il volto di Melissa Stephens. Anna si sentì gelare il sangue nelle vene. 21. Langton chiese ad Anna di raggiungerlo nel suo ufficio. Si era accorto che era ancora scossa per la richiesta di Daniels. «Te la senti di affrontarlo?» Lei annuì stordita e scrollò lievemente le spalle. «Non riesco ancora a credere che abbia confessato gli omicidi. Pensavo che ci sarebbero voluto giorni interi.» Langton scosse la testa. «Abbiamo troppe prove contro di lui e lui lo sa. Sarebbe riuscito solo a prolungare la sua agonia. Credo che dovremmo discutere insieme la linea da tenere durante l'interrogatorio. E, comunque, potrebbero volerci giorni interi; non è ancora finita.» «Perché credi che mi voglia seduta davanti a lui?» «Non so come funzioni la sua mente malata. Forse crede che tu gli abbia fatto fare la figura dello stupido. Quale che sia la ragione, di sicuro cercherà di godersi ogni istante; è un uomo perverso e ascoltarlo non sarà piacevole. Vorrà vedere le tue reazioni.» «E se non reagissi per niente?» «Allora, lo sconfiggeresti perché il suo scopo è spezzarti, farti del male.» Anna chiuse gli occhi, poi li aprì e fissò il volto preoccupato di Langton. «Maniaco bastardo», disse. «Cominciamo subito, voglio essere pronta per lui.»
Barolli raggiunse Lewis all'ora di pranzo e rimase confuso quando scoprì che per il resto dell'interrogatorio Anna sarebbe stata seduta davanti a Daniels. Poi Lewis gli diede la notizia bomba. «Ha confessato tutti gli omicidi.» «Cristo, tutti?» «Sì, compresi quelli americani.» La notizia della confessione si diffuse in fretta nella sala operativa. Moira rabbrividì pensando alla situazione di Anna. «È come mettere un agnellino davanti a un lupo affamato.» Jean turbò tutti ricordando che nel caso di Fred West, una testimone aveva avuto un esaurimento nervoso dopo aver ascoltato gli orribili dettagli degli omicidi e che da quel momento non era più riuscita a lavorare. «Poi ha fatto causa al distretto di polizia, vero?» ricordò Moira. Barolli e Lewis si scambiarono un'occhiata; poi tutti e quattro spostarono involontariamente lo sguardo sulle veneziane dell'ufficio di Langton dietro le quali si poteva vedere la sagoma di Anna. «Che Dio l'aiuti!» disse Jean. Gli altri annuirono e poi ciascuno si diresse alla propria scrivania. L'ufficio stampa era stato inondato di telefonate. Era in preparazione un nuovo comunicato che confermava che gli agenti stavano trattenendo Alan Daniels per interrogarlo sull'omicidio di Melissa Stephens e che l'attore stava aiutando la polizia nelle indagini su una serie di altri delitti. L'«Evening Standard» stava preparando un'edizione speciale sull'arresto di Daniels. I notiziari televisivi stavano cercando di accaparrarsi il maggior numero possibile di filmati di Daniels e i giornalisti avevano cominciato a radunarsi davanti alla centrale, come avvoltoi. Langton tornò dalla pausa pranzo. Anna aveva mangiato qualcosa seduta alla scrivania del suo ufficio studiando i fascicoli e gli appunti preliminari di Langton. «Lo hanno riportato nella stanza degli interrogatori. Sei pronta?» Lei sollevò lo sguardo e annuì. Non aveva avuto nemmeno il tempo di calmarsi. «Hai bisogno di andare in bagno?» «Sì, meglio che ci vada.» «Okay, ti aspetto davanti alla stanza degli interrogatori. Hai tutto quello che ti serve?»
«Sì.» «Ottimo. Cerca di non avere fretta. Non permettergli di sconvolgerti e non dimenticare mai che sono lì con te.» «D'accordo.» Langton si mise a riordinare i fascicoli e lei si diresse verso la toilette delle signore. Entrò nella cabina e si sedette sul water, cercando di costringersi a fare pipì. Era troppo tesa; niente da fare. Strinse i denti. «Andiamo! Falla.» Alla fine rinunciò. Andò a lavarsi le mani e si guardò nello specchio. «Proteggimi, papà», sussurrò. Raddrizzò le spalle e si diresse verso la porta. Anna stava salendo le scale diretta alla stanza degli interrogatori quando incontrò Lewis che le augurò buona fortuna. «Grazie.» «È da parte di tutti noi.» Langton la stava già aspettando quando lei si incamminò lungo il corridoio. Le sorrise. «I fascicoli sono già pronti sul tavolo. Dovrai leggergli di nuovo i suoi diritti.» «Lo so.» Langton sembrava ancora più nervoso di lei, cosa che in qualche modo la calmò. Entrarono insieme nella stanza degli interrogatori. Daniels si era lavato la faccia e aveva i capelli pettinati all'indietro; sembravano bagnati. Lei evitò di guardarlo e si sedette. Langton prese posto alle spalle di Anna e Radcliff si sedette accanto a Daniels. Anna seguì il protocollo e controllò che il nastro fosse nel registratore e la videocamera fosse accesa. Guardò l'orologio e dichiarò l'ora, il luogo e i nomi dei presenti. Quando ebbe finito di leggere a Daniels i suoi diritti, lui si sporse in avanti e in tono soave disse: «Te la stai cavando proprio bene. Sono fiero di te». Lei arrossì per l'imbarazzo. Trascorse qualche istante a esaminare il primo fascicolo e a ricomporsi, poi sollevò il capo e guardò Daniels dritto negli occhi. Lui sostenne il suo sguardo senza nemmeno sbattere le palpebre. Anche se ricordava il consiglio di Barolli, «guardalo negli occhi; aspetta la sua paura», in quello sguardo non c'era alcuna traccia di paura. Anzi, l'uomo che un tempo si era chiamato Anthony Duffy dava l'impressione di godersi il disagio che provavano tutti i presenti. Anna cominciò.
«Signor Daniels, questa mattina ha confessato di aver ucciso Lilian Duffy. Potrebbe dirmi qual era il suo rapporto con la vittima?» «Lo sai benissimo, Anna», disse lui tranquillo. «Le chiedo di dirmelo.» «Era la mia genitrice.» Fece una smorfia piena di disprezzo. Anna si appoggiò allo schienale. Sul tavolo in mezzo a loro c'era la fotografia di Lilian Duffy. «Può dirmi chi è la persona ritratta in questa foto?» «È lei, ovviamente.» «Potrebbe identificare la persona nella foto, signor Daniels?» In quel momento, Anna colse un lampo di rabbia. «È Lilian Duffy», ringhiò lui. «La puttana che mi ha partorito.» Anna pronunciò la parola che lui stava evitando. «Come ha ucciso sua madre?» «Non vuoi sapere "perché"?» le chiese lui colpendo la foto con il palmo della mano. «Non vuoi conoscere prima il mio movente?» Lei esitò. Nel silenzio, Langton premette una mano sullo schienale della sedia di Anna come per spronarla a procedere. Daniels continuò, ignorando Langton: «Quando avevo cinque anni, mi ha messo in una vasca piena di acqua bollente. Io ho cominciato a urlare. Lei ha gridato che non voleva farmi male, che non sapeva che l'acqua fosse così calda, ma la verità è che era così fatta che non se n'era accorta. Altrimenti avrebbe notato il vapore che saliva. Mi ha preso in braccio, avevo ustioni dappertutto sulle gambe, sulla schiena, sulle natiche. Quando sono andate in suppurazione, mi ha dovuto portare al pronto soccorso. Sono venuti quelli dei servizi sociali per controllare se avessi subito degli abusi. Lei ha raccontato che avevo riempito da solo la vasca e loro le hanno creduto. Quando se ne sono andati, mi ha preso a schiaffi perché l'avevo messa nei guai e mi ha detto che se avessi raccontato qualcosa a qualcuno, la prossima volta mi avrebbe tenuto sott'acqua e mi avrebbe annegato. Quando ero bambino, avevo il terrore di fare il bagno». Anna lo interruppe: «Per favore, potrebbe parlarmi di...» Lui colpì di nuovo il ripiano del tavolo. «Non interrompermi più, cazzo! Ti sto spiegando il mio movente, stupida puttana. Se lo vuoi, mi devi ascoltare. Devi ascoltare quello che lei mi ha fatto. Poi capirai, poi qualcuno capirà, perché l'ho uccisa.» «Abbiamo il rapporto degli assistenti sociali che sono stati...» «Stronzate! Non m'interessa. Erano un branco di idioti. Andavo a scuola coi lividi sulle gambe ma erano il tipo di lividi che ti puoi fare quando sei
un bambino e cadi dalle scale. Costole rotte, braccia rotte - è questo che ti capita quando sei un bambino e giochi in strada con dei bambini un po' vivaci. Non hanno fatto niente! A parte rendere la mia vita ancora più difficile. Dopo che erano stati da noi, lei mi pestava selvaggiamente. Dormivo in un armadio per la biancheria su un materasso che puzzava di piscio e lei mi ci chiudeva dentro per notti e giorni interi quando voleva darmi una lezione.» Chiuse gli occhi. «C'era una fessura tra le assi attraverso cui filtrava un po' di luce. L'armadio era nel bagno, davanti al water. Dato che non potevo fare nient'altro, stavo a guardare quelle puttane che si lavavano la fica, che si radevano le ascelle. Usavano un irrigatore di gomma per lavarsi le loro fiche puzzolenti, i loro culi schifosi pieni di sperma. Lavavano la loro sudicia biancheria intima e appendevano i loro collant gocciolanti e i loro reggiseni macchiati di sudore su una corda sopra la vasca da bagno. Le vedevo farsi le pere, bruciare la droga, sniffare di tutto. Vedevo i loro cosiddetti ragazzi scoparsele contro il muro, i loro magnaccia, grossi bastardi neri con i culi sudati che se le sbattevano, e nessuno, nessuno ha mai anche solo pensato di aprire quell'armadio per farmi uscire.» «Le altre donne...» Daniels colpì di nuovo il tavolo con il palmo della mano. «Quante volte te lo devo ripetere, Anna? Lei non voleva lasciarmi andare perché, quando ho compiuto sette anni, ha cominciato a usarmi per fare soldi. Prova a immaginare come una come lei poteva guadagnare grazie a un bambino, grazie a suo figlio.» Anna dovette ascoltare racconti di tale depravazione e abusi sessuali così orrendi che la sua mente stentava ad accettarli. Daniels disse di essere stato costretto ad avere rapporti anali con molti uomini, di essere stato fotografato mentre li succhiava e raccontò della confusione che aveva provato, ancora bambino, nell'accorgersi di provare piacere quando le donne gli succhiavano il pene. Era stato costretto a dare spettacolo per qualsiasi pervertito disposto a pagare sua madre per il privilegio di scoparsi suo figlio, e quando aveva tentato di rifiutarsi era stato picchiato e chiuso in quell'armadio. Era stato salvato da un insegnante che aveva fatto un controllo nelle docce dei ragazzi dopo una partita di calcio. I lividi e le lesioni ai polsi erano troppo evidenti per non essere notati; era stato legato molte volte perché non si ribellasse durante la penetrazione. L'insegnante aveva denunciato quegli abusi.
Daniels chiuse gli occhi mentre descriveva come si era sentito quando era stato portato via da lì e di come per un po' avesse avuto tregua dagli abusi. Ma Lilian Duffy era stata capace di convincere i servizi sociali ad affidarle di nuovo la custodia del figlio. Scherzò dicendo che forse aveva ereditato il suo talento dalla madre. «Sapendo quanti soldi potevo farle fare, si è sentita ispirata e ha fatto un'interpretazione da Oscar della madre amorevole. Così, sono stato riportato all'inferno.» Disse di avere urlato mentre lo portavano via «dall'unica vera famiglia che abbia mai conosciuto», tuttavia, nel descrivere quella scena, Daniels mostrò solo una gelida rabbia per i genitori affidatari. Alla fine, la salvezza per lui era arrivata quando aveva raggiunto l'età in cui una sua testimonianza avrebbe potuto far incriminare la madre. Poi c'era stata la gita scolastica per cui avrebbe avuto bisogno di un passaporto. Sua madre gli aveva sbattuto in faccia il fatto che suo padre avrebbe potuto essere praticamente chiunque. Raccontò di quando aveva cercato disperatamente sua madre e di quanto si infuriò nel trovarla in un vicolo con un cliente. «Non mi ha nemmeno riconosciuto. Quella puttana era fuori di testa tanto era incazzata.» Cominciò a ridere. «Comunque, lui se n'è andato e io l'ho presa per la gola e l'ho spinta contro il muro. L'ho violentata; gliel'ho sbattuto dentro; volevo farla a pezzi.» Nel fascicolo davanti a lei, Anna aveva tutte le dichiarazioni su quell'incidente, dell'ex detective Southwood, di McDowell e dell'agente che li aveva interrogati a Manchester. Erano tutte versioni differenti, con punti di vista differenti sull'aggressione. La dichiarazione originale di Lilian Duffy era andata perduta nell'incendio alla centrale di polizia, ma ora stavano ascoltando il racconto terribile e spietato del figlio. Daniels si guardò la mani, si massaggiò un'unghia. «Quella troia ubriacona mi ha denunciato. Così sono andato in quel buco di merda dove vivevano tutte loro e ho sbattuto lei in quell'armadio. Dovevate vedere quanto le è piaciuto! Ce l'ho tenuta dentro tutta la notte finché non ha promesso di ritirare le accuse. Appena l'ho lasciata uscire, quella vecchia puttana è andata alla polizia e mi ha identificato. Così ho dovuto pestarla un'altra volta.» Daniels spiegò che la madre, il giorno dopo, aveva ritirato la denuncia. Fece un gesto ampio e teatrale. «Ormai aveva paura di me. Le cose erano cambiate. Era arrivato il momento di fargliela pagare. Così ho cominciato a pianificare fin nei minimi particolari il modo in cui l'avrei uccisa.» La sua espressione si fece allegra mentre, in tono pacato, continuava:
«Vedi, ho preso in prestito la macchina di un amico, una vecchia Rover. Sono rimasto ad aspettare. L'ho guardata mentre batteva al suo solito posto. Mentre fermava i clienti in macchina a si chinava a parlargli.» Mimò il gesto di qualcuno che abbassava il finestrino di una macchina. «Era fuori di testa. Non riusciva nemmeno a camminare dritta.» Fece un accento straniero: «Ciao, tesoro. Vuoi fare un giro con me?» Si appoggiò allo schienale della sedia. «E così è salita. Comunque dice "Anthony, a che gioco stai giocando?" e io le dico: "Mi è piaciuto scoparti. Voglio farlo di nuovo. Ho una gran voglia". E lei: "Oh, sei proprio un bambino cattivo". Comincia a sbottonarsi la camicetta. Ma io le dico che voglio che si sdrai, che voglio farlo come si deve; non contro un muro o in un vicolo, ma come un vero uomo che vuole fare l'amore. Le ho mostrato dei soldi. Comunque, lei si era già eccitata. «Ho guidato fino a quel campo abbandonato. Scendiamo dalla macchina e lei comincia a spogliarsi, vuole farlo veramente. A quel punto io le dico: "Togliti il reggiseno, mamma". E lei se lo toglie. "Voglio farlo come piace a te." Le lego le mani strette, era il tipo di cose che piacevano a lei. Ci mettiamo a camminare, io dietro di lei che la spingo. Poi lei si sdraia per terra con le gambe aperte. E non vede l'ora, dice che farà tutto quello che voglio, dice che mi ama e io le dico che è bellissima e le tolgo quegli schifosi collant.» Daniels inclinò la testa di lato e guardò Anna con un sorriso seducente. «Così, ecco la mia mammina: sdraiata lì per terra mentre le levo i collant, e mi sorride mentre glieli avvolgo attorno al collo una, due volte, e le dico "Lo so che ti piace così" e lei fa una risatina.» Daniels allargò le mani e poi le unì. «Be', allora io continuo a stringere sempre di più e lei comincia a lottare. Io mi chino su di lei, sempre più vicino, voglio vederla morire e faccio un nodo alle calze. Poi mi metto a cavalcioni e la guardo mentre annaspa e soffoca. Lei non poteva fermarmi: aveva le mani legate dietro la schiena.» «Ha avuto un rapporto sessuale con lei?» Anna sapeva che non avevano il DNA dato che al momento del ritrovamento il corpo della vittima era già troppo decomposto. «Oh, certo, l'ho scopata. Ho fatto in modo che mi guardasse mentre la strangolavo. Ma ho sbagliato i tempi. Non ero ancora perfetto, allora, capisci? È morta prima che riuscissi a venire.» Daniels scoppiò a ridere. «Il cazzo mi è diventato subito moscio. Ma mentre ero sopra di lei e guardavo la luce che abbandonava i suoi occhi, ho pensato che quella era la giustizia
perfetta. Lei è stata la mia prima.» Anna gli chiese di indicarle con esattezza su una cartina il punto in cui era avvenuto l'omicidio. Lui si accigliò mentre guardava la cartina poi la ruotò. «Oh, giusto, eravamo qui. C'è un deposito di autobus qui e a circa un chilometro e mezzo un quartiere di case popolari.» Prese una delle matite di Anna e con cura segnò la zona con una X. Poi le restituì la cartina e la matita. «In galera, quel tizio disgustoso mi ha interrogato per ore e ore.» «Si chiamava Southwood?» intervenne Anna. «Sì, proprio lui. L'ho riconosciuto subito. Be', era come una riunione di famiglia. Si scopava mia madre, come quasi chiunque a Manchester. Ma non avevano niente per incastrarmi, così mi hanno dovuto rilasciare.» Anna era affascinata dal fatto che la voce di Daniels fosse passata da un tono modulato e aristocratico a un accento del nord e poi di nuovo al tono aristocratico. Con l'accento della sua infanzia, il timbro della sua voce assumeva un forte suono nasale. Le venne in mente una domanda importante che aveva in programma di porgli. «Ha tenuto un trofeo dell'omicidio di sua madre?» «Cosa?» «La notte in cui l'ha uccisa, le ha portato via qualcosa?» Daniels annuì. «Ho capito dove vuoi arrivare. Sì, aveva lasciato la borsa in macchina: ventidue sterline, qualche preservativo e i suoi trucchi. Ho cominciato a truccarmi anch'io con la sua roba. Mi eccitava, sai.» «Perché?» «Perché mi ricordava di quando l'avevo guardata morire.» «Ha ancora quella borsa?» Lui agitò un dito verso di lei. «Sì, sì. Ce l'ho ancora.» «Dov'è?» «Magari te lo dirò più tardi.» «È importante che lei me lo dica ora.» «Perché?» «Perché sarebbe la prova che mi sta dicendo la verità.» «Non mi credi, Anna?» chiese lui sbattendo le ciglia con aria innocente. «Potrebbe aver recitato per tutto questo interrogatorio. Dopotutto, lei è un attore famoso, signor Daniels», disse lei calma anche se si sentiva lo stomaco stretto in una morsa. «Oh, sì, capisco. Nel bagno di casa mia c'è un grande armadio: pannelli di vetro fatti su misura seguendo le mie istruzioni. Tirate fuori tutto. C'è un
pannello sul fondo che si stacca. È lì che sono tutte. Non avreste mai trovato quel nascondiglio senza di me. Avete perquisito il mio appartamento e siete rimasti a mani vuote. Ah, scrivi anche questo, Anna. Ho preso tre borse e le ho nascoste a casa di McDowell.» Langton si alzò e uscì. A beneficio della registrazione audio, Anna disse ad alta voce che l'ispettore capo Langton aveva lasciato la stanza degli interrogatori. Anna prese il fascicolo di Kathleen Keegan ed estrasse la sua fotografia. «Potrebbe identificare questa donna, signor Daniels?» Lui gettò una rapida occhiata alla foto. «Kathleen Keegan. Una disgustosa vecchia puttana e in questa fotografia sembra anche meno peggio di quello che era. Pesava centodieci chili, quella vecchia vacca cicciona. Un pezzo di merda persino peggiore di mia madre.» «Ha ucciso lei Kathleen Keegan?» Lui sogghignò, appoggiando le braccia distese sul tavolo. «Puoi scommetterci la tua dolce fighetta, Anna.» Fuori dalla stanza degli interrogatori, Langton stava parlando con Lewis. Gli chiese di tenere una macchina pronta. Controllò l'orologio e disse che avrebbero smesso alle quattro. A quel punto avrebbero portato Daniels nel suo appartamento che sarebbe stato perquisito in presenza del suo avvocato. «Come se la sta cavando Travis?» chiese Lewis. «Bene», rispose Langton. «Ma tra poco avrà bisogno di una pausa.» Quando Langton tornò a sedersi nella stanza degli interrogatori, Daniels gli strizzò l'occhio poi indicò Anna con un cenno del capo. «Mi stava chiedendo come ho fatto a convincere Kathleen a venire con me. Non si è perso molto. Ho detto a Kathleen che conoscevo un uomo molto ricco, un arabo, che voleva una donna con una pancia enorme. La stronza mi ha creduto veramente. E si è persino messa tutta elegante. Quella volta ho preso in prestito il furgone di un mio amico. Faceva l'imbianchino e il decoratore. Così, ho tolto una delle sue scale e un po' della sua roba e ho messo una coperta nel retro. Kathleen continuava a toccarmi la gamba con le sue mani grasse, diceva che mi avrebbe dato una fetta di quello che avrebbe guadagnato. Aveva le dita come banane e mi stringeva.» Emise una risata bassa e dura. Daniels descrisse il disgustoso omicidio di Kathleen Keegan; le aveva detto di andare ad aspettare l'arabo nel retro del furgone. Disse che la don-
na ormai si era spogliata quasi del tutto e lui le aveva detto di mettersi a pancia in giù perché l'arabo stava per arrivare. «Era molto forte anche con le mani legate dietro la schiena.» Ridacchiando, disse che era stato come sollevare una «balena arenata» dal retro del furgone e che il corpo della donna era rimbalzato sulle erbacce. «Non è stato facile, credimi; era come un fottuto sacco pieno di piombo. A quel punto ero esausto, non volevo prendermi uno strappo alla schiena, così l'ho lasciata lì e basta.» «Ha avuto rapporti sessuali con Kathleen Keegan?» «Una volta, in ricordo dei vecchi tempi. Volevo che mi guardasse mentre le stringevo i collant attorno a quel suo collo ciccione. Ci ha messo parecchio tempo a morire, così ero distrutto quando ho riportato il furgone al mio amico. Gli ho dato anche dieci sterline che lei aveva nella borsa. Lui mi ha detto "Che cosa hai fatto? Sei sudato come un maiale." E io gli ho risposto "Esattamente questo: ho fatto il maiale."» Il volto di Radcliff ormai era cinereo. Non riusciva a capacitarsi dei monologhi del suo cliente e dell'evidente piacere che Daniels provava nel rievocare gli omicidi; quelle immagini avrebbero ossessionato l'avvocato per sempre. Daniels veniva di rado interrotto da Anna ma, quando accadeva, l'avvertiva rabbiosamente che non avrebbe continuato la sua confessione se lei non se ne fosse stata zitta ad ascoltare. Anna trovava sempre più faticoso restare concentrata senza mostrare alcuna emozione. Il bisogno di Daniels di avere la sua attenzione incondizionata cominciava a logorarla. Talvolta, quando lui si sporgeva in avanti, le si avvicinava talmente tanto che poteva sentire il suo fiato che le accarezzava il volto. Di nuovo, quando gli venne mostrata la cartina della zona in cui era stata ritrovata Kathleen Keegan, Daniels fu in grado di indicare il punto esatto in cui aveva scaricato il corpo. Quando Anna gli chiese dove abitasse all'epoca dell'omicidio, fu meno collaborativo e si limitò a dire che si trasferiva spesso e cambiava spesso lavoro e che solo quattro anni più tardi si sarebbe trasferito definitivamente a Londra. Poi le raccontò che aveva cominciato ad andare a teatro da ragazzino. «Conosci il Manchester Library Theatre?» «No, non lo conosco», rispose lei. «Ho trovato un lavoro lì come addetto alle pulizie. Potevo guardare le prove e assistere agli spettacoli gratis ogni sera, se volevo. È stato così che ho scoperto che cosa volevo fare nella vita.» Daniels disse di aver preso lezioni di recitazione e di essere riuscito a farsi affidare piccoli ruoli.
«Il regista una volta mi ha preso da parte. "Anthony", mi ha detto, "hai molto talento. Questa dovrebbe essere la tua professione."» Si appoggiò allo schienale e continuò in tono esuberante: «Ero più bravo di molti degli attori che recitavano lì. Così, per cominciare ho cambiato nome. C'era un altro attore che si chiamava Duffy, e comunque odiavo quel nome. Così, sono diventato Alan Daniels e sono andato a vivere a Londra. Ormai ero iscritto al sindacato per via di tutti i lavori che avevo fatto a teatro, così mi sono messo in cerca di un agente». Anna gettò un'occhiata furtiva all'orologio prima di estrarre una fotografia della vittima successiva, Teresa Booth. Mise la foto sul tavolo. «Conosce questa donna, signor Daniels?» «Oh, ti sto annoiando? Non vuoi sapere dei miei ruoli in televisione, di come sono diventato famoso?» «Per favore, risponda alla domanda, signor Daniels.» Lui sospirò, irritato. «Quella è Teresa Booth e stai incasinando tutto: l'ho uccisa prima.» Si sporse in avanti e batté un dito sulla foto. «Dopo Teresa ho fatto fuori Sandra Donaldson. Se l'era proprio cercata!» «Ha ucciso Sandra Donaldson?» «Sì, certo. Era veramente insopportabile, sempre drogata. Una sera ha avuto il coraggio di presentarsi a teatro e mi ha detto "Tony, ho bisogno di un po' di grana. Mi puoi aiutare?"» Daniels sbadigliò massaggiandosi le tempie, poi appoggiò i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani intrecciate. «Aveva un impermeabile in pvc, le scarpe bianche coi tacchi a spillo e la faccia così truccata che sembrava un clown.» «Questo è accaduto a Londra?» «Sì. Veniva sempre arrestata a Manchester per prostituzione e così aveva cominciato a spostarsi a Londra nei week-end. Io lavoravo al Player's Theatre, mi guadagnavo da vivere facendo il macchinista e un po' di tv, ancora niente di molto eccitante. Lei deve avermi visto entrare nel teatro, altrimenti non so come avrebbe fatto a trovarmi.» Daniels raccontò di aver convinto Sandra a seguirlo dicendole che conosceva un cliente che l'avrebbe pagata bene. Scosse la testa. «Queste troie sono talmente stupide. Questa in particolare non aveva un granché ai piani superiori.» Fece una croce sulla cartina in corrispondenza del punto del parco in cui si era incontrato con lei e descrisse dettagliatamente dove l'aveva portata. «L'ho fatta fuori con i collant e il reggiseno, proprio come le altre.» Rac-
contò di come aveva scaricato il corpo. «Quella stupida puttana aveva quasi trenta sterline. Così le ho prese e sono tornato a casa in taxi. Il giorno dopo, mi ha chiamato il mio agente per dirmi che avevo un'audizione importante, per una serie televisiva.» Langton si alzò in piedi. «Credo che dovremmo interrompere qui.» «Oh, il grand'uomo ha parlato», disse Daniels in tono sarcastico. «Continueremo l'interrogatorio domattina.» Mentre Anna si lavava la faccia, Moira entrò nella toilette delle signore per dirle che era richiesta la sua presenza nella sala operativa. Daniels si rifiutava di ritornare nella casa di Queen's Gate a meno che non fosse stata Anna ad accompagnarlo. «Adesso?» Si sentiva completamente svuotata. «Vogliono perquisire il posto prima che lui e l'avvocato possano riconvenire.» «Ah, okay. Moira, puoi dirgli che arrivo subito? Ho bisogno ancora di un minuto.» Moira le appoggiò una mano sulla spalla. «Tutto questo dev'essere terribile. Anna, se mai avessi bisogno di parlarne con qualcuno, sappi che sono a tua disposizione.» «Ti ringrazio», disse Anna piena di gratitudine. «Continua così, tesoro.» Moira la abbracciò brevemente. «Siamo tutti con te. Al cento percento.» Quando Moira se ne fu andata, Anna provò l'improvviso bisogno di mettersi a urlare. Daniels, ammanettato, sedeva accanto ad Anna sui sedili posteriori dell'auto di pattuglia. La centrale era stata presa d'assedio dai giornalisti e Anna notò che ce n'erano altrettanti in attesa davanti al palazzo di Queen's Gate. «Cazzo», disse Langton. La testa di Daniels ciondolava in avanti. «Vuole una coperta per nascondersi il viso, signor Daniels?» «Cosa?» Lui si svegliò di soprassalto. «La stampa è qui in forze. Possiamo coprirle la testa.» Daniels seguì lo sguardo di Langton oltre il finestrino. «No, grazie.» Fece un'imitazione di Gloria Swanson, gettandosi indietro i capelli. «Sono pronto per il mio primo piano, signor de Mille.» Mentre Daniels saliva i gradini che portavano alla sua abitazione, gli a-
genti in uniforme tennero a bada i giornalisti. Malgrado i polsi ammanettati, Daniels sorrideva e probabilmente si sarebbe anche messo in posa per farsi fotografare se Langton non lo avesse fatto entrare. I flash delle macchine fotografiche erano accecanti e Anna ripensò alle grida e al clamore della loro serata al balletto. Una volta in casa, attesero l'arrivo di due esperti della scientifica, poi si diressero subito nel bagno. L'armadio era molto grande, con le ante a specchio. Tolsero pile di lenzuola e asciugamani piegati ordinatamente. Daniels era in piedi accanto a Langton. Radcliff praticamente non aprì bocca; seguì la perquisizione prendendo una gran quantità di appunti. L'avvocato trovava disgustosa quella situazione, Anna lo vedeva chiaramente. L'armadio era molto più grande di quanto sembrasse. Quando ebbero finito di sgombrarlo, Daniels indicò loro un pannello nella parte destra. «Premetelo. Si aprirà.» Uno dei due esperti della scientifica che indossava una tuta bianca premette il pannello con un dito della mano guantata. Tutta la parete di fondo dell'armadio scivolò rivelando uno spazio angusto in cui si trovavano un materasso e un cuscino. «Le vecchie abitudini sono dure a morire», sussurrò Daniels. Guardò Anna che era in piedi appena oltre la soglia della stanza. L'esperto della scientifica prese una grande scatola di cartone, l'appoggiò sul pavimento e l'aprì. Conteneva le borse delle vittime, ciascuna chiusa in una busta di plastica trasparente. L'uomo estrasse uno alla volta i perversi trofei di Daniels, il suo tesoro nascosto. Anna fece una doccia e si preparò una tazza di cioccolata calda. Essere di nuovo a casa era un sollievo. Quando Langton le aveva chiesto se se la sentisse di restare da sola, lei aveva risposto di sì con convinzione, preferendo trascorrere quelle ore a prepararsi per l'interrogatorio della mattina successiva. Si sentiva malissimo. Si rannicchiò sotto la trapunta, senza aver nemmeno toccato la cioccolata, una pila di fascicoli accanto al letto. La testa le pulsava di un dolore sordo, che non se ne andò nemmeno quando prese un paio di aspirine. Si addormentò con la luce accesa sul comodino. Tre ore più tardi si svegliò, terrorizzata dai mostri nascosti tra le ombre e dai volti delle donne morte che un istante prima la fissavano maligne e lascive e un istante dopo gridavano in preda all'agonia. Anche se la testa continuava a farle male, le immagini non se ne andarono. Anna si alzò per prendere altre due aspirine e un bicchiere d'acqua. Controllò tutte le serra-
ture. La porta dello sgabuzzino in cui teneva l'aspirapolvere e i prodotti della casa era socchiusa. Strinse i pugni, si avvicinò e la spalancò. Una scopa e uno spazzolone caddero fuori colpendola in faccia; imprecò rimettendoli a posto. Mentre chiudeva la porta, l'immagine di un bambino terrorizzato chiuso per giorni e notti in un luogo del genere le riempì la mente. Tornata a letto, Anna si avvolse nella trapunta. Una volta diventato adulto, Daniels era rimasto intrappolato nel terrore dell'armadio buio. Anna sapeva di essere stata fortunata perché aveva avuto dei genitori amorevoli, perché non aveva mai conosciuto il rifiuto o l'abuso. Suo padre non aveva mai portato a casa le tenebre. Ricordava solo un'occasione in cui gli si era seduta in braccio e aveva sentito il dolore che lo tormentava. Adesso capiva quel dolore perché stava tormentando anche lei: Daniels aveva invaso la sua vita con una perversione soffocante. Le lacrime, che per tutto il giorno erano rimaste appena sotto la superficie, presero a scorrere; Anna pianse singhiozzando come una bambina. Alla fine scivolò in un sonno profondo, che venne interrotto dal suono della sveglia. Si preparò la colazione e sedette al bancone della cucina a studiare i fascicoli. Alle otto era già vestita e pronta a uscire. I dubbi della notte precedente si erano dissolti. La notte aveva cambiato anche l'atteggiamento di Daniels. Non sembrava più pomposo e arrogante quando, alle nove e mezza, ricominciò l'interrogatorio. Anna esordì chiedendo a Daniels della sesta vittima: Mary Murphy. Quindi della quarta: Barbara Whittle. All'ora di pranzo erano arrivati a Beryl Villiers. Daniels disse che Beryl era «diversa» dalle altre. Incolpava McDowell perché aveva ridotto una ragazza giovane, bella e vitale a una povera drogata. Disse che sua madre la usava quando era così fatta che non sapeva nemmeno che giorno fosse. «Beryl stava sprofondando. Mi dispiaceva per lei, così ho posto fine alle sue sofferenze. Non sopportavo l'idea di guardarla ridursi a una vecchia troia da quattro soldi.» Anna notò che per ben tre volte Daniels aveva detto quanto gli piacesse Beryl. Alla fine, lo corresse. «Beryl non era tossicodipendente quando è stata assassinata.» «Cosa?» «Beryl Villiers non era dipendente dalla droga quando è stato trovato il suo cadavere. In effetti, era pulita ormai da parecchio tempo. Era anche molto più giovane delle sue vittime precedenti.»
«Cosa vorresti dire, Anna?» chiese lui accigliandosi. «È mai stato in grado di mantenere una relazione con una donna?» «Cosa?» «Ha mai avuto una relazione sessuale con una donna?» «Ho conosciuto molte donne bellissime e sexy.» «Non è questo che le ho chiesto. Le ho chiesto se ha mai avuto una vera e propria relazione sessuale?» «Be', senz'altro, Anna, sei nella posizione di azzardare una risposta.» Inclinò la testa di lato con un sorriso provocatorio. Lei si affrettò ad abbassare lo sguardo sui suoi appunti. Soddisfatto per essere riuscito a metterla in imbarazzo, Daniels scrollò le spalle. «Ma che diavolo, la risposta è abbastanza ovvia se si ha un minimo di intelligenza. No.» «Ha mai avuto relazioni sessuali normali?» «No. Faccio sesso solo con le prostitute.» «In molti casi erano donne che le ricordavano sua madre e il suo stile di vita?» «Non ho mai fatto del male a una donna che non fosse un rifiuto dell'umanità. È per questo che i casi sono rimasti irrisolti tanto a lungo.» Si chinò di lato per guardare Langton che sedeva al suo solito posto, alle spalle di Anna. «Erano rifiuti della società. Nessuno ha sentito la loro mancanza. Nessuno si è accorto che non c'erano più. A nessuno importava. In realtà, stavo dando una mano alla società: ho tolto dalle strade delle drogate e ubriacone.» «Eppure le trovava sessualmente attraenti?» «Trovavo attraente te, Anna, però non ti ho scopata.» Sbadigliò in modo ostentato. «Tutto questo non ci sta portando da nessuna parte. Adesso sono stanco, non ho più voglia di parlarne.» «Melissa Stephens aveva diciassette anni ed era vergine. Come rientra questo omicidio nella sua pianificata pulizia delle strade?» Lui la fulminò con lo sguardo. «Era a Soho e camminava sul marciapiede. Era una puttana. Ci ha provato con me. È per questo che l'ho caricata.» «No, non era una puttana.» Daniels arricciò le labbra, rabbioso. «Sì, invece. Mi ha riconosciuto. Ha detto "So chi è lei! Lei è Alan Daniels."» «Così le ha chiesto di salire a bordo della sua auto? La Mercedes?» «È corsa dalla parte del passeggero. Non vedeva l'ora. Credimi, era del
mestiere.» «No. E lei ha preso una ragazza innocente e l'ha uccisa solo per il gusto di farlo.» Il volto di lui era una maschera di furia. Spinse indietro la sedia e sbottò: «Okay. Ha cominciato a gridare. Io le ho detto "Smettila di gridare!" ma lei non voleva saperne. Stava cercando di scendere dalla macchina. Mio Dio, chiunque avrebbe potuto vederci. Allora la prendo per i capelli e le tengo giù la testa. Un attimo dopo, lei si lascia cadere sul sedile con un gemito. Svenuta. Be', non potevo lasciarla andare, giusto? Mi aveva riconosciuto, capisci? Sapeva chi ero. Dovevo sbarazzarmi di lei. Non mi ha lasciato altra scelta». Si stava massaggiando la testa in preda alla frustrazione. «Non era una puttana. Era dolce e innocente, come il bambino nella foto che mi hai mostrato.» «Cristo, quante volte te lo devo ripetere? Mi aveva riconosciuto. Sapeva chi cazzo ero. Era svenuta. Ho guidato con lei sul sedile del passeggero per buona parte della notte. Dovevo farlo. Dovevo ucciderla. Lei mi conosceva...» Chiuse gli occhi. «Il suo corpo era perfetto, sodo e liscio. Era bellissima. Allora le ho tolto il reggiseno, l'ho voltata e le ho legato quelle mani pulite e belle. Poi l'ho girata. Era perfetta; era così pulita e bella...» Tacque per un attimo stringendo gli occhi e tenendo i pugni chiusi sopra le ginocchia. Raccontò di averle tolto i collant e di essersi chinato per avvolgerglieli attorno al collo. Melissa Stephens era la prima ragazza giovane con cui avesse mai fatto sesso e quando aveva ripreso i sensi, lui era ancora dentro di lei. «Stava gemendo. Io volevo che stesse zitta. Ma lei non la smetteva. Poi ha cominciato a urlare, a implorarmi di non farle del male e io... è stato allora che...» Trasse un profondo respiro e disse che l'aveva baciata come non aveva mai baciato una donna in vita sua. Anna ascoltò disgustata la fantasia di Daniels in cui un omicidio diventava un atto di romanticismo e la sofferenza della vittima suscitava in lui solo autocommiserazione. Ma non aveva intenzione di fargliela passare liscia. «Ma non l'hai solo baciata, vero? Vero?» gli chiese freddamente. Lui spalancò gli occhi e Anna vide per la prima volta la sua paura. Riuscì a scorgerla perché ormai lo conosceva. E proprio per questo adesso Daniels era terrorizzato da lei. Anna aveva visto i recessi più oscuri della sua anima. Senza perdere il controllo delle sue emozioni, continuò: «Le hai staccato
un pezzo di lingua e te lo sei mangiato». «Non volevo. È solo che volevo che smettesse di gridare.» «Melissa non ha mai avuto nemmeno una chance. Si fidava di te; ti ammirava.» Daniels balzò in piedi urlando: «Risparmiami la tua lezioncina del cazzo, troia! Tu dovevi essere la prossima!» Langton intervenne e dopo una breve lotta riuscì a farlo tornare a sedere. Anna accusò ufficialmente Alan Daniels di undici omicidi compresi quelli delle tre donne uccise negli Stati Uniti; a ogni nome, Daniels mormorò «Sì» per confermare di essere l'autore dell'omicidio. All'ottavo «Sì», chinò la testa e socchiuse gli occhi. Faceva pensare a un rettile addormentato. Quando Anna arrivò all'ultimo nome, quello di Melissa Stephens, lui sollevò lo sguardo. La paura sembrava scomparsa. Si appoggiò allo schienale della sedia. «Vedrai. Non farò un solo giorno di prigione.» Anna inarcò un sopracciglio, poi raccolse i fascicoli. Langton le tenne la porta aperta e lei lasciò la stanza senza lanciarsi nemmeno un'occhiata alle spalle. Era finita. Più tardi, quel pomeriggio, Daniels venne portato alla prigione di Wandsworth in attesa del processo. Il suo avvocato, Radcliff, non fece nemmeno richiesta per l'uscita su cauzione. McDowell venne rilasciato dato che le accuse a suo carico erano state ritirate. Gli vennero dati i soldi per tornare a Manchester in treno dove sarebbe stato processato per possesso e spaccio di stupefacenti. In seguito sarebbe stato convocato come testimone dell'accusa. L'astinenza dall'alcol lo faceva sentire in forma e sicuro di sé ma non appena fu salito sul treno alla stazione di Euston, si diresse verso la carrozza ristorante. I tabloid pubblicarono articoli e articoli e i telegiornali mostrarono vecchi filmati di Daniels. Vennero intervistati attori e attrici che avevano lavorato con lui. La sua fama cresceva ogni giorno. Il suo nome era sulla bocca di tutti. La celebrità che aveva tanto desiderato adesso era sua ma, nella cella d'isolamento in cui era rinchiuso, se ne accorse a malapena. Langton e la squadra si rassegnarono a restare nella sala operativa finché non fosse stato portato via l'ultimo scatolone di prove. Ci vollero giorni a prepararli e alla fine, alla difesa e all'accusa, vennero forniti centoventi scatoloni di fascicoli e dichiarazioni. Melissa Stephens era stata sepolta con una piccola cerimonia privata.
Due settimane dopo venne celebrata una messa in suo onore e la squadra partecipò al completo. I suoi genitori avevano organizzato un bellissimo servizio funebre e ringraziarono gli agenti dal pulpito per aver permesso alla figlia di riposare in pace. Tutti i membri della squadra si alzarono in piedi e cantarono uno degli inni preferiti di Melissa: «All Things Bright and Beautiful». La famiglia della ragazza non permise alla brutalità della sua morte di rovinare la cerimonia. Melissa era stata tutto ciò di cui parlava l'inno: luminosa e bellissima. Sarebbe stata ricordata con amore e con orgoglio. Quella cerimonia fu per tutti la commovente celebrazione della breve vita di Melissa. Langton e Anna passarono la giornata a riempire scatoloni. Quando lui la invitò a cena per quella sera, lei accettò e decisero di andare a mangiare in un ristorante italiano. Lei avrebbe dovuto passare a prenderlo alle otto. Anna rifletté a lungo su cosa indossare. Mentre rovistava nell'armadio, vide il vestito che si era messa quando era stata al balletto con Daniels; lo appallottolò in un sacchetto di plastica e lo gettò nella spazzatura. Anna aveva portato la Mini in un'officina per far sistemare le ammaccature e per un controllo completo. Quando le dissero che la sua auto non sarebbe stata pronta prima di un paio di giorni, prenotò un taxi per andare a prendere Langton. Non c'era molto traffico e il taxi arrivò alla casa di Langton con qualche minuto di anticipo: giusto in tempo per permettere ad Anna di vedere Nina che se ne andava e Langton che la salutava con un bacio. Anna disse al tassista di portarla direttamente al ristorante. Durante il tragitto, telefonò a Langton e gli disse di raggiungerla lì. Lui arrivò con mezz'ora di ritardo, ma era chiaro che si era preso molta cura del proprio aspetto. Sedettero a un tavolino illuminato dalle candele e chiacchierarono come vecchi amici anche se era la prima volta che restavano soli dopo quell'unica notte che avevano passato insieme. Langton era affascinante e Anna non si sentiva per niente a disagio. A differenza di lui, lei sapeva benissimo come sarebbe finita quella serata. «Sembri diversa», le disse lui quando il cameriere si allontanò. Fino a quel momento avevano chiacchierato solo di cose di poca importanza. «Davvero?» «Sì. Più sicura di te, credo. Non voglio passare la serata a parlare di lavoro ma sei stata straordinaria. Tuo padre sarebbe molto fiero di te.» «Ti ringrazio. Non che non abbia avuto i miei dubbi.»
«Su cosa?» «Non ero certa di farcela. O, meglio, non ero certa di poter ricominciare. Sai: un altro caso, un'altra vittima.» «E?» «Melissa Stephens è stata decisiva. Vedere la soddisfazione dei suoi genitori quando Daniels è stato assicurato alla giustizia mi ha fatto capire che ne valeva la pena. È stato allora che ho capito che volevo restare con la Squadra omicidi.» «Capisco.» «Ho passato una notte ad autocommiserarmi, a soffrire per la ragnatela di squallore e abusi e violenze in cui eravamo stati trascinati. Mi è persino sembrato di riuscire a capire perché Daniels è diventato quello che è. Ma poi mi sono resa conto che non ha ucciso Melissa per via di sua madre. Lei era innocente e lui ha capito di aver commesso uno sbaglio appena l'ha fatta salire sulla sua macchina. L'ha uccisa per proteggersi. Proteggere la sua immagine e negare la sua follia per lui era più importante che risparmiarle la vita.» Langton annuì. «Anzi, se non lo avessimo fermato, lei sarebbe stato l'inizio di un nuovo ciclo in cui avrebbe ucciso per l'eccitazione sessuale. Alla fine, con Melissa, Daniels è riuscito ad amare il sesso. Non si trattava più solo di vendetta.» L'argomento che avevano deciso di evitare più di ogni altro li coinvolse appassionatamente per il resto della cena. Langton parve irritato quando lei propose di fare a metà con il conto, ma mentre lasciavano il ristorante le circondò le spalle con il braccio e le propose di accompagnarla a casa. «Ehm, no, grazie. Prenderò un taxi.» «Come?» Sul volto di Langton si rincorsero sorpresa e delusione. «Avrei voluto dirtelo al ristorante. Per quanto riguarda quello che è successo tra di noi: non voglio andare oltre. Mi dispiace. È solo che quando abbiamo cominciato a parlare del caso...» «Perché?» «Perché forse lavoreremo ancora insieme e penso che dovremmo mantenere il nostro rapporto su un piano professionale.» Lui non riuscì a nascondere il proprio stupore. «Se è questo che vuoi», disse allontanandosi di un passo da lei. «Sì, è questo che voglio.» «Lascia almeno che ti accompagni a casa», disse lui, riprendendosi in fretta. «Sono venuto in macchina.»
«No, davvero. Voglio prendere un taxi. Ci vediamo domani al lavoro.» «Cos'è successo? Voglio dire, è per qualcosa che ho detto? O per qualcosa che ho fatto? Andiamo, Anna, dimmi qual è il problema.» Anna trasse un profondo respiro. «Be', credo che tu abbia delle questioni personali...» «Che tipo di questioni personali?» «Per esempio la tua ex moglie che sembra faccia ancora parte della tua vita.» «Be', è complicato, te l'ho detto, per via di Kitty e... sì: a volte viene da me quando non ha niente di meglio da fare. Ma non capisco come questo abbia qualcosa a che fare con noi.» D'un tratto Anna si sentì molto più matura di lui. Scosse la testa. «Non ha niente a che vedere con me ma ha molto a che fare con te. La tua vita è come un groviglio.» «Che cosa?» Anna sospirò. «Un groviglio, che forse varrebbe la pena districare.» «Cosa?» «È come quando prendi un gomitolo di spago e se lo vuoi usare di nuovo devi fare di tutto per districarlo...» «Un cazzo di gomitolo di spago? Di cosa stai parlando?» «Sto parlando di te. La tua vita privata è un groviglio.» «E cosa ne sai della mia vita privata?» «Non arrabbiarti con me solo perché sono sincera. Ti sto dicendo che non penso che tu sia ancora riuscito ad accettare la perdita della tua prima moglie e che adesso che ci sono tua figlia e Nina...» «Viene a trovarmi solo ogni tanto, quando Kitty...» «Ho intenzione di prendere sul serio la mia carriera. Vorrei lavorare di nuovo con te. E penso che una relazione tra di noi sarebbe un ostacolo. Non voglio diventare parte del groviglio.» Lei si alzò in punta di piedi per baciarlo sulla guancia. Aveva scordato quanto le piacessero la sua pelle e il suo profumo. Si sentì attraversare da un'ondata di emozione, forte abbastanza da mettere a dura prova la sua determinazione, ma lui si scostò, il volto arrossato. «Be', di sicuro, ci vedremo domani mattina. Alla centrale.» «Sì. Grazie della cena.» «È stato un piacere», disse lui allontanandosi e voltandosi a borbottare un «Buonanotte» al di sopra della spalla. Lei rimase a guardarlo per un attimo. Vedendo che aveva i pugni chiusi e le braccia rigide lungo i fianchi,
Anna si accorse che era arrabbiato. Si voltò. Decise di non prendere subito un taxi ma di camminare per un po'. Era immersa nei suoi pensieri quando l'auto di lui la raggiunse e così non notò l'espressione sul suo volto mentre le passava accanto. Lui era al volante della vecchia Volvo marrone che era stata parcheggiata accanto alla sua Mini il suo primo giorno alla stazione; la stessa macchina che, senza dubbio, le aveva graffiato la fiancata. Osservando la sua rossina che camminava tranquillamente per strada, Langton desiderò scendere dalla macchina e andare a prenderla tra le braccia. Ma non lo fece sapendo che Anna probabilmente aveva ragione, che forse avrebbero lavorato ancora insieme. Le storie che aveva avuto con le donne della sua squadra non avevano mai funzionato. Ma Anna aveva ragione anche a un livello più profondo. Lui non aveva mai superato la morte della prima moglie e Kitty lo teneva intrappolato nel suo rapporto con Nina. Lanciò un'occhiata nello specchietto retrovisore. Anna stava guardando nella vetrina di un negozio un elegante completo di Amanda Wakeley. Nessuna scoloritura sulla spalla. Alan Daniels aveva chiesto della carta da lettere e gli era stato dato un blocco a righe della prigione. In cima al foglio, in stampatello, scrisse PER ANNA, e poi sotto continuò con la sua elaborata calligrafia: «Le persone pensano che per recitare sia necessario un ego gigantesco ma il punto, in realtà, è dove metterlo, dove conservarlo. Continui a spostare la consapevolezza tra le diverse parti di te. Recitare è una questione di energia. Solo quando recitavo ero in pace con me stesso perché non ero più Anthony Duffy, il bambino intrappolato nell'armadio. Addio, Anna». Aveva passato due giorni e due notti in una cella, ben più di quanto avesse predetto. Sempre pieno di risorse, aveva nascosto il sacchetto di plastica degli abiti puliti che gli era stato permesso di portare alla stazione. Se lo infilò in testa e se lo strinse attorno al collo, quasi con la stessa forza che aveva usato per strangolare le sue vittime. Il sacchetto aderiva a tal punto al suo viso che gli agenti, che dovevano controllarlo ogni quindici minuti, pensarono che stesse dormendo. Fu solo al controllo delle due del pomeriggio, quando lo spioncino venne aperto, che in loro sorse il sospetto. Aveva le mani strette dietro la schiena; un'ultima ostentazione della sua volontà di morire. Anna apprese la notizia la mattina dopo. Si rifiutò di leggere o di ascoltare il contenuto del biglietto che era indirizzato a lei. Provò un enorme sollievo quando si rese conto che non avrebbe dovuto affrontarlo durante
un lungo processo. Quella era la soluzione migliore per lei, anche se come al solito Alan Daniels aveva pensato solo a sé stesso. Per festeggiare la propria «liberazione», Anna andò a comprarsi un nuovo completo. Mentre guardava la commessa che lo avvolgeva in un sottile foglio di carta velina prima di metterlo nella scatola, si rese conto di essere pronta per il prossimo caso. Nella sua prima indagine, si era fatta le ossa con un serial killer. Niente poteva più spaventarla, ormai. Mentre le porgeva la sua carta di credito, sorrise guardando gli occhi azzurri della giovane commessa e ripensò al consiglio che Barolli le aveva dato per il futuro: «Guarda sempre gli occhi. Aspetta la paura». FINE