CHARLES HAROLD DODD
Le parabole del regno Edizione italiana a cura di F. Ronchi
PAIDEIA EDITRICE BRESCIA
Titolo ori...
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CHARLES HAROLD DODD
Le parabole del regno Edizione italiana a cura di F. Ronchi
PAIDEIA EDITRICE BRESCIA
Titolo originale dell'opera C. H. Dooo T he Parables of the Kingdom Traduzione italiana di F. Ronchi © James Nisbet and Company Ltd, Digswell Piace, Welwyn, Herts, 1 961 e 1965 © Paideia Editrice, Brescia 1970
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. Natura e scopo delle parabole evangeliche. . II. Il Regno di Dio.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III. Il giorno del Figlio dell'uomo . . . . . . . . . . . . . . . . IV. Il 'Sitz im Leben' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V. Le parabole della crisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI. Le parabole della crescita . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . J ndice delle parabole . Indice dei passi della Scrittura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Indice degli autori . . . .
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Reverendo ordini theologorum Universitatis Yalensis apud Portum Novum in Nova Anglia Hospitibus hospes conlegis conlega
PREFAZIONE
All'origine di questo libro si trovano le Shaffer Lectures, un corso di lezioni che ebbi occasione di da
re alla Divinity School dell'Università di Yale nella primavera del I935· Questo lavoro è il risultato di vari anni d'intenso studio, anni nei quali ho cercato di affrontare e risolvere il problema dell'escatologia nei vangeli, con particolare riguardo al suo significato per l'idea di Regno di Dio. Quando ho cominciato a dedicarmi ad uno studio approfondito del Nuovo Te stamento, questo problema era stato imposto all'at tenzione generale soprattutto per opera di Albert Schweitzer, dopo la cui Geschichte der Leben -Jesu Forschung (I9I/) non era più possibile eliminare i difficili passi escatologici dichiarandoli inautentici o considerandoli marginali e trascurabili. Ancor oggi non abbiamo risolto il problema dell'escatologia, an che se lo affrontiamo in modo alquanto diverso da una volta. All'inizio della mia ricerca seguii la dire zione indicata dallo Schweitzer; ma benché, come molti altri, fossi fortemente influenzato dalla sua posi zione, pure non ero convinto della soluzione da lui pro posta, nota comunemente come konsequente Eschato logie, escatologia conseguente 1: bisognava ancora cerr. G. Conte in O. Cullmann, Il mistero della redenzione nella storia (Il Mulino, Bologna, 1966) 32, rende konsequente Eschatologie con 'escatologia consequenziale': la traduzione 'escatologia conseguente' ci sembra non solo più fedele, ma anche più chiara. Per Schweitzer 'esca tologia conseguente' significa, quando riferita al messaggio e alla vira di Gesù, escatologia coerente, totale, assoluta, in contrapposizione, per es., alla 'escatologia intermirtente' di Joh. Weiss; d'altra parte conseguente mantiene anche il suo valore participiale di «che segue, che vien dopo, II
carne una. Qualunque ricerca tendesse a chiarire il problema avrebbe dovuto esaminare attentamente le parabole evangeliche, in particolare quelle che tratta no espressamente del Regno di Dio: per questa ra gione sono stato spinto ad esaminarne di nuovo na tura, scopo ed interpretazione. Avevo seguito Jiili cher nel rifiuto dell'allegoria come metodo ermeneu tico, ma non potevo seguir/o molto oltre questo pun to. Neanche la ripresa moderna di questo metodo mi ha aiutato molto (qualunque possa essere il suo valo re omiletico) a chiarire il problema che in primo luo go m'interessava: qual era l'intenzione originaria di questa o di quella parabola nella sua situazione stori ca? Questa domanda è solo una parte di quella più ampia che riguarda il contenuto storico dei vangeli in generale: nonostante quanto è stato detto o scritto di recente, sono convinto che questo problema non è né irrilevante né insolubile in linea di principio. Vi sono infatti vari segni che mostrano il declino della reazio ne contro lo 'storicismo' ed una possibile ripresa del la >; oppure, per considerare una similitudine, «a che paragonerò io questa generazione? è come dei fanciulli che siedono sulla piazza del mercato e si dicono : abbiamo suonato per voi il flauto e non ave te ballato; abbiamo intonato un lamento e voi non avete pianto! » . I Tedeschi chiamano questo tipo di parabola Gleichnis, similitudine. Si tratta di un tipo comune che include, p. es. , il figlio che chiede un pa ne, l'occhio come lampada del corpo, gli amici del lo sposo, il fico araldo dell'estate (Mc. 13,29) e al tre parabole familiari. 20
La metafora o similitudine può diventare una sto ria e non solo un'immagine se i particolari supplemen tari delPelaborazione servono a sviluppare una situa zione. È questa la Parabel dei Ted�chi, cioè la para bola in senso proprio. La storia può essere molto breve, p. es. : «Il Regno di Dio è come lievito che una donna prese e mise in tre misure di farina finché il tutto fu lievitato». Poco più lunghe sono le parabole della pecora perduta e della moneta persa, del tesoro nascosto--e della-pefiaru gran valore, del seme di se napa, del seme che cresce di nascosto e dei due figli. Un po' più lunghe sono quelle delle due case, del se minatore, dell'amico importuno e alcune altre. Ab biamo infine dei veri racconti (Novellen ) come quel li della somma affidata, del servo spietato (Mt. 1 8 ,233 5 ) dei figliol prodigo e dei lavoratori nella vigna. Non è possibile distinguere nettamente e con pre cisione tra queste tre classi di parabole, detti meta ferici, similitudini e parabole in senso proprio Pos siamo servirei di una regola grammaticale pratica e dire che il primo ti�o non ha più di un verbo, il se condo più di un verbo al presente, tl terzo una serie di verbi in�E_i st�rici : è così perché la similitudine generalmente descrive un caso tipico o ricorrente mentre la parabola presenta un caso particolare e lo tratta come tipico. In realtà i tipi si confondono e si somigliano sostanzialmente in quanto non sono che l'elaborazione di un paragone e i particolari hanno lo scopo di mettere il più in risalto possibile la situa zione o gli eventi in modo da afferrare l'attenzione. Giungiamo così a quello che è il principio interpre tativo più importante: la parabola tipica, sia essa una semplice metafora, una similitudine più elaborata o un vero racconto, non ha che un solo punto di com,
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4· Bultmann, Geschichte der synoptischen Tradition ( 1 9 3 1 ), 1 79-222, usa questa classificazione: Bildworter, Gleichnisse, Parabel. 21
parazione e i vari particolari non hanno un significa to indipendente dal tutto. Nell'allegoria, invece, ogni particolare è una metafora in sé, col suo proprio si gnificato distinto. Prendiamo, ad esempio, l'episodio della Casa bella nel Pilgrim's Progress Qui si narra dell'arrivo di alcuni stanchi viaggiatori ad un'ospita le casa di campagna e i commentatori c'indic;ano per fino la casa attuale nel Berdfordshire. In questa sto ria, però, la serva che apre la porta si chiama Discre zione, le padrone di casa sono Prudenza, Pietà e Ca rità, la camera da letto è Pace. Se vogliamo prendere un esempio biblico, pensiamo a.l1'�llegoria paolina del guerriero cristiano : la cintura è la-verità, la corazza è la giustiZia, le calzature sono la pace, lo scudo è la fede, l'elmo è la salvezza, la spada è la Parola di Dio . Se invece consideriamo la parabola dell'amico im portuno, sarebbe assurdo domandarci chi è rappre sentato dall'amico che arriva da un viaggio o dai bambini in letto : questi e tutti gli altri particolari della storia servono soltanto a darci l'impressione di un'improvvisa situazione critica di necessità cui biso gna far fronte con un'urgenza che sarebbe altrimenti inopportuna e sfacciata. Così anche nella parabola del seminatore il sentiero e gli uccelli, le spine e il suolo pietroso n�_, çome Marco ha creduto, dei crittogrammi per indicare la persecuzione, la fallacia delle ricchezze, ecc. : tutti questi elementi son lì per darci l'i.Q_e_� d� quale _g!_!nde percent�ale di lavoro il contadino dev'esser pronto a perdere�o-·con temporaneamente in risalto la soddisfazione che, no nostante tutto, il raccolto genera. L'autore di un'allegoria cerca naturalmente di nar rare la sua storia in modo tale che essa possa esser letta normalmente, anche se non si riesce a coglierne .
5· Racconto allegorico scritto in carcere ( 1678) dal predicatore battistll i nglese John Bunyan ( r628- r688). (NdT) 22
l'in terpretazione. Questo procedimento richiede una grande abilità e non può durare troppo a lungo poi ché l'interpretazione diverrà apparente. Ritornando alla Casa bella, Bunyan si è dimostrato molto abile nel presentare gli avvenimenti normali durante un breve soggiorno in una casa di campagna; tra l'altro, le signore mostrano, con tutta naturalezza, l'albero genealogico, come è ancora dato di vederlo incorni ciato in alcune case all'antica. Subito, però, traspare la teologia: si vede che il Padrone di casa «era il Fi glio dell'Antico di giorni e proveniva da una genera zione eterna». Quando un allegorista poi non è bra vo la storia non ha più alcun significato a meno di tra durre i particolari nelle idee che essi sono intesi si gnificare. È questo il caso dell'Apostolo Paolo, che nonJ}ji se.n:!Q!:� �scelta felice nelle illustrazioni, quando ci propone if r accòntoaifegorico di un gtar diniere che pota i rami di un olivo e innesta al loro posto germogli di olivo selvatico; poi l'uomo con serva i rami potati e dopo che gli innesti hanno pre so innesta anche i rami tagliati al tronco ( Rom. I I , I 6-24). Si tratta veramente di un procedimento al quanto strano! Tutto si chiarisce, però, se teniamo presente che l'olivo è il popolo di Dio, i rami potati sono i Giudei increduli e i germogli dell'olivo selva tico i cristiani di origine pagana. Le parabole dei vangeli, comunque, sono fedeli al la natura e alla vita : ogni similitudine o storia è una raffigurazione esatta di un evento o procedimento os servabile nell'ambito dell'esperienza. I processi na turali son�o��!L� registrati con precisione; le azioni dei personaggi sonqUelle-clieCi aspelteferii.mo nelle circostanze dè'scritte o se so ' no eccezionali e sor prendenti ciò è proprio quanto la parabola vuole far ci intendere: queste azioni sono fuori dell'ordinario. È certamente sorprendente, p. es.,che un datore di la-
varo paghi allo stesso modo il lavoro di un'ora e quello di dodici, ma lo stupore dei lavoratori serve proprio a farci cogliere il centro della storia. D'altra parte, la distinzione tra parabola ed alle goria_l?9.!1 dev'esser troppo rigida perché se la parabo la è tirata un---pOla in cornici diverse e, dall'altra, la scienza neotestamenta ria recente Ila mostrato èlié il materiale della narra zione evangelica è stato trasmesso, in un primo tem po, sotto forma_ili unità letterarie indipendenti, men tre gli Autori sacri, i quali scnssero non meno di una generazione dopo il tern� di Gesù, determina rono l'ossatura cronologica. PersonaTiiiente crecto che una tale ipotesi vada accettata con alcune riserve e che una parte maggiore di questa ossatura, dello schema general�i�_ dovuta ��one, di quan to vari studiosi modernlSìano pronti a concedere 10; è però anche chiaro che non possiamo accettare come originale, così senza questione, la collocazione attua le della parabola. Soltanto se nella parabola stessa c'è un chiaro riferimento ad un momento particolare del misterio di Gesù abbiamo buone ragioni per in sistere sul preciso legame storico, ma nella maggior parte dei casi dobbiamo contentarci di riferire il rac conto alla situazioni in generale. Talora, anche se non sempre, gli evangelisti oltre a porre la parabola in un particolare contesto narra tivo, forniscono delk_indicazioni per quanto riguar da l'applicazione. Tali applicaZioni sono generalmen te brevi e non vanno poste sullo stesso piano delle complesse allegorizzazioni delle parabole del Semi natore, delle Zizzanie e della Rete (Mt. 1 3 ), ma de vono esser prese seriamente in considerazione anche se ci dobbiamo sempre porre il problema della loro I o. V. il mio articolo The Framework of the Gospel Narrative : ExpT 43 ( 193 1-1932), 396 ss., ristampato in New Testament Studies ( 19 5 3 ), I-Il.
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originalità. Gli studiosi moderni da Ji.ilicher a Bult mann danno loro ben poco peso, ma sarebbe bene non esagerare in questo senso poiché troviamo para bole con applicazione, come quelle senza, in tutti e quattro i principali filoni della tradizione evangelica e se anche questa o quella applicazione sia dovuta al l'uno o all'altro evangelista, pure la tradizione pri mitiva che soggiace alle varie tradizioni differenziate da cui derivarono i vangeli conobbe certamente pa rabole applicate. Molte volte, inoltre, risulta evidente che l'applica zione fu strettamente legata l!Hl'l parabola fin dal più antico stadio di formazione che dl1s�i duare, come nel caso della parabola delle due case ove, sia in �n Luca, l'applicazione è così strettamente congiunta ed intrecciata con il racconto che non potrebbe esser eliminata senza riscrivere completamente il passo. Si osservipot che l'app1ìca zione qui suggerita non è generale, bensì particolare : l'ascoltare non è semplicemente contrapposto al fare in linea di principio, ma coloro che stavano ascol tando Gesù in quel preciso istante sarebbero stati stolti come uno che si mettesse a costruire su terreno alluvionale, senza un solido fondamento, se non aves sero seguito le sue parole. Anche la parabola dei Ragazzi nella piazza del mercato (Mt. I I , 1 5 ss. ) è seguita immediatamente da un passo che per ragioni di forma fa evidentemente parte del1a stessa tradizione : Venne Giovanni non mangiando né bevendo e dicono: Ha un demonio. Venne il Figlio dell' uomo mangiando e bevendo e dicono: Ecco un mangione ed un beone, un compagno di pubblicani e di peccatori!
Per me è fuor di dubbio che la più antica tradizione applicava così la parabola al comportamento della 30
gente verso Gesù e Giovanni ed è altrettanto chiaro che ogni tentativo d'interpretazione allegorica è de stinato al fallimento : non regge proprio dire che Ge sù e i suoi discepoli son quel1i che suonano il flauto mentre Giovanni e i suoi son quelli che si lamentano. L'immagine di ragazzi arroganti che litigano per i lo ro giochi suggerisce invece efficacemente la frivola ca villosità di una generazione che non � rendersi conto di vivere uQg_crisi storica di prima granoezza, inaugurata da Giovanni e portata ad un culmine ina spettato da Gesù, ma perdeva tempo a criticare stu pidamente l'ascetismo dell'uno e la socievolezza del l'altro; quegl'insensati stavano lì a cantare mentre Roma bruciava. Così, anche se non siamo necessariamente in grado di risolvere il forse insolubile problema degli ipsissi ma verba di Gesù, abbiamo delle buone ragioni per credere che in vari casi l'applicazione venne trasmes sa con la parabola cui si riferisce già nella più antica tradizione e ci mostra, se non altro, almeno com'e ra intesa la parabola da coloro che non erano lonta ni dalla situazione originale in cui la storia venne narrata. In molti altri casi, però, abbiamo delle ragioni ugualmente buone per ritenere che l'applicazione non r_i_s11le alla tradizione più antica, ma all'evangeli sta'";_alla sua]Q"ritejrriìnjdìata -e-rappresenta, senza dubbio, l'esegesi corrente11eria comumtà alla quale egli apparteneva. È interessante vedere come talora una parabola appare senza applicazione alcuna in un vangelo, ma non in un altro: Marco e Luca, p. es. , ri portano la parabola della Lampada senza commento, mentre in Matteo segue l'esortazione «Così risplenda la vostra luce--àavanu aglf uomini-affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro nei cieli» ( Mt . 5 , r 6 ). Altre volte, invece, una parabola è
riportata da due o più vangeli con applicazioni diver se o perfino contrastanti, come avviene per quella del Sale insipido : siccome dobbiamo supporre che Gesù avesse in mente un'unica, precisa applicazione, una o anche entrambe quelle riportate dai vangeli non ri salgono a lui. Ci sono poi dei casi in cui uno stesso evangelista ci dà diverse applicazioni, come fa Luca con la difficile parabola dell'Amministratore disone sto ( Le. I 6, 1 -7 ) riportandone almeno tre: I) «l figli di questo secolo si comportano più accortamente dei figli della luce con la propria generazione» ; 2 ) «Fate vi degli amici con le ricchezze ingiuste»; 3 ) «Se non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affide rà le vere ? » Ci sembra quasi di aver davanti delle no te per tre diversi sermoni sulla medesima parabola. È possibile che la frase con cui la parabola sembra terminare costituisse l'applicazione nella tradizione più antica in quanto chi trasmise la parabola aggiun l se: «> (oppure ) ; il vangelo di Marco viene da Roma e non è da escludersi affatto che l'espressione 'con potenza' rifletta, sia in Mc. che in Rom., la medesima concezione, mentre resta ben difficile sapere se in entrambi i casi ci sia all'origine un detto di Gesù; ma an che se questa frase dovesse venir giudicata come non di Gesù, reste rebbe sempre aperta la questione se essa rifletta o meno il pensiero di Gesù stesso. 54
me abbiamo già visto, quest'immagine corrisponde al concetto apocalittico della 'vita deJl'età a venire', vi ta che viene rappresentata con la similitudine del banchetto insieme con i beati. Non è però detto che il Regno nel qu�le i�triarchi _ bat:!_chettai!�A-�bba ancora venire; ciò che non è accaduto, ma avverrà, è �e non si trovano ancora 'nel Regno di Dio', nelia -sui· mariìfes taz1onètetren:r,--negoatarino invece appieno nel mondo di là da questo. Così que sto logion non ci dice affatto se Gesù aspettava o no un'ulteriore 'venuta' del Regno di Dio oltre quella che si stava attuando nel suo stesso ministerio; forse i patriarchi sono immaginati vivere 'nel Regno di Dio» 25, nel di là ove il Regno non 'giunge', ma è eternamente presente: è un postulato fisso della teo logia giudaica che Dio è da ogni eternità re nei cieli; la novità sarebbe rappresentata dalla manifestazione di questa signoria sulla terra: secondo l'insegnamen to di Gesù questo nuovo fatto si è già verificato e il detto che stiamo considerando non contraddice que st'affermazione anche se può voler dire che nel fu turo l'attuale manifestazione terrena del Regno di venterà assoluta in un ordine superiore, completa mente trascendente. Le stesse idee formano lo sfondo del famoso lo gian dell'ultima cena di Gesù ( Mc. 1 4 , 2 5 ) : «Non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel Regno di Dio» Le immagini sono 26•
2 5. Gesù disse che i patriarchi vivevano (e non che si trovavano in un qualche stato di esistema sospesa aspettando la resurrezione) poiché Dio è il loro Dio ed egli non è un Dio dei morti, ma dei viventi (Mc. 12,26-27 ). 26. La lezione è propria a Matteo ed è evi dentemente un'aggiunta secondana arlogion originale: pertanto qua lunque interpretazione si basi soprattutto sulle parole 'con voi' non se gue la tradizione migliore e più antica. In Luca leggiamo : per questo Evangelista, quindi, il detto accennava ad una seconda 'venuta' del Regno di Dio, ma anche la lezione di Luca 55
determinate dalla figura del banchetto celeste: Ge sù sta per morire e non avrà più vino ad alcun pasto terreno, ma �:cinQj_n un modo nuovo, 'nel Re g!!Q-di_Pio'. Il modo in cui questo è detto semora suggerire un certo intervallo prima che la nuova si tuazione si concretizzi : il Regno è forse una realtà che deve ancora giungere? Se la risposta a questa domanda dovesse esser positiva, il Regno non ver rebbe certo in questo mondo, poiché il 'nuovo vino' appartie�s_ielo e nuova terra' dell'apoca littica, cioè appartiene ali'ordine trascenden te, di là dello spazio e del tempo. Ci volgiamo ora a quelle predizioni che non men zionano espressamente il Regno di Dio. Leggiamo che Gesù predisse sofferenza per sé e per i suoi di scepoli e molti sostengono, plausibilmente, che i pre sagi di morte che nei vangeli troviamo ripetutamen te sulle labbra di Gesù non sono altro che vaticinia e.:t_t!_ventu! poiché la chiesa non poteva-credere che il suo Signore non conoscesse quanto il futuro gli te neva in serbo. Si può certo ammettere che la preci sione di alcuni tra questi presagi possa esser dovuta alla ....çp_Q_oscenza post event�b_i_esa, ma que sto non vuol due necessariamente che ogni predizio ne della passione incombente non sia storica, non ri salga a Gesù. Ci sono alcune considerazioni che dobbiamo tener presenti : 1 ) l'intera tradizione profetica ed apocalittica, che Gesù certamente conosceva e alla quale credeva, sembra secondaria. Il detto corrispondente che sembra venire per via indipel)9enre dalla fonte particolare di Luca (Le. 22,15-16) suona: «Ho grandemente desiderato di mangiare questa pasqua con voi, prima che io soffra [ ma non lo farò ] , poiché io vi dico che non la mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio>>. Il ba"flctìetto dei oeatl""(liiVIt a del!'e� Ire) è concepitO Come adempimento O attuazione completa della celebrazione simbolica della Pasqua.
preannunciava tribolazione per il popolo di Dio pri ma della vittoria definitiva del bene; 2) una storia plurisecolare aveva dato profonde ra dici all'idea che la sofferenza è parte integrante del la missione profetica; 3 ) la morte di Giovanni il Battista non aveva fatto che confermare questo fatto anche per il presente; 4 ) non c'era bisogno di una preveggenza sopranna turale, ma bastava la riflessione di una qualunque persona intelligente per poter capire, soprattutto ver so la fine del ministerio di Gesù, come le cose sareb bero andate a finire. Tenendo in mente queste considerazioni generali, ci volgiamo ora ai vangeli e notiamo come in tutte e quattro le fonti, o livelli di tradizione, identificate dalla critica storica, ci siano predizioni, esplicite o al lusive, di persecuzione per i discepoli di Gesù. Tali presagi sono così vividi e così in armonia con tutto il resto dell'insegnameiii:odi-cesù che sembra Im possibile attribuirli tutti alla meditazione tardiva di una chiesa perseguitata. Il contesto vario nel quale i vaticini vengono situati è tale da lasciare lo studioso in dubbio se la sofferenza che viene predetta è per il futuro immediato o è ancora lontana : p. es. , predi zioni di questo tipo in Matteo si trovano nella mis sione dei Dodici ( Mt. r o , 1 7-22), quando questi ven gono mandati a predicare e a guarire, mentre in Mar co il contesto è quello dell'ultimo discorso ( Mc. 1 3 ,9r 3 ), poco prima della morte di Gesù; in questo se condo caso i presagi si riferiscono chiaramente alla persecuzione_��H_a chiesa guale ci viene d�scritta nel libro degli Atti ed altrove, ma dal testo di Matteo riceviamo l'impressione di una persecuzione immi nente, una persecuzione che verrà scatenata mentre i Dodici sono impegnati ancora nella loro missione; 57
in Luca, poi, gli stessi detti vengono situati ancora in un altro contesto ( Le. I 2 , I I - I 2 ) . È chiaro che nella più antica tradizione mancava qualsiasi chiara indicazione delle occasioni in cui tali logia vennero pronunciati, ma è molto interessante notare come I 'esortazione a resistere alla sofferenza, a sopportarla, sia associata molto spesso in Marco e Luca col motivo del viaggio verso Gerusalemme 27; difatti l'impressione generale che riceviamo leggen do i vangeli è che Gesù guidò i suoi discepoli verso la città essendo perfettamente consapevole che lì si sarebbe sviluppata una situazione di crisi tale da im plicare grande dolore per loro e per sé. Il passo più notevole in questo rispetto è dato da Mc. ro,3 5-40, quando Gesù assicura i figli di Zebedeo che essi avrebbero bevuto il suo stesso calice e sarebbero sta ti battezzati del suo stesso battesimo. Il senso di queste parole è chiaro : i discepoli condivideranno la sorte del loro m-àestro-,--a partire dagli eventi tragici che stanno per accadere tra poco In realtà, però, i discepoli di Gesù non condivisero veramente la sua sorte in quell'occasione e le autorità giudaiche si con tentarono, abbastanza stranamente, di aver elimina to il capo e lasciarono in pace i seguaci: naturalmen te la chiesa cercò un compimento di questa e di si mili predizioni in eventi che accaddero molti anni dopo. In un testo che troviamo, con lievi variazioni, m 28•
27. Mc.ro,3 1 -45 ; Lc.9,51-62; 13 ,22 - 24 ; 14,25 -3 3 · 2 8 . Oggi si usa considerare l a predizione del 'calice' e del 'battesimo' fatta a Giacomo e Giovanni un vaticinium ex eventu ed anche una pro va per corroborare la tesi incerta che Giovanni e Giacomo patirono ben presto il martirio. Una simile manipolazione dell'evidenza storica mi la scia piuttosto perplesso: effettivamente la predizione che i due fratelli avrebbero condiviso la sorte del loro maestro non si avverò letteral mente; il fatto, però, che questo detto sia stato conservato così rende la tradizione tanto più attendibile.
Marco e nella tradizione comune a Matteo e Luca, cioè in un passo che gode della testimonianza concor de delle due fonti migliori, Gesù annuncia la soffe renza futura dei suoi discepoli con una esortazione a 'portare la croce' 29 (Mc. 8 ,34, riportato in Mt. 1 6,24, Le. 9 ,2 3 ; Mt. 10,38 = Le. 1 4,27 ). Dato che la croce e l'uso che ne facevano i Romani erano più che noti, possiamo legittimamente dedurre dalle parole di Ge sù che egli voleva preparare i suoi non soltanto a sof fri�, ma persino a morire; nella stessa direzione sembra vada inteso il logion di 'Q' «non temete quelli che uccidono il corpo» ( Mt. 10,28 = Le. 1 2 ,4). Quando teniamo presente tutto questo, non ci sembra più del tutto incredibile che Gesù abbia re detto___g proprt' rm��r come a ermano i vangeli, e per ora non c'interessa decidere a che punto del suo ministerio Gesù abbia fatto tali predizioni. È certo che al momento dell'ultima cena Gesù consideri che la propria morte è imminente, ma è altrettanto chia ro come egli a questo punto preveda che i suoi gli sopravviveranno: egli passa il calice perché ormai non ha più nulla a che �are con questo mondo e lo dà ai discepoli perché essi devono sostenere «la co munione delle sue sofferenze» su questa terra. In base alle prove che abbiamo in mano, questa sembra la ricostruzione più probabile degli avveni menti: Gesù previde che lui e i suoi sarebbero an dati incontro a tribolazioni; verso la fine del suo mi nisterio. egli guidò 1 dtscepoli a Gerusalemme, aspet tandosi di esser messo a morte, forse con alcuni com pagni, per decisione delle autorità; alla fine egli di venne assolutamente sicuro che sarebbe stato ucciso ,
29. Ch. Torrey sostiene ( The Four Gospels: A New Trarzslation, 263 ) che cr-rtxvp6c; rappresenta qui l'aramaico z'qif, da esser inteso nel senso di 'giogo' (cfr. ò 1;uy6c; IJ.OU in Mt. u ,29 s.), ma l'ipotesi non regge per· ché anch'egli non può produrre alcun esempio in cui z'qif voglia dire 'giogo'.
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e predisse sofferenza e persecuzione per i suoi dopo la propria morte. C'è poi un gruppo di predizioni che annunciano una rovina imminente per i Giudei, la loro città e il loro tempio. Secondo Mc. 1 4,58 Gesù fu accusato al pro_çessQ__ di aver detto: « lo distruggerò questo tem pio fatto con mani e m tre giorni ne costruirò un al tro non fatto con mani» ; lo stesso detto si ritrova in Io. 2 , 1 9 nella forma «distruggete questo tempio e in tre giorni io Io ricostruirò». Sembra assodato che la chiesa si sia trovata in un certo imbarazzo a cre dere che Gesù avesse detto una cosa simile: Marco cerca di svalutare le prove portate al processo dicen do ch�__Q_o�_ fu_ mai provato veramente che Gesù aves se fatto un 'affermazione del genere potche le te-sti monianze furono contradditorie (Mc. 14,5 9 ); Gio vanni sottolinea che le parole andavano intese in un modo diverso da come erano comunemente interpre t�e (lo. 2,2 1-2 2 ). Se però Gesù non disse mai qual cosa di simile, è verosimile che la chiesa abbia crea to UQ logion così imbarazzante? Marco stesso ( I 3 ,..2 ) asseri;:; -che Gesù in realtà aveva detto: «Vedete questi grandi edifìci? Non sarà lasciata pietra su pie tra che non sia abbattuta». A questo punto dobbiamo sottolineare un parti colare che è stato solitamente trascurato. Quando Marco scrive qualcosa che, secondo lui, va spiegato, egli ricorre all'espediente di pre�na discus sione riservata tra Gesù e i discepoli nel corsoCfella quale si chlariSCeìTpunro1nquestiohr. Dopo il Io gian sulla distruzione del tempio, Marco ci presenta una discussione di questo tipo tra Gesù e quattro di scepoli, durante la quale viene pronunciato il lungo 'discorso apocalittico' che viene introdotto principal30. V. Mc. 4,ro ss . ; 7 , 1 7 ss.; 9,1 r-q .28-29; ro,w-1 2 .
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mente per porre il detto sulla distruzione del tempio nella sua giusta luce. Marco vuoi farci intendere che Gesù non minacciò mai di distruggere il tempio, ma predisse anzi che dopo un lungo penodo di tribola zione un orribile sacrilegio sarebbe stato commesso nel tempio e a questo evento sarebbero poi seguite una grande afflizione in Giudea e la catastrofe finale in cui il cosmo-intero--sareb1Je crollato�Secondci-que sta presentazione la distruzione del tempio, che non viene neanche menzionata, ma solo sottintesa, non è che la conseguenza della profanazione: non è un evento storico imminente né, tanto meno, un atto che Gesù stesso avesse pensato di fare, come aveva no sostenuto i suoi avversari. Certamente l'Evange lista non si sarebbe preoccupato tanto se non ci fos se stata una buona tradizione (da essere spiegata o eliminata) attestante che Gesù aveva offeso i senti menti dei Giudei che lo ascoltavano predicendo la rovina del loro luogo santo. In 'Q' manca qualsiasi predizione esplicita di que sto genere, ma in Mt. 23,37-38 Lc: -{3;34-3 5 ab bi�o ùncusco-rso diretto a Gerusalemme che cul mina nell'affermazione: «La vostra casa sta per es ser abb::ID42!1_��-ì!_>�;J��f���ò indicare la città di Gerusalemme o, più probabilmente,lrtempìo:--, quando il Regno di Dio sarebbe sta to rivelato, il tempio si ergesse in cima al suo monte quale centro reli gioso di rutto il mondo; Gesù invece affermerebbe che ora che il Re gno di Dio è venuto non c'è più posto per un tempio ed esso sprofon derà, con tutto il monte, negli abissi del mare: la 'fede' per mezzo del la quale tutto ciò avverrebbe è il riconoscimento della venuta del Re gno. f. interessante notare che il detto corrispondente in Le. 1 7,6 ( ri preso probabilmente da 'Q', cfr. Mt. 1 7 ,20 ) parla di un fico che deve esser precipitato in mare e noi sappiamo che quest'albero era un simbo lo indicante il popolo di Dio: che si tratti del tempio o d'Israele, il si gnificato non cambia di molto. Forse abbiamo qui anche un indizio per l'interpretazione dell'episodio del fico maledetto ( Mc. u,r2-14.20) che fa da introduzione al logion sul monte: l'albero di fico è Israele ormai dannata ad una sterilità perpetua. Una parabola è stata trasformata in un episodio, a meno che all'origine del racconto non ci sia un atto pro fetico simbolico ( 'simbolismo profetico'): v. W. Robinson, Prophetic Symbolism in >. Credo si potrebbe ben sostenere la sostanziale autenticità del detto lucano, ma poiché esso non appartie ne chiaramente allo strato tradizionale più antico non me ne servirò nella mia argomentazione. [ I l Dodd è praticamente solo a sostenere questo significato di É'll"t 6c;, filologicamente esatto, ma difficilmente so· stenibile nell'attuale contesto; egli stesso sembra, dopo tutto, preferire l'ipotesi del Roberts, cfr. cap. IV n. 3 ; per la discussione più recente v. H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit ( 1 964 ), 1 r 1 ss.; O. Cullmann, Il mistero della redenzione nella storia ( 1 966), z8o s. ; Bauer-Arndt-Gin grich, A Greek-English Lexicon of the N.T. ( 1 95 7 ), s. v. Èv>: di questi punti d) rap presenta un logion erratico che appare in tutti i vangeli in diversi con testi, b) è riportato da Marco nel discorso apocalittico e, come abbiamo già visto, è probabilmente da mettersi in rapporto con la predizione di una guerra_ 8_ A .T. Cadoux, op.cit., pp. 1 95-196 vede nella parabola l'immagine di una «squadra di coscrizione forzosa>> all'opera; può anche darsi sia co sl, ma la lezione che egli ne trae ci sembra troppo generica e smorta: «L'occasione cerca l'uomo ed opera la sua scelta>>. Possiamo forse ve der qui un riferimento al carattere selettivo della chiamata di Gesù?
Carattere ancor più distintamente parabolico ha l'altro detto che in Luca segue immediatamente quel lo appena discusso e che in Matteo segue invece il logion del lampo: «Dovunque sarà il cadavere, qui si raduneranno gli avvoltoi» 9• Il concetto generale sembra essere che ci sono delle combinazioni di feno meni costanti ed inevitabili, così che se se ne osserva uno, si può dedurre l'altro: non sappiamo però a quali eventi ci si voglia qui riferire. In fin dei conti abbiamo delle indicazioni molto vaghe per quanto riguarda il posto che spetta al Fi glio dell'uomo 'nel suo Giorno'; non è del tutto evi dente che il Giorno del Figlio dell'uomo sia identico con quello del giudizio anche se è logico pensare lo sia; le nostre fonti più antiche in ogni caso non affer mano che il Figlio dell'uomo stesso è il giudice né chiariscono come sarà il giudizio. Il problema è reso ancor più complesso dal fatto che Gesù chiama se stesso, come ci dicono i vangeli, 'Figlio dell'uomo' . Si discute ancora molto ed ani matamente se questa informazione è storicamente esatta, ma è certo che i vangeli sono portati ad inse rire l'espressione 'Figlio dell'uomo' laddove la cri tica mostra che la tradizione originale faceva dire a Gesù 'io'; da ciò alcuni deducono il carattere secon dario di questa espressione quando è riferita a Gesù. Inoltre non si può negare che in testi indubbiamente genuini, come quelli che abbiamo esaminato più so pra, Gesù parla del 'Figlio dell'uomo' senza dare af fatto l'impressione che stia parlando di sé. Giacomo e Giovanni si trovano nella barca con Zebedeo loro padre: i figli furono presi, il padre venne lasciato insieme coi servi (Mc. r , r 9-20). 9· Mt. 24,28 e Le. 1 7,37. f. stata avanzata l'ipotesi che gli cXE"to� siano· le aquile romane e che, pertanto, questo detto sia un presagio di guer ra; d'altra parte, benché alcune specie di aquile mangino carogne, l'av voltoio è l'uccello caratteristico di tale situazione e cXE"t6c; indica proba bilmente qui, come spesso nei LXX, questo rapace.
D'altra parte dobbiamo notare che in tutte le fon ti evangeliche primarie Gesù è identificato con il Fi glio dell'uomo: una tale identificazione appartiene, pertanto, almeno ad uno stadio molto antico della tradizione. Inoltre l'ipotesi che ho menzionata più sopra presuppone che 'Figlio dell'uomo' fosse ad un certo momento una designazione messianica di Gesù molto corrente e per questa ragione venisse interpo lato nel racconto della sua vita e del suo insegnamen to. Non c'è però alcuna evidenza indipendente di un tale momento; nel N.T. c'è solo un passo, al di fuori dei vangeli, in cui una tale espressione venga usata e negli stessi vangeli non la troviamo che sulla bocca di Gesù 10• Sappiamo invece che 'il messia' e 'il Signore' erano d'uso comune nella chiesa, ma nei vangeli Gesù si chiama solo raramente così I teru.
ro. Act. 7,56; lo. 1 2 ,34 non è una vera eccezione. r r . Xp�cr"t6c; non appare in 'Q'; in Marco lo troviamo soltanto due voi· te in bocca a Gesù a) 9.4 1 : un confronto con Mt. ro,42 fa dubitare che nella prima tradizione si siano trovate le parole 1h� XP�CT"tov ECT"tE; b) 12,35 laddove Gesù parla del 'Messia' quale figura della teologia giu · daica senza dare l'impressione di identificarsi con essa. In passi propri a Matteo lo si trova una volta sulle labbra di Gesù, in 23,ro, ma un ·confronto con 23,8 rende probabile che si tratti di un doppione e che 23,8 (dove manca il termine Xp�CT"t6c;) sia la forma più antica. In Le. 24,46 il titolo appare in un breve sommario dell'insegnamento di Gesù dopo la resurrezione, altrimenti è del tutto assente nel terzo vangelo come autodesignazione di Gesù. i?. invece relativamente frequente sulla bocca di altre persone ed in passi in cui gli evangelisti parlano in prima persona riflettendo la pratica della chiesa. Kup�oc; appare sulla bocca di Gesù, con riferimento a questi, . due volte in Marco: a) 2,28 (>, ma, per il momento almeno, ci basta accettare l'evidenza della nostra fonte più antica. [ La discussione su questo problema e su quello più generale del processo di Gesù è stata ripresa con una certa intensità nell'ultimo decennio: v. ]. Blinzler, Il processo di Gesù, Bre scia, Paideia, 1966; A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law in the N. T., Oxford , 1963. NdT] . 1 3 . Va particolarmente sottolineato i l fatto che l'interpretazione della visione del Figlio dell'uomo (Dan. 7,13·141 sia data in 7,22 con le paro le Eq>fra:crEv é xa:�p6ç, xa:t 'tlJ'II �a:crtÀ.E�CX'II xa:'tÉCTXO'II ot iiytot, che, co me abbiamo visto (cap. n, n. 1 5 ), sembrano essere riecheggiate da quel le di Gesù i!q>&a:crEv Éq>' Ù!J.ciç f) �a:cr�À.Eta: 'tOU &Eou. 88
te riesce a scorgere, in forme simboliche, questi pro cessi sovrastorici e può così predire gli eventi storici nei quali essi poi s'incarneranno. Così anche il Figlio dell'uomo della visione è una figura simbolica ed è chiaro che l'adempimento, l'attuazione di questo simbolo, è atteso nella storia. In che senso, allora, Gesù ha citato questa predizione di Daniele? 14 Non si può certo presumere che egli l'abbia interpretata in senso strettamente letterale, ma tornerò ancora su questo problema (v. pp. r o r - r o 3 - note 30-3 2 ). C'è un altro passo in Marco in cui Gesù sembra predire la 'venuta' del Figlio dell'uomo : «Se uno si sarà vergognate di me e dei miei in questa genera15
14· Di solito si presume che l'insegnamento di Gesù presupponga la concezione del Figlio dell'uomo che troviamo in Hen. aeth . .37-71 [ que sti capp. costituiscono la parte centrale di Hen. aeth. o 1 Henoch e so no chiamati generalmente . Una conveniente raccolta, in inglese, di documenti illustranti l'ambiente e il pensiero del mondo greco-romano e giudaico ai tempi del N.T. è quella curata da C.K. Barrett, The New Testament Background: Selected Documents, S.P.C.K., London, 1956. NdT ] . Si dovrebbe quindi ricavare da questo testo apocalittico il modo d'interpretare la profezia di Daniele, ma r ) non è ancora stata detta l'ultima parola per quanto riguarda l'integrità delle 'similitudini di Enoch' o la data dei passi del 'Figlio dell'uomo' i quali non compaiono né in alcuna parte di Hen. gr. che abbiamo né nei numerosi frammenti di quest'opera trovati nelle grotte di Qumran e fi nora pubblicati [cfr. Michelini Tocci, I manoscritti del Mar Morto, Ba ri, Laterza, 1 967, pp. 24 s.; nella IV grotta di Qumran (4Q), che costi tuiva forse la 'biblioteca' principale dei qumraniti, furono trovati circa dieci manoscritti frammentari di Henoch, senza però le 'similitudini' (capp. 37-7 1 ) ; per questa ragione il Milik pensa che le 'similitudini' siano opera di un giudeo o di un giudeo-cristiano del 1-11 secolo d.C. NdT ] ; 2) nonostante l'interessante argomentazione di Otto, Reich Got tes und Menschensohn, pp. 141-189, non sono affatto convinto che, se si vuole distinguere l'influenza a questo stadio da quella sullo sviluppo dell'escatologia della chiesa, le 'similitudini' abbiano influenzato già la più antica tradizione dell'insegnamento di Gesù: infatti 3 ) Gesù si rife risce esplicitamente a Daniele e non a Enoch ; infine 4) Gesù deve esser stato altrettanto capace che l'autore delle 'similitudini' di dare una pro pria reinterpretazione del simbolismo danielico e questa è, assai proba· bilmente, originale e personale in quanto rompe lo schema escatologico tradizionale ad un punto decisivo. 1 5 . La maggior parte dei mss. legge É!J.È xa:t "tOÙc; È!J.oÙc; ).6youc;; W e
zione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando sarà venuto nella gloria del Padre suo con i santi angeli» ( Mc. 8 ,3 8 ). Un lo gian simile si trovava anche in 'Q', come si può ri cavare da Mt. 1 0 , 3 2- 3 3 = Le. 1 2 ,8-9 : Matteo
«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Pa dre mio che è nei cieli; ma chiunque mi rinnegherà da vanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Pa dre mio che è nei cieli>>.
Luca
«Chiunque mi avrà ricono sciuto davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo ri conoscerà lui davanti agli angeli di Dio; ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, sarà rinnegato da vanti agli angeli di Dio».
Evidentemente Marco ci ha conservato solo uno dei due membri del parallelismo e, dato che questa forma stilistica ebraica è tipica cosi dei detti di Ge sù, come di tutta la tradizione profetica alla quale egli si riallaccia, dobbiamo supporre che la forma di 'Q' ( se la potessimo recuperare) sia stata più vicina all'originale; ma in questa forma il riferimento al Fi glio dell'uomo non può essere stabilito con assoluta certezza poiché in Matteo esso manca del tutto e in Luca appare soltanto nel membro positivo del paral lelismo, essendo omesso in quello negativo. In nes suno dei due detti c'è alcun riferimento alla 'venuta' del Figlio dell'uomo; gli uomini verranno ricono sciuti o «davanti al Padre mio che è nei cieli» o «da vanti agli angeli di Dio» 16: forse qui si tratta del l t .' omettono À.6yovc; e così pure i mss. occidentali nel passo parallelo in Le. C.H. Turner, Mark : A New Commentary on Holy Scripture, ed. Gore-Goudge-Guillaume ( 1928 ) favorisce la lezione più breve che è in perfetta armonia con altri detti, per es. Mc. 9,37; Mt. 10,40 Le. xo, 16; Mt. 2540.45 · 16. «Davanti agli angeli di Dio» è espressione propria a Luca (cfr. 1 5 , r o ) come «il mio padre nei cieli» lo è di Matteo; c i è impossibile stabi lire il testo di 'Q'. Poiché Marco ha sia il padre che gli angeli, è diffici le decidere con sicurezza quale sia la forma più originale; in ogni caso =
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Giorno del giudizio che pone fine alla storia, ma il significato più naturale è che Gesù (o il Figlio del l'uomo ) riconoscerà o rinnegherà alcuni uomini nel mondo superiore, il che vuoi dire che il riconosci mento o il rinnegamento sono eterni Non è pertanto chiaro che il detto originale pre dicesse esplicitamente la 'venuta' del Figlio dell'uo mo. È da tener presente che Matteo non si contenta d�l fuggevole accenno di Marco, alla 'venuta', ma ha modificato il logion così: «Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi angeli e allora renderà a ciascuno secondo l'opera sua» (Mt. 1 6,27). Se si confrontano 'Q ' , Marco e Matteo, si scorge una tendenza crescente a dare ai detti di Gesù una preci sa forma 'apocalittica' e faremo bene a tenere que sto fatto sempre presente quando ci accingiamo a interpretarli. A questo punto è forse opportuno tornare a quel detto di 'Q' sul giudizio delle tribù che abbiamo escluso dal numero delle predizioni storiche. Nelle sue due versioni esso ci è stato conservato così: 17•
Mt.
1 9 ,28
« Io vi dico in verità che nel nuovo mondo, quando il Fi glio dell'uomo sederà sul tro no della sua gloria, anche voi che mi avete seguito se derete su dodici troni a giu-
Le.
2 2 ,28-30
«Ora voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove ed io di spongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a
il senso non cambia e quelle espressioni vogliono entrambe dire 'in cie lo' ( Le. 1 5,7). 17. Per un'espressione simile cfr. Mt. r6,r9; r 8 , r 8 : «Tutto ciò che avre te proibito sulla terra continuerà ad esserlo anche in cielo e rutto quan to avrete permesso sulla terra resterà permesso anche in cielo»: le de cisioni ispirate degli apostoli hanno una validità eterna; in modo simi le il detto che stiamo discutendo vorrebbe dire che quanti riconoscono Cristo sulla terra hanno i n questa professione stessa il segno di essere eternamente accettati da lui. 9!
dicar le dodici tribù d'Isra ele».
me, affinché mangiate e be viate alla mia tavola nel mio regno e sediate su troni a giudicare le dodici tribù di Israele».
Difficilmente dietro le due forme di questo logion c'è una fonte scritta; esso può aver subìto nella tra dizione orale, prima di esser fissato dagli evangelisti, un duplice processo di sviluppo ed è ora difficile de terminare la forma originale. È ad ogni modo chiaro che esso associa strettamente i discepoli al loro Si gnore nella sua gloria futura come nella sua presente tribolazione; esso non è così lontano da quell'altra parola, secondo la quale coloro che Io riconoscono in terra saranno da lui riconosciuti in cielo. Possiamo ricordare, a questo punto, che in Daniele il Figlio dell'uomo è il «popolo dei santi dell'Altissimo» ( 7 , 2 7 ) ed ora, benché il Figlio dell'uomo sia identi ficato con Gesù stesso, questa antica concezione è ancora così viva che i discepoli di Gesù gli vengono associati nel dominio. Soltanto Matteo dice esplici tamente che questa signoria si attua in un ordine tra scendente, ma è probabile che questa sia anche l'in tenzione del testo di Luca; la 'tavola' alla quale i di scepoli dovranno 'mangiare e bere' richiama sia il 'nuovo vino' che Gesù berrà 'nel Regno di Dio', che il banchetto dei beati «Con Abramo, lsacco e Gia cobbe nel Regno dei Cieli». Non è sicuro, inoltre, che la più antica tradizione contenesse delle predizioni esplicite circa una secon da venuta storica di Gesù come Figlio dell'uomo ben ché ci siano dei testi che parlano di una tale 'venuta' oltre la storia. Ci sono, ad ogni modo, molti altri passi i quali predicono che lui, in quanto Figlio del l'uomo, risorgerà dai morti. Le predizioni della pas sione che troviamo in Marco ( 8,3 I ; 9 ,3 I ; I 0,34) cul92
minano tutte con l'assicurazione della resurrezione 'dopo tre giorni' (gli altri sinottici hanno 'il terzo giorno' in armonia con la formula citata da Paolo in I Cor. 1 5 ,4 ) . Per quanti ritengono che i preannunci della passione non siano originali, quelli della resur rezione lo sono ancor meno; io son pronto ad am mettere che la formulazione precisa di tali predizioni possa essere secondaria, ma ho anche indicato dei motivi validi per credere che Gesù abbia effettiva mente predetto sofferenza e morte per sé: e se ciò è corretto, possiamo pensare che questa sia stata l'ul tima sua parola circa il Suo destino ? È vero che secondo certe forme dell'attesa giu daica il Messia era destinato a morire, ma l'evidenza storica per una tale concezione è posteriore ai vange li ed in ogni caso il Messia non muore che dopo aver regnato in gloria. Gesù invece non ha mai regnato così in gloria; poco prima di morire predisse che il Figlio dell'uomo sarebbe stato visto sulle nuvole del cielo : qualunque possa essere l'intento simbolico di questo detto, esso è ripreso da una visione di trionfo e non può certo esser stato considerato adempiuto, come tale, nella morte infamante di Gesù. Se quin di egli ha chiamato se stesso Figlio dell'uomo, deve essersi aspettato di essere vittorioso dopo la morte ed è pertanto credibile che egli abbia predetto non soltanto la propria morte, ma anche la propria re surrezione. È notevole che in Marco tutti o quasi questi presagi leggono : «> sembrano riferirsi al suo ministerio terreno mentre la medesima espressione indica in 1 7,26 la venuta in gloria.
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temporale non limita più la loro visione, quando es si « siedono a mensa nel Regno di Dio » con tutti i beati e bevono con Cristo il ' nuovo vino' della feli cità eterna. « Il Giorno del Figlio dell'uomo» simbo leggia il fatto fuori del tempo ; nella misura in cui la storia lo può contenere esso è incorporato nella crisi storica causata dalla venuta di Gesù, ma lo spi rito umano, benché abitante nella storia, appartiene all'ordine eterno e può sperimentare solo in questa sfera il pieno significato del Giorno del Figlio dell'uo mo o del Regno di Dio. Quanto non può esser pro vato nella storia viene simboleggiato con un evento futuro e la sua atemporalità viene raffigurata come pura simultaneità temporale, «come il lampo che ba lena ad est e si vede fino ad ovest» (Mt. 24,27). Le predizioni di Gesù non sembrano guardare a un futuro lontano, ma sembrano piuttosto interessate agli sviluppi immediati della crisi che stava già ac cadendo mentre parlava e che egli interpretò come venuta del Regno di Dio . Questo non vuoi dire ne cessariamente ( se è ragionevole e accettabile quanto ho esposto ) che egli credesse che la fine della storia sarebbe giunta poco dopo la sua morte ; il significato eterno della storia si era rivelato in questa crisi e sia che essa dovesse durare mol to o poco dopo questo evento , gli uomini sarebbero in ogni caso vissuti in una nuova era nella quale il Regno, la grazia e il giu dizio di Dio erano stati definitivamente rivelati . C'è pertanto posto per un'etica che non sia soltanto 'provvisoria' , ma fornisca un ideale morale per que gli uomini che hanno «accettato il Regno di Dio » e vivono alla luce della rivelazione finale del giudizio e della grazia divina. L'esperienza di molte generazioni ha senza dubbio portato ad una comprensione più profonda della por tata di quella rivelazione e l'aspirazione a vivere se1 04
condo l'insegnamen to etico di Gesù non è stata ste rile; possiamo sperare di capire Gesù ancora meglio e di vedere i suoi princìpi etici attuati ancor più pie namente nella società. Di tutto questo, però , non troviamo traccia alcuna nei suoi detti : egli dirige Io sguardo dei suoi ascoltatori dalla concreta situazione di crisi in cui si trovavano direttamente a quell'ordi ne eterno di cui quella non era che il riflesso. È a una posizione di questo genere che giungiamo quando cerchiamo di individuare ne1l'insegnamento di Gesù quell'unità e coerenza che deve senz'altro aver avute. È bene ricordare , però , che fin qui ah biamo trattato soltanto quei detti che, nonostante ii loro simbolismo, sono più o meno espliciti, mentre è proprio nelle parabole che abbiamo molto di quel lo che Gesù insegnò su questi argomenti. La teoria che ho proposta può esser considerata un'ipotesi di lavoro che va esaminata e provata proprio nell'inter pretazione delJe parabole, alcune delle quali sem brano, almeno nell'interpretazione corrente , parla re di un periodo, più o meno lungo, in cui i discepo li di Cristo devono attendere il suo ritorno mentre il Regno di Dio 'cresce' sulla terra .
IO)
CAPITOLO QUARTO
IL 'SITZ 1M LEBEN' !
La scuola esegetica svilupp3ta�i nelle prime deca di di questo secolo e detta della Formgeschichte ov vero 'scuola storico-morfologica' ( in inglese Form criticism ), ci ha insegnato che per capire correttamen te un qualsiasi passo evangelico dobbiamo prima ri cercare il Sitz im Leben in cui venne plasmata la tra dizione conservata nel passaggio in questione. Com'è ovvio il Sitz im Leben primario di ogni detto auten tico di Gesù è la situazione storica del suo ministe rio, ma gli esegeti che seguono il metodo della storia delle forme ci fanno giustamente notare che la tra dizione dell'insegnamento di Gesù ci è giunta spes so modificata dalle diverse condizioni in cui i suoi seguaci hanno vissuto tra il momento della sua mor te e la stesura dei vangeli, così che il Sitz im Leben di questa tradizione è fornito dalla situazione vitale 1 . Preferiamo mantenere l'espressione tedesca Sitz im Leben, resa nel
l'originale inglese con 'setring in life', in francese con 'milieux de vie' ed in italiano variamente con 'posto nella vita", 'ambiente vitale', 'situa zione vitale' e simili, trattandosi ormai di locuzione tecnica familiare. Dobbiamo comunque mettere in guardia il Lettore che non tutti usano la frase Sitz im Leben nello stesso senso: alcuni intendono con essa la cornice o situazione cultuale di una tradizione o di una pericope nella vira della comunità prorocrisriana; altri invece se ne servono per indi care semplicemente la cornice od occasione storica di un detto, di un episodic. di una tradizione. Il Dodd usa l'espressione in senso lato, mettendo in risalto la circostanza storica, nel ministerio di Gesù o nel la vita della chiesa, più che l'aspetto sociologico-cultuale: egli trascura così un elemento più che importante della formgeschichtliche Schule di cui pure usa terminologia e metodi. Cfr. H. Schiirmann, La tradizione dei detti di Gesù (Brescia, Paideia, 1966), pp. 1 1 - 30: R. Bulcmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition ( 1964'), r-8. (N.d.T. ).
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della prima chiesa. Quando studiamo le parabole è importante distinguere questi due momenti e talora dovremo cercare di sollevare una parabola dal Sitz im Leben della chiesa, come ci è dato nei vangeli, per tentare di ricollocarla nel Sitz im Leben originario della vita di Gesù . Abbiamo però un certo numero di parabole che è abbastanza facile collocare nel ministerio di Ge sù in base ai dati fornitici dal testo attuale dei vange li ed è ad alcune di queste che in primo luogo ci volgeremo . Tra le varie parabole che sono in esplicito riferi mento al Regno di Dio, due delle più brevi e sempli ci sono quelle del Tesoro nascosto e della Perla di gr:an valore, acco piate in Mt. 1 3 ,44-4 6 . In entram . be queste parat>o e unuomo si trova improvvisamen te davanti a un oggetto di gran valore che egli proce de ad acquistare immediatamente a prezzo di tutto quanto possiede 2• L'unico punto incerto per l'inter pretazione è se il tertium comparationis è costituito dall'incalcolabile valore del tesoro scoperto o dal sa crificio che ii suo acquisto richiede. Secondo me per giungere a risolvere questo problema bisogna tener presente, in primo luogo , che, poiché coloro ai qua li Gesù parlava speravano e pregavano per il Regno di Dio... non era affatto necessario convincerli dd va lore di questo ; in secondo luogo che queste parabo le, come quasi tutte le altre di Gesù , presentano un
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2. Jlilicher, Gleichnisreden ]esu, II ( 1 9 1 0), 581-585 ha abbondantemen te dimostrato quanto sia impossibile allegorizzare i particolari e con quale cura essi siano stati scelti per descrivere una situazione realisrica con la massima sobrietà verbale. Non appena cerchiamo di dedurre dai particolari una 'morale', ci veniamo a trovare in difficoltà: colui che ha scoperto il tesoro lo nasconde nuovamente, così che il proprietario del campo non abbia sentore alcuno della scoperta; vuole poi acquistare la proprietà ad un prezw presumibilmente non superiore a quello norma le per un terreno coltivabile: facendo così egli è altrettanto privo di scrupoli che il fattore infedele. r o8
caso tipico di comportamento umano e invitano a giudicarlo. Il contadino è stato forse uno stolto a dar via ogni cosa per poter comprarsi il campo ? Il mercante ha forse agito con imperdonabile fretta quando ha convertito tutti i suoi beni in contanti per acquistare una sola perla? A prima vista sì : ma il segreto del vero uomo d'affari è nel sapere quando bisogna correre un rischio e agire senza indugio , ba sta si sia assolutamente certi del valore di quanto si vuole comprare. -
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Qual è qui il Sitz im Leben ? Il contesto di Matteo non aiuta molto poiché il 'discorso parabolico' di Mt. r 3 è chiaramente costruito aggiungendo al di scorso corrispondente di Mc. 4 della materia presa da altre fonti : e lo stesso discorso di Mc. ±__è_Auç:m po conslikrato una compilazione. Dobbiamo così immaginare una situazione nella quale sia prominen te l'idea di randi sacrifici per un fine che ne valga la pena. Non è affatto di cr e 1 enu care una ta e si tuazione : basta considerare Mc. r o , r 7-30 e altri pas si simili ove Gesù chiama uomini a seguirlo volonta riamente ; far questo può voler dire abbandonare ca sa e amici, proprietà e affari ; può significare una vi ta errante e difficile che può terminare in una mor te vergognosa: non è forse una pazzia imbarcarsi in un_:_impresa simile? Le parabole che stiamo conside rando si adattano benissimo ad una situazione simi le e non intendono affatto esprimere una verità ge nerale , bensì dar forza ad un preciso appello di Ge sù per una determinata azione che andava intrapre sa lì ed allora. Se si ammette una certa identità tra il Regr!_o di Dio e la causa di Gesù, allora la loro argo mentazione è quanto mai strmgente. Esse non ci di cono veramente se questo possesso del Regno è pre sente o futuro, ma se si ricorda che Gesù vide nel proprio ministerio la venuta del Regno di Dio , allo1 09
ra si può riassumere così il loro argomento: Voi di te che il Regno di Dio è il sommo bene ed ora, ecco, avete la possibilità di possederlo qui ed adesso 3 se vi liber�e dell�_ vostra cautela, come hanno fatto quello che ha scoperto irte-soro ed il mercante che ha trovato la perla, e mi seguirete. Ora, se troveremo altre parabole che pur non es sendo esplicitamente riferite al Regno di Dio, ri flettono lo stesso aspetto del ministerio di Gesù, non dovremmo sbagliare considerandole 'parabole del Re gno' nello stesso senso . È questo il caso , per esem pio , delJe parabole gemelle del Costruttore di torri li e del Re che va in guerra ( Le. 1 4 ,2 8- 3 3 ). sta le. Pone in relazione con l'invito di Gesù agli uo mini di correye rischi con gli occhi aperti ed anche se il loro contesto attuale può essere secondario, pure il riferimento generale è corretto e queste parabole possono ben essere illuminate dagli episodi riferiti in Mt. 8 , 1 9-2 2 , Le. 9 , 5 7-62 , ove si fa ricordare agli eventuali seguaci, in tutta serietà, il prezzo che essi devono esser pronti a pagare. Prendiamo ancora una volta la parabola dei Ra gazzi sulla piazza del mercato che, come vedemmo, ci è stata trasmessa insieme con un 'applicazione che bolla l 'atteggiamento superficiale dei Giudei nei con fronti sia di Gesù che di Giovanni Battista. Non ci sono buone ragioni per dubitare la giustezza di que sta applicazione poiché se il Regno di Dio era stato preannunciato nel ministerio di Giovanni ed è ve nuto in quello di Gesù , allora non possiamo non no tare la grande stoltezza di un comportamento così in fantile nel momento della suprema crisi storica. In questa parabola non c'è alcun riferimento al Regno di Dio , ma c'è un'eco escatologica nelle parole «il
L�
3· Questo è forse il significato di ÉV'tÒc; Ù!J.WV in Le. 1 7,2 1 : n. 4· I lO
v.
cap. m
Figlio dell'uomo è venuto» 4• La venuta del Figlio dell'uomo è la venuta del Regno di Dio ed alla luce di questo fatto possiamo forse interpretare le paro le oscure con cui il passo termina. Se il testo di Mat teo è originale, «la sapienza è stata giustificata dalle sue opere» può voler dire che i fatti dimostrano la sapienza e giustizia di Dio, sono cioè manifestazioni del Suo 'Regno', qualunque sia il parere dei frivoli e degli insensati al proposito. Dato che in Luca leggia mo però «alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figliuoli» non-possiamo essefeassolu:tamente certi di quale sia stato il senso originale di queste parole. In Mc. 2 , r 8- r 9 abbiamo un breve racconto in cui i discepoli di Gesù vengono criticati perché non di giunarono come i seguaci _ _ di Giovanni Battista o dei farisei e Q�sil_ _ risponCie :