R.A. SALVATORE L'ALBA DEGLI EROI (Passage To Dawn, 1996)
Sei anni non sono poi un tempo così lungo nella vita di un dro...
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R.A. SALVATORE L'ALBA DEGLI EROI (Passage To Dawn, 1996)
Sei anni non sono poi un tempo così lungo nella vita di un drow, e tuttavia nel contare i mesi, le settimane, i giorni e le ore mi pare di essere rimasto lontano da Mithril Hall un centinaio di anni, che quel luogo appartenga a un'altra vita, a un'altra epoca, che sia stato soltanto un punto di passaggio verso... Verso cosa? E verso dove? Adesso solco le onde lungo la Costa delle Spade, con il vento e gli spruzzi che mi sferzano il volto, il mio soffitto sono le nubi frettolose e il prezioso manto delle stelle, il mio pavimento è costituito dalle assi scricchiolanti del plancito di una veloce nave segnata dagli elementi; al di là di questo si stende la coltre azzurra del mare, a volte piatta e immota, a volte ribollente e sibilante sotto la sferza della pioggia o per l'emergere e il ricadere di una balena. È dunque questa la mia casa? Prologo La donna era bellissima, con il corpo modellato in curve sinuose, la pelle candida e folti e lucidi capelli neri che le ricadevano fino a metà della schiena nuda, e gli stava offrendo sfacciatamente le proprie grazie con una disponibilità espressa dal tocco lieve e gentile delle dita che lo sfioravano ovunque e gli facevano formicolare d'energia il mento, la mascella e il collo. Ogni muscolo del corpo gli si tese e lui prese a lottare per mantenere il controllo, contrastando le arti della seduttrice con ogni minimo frammento di forza di volontà che ancora gli rimaneva dopo tanti anni. A dire la verità non sapeva più neppure perché si ostinasse ancora a resistere, non rammentava a livello cosciente quali promesse dell'altro mondo, il mondo reale, potessero alimentare la sua cocciutaggine. Cos'era "giusto" e cos'era "sbagliato" in questo posto? Quale poteva essere il prezzo esatto per un po' di piacere?
Che altro aveva lui da dare? Il tocco gentile persistette, rilassando i suoi muscoli tremanti e facendogli rizzare i peli ovunque vagassero quelle dita leggere il cui richiamo lo invitava ad arrendersi. Arrendersi. D'un tratto sentì la forza di volontà che si prosciugava e cominciò a mettere in discussione la propria ostinata resistenza. Dopo tutto non c'era motivo di opporsi quando avrebbe potuto avere un comodo materasso e morbide coltri, quando avrebbe potuto essere liberato da quel fetore così orribile cui non era riuscito ad abituarsi neppure dopo tanti anni... lei avrebbe potuto liberarlo da tutto questo con la sua magia, glielo aveva promesso. Cedendo sempre più in fretta socchiuse gli occhi e sentì quel tocco continuare a provocarlo, lo avvertì più acutamente di quanto avesse fatto fino ad allora. Poi udì la donna emettere una sorta di ringhio, un suono bestiale e ferino che lo indusse a spingere lo sguardo oltre la sua figura, verso il bordo di uno degli innumerevoli costoni di roccia che costellavano quel paesaggio irregolare il cui suolo sussultava e tremava come se fosse stato una cosa viva che respirava e lo derideva: si trovavano in alto, lo sapeva con certezza perché il precipizio all'estremità del costone era così ampio che da dove giaceva non riusciva a vedere per più di un paio di metri nel vuoto a causa del perpetuo grigiore vorticante e fumoso che avvolgeva il paesaggio circostante. Il grigiore dell'Abisso. D'un tratto anche nella sua gola prese a formarsi un ringhio che però non aveva nulla di ferino e di primitivo ed era invece una protesta che nasceva dalla moralità e dalla razionalità, generata dalla minuscola scintilla di ciò che era stato un tempo e che ancora esisteva dentro di lui. Afferrata la mano della donna la allontanò a forza dal proprio corpo e applicò una torsione, incontrando una resistenza permeata di una forza che destò echi nei suoi ricordi e che aveva qualcosa di soprannaturale in quanto sproporzionata rispetto a quella che un corpo così esile avrebbe dovuto possedere. Lui però era pur sempre il più forte e riuscì a torcere la mano costringendola ad allontanarsi, e infine sollevò lo sguardo sulla donna. I suoi folti capelli neri si spostarono leggermente e permisero a un minuscolo corno bianco di fare capolino in mezzo alla loro massa. «Non fare così, amore mio», mormorò la donna con voce sommessa e suadente, in una supplica tanto accorata che per poco non ebbe la meglio su di lui. Come la sua forza fisica anche la sua voce aveva una portata che
non era naturale in quanto era uno strumento in cui incanalare tutta la sua carica seducente e ingannevole, e incarnava la menzogna propria di ogni cosa in quel luogo. Con un urlo selvaggio lui la spinse all'indietro con tutte le proprie forze, scagliandola oltre il bordo del costone ma la donna, o per meglio dire il succubo, allargò sulla schiena ampie ali da pipistrello e si librò nel vuoto, ridendo di lui con la bocca ora aperta che lasciava intravedere le orribili zanne aguzze con cui gli avrebbe trafitto il collo se l'avesse lasciata avvicinare maggiormente. La risata del succubo gli fece capire che pur essendo riuscito a resistere non aveva vinto, che non avrebbe mai potuto vincere: questa volta la creatura era quasi riuscita a spezzare la sua volontà, era arrivata più vicina alla vittoria rispetto alla volta precedente e si sarebbe avvicinata ancor di più a essa al prossimo tentativo, ed era per questo che rideva di lui e che come sempre lo beffeggiava! D'un tratto si rese conto che anche quella era stata una prova. Sapeva chi l'aveva decisa, quindi non rimase sorpreso quando la frusta gli aggredì la schiena scagliandolo al suolo, ma per quanto cercasse un riparo nell'avvertire l'intenso calore che stava crescendo tutt'intorno a lui comprese di non avere via di fuga. Un secondo schiocco della frusta lo spinse a strisciare verso l'orlo del costone: mentre un terzo colpo gli si abbatteva sulla schiena afferrò il bordo di roccia e con un urlo si spinse nel vuoto con l'intenzione di precipitare in fondo al dirupo e di schiantare la propria forma corporea sulle rocce, nel disperato anelito di trovare sollievo nella morte. Errtu, il grande balor alto quattro metri, tutto rosse scaglie fumanti di calore e muscoli possenti, si avvicinò con indifferenza all'orlo del precipizio e guardò verso il basso, cercando, con occhi che dall'alba dei tempi erano abituati a sondare le nebbie dell'Abisso, quella forma che cadeva veloce per poi protendersi ad afferrarla. La caduta rallentò fino ad arrestarsi e a trasformarsi in un'ascesa dovuta a una ragnatela telecinetica che il grande balor stava traendo verso di sé; la frusta era in attesa, naturalmente, e la sferzata successiva fece ruotare l'infelice prigioniero su se stesso per poi ridurlo misericordiosamente in stato d'incoscienza. Invece di ritrarre le corde della frusta Errtu si servì di nuovo della propria energia telecinetica per legare con esse la sua vittima, poi spostò lo sguardo sul succubo isterico e annuì in segno di approvazione, perché quel giorno si era comportato bene.
Con la saliva che colava dal labbro inferiore la creatura guardò in direzione della vittima svenuta che ai suoi occhi era una tavola imbandita pronta per il banchetto, poi con un colpo d'ali si riportò sull'orlo del precipizio e si avvicinò con cautela a quel pasto invitante, cercando il modo di aggirare le difese erette dal balor. Errtu lasciò che la creatura arrivasse fin quasi a toccare la preda, poi assestò un lieve strattone alla frusta e la vittima si spostò di lato con una mossa convulsa, oltrepassando le fiamme perpetue del balor che si mosse lateralmente di un passo e pose la propria mole fra il succubo e la vittima priva di sensi. «Devo averlo», gemette il succubo, osando avvicinarsi un po' di più in parte camminando e in parte volando mentre le sue mani ingannevolmente delicate si protendevano ad afferrare l'aria fumosa e il suo corpo era scosso da un respiro ansimante. Errtu si scostò e il succubo si fece ancora più vicino. La creatura sapeva che Errtu si stava prendendo gioco di lei ma non era in grado di allontanarsi o di distogliere lo sguardo da quella vittima impotente; gemendo, perché sapeva che sarebbe stata punita, continuò ad avanzare e tentò di aggirare il balor. Uggiolando ancora affondò quindi i piedi nel terreno per avere una presa salda e riuscire a scattare in avanti in modo da assaggiare la vittima prona prima che Errtu la togliesse nuovamente dalla sua portata. Senza preavviso Errtu protese il braccio, stringendo in pugno una spada ricavata da una saetta: levandola in alto pronunciò un comando e il terreno sussultò come se fosse stato colpito da un fulmine. Con uno stridio il succubo si ritrasse di scatto e si lanciò di corsa verso il bordo del costone per poi lanciarsi in volo senza cessare di emettere strida acute. La saetta scagliata da Errtu lo raggiunse alla schiena, facendolo vorticare su se stesso e precipitare molto più in basso rispetto al bordo del costone prima che gli riuscisse di ritrovare il controllo del proprio volo. Sul costone, Errtu si disinteressò della creatura perché riusciva a pensare sempre e soltanto al prigioniero. Gli piaceva tormentare quel miserabile ma doveva sublimare di continuo i propri impulsi bestiali perché non poteva distruggere quell'uomo, non poteva arrivare a spezzarlo: se lo avesse fatto, egli avrebbe infatti perso per lui ogni valore. Dopo tutto quello era soltanto un essere umano, e la sua vita non pareva una gran cosa se contrapposta alla possibilità di poter camminare di nuovo sul Piano Materiale dell'Esistenza.
Soltanto Drizzt Do'Urden, l'elfo scuro rinnegato che aveva bandito Errtu e lo aveva condannato a trascorrere cento anni nell'Abisso, avrebbe potuto concedergli ciò che voleva, ed Errtu era convinto che il drow non avrebbe esitato a dargli la libertà in cambio di quel miserabile umano. Lentamente, il balor girò la testa scimmiesca adorna di corna per guardare al di sopra della propria spalla: adesso le fiamme che lo avviluppavano erano calate d'intensità e ribollivano appena, come la sua ira, mentre lui ricordava a se stesso che doveva aver pazienza e che quel miserabile era troppo prezioso per andare sprecato, che la sua vita doveva essere preservata. Errtu sapeva che il momento tanto agognato sarebbe giunto molto presto: prima che sul Piano Materiale fosse trascorso un altro anno lui avrebbe parlato con Drizzt Do'Urden, ne era sicuro perché aveva già contattato la strega che avrebbe provveduto a riferire il suo messaggio. E allora il balor, uno dei veri tanar'ri che erano i più grandi fra gli abitanti dei piani inferiori, sarebbe stato libero... e una volta libero avrebbe potuto distruggere quel miserabile drow rinnegato, Drizzt Do'Urden e ogni essere umano che gli era affezionato. Doveva solo avere pazienza. PARTE 1 VENTO E SPUMA Sei anni non sono poi un tempo così lungo nella vita di un drow, e tuttavia nel contare i mesi, le settimane, i giorni e le ore mi pare di essere rimasto lontano da Mithril Hall un centinaio di anni, che quel luogo appartenga a un'altra vita, a un'altra epoca, che sia stato soltanto un punto di passaggio verso... Verso cosa? E verso dove? Il mio ricordo più nitido di Mithril Hall è quello di essermi allontanato a cavallo da esso con Catti-brie al mio fianco e di essermi girato per guardarmi alle spalle, vedendo i pennacchi di fumo che si levavano da Settlestone e salivano verso il monte dei Quattro Picchi. Mithril Hall è il regno di Bruenor, la sua casa, e Bruenor è uno dei miei amici più cari, ma quella non avrebbe mai potuto essere anche la mia casa. A quel tempo non ho saputo dare una spiegazione a quella sensazione e tuttora non sono in grado di giustificarla. Tutto sarebbe dovuto procedere
per il meglio dopo che avevamo sconfitto l'esercito invasore dei drow; adesso Mithril Hall condivideva la prosperità e l'amicizia di tutte le comunità vicine e faceva parte di un insieme di regni che congiuntamente avevano il potere di proteggere i propri confini e di dare di che mangiare ai propri poveri. E tuttavia Mithril Hall continuava a non essere la mia casa, non lo era né per me né per Catti-brie, quindi ci eravamo messi in viaggio diretti a ovest verso la costa e Waterdeep. Anche se senza dubbio lei si era aspettata che lo facessi, io non avevo messo in discussione la decisione di Catti-brie di lasciare Mithril Hall perché tutti e due condividevamo la stessa certezza, e cioè che là non avremmo mai potuto trovare la serenità. Fino a quel momento eravamo stati fin troppo impegnati a sconfiggere i nemici, a riaprire le miniere dei nani e a portare fino a Menzoberranzan la guerra contro gli elfi scuri che avevano attaccato Mithril Hall; una volta conclusi tutti questi compiti era parso che fosse giunto il momento di ritrovare la tranquillità, di riposare e di passare il tempo a raccontare e a ingrandire le storie delle nostre avventure. Se prima di quelle battaglie Mithril Hall fosse stata la nostra casa di certo vi saremmo rimasti, ma dopo tante lotte e tante perdite... la pace era giunta troppo tardi per Catti-brie e per Drizzt Do'Urden. Mithril Hall era la dimora di Bruenor, non la nostra, era la casa segnata dalla guerra in cui avrei dovuto di nuovo affrontare l'eredità oscura del mio sangue, era l'inizio della strada che mi aveva riportato a Menzoberranzan. Era il luogo dove Wulfgar era morto. Catti-brie e io avevamo giurato che un giorno saremmo tornati e in effetti eravamo intenzionati a farlo perché Bruenor viveva là, e così pure Regis, ma come me Catti-brie si era resa conto di un'incontestabile verità di fatto, e cioè che non si sarebbe mai riuscito a rimuovere dalle pietre l'odore del sangue: per quanti erano stati presenti quando esso era stato versato il suo odore avrebbe continuato a evocare immagini con cui sarebbe stato troppo doloroso convivere. Sono passati sei anni, nei quali ho sentito la mancanza di Bruenor e di Regis, di Stumpet Unghie-imbellettate e perfino di Berkthgar l'Audace, che governa su Settlestone, sei anni nei quali ho sentito la mancanza dei miei viaggi periodici a Luna d'Argento, dei momenti passati a contemplare l'alba su un costone roccioso dei Quattro Picchi. Adesso solco le onde lungo la Costa delle Spade, con il vento e gli spruzzi che mi accarezzano il volto, il mio soffitto sono le nubi frettolose e il prezioso manto delle stelle, il mio
pavimento è costituito dalle assi scricchiolanti del plancito di una veloce nave segnata dagli elementi; al di là di questo si stende la coltre azzurra del mare, a volte piatta e immota, a volte ribollente e sibilante sotto la sferza della pioggia o per l'emergere e il ricadere di una balena. È questa la mia casa? Non lo so, suppongo che sia soltanto un altro punto di passaggio ma ignoro se esista effettivamente una strada in grado di portarmi fino a un luogo che io possa chiamare casa. È una cosa a cui non penso spesso, perché sono giunto a rendermi conto che in fondo non m'importa dove io stia andando: se questa strada, questa serie di punti di passaggio, non conduce da nessuna parte, così sia. Dopo tutto la sto percorrendo insieme ad amici, quindi in un certo senso ho la mia casa. Drizzt Do'Urden 1 Il Folletto del Mare Drizzt Do'Urden era in piedi sull'estremità della prua della nave, quanto più in fuori poteva spingersi continuando a tenersi saldamente con una mano a una gomena del vascello in corsa. La nave era veloce, perfettamente bilanciata e zavorrata, il suo equipaggio era il migliore che si potesse trovare ma quel giorno il mare era agitato e nel solcare le onde ribollenti con tutte le vele spiegate il Folletto del Mare stava subendo violenti scossoni a cui corrispondevano fitti spruzzi di spuma. A Drizzt però la cosa non dava fastidio perché gli piaceva la sensazione della spuma e del vento sul volto, adorava l'odore della salsedine: quella era vera libertà, correre veloci sull'acqua sfiorando appena le onde, sulla spinta di un vento teso che gli agitava i folti capelli bianchi e gli gonfiava sulle spalle il manto verde, asciugandolo quasi con la stessa rapidità con cui l'acqua lo inzuppava. Le bianche chiazze di salsedine non riuscivano ad attenuare il lucido colore eburneo della sua pelle, gli occhi violetti scintillavano di gioia mentre lui scrutava l'orizzonte fino a intravedere le vele della caravella che stavano inseguendo e che avrebbero catturato... Drizzt ne era certo perché a nord della Porta di Baldur non c'era nave in grado di distanziare il Folletto del Mare del capitano Deudermont, uno schooner a tre alberi di nuova progettazione, snello, leggero e ricco di vele. La cara-
vella a vela quadrata che stavano braccando avrebbe potuto dare loro filo da torcere in una fuga in linea retta ma avendo una mole più massiccia ogni volta che cambiava rotta in maniera anche minima offriva alla nave inseguitrice la possibilità di guadagnare terreno, accorciando le distanze. Questo era proprio ciò a cui lo schooner era destinato: costruito dai migliori ingegneri e maghi di Waterdeep, pagato dai nobili della città, quel veliero era stato creato per dare la caccia ai pirati. Nel giungere a Waterdeep, Drizzt aveva gioito nell'apprendere della buona sorte che aveva arriso al suo vecchio amico Deudermont, con il quale in passato aveva veleggiato da Waterdeep a Calimshan per inseguire Artemis Entreri, l'assassino che aveva catturato l'halfling Regis; quel viaggio, e in particolare il combattimento nel Canale di Asavir da cui il capitano Deudermont era uscito vittorioso con non poco aiuto da parte di Drizzt e dei suoi compagni, sbaragliando tre navi pirata fra cui l'ammiraglia del famigerato Pinochet, aveva attirato l'attenzione dei marinai e dei mercanti lungo tutta la Costa delle Spade e quando avevano ultimato la costruzione dello schooner i Signori di Waterdeep ne avevano offerto il comando a Deudermont. Pur amando la sua piccola nave a due alberi, l'originale Folletto del Mare, da buon marinaio Deudermont non era riuscito a resistere alla bellezza di quella nuova imbarcazione e aveva accettato di prestare servizio come suo capitano a patto che gli venisse concesso di battezzare lo schooner con un nome di sua scelta e di poter vagliare di persona l'equipaggio. Drizzt e Catti-brie erano giunti a Waterdeep poco tempo dopo e quando nell'attraccare con il Folletto del Mare nel grande porto di quella città aveva trovato i suoi vecchi amici ad attenderlo, Deudermont li aveva prontamente arruolati nel suo equipaggio di quaranta uomini. Questo era successo sei anni e ventisette viaggi prima e da allora lo schooner si era conquistato ampia fama fra quanti percorrevano le rotte marine e soprattutto fra i pirati stessi, di cui era diventato il flagello. Adesso la nave contava al suo attivo ben trentasette vittorie e stava continuando la sua attività di purificazione dei mari. Ed ora era in vista il trentottesimo successo. La caravella li aveva avvistati quando ancora si trovava troppo lontano per riconoscere la bandiera di Waterdeep, ma la cosa non aveva importanza perché in quella regione non c'era nessun'altra nave che avesse le caratteristiche proprie del Folletto del Mare, con i suoi tre alberi e le triangolari vele latine: immediatamente la caravella aveva issato le vele quadrate e la caccia aveva avuto inizio. In equilibrio sulla punta estrema della prua, con
un piede sul rostro a forma di testa di leone, Drizzt stava assaporando ogni secondo della battuta, avvertendo la potenza della nave in corsa che sussultava sotto di lui e la sferza del vento e della spuma, ascoltando la musica stentorea che si levava dall'equipaggio del Folletto del Mare, che contava fra i suoi membri numerosi menestrelli il cui divertimento preferito era prendere gli strumenti e accompagnare una caccia come quella con canti che accendessero il sangue nelle vene. «Duemila!» gridò dalla coffa Catti-brie, indicando la distanza ancora da superare; quando la sua valutazione fosse scesa a cinquecento l'equipaggio avrebbe assunto le posizioni di combattimento e tre uomini si sarebbero avvicinati alla grossa catapulta montata su una piattaforma ruotante sul ponte superiore di prua dello schooner, mentre altri due sarebbero andati a occuparsi delle balestre fissate ad altre piattaforme ruotanti più piccole ai due lati del ponte; a quel punto Drizzt avrebbe raggiunto Deudermont al timone per coordinare il combattimento corpo a corpo; nel seguire la scia di quei pensieri il drow calò la mano libera verso l'impugnatura di una delle scimitarre. Anche da lontano il Folletto del Mare era un avversario temibile perché aveva arcieri dalla mira infallibile, un'abile squadra addetta alla catapulta, un mago particolarmente feroce che amava evocare sfere di fuoco e saette incendiarie, e naturalmente Catti-brie con il suo arco letale, Taulmaril lo Spezzacuori. Era però a distanza ravvicinata che Drizzt, la sua amica pantera Guenhwyvar, e gli altri abili guerrieri presenti a bordo potevano lanciarsi all'abbordaggio, rendendo il Folletto del Mare effettivamente letale. «Milleottocento!» fu il successivo avvertimento di Catti-brie, e Drizzt annuì nel ricevere quella conferma della loro velocità, che era davvero sorprendente: quel giorno la loro imbarcazione stava correndo più veloce che mai, tanto da indurre Drizzt a meravigliarsi che il suo scafo toccasse le onde. D'un tratto il drow abbassò la mano verso la sacca che portava alla cintura per cercare al tatto la statuetta magica di cui si serviva per evocare la pantera dal Piano Astrale e si chiese se questa volta fosse effettivamente necessario chiamare Guenhwyvar, considerato che la pantera aveva trascorso a bordo gran parte della settimana precedente per dare la caccia alle centinaia di ratti che infestavano le scorte di viveri della nave e che probabilmente era esausta. «Ti chiamerò solo se sarà necessario, amica mia», sussurrò infine. In quel momento la nave deviò con violenza a tribordo e Drizzt fu co-
stretto ad aggrapparsi alla gomena con entrambe le mani; ritrovato l'equilibrio continuò a scrutare l'orizzonte in silenzio, guardando la nave dalla vela quadrata farsi sempre più grande di minuto in minuto e sondando il profondo del proprio intimo per prepararsi alla battaglia imminente, perso nello sciabordare dell'acqua che si mescolava alla musica sibilante del vento e ai richiami di Catti-brie. Millecinquecento metri, poi mille soltanto. «Scimitarra nera bordata di rosso!» gridò la giovane donna, quando grazie al cannocchiale riuscì infine ad avvistare la bandiera spiegata dalla caravella. Drizzt non conosceva quell'insegna ma la cosa non gli importava: ciò che contava era soltanto il fatto che la caravella era una nave pirata, una delle molte che avevano superato ogni limite nelle vicinanze dei porti di Waterdeep; come in tutti i mari solcati da rotte commerciali, la Costa delle Spade era sempre stata infestata dai pirati ma fino a pochi anni prima essi si erano comportati in modo in certa misura civile, seguendo specifici codici di condotta; era stato per questo, sulla base di una sorta di tacito accordo, che quando aveva sconfitto Pinochet nel Canale di Asavir Deudermont gli aveva poi permesso di andarsene libero. Adesso però le cose non stavano più così, i pirati del settentrione si erano fatti più audaci e violenti e non si limitavano più a saccheggiare le navi ma si soffermavano anche a torturare e assassinare gli equipaggi soprattutto se a bordo trovavano delle donne; più di uno scafo depredato e semidistrutto era stato trovato mentre andava alla deriva nelle vicinanze di Waterdeep, e alla fine si era deciso che i pirati avevano passato la misura. Drizzt, Deudermont e tutto l'equipaggio dello Folletto del Mare ricevevano una paga sostanziosa per il loro lavoro, ma con la sola possibile eccezione del mago Robillard fra loro non c'era un solo uomo o donna che desse la caccia ai pirati per l'oro che poi gli veniva pagato. No, essi stavano combattendo per vendicare quelle vittime innocenti. «Cinquecento!» annunciò dall'alto Catti-brie. Riscuotendosi dalle proprie riflessioni Drizzt riportò lo sguardo sulla caravella e constatò che adesso poteva scorgere sui suoi ponti gli uomini che si affrettavano a prepararsi al combattimento, simili a un esercito di formiche; la constatazione successiva fu che l'equipaggio del Folletto del Mare era numericamente inferiore agli avversari nella misura di due contro uno e che la caravella era pesantemente armata in quanto aveva sul ponte di prua una catapulta di buone dimensioni e doveva probabilmente averne una
seconda nella stiva, pronta a tirare attraverso gli oblò aperti. Annuendo fra sé il drow si girò verso il ponte. Le balestre fissate sul ponte e la catapulta erano state raggiunte dalle squadre loro addette, molti uomini dell'equipaggio erano allineati lungo la murata intenti a controllare la tensione della corda dell'arco e i menestrelli continuavano a suonare come avrebbero fatto fino all'inizio del combattimento vero e proprio; in alto, al di sopra del ponte, Drizzt avvistò poi Catti-brie che stringeva Taulmaril in una mano e il cannocchiale nell'altra e attirò la sua attenzione con un fischio penetrante a cui lei rispose agitando una mano in un rapido gesto che tradiva un'evidente eccitazione. Come avrebbe potuto essere altrimenti, del resto? L'inseguimento, il vento, la musica e la consapevolezza che stavano svolgendo un buon lavoro avrebbero entusiasmato chiunque. Con un ampio sorriso il drow indietreggiò lungo il rostro di prua e la murata per andare a raggiungere Deudermont accanto al timone, e così facendo notò il mago Robillard che con la consueta aria annoiata sedeva al limitare del cassero, agitando di tanto in tanto in direzione dell'albero di maestra una mano adorna di un grosso anello d'argento su cui era montato un diamante; le scintille che scaturivano dalla pietra non erano però causate soltanto dal riflesso del sole in quanto a ogni gesto del mago l'anello liberava la propria magia e pareva inviare una violenta folata di vento a gonfiare ancor di più le vele già tese al massimo. Nel sentire lo scricchiolio di protesta del fasciame dell'albero, Drizzt comprese infine quale fosse la causa di quella velocità così portentosa. «Carrackus», commentò il capitano Deudermont, non appena il drow gli arrivò accanto. «Una scimitarra nera bordata di rosso». Non conoscendo quel nome, Drizzt si limitò a guardare l'amico con espressione incuriosita. «Navigava con Pinochet», spiegò allora Deudermont. «Era il primo nostromo dell'ammiraglia di quel pirata ed è stato fra quanti abbiamo affrontato nel Canale di Asavir». «Lo abbiamo catturato?» chiese Drizzt. «Carrackus è uno scrag, un troll marino», precisò Deudermont scuotendo il capo. «Non mi ricordo di lui». «Ha la tendenza a stare alla larga dalla mischia», affermò Deudermont. «Probabilmente si è tuffato fuoribordo non appena Wulfgar ci ha fatti girare per speronare la nave ammiraglia». Drizzt ricordò la manovra in questione e la forza incredibile con cui l'a-
mico a suo tempo aveva fatto quasi ruotare su se stesso l'originale Folletto del Mare, puntandolo dritto verso gli attoniti pirati. «Carrackus comunque era presente alla battaglia», continuò intanto Deudermont, «e stando a quanto mi hanno riferito è stato poi lui a recuperare l'ammiraglia di Pinochet che, danneggiata, stava andando alla deriva al largo di Memnon». «E questo scrag è ancora alleato con Pinochet?» domandò Drizzt. Deudermont annuì con aria cupa, un gesto i cui sottintesi erano evidenti: poiché in cambio della libertà aveva giurato di non cercare di vendicarsi di Deudermont, Pinochet non poteva dare personalmente la caccia al Folletto del Mare ma aveva altri modi per ripagare i debiti in sospeso e poteva contare su molti alleati che, come Carrackus, non erano vincolati da un giuramento personale. In quel momento Drizzt si rese conto che ci sarebbe stato bisogno di Guenhwyvar e tirò fuori dalla sacca la complessa statuetta, soffermandosi poi a osservare con attenzione Deudermont. Alto ed eretto, snello ma dotato di muscoli scattanti, con i capelli e la barba brizzolati e ben curati, il capitano era un uomo raffinato che vestiva sempre in modo impeccabile e appariva a proprio agio a un ricevimento come sul mare aperto, ma in quel momento i suoi occhi tanto chiari da dare l'impressione di riflettere i colori circostanti invece di possederne uno proprio tradivano una notevole tensione. Da molti mesi correva infatti voce che i pirati si stessero organizzando per un contrattacco contro il Folletto del Mare e adesso che aveva avuto conferma del fatto che quella caravella apparteneva a un alleato di Pinochet era chiaro che Deudermont cominciava a domandarsi se quell'incontro fosse stato casuale quanto sembrava. Comprendendo d'un tratto perché il capitano avesse fatto spingere la nave a una così folle velocità, Drizzt si girò d'impulso per lanciare un'occhiata a Robillard, che si era sollevato su un ginocchio e teneva le braccia protese e gli occhi chiusi in un atteggiamento di profonda meditazione. Un momento più tardi un muro di nebbia si levò intorno allo schooner, nascondendo alla vista la caravella che distava ora appena un centinaio di metri, e nello stesso tempo un sonoro sciacquio vicino alla murata avvertì che la catapulta aveva cominciato a tirare, seguito di lì a poco da una fiammata che eruppe nell'aria davanti a loro per poi dissiparsi in una nube di vapore sfrigolante a contatto con il muro difensivo di nebbia che ora avviluppava la nave. «Hanno un mago con loro», commentò Drizzt.
«La cosa non mi sorprende», fu pronto a replicare Deudermont, poi si volse verso Robillard e ordinò: «Limitati a tenerti sulla difensiva. Possiamo sconfiggerli con la catapulta e gli archi». «Vi prendete sempre tutto il divertimento», ribatté in tono asciutto Robillard. Nonostante il suo evidente stato di tensione Deudermont riuscì a reagire con un sorriso. «Proiettile!» gridarono parecchie voci provenienti da prua. D'istinto Deudermont reagì facendo ruotare il timone con tanta decisione che il Folletto del Mare s'inclinò bruscamente verso babordo in modo così repentino da far temere a Drizzt che potessero rovesciarsi. Contemporaneamente il drow sentì alla propria destra un sibilo di aria smossa e un grosso proiettile lanciato da una catapulta gli saettò accanto, spezzando una fune e sfiorando la superficie del cassero accanto al sorpreso Robillard per poi rimbalzare e praticare un piccolo buco nella vela dell'albero di mezzana. «Fissate quella gomena», ordinò in tono calmo Deudermont. Drizzt però si stava già avviando per provvedere, con i piedi che si muovevano a una velocità inimmaginabile; afferrata la fune che si agitava la fissò prontamente e scese dalla ringhiera nel momento stesso in cui il Folletto del Mare si raddrizzava, guardando verso la caravella che ora si trovava ad appena cinquanta metri di distanza, verso tribordo. L'acqua fra le due navi stava ribollendo con violenza, sollevando schizzi di spuma che venivano dispersi in nebbia dalle folate di vento terribile; incapace di capire la natura effettiva di quel vento l'equipaggio della caravella aprì il tiro con gli archi ma tutte le frecce e perfino le massicce quadrelle di balestra vennero deviate lateralmente senza recare danno quando tentarono di trapassare il muro di vento che Robillard aveva posto fra le due navi. Abituati a quel genere di tattiche, gli arcieri del Folletto del Mare invece evitarono di sprecare frecce; soltanto Catti-brie si trovava infatti al di sopra del muro di vento, come pure l'arciere posizionato sulla coffa dell'altra nave, un orribile gnoll alto più di due metri con una faccia che sembrava più canina che umana. La mostruosa creatura fu la prima a far partire una freccia in un tiro piuttosto preciso che mandò il pesante dardo a conficcarsi in profondità nel legno dell'albero di maestra appena pochi centimetri sotto il punto in cui si trovava Catti-brie, poi si abbassò rapidamente dietro la parete di legno della coffa per incoccare una seconda freccia nell'arco.
Non comprendendo la natura di Taulmaril, senza dubbio quell'ottusa creatura era convinta di essere al sicuro. Senza fretta, Catti-brie si accertò di avere il polso saldo mentre la nave accorciava ulteriormente le distanze dalla caravella, e quando essa si venne a trovare ad appena una trentina di metri di distanza fece infine partire la propria freccia che saettò nell'aria come un fulmine, lasciandosi dietro scintille argentee e trapassando la misera protezione offerta dalla parete della coffa come se fosse stata un vecchio foglio di pergamena. Un momento più tardi numerose schegge e lo sfortunato gnoll vennero scagliati in alto nell'aria e la creatura condannata emise un penetrante stridio nel rimbalzare contro il boma dell'albero di maestra della nave pirata per poi cadere vorticando nel mare ed essere lasciata rapidamente indietro dalla caravella. Nel frattempo Catti-brie aveva tirato ancora, inclinando questa volta la mira verso il basso e concentrandosi sull'equipaggio addetto alla catapulta; la sua freccia colpì uno degli uomini, un bruto che doveva avere sangue orchesco nelle vene, ma non riuscì a impedire che la catapulta lanciasse il suo carico di pece bollente. Gli addetti alla catapulta non avevano però compensato adeguatamente la velocità del Folletto del Mare, che passò sotto la pece e si allontanò di parecchio prima che essa andasse a colpire l'acqua con uno sfrigolio di protesta. Deudermont portò lo schooner accanto alla caravella, affiancandolo a essa quando la distanza fra le due navi si era ridotta ormai a una ventina di metri; all'improvviso l'acqua che si trovava nello stretto canale fra i due vascelli smise di ribollire sotto la sferza del vento e immediatamente gli arcieri del Folletto del Mare lasciarono partire le loro frecce che avevano sulla punta piccoli globi di pece incendiata. Dall'alto Catti-brie riprese a sua volta a tirare, questa volta mirando alla catapulta vera e propria, e la sua freccia incantata creò una profonda crepa lungo il braccio della macchina proprio mentre la letale catapulta dello schooner lasciava partire un pesante proiettile che si abbatté contro lo scafo della caravella all'altezza della linea di navigazione. Soddisfatto dall'esito di quel passaggio, Deudermont fece intanto deviare lo schooner verso babordo in modo che si allontanasse dall'avversaria; altri missili di cui parecchi incendiari solcarono ancora l'aria fra le due navi, poi Robillard creò un muro di nebbia che si estese come uno schermo davanti alla prua del Folletto del Mare.
La reazione del mago della caravella fu una scarica di energia che riuscì a trapassare la cortina di nebbia e che pur disperdendo in certa misura la propria potenza si estese crepitando intorno ai contorni del Folletto del Mare, scagliando parecchi uomini sul ponte. Protendendosi in fuori oltre la murata, con i capelli bianchi che si agitavano selvaggiamente a causa della scarica di energia, Drizzt scrutò con attenzione il ponte della nave avversaria fino a individuare il mago nemico che si trovava vicino all'albero di maestra; prima che la rotta del Folletto del Mare, che ora correva perpendicolarmente alla caravella, si allontanasse eccessivamente, il drow attinse ai propri poteri innati per evocare un globo di oscurità impenetrabile che lasciò cadere sul mago. Un momento più tardi Drizzt serrò il pugno in un gesto di trionfo nel vedere il globo spostarsi lungo il ponte della caravella perché questo significava che aveva colpito il bersaglio e che adesso la magia del globo avviluppava il mago, seguendolo e accecandolo fino a quando lui non avesse trovato il modo di contrastarne il potere. La cosa più importante, però, era che quella sfera di oscurità del diametro di tre metri contrassegnava con estrema chiarezza la sua posizione. «Catti-brie!» chiamò Drizzt. «L'ho visto!» gridò lei di rimando, e Taulmaril tornò a far sentire il proprio canto, scagliando due frecce una dopo l'altra nel centro della sfera oscura. Essa però continuò a spostarsi, segno che Catti-brie non era riuscita ad abbattere il mago anche se senza dubbio lei e Drizzt gli avevano creato non pochi problemi. In quel momento un secondo proiettile di catapulta si levò dal ponte del Folletto del Mare e fendette la prua della caravella, poi una sfera di fuoco scagliata da Robillard esplose in alto nell'aria davanti alla nave in corsa. La caravella, già di per sé poco agile e ora anche priva di un mago in condizione d'intervenire, andò a finire dritta in mezzo a quelle esplosioni; quando infine la sfera di fuoco si dissolse, entrambi gli alberi della caravella erano sovrastati da lingue di fiamma, simili a gigantesche candele che galleggiassero in mare aperto. La caravella tentò di reagire con la propria catapulta ma le frecce di Catti-brie avevano svolto bene il loro lavoro e il braccio dell'arma si spezzò in due non appena l'equipaggio lo sottopose a una tensione eccessiva. Drizzt intanto tornò di corsa vicino al timone. «Effettuiamo un altro passaggio?» chiese a Deudermont.
«C'era tempo per uno soltanto», rispose però il capitano, scuotendo il capo, «e non con il tempo per fermarsi per l'abbordaggio». «Due navi a poco più di un miglio!» gridò dall'alto Catti-brie. Drizzt si girò a fissare Deudermont con sincera ammirazione. «Altri alleati di Pinochet?» chiese, pur conoscendo già la risposta. «La caravella da sola non avrebbe mai potuto sconfiggerci», replicò con fredda calma il capitano. «Carrackus lo sa e lo sa anche Pinochet. Questa era soltanto un'esca che doveva attirarci in trappola». «Ma noi siamo stati troppo veloci perché la cosa potesse funzionare». «Sei pronto a combattere?» replicò con fare astuto Deudermont. Prima che il drow avesse il tempo di rispondere impresse quindi una decisa virata alla nave che s'inclinò verso tribordo fino a girarsi per fronteggiare la caravella ora molto rallentata nei movimenti. Gli alberi della nave a vela quadrata erano in fiamme e buona parte dell'equipaggio era impegnato a cercare di riparare i danni riportati dal sartiame in modo da poter mantenere in funzione almeno una metà della velatura. Con calma Deudermont pilotò la propria nave lungo una traiettoria obliqua che intercettasse la nave pirata, tagliandole la strada con quella manovra che gli arcieri definivano "passaggio di prua". La caravella danneggiata non poté manovrare in modo da mettersi fuori pericolo ma il suo mago, per quanto accecato, ebbe la presenza di spirito di innalzare un denso muro di nebbia, che costituiva la misura difensiva standard in scontri di quel tipo. Deudermont misurò con estrema attenzione l'angolazione con cui si stava avvicinando, con l'intenzione di far girare lo schooner a ridosso del limitare di quel muro di nebbia e di acqua ribollente in modo da avvicinarsi il più possibile alla caravella. Questo sarebbe stato il loro ultimo passaggio e il suo effetto doveva essere devastante, per impedire che la caravella potesse faticosamente raggiungere le altre due navi che si stavano avvicinando in fretta. In quel momento dal ponte della caravella giunse un bagliore luminoso, una scintilla di luce che ebbe l'effetto di annullare l'incantesimo usato da Drizzt. Dalla sua posizione in alto sulla coffa, al di sopra della magia difensiva, Catti-brie vide quanto stava accadendo e cominciò a prendere la mira nel momento stesso in cui il mago emerse dalla cortina oscura, intonando un canto che doveva servire a scagliare un incantesimo devastante contro il Folletto del Mare prima che potesse incrociare la prua della caravella; qua-
li che fossero i suoi intenti, il mago riuscì però a pronunciare soltanto un paio di parole prima di sentire un tonfo spaventoso contro il proprio petto e le assi del plancito che si scheggiavano sotto i suoi piedi. Abbassando lo sguardo vide il sangue che cominciava a riversarsi sul ponte e si rese conto di essere scivolato in posizione seduta, poi si riversò all'indietro e intorno a lui tutto si ammantò di oscurità. L'istante successivo il muro di nebbia eretto dal mago si dissolse come se non fosse mai esistito. Accorgendosi della cosa Robillard comprese cosa fosse successo e subito batté le mani, scagliando sul ponte della caravella due scariche di energia che investirono in pieno gli alberi e uccisero parecchi membri dell'equipaggio. Nel frattempo il Folletto del Mare era arrivato finalmente davanti alla prua della caravella e gli arcieri aprirono il tiro; contemporaneamente anche gli addetti alla catapulta entrarono in azione, ma questa volta non usarono una lancia lunga bensì una più corta e sbilanciata, munita di una lunga catena a cui erano fissati rampini a più punte. Quello strano proiettile solcò l'aria ruotando su se stesso e al suo passaggio troncò o intorcigliò parecchie gomene e buona parte del sartiame. L'istante successivo un altro missile di tipo diverso, un proiettile vivente costituito da una snella e muscolosa pantera di trecento chili, si staccò dal ponte del Folletto del Mare e andò ad atterrare su quello della caravella. «Sei pronto, drow?» chiese Robillard, cominciando a mostrarsi eccitato per la prima volta dall'inizio del combattimento. Drizzt annuì e rivolse un cenno ai suoi compagni di combattimento, la ventina di veterani che costituivano la squadra scelta d'abbordaggio dello schooner. Subito gli uomini confluirono verso il mago da tutte le parti della nave, lasciando cadere l'arco ed estraendo armi da corpo a corpo; quando infine Drizzt, che avrebbe comandato l'abbordaggio, giunse a sua volta vicino al mago questi aveva già creato accanto a sé un campo di aria scintillante che costituiva una porta magica: senza esitare Drizzt proseguì la corsa in modo da attraversare di slancio quella porta con le scimitarre in pugno. Una di esse, Lampo, emise un intenso scintillio azzurro nell'entrare in contatto con la magia del portale. L'estremità opposta del portale creato da Robillard fece emergere il drow in mezzo a un gruppo di sorpresi pirati, nel centro del ponte della caravella; con una serie di fendenti a destra e a sinistra Drizzt si aprì un varco in mezzo a essi e uscì dal gruppo con pochi passi saettanti, poi si girò con una mossa repentina, si lasciò cadere su un fianco e rotolò su se stesso mentre
una freccia gli passava senza danno sopra la testa, rialzandosi l'istante successivo per trapassare lo sfortunato arciere. Nel frattempo altri guerrieri provenienti dal Folletto del Mare presero a riversarsi oltre la porta magica e nel centro della caravella scoppiò un feroce combattimento. A poppa la confusione non era certo minore grazie a Guenhwyvar, che sembrava essere diventata tutta zanne e artigli con cui stava facendo letteralmente a brandelli una massa di uomini che volevano soltanto allontanarsi il più possibile da quella bestia possente. Molti di essi crollarono sotto l'impatto di quelle zampe massicce e altri si gettarono semplicemente fuori bordo, preferendo correre il rischio di fronteggiare gli squali piuttosto che affrontare quella belva scatenata. Intanto il Folletto del Mare s'inclinò di nuovo in maniera violenta quando Deudermont effettuò un'altra virata verso babordo per allontanarsi dalla caravella e girarsi a fronteggiare la carica delle altre due navi che stavano sopraggiungendo a vele spiegate; nel lasciarsi indietro il fragore del combattimento che ferveva alle sue spalle l'alto capitano sorrise fra sé, certo del successo della sua squadra di abbordaggio anche se i suoi membri erano ancora numericamente inferiori nella misura di due contro uno rispetto ai pirati perché quelli erano svantaggi che l'elfo scuro e la sua pantera tendevano ad annullare. Dalla sua posizione in alto sulla coffa Catti-brie lanciò ancora parecchie frecce, ognuna delle quali andò ad abbattere un arciere nemico situato in posizione strategica; scagliato un ultimo dardo che trapassò il pirata a cui era destinato per andare a trafiggere l'orchetto che gli si trovava accanto, la giovane donna distolse infine la propria attenzione dalla caravella per volgere lo sguardo davanti a sé e riprendere a dirigere i movimenti del Folletto del Mare. Sulla nave nemica Drizzt continuò con la tattica delle corse intervallate da balzi in cui ruotava su se stesso e ricadeva sempre al suolo con le scimitarre dirette verso le aree vitali del corpo di qualche avversario lasciato disorientato dalla sua manovra. Sotto gli stivali il drow portava alle caviglie bande di scintillanti anelli di mithril assicurate intorno a un materiale nero a cui era applicato un incantesimo che dava velocità, oggetti che aveva sottratto a Dantrag Baenre, un famoso maestro d'armi dei drow che li aveva utilizzati come bracciali per accentuare la rapidità di movimento delle proprie mani. Drizzt però comprendeva la natura di quegli oggetti magici meglio di quanto avesse fatto Dantrag e preferiva portarli alle cavi-
glie perché questo gli permetteva di avere una rapidità e un'agilità di movimenti degne di una lepre. Adesso stava sfruttando la stupefacente agilità che essi gli consentivano di sfoggiare per confondere i pirati e lasciarli incerti in merito a dove si trovasse o a dove potevano aspettarsi di vederlo sbucare un momento più tardi, e ogni volta che uno di essi interpretava male i suoi movimenti e si lasciava prendere alla sprovvista lui ne approfittava per usare le scimitarre con letale precisione, continuando ad avanzare sul ponte nel tentativo di raggiungere Guenhwyvar, che meglio di chiunque altro conosceva il suo modo di combattere e sapeva affiancarlo nella lotta. Il drow non riuscì però nel suo intento. Intorno a lui la sconfitta dell'equipaggio della caravella era ormai quasi completa, dato che molti pirati erano morti e altri stavano gettando le armi o si stavano lanciando in mare sulla spinta pura e semplice della disperazione. Uno di essi però, il veterano più pericoloso che era anche un amico personale di Pinochet, non si mostrò altrettanto pronto alla resa. Chinandosi in avanti a causa della propria statura di circa tre metri che mal sì adattava alla struttura della nave, il pirata sbucò dalla sua cabina posta sotto il ponte di prua, vestito soltanto di un giustacuore rosso privo di maniche e di un paio di corti calzoni che gli coprivano a stento la pelle verde rivestita di scaglie. Flosci capelli del colore delle alghe gli ricadevano sulle ampie spalle e lui non aveva con sé armi forgiate dall'uomo perché i lunghi artigli e le zanne aguzze lo rendevano sufficientemente letale senza bisogno di altri strumenti di morte. «Dunque pare che le voci che ho sentito siano vere, elfo scuro», commentò il pirata, con una strana voce gorgogliante. «Sei tornato sul mare». «Tu sai chi sono, ma io non ti conosco», ribatté Drizzt, arrestandosi a distanza di sicurezza dallo scrag; anche se supponeva che quello fosse Carrackus, il troll marino di cui gli aveva parlato Deudermont, non poteva infatti esserne sicuro. «Però io conosco te!» ringhiò per tutta risposta lo scrag, e si scagliò all'attacco protendendo le mani dotate di artigli verso la testa di Drizzt. Tre rapidi passi permisero al drow di evitare il mostro, poi lui si lasciò cadere su un ginocchio e ruotò su se stesso vibrando al tempo stesso un fendente con entrambe le scimitarre, distanti appena pochi centimetri una dall'altra. Lo scrag risultò però più agile di quanto lui si fosse aspettato e fu pronto a gettarsi nella direzione opposta e a piroettare su una gamba in modo che
le scimitarre del drow gli sfiorarono appena la pelle. L'istante successivo lo scrag tornò a caricare con l'intento di seppellire Drizzt, ancora in ginocchio, sotto la propria mole. Il drow fu però tanto veloce a spostarsi da rendere inutile quella tattica troppo diretta: con uno scatto repentino balzò in piedi e si gettò verso sinistra in una finta per poi riportarsi verso destra con velocità fulminea non appena l'avversario abboccò alla sua finta e cominciò a voltarsi, esponendo il fianco sotto il braccio proteso. Lampo saettò in avanti a trapassare un fianco dello scrag e al tempo stesso l'altra lama di Drizzt gli inferse una profonda ferita poco più in alto. Sapendo che la posizione sbilanciata che aveva assunto avrebbe impedito al pirata di impiegare tutta la sua forza mostruosa, Drizzt si lasciò poi raggiungere da un pugno che intercettò con la spalla e con le scimitarre incrociate in una parata, ruotando su se stesso per fronteggiare ancora il mostro e caricare a sua volta con rapidità fulminea e dritto verso di lui. Senza difficoltà Lampo s'insinuò sotto il braccio proteso dello scrag lasciandosi alle spalle un solco profondo e scivolando con la lama ricurva e affilata sotto il pezzo di pelle che aveva asportato mentre la seconda scimitarra scattava in un affondo diretto al petto dello scrag, evitando un colpo frenetico da questi vibrato con l'altro braccio. Consapevole che il mostro era sbilanciato e poteva muoversi in un modo soltanto, Drizzt non ebbe difficoltà ad anticipare con la massima precisione la sua ritirata: stringendo più saldamente l'impugnatura di Lampo arrivò addirittura a puntellare la spalla contro di essa per mantenerla salda nel momento in cui lo scrag si ritraeva con un ruggito d'agonia per lanciarsi all'indietro e da un lato, nella direzione opposta a quella in cui la scimitarra gli era affondata nel braccio, con il risultato che la carne umida e nauseabonda gli si staccò dall'arto per tutto il tratto dal polso al gomito, cadendo sul ponte con un tonfo. Con occhi pieni di odio e di indignazione lo scrag abbassò lo sguardo sull'osso messo a nudo, poi lo spostò sulla massa della propria carne che giaceva ora sul ponte e infine lo sollevò su Drizzt, che era fermo davanti a lui con fare noncurante, le scimitarre incrociate davanti a sé. «Dannazione a te, Drizzt», ringhiò il mostruoso pirata. «Ammaina la bandiera», ordinò Drizzt. «Credi di aver vinto?» Per tutta risposta Drizzt abbassò lo sguardo sul pezzo di carne che giaceva sul ponte.
«Mi risanerò, stupido elfo!» insistette il pirata. Drizzt sapeva benissimo che lo scrag stava dicendo la verità in quanto la sua razza era strettamente imparentata con quella dei troll, orribili creature famose per i loro poteri di rigenerazione, al punto che un troll morto e smembrato poteva riuscire a ricomporsi. A meno che... Ancora una volta Drizzt fece appello ai propri poteri innati, a quella piccola componente magica peculiare ai membri della sua razza, e un momento più tardi lingue di fiamma purpuree si levarono a lambire la sagoma torreggiante dello scrag, avvolgendone la pelle coperta di scaglie. In realtà quello era soltanto un fuoco fatuo, una luce innocua a cui gli elfi scuri ricorrevano per individuare gli avversari quando non c'era luce sufficiente e non aveva quindi il potere di ustionare né era in grado di impedire in un troll il processo di rigenerazione. Drizzt lo sapeva, ma era disposto a scommettere qualsiasi cosa che il mostro invece lo ignorava. Come aveva previsto i lineamenti mostruosi dello scrag si contrassero in un'espressione di puro e semplice orrore alla vista delle fiamme e lui prese ad agitare il braccio sano per percuotersi il fianco e le gambe nel vano tentativo di spegnerle senza però che esse accennassero anche soltanto ad affievolirsi. «Ammaina la bandiera e ti libererò da quelle fiamme, in modo che le tue ferite possano guarire», offrì Drizzt. Lo scrag gli scoccò un'occhiata pervasa di puro odio e accennò ad avanzare di un passo ma poi si arrestò nel vedere Drizzt sollevare le micidiali scimitarre perché non voleva provarne ancora il filo, soprattutto se le fiamme gli impedivano di risanarsi. «Ci incontreremo ancora», promise, poi si girò di scatto per fuggire ma si trovò circondato da dozzine di volti, sia degli uomini di Deudermont che dei suoi seguaci, che lo stavano fissando increduli. Con un ruggito d'ira lo scrag si scagliò allora attraverso il ponte, travolgendo quanti si trovavano sul suo cammino, e si lanciò in mare dalla murata della nave, tornando alla sua vera dimora dove avrebbe potuto risanarsi. Vedendolo muoversi, Drizzt fu pronto a seguirlo con tanta repentinità che riuscì a colpirlo ancora una volta prima che lui si gettasse in mare; giunto a ridosso della murata il drow fu però costretto a fermarsi, impossibilitato a continuare l'inseguimento e consapevole che una volta in acqua lo scrag marino si sarebbe rigenerato fino a tornare in perfetta salute.
Non ebbe però neppure il tempo di emettere un'esclamazione frustrata che al suo fianco ci fu un movimento fulmineo di qualcosa di nero, poi Guenhwyvar lo oltrepassò di slancio e volò oltre la murata per piombare in mare con uno sciacquio nel punto in cui era scomparso lo scrag. Un momento più tardi la pantera scomparve sotto l'azzurra coltre del mare e ben presto onde ribollenti si levarono nel punto in cui erano svaniti lo scrag e il felino. Dall'alto del ponte della caravella parecchi uomini dell'equipaggio del Folletto del Mare si sporsero dalla murata per cercare di vedere cosa stava succedendo, preoccupati per la pantera a cui tutti si erano ormai affezionati. «Guenhwyvar non corre pericoli», li rassicurò Drizzt, tirando fuori la statuetta e levandola in alto in modo che tutti la potessero vedere. La cosa peggiore che lo scrag avrebbe potuto fare sarebbe stato rimandare la pantera sul Piano Astrale, dove essa sarebbe guarita da eventuali ferite e sarebbe rimasta pronta a tornare sul Piano Materiale la prossima volta che Drizzt l'avesse chiamata ma, pur sapendolo, il drow s'incupì in volto nel considerare la situazione in cui Guenhwyvar si era andata a cacciare perché era possibile che la pantera stesse soffrendo. Intorno a lui, intanto, sul ponte della caravella era sceso un silenzio assoluto infranto soltanto dallo scricchiolare del fasciame del vascello. D'un tratto verso sud ci fu un'esplosione che indusse tutti a girarsi in quella direzione, sforzandosi di individuare le piccole vele che si stagliavano in lontananza. Una delle navi pirata stava cercando di allontanarsi e l'altra era in fiamme, con il Folletto del Mare che stava letteralmente navigando in cerchio intorno a essa mentre dall'alto della sua coffa strali argentei calavano uno dopo l'altro a martoriare lo scafo e gli alberi del vascello danneggiato e all'apparenza ormai ridotto all'impotenza. Anche da quella distanza, poi, gli uomini della squadra di abbordaggio del Folletto del Mare poterono notare la bandiera pirata che veniva ammainata in segno di resa. Quella vista strappò a tutti un grido d'entusiasmo che venne però troncato all'improvviso da un subitaneo ribollire della superficie dell'acqua vicino alla fiancata della caravella, seguito dall'affiorare di una massa di pelo nero e di scaglie verdi che si agitavano in mezzo a quella confusione. Di lì a poco dalla massa emerse un braccio dello scrag e infine Drizzt riuscì a vedere chiaro in quel caos quanto bastava per capire che Guenhwyvar era riuscita ad aggrapparsi al dorso dello scrag, con le zampe anteriori salda-
mente ancorate intorno alle spalle del mostro, le scalcianti zampe posteriori che gli stavano devastando la schiena e le zanne serrate intorno al suo collo. Il mare era chiazzato di sangue scuro misto a pezzi di carne e di osso che la pantera aveva strappato al pirata e di lì a poco infine Guenhwyvar smise di lottare, galleggiando saldamente ancorata con le zanne e con gli artigli alla carcassa dello scrag ormai morto. «Meglio ripescare quella cosa», borbottò uno degli uomini del Folletto del Mare, «altrimenti provocheremo la nascita di un intero equipaggio di puzzolenti troll!» Parecchi uomini si addossarono alla murata e con lunghi uncini si dedicarono al macabro compito di recuperare la carcassa; Guenhwyvar risalì a bordo senza eccessiva fatica, scavalcando la murata e scrollandosi con tanta forza da inzuppare quanti erano nelle vicinanze. «Gli scrag non si risanano se sono fuori dell'acqua», commentò uno degli uomini, rivolto al drow. «Adesso appenderemo questa carcassa al boma per farla asciugare e poi le daremo fuoco». Drizzt si limitò ad annuire, consapevole che la squadra di abbordaggio sapeva bene cosa doveva fare e che si sarebbe organizzata per tenere sotto sorveglianza i pirati prigionieri, districare il sartiame e riparare la caravella quanto bastava perché potesse compiere il viaggio di ritorno a Waterdeep. Spostando lo sguardo verso sud, vide poi che il Folletto del Mare stava tornando verso di loro, affiancata dalla nave pirata che procedeva a fatica, danneggiata. «Trentotto e trentanove», borbottò. Accanto a lui Guenhwyvar rispose con un basso ringhio e si scrollò di nuovo con decisione, infradiciandolo dalla testa ai piedi. 2 Il primo messaggero Il capitano Deudermont sembrava decisamente fuori posto nel passeggiare lungo la Via dei Moli, la malfamata e mal frequentata strada che costeggiava il porto di Waterdeep. Gli abiti di buona qualità e di perfetta fattura calzavano a pennello sul suo corpo alto e snello, l'andatura era calma ed elegante, i capelli e il pizzo erano meticolosamente pettinati. Tutt'intorno a lui i rudi lupi di mare che erano rimasti a terra per qualche settimana di riposo uscivano barcollando dalle taverne, puzzolenti di birra, oppure si
accasciavano sul terreno polveroso storditi dai fumi dell'alcool ingerito; la sola cosa che li proteggeva dai numerosi furfanti e borsaioli che si annidavano nella zona era il fatto che nessuno di essi possedeva nulla di prezioso che valesse la pena di rubare. Deudermont, che pure stava ignorando con aria distratta quanto gli accadeva intorno, non si considerava certo migliore di quei marinai e anzi scorgeva nel loro modo di vivere qualcosa che lo incuriosiva, una sorta di onestà che pareva farsi beffe della pretenziosità delle corti dei nobili. Infastidito dalla fredda aria notturna che soffiava dal porto, Deudermont si assestò intorno al collo il mantello foderato di pelliccia. Di norma una persona palesemente benestante come lui non avrebbe mai osato aggirarsi da sola nella zona della Via dei Moli neppure in pieno giorno, ma Deudermont si sentiva sicuro perché aveva al fianco la scimitarra che sapeva usare con notevole abilità e anche perché sapeva che in ogni taverna e lungo ogni molo di Waterdeep era circolata la voce secondo cui il capitano del Folletto del Mare godeva della personale protezione dei Signori di Waterdeep, compresi alcuni maghi molto potenti che sarebbero stati pronti a ricercare e a distruggere chiunque avesse osato infastidire il capitano stesso o qualsiasi membro del suo equipaggio mentre si trovavano in porto. Waterdeep era il rifugio del Folletto del Mare, quindi Deudermont non aveva esitazioni a percorrere da solo la Via dei Moli e si sentì più incuriosito che intimorito quando un vecchio rugoso e ossuto che raggiungeva a stento un metro e mezzo di statura lo chiamò dall'imboccatura di un vicolo. Arrestandosi, Deudermont si guardò intorno, constatando che la Via dei Moli era tranquilla e silenziosa tranne per il chiasso che giungeva dalle numerose taverne e lo scricchiolare del legno degli edifici fatiscenti sotto il soffio incessante del vento di mare. «Tu sei Doo-dor-mont-ee, vero, signore?» chiese in tono sommesso e fortemente accentato il vecchio marinaio, accompagnando ogni sillaba con un lieve sibilo e sfoggiando in un ampio sorriso quasi lascivo un paio di isolati denti storti che ancora sbucavano dalle gengive annerite. Deudermont si limitò a osservare con pazienza il vecchio senza replicare, perché non si sentiva incline a fornire una risposta alla sua domanda. «Se sei tu, ho delle notizie per te», ansimò il vecchio. «Un avvertimento da parte di un uomo che faresti bene a temere». Il capitano rimase immobile e impassibile, senza lasciare che la sua espressione tradisse gli innumerevoli interrogativi che gli stavano affiorando nella mente. Di chi avrebbe dovuto aver paura? Quel vecchio marinaio
stava forse parlando di Pinochet? La cosa sembrava probabile, soprattutto se si consideravano le due caravelle che il Folletto del Mare aveva scortato nel Porto di Waterdeep all'inizio di quella settimana, ma a Waterdeep erano in pochi ad avere contatti con il pirata, il cui dominio si trovava molto più a sud, oltre la Porta di Baldur e nell'area circostante le Isole Moonshae. D'altro canto, a chi poteva voler alludere quel vecchio se non al capitano pirata? Sempre sorridendo l'anziano marinaio segnalò a Deudermont di addentrarsi con lui nel vicolo e quando si accorse che il capitano non accennava a muoversi si girò verso di lui, avanzando di un passo. «Hai forse paura del vecchio Scaramundi?» ansimò. Deudermont era consapevole che quello del vecchio poteva benissimo essere un travestimento, dato che molti fra i più grandi assassini dei Reami potevano apparire deboli e indifesi quanto lui, salvo poi piantare una daga avvelenata nel petto della loro vittima. Mentre il capitano continuava a esitare, il vecchio tornò all'imboccatura del vicolo e ne emerse per avanzare nella strada e dirigersi verso di lui. Osservandolo, il capitano giunse alla conclusione che quello non poteva essere un travestimento perché era troppo completo e troppo perfetto, senza contare che lui stesso rammentava di aver visto altre volte quel vecchio seduto vicino all'ingresso del vicolo che probabilmente gli serviva da casa. Rimaneva però la possibilità che altri gli avessero teso un'imboscata all'interno del vicolo. «Fa' come preferisci, allora», ansimò intanto il vecchio, sollevando una mano in un gesto di resa; appoggiandosi pesantemente al bastone si avviò quindi per rientrare nel vicolo, borbottando: «Dopo tutto sono soltanto un messaggero, e non m'importa se vuoi sentire o meno le notizie che ho da darti». Sempre cauto, Deudermont si guardò di nuovo intorno e dopo essersi accertato che lungo la strada continuava a non esserci nessuno e che non c'erano angoli in cui potessero essersi nascosti degli uomini per tendergli un'imboscata si decise infine ad accostarsi all'imboccatura del vicolo. Il vecchio marinaio si era già addentrato in esso di almeno una decina di passi ed era giunto al limitare delle ombre inclinate proiettate dall'edificio sulla destra, per cui era a stento visibile nell'oscurità; con una risata che si trasformò in un colpo di tosse il vecchio intanto avanzò di un altro passo. Posata per precauzione una mano sull'elsa della sciabola Deudermont gli si avvicinò infine con estrema cautela, guardandosi intorno con la massima
attenzione a ogni passo ma constatando che il vicolo appariva del tutto deserto. «Ci siamo spinti abbastanza oltre», disse infine, inducendo il vecchio ad arrestarsi. «Se hai delle notizie per me riferiscimele subito e bada di fare in fretta». «Ci sono cose che è bene non dire a voce troppo alta», replicò il vecchio. «Subito», ribadì Deudermont. Il vecchio marinaio sfoggiò un ampio sorriso seguito da un colpo di tosse, o forse da una risata, poi tornò indietro di alcuni passi strascicati e si arrestò di fronte a Deudermont, investendolo con l'odore che emanava dal proprio corpo, così forte che per poco Deudermont, che pure era abituato a sentori del genere, non si sentì mancare il respiro. A bordo di una nave in alto mare non c'erano molte opportunità di lavarsi di frequente e capitava spesso che il Folletto del Mare rimanesse al largo per settimane o addirittura per mesi di fila, ma la combinazione di vino di quart'ordine e di sudore stantio conferiva a quel vecchio un odore talmente sgradevole da indurre Deudermont a contrarre il volto in una smorfia e addirittura a portarsi una mano al naso per proteggersi almeno in parte da quella puzza. Naturalmente il vecchio se ne accorse e scoppiò in una risata quasi isterica. «Subito», ripeté per la terza volta il capitano. Nel momento stesso in cui quella parola gli usciva dalle labbra, il vecchio si protese ad afferrarlo per un polso: per nulla intimorito, Deudermont torse il braccio per liberarsi, ma il vecchio mantenne saldamente la presa. «Voglio che mi parli dell'elfo scuro», disse, e Deudermont impiegò un momento a rendersi conto che il suo accento era del tutto scomparso. «Chi sei?» domandò, assestando al braccio uno strattone violento quanto inutile che gli permise infine di comprendere la verità che si celava dietro quella presa sovrumana, in quanto pareva che lui stesse esercitando i propri sforzi per liberarsi avendo come avversario uno dei grandi giganti di nebbia che vivevano sugli scogli circostanti l'Isola di Delmarin, nel lontano sud. «L'elfo scuro», ripeté il vecchio, mentre senza il minimo sforzo apparente procedeva a trascinarlo a viva forza nelle oscure profondità del vicolo. Senza perdersi d'animo il capitano cercò di estrarre la sciabola, perché anche se il vecchio lo teneva saldamente per il polso destro lui era altrettanto abile nell'usarla con la sinistra; estrarre Tarma ricurva dal fodero con
questa mano gli riuscì però tutt'altro che facile e Tarma non era ancora del tutto snudata quando la mano libera del vecchio si protese a palmo aperto e lo colpì in pieno volto facendolo volare all'indietro e mandandolo a sbattere contro il muro. Per quanto stordito Deudermont snudò comunque Tarma e la trasferì nella destra ora libera, vibrando un colpo al costato del vecchio che gli si stava di nuovo avvicinando. L'affilata sciabola affondò in profondità nel suo fianco, ma egli non sussultò neppure per la ferita e continuò il suo assalto; Deudermont tentò di bloccare lo schiaffo successivo e quello che gli fece seguito, ma le sue difese semplicemente non erano adeguate e quando cercò di far seguire una parata a un nuovo affondo della sciabola l'avversario s'insinuò sotto la sua guardia e gli fece volare via di mano l'arma per poi riprendere a percuoterlo con una serie di colpi a palmo aperto che si susseguirono rapidi come altrettanti attacchi da parte di un serpente, tanto violenti da spingere all'indietro la testa di Deudermont che si sarebbe accasciato al suolo se il vecchio non lo avesse afferrato saldamente per una spalla. Con occhi ora offuscati Deudermont scrutò il suo nemico e la sua espressione si fece confusa nel vedere il volto del vecchio perdere nitidezza e definizione per poi assumere nuovi lineamenti. «L'elfo scuro», insistette ancora il vecchio, o per meglio dire la creatura, ma Deudermont era così sconcertato di vedere il proprio volto fissarlo con espressione sogghignante che quasi non sentì quella voce, la sua voce, persistere nel l'interrogarlo. *
*
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«Ormai dovrebbe essere qui», commentò Catti-brie, appoggiandosi al bancone. Dal suo modo di fare Drizzt si rese conto che lei cominciava a spazientirsi, non tanto per il ritardo di Deudermont che quando era a Waterdeep finiva spesso per essere trattenuto da questo o da quell'impegno quanto a causa del marinaio che aveva accanto, un uomo basso e tozzo dalla barba folta e dai capelli ricciuti neri come l'ala di un corvo che continuava a urtarla a ogni movimento che faceva; naturalmente ogni volta l'uomo si scusava della propria goffaggine e coglieva quel pretesto per girarsi a guardare la splendida donna che aveva accanto, a volte ammiccando e sempre sorridendo. Girandosi in modo da addossare le spalle al bancone Drizzt si guardò intorno nella sala della taverna: a quell'ora di notte Le Braccia della Sirena
era quasi deserta anche perché il clima si stava mantenendo ottimo e la maggior parte delle flotte di pescherecci e di navi mercantili era in navigazione; nonostante questo, la sala era comunque rumorosa e piena di movimento a causa dei marinai che stavano trovando sollievo a mesi di noia in alto mare bevendo in compagnia, scambiandosi storie assurde e scatenando di tanto in tanto qualche rissa. «Robillard», sussurrò d'un tratto Drizzt, e nel girarsi per seguire con lo sguardo la direzione di quello del drow Catti-brie vide il mago sgusciare fra gli avventori per venire a raggiungerli al banco. «Buona sera», salutò Robillard in tono poco entusiasta. Nel parlare non guardò verso di loro e senza attendere che il barista gli si avvicinasse agitò le dita in modo da far apparire davanti a sé per magia una bottiglia e un bicchiere. Naturalmente il barista accennò a protestare ma un istante più tardi in mano gli apparve un mucchietto di monete di rame che troncò sul nascere le sue proteste, anche se lui scosse comunque il capo con disgusto perché non gli piacevano né il mago dello Folletto del Mare né i suoi modi arroganti. «Dov'è Deudermont?» chiese intanto Robillard. «Senza dubbio sarà a sperperare la nostra paga». Drizzt e Catti-brie si scambiarono un sorriso permeato dell'abituale incredulità che il mago riusciva sempre a destare in loro. Robillard era uno degli uomini più caustici e distaccati che entrambi avessero conosciuto, più brontolone perfino del Generale Dagma, il burbero nano che Bruenor aveva posto a capo della guarnigione di Mithril Hall. «Non ne dubito», si limitò a commentare Drizzt, in tono asciutto. «Naturalmente è risaputo che Deudermont ci deruba di continuo», aggiunse Catti-brie. «La sua passione per le donne più costose e i vini più pregiati è ben nota, come pure la sua liberalità con soldi che non gli appartengono». Robillard si lasciò sfuggire un ringhio sommesso e si allontanò con aria infuriata. «Mi piacerebbe conoscere la storia di quell'uomo», mormorò Catti-brie, seguendolo con lo sguardo. Drizzt annuì in silenzio, senza distogliere lo sguardo dalla figura del mago. Senza dubbio Robillard era un uomo strano e il suo modo di fare induceva a supporre che in passato gli dovesse essere successo qualcosa di terribile. Forse aveva involontariamente ucciso qualcuno o era stato respinto dalla persona che amava, o forse si era addentrato troppo nello studio
della magia e aveva guardato in luoghi che lo sguardo dell'uomo non era destinato a raggiungere. Adesso quella semplice osservazione di Catti-brie aveva avuto l'effetto di destare in Drizzt Do'Urden un improvviso interesse nei confronti del mago, inducendolo a chiedersi chi fosse davvero Robillard e cosa avesse generato in lui uno stato di noia e d'ira perenni. «Dov'è Deudermont?», chiese una voce accanto a loro, strappando Drizzt alle sue riflessioni. Girandosi, il drow vide che a parlare era stato Waillan Micantry, un ragazzo di appena vent'anni dai capelli color sabbia, gli occhi color cannella e marcate fossette in perenne evidenza perché lui sorrideva di continuo. Waillan era il membro più giovane del loro equipaggio, più giovane perfino di Catti-brie, ma aveva un occhio di una precisione incredibile nel puntare la catapulta, tanto che i suoi tiri stavano diventando rapidamente leggendari e che se fosse vissuto abbastanza a lungo si sarebbe senza dubbio creato una notevole reputazione lungo la Costa delle Spade. Una volta Waillan Micantry era riuscito addirittura a infilare la lancia scagliata dalla catapulta attraverso la finestra della cabina di un capitano pirata, trafiggendolo mentre si affibbiava la spada al fianco e scagliandolo oltre la porta e sul ponte della nave pirata, il cui equipaggio si era naturalmente arreso all'istante permettendo al Folletto del Mare di catturare la preda senza neppure ingaggiare il combattimento. «Lo stiamo aspettando», rispose Drizzt, rasserenato dalla semplice vista di quel giovane perennemente raggiante; in cuor suo però non poté esimersi dal fare un confronto fra Waillan e Robillard, che a parte lui stesso era forse il membro più anziano dell'equipaggio del Folletto del Mare. «Ormai avrebbe dovuto essere già qui», sussurrò fra sé Waillan, annuendo, ma l'orecchio acuto di Drizzt non ebbe difficoltà a cogliere le sue parole. «Lo stavi aspettando?» fu pronto a chiedere il drow. «Ho bisogno di parlargli di un possibile anticipo sulla paga», ammise Waillan, poi si tinse di un intenso rossore e si avvicinò maggiormente a Drizzt per evitare che Catti-brie lo sentisse mentre aggiungeva: «Ho un'amica». «Il capitano avrebbe dovuto già essere qui», affermò Drizzt, sentendo il proprio sorriso che si accentuava. «Sono certo che non tarderà ancora molto». «L'ultima volta che l'ho visto era a meno di una dozzina di porte da qui,
più in giù lungo la strada», osservò Waillan. «Era vicino al Porto Nebbioso ed era diretto da questa parte, tanto che credevo che sarebbe arrivato prima di me». «Quanto tempo fa è successo?» domandò Drizzt, cominciando infine a preoccuparsi. «Da quando sono arrivato sono scoppiate due risse», replicò Waillan, scrollando le spalle. Drizzt si girò e si appoggiò al bancone, scambiando un'occhiata ora piena di preoccupazione con Catti-brie. Infatti erano trascorsi parecchi minuti dalla fine delle ultime due risse e fra Le Braccia della Sirena e il locale nominato da Waillan non c'era molto che potesse interessare il capitano e senza dubbio nulla che potesse avergli causato un ritardo così prolungato. Sospirando, Drizzt bevve un sorso dal boccale pieno d'acqua che aveva davanti e guardò in direzione di Robillard, che si era seduto per conto suo anche se a un tavolo non lontano c'erano posti liberi accanto a quelli occupati da quattro membri dell'equipaggio del Folletto del Mare. Riflettendo, Drizzt si disse che non era il caso di stare eccessivamente in ansia, che forse Deudermont si era dimenticato di un appuntamento importante o aveva cambiato idea sul fatto di venire questa notte alle Braccia della Sirena; d'altro canto di notte la Via dei Moli di Waterdeep era un luogo pericoloso e il sesto senso da guardacaccia del drow, il suo istinto di guerriero, lo avvertì di essere cauto. *
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Praticamente privo di sensi, Deudermont non avrebbe saputo dire da quanto tempo lo stavano percuotendo, sapeva soltanto di essere sdraiato sul terreno gelido e che la cosa che lo aveva aggredito, quale che fosse la sua natura, aveva adesso assunto la sua identica forma, perfetta perfino nel vestiario e nelle armi, e gli si era seduta sulla schiena. La tortura fisica non era più molto intensa, ma peggiore delle percosse era la presenza della creatura che il capitano stava avvertendo nella propria mente, intenta a sondare i suoi pensieri e ad acquisire conoscenze che avrebbe poi utilizzato senza dubbio contro i suoi amici. Devi avere un sapore eccellente, Deudermont sentì sussurrare dalla creatura nella propria mente. Migliore di quello del vecchio Scaramundi. Nonostante l'irrealtà che permeava quanto gli stava accadendo e l'assenza di sensazioni concrete, il capitano sentì lo stomaco che gli si contraeva e
in un angolo remoto della propria sfera cosciente ebbe l'impressione di riuscire a capire infine la natura del mostro che lo aveva assalito: i doppleganger non erano comuni nei Reami ma i pochi che vi avevano fatto la loro comparsa avevano scatenato un caos sufficiente a garantire alla loro razza aliena una pessima reputazione. Poi Deudermont si sentì sollevare da terra, stretto in una presa tanto forte da avere l'impressione di essere privo di peso e di fluttuare nell'aria; un momento più tardi la creatura lo fece girare in modo da averlo di fronte, e lui si aspettò di essere divorato sul momento. «Non ancora», replicò l'essere, consapevole dei suoi taciti timori. «Ho bisogno dei tuoi pensieri, mio buon capitano Deudermont, devo saperne abbastanza sul tuo conto e su quello della tua nave da poter far vela dal Porto di Waterdeep per dirigermi a sudovest alla volta di un'isola che pochi conoscono ma di cui parlano in molti». Il sorriso della creatura aveva qualcosa di affascinante e suo malgrado Deudermont finì per concentrare su di esso la propria attenzione, nel momento stesso in cui la testa dell'essere scattò in avanti e lo colpì in piena faccia, facendolo svenire. Qualche tempo dopo (Deudermont non avrebbe saputo dire quanti secondi fossero trascorsi), il capitano sentì di nuovo il contatto del terreno gelido contro la guancia e scoprì di avere i polsi legati strettamente dietro la schiena, le caviglie legate e un bavaglio stretto intorno alla bocca. Nonostante tutto riuscì a girare la testa quanto bastava per seguire con lo sguardo le mosse della creatura che, tuttora sotto le sembianze del capitano, si stava chinando su una massiccia grata di ferro. Incredulo, Deudermont la vide sollevare senza fatica la pesante grata di copertura delle fogne che doveva pesare un paio di quintali; appoggiata con disinvoltura la grata all'angolo dell'edificio, l'essere si girò e afferrò Deudermont, trascinandolo verso l'apertura e scaricandolo al suo interno senza troppe cerimonie. Nella fogna il fetore risultò molto più intenso di quanto fosse logico aspettarsi perfino in un luogo del genere, e quando riuscì a spostarsi quanto bastava per sollevare la faccia dalla fanghiglia Deudermont comprese cosa lo stesse generando. Il cadavere che gli giaceva accanto, impastato di sangue e con il torso per metà divorato dalla creatura doveva essere quello di Scaramundi. Deudermont sussultò quando in alto la grata della fogna ricadde al suo posto con un tonfo metallico, poi giacque immobile, inorridito e impotente, consapevole che presto avrebbe fatto la stessa macabra fine del malcapitato
marinaio. 3 Un messaggio riferito in maniera molto indiretta Drizzt, qualche tempo più tardi, cominciò effettivamente a preoccuparsi. Robillard aveva già lasciato Le Braccia della Sirena, disgustato del suo capitano sul quale, per usare le sue parole, "non si poteva mai fare affidamento", mentre Waillan Micantry era ancora al banco accanto al drow ma aveva avviato una conversazione con un marinaio che si trovava dal lato opposto. Appoggiato con la schiena al bancone, Drizzt stava continuando a esaminare la folla, del tutto a suo agio in mezzo a quei marinai anche se in passato non era sempre stato così. In precedenza Drizzt era stato a Waterdeep soltanto due volte prima che lui e Catti-brie decidessero di lasciare Mithril Hall, la prima quando si era diretto a Calimport all'inseguimento di Entreri e poi sulla via del ritorno, quando lui e i suoi amici si erano incamminati alla volta di Mithril Hall per riconquistarla. Drizzt era passato una prima volta attraverso la città utilizzando il travestimento fornito da una maschera magica che lo faceva apparire come un elfo di superficie; il secondo viaggio era invece stato compiuto senza la maschera e per questo si era rivelato più difficoltoso; quando il Folletto del Mare aveva infine attraccato a Waterdeep nelle primissime ore del mattino, dietro richiesta di Deudermont l'elfo scuro e i suoi amici avevano atteso il calare della notte prima di lasciare la città e d'imboccare la strada che portava a est. Al suo ritorno a Waterdeep insieme a Catti-brie, sei anni prima, Drizzt aveva infine osato presentarsi apertamente come un drow e quella era stata un'esperienza a dir poco sgradevole perché aveva sentito sguardi ostili fissarlo a ogni passo e più di un ruffiano aveva tentato di sfidarlo; pur evitando come poteva quelle sfide, nel suo intimo Drizzt aveva saputo che prima o poi sarebbe stato costretto a combattere o, cosa ancora peggiore, sarebbe stato ucciso a distanza da qualche arciere nascosto per il solo motivo che la sua pelle aveva un colore diverso. Poi il Folletto del Mare era rientrato in porto e Drizzt aveva ritrovato il suo vecchio amico Deudermont, un uomo che godeva di una notevole reputazione lungo i moli della grande città, e di lì a poco era stato accettato in tutta Waterdeep e in particolare lungo la Via dei Moli grazie alla sua
personale reputazione diffusa ad arte dal capitano Deudermont stesso. Dovunque il Folletto del Mare gettava l'ancora veniva subito messo in chiaro da Deudermont che Drizzt Do'Urden era un elfo scuro del tutto insolito e un membro del suo eroico equipaggio, e questo aveva reso il cammino di Drizzt molto più facile e a tratti addirittura piacevole. E per tutto quel tempo Catti-brie e Guenhwyvar gli erano state al fianco. Nel seguire la scia di quei pensieri il drow spostò lo sguardo sulla giovane donna, seduta ora a un tavolo insieme a due membri del loro equipaggio, e sulla grande pantera che giaceva raggomitolata intorno alle sue gambe. Guenhwyvar era diventata una sorta di mascotte per i clienti delle Braccia della Sirena e Drizzt era lieto di poterla convocare qualche volta non per una battaglia ma semplicemente per godere della sua compagnia anche se adesso si stava chiedendo quale sarebbe risultato l'effettivo motivo della convocazione di quella sera. Catti-brie lo aveva pregato di evocare la pantera asserendo di avere freddo ai piedi e lui era stato pronto ad accontentarla in quanto in un angolo della sua mente aleggiava la consapevolezza che Deudermont poteva essere in difficoltà e che la presenza di Guenhwyvar sarebbe potuta risultare necessaria per qualcosa di più del semplice piacere della sua compagnia. Un momento più tardi però il drow si rilassò ed emise un sospiro di sollievo nel vedere il capitano Deudermont entrare nella taverna, guardarsi intorno e infine concentrare la propria attenzione su di lui, venendolo a raggiungere vicino al bancone. «Vino di Calimshan», ordinò il doppleganger al barista, in quanto nel sondare i pensieri del capitano aveva appreso che quella era la sua bevanda abituale; nel poco tempo che avevano trascorso insieme con il capitano aveva imparato molte cose sul suo conto e sul Folletto del Mare. «Sei in ritardo», commentò Drizzt, girandosi per appoggiarsi in avanti sul bancone, tentando con quelle parole di sondare il capitano e di capire se avesse avuto delle difficoltà. «Un problema di poco conto», garantì l'impostore. «Cosa c'è, Guen?» chiese Catti-brie alla pantera, vedendola sollevare la testa e guardare in direzione di Drizzt e di Deudermont con gli orecchi appiattiti sul cranio e un ringhio sommesso che le vibrava in gola. «Che cosa vedi?» Guenhwyvar continuò a osservare con attenzione i due, ma Catti-brie non diede peso al suo comportamento, supponendo che dovesse esserci un ratto o qualche altra bestia del genere nell'angolo alle spalle di Drizzt e del
capitano. «Caerwitch», annunciò intanto l'impostore rivolto al drow. «Caerwitch?» ripeté il guardaboschi, osservando con curiosità il suo interlocutore. Drizzt conosceva quel nome come lo conosceva ogni marinaio della Costa delle Spade, in quanto esso era quello di un'isola troppo minuscola e remota per figurare sulla maggior parte delle carte nautiche. «Dobbiamo salpare immediatamente alla volta di Caerwitch», continuò l'impostore, guardando Drizzt negli occhi senza esitazione; il suo travestimento era così perfetto che il drow non ebbe il minimo sospetto che ci fosse qualcosa che non andava. La richiesta di per sé gli parve comunque strana perché Caerwitch era più una leggenda che un luogo reale, un'isola su cui secondo le storie che si narravano avrebbe avuto la sua dimora una strega cieca. Molti dubitavano della sua esistenza e, anche se c'erano alcuni marinai che sostenevano di esservi stati, sia lui che Deudermont non ne avevano mai parlato. Di conseguenza, annunciando la sua improvvisa intenzione di recarsi su quell'isola, Deudermont aveva colto il drow del tutto alla sprovvista. Perplesso, Drizzt tornò a studiare con attenzione il capitano, notando questa volta una certa rigidità nei suoi modi e come lui apparisse a disagio nella taverna, che pure era sempre stata la sua preferita fra quelle che punteggiavano la Via dei Moli. Qualsiasi cosa avesse ritardato il suo arrivo alle Braccia della Sirena (e Drizzt supponeva che il ritardo potesse essere stato causato da una visita da parte di uno dei riservatissimi nobili, magari perfino del misterioso Khelben) si era trattato comunque di un evento che aveva lasciato Deudermont profondamente agitato. Ripensandoci, forse il suo annuncio non era poi così assurdo, considerato che negli ultimi sei anni era accaduto molte volte che il Folletto del Mare, lo strumento preferito dei Signori di Waterdeep, si fosse visto assegnare missioni segrete e insolite, quindi alla fine il drow accettò quell'informazione senza sollevare obiezioni. Ciò a cui né lui né il doppleganger avevano pensato era però Guenhwy var che, acquattata a tal punto da strisciare con il ventre contro il pavimento e con gli orecchi sempre appiattiti sul cranio, si stava avvicinando con estrema lentezza alla schiena di Deudermont. «Guenhwyvar!» la rimproverò Drizzt. Nel sentire quell'esclamazione il doppleganger si girò di scatto e si appoggiò con la schiena al bancone proprio nel momento in cui Guenhwyvar si lanciava all'attacco, sollevandosi sulle zampe posteriori e bloccando la
creatura contro il banco. Se avesse mantenuto il controllo e avesse recitato il ruolo della vittima innocente, forse il doppleganger sarebbe riuscito a uscire da quella situazione senza farsi scoprire, ma la creatura riconobbe Guenhwyvar o almeno riconobbe il fatto che essa non apparteneva al Piano dell'Esistenza Materiale, e avendone riconosciuto istintivamente la natura suppose che anche la pantera avesse scoperto la sua identità. Reagendo per puro istinto la creatura colpì Guenhwyvar con l'avambraccio e il peso del colpo da essa inferto scagliò il grosso felino pesante tre quintali dalla parte opposta dell'ampia stanza, una cosa che nessun umano avrebbe mai potuto fare. Quando riportò lo sguardo su Drizzt, la creatura vide che il drow aveva entrambe le scimitarre in pugno e comprese di essere stata scoperta. «Tu chi sei?» chiese infatti Drizzt. Emettendo un sibilo ringhiante il doppleganger cercò di afferrare le lame, intercettandone una; al tempo stesso Drizzt attaccò, sia pure con esitazione e usando la lama di piatto perché temeva che quello potesse comunque essere Deudermont, anche se sotto l'effetto di un incantesimo di qualche tipo, e colpì la creatura di lato sul collo. Bloccando la lama con la mano aperta, il doppleganger si scagliò in avanti e gettò il drow al suolo. Tutt'intorno gli altri avventori della taverna scattarono in piedi, i più convinti che quella fosse una delle risse abituali; l'equipaggio del Folletto del Mare, e Catti-brie in particolare, erano però ben consapevoli di quanto fosse assurda la scena a cui stavano assistendo. Vedendo il doppleganger dirigersi verso la porta, scagliando di lato uno sconcertato marinaio del Folletto del Mare che gli sbarrava il passo, Cattibrie incoccò una freccia nell'arco e la mandò a piantarsi nella parete accanto alla testa della creatura: emettendo un sibilo terribile, il doppleganger si girò a fronteggiarla e un istante più tardi si trovò sepolto sotto tre quintali di pantera che gli volarono addosso. Questa volta Guenhwyvar conosceva la forza di cui era dotato il suo avversario e quando entrambi ebbero finito di rotolare sul pavimento il grosso felino si venne a trovare seduto sulla schiena dell'avversario, con le possenti fauci chiuse saldamente intorno alla sua nuca. Immediatamente Drizzt venne a raggiungerla, seguito da presso da Catti-brie, da Waillan Micantry e dal resto dell'equipaggio, oltre che da parecchi avventori incuriositi e dallo stesso proprietario delle Braccia della Sirena, che andò a verificare i danni prodotti nella parete dalla freccia incantata.
«Tu chi sei?» domandò di nuovo Drizzt, afferrando l'impostore per i capelli e costringendolo a girare la testa in modo da poterlo vedere in volto, poi gli passò la mano libera sulla guancia alla ricerca di strati di cerone ma non trovò traccia di trucco e riuscì a stento a ritrarre le dita prima che il doppleganger potesse morderle. Ringhiando, Guenhwyvar accentuò la stretta delle proprie fauci, mandando la testa della creatura a sbattere con violenza contro il pavimento. «Andate a perlustrare la Via dei Moli!» ordinò intanto Drizzt a Waillan. «Nel tratto vicino a dove hai visto il capitano per l'ultima volta». «Ma...» accennò a protestare Waillan, indicando la forma prona della creatura. «Questo non è il capitano Deudermont... anzi, non è neppure un essere umano!» spiegò Drizzt. Chiamati con un cenno parecchi uomini del Folletto del Mare, Waillan si diresse verso la porta seguito da altri marinai che si consideravano amici del capitano apparentemente scomparso. «E chiamate la Guardia Cittadina!» gridò loro dietro Drizzt, riferendosi alle famose pattuglie di Waterdeep. «Tieniti pronta con il tuo arco», disse quindi a Catti-brie, che annuì e incoccò una nuova freccia. Facendosi aiutare da Guenhwyvar, Drizzt riuscì a sottomettere completamente il doppleganger e a costringerlo ad addossarsi in piedi alla parete, legandogli le mani dietro la schiena con una robusta fune fornita dal taverniere. «Te lo chiedo ancora una volta», cominciò quindi Drizzt in tono minaccioso, ma la creatura si limitò a sputargli in faccia e scoppiò in una risata dal suono diabolico. Trattenendosi dal reagire con la violenza, il drow si limitò a fissare con durezza l'impostore, ma si sentì assalire dall'avvilimento quando esso si limitò a sostenere il suo sguardo e a ridere di lui, soltanto di lui, una cosa che gli scatenò un brivido lungo la schiena non perché temesse per la propria sicurezza ma perché stava cominciando a sospettare che il passato lo avesse nuovamente raggiunto e che i poteri malvagi di Menzoberranzan fossero riusciti a rintracciarlo anche laggiù a Waterdeep, mettendo in pericolo il buon capitano Deudermont per causa sua. Se era vero, questo era più di quanto Drizzt Do'Urden potesse sopportare. «Ti offro di avere salva la vita in cambio di quella del capitano Deudermont», disse infine il drow.
«Non spetta a te trattare con questa creatura... qualsiasi cosa possa essere», commentò un marinaio che Drizzt non conosceva. Quando però il drow si girò a fissarlo con espressione incupita e feroce, l'uomo si affrettò a tacere e a indietreggiare, non desiderando destare le ire di un elfo scuro e in particolare di uno che godeva della reputazione di Drizzt. «La tua vita per quella di Deudermont», ripeté Drizzt, rivolto al doppleganger, ma di nuovo la creatura si limitò a scoppiare in una risata diabolica e a sputargli in faccia. Le mani di Drizzt si sollevarono rapide in una combinazione di destri e di sinistri inferti a palmo aperto, e l'ultimo pugno deformò il naso della creatura che però tornò immediatamente ad assumere la forma originale, identica a quella del naso del capitano Deudermont. Quell'immagine, abbinata alla risata satanica, scatenò ondate d'ira incontenibili nel drow, che sferrò all'impostore un nuovo pugno con tutte le proprie forze. Un momento più tardi Catti-brie passò le braccia intorno a Drizzt e lo costrinse ad allontanarsi, anche se il suo semplice intervento fu suffidente a indurre il drow a ricordare chi era e a vergognarsi delle proprie azioni incontrollate e impulsive. «Lui dov'è?» domandò. Il doppleganger continuò a provocarlo con quella sua risata, ma quando Guenhwyvar si sollevò sulle zampe posteriori e gli appoggiò quelle anteriori sulle spalle, protendendo il muso ringhiante fino a pochi centimetri dalla sua faccia, la creatura infine tacque, consapevole che Guenhwyvar aveva riconosciuto la sua natura effettiva e poteva distruggerla completamente. «Chiamate un mago», suggerì un marinaio. «Robillard!» esclamò un altro, l'ultimo membro dell'equipaggio del Folletto del Mare ancora presente nella taverna a parte Drizzt e Catti-brie. «Lui saprà come cavare informazioni da questa cosa!» «Va' a chiamarlo», approvò Catti-brie, e l'uomo si affrettò a lasciare la taverna. «Ci vorrebbe un prete», opinò intanto un altro fra i presenti. «Forse un prete sarebbe più adatto ad affrontare questa... questa...» Incerto su come definire l'impostore, l'uomo lasciò la frase in sospeso. Mentre intorno a lui si svolgeva quella discussione, il doppleganger rimase passivo, sostenendo lo sguardo di Guenhwyvar senza però accennare
nessuna mossa minacciosa. Il marinaio che era andato a chiamare Robillard era appena uscito dalla taverna quando lungo la strada incrociò uno dei suoi compagni, di ritorno alle Braccia della Sirena con la notizia che Deudermont era stato ritrovato. Tutti si affrettarono allora a lasciare la taverna, Drizzt sospingendo davanti a sé il doppleganger che procedeva affiancato da Guenhwyvar e tallonato da Catti-brie che aveva l'arco teso e una freccia puntata contro la nuca della creatura, e arrivarono nel vicolo proprio mentre la grata della fogna veniva sollevata e uno dei marinai saltava nel buco maleodorante per aiutare il suo capitano a uscirne. Una volta nel vicolo Deudermont scrutò con aperto disprezzo il doppleganger che continuava a mantenere un aspetto del tutto identico al suo. «Tanto vale che tu assuma la tua forma naturale», disse alla creatura, liberandosi di un po' della sporcizia che lo ricopriva ed ergendosi sulla persona in un gesto che gli fece ritrovare in un istante tutta la sua dignità. «Loro sanno chi sono io e sanno cosa sei tu». Il doppieganger non reagì in nessun modo ma Drizzt non permise a quella passività di fargli abbassare la guardia e continuò a tenergli la lama di Lampo appoggiata contro il collo così come Guenhwyvar non smise di rimanere vigile dall'altro lato della creatura mentre Catti-brie si avvicinava a Deudermont per offrirgli sostegno. «Posso appoggiarmi al tuo arco?» chiese il capitano, e senza neppure pensarci sopra Catti-brie si affrettò a porgergli l'arma. Accettando l'arco che gli veniva offerto, Deudermont si puntellò pesantemente su di esso nel rivolgersi a Drizzt. «Deve trattarsi di un mago», affermò, pur sospettando che le cose stessero in maniera diversa. «Se tenta di emettere una sola sillaba ingiustificata tagliagli la gola». Annuendo, Drizzt accentuò leggermente la pressione esercitata da Lampo e nel frattempo Catti-brie cercò di indurre Deudermont ad appoggiarsi al suo braccio, offerta che però lui respinse con un cenno deciso. *
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Molto lontano, su un fumoso livello dell'Abisso, Errtu stava osservando con assoluto piacere lo svilupparsi della scena. La trappola era stata piazzata, e anche se non era scattata nel modo che il grande tanar'ri si era aspettato quando aveva mandato il doppieganger a Waterdeep, era comun-
que stata attivata in maniera forse ancora migliore, più inattesa e più caotica. Errtu conosceva Drizzt Do'Urden abbastanza bene da sapere che la menzione di Caerwitch era già di per sé un'esca sufficiente: l'aggressione di quella notte era stata una cosa sgradevole che l'elfo scuro e i suoi amici non avrebbero lasciato passare sotto silenzio e senza dubbio avrebbero finito per recarsi sull'isola menzionata dal doppieganger per scoprire la fonte di quella minaccia. Il possente balor non si divertiva così tanto da anni. Se lo avesse voluto Errtu avrebbe potuto far pervenire più facilmente il proprio messaggio a Drizzt ma tutto quell'intrigo costituito dal doppieganger e dalla strega cieca in attesa a Caerwitch era un divertimento a cui non avrebbe mai rinunciato. La sola cosa che avrebbe potuto divertirlo maggiormente sarebbe stata fare a pezzi Drizzt Do'Urden un po' per volta, divorandone la carne sotto i suoi stessi occhi. Quel pensiero indusse il balor a emettere un ululato deliziato alla prospettiva che presto anche questo si sarebbe verificato. *
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Raddrizzandosi il più possibile, Deudermont continuò a rifiutare ogni aiuto che gli veniva offerto e si sforzò di assumere un'espressione rilassata pur rimanendo vicino a Catti-brie mentre lei tornava lentamente verso l'uscita del vicolo dove Drizzt e Guenhwyvar erano in attesa insieme al doppleganger prigioniero. Per un lungo momento Deudermont contemplò la strana creatura con estrema attenzione, comprendendo appieno la sua malvagità per averla sperimentata a distanza tanto ravvicinata; nel suo intimo, detestava il doppleganger per le percosse che gli aveva inflitto ma soprattutto perché assumendo il suo aspetto lo aveva violato in un modo che gli riusciva intollerabile, tanto che nel contemplare i suoi lineamenti ancora identici ai propri riuscì a stento a controllare l'ira che lo divorava mentre si teneva vicinissimo a Catti-brie, aspettando e pregustando ciò che intuiva essere prossimo a succedere. Vicino alla congiunzione fra il vicolo e la Via dei Moli, Drizzt attese in silenzio accanto all'impostore legato; la sua attenzione e quella dei molti marinai presenti era concentrata a tal punto sul capitano ferito che nessuno di loro si accorse del fatto che la creatura stava modificando nuovamente la propria forma malleabile, rimodellando le braccia in modo da permettere
loro di scivolare fuori dalle corde che le trattenevano. Di conseguenza Drizzt riuscì a estrarre la seconda scimitarra soltanto dopo che la creatura lo ebbe improvvisamente spinto da un lato per poi lanciarsi di corsa verso l'uscita del vicolo con Guenhwyvar alle calcagna. Improvvisamente due ali si materializzarono poi sulla schiena del doppleganger ed esso spiccò il volo con l'intenzione di scomparire nel cielo buio. Lanciata alla carica, Guenhwyvar spiccò un balzo possente all'inseguimento della preda e nello stesso momento il capitano Deudermont sfilò una freccia dalla faretra che Catti-brie portava appesa al fianco; percependo il furto subito, la giovane donna si voltò di scatto proprio nel momento in cui il capitano sollevava l'arco e si gettò di lato con un grido nel vedere la freccia staccarsi dalla corda con un sibilo sommesso. Il doppleganger si era già alzato da terra di circa sei metri quando Guenhwyvar spiccò il suo salto, ma nonostante questo il possente felino riuscì comunque a raggiungere il mostro in volo e ad afferrargli saldamente una caviglia fra le fauci. Immediatamente l'arto cambiò forma, rendendo incerta la presa della pantera, ma un momento più tardi la freccia dalla scia argentea raggiunse in pieno la creatura alla schiena, fra le ali. Guenhwyvar cadde al suolo insieme alla sua preda, atterrando con leggerezza sulla strada mentre il doppleganger le rovinava accanto, morto ancor prima di aver toccato il suolo. Drizzt spiccò subito la corsa, seguito dagli altri, e lo raggiunse in tempo per vederlo mutare nuovamente: le fattezze assunte di recente dal doppleganger si dissolsero ed esso acquisì un aspetto umanoide di un genere che nessuno dei presenti aveva mai visto. Adesso la sua pelle era perfettamente liscia, le dita della mano snella non mostravano rughe visibili a occhio nudo, e la creatura era del tutto glabra oltre ad avere un aspetto insignificante. Nel complesso sembrava soltanto un pezzo di argilla modellato perché assumesse una forma umanoide e niente di più. «Un doppleganger», commentò Deudermont. «A quanto pare Pinochet non è rimasto molto soddisfatto delle nostre recenti imprese». Drizzt annuì in silenzio, concedendosi di concordare con il ragionamento del capitano: quell'incidente non si era verificato a causa sua, a causa di ciò che era e del luogo da cui proveniva. Doveva riuscire a crederci. *
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Errtu stava godendo a fondo di quello spettacolo, lieto di non dover pagare il maestro di travestimenti da lui assoldato. Per un momento si lasciò irritare fugacemente dalla consapevolezza di aver perso la creatura destinata a guidare il Folletto del Mare nel suo viaggio verso un'isola virtuale che effettivamente non esisteva sulle carte nautiche ma la sua fiducia nell'esito finale rimase immutata. I semi erano stati piantati, il doppleganger aveva stuzzicato l'interesse di Deudermont in merito alla loro destinazione e Drizzt aveva sentito il nome esatto dell'isola, che avrebbe riferito al capitano. Sapendo che Drizzt e Deudermont non erano due vigliacchi ed erano curiosi e pieni di risorse, Errtu comprese con certezza che avrebbero trovato fin troppo presto il modo di arrivare a Caerwitch e alla strega cieca latrice del suo messaggio. 4 Un'"assistenza" non richiesta Il Folletto del Mare si rimise in navigazione due settimane più tardi, diretto a sud. Il capitano Deudermont spiegò che dovevano recarsi alla Porta di Baldur, uno dei porti più grandi della Costa delle Spade situato a metà strada fra Waterdeep e Calimshan, e anche se nessuno mise apertamente in discussione la sua decisione molti ebbero l'impressione che Deudermont apparisse teso e quasi indeciso, un atteggiamento che non avevano mai riscontrato prima di allora in quell'uomo abitualmente tanto sicuro di sé. Il modo di fare di Deudermont cambiò drasticamente quattro giorno dopo la partenza dal Porto di Waterdeep, quando la vedetta del Folletto del Mare avvistò una nave a vela quadrata il cui ponte era affollato di marinai. In genere le caravelle avevano un equipaggio di quaranta o cinquanta uomini, ma una nave pirata che volesse attaccare in fretta, godere del vantaggio della superiorità numerica e portare rapidamente a terra il bottino di solito aveva un equipaggio che poteva arrivare anche a centocinquanta uomini: le navi pirata non trasportavano carichi di merci ma combattenti. Se in precedenza Deudermont era parso indeciso, ogni sua esitazione sembrò dissiparsi in quel preciso momento; la sua nave issò tutte le vele e Catti-brie si appese alla spalla Taulmaril per poi cominciare l'arrampicata fino alla coffa, mentre a Robillard veniva ordinato di prendere posto sul ponte di poppa e di gonfiare ulteriormente le vele con la sua magia. Il vento naturale era però fin troppo teso e soffiava da nordovest, da poppa, gon-
fiando già al massimo le vele dello schooner e della nave pirata e preannunciando così una caccia che si sarebbe protratta per parecchio tempo. Al centro del ponte i musicisti iniziarono con la loro melodia destinata ad accendere gli animi e Drizzt abbandonò prima del solito il suo posto abituale sulla prua per andare a raggiungere Deudermont accanto al timone. «Dove la traineremo, dopo averla catturata?» chiese, ponendo una domanda che era abbastanza abituale quando ci si trovava in alto mare. In quel momento erano ancora più vicini a Waterdeep di quanto lo fossero alla Porta di Baldur, ma il vento soffiava in prevalenza da nord e favoriva una rotta verso meridione. «A Orlumbor», rispose senza esitazione Deudermont. Drizzt rimase sorpreso dalla sua scelta perché Orlumbor era un'isola rocciosa spazzata dal vento a metà strada fra Waterdeep e la Porta di Baldur, una città-stato indipendente, poco popolata e di certo non equipaggiata in maniera adeguata per prendere in custodia una caravella piena di pirati. «Pensi che i mastri del porto accetteranno di prenderla in custodia?» obiettò quindi, in tono dubbioso. «Orlumbor deve parecchio a Waterdeep», spiegò Deudermont, annuendo con espressione severa. «Tratterranno la caravella fino a quando arriverà un'altra nave da Waterdeep per prenderla in custodia. Darò istruzione a Robillard perché ricorra ai suoi poteri per avvisare i Signori di Waterdeep». Drizzt annuì in silenzio. Quella decisione appariva del tutto logica e al tempo stesso del tutto assurda e da questo il drow comprese che quello non era uno dei viaggi abituali del Folletto del Mare perché prima di allora Deudermont non aveva mai lasciato indietro una nave e un equipaggio da lui catturati perché altri li prendessero in custodia. D'altro canto il tempo non era mai parso un fattore importante là fuori in mezzo alle onde eterne del mare: di solito il Folletto del Mare continuava la navigazione fino a quando s'imbatteva in una nave pirata, la catturava o l'affondava e poi faceva ritorno presso uno dei porti amici per consegnare l'eventuale preda, senza badare al tempo che questo poteva richiedere. «Gli affari che ci stanno portando alla Porta di Baldur devono essere pressanti», commentò il drow, scrutando in tralice il capitano con aria sospettosa. Deudermont si girò a incontrare il suo sguardo e per la prima volta dall'inizio di quel viaggio lo fissò a lungo e con espressione intensa.
«Non siamo diretti alla Porta di Baldur», ammise infine. «E dove, allora?» chiese Drizzt, con un tono da cui si capiva che quella rivelazione non lo aveva sorpreso affatto. Il capitano però si limitò a scuotere il capo e riportò lo sguardo davanti a sé, modificando leggermente l'inclinazione del timone per tenere la nave allineata con la caravella in fuga. Drizzt accettò la sua reazione senza insistere perché sapeva che Deudermont gli aveva già fatto una concessione anche solo ammettendo che non erano diretti alla Porta di Baldur e sapeva anche che si sarebbe confidato con lui quando ne avesse avuto la necessità. Adesso il problema prioritario era la nave pirata, sempre molto distante davanti a loro, tanto lontana che le sue vele quadrate erano a stento visibili al di sopra della linea dell'orizzonte. «Ancora vento, mago!» Deudermont gridò in tono tranquillo, rivolto a Robillard che rispose con un grugnito e con un cenno della mano, poi aggiunse: «Senza un vento più forte non riusciremo a prenderla prima del tramonto». Drizzt si limitò a sorridere e tornò verso prua per riprendere il suo posto sul rostro e godere del profumo del mare e degli spruzzi di spuma, del suono sibilante prodotto dalla chiglia che fendeva le onde e della solitudine di cui aveva bisogno per riflettere e per prepararsi spiritualmente allo scontro. La corsa si protrasse per tre ore prima che la caravella venisse a trovarsi abbastanza vicina da permettere a Catti-brie, sempre sulla coffa e munita di cannocchiale, di confermare che si trattava effettivamente di una nave pirata e a quel punto buona parte della giornata era ormai trascorsa, con il sole già a metà strada fra lo zenit e la linea dell'orizzonte per cui gli inseguitori compresero che per il momento il tempo era il loro peggior nemico: se infatti non fossero riusciti a raggiungere la nave pirata prima di notte essa avrebbe potuto far perdere le sue tracce con il favore dell'oscurità perché anche se Robillard disponeva di alcuni incantesimi con cui cercare di tenere sotto controllo i suoi movimenti, senza dubbio i pirati disponevano di un loro mago o quanto meno di un chierico che pur non essendo potente ed esperto quanto Robillard sarebbe comunque riuscito a proteggere la nave da quel genere d'incantesimo che era facilmente bloccabile. Inoltre le navi pirata non si avventuravano mai molto lontano dai loro porti segreti e di certo il Folletto del Mare non avrebbe potuto inseguire la preda fino al suo rifugio, dove essa avrebbe potuto trovare degli alleati ad attenderla.
Deudermont però non pareva eccessivamente preoccupato perché già in passato era capitato loro di perdere delle prede a causa del buio, una cosa che sarebbe certo successa ancora in futuro, ma al tempo stesso ci sarebbero sempre stati altri pirati a cui dare la caccia. D'altro canto Drizzt, che senza parere lo stava tenendo d'occhio, ebbe l'impressione che il suo atteggiamento fosse troppo noncurante, una cosa che evidentemente aveva qualcosa (o forse tutto) a che vedere con l'incidente che si era verificato a Waterdeep e con la loro misteriosa destinazione di cui Deudermont non era disposto a discutere. Sospirando, il drow accentuò la stretta intorno alla gomena a cui si stava reggendo e si disse che Deudermont lo avrebbe informato delle proprie intenzioni quando avesse ritenuto che fosse giunto il momento di farlo. Qualche tempo dopo la forza del vento contrario diminuì e il Folletto del Mare cominciò a guadagnare un po' di terreno, dando l'impressione a quanti erano a bordo che forse la nave pirata dopo tutto non sarebbe riuscita a fuggire. La banda di menestrelli, che aveva smesso di suonare durante le lunghe e tediose ore intermedie della caccia tornò a riunirsi e nell'ascoltarla Drizzt comprese che presto quel suono sarebbe giunto fino ai pirati, preannunciando la loro fine imminente. Adesso la situazione pareva tornata alla normalità, l'atmosfera a bordo era più rilassata nonostante la battaglia che pareva ormai imminente, e Drizzt cercò di convincersi che la calma assoluta dimostrata da Deudermont derivava dal fatto che lui aveva sempre saputo che sarebbero riusciti a raggiungere la nave pirata e che tutto era rientrato nella norma. «Uno spruzzo a poppa!» gridò in quel momento una voce, inducendo tutti a girarsi a guardare. «Di cosa si tratta?» esclamarono parecchie voci. Drizzt dal canto suo sollevò lo sguardo verso Catti-brie, che aveva puntato ora il cannocchiale alle spalle del Folletto del Mare e stava scuotendo il capo con aria perplessa e incuriosita. Spostandosi lungo la murata, il drow si andò ad arrestare a metà della nave e si protese in fuori per cercare di intravedere l'ignoto inseguitore, ma tutto ciò che riuscì a vedere fu un alto cuneo di spruzzi del genere che avrebbe potuto essere prodotto dalla gigantesca pinna dorsale di una balena assassina, sempre che al mondo fosse esistita una balena capace di muoversi tanto in fretta. Istintivamente, Drizzt comprese che quegli spruzzi non potevano essere generati da un animale naturale, una consapevolezza condivisa da tutti coloro che si trovavano a bordo.
«Intende speronarci!» avvertì Waillan Micantry, che si trovava accanto alla catapulta montata sulla poppa della nave, ma nel momento stesso in cui lanciava quel grido lo strano inseguitore deviò verso tribordo e oltrepassò lateralmente il Folletto del Mare senza nessuna difficoltà, come se esso fosse stato all'ancora. Nel guardare la creatura sconosciuta, qualsiasi cosa fosse, che stava passando ad appena una ventina di metri di distanza, producendo un muro d'acqua che si andò ad abbattere con forza contro la murata dello schooner, Drizzt si sentì del tutto certo che non poteva trattarsi di una balena, e in mezzo agli spruzzi ebbe l'impressione di distinguere una sagoma umana. «È un uomo!» gridò poi dall'alto Catti-brie, confermando la sua impressione. Sotto lo sguardo incredulo di tutto l'equipaggio, la misteriosa creatura continuò la propria corsa allontanandosi dal Folletto del Mare e riducendo rapidamente la distanza che la separava dalla caravella. «Un mago?» chiese infine Deudermont a Robillard. Questi si limitò a scrollare le spalle come fecero anche tutti gli altri che si trovavano nelle vicinanze e che avevano sentito la domanda, in quanto nessuno aveva una spiegazione plausibile da offrire. «La cosa più importante», osservò infine Robillard, «è chiedersi con chi sia alleato questo nuovo venuto, se sia un amico o un nemico». A quanto pareva quello era un interrogativo a cui neppure l'equipaggio della caravella era in grado di dare risposta, dato che mentre alcuni pirati si limitarono a fissare increduli quella creatura altri si affrettarono a impugnare la balestra e l'equipaggio addetto alla loro catapulta arrivò addirittura a scagliare una sfera di pece in fiamme contro il nuovo venuto, che però si stava muovendo troppo in fretta per permettere una mira accurata e schivò senza difficoltà il proiettile che si abbatté sibilando fra le onde. Di lì a poco l'uomo misterioso si andò ad affiancare alla caravella, oltrepassandola senza difficoltà, poi la scia da esso prodotta diminuì e infine scomparve senza preavviso, rivelando un uomo avvolto in una lunga veste e munito di un pesante zaino che se ne stava in piedi sulle onde e stava agitando freneticamente le braccia, gridando qualcosa; l'uomo era però adesso troppo lontano dal Folletto del Mare perché chiunque fra il suo equipaggio potesse sentire quello che stava dicendo. «Di certo sta per lanciare un incantesimo!» gridò Catti-brie dall'alto della coffa. «Sta...» D'un tratto s'interruppe in modo tanto brusco da indurre Drizzt a scrutar-
la con espressione preoccupata: anche se da dove si trovava non riusciva a vederla bene, il drow ebbe l'impressione che lei fosse confusa e vide che stava scuotendo il capo come per negare l'evidenza di ciò che aveva davanti. Quanti si trovavano sul ponte stavano intanto cercando invano di dare un senso a quello che stava succedendo: a quanto pareva sulla nave pirata stava fervendo una notevole attività lungo la murata rivolta verso l'uomo in piedi sulle onde e da dove si trovavano i marinai del Folletto del Mare poterono sentire delle grida e lo scatto delle balestre che entravano in funzione, ma se pure venne raggiunto da qualche quadrella l'uomo misterioso non lo diede certo a vedere. All'improvviso ci fu poi un tremendo bagliore di fiamma che si dissipò immediatamente in un'enorme nube di densa nebbia, una sfera candida che si librò sull'acqua nel punto in cui poco prima si trovava la caravella e che prese a crescere di dimensioni! Ben presto la nube arrivò ad avvolgere anche il mago che camminava sull'acqua e continuò a espandersi e a infittirsi; per qualche tempo Deudermont proseguì la navigazione a velocità sostenuta e sulla rotta originaria, ma quando si avvicinò al punto in cui si era trovata la caravella fu suo malgrado costretto a rallentare la corsa fin quasi a fermarsi perché non poteva osare di addentrarsi alla cieca in quell'inatteso banco di nebbia. Imprecando fra sé per la frustrazione, fece quindi deviare la nave in modo da costeggiare l'area invasa dalla nebbia mentre i suoi uomini si tenevano schierati lungo la murata con le pesanti balestre e la catapulta di poppa pronte al tiro. Finalmente la nebbia cominciò ad attenuarsi e a disperdersi sotto il soffio deciso della brezza e di lì a poco al suo interno apparve una figura spettrale che, in piedi sulle acque con il mento appoggiato alla mano, stava fissando con aria perplessa il punto in cui si era trovata la caravella. «Questa è una cosa a cui non crederai mai!» gridò dall'alto Catti-brie a Drizzt, accompagnando quelle parole con un gemito. In effetti Drizzt stava stentando a credere ai suoi occhi. Anche lui aveva infatti riconosciuto quel mago sopraggiunto in modo tanto inatteso perché conosceva bene quella veste carminia decorata da rune magiche e da altre immagini assurdamente stilizzate che raffiguravano maghi nell'atto di lanciare incantesimi e che sembravano le figure che un aspirante mago di cinque anni avrebbe potuto disegnare sul suo finto libro degli incantesimi; altrettanto familiare gli era la vista di quel volto glabro e quasi infantile, tutto fossette ed enormi occhi azzurri, incorniciato da lunghi e diritti capel-
li castani spinti dietro gli orecchi in modo tale da sporgere quasi ad angolo retto ai lati della testa. «Quello cos'è?» gli chiese intanto Deudermont. «Non cosa ma chi», lo corresse il drow con una breve risata, scuotendo il capo per l'incredulità. «Chi è?» insistette Deudermont, cercando di apparire severo nonostante la risata di Drizzt, contagiosa quanto rassicurante. «Un amico», rispose Drizzt, poi fece una pausa e sollevò lo sguardo verso Catti-brie nel precisare: «È Harkle Harpell di Sellalunga». «Oh, no», gemette alle loro spalle Robillard che, come qualsiasi mago dei Reami, aveva sentito parlare di Sellalunga e dell'eccentrica famiglia Harpell, il gruppo di maghi suo malgrado più pericoloso che esistesse nell'universo. Con il passare dei minuti la nebbia continuò a dissiparsi e ben presto Deudermont e il suo equipaggio cominciarono a rilassarsi anche se fu soltanto quando la nube scomparve quasi completamente che poterono farsi un'idea di cosa ne fosse stato della caravella pirata, in quanto la videro proseguire la sua corsa a vele spiegate, ormai molto, molto lontana. Per un momento Deudermont fu quasi sul punto di ordinare di issare tutte le vele con l'intenzione di riprendere la caccia, ma poi lanciò un'occhiata in direzione del sole sempre più basso sull'orizzonte, valutò la distanza che lo separava dalla preda e decise che essa era riuscita a sfuggirgli. Lo svanire della nebbia aveva intanto reso perfettamente visibile anche il mago Harkle Harpell, che era fermo a una dozzina di metri di distanza dal lato di tribordo della prua del Folletto del Mare; ceduto il timone a uno dei marinai, Deudermont si diresse a prua per raggiungere Drizzt e Robillard nel punto del ponte più vicino al nuovo venuto e nel frattempo Catti-brie era scesa dalla coffa per unirsi a loro. Intanto Harkle continuò a rimanere impassibile con il mento appoggiato alla mano e lo sguardo fisso sul punto in cui si era trovata la caravella, rollando su e giù con il movimento delle onde e tamburellando di continuo con un piede sulla superficie del mare, cosa che offriva uno strano spettacolo in quanto l'acqua si allontanava da lui anche se l'incantesimo che gli permetteva di camminare su di essa impediva al suo piede di toccarla effettivamente. Infine Harkle sollevò lo sguardo sul Folletto del Mare, fissando Drizzt e gli altri. «Non lo avrei mai creduto», ammise scuotendo il capo, «ma devo aver
diretto quella sfera di fuoco troppo in basso». «Meraviglioso», borbottò Robillard. «Hai intenzione di venire a bordo?» chiese Deudermont al mago, e la sua domanda, o forse l'improvvisa consapevolezza di non essere a bordo di nessuna nave, parve strappare Harkle dalla sua trance. «Ah, sì!» esclamò, indicando i propri piedi. «È proprio una buona idea e sono lieto di avervi trovati perché non so per quanto tempo ancora il mio incantesimo...» Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole l'incantesimo evidentemente smise di fare effetto, dato che senza preavviso lui sprofondò nel mare. «Ma che sorpresa», commentò Catti-brie nel raggiungere gli altri vicino alla murata. Dopo aver ordinato ai suoi uomini di ripescare il mago, Deudermont si girò a guardare gli amici con espressione incredula. «Si è avventurato in alto mare facendo affidamento su un incantesimo così instabile?» commentò in tono sconcertato. «Avrebbe potuto non riuscire a trovare né noi né nessun'altra nave amica, e allora...» «È un Harpell», ribatté Robillard, come se quella fosse stata una spiegazione sufficiente. «È Harkle Harpell», aggiunse Catti-brie, in un tono sarcastico che accentuava l'opinione già espressa in modo implicito dal mago di bordo. Deudermont si limitò a scuotere il capo, traendo un certo conforto dal fatto che accanto a lui Drizzt si stava mostrando palesemente divertito da tutta quella faccenda. 5 Un fugace pensiero Avvolto in una coperta in attesa che le sue vesti appese all'albero di maestra in alto sopra di lui si asciugassero al vento, il mago bagnato fu assalito da un'incontenibile crisi di sternuti, spruzzando tutti quelli che gli sì trovavano intorno compreso lo stesso Deudermont che colpì in piena faccia quando gli si avvicinò per fare la sua conoscenza. «Ti presento Harkle Harpell di Sellalunga», disse Drizzt a Deudermont mentre Harkle protendeva una mano per stringere quella del capitano e perdeva così la presa intorno alla coperta. Un momento più tardi il mago
ossuto cercò di riafferrarla, ma ormai era troppo tardi. «Provvedete a fargli mangiare qualcosa», sogghignò alle sue spalle Catti-brie. «Senza dubbio dovrebbe mettere un po' di carne su quel posteriore tutto ossa». Harkle si tinse di un profondo rossore nel sentire quel commento e Robillard, che aveva già fatto la sua conoscenza, si allontanò scuotendo il capo in preda al sospetto che si stessero profilando all'orizzonte momenti fin troppo eccitanti. «Cosa ti ha portato qui in alto mare, così lontano da qualsiasi costa?» chiese Deudermont. «Sono venuto in risposta a un invito», replicò Harkle, guardando verso Drizzt, poi si mostrò alquanto turbato quando il drow non accennò a reagire in nessun modo alle sue parole. Drizzt dal canto suo si limitò a fissarlo con espressione incuriosita. «È quello che ho fatto!» protestò il mago. «Ho esaudito la tua richiesta, e anche la tua!» aggiunse, girandosi di scatto verso Catti-brie. Chiamata in causa, Catti-brie guardò verso Drizzt che però scrollò le spalle e allargò le mani in un gesto impotente, come a dire che non aveva la minima idea di ciò di cui Harkle stava parlando. «Ma bene, che splendido benvenuto!» sbottò intanto il mago in tono esasperato. «D'altro canto me lo aspettavo, anche se speravo che un elfo drow avesse una memoria un po' meno corta. Cosa dici a qualcuno che incontri di nuovo dopo un secolo? Non riesci neppure a ricordare il suo nome, vero? Oh, no, no, una cosa del genere sarebbe un disturbo eccessivo». «Cosa stai dicendo?» domandò Drizzt. «Ricordo benissimo il tuo nome». «Il che è un bene, perché altrimenti mi infurierei sul serio!» ruggì Harkle, schioccando le dita con fare indignato. Quel suono parve poi calmarlo e per un lungo momento rimase in silenzio con espressione confusa, come se avesse dimenticato di cosa stava parlando. «Ah, sì», riprese infine, fissando Drizzt con espressione ora meno severa e addolcita da una sfumatura di curiosità. «Allora, si può sapere di cosa stai parlando?» domandò nuovamente questi, cercando di indurre il mago a dare una spiegazione un po' più chiara. «Non ne ho idea», ammise Harkle. «Stavi spiegando cosa ti ha portato fin qui», suggerì Deudermont. «Ma certo, è stato l'incantesimo!» esclamò Harkle, facendo schioccare di
nuovo le dita. «È ovvio che si è trattato di un incantesimo», ribatté con un sospiro il capitano, cercando di trovare il modo di ricavare dal mago qualche informazione coerente. «Non "un" incantesimo bensì l'incantesimo», lo corresse Harkle. «Si è trattato del mio nuovo incantesimo, la nebbia del fato». «La nebbia del fato?» ripeté Deudermont, perplesso. «Oh, è un incantesimo eccellente», cominciò Harkle, in tono eccitato. «Sai, accelera le cose nella tua vita, ti mostra dove devi andare e credo ti faccia perfino arrivare dove devi trovarti, però non ti spiega il perché» continuò, sollevando una mano per tamburellare contro il mento con fare assorto; quel gesto fece nuovamente scivolare la coperta ma lui era così intento a riflettere che non parve accorgersene mentre aggiungeva: «Dovrò perfezionare quella parte. Sì, sì, mi piacerebbe proprio sapere perché sono qui». «Vuoi dire che non lo sai neppure?» domandò Catti-brie, girandosi verso la murata e protendendosi addirittura verso l'esterno per non essere costretta a contemplare il posteriore ossuto di Harkle. «Credo di aver risposto a un invito», replicò il mago. Catti-brie assunse un'espressione dubbiosa quanto quella che si era dipinta sul volto di Drizzt. «È vero!» protestò Harkle. «Oh, è proprio molto comodo da parte vostra dimenticarvene. Non dovreste dire cose che non pensate davvero. Quando siete passati da Sellalunga, sei anni fa», continuò guardando dall'uno all'altro e agitando un dito ammonitore, «tutti e due avete espresso la speranza che le nostre strade tornassero a incrociarsi "se mai mi fossi trovato nelle vostre vicinanze". Queste sono esattamente le parole che avete detto!» «Io non...» cominciò Drizzt, ma Harkle lo zittì con un cenno e si precipitò verso il grosso zaino che aveva portato con sé e che si stava asciugando sul ponte. Quel movimento fece scivolare ulteriormente la coperta ma ormai il mago era troppo preso da quello che stava facendo per accorgersene; dal canto suo Catti-brie non si sforzò più neppure di distogliere lo sguardo e si limitò a sogghignare della sua nudità, scuotendo il capo con aria divertita. Estratta dallo zaino una piccola fiasca, Harkle si ricordò delle esigenze della modestia quanto bastava per sentirsi indotto a recuperare la coperta e tornò verso Drizzt: schioccando le dita con fare pieno di sfida davanti al volto del drow, strappò quindi con un gesto deciso il tappo della fiasca da
cui scaturì la voce di Catti-brie. «Se mai dovessi trovarti nelle nostre vicinanze», disse la voce, «passa a trovarci». «Ecco fatto», commentò Harkle in tono di superiorità, rimettendo a posto il tappo, poi rimase per un lungo momento fermo con le mani piantate sui fianchi fino a quando sul volto di Drizzt non si dipinse un sorriso conciliatorio, e infine si girò verso Deudermont, domandando: «A proposito, si può sapere dove ci troviamo, esattamente?» Il capitano guardò verso il drow ma ottenne come unica risposta una sconcertata scrollata di spalle. «Vieni con me e te lo farò vedere», suggerì allora Deudermont, pilotando il mago verso la propria cabina. «Inoltre vedrò di procurarti dei vestiti in attesa che i tuoi si siano asciugati». Dopo che i due se ne furono andati, Catti-brie si avvicinò a Drizzt. «Pregate che non ci capiti di incontrare altri pirati fino a quando non ci saremo liberati del nostro nuovo carico», commentò intanto Robillard, che era fermo poco lontano, fissandoli entrambi con occhi roventi. «Harkle cercherà di aiutarci», replicò Catti-brie. «Pregate intensamente», borbottò Robillard allontanandosi. «Dovresti stare più attenta a quello che dici», osservò allora Drizzt rivolto a Catti-brie. «Da quella fiasca sarebbe anche potuta uscire la tua voce, non solo la mia», ribatté la giovane donna, «senza contare che Harkle ha davvero cercato di aiutarci in quello scontro». «Ma con la stessa facilità avrebbe potuto avvilupparci in un muro di fiamme», le ricordò prontamente Drizzt. Catti-brie annuì con un sospiro, non sapendo come altro rispondere, poi entrambi si girarono verso la porta della cabina di Deudermont, sulla cui soglia il capitano era fermo con Harkle, in procinto di entrare insieme a lui. «Dunque è stata la nebbia del fato che hai scagliato contro i pirati, eh?» stava commentando Deudermont, cercando di apparire impressionato. «Eh?» ribatté Harkle. «Quello? Oh, no, no, si è trattato di fina sfera di fuoco. Sono molto abile a lanciarle», dichiarò, poi fece una pausa e abbassò lo sguardo nel seguire Deudermont all'interno della cabina, ammettendo quindi in tono più sommesso: «Solo che questa volta ho mirato troppo basso». Catti-brie e Drizzt si guardarono a vicenda e incrociarono poi entrambi lo sguardo di Robillard.
«Preghiamo», sussurrarono tutti e tre all'unisono. *
*
*
Quella notte Drizzt e Catti-brie cenarono in privato con Deudermont, che nel corso della cena si mostrò più animato di quanto lo fosse stato da quando erano salpati da Waterdeep. Durante il pasto i due amici cercarono più volte di scusarsi per l'arrivo di Harkle ma Deudermont accantonò le loro scuse e giunse addirittura a far capire loro di non essere affatto seccato per la presenza del mago. Quando ebbero finito di mangiare, Deudermont si appoggiò allo schienale della sedia e si pulì la barba ben curata con un tovagliolo di lino, fissando intensamente i due amici che ricambiarono il suo sguardo in silenzio, consapevoli che lui doveva avere qualcosa d'importante da confidare loro. «Non ci troviamo per caso in questa zona», esordì infine Deudermont in tono brusco. «E non siamo diretti alla Porta di Baldur», aggiunse Drizzt, che peraltro aveva sospettato dall'inizio che quella non fosse la loro destinazione perché anche se ufficialmente il Folletto del Mare era diretto verso quel porto, in effetti Deudermont non aveva neppure tentato di rimanere nelle vicinanze della costa e di seguire la via più diretta e sicura, quella che avrebbe offerto loro maggiori probabilità di incontrare e di catturare navi pirata. Le sue parole furono seguite da una nuova, lunga pausa di silenzio, come se il capitano avesse avuto bisogno di fare chiarezza nella propria mente prima di ammettere con altri le proprie intenzioni. «Presto devieremo a ovest verso Mintarn», disse infine Deudermont. Catti-brie lo fissò interdetta, a bocca aperta per la sorpresa. «Quello è un porto libero», ammonì Drizzt, consapevole che l'isola di Mintarn si era guadagnata una meritata reputazione come rifugio per pirati e altri ricercati dalla legge, cosa che ne faceva un luogo pericoloso e che induceva a chiedersi che sorta di accoglienza avrebbe potuto avere nel suo porto il Folletto del Mare. «Un porto libero», convenne Deudermont, «a cui hanno accesso sia i pirati sia il Folletto del Mare, se andarvi è necessario per ottenere delle informazioni». Pur non sollevando apertamente obiezioni, Drizzt assunse un'espressione dubbiosa di per sé più che mai esplicita.
«I Signori di Waterdeep mi hanno dato l'assoluto controllo del Folletto del Mare», affermò Deudermont in tono aspro. «È la mia nave e risponde soltanto ai miei ordini, quindi se voglio posso portarla a Mintarn, alle Isole Moonshae o addirittura fino a Ruathym senza che nessuno possa dirmi nulla al riguardo!» Drizzt si ritrasse visibilmente ferito da quelle parole aggressive e sorpreso dal fatto che Deudermont, che si era sempre dichiarato suo amico, lo stesse ora trattando come un subordinato. La sua reazione non sfuggì a Deudermont, che sussultò visibilmente di fronte alla sua mortificazione. «Chiedo scusa», mormorò. Tornando a protendersi in avanti sulla sedia Drizzt appoggiò i gomiti al tavolo per farsi più vicino a Deudermont. «Caerwitch?» chiese soltanto. «Il doppleganger ha parlato di Caerwitch, quindi è là che devo andare», rispose Deudermont, incontrando senza esitazione il suo sguardo. «Non pensi che potresti essere diretto verso una trappola?» intervenne Catti-brie. «Forse stai andando esattamente dove qualcuno vuole che tu vada». «Chi?» domandò Deudermont. «Chi ha mandato il doppleganger», rispose Catti-brie. «Chi?» ripeté Deudermont. «Pinochet?» suggerì Catti-brie con una scrollata di spalle. «Oppure è possibile che qualche altro pirata si sia stancato dell'attività del Folletto del Mare?» Deudermont si appoggiò di nuovo allo schienale con aria più rilassata, imitato da Drizzt, e per un lungo momento tutti e tre rimasero immersi in un riflessivo silenzio. «Non posso e non voglio credere che voi due siate in grado di continuare a navigare su e giù lungo la Costa delle Spade come se non fosse successo nulla», affermò infine Deudermont. Essendosi aspettato qualcosa del genere, Drizzt non poté che avallare quella logica, fissando l'amico con un'espressione intenta negli occhi color lavanda mentre questi proseguiva: «Deve trattarsi di un nemico potente perché i doppleganger non sono facili da trovare né economici da assoldare, e questo qualcuno desidera la mia morte e la fine delle attività del Folletto del Mare, per cui è mia intenzione scoprire di chi si tratta. Né io né il mio equipaggio siamo mai fuggiti davanti a uno scontro e chiunque non se la sente di andare a Caerwitch potrà
sbarcare a Mintarn e imbarcarsi a mie spese su un'altra nave che lo riporti a Waterdeep». «Nessuno lo farà» affermò Catti-brie. «Non sappiamo neppure se Caerwitch esista davvero», osservò Drizzt. «Molti sostengono di esserci stati, ma le loro sono storie di marinai, spesso esagerate a causa del troppo bere o della spacconeria». «È una cosa che dobbiamo scoprire», replicò Deudermont in un tono che non ammetteva obiezioni, ma del resto né Drizzt né Catti-brie intendevano sollevarne, entrambi più che pronti ad affrontare le difficoltà a testa bassa. «Forse non è poi un male che il vostro amico mago sia venuto a raggiungerci», continuò il capitano. «Un altro mago esperto nelle arti mistiche potrebbe esserci d'aiuto nel risolvere questo mistero». Catti-brie e Drizzt si scambiarono un'occhiata dubbiosa, pensando entrambi che evidentemente il capitano non conosceva bene Harkle Harpell, ma si trattennero dall'avanzare commenti al riguardo e passarono a discutere altre questioni relative alla gestione quotidiana della nave e dell'equipaggio. Se Deudermont era deciso ad andare a Mintarn loro lo avrebbero seguito e non c'era altro da aggiungere. Dopo la cena Drizzt e Catti-brie uscirono sul ponte quasi deserto dello schooner per fare due passi sotto la scintillante volta stellata. «Sei sollevato per quello che ha detto il capitano», osservò d'un tratto Catti-brie. Colto di sorpresa, Drizzt annuì dopo un momento. «Credevi che l'attacco avvenuto a Waterdeep avesse a che fare con te e non con Deudermont o con il Folletto del Mare», proseguì intanto Cattibrie. Il drow si limitò ad ascoltarla in silenzio perché, come al solito, quella giovane donna tanto percettiva era riuscita a cogliere con estrema precisione ciò che lui provava, leggendolo come in un libro aperto. «Tu vivi nel costante timore che ogni pericolo derivi dalla tua patria», aggiunse Catti-brie, accostandosi alla murata per contemplare il riflesso delle stelle sulle onde in lento movimento. «Mi sono fatto molti nemici», replicò Drizzt raggiungendola. «Ma li hai lasciati sepolti alle tue spalle», rise Catti-brie. Drizzt si unì alla sua risata, costretto ad ammettere con se stesso che lei aveva ragione e convincendosi che questa volta il pericolo non aveva nulla a che vedere con lui. Da parecchi anni ormai stava recitando un ruolo in un grande dramma che coinvolgeva tutto il mondo e adesso l'elemento di pe-
ricolo personale che lo aveva seguito a ogni passo da quando aveva inizialmente lasciato Menzoberranzan pareva una cosa appartenente al passato. Là, sotto le stelle, con Catti-brie al suo fianco, a migliaia di miglia e a molti anni di distanza da Menzoberranzan, Drizzt Do'Urden si sentiva finalmente libero e spensierato. Il viaggio fino a Mintarn non lo intimoriva né temeva la prospettiva di recarsi sulla misteriosa isola di Caerwitch, quali che potessero essere le voci che correvano riguardo al fatto che essa fosse infestata da spettri. No, Drizzt Do'Urden non era uomo da temere il pericolo, vivere nel rischio era una cosa che accettava senza remore e se Deudermont era in difficoltà lui era più che disposto a mettere le proprie scimitarre al suo servizio. Così come Catti-brie era disposta a mettere a sua disposizione il proprio arco Taulmaril e la splendida spada Khazid'hea, che non lasciava mai il suo fianco, così come era pronta ad accorrere Guenhwyvar, la loro fedele compagna. Drizzt non temeva il pericolo, solo il senso di colpa era in grado di piegare le sue forti spalle, ma questa volta pareva che non ci fosse per lui nessun bagaglio di senso di colpa, nessuna responsabilità per l'attacco del doppleganger e per la rotta scelta dal Folletto del Mare: questa volta lui era per sua libera scelta un attore secondario nel dramma personale di Deudermont. Godendo della sensazione del vento e degli spruzzi di spuma, lui e Cattibrie rimasero sul ponte per ore a contemplare in silenzio le stelle. 6 I nomadi Kierstaad figlio di Revjak era chino sull'erba morbida, con il ginocchio che affondava leggermente nel terreno. Il giovane non era alto per gli standard dei nomadi della Valle del Vento Ghiacciato in quanto superava appena il metro e ottanta ed era meno muscoloso della maggior parte dei suoi compagni; i suoi capelli lunghi e biondi s'intonavano con gli occhi del colore del cielo in un giorno sereno e il suo sorriso, nelle rare occasioni in cui lo sfoggiava, era così raggiante da riscaldare l'anima. Al limitare della piatta distesa della tundra, Kierstaad poteva vedere la cima innevata del Picco di Kelvin, l'unica montagna presente nelle mille miglia quadrate che costituivano la terra chiamata Valle del Vento Ghiacciato, quella ventosa striscia di tundra che si allargava fra il Mare del
Ghiaccio Mobile e lo sperone occidentale dei monti della Spina Dorsale del Mondo; Kierstaad sapeva che se si fosse spostato di appena poche miglia verso le montagne avrebbe avvistato le cime degli alberi delle navi che solcavano le acque del Lac Dinneshere, il secondo per dimensioni dei tre grandi laghi presenti nella regione, e nel riflettere su questo si rese conto che appena poche miglia lo separavano da un mondo del tutto differente. Lui era appena un ragazzo che aveva visto soltanto diciassette inverni, ma in quel tempo aveva visitato una parte più vasta dei Reami e condotto una vita più intensa di quella che la maggior parte degli abitanti del mondo avrebbe mai conosciuto. Insieme a molti altri guerrieri aveva risposto all'appello di Wulfgar e aveva lasciato al Valle del Vento Ghiacciato alla volta di un posto molto lontano chiamato Settlestone, festeggiando il suo nono compleanno sulla pista, lontano dalla famiglia. All'età di undici anni aveva combattuto contro orchetti, kobold ed elfi drow, lottando al fianco di Berkthgar l'Audace, condottiero di Settlestone. Era stato Berkthgar a decidere che per i barbari era giunto il momento di fare ritorno alla Valle del Vento Ghiacciato, la loro dimora ancestrale, e al modo di vivere dei loro antenati. Kierstaad aveva visto tante cose, aveva condotto due esistenze molto diverse fra loro in quelli che gli sembravano due mondi del tutto differenti, e adesso era di nuovo un nomade, un cacciatore sulla tundra desolata, e alla vigilia del suo diciottesimo compleanno stava intraprendendo la sua prima caccia solitaria. Nel guardare verso il Picco di Kelvin e nel pensare alle navi da pesca che solcavano il Lac Dinneshere e il Maer Doaldon, a occidente, o le Acque Rosse lontano verso sud, Kierstaad comprese quanto la sua esistenza si fosse effettivamente ristretta e quanto fosse ampio il mondo esterno. Con la mente poteva immaginare i mercati di Bryn Shander, la più grande delle dieci città che circondavano i laghi, poteva immaginare gli indumenti multicolori, i gioielli, la confusione e l'eccitazione che accompagnavano a primavera il sopraggiungere delle carovane di mercanti, la chiassosità con cui gli abitanti del meridione contrattavano per acquistare talismani intagliati nelle ossa della testa delle trote che abbondavano nelle acque dei tre laghi. Gli indumenti che lui aveva indosso erano invece marroni, dello stesso colore della tundra e delle renne che lui e il suo popolo cacciavano, lo stesso colore delle tende in cui vivevano. Il sospiro con cui il giovane accompagnò quelle riflessioni non era però tanto un lamento per quello che aveva perduto quanto un'espressione della
propria rassegnata consapevolezza che adesso questo era il suo modo di vivere, lo stesso dei suoi antenati. Doveva ammettere che in esso c'era una certa particolare bellezza, una durezza che rinforzava il corpo e l'anima. Per quanto giovane, Kierstaad possedeva una saggezza superiore alla sua età, che veniva considerata una caratteristica di famiglia ereditata da suo padre Revjak, che dopo la partenza di Wulfgar aveva assunto il comando delle tribù. Calmo e sempre controllato, Revjak non aveva lasciato la Valle del Vento Ghiacciato per andare a combattere a Mithril Hall perché si riteneva troppo vecchio e troppo radicato nelle antiche usanze. Di conseguenza era rimasto nella valle insieme alla maggioranza del popolo barbaro, consolidando l'alleanza fra le tribù nomadi e rinforzando anche i legami che le univano agli abitanti delle Dieci Città. Revjak non era rimasto sorpreso ma piuttosto compiaciuto di veder tornare Berkthgar, Kierstaad (il suo figlio minore) e tutti gli altri, ma quel ritorno aveva sollevato una quantità di interrogativi in merito al futuro delle tribù nomadi e a chi sarebbe andato il loro comando. «Altro sangue?» chiese una voce, strappando il giovane alle sue riflessioni. Girandosi, Kierstaad vide che il resto dei cacciatori, fra cui anche Berkthgar, si era raccolto alle sue spalle e annuì, indicando la chiazza rossa che spiccava sul terreno bruno. Berkthgar aveva trafitto una renna con la lancia, un tiro splendido da una notevole distanza, ma era riuscito soltanto a ferire l'animale che si era dato alla fuga. Sempre efficienti, soprattutto quando avevano a che fare con quell'animale che dava loro tanto, i cacciatori si erano lanciati all'inseguimento perché non intendevano permettere che una preda t'esita morisse senza che ogni sua parte venisse reclamata, una cosa che non rientrava nelle loro usanze e che era, secondo Berkthgar, "il genere di spreco proprio degli uomini che vivevano nelle Dieci Città o a sud della Spina Dorsale del Mondo". Avvicinandosi al giovane cacciatore ancora inginocchiato al suolo, Berkthgar fissò a sua volta lo sguardo sul cono solitario del Picco di Kelvin. «Dobbiamo prendere quella bestia al più presto», affermò. «Se dovesse arrivare troppo vicina alla valle ce la ruberanno i nani». Intorno ci furono alcuni cenni di assenso mentre il gruppo dei cacciatori si rimetteva in marcia a un'andatura sostenuta. Questa volta però Kierstaad rimase indietro rispetto agli altri perché si sentiva appesantito nell'animo dalle parole del suo capo. Fin da quando avevano lasciato Settlestone, Berkthgar aveva infatti preso l'abitudine di parlare male dei nani anche se
il popolo di Bruenor era stato loro amico e alleato e aveva sostenuto per una buona causa una guerra al fianco dei barbari. Che ne era stato delle grida di entusiasmo che avevano accompagnato la vittoria? Il ricordo più intenso che il giovane conservava del paio d'anni vissuti a Settlestone non era la guerra contro i drow ma i festeggiamenti che vi avevano fatto seguito e che avevano costituito un periodo di grande fratellanza con i nani, i curiosi svirfnebli e i guerrieri che erano affluiti dai villaggi circostanti per partecipare alla lotta. Come poteva essere adesso cambiato tutto in maniera così drammatica? I nomadi avevano lasciato Settlestone da appena una settimana che la storia della loro esistenza aveva cominciato a cambiare, non si era più parlato dei tempi belli che erano stati sostituiti da storie di tragedie e di difficoltà, di come i barbari avessero sminuito il loro spirito piegandosi a lavori venali che non erano degni della Tribù degli Alci o della Tribù degli Orsi o di qualsiasi altra delle antiche tribù. Quei discorsi si erano protratti per tutta la marcia intorno alla Spina Dorsale del Mondo e fino al ritorno alla Valle del Vento Ghiacciato, poi a poco a poco si erano spenti nel nulla. Adesso che si era sparsa la voce che parecchie decine di nani fossero tornati nella Valle del Vento Ghiacciato, i commenti critici da parte di Berkthgar erano però cominciati di nuovo, e Kierstaad non faticava a comprenderne l'origine. Correva voce infatti che fra quanti avevano fatto ritorno ci fosse anche Bruenor Battlehammer in persona, l'Ottavo Re di Mithril Hall che poco dopo la fine della guerra contro i drow aveva restituito il trono al proprio antenato Gandalug, Patrono del Clan Battlehammer, ritornato alla vita dopo secoli di prigionia magica nelle mani degli elfi drow. Anche nel momento in cui la loro alleanza era stata al culmine, i rapporti fra Berkthgar e Bruenor erano sempre stati pervasi di tensione perché Bruenor era stato il padre adottivo di Wulfgar, l'uomo che occupava il posto di massimo rilievo nelle leggende dei barbari. Per lui Bruenor aveva forgiato il possente Aegis-fang, il martello da guerra che nelle mani di Wulfgar era diventato l'arma più onorata da tutte le tribù. E quando Wulfgar era scomparso, Bruenor si era rifiutato di consegnare Aegis-fang a Berkthgar. Anche dopo tutte le imprese eroiche da lui compiute contro i drow nel corso della battaglia della Valle del Custode, Berkthgar continuava a trovarsi nell'ombra della leggenda di Wulfgar e adesso il perspicace Kierstaad aveva l'impressione che il condottiero si fosse lanciato in una campagna intesa a screditare la memoria di Wulfgar e a convincere il suo popolo or-
goglioso che lui non era stato un capo forte ma addirittura un traditore del proprio popolo e dei propri dei. Secondo Berkthgar l'antico modo di vivere delle tribù, quello di nomadi che vagavano sulla steppa liberi da legami, continuava a essere quello migliore. Apprezzando la vita sulla tundra, Kierstaad non se la sentiva di dissentire con le osservazioni di Berkthgar in merito a quale fosse lo stile di vita più onorevole ma d'altro canto lui era cresciuto ammirando Wulfgar e le parole che Berkthgar usava nei confronti del condottiero defunto non gli andavano molto a genio. Nel sollevare nuovamente lo sguardo sul Picco di Kelvin il giovane cacciatore riprese a correre sul morbido terreno spugnoso e si chiese se le voci che avevano sentito fossero vere, se i nani fossero davvero tornati e con loro anche Re Bruenor. E se davvero Bruenor era tornato, non era allora possibile che avesse portato con sé Aegis-fang, il più possente fra i martelli da guerra? Nel formulare quel pensiero, Kierstaad si sentì percorrere da un brivido di eccitazione che però si dissolse un momento più tardi quando Berkthgar avvistò la renna ferita e la caccia entrò nel suo pieno. *
*
*
«Ti ho chiesto della corda!» tuonò Bruenor, scagliando al suolo lo spago che il bottegaio gli stava offrendo. «Intendo corda spessa quanto il mio braccio, dannato cervello d'orco! Pensi forse che possa tenere su la volta di una galleria con una funicella del genere?» Imbarazzato, il bottegaio raccolse lo spago e si affrettò ad allontanarsi, borbottando a ogni passo. Regis, che si trovava alla destra di Bruenor, si girò intanto a fissare il nano con espressione accigliata. «Cosa c'è?» ritorse il nano dalla barba rossa, spiccando un salto per fissare negli occhi il corpulento halfling. Le persone che un nano alto un metro e mezzo poteva guardare dall'alto in basso non erano molte, ma Regis era una di quelle. «È un bene che le tue casse siano piene», ridacchiò Regis, passandosi le mani grassocce nella corta barba ricciuta senza mostrarsi minimamente intimidito dall'atteggiamento di Bruenor, «altrimenti Maboyo ti avrebbe già gettato in strada». «Bah!» sbuffò il nano, raddrizzando l'elmo con un corno solo che gli si
era inclinato sulla testa, e nel volgere le spalle all'halfling aggiunse: «Ha bisogno degli affari che possiamo procurargli. Ho delle miniere da riaprire e questo significa per Maboyo oro che gli affluirà nelle tasche». «Buon per lui», borbottò Regis. «Stai continuando a parlare a vuoto», avvertì Bruenor. Per tutta risposta Regis lo fissò con espressione incuriosita e pervasa di stupore. «Cosa ti prende?» volle sapere Bruenor, girandosi a fronteggiarlo. «Prima mi hai visto» sussurrò Regis, «e poco fa lo hai fatto di nuovo». Bruenor accennò a ribattere in modo caustico ma le parole gli si bloccarono in gola quando si rese conto che Regis si trovava alla sua sinistra, il lato da cui lui aveva perso un occhio nel corso di un combattimento dentro Mithril Hall. Dopo la fine della guerra fra Mithril Hall e Menzoberranzan, uno dei più potenti preti di Luna d'Argento aveva riversato una serie di incantesimi di risanamento sul volto di Bruenor, che era solcato da una cicatrice che partiva dalla fronte e attraversava diagonalmente l'occhio per terminare all'angolo destro della bocca. A quel punto la ferita era già stata piuttosto vecchia e il chierico aveva quindi predetto che il suo lavoro sarebbe stato purtroppo poco più di una riparazione da un punto di vista estetico. In effetti ci erano voluti parecchi mesi perché un nuovo occhio facesse la sua apparizione nelle profondità delle pieghe provocate dalla cicatrice e altro tempo perché esso raggiungesse le sue dimensioni complete. Traendo Bruenor verso di sé Regis gli coprì senza preavviso l'occhio destro con una mano e con l'altra protese di scatto l'indice verso l'occhio sinistro del nano che subito balzò indietro e si affrettò a bloccare il dito che minacciava di colpirlo. «Puoi vedere!» esclamò allora l'halfling. Invece di rispondere il nano lo afferrò in un possente abbraccio e lo fece addirittura ruotare su se stesso per l'entusiasmo derivante dal constatare che in effetti era vero, che il suo occhio sinistro cominciava a vederci di nuovo! Nel negozio erano presenti parecchi altri clienti che inevitabilmente si girarono a osservare quello scoppio emotivo, e non appena si accorse dei loro sguardi e soprattutto dei loro sorrisi, Bruenor lasciò ricadere bruscamente Regis sul pavimento. «Questa soddisfa le tue esigenze?» domandò in quel momento Maboyo, rientrando nella bottega con le braccia occupate da uno spesso rotolo di corda massiccia.
«È un inizio», ruggì Bruenor, tornando a incupirsi. «Me ne servono altri trecento metri». Maboyo si limitò a fissarlo con espressione interdetta. «E subito!» tuonò Bruenor. «Procurami quella corda se non vuoi che parta alla volta di Luskan con una quantità di carri tali da fare provviste sufficienti a sostentare me e la mia gente per un centinaio di anni!» Maboyo lo fissò per un momento ancora, poi scrollò le spalle e si avviò per tornare nel magazzino. Aveva capito che Bruenor era intenzionato a esaurire le scorte di parecchie delle merci che aveva nella bottega non appena il nano era entrato esibendo una borsa piena, mentre a lui piaceva vendere le sue merci poco per volta, facendo apparire prezioso ogni singolo acquisto e strappando a ogni cliente quanto più oro possibile. Bruenor, il cliente più abile nella contrattazione che ci fosse su quel versante delle montagne, non era però disposto a piegarsi al suo gioco. «Ritrovare la vista non è servito a migliorarti di molto l'umore», commentò Regis non appena Maboyo fu scomparso dalla loro visuale. «Bisogna stare al gioco, Grassone», ribatté Bruenor, ammiccando con aria astuta. «Senza dubbio Maboyo è contento del nostro ritorno perché questo raddoppierà i suoi affari». Naturalmente questo significava anche che Maboyo avrebbe dovuto vedersela con clienti tutt'altro che facili; ridacchiando fra sé, Regis pensò alle battaglie verbali che il bottegaio e Bruenor avrebbero ingaggiato, come erano stati soliti fare quasi un decennio prima, quando la valle rocciosa subito a sud del Picco di Kelvin risuonava del tintinnare dei martelli dei nani. Per parecchio tempo l'halfling continuò a fissare Bruenor senza dire nulla, riflettendo che era bello essere di nuovo a casa. PARTE 2 LA NEBBIA DEL FATO Noi siamo il centro. Nella propria mente, in quello che può essere definito egoismo o anche arroganza, ciascuno di noi si considera il centro intorno a cui ruota tutto il mondo, che si muove per noi e a causa nostra. Questo è il paradosso della comunità, del rapporto fra l'uno e il tutto, del modo in cui i desideri dell'uno si vengono spesso a trovare in aperto conflitto con le esigenze del tutto. Chi fra noi non si è mai chiesto se il mondo
intero non sia semplicemente una sorta di sogno personale? Io non ritengo che pensieri del genere siano arroganti o egoistici e penso piuttosto che si tratti di una semplice questione di percezione: noi possiamo anche empatizzare con qualcun altro ma non possiamo veramente vedere il mondo come lo vede un'altra persona o giudicare gli eventi nel modo in cui essi hanno influenzato il cuore e la mente di un altro, perfino di un amico. Però dobbiamo sforzarci di farlo, è un tentativo che dobbiamo effettuare nell'interesse di tutto il mondo in quanto questa è la prova massima dell'altruismo, il più basilare e innegabile ingrediente per la creazione della società. E proprio in questo risiede il paradosso perché in ultima analisi, logicamente, ciascuno di noi si deve preoccupare più di se stesso che degli altri e tuttavia se noi, in qualità di esseri razionali, seguiamo questa linea d'azione logica, posizionando le nostre esigenze e i nostri desideri al di sopra delle esigenze della nostra società, la comunità cessa di esistere. Io vengo da Menzoberranzan, la città dei drow, la città dell'io individuale. Ho visto applicare le leggi dell'egoismo e le ho viste fallire miseramente. Quando domina l'indulgenza personale la comunità perde ogni valore e alla fine coloro che lottano per ottenere qualcosa a livello personale scoprono di non avere in mano più nulla che abbia un effettivo valore. Questo perché tutte le cose di valore che possiamo conoscere in questa vita derivano dai nostri rapporti con quanti ci circondano, perché non c'è nulla di materiale che possa reggere il confronto con i valori intangibili dell'amore e dell'amicizia. Di conseguenza, dobbiamo vincere l'egoismo e tentare di prenderci a cuore i bisogni degli altri, una verità di cui io mi sono reso conto con chiarezza in seguito all'attacco subito a Waterdeep dal capitano Deudermont. Il mio primo istinto era stato quello di credere che fosse stato il mio passato a creare quei problemi, che il corso della mia vita avesse portato sofferenza a un amico, un pensiero che non ero in grado di tollerare, che mi faceva sentire vecchio e stanco. Di conseguenza, apprendere che il problema era forse stato generato dagli antichi nemici di Deudermont e non dai miei mi aveva dato la forza di combattere. Da cosa poteva dipendere questo? Il pericolo che stavo correndo non era inferiore a quello a cui era esposto lo stesso Deudermont, o Catti-brie o chiunque altro fra noi, e tuttavia le mie emozioni erano estremamente concrete e io ero in grado di comprenderle, anche se non ne conoscevo la fonte. Adesso, riflettendoci sopra, mi rendo conto di quella fonte e ne sono
orgoglioso perché ho visto il fallimento dell'egoismo e sono fuggito da un mondo imperniato su di esso: avrei preferito morire a causa del passato di Deudermont piuttosto che veder morire lui a causa del mio, avrei preferito soffrire fisicamente, perfino perdere la vita piuttosto che veder soffrire e morire per me qualcuno che mi era caro. Avrei preferito che mi strappassero il cuore dal petto piuttosto che veder distruggere l'essenza del mio cuore, l'essenza dell'amore, l'empatia e il bisogno di appartenere a qualcosa di più della mia sola forma corporea. Queste emozioni sono una cosa strana in quanto violano ogni logica e hanno il sopravvento sui nostri istinti più fondamentali. Ciò dipende dal fatto che nella misura del tempo, nella misura dell'umanità, noi percepiamo che gli istinti egoistici sono una debolezza, siamo consapevoli che le esigenze della comunità devono avere la meglio sui desideri del singolo. Soltanto quando ammettiamo i nostri fallimenti e riconosciamo le nostre debolezze ci possiamo levare sopra di esse. Insieme. Drizzt Do'Urden 7 Mintarn Drizzt fece una certa fatica a individuare la pantera perché l'isola di Mintarn, posta quattrocento miglia a sudovest di Waterdeep, era ammantata da una fitta coltre di alberi in mezzo alla quale Guenhwyvar si fondeva alla perfezione, adagiata su un ramo a circa sei metri da terra e camuffata così bene che un daino le sarebbe potuto passare sotto senza rendersi conto di andare incontro alla morte. Quel giorno però Guenhwyvar non stava cacciando daini. Il Folletto del Mare era entrato in porto appena due ore prima senza esibire bandiera o colori di sorta e con il nome coperto da teli incatramati. Nonostante questo, lo schooner a tre alberi era comunque facilmente riconoscibile perché era una nave unica nel suo genere lungo tutta la Costa delle Spade e molti furfanti che in quel momento si trovavano nel porto libero erano fuggiti davanti a lei in passato. Di conseguenza, Drizzt, Catti-brie e Deudermont erano stati avvicinati poco dopo essere entrati al Manto Libero, una taverna che si affacciava sui moli, e adesso stavano aspettando il loro contatto
anche se ritenevano più probabile che venisse tesa loro un agguato in quel bosco distante appena un centinaio di metri dalla piazza cittadina. In quel momento carico di tensione Deudermont stava apprezzando a fondo il valore di amici tanto fedeli e potenti. Con Drizzt, Catti-brie e la sempre vigile Guenhwyvar di guardia il capitano infatti non aveva nessun timore di una possibile imboscata, neppure se tutti i pirati della Costa delle Spade si fossero radunati per assalirlo! Senza quei tre disposti intorno a lui Deudermont si sarebbe sentito più che mai vulnerabile perché neppure Robillard, che era innegabilmente potente ma era anche altrettanto imprevedibile, avrebbe potuto infondergli una simile tranquillità di spirito. Infatti, più che nel talento di quei tre Deudermont confidava nella loro fedeltà e sapeva che nessuno di essi lo avrebbe mai abbandonato, indipendentemente dai rischi che si fossero trovati a dover affrontare. D'un tratto Guenhwyvar appiattì gli orecchi contro il cranio ed emise un ringhio sommesso, un suono che gli altri tre avvertirono nel ventre più che recepire con gli orecchi. Immediatamente Drizzt si accoccolò al suolo e scrutò l'area intorno a sé, poi indicò verso nordest e sgusciò nell'ombra silenzioso come la morte, mentre Catti-brie incoccava una freccia nell'arco Taulmaril. Per un momento la ragazza cercò di seguire con lo sguardo i movimenti di Drizzt e di servirsene per individuare l'avvicinarsi del loro contatto, ma il drow era scomparso in maniera così totale da far supporre che fosse semplicemente svanito nel fitto sottobosco. Subito dopo però Catti-brie si rese conto di non aver bisogno dei movimenti di Drizzt come guida perché i loro visitatori non erano abili quanto l'elfo scuro nello spostarsi in silenzio e senza farsi notare in mezzo alla vegetazione. Deudermont rimase fermo con calma allo scoperto con le mani incrociate dietro la schiena, sollevandone di tanto in tanto una per assestarsi la pipa che gli pendeva da un angolo della bocca; anche lui poteva avvertire la prossimità di parecchi uomini, che stavano prendendo posizione nel bosco tutt'intorno al punto in cui si trovava. «Questo non è posto per voi», affermò poi una voce che scaturiva dall'ombra. Chi aveva parlato, un uomo minuto con piccoli occhi scuri e grandi orecchi che facevano capolino da sotto i capelli castani, non immaginava di essere stato avvistato già venti passi prima di raggiungere la sua posizione attuale, che distava ancora oltre una dozzina di metri dal capitano, così come non sapeva che i suoi sette compagni erano stati a loro volta indivi-
duati da Drizzt, da Catti-brie e soprattutto da Guenhwyvar, che adesso si stava spostando come un'ombra lungo i rami per posizionarsi in modo da poter raggiungere quattro uomini con un singolo balzo. Uno dei compagni del portavoce che si trovavano sul suo lato sinistro avvistò poi Catti-brie e sollevò il proprio arco per puntare una freccia contro di lei, ma prima di avere il tempo di fare altro sentì un fruscio improvviso e vide una forma scura passargli accanto veloce come un fulmine. L'uomo balzò all'indietro con un grido di sorpresa e riuscì a intravedere un mantello verde bosco passargli accanto prima che la forma scomparisse, lasciandolo sconcertato ma illeso. «Brer'Cannon?» chiamò l'uomo che si era rivolto a Deudermont, e contemporaneamente da parecchie posizioni circostanti giunse un fruscio rivelatore. «Sto bene», si affrettò a rispondere lo sconvolto Brer'Cannon, raddrizzandosi e cercando di capire quale fosse stato lo scopo di quell'innocua aggressione, scopo che gli risultò fin troppo chiaro quando infine abbassò lo sguardo sul proprio arco e vide che la corda era stata tagliata. «Dannazione», borbottò allora, scrutando freneticamente i cespugli circostanti. «Non sono abituato a parlare con le ombre», esclamò intanto Deudermont, in tono tranquillo. «Non sei solo», ribatté il portavoce. «Neppure voi», rispose senza esitazione Deudermont, «quindi venite fuori e concludiamo questa faccenda, quali che siano gli affari di cui volete parlare con me». Dalle ombre giunsero altri fruscii e più di una voce sussurrante incitò chi aveva parlato, un uomo di nome Dunkin, a farsi avanti per conferire con il capitano del Folletto del Mare. Alla fine, Dunkin trovò il coraggio di alzarsi in piedi e di venire avanti un passo per volta senza cessare di guardarsi intorno, ma nonostante quelle cautele passò comunque sotto Guenhwyvar senza neppure accorgersene, cosa che fece affiorare sulle labbra di Deudermont un sorriso divertito che si accentuò quando l'uomo passò a meno di un metro da Drizzt senza vederlo; il portavoce però scorse Catti-brie perché in effetti lei non stava facendo nessuno sforzo per nascondersi dietro l'albero posto su un lato della piccola radura in cui si trovava Deudermont. Lottando per ritrovare la propria compostezza e dignità, Dunkin avanzò fino a pochi passi dall'alto capitano, poi si erse sulla persona e si arrestò. «Questo non è posto per voi», ribadì con voce leggermente incrinata.
«Mi era parso di capire che Mintarn fosse un porto libero», ribatté Deudermont, «oppure è libero soltanto per i pirati?» Dunkin puntò verso di lui un dito accusatore e accennò a replicare ma poi parve ritenere che non esistessero parole adeguate e si limitò a un grugnito. «Non sapevo che venissero applicate delle restrizioni alle navi che desiderano attraccare», continuò intanto Deudermont, «e di certo la mia non è la sola nave presente in porto che non abbia la bandiera alzata e che abbia il nome coperto». Quell'ultima affermazione era senza dubbio esatta in quanto almeno due terzi delle navi che gettavano l'ancora nel porto libero lo facevano senza mezzi di identificazione evidenti. «Tu sei Deudermont e la tua nave è il Folletto del Mare di Waterdeep», ribatté Dunkin in tono di accusa, tormentandosi al tempo stesso l'orecchio in quello che il capitano ritenne un tic nervoso. Dal canto suo Deudermont si limitò ad annuire con una scrollata di spalle. «La tua è una nave che appartiene alla legge», proseguì Dunkin, che pareva infine aver trovato un po' di coraggio, lasciando andare l'orecchio. «Dà la caccia ai pirati ed è senza dubbio qui per...» «Non presumere di conoscere le mie intenzioni», lo interruppe Deudermont in tono brusco. «Le intenzioni del Folletto del Mare sono sempre note» ritorse Dunkin con pari fermezza. «Dà la caccia ai pirati e senza dubbio ci sono in effetti dei pirati che hanno attraccato a Mintarn, inclusa una nave a cui avete dato la caccia proprio questa settimana». Deudermont si fece cupo in volto, consapevole che quello che aveva davanti era un funzionario di Mintarn, un emissario del tiranno Tarnheel Embuirhan in persona. Tarnheel aveva espresso senza mezzi termini a tutti i signori della Costa delle Spade la propria intenzione di mantenere integra la reputazione di porto libero di cui godeva Mintarn, che non era quindi il luogo adatto dove cercare vendetta o dar la caccia a dei fuggitivi. «Allora ammetti la tua identità?» insistette Dunkin, in tono di accusa. «L'abbiamo nascosta soltanto per evitare che nel vostro porto insorgessero dei problemi», replicò con disinvoltura Deudermont. «Se uno qualsiasi dei pirati attualmente all'ancora a Mintarn dovesse cercare di attaccarci noi saremmo costretti ad affondarlo e sono certo che al tuo signore non andrebbe a genio di avere tanti rottami che intasano le acque del suo porto.
Non è stato forse per questo che ti ha mandato a cercarmi al Manto Libero, e che ti ha chiesto di venire qui con le tue minacce?» Di nuovo Dunkin parve non riuscire a trovare le parole adatte per replicare. «Tu chi sei?» gli chiese allora Deudermont. «Dunkin Tallmast», si presentò l'ometto, ergendosi sulla persona nel ricordare la propria carica, «emissario di Sua Tirannia Lord Tarnheel Embuirhan del porto libero di Mintarn». Deudermont rifletté per un momento su quel nome palesemente fittizio. Probabilmente quell'uomo era giunto anni prima sui moli di Mintarn, in fuga da qualche nave pirata o dalla legge, e nel corso del tempo era riuscito a entrare nella guardia che Tarnheel manteneva sull'isola. Dunkin non era una grande scelta come emissario in quanto era evidente che non era esperto in fatto di diplomazia e che aveva ben poco coraggio, ma il capitano non lasciò che questo lo inducesse a sottovalutare il tiranno, che godeva della reputazione di un guerriero di professione che da molti anni manteneva a Mintarn una pace relativa. Senza dubbio Dunkin non era granché come diplomatico, ma del resto Tarnheel probabilmente lo aveva scelto perché andasse a incontrare il capitano del Folletto del Mare proprio per sottolineare il fatto che ai suoi occhi lui e la sua nave non rivestivano un'importanza eccessiva. Dopo tutto, la diplomazia era un gioco strano. «Il Folletto del Mare non è venuto qui per attaccare nessuno dei pirati presenti nel porto», garantì Deudermont, «e neppure per cercare qualcuno che potrebbe essersi nascosto a Mintarn. Abbiamo bisogno soltanto di provviste e di informazioni». «Riguardo a un pirata», dedusse Dunkin, che non appariva soddisfatto della cosa. «Riguardo a un'isola», precisò Deudermont. «Un'isola di pirati?» insistette Dunkin, trasformando ancora una volta la domanda in un'accusa. Deudermont si tolse la pipa di bocca e fissò Dunkin con espressione dura, rispondendo con il proprio silenzio alla sua domanda. «Si dice che da nessuna parte in tutti i Reami si possa trovare la concentrazione di lupi di mare presente a Mintarn», osservò infine il capitano. «Io cerco un'isola che è più leggenda che realtà, nota a molti per le storie che circolano sul suo conto ma sulla quale pochi sono stati davvero». Dunkin non replicò e dalla sua espressione parve che non riuscisse a ca-
pire di cosa Deudermont stesse parlando. «Ti propongo un patto», offrì il capitano. «Che base di trattativa hai?» fu pronto a ribattere Dunkin. «Io e tutto il mio equipaggio rimarremo sul Folletto del Mare senza dare noie e tenendoci al largo nel porto, in modo da evitare che la pace possa essere violata a Mintarn. Non abbiamo intenzione di dare la caccia a nessuno sulla vostra isola, neppure a noti fuorilegge, ma molti potrebbero venire a cercarci nella stupida convinzione che in porto il Folletto del Mare sia più vulnerabile». Dunkin non poté che annuire di fronte a quel ragionamento in quanto al Manto Libero aveva già sentito parecchi sussurri da cui aveva dedotto che numerose navi attualmente in porto non erano contente della presenza del Folletto del Mare e avrebbero potuto unire le forze per attaccarlo. «Noi ci terremo al largo rispetto all'area dei moli», riprese Deudermont, «e tu, Dunkin Tallmast, mi procurerai le informazioni di cui ho bisogno». Prima che l'emissario potesse rispondere Deudermont trasse di tasca una borsa piena di monete d'oro e gliela lanciò. «Caerwitch», disse. «Voglio una mappa per arrivare a Caerwitch». «A Caerwitch?» ripeté Dunkin, in tono scettico. «Si trova a sudovest di qui, stando alle storie che ho sentito in merito», replicò Deudermont. Dunkin gli scoccò un'occhiata acida e accennò a restituirgli la sacca di monete, ma Deudermont lo prevenne sollevando una mano. «I Signori di Waterdeep non saranno contenti di apprendere che l'ospitalità di Mintarn non è stata estesa a una delle loro navi», osservò il capitano. «Se non siete un porto libero anche per le navi legali provenienti da Waterdeep allora significa che vi state proclamando apertamente come porto aperto soltanto ai pirati e il tuo Lord Tarnheel non sarà soddisfatto delle conseguenze di una cosa del genere». Quella era la cosa più vicina a una minaccia che Deudermont fosse disposto a proferire, quindi si sentì sollevato quando vide Dunkin stringere di nuovo le dita intorno alla borsa del denaro. «Parlerò con sua tirannia», dichiarò l'inviato, «e se lui dovesse essere d'accordo...» Senza concludere la frase agitò con disinvoltura una mano per far capire che forse si sarebbe trovato un accordo. Imperturbabile, Deudermont si rimise in bocca la pipa e rivolse un cenno a Catti-brie, che emerse dal suo nascondiglio con la corda dell'arco sganciata e le frecce riposte nella fare-
tra, passando accanto a Dunkin con fare indifferente che lui badò a ricambiare. L'apparente disinvoltura di Dunkin però si dissolse un momento più tardi quando Drizzt emerse accanto a lui dai cespugli, e se la vista del drow non fu sufficiente a sgomentarlo di certo ci riuscì la massiccia pantera nera che di lì a poco si lasciò cadere a terra ad appena un metro e mezzo di distanza da lui, sul lato opposto. *
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Dunkin si spinse fino al Folletto del Mare su una barca a remi quello stesso giorno e nonostante la calorosa accoglienza che ricevette da Deudermont salì a bordo con esitazione, come se si sentisse intimorito all'idea di trovarsi su quella nave che stava diventando rapidamente una leggenda lungo tutta la Costa delle Spade. Deudermont e i suoi amici lo ricevettero sul ponte, in piena vista di tutto l'equipaggio. In quel momento Guenhwyvar era a riposo nella sua dimora astrale ma Robillard e Harkle vennero a unirsi agli altri e nel notare la cosa Drizzt rifletté fra sé che era un bene che Robillard si stesse tenendo vicino all'Harpell perché essendo un mago esperto forse sarebbe riuscito a mantenerlo sotto controllo, e magari in cambio il perenne sorriso di Harkle si sarebbe esteso anche a Robillard. «Hai l'informazione che ti ho chiesto?» esordì Deudermont, venendo subito al dunque. Anche se fino a quel momento il Folletto del Mare era rimasto a dondolarsi sulle onde tranquillo e indisturbato, il capitano non si faceva illusioni in merito a quanto il porto di Mintarn potesse essere sicuro per il suo schooner, sapeva che all'ancora c'era almeno una dozzina di navi i cui equipaggi sarebbero stati lieti di vederlo andare a picco e riteneva quindi che fosse meglio portarlo fuori da Mintarn al più presto possibile. Per tutta risposta Dunkin accennò con la testa alla porta dell'alloggio privato del capitano. «Resteremo qui fuori», ribatté Deudermont. «Riferisci l'informazione e vattene perché non ho tempo da perdere e non ho bisogno di nascondere nulla al mio equipaggio». Dunkin si guardò intorno e si affrettò ad annuire di nuovo, non avendo nessun desiderio di avviare una discussione. «L'informazione?» lo incitò Deudermont. «Ah, sì», balbettò Dunkin, come se fosse stato colto di sorpresa. «Ab-
biamo una mappa, ma non è molto dettagliata e naturalmente non possiamo essere certi che l'isola che cerchi sia più di una semplice leggenda, nel qual caso nessuna mappa potrebbe risultare esatta». Un momento più tardi l'inviato si rese conto che il suo umorismo non veniva apprezzato e si affrettò a schiarirsi la gola e a tacere. «Hai preso il mio oro», osservò Deudermont dopo una lunga pausa. «Sua tirannia desidera un pagamento diverso», ribatté Dunkin. «Vuole qualcosa di più dell'oro». Socchiudendo gli occhi in un'espressione minacciosa Deudermont si portò la pipa alle labbra e ne trasse una lunga boccata di fumo. «Non è nulla di complicato», si affrettò a garantire Dunkin, «e in cambio il mio signore offre qualcosa di più di una semplice mappa. Senza dubbio avrete bisogno di un prete o di un mago per poter creare una stiva abbastanza grande da contenere un'adeguata scorta di provviste». «Ci siamo noi», interloquì Harkle, passando un braccio intorno alle spalle di Robillard per poi affrettarsi a ritirarlo nel vedere il cipiglio minaccioso apparso sul volto dell'altro mago. «Ah, sì, ma comunque non ce n'è bisogno», balbettò Dunkin, «perché sua tirannia possiede una cassa meravigliosa, una stiva magica che è disposto a darvi insieme alla mappa in cambio della sacca d'oro, che non era poi così grossa, e di un piccolo favore». «Sentiamo di cosa si tratta», ringhiò Deudermont, che cominciava a stancarsi di tutti quei misteri. «Di lui», rispose Dunkin, indicando in direzione di Drizzt. Soltanto la rapida reazione del drow, che sollevò di scatto un braccio per bloccarla, impedì a Catti-brie di scagliarsi in avanti e di sferrare un pugno all'inviato. «Di lui?» ripeté intanto Deudermont, in tono incredulo. «Un semplice incontro con il drow», si affrettò a spiegare Dunkin, consapevole che stava calcando un terreno pericoloso. L'acqua di Mintarn era fredda e lui non aveva nessuna voglia di tornare a riva a nuoto. «Per semplice curiosità?» scattò Catti-brie, esercitando pressione contro il braccio di Drizzt che continuava a trattenerla. «Ti darò io qualcosa per il tuo stupido tiranno!» «No, no», cercò di spiegare Dunkin, ma non sarebbe riuscito a pronunciare un'altra parola e sarebbe stato gettato fuori bordo soltanto per aver avanzato quella richiesta all'apparenza assurda se Drizzt non fosse intervenuto con un calmo tono di voce da cui risultava evidente che personalmen-
te non si riteneva offeso. «Spiega il perché del desiderio espresso dal tuo signore», disse in tono pacato. «Tu godi di una reputazione considerevole, buon drow», balbettò Dunkin. «Molti pirati che arrivano provati a Mintarn parlano delle tue imprese. In effetti, la tua presenza è il solo motivo per cui il Folletto del Mare non è stato...» Rendendosi conto di quello che stava dicendo, Dunkin s'interruppe di scatto e lanciò un'occhiata nervosa in direzione di Deudermont. «Non è stato attaccato nel Porto di Mintarn», concluse per lui il capitano. «Non hanno osato venire ad affrontarti», si azzardò allora ad aggiungere Dunkin, riportando lo sguardo su Drizzt. «Anche il mio signore è un guerriero che gode di una notevole reputazione». «Dannazione», borbottò Catti-brie, che come Drizzt aveva già capito dove intendeva andare a parare tutto quel discorso. «Soltanto una gara», precisò infatti Dunkin. «Un duello privato». «Senza altro scopo se non quello di dimostrare chi di noi è il migliore», osservò Drizzt in tono disgustato. «In cambio della mappa e anche della cassa, che costituisce una ricompensa notevole», gli ricordò Dunkin, e dopo un momento di riflessione aggiunse: «Avrai entrambe le cose sia che tu vinca o perda». Drizzt spostò lo sguardo da Catti-brie a Deudermont, per poi lasciarlo scorrere sugli uomini dell'equipaggio, che ormai non si stavano più sforzando di dissimulare il fatto che stavano ascoltando attentamente ogni singola parola. «Allora vediamo di spicciarci e di farla finita», decise infine. Catti-brie lo afferrò per un braccio, e quando si volse a fronteggiarla Drizzt si accorse che non approvava la sua decisione. «Non posso chiederti di fare una cosa del genere», affermò intanto Deudermont. «Forse la mia curiosità di vedere chi dei due è il migliore è pari a quella di Tarnheel», replicò Drizzt, rivolgendogli un sorriso, poi riportò lo sguardo su Catti-brie, che conosceva bene sia lui che le sue motivazioni e le chiese soltanto: «È forse una cosa diversa da quando hai affrontato Berkthgar a causa di Aegis-fang, prima che gli elfi scuri attaccassero Mithril Hall?» Catti-brie fu costretta ad ammettere che in effetti le due situazioni erano
simili. Prima della guerra contro i drow, Berkthgar aveva minacciato di infrangere l'alleanza con Bruenor se il nano non gli avesse consegnato Aegis-fang, cosa che Bruenor non avrebbe mai fatto. Recatasi a Settlestone, Catti-brie aveva posto fine alla questione sconfiggendo Berkthgar in duello; nel ricordare quell'episodio la ragazza si rese conto di quale fosse adesso il dovere di Drizzt e gli lasciò andare il braccio. «Tornerò presto», promise Drizzt avviandosi per seguire Dunkin a bordo della sua piccola barca a remi. Deudermont, Catti-brie e la maggior parte dell'equipaggio li guardarono allontanarsi e alla perspicace Catti-brie non sfuggì l'espressione incupita e alquanto delusa assunta d'un tratto dal capitano, di cui non faticò a capire la causa. «Lui non desidera questo combattimento», garantì la ragazza. «È spinto dalla curiosità?» chiese Deudermont. «Dalla lealtà e da niente altro», rispose Catti-brie. «Drizzt è legato a te e all'equipaggio da un vincolo di amicizia e se un semplice duello contro quell'uomo ci può facilitare il viaggio allora è disposto a sostenerlo. In lui però non c'è curiosità e non gli interessa scoprire chi sia migliore nell'uso della spada». Deudermont annuì e si rischiarò in viso perché le parole della giovane donna avevano confermato le sue convinzioni personali sul conto dell'amico. I minuti si succedettero fino a trasformarsi in un'ora e poi in due, e nel corso di quel tempo la conversazione a bordo del Folletto del Mare si spostò gradualmente dal confronto che Drizzt era andato a sostenere alla situazione in cui si stava venendo a trovare la nave. In quel periodo di tempo, infatti, due caravelle a vela quadrata avevano salpato da Mintarn ma nessuna delle due si era spinta in mare aperto ed entrambe erano rimaste appena oltre i confini del porto, bordeggiando in modo da rimanere relativamente immobili. «Perché non si limitano a gettare l'ancora?» chiese Waillan a un uomo dell'equipaggio che gli era accanto sul ponte di poppa, appena dietro la letale catapulta della nave. Catti-brie e Deudermont, che si trovavano vicino al centro della nave, sentirono quella domanda e si scambiarono una lunga occhiata, in quanto entrambi conoscevano molto bene la risposta. Qualche tempo dopo una terza nave tolse l'ancora, issò le vele e cominciò ad andare alla deriva più o meno nella direzione in cui si trovava il
Folletto del Mare. «Tutto questo non mi piace», commentò Catti-brie. «È possibile che ci abbiano teso una trappola», replicò Deudermont. «Forse Dunkin ha informato i nostri amici là fuori del fatto che il Folletto del Mare sarebbe rimasto per qualche tempo privo dell'elfo scuro che fa parte del suo equipaggio». «Vado sulla coffa» decise Catti-brie, poi si appese Taulmaril alla spalla e cominciò la lunga ascesa dell'albero di maestra. Nel frattempo Robillard e Harkle erano tornati a presentarsi sul ponte, all'apparenza consapevoli della potenziale pericolosità della situazione, e dopo aver rivolto un cenno del capo al capitano si diressero verso poppa, dove si arrestarono accanto a Waillan e alla sua catapulta. L'attesa riprese quindi piena di tensione, mentre Deudermont teneva attentamente d'occhio i movimenti furtivi delle tre navi, a cui dopo un po' se ne aggiunse una quarta che levò a sua volta l'ancora dai lunghi moli di Mintarn. Deudermont era consapevole che stavano cercando di circondarli, ma sapeva anche che il Folletto del Mare avrebbe potuto levare l'ancora e portarsi in alto mare nell'arco di pochi minuti, soprattutto con l'ausilio della magia di Robillard, e che nell'allontanarsi la sua nave avrebbe potuto rispondere in modo devastante a qualsiasi aggressione grazie alla catapulta, agli arcieri, e in particolare all'infallibile arco di Catti-brie. In quel momento, però, la sua causa principale di preoccupazione non era la sicurezza della nave ma quella di Drizzt: che ne sarebbe stato infatti del drow se fossero stati costretti ad abbandonarlo là? Quel timore si dissipò, anche se soltanto per cedere il posto a uno di natura diversa, quando Catti-brie prese ad agitare il cannocchiale che stringeva in mano e gridò che Drizzt stava tornando. Appuntando lo sguardo nella direzione da lei indicata. Deudermont e parecchi uomini dell'equipaggio riuscirono a intravedere la minuscola barca a remi che si stava avvicinando davanti a loro, passando a tribordo della terza nave che si stava avviando lentamente per uscire dal porto. «Robillard!» gridò Deudermont. Annuendo, il mago appuntò lo sguardo davanti a sé con espressione intenta fino a individuare l'imbarcazione e cominciò subito a lanciare il proprio incantesimo, ma nel momento stesso in cui le prime parole gli scaturirono dalle labbra una catapulta montata sulla terza nave pirata entrò in azione, scagliando una sfera di pece in fiamme nell'acqua accanto alla barca a remi, che per poco non si capovolse.
«Issate le vele!» esclamò Deudermont. «Levate l'ancora!» Sulla coffa, l'arco di Catti-brie prese a ronzare, scagliando una freccia dopo l'altra in direzione della caravella anche se essa distava ancora oltre trecento metri. Nello stesso momento tutto il porto parve prendere vita all'improvviso. Le due navi che si trovavano al largo alzarono le vele e iniziarono a girarsi per intercettare il vento mentre dalla terza partì una nuova scarica diretta contro la barca a remi e la quarta nave, che a quanto pareva faceva parte anch'essa del complotto, procedette a sua volta a spiegare la velatura. L'incantesimo di Robillard non aveva ancora iniziato il suo effetto quando una terza sfera di pece colpì infine la barca a remi, asportando una parte della poppa, ma nonostante quel danno la magia riuscì lo stesso a impadronirsi della piccola imbarcazione che venne afferrata da un'onda e lanciata a tutta velocità in direzione del Folletto del Mare mentre Drizzt ritirava i remi ormai inutili e Dunkin cercava freneticamente di gettare acqua fuoribordo. Per quanto stesse ora procedendo a grande velocità in direzione dello schooner, la barca danneggiata non sarebbe mai riuscita a rimanere a galla abbastanza a lungo da arrivare ad affiancarsi a esso: rendendosene conto, Robillard rimosse il proprio incantesimo nel momento stesso in cui la barca andava a fondo, per evitare che Drizzt e Dunkin finissero per annegare nell'onda magica da lui creata. Nel frattempo Deudermont stava riflettendo freneticamente per tentare di calcolare le distanze e quanto tempo sarebbe passato prima che i pirati li raggiungessero, in quanto pensava di dover dirigere il Folletto del Mare verso l'interno del porto non appena le vele fossero state spiegate, dato che indipendentemente dai rischi connessi a una simile manovra non aveva nessuna intenzione di abbandonare Drizzt al suo destino. I suoi calcoli subirono però una rapida modifica quando vide Drizzt nuotare furiosamente alla volta della nave trascinandosi dietro Dunkin. L'emissario era ancora più sorpreso di Deudermont per quella svolta imprevista presa dagli eventi. Nel momento in cui la barca era affondata il suo istinto era stato quello di allontanarsi dal drow perché Drizzt portava alla cintura due scimitarre e indossava una cotta di maglia mentre lui non aveva indosso nulla che lo appesantisse e si aspettava quindi che Drizzt gli si aggrappasse e finisse per farli annegare entrambi. Con sua sorpresa, però, aveva constatato che il drow era in grado di rimanere a galla e poteva per di più nuotare con una velocità incredibile.
La cotta di maglia era infatti estremamente flessibile perché era stata forgiata con estrema abilità e con i migliori materiali secondo un modello drow da Buster Bracer del Clan Battlehammer, uno dei fabbri più abili di tutti i Reami, e oltre a questo Drizzt indossava le cavigliere magiche che gli permettevano di muovere i piedi nell'acqua con una velocità altrimenti impossibile. Raggiunto Dunkin, il drow lo trascinò quindi con sé in direzione del Folletto del Mare, superando quasi un quarto della distanza prima che lo stupefatto inviato riuscisse a ritrovare la presenza di spirito necessaria per mettersi a nuotare per conto suo. «Si stanno avvicinando in fretta!» gridò in tono esultante Waillan, convinto che il suo amico sarebbe riuscito a mettersi in salvo. «Però hanno perso la cassa!» osservò Robillard, indicando la barca ormai semiaffondata, al di là della quale la terza nave pirata si stava avvicinando sempre più con tutte le vele al vento. «La recupererò io!» dichiarò Harkle Harpell, che desiderava disperatamente mostrare la propria utilità, poi fece schioccare le dita e avviò un incantesimo di qualche tipo imitato da Robillard che si era invece reso conto della necessità di rallentare in qualche modo la caravella lanciata all'inseguimento di Drizzt se si voleva dare al drow la possibilità di raggiungere il Folletto del Mare. Robillard però interruppe quasi subito il proprio incantesimo per girarsi a guardare Harkle con espressione incuriosita e un momento più tardi sgranò gli occhi nel vedere il pesce che era apparso sul ponte ai piedi dell'Harpell. «No!» esclamò, protendendosi verso l'altro mago, in quanto aveva infine capito a che genere di incantesimo questi avesse fatto ricorso. «Non puoi impiegare un incantesimo extradimensionale su un oggetto già sottoposto a una magia di questo tipo!» Robillard non si era sbagliato e in effetti Harkle stava tentando di recuperare la cassa magica creando una porta extradimensionale nell'area in cui la barca era affondata insieme a essa, un'idea che sarebbe stata valida se la cassa che Tarnheel aveva promesso loro non fosse già stata sottoposta a un incantesimo di contenimento e cioè avesse ospitato uno spazio extradimensionale che poteva contenere un volume molto superiore a quello lasciato supporre dalle dimensioni e dal peso della cassa. Il problema consisteva nel fatto che incantesimi e oggetti extradimensionali di solito non si fondevano in modo corretto: per esempio, riporre una borsa di contenimento all'interno di una cassa di contenimento avrebbe potuto aprire una
lacerazione nel multiuniverso e scagliare sul Piano Astrale tutto ciò che si trovava nelle vicinanze oppure, cosa ancora peggiore, avrebbe potuto scagliarlo nello spazio ignoto che separava i piani dell'esistenza. «Ooops!» mormorò Harkle in tono di scusa, rendendosi conto del proprio errore e cercando di annullare l'incantesimo. Ormai però era troppo tardi. Un'onda immane eruppe nell'area in cui la barca era affondata e investì la caravella in avvicinamento per poi riversarsi su Drizzt e su Dunkin e scagliarli verso il Folletto del Mare mentre l'acqua ribollente cominciava a ruotare fino a formare un vortice gigantesco. «Spiegate le vele!» gridò Deudermont, vedendo che alcuni marinai stavano già provvedendo a gettare delle funi a Drizzt e a Dunkin. «Spiegate le vele se vi preme la vita!» Subito gli uomini dell'equipaggio alzarono tutte le vele e fecero virare la nave in modo che il vento le gonfiasse: con un sussulto, il Folletto del Mare prese a muoversi sempre più in fretta alla volta dell'imboccatura del porto. Le cose risultarono invece assai meno semplici per la caravella lanciata al suo inseguimento. La nave pirata cercò di bordeggiare fino a girarsi ma era ormai troppo vicina al vortice che si andava allargando e venne afferrata da esso finendo per ruotare lungo il suo perimetro inclinandosi su un lato con tanta violenza che buona parte del suo equipaggio venne scagliato fuoribordo. Sempre più in fretta la caravella descrisse due volte il giro completo del vortice, poi quanti si trovavano a bordo del Folletto del Mare videro le sue vele scomparire a mano a mano che essa sprofondava al suo interno. A parte l'inorridito Harkle, che non riusciva a distogliere l'attenzione da quello spettacolo, gli altri dovettero però ben presto disinteressarsene per concentrarsi sulla minaccia che li attendeva in mare aperto, dove le altre due navi stavano attendendo al varco il Folletto del Mare. Consapevole che Deudermont non era intenzionato a ingaggiare il combattimento e voleva soltanto allontanarsi al più presto, Robillard evocò una cortina di nebbia mentre la squadra di Waillan e parecchi arcieri fornivano con i loro tiri la copertura necessaria per permettere ad alcuni compagni, fra cui lo stesso Deudermont, di issare a bordo Drizzt e lo sconvolto Dunkin. «Sigillato», disse soltanto Drizzt, sfoggiando un accenno di sorriso nel consegnare a Deudermont un tubo portamessaggi che evidentemente doveva contenere la mappa che indicava la rotta per Caerwitch. Sorridendo a sua volta, Deudermont gli assestò una pacca sulla spalla e
si girò verso il timone per vagliare la situazione, constatando insieme a Drizzt che lo schooner non avrebbe avuto eccessive difficoltà a sfuggire alla supposta trappola. Se a quanti stavano guardando verso prua la situazione appariva promettente, lo stesso non poteva dirsi invece per il povero Harkle Harpell che, appoggiato alla murata di poppa stava continuando a contemplare con sgomento il cataclisma che aveva creato. A livello razionale il mago sapeva che quella catastrofe del tutto involontaria aveva probabilmente salvato la vita a Drizzt e all'altro uomo che si trovava con lui sulla barca, oltre a facilitare la fuga al Folletto del Mare, ma il suo animo gentile non riusciva a tollerare la vista del dramma che si stava consumando all'interno del vortice e a sopportare le urla degli uomini che stavano annegando. Continuando a borbottare fra sé un sommesso "oh, no", il mago si stava quindi concentrando per cercare di trovare un incantesimo che potesse aiutare gli sfortunati marinai della caravella ma prima che avesse il tempo di escogitare qualcosa il vortice si dissipò quasi con la stessa subitaneità con cui era apparso e la superficie del mare tornò a essere del tutto piatta e calma, mostrando la caravella che galleggiava ancora, anche se adesso era talmente inclinata da un Iato che le sue vele arrivavano quasi a sfiorare l'acqua. Esalando un profondo respiro di sollievo Harkle ringraziò tutti gli dei esistenti, soprattutto quando si accorse che i marinai caduti in acqua erano anch'essi ancora a galla e parevano tutti abbastanza vicini allo scafo danneggiato da non aver difficoltà a mettersi in salvo. Battendo allegramente le mani per la gioia, Harkle si affrettò allora a lasciare il ponte di poppa per andare a raggiungere Deudermont e Drizzt vicino al timone; a quel punto lo scontro era ormai entrato nel suo pieno e le due caravelle stavano scambiando colpi di catapulta con il Folletto del Mare anche se nessuna delle tre navi era ancora abbastanza vicina alle altre da poter causare danni effettivi. Girandosi verso il mago, Deudermont prese a fissarlo con un'espressione un po' strana. «Cosa c'è?» domandò Harkle sconcertato. «Hai a disposizione altre sfere di fuoco?» ribatté Deudermont. Harkle impallidì violentemente perché dopo l'orrore del vortice non se la sentiva di bruciare una nave. Ciò che l'astuto Deudermont aveva in mente era però qualcosa di molto diverso. «Scagliane una nell'acqua fra noi e i nostri nemici», suggerì infatti il ca-
pitano, poi guardò verso Drizzt e aggiunse, a titolo di spiegazione: «Mi dirigerò verso la nebbia e poi devierò a babordo, in modo da dover affrontare a distanza ravvicinata soltanto una di quelle navi». Drizzt annuì e Harkle si rischiarò in volto, dichiarandosi lieto di soddisfare la richiesta del capitano. Atteso il segnale di Deudermont, scagliò quindi una sfera di fuoco orientandola in modo che scivolasse appena sotto la superficie del mare e, come previsto, il fugace bagliore della fiamma fu seguito dal levarsi di una densa cortina di vapore. Subito Deudermont fece vela verso di essa e com'era immaginabile le due caravelle cambiarono rotta per cercare di tagliargli ogni via di fuga, ma un attimo prima di addentrarsi nella nebbia Deudermont virò con decisione a babordo in modo da costeggiare la cortina di vapore e da passare a tribordo della nave pirata che si trovava alla sua sinistra. Naturalmente sarebbero passati piuttosto vicini alla caravella ma la cosa non preoccupava eccessivamente Deudermont a causa della velocità del Folletto del Mare e delle difese magiche approntate da Robillard. Un'esplosione che echeggiò un istante più tardi gli fece però cambiare idea in modo alquanto repentino a causa di una pesante palla di ferro che trapassò gli scudi protettivi di Robillard e con essi anche una notevole quantità di velatura e di sartiame. «Dispongono di un cannone che funziona con la polvere da sparo!» esclamò Harkle. «Un cosa?» domandarono contemporaneamente Drizzt e Deudermont. «Un archibugio», gemette Harkle, agitando le mani nell'aria in modo da descrivere un'ampia forma circolare. «Un archibugio molto grosso». «Un cosa?» chiesero nuovamente i due. Harkle parve non essere in grado di fornire una spiegazione più dettagliata, ma l'espressione inorridita che gli si era dipinta sul volto risultò più che mai esplicativa per entrambi. La polvere da sparo era una sostanza rara e pericolosa, una mostruosa invenzione dei preti Gondish che si serviva della semplice energia esplosiva per scagliare missili che scaturivano da canne di metallo e che spesso le facevano inopinatamente scoppiare. "Uno su dieci" era il detto che circolava fra coloro che conoscevano bene la polvere da sparo e i suoi impieghi, e con quelle parole essi intendevano sottintendere che con ogni probabilità un tentativo su dieci non sarebbe andato a buon fine e avrebbe fatto esplodere invece il cannone. Consapevole di questo, Harkle rifletté che quei pirati dovevano nutrire un'avversione davvero profonda per il Folletto del Mare per rischiare un attacco di quel genere...
ma d'altro canto se si doveva considerare valida la legge dell'uno su dieci questo significava anche che gli altri nove colpi avrebbero potuto facilmente affondare lo schooner. Con il trascorrere dei secondi, nel vedere che tutti gli altri compreso lo stesso Robillard apparivano del tutto impotenti perché non riuscivano a capire la natura della minaccia che stavano affrontando. Harkle si rese conto di dover agire senza indugio. La polvere da sparo era più comune nelle aree orientali dei Reami e pareva che fosse stata impiegata perfino nel Cormyr; naturalmente era corsa voce che essa avesse fatto la sua sporadica comparsa anche lungo la Costa delle Spade, prevalentemente a bordo delle navi, ma nessuno vi aveva dato molto credito. In fretta, Harkle vagliò le alternative a sua disposizione, considerando il volume della polvere da sparo, la sua volatilità e le armi che lui stesso aveva a disposizione. «È un cilindro di metallo!» gridò intanto Catti-brie dall'alto della coffa, essendo infine riuscita ad avvistare in mezzo al vapore il cannone che li stava tenendo sotto tiro. «Ci sono dei sacchi vicino a esso?» gridò di rimando Harkle. «Non riesco a vedere bene!» rispose Catti-brie, confusa dalla nube che le impediva di discernere i particolari di quanto accadeva sul ponte della nave pirata. Harkle sapeva che il tempo a loro disposizione si stava esaurendo. Un cannone a polvere da sparo non aveva una mira molto precisa ma del resto non ne aveva bisogno perché uno solo dei suoi colpi poteva abbattere un albero e anche un tiro di striscio che avesse raggiunto lo scafo vi avrebbe aperto un foro abbastanza grande da affondare lo schooner. «Tira contro di esso!» gridò il mago. «Mira al cilindro e al ponte nelle sue immediate vicinanze!» Abitualmente Catti-brie aveva la tendenza a non fidarsi molto di Harkle Harpell, ma in quella circostanza il suo ragionamento le parve insolitamente permeato di buon senso e quindi si affrettò a tendere Taulmaril e a scagliare due frecce in rapida successione con l'intento di mettere fuori combattimento gli uomini addetti a manovrare il cannone o addirittura di danneggiare l'arma stessa. Attraverso la nebbia scorse poi delle scintille quando una delle frecce rimbalzò sulla canna dell'arma e subito dopo un grido di dolore l'avvertì che doveva aver colpito uno dei cannonieri. Intanto il Folletto del Mare stava continuando la propria corsa e si stava avvicinando sempre più alla nave pirata. Sul ponte, Harkle si stava mordendo le unghie per la tensione e Dunkin, che aveva a sua volta una certa
familiarità con la polvere da sparo, si stava tormentando senza posa l'orecchio. «Oh, allontanati da quella nave!» gemette Harkle, rivolto a Deudermont. «Sei troppo vicino, troppo vicino. Spareranno di nuovo e ci coglieranno in piena faccia, mandandoci a fondo». Deudermont non seppe cosa rispondere, in quanto avevano già constatato che la magia di Robillard non era in grado di bloccare il cannone; nel girarsi a guardare in direzione del mago, il capitano constatò che questi stava creando folate di vento a ritmo frenetico nel tentativo di oltrepassare al più presto la nave pirata, senza neppure pensare a un modo per impedire che il cannone tirasse ancora. D'altro canto, se avesse deviato verso babordo il Folletto del Mare sarebbe comunque rimasto probabilmente a tiro di quell'ordigno per qualche tempo ancora, e se avesse deviato a tribordo forse non sarebbe neppure riuscito a oltrepassare la nave pirata e ad addentrarsi nel vapore, finendo invece per speronare la caravella a tutta velocità. E se pure fossero riusciti a sconfiggere l'equipaggio di quella nave in uno scontro ravvicinato le altre due caravelle non avrebbero poi avuto difficoltà ad annientare il Folletto del Mare. «Prendi con te il mago e attaccali», disse Deudermont a Drizzt. «E chiama anche la pantera perché c'è bisogno di tutti voi, amico mio!» Drizzt accennò a muoversi, ma in quel momento Harkle avvistò la luce di una torcia vicino all'area in cui Catti-brie aveva indicato trovarsi il cannone e si gettò prono sul ponte gridando che ormai non c'era più tempo. Dall'alto Catti-brie vide a sua volta la torcia e grazie al suo chiarore riuscì infine a individuare i grossi sacchi di cui Harkle aveva parlato poco prima; anche se il suo istinto sarebbe stato quello di prendere di mira l'uomo che reggeva la torcia per rallentare le attività degli addetti al cannone, all'ultimo momento decise di correre il rischio di seguire il consiglio di Harkle e modificò leggermente la mira, puntando la freccia dritta contro i sacchi ammucchiati sul ponte della nave pirata. Il dardo lasciò l'arco un istante prima che l'uomo accostasse la torcia al cannone e proprio quando il Folletto del Mare si trovava ormai praticamente parallelo alla nave pirata. Si trattò solo di una frazione di secondo, ma in quel tempo infinitesimale l'uomo che reggeva la torcia venne scagliato in aria quando la freccia si andò a conficcare nei sacchi pieni di volatile polvere da sparo e subito dopo la nave pirata arrivò quasi a sollevarsi in verticale, avvolta in una sfera di fuoco che andava al di là di qualsiasi cosa che sia Harkle che Robillard avessero mai visto, il tutto accompagna-
to da un fragore e da una pioggia di detriti che per poco non spazzarono via gli uomini che si trovavano in piedi sul ponte del Folletto del Mare e che praticarono una quantità di fori nella velatura dello schooner. Sotto quell'impatto unito allo spostamento d'aria la nave sussultò violentemente a destra e a sinistra prima che Deudermont riuscisse a riprendersi dallo stupore e a ritrovare il controllo del timone, ma nonostante quegli sballottamenti la nave continuò comunque la sua corsa fino a uscire dalla trappola. «Per gli dei», borbottò Catti-brie, sinceramente inorridita nel vedere che dove poco prima si trovava la caravella pirata adesso c'erano soltanto frammenti di legno bruciato e cadaveri che galleggiavano in mezzo ai rottami. Sconvolto in pari misura, nel guardare quella carneficina Drizzt ebbe l'impressione di contemplare un anticipo della fine del mondo perché non aveva mai visto operare una simile devastazione, una strage così totale, neppure da parte di un potente mago. Un'adeguata quantità di polvere da sparo poteva radere al suolo una montagna o una città o addirittura il mondo intero. «Polvere da sparo?» chiese, rivolto ad Harkle. «Creata dai preti Gondish», rispose questi. «Che siano tutti dannati», borbottò Drizzt allontanandosi. Più tardi nel corso di quella giornata, mentre l'equipaggio provvedeva a riparare i danni riportati dalle vele, Drizzt e Catti-brie si concessero una pausa e si appoggiarono alla murata di prua dello schooner, contemplando la vuota distesa dell'acqua e valutando la distanza che dovevano ancora percorrere. Infine Catti-brie non riuscì più a reggere alla curiosità. «Lo hai sconfitto?» domandò. Drizzt si limitò a fissarla con aria perplessa, come se non avesse capito la domanda. «Sua tirannia», precisò Catti-brie. «Ho portato la mappa e la cassa, anche se quest'ultima è andata perduta», rispose Drizzt. «Ma hai vinto o hai perso?» insistette la ragazza, decisa questa volta a non permettere al drow di essere evasivo. «A volte è meglio lasciare che un capo tanto importante che è anche un prezioso alleato conservi intatti l'orgoglio e la reputazione», dichiarò Drizzt, osservando dapprima la superficie del mare e poi l'albero di mez-
zana, dove un marinaio stava chiedendo che gli dessero una mano. «Gli hai permesso di sconfiggerti?», incalzò Catti-brie, che non appariva soddisfatta all'idea. «Non ho detto questo». «Quindi lo hai sconfitto sul suo stesso terreno», ragionò Catti-brie. Scrollando le spalle, Drizzt si avviò verso l'albero di mezzana per aiutare il marinaio in difficoltà, passando così accanto a Robillard e ad Harkle che si stavano dirigendo verso prua con l'apparente intenzione di unirsi a loro. Catti-brie intanto rimase dov'era, seguendo il drow con lo sguardo, incapace di dare un senso alle sue ermetiche risposte. Alla fine giunse alla conclusione che Drizzt doveva aver permesso a Tarnheel di vincere o almeno di arrivare a una situazione di parità, ma per qualche ragione che non era in grado di capire non riuscì ad accettare l'idea che il tiranno potesse aver effettivamente sconfitto Drizzt, anzi, che chiunque potesse riuscirci. Intanto Robillard e Harkle sfoggiarono entrambi un ampio sorriso nel notare la sua espressione fra il cupo e il perplesso. «Drizzt lo ha sconfitto», affermò infine Robillard. Sorpresa, Catti-brie si volse di scatto verso di lui. «Questo è quanto ti stavi domandando, vero?» aggiunse il mago. «Noi abbiamo osservato tutto», interloquì Harkle. «Era ovvio che lo facessimo, ed è stato uno scontro interessante», continuò, incurvandosi per mimare come meglio poteva la posa di combattimento di Drizzt anche se naturalmente il suo atteggiamento parve a Catti-brie solo come una sorta di parodia. «All'inizio si è mosso verso sinistra», spiegò Harkle mimando l'azione, «ma poi si è spostato verso destra così in fretta e con tanta agilità che Tarnheel non se ne è neppure accorto». «Fino a quando non è stato colpito», rincarò Robillard. «Credo che sua tirannia si stesse ancora proiettando in avanti in un affondo diretto contro uno spettro». Quell'affermazione parve del tutto sensata a Catti-brie, in quanto la mossa che i maghi avevano appena descritto era nota come il "passo del fantasma". «Adesso però ha imparato la lezione!» gongolò Harkle. «Basti dire che per parecchio tempo sua tirannia avrà difficoltà a sedersi», concluse Robillard, unendosi a una fragorosa risata di Harkle e mostrandosi animato come Catti-brie non lo aveva mai visto. Mentre i due maghi si allontanavano continuando a ridere, la giovane donna si avvicinò di nuovo alla murata sorridendo fra sé: adesso sapeva
quanto fossero vere le affermazioni di Drizzt quando aveva asserito che l'esito di quello scontro non gli interessava, e nei giorni a venire non avrebbe mancato di stuzzicarlo al riguardo. Il suo sorriso, però, era dovuto anche al fatto che il drow aveva vinto. Per un motivo inspiegabile, questo aveva per lei un'enorme importanza. 8 Leggende di mare Le riparazioni a bordo del Folletto del Mare si protrassero per altri due giorni, impedendo alla nave di spiegare tutte le vele ma anche così grazie a una brezza tesa che soffiava da nord il rapido schooner mantenne una velocità sostenuta nel dirigersi verso sud con la velatura gonfia di vento e in appena tre giorni percorse le quattrocento miglia circa che separavano Mintarn dalla punta estrema sudorientale delle grandi Isole Moonshae, arrivato in vista delle quali Deudermont modificò la rotta puntando dritto a ovest verso il mare aperto e tenendosi al largo della costa meridionale delle isole. «Rimarremo in vicinanza delle Moonshae per un paio di giorni», disse Deudermont all'equipaggio. «Non intendi dirigerti a Corwell?» fu pronto a interromperlo Dunkin Tallmast, che sembrava avere sempre qualcosa da chiedere. «Credo proprio che mi piacerebbe essere sbarcato là, dato che a detta di tutti è una bellissima città», continuò, perdendo però progressivamente il suo atteggiamento disinvolto e cominciando a tormentarsi l'orecchio com'era sua abitudine quando era preda del nervosismo. «Se il vento rimarrà costante», proseguì Deudermont, ignorando il fastidioso ometto, «domani verso metà mattinata oltrepasseremo un punto chiamato la Testa del Drago, poi attraverseremo un ampio porto e getteremo l'ancora presso il villaggio di Wyngate per imbarcare le ultime scorte di provviste. Da quel momento in poi ci verremo a trovare in mare aperto per un periodo di tempo che non credo risulterà superiore ai venti giorni, a meno che il vento non venga a mancare, nel qual caso i tempi potrebbero raddoppiare». Pur comprendendo che si sarebbe trattato di un viaggio tutt'altro che facile i membri dell'equipaggio, tutti veterani, si limitarono ad annuire senza che da nessuno di loro si levasse una sola parola di protesta... con un'unica
eccezione. «Wyngate?» gemette Dunkin. «Ma ci metterò un mese a riuscire ad andarmene da quel posto sperduto!» «Chi ha parlato di sbarcarti?» ribatté Deudermont. «Ti lasceremo a terra dove più ti piacerà... ma al nostro ritorno». Quelle parole ebbero l'effetto di far tacere l'ometto o almeno di sollevare nella sua mente preoccupazioni di altro tipo, dato che prima che Deudermont avesse avuto il tempo di allontanarsi di soli tre passi Dunkin tornò ad aggredirlo in tono concitato. «Se farete ritorno, vuoi dire!» gridò. «Hai vissuto sulla Costa delle Spade per tutta la tua dannata vita e conosci bene quanto me le voci che circolano in giro, Deudermont!» Il capitano si girò a fronteggiare l'ometto con mosse lente e minacciose, entrambi ben consapevoli dei mormorii che le parole di Dunkin avevano suscitato, una marea di sussurri che si stava diffondendo in fretta su tutto il ponte dello schooner. Dunkin dal canto suo evitò di guardare verso il capitano e lasciò invece scorrere lo sguardo sul ponte mentre il suo asciutto sorriso si andava accentuando nel constatare il progressivo nervosismo che trapelava ora dagli uomini dell'equipaggio. «Ah», esclamò quindi con aria insospettita. «Non hai detto loro nulla!» Deudermont rimase in silenzio, impassibile in volto. «Non vorrai condurli fino a un'isola leggendaria senza prima narrare loro tutta la leggenda che la riguarda», proseguì Dunkin con una nota astuta che gli trapelava dalla voce. «Quell'uomo ama gli intrighi», sussurrò Catti-brie a Drizzt. «Gli piace causare guai», mormorò di rimando Drizzt. Per un lungo momento Deudermont continuò a scrutare in silenzio l'ometto e il suo sguardo severo fece gradualmente scomparire lo stupido sorriso che aleggiava sulle labbra di Dunkin; dopo un po' il capitano spostò la sua attenzione su Drizzt e su Catti-brie, come sempre faceva quando aveva bisogno di supporto, e constatò così che nessuno dei due pareva dare molto peso alle parole minacciose di Dunkin. Rincuorato dalla loro sicurezza, Deudermont si girò infine verso Harkle, che pareva distratto come al suo solito, quasi non avesse neppure sentito quanto si era detto; il resto dell'equipaggio, o almeno gli uomini che si erano trovati vicino al timone, avevano però sentito ogni cosa e Deudermont non faticò a notare il nervosismo che trapelava ora dal loro atteggiamento.
«Cosa ci dovresti dire?» chiese infine Robillard con i consueti modi bruschi. «Qual è il grande mistero di Caerwitch?» «Ah, capitano Deudermont», sospirò Dunkin con aria di palese disapprovazione. «È possibile che Caerwitch sia qualcosa di più di una leggenda», cominciò con calma Deudermont. «Pochi affermano di esserci stati perché essa si trova molto lontano da qualsiasi terra civilizzata». «Questo lo sappiamo già», ribatté Robillard. «Se però dovesse trattarsi davvero di una mera leggenda e noi dovessimo finire per navigare su acque prive di segni di vita fino a essere costretti a tornare indietro, questo non sarebbe comunque un danno per il Folletto del Mare, quindi quello che vorrei sapere è cosa stia cercando di sottintendere questo verme insignificante». Per un momento Deudermont tornò a fissare Dunkin con espressione dura, desiderando di poterlo strozzare. «Alcuni di coloro che sono stati sull'isola», rispose quindi, scegliendo con cura le proprie parole, «sostengono di aver visto cose insolite». «L'isola è infestata dagli spettri!» lo interruppe Dunkin in tono drammatico. «Caerwitch è un'isola maledetta», continuò girando su se stesso per fissare a uno a uno con espressione piena di tensione i marinai che lo circondavano. «Un'isola di streghe e di navi fantasma!» «Basta così!» ingiunse Drizzt, intervenendo. «Chiudi quella bocca!» rincarò Catti-brie. Dunkin tacque, ma ricambiò lo sguardo della giovane donna con aria di superiorità, convinto di aver vinto la propria battaglia. «Riguardo all'isola corrono delle voci», dichiarò intanto Deudermont in tono deciso. «Voci di cui vi avrei parlato al nostro arrivo a Wyngate ma non un momento prima». Interrompendosi lasciò scorrere lo sguardo intorno a sé ancora una volta con espressione che chiedeva ora amicizia e fedeltà a quegli uomini che gli erano stati al fianco per così tanto tempo. «Ve lo avrei detto», insistette, e tutti coloro che si trovavano a bordo, forse con la sola eccezione di Dunkin, gli credettero. «Questo viaggio non è nell'interesse di Waterdeep e non ha come scopo dare la caccia ai pirati», proseguì intanto Deudermont. «È una cosa che devo fare a causa dell'incidente che si è verificato nella Via dei Moli. Forse il Folletto del Mare sta andando incontro al pericolo o forse sta andando a trovare delle risposte, ma quale che possa essere l'esito del nostro viaggio
io devo comunque portarlo a termine. Non intendo però costringere nessuno di voi ad accompagnarmi perché vi siete arruolati soltanto per combattere i pirati e da questo punto di vista siete stati il miglior equipaggio che un capitano potesse desiderare». Seguì un'altra lunga pausa durante la quale il capitano fissò negli occhi i suoi uomini, uno dopo l'altro, appuntando infine il proprio sguardo su Drizzt e su Catti-brie. «Quanti fra voi non volessero proseguire alla volta di Caerwitch potranno sbarcare a Wyngate», offrì infine Deudermont, una proposta del tutto fuori dell'ordinario che indusse tutti gli uomini dell'equipaggio a sgranare gli occhi per la sorpresa. «Verrete pagati per il lavoro svolto a bordo del Folletto del Mare e riceverete anche un premio aggiuntivo proveniente dai miei fondi personali. Al nostro ritorno...» «Se tornerete», interloquì Dunkin, ma Deudermont si limitò a ignorare il suo tentativo di fomentare disordini. «Al nostro ritorno», ribadì in tono ancora più deciso, «vi preleveremo a Wyngate senza che quanti non avranno voluto proseguire fino a Caerwitch vedano messa in discussione la loro fedeltà o siano fatti oggetto di rappresaglie». «Non si racconta forse di ogni isola che è infestata dai fantasmi?» sbuffò improvvisamente Robillard. «Se un marinaio dovesse dare ascolto a tutte le voci che si sussurrano nelle taverne nessuno oserebbe navigare lungo la Costa delle Spade. Mostri marini a Waterdeep! Serpenti di mare a Ruathym! Pirati nel Nelanther!» «Almeno questa è una cosa senza dubbio vera!» interloquì qualcuno fra l'equipaggio, scatenando una risata generale. «Infatti!» replicò Robillard. «Pare che alcune voci abbiano qualche fondamento!» «E se Caerwitch dovesse risultare effettivamente infestata dai fantasmi?» domandò un marinaio. «In tal caso attraccheremo al mattino e ce ne andremo nel pomeriggio», ribatté Waillan, sporgendosi dalla ringhiera del ponte di poppa. «Lasciando la notte per gli spettri!» concluse un altro uomo, suscitando una nuova risata. Deudermont dal canto suo apprezzò profondamente quegli interventi, soprattutto da parte di Robillard perché non si sarebbe mai aspettato un suo sostegno così palese. Quando successivamente procedette a fare l'appello neppure uno degli uomini del Folletto del Mare chiese di essere sbarcato a
Wyngate. Dunkin assistette alla cosa con crescente stupore, ma per quanto tentasse di gettare una luce minacciosa sulle voci secondo cui Caerwitch era un'isola stregata, inventando storie di marinai decapitati e altre cose del genere, ogni volta che apriva bocca veniva zittito bruscamente o suscitava soltanto delle risate. Né Drizzt né Catti-brie rimasero invece sorpresi dal supporto unanime che Deudermont stava incontrando perché entrambi conoscevano bene l'equipaggio della nave, di cui avevano fatto parte abbastanza a lungo da diventare amici di tutti i suoi componenti, e conoscevano il valore dell'amicizia quanto bastava per sapere quale grado di fedeltà potesse ispirare. «lo ho intenzione di essere sbarcato a Wyngate», dichiarò infine lo sconcertato Dunkin. «Non intendo seguire nessuno sulle coste infestate di Caerwitch». «Chi ha detto che potevi scegliere?» domandò Drizzt. «Il capitano Deudermont ha appena detto...» cominciò Dunkin, girandosi per puntare un dito accusatore in direzione del capitano, ma le parole gli si bloccarono in gola quando vide l'espressione ostile di Deudermont, da cui si capiva con chiarezza che l'offerta di sbarcare non era estesa anche a lui. «Non mi potete tenere qui a forza!» protestò Dunkin. «Io sono l'emissario di sua tirannia e avrei dovuto essere lasciato a Mintarn!» «Se lo avessimo fatto saresti morto nel Porto di Mintarn», gli ricordò Drizzt. «Verrai lasciato a Mintarn», gli promise Deudermont, e Dunkin comprese cosa avesse inteso dire ancora prima che lui aggiungesse: «Naturalmente dopo che avremo svolto adeguate indagini in merito alla parte da te avuta nel tentativo d'imboscata nei confronti del Folletto del Mare». «Io non ho fatto nulla!» esclamò Dunkin tormentandosi l'orecchio. «È una strana coincidenza che dopo avermi informato del fatto che la presenza di Drizzt a bordo era la sola cosa che trattenesse i pirati dall'attaccarci tu abbia fatto in modo di allontanare il drow dal Folletto del Mare», osservò Deudermont. «Per poco non ho perso la vita in quell'imboscata!» ruggì Dunkin indignato. «Se avessi saputo che quella marmaglia era a caccia della vostra pelle non mi sarei mai avventurato nel porto su una barca a remi». Invece di ribattere Deudermont guardò verso Drizzt. «Questo è vero», commentò il drow. Deudermont si concesse un momento di riflessione e alla fine annuì.
«Ritengo che tu sia innocente«, disse a Dunkin, «e sono disponibile a sbarcarti a Mintarn quando torneremo da Caerwitch». «In tal caso potrete recuperarmi a Wyngate», suggerì Dunkin. «Troppo lontano», ribatté Deudermont scuotendo il capo. «Dal momento che nessun uomo del mio equipaggio intende sbarcare là e che per di più dovrò passare di nuovo da Mintarn, intendo far ritorno da Caerwitch seguendo una rotta settentrionale che passi a nord delle Isole Moonshae». «In tal caso lasciami a Wyngate e da lì troverò il modo di ricongiungermi a voi in qualcuno dei porti settentrionali delle Moonshae», insistette Dunkin. «Quale porto settentrionale?» chiese Deudermont, e quando Dunkin non seppe cosa rispondere proseguì: «Se lo desideri davvero posso sbarcarti a Wyngate, ma non ti posso garantire che da lì troverai il modo di tornare a Mintarn». E senza aggiungere altro si avviò verso la propria cabina, entrandovi senza guardarsi indietro e lasciando il frustrato Dunkin fermo accanto al timone con le spalle accasciate. «Considerata la conoscenza che hai di Caerwitch sarai per noi un aiuto prezioso», commentò Drizzt, battendogli un colpetto sulla spalla. «La tua presenza sarà sicuramente apprezzata». «Ma certo, vieni con noi e ti procureremo un po' di avventura e di amicizia», aggiunse Catti-brie. «Che altro potresti desiderare?» Poi lei e Drizzt si allontanarono scambiandosi un sorriso speranzoso. «Anch'io sono nuovo a questo genere di cose», osservò Harkle Harpell rivolto all'avvilito Dunkin, «ma sono certo che ci divertiremo». Dondolando stupidamente il capo, l'allegro mago s'incamminò quindi lungo il ponte sfoggiando le proprie fossette in un ampio sorriso. Rimasto solo, Dunkin si accostò alla murata scuotendo il capo. In cuor suo era costretto ad ammettere che il Folletto del Mare e il suo equipaggio gli piacevano. Rimasto orfano molto giovane, Dunkin si era imbarcato quando era ancora un ragazzo e aveva trascorso i successivi vent'anni come marinaio su una nave pirata, lavorando fra i più spietati furfanti che si potessero trovare lungo la Costa delle Spade, quindi in tutta la sua vita non gli era mai capitato di trovarsi su una nave così permeata di cameratismo e oltre a questo non poteva negare che la loro fuga dall'imboscata tesa dai pirati nel porto di Mintarn era stata decisamente eccitante. Negli ultimi giorni si era comportato come uno stupido capace solo di lamentarsi mentre Deudermont, che pure doveva conoscere il suo passato
o almeno sospettare che lui fosse stato un pirata, non aveva accennato a trattarlo come un prigioniero; quanto all'elfo scuro, a giudicare da quello che gli aveva detto pareva davvero desiderare che lui li accompagnasse a Caerwitch. Appoggiato alla murata, con lo sguardo che seguiva distrattamente le evoluzioni di una scuola di delfini che stavano danzando fra le onde sollevate dalla prua della nave, Dunkin si perse nelle proprie riflessioni. *
*
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«Stai pensando di nuovo a loro», commentò una voce che proveniva da un punto alle spalle del nano incupito. Bruenor, che era fermo in piedi su un punto sopraelevato lungo il confine della Valle dei nani, circa quattro miglia a sud del Picco di Kelvin, riconobbe la voce di Regis, la voce di un amico, ma non accennò a rispondere alle sue parole. Quell'altura era ormai nota fra i nani come la Salita di Bruenor perché era diventata il luogo dove il re dei nani amava recarsi per riflettere; anche se quel mucchio di roccia si levava di appena una quindicina di metri al di sopra della piatta distesa della tundra, ogni volta che risaliva l'erta e stretta pista che portava alla sua sommità Bruenor aveva l'impressione di salire fino a raggiungere le stelle stesse. Affannando e ansimando Regis intanto superò gli ultimi metri di ascesa e si venne a fermare accanto al suo barbuto amico. «Adoro venire quassù di notte, ma entro un mese la notte non durerà più molto», commentò in tono allegro, cercando di far affiorare un sorriso sul volto di Bruenor. Del resto la sua osservazione aveva validi fondamenti in quanto la Valle del Vento Ghiacciato si trovava così a nord che in effetti le sue giornate estive erano molto lunghe, così come d'inverno il sole appariva solo per poche ore a rischiarare il cielo. «Non ho molto tempo da passare quassù, e preferisco trascorrerlo da solo» affermò Bruenor, girandosi verso l'halfling che nonostante l'oscurità non faticò a distinguere il cipiglio apparso sul volto dell'amico. Esso peraltro non lo impressionò minimamente perché Regis conosceva la verità che si celava dietro quell'espressione e sapeva che Bruenor era come un cane che abbaia molto ma morde assai poco. «Restare solo non ti darebbe serenità», ribatté dopo un momento. «Penseresti a Drizzt e a Catti-brie e sentiresti la loro mancanza nella stessa mi-
sura in cui la sento io, con il risultato che domattina saresti un vero e proprio yeti ringhiante. Questa, naturalmente, è una cosa che non posso permettere», proseguì agitando nell'aria un dito ammonitore, «anche perché almeno una dozzina di nani mi ha pregato di venire quassù per tenerti di buon umore». Bruenor accolse quelle parole sbuffando con aria infastidita ma non riuscì a trovare nulla di valido da ribattere; al tempo stesso si affrettò a volgere le spalle a Regis soprattutto per impedirgli di scorgere l'accenno di sorriso che minacciava di incurvargli verso l'alto gli angoli della bocca. Nei sei anni trascorsi da quando Drizzt e Catti-brie se ne erano andati, Regis era diventato il suo più intimo amico anche se una certa sacerdotessa dei nani di nome Stumpet Unghie-imbellettate pareva essere di continuo al suo fianco soprattutto negli ultimi tempi, tanto che cominciavano già a circolare commenti divertiti sui supposti rapporti che intercorrevano fra lei e il re. Regis era però quello che conosceva meglio il re dei nani ed era stato lui a venirlo a cercare lassù adesso che, come Bruenor dovette ammettere suo malgrado, lui aveva più bisogno di compagnia. Da quando era tornato nella Valle del Vento Ghiacciato, il vecchio nano non aveva fatto che pensare quasi in continuazione a Drizzt e a Catti-brie e le sole cose che gli avevano impedito di scivolare nella depressione più assoluta erano state da un lato la pura e semplice mole di lavoro necessaria per tentare di riaprire le miniere dei nani e Regis dall'altro; l'amico gli era sempre stato accanto con un sorriso sulle labbra e aveva continuato a garantirgli che Drizzt e Cattibrie sarebbero tornati da lui. «Dove credi che siano adesso?» chiese Regis, dopo un lungo momento di silenzio. «Là fuori», rispose soltanto Bruenor sorridendo e scrollando le spalle nel guardare verso sudovest e non verso l'halfling. «Là fuori», ripeté Regis. «Drizzt e Catti-brie. Tu senti la loro mancanza tanto quanto me... e so che ti manca anche quel grosso gatto», aggiunse avvicinandosi a Bruenor per posargli una mano sulla spalla muscolosa, e ancora una volta le sue parole parvero riuscire a strappare il nano ai suoi cupi pensieri. Bruenor infatti levò lo sguardo su di lui e non riuscì a trattenere un sorriso perché quell'accenno a Guenhwyvar gli aveva ricordato non soltanto i contrasti fra lui e la pantera ma anche il fatto che Drizzt e Catti-brie, i suoi due cari amici, non erano soli ed erano più che mai in grado di badare a loro stessi.
Quella notte il nano e l'halfling sostarono a lungo insieme in silenzio sotto le stelle, ascoltando il sussurro interminabile del vento che dava alla valle il suo nome e avendo l'impressione di fluttuare nel firmamento. *
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La raccolta delle provviste a Wyngate procedette nel migliore dei modi e ben presto il Folletto del Mare, approvvigionato di tutto punto e perfettamente riparato, riprese il largo e si lasciò alle spalle le Isole Moonshae. Ad appena un giorno di navigazione dalla costa delle isole la potenza del vento calò però in modo brusco, lasciandoli quasi immobili in pieno oceano e senza che ci fossero terre in vista. Naturalmente lo schooner non poteva restare del tutto vittima della bonaccia con Robillard a bordo, ma anche i poteri del mago erano limitati e non potendo tenere a lungo le vele gonfie di vento lui preferì optare per una brezza leggera ma costante che permetteva comunque alla nave di procedere, sia pure lentamente. Intanto i giorni continuarono a trascorrere, roventi e privi di eventi, mentre il Folletto del Mare avanzava lento sull'oceano accompagnato dallo scricchiolare del sartiame. Tre giorni dopo la partenza da Wyngate, il capitano ordinò un rigido razionamento dei viveri, più per far diminuire i crescenti episodi di mal di mare che imperversavano fra l'equipaggio che per timore che le scorte potessero esaurirsi; in questo viaggio, se non altro, non esisteva il timore dei pirati perché le navi che si avventuravano in quelle acque inesplorate erano ben poche e di certo fra esse non c'erano vascelli mercantili che trasportassero merci abbastanza preziose da poter interessare ai pirati. I soli nemici erano il mal di mare, le scottature prodotte dal sole e la noia causata da giorni e giorni trascorsi senza vedere nulla tranne una piatta distesa d'acqua. Il quinto giorno ci fu poi un incontro che per breve tempo ebbe l'effetto di ravvivare lo spirito e la curiosità dell'equipaggio. Drizzt, che come sempre si trovava a prua, avvistò la grande pinna dorsale di uno squalo che stava nuotando parallelamente alla nave e subito lanciò un richiamo a Waillan, che in quel momento era di turno sulla coffa. «Sei metri di lunghezza!» gridò di rimando il giovane, che dal suo punto sopraelevato di osservazione poteva scorgere nell'acqua la sagoma dello squalo.
Subito l'equipaggio si accalcò sul ponte gridando in preda all'eccitazione e parlando di ricorrere agli arpioni, ma qualsiasi pensiero di poter pescare quel pesce enorme cedette però il posto a un comprensibile timore quando dall'alto Waillan continuò a fornire numeri e a poco a poco tutti si resero conto che lo squalo non era solo. Il conto finale risultò impreciso perché molte pinne dorsali erano difficili da individuare in mezzo all'acqua d'un tratto ribollente, ma secondo la valutazione di Waillan che doveva senza dubbio essere la più precisa, il branco di squali doveva essere composto da parecchie centinaia di quei grossi pesci. Parecchie centinaia! E molti di essi grandi quasi quanto il primo avvistato da Drizzt! Le esclamazioni eccitate furono ben presto sostituite da preghiere recitate con estremo fervore. Il branco di squali rimase con il Folletto del Mare per tutto quel giorno e la notte che seguì; Deudermont avanzò la supposizione che gli squali non sapessero spiegarsi cosa fosse la loro nave e, anche se nessuno disse una sola parola, tutti formularono lo stesso pensiero, augurandosi che quei voraci carnivori non finissero per scambiare il Folletto del Mare per una balena. Il mattino successivo gli squali risultarono scomparsi come se non fossero mai esistiti, svaniti nello stesso modo improvviso e inesplicabile in cui erano apparsi. Incredulo, Drizzt trascorse la maggior parte della mattinata camminando sulle murate della nave e arrivò addirittura ad arrampicarsi alcune volte sulla coffa per vedere meglio, ma alla fine dovette constatare che degli squali non si scorgeva più traccia. «Non stavano reagendo alla nostra presenza», commentò più tardi Cattibrie, intercettando Drizzt quando questi scese da una delle sue visite sulla coffa. «Non ci hanno neppure badato e senza dubbio si stavano spostando in risposta ad abitudini che loro conoscono ma che noi ignoriamo». Drizzt rimase colpito dalla verità contenuta in quelle semplici parole, che ebbero l'effetto di ricordargli quanto fosse in realtà sconosciuto il mondo che ora lo circondava anche per uomini che come Deudermont avevano trascorso la maggior parte della loro vita sul mare. Quel mondo acquatico e le grandi creature che lo abitavano si muovevano infatti secondo ritmi che lui non sarebbe mai riuscito a comprendere davvero, una realizzazione che, unita alla vista della piatta distesa d'acqua che gli si stendeva tutt'intorno da ogni lato fino all'orizzonte, gli ricordò quanto fosse in effetti insignificante l'uomo e quanto la natura potesse essere potente rispetto a esso.
Nonostante tutto il suo addestramento, le sue armi e il suo cuore guerriero, lui era soltanto una piccola cosa, un punto insignificante su quell'arazzo fra il verde e l'azzurro. Quella consapevolezza ebbe al tempo stesso l'effetto di turbarlo e di confortarlo: se da un lato era una cosa piccola e insignificante, un semplice boccone per un pesce che non aveva difficoltà a muoversi con la stessa velocità del Folletto del Mare, d'altro canto lui era anche parte di qualcosa di molto più vasto, era una singola piastrella di un mosaico tanto immenso che la sua immaginazione non sarebbe mai riuscita ad abbracciarlo tutto. Passato un braccio intorno alle spalle di Catti-brie, Drizzt si concesse il lusso di collegarsi a quell'altra piccola piastrella che collimava così bene con la sua, e infine si permise di rilassarsi quando la sentì appoggiarsi contro di lui. *
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Il giorno successivo il vento si fece più teso e lo schooner accelerò la corsa fra l'approvazione di tutti gli uomini dell'equipaggio, ma il sollievo generale fu di breve durata. Robillard aveva infatti a sua disposizione incantesimi che gli permettevano di prevedere i mutamenti del clima e ben presto andò a informare Deudermont del fatto che quel vento così teso precedeva di poco una tempesta di ragguardevoli dimensioni. Non essendoci nelle vicinanze porti in cui trovare rifugio o anche soltanto tratti di terraferma, Deudermont non poté che rassegnarsi all'inevitabile e ordinò ai suoi uomini di ammainare tutta la velatura possibile. Quella che seguì fu una delle notti peggiori della vita di Catti-brie in quanto la tempesta si rivelò una delle più violente che chiunque a bordo del Folletto del Mare avesse mai sperimentato; per tutto il suo imperversare Deudermont e i quaranta uomini dell'equipaggio rimasero raggomitolati sottocoperta mentre lo schooner correva sulla spinta della tempesta sobbalzando violentemente sotto la sferza delle onde e rischiando più di una volta di affondare. Robillard e Harkle trascorsero la notte lavorando freneticamente e Robillard rimase sul ponte per la maggior parte del tempo, anche se a volte fu costretto a porsi al riparo e a seguire quanto avveniva sopra coperta tramite un occhio magico incorporeo mentre continuava a lanciare incantesimi nel tentativo di contrastare la feroce violenza del vento. Harkle invece passò la notte a strisciare a quattro zampe nelle profondità della stiva insieme a
Guenhwy var e a una manciata di marinai, schivando i ratti e le casse di viveri che scivolavano di qua e di là per fare luce con un incantesimo ai marinai intenti a ispezionare lo scafo alla ricerca di eventuali falle e per ricorrere ad altri incantesimi che dilatassero il legno e sigillassero le fessure dopo che i marinai vi avevano incastrato pezzi di corda incatramata. Molti membri dell'equipaggio, fra cui la stessa Catti-brie, stavano troppo male per poter essere di qualsiasi aiuto e comunque a un certo punto gli sballottamenti subiti dalla nave divennero così violenti che i marinai furono costretti a legarsi a qualcosa per smettere di essere sbattuti contro le pareti o gli uni contro gli altri. Il povero Dunkin fu quello che riportò i danni peggiori perché un rollio più forte degli altri lo sorprese mentre si stava protendendo ad afferrare un tratto di corda e lo fece rotolare su se stesso per poi mandarlo a sbattere contro una trave con forza tale da slogargli una spalla e spezzargli un polso. Quella notte nessuno chiuse occhio a bordo del Folletto del Mare. Il mattino successivo trovò la nave nettamente inclinata verso babordo ma ancora a galla su un mare ora tranquillo: la tempesta era passata senza la perdita di una singola vita. Rincuorati, i membri dell'equipaggio in grado di muoversi cominciarono subito le riparazioni nel tentativo di issare almeno una vela. Verso mezzogiorno, dall'alto della coffa Catti-brie riferì che a nordovest il cielo era pieno di uccelli e a quella notizia Deudermont trasse un profondo respiro di sollievo in quanto aveva temuto che la tempesta della notte precedente li avesse allontanati dalla loro rotta e che non sarebbero riusciti a ritrovarla in tempo per fermarsi agli Scogli dei Gabbiani, le ultime isole segnate sulla carta prima di Caerwitch. Pur non avendo deviato di molto, la nave era comunque piuttosto a sud rispetto alla rotta prevista e tutti furono costretti a lavorare in modo frenetico per tornare su di essa, soprattutto i poveri Robillard e Harkle, che avevano entrambi gli occhi segnati di scuro a testimoniare lo sfinimento fisico e da utilizzo eccessivo della magia a cui la nottata li aveva sottoposti. In qualche modo il Folletto del Mare riuscì a virare quanto bastava per arrivare agli Scogli dei Gabbiani, un luogo che meritava senza dubbio il proprio nome dato che si trattava di una serie di rocce spoglie, spesso più piccole dello schooner e in molti casi grandi a stento quanto bastava perché due o tre uomini potessero stare in piedi su di esse. Un paio di quegli isolotti avevano dimensioni accettabili e uno aveva addirittura un miglio di diametro, ma anche queste isole più grosse erano più bianche che grigie a
causa dello strato di guano che le ricopriva; quando il Folletto del Mare si avvicinò all'agglomerato di isolotti migliaia e migliaia di gabbiani, una vera e propria nube vivente, spiccarono il volo intorno a esso stridendo di rabbia per quell'intrusione nel loro dominio personale. Trovata un'insenatura dove l'acqua era più calma e le riparazioni potevano essere portate avanti senza problemi, Deudermont fece gettare l'ancora e concesse ai suoi uomini di sbarcare a turno per ritrovare il sollievo della terraferma sotto i piedi e calmare i sussulti dello stomaco ancora sconvolto. Più tardi, quello stesso giorno, Deudermont si recò insieme a Drizzt e a Catti-brie sul punto più alto degli Scogli, che sovrastava di una quindicina di metri il livello del mare, e per qualche tempo continuò a scrutare l'orizzonte verso sud con l'aiuto del cannocchiale, anche se dal suo atteggiamento era evidente che non si aspettava di trovare che una piatta distesa d'acqua. Il Folletto del Mare aveva impiegato quasi due settimane a percorrere le cinquecento miglia che separavano lo sperone più occidentale delle Isole Moonshae dagli Scogli dei Gabbiani, un tempo doppio di quello che Deudermont aveva previsto, ma nonostante questo il capitano continuava a essere certo che le scorte di provviste sarebbero state sufficienti e che sarebbero riusciti a trovare la strada fino a Caerwitch. Da quando la nave aveva lasciato Wyngate nessuno aveva più nominato l'isola, o almeno nessuno lo aveva fatto apertamente, dato che in più di un'occasione Drizzt aveva sorpreso i marinai a parlare fra loro in tono sommesso di spettri e di altre cose del genere. «Cinquecento miglia alle nostre spalle e altre cinquecento ancora da percorrere», commentò infine Deudermont senza allontanare dall'occhio il cannocchiale puntato verso sudovest. «Non molto lontano da qui c'è un'isola dove potremmo ottenere altre provviste». «Ne abbiamo bisogno?» domandò Drizzt. «No, se arriveremo in fretta a Caerwitch e torneremo indietro altrettanto rapidamente», replicò Deudermont. «A cosa stai pensando?» chiese Catti-brie. «Sto pensando che sono stanco di tanti ritardi e di questo viaggio», confessò Deudermont. «È perché temi ciò che ti aspetta alla sua conclusione», ragionò Cattibrie con brutale franchezza. «Infatti chi può sapere cosa troveremo a Caerwitch, sempre ammesso che esista davvero?»
«È là fuori da qualche parte», ribadì il capitano. «Potremo sempre passare da quest'altra isola al nostro ritorno», suggerì Drizzt. «Senza dubbio abbiamo scorte sufficienti per arrivare fino a Caerwitch». Deudermont annuì e prese infine una decisione: avrebbero puntato dritto fino a Caerwitch, concludendo l'ultimo tratto del loro lungo viaggio orientandosi con l'aiuto delle stelle, la sola guida su cui potevano contare per arrivare all'isola dagli Scogli dei Gabbiani. In cuor suo il capitano si augurò che la mappa che Tarnheel aveva dato loro fosse accurata e che Caerwitch esistesse davvero, ma una parte del suo animo persistette nello sperare che essa fosse soltanto una leggenda. 9 Caerwitch «Che dimensioni ha l'isola di Caerwitch?» chiese Catti-brie a Deudermont dopo che un'altra settimana di navigazione era trascorsa senza che accadesse assolutamente nulla, una settimana di vuoto e di solitudine anche se lo schooner aveva un equipaggio al completo e a bordo c'erano pochissimi posti dove ci si potesse trovare al riparo dallo sguardo di tutti gli altri. Quella era una caratteristica propria del mare aperto, quel non essere mai fisicamente soli e tuttavia avere l'impressione di essere distaccati da tutto il resto del mondo; negli ultimi giorni Catti-brie e Drizzt avevano trascorso lunghe ore insieme appoggiati alla murata a guardare il mare, persi nei propri pensieri e nel fluttuare perenne di quella coltre azzurra, insieme e tuttavia soli. «Poche miglia quadrate», rispose distrattamente il capitano, come se stesse reagendo alla domanda soltanto per un riflesso automatico. «E tu pensi di riuscire a trovarla?» insistette Catti-brie, mentre una sfumatura inconfondibile di tensione le si insinuava nella voce e induceva Drizzt e perfino Deudermont a girarsi pigramente a guardarla. «Abbiamo trovato gli Scogli dei Gabbiani che pure non sono molto più grandi», ricordò il drow alla ragazza, cercando di alleviare il suo umore cupo e tuttavia consapevole della sfumatura d'ira che si poteva avvertire anche nella sua voce. «Ma che sono noti a tutti», ritorse Catti-brie. «Per trovarli basta puntare
dritto a ovest». «Sappiamo dove siamo e dove dobbiamo andare», ribadì Deudermont. «E poi abbiamo una mappa, non stiamo navigando alla cieca». Catti-brie si girò in modo da scoccare da sopra la spalla uno sguardo accigliato in direzione di Dunkin, colui che aveva fornito la mappa e che adesso era impegnato a lavare energicamente il ponte di poppa, e l'espressione acida con cui accompagnò quell'occhiata fu la sua risposta all'affermazione di Deudermont, la sua dichiarazione di quanto ritenesse affidabile la mappa a cui lui aveva alluso. «Inoltre i maghi hanno nuovi occhi che possono vedere lontano», insistette Deudermont, e Catti-brie fu costretta ad ammettere che questo era vero anche se si chiese al tempo stesso quanto potessero essere considerati degni di fiducia quegli "occhi". Harkle e Robillard avevano infatti prelevato alcuni uccelli dagli Scogli dei Gabbiani e asserivano di poter comunicare con essi tramite la magia; sostenendo che quei volatili sarebbero stati loro d'aiuto, ogni giorno i due maghi li lasciavano liberi di spiccare il volo con l'ordine di venire a riferire qualsiasi cosa avessero trovato. Fin dal principio Catti-brie non aveva avuto molta fiducia in quel progetto e in effetti soltanto due dei dieci gabbiani da essi prelevati avevano fatto ritorno al Folletto del Mare; Catti-brie era dell'idea che gli altri otto fossero invece tornati agli Scogli dei Gabbiani, probabilmente ridendo per tutto il tempo dell'ingenuità dei due maghi. «La mappa è tutto ciò che abbiamo avuto fin da quando abbiamo lasciato Mintarn», intervenne Drizzt in tono pacato, cercando di placare i timori della giovane donna e l'ira che le si poteva leggere apertamente sul volto bruciato dal sole. Drizzt poteva capire lo stato d'animo di Catti-brie perché nel suo intimo condivideva quei pensieri negativi, ma erano stati tutti consapevoli delle percentuali di probabilità di riuscita fin dal principio e fino a quel momento il viaggio non era stato troppo sgradevole e si era certo dimostrato meno pericoloso di quanto avrebbe potuto essere. In fin dei conti erano in navigazione ormai da parecchie settimane trascorse per lo più in mare aperto e tuttavia non avevano perso un solo uomo e le loro scorte di viveri erano ancora sufficienti anche se non abbondanti. Con un sorriso, Drizzt rifletté che di questo dovevano essere grati a Harkle e a Guenhwyvar, dato che il mago e la pantera avevano provveduto a liberare la stiva della nave dai topi subito dopo la partenza da Wyngate. Nonostante ogni ragionamento logico indicasse che erano sulla rotta
giusta e che il viaggio stava procedendo bene, Drizzt non riuscì a ignorare le ondate d'ira che stavano insorgendo dentro di lui e infine si rese conto che quello era un effetto prodotto dall'oceano, dalla noia e dalla solitudine. Lui amava navigare, amava correre veloce sulle onde, ma troppo tempo trascorso al largo sull'oceano, senz'altro da vedere se non il vuoto più assoluto che si potesse trovare in tutto il mondo, era una cosa che logorava i nervi. Nel frattempo Catti-brie si era allontanata borbottando e Drizzt si affrettò a sollevare lo sguardo su Deudermont, il cui sorriso ebbe l'effetto di attenuare buona parte della sua preoccupazione. «È una reazione che ho già avuto modo di vedere in passato», spiegò in tono pacato l'esperto capitano. «Si rilasserà non appena avvisteremo Caerwitch, o comunque non appena prenderemo l'eventuale decisione di tornare verso est». «Lo faresti davvero?» domandò Drizzt. «Rinunceresti ad accertare la verità delle parole del doppleganger?» «Sono arrivato fin qui perché ritengo che questo sia il mio destino», replicò Deudermont, dopo un momento d'intensa riflessione. «Quale che sia il pericolo che mi sta inseguendo voglio affrontarlo faccia a faccia e con gli occhi ben aperti, però non intendo rischiare la vita del mio equipaggio più di quanto sia necessario, quindi se le scorte di viveri dovessero ridursi a tal punto da rendere pericoloso proseguire torneremo indietro». «E le parole del doppleganger?» insistette Drizzt. «I miei nemici mi hanno già rintracciato una volta e mi troveranno ancora», ribatté Deudermont con voluta noncuranza, con quella sicurezza che faceva di lui una roccia a cui Drizzt e tutto l'equipaggio si stavano aggrappando, qualcosa di solido che teneva a bada il vuoto del mare. «E ci troveranno ad aspettarli», garantì Drizzt. *
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In realtà l'attesa, almeno per quanto concerneva l'arrivo a Caerwitch, si rivelò molto meno lunga del previsto dato che meno di un'ora dopo quella conversazione Harkle Harpell fece irruzione nella cabina del capitano battendo le mani per l'eccitazione. Deudermont fu il primo a seguirlo all'esterno, tallonato da una dozzina di marinai ansiosi e incuriositi. Drizzt, che si trovava al suo posto abituale sulla prua della nave, si avvicinò subito alla murata del ponte di poppa per
vedere cosa stesse succedendo, e lancio un'occhiata verso l'alto, constatando che dalla coffa Catti-brie stava seguendo con attenzione quanto avveniva sul ponte. «Oh, il mio Reggie è davvero un volatile intelligente!» dichiarò Harkle raggiante. «Reggie?» ripeterono all'unisono Deudermont e parecchi fra i presenti. «L'ho chiamato così in onore di Regweld, un mago eccezionale! Ha incrociato un rospo con un cavallo... impresa non da poco! Saltapozzanghere, l'ha chiamato, oppure era Saltafiumi? Oppure era...» «Harkle», lo interruppe Deudermont, il cui tono asciutto ebbe l'effetto di strappare il mago alla sua divagante confusione. «Oh, ma certo», balbettò Harkle. «Dunque, dov'ero rimasto? Oh, sì, vi stavo parlando di Regweld. Era un uomo eccellente, davvero eccellente, che ha combattuto con valore nella Valle del Guardiano, almeno secondo quanto si racconta. Una volta...» «Harkle!» esclamò di nuovo Deudermont, la cui voce ora non conteneva più semplice coercizione ma aperta ira. «Cosa?» domandò il mago con aria ingenua. «Il tuo dannato gabbiano», ringhiò il capitano. «Che cosa ha scoperto?» «Oh, certo!» esclamò Harkle, battendo le mani. «L'uccello, il mio Reggie. Sì, sì, un gabbiano eccellente, il più veloce di tutti...» «Harkle!» ingiunsero parecchie voci, all'unisono. «Abbiamo trovato un'isola», intervenne una voce calma che proveniva da un punto alle spalle del confuso Harpell, poi Robillard salì sul ponte con la consueta aria annoiata e proseguì: «Questa mattina il gabbiano è tornato parlando di un'isola che si trova davanti a noi verso babordo e che non è molto lontana». «Quanto è grande?» chiese Deudermont. Robillard però si limitò a scrollare le spalle con una risata. «Tutte le isole sono grandi se viste attraverso gli occhi di un gabbiano», rispose. «Potrebbe essere uno scoglio o un continente». «O perfino una balena», interloquì Harkle. Questo però non aveva importanza, ciò che contava era il fatto che il gabbiano avesse avvistato un'isola in mezzo a quella desolazione, dove secondo la mappa avrebbe dovuto trovarsi Caerwitch... un'isola che quindi doveva essere Caerwitch. «Tu e Dunkin ci farete arrivare fin là», ordinò quindi Deudermont a Robillard, indicando la ruota del timone.
«E Reggie», aggiunse allegramente Harkle, indicando il gabbiano che si era andato ad appollaiare sulla punta estrema dell'albero di maestra, proprio sopra la testa di Catti-brie. Considerando la posizione dell'uccello, l'umore acido della ragazza e il fatto che lei aveva l'arco con sé, Drizzt vide profilarsi all'orizzonte un potenziale disastro che per fortuna venne sventato sul nascere quando il gabbiano spiccò il volo dietro richiesta di Harkle senza lasciar cadere ricordini spiacevoli sulla testa di Catti-brie. Se non fosse stato per il gabbiano, probabilmente il Folletto del Mare sarebbe passato a mezzo chilometro di distanza da Caerwitch senza neppure avvistarla, considerato che l'isola di forma circolare aveva l'aspetto di un basso cono del diametro di poche centinaia di metri e che era perpetuamente avvolta da una coltre di nebbia azzurrina che vista da lontano si fondeva completamente con le onde del mare. Non appena lo schooner si avvicinò a quella cortina di nebbia procedendo lentamente con solo una metà delle vele alzate, il vento si fece d'un tratto freddo e il sole parve perdere buona parte del proprio calore. Cauto, Deudermont effettuò un giro completo dell'isola senza però riuscire a trovare un punto che promettesse un facile attracco e quando infine furono di nuovo al punto di partenza si decise a togliere il timone a Dunkin per pilotare personalmente il Folletto del Mare dritto verso Caerwitch, insinuando lentamente la nave nel suo manto nebbioso. «Un vento spettrale», commentò intanto Dunkin in tono nervoso, rabbrividendo per il gelo improvviso, e nel parlare prese a tormentarsi ferocemente un orecchio, desiderando d'un tratto di essere sbarcato a Wyngate. «È un'isola maledetta, ve lo dico io». Un momento più tardi si sentì strattonare anche l'altro orecchio per opera di una mano che non gli apparteneva e nel girarsi si venne a trovare faccia a faccia con Drizzt Do'Urden; sebbene il drow avesse più o meno la sua stessa statura e costituzione, i suoi muscoli erano però molto più sviluppati e in quel momento lui parve al povero Dunkin più alto e imponente di quanto non fosse in realtà. «Un vento spe...» accennò a ribadire l'ometto, ma quando Drizzt si accostò un dito alle labbra per ingiungergli di tacere scelse saggiamente di obbedire e si appoggiò pesantemente alla murata con aria cupa. Deudermont allora ordinò di ammainare gran parte della velatura in modo che lo schooner si avvicinasse alia riva il più lentamente possibile; intorno alla nave la nebbia si andò progressivamente infittendo e qualcosa
nel modo in cui lo scafo rispondeva al timone e nel movimento dell'acqua intorno avvertì il capitano di essere guardingo, ma quando provò a chiedere informazioni a Catti-brie lei non seppe cosa rispondergli perché sulla coffa era avvolta da veli di nebbia ancora più spessi. Deudermont rivolse allora un cenno a Drizzt che si affrettò a portarsi sul rostro di prua e ad accoccolarsi per seguire l'avanzata dello scafo. Qualche istante più tardi il drow sgranò gli occhi per la sorpresa nel vedere un palo sporgere dall'acqua appena una quindicina di metri più avanti rispetto a loro, ma dopo aver osservato lo strano oggetto per qualche momento infine lo riconobbe per ciò che era in effetti: la sommità dell'albero di una nave sommersa. «Fermiamoci!» gridò immediatamente. Prima ancora che Deudermont potesse decidere di dare ascolto a quell'avvertimento, Robillard iniziò un incantesimo scagliando la propria energia direttamente davanti al Folletto del Mare in modo da creare una barriera d'acqua che arrestò all'istante la spinta in avanti della nave. Un momento più tardi le vele vennero ammainate e l'ancora cadde in acqua con un tonfo che parve echeggiare minacciosamente sul ponte per parecchi secondi. «Qual è la profondità?» chiese Deudermont al marinaio che stava calando l'ancora, la cui catena era contrassegnata a intervalli in modo da permettere di calcolare la profondità del fondale. «Trenta metri», giunse di lì a poco la risposta. Nel frattempo Drizzt venne a raggiungere il capitano vicino al timone. «Credo sì tratti di frangenti», disse per spiegare perché avesse avvisato di fermare la nave. «Nell'acqua c'è una nave affondata a meno di due lunghezze più avanti rispetto a noi. È del tutto sommersa tranne per la sommità dell'albero però è sprofondata senza capovolgersi, segno che è affondata in fretta». «Che qualcosa le abbia squarciato lo scafo?» suggerì Robillard. «Suppongo che la riva sia distante solo poche centinaia di metri», rifletté Deudermont, scrutando attentamente le cortine di nebbia, poi spostò lo sguardo verso poppa dove due piccole barche a remi erano appese ai lati del ponte della nave. «Potremmo girare di nuovo intorno all'isola» suggerì Robillard, che aveva capito quali fossero le intenzioni del capitano. «Forse troveremo un punto dove il fondale risulti migliore». «Non intendo rischiare la mia nave», ribatté Deudermont, «quindi andremo a riva con una scialuppa. Calatene una in acqua», ordinò quindi a
un gruppo di marinai fermo poco lontano. Venti minuti più tardi Deudermont, Drizzt, Catti-brie, i due maghi, Waillan Macantry e un riluttante e terrorizzato Dunkin lasciarono il Folletto del Mare a bordo del piccolo scafo, carico a tal punto da sporgere di appena una spanna dalla superficie scura dell'acqua. Prima di allontanarsi Deudermont aveva lasciato istruzioni molto precise a quanti erano rimasti a bordo: l'equipaggio avrebbe dovuto allontanarsi fino a uscire di un migliaio di metri dalla nebbia e attendere il loro ritorno. Se non si fossero fatti vivi entro il tramonto la nave avrebbe dovuto portarsi al largo per poi tornare un'ultima volta a Caerwitch il giorno successivo, a mezzogiorno. Se per allora la barca non avesse fatto ritorno, il Folletto del Mare avrebbe dovuto abbandonare l'isola per tornare a casa. I sette si allontanarono con cautela dalla nave, Waillan e Dunkin intenti a remare e Catti-brie protesa a sbirciare sopra la prua per individuare i frangenti che si aspettava di avvistare da un momento all'altro; più indietro Drizzt era inginocchiato accanto a Deudermont, pronto a indicare agli altri l'albero avvistato poco prima. Solo che non riuscì più a trovarlo. «Non ci sono frangenti», avvertì da prua Catti-brie. «A me sembra che il fondale sia omogeneo e adeguatamente profondo», aggiunse girandosi a guardare verso Drizzt e soprattutto verso Deudermont. «Avresti potuto portare la nave fino a quella dannata spiaggia», concluse. Deudermont si girò a fissare il drow, che stava scrutando attentamente la nebbia chiedendosi che fine avesse fatto l'albero che aveva avvistato; Drizzt era sul punto di ribadire ciò che era certo di aver visto quando la barca ebbe un sussulto improvviso e strisciò con il fondo contro le rocce affilate di una scogliera sommersa, sobbalzando fino a bloccarsi. Probabilmente la scialuppa sarebbe rimasta ferma dove si trovava se un incantesimo da parte di Robillard non avesse sollevato nell'aria entrambi i maghi, Deudermont e Catti-brie in modo da permettere a Drizzt, Dunkin e Waillan di portare con precauzione la barca così alleggerita oltre il frangente che l'aveva arrestata. «Via libera fino alla spiaggia?» domandò Deudermont a Catti-brie. «Prima il frangente non c'era!» ribadì la giovane donna. Catti-brie fungeva da vedetta da oltre cinque anni e godeva della reputazione di avere la vista più acuta di tutta la Costa delle Spade, quindi adesso non poté fare a meno di chiedersi come avesse potuto non vedere un frangente di quel genere, soprattutto considerando che esso era proprio ciò che
stava cercando di avvistare. Qualche istante più tardi Harkle, che si trovava all'estremità di poppa della barca, emise un grido pieno di sorpresa che indusse gli altri a girarsi in tempo per vedere l'albero di una nave che sporgeva dall'acqua accanto al mago. Di fronte a quello spettacolo anche gli altri e soprattutto Drizzt cominciarono a nutrire gli stessi dubbi che già tormentavano Catti-brie: dal momento che erano quasi passati sopra quell'albero, come avevano potuto non vederlo? Sempre più nervoso, Dunkin prese a tormentarsi furiosamente un orecchio. «Un effetto ottico prodotto dalla nebbia», spiegò con calma Deudermont. «Fateci girare intorno a quest'albero». Il suo comando colse gli altri alla sprovvista ma Waillan fu pronto a riprendersi e ad assestare una pacca sulla spalla di Dunkin, che stava scuotendo con perplessità il capo. «Forza con quel remo», lo incitò Waillan. «Hai sentito il capitano». Intanto Catti-brie si era protesa maggiormente oltre il lato della barca, curiosa di vedere meglio il relitto, ma la nebbia che si rifletteva sull'acqua le permise di scorgere soltanto un velo grigio i cui segreti risultarono impenetrabili; alla fine Deudermont decise che non era possibile raccogliere ulteriori informazioni in quel punto e ordinò a Waillan e a Dunkin di puntare dritto verso l'isola. In un primo tempo Dunkin annuì con entusiasmo in quanto non vedeva l'ora di arrivare a riva, ma una volta che ebbe il tempo di riflettere sulla natura della loro destinazione prese ad alternare decisi strattoni all'orecchio a ogni colpo di remi. La risacca non era particolarmente forte ma la marea lo era ed era in fase di calo, con il risultato di esercitare una forza opposta a quella dei remi e di rendere scarso il progresso fatto dalla barca. Anche se entrò ben presto nel campo visivo dei sette, l'isola parve, quindi, rimanere a lungo sospesa nella nebbia, vicina ma comunque fuori della loro portata. «Remate più forte», ordinò Deudermont ai due marinai, pur sapendo che essi si stavano già impegnando al massimo perché ansiosi quanto lui di arrivare a riva. Alla fine il capitano rivolse a Robiliard una tacita richiesta con lo sguardo e il mago infilò la mano nelle ampie tasche con un sospiro di rassegnazione, cercando i componenti per un incantesimo che potesse essere d'aiuto.
Catti-brie, che era sempre a prua, continuava a scrutare la nebbia davanti a sé e a studiare la spiaggia candida alla ricerca di tracce di eventuali abitanti dell'isola senza però riuscire a vedere bene perché la terraferma era ancora troppo lontana e la nebbia densa le oscurava la vista. Dopo un po' la giovane donna finì quindi per abbassare lo sguardo sulla superficie scura dell'acqua e fu così che vide le candele. Per un momento sul viso le apparve un'espressione confusa mentre lei distoglieva lo sguardo e si sfregava gli occhi prima di tornare a guardare l'acqua. Erano candele, non si era sbagliata: candele... che ardevano sott'acqua! Sempre più incuriosita, Catti-brie sì protese in avanti per vedere meglio e riuscì finalmente a distinguere una sagoma che teneva in mano la luce a lei più vicina. «I morti», sussultò, ritraendosi di scatto, e anche se cercò di gridare dalle labbra non le uscì che un sussurro. Il suo movimento brusco fu però sufficiente ad attirare l'attenzione degli altri, soprattutto quando un istante più tardi lei scattò in piedi nel vedere una mano gonfia e annerita afferrare il bordo della barca. Dunkin, che stava guardando soltanto Catti-brie, urlò nel vederle estrarre la spada, e nello stesso tempo Drizzt si alzò a sua volta in piedi, affrettandosi a scavalcare i due rematori. Catti-brie allora vide la sommità della testa dello spettro emergere dall'acqua e un orribile volto scheletrico affiorare accanto alla barca. L'istante successivo Khazid'hea calò con violenza sul punto dove si era trovato lo spettro, colpendo però soltanto il bordo della barca e penetrando nel legno fino ad arrivare al livello dell'acqua. «Cosa stai facendo?» gridò Dunkin. Drizzt, che era intanto arrivato accanto a Catti-brie, si pose la stessa domanda in quanto lui non stava scorgendo traccia di spettri e vedeva soltanto la lama della spada della ragazza conficcata saldamente nel legno. «Portateci a riva!» urlò di rimando Catti-brie. «Dobbiamo arrivare a riva!» Drizzt la guardò attentamente, poi lasciò scorrere lo sguardo intorno a sé. «Candele?» chiese, notando le strane luci che tremolavano nell'acqua. Quella semplice parola ebbe l'effetto di scatenare il timore in Deudermont, Robillard, Waillan e Dunkin perché tutti i marinai conoscevano le storie relative agli spettri del mare che giacevano in attesa sotto le onde
con i corpi gonfi la cui posizione era indicata da candele accese. «Che bello spettacolo!» esclamò invece Harkle, guardando verso l'acqua senza rendersi conto del terrore degli altri. «Dobbiamo arrivare a riva!» gridò allora Deudermont anche se era superfluo perché Waillan e Dunkin stavano già remando con tutte le loro forze. Robillard nel frattempo si era affrettato ad approntare un incantesimo, evocando un'onda alle spalle della piccola imbarcazione che venne sollevata e proiettata a tutta velocità verso riva con uno scossone che fece cadere all'indietro Catti-brie e che per poco non scagliò Drizzt in acqua. Harkle, affascinato dalle candele, non fu altrettanto fortunato e quando l'onda raggiunse il massimo della sua altezza nel superare la linea di marea, rotolò fuoribordo. La barca invece continuò la propria corsa fino ad andare ad arrestarsi in secca sulla spiaggia, mentre una decina di metri più indietro Harkle si rialzava in piedi grondando acqua da tutte le parti. Contemporaneamente una dozzina di sagome gonfie e grottesche affiorarono tutt'intorno a lui. «Oh, salve...» cominciò a dire il cordiale Harpell, poi fissò quelle forme con occhi che sporgevano dalle orbite al punto da dare l'impressione di essere prossimi a rotolarne fuori e con un urlo di terrore si mise a correre in mezzo alla risacca, diretto verso la riva. Sulla spiaggia Catti-brie fu pronta a sollevare Taulmaril e a incoccare una freccia che solcò l'aria sibilando e passando accanto ad Harkle, il quale diede in un secondo grido di terrore; un momento più tardi il mago sentì però un tonfo nauseante unito a uno sciacquio quando uno di quei morti viventi crollò nell'acqua e comprese di non essere lui il bersaglio della donna. Un'altra freccia seguì immediatamente la prima, abbattendo un secondo zombie che era troppo vicino all'Harpell, poi Harkle arrivò finalmente nell'acqua bassa, si liberò delle alghe che cercavano di avvinghiarlo e distanziò rapidamente i mostri che lo inseguivano; il mago era appena uscito dall'acqua e aveva mosso pochi passi sulla sabbia umida del bagnasciuga quando sentì un ruggire di fiamme e nel girarsi vide che adesso dall'acqua si stava levando una cortina di fuoco che lo proteggeva dagli zombie. Superato di corsa il tratto di spiaggia che lo separava dalla barca in secca andò a raggiungere gli altri ed espresse la propria gratitudine a Robillard, scrollandolo con tanto vigore da infrangere la sua concentrazione.
Immediatamente la cortina di fuoco scomparve e permise ai sette di vedere che la decina di zombie di poco prima era adesso raddoppiata di numero e che altri ancora stavano emergendo dall'acqua e dalle alghe. «Complimenti», commentò con asciutto sarcasmo Robillard. Mentre Catti-brie tirava una terza freccia, abbattendo un altro zombie, il mago prese ad agitare le dita di una mano e un momento più tardi da ciascuna di esse eruppe una scarica di energia verde che si abbatté sugli zombie, annientandone tre in rapida successione; altri due raggi di energia continuarono invece la loro corsa fino a raggiungere un altro di quei mostri che scomparve a sua volta nelle acque. «Non è stata una cosa molto creativa», commentò Harkle. «Tu puoi fare di meglio?» ribatté Robillard accigliandosi. Harkle reagì schioccando le dita con aria indignata e la gara di magia ebbe inizio. Sapendo che non era salutare interferire con l'opera dei due maghi, Drizzt e gli altri si affrettarono a indietreggiare pur tenendo comunque le armi spianate e anche Catti-brie finì per abbassare l'arco dopo aver lanciato un altro paio di frecce, cedendo completamente il campo ai due maghi. «Questo me lo ha insegnato un incantatore di serpenti di Calimshan», proclamò Harkle, poi lanciò in aria un po' di spago e recitò qualcosa con voce acuta e incrinata: immediatamente un tentacolo di alghe prese vita in risposta alla sua evocazione ed emerse dall'acqua come un serpente per avvolgersi intorno allo zombie più vicino, trascinandolo sotto le onde. Harkle si concesse un ampio sorriso di soddisfazione, ma Robillard sogghignò con aria beffarda. «Soltanto uno?» chiese, poi prese a elaborare un nuovo incantesimo, danzando, girando su se stesso e scagliando in aria alcune schegge di metallo. D'un tratto si arrestò di colpo e protese di scatto una mano verso l'acqua: schegge di metallo incandescente partirono dal suo palmo acquistando una velocità sempre maggiore e si abbatterono in mezzo agli zombie, investendone parecchi e aderendo con cocciutaggine al loro corpo fino a consumare le alghe e i resti degli abiti, trapassando la carne marcia e le ossa. L'istante successivo una manciata di quegli orribili mostri scomparve in mezzo alle onde della risacca. «Oh, una semplice evocazione», commentò Harkle in tono di rimprovero, mentre estraeva dalle vesti una piccola asta di metallo che puntò verso l'acqua.
Pochi secondi più tardi dall'asta scaturì una scarica simile a un fulmine che Harkle diresse sull'acqua in modo che si allargasse in una linea circolare e avviluppasse molti di quei mostri. Lo spettacolo che seguì risultò strano e addirittura divertente: i capelli degli zombie saettarono verso l'alto e quelle creature dai movimenti rigidi presero a eseguire una strana danza saltellante, girando in cerchio su loro stesse e dondolandosi di qua e di là prima di scomparire sotto le onde. Quando lo strano spettacolo si fu concluso le schiere dei mostri risultarono ridotte della metà, anche se altre di quelle creature continuavano a emergere dal mare lungo tutta la spiaggia. Sfoggiando un altro sorriso Harkle fece schioccare nuovamente le dita. «Una semplice evocazione», commentò. «Non ne dubito», borbotto Robillard. Catti-brie, che nel frattempo aveva allentato la tensione della corda dell'arco, si concesse un sorriso di sincero divertimento nel guardare verso i suoi compagni e perfino Dunkin, che appena poco prima appariva terrorizzato, sembrò prossimo a scoppiare a ridere alla vista di quella contesa fra i due maghi. Nel contemplare i compagni, Deudermont si sentì pervadere di sollievo in quanto aveva temuto che la vista di avversari tanto orribili potesse demolirne il morale. Adesso era la volta di Robillard di dimostrare cosa sapeva fare e lui si concentrò su un singolo zombie che nel frattempo era uscito dall'acqua e stava risalendo la spiaggia. Questa volta il mago non ricorse a componenti materiali e si limitò a cantilenare qualcosa in tono sommesso, agitando al tempo stesso le braccia secondo specifici movimenti in risposta ai quali una linea di fuoco gli scaturì dalle dita protese fino a raggiungere il mostro da lui scelto come bersaglio, avviluppandolo in una cortina di fuoco che lo consumò completamente in pochi istanti. Concentrandosi intensamente, Robillard spostò quindi la propria linea di tiro e incenerì un secondo zombie. «L'incenerimento», commentò quando ebbe finito. «Uno dei resti dell'opera di Agannazar». «Agannazar era un illusionista di poco conto», sbuffò Harkle inducendo Robillard ad accigliarsi, poi infilò una mano in tasca e tirò fuori parecchi componenti per incantesimi. «Dardi», spiegò sollevandoli. «Polvere di rhuabarb e lo stomaco di una vipera di palude». «Melf!» esclamò con entusiasmo Robillard.
«Infatti, si tratta di Melf», confermò Harkle. «Quello sì che era un mago». «Conosco Melf», dichiarò Robillard. Harkle sussultò e s'interruppe nel formulare l'incantesimo. «Quanti anni hai?» chiese incredulo. «Volevo dire che conosco le opere di Melf», precisò Robillard. «Oh», annuì Harkle, riprendendo con l'incantesimo. Per sottolineare il proprio punto di vista, Robillard infilò una mano in tasca ed estrasse una manciata di perle che odoravano di resina di pino, un aroma che non sfuggì all'attenzione di Harkle ma a cui questi badò assai poco perché era concentrato nell'elaborazione delle rune conclusive del proprio incantesimo. Un istante più tardi il dardo gli saettò dalla mano e andò a piantarsi nel ventre dello zombie più vicino, cominciando subito a emettere un acido che aprì un buco sempre più largo attraverso il corpo della creatura che prese ad artigliarsi invano la ferita e si chinò addirittura in avanti come se volesse sbirciare in quella voragine che le si stava aprendo nel corpo. «Melf!» esclamò Harkle, quando lo zombie crollò al suolo, ma subito dopo tacque e si girò a guardare verso Robillard, notando le minuscole meteore che gli stavano erompendo dalla mano per saettare come piccole sfere di fuoco a seminare la devastazione in mezzo alle file degli zombie. «Un Melf ancora migliore!» ammise Harkle. «Ora smettetela con queste sciocchezze», intervenne il capitano Deudermont. «Basterà che ce ne andiamo dalla spiaggia, dato che dubito che quegli esseri cercheranno di inseguirci». Un momento più tardi smise però di parlare quando si rese conto che nessuno dei due maghi gli stava prestando attenzione. «Qui non siamo a bordo della nave», si limitò a protestare Robillard in tono indignato, poi si girò verso Harkle e chiese: «Ammetti di essere sconfitto?» «Non ho neppure cominciato a fare sfoggio del mio talento», ribatté con ostinazione l'Harpell. Ed entrambi ripresero a lanciare incantesimi su incantesimi, ricorrendo a quelli più potenti che figuravano nel repertorio di entrambi. Robillard produsse un minuscolo secchio e una piccola pala mentre Harkle tirò fuori un guanto di pelle di serpente e una lunga unghia dipinta. Robillard fu il primo a ultimare e a lanciare l'incantesimo che fece apparire improvvisamente una fossa sotto i piedi degli zombie più vicini in
mezzo a un selvaggio turbinare di sabbia in tutte le direzioni. I mostri continuarono ad avanzare e caddero uno dopo l'altro nella fossa, scomparendo alla vista, e subito Robillard spostò la mira, borbottando una singola parola in risposta alla quale una nuova fossa apparve accanto alla prima. «Escavazione», commentò rivolto ad Harkle, fra una recitazione e l'altra. «Bigby», ribatté Harkle. «Conosci i suoi lavori?» Nonostante la propria impressionante esibizione di poco prima Robillard sbiancò suo malgrado in volto perché conosceva fin troppo bene le opere di Bigby, uno dei maghi più potenti che fossero mai vissuti su qualsiasi mondo. L'incantesimo di Harkle ebbe inizio sotto forma di una mano gigantesca e priva di corpo, un immenso arto trasparente che si librò sulla spiaggia nell'area vicina alla prima fossa creata da Robillard, il quale la fissò con intensa curiosità nel notare che tre dita erano protese ma che il medio era ripiegato all'indietro sotto il pollice. «Io ho migliorato Bigby», si vantò Harkle nel momento in cui uno zombie passava fra la mano gigantesca e la fossa, poi esclamò: «Doink!» Il momento successivo il dito medio della mano gigantesca scattò in fuori da sotto il pollice e obbedì al suo comando, scivolando lungo la spiaggia e colpendo tutti gli zombie che gli arrivavano a tiro. Robillard rimase interdetto, non sapendo se levare un ruggito di protesta o scoppiare in una fragorosa risata, ammettendo suo malgrado dentro di sé che l'Harpell era in gamba, molto in gamba. Questo però non significava che fosse disposto a rinunciare alla gara: dopo un istante di riflessione il compassato mago tirò fuori un diamante, una gemma che gli era costata più di mille monete d'oro. «Otiluke», dichiarò in tono di sfida riferendosi a un altro mago potente e leggendario le cui opere erano i cardini di qualsiasi studio di magia. Questa volta fu Harkle a sbiancare, perché la sua conoscenza del leggendario Otiluke era quanto meno frammentaria. Nel contemplare il diamante e le schiere sempre più assottigliate degli zombie, Robillard si chiese intanto se valeva davvero la pena di pagare quel prezzo, poi schioccò le dita in reazione a una decisione improvvisa e lasciò cadere di nuovo il diamante in tasca, tirando fuori invece una sottile lastra di cristallo. «Otiluke», ribadì scegliendo una diversa variazione dello stesso incantesimo che lanciò immediatamente. Lungo tutta la spiaggia!a marea si congelò e si tramutò rapidamente in una spessa coltre di ghiaccio che intrap-
polò gli zombie non ancora usciti dall'acqua. «Oh, ben fatto», ammise Harkle, mentre Robillard si sfregava le mani una contro l'altra in un gesto di superiorità, come se se le stesse ripulendo di ogni contatto con gli zombie e con lo stesso Harkle. Dal momento che quegli ultimi incantesimi avevano spazzato via dalla spiaggia gli ultimi mostri, la gara a quanto pareva era da considerarsi conclusa; Harkle però non poteva permettere che Robillard avesse l'ultima parola, non in quel modo. Il suo sguardo rovente si spostò dagli zombie che si dibattevano nel ghiaccio al collega gongolante, poi infilò la mano in tasca con mosse deliberate e tirò fuori una fiasca di ceramica. «Eroismo superiore», spiegò. «Hai sentito parlare di Tenser?» Robillard si portò un dito alle labbra con fare riflessivo. «Oh. sì, Tenser il pazzo», rispose dopo un momento, poi sgranò gli occhi nel considerare i sottintesi di quelle parole, dato che a quanto pareva il più famoso incantesimo di Tenser aveva l'effetto di trasformare per breve tempo un mago in un guerriero... in un guerriero berserker! «Non quel Tenser!» stridette quindi, afferrando Harkle in modo da bloccargli le braccia prima che potesse togliere il tappo alla fiasca della pozione. «Aiutatemi!» implorò quindi e gli altri furono pronti ad accorrere in suo soccorso, ponendo definitivamente termine alla gara. Quando finalmente sul gruppo fu tornata la calma, Deudermont decise che era giunto il momento di lasciare la spiaggia. Rivolto un cenno a Catti-brie, Drizzt si portò allora all'avanguardia de! gruppo, pronto a muoversi, ma la giovane donna non lo seguì subito perché era intenta ad ascoltare la discussione fra i due maghi, che stava ora proseguendo su un tono amichevole; a dire il vero, Catti-brie stava osservando soprattutto Robillard, che pareva più animato e felice di come lo avesse mai visto, tanto da indurla a pensare che forse Harkle Harpell stava davvero avendo su di lui un'influenza positiva. «Oh, quell'incantesimo di scavo ha funzionato davvero bene in concomitanza con la mia variazione della mano di Bigby», sentì dire ad Harkle. «Devi proprio insegnarmi come si fa. Mio cugino Bidderdoo è un lupo mannaro e ha l'abitudine di seppellire di tutto nel cortile: ossa, bastoni e altre cose del genere. Quell'incantesimo di scavo mi aiuterebbe a recuperare...» Scuotendo il capo. Catti-brie si affrettò a raggiungere Drizzt, ma un momento più tardi sì arrestò di colpo e si girò a guardare verso la barca a remi, o per meglio dire verso Dunkin Tallmast, che si era seduto dentro
l'imbarcazione in secca e continuava a scuotere il capo senza accennare a muoversi. Rivolto un cenno agli altri, Catti-brie tornò insieme a loro verso il marinaio. «Desidero tornare sulla nave», dichiarò Dunkin in tono cupo, serrando la murata della barca con forza tale da far sbiancare le nocche di entrambe le mani. «Uno dei maghi mi può far arrivare a bordo». «Vieni con noi», ribatté Drizzt, e quando Dunkin non accennò a obbedire aggiunse: «Ti sta venendo concessa l'occasione di essere testimone di qualcosa che pochi uomini hanno visto». Nel parlare il guardaboschi estrasse senza parere dalla tasca la statuetta della pantera e la posò sulla sabbia. «Tu sai in merito a Caerwitch più di qualsiasi altro uomo che si trovi sul Folletto del Mare», interloquì allora Deudermont. «Abbiamo bisogno delle tue conoscenze». «So ben poco», ribatté Dunkin. «Ma è sempre più di quanto sappia chiunque altro», insistette Deudermont. «La tua assistenza sarà ricompensata», intervenne Drizzt, e per un momento negli occhi di Dunkin apparve un bagliore interessato, che però si spense quando il drow spiegò cosa intendesse parlando di ricompensa nel proseguire in tono eccitato: «Chi può sapere quale avventura potremmo trovare qui? Chi può sapere quali segreti ci verranno svelati?» «Avventura?» chiese Dunkin in tono incredulo, guardando verso la carneficina scatenatasi sulla spiaggia e verso gli zombie ancora congelati nell'acqua solidificata dal ghiaccio. «Ricompensa?» continuò quindi con una risatina sarcastica. «A me sembra piuttosto una punizione, anche se non ho fatto nulla che potesse recarvi danno». «Siamo qui per svelare un mistero», dichiarò Drizzt, come se questo potesse destare la curiosità del suo interlocutore, «per apprendere e per crescere, per vivere a mano a mano che scopriamo i segreti del mondo che ci circonda». «E chi li vuole conoscere?» ribatté Dunkin, svuotando in un momento di ogni significato il grandioso discorso dell'elfo scuro. Ispirato dalle parole del drow, Waillan Macantry decise di averne abbastanza di quell'ometto piagnucoloso: accostatosi alla barca in secca gli staccò a forza le mani dai bordi dell'imbarcazione e lo trascinò di peso sulla sabbia. «Io avrei potuto fare lo stesso con una grazia maggiore», commentò in
tono asciutto Robillard. «Anche Tenser», fu pronto a replicare Harkle. «Non quel Tenser», insistette Robillard. «Non Tenser?» «Assolutamente no», ribadì Robillard in tono definitivo, e pur protestando un poco Harkle non ribatté oltre. «Risparmiate le vostre magie perché potremmo averne ancora bisogno», consigliò intanto Waillan rivolto a entrambi. Le sue parole ebbero l'effetto di strappare a Dunkin un gemito di protesta e di terrore. «Quando tutto questo sarà finito potrai raccontare una storia tale da far sgranare gli occhi a chiunque visiterà il Porto di Mintarn», suggerì Drizzt rivolto all'ometto, che parve allora calmarsi in certa misura. «Sempre che noi si sopravviva», aggiunse però Catti-brie, rovinando l'effetto positivo delle parole del drow, poi si mise in cammino con un sorriso innocente sulle labbra fingendo di non aver notato l'espressione accigliata di Drizzt e di Deudermont. «Lo riferirò a sua tirannia», minacciò Dunkin, ma ormai nessuno gli stava dando più ascolto. Prima di avviarsi Drizzt chiamò Guenhwyvar e non appena la pantera li ebbe raggiunti sulla spiaggia i sette avventurosi si raccolsero intorno a Deudermont mentre questi tracciava sulla sabbia una mappa approssimativa dell'isola, applicando una X nel punto in cui si trovavano e un'altra al di fuori del disegno per indicare la posizione del Folletto del Mare. «Qualche idea?» chiese quindi il capitano, guardando in particolare verso Dunkin. «Ho sentito parlare della "Strega della Grotta Gemente"» suggerì in tono contrito l'ometto. «Ci potrebbero essere delle grotte lungo la costa, oppure quassù», ragionò Catti-brie, ponendo un dito sulla rozza mappa tracciata da Deudermont per indicare l'unica montagna dell'isola, un basso cono che abbracciava il grosso dell'area di Caerwitch. «Prima di spingerci in mare sarà meglio esplorare l'entroterra» decise Deudermont, e nessuno degli altri ebbe bisogno di guardare verso gli zombie immobilizzati nel ghiaccio per richiamare alla mente i pericoli che si annidavano lungo la costa dell'isola. Fu così che il gruppo s'incamminò lentamente verso l'entroterra, addentrandosi in un groviglio sorprendentemente fitto di cespugli e di felci im-
mense. Avevano appena lasciato la distesa scoperta della spiaggia che una marea di suoni esplose tutt'intorno a loro, i sibili e i richiami degli uccelli esotici che si mescolavano ad altri versi rauchi che nessuno di loro aveva mai udito prima. Subito Drizzt e Guenhwyvar si portarono in testa e sul fianco del gruppo, scomparendo nella vegetazione senza il minimo rumore. Dunkin accolse quella mossa con un gemito, preoccupato del fatto che il gruppo che lo circondava si fosse d'un tratto numericamente ridotto, poi si girò a fissare con aria accigliata Catti-brie, che aveva notato la sua reazione ed era scoppiata a ridere, riflettendo che Dunkin sarebbe stato certo più calmo se avesse saputo quanto erano tutti più al sicuro con il drow e la pantera che procedevano non visti accanto a loro. Le ricerche si protrassero per oltre un'ora, poi il gruppo si concesse una pausa in una radura a metà del pendio della bassa montagna conica e Drizzt ne approfittò per mandare avanti Guenhwyvar da sola, supponendo che il felino avrebbe potuto percorrere nell'arco di quel breve periodo di riposo una distanza maggiore di quella che l'intero gruppo avrebbe potuto coprire se avesse proseguito le ricerche per tutto il giorno. «Scenderemo dal lato opposto del cono e ci sposteremo verso sud descrivendo un semicerchio che ci riporti alla barca», spiegò Deudermont. «Poi risaliremo di nuovo il cono e descriveremo l'altro semicerchio». «È possibile che siamo passati davanti alla grotta senza neppure vederla», borbottò Robillard e in effetti tutti dovettero ammettere che nelle sue parole c'era del vero perché la vegetazione era tanto fitta e cupa da nascondere ogni cosa e la nebbia non si era minimamente attenuata. «Forse i nostri due maghi potrebbero rendersi utili, se non si fossero concentrati tanto nello sprecare i loro incantesimi per dimostrare una questione di prestigio», ribatté Deudermont con pari sarcasmo. «C'erano dei nemici da abbattere!» protestò Harkle. «Avrei potuto eliminarli io con il mio arco», interloquì Catti-brie. «E sprecare una quantità di frecce», ritorse Harkle, pensando di averla messa con le spalle al muro, dato che, al contrario degli altri, non sapeva che la faretra di Catti-brie era mantenuta piena da un potente incantesimo. «Io non esaurisco mai le frecce», dichiarò la ragazza togliendo al mago ogni possibilità di ribattere. In quel momento Drizzt interruppe bruscamente la discussione balzando in piedi e fissando la giungla con espressione intensa nel portare la mano alla sacca in cui conservava la statuetta di onice della pantera. Il suo com-
portamento indusse gli altri ad alzarsi a loro volta di scatto, Catti-brie con Taulmaril in pugno. «Guenhwyvar?» chiese la giovane donna. Drizzt annuì in silenzio. Alla pantera era successo qualcosa ma lui non sapeva con certezza di cosa si potesse trattare. Agendo sulla spinta dell'intuito posò al suolo la statuetta per chiamare di nuovo a sé la pantera, e un momento più tardi la consueta nebbia grigia apparve accanto a essa, assumendo la forma di Guenhwyvar che si diresse verso il drow con fare nervoso. «Ci sono due di quelle creature?» esclamò Dunkin. «È la stessa pantera», spiegò Catti-brie. «Qualcosa ha rispedito Guen a casa». «Qualcosa che Guenhwyvar potrebbe ritrovare», osservò Drizzt annuendo e guardando verso Deudermont. Pochi momenti più tardi il gruppo si rimise in marcia attraverso la vegetazione seguendo Guenhwyvar e ben presto raggiunse il pendio settentrionale del cono, dove dietro una fitta cortina di muschio trovò un'apertura buia in cui Guenhwyvar si rifiutò di entrare per quanto Drizzt la incitasse a farlo. Smettendo di insistere, il drow adocchiò la pantera con espressione incuriosita. «Io torno alla barca», decise Dunkin, ma non appena accennò a indietreggiare di un passo Robillard, stanco del suo comportamento, tirò fuori una bacchetta e gliela puntò dritta fra gli occhi senza dire neppure una parola. Cessando di protestare, Dunkin si girò docilmente verso l'ingresso della grotta, dove Drizzt si era intanto accoccolato accanto alla pantera. Guenhwyvar si stava rifiutando di entrare e il drow non riusciva a capire il perché di quel comportamento in quanto sapeva che non era dettato dalla paura. Possibile che quell'area fosse protetta da un incantesimo che impediva alla pantera di accedervi? Soddisfatto dalla logicità di quella spiegazione Drizzt estrasse Lampo, la sua splendida scimitarra che era ammantata del consueto bagliore azzurro, e dopo aver segnalato ai suoi amici di aspettare sgusciò oltre la cortina di muschio, attendendo quindi un momento per dare alla propria vista il tempo di abituarsi alla penombra prima di iniziare ad avanzare. Nel momento stesso in cui entrò nella grotta la luce di Lampo però si spense e subito Drizzt si spostò da un lato per misura precauzionale, cer-
cando protezione dietro un masso; nel muoversi, si rese poi conto che i suoi piedi non stavano reagendo con la rapidità abituale perché le cavigliere incantate non stavano funzionando come dovevano. «Niente magia», intuì il drow, e di colpo gli risultò del tutto chiaro perché Guenhwyvar non volesse entrare in quella grotta. Avendo risolto il mistero si girò per tornare fuori, ma nel farlo scoprì che i suoi amici si erano stancati di aspettare ed erano sgusciati nella grotta alle sue spalle; Harkle e Robillard entrambi con una strana espressione sul volto mentre Catti-brie stava scrutando l'oscurità circostante e tormentando con una mano il pendente Occhio di Gatto che portava sulla fronte e che di colpo pareva diventato inutile. «Ho dimenticato tutti i miei incantesimi!» esclamò d'un tratto Harkle con voce tanto stentorea da echeggiare contro le spoglie pareti della grotta e da indurre Robillard a premergli una mano sulla bocca. «Zitto», ingiunse l'altro mago, più calmo, poi però ripensò a quanto Harkle aveva appena detto ed esplose a sua volta: «Li ho dimenticati anch'io!» Un istante più tardi si rese conto di aver urlato e si affrettò a premersi una mano contro la bocca. «Qui dentro non c'è magia», li avvertì Drizzt. «È per questo che Guenhwyvar non può entrare». «Può darsi che sia stata l'assenza di magia a rimandarla a casa», interloquì Catti-brie. La discussione s'interruppe poi bruscamente quando tutti si girarono a guardare in direzione di Waillan, che aveva appena acceso una torcia improvvisata. «Non intendo addentrarmi alla cieca in un simile antro», spiegò il giovane marinaio, levando in alto i rami accesi che aveva legato in un fascio. Nessuno degli altri trovò da obiettare, considerato che era bastato allontanarsi di appena pochi passi dall'ingresso della grotta perché la maggior parte della luce esterna cessasse di essere visibile e che tutti i loro sensi li stavano avvertendo che la caverna era tutt'altro che piccola; l'impressione che essa dava era di essere profonda e fredda, tanto che al suo interno non si riscontrava traccia dell'appiccicosa umidità propria dell'atmosfera dell'isola. Quando infine cominciarono ad avanzare, la luce della torcia mostrò loro che in effetti l'impressione di vastità che avevano riportato era esatta: la grotta infatti era molto grande, di forma approssimativamente ovale e misurava circa trenta metri di larghezza nel suo punto più ampio; il suolo era
irregolare, costituito da una serie di diversi livelli e dominato da gigantesche stalattiti che parevano denti allineati in un sogghigno a spese di quegli ignari visitatori. Drizzt stava per suggerire di procedere a un'esplorazione sistematica quando una voce fendette l'assoluto silenzio. «Chi viene a cercare le mie visioni?» chiese in tono stridulo e beffardo, scaturendo da un punto in fondo alla grotta dove pareva esserci un costone roccioso che si trovava a circa quattro metri di altezza rispetto al livello a cui si trovava il gruppo. Istintivamente tutti e sette cercarono di trapassare con lo sguardo la penombra nel punto da cui era scaturita la voce, e Catti-brie accentuò la stretta intorno a Taulmaril, domandandosi quanto sarebbe potuto risultare preciso il suo tiro in quella grotta in cui non si poteva fare affidamento sulla magia. Dunkin dal canto suo accennò a lanciarsi verso l'ingresso e subito Robillard protese verso di lui il proprio bastone pur senza distogliere lo sguardo dal costone roccioso che aveva davanti; per un momento il marinaio esitò, poi si rese conto che il mago non aveva potere su di lui all'interno della grotta e saettò verso l'uscita. «Chi viene a cercare le mie visioni?» chiese di nuovo la voce stridula, proprio nel momento in cui Dunkin oltrepassava a precipizio la cortina di muschio, inducendo gli altri a girarsi in quella direzione. «Lasciatelo andare», ordinò Deudermont, poi tolse la torcia dalla mano di Waillan e si addentrò lentamente nella grotta, seguito dagli altri cinque; sempre cauto, Drizzt si tenne a una certa distanza dagli altri e nell'avanzare sfruttò ogni nicchia d'ombra offerta dalle pareti laterali. Allora la domanda si ripeté una terza volta, con un tono annoiato da cui si capiva che la strega doveva essere abbastanza abituata a ricevere visite da parte di marinai, e infine la donna si decise a mostrarsi, emergendo lentamente da un gruppo di massi e rivelandosi per una vecchia avvizzita che indossava una lacera veste nera e si appoggiava pesantemente a un corto e lucido bastone; la bocca aperta in un respiro affannoso rivelava un singolo dente ingiallito e anche da lontano gli occhi apparivano fissi e opachi. «Chi è disposto a sopportare il fardello della conoscenza?» insistette la donna, tenendo la testa girata nella direzione in cui si trovavano i cinque, poi scoppiò in una breve e stridula risata. Sollevando una mano, Deudermont segnalò agli altri di fermarsi dov'erano e continuò ad avanzare da solo, con passo deciso.
«Sono Deudermont, del Folletto del Mare, e sono venuto a Caerwitch...» cominciò. «Vattene!» gli gridò la vecchia, in tono tanto violento che il capitano indietreggiò di un passo ancor prima di rendersi conto di quello che stava facendo, mentre Catti-brie accentuava la tensione del proprio arco pur non accennando ancora a puntarlo contro la megera. «Quello che ho da dire non è per te, né per nessun altro uomo!» spiegò la strega, inducendo tutti a guardare in direzione di Catti-brie. «È un messaggio per due, per due soltanto», proseguì la vecchia, assumendo un tono cantilenante, quasi stesse recitando un poema eroico. «Non è per un uomo, né per nessun maschio la cui pelle si abbronzi sotto la luce del sole». Di fronte a quell'evidente riferimento nei suoi confronti, Drizzt sentì le spalle che gli si accasciavano e un momento più tardi si decise infine a uscire dall'ombra, guardando verso Catti-brie, che appariva avvilita quanto lui di fronte all'improvvisa consapevolezza che in fin dei conti ancora una volta la causa di tutto era pur sempre Drizzt. Il capitano Deudermont era quasi stato ucciso a Waterdeep e adesso il Folletto del Mare e il suo equipaggio si trovavano in pericolo a un migliaio di miglia da casa, e tutto a causa della sua ascendenza. Riposte le sciabole nel fodero Drizzt si andò ad affiancare a Catti-brie, e insieme oltrepassarono lo stupefatto capitano per arrestarsi davanti alla strega cieca. «Ti saluto, rinnegato di Daermon N'a'shezbaernon», esordì la strega, riferendosi all'antico nome di famiglia di Drizzt, un nome che pochi al di fuori di Menzoberranzan potevano conoscere. «Salute anche a te, figlia di nano che hai scagliato la più possente fra le lance!» Quell'ultima frase colse la coppia alla sprovvista e lasciò entrambi confusi per qualche istante fino a quando non si resero conto che la vecchia stava probabilmente facendo riferimento alla stalattite che Catti-brie aveva fatto cadere, la grande "lancia" che aveva trapassato la cupola della cappella del Casato di Baenre! Era dunque sempre più chiaro che tutta quella faccenda aveva a che vedere con loro, con il passato di Drizzt e con i nemici che tutti e due credevano di essersi lasciati alle spalle. La vecchia veggente segnalò quindi loro di farsi più vicini ed essi obbedirono cercando di nascondere il proprio avvilimento, arrestandosi a meno di tre metri dalla strega ma parecchi metri più in basso rispetto a lei, cosa che insieme al suo conoscere dei fatti che avrebbe dovuto ignorare la faceva apparire molto più imponente di quanto non fosse. Nel frattempo la
megera cercò di rizzarsi il più possibile sulla persona, facendo uno sforzo enorme per squadrare le spalle incurvate, poi i suoi occhi ciechi incontrarono in pieno lo sguardo di quelli pieni di tensione di Drizzt Do'Urden mentre lei procedeva a recitare in fretta e in tono sommesso i versi che Errtu le aveva fornito: Sentiero guidato non dal caso ma da complotto tetro, Passi ulteriori mossi sulla strada del paterno spettro. È ricercato chi Lloth ha tradito Da colui che ha per lui un odio infinito. Il crollo di un casato, di una lancia la caduta Alla Regina Aracnide hanno trafitto il cuore come freccia acuta. E adesso Drizzt Do'Urden deve sopportare un ago acuminato Sotto le pieghe del mantello, nel profondo del cuore conficcato. Una sfida, rinnegato di rinnegato seme Un aureo anello a cui di resister non hai speme! Puoi averlo, ma solo quando la bestia è liberata Dal marcire dell'Abisso nella fossa incantata. Donato a Lloth e da Lloth donato Perché sul più cupo sentiero tu sia indirizzato. Elargito a colui che fra i demoni è il più dannato E presentato a te, perché tu ne sia rovinato. Cerca dunque, Drizzt Do'Urden, chi più di tutti ti odia, Un amico, e pure nemico, conosciuto nella tua prima patria. Là troverai chi hai temuto fosse deceduto Dall'amore e dalla sete di battaglia incatenato. La strega cieca smise di colpo di parlare, un'espressione fissa negli occhi opachi e il corpo del tutto immobile come se quella recitazione l'avesse stremata, poi lentamente si avviò fra i massi fino a scomparire alla vista. Drizzt però non se ne accorse neppure perché l'improvvisa, assurda possibilità che gli era stata fatta intravedere un momento prima pareva averlo paralizzato sul posto e avergli tolto ogni energia. «Donato a Lloth...» borbottò in tono impotente, poi riuscì ad aggiungere
a fatica solo un'altra parola: «Zaknafein». 10 Il cuore di Kierstaad Al suo emergere dalla caverna il gruppo trovò Guenhwyvar seduta con estrema calma sulla schiena di Dunkin, che era bloccato al suolo; a un cenno di Drizzt la pantera si affrettò a liberare il suo prigioniero e gli amici si avviarono per tornare alla spiaggia. Per tutto il cammino fino alla barca a remi, Drizzt non si rese quasi conto di quello che gli stava accadendo intorno e non disse una sola parola, tranne che per rimandare Guenhwyvar nella sua dimora astrale una volta che risultò evidente che adesso sulla spiaggia non avrebbero avuto problemi dal momento che sia il ghiaccio sia gli zombie parevano scomparsi nel nulla; quanto agli altri, avendo compreso appieno la portata della sconvolgente informazione che la strega aveva fornito al drow, badarono a rispettare il suo stato d'animo e rimasero a loro volta in silenzio. Drizzt intanto continuava a ripetersi nella mente le parole della veggente cieca nel vano tentativo di impararle a memoria perché si era reso conto che ogni sillaba poteva contenere un indizio, ogni inflessione poteva dargli qualche informazione su chi stesse tenendo prigioniero suo padre, ma i suoi sforzi per concentrarsi erano quasi vani perché quella notizia gli era giunta in maniera troppo improvvisa e inattesa. Suo padre! Zaknafein! Drizzt si sentiva mancare il respiro al solo prendere in esame una possibilità del genere, che adesso gli stava facendo tornare alla mente le molte sedute di esercitazione con la spada, gli anni trascorsi sottoponendosi a un gioioso quanto costante addestramento; Drizzt ricordò poi l'occasione in cui Zaknafein aveva cercato di ucciderlo e rammentare quell'episodio servì soltanto a intensificare l'affetto che provava per suo padre, in quanto questi aveva tentato di aggredirlo soltanto perché si era convinto che lui avesse infine scelto di vivere nel modo oscuro proprio dei drow. Con risolutezza, Drizzt si costrinse infine ad allontanare quei ricordi dalla mente perché in quel momento non aveva tempo per la nostalgia e doveva invece concentrarsi sul compito che gli era stato assegnato in maniera così inattesa. Per quanto fosse grande la sua esaltazione al pensiero che Zaknafein potesse essergli restituito, la trepidazione che, però, questo de-
stava nel suo animo non era certo meno intensa, dato che a detenere il segreto di dove Zaknafein si trovava doveva essere qualche creatura molto potente, forse una matrona madre o addirittura la stessa Lloth. Ricordando d'un tratto che le parole della strega avevano coinvolto non solo lui ma anche Catti-brie, il drow si girò di scatto a guardare verso la ragazza, che appariva a sua volta immersa in profonde riflessioni. La strega aveva infatti lasciato intendere che tutto ciò che era accaduto, dall'attacco subito da Deudermont a Waterdeep al lungo viaggio per mare fino a quell'isola sperduta, era stato predisposto da un potente nemico che desiderava vendicarsi non solo di Drizzt ma anche della stessa Catti-brie. Rallentando il passo, Drizzt lasciò che gli altri lo precedessero di qualche metro e, mentre essi provvedevano a trascinare la barca fino alla risacca, distolse per il momento lo sguardo e i pensieri da Catti-brie per tornare a concentrarsi su una ripetizione dei versi recitati dalla megera perché la cosa migliore che poteva fare per Catti-brie e per Zaknafein era memorizzare tutto quanto nel modo più esatto possibile. A livello razionale, Drizzt era conscio di quella necessità ma la possibilità che Zaknafein fosse ancora vivo stava sconvolgendo i suoi processi mentali e in quel momento i versi della strega gli apparivano come un sogno vago e talmente remoto da costringerlo a una vera e propria lotta con se stesso per cercare di metterli a fuoco. La sua concentrazione era tale che quasi non si accorse quando si addentrarono nella risacca per spingere al largo la barca, poi il suo sguardo si appuntò sul movimento regolare dei remi sotto l'acqua scura e lui scivolò in una riflessione così intensa che se in quel momento un'orda di zombie fosse emersa dal mare per attaccarli sarebbe di certo stato l'ultimo a estrarre un'arma. Il viaggio fino alla nave si concluse però senza incidenti di sorta e dopo aver ottenuto da Drizzt la conferma che in quel luogo non avevano più nulla da fare Deudermont non perse tempo a condurre al largo la nave; non appena emersero dal manto di nebbia che avviluppava Caerwitch, il capitano fece spiegare tutte le vele e in breve tempo il rapido schooner si lasciò alle spalle l'isola nebbiosa; quando infine essa fu scomparsa all'orizzonte, Deudermont convocò Drizzt, Catti-brie e i due maghi nel proprio alloggio per discutere di quanto era successo quel giorno. «Hai idea di cosa abbia inteso dire quella vecchia strega?» domandò il capitano a Drizzt. «Zaknafein», rispose senza esitazione il drow. Nel parlare si accorse che Catti-brie si stava mostrando d'un tratto incu-
pita in volto e quasi avvilita, cosa che contrastava con il comportamento che aveva tenuto per tutto il tragitto dalla grotta fino alla nave, mostrandosi tesa e quasi stordita dagli eventi. «Qual è adesso la nostra rotta?» domandò intanto Deudermont. «Possiamo soltanto tornare a casa», intervenne Robillard. «Non abbiamo provviste e dobbiamo ancora riparare alcuni dei danni prodotti dalla tempesta che ci ha investiti prima che arrivassimo agli Scogli dei Gabbiani». «E dopo?» insistette il capitano fissando Drizzt negli occhi nel porre quella domanda. Pur sentendosi rincuorare dal fatto che il capitano si stesse rimettendo al suo giudizio, il drow non rispose immediatamente. «"Cerca chi più di tutti ti odia", così ha detto la strega», ragionò allora Deudermont. «Di chi si potrebbe trattare?» «Entreri», suggerì Catti-brie, poi si volse verso lo stupito Deudermont e precisò. «Artemis Entreri, un assassino proveniente dalle Terre del meridione». «Lo stesso che una volta abbiamo inseguito fino a Calimshan?» chiese Deudermont. «Pare che non si debba mai finire di avere a che fare con quell'uomo», spiegò Catti-brie. «Lui odia Drizzt più di...» «No», la interruppe Drizzt scuotendo il capo e passandosi una mano fra i fitti capelli bianchi. «Non è Entreri!» Il drow infatti comprendeva molto bene la mentalità di Artemis Entreri ed era consapevole che Entreri lo odiava, o meglio lo aveva odiato un tempo, ma sapeva anche che la loro faida era stata generata soprattutto da cieco orgoglio e dal bisogno dell'assassino di dimostrare di essere il migliore più che da un tangibile motivo di inimicizia. Dopo la sua permanenza a Menzoberranzan, Entreri aveva superato quell'esigenza almeno in certa misura, e comunque Drizzt era certo che questa sfida avesse origini molto più profonde: essa proveniva da Lloth in persona e coinvolgeva non soltanto lui ma anche Catti-brie e la stalattite che lei aveva fatto cadere sulla cupola della cappella dei Baenre. Questo inseguimento, questo proverbiale anello d'oro, era basato su un odio puro e assoluto. «Dì chi si tratta, allora?» chiese Deudermont dopo una lunga pausa di silenzio. Drizzt però non riuscì a fornire una risposta precisa. «Molto probabilmente si tratta di un Baenre», replicò infine. «Mi sono fatto molti nemici e a Menzoberranzan ci sono dozzine di persone che fa-
rebbero qualsiasi cosa per potermi uccidere». «Ma come puoi sapere che si tratta di qualcuno di Menzoberranzan?» interloquì Harkle. «Non te l'avere a male, ma vorrei farti notare che ti sei creato parecchi nemici anche sulla superficie». «Entreri», ribadì Catti-brie. «Quella megera ha detto che è "un nemico conosciuto nella mia prima patria"», obiettò Drizzt scuotendo il capo, «quindi è un nemico che proviene da Menzoberranzan». In cuor suo Catti-brie non era certa che Drizzt stesse interpretando in modo corretto le parole della strega, ma dovette ammettere che le prove parevano inconfutabili. «Allora da dove dobbiamo cominciare?» intervenne Deudermont, che pareva essersi assunto il semplice ruolo di moderatore. «La strega ha parlato di un'influenza ultraterrena», ragionò Robillard. «Ha parlato dell'Abisso». «La dimora di Lloth», aggiunse Drizzt. «Quindi dobbiamo ottenere delle risposte dall'Abisso», rifletté Robillard annuendo. «Pensi forse che possiamo navigare fin là?» commentò in tono sarcastico Deudermont. Il mago, che aveva maggiore esperienza di lui in questioni del genere, si limitò però a sorridere e a scuotere il capo. «Dobbiamo convocare un demone nel nostro mondo», spiegò, «e ottenere da lui le necessarie informazioni. Si tratta di un compito che non è né difficile né insolito per quanti sono esperti nell'arte della stregoneria». «E tu lo sei?» chiese Deudermont. Robillard scosse il capo e guardò verso Harkle. «Cosa c'è?», domandò in tono distratto l'Harpell, che era assorto in altri pensieri, quando si rese conto che l'attenzione generale era adesso concentrata su di lui; come gli altri, Harkle stava cercando a sua volta di ricostruire nella propria mente i versi recitati dalla strega cieca, anche se dal punto in cui si era trovato all'interno della grotta non era riuscito a sentire tutto ciò che lei aveva detto. «Tu sei esperto nell'arte della stregoneria», spiegò Robillard. «Io?» stridette Harkle. «Oh, no, al Maniero dell'Edera è vietato praticarla da almeno vent'anni perché causava troppi problemi e c'erano troppi demoni che se ne andavano in giro a divorare Harpell!» «Allora da chi potremo ottenere delle risposte?» domandò Catti-brie.
«A Luskan ci sono maghi che praticano la stregoneria», suggerì Robillard, «come lo fanno pure alcuni preti a Waterdeep, ma tutti loro chiederanno una cifra non indifferente per farlo». «Abbiamo oro a sufficienza», commentò Deudermont. «È l'oro della nave», obiettò Drizzt, «appartiene all'equipaggio del Folletto del Mare». «È stato soltanto da quando Drizzt Do'Urden e Catti-brie si sono uniti a noi che abbiamo avuto un simile aumento degli affari e dei profitti», lo interruppe il capitano agitando una mano verso di lui con decisione e scuotendo il capo a sottolineare ogni sillaba. «Voi siete parte del Folletto del Mare, siete membri del suo equipaggio e noi tutti doneremo qualcosa della nostra parte, come voi avreste fatto per aiutare un compagno in difficoltà». Drizzt non riuscì a trovare nulla da obiettare di fronte a quel ragionamento ma non gli sfuggì un borbottio di protesta da parte di Robillard. «Allora, puntiamo su Waterdeep oppure su Luskan?» chiese intanto Deudermont al mago. «Devo indirizzare la rotta a nord oppure a sud delle Isole Moonshae?» «Su Waterdeep», intervenne inaspettatamente Harkle, poi si affrettò a spiegare: «Quello che intendo dire è che io sceglierei un prete, possibilmente un prete di animo particolarmente puro, perché i preti se la cavano meglio dei maghi a gestire i demoni in quanto un mago potrebbe avere altri incarichi da assegnare al demone o altre domande da porgli. A mio parere non è bene avere troppo a che fare con i demoni». Drizzt, Catti-brie e Deudermont lo scrutarono in volto con aria perplessa, cercando di capire il senso del suo discorso. «Ha ragione», fu pronto a spiegare il mago del Folletto del Mare. «Un prete di animo puro si atterrà al compito assegnatogli e potremo essere certi che chiamerà un demone soltanto per servire la causa del bene e della giustizia». Nel parlare Robillard guardò verso Drizzt, e il drow ebbe l'improvvisa sensazione che il mago stesse mettendo in discussione la saggezza di quella ricerca basata sulle parole della strega cieca e forse stesse mettendo in discussione anche le sue stesse motivazioni. «Liberare Zaknafein dalle mani di Lloth o anche di una matrona madre sarebbe un atto di giustizia», ribadì infine Drizzt, consapevole della sfumatura d'ira che gli si era insinuata nella voce. «Allora un prete di animo puro è la soluzione migliore», replicò con noncuranza Robillard senza accennare neppure a scusarsi.
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Kierstaad fissò gli occhi scuri e opachi della renna che giaceva del tutto immota sul suolo piatto della tundra, circondata dai fiori a vivaci colori che stavano sbocciando nel corso della breve estate della Valle del Vento Ghiacciato, e constatò di aver ucciso l'animale con un solo, preciso tiro della sua pesante lancia, cosa di cui fu fiero. Kierstaad non provava rimorsi alla vista della carcassa dello splendido animale perché la sopravvivenza del suo popolo dipendeva dal successo della caccia e neppure un frammento di quella bestia orgogliosa sarebbe andato sprecato, ma al tempo stesso era contento che la morte della prima preda da lui abbattuta fosse stata pulita e immediata, e nel fissare gli occhi dell'animale morto rese grazie al suo spirito. Berkthgar intanto si era avvicinato al giovane cacciatore e gli batté una pacca sulla spalla in segno di approvazione; troppo sopraffatto dallo spettacolo che aveva davanti e dall'improvvisa consapevolezza che agli occhi della tribù lui era adesso un uomo e non più un ragazzo, Kierstaad quasi non si accorse del fatto che il massiccio guerriero lo stava oltrepassando con un lungo coltello stretto in pugno. Accoccolatosi accanto alla renna, Berkthgar ne spostò da un lato le zampe e praticò un taglio netto e preciso, reso perfetto dalla lunga pratica; un momento più tardi si girò e si rialzò in piedi, protendendo verso Kierstaad le mani insanguinate che reggevano il cuore dell'animale. «Mangia e acquista la forza e la velocità della renna», disse il condottiero barbaro. Accettato con esitazione il cuore che gli veniva porto, Kierstaad se lo avvicinò alle labbra, consapevole che anche questo faceva parte della prova anche se non si era aspettato che gli venisse richiesto di fare una cosa del genere. D'altro canto, la gravità del tono di Berkthgar era inconfondibile e da essa risultava evidente che lui non poteva permettersi di fallire: adesso non era più un ragazzo, come ripeté a se stesso per farsi coraggio. D'un tratto qualcosa di selvaggio affiorò nel suo animo, stimolato dall'odore del sangue e dal pensiero di ciò che doveva fare. «Il cuore racchiude lo spirito della renna», aggiunse un altro cacciatore. «Mangia il suo spirito e fallo tuo». Senza più esitare, Kierstaad affondò i denti nel cuore nerastro dell'animale e da quel momento in poi non fu quasi consapevole delle proprie a-
zioni successive mentre divorava il cuore e si immergeva nello spirito della renna uccisa, accompagnato dal canto intonato dai cacciatori del gruppo di Berkthgar, che stavano festeggiando il suo ingresso nell'età virile. Adesso non era più un ragazzo. Poiché dopo la conclusione di quel rito non ci si aspettava più altro da lui, quando ebbe finito Kierstaad si trasse in disparte e attese impassibile in volto che gli altri cacciatori più anziani provvedessero a pulire e a preparare la carcassa della renna; mentre aspettava rifletté che in effetti quello era per il suo popolo un modo migliore di vivere, libero dai vincoli della ricchezza e da legami con altri, e si rese conto che almeno da questo punto di vista Berkthgar aveva ragione. D'altro canto lui non se la sentiva di nutrire animosità nei confronti dei nani o degli abitanti delle Dieci Città, così come non aveva intenzione di permettere a menzogne di qualsiasi tipo di sminuire il rispetto che provava nei confronti di Wulfgar, che tanto bene aveva arrecato alle tribù della Valle del Vento Ghiacciato. Mentre formulava quelle riflessioni, Kierstaad osservò come stava venendo preparata la carcassa della renna, senza nessuno spreco e con assoluto rispetto per quell'orgoglioso animale, poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani insanguinate e nel chinare il capo sentì un rivoletto di sangue colargli dalle labbra per gocciolare sul terreno spugnoso. Questa era la sua vita, il suo destino, e tuttavia quali promesse poteva contenere per il futuro? Altre guerre contro le Dieci Città, com'era accaduto molte volte in passato? E che dire dei rapporti con i nani che erano tornati a occupare le loro miniere a sud del Picco di Kelvin? Nel corso delle ultime settimane Kierstaad aveva ascoltato con attenzione le molte discussioni che Berkthgar aveva avuto con suo padre, il capo riconosciuto della Tribù degli Alci, la sola che rimanesse sulla tundra della Valle del Vento Ghiacciato, e adesso nell'osservare il gigantesco guerriero sentì crescere dentro di sé la certezza che Berkthgar avrebbe scelto di staccarsi dalla tribù e di portare con sé i giovani guerrieri per fondare nuovamente la Tribù degli Orsi o un'altra delle antiche tribù ancestrali; se questo fosse accaduto la rivalità tribale che per tanto tempo era stata un modo di vivere per i barbari della valle sarebbe tornata ad affiorare ed essi avrebbero ripreso a combattere gli uni contro gli altri per il cibo e per i terreni di caccia migliori nel corso dei loro vagabondaggi sulla tundra. Naturalmente quella era soltanto una possibilità, come Kierstaad cercò di dire a se stesso nel vano tentativo di allontanare quei pensieri che avevano il potere di turbarlo. Berkthgar voleva essere il capo assoluto, voleva
emulare e poi surclassare il leggendario Wulfgar, ma non avrebbe potuto farlo se avesse diviso i barbari superstiti, che in realtà non erano ancora abbastanza numerosi da poter supportare tribù separate che potessero vantare un potere effettivo. Wulfgar aveva unito le tribù e scinderle di nuovo sarebbe stato difficile. Quando però provò a vagliare le possibili alternative a quella soluzione, Kierstaad scoprì che nessuna di esse gli andava a genio. In quel momento Berkthgar sollevò lo sguardo dalla renna abbattuta e gli rivolse un ampio sorriso, mostrando di accettarlo appieno per quello che era e senza secondi fini; Kierstaad era però il figlio di Revjak, cosa che non poteva essere dimenticata, e aveva l'impressione che Berkthgar e suo padre potessero entrare presto in collisione uno con l'altro, considerato che il capo di una tribù barbara poteva essere sfidato e il suo diritto a comandare essere messo in discussione. Quella preoccupazione si fece ancora più intensa quando nel rientrare al campo dopo la caccia coronata da successo il gruppo dei cacciatori s'imbatté alle porte dell'insediamento in Bruenor Battlehammer e in un altro nano, la sacerdotessa Stumpet Unghie-imbellettate. «Questo non è posto per voi», ringhiò immediatamente Berkthgar, rivolto al capo dei nani. «Salute anche a te», ribatté con sarcasmo Stumpet, che non era tipo da lasciarsi trattare impunemente in quel modo. «Allora è vero quello che abbiamo sentito dire, e cioè che hai già dimenticato la Valle del Guardiano?» «Non parlo con le femmine di questioni importanti», ribatté in tono secco Berkthgar. Con una mossa rapida Bruenor si affrettò a protendere un braccio per trattenere l'indignata Stumpet. «Così come io non ho intenzione di parlare con te», replicò poi il capo dei nani. «Io e il mio chierico siamo venuti a trovare Revjak, il capo della Tribù degli Alci». Nel sentire quelle parole Berkthgar dilatò le narici con ira così evidente che Kierstaad e gli altri si aspettarono di vederlo scagliarsi contro Bruenor. Evidentemente anche il nano dovette avere la stessa impressione perché puntellò più saldamente i piedi sul terreno e prese a battere sul palmo della mano aperta l'impugnatura della sua pesante ascia. Berkthgar però non era uno stolto e si costrinse a calmarsi. «Anch'io comando i cacciatori della Valle del Vento Ghiacciato», ribat-
té. «Ditemi cosa volete e andatevene da qui!» Per tutta risposta Bruenor si limitò a ridacchiare e oltrepassò l'orgoglioso barbaro, addentrandosi nell'accampamento; un istante più tardi Berkthgar scattò in avanti con un ululato di rabbia e si affrettò a bloccargli il passo. «Tu comandavi a Settlestone», affermò allora con fermezza Bruenor, «e può darsi che comandi anche qui, com'è possibile il contrario. Revjak era re quando noi abbiamo lasciato la valle e continua a esserlo anche ora, almeno stando a quello che ho sentito», aggiunse senza distogliere per un momento lo sguardo severo dei propri occhi grigi da quello di Berkthgar, poi oltrepassò di nuovo il massiccio barbaro insieme a Stumpet, che si avviò a testa alta e senza degnare Berkthgar di un'occhiata. Per Kierstaad, che aveva simpatia per Bruenor e per il suo clan, quello fu un incontro doloroso. *
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Il vento era pressoché inesistente e i! solo rumore che infrangesse la quiete era lo scricchiolare del fasciame del Folletto del Mare mentre la nave scivolava silenziosa verso sud, sul mare assolutamente calmo, sotto una luna piena e pallida che splendeva su di esso nel solcare altrettanto lentamente il cielo del tutto sereno. Seduta sulla piattaforma rialzata della catapulta, Catti-brie era raggomitolata accanto a una candela accesa e di tanto in tanto annotava qualcosa su un pezzo di pergamena; poco lontano Drizzt era appoggiato alla ringhiera con la propria pergamena già arrotolata e riposta in una tasca del mantello. Saggiamente, Deudermont aveva suggerito che tutti coloro che erano entrati nella grotta della strega cieca procedessero a trascrivere la poesia che lei aveva recitato così come la ricordavano, cosa abbastanza facile perché su sei cinque di essi sapevano scrivere, una percentuale straordinaria per quei tempi e quei luoghi. Quanto a Waillan, che era illetterato, avrebbe dettato quello che ricordava prima a Robillard e poi ad Harkle, separatamente, con la speranza che i due maghi evitassero di aggiungere una loro interpretazione personale. Drizzt non aveva avuto bisogno di molto tempo per scrivere i versi, o almeno le parti di essi che ricordava con maggiore chiarezza e che considerava vitali. Pur comprendendo, infatti, che ogni singola parola poteva fornire un indizio essenziale, il drow era semplicemente troppo eccitato e sopraffatto da quanto era accaduto per poter prestare attenzione ai singoli
dettagli. La sola cosa a cui riusciva a pensare, l'unica che potesse sperare di ricordare, era che nel secondo verso della poesia la strega aveva accennato a suo padre e in seguito aveva poi lasciato intendere parecchie volte che lui potesse essere sopravvissuto. Più diligente dell'amico, Catti-brie aveva stilato una versione molto più completa della poesia, ma anche lei era rimasta troppo sopraffatta e sorpresa dagli eventi per poter essere certa dell'esattezza di quanto aveva scritto. «Mi sarebbe piaciuto condividere con lui una notte come questa», commentò d'un tratto Drizzt, infrangendo il silenzio in maniera così improvvisa che per poco la giovane donna non trapassò con la penna la fragile pergamena su cui stava scrivendo; interrompendosi, Catti-brie sollevò il capo a osservare Drizzt, che stava contemplando la luna e il mare con sguardo sfocato e assorto. «Soltanto una», ribadì il drow. «Zaknafein avrebbe adorato trascorrere una notte in superficie». Catti-brie sorrise, non dubitando minimamente della veridicità di quell'affermazione perché l'animo nobile di Drizzt era un'eredità che questi aveva ricevuto da suo padre e non dalla madre malvagia. Lui e Zaknafein erano molto simili nell'abilità con la spada e nella purezza di cuore, con la notevole differenza che Drizzt aveva infine trovato il coraggio di abbandonare Menzoberranzan, mentre Zaknafein era rimasto presso i malvagi elfi scuri che infine lo avevano sacrificato alla Regina Aracnide. "Donato a Lloth e da Lloth donato". Quel verso affiorò all'improvviso nella sua forma esatta nella mente di Catti-brie, che lo sussurrò una volta ad alta voce per sentirne il suono e convincersi della sua esattezza prima di spostare la propria attenzione sulla pergamena e rintracciarlo su di essa. Un momento più tardi constatò di aver scritto "per" invece di "a" e si affrettò ad apportare la necessaria correzione. Ogni minimo dettaglio poteva essere d'importanza vitale. «Ho il sospetto che il pericolo a cui mi trovo ora davanti sia superiore a qualsiasi cosa da noi fronteggiata in passato», proseguì intanto Drizzt, che stava parlando più a se stesso che a Catti-brie. Alla ragazza non sfuggì però l'uso da lui fatto del pronome singolare invece che plurale e stava per sottolineare come lei fosse coinvolta a sua volta in quella faccenda, quando venne distratta dall'affiorare nella sua memoria di un altro verso, stimolato dalle parole che Drizzt aveva appena pronunciato.
"Perché sul più cupo sentiero tu sia indirizzato". Nel riflettere su quel verso Catti-brie si rese conto che era quello immediatamente successivo all'altro da lei appena corretto e si affrettò a trascriverlo. Drizzt intanto aveva ripreso a parlare ma inizialmente lei non gli badò perché era troppo presa a scrivere; alcune parole attirarono però la sua attenzione e la indussero infine a smettere di scrivere per sollevare lo sguardo dalla pergamena e fissare il drow, che stava di nuovo parlando di lanciarsi in quell'impresa da solo. «I versi erano rivolti a tutti e due», gli ricordò Catti-brie. «Ma spetta a me percorrere il sentiero...» cominciò Drizzt. «Con me al tuo fianco», lo interruppe Catti-brie in tono deciso. «Non ricominciare con queste assurdità», lo rimproverò quindi. «Già una volta hai tentato di fare tutto da solo e per poco non hai causato la tua rovina e quella di tutti noi a causa della tua stupidità!» Drizzt si girò di scatto a fissarla: quanto amava quella donna! Sapeva di non avere obiezioni valide da sollevare e che lei avrebbe smantellato o semplicemente ignorato qualsiasi argomentazione che lui avesse potuto addurre. «Io verrò con te, fino in fondo», affermò intanto Catti-brie, con un tono deciso che non lasciava spazio a compromessi, «e credo che anche Deudermont, Harkle e magari qualcuno degli altri vorranno unirsi a noi. Prova soltanto a cercare di fermarci, Drizzt Do'Urden!» Drizzt accennò a replicare ma poi cambiò idea perché sapeva che sarebbe stato fiato sprecato e che non sarebbe mai riuscito a convincere i suoi amici a lasciargli imboccare da solo quella strada così pericolosa. Voltandosi, tornò a contemplare il mare scuro, la luna e le stelle, mentre i suoi pensieri tornavano a concentrarsi su Zaknafein e "sull'aureo anello" che la strega gli aveva offerto. «Ci metteremo almeno due settimane ad arrivare in porto», si lamentò. «Tre, se il vento non aumenta d'intensità», lo corresse Catti-brie, la cui attenzione era però tuttora concentrata sull'importantissima pergamena. Non molto lontano da loro, sul ponte principale e appena più in basso rispetto al ponte di poppa, Harkle Harpell si sfregò le mani con fare soddisfatto e deciso. Come Drizzt anche lui era dell'idea che quel viaggio avrebbe richiesto troppo tempo e non aveva nessuna voglia di sopportare altre due o tre settimane a dondolare su una vuota distesa d'acqua. «La nebbia del fato», sussurrò fra sé nel pensare al suo nuovo e potente incantesimo che lo aveva portato a bordo del Folletto del Mare, e si disse
che dopo tutto quella sembrava essere l'occasione ideale per attivarlo di nuovo. 11 Tempesta in vista Il sorriso di Revjak si accentuò fino a minacciare di arrivargli agli orecchi quando lui vide che le voci che aveva sentito erano vere e che in effetti Bruenor Battlehammer aveva fatto ritorno nella Valle del Vento Ghiacciato. Revjak aveva vissuto fianco a fianco con il nano per tutti i primi quarant'anni della sua vita ma nel corso di quel tempo aveva avuto pochi contatti con Bruenor se non come nemico. Poi però Wulfgar aveva unificato le tribù barbariche e le aveva scagliate in una guerra come alleate delle Dieci Città e dei nani del Clan Battlehammer contro il malvagio Akar Kessel e le schiere dei suoi seguaci. In quell'occasione, che risaliva a meno di dieci anni prima, Revjak aveva imparato ad apprezzare la forza fisica e morale di Bruenor e di tutti gli altri nani, e nelle poche settimane che erano seguite alla fine della guerra e avevano preceduto la partenza di Bruenor e di Wulfgar per andare alla ricerca di Mithril Hall, Revjak aveva trascorso molti giorni in compagnia del nano, stringendo con lui una salda amicizia. Dal momento che dopo la partenza di Bruenor il resto del Clan Battlehammer sarebbe rimasto nella Valle del Vento Ghiacciato fino a quando lui non fosse riuscito a ritrovare Mithril Hall, Revjak si era poi assunto la responsabilità di cementare i rapporti di amicizia fra i nani e i giganteschi barbari, svolgendo un lavoro così valido che alla fine molti dei suoi guerrieri, incluso lo stesso Berkthgar, avevano scelto di partire per il sud insieme al Clan Battlehammer per unirsi a esso nella lotta per la riconquista di Mithril Hall, rimanendo poi ne! lontano meridione per parecchi anni. Nel notare l'espressione cupa e tempestosa di Berkthgar quando era entrato a sua volta nella tenda per partecipare all'incontro con Bruenor e con Stumpet, il saggio Revjak rifletté che il grosso guerriero pareva aver dimenticato completamente il passato. «Siediti, Berkthgar», invitò comunque, indicando il posto accanto ai proprio. Con un cenno Berkthgar indicò però che preferiva restare in piedi e Revjak comprese che stava cercando di mostrarsi imponente e di torreggiare
al di sopra dei nani che invece si erano seduti; se pure quell'atteggiamento ebbe l'effetto di turbarlo, Bruenor però non lo diede a vedere e si limitò ad assumere sulla spessa coltre di pelli sovrapposte una comoda posizione semisdraiata, in modo da non essere costretto a storcere il collo per guardare verso Berkthgar. «Il tuo aspetto continua a essere quello di una persona che non ha ben digerito il suo ultimo pasto», commentò, quindi, rivolto al guerriero. «Perché un re si è allontanato così tanto dal suo regno?» ribatté Berkthgar. «Non sono più re», lo corresse Bruenor. «Ho restituito la carica al mio bis-bisnonno». «Gandalug?» domandò Revjak, scrutando il nano con espressione incuriosita in quanto aveva sentito raccontare da Berkthgar la storia incredibile secondo cui l'antenato di Bruenor, Patrono del Clan Battlehammer e fondatore di Mithril Hall, era stato richiamato dai morti ed era stato trovato prigioniero degli elfi drow. «Proprio lui», confermò Stumpet. «Se vuoi però mi puoi chiamare principe», aggiunse Bruenor, sempre rivolto a Berkthgar che distolse lo sguardo sbuffando. «E così sei tornato nella Valle del Vento Ghiacciato», si affrettò a intervenire Revjak prima che la discussione potesse assumere una brutta piega, in quanto gli pareva che Bruenor non fosse del tutto consapevole della portata dell'avversione che Berkthgar aveva sviluppato nei confronti dei nani, o che semplicemente la cosa non gli importasse. «Sei qui in visita?» aggiunse poi. «Sono qui per rimanere», precisò Bruenor. «In questo momento, mentre stiamo seduti qui a parlare, le miniere stanno venendo riaperte. Le stiamo ripulendo dagli animali che vi si sono insediati e stiamo rinforzando i sostegni; di questo passo cominceremo a estrarre il minerale entro una settimana e subito dopo inizieremo a lavorare il metallo per trasformarlo in merci». «Allora questa è una visita d'affari», rifletté Revjak. «E d'amicizia», fu pronto ad aggiungere Bruenor. «È meglio che le due cose procedano di pari passo». «Sono d'accordo», convenne Revjak; nel sollevare lo sguardo si accorse che Berkthgar si stava tormentando con fare furente il labbro inferiore ma scelse d'ignorarlo mentre aggiungeva: «Confido che il tuo clan ci chiederà prezzi onesti per le cose di cui avremo bisogno».
«Noi abbiamo il metallo, ma voi avete le pelli e la carne», replicò Bruenor. «Voi non avete nulla che ci possa servire», intervenne d'un tratto Berkthgar in tono veemente. Invece di rispondere, Bruenor si limitò a squadrarlo dal basso verso l'alto con un sorriso beffardo sulle labbra; incapace di sostenere quello sguardo per più di un istante, Berkthgar si girò di scatto verso Revjak. «Non ci serve nulla dai nani», insistette. «La tundra provvede a ogni nostra necessità». «Bah!» sbuffò Bruenor. «Le vostre lance dalla punta di pietra rimbalzano contro una buona cotta di maglia». «Le renne non indossano cotta di maglia», fu la secca risposta di Berkthgar. «E se arriveremo a muovere guerra alle Dieci Città e ai loro alleati la nostra forza permetterà alla punta di pietra delle lance di trapassare qualsiasi protezione che i nani siano in grado di forgiare». Di fronte a quella minaccia non troppo velata Bruenor si sollevò di scatto a sedere con una mossa così repentina che sia Revjak che Stumpet si tesero per il timore che il suo temperamento collerico lo inducesse a scagliarsi contro Berkthgar. Bruenor però era troppo saggio per un comportamento così impulsivo e scelse invece di ignorare Berkthgar per rivolgersi a Revjak. «Chi parla a nome della tribù?» chiese. «Io», rispose con fermezza Revjak, tenendo lo sguardo fisso su Berkthgar. «Dov'è Aegis-fang?» domandò d'un tratto il grosso guerriero, senza mostrarsi minimamente intimorito. Eccoci al dunque, pensò fra sé Bruenor, consapevole che quella era stata fin dall'inizio la causa effettiva dell'atteggiamento e dell'animosità di Berkthgar: Aegis-fang, il possente martello da guerra che Bruenor stesso aveva forgiato per farne dono a Wulfgar, il ragazzo barbaro che era diventato per lui come un figlio. «L'hai lasciato a Mithril Hall?» insistette Berkthgar, e Bruenor ebbe l'impressione che lui sperasse in una risposta affermativa. «È ancora appeso al muro come un inutile ornamento?» Stumpet, che stava seguendo con attenzione la conversazione, si rese immediatamente conto di cosa stava succedendo, in quanto quello era un argomento di cui lei e Bruenor avevano discusso a fondo prima di decidere di far ritorno alla Valle del Vento Ghiacciato. Senza dubbio Berkthgar
avrebbe preferito che Aegis-fang fosse rimasto a Mithril Hall, a centinaia e centinaia di miglia dalla valle, perché da così lontano quell'arma ormai leggendaria non avrebbe potuto gettare la propria ombra su di lui e sulla sua grande spada Bankenfuere, la Furia del Nord. Naturalmente, Bruenor non aveva però voluto saperne di lasciarsi alle spalle Aegis-fang, che costituiva il suo più grande capolavoro, il culmine della sua rispettabile carriera di armaiolo, ma che era soprattutto l'unica cosa che ancora lo legasse al figlio perduto. Di conseguenza, nel partire aveva preso Aegis-fang con sé, decidendo di ignorare quelli che avrebbero potuto essere i sentimenti di Berkthgar al riguardo o la sua eventuale reazione. Di fronte alla domanda del barbaro adesso Bruenor esitò per un momento come se stesse cercando di trovare la risposta tatticamente migliore, ma Stumpet si mostrò molto meno paziente di lui. «Naturalmente il martello è nelle miniere», rispose in tono deciso, «portato là da colui che lo ha fabbricato». Le sue parole ebbero l'effetto di far incupire ancora di più Berkthgar, ma Stumpet non si lasciò intimorire e continuò il proprio attacco. «Hai appena affermato che la valle vi può fornire tutto quello di cui avete bisogno», sottolineò, «quindi cosa v'importa di un martello fabbricato da noi nani?» Il gigantesco barbaro non seppe cosa replicare e dal di fuori Bruenor e Revjak ebbero l'impressione che Stumpet stesse avendo la meglio su di lui. «E poi c'è quella spada che porti affibbiata sulla schiena, e che di certo non è stata fabbricata nella valle», proseguì infatti la sacerdotessa. «Senza dubbio te la sei procurata con un baratto ed è probabile che anch'essa sia stata fabbricata dai nani». Berkthgar reagì allora con una risata di scherno che però parve permeata più di minaccia che di ilarità: quel giorno nella tenda di Revjak c'era infatti ben poca allegria. «Chi sono questi nani per dichiararsi nostri amici?» esclamò allora Berkthgar. «Vengono qui con parole di amicizia e tuttavia non vogliono consegnare alla tribù un'arma che è stata resa leggendaria da uno di noi». «Questo tuo discorso comincia a diventare stantio», ammonì Bruenor. «E tu stai diventando vecchio, nano», ritorse Berkthgar. «Non saresti dovuto tornare». Poi uscì a grandi passi dalla tenda senza aggiungere altro. «Quello è un soggetto che dovresti tenere d'occhio», commentò Bruenor rivolto a Revjak.
«Berkthgar è rimasto intrappolato in una ragnatela intessuta dalle sue stesse parole», annuì il capo dei barbari. «Lo stesso è accaduto a molti altri, soprattutto giovani guerrieri». «Sempre pieni di fuoco combattivo», aggiunse Bruenor. Revjak si limitò a sorridere perché non aveva nulla da obiettare. In effetti Berkthgar andava tenuto d'occhio ma la verità era che Revjak poteva fare ben poco perché se Berkthgar avesse deciso di dividere la tribù, quanti avrebbero acconsentito a seguirlo sarebbero stati troppo numerosi perché lui potesse fermarlo. La cosa peggiore era però che se avesse richiesto il Diritto alla Sfida per ottenere il comando dell'intera tribù, Berkthgar avrebbe potuto raccogliere un supporto tale da rendere difficile opporgli un rifiuto. E Revjak era troppo vecchio per combattere contro di lui. Quando Wulfgar aveva unificato le tribù, Revjak aveva creduto che gli usi dei barbari della Valle del Vento Ghiacciato fossero cambiati ed era stato per questo che aveva accettato la posizione di capo dopo che Wulfgar era partito, anche se in passato quello era stato un titolo che poteva essere conquistato soltanto per eredità o in combattimento, tramite il proprio coraggio o una sfida all'ultimo sangue. Adesso però nel fissare l'ingresso della tenda oltre il quale era scomparso il grosso guerriero, Revjak si stava rendendo conto che le antiche usanze faticavano a morire. Molti membri della tribù, soprattutto quelli che erano tornati da Mithril Hall ma anche un numero crescente di quanti erano rimasti nella valle, si stavano mostrando sempre più nostalgici del modo di vivere di un tempo, più libero e selvaggio, come dimostrava il fatto che a Revjak capitava sempre più spesso di sentire conversazioni in cui uomini più anziani raccontavano storie delle grandi guerre e dell'attacco che le tribù unificate avevano mosso contro le Dieci Città, lo stesso nel corso del quale Wulfgar era stato catturato da Bruenor. Revjak sapeva che quella nostalgia non aveva senso e creava solo pericolosi autoinganni. Nel corso dell'attacco contro le Dieci Città i guerrieri erano stati massacrati in maniera così completa che le tribù erano a stento sopravvissute all'inverno successivo, e tuttavia le storie di guerra erano sempre pervase di gloria e di entusiasmo, in esse non si sentiva mai parlare delle tragedie che avevano accompagnato gli eventi. Con l'eccitazione creata dal ritorno di Berkthgar e, subito dopo, da quello di Bruenor e dei nani, adesso molti dimenticavano la cruda realtà e preferivano ricordare con piacere i giorni che avevano preceduto l'alleanza.
Revjak avrebbe senza dubbio tenuto d'occhio Berkthgar, ma cominciava a temere che quella fosse la sola cosa che potesse fare. *
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Fuori della tenda un altro ascoltatore non visto, il giovane Kierstaad, annuì fra sé in segno di assenso con l'avvertimento impartito da Bruenor, che aveva avuto l'effetto di intensificare il suo già violento contrasto interiore derivante dal fatto che se da un Iato era pieno di ammirazione per Berkthgar, dall'altro ne provava altrettanta anche per Bruenor; in quel momento però i pensieri del giovane erano assai lontani da quello scontro fra titani che si profilava all'orizzonte perché per ora lui riusciva a pensare a una cosa soltanto. Bruenor aveva appena confermato che Aegis-fang era nella valle! *
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«Potrebbe essere la stessa tempesta che ci ha colpiti vicino agli Scogli dei Gabbiani», osservò Robillard, adocchiando la nera muraglia di nuvole che incombeva lungo l'orizzonte meridionale, davanti al Folletto del Mare. «Ma più violenta, perché trae energia dall'acqua», replicò Deudermont. In quel momento, sei giorni dopo la partenza da Caerwitch e ad altri otto giorni di navigazione dalle Isole Moonshae, la nave si trovava ancora sotto un cielo soleggiato ma i primi accenni di un teso vento di burrasca stavano già sfiorando il volto del capitano, preannunciando la furia degli elementi che fra poco si sarebbe scatenata su di loro. «Vira tutta a tribordo!» gridò Deudermont al marinaio che stava tenendo il timone. «Ci sposteremo verso nord per aggirare la burrasca. E con essa», aggiunse in tono più sommesso, riservato all'orecchio del solo Robillard, «aggireremo anche le Moonshae e seguiremo una rotta più diritta verso il nostro porto». Il mago annuì in silenzio. Sapeva che Deudermont non aveva nessun desiderio di deviare verso nord, dove i venti erano meno affidabili e le acque più agitate e molto più fredde, ma sapeva anche che a questo punto rimanevano loro ben poche alternative perché se avessero invece cercato di virare verso sud per schivare la tempesta si sarebbero venuti a trovare nelle vicinanze delle Nelanther, le Isole dei Pirati, un posto assai poco adatto al Folletto del Mare che costituiva una vera e propria spina nel fianco per gli
abitanti di quelle isole. Quindi sarebbero andati a nord, aggirando sia la tempesta sia le Isole Moonshae, o almeno questo era ciò che Deudermont sperava di fare. Nel guardare verso il muro di oscurità solcato da lampi frequenti che si parava davanti a loro, Robillard dubitò dentro di sé che potessero viaggiare abbastanza veloci da evitarlo. «Va' a tendere le vele con il tuo vento magico», gli suggerì intanto Deudermont, e il suo tono sommesso rivelò al mago che il capitano condivideva i suoi stessi timori. Accostatosi alla ringhiera del ponte di poppa, Robillard si mise a sedere infilando le gambe sotto la ringhiera stessa in modo da essere girato in direzione dell'albero di maestra, poi protese la mano sinistra verso l'albero ed evocò i poteri dell'anello per creare folate costanti di vento. Quello era un incantesimo di piccola portata che non costituiva certo una sfida faticosa per il potere del suo anello, quindi Robillard continuò a ripeterlo senza posa in modo da mantenere tese le vele e da garantire che il Folletto del Mare corresse veloce sulle onde. Per quanto rapida, la nave però non lo fu abbastanza e ben presto il muro di oscurità le si chiuse intorno, accompagnato da onde violente che presero a sballottarla e a trasformare la sua navigazione in una serie di sobbalzi più che in un fluire omogeneo. Adesso Deudermont si trovava davanti a una scelta tutt'altro che piacevole perché poteva abbassare tutta la velatura possibile nel tentativo di resistere alla tempesta fino al suo esaurimento oppure poteva continuare la corsa lungo i contorni della tempesta stessa nel disperato tentativo di aggirarla verso nord. «Che la fortuna ci assista», mormorò il capitano nel giungere a una decisione, proseguendo la corsa con tutte le vele spiegate fino a quando la tempesta infine li raggiunse e li fagocitò. Il Folletto del Mare era una delle navi migliori che fossero mai state costruite, il suo equipaggio costituito da marinai esperti selezionati fra i più abili adesso includeva anche due potenti maghi, Drizzt, Catti-brie e Guenhwyvar, e il suo capitano era il più esperto e rispettato di tutta la Costa delle Spade, ma per quanto potesse apparire potente e invincibile secondo il metro di valutazione umano il Folletto del Mare sembrava ora una cosa fragile e minuscola posto a confronto con la semplice furia della natura. Per quanto la nave si sforzasse di fuggire facendo appello a tutta la sua velocità, la tempesta continuò infatti a braccarla come un esperto cacciatore, fino ad avvilupparla nelle sue spire.
Parecchie gomene si spezzarono e l'albero di maestra si piegò in avanti sotto la furia degli elementi; subito Robillard cercò disperatamente di contrastare la pressione dei venti con i propri incantesimi, affiancato in questo da Harkle Harpell, ma neppure la loro magia congiunta fu sufficiente a salvare l'albero: ben presto una profonda crepa apparve lungo il suo asse verticale, ed esso non si spezzò soltanto a causa dello schiantarsi de! boma orizzontale che serviva a reggere la velatura. Nel crollare il boma trascinò con sé la vela e fece precipitare un uomo che si trovava fra il sartiame, mandandolo a cadere nel mare ribollente. Drizzt fu il primo a reagire e chiamò subito a sé Guenhwyvar, ordinandole di lanciarsi oltre la murata alla ricerca del marinaio caduto: dato che quella era una cosa che avevano già fatto altre volte, la pantera non ebbe esitazioni e con un possente ruggito spiccò il balzo, scomparendo immediatamente sotto le acque scure. Pioggia e grandine stavano intanto martellando quanti si trovavano a bordo, insieme ai muri d'acqua che si riversavano al di sopra della prua accompagnati dal fragore del tuono e da scariche di fulmini che in più di un'occasione si andarono ad abbattere sull'alberatura. «Avrei dovuto smettere prima di correre a vele spiegate!» gridò Deudermont, e per quanto stesse urlando con tutto il fiato che aveva la sua voce riuscì a stento a raggiungere Drizzt, che pure si trovava accanto a lui, a causa del ruggito del vento misto ai boati dei tuoni. Il drow però scosse il capo in un gesto di diniego. «Grazie a quella corsa adesso ci troviamo al limitare esterno della tempesta», ribatté, osservando come la nave venisse sballottata e tormentata dagli elementi, il cui infuriare aveva ormai indotto buona parte dell'equipaggio a scendere nel frapponte. «Se ti fossi fermato prima ci saremmo venuti a trovare nel suo centro e per noi sarebbe stata di certo la fine». Pur sentendo soltanto alcune delle sue parole, Deudermont comprese il senso del messaggio che l'amico stava cercando di trasmettergli e si protese per posargli una mano sulla spalla in un gesto di gratitudine, ma in quel momento un'onda enorme che minacciò di appiattire il Folletto del Mare su un fianco lo investì in pieno, facendolo volare via e mandandolo a sbattere contro la murata con tanta violenza che per poco non fu catapultato fuori bordo. Grazie alle cavigliere magiche e alla sua naturale agilità che gli permettevano di muoversi senza problemi sul ponte sussultante, Drizzt lo raggiunse in un istante e lo aiutò a rimettersi in piedi e a guadagnare il portel-
lo del frapponte. Deudermont fu il primo a scendere sottocoperta mentre Drizzt indugiò per un momento ancora a esaminare il ponte per accertarsi che tutti gli altri avessero già trovato rifugio di sotto. In vista rimaneva soltanto Robillard che era ancora seduto con le gambe infilate sotto la ringhiera e stava imprecando contro la tempesta nello scagliare folate su folate di vento magico che contrastassero il suo imperversare. Accorgendosi che Drizzt lo stava osservando, il mago gli segnalò di scendere di sotto e indicò il proprio anello in modo da ricordargli che disponeva di tutto il potere magico necessario a provvedere alla propria salvezza. Non appena sceso nell'angusto spazio del frapponte affollato, Drizzt tirò fuori la statuetta della pantera, consapevole di poter soltanto sperare che nel frattempo Guenhwyvar fosse riuscita a ritrovare il marinaio disperso perché comunque se avesse aspettato ancora a rimandare la pantera sul suo piano esistenziale l'uomo sarebbe annegato comunque. «Va' a casa, Guenhwyvar», mormorò rivolto alla statuetta. Era stata sua intenzione aspettare qualche minuto e poi richiamare nuovamente la pantera per appurare che fosse riuscita a salvare il marinaio, ma in quel momento una nuova ondata si abbatté sulla nave con un impatto che gli fece volare via la figurina dalla mano, mandandola a cadere lontano nel buio, e per quanto si sforzasse di rintracciarla ben presto dovette arrendersi di fronte all'evidenza del fatto che il frapponte era troppo buio e troppo affollato per poterci riuscire. Raggomitolato nell'oscurità del frapponte, il terrorizzato equipaggio non aveva modo di sapere se quella era in effetti la stessa tempesta che aveva già investito la nave nel corso del viaggio di andata; se lo era, senza dubbio la sua potenza si era intensificata dato che adesso stava sballottando il Folletto del Mare come se si fosse trattato di un giocattolo. L'acqua continuava a filtrare dall'alto attraverso ogni minima fessura presente nel plancito del ponte e soltanto un frenetico lavoro di svuotamento continuo, portato avanti con ordine e sistematicità nonostante il buio e il terrore, permise alla nave di rimanere a galla, una situazione da incubo che si protrasse per due orribili e interminabili ore nel corso delle quali Drizzt si convinse sempre più di aver valutato correttamente la scelta fatta da Deudermont di tentare la fuga di fronte alla bufera: il Folletto del Mare si trovava infatti lungo i suoi confini e non al suo centro, perché nessuna nave dei Reami avrebbe potuto sopravvivere alla piena furia di quella tempesta. Poi una quiete assoluta succedette quasi di colpo alla precedente furia
degli elementi, accompagnata da un silenzio infranto soltanto da qualche occasionale rombo di tuono che si andava però facendo sempre più lontano. Per quanto fortemente inclinato a babordo, il Folletto del Mare era ancora a galla. Drizzt fu il primo a uscire sul ponte, seguito a ruota da Deudermont, ed entrambi rimasero sgomenti di fronte ai danni ingenti riportati dalla nave in generale e dall'albero di maestra in particolare. «Possiamo ripararla?» chiese Drizzt. «Non senza attraccare in un porto», rispose Deudermont evitando di precisare che il porto più vicino era a cinquecento miglia di distanza perché era una realtà di fatto della quale entrambi erano più che consapevoli. Poco dopo Catti-brie venne a raggiungerli portando con sé la figurina della pantera e Drizzt non perse tempo a chiamare Guenhwyvar, che di lì a poco si materializzò sul ponte insieme a un marinaio dall'aspetto alquanto malconcio. «Questa è una storia che potrai raccontare ai tuoi nipoti», commentò Deudermont in tono allegro, assestando una pacca sulla spalla del malcapitato e cercando di mantenere alto il morale di quanti lo circondavano; il marinaio che per poco non era annegato si limitò ad annuire e lasciò che due compagni lo aiutassero a scendere sotto coperta. «Un'amica davvero eccezionale», commentò Deudermont rivolto a Drizzt, indicando Guenhwyvar. «Senza di lei per quell'uomo sarebbe stata di certo la fine». Annuendo, Drizzt lasciò scorrere la mano in una carezza lungo il fianco muscoloso della pantera, ringraziandola per quella sua amicizia che lui badava bene a non dare mai per scontata. In disparte, Catti-brie osservò il gesto del drow comprendendone a fondo tutti i significati reconditi: salvare quel marinaio era stato importante per Drizzt per motivi che andavano al di là della sua natura istintivamente altruistica. Se quell'uomo fosse annegato, infatti, la sua morte sarebbe stata un altro fardello di colpa che sarebbe andato a gravare sulle spalle di Drizzt Do'Urden perché si sarebbe trattato di un altro innocente sacrificato a causa del suo oscuro passato. Questo però non era successo e pareva che il Folletto del Mare fosse riuscito a sopravvivere alla bufera insieme a tutto il suo equipaggio, un'impressione che però si dissipò un momento più tardi quando Harkle si diresse di corsa verso di loro per porre una domanda semplice quanto fondamentale.
«Dov'è Robillard?» chiese l'Harpell. D'istinto tutti si girarono a guardare in direzione della ringhiera di poppa e videro che essa si era spezzata a metà esattamente nel punto in cui Drizzt aveva visto il mago per l'ultima volta. Di fronte a quello spettacolo Drizzt si sentì mancare il cuore, mentre Catti-brie si diresse di corsa verso la murata per scrutare la circostante distesa del mare, completamente vuota. «Il mago ha i suoi metodi per sottrarsi alle tempeste», garantì però il capitano, che non appariva altrettanto sconvolto. «È una cosa che è già successa in passato». Superata la prima ondata di sgomento Drizzt e Catti-brie si resero conto che Deudermont aveva ragione in quanto in passato era capitato in parecchie occasioni che Robillard avesse lasciato il Folletto del Mare grazie alla magia per presenziare a una riunione della sua gilda a Waterdeep anche se in quel momento la nave si trovava in acque distanti centinaia di miglia da quella città. «Finché ha quell'anello lui non può annegare», insistette Deudermont. Entrambi i suoi amici parvero placati da quella spiegazione. L'anello di Robillard apparteneva al Piano Elementare dell'Acqua ed era un potente oggetto magico che permetteva al mago di godere sul mare di parecchi vantaggi indipendentemente dalla forza della tempesta con cui si stava misurando. Naturalmente era possibile che fosse stato colpito da un fulmine o che fosse rimasto stordito a causa di una caduta ma era più probabile che un'onda lo avesse spazzato via, lontano dal Folletto del Mare, e che lui si fosse trovato costretto a ricorrere alla magia del suo anello per emergere dalla tempesta molto prima di quanto avesse fatto la nave. Pur essendo consapevole della logica di quel ragionamento, Catti-brie continuò a scrutare il mare, imitata da Drizzt; quanto a Deudermont, in quel momento aveva cose più pressanti a cui pensare, prima fra tutte trovare il modo di far arrivare il Folletto del Mare in un porto sicuro perché il fatto che la nave avesse superato la tempesta poteva risultare una vittoria soltanto momentanea, alla luce dello stato in cui essa adesso si trovava. Osservando i movimenti del capitano e rilevando a sua volta i danni ingenti riportati dallo schooner, Harkle si rese conto anche lui della gravità della situazione e senza dare nell'occhio si affrettò a raggiungere la cabina del capitano, badando a celare a tutti la propria impazienza fino a quando non si fu chiuso la porta a chiave alle spalle. Una volta certo di non essere notato si sfregò quindi le mani in un gesto soddisfatto e deciso, sfoggiando
un ampio sorriso nel tirare fuori un libro rilegato in cuoio. Dopo essersi guardato intorno per accertarsi che nessuno potesse vederlo, Harkle procedette ad aprire quel tomo magico che costituiva uno dei componenti del suo incantesimo più nuovo e forse più potente, constatando che la maggior parte delle pagine era ancora del tutto bianca. Il fatto interessante era che tutte le pagine erano state bianche prima che lui eseguisse l'incantesimo della nebbia del fato, mentre adesso i primi fogli contenevano un diario del viaggio magico compiuto da Harkle per raggiungere il Folletto del Mare e, cosa che il mago constatò con compiacimento, il resoconto di tutti gli eventi che lui aveva vissuto in seguito a bordo della nave. Fino a quel momento Harkle non aveva mai osato esaminare in maniera così dettagliata quel diario, quindi rimase assolutamente stupefatto nel constatare che esso conteneva perfino la poesia recitata dalla veggente cieca, registrata parola per parola. Nel contemplare quel diario Harkle comprese che la nebbia del fato stava continuando a operare, dato che né lui né nessun altro essere vivente avevano scritto una sola delle parole contenute in quelle pagine: era il protrarsi degli effetti dell'incantesimo che stava provvedendo alla registrazione di tutto quello che accadeva a bordo. Questo era un risultato che superava tutte le speranze che lui aveva nutrito nel concepire la nebbia del fato e, pur non sapendo per quanto tempo i suoi effetti si sarebbero protratti, il mago comprese comunque di essersi imbattuto in qualcosa di estremamente speciale, qualcosa che aveva adesso bisogno di una piccola spinta dato che il Folletto del Mare era praticamente bloccato in alto mare e che quindi poteva dirsi lo stesso della ricerca imposta a Drizzt, a Catti-brie e, per associazione, allo stesso Harkle. Non essendo per natura un tipo paziente, e quindi essendolo ancor meno in una situazione di quel genere, Harkle agitò una mano sulla prima delle numerose pagine vuote e cantilenò al tempo stesso alcune parole, poi infilò la mano in una sacca e tirò fuori un po' di polvere di diamante che sparse con parsimonia sulla pagina stessa. Non accadde nulla. Cocciutamente, Harkle ripeté più volte quella procedura per almeno un'ora, ma quando infine emerse dalla cabina del capitano constatò che il Folletto del Mare era ancora inclinato su un fianco e continuava ad andare alla deriva. Sfregandosi le guance ispide di barba, Harkle decise che a quanto pareva l'incantesimo richiedeva ancora un po' di lavoro da parte sua.
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In piedi sulla superficie dell'acqua Robillard stava tamburellando con impazienza sulle onde con un piede. «Dov'è finito quel bruto?» chiese, riferendosi alla mostruosa creatura elementare dell'acqua da lui evocata in proprio aiuto e che aveva mandato già da parecchi minuti in cerca del Folletto del Mare. Quando infine la coltre azzurra dell'acqua davanti al mago si sollevò, assumendo una forma più o meno umanoide, Robillard emise alcuni suoni gorgoglianti nel rivolgersi all'essere elementare nella sua lingua acquatica per chiedergli se avesse trovato la nave. Avendo ottenuto una risposta affermativa, Robillard ordinò alla creatura di portarlo fino a essa. Subito l'essere elementare protese un braccio enorme che pareva fatto d'acqua ma che in realtà aveva una consistenza molto più compatta di quella di un comune liquido, e una volta che il mago si fu comodamente sistemato su di esso si mise in viaggio insieme a lui procedendo con la velocità stessa delle onde. 12 La nebbia del fato Nonostante gli sforzi dell'intero equipaggio che lavorò per tutto il pomeriggio, le riparazioni dei danni subiti dal Folletto del Mare parvero fare ben pochi progressi, perché anche se alla fine di tante fatiche i marinai riuscirono infine a issare di nuovo la vela di mezzana, controllarla in modo da intercettare il vento risultò peraltro impossibile, come pure servirsi del timone per indirizzare la nave nella direzione voluta. A peggiorare quella situazione già di per sé abbastanza disperata giunse un allarme da parte di Catti-brie, che era di vedetta sulla coffa. Immediatamente Drizzt e Deudermont si precipitarono a verificare quale ne fosse stata la causa, entrambi timorosi che la ragazza potesse aver avvistato una nave pirata perché in quel caso, considerati i danni riportati e il fatto di essere privo di Robillard, l'orgoglioso Folletto del Mare sarebbe stato costretto ad arrendersi senza neppure tentare di combattere. Ciò che stava bloccando loro il passo non era però una nave pirata, bensì una densa cortina di nebbia che incombeva direttamente da prua. Perples-
so, Deudermont sollevò lo sguardo verso Catti-brie, che però non aveva spiegazioni da fornirgli e si limitò quindi a scrollare le spalle con aria altrettanto perplessa. Quella nebbia non poteva infatti essere un fenomeno naturale perché il cielo era del tutto limpido tranne per quel singolo banco di foschia e la temperatura era sempre rimasta piuttosto costante. «Cosa può aver provocato una nebbia del genere?» chiese Drizzt a Deudermont. «Nulla che io possa immaginare», ribatté il capitano. «Calate in mare dei remi e cercate di alzare un po' di velatura», ordinò quindi ai marinai. «Vediamo se ci riesce di aggirare quel banco». Quando però riportò la propria attenzione davanti a sé Deudermont vide che Drizzt stava scuotendo il capo con aria perplessa e che il banco di nebbia stava incombendo già molto più vicino, segno che non era stazionario. «Si sta avvicinando a noi», sussurrò il capitano in tono incredulo. «E in fretta», aggiunse Drizzt. In quel momento il suo acuto udito da drow colse però una risatina soddisfatta di Harkle Harpell: animato dall'improvvisa certezza che quella nebbia fosse opera del mago, Drizzt si girò in tempo per vederlo scomparire nel portello che dava accesso al frapponte e accennò a seguirlo, ma aveva appena raggiunto a sua volta il portello quando venne bloccato da un sussulto di Deudermont accompagnato dalle esclamazioni piene di nervosismo degli uomini dell'equipaggio. «Cosa diavolo è quella roba?» domandò intanto Catti-brie, in tono quasi disperato, nel discendere lungo il sartiame per venire a unirsi a loro sul ponte. Un istante più tardi la nave si addentrò nella massa di grigiore e subito il rumore prodotto dallo sciabordio dell'acqua scomparve insieme a qualsiasi sensazione di movimento. Spaventati, gli uomini dell'equipaggio si strinsero gli uni agli altri e molti di essi estrassero le armi, quasi si aspettassero di vedere qualche nemico salire a bordo da un momento all'altro. Alla fine fu Guenhwyvar a fornire a Drizzt un indizio per capire cosa stava succedendo, accostandosi al drow con gli orecchi appiattiti contro il cranio ma con un'espressione che non indicava tanto paura quanto curiosità. «È un fenomeno dimensionale», affermò allora il drow, e quando Deudermont gli scoccò un'occhiata interrogativa proseguì: «Questa nebbia è opera di Harkle, che sta usando la sua magia per portarci verso la terraferma».
A quell'idea Deudermont e Catti-brie s'illuminarono entrambi in volto, almeno fino a quando non si concessero un momento per vagliare la fonte di quell'apparente salvataggio; nel riportare lo sguardo sulla densa nebbia che li avvolgeva, Catti-brie fu assalita dall'improvvisa impressione che dopo tutto andare alla deriva in alto mare su una nave danneggiata fosse ancora l'alternativa migliore. *
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«Cosa intendi dire?» ruggì Robillard, battendo con violenza le mani, poi tradusse la domanda nel linguaggio gorgogliante proprio dell'essere elementare dell'acqua. La risposta giunse senza esitazione perché la creatura aveva modo di appurare la verità su quanto accadeva nel suo elemento; fino a quel momento l'essere si era mostrato più che disposto a collaborare e alla luce di questo Robillard, che conosceva bene la natura di quelle creature, giunse alla conclusione che essa non gli stesse mentendo. Il Folletto del Mare era scomparso, svanito nel mare. Nel porre la domanda successiva Robillard trasse un respiro di sollievo nell'apprendere che la nave non era affondata ma era semplicemente sparita dalla superficie del mare. «Harkle Harpell», ragionò fra sé il mago ad alta voce. «Deve averli fatti arrivare in un porto. Ben fatto!» Robillard procedette quindi a considerare la propria situazione, solo e così lontano dalla terraferma, e dopo aver ordinato all'essere elementare dell'acqua di continuare a spostarsi verso est lo informò che avrebbe avuto bisogno di lui fino all'alba successiva; fatto questo tirò fuori il proprio libro degli incantesimi, un volume in cuoio reso impermeabile dalla magia, e spostò il suo segnalibro dorato alla pagina che conteneva l'incantesimo per teletrasportarsi da un luogo a un altro. A quel punto il mago si sedette e si rilassò, consapevole di aver bisogno di dormire per recuperare le forze. Per il momento l'essere elementare avrebbe provveduto alla sua sicurezza e il mattino successivo lui avrebbe utilizzato l'incantesimo per trasferirsi nel proprio alloggio privato all'interno del palazzo della gilda dei maghi di Waterdeep. Dopo quelle difficili e noiose settimane riteneva infatti di avere finalmente diritto a un po' di riposo. Deudermont avrebbe dovuto rassegnarsi ad aspettare di arrivare in porto
per riavere con sé il suo mago di bordo. *
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Per parecchi minuti il Folletto del Mare continuò a fluttuare in un'immobilità surreale, senza che intorno si sentisse il minimo rumore prodotto dal vento o dall'acqua; intorno alla nave la nebbia era talmente densa che Drizzt dovette sporgersi di parecchio oltre la murata per riuscire a scorgere l'acqua che però non osò tentare di toccare perché non aveva idea di quali potessero essere gli effetti dell'incantesimo di Harkle, sempre che quanto stava accadendo fosse davvero opera sua. Finalmente sentirono uno sciacquio prodotto dall'infrangersi di un'onda contro la prua della nave e la nebbia cominciò quasi immediatamente a diradarsi mentre quanti si trovavano a bordo venivano assaliti dall'impressione che qualcosa fosse cambiato anche se ancora non potevano vedere nulla di quello che li circondava. «Si tratta degli odori», commentò d'un tratto Catti-brie e quanti le erano vicini si affrettarono ad annuire in segno di assenso. Infatti il sentore di salsedine, tanto denso da lasciare in bocca il proprio sapore, era scomparso ed era stato sostituito da un intenso profumo estivo di alberi e di fiori misto a un vago odore di palude; anche i suoni erano cambiati perché il vuoto e interminabile sibilare del vento e il soffocato sciabordare delle acque profonde avevano ceduto il posto al delicato sciacquio di piccole onde e al ciangottare di... «Uccelli canori?» esclamò Drizzt perplesso. In quel momento la nebbia si dissolse definitivamente e l'intero equipaggio trasse un sospiro di sollievo nel constatare che la nave era vicina alla terraferma. Sulla sinistra era visibile una piccola isola boscosa nel cui centro sorgeva un castello circondato da svariate abitazioni di ampie dimensioni, e dall'isola partiva un lungo ponte che si stendeva davanti al Folletto del Mare e andava a congiungersi con la terraferma vicino ai moli di una città di ragguardevoli dimensioni, cinta da mura. Al di là della città il terreno saliva gradualmente verso alte montagne, un punto di riferimento che nessun marinaio avrebbe potuto trascurare ma che risultò sconosciuto a Deudermont. Nelle acque circostanti la nave si scorgevano parecchie imbarcazioni che però erano tutte grandi più o meno quanto le barche a remi che il Folletto del Mare trasportava a bordo, e quanti si trovavano su di esse stavano fissando con aria interdetta il magnifico schooner.
«Questa non è Waterdeep e neppure una qualsiasi altra città a me nota», dichiarò Deudermont. «E non siamo neppure in mare aperto», aggiunse Drizzt, che era intento a esaminare l'area circostante e la linea costiera che descriveva un'ampia curva alle loro spalle. «È un lago», opinò Catti-brie. Tutti e tre si fissarono a vicenda per un momento, poi all'unisono gridarono il nome di Harkle. Essendosi aspettato quella chiamata, l'Harpell si affrettò a emergere dal portello e a venire a raggiungerli con espressione più che mai allegra e soddisfatta. «Dove siamo?» gli chiese subito Deudermont. «Dove il fato voleva che andassimo», rispose con fare misterioso il mago, agitando le braccia in modo tale da far svolazzare selvaggiamente le ampie maniche della veste. «Forse sarebbe il caso che ti spiegassi meglio», commentò in tono asciutto Catti-brie. «Non lo posso sapere con certezza, naturalmente», ammise Harkle, scuotendo il capo e abbassando le braccia. «L'incantesimo facilita lo spostamento, non è un'operazione casuale, ma non ho idea di dove possa averci portati». «L'incantesimo?» ripeté Deudermont in tono interrogativo. «Dove il fato voleva che andassimo», spiegò Drizzt prima che Harkle avesse il tempo di aprire bocca. «Lo stesso incantesimo che ha portato Harkle fino a noi». L'Harpell accompagnò ogni sua parola con decisi cenni di assenso e un ampio sorriso, mostrandosi pieno di orgoglio per quello che era riuscito a realizzare. «Ci hai fatti finire in un lago!» ruggì Deudermont fattosi ora rabbioso. Harkle accennò a balbettare qualcosa in risposta ma venne prevenuto da un richiamo che giungeva dal lago e che pose fine a quella conversazione privata. «Eilà, gente del Folletto del Mare!» I quattro si avvicinarono alla murata e Drizzt si affrettò a sollevare il cappuccio del mantello perché, pur non avendo idea di dove si trovassero o di come avrebbero potuto essere accolti, aveva comunque la sensazione che sarebbero stati ricevuti in maniera assai meno cordiale se quella gente si fosse accorta che a bordo del Folletto del Mare c'era un drow. Una barca da pesca di ragguardevoli dimensioni si venne intanto ad af-
fiancare alla nave e i sei uomini che ne componevano l'equipaggio procedettero a esaminare con attenzione lo schooner. «Avete sostenuto uno scontro», osservò infine un vecchio dalla barba grigia che pareva essere il capitano dell'equipaggio della barca da pesca. «Una tempesta, la peggiore che abbia mai sperimentato», precisò Deudermont. I sei pescatori si scambiarono un'occhiata dubbiosa perché nell'ultimo mese non avevano visto traccia di tempeste pur uscendo a pesca tutti i giorni. «Molto lontano da qui», si affrettò ad aggiungere Deudermont, notando la loro perplessità. «Ma quanto si può arrivare lontano, su questo lago?» ribatté il vecchio, guardando in direzione della riva che cingeva lo specchio d'acqua. «La nostra risposta potrebbe sorprenderti», ribatté Catti-brie scoccando un'occhiata ad Harkle, che ebbe la buona grazia di arrossire. «Qual è il vostro porto di provenienza?», chiese ancora il vecchio. «Il Folletto del Mare proviene da Waterdeep», spiegò Deudermont. Le espressioni dubbiose si trasformarono in veri e propri sogghigni di incredulità. «Waterdeep?» ripeté il vecchio. «Siamo forse finiti su un altro mondo?» sussurrò Catti-brie a Drizzt, che in tutta onestà non seppe cosa rispondere per tranquillizzarla, soprattutto in considerazione del fatto che dietro a quanto era successo c'era l'operato di Harkle. «Waterdeep», confermò Deudermont, nel tono più serio e convinto che riuscì a sfoggiare. «Allora siete molto lontani da casa, capitano», osservò un uomo della barca da pesca. «Almeno mille miglia». «Millecinquecento», lo corresse il vecchio. «E tutta terraferma», aggiunse ridendo un altro marinaio. «Il Folletto del Mare ha forse le ruote?» Quel commento strappò una risata ai sei uomini della barca e agli equipaggi di altre imbarcazioni che si stavano avvicinando a loro volta per vedere cosa stava succedendo. «Mi piacerebbe vedere quanti cavalli dovrebbero aggiogare», commentò un terzo marinaio, provocando altre risate. Deudermont dal canto suo riuscì a sua volta a sfoggiare un sorriso, sollevato nel constatare che se non altro a quanto pareva la nave era ancora
nei Reami. «È stata opera di un mago», spiegò. «Eravamo in navigazione sul Mare delle Spade, cinquecento miglia a sudovest delle Isole Moonshae, quando la tempesta ci ha investiti e ci ha lasciati alla deriva in queste condizioni. Il nostro mago», aggiunse, guardando verso Harkle, «ha lanciato un incantesimo che ci facesse arrivare in porto». «E ha mancato il bersaglio», rise un pescatore. «Se non altro ci ha rimossi dal mare aperto dove saremmo sicuramente morti», sottolineò Deudermont, quando le risate si furono spente. «Per favore, buoni marinai, potete dirci dove ci troviamo?» «Questo è il Lago di Impresk, e quella è Carradoon», spiegò il vecchio, indicando la costa e la città fortificata, e quando Deudermont mostrò di non conoscere nessuno di quei due nomi indicò le montagne e aggiunse: «E quelli sono i Monti Nevosi». «Siamo ne! sud», esclamò d'un tratto Catti-brie, inducendo tutti a girarsi verso di lei. «Molto a sud rispetto a Waterdeep», precisò poi. «Se dal lago proseguissimo la navigazione verso sud arriveremmo a Deepwash e poi a Vilhon Reach, sul Mare Interno». «Proprio così», annuì il vecchio. «La vostra nave non ha però un pescaggio tale da permettervi di raggiungere il Lago Shalane». «E a meno che la vostra nave non abbia anche le ali oltre che le ruote non potrete mai oltrepassare i Monti del Trifoglio!», commentò il pescatore che si trovava accanto al vecchio. La risata che accompagnò le sue parole risultò però molto più smorzata di quelle precedenti perché adesso tanto i pescatori quanto l'equipaggio del Folletto del Mare avevano ormai compreso la gravità della situazione. Infine Deudermont emise un profondo sospiro e guardò in direzione di Harkle, che si affrettò a distogliere lo sguardo e a contemplare il plancito del ponte. «Dove siamo e come andare via da qui sono problemi che affronteremo in un secondo momento», decise quindi Deudermont. «Per ora la prima cosa a cui provvedere è riparare il Folletto del Mare, ma temo che questo lago non sia abbastanza profondo. C'è un molo lungo cui possiamo attraccare per le riparazioni?», chiese rivolto al vecchio. Questi indicò verso l'Isola di Carradoon e il singolo, lungo molo che da essa si protendeva nel lago in direzione del Folletto del Mare. «Sul lato settentrionale dell'isola l'acqua è più profonda», disse. «Però il molo lungo è di proprietà privata», obiettò uno dei pescatori.
«Otterremo il permesso perché la nave possa attraccare», ribatté il vecchio in tono deciso. «Arrivare fino al molo non sarà però una cosa facile», interloquì Deudermont, «perché non abbiamo vele e non possiamo usare il timone, senza contare che non conosco queste acque e i loro fondali». «Ordina che predispongano delle gomene per il traino, capitano...» «Deudermont», si presentò il capitano del Folletto del Mare. «Sono il capitano Deudermont». «Io mi chiamo Terraducket», replicò il vecchio. «Piacere di conoscerti». Mentre parlava rivolse un segnale alle altre imbarcazioni che stavano già sciamando intorno alla grande nave per mettersi in posizione in modo da trainarla. «Vi aiuteremo a raggiungere il molo, e a Carradoon troverete parecchi carpentieri navali che vi potranno aiutare per le riparazioni», proseguì intanto Terraducket. «Sistemeremo perfino quel vostro albero, anche se dovremo trovare una pianta veramente alta per poterlo sostituire! Sappiate che se conosco bene i miei concittadini il nostro aiuto vi costerà una quantità di storie sulle vostre avventure di navigazione sul Mare delle Spade». «Ne abbiamo in abbondanza da raccontare», garantì Deudermont. In pochi minuti le gomene vennero gettate in acqua e i pescherecci si allinearono in modo da trainare e guidare il grande schooner. «A quanto pare la confraternita dei marinai estende le sue ali anche sui laghi», commentò Drizzt. «Pare proprio di sì», convenne Deudermont. «Se mai dovessi rimpiazzare qualche membro del mio equipaggio, trovandomi da queste parti saprei dove cercare. Hai agito bene, Mastro Harpell», proseguì quindi il capitano, spostando lo sguardo su Harkle, che se ne stava in disparte sul ponte con aria avvilita, e mentre il mago s'illuminava in volto continuò: «Senza di te saremmo morti su acque non segnate su nessuna mappa, molto lontano dalle Isole Moonshae, mentre adesso riusciremo comunque a sopravvivere». «Però siamo su un lago», obiettò Harkle tuttora avvilito. «Robillard ci troverà e sono certo che fra tutti e due riuscirete a escogitare il modo di riportarci dov'è il nostro posto. Per il momento il mio equipaggio e la mia nave sono in salvo, e questo è tutto ciò che conta. Hai fatto un buon lavoro!» Di fronte a quella lode il volto di Harkle si fece addirittura scintillante di gioia.
«Ma perché siamo qui?» si sentì indotta a chiedere Catti-brie. «È opera della nebbia del fato», risposero all'unisono Drizzt e Harkle. «Questo significa che qui c'è qualcosa di cui abbiamo bisogno», aggiunse poi il mago. «Bisogno per cosa?» insistette la ragazza. «Per la nostra impresa, è ovvio!» esclamò Harkle. «In fin dei conti tutto è sempre dipeso da questo, giusto?» proseguì, guardandosi intorno come se si aspettasse che questo fosse già di per sé esplicativo, ma le occhiate che ricevette gli rivelarono che in realtà gli altri non avevano capito nulla e lo indussero perciò a precisare: «Prima della tempesta eravamo diretti a...» «A Waterdeep», interloquì Deudermont. «Però il tuo incantesimo non ci ha portati più vicini al nostro porto». «No, no», lo contraddisse Harkle agitando una mano freneticamente. «Non eravamo diretti a Waterdeep ma alla ricerca di un prete, o magari di un mago, che supponevamo di poter trovare a Waterdeep». «E tu ritieni che abbiamo maggiori probabilità di trovare qui piuttosto che a Waterdeep un mago o un prete dotati del potere di cui abbiamo bisogno?» domandò Drizzt in tono incredulo. «In questa minuscola cittadina così lontana da casa?» «Buon capitano Terraducket!» chiamò per tutta risposta Harkle. «Sono qui», giunse la risposta da molto più avanti, dato che la barca di Terraducket si era andata a unire alla fila dei pescherecci che stavano trainando lo schooner. «Noi siamo alla ricerca di un prete», spiegò Harkle. «Di un prete molto potente...» «Cadderly!» lo interruppe senza esitazione Terraducket. «Cadderly Bonaduce. Non potete trovare un prete più potente di lui in tutti i Reami», aggiunse in tono orgoglioso, come se quel Cadderly fosse stato una proprietà personale di tutta Carradoon. «E dove possiamo trovare questo Cadderly?» intervenne Deudermont. «A Carradoon?» «No», rispose Terraducket. «Lui vive a due giorni di marcia da qui, verso le montagne, in un tempio chiamato Fremente Mistero». Nel sentire quelle parole Deudermont si girò verso Harkle con un'espressione da cui risultavano evidenti gli interrogativi che gli stavano affiorando alla mente, ma per tutta risposta il mago batté le mani con atteggiamento entusiasta. «La nebbia del fato! Oh, tutto collima in maniera così perfetta!» esclamò
in tono eccitato, come se un nuovo pensiero lo avesse colpito. «Perfetto quanto il fatto che il Folletto del Mare stia navigando in un lago?» interloquì in tono sarcastico Catti-brie, ma Harkle si limitò a ignorarla. «Non capite!» insistette agitando le maniche simili ad ali di pipistrello. «Folletto del Mare e Fremente Mistero, FM e FM! È opera della nebbia del fato!» «Ho bisogno di una lunga dormita», gemette Catti-brie. «E poi c'è HH!» continuò Harkle in tono sempre più entusiasta, e quando Drizzt lo guardò con fare interrogativo precisò: «Harkle Harpell». L'istante successivo il mago protese un dito verso il drow ed esclamò: «E DD per Drizzt Do'Urden! FM e FM, HH e DD! Quanto a te...», proseguì indicando Catti-brie. «Con me non funziona», garantì la giovane donna. «Non importa», ribatté Harkle mentre Deudermont si mordeva un labbro nel tentativo di non guastare quel momento di gloria del mago scoppiando a ridere. «Oh, le lettere hanno una loro magia che dovrò esplorare più a fondo», dichiarò intanto Harkle parlando più a se stesso che agli altri. «Esplora invece la tua mente», ribatté Catti-brie, poi abbassò il tono di voce in modo che soltanto Drizzt e Deudermont potessero sentirla e aggiunse: «Impresa per cui sarà meglio munirsi di una grossa lanterna e di uno zaino capace». Il suo sarcasmo strappò infine agli altri due una risatina contenuta. «Però funziona con tuo padre!» esclamò d'un tratto Harkle, balzando verso Catti-brie e cogliendola così di sorpresa che per poco lei non gli diede un pugno. «Mio padre?» chiese invece. «BB!» dichiararono all'unisono Harkle. Deudermont e Drizzt, il capitano e il drow fingendo un entusiasmo che non provavano. Catti-brie si lasciò sfuggire un nuovo gemito. «Sì, sì, Bruenor Battlehammer», insistette fra sé Harkle, accennando ad allontanarsi. «BB. Oh, la correlazione delle lettere è una cosa su cui devo proprio indagare». «Mentre ci pensi, prova a trovare una correlazione per SF», gli gridò dietro Catti-brie. Assorto nei propri pensieri il mago si limitò ad annuire nel puntare dritto verso l'alloggio privato di Deudermont di cui aveva assunto un controllo
quasi assoluto. «SF?» chiese il capitano perplesso. «Stolto farneticante», replicarono contemporaneamente Catti-brie e Drizzt, strappando una nuova risata a quanti si erano raccolti intorno a loro. D'altro canto, né Drizzt, né Catti-brie o Deudermont o uno qualsiasi degli altri poteva cancellare il fatto che quello "stolto farneticante" pareva aver salvato il Folletto del Mare e averlo portato più vicino alla sua meta. PARTE 3 LA NATURA DEL MALE Ci sono alcuni assoluti, il panteon degli ideali, degli dei e dei demoni malefici, vincolati in una lotta eterna per la conquista delle anime dei mortali. La concezione universale è che Lloth sia animata da pura malvagità e che Mielikki sia bene assoluto, una contrapposizione come quella esistente fra bianco e nero, senza sfumature di grigio. I concetti del bene e del male sono assoluti, rigidi, concepiti in maniera tale da impedire qualsiasi giustificazione per un atto pienamente malvagio perché il grigio non è contemplato. Se da un lato un atto di bene porta spesso un vantaggio personale, d'altro canto l'atto in se stesso è da considerarsi assoluto nella sua valutazione basata sulle intenzioni da cui è nato. Tutto questo trova la sua epitome nelle nostre credenze relative al panteon, ma che dire delle razze mortali, degli esseri razionali, siano essi umani o appartenenti alle razze degli elfi e dei nani, degli gnomi e degli halfling, degli orchetti e dei giganti? Sul piano meramente umano il problema si fa più confuso e l'assoluto si dissolve. Per molti l'equazione è semplice: io sono un drow, i drow sono malvagi, quindi io sono malvagio. Quanti ragionano così però si sbagliano perché cos'è mai un essere razionale se non qualcuno che ha una possibilità di scelta? È vero che nei Reami ci sono razze e culture che, come quella degli orchetti, rivelano una generale propensione verso il male e altre che, come quella degli elfi di superficie, rivelano invece una generale propensione verso il concetto del bene, ma anche all'interno di queste due razze, che molti considerano la personificazione di un assoluto, la decisione finale dipende comunque dagli intenti e dalle motivazioni del singolo individuo. Io ho conosciuto un orchetto che non era malvagio e sono un drow che non si è lasciato tra-
volgere dal modo di vivere della sua cultura di appartenenza, e tuttavia ci sono pochi drow e un numero ancora minore di orchetti che possono dichiarare di essersi distaccati dalla malvagità della loro razza, per cui il criterio generale continua ad avere valore. La più strana e diversificata fra le razze è quella degli umani: applicate a essa, l'equazione e le derivanti aspettative si fanno più che mai confuse perché quando si ha a che fare con gli umani la percezione regna suprema e l'intento è spesso un segreto tenuto nascosto con cura. Nessuna razza più di quella umana è abile nell'intessere una maschera di giustificazioni, nessuna è più abile nel celarsi dietro una maschera di scuse in modo da sostenere di aver avuto in ultima analisi un intento rivolto al bene, e nessuna è più propensa a credere nelle proprie affermazioni. Quante guerre sono state combattute, uomo contro uomo, con entrambi gli eserciti che sostenevano di avere al loro fianco e nel loro cuore un dio, un dio buono? Il bene non è però una questione di percezione, ciò che è "bene " per una cultura non può essere "male" per un'altra; una cosa del genere può accadere per quanto concerne le usanze e le pratiche di minore importanza, ma non può valere per quel che riguarda la virtù. La virtù è un assoluto ed è necessario che sia tale perché è una celebrazione della vita e dell'amore, dell'accettazione degli altri e del desiderio di crescere verso il bene e verso un posto migliore. È l'assenza assoluta di orgoglio e di invidia, è la disponibilità a condividere le nostre gioie e a godere di quello che gli altri riescono a realizzare. La virtù è al di sopra di qualsiasi giustificazione perché essa è ciò che effettivamente si cela in ogni singolo cuore. Se una persona compie un atto malvagio dopo potrà anche intessere una maschera per celarlo ma non potrà nascondere la verità, l'assoluto, a quell'angolo nudo racchiuso nel suo cuore. Esiste un posto all'interno di ciascuno di noi dove non ci è possibile nasconderci dalla verità, dove la virtù siede come giudice. Ammettere la verità delle nostre azioni significa presentarci davanti a quel tribunale dove il processo in se stesso è irrilevante: bene e male sono intenti, e un intento non ha scusanti. Cadderly Bonaduce è solito recarsi in quel luogo dell'anima con assoluta disponibilità e completezza. Nel guardarlo io avverto la crescita che sta avvenendo in lui e ne vedo il risultato, il Fremente Mistero, l'opera più maestosa e al tempo stesso più umile che un essere umano abbia mai realizzato. Artemis Entreri visiterà un giorno quel luogo nudo nascosto dentro il
suo animo. Forse questo accadrà soltanto al momento della sua morte ma è certo che lui vi si dovrà recare come prima o poi dobbiamo fare tutti, e quanto sarà grande la sua agonia quando la verità della sua esistenza malvagia verrà messa a nudo davanti ai suoi occhi. Io prego che lui visiti al più presto quel luogo, una speranza che non nasce dal desiderio di vendetta perché la vendetta è una preghiera vuota di ogni valore e significato. No, io mi auguro che Entreri si possa recare di sua spontanea volontà in quel luogo estremamente privato all'interno del suo cuore in modo da poter vedere la verità e così correggere il suo modo di vivere, perché so che allora troverà gioia nella penitenza e scoprirà una vera armonia che gli sarà sempre negata se continuerà a vivere come sta facendo. Io mi reco in quel luogo segreto all'interno del mio cuore con la massima frequenza possibile per potermi sottrarre alla trappola delle facili giustificazioni. Quello è un luogo doloroso, nudo, ma soltanto in esso ci è possibile crescere verso il bene, soltanto là, dove nessuna maschera ci può offrire giustificazioni di sorta, ci è possibile riconoscere la verità delle nostre intenzioni e, di conseguenza, anche la verità delle nostre azioni. Soltanto là, dove la virtù siede come giudice, nascono i veri eroi. Drizzt Do'Urden 13 Il Fremente Mistero Drizzt, Catti-brie, Deudermont e Harkle non incontrarono difficoltà di sorta nel lasciare Carradoon per iniziare la loro marcia verso i Monti Nevosi, anche perché il drow badò a tenersi il cappuccio calato sul volto e gli abitanti della città risultarono troppo distratti ed eccitati a causa della presenza dello schooner nelle acque del lago per prestare molta attenzione al gruppo in cammino. Una volta oltrepassate le porte cittadine i quattro scoprirono che la strada era facile e sicura; aiutati dal drow guardaboschi che permise loro di aggirare eventuali pericoli, lungo il tragitto non s'imbatterono in nulla di notevole o di eccitante, ma del resto dopo quello che avevano passato nelle ultime settimane questo era esattamente ciò che tutti e quattro desideravano. Durante il cammino passarono il tempo chiacchierando, soprattutto con
Drizzt che spiegò loro la natura delle forme di vita selvatica che li circondavano, quali uccelli emettessero i diversi richiami e quanti daini avessero pernottato sullo strato appiattito di aghi di pino visibile vicino a una delle pinete circostanti. Di tanto in tanto la conversazione si spostava però sulla missione che dovevano assolvere e sulla poesia recitata dalla veggente cieca, e in quei momenti il povero Harkle si veniva a trovare in una situazione tutt'altro che facile. Lui era infatti consapevole che agli altri stavano sfuggendo alcuni punti evidenti e di possibile importanza critica della poesia perché il suo diario magico gli aveva permesso di esaminarne il testo integrale ed esatto, ma d'altro canto non sapeva con precisione in quale misura gli fosse permesso di intervenire perché la nebbia del fato era stata creata come un incantesimo passivo, un modo che gli permettesse di facilitare lo svilupparsi di eventi drammatici e di esserne testimone. Se ne fosse invece diventato un partecipante attivo permettendo a un altro degli attori di quel dramma di dare un'occhiata al suo diario magico o utilizzando lui stesso ciò che il diario gli aveva mostrato, con ogni probabilità avrebbe rovinato l'incantesimo. Harkle non dubitava di poter ricorrere ai suoi altri talenti magici se il fato li avesse condotti incontro a una battaglia e senza dubbio poteva dispensare dei consigli, come aveva fatto sul Folletto del Mare quando si era inizialmente giunti a convenire sulla necessità di consultare un mago o un prete, ma un intervento diretto basato sulle informazioni ottenute mediante la facilitazione garantita dall'incantesimo avrebbe forse alterato il futuro, frustrando così gli intenti del fato perché l'incantesimo di Harkle non era mai stato creato con uno scopo di quel tipo e la magia poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio. Di conseguenza il povero Harkle non sapeva fino a che punto potesse spingersi al di là dei vincoli impostigli dall'incantesimo, anche perché dopo aver vissuto i suoi quarant'anni di vita circondato da maghi sventati quanto lui, era giunto a comprendere fin troppo bene gli effetti potenzialmente deleteri che si potevano avere spingendo la magia al di là dei suoi limiti. Di conseguenza Harkle si limitò a lasciare che gli altri portassero avanti le loro discussioni relative alla poesia, accontentandosi di annuire e a dichiararsi d'accordo con quella che sembrava essere l'interpretazione universalmente accettata di un determinato verso, e anche se le sue scrollate di spalle e le sue risposte a fior di labbra gli procurarono parecchie occhiate perplesse da parte dei compagni stava ben attento a evitare di rispondere a qualsiasi domanda diretta.
La pista che stavano seguendo s'inerpicò intanto sempre più in alto fra le montagne ma rimase facile da percorrere perché era ben tracciata e pareva venisse molto frequentata, cosa di cui i quattro compresero il motivo quando infine emersero da sotto la penombra della vegetazione montana e lasciarono il sentiero per addentrarsi in un ampio prato pianeggiante che si stendeva al limitare di un precipizio quasi verticale. Drizzt Do'Urden e Catti-brie avevano visto gli splendori di Mithril Hall, con la sua magia Harkle Harpell aveva visitato molti luoghi esotici come per esempio la Torre dell'Arcano a Luskan e Deudermont aveva navigato lungo la Costa delle Spade da Waterdeep all'esotica Calimport, ma nessuno di quei posti aveva mai avuto su nessuno di essi l'effetto mozzafiato che stava avendo invece lo spettacolo che si parava ora davanti ai loro occhi. Il nome di Fremente Mistero era senza dubbio adatto per quel gigantesco tempio (che era forse meglio definibile come cattedrale) fatto di alte torri slanciate e di audaci arcate, di grandi finestre di vetro colorato e di un sistema di grondaie ciascuna delle quali terminava a ogni angolo con una maschera tanto esotica quanto mostruosa. I bordi inferiori del tetto principale della cattedrale si trovavano a oltre trenta metri di altezza dal suolo e tre delle sue torri dovevano superare i sessanta metri. Naturalmente l'enclave del palazzo dei Baenre era più vasto e la Torre dell'Arcano dimostrava più palesemente nelle sue linee fluide il fatto di essere un'opera della magia, ma questo luogo aveva qualcosa di più solenne, di più reverenziale e sacro. La pietra di cui era fatta la cattedrale era grigia e marrone, di per sé insignificante, ma ciò che metteva in soggezione era il modo in cui era stata modellata, la forza terrena e immensa che emanava da quel luogo e che dava l'impressione che le sue radici fossero immerse in profondità nella roccia delle montagne, che le sue alte torri arrivassero a sfiorare i cieli. Una splendida melodia intonata da una voce ricca e piena scaturiva dal tempio ed echeggiava fra le sue pietre, così ultraterrena che i quattro impiegarono qualche momento a rendersi conto che si trattava di una voce umana, anche perché il Fremente Mistero pareva possedere una propria melodia. Gli immediati paraggi del tempio erano non meno spettacolari. Un boschetto costeggiava un sentiero ricoperto di acciottolato che portava fino alle massicce porte principali del tempio e al di là di quella linea assolutamente diritta di alberi si stendeva un prato estremamente curato, folto e verde, cintato da siepi ben modellate e costellato di aiuole fiorite formate
da fiori rossi e rosa, purpurei e bianchi. Sul prato erano visibili anche parecchi cespugli verdi che erano stati scolpiti in modo da somigliare a svariati animali boschivi, fra cui un daino, un orso, un enorme coniglio e un gruppetto di scoiattoli. Nell'avvistare il giardiniere Catti-brie sbatté più volte le palpebre per lo sconcerto in quanto si trattava del nano più insolito che lei, allevata dai nani, avesse mai visto. Un momento più tardi la ragazza attirò l'attenzione di Drizzt assestandogli una gomitata e contemporaneamente anche gli altri si accorsero del giardiniere proprio mentre esso notava infine la loro presenza e accennava a venire loro incontro con un ampio sorriso sul volto. La sua barba verde... verde!... era divisa a metà e tirata indietro oltre i grossi orecchi e fino alla nuca, dove si univa ai lunghi capelli altrettanto verdi in una singola treccia che scendeva fino a metà della schiena, e il suo abbigliamento era costituito da una sottile tunica verde chiaro priva di maniche che gli arrivava a metà coscia e che lasciava nude le gambe ricurve, incredibilmente pelose e dotate di muscoli possenti; anche i grossi piedi del nano erano nudi e le sue calzature erano costituite da un paio di sandali trattenuti da sottili strisce di cuoio. Attraversando il prato in diagonale il nano raggiunse il sentiero acciottolato a una decina di metri di distanza dai quattro, poi si arrestò di colpo e si portò due dita alla bocca nel guardarsi indietro da sopra la spalla, emettendo un fischio acuto. «Cosa c'è?» gridò una voce, e un momento più tardi un altro nano dall'aspetto più comune si alzò in piedi, emergendo dalla chiazza d'ombra proiettata dagli alberi più vicini alla porta del tempio. Il secondo nano aveva ampie spalle squadrate e una vistosa barba gialla; vestito interamente di marrone, sfoggiava una grossa ascia affibbiata sulla schiena e un elmo adorno di corna di antilope. «Ti avevo detto che ti avrei aiutato, ma tu mi hai promesso che mi avresti lasciato dormire!» ruggì il secondo nano, poi si accorse dei quattro visitatori e interruppe immediatamente la propria sfuriata per venire loro incontro lungo il sentiero. Il primo a raggiungere i quattro fu il nano dalla barba verde, che senza dire una parola eseguì un profondo inchino e prese la mano di Catti-brie nelle proprie, deponendovi un bacio. Arrossendo, il nano passò poi dalla ragazza a Deudermont, quindi a Drizzt e... Un istante più tardi il nano tornò ad avvicinarsi a Drizzt e si chinò in avanti per sbirciare sotto il suo cappuccio.
Per facilitare il suo esame Drizzt si affrettò allora a gettare indietro il cappuccio in modo da rivelare la folta massa di capelli bianchi che tradiva la sua natura: per lui i primi incontri erano sempre una cosa difficile, soprattutto così lontano dai luoghi in cui era conosciuto e accettato. «Eek!» stridette il nano dalla barba verde. «Un dannato drow!» ruggì l'altro nano, e spiccò la corsa lungo il sentiero afferrando al tempo stesso l'ascia che portava sulla schiena, una reazione, questa, che non stupì affatto Drizzt e che destò negli altri più imbarazzo che sorpresa. Mentre il nano con la barba verde continuava a saltellare su e giù dove si trovava con fare spaventato ma abbastanza innocuo, il suo compagno optò per una linea d'azione molto più pericolosa e minacciosa in quanto levò in alto l'ascia sopra la testa e continuò a correre verso il drow con la veemenza di un toro lanciato alla carica. Senza scomporsi, Drizzt attese fino all'ultimo secondo, poi fece appello alla magia delle cavigliere e ai propri fulminei riflessi per spostarsi lateralmente, con il risultato che il nano dalla barba gialla gli passò accanto e andò a sbattere a testa bassa contro l'albero che si trovava alle sue spalle. Perplesso, il nano dalla barba verde spostò lo sguardo dall'altro nano a Drizzt e per un momento parve che anche lui intendesse attaccare; poi però il suo sguardo tornò a posarsi sul secondo nano e nell'accorgersi che l'ascia si era conficcata nell'albero, si diresse verso il compagno e gli assestò uno schiaffo su una tempia. «Un dannato drow!» ringhiò il nano dalla barba gialla, staccando una mano dall'impugnatura dell'ascia per tenere a bada il susseguirsi di schiaffi di cui l'altro nano lo stava tempestando. Dopo svariati tentativi riuscì infine a liberare la lama dal legno, ma quando tornò a girarsi scoprì che tre dei quattro visitatori, fra cui anche il drow, lo stavano ancora fissando immobili e impassibili ma che il quarto, la donna dai capelli ramati, lo teneva sotto tiro con una freccia già incoccata. «Se ti avessimo voluto ammazzare ti avremmo abbattuto prima ancora che ti fossi svegliato dal tuo sonnellino», dichiarò la donna. «Non ho cattive intenzioni», aggiunse Drizzt, rivolto principalmente al nano dalla barba verde che sembrava il più razionale fra i due. «Sono un guardaboschi, un essere della foresta come lo siete voi». «E mio fratello è un druido», ribatté il nano dalla barba gialla, cercando di apparire duro e deciso anche se in quel momento appariva più che altro imbarazzato.
«Doo-dad», annuì il nano dalla barba verde. «Un nano druido?» domandò Catti-brie. «Io ho trascorso con i nani la maggior parte della mia vita ma non ho mai saputo che fra di loro ci fossero dei druidi». Mentre lei parlava entrambi i nani inclinarono la testa da un lato con aria incuriosita perché senza dubbio il rozzo accento della ragazza era quello tipico della loro razza. «E di quali nani si tratterebbe?» chiese infine quello con la barba gialla. «Io sono Catti-brie», rispose la ragazza, abbassando Taulmaril, «figlia adottiva di Bruenor Battlehammer, Ottavo Re di Mithril Hall». I due nani accolsero quella notizia sgranando gli occhi e spalancando la bocca per lo stupore, poi scrutarono attentamente Catti-brie, si guardarono a vicenda, tornarono a guardare la ragazza e si scambiarono una nuova occhiata prima di sbattere la testa uno contro l'altro con uno schiocco sonoro e di tornare a concentrare la loro attenzione sulla ragazza. «Ehi!», ululò infine il nano con la barba gialla, puntando un tozzo dito in direzione di Drizzt. «Ho sentito parlare di te, sei Drizzt Dudden». «Drizzt Do'Urden», lo corresse il drow, inchinandosi. «Già», assentì il nano. «Ho sentito parlare di te. Io sono Ivan Bouldershoulder e questo è mio fratello Pikel», si presentò quindi. «Mio fratello», confermò il nano dalla barba verde, passando un braccio intorno alle spalle robuste di Ivan. «Mi dispiace di aver usato l'ascia», si scusò intanto Ivan, contemplando con rammarico il profondo taglio che la lama aveva prodotto nell'albero, «ma non avevo mai visto un drow. Siete venuti a vedere la catad... catter... cat... la chiesa?», domandò quindi. «Siamo venuti a cercare un uomo di nome Cadderly Bonaduce», intervenne Deudermont. «Io sono il capitano Deudermont del Folletto del Mare, proveniente da Waterdeep». «A quanto pare hai navigato sulla terraferma», cominciò Ivan in tono asciutto. Deudermont però sollevò una mano per bloccare sul nascere quella prevedibile reazione. «Dobbiamo parlare con Cadderly», ribadì. «Si tratta di una questione della massima urgenza». Congiunte le mani, Pikel se le accostò a una guancia e reclinò il capo da un lato, fingendo di russare. «Cadderly sta facendo un sonnellino perché i bambini lo stancano»,
spiegò Ivan. «Nel frattempo andremo a parlare con Lady Danica e vi procureremo qualcosa da mangiare. Io e mio fratello vorremmo avere notizie di Mithril Hall», aggiunse quindi, ammiccando in direzione di Catti-brie. «Si dice che adesso lì comandi un vecchio, da quando Bruenor se n'è andato». Cercando di mascherare il proprio stupore e di non apparire sorpresa da quanto aveva sentito, Catti-brie lanciò un'occhiata in direzione di Drizzt, che però non seppe cosa risponderle perché anche a lui la notizia stava giungendo del tutto inattesa. D'un tratto entrambi desiderarono poter passare un po' di tempo a parlare con quei nani e decisero che l'incontro con Cadderly poteva aspettare. L'interno del Fremente Mistero non era meno solenne e maestoso dell'esterno. Quando si addentrarono nella cappella centrale dell'edificio in essa vi erano almeno una ventina di persone, e tuttavia le dimensioni di quel luogo erano tali che ciascuno dei quattro visitatori si sentì isolato e solo, così come tutti e quattro si sentirono inevitabilmente indotti a seguire con lo sguardo la linea delle slanciate colonne che si tendevano verso l'alto superando svariate piattaforme decorate da statue e la luce che filtrava dalle finestre di vetro colorato, per arrivare alla volta ricoperta di intricati bassorilievi che raggiungeva almeno i trenta metri. Quando finalmente riuscì a riscuotere i quattro dalla loro estatica contemplazione, il nano li guidò attraverso l'area principale e oltre una porta laterale che dava accesso a stanze di dimensioni più normali; anche lì però la struttura di quel luogo, la sua mole e la cura per i dettagli continuarono a stupire i quattro in quanto non c'era arco di sostegno o porta che non fossero aggraziati da elaborate decorazioni e una delle porte da loro oltrepassata risultò così ricoperta di rune e di sculture da dare a Drizzt l'impressione che avrebbe potuto rimanere a studiarla per ore senza vederne tutti i dettagli e senza decifrare tutti i messaggi in essa racchiusi. Infine Ivan bussò a una porta chiusa e quando dall'interno giunse un invito a entrare spalancò il battente. «Vi presento Lady Danica Bonaduce», annunciò in tono solenne, segnalando agli altri di seguirlo. I quattro accennarono a entrare, preceduti da Deudermont, ma appena oltre la soglia il capitano si arrestò di colpo nel rischiare di inciampare a causa di due bambini, un maschio e una femmina, che gli stavano tagliando la strada. Nel vedere uno sconosciuto entrambi si fermarono di colpo e il maschietto, un ragazzino dai capelli color sabbia e dagli occhi a mandor-
la, puntò un dito verso il drow con aria stupefatta. «Ti prego di scusare i miei figli», disse una donna che si trovava dall'altra parte della stanza. «Non mi sono offeso», garantì Drizzt, poi pose a terra un ginocchio e segnalò ai bambini di avvicinarglisi. Dopo essersi scambiati un'occhiata in cerca di sostegno reciproco, i due gli si accostarono con cautela e il maschietto osò protendersi a toccare la sua pelle del colore dell'ebano per poi guardarsi le dita, come per verificare che non si fossero tinte a loro volta di scuro. «Niente nero, mamma», disse guardando verso la donna e protendendo la mano. «Niente nero». «Hee, hee», ridacchiò Pikel, che era in coda al gruppo. «Porta via di qui i marmocchi», sussurrò intanto Ivan al fratello. Subito Pikel si fece largo fra i presenti in modo che i bambini potessero vederlo e mentre essi s'illuminavano in volto s'infilò un pollice in ciascun orecchio, agitando le dita. «Oo oi!» esclamarono all'unisono i bambini, inseguendo lo "zio Pikel" fuori della stanza. «Faresti bene a stare attenta a quello che mio fratello insegna loro», commentò allora Ivan rivolto a Danica. «Di certo i gemelli possono trarre solo vantaggi dall'avere un amico come Pikel», rise la donna alzandosi per venire a ricevere i visitatori. «E come Ivan», aggiunse quindi con cortesia, facendo affiorare sul volto del rude nano un rossore che questi non riuscì a nascondere. Nel notare il modo in cui la donna avanzava nella stanza, con passo silenzioso e leggero, perfettamente bilanciata in ogni movimento, Drizzt comprese di avere di fronte una guerriera. Di corporatura snella, alta poco meno di Catti-brie e tanto magra da non pesare più di una cinquantina di chili, la donna aveva però i muscoli in perfetto esercizio e sapeva muoverli in modo armonico; gli occhi a mandorla, ancora più esotici di quelli dei suoi figli, erano di un caldo colore castano ed erano pieni d'intensità e di vita, i capelli di un biondo rossiccio erano folti quanto quelli candidi del drow e le si agitavano sulle spalle come se l'energia che le fluiva dentro non potesse essere contenuta. Nel guardare da Danica a Catti-brie, il drow notò fra loro una somiglianza dello spirito se non del fisico. «Lady Danica», annunciò intanto Ivan togliendosi l'elmo, «ti presento Drizzt Dudden, Catti-brie figlia di Bruenor di Mithril Hall, il capitano
Deudermont del Folletto del Mare di Waterdeep e...» interrompendosi, il nano guardò con curiosità l'ossuto mago e domandò: «Come hai detto che ti chiami?» «Harpell Harkle... er, Harkle Harpell», balbettò il mago, che era palesemente affascinato da Danica. «Di Sellalunga». «Piacere di conoscerti», disse Danica a ciascuno di essi, lasciando per ultimo il drow. «Il mio nome è Drizzt Do'Urden», precisò questi. Danica annuì con un sorriso. «Sono qui per parlare con Cadderly», spiegò intanto Ivan. «In tal caso va' a svegliarlo», ordinò Danica continuando a stringere la mano a Drizzt. «Di certo non vorrà mancare a un colloquio con visitatori tanto illustri». «Hai sentito parlare di noi?» chiese Catti-brie, mentre Ivan si allontanava di corsa lungo il corridoio. «La vostra reputazione vi ha preceduti», assentì Danica. «Abbiamo sentito parlare di Bruenor Battlehammer e della lotta per la riconquista di Mithril Hall». «E della guerra contro i drow?» domandò Drizzt. «In parte», annuì Danica. «Spero che prima di andare via troverete il tempo di raccontarci ogni cosa». «Cosa sapete della partenza di Bruenor?» domandò in modo molto diretto Catti-brie. «Cadderly ne sa più di me», replicò Danica. «A quanto abbiamo sentito, pare che Bruenor abbia abdicato e restituito a un antenato il trono da lui riconquistato». «Gandalug Battlehammer», spiegò Drizzt. «Così si dice», convenne Danica. «Io però non so dove siano andati il re e i duecento che hanno scelto di seguirlo». Drizzt e Catti-brie si scambiarono una lunga occhiata in quanto entrambi avevano un'idea abbastanza chiara di dove Bruenor potesse essere andato. In quel momento Ivan rientrò nella stanza insieme a un uomo anziano ma ancora vigoroso, vestito di una tunica e pantaloni di pelle bianca, abbigliamento completato da un leggero mantello di seta blu e da un cappello a tesa larga azzurro decorato da una fascia rossa al cui centro era fissato un pendente in porcellana e oro raffigurante una candela che ardeva sopra un occhio, simbolo che tutti e quattro riconobbero come quello di Deneir, il dio della letteratura e dell'arte.
Alto circa un metro e ottanta, l'uomo appariva muscoloso nonostante l'età avanzata, cosa che contrastava con l'incipiente calvizie e con la tonalità argentea dei pochi capelli rimastigli, sotto i quali affiorava ancora qualche traccia di castano. A parte quel vigore insolito per un uomo anziano, nell'aspetto del prete c'era qualche altra cosa che appariva stranamente fuori posto, e dopo un po' Drizzt si rese infine conto che si trattava dei suoi occhi di un grigio intenso e pieni di vita, che sembravano quelli di un uomo molto più giovane. «Io sono Cadderly», si presentò l'uomo, con voce piena di calore e con un umile inchino. «Benvenuti al Fremente Mistero, dimora di Deneir e di Oghma e di tutti gli dei buoni. Vedo che avete già avuto modo di conoscere mia moglie Danica». Interdetta, Catti-brie spostò lo sguardo dall'attempato Cadderly a Danica, che doveva avere più o meno la sua stessa età e di certo non aveva ancora raggiunto i trent'anni. «Hanno conosciuto anche i gemelli», commentò Ivan con un sorriso, guardando al tempo stesso Catti-brie che era ancora intenta a studiare Danica. Osservando la scena come soli spettatori, Drizzt e Deudermont ebbero l'impressione che il nano avesse familiarità con quel tipo di reazione, cosa che li indusse a supporre che l'età avanzata di Cadderly non fosse una cosa naturale. «Ah, sì, i gemelli», mormorò intanto Cadderly scuotendo il capo ma non riuscendo a trattenere un sorriso al pensiero della sua vivace progenie. Il saggio prete si concesse quindi un momento per osservare l'espressione dei suoi quattro visitatori, apprezzando la cortesia che essi stavano dimostrando nel trattenersi dal porre le domande che certo dovevano bruciare loro sulla lingua. «Ventinove», affermò d'un tratto con disinvoltura. «Io ho ventinove anni». «Trenta fra due settimane», precisò Ivan, «anche se non ne dimostri più di centosei!» «È successo a causa dello sforzo di costruire la cattedrale», spiegò Danica, con una sfumatura di dolore e di ira che trapelava dal suo tono controllato. «Cadderly ha donato a questo luogo la sua energia vitale, una scelta che ha fatto per la gloria del suo dio». Fissando a lungo e intensamente quella giovane guerriera, Drizzt constatò che a causa della scelta di Cadderly anche lei era stata costretta ad af-
frontare un enorme sacrificio, un'imposizione da cui derivava l'ira che si poteva percepire nel suo animo, sepolta però a una grande profondità e sopraffatta dall'amore che la donna nutriva per il marito e dall'ammirazione per il suo sacrificio. Quelle sfumature emotive non sfuggirono neppure a Catti-brie. Avendo perso la persona amata, si sentiva portata a comprendere i sentimenti di Danica e tuttavia si rese conto che lei non richiedeva la minima compassione: nell'ascoltare quelle poche frasi di spiegazione e nel trovarsi alla presenza dei due coniugi, fra le mura della più sacra e solenne fra le costruzioni, Catti-brie capì che elargire compassione a Danica avrebbe sminuito il sacrificio di entrambi e ciò che Cadderly aveva realizzato in cambio della propria giovinezza. Per un momento gli scuri ed esotici occhi a mandorla di Danica incrociarono e sostennero lo sguardo di quelli azzurrissimi di Catti-brie, che in quel fugace istante desiderò di poter far notare all'altra donna che se non altro aveva sempre l'amore dei suoi figli; desiderò di parlarle del vuoto lasciato in lei dalla scomparsa di Wulfgar, avvenuta prima... Prima di una quantità di cose, come Catti-brie disse a se stessa con un sospiro. Quanto a Danica, conoscendo la sua storia, nel corso di quella lunga occhiata di comprensione reciproca non faticò a leggere ciò che si celava nel cuore dell'altra donna. Di lì a poco Pikel tornò a unirsi a loro spiegando che i bambini stavano dormendo in giardino sotto la sorveglianza di parecchi altri preti e tutti e otto trascorsero le due ore successive scambiandosi reciprocamente le loro storie. Drizzt e Cadderly avevano uno spirito affine e avevano avuto molte avventure simili in quanto entrambi avevano affrontato un drago rosso ed erano sopravvissuti per raccontarlo ed entrambi avevano avuto la meglio sull'eredità del proprio passato, quindi fin dall'inizio svilupparono una notevole intesa reciproca, come accadde anche fra Catti-brie e Danica. I due nani, che avrebbero voluto sapere qualcosa di più in merito a Mithril Hall, trovarono quindi molto difficile infilarsi nella conversazione fra le due donne da un lato e in quella fra Drizzt e Cadderly dall'altro, tanto che alla fine si rassegnarono e trascorsero il tempo a parlare invece con Harkle: essendo stato a Mithril Hall e avendo partecipato alla guerra contro i drow, il mago riuscì comunque a soddisfare la loro curiosità e si rivelò un ottimo narratore, grazie anche alle piccole illusioni che utilizzò per dare più sapore alle proprie storie.
Quanto a Deudermont, in quelle ore avvertì uno strano e crescente distacco da quanto gli stava accadendo intorno e si rese sempre più conto di sentire la mancanza del mare e della sua nave, unito al bisogno di trovarsi di nuovo nel Porto di Waterdeep e di poter tornare a dare la caccia ai pirati in mare aperto. Forse quella conversazione si sarebbe protratta per tutto il pomeriggio se infine uno dei preti non fosse venuto a bussare alla porta per avvertire Danica che i bambini si erano svegliati; quando però la donna accennò a lasciare la stanza insieme ai nani, Drizzt la trattenne ancora per un momento e tirò fuori la statuetta a forma di pantera, evocando Guenhwyvar. L'apparizione della pantera spaventò non poco Ivan, mentre Pikel emise uno strillo deliziato: essendo un druido, infatti, il nano dalla barba verde era semplicemente estasiato alla prospettiva di poter incontrare un così splendido animale e non pareva neppure pensare al fatto che esso avrebbe potuto massacrarlo in un istante. «Ai gemelli piacerà giocare con Guenhwyvar», spiegò il drow, mentre il grosso felino usciva dalla stanza inseguito da Pikel, che gli si aggrappò alla coda per farsi tirare. «Non quanto piacerà a mio fratello», commentò Ivan, che appariva ancora un po' scosso. Per un istante Danica parve sul punto di porre un'ovvia domanda in merito alla sicurezza di quel tipo di diversivo ma poi si trattenne perché si rese conto che se non fosse stato possibile fidarsi della pantera Drizzt non l'avrebbe di certo evocata. Limitandosi quindi a un sorriso e a un inchino aggraziato, la donna se ne andò insieme a Ivan. Catti-brie avrebbe voluto accompagnarla, ma qualcosa nell'atteggiamento d'un tratto formale di Drizzt l'avvertì che era venuto il momento di parlare di ciò che li aveva condotti in quel luogo. «Senza dubbio non siete venuti qui soltanto per scambiare con me delle storie, per quanto tale prospettiva possa apparirmi piacevole», commentò infatti Cadderly, sedendosi più eretto e incrociando le mani di fronte a sé, pronto a sentire nei dettagli la storia più importante, quella che i quattro ancora dovevano raccontargli. Deudermont s'incaricò di riferire gli eventi che li avevano indotti a venire al Fremente Mistero, mentre Drizzt e Catti-brie si limitarono ad aggiungere qua e là qualche particolare che ritenevano necessario; in quanto ad Harkle, per tutto il tempo della narrazione continuò ad avanzare commenti che agli altri parvero non avere nessuna attinenza con ciò di cui si stava
parlando. Quando ebbero finito, Cadderly confermò di aver letto qualcosa in merito a Caerwitch e alla veggente cieca che viveva su quell'isola. «Parla per indovinelli e le sue parole non sono sempre ciò che sembrano», ammonì. «Lo abbiamo sentito dire», convenne Deudermont, «ma questo è un indovinello che i miei amici non possono ignorare». «Se quella veggente ha detto la verità un amico perduto, mio padre Zaknafein, è nelle mani di un essere malvagio», spiegò Drizzt. «Forse si tratta di uno dei succubi di Lloth o di una delle matrone madri dei casati dominanti di Menzoberranzan». Nel sentire quelle parole Harkle si morse un labbro per non intervenire perché a suo parere esse contenevano un evidente errore, che però non poteva correggere a causa dei limiti imposti dal proprio incantesimo. Personalmente, lui aveva riletto la poesia della veggente cieca parola per parola almeno una ventina di volte fino a impararla a memoria, ma quelle erano informazioni riservate che esulavano dalla portata dell'incantesimo: la nebbia del fato aveva lo scopo di facilitare l'evolversi degli eventi, ma se lui avesse sfruttato per un uso privato le informazioni che essa gli stava fornendo avrebbe potuto alterare il destino, e non aveva modo di prevedere se questo avrebbe comportato dei vantaggi o provocato una vera catastrofe. Cadderly stava annuendo con aria pensosa, convenendo con il ragionamento di Drizzt ma chiedendosi al tempo stesso in che modo lui potesse rientrare in tutta quella vicenda e quale ruolo i visitatori si aspettassero di vedergli svolgere. «Io credo che si possa trattare di una creatura extraplanare appartenente all'Abisso», aggiunse Drizzt. «E desideri che io utilizzi i miei poteri per darti una conferma della tua supposizione», rifletté Cadderly ad alta voce, «o magari addirittura per evocare quella creatura in modo da permetterti di contrattare o di lottare con essa per l'anima di tuo padre». «Mi rendo conto della portata della mia richiesta», replicò in tono deciso Drizzt. «So che uno yochiol è un essere potente...» «Ho imparato molto tempo fa a non temere il male», lo interruppe Cadderly con estrema calma. «Abbiamo dell'oro», offrì Deudermont ritenendo che il prezzo sarebbe stato elevato. Drizzt però si rese conto che quell'offerta era superflua perché nel breve
tempo trascorso in compagnia di Cadderly aveva imparato a conoscere il suo cuore e le sue motivazioni e sapeva che lui non avrebbe accettato dell'oro o altri tipi di pagamento; di conseguenza, la sua risposta non lo sorprese minimamente quando lui replicò: «Salvare un'anima è già ricompensa sufficiente». 14 Un mago in difficoltà «Dov'è Deudermont?» domandò Catti-brie ad Harkle, quando il mago entrò nella piccola stanza in cui lei si trovava in compagnia di Drizzt. «Oh, è in giro di qua e di là» rispose Harpell distrattamente. Le uniche due sedie della stanza, poste entrambe davanti a un'ampia finestra che si affacciava sulle cime maestose dei Monti Nevosi, erano già occupate da Drizzt e da Catti-brie, che le avevano girate in modo da potersi vedere a vicenda ma da poter anche contemplare lo splendido panorama montano. Dopo aver osservato la scena per qualche momento, Harkle parve infine riscuotersi e si portò fra i due, chiedendo a Drizzt di abbassare i piedi che teneva puntellati sul davanzale e mettendosi a sedere su di esso. «Prego, unisciti a noi», commentò Catti-brie con sarcasmo evidente per Drizzt ma non altrettanto per Harkle che si limitò a sfoggiare uno stupido sorriso. «Scommetto che stavate discutendo della poesia», osservò il mago, cosa che era vera soltanto in parte perché Catti-brie e Drizzt stavano parlando in pari misura anche della notizia relativa alla partenza di Bruenor da MithriI Hall. «Ero certo che lo steste facendo», proseguì quindi Harkle, «ed è per questo che sono qui». «Hai decifrato qualche altro verso?» domandò Drizzt, senza però un'eccessiva speranza; per quanto Harkle gli fosse simpatico aveva infatti imparato a non aspettarsi molto da lui perché tutti gli Harpell erano creature imprevedibili che potevano spesso essere di grande aiuto, com'era successo nella lotta per la riconquista di MithriI Hall, ma che in altre occasioni potevano risultare più un danno che un vantaggio. Rilevando la sfumatura ambivalente del tono del drow, il mago si trovò per un momento a desiderare di poter dimostrare quello che valeva e avvertì l'impulso di svelare a Drizzt tutte le informazioni contenute nel suo diario magico, di recitargli la poesia parola per parola, esattamente come
l'aveva enunciata la veggente cieca, però si trattenne all'ultimo momento perché temeva troppo i limiti del suo incantesimo e le potenziali conseguenze che essi potevano avere. «Noi pensiamo che si tratti dei Baenre», affermò allora Catti-brie, «o per meglio dire chi fra loro detiene attualmente il potere. "Donato a Lloth e da Lloth donato", così ha detto quella donna, e chi sarebbe più indicato della persona che occupa il trono dei Baenre a ricevere un simile dono dalla Regina Aracnide?» Harkle si limitò ad annuire, lasciando che Drizzt proseguisse il ragionamento sulla scia di quella deduzione pur sapendo in cuor suo che essa lo stava portando fuori strada. «Catti-brie è convinta che si tratti dei Baenre, ma la veggente ha parlato dell'Abisso e questo mi induce a supporre che Lloth abbia assoldato uno dei suoi succubi», replicò Drizzt. Mordendosi con decisione le labbra per costringersi a tacere, Harkle annuì senza convinzione. «Cadderly ha un informatore nell'Abisso», aggiunse Catti-brie. «Un demonietto o qualcosa del genere, e intende evocarlo per cercare di fornirci il nome che ci serve». «lo temo però che la mia strada...» cominciò Drizzt. «La nostra strada», lo corresse all'istante Catti-brie, con tale fermezza che Drizzt dovette darsi per vinto su quel punto. «Temo che la nostra strada ci condurrà ancora una volta a Menzoberranzan», riprese l'elfo scuro con un sospiro. Il fatto che non desiderasse tornare laggiù era evidente, ma altrettanto chiaro era il fatto che non avrebbe esitato a lanciarsi a testa bassa nella città sotterranea per amore di un amico in difficoltà. «Perché proprio là?» domandò Harkle in tono quasi frenetico. Il mago non faticava a vedere in che modo la poesia della veggente cieca avesse pilotato le riflessioni di Drizzt ed era consapevole che il secondo verso, quello relativo allo spettro di suo padre, aveva costretto il guardaboschi a ritenere che Menzoberranzan fosse la fonte di tutto quello che stava succedendo. Nella poesia c'erano altri riferimenti a Menzoberranzan, ma una parola in particolare stava inducendo il mago a ritenere che la città dei drow non fosse in realtà la loro meta effettiva. «Ne abbiamo già discusso», rispose Drizzt. «Menzoberranzan sembra essere il sentiero oscuro di cui ha parlato quella veggente». «E tu pensi che si tratti di un succubo di Lloth?»
Il drow rispose con un gesto che era in parte un cenno di assenso e in parte una scrollata di spalle. «E tu sei d'accordo con lui?» insistette il mago rivolto a Catti-brie. «Può darsi che si tratti di un succubo o di una matrona madre», ribatté la ragazza. «Le mie però sono soltanto supposizioni». «I succubi di Lloth non sono tutti di sesso femminile?», insistette Harkle, la cui domanda parve irrilevante agli altri due. «Tutti i seguaci di Lloth sono di sesso femminile», precisò Catti-brie, poi ammiccò e nel tentativo di allentare un poco la tensione aggiunse: «È per questo che la Regina Aracnide è tanto temibile». «E ovviamente anche le matrone madri sono tutte donne», persistette Harkle. Drizzt si girò a guardare verso Catti-brie con aria perplessa perché nessuno dei due riusciva a capire dove il mago intendesse andare a parare. D'un tratto Harkle prese ad agitare le braccia, dando l'impressione di essere prossimo a esplodere, poi saltò giù dal davanzale con un gesto tanto brusco che per poco non rovesciò all'indietro il drow che sedeva semisdraiato sulla sedia. «Lei ha detto colui!», esclamò infine il mago. «Quella vecchia megera ha detto colui! "È ricercato chi Lloth ha tradito da colui che ha per lui un odio infinito"!» Interrompendosi di botto, Harkle emise un lungo sospiro esasperato a cui d'un tratto fece seguito un suono sibilante accompagnato da una voluta di fumo grigio che prese a scaturirgli dalla tasca. «Oh. per gli dei!» gemette il mago. Intanto Drizzt e Catti-brie erano balzati entrambi i piedi, non tanto per lo strano spettacolo del fumo che stava uscendo dalla tasca del mago quanto per l'insolita acutezza del suo ragionamento. «Chi è questo nemico, Drizzt?» insistette Harkle in tono sempre più urgente in quanto cominciava a sospettare che gli rimanesse ben poco tempo. «Lui, lui», prese a ripetere Catti-brie in tono riflessivo, cercando di sbloccare la propria memoria. «Jarlaxle?» «No, non il mercenario», replicò Drizzt, che da tempo era giunto a convincersi che quest'ultimo non fosse un individuo particolarmente malvagio. «Forse Berg'inyon Baenre, che mi ha odiato fin da quando frequentavamo insieme l'Accademia». «Riflettete! Riflettete! Riflettete!» gridò Harkle, mentre ondate di fumo sempre più massicce gli scaturivano dalla tasca.
«Cosa stai bruciando?» chiese Catti-brie, cercando di far girare l'Harpell in modo da poter vedere meglio, ma con sua sorpresa e orrore vide la propria mano passare attraverso la forma sempre meno corporea del mago. «Non badare a questo!» ingiunse Harkle in tono secco. «Pensa, Drizzt Do'Urden. Chi è questo nemico che fra i demoni è il più dannato, che marcisce nella fossa dell'Abisso e che ti odia più di chiunque altro? Quale demone deve essere liberato e che tu soltanto puoi liberare?» insistette con voce ora sempre più sottile e remota, mentre la sua forma fisica cominciava a svanire. «Ho valicato i limiti del mio incantesimo», cercò quindi di spiegare ai suoi inorriditi compagni, «e credo che questo mi abbia messo fuori gioco, che mi stia mandando via...». All'improvviso la sua voce tornò a farsi più forte mentre lui tornava a chiedere: «Quale demone, Drizzt? Quale nemico?» Un istante più tardi il mago svanì nel nulla, lasciando Drizzt e Catti-brie a fissare interdetti la piccola stanza ora vuota. Quell'ultimo richiamo lanciato da Harkle mentre scompariva alla loro vista ebbe però l'effetto di ricordare a Drizzt un'altra occasione in cui aveva sentito un simile grido farsi sempre più distante. «Errtu», sussurrò con un filo di voce scuotendo il capo per l'incredulità nel formulare quella risposta del tutto ovvia, perché per quanto il ragionamento di Harkle sembrasse perfettamente logico a lui pareva che esso non avesse senso, almeno non all'interno del contesto della poesia. «Errtu», gli fece eco Catti-brie. «Senza dubbio lui ti odia più di chiunque altro ed è probabile che Lloth lo conosca o ne abbia sentito parlare». «Non è possibile, perché non ho mai incontrato il tanar'ri a Menzoberranzan, come invece sostengono le parole della veggente cieca», protestò Drizzt continuando a scuotere il capo. «Lei però non ha mai menzionato Menzoberranzan neppure una volta», gli fece notare Catti-brie dopo un momento di riflessione. «"Nella tua prima patria..."», cominciò a recitare Drizzt, ma poi per poco non si soffocò con le sue stesse parole nel rendersi improvvisamente conto che l'interpretazione da lui data al loro significato non era stata esatta. «Tu non hai mai definito quel posto la tua patria», affermò Catti-brie, che aveva notato anche lei quell'errore d'interpretazione. «Invece mi hai detto che per te la tua prima patria è stata...» «La Valle del Vento Ghiacciato» concluse Drizzt. «Ed è stato là che ti sei imbattuto in Errtu e te lo sei fatto nemico», ragionò Catti-brie, alla quale in quel momento Harkle Harpell stava appa-
rendo di colpo un uomo di una saggezza infinita. Nel ricordare con chiarezza il potere e la malvagità del balor, il drow sussultò suo malgrado al pensiero che Zaknafein fosse nelle sue grinfie. *
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Harkle Harpell levò la testa dal piano della sua grande scrivania e si stiracchiò con un vistoso sbadiglio. «Oh, sì», mormorò riconoscendo le pergamene sparse davanti a lui sulla scrivania, «stavo lavorando al mio incantesimo». Rimesse in ordine le pergamene procedette quindi a studiarle con maggiore attenzione e dopo un momento lanciò un grido deliziato. «Il mio nuovo incantesimo è finalmente completo!» esclamò. «La nebbia del fato! Oh, gioia, o giorno felice!» Balzato in piedi, prese a volteggiare per la stanza fra lo svolazzare delle sue ampie vesti. Dopo tanti mesi di stancanti ricerche l'incantesimo era finalmente completo e adesso le possibilità che esso offriva gli si stavano accalcando nella mente. Forse esso lo avrebbe portato a Calimshan dove avrebbe vissuto un'avventura con un pasha, o forse lo avrebbe condotto nell'Anauroch, il grande deserto, o ancora nelle terre desolate di Vaasa. Sì, gli sarebbe piaciuto andare a Vaasa e vedere gli aspri Monti Galena! «Dovrò apprendere qualcosa di più su quelle montagne e tenere a mente tutti i dettagli nel lanciare l'incantesimo», si disse. «Certo, sicuro, questo è il modo giusto di procedere». Schioccando le dita si precipitò quindi alla scrivania e riordinò di nuovo con estrema cura le numerose pergamene che contenevano il complicato incantesimo, riponendole in un cassetto, poi si precipitò all'esterno e si diresse verso la biblioteca del Maniero dell'Edera con l'intento di raccogliere informazioni su Vaasa e sulla vicina Damara, le famose Terre della Pietra Insanguinata. La sua eccitazione era tale che nel correre riusciva a stento a mantenere l'equilibrio perché era fermamente convinto di essere sul punto di lanciare per la prima volta quel nuovo incantesimo che costituiva il corollario di mesi di lavoro. Harkle infatti non ricordava più di aver già utilizzato una volta quell'incantesimo: tutti gli eventi delle ultime settimane erano stati cancellati dalla sua mente nello stesso modo in cui le pagine del diario incantato che accompagnava l'incantesimo erano tornate del tutto bianche, senza traccia di scrittura. Per quanto lui ne sapeva, Drizzt e Catti-brie stavano navigando al
largo di Waterdeep, intenti a dare la caccia a ignoti pirati. *
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Drizzt si trovava insieme a Cadderly in una stanza quadrata dalle splendide decorazioni ma totalmente priva di arredi. Le pareti erano di lucida pietra nera ed erano del tutto nude tranne per gli anelli di ferro battuto per le torce che erano posti al centro esatto di ciascuna parete; le torce in essi inserite non stavano ardendo, almeno non nel senso convenzionale del termine, in quanto erano fatte di metallo nero invece che di legno ed erano sormontate ognuna da una sfera di cristallo da cui emanava una luce che Cadderly pareva poter tingere magicamente di qualunque colore volesse. Una di esse generava una luce rossa, un'altra gialla e le ultime due verde, e quella mescolanza dava alla camera una strana tonalità e una particolare profondità perché alcune sfumature di colore parevano penetrare più di altre nelle lucide superfici di pietra delle pareti. Quell'insieme attirò per qualche tempo l'attenzione di Drizzt perché si trattava di uno spettacolo davvero impressionante, ma ciò che più lo lasciò stupefatto fu il pavimento della camera, così incredibile da surclassare tutte le cose stupefacenti che lui aveva avuto modo di vedere nei suoi settant'anni di vita. Il perimetro del pavimento era della stessa pietra nera e lucida come vetro di cui erano composte le pareti ma l'area centrale era occupata da un mosaico che formava un cerchio doppio; le linee che disegnavano i due cerchi concentrici erano distanti una dall'altra circa trenta centimetri e quello spazio era occupato da una quantità di rune dal significato arcano mentre nel centro spiccava un simbolo le cui punte simili a quelle di una stella arrivavano a toccare la linea del cerchio interno. Tutti quei disegni erano stati intagliati nella pietra del pavimento e l'incisione era stata riempita di polvere di pietre preziose di svariati colori, per cui adesso era possibile vedere una runa di smeraldo scintillare accanto a una stella color rubino, entrambe racchiuse dalle due linee di diamante dei cerchi. Drizzt aveva già visto a Menzoberranzan stanze simili a questa anche se non altrettanto incredibili e ne conosceva la funzione che però gli appariva alquanto fuori posto all'interno di quel tempio che era la più sacra fra le costruzioni. Il doppio cerchio abbinato a quei simboli era infatti lo schema che veniva impiegato per evocare creature ultraterrene, e il fatto che le rune incise fra i due cerchi avessero uno scopo protettivo era già di per sé indice del fatto che le creature evocate non erano sicuramente votate al
bene. «A pochi è concesso di entrare in questo luogo», spiegò Cadderly in tono grave. «Vi possiamo accedere soltanto io, Danica e Fratello Chaunticleer, che è uno di coloro che risiedono nella biblioteca. Qualunque ospite che richieda di utilizzare questo posto viene sottoposto al vaglio più severo». Drizzt si rese conto che gli era stato appena fatto un enorme complimento, ma questo non servì a distogliere la sua mente dai molteplici interrogativi che vorticavano in essa. «Evocazioni del genere hanno sempre un motivo», continuò intanto Cadderly, quasi gli avesse letto nel pensiero. «A volte la causa del bene può essere portata avanti soltanto affrontando gli agenti del male». «L'evocazione di un tanar'ri o anche di un demone minore non è forse un atto di per sé malvagio?» chiese Drizzt in modo tanto brusco quanto diretto. «No, non qui», replicò Cadderly. «Questa stanza è perfetta nella sua progettazione ed è stata benedetta da Deneir in persona. Qui un demone evocato è un demone prigioniero e non costituisce una minaccia più di quanto potrebbe esserlo se fosse rimasto nell'Abisso. Quanto alle questioni relative al bene e al male, l'intento con cui viene effettuata l'evocazione è ciò che ne determina il valore. In questo caso abbiamo scoperto che un'anima non meritevole di una simile tortura è caduta nelle mani di un demone e possiamo recuperarla soltanto affrontando il demone in questione, quindi quale posto e quale modo migliore di questo per farlo?» Drizzt non ebbe difficoltà ad accettare quel ragionamento, soprattutto in una situazione in cui la posta in gioco era così elevata e per lui così personale. «Si tratta di Errtu», annunciò con un tono da cui si capiva che era certo della sua affermazione. «È un balor». Cadderly annuì senza tentare contestazioni. Quando Drizzt lo aveva informato dei nuovi sospetti destati in lui dalla conversazione con Harkle Harpell, Cadderly aveva evocato un demone minore, un malvagio demonietto, e lo aveva incaricato di cercare conferma di quei sospetti; adesso si trovava in quella camera perché era intenzionato a evocare di nuovo il demonietto per ottenere una risposta. «Oggi Fratello Chaunticleer è entrato in comunione con un agente di Deneir», affermò d'un tratto. «E quale risposta ha ottenuto?» domandò Drizzt, pur mostrandosi un po' sorpreso per quell'improvvisa piega presa dalla conversazione.
«Nessun agente di Deneir potrebbe fornire una risposta del genere», replicò immediatamente Cadderly vedendo la direzione che stavano seguendo i ragionamenti del drow. «No, no, Chaunticleer desiderava avere informazioni in merito al nostro amico mago scomparso così improvvisamente. Non temere per lui, perché pare che Harkle Harpell sia di nuovo al Maniero dell'Edera, a Sellalunga. Se lo desideri, noi abbiamo il modo di contattarlo e perfino di riportarlo qui». «No!» esclamò d'impulso Drizzt, poi distolse lo sguardo con una sfumatura d'imbarazzo per quella reazione così violenta e ripeté in tono più pacato: «No. Senza dubbio Harkle Harpell ha già fatto abbastanza e non voglio metterlo in pericolo coinvolgendolo oltre in questa faccenda che in realtà non lo riguarda». Cadderly annuì con un sorriso da cui si deduceva che aveva capito perfettamente il motivo dell'esitazione del drow. «Allora, vuoi che evochi Druzil in modo da ottenere la risposta che cerchiamo?» chiese quindi, e senza attendere l'assenso di Drizzt indirizzò un comando verbale a ciascuna torcia, facendo assumere all'illuminazione della stanza una vellutata tonalità porpora; un secondo comando cantilenante ebbe poi l'effetto di permeare di uno spettrale bagliore i simboli incisi nel pavimento. Mai a proprio agio quando si veniva a trovare coinvolto in cerimonie del genere, Drizzt trattenne il respiro e quasi non ascoltò mentre Cadderly intonava un canto ritmico e sommesso, concentrandosi invece sulle rune scintillanti, sui propri sospetti e sulle possibilità che il futuro poteva rivelare. Dopo parecchi minuti, dal centro dei cerchi giunse un aspro suono sibilante seguito da un istante di oscurità assoluta, come se la struttura stessa dei diversi piani esistenziali fosse stata lacerata, poi un violento crepitio troncò il sibilo e richiuse la lacerazione, lasciandosi dietro un demonietto dalle ali di pipistrello e dal muso canino che sedeva furente sul pavimento, imprecando e sputando. «Salute a te, mio caro Druzil», esordì allegramente Cadderly ottenendo di strappare ulteriori borbottii di protesta al malvagio demonietto costretto suo malgrado a servirlo. Sempre più irritato Druzil balzò in piedi, rivelandosi di statura tanto piccola che le sue corna appuntite arrivavano a stento alle ginocchia di Drizzt, e si avvolse nelle ali di cuoio. «Volevo presentarti un amico», continuò Cadderly sempre in tono disin-
volto. «A dire il vero non ho ancora deciso se gli chiederò o meno di farti a pezzettini con quelle sue spade affilate». Lo sguardo malvagio degli occhi nerissimi di Druzil si distolse dal prete fino a incontrare quello degli occhi color lavanda del drow. «Drizzt Do'Urden», ringhiò il demonietto. «Colui che ha tradito la Regina Aracnide». «Ah, bene», interloquì Cadderly rivelando con il proprio tono al demonietto che questi gli aveva appena fornito involontariamente un'informazione dimostrando così di conoscere il drow. «Sai chi è, quindi questo significa che devi aver parlato con qualche demone che conosce la verità». «Tu desideravi una specifica risposta, una soltanto», ribatté Druzil. «E mi hai promesso in cambio di lasciarmi in pace per un anno». «Infatti», convenne Cadderly. «Hai la risposta che cerco?» «Ti compatisco, stolto drow», dichiarò Druzil tornando a fissare intensamente Drizzt. «Ti compatisco e rido di te. Adesso alla Regina Aracnide importa ben poco di te perché ha assegnato a titolo di ricompensa l'incarico di punirti a qualcuno che le è stato d'aiuto nell'Era dei Pericoli». Senza replicare, Drizzt distolse lo sguardo dal demonietto per spostarlo su Cadderly, che appariva del tutto calmo e controllato. «Compatisco chiunque sia tanto stolto da destare in questo modo le ire di un balor», proseguì intanto Druzil scoppiando in una risatina pervasa di malvagità. «Voglio il nome del balor!» ingiunse Cadderly, accorgendosi che l'atteggiamento del demonietto stava causando dei problemi a Drizzt a causa dell'intensa tensione a cui tutta quella faccenda lo aveva già sottoposto. «Errtu!» ringhiò Druzil. «Ricordalo bene, Drizzt Do'Urden!» Un bagliore rovente si accese negli occhi lavanda del drow, tanto intenso che d'un tratto il demonietto non riuscì più a sostenerne lo sguardo e si affrettò a spostare invece la propria attenzione su Cadderly. «Mi hai promesso di lasciarmi in pace per un anno», insistette. «Gli anni si misurano in molti modi diversi», replicò Cadderly in tono altrettanto aspro. «Quale inganno...», cominciò a protestare Druzil, ma il prete batté con decisione le mani e pronunciò una sola parola in risposta alla quale due linee di un nero assoluto, i lembi della lacerazione nella struttura dei piani, apparvero ciascuna su un lato del demonietto, ricongiungendosi poi con la stessa forza con cui si erano unite le mani di Cadderly. Ci fu quindi uno scoppio di tuono accompagnato da una folata di fumo, e quando esso si
dissolse del demonietto non rimaneva più traccia. Immediatamente Cadderly tornò allora a intensificare l'illuminazione della stanza e per qualche tempo si limitò a contemplare Drizzt in silenzio mentre lui rifletteva a testa china, impegnato ad assimilare l'informazione appena ricevuta. «Dovresti distruggere quel demonietto», commentò infine il drow. «Non è una cosa tanto facile», ammise Cadderly con un ampio sorriso. «Druzil è una manifestazione del male, un prototipo più che un essere vivente effettivo. Potrei fare a pezzi il suo corpo fisico ma questo avrebbe soltanto l'effetto di rimandarlo nell'Abisso. Solamente laggiù, nella sua dimora fumante, potrei effettivamente distruggerlo, e ho ben poco desiderio di visitare l'Abisso. Del resto», proseguì con una scrollata di spalle, come se in effetti la cosa avesse ben poca importanza, «Druzil è abbastanza innocuo perché io lo conosco, so che cosa è. dove trovarlo e come rendere la sua miserabile esistenza ancora peggiore di quanto non sia qualora questo si rendesse necessario». «Adesso sappiamo che si tratta effettivamente di Errtu», commentò Drizzt. «Un balor», annuì Cadderly. «Un nemico potente». «Che si trova nell'Abisso», aggiunse Drizzt, «un luogo che neppure io desidero visitare». «Abbiamo bisogno di altre risposte, di un genere che Druzil non sarebbe in grado di procurare», dichiarò il prete. «Chi, allora?», chiese Drizzt. «Tu lo sai», fu la pacata risposta di Cadderly. In effetti Drizzt lo sapeva, ma il pensiero di evocare un demone potente come Errtu gli riusciva tutt'altro che piacevole. «Il cerchio sarà sufficiente a contenere il balor», garantì Cadderly. «Non è necessario che tu sia presente quando lo evocherò». Drizzt accantonò con un gesto l'idea di potersene andare ancora prima che Cadderly avesse finito di parlare. No, sarebbe rimasto in quella stanza e avrebbe affrontato colui che lo odiava più di chiunque altro e che a quanto pareva teneva prigioniero un suo amico. «Ritengo che il prigioniero di cui ha parlato quella strega sia Zaknafein, mio padre», confidò al prete con un sospiro, in quanto si stava accorgendo di fidarsi sempre più di lui. «Questo mi sta causando emozioni che non riesco bene a comprendere». «Senza dubbio l'idea che tuo padre sia nelle mani di un simile demone è
per te un tormento», replicò Cadderly, «così come indubbiamente ti esalta l'idea di poterlo incontrare ancora». Drizzt reagì scuotendo il capo senza esitazione, ma il suo fu un gesto che mancava di convincimento e dopo un momento lui si concesse un altro profondo sospiro. «Sono deluso di me stesso, del mio egoismo», ammise. «Voglio rivedere Zaknafein, averlo di nuovo accanto, apprendere da lui e ascoltare le sue parole, però ricordo bene l'ultima volta che l'ho visto», aggiunse quindi, sollevando lo sguardo su Cadderly con espressione assolutamente serena, e procedette a raccontare al prete di quell'ultimo incontro. Il cadavere di Zaknafein era stato animato dalla Matrona Malice, la madre di Drizzt, e poi permeato dello spirito del drow morto. Costretto a servire la malvagia Malice e a fungere da suo sicario, Zaknafein era sceso nel Mondo Sotterraneo alla ricerca di Drizzt, ma nell'istante più critico era riuscito a sottrarsi alla volontà della malvagia matrona e il suo spirito era riaffiorato in tutto il suo splendore per parlare con il figlio. In quel momento di vittoria lo spirito di Zaknafein aveva proclamato di essere in pace e aveva poi distrutto il proprio cadavere animato dalla matrona, liberando Drizzt e se stesso dalla malvagia Malice Do'Urden. «Quando ho sentito le parole di quella vecchia cieca e mi sono concesso del tempo per analizzarle ho provato un sincero dolore», concluse. «Infatti ero convinto che adesso Zaknafein si fosse finalmente liberato da Lloth e da ogni forma di malvagità e che si trovasse in un luogo in cui stesse ricevendo ricompensa per la sincerità della sua anima». In silenzio, con comprensione, Cadderly si protese a posargli una mano sulla spalla. «Pensare che invece sono riusciti a catturarlo ancora una volta...» aggiunse Drizzt. «Può darsi che non sia così», lo confortò Cadderly, «e se pure dovesse risultare vero in ogni caso non dobbiamo perdere la speranza. Tuo padre ha bisogno del tuo aiuto». «E di quello di Catti-brie», annuì Drizzt, serrando con decisione la mascella. «Lei vorrà essere presente quando evocheremo Errtu». 15 Oscurità incarnata
La sua mole fumante risultò tanto immensa da riempire il cerchio e le sue grandi ali di cuoio non si poterono allargare in tutta la loro ampiezza perché per farlo avrebbero dovuto oltrepassare i confini che il demone non poteva valicare. Artigliando la pietra del pavimento Errtu emise un ringhio gutturale, poi gettò indietro l'enorme testa orribile e scoppiò in una folle risata. Un istante più tardi il balor si calmò improvvisamente e fissò lo sguardo davanti a sé, incontrando quello di Drizzt Do'Urden. Anche se erano trascorsi molti anni dall'ultima volta che aveva avuto modo di contemplare il possente Errtu, l'elfo guardaboschi non ebbe esitazioni nel riconoscerlo. Il suo volto orribile sembrava un incrocio fra quello di un cane e quello di una scimmia e i suoi occhi erano nere fosse di malvagità, a volte dilatati e rossi per le fiamme dell'ira, a tratti socchiusi in due oblique fessure intense che promettevano orribili torture. Sì, Drizzt ricordava molto bene Errtu e rammentava il combattimento disperato che si era svolto su un fianco del Picco di Kelvin tanti anni prima. Anche la scimitarra che lui aveva sottratto dal covo del drago bianco parve ricordarsi di Errtu, perché d'un tratto Drizzt la sentì lanciargli un richiamo e supplicarlo di estrarla in modo che potesse colpire ancora il balor e nutrirsi del suo cuore di fuoco. Quella lama era stata forgiata per combattere creature di fuoco e adesso sembrava particolarmente impaziente di fendere la carne fumante del demone. Non avendo mai visto una simile bestia, che era l'incarnazione stessa dell'oscurità e del male, la creatura più immonda che si potesse immaginare, Catti-brie avvertì l'impulso di impugnare Taulmaril e di trafiggere con una freccia il muso disgustoso di quell'essere ma si trattenne per timore che un atto del genere potesse scatenare contro di loro il malvagio Errtu, cosa che lei stessa indubbiamente non desiderava. Errtu intanto continuò a ridacchiare, poi si mosse d'un tratto con una velocità spaventosa e vibrò un colpo in direzione di Drizzt con la sua frusta a molteplici corde. L'arma saettò in avanti come un nido di serpenti ma si arrestò a mezz'aria come se fosse andata a sbattere contro un muro, il che in effetti era proprio ciò che era successo. «Errtu, non puoi inviare la tua arma, la tua carne o la tua magia al di là della barriera che ti vincola», avvertì con estrema calma Cadderly, che non appariva minimamente scosso dall'apparizione del tanar'ri. Socchiudendo gli occhi in un'espressione densa di malvagità, Errtu spostò allora lo sguardo sul prete, rendendosi conto che si trattava di colui che aveva osato evocarlo, poi scoppiò di nuovo nella sua perfida e rombante risata e un mo-
mento più tardi lingue di fiamma presero a scaturire intorno ai suoi enormi piedi dotati di artigli, ardendo incandescenti e roventi, così alte da nascondere quasi alla vista dei tre compagni la grande figura del balor. Per qualche momento i tre continuarono a sondare con lo sguardo quella rovente cortina, socchiudendo gli occhi per proteggerli dal bagliore, poi Catti-brie si ritrasse con un grido di avvertimento e dopo un momento Drizzt si decise a fare altrettanto. Cadderly invece rimase impassibile dove si trovava, certo che i cerchi di rune incisi nel pavimento avrebbero bloccato le fiamme e ignorando le gocce di sudore che gli imperlavano il viso e gli colavano lungo il naso. «Desisti!» gridò infine, sovrastando il crepitare delle fiamme, poi recitò una serie di parole in una lingua che né Drizzt né Catti-brie avevano mai sentito prima, una frase arcana che si concluse con il nome del balor, pronunciato in tono enfatico. L'istante successivo Errtu emise un ruggito che pareva di dolore e subito dopo le mura di fuoco scomparvero nel nulla. «Quando camminerò di nuovo su questo piano esistenziale che è il tuo mondo mi ricorderò di te, vecchio», promise il grande balor. «Vieni a farmi una visita», ribatté con estrema pacatezza Cadderly. «Sarà per me un piacere bandirti e rimandarti in mezzo alla sporcizia che costituisce la tua vera dimora». Errtu si trattenne dal controbattere e si limitò a un ringhio sommesso nel concentrare di nuovo la propria attenzione sul drow rinnegato, l'odiato Drizzt Do'Urden. «L'ho in mia mano, drow», lo provocò. «È nell'Abisso». «Chi?» domandò Drizzt, ma la sola risposta che ottenne fu un'altra folle risata. «Chi hai in tuo potere, Errtu?» ribadì allora Cadderly, in tono deciso. «Non sono obbligato a rispondere a nessuna domanda», gli ricordò però il balor. «Lui è in mia mano, questo lo sapete, e il solo modo in cui potete riaverlo è porre fine al mio bando. Allora lo porterò nella tua terra, Drizzt Do'Urden, e se lo vorrai dovrai venire a prenderlo». «Voglio parlare con Zaknafein!» gridò Drizzt, abbassando la mano verso l'elsa della scimitarra, ma Errtu si limitò a farsi beffe di lui con un'ennesima risata, godendo a fondo dello spettacolo offertogli dalla frustrazione che il drow stava manifestando: quello era solo l'inizio del suo tormento! «Liberami!» ruggì il demone, sovrastando ogni domanda. «Liberami adesso! Ogni giorno che passa è un'eternità di torture per il mio prigioniero,
il tuo amato...» cominciò Errtu, poi s'interruppe di colpo con fare provocatorio e agitò un dito nell'aria in direzione di Cadderly, aggiungendo con finto orrore: «Per poco non mi hai tratto in inganno inducendomi a rispondere a una domanda, cosa a cui non sono costretto». Il prete guardò verso Drizzt, comprendendo il dilemma a cui questi si stava trovando di fronte in quanto sapeva che egli non avrebbe esitato a lanciarsi nel cerchio per affrontare subito Errtu per amore del padre perduto o di un amico o comunque di qualsiasi persona meritevole, ma sapeva anche che liberare il demone doveva apparire al nobile drow come un atto disperato e pericoloso, un gesto egoistico compiuto per amore di suo padre e che avrebbe potuto mettere in pericolo la sicurezza di molte altre persone. «Liberami!» ruggì ancora il balor, facendo echeggiare la camera della propria voce tonante. D'un tratto ogni tensione parve abbandonare Drizzt. «Questo non posso farlo, bestia immonda», ribatté in tono sommesso, scuotendo il capo e dando l'impressione di convincersi sempre più della giustezza della propria decisione ad ogni momento che passava. «Stolto!» ruggì Errtu. «Gli staccherò la pelle dalle ossa, gli mangerò le dita, ma ti prometto che lo manterrò in vita, che rimarrà costantemente vivo e consapevole, e che prima di ogni tortura gli ripeterò che tu hai rifiutato di aiutarlo e lo hai condannato alla sua sorte!» La rilassatezza di poco prima abbandonò Drizzt che distolse lo sguardo con il respiro mozzo e affannoso. Lui però conosceva l'animo di suo padre e sapeva che Zaknafein non avrebbe mai voluto che Errtu venisse liberato, qualunque potesse essere il prezzo che questo lo avrebbe costretto a pagare. Intuendo la sofferenza dell'amico, Catti-brie si protese a stringergli la mano nella propria, e altrettanto fece Cadderly. «Io non posso dirti cosa fare, buon drow», affermò il vecchio prete, «ma se questo demone tiene prigioniera un'anima che non merita un simile destino allora è nostra responsabilità salvarla...» «Ma a quale prezzo?» lo interruppe Drizzt, con una nota disperata nella voce. «A quale prezzo per il mondo?» Mentre lui formulava quella domanda Errtu scoppiò in un'altra risata selvaggia. «Tu lo sai, prete», esclamò prevenendo Cadderly quando questi si girò per costringerlo a tacere. «Tu lo sai».
«Cosa intende dire questo mostro?» chiese Catti-brie. «Diglielo», insistette Errtu rivolto a Cadderly, che pareva a disagio per la prima volta dall'inizio dell'evocazione. Cadderly però guardò verso Drizzt e Catti-brie e si limitò a scuotere il capo. «In tal caso sarò io a dirglielo!» gridò allora Errtu, facendo echeggiare la stanza di pietra con la propria voce profonda e possente che salì di volume al punto da ferire l'udito. «È ora che te ne vada da questo piano», dichiarò Cadderly, cominciando a cantilenare qualcosa in risposta al quale Errtu ebbe un sussulto improvviso e parve rimpicciolire come se si stesse contraendo su se stesso. «Adesso sono libero», proclamò però il balor mentre svaniva. «Aspetta!» intervenne Drizzt, rivolto al prete che obbedì alla sua richiesta. «Presto potrò andare dovunque mi aggradi, stolto Drizzt Do'Urden! Per tua volontà ho toccato il suolo del Piano Materiale dell'Esistenza e questo ha posto fine al mio bando. Ora potrò tornare la prima volta che qualcuno, chiunque, deciderà di evocarmi!» Mentre il balor parlava Cadderly aveva ripreso a intonare il suo canto con una nota di urgenza nella voce e la forma di Errtu finì di dissolversi. «Vieni da me, Drizzt Do'Urden», ingiunse la sua voce, ora lontana e fievole. «Devi farlo se lo vuoi rivedere, perché io non verrò da te». Poi il demone scomparve del tutto, lasciando soli i tre compagni esausti nella stanza vuota. Il più stanco dei tre era Drizzt, che si accasciò contro la parete in modo tale da dare agli altri due l'impressione che la solidità della pietra fosse la sola cosa che gli permettesse di rimanere in piedi. «Tu non potevi saperlo», affermò Catti-brie comprendendo il senso di colpa che stava gravando sulle spalle dell'amico, poi si girò a guardare il vecchio prete, che non pareva minimamente turbato da quella rivelazione. «È vero?», domandò Drizzt a Cadderly. «Non posso saperlo con certezza ma credo che in effetti l'aver evocato Errtu sul Piano Materiale dell'Esistenza possa aver posto fine al suo bando», replicò il prete. «Tu lo hai sempre saputo», lo accusò Catti-brie. «Lo sospettavo», ammise Cadderly. «Allora perché mi hai permesso di chiamare quella bestia», esclamò Drizzt stupefatto perché non avrebbe mai pensato che Cadderly potesse prestarsi a porre fine al bando di un simile mostro di malvagità mentre
adesso nell'incontrare il suo sguardo gli pareva che l'anziano prete non fosse minimamente turbato dall'accaduto. «Come sempre accade con gli abitanti dell'Abisso, quel demone può accedere al Piano Materiale dell'Esistenza soltanto con l'aiuto di un prete o di un mago», spiegò Cadderly, «e un prete o un mago che desiderasse evocare una bestia del genere ne troverà una quantità, perfino altri balor, pronti a rispondere alla sua evocazione. La liberazione di Errtu, sempre supponendo che sia veramente libero, non è che una goccia nel mare». Inserito in quel contesto, l'accaduto cominciò ad avere senso per Drizzt e per Catti-brie, dato che in effetti chi avesse desiderato chiamare un demone al proprio servizio non avrebbe certo faticato a trovare ciò che desiderava perché l'Abisso pullulava di potenti demoni tutti impazienti di accedere al Piano Materiale e di seminare la devastazione fra i mortali. «Ciò che invece temo», proseguì Cadderly, «è il fatto che questo particolare balor ti odia più di ogni altra cosa, Drizzt. Nonostante le sue affermazioni, potrebbe venire a cercarti se mai dovesse riuscire a tornare nel nostro mondo». «Oppure sarò io a cercare lui», ribatté in tono pacato Drizzt. La sua assenza di timore fece affiorare un sorriso sulle labbra di Cadderly perché quella era proprio la risposta che aveva sperato di sentire dal drow ed essa gli confermava che quello che aveva davanti era un coraggioso guerriero impegnato nella guerra a favore del bene. In cuor suo il prete nutriva una grande fiducia che se si fosse arrivati a uno scontro del genere Drizzt e i suoi amici avrebbero avuto la meglio e avrebbero posto fine al tormento a cui il padre del drow era sottoposto. *
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Alcune ore dopo, quello stesso giorno, Waillan Micantry e Dunkin Tallmast arrivarono al Fremente Mistero e trovarono il capitano Deudermont all'esterno del tempio, intento a rilassarsi all'ombra di un albero e a dare da mangiare a uno scoiattolo bianco delle noci dall'aspetto strano. «Questo è Percival», disse loro Deudermont, protendendo la mano verso lo scoiattolo; non appena Percival ebbe afferrato la noce che lui gli stava offrendo, il capitano indicò quindi Pikcl Bouldershoulder che era come sempre impegnato a prendersi cura dei suoi numerosi giardini e aggiunse: «Pikel mi ha spiegato che Percival è un amico personale di Cadderly». Waillan e Dunkin si scambiarono un'occhiata perplessa in quanto nessu-
no dei due riusciva a capire di cosa Deudermont stesse parlando. «Comunque tutto questo non ha importanza», proseguì in tono deciso il capitano, alzandosi in piedi e ripulendosi i pantaloni dai ramoscelli che vi si erano attaccati. «Che notizie mi portate dal Folletto del Mare?» «Le riparazioni stanno procedendo bene», replicò Waillan. «Parecchi pescatori di Carradoon ci stanno dando una mano e sono perfino riusciti a trovare un pino adatto a sostituire l'albero di maestra». «Questi uomini di Carradoon sono gente cordiale», aggiunse Dunkin. Spostando lo sguardo su di lui. Deudermont rifletté che i sottili cambiamenti che stava riscontrando in quell'ometto erano decisamente positivi. Quello che aveva davanti non era più il cupo e subdolo emissario che era inizialmente salito a bordo del Folletto del Mare per conto di Lord Tarnheel Embuirhan per venire a cercare Drizzt Do'Urden: secondo Waillan, l'ometto era un eccellente marinaio e un piacevole compagno, e Deudermont aveva quindi intenzione di offrirgli di diventare parte integrante e permanente dell'equipaggio del Folletto del Mare non appena fossero riusciti a trovare il modo di riportare la nave sul Mare delle Spade, dov'era il suo posto. «Robillard è a Carradoon», aggiunse poi Waillan inaspettatamente, cogliendo il capitano alla sprovvista con quella notizia anche se Deudermont non aveva mai pensato neppure per un momento che il mago non fosse sopravvissuto alla tempesta o che non sarebbe riuscito a rintracciarli. «O meglio c'era, dato che è possibile che adesso sia tornato a Waterdeep. In ogni caso, ha detto di poterci riportare in mare aperto». «La cosa però ci costerà cara», aggiunse Dunkin. «Infatti per riuscirci il mago avrà bisogno dell'aiuto della sua confraternita che, per sua stessa ammissione, è composta da gente particolarmente avida ed esosa». La notizia non preoccupò in particolar modo Deudermont perché con ogni probabilità i Signori di Waterdeep gli avrebbero rimborsato le spese; la sua attenzione fu invece attratta soprattutto da quel "ci costerà" utilizzato da Dunkin, che lo lasciò più che mai soddisfatto. «Robillard ha affermato che gli ci sarebbe voluto un po' di tempo per organizzare ogni cosa», concluse intanto Waillan, «ma del resto ci serviranno ancora un paio di settimane per finire le riparazioni, e con l'aiuto di cui disponiamo sarà comunque più facile concluderle qui che a Waterdeep». Deudermont si limitò ad annuire e rimase sollevato quando Pikel si diresse verso di loro, attirando l'attenzione di Waillan e di Dunkin. Il capitano era certo che i dettagli relativi al ritorno del Folletto del Mare si sareb-
bero delineati progressivamente senza problemi perché Robillard era un mago fedele e competente. Ciò che invece lo preoccupava era il fatto che vedeva profilarsi nell'immediato futuro un inevitabile commiato perché con ogni probabilità due amici (tre se si contava anche Guenhwyvar) non avrebbero fatto ritorno sulla nave, o se pure vi fossero tornati non sarebbero rimasti a bordo ancora per molto. 16 L'esca «La Valle del Vento Ghiacciato», affermò Drizzt prima ancora di lasciare con gli altri due la camera in cui avevano effettuato l'evocazione. Cadderly si mostrò sorpreso, mentre nel sentire quelle parole Catti-brie comprese immediatamente cosa Drizzt avesse inteso dire e approvò senza esitazioni la sua linea di ragionamento. «Pensi che quel mostro intenda andare alla ricerca del frammento di cristallo», commentò più a beneficio di Cadderly dato che il fatto non aveva bisogno di una spiegazione. «Se mai dovesse tornare nel nostro mondo Errtu cercherà indubbiamente di impadronirsi di quel manufatto», confermò Drizzt. Pur non sapendo nulla del frammento di cristallo a cui i due si stavano riferendo, Cadderly comprese che essi erano convinti che si trattasse di una cosa importante. «Ne sei certo?», chiese a Drizzt. «Il mio primo incontro con Errtu è avvenuto su una montagna spazzata dal vento della Spina Dorsale del Mondo, in un posto chiamato Picco di Kelvin, nella Valle del Vento Ghiacciato», spiegò Drizzt. «Quel demone si era recato laggiù in risposta all'evocazione del mago che era in possesso di Crenshinibon, il frammento di cristallo, un potentissimo manufatto votato al male». «E dove si trova ora quel manufatto?» volle sapere Cadderly, che appariva d'un tratto molto preoccupato in quanto aveva una certa esperienza nel trattare con oggetti del genere e una volta aveva messo a repentaglio la propria vita e quella di quanti gli erano cari per riuscire a distruggere un manufatto di quel tipo. «È sepolto», rispose Catti-brie. «È rimasto sotto una montagna di rocce e di neve smossa da una valanga verificatasi lungo un fianco del Picco di
Kelvin». Mentre parlava il suo sguardo si era appuntato però non sul prete ma su Drizzt, e la sua espressione rivelò che lei stava cominciando a dubitare della solidità del proprio ragionamento. «Quel manufatto è senziente», le ricordò il drow. «È uno strumento malvagio che non accetterà mai di rimanere relegato in una solitudine di quel genere. Se mai dovesse riuscire a tornare nel nostro mondo Errtu si recherà nella Valle del Vento Ghiacciato alla ricerca di Crenshinibon e non appena arriverà nelle sue vicinanze sarà il manufatto stesso a chiamarlo». «Devi distruggere questo frammento di cristallo», dichiarò Cadderly, annuendo e usando un tono tanto deciso da sorprendere i suoi interlocutori. «È una cosa di primaria importanza». Drizzt non era certo di poter condividere quella scala di priorità, considerato che a quanto pareva suo padre era prigioniero del balor, ma non stentò a ritenersi d'accordo sul fatto che il mondo sarebbe diventato un posto migliore senza la presenza di un oggetto come Crenshinibon. «Come si fa a distruggere un manufatto così potente?» chiese soltanto. «Non lo so. Ogni manufatto ha un modo specifico in cui può essere annientato», replicò Cadderly. «Alcuni anni fa, quando ero giovane, il mio dio mi ha chiesto di distruggere il Ghearafu, un oggetto attivo e malvagio, e ho dovuto cercare... esigere l'aiuto di un grande drago rosso». «Io non conosco nessun drago», commentò in tono asciutto Catti-brie. Drizzt dal canto suo conosceva invece un altro drago rosso, ma preferì tacere al riguardo perché non aveva nessun desiderio di affrontare di nuovo il grande drago chiamato Hepahestus e si stava quindi augurando che Cadderly offrisse loro un'alternativa. «Quando sarai entrato in possesso di quell'oggetto e avrai tolto di mezzo Errtu, porta qui da me quel manufatto», suggerì Cadderly. «Insieme, guidati da Deneir, scopriremo il modo per distruggerlo». «La fai sembrare una cosa molto facile», ribatté Catti-brie, di nuovo con pesante sarcasmo. «Tutt'altro», fu pronto a replicare Cadderly. «Io però sono saldo nella mia fede. Saresti stata più soddisfatta se avessi detto "se" invece di "quando"?» «Ho afferrato il punto», assicurò Catti-brie. Sfoggiando un ampio sorriso Cadderly le passò un braccio intorno alle spalle e Catti-brie non si ritrasse dal suo tocco perché il prete le era effettivamente simpatico e in lui non c'era nulla che la facesse sentire a disagio
tranne forse la noncuranza un po' eccessiva con cui lui affrontava entità potenti come Errtu o il frammento di cristallo. Quella sì che era sicurezza! «Non possiamo scavare fino a tirare fuori il cristallo da sotto quella valanga», osservò la ragazza rivolta a Drizzt. «Con ogni probabilità troverà da solo il modo per emergerne, se non lo ha già fatto», le fece notare Cadderly. «Oppure sarà Errtu a scoprirlo», aggiunse Drizzt. «Quindi dobbiamo tornare nella Valle del Vento Ghiacciato e aspettare?» sbuffò Catti-brie, rendendosi improvvisamente conto della portata del compito che li aspettava. «Dovremo restarcene là seduti a fare da custodi? E per quanti secoli?» Quella prospettiva non piaceva neppure a Drizzt, ma d'altro canto gli pareva evidente quali fossero le sue responsabilità adesso che Errtu era probabilmente libero e comunque il pensiero di poter rivedere Zaknafein gli avrebbe dato la forza necessaria ad affrontare anche secoli di quella schiavitù. «Accetteremo ciò che il fato ci elargirà», rispose quindi a Catti-brie. «Adesso abbiamo davanti a noi una lunga strada, e forse dopo dovremo affrontare un'attesa ancora più lunga». «A Luskan c'è un tempio di Deneir», interloquì Cadderly. «Se non sbaglio quella città è vicina al posto che voi chiamate la Valle del Vento Ghiacciato, giusto?» «È la città più vicina a sud delle montagne», confermò Drizzt. «Io posso farvi arrivare là», si offrì Cadderly. «Insieme, noi tre possiamo viaggiare fino a Luskan sulle ali del vento». Drizzt rifletté per un momento, vagliando quell'offerta. L'estate era già nel suo pieno e senza dubbio molti mercanti stavano transitando da Luskan per raggiungere le Dieci Città e acquistare i preziosi portafortuna di ossa di trota, quindi se Cadderly fosse riuscito a farli arrivare al più presto a Luskan lui e Catti-brie non avrebbero dovuto incontrare difficoltà nell'unirsi a una carovana diretta verso la Valle del Vento Ghiacciato. Nel formulare quelle riflessioni, Drizzt si rese poi conto dell'esistenza di un altro ostacolo. «Che ne sarà dei nostri amici?» chiese. Catti-brie e Cadderly si guardarono a vicenda, d'un tratto consapevoli che tutti quegli eventi li avevano quasi indotti a dimenticare Deudermont, il Folletto del Mare e il fatto che la nave fosse bloccata nel lago. «Non posso trasportare tante persone», ammise Cadderly, «e di certo
non posso spostare una nave!» «Noi però dobbiamo andare», ribadì Drizzt dopo un momento di riflessione, rivolto a Catti-brie. «Senza dubbio Deudermont troverà molto piacevole la navigazione sul lago», commentò lei con sarcasmo. «Niente pirati a cui dare la caccia e una superficie d'acqua tanto vasta che se dovesse spiegare tutte le vele si troverebbe con la nave in secca nel bel mezzo di un bosco!» Sotto il peso di quelle parole dure ma schiette, Drizzt parve accasciarsi. «Andiamo a cercare il capitano», suggerì infine. «Forse dovremmo recuperare Harkle Harpell: è stato lui a far finire il Folletto del Mare nel Lago Impresk e adesso dovrebbe essere lui a riportarlo dov'è il suo posto». Catti-brie accolse quelle parole borbottando qualcosa in tono troppo basso perché perfino Drizzt potesse decifrare ciò che aveva detto, ma ben sapendo quale opinione lei avesse dell'Harpell non faticò a immaginare il senso delle sue parole. I tre trovarono Deudermont, Waillan e Dunkin seduti in compagnia di Ivan e di Pikel lungo il vialetto che si snodava dalle porte anteriori del tempio; quando li raggiunsero, Deudermont li informò del ritorno di Robillard e del piano del mago per riportarli a Waterdeep, cosa che destò un notevole sollievo in Drizzt e in Catti-brie. Quanto a Deudermont. poiché li conosceva molto bene, nel notare lo sguardo che essi si scambiarono nell'apprendere la notizia comprese subito cosa stava succedendo. «Avete intenzione di lasciarci», disse. «Non potete aspettare le due o tre settimane che dovranno trascorrere prima che Robillard possa provvedere al nostro ritorno». «Cadderly ci può trasportare fino a Luskan», rispose Drizzt. «In meno di due o tre settimane spero di aver già raggiunto le Dieci Città». Quella notizia gettò un'ombra sull'atmosfera precedentemente spensierata che aveva accompagnato la conversazione e perfino Pikel, che quasi non sapeva di cosa si stesse parlando, si lasciò sfuggire un desolato e prolungato gemito di avvilimento. Deudermont dal canto suo cercò di trovare un'alternativa a quella soluzione ma alla fine dovette arrendersi all'inevitabile. Il suo posto era con il Folletto del Mare mentre il genere di posta in gioco non stava lasciando a Drizzt e a Catti-brie altra scelta se non quella di obbedire alle parole della veggente cieca; inoltre a Deudermont non era sfuggita la loro espressione quando Ivan li aveva messi al corrente del fatto che Bruenor aveva lasciato Mithril Hall, probabilmente diretto verso quella che era adesso anche la
loro destinazione, e cioè le Dieci Città e poi la Valle del Vento Ghiacciato. «Se riusciremo a tornare lungo la Costa delle Spade prima che sopraggiunga l'inverno, forse spingerò il Folletto del Mare fino al Mare del Ghiaccio Mobile», commentò, scegliendo questo modo per congedarsi dagli amici. «Mi piacerebbe visitare la Valle del Vento Ghiacciato». «La mia patria», precisò Drizzt in tono solenne. Catti-brie dal canto suo preferì tacere e rivolgere un semplice cenno del capo a Drizzt e a Deudermont perché gli addii la mettevano a disagio e sapeva che ciò che stavano facendo era esattamente questo: dirsi addio. Per loro era infatti arrivato il momento di tornare a casa. 17 Il sapore del potere Stumpet Unghie-imbellettate stava avanzando a fatica in mezzo alla neve lungo un fianco del Picco di Kelvin pur sapendo che si trattava di una cosa rischiosa perché il disgelo era in pieno corso nella Valle del Vento Ghiacciato e la montagna non era tanto alta da garantire che la sua temperatura rimanesse al di sotto dello zero; mentre camminava poteva infatti sentire l'umidità filtrare attraverso la spessa suola di cuoio degli stivali e più di una volta le capitò di udire il rombo della neve che si smuoveva. Cocciuta, continuò però la marcia, eccitata da quel potenziale pericolo e dalla consapevolezza che l'intero pendio si sarebbe potuto smuovere senza preavviso in quanto le valanghe erano un evento comune e frequente sul Picco di Kelvin, dove il disgelo arrivava improvviso e rapido. Nel proseguire l'ascesa Stumpet si sentì una vera avventuriera, intenta a percorrere una pista che per quel che ne sapeva nessuno aveva più calpestato da molti anni. Per sua sfortuna lei sapeva ben poco della storia di quella regione perché si era recata a Mithril Hall insieme a Dagma e alle migliaia di abitanti della Cittadella di Adhor ed era stata troppo impegnata a lavorare nelle miniere per prestare attenzione alle storie che i membri del Clan Battlehammer narravano in merito alla Valle del Vento Ghiacciato. Di conseguenza lei non conosceva la storia della valanga più famosa che si fosse verificata su quella montagna, non sapeva che Drizzt e Akar Kessel avevano impegnato la loro ultima battaglia proprio lassù prima che il terreno cedesse sotto di loro, seppellendo Kessel. Fermandosi, Stumpet prelevò da una sacca un pezzetto di lardo e dopo
aver pronunciato un piccolo incantesimo se lo passò sulle labbra, attivando una magia che l'aiutasse a tenere a bada il freddo perché, anche se in pianura l'estate stava sopraggiungendo in fretta, lassù il vento era ancora freddo e lei era bagnata. Mentre finiva l'incantesimo le giunse all'orecchio un altro rombo che la indusse a sollevare lo sguardo verso la vetta della montagna, distante ancora una sessantina di metri, e per la prima volta si chiese se sarebbe davvero riuscita a raggiungerla. Senza dubbio il Picco di Kelvin non era una grande montagna, tanto che se si fosse trovato nelle vicinanze di Adbar, il luogo in cui lei era nata, o nei paraggi di Mithril Hall non sarebbe neppure stato definito una montagna e sarebbe stato considerato soltanto una collina, trecento metri di rocce ammucchiate. Situato là nel cuore della piatta distesa della tundra il Picco sembrava però una vera montagna e Stumpet Unghie-imbellettate era una nana per la quale lo scopo primario di qualsiasi montagna era costituito dalla sfida che scalarla poteva rappresentare. Stumpet sapeva che avrebbe dovuto aspettare la tarda estate, quando sul Picco di Kelvin era rimasta ben poca neve e il terreno risultava più accessibile, ma la pazienza non era mai stata il suo forte e comunque quella montagnetta non avrebbe costituito una sfida degna di questo nome una volta priva della sua pericolosa coltre di neve instabile. «Bada a non cadermi addosso e a non trascinarmi di nuovo fino a valle», ingiunse rivolta alla montagna. Nel parlare usò però un tono di voce troppo alto che, quasi a titolo di risposta, strappò alla montagna un cupo gemito in seguito al quale lei si trovò all'improvviso a scivolare all'indietro. «Oh, dannazione a te!» imprecò, afferrando il grosso piccone e guardandosi intorno alla ricerca di un appiglio. Un momento più tardi cominciò a rotolare all'indietro ma riuscì comunque a dirigere i propri movimenti quanto bastava per schivare una roccia sporgente e piantare saldamente il piccone accanto a essa; subito i muscoli le si tesero dolorosamente sotto l'impatto della neve che le rovinava addosso ma essa non era troppo profonda e la violenza della valanga era moderata. Di lì a poco tornò a regnare il silenzio, tranne per qualche lontana eco, e finalmente Stumpet si poté liberare dalla gigantesca palla di neve in cui lei e la roccia che le faceva da appiglio erano state trasformate. E fu in quel momento che il suo sguardo si posò su uno strano frammento di ghiaccio che giaceva sul terreno ora nudo. Liberatasi dalla neve, la nana per un po' si disinteressò di quell'oggetto di forma strana perché in-
nanzitutto procedette a portarsi su un tratto di terreno esposto e a ripulirsi come meglio poteva della neve che aveva addosso prima che essa si sciogliesse e le inzuppasse ulteriormente i vestiti già fradici. Il suo sguardo continuò però a posarsi sul cristallo. Il suo aspetto non era nulla di straordinario, sembrava un comune pezzo di ghiaccio, e tuttavia lei non riusciva a liberarsi dell'istintiva convinzione che si trattasse di qualcosa di più. Per qualche momento ancora riuscì a tenere a bada gli impulsi assurdi che la stavano assalendo e a concentrarsi sul compito di prepararsi a riprendere l'ascesa, ma il pezzo di cristallo continuò a chiamarla a un livello che si trovava appena al di sotto della sua sfera cosciente, incitandola a raccoglierlo. Prima ancora di rendersi conto di quello che stava facendo, Stumpet si ritrovò con quello strano frammento in mano e si rese subito conto che non poteva essere ghiaccio perché era caldo al tocco ed emanava una sensazione strana e confortevole; un esame più attento rivelò quello che sembrava un ghiacciolo dai Iati squadrati e lungo appena una trentina di centimetri: sempre più incuriosita, Stumpet si tolse i guanti e lo tastò a dita nude, ottenendo così la conferma che si trattava di cristallo perché quello strano oggetto caldo non aveva la consistenza del ghiaccio. Chiudendo gli occhi, si concentrò allora sul proprio senso del tatto per cercare di determinare la temperatura effettiva dell'oggetto. «Deve trattarsi del mio incantesimo», si disse quindi, ritenendo di aver trovato la risposta a quel mistero, poi procedette a cantilenare un'altra formula per annullare la magia che aveva appena evocato per tenere a bada il freddo ma nonostante questo il frammento continuò a risultare caldo e quando lei sfregò le mani su di esso scoprì che il senso di calore le si stava diffondendo in tutto il corpo per arrivare fino ai piedi umidi. Grattandosi il mento ispido di barba, Stumpet si guardò intorno per vedere se la valanga avesse portato alla luce qualche altra cosa; adesso infatti stava ragionando con chiarezza e voleva fare luce su quel mistero imprevisto, ma tutto ciò che vide fu l'insieme di roccia grigia e marrone che costituiva il Picco di Kelvin. Questo non servì peraltro a ridurre i suoi sospetti e ancora una volta tornò a sollevare il cristallo per osservare i giochi creati dalla luce del sole nelle sue profondità. «Devi essere una protezione magica contro il freddo», rifletté ad alta voce. «Probabilmente qualche mercante ti ha portato fin nella valle e poi deve essere salito quassù, forse per cercare qualche tesoro o forse soltanto
per potersi dare meglio un'occhiata intorno, convinto che lo avresti protetto. E in effetti tu lo hai protetto dal freddo, ma non dalla valanga che deve averlo sepolto!» Convinta di aver finalmente dedotto l'origine di quell'oggetto, Stumpet si ritenne fortunata di aver trovato una cosa tanto utile in un'area vuota e desolata come il Picco di Kelvin, e nel guardare verso sud, dove le alte vette della Spina Dorsale del Mondo spiccavano ammantate di nevi perenni e di una coltre di nebbia, si sorprese di colpo a pensare a dove quel cristallo avrebbe potuto condurla. Quale montagna sarebbe stata per lei un ostacolo insormontabile, adesso che godeva di una simile protezione? Avrebbe potuto scalarle tutte in un singolo viaggio e il suo nome sarebbe poi stato riverito e onorato fra i nani! Stumpet non era consapevole che il cristallo Crenshinibon, quel manufatto senziente e insidioso, si era già messo all'opera e le stava sussurrando sottili promesse facendo leva sui suoi desideri più nascosti. Crenshinibon era consapevole che la persona entrata in suo possesso apparteneva al popolo dei nani ed era per di più una sacerdotessa della sua razza, e non ne era affatto contento perché i nani erano soggetti cocciuti e difficili da trattare oltre a essere resistenti alla magia; d'altro canto il manufatto malvagio era comunque lieto di essersi liberato dalla neve e che qualcuno avesse finalmente fatto ritorno al Picco di Kelvin per portarlo via da lì. Adesso era sul punto di tornare di nuovo nel regno dei viventi, là dove poteva creare la massima devastazione. *
*
*
Kierstaad stava procedendo furtivo lungo le gallerie, regolando il proprio passo con il ritmato echeggiare dei martelli dei nani. Quel luogo angusto non era un posto dove chi, come lui, era abituato ad avere le stelle come soffitto potesse trovarsi a proprio agio e la sua alta statura a tratti lo obbligava a inginocchiarsi per poter oltrepassare le volte più basse, ma era deciso a proseguire. Sentendo un rumore di passi, Kierstaad si arrestò prima di una svolta e si appiattì il più possibile contro la parete perché, anche se era disarmato, dubitava che sarebbe stato accolto cordialmente nelle miniere dei nani dopo lo spiacevole incontro fra Bruenor e Berkthgar. Revjak, il padre di Kierstaad, era riuscito ad appianare in certa misura le cose accogliendo con calore il ritorno di Bruenor ma anche fra loro la tensione era risultata evi-
dente perché Berkthgar e i suoi seguaci stavano sottoponendo Revjak a una crescente pressione per costringerlo a tornare in modo completo alle antiche usanze che comportavano di diffidare di chiunque non appartenesse alla tribù e Revjak era abbastanza saggio da rendersi conto che se si fosse opposto in maniera troppo aperta a Berkthgar a quel riguardo avrebbe rischiato di perdere del tutto il controllo della tribù. Anche Kierstaad se ne era reso conto e questo aveva generato in lui sentimenti contrastanti. Da un lato infatti continuava a essere fedele a suo padre e a considerare i nani suoi amici, ma d'altro canto non poteva negare che le argomentazioni di Berkthgar suonavano convincenti. Le antiche usanze, la caccia sulla tundra e le preghiere rivolte allo spirito degli animali uccisi, gli sembravano un modo di vivere semplice e gradevole dopo aver trascorso gli anni più recenti della sua vita a trattare con avidi mercanti o a combattere contro gli elfi scuri. I nani che si stavano avvicinando alla sua posizione svoltarono all'incrocio senza accorgersi di lui e il giovane barbaro emise un respiro di sollievo nel concedersi un momento di pausa per orientarsi e cercare di ricordare quali gallerie avesse già percorso e dove a suo parere doveva trovarsi l'alloggio personale di Bruenor. Quel giorno molti nani si trovavano lontano dalle miniere perché si erano recati a Bryn Shander per prelevare le scorte di provviste acquistate da Bruenor, e quelli rimasti erano nelle gallerie più profonde, impegnati ad aprire nuove vene di minerali preziosi. Per questo motivo Kierstaad non fece altri incontri quando si rimise in cammino, tornando spesso sui propri passi per aver sbagliato strada e finendo più di una volta per girare in cerchio. Alla fine arrivò in un piccolo corridoio cieco che aveva due porte su ciascun lato e una in fondo. La prima stanza risultò assai poco conforme al modo di vivere dei nani: nel notare i folti tappeti e il letto su cui era ammucchiato uno spesso strato di materassi e uno ancora più spesso di calde trapunte, Kierstaad non ebbe difficoltà a indovinare a chi appartenesse quella camera. «Regis», mormorò con una risatina trattenuta, annuendo fra sé nel pronunciare quel nome. Teoricamente, l'halfling era l'incarnazione di tutto ciò che il popolo barbaro disprezzava, in quanto era pigro, grasso, ingordo e soprattutto infido, e tuttavia Kierstaad (e come lui molti altri barbari) si erano sentiti affiorare sulle labbra un ampio sorriso ogni volta che Regis era entrato in Settlestone con la sua andatura sobbalzante. Regis era il solo halfling che il giovane avesse mai conosciuto, ma se essi somigliavano tutti a quel "Grassone"
(soprannome che molti usavano per riferirsi a lui) allora gli sarebbe piaciuto conoscerne parecchi altri, come rifletté nel richiudere in silenzio la porta dopo aver contemplato un'ultima volta il mucchio di materassi con un sogghigno divertito dovuto al fatto che Regis spesso si vantava di potersi trovare a proprio agio in qualsiasi luogo e in qualsiasi situazione. Cosa di cui lui francamente dubitava. Le altre due stanze che si aprivano sul corridoio risultarono entrambe prive di occupanti e arredate ciascuna con un letto che per dimensioni era più adatto a un umano che a un nano, un'altra cosa che Kierstaad non faticò a comprendere perché la speranza nutrita da Bruenor che un giorno Drizzt e Catti-brie facessero ritorno al suo fianco non era un segreto per nessuno. L'estremità del corridoio era una sorta di salotto, quindi questo lasciava una sola porta, quella che doveva dare accesso all'alloggio del re dei nani. Nell'avanzare verso di essa Kierstaad procedette con estrema lentezza e quasi con esitazione, timoroso che potesse essere stata piazzata qualche astuta trappola a protezione della soglia. Quando però socchiuse la porta di un'ampia fessura senza che gli si aprisse una fossa sotto i piedi o che gli cadesse un masso sulla testa dal soffitto, il giovane acquistò maggiore sicurezza e infine spalancò il battente. Quella doveva indubbiamente essere la camera di Bruenor: una quantità di pergamene era sparsa su una scrivania di legno situata di fronte alla porta, da un lato c'era un mucchio di indumenti di ricambio alto quasi quanto lo stesso Kierstaad e il letto sfatto era un ammasso informe di lenzuola e di cuscini. Kierstaad però quasi non notò nulla di quei particolari perché, nel momento stesso in cui la porta si aprì, il suo sguardo si appuntò su un singolo oggetto appeso alla parete sopra la testata del letto di Bruenor. Aegis-fang, il martello da guerra di Wulfgar. Trattenendo il respiro, Kierstaad attraversò la piccola stanza e si andò ad arrestare accanto alla possente arma, contemplando le splendide rune incise nella scintillante lama di Mithril e raffiguranti le montagne gemelle simbolo di Dumathoin, dio dei nani e custode dei segreti. Guardando con maggiore attenzione, Kierstaad distinse poi un'altra runa incisa sotto le montagne gemelle e da esse quasi nascosta in una sovrapposizione così perfetta da rendere impossibile discernere di cosa si trattasse. Il giovane conosceva però la leggenda di Aegis-fang e sapeva che, da un lato, le rune nascoste erano i simboli di Moradin, il Forgiatore di Anime, il più grande
dio dei nani, e dall'altro dell'ascia di Clangeddin, dio della guerra dei nani. Kierstaad rimase a lungo immobile a contemplare la splendida arma, ripensando alla leggenda di Wulfgar, a Berkthgar e Revjak, chiedendosi in che modo lui potesse inserirsi in quel contesto e quale ruolo avrebbe potuto svolgere se si fosse giunti a un aperto conflitto fra colui che era stato il capo a Settlestone e l'attuale sovrano della Tribù degli Alci. La sola cosa che sapeva era che il suo ruolo avrebbe potuto essere molto più importante se avesse avuto in pugno Aegis-fang. Senza neppure soffermarsi a riflettere, si protese d'impulso e afferrò il martello da guerra, sollevandolo dai ganci a cui era fissato. Quanto era pesante! Con uno sforzo notevole Kierstaad lo accostò a sé e poi lo sollevò sopra la testa. A causa della bassa volta l'arma andò a sbattere contro il soffitto e per poco il giovane non cadde da un lato quando essa rimbalzò in un arco troppo ampio per permettergli di controllarne adeguatamente la spinta; ritrovato l'equilibrio, Kierstaad rise di se stesso e della propria stoltezza: come poteva infatti sperare di poter brandire il possente Aegis-fang? Come poteva sperare di seguire le orme gigantesche lasciate dal grande Wulfgar? Accostatosi di nuovo al petto il favoloso martello da guerra lo strinse con reverenza fra le braccia, avvertendone la forza e il bilanciamento perfetto, e riuscendo quasi a percepire anche la presenza dell'uomo che lo aveva impugnato per tanto tempo e con tanta abilità. Lui desiderava essere come Wulfgar, desiderava poter guidare la tribù secondo il proprio modo di vedere che non collimava con quello di Wulfgar più di quanto coincidesse con quello di Berkthgar ma occupava un posto intermedio e costituiva un compromesso che avrebbe potuto elargire ai barbari la libertà offerta dalle antiche usanze e le alleanze garantite da quelle nuove. Kierstaad sentiva che se avesse avuto Aegis-fang in pugno avrebbe potuto riuscire in quell'impresa e assumere il controllo del suo popolo per guidarlo lungo la strada più giusta. Scuotendo il capo, il giovane barbaro rise nuovamente di se stesso e dei propri sogni: dopo tutto, lui era poco più che un ragazzo e Aegis-fang non gli apparteneva. Quel pensiero lo indusse infine a girarsi per lanciare un'occhiata in direzione della porta aperta, consapevole che se fosse tornato nel suo alloggio e lo avesse trovato là con in mano il martello da guerra, probabilmente Bruenor lo avrebbe tagliato in due. Rimettere a posto il martello sui suoi ganci non fu una cosa facile e ancora più difficile fu uscire dalla camera, ma Kierstaad sapeva di non avere
alternative. A mani vuote, silenzioso e cauto, ripercorse le gallerie fino a tornare sotto il cielo aperto e coprì a passo di corsa tutta la distanza che lo separava dall'accampamento della tribù, distante circa cinque miglia. *
*
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Stumpet si protese il più possibile, spingendo di lato la neve con le tozze dita e aggrappandosi disperatamente alla roccia per riuscire a superare quell'ultima sporgenza, dopo di che sarebbe arrivata alla sommità del picco. Gemendo per lo sforzo, si rese poi conto che quello era un ostacolo insormontabile, che lei aveva preteso di valicare i propri limiti e che adesso era senza dubbio condannata a precipitare per circa trecento metri, andando incontro alla morte. In qualche modo riuscì però a trovare le forze necessarie. Le sue dita incontrarono un appiglio sicuro e lei tirò più che poteva, scalciando contro la roccia fino a riuscire a issarsi sulla piatta superficie di roccia che costituiva la vetta della più alta montagna del mondo. Orgogliosa, si erse sulla persona nel contemplare da quel punto tanto elevato il panorama che si allargava sotto di lei, il mondo che aveva conquistato, e fu allora che notò la folla composta dalle migliaia dei suoi seguaci barbuti che riempiva tutte le valli e tutte le piste, impegnata ad applaudirla e a inchinarsi davanti a lei. Stumpet si svegliò madida di sudore e impiegò parecchi momenti a orientarsi e a rendersi conto di essere nella sua piccola stanza, nelle miniere dei nani nella Valle del Vento Ghiacciato, poi si concesse un accenno di sorriso nel ricordare il sogno che aveva fatto, l'ultimo impeto mozzafiato che le aveva permesso di arrivare sulla vetta. Il suo sorriso cedette però il posto a un'espressione confusa quando lei vagliò l'immagine successiva, quella dei nani che l'applaudivano. «Perché mai avrò sognato una cosa del genere?» si chiese ad alta voce, ben sapendo che ciò che la portava a scalare una montagna non era mai una ricerca di gloria ma la soddisfazione personale che le derivava dall'aver conquistato una nuova vetta. Non le importava di quello che gli altri potevano pensare della sua abilità di scalatrice e di rado diceva a qualcuno dove fosse diretta, dove fosse stata o se la sua ascesa era stata o meno un successo. Asciugandosi la fronte sudata si lasciò ricadere sul duro materasso con
le immagini del sogno ancora molto nitide nella mente... ma si era trattato di un sogno o di un incubo? Stava forse mentendo a se stessa in merito al motivo che la spingeva a compiere quelle scalate? Possibile che ci fosse una certa misura di soddisfazione personale, una certa dose di superiorità in ciò che provava nel conquistare una montagna? E se era davvero così, era possibile che quel sentimento di superiorità si estendesse non solo alla montagna in questione ma anche agli altri nani? Quell'interrogativo continuò a tormentare la sacerdotessa abitualmente imperturbabile e di animo umile e alla fine lei si augurò semplicemente che quelle supposizioni non fossero vere perché era convinta che la sua natura interiore, il suo vero io, non potesse essere tanto meschino. Dopo essersi girata e rigirata a lungo, finalmente riuscì a riprendere sonno. *
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Nel corso di quella lunga notte il riposo di Stumpet non venne turbato da altri sogni. Riposto in una piccola cassapanca ai piedi del letto della sacerdotessa, Crenshinibon aveva infatti avvertito lo sgomento di Stumpet e si era reso conto che doveva essere cauto nel somministrarle quel genere di sogni perché quella nana non era una persona facile da ammaliare e non era possibile immaginare il tipo di tesoro la cui promessa avrebbe potuto indebolirne la volontà. Senza quel genere di insidiose promesse il cristallo non poteva ottenere nessun appiglio sulla sacerdotessa, ma se avesse agito in maniera più palese e imperiosa avrebbe svelato a Stumpet le proprie origini e il proprio scopo mentre non era certo sua intenzione destare i sospetti di una persona che avrebbe potuto invocare i poteri degli dei buoni e forse addirittura scoprire il segreto di come distruggerlo. Di conseguenza il cristallo si trattenne dall'emanare la propria magia e mantenne chiusi nei propri contorni squadrati i suoi pensieri senzienti, ormai consapevole che la sua lunga attesa non poteva considerarsi conclusa almeno finché fosse rimasto in possesso di Stumpet. PARTE 4 LA VALLE DEL VENTO GHIACCIATO Ricordo molto bene quella volta in cui sono tornato a Menzoberranzan,
la città della mia nascita e della mia infanzia. Mi trovavo su una zattera in navigazione sul lago di Donigarten quando la città è apparsa all'orizzonte, una vista che avevo temuto e insieme desiderato di poter contemplare di nuovo. Non avevo mai avuto davvero intenzione di tornare a Menzoberranzan e tuttavia non avevo potuto fare a meno di chiedermi cosa avrei provato se vi avessi fatto ritorno e se quel luogo era davvero sgradevole quanto io ricordavo che fosse. Rammento molto bene il momento in cui la zattera ha oltrepassato la parete ricurva della caverna e il mio sguardo si è posato sulle stalagmiti scolpite. È stata una delusione. Infatti non ho provato né ira né meraviglia, non c'era nessun senso di nostalgia, vero o falso che fosse, che si riversasse su di me e nella mia mente non stavano affiorando memorie legate alla mia fanciullezza, neppure quelle relative ai momenti sereni passati con Zaknafein. Tutto ciò a cui sono riuscito a pensare in quel momento critico è stato il fatto che in città c'erano delle luci accese, un evento insolito e forse significativo, e la mia sola preoccupazione è stata quella relativa all'esito della mia missione d'importanza vitale e al fatto che per poterla portare a termine mi dovevo muovere in fretta; le mie paure, che pure sussistevano sempre, erano di natura puramente razionale, non avevano nulla a che fare con i timori impulsivi e irrazionali che possono derivare dai ricordi infantili ed erano generate dall'ansia estremamente concreta dovuta alla consapevolezza che mi stavo addentrando nel covo di un potente nemico. In seguito, quando infine la situazione me lo ha permesso, mi sono soffermato a riflettere su quel momento, confuso dal fatto che esso fosse stato tanto deludente e insignificante. Perché non ero rimasto sopraffatto dalla vista della città che era stata la mia casa per tre decenni della mia vita? È stato soltanto nell'oltrepassare la curva nordoccidentale della catena montuosa della Spina Dorsale del Mondo per addentrarmi di nuovo nella Valle del Vento Ghiacciato che infine ho compreso la verità: Menzoberranzan era stata soltanto una tappa del mio viaggio personale ma non una casa, questo non lo era mai stata. Come la veggente cieca aveva sottinteso nei suoi versi, la Valle del Vento Ghiacciato era stata la mia prima patria e tutto ciò che c'era stato in precedenza, tutto ciò che mi aveva portato fino a quel luogo inospitale spazzato dal vento, da Menzoberranzan a Bingdenstone e infine alla superficie e al bosco incantato dove avevo incontrato il guardaboschi che era stato il mio mentore, Montolio De Brouchee, tutto era stato soltanto una strada, un sentiero da percorrere.
Tutte queste verità mi sono risultate evidenti quando ho oltrepassato la curva di quella montagna e mi sono trovato davanti la distesa della valle per la prima volta da dieci anni, avvertendo di nuovo sul volto il suo vento incessante, lo stesso che vi era sempre esistito e che conferiva alla valle il suo nome. Casa è una parola complicata che ha per ogni singola persona una quantità di definizioni differenti. Per me, casa non è soltanto un luogo ma è piuttosto una sensazione di controllo, calda e confortante. Casa è dove non devo accampare giustificazioni per le mie azioni o per il colore della mia pelle, dove devo essere accettato perché quello è il mio posto di appartenenza, è un dominio al tempo stesso personale e condiviso perché è il luogo a cui una persona appartiene più profondamente, reso però tale dalla presenza degli amici che la frequentano. Al contrario di quanto era accaduto quando avevo rivisto per la prima volta Menzoberranzan dopo tanto tempo, nel momento stesso in cui il mio sguardo si è posato sulla Valle del Vento Ghiacciato mi sono sentito assalire da pensieri inerenti al passato vissuto in quel luogo, immagini di quando ero solito sedere su uno dei pendii del Picco di Kelvin per osservare le stelle e i fuochi delle erranti tribù barbariche, dei miei combattimenti contro gli yeti della tundra al fianco di Bruenor. In quell'istante ho ricordato l'acida espressione assunta dal nano quando aveva provato a leccare la lama della sua ascia e aveva scoperto che il cervello di uno yeti della tundra aveva un sapore orribile, ho rammentato il mio primo incontro con Catti-brie, che continua a essermi compagna e che a quell'epoca era appena una ragazzina, uno spirito fiducioso e splendido, di natura selvaggia e tuttavia sensibile. Ho ricordato tantissime cose, una vera e propria inondazione di immagini, e anche se in quel momento la mia missione non era meno pressante e vitale di quella che mi aveva condotto a Menzoberranzan non ho neppure pensato a essa o a ciò che avrebbe comportato. In quel momento tutto il resto ha semplicemente cessato di avere importanza perché la sola cosa che mi interessasse era il fatto che ero tornato a casa. Drizzt Do'Urden 18
Sulle ali del vento Drizzt e Catti-brie accompagnarono Deudermont, Waillan e Dunkin fino a Carradoon per accomiatarsi dagli uomini dell'equipaggio, amici al cui fianco avevano lavorato per oltre cinque anni. Per quanto impaziente e desideroso di non ritardare più del necessario il proprio viaggio fino alla Valle del Vento Ghiacciato, Drizzt era consapevole che questa breve digressione era importante, un necessario quanto affettuoso commiato accompagnato dalla promessa di rivedersi un giorno. Quella notte i due amici (anche se più tardi Drizzt provvide ad evocare Guenhwyvar) cenarono in privato con Deudermont e Robillard, che si mostrò più animato e cordiale del solito e arrivò a promettere di utilizzare la sua magia per farli tornare in un momento al Fremente Mistero e accelerare così il loro viaggio. «Cosa c'è?» chiese poi il mago, nel vedere gli altri tre scambiarsi un'occhiata e un sorriso divertito mentre formulavano tutti e tre lo stesso pensiero. Nelle ultime settimane Robillard era cambiato, soprattutto dopo l'assurda gara di magia sostenuta sulla spiaggia di Caerwitch ed era innegabile che l'allegra spensieratezza di Harkle Harpell avesse finito per contagiarlo. «Allora, cosa c'è?» chiese di nuovo Robillard con maggior vigore. «Ad Harkle Harpell», replicò il capitano Deudermont con una risata, sollevando in un brindisi il bicchiere pieno di vino, «e a tutto ciò che di buono si è lasciato alle spalle!» Robillard reagì sbuffando, pronto a ricordare agli altri che il Folletto del Mare era bloccato in un lago a centinaia di miglia dalla Costa delle Spade, ma nel vagliare il persistere del sorriso divertito che aleggiava sul volto dei suoi compagni si rese infine conto di quale fosse stato l'effettivo significato del brindisi di Deudermont e di come esso avesse riguardato lui in modo particolare. Il suo primo istinto fu quello di levare un grido di protesta e magari perfino di ritirare la propria offerta di far tornare magicamente Drizzt e Cattibrie alla cattedrale, ma poi lui fu infine costretto ad ammettere con se stesso che gli altri avevano ragione e levò a sua volta in alto il bicchiere, partecipando al brindisi senza replicare ma pensando che forse si sarebbe recato al famoso Maniero dell'Edera per fare visita al suo eccentrico amico. Per Drizzt, Catti-brie e Deudermont fu difficile accomiatarsi; fra gli abbracci si promisero a vicenda che si sarebbero incontrati di nuovo, ma nel
profondo del loro animo tutti e tre erano consapevoli della pericolosità del compito che attendeva Drizzt e Catti-brie, così come erano consapevoli della possibilità estremamente concreta che nessuno dei due lasciasse vivo la Valle del Vento Ghiacciato. Lo sapevano, ma nessuno dei tre accennò minimamente a quella possibilità e tutti preferirono comportarsi come se quella che stavano vivendo fosse soltanto una breve e passeggera separazione. *
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Venti minuti più tardi Drizzt e Catti-brie erano di nuovo al Fremente Mistero, dove Robillard si accomiatò a sua volta da loro per poi sparire in un bagliore di energia magica. Al loro arrivo i due trovarono Ivan, Pikel e Danica ad accoglierli. «Cadderly si sta preparando», li informò il robusto nano dalla barba gialla. «Sapete, adesso che è vecchio gli ci vuole più tempo!» «Hee, hee, hee!» ridacchiò Pikel, in sottofondo. Danica finse di protestare, ma Catti-brie si accorse che in realtà era contenta che i nani continuassero a scherzare sull'età avanzata di Cadderly perché essi non lo facevano per malizia ma spinti dalla speranza in quanto erano convinti che il prete si stesse facendo progressivamente più forte e addirittura più giovane. «Vieni con me», disse infine Danica a Catti-brie. «Non ci resta molto tempo da passare insieme... da sole», ammonì quindi, scoccando un'acida occhiata a Ivan e a Pikel che già stavano accennando a seguirle. «Ooooo», gemette Pikel. «Si comporta sempre così?» chiese Drizzt a Ivan, che sospirò e annuì. «Pensi di avere a disposizione abbastanza tempo da potermi raccontare qualcosa su Mithril Hall?» chiese quindi il nano. «Ho sentito parlare di Menzoberranzan ma non riesco a credere a quello che mi hanno detto». «Farò del mio meglio», replicò Drizzt, «ma ti avverto che effettivamente ti riuscirà difficile credere a molte delle cose splendide che ti descriverò». «E cosa puoi dirmi di Bruenor?» aggiunse Ivan. «Beeello!» esclamò Pikel, eccitato, e Ivan si affrettò a metterlo a tacere assestandogli un colpo sulla testa. «Noi verremmo volentieri con te, elfo», spiegò poi, «ma in questo momento abbiamo degli incarichi da assolvere qui perché io mi devo occupare dei gemelli e mio fratello dei giardini».
Nel menzionare il fratello Ivan si girò verso di lui come se si aspettasse un altro stupido commento e in effetti Pikel parve sul punto di dire qualcosa, ma poi scelse invece di mettersi a fischiettare. Ivan tornò allora a voltarsi verso Drizzt, che nel frattempo era stato costretto a mordersi un labbro per non scoppiare a ridere quando nel guardare oltre il nano dalla barba gialla vide che Pikel si era infilato i pollici negli orecchi e stava agitando le dita nel fare le smorfie alle spalle del fratello. L'istante successivo Ivan ruotò di scatto su se stesso ma vide soltanto Pikel fermo, tranquillo e intento a fischiettare, una scena che si ripeté altre tre volte prima che infine Ivan si decidesse ad arrendersi. Pur conoscendo quei nani da appena due giorni, Drizzt li stava trovando molto divertenti e suo malgrado non poté trattenersi dall'immaginare quanto avrebbero fatto divertire anche Bruenor se mai avessero avuto modo di incontrarlo. *
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Per Danica e Catti-brie quell'ultima ora trascorsa insieme fu molto più seria e controllata. Recatesi nell'alloggio privato di Cadderly, un complesso di cinque stanze sul fondo della grande struttura, trovarono l'anziano prete nella camera da letto, intento a pregare e a prepararsi, e si spostarono in un'altra camera per lasciarlo tranquillo. In un primo tempo la loro conversazione si mantenne su argomenti di carattere generale e Catti-brie parlò del suo passato, di come fosse rimasta orfana molto giovane e fosse stata adottata da Bruenor, crescendo così in mezzo ai nani del Clan Battlehammer; Danica le raccontò invece del suo addestramento e dell'istruzione ricevuta per opera del Granmaestro Penpagh D'Ahn, spiegando di essere una sacerdotessa e una guerriera disciplinata, e ciò la rendeva simile a Catti-brie. Pur non essendo abituata ad avere a che fare con donne della sua stessa età e di formazione mentale simile alla sua, Catti-brie scoprì che la cosa le piaceva e che si trovava a suo agio con Danica, tanto da non faticare a immaginare che fra loro sarebbe potuta nascere una grande amicizia se il tempo e la situazione lo avessero permesso; d'altro canto, anche Danica era nelle sue stesse condizioni e condivideva il suo stato d'animo, perché la sua vita non era stata meno difficile e anche lei aveva avuto pochissimi contatti con altre donne della sua età. Per un po' le due donne parlarono del passato e alla fine affrontarono il
presente e le loro speranze per il futuro. «Lo ami?» osò chiedere Danica, riferendosi all'elfo scuro. Catti-brie arrossì e non seppe cosa rispondere. Senza dubbio provava dell'affetto per Drizzt, ma non si trattava del genere di amore di cui Danica stava parlando; fin dal principio lei e Drizzt avevano deciso di comune accordo di non affrontare quel problema, ma adesso che Wulfgar era scomparso da tanti anni e che Catti-brie si avvicinava ormai ai trent'anni, l'interrogativo stava ricominciando ad affiorare in superficie. «È un uomo avvenente», commentò ancora Danica, ridendo come una ragazzina. In effetti anche Catti-brie si stava sentendo di nuovo una ragazzina nel rilassarsi contro la spalliera dell'ampio divano del salotto di Danica. Era come tornare adolescente ed era piacevole poter pensare all'amore e alla vita, concedersi di credere per qualche momento che il più grande problema della sua vita consistesse nel cercare di determinare se Drizzt fosse o meno un uomo avvenente. Naturalmente il peso della realtà non tardò a interferire in quel momento di serenità delle due donne, soffocandone le risate, perché entrambe avevano sperimentato troppe difficoltà per rimanere spensierate a lungo. Cattibrie aveva amato e perduto l'uomo che amava, mentre Danica aveva due figli ancora piccoli ed era costretta ad affrontare quotidianamente la possibilità che suo marito morisse anzitempo, prematuramente invecchiato dalla creazione dei Fremente Mistero. A poco a poco la conversazione finì per languire e per qualche tempo Danica rimase seduta in silenzio a osservare Catti-brie con espressione intenta. «Cosa c'è?» chiese infine Catti-brie. «Aspetto un figlio», affermò Danica, e dal suo tono Catti-brie comprese di essere la prima persona a cui lo diceva, che lei non aveva ancora informato neppure Cadderly. Catti-brie attese per un momento ancora fino a quando vide accentuarsi il sorriso di Danica, in modo da avere la certezza che per la giovane sacerdotessa il fatto di essere nuovamente incinta fosse una cosa positiva, poi sorrise a sua volta e strinse Danica in un forte abbraccio. «Non dire nulla a Cadderly», le chiese Danica in tono supplichevole. «Ho già pianificato come informarlo». «E tuttavia ne hai parlato prima con me», osservò in tono solenne Cattibrie nei ritrarsi dall'abbraccio.
«Tu stai partendo», replicò con pratica semplicità Danica. «Ma quasi non mi conosci», obiettò Catti-brie. Danica scosse il capo con una mossa decisa che le agitò i capelli rossicci e fissò intensamente Catti-brie con i suoi esotici occhi a mandorla. «Io ti conosco», dichiarò in tono sommesso. In effetti era vero, perché anche Catti-brie aveva la sensazione di conoscere bene la sacerdotessa a causa del fatto che entrambe erano molto simili e in quel breve tempo erano giunte a comprendere che avrebbero avvertito in modo notevole la reciproca mancanza. Poi sentirono Cadderly muoversi nella stanza accanto e compresero che il tempo a loro disposizione si era quasi esaurito. «Un giorno tornerò qui», promise Catti-brie. «E io verrò a visitare la Valle del Vento Ghiacciato», rispose Danica. Un momento più tardi Cadderly entrò nella stanza e le avvertì che Cattibrie e Drizzt dovevano partire, sfoggiando un caldo sorriso e badando a non rilevare il fatto che entrambe le donne avevano gli occhi rossi e velati di pianto. *
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Cadderly, Drizzt e Catti-brie si trovavano sulla torre più alta del Fremente Mistero, a quasi cento metri dal suolo, con il vento che sferzava loro la schiena. Per qualche tempo Cadderly continuò a cantilenare parole sommesse e a poco a poco entrambi gli amici si sentirono sempre più leggeri, come se avessero perso concretezza; poi, d'un tratto, Cadderly prese entrambi per mano e proseguì il suo canto mentre tutti e tre svanivano lentamente e simili a spettri lasciavano la sommità della torre insieme al vento. Il mondo prese a scorrere sotto di loro, veloce e indistinto come una nebbia o una visione avuta in sogno e né Drizzt né Catti-brie riuscirono a calcolare per quanto tempo si protrasse quello strano volo; l'unica cosa che diede loro una misura del tempo trascorso fu il fatto che l'alba stava ormai apparendo sull'orizzonte orientale quando il loro movimento rallentò fino a cessare ed essi tornarono ad acquisire peso e concretezza. Adesso si trovavano nella città di Luskan, lungo il tratto più settentrionale della Costa delle Spade e a sud dei monti della Spina Dorsale del Mondo, ad appena duecento miglia di viaggio a cavallo o a piedi dalle Dieci Città.
Cadderly non conosceva quella città ma la sua mira era stata comunque perfetta e nell'emergere dagli effetti dell'incantesimo i tre si vennero a trovare esattamente davanti al tempio di Deneir, dove Cadderly venne accolto con calore dagli altri preti. Dopo aver procurato ai due amici delle camere in cui potessero riposare, Cadderly li lasciò dormire e insieme a uno dei preti locali andò a prendere gli accordi necessari perché loro potessero unirsi a una delle carovane dirette alla Valle del Vento Ghiacciato. La cosa risultò più facile di quanto Cadderly si fosse aspettato, e questo gli fece piacere perché aveva temuto che il fatto che Drizzt fosse un drow potesse costituire un ostacolo tale da privare di valore qualsiasi cosa lui avesse potuto dire a suo favore; Drizzt però era conosciuto da molti mercanti di Luskan, come lo era Catti-brie, e a causa della loro abilità di combattenti entrambi erano considerati una gradita aggiunta a qualsiasi carovana diretta a nord e verso le pericolose terre della Valle del Vento Ghiacciato. Al suo ritorno al tempio Cadderly trovò Drizzt e Catti-brie già svegli e intenti a parlare con gli altri preti nel preparare una scorta di provviste per il lungo viaggio che li attendeva. Pur non comprendendo quale uso pratico avrebbe potuto farne, Drizzt accettò con reverenza un paio di borracce piene di acqua benedetta attinta alla fonte del tempio perché non gli sfuggì l'importanza del fatto che un prete umano di un dio buono fosse disposto a fare un simile dono proprio a lui che era un elfo drow. «I tuoi compagni sono brava gente», commentò più tardi con Cadderly, quando lui, l'anziano prete e Catti-brie furono finalmente soli. Cadderly aveva già spiegato a entrambi quali accordi fossero stati presi per loro, compresi l'ora e il luogo in cui avrebbero dovuto unirsi alla carovana che sarebbe partita quel giorno stesso, lasciando ai due meno di un'ora per mettersi in cammino. Prima però c'era un altro commiato da affrontare. «Abbastanza da rendere orgoglioso di loro Deneir», annuì Cadderly. Dal momento che Drizzt dovette poi concentrarsi sul compito di ultimare il proprio bagaglio, Catti-brie ne approfittò per trarre Cadderly in disparte, in quanto era in pensiero per Danica, e il prete l'assecondò con un sorriso pieno di calore da cui pareva che avesse compreso lo scopo di quella conversazione privata. «Hai molte responsabilità», esordì Catti-brie. «Il mio dio non è poi così esigente», ribatté Cadderly fingendo volutamente di non capire a cosa lei avesse voluto alludere perché sapeva benis-
simo che Catti-brie non si stava riferendo ai suoi doveri nei confronti di Deneir. «Mi riferisco ai gemelli», precisò allora la ragazza, «e a Danica». Cadderly si limitò ad annuire perché quello era un argomento su cui non c'era nulla da ribattere, e Catti-brie fece seguire alla sua affermazione una lunga pausa di silenzio durante la quale cercò di trovare le parole più adatte, chiedendosi come poteva esprimersi per non offendere l'anziano prete. «Ivan mi ha parlato del tuo... stato», disse infine. «Davvero?» replicò Cadderly, che a quanto pareva non aveva nessuna intenzione di facilitarle le cose. «Il nano mi ha detto che ti aspettavi di morire non appena ultimato il Fremente Mistero», proseguì Catti-brie, «e che dal tuo aspetto pareva che sarebbe successo proprio questo». «Mi sono sentito come se stessi morendo», ammise Cadderly, «e le visioni che avevo avuto della cattedrale mi avevano indotto a credere che così sarebbe stato». «Però è successo tutto più di un anno fa», osservò Catti-brie. Cadderly si limitò ad annuire nuovamente. «Secondo Ivan pare che tu stia ringiovanendo», insistette Catti-brie, «e ritrovando le forze». Cadderly accolse quelle parole con un ampio sorriso, consapevole che Catti-brie era preoccupata per Danica e profondamente commosso dalla grande amicizia che pareva essere nata fra lei e sua moglie. «Non posso essere certo di nulla», rispose, «ma pare che le osservazioni del nano siano esatte. In effetti adesso sono più forte, molto più forte ed energico di quanto lo fossi non appena ultimata la cattedrale. Inoltre» proseguì, portandosi le mani ai capelli e mostrandone una ciocca che era per lo più grigia ma presentava alcuni capelli dorati misti agli altri, «comincio a presentare alcuni capelli castani mentre quando ho finito la cattedrale i miei capelli erano tutti bianchi». «Stai ringiovanendo!» esclamò con entusiasmo Catti-brie. Cadderly emise un lungo e profondo sospiro, poi suo malgrado annuì. «Pare che sia così», ammise. E subito dopo, quasi avesse paura di proclamare a voce troppo alta le proprie speranze, si affrettò ad aggiungere: «Però non posso essere certo di nulla. La sola spiegazione che posso immaginare è che le visioni che mi sono state mostrate e che parlavano della mia morte imminente, unite alla spossatezza quasi letale che ho avvertito una volta ultimato il Fremente Mistero, fossero soltanto una prova della
mia assoluta fedeltà ai precetti e ai comandamenti di Deneir. Io mi aspettavo veramente di morire non appena il primo servizio celebrato nella cattedrale si fosse concluso e in effetti quando esso è terminato mi sono sentito assalire da una stanchezza incredibile che mi ha costretto a ritirarmi nella mia stanza, praticamente trasportato a braccia da Danica e da Ivan, dove sono andato a dormire con la certezza che non avrei mai più riaperto gli occhi, una cosa che ero pronto ad accettare senza riserve», concluse, poi fece una pausa e chiuse gli occhi nel ricordare quel giorno fondamentale della sua esistenza. «E adesso?» lo pungolò Catti-brie. «Forse Deneir mi ha soltanto messo alla prova per accertare la mia fedeltà», replicò Cadderly. «È anche possibile che io abbia superato la prova e che ora il mio dio abbia scelto di risparmiarmi». «Se è un dio buono non può aver fatto altra scelta», dichiarò con fermezza Catti-brie, «perché nessun dio buono ti toglierebbe a Danica e ai gemelli e...» D'un tratto s'interruppe e si morse un labbro per trattenersi dal tradire il segreto di Danica. «Deneir è un dio buono», ribadì con pari fermezza Cadderly, «però quelle di cui tu stai parlando sono le preoccupazioni dei mortali e noi non possiamo presumere di comprendere la volontà di Deneir o il suo modo di pensare. Se pure lui dovesse togliermi a Danica e ai miei bambini questo non lo renderebbe un dio meno buono di quanto in effetti è». Catti-brie scosse il capo, mostrandosi tutt'altro che convinta. «Ci sono intenti e principi troppo elevati perché noi umani li si possa capire», le disse Cadderly. «Io ho fede che Deneir farà ciò che è giusto alla luce delle sue esigenze e dei suoi progetti, che sono più importanti e imprescindibili dei miei». «Però speri che ciò che ti pare stia succedendo sia vero», insistette Cattibrie, in tono di accusa. «Speri di poter tornare ad essere giovane quanto tua moglie e di poter vivere tutta una vita accanto a lei e ai tuoi figli!» «Questo è vero!» ammise infine Cadderly ridendo, e Catti-brie non insistette oltre, ritenendosi soddisfatta. Anche Drizzt, che con il suo acuto udito di drow aveva seguito l'intera conversazione concentrandosi solo in parte sul compito di approntare il bagaglio, si sentì soddisfatto. Intanto Catti-brie e Cadderly si erano scambiati un abbraccio, poi il vecchio prete che non sembrava poi tanto vecchio si avvicinò a Drizzt per
stringergli la mano con sincera amicizia. «Portami quel manufatto, quel cristallo», disse, «e insieme scopriremo il modo per liberare il mondo dalla sua malvagità. Quando verrai porta con te anche tuo padre», aggiunse quindi, «perché ho la sensazione che una permanenza al Fremente Mistero gli farebbe piacere». Drizzt accentuò la stretta intorno alla mano del prete, grato per la sicurezza che questi stava dimostrando in merito al successo dell'impresa che lui si era addossato. «Quel manufatto mi darà... anzi, ci darà», si corresse Drizzt guardando verso Catti-brie, «il pretesto necessario per tornare a Carradoon». «Dove io devo far ritorno al più presto», replicò Cadderly, accomiatandosi infine da loro. Una volta soli Drizzt e Catti-brie si affrettarono a ultimare in silenzio i preparativi per il viaggio che li attendeva. Il viaggio verso casa. 19 E tutto il mondo appartiene a loro Revjak aveva sempre saputo che si sarebbe arrivati a questo, se ne era reso conto nel momento stesso in cui aveva capito che Berkthgar non aveva intenzione di separarsi dalla tribù degli Alci per ricreare un'altra delle antiche tribù, per cui adesso non era affatto sorpreso di trovarsi di fronte al massiccio guerriero mentre il suo popolo formava un cerchio tutt'intorno a loro. Nella tribù tutti sapevano cosa stava per succedere, una cosa che andava fatta nel modo giusto e secondo le antiche tradizioni. Berkthgar stava aspettando che i presenti facessero infine silenzio, consapevole di potersi permettere di essere paziente perché i commenti erano prevalentemente a suo favore e le argomentazioni a sostegno della sua ascesa al potere stavano acquistando una sempre maggiore solidità. Infine, dopo quelli che a Revjak parvero molti minuti interminabili, sulla folla scese il silenzio e Berkthgar levò le braccia verso il cielo, protendendo in alto le mani spalancate; dietro la spalla sinistra, affibbiata in diagonale lungo la schiena, gli sporgeva Bankenfuere, la sua enorme spada. «Reclamo per me il Diritto alla Sfida», dichiarò il grosso barbaro. Dalla folla si levò un coro di applausi, meno vigoroso di quanto Berkthgar avrebbe desiderato ma tale da dimostrare che lui aveva un seguito
notevole. «Su quale base avanzi questa rivendicazione, sul diritto di nascita?», replicò Revjak, seguendo la formula prestabilita. «Non per diritto di sangue», rispose prontamente Berkthgar, «ma in virtù delle mie azioni!» Di nuovo dai suoi sostenitori più giovani si levò un coro di grida di entusiasmo. «Allora non sussiste una base valida per la tua richiesta, se non sono i vincoli di sangue a esigere la sfida», protestò però Revjak, scuotendo il capo, e quanti parteggiavano per lui furono pronti a fargli sentire il proprio appoggio pur mostrandosi più contenuti e moderati di quanti sostenevano Berkthgar. «Io ho guidato la tribù sia in pace sia quando si è reso necessario ricorrere alla forza», aggiunse in tono deciso Revjak, forte della verità della sua affermazione. «Come ho fatto anch'io!» fu pronto a interromperlo Berkthgar. «A Settlestone, tanto lontano dalla nostra terra, ho guidato il nostro popolo in guerra e in pace, e poi l'ho anche guidato nella lunga marcia che ci ha permesso di tornare alla Valle del Vento Ghiacciato, la nostra patria!» «Dove Revjak è il Re della Tribù degli Alci», fu pronto a interloquire un guerriero. «In base a quale diritto di nascita?» ritorse Berkthgar. Quello era un nodo alquanto spinoso, e Revjak ne era più che mai consapevole. «Quale diritto può rivendicare Revjak, figlio di Jorn il Rosso, che non era re?» insistette astutamente Berkthgar. Quella era una domanda a cui Revjak non aveva risposte valide da dare. «La carica di re ti è stata assegnata», continuò Berkthgar ripetendo una storia che il suo popolo conosceva bene ma presentandola da una prospettiva leggermente diversa da quella abituale. «Ti è stata trasmessa senza sfide e senza che ne avessi effettivo diritto da Wulfgar, figlio di Beornegar». In quel momento Kierstaad, che stava osservando la scena in disparte, comprese infine il vero motivo per cui Berkthgar si era lanciato in una campagna intesa a screditare Wulfgar: infatti se la leggenda di Wulfgar avesse ancora avuto l'impatto di un tempo la rivendicazione di suo padre alla carica di re sarebbe stata inattaccabile nel modo più assoluto, mentre adesso che Wulfgar era stato screditato... «Che a sua volta deteneva la sovranità per diritto avendola ricevuta da
Heafstaag, che a sua volta era re», obiettò Revjak. «Quanti fra voi», proseguì rivolto all'assemblea circostante, «ricordano il combattimento in cui Wulfgar, figlio di Beornegar, è diventato il nostro re?» Molte teste, soprattutto quelle degli uomini più anziani che non avevano mai lasciato la Valle del Vento Ghiacciato, si chinarono in un cenno di assenso. «Anch'io ricordo quel combattimento», ringhiò Berkthgar in tono di sfida, «e non metto in dubbio la validità della rivendicazione di Wulfgar né il bene che lui ha fatto al mio popolo. Tu però non hai nessun diritto di sangue, non più di quanto ne abbia io, ed io voglio il comando, Revjak, quindi esigo il Diritto alla Sfida!» Gli applausi tornarono a echeggiare più frenetici che mai. Senza scomporsi, Revjak si girò verso suo figlio e gli sorrise, consapevole di non poter evitare la rivendicazione avanzata da Berkthgar e al tempo stesso di non avere nessuna possibilità di sconfiggere in combattimento il massiccio guerriero, poi tornò a voltarsi verso il suo sfidante. «Te lo concedo», disse scatenando una nuova salva di applausi frenetici che provenivano ora tanto dai suoi sostenitori quanto da quelli di Berkthgar. «Allora ci ritroveremo qui fra cinque ore, quando il sole si sarà abbassato sull'orizzonte...», cominciò Berkthgar. «Adesso», lo interruppe inaspettatamente Revjak. Incerto, Berkthgar si concesse un momento per osservarlo in volto con attenzione, chiedendosi quale trucco stesse escogitando, in quanto di norma la risposta al Diritto alla Sfida aveva luogo più avanti nella giornata in cui esso era stato avanzato e accettato, in modo da dare a entrambi i contendenti il tempo di prepararsi mentalmente e fisicamente allo scontro. Vedendo il colosso socchiudere gli occhi azzurri in un'espressione d'un tratto determinata, la folla degli spettatori scivolò in un silenzio pieno di aspettativa, che si fece più profondo quando sul volto di Berkthgar si allargò infine un ampio sorriso: lui non aveva paura di Revjak, non ne avrebbe avuta fra cinque ore e di certo non ne aveva neppure adesso. Con un gesto lento e calibrato il guerriero sollevò una mano sopra la spalla fino a serrare l'impugnatura di Bankenfuere. estraendo la grande lama dal fodero che era stato tagliato lungo l'estremità superiore in modo da rendere quel movimento più scorrevole. Snudata l'arma, Berkthgar la levò in alto verso il cielo in un gesto solenne e di fronte a lui Revjak provvide a fare altrettanto anche se suo figlio,
che stava osservando la scena con preoccupazione, ebbe l'impressione che lui non apparisse pronto al combattimento. Poi Berkthgar cominciò ad avvicinarsi con cautela all'avversario, verificando a ogni passo il bilanciamento della spada, ma si arrestò d'un tratto, in attesa, nel vedere Revjak sollevare una mano. «Chi fra noi spera che sia Revjak a vincere?» chiese l'anziano re, provocando il coro potente di molte voci. Ritenendo che quella domanda fosse stata soltanto un espediente inteso a fargli perdere la sicurezza di sé, Berkthgar reagì con un basso ringhio. «E chi vorrebbe invece vedere Berkthgar, Berkthgar l'Audace, diventare Re della Tribù degli Alci?» esclamò quindi. L'applauso che seguì risultò palesemente più forte di quello che lo aveva preceduto. Quando esso si fu spento Revjak si avvicinò all'avversario con un atteggiamento che non aveva nulla di minaccioso, sollevando una mano e tenendo abbassata la lama della sua ascia. «La sfida ha avuto risposta», dichiarò lasciando cadere al suolo la propria arma. Tutti i presenti sgranarono gli occhi con espressione incredula, Kierstaad più di chiunque altro, di fronte a quell'atto disonorevole, che presso i barbari era considerato un atto da vigliacco! «Io non ti posso sconfiggere, Berkthgar», spiegò Revjak, alzando la voce in modo da sovrastare il clamore circostante, «nello stesso modo in cui tu non puoi sconfiggere me». «Ti potrei tagliare in due!» esclamò Berkthgar, accigliandosi e impugnando la spada con entrambe le mani per poi sollevarla con un gesto così deciso da indurre quasi Revjak ad aspettarsi di essere effettivamente tagliato in due. «Se lo facessi il nostro popolo soffrirebbe delle conseguenze delle tue azioni», dichiarò con voce pacata l'anziano re. «Chiunque dovesse uscire vincitore dalla sfida si troverebbe di fronte a due tribù e non a una sola, divise dall'ira e dal desiderio di vendetta. Noi non siamo ancora abbastanza forti per sopportare una cosa del genere», proseguì lasciando scorrere lo sguardo sulla folla e parlando a tutto il suo popolo. «Sia che si debbano rinforzare i legami di amicizia con gli abitanti delle Dieci Città e con i nani che sono tornati a vivere nella valle o che si debba tornare alle nostre antiche usanze, è comunque una cosa che dobbiamo fare insieme, come una sola tribù».
L'espressione accigliata di Berkthgar non accennò a rischiararsi perché adesso lui si era infine reso conto che non potendolo sconfiggere in combattimento, cosa di cui entrambi erano consapevoli, l'astuto Revjak gli aveva sottratto il potere stesso insito nella sfida. In quel momento Berkthgar desiderò effettivamente tagliarlo in due, ma dovette trattenersi perché la situazione creata da Revjak gli impediva qualsiasi reazione violenta. «Come una sola tribù», ripeté intanto Revjak, e protese una mano per invitare il suo avversario a stringerla. Folle d'ira, Berkthgar ignorò la mano protesa e fece invece leva con un piede sotto la lama dell'ascia che Revjak aveva lasciato cadere, mandandola a cadere vorticando dall'altra parte del cerchio creato dagli spettatori. «Il tuo modo d'agire è quello di un vigliacco!» gridò. «Questo è ciò che hai dimostrato oggi!» E levò in alto le braccia massicce come per attribuirsi la vittoria. «Io non posso rivendicare il potere per diritto di sangue, ma neppure tu puoi farlo!» esclamò Revjak, attirando di nuovo su di sé l'attenzione generale. «Dovrà essere il nostro popolo a decidere chi debba regnare e chi debba farsi da parte». «La sfida prevede un combattimento!» ritorse Berkthgar. «Non questa volta», fu pronto a ribattere Revjak, «non quando sarebbe tutta la tribù a soffrire a causa del tuo stupido orgoglio!» Sempre più furente, Berkthgar avanzò di un passo come se volesse colpirlo, ma Revjak lo ignorò e tornò invece a interpellare l'assemblea. «Decidete!» disse in tono imperioso. «Revjak!» gridò un uomo, ma la sua voce venne soffocata dalle esclamazioni di un gruppo di giovani guerrieri che erano a favore di Berkthgar e che furono subito dopo sovrastati a loro volta da un altro grosso gruppo che gridava il nome di Revjak. Quel duello vocale si protrasse per qualche tempo, con grida sempre più stentoree e accompagnato ben presto da parecchi scontri fisici nel corso dei quali vennero anche estratte le armi. Per tutto quel tempo Berkthgar continuò a fissare Revjak con occhi roventi, e quando l'anziano re mostrò di non avere difficoltà a sostenere il suo sguardo scosse infine il capo con aria incredula, chiedendosi come avesse potuto Revjak recare un tale disonore al loro popolo. Revjak aveva però fiducia nella propria scelta. Personalmente non aveva paura di morire ma era convinto che un duello fra lui e Berkthgar avrebbe avuto l'effetto di spaccare in due la tribù e di mettere in difficoltà i due gruppi che ne sarebbero derivati. A suo parere questa era quindi la solu-
zione migliore, a patto che il controllo della situazione non gli fosse sfuggito di mano, cosa che pareva prossima a verificarsi. Entrambe le fazioni stavano infatti continuando a gridare ma adesso ciascun grido era accompagnato dal levarsi di una spada o di un'ascia in un aperto gesto di minaccia. Per qualche momento ancora Revjak scrutò con attenzione la folla, valutando quale supporto avessero rispettivamente lui e Berkthgar, e ben presto fu costretto a riconoscere e ad ammettere con se stesso la verità, per quanto amara essa potesse essere. «Basta così!» ordinò con voce possente, e quando a poco a poco le grida calarono d'intensità aggiunse: «Chi è a favore di Berkthgar pronunci il suo voto con tutta la voce di cui dispone». Seguì un ruggito assordante. «E chi è a favore di Revjak?» «Revjak che non ha voluto combattere!» fu pronto ad aggiungere Berkthgar. Le grida che si levarono a sostegno del figlio di Jorn risultarono molto meno stentoree ed entusiastiche. «La decisione è presa», affermò allora Revjak rivolto più a Berkthgar che alla folla. «Berkthgar è il nuovo Re della Tribù degli Alci». Berkthgar dal canto suo stava facendo fatica a credere a quello che era appena successo e avrebbe voluto abbattere sul posto l'astuto vecchio per aver rovinato quello che avrebbe dovuto essere il suo giorno di gloria, una vittoria in un duello fino alla morte, com'era sempre stato fin da quando le tribù si erano originariamente formate; come poteva però uccidere un uomo disarmato e che per di più lo aveva appena indicato come capo indiscusso di tutte le tribù? «Sii saggio, Berkthgar», ammonì allora Revjak in tono più sommesso, avvicinandosi al massiccio guerriero per farsi sentire al di sopra del ronzio dei commenti stupiti dei presenti. «Insieme scopriremo la vera via che il nostro popolo deve percorrere, quella migliore per il nostro futuro». «Sarò io a decidere», ribatté con voce sonora Berkthgar, spingendolo da un lato. «Non ho bisogno dei consigli di un vigliacco». Ferito ma non sorpreso da quel rifiuto, Revjak trasse comunque conforto dalla consapevolezza di aver cercato di fare ciò che era più giusto per il suo popolo, cosa che però perse quasi ogni importanza quando il suo sguardo si posò su suo figlio, che aveva da poco completato i riti di passaggio all'età adulta.
Il volto di Kierstaad esprimeva infatti incredulità e addirittura vergogna. A testa alta, Revjak si diresse allora verso di lui. «Devi capire», affermò in tono imperativo. «Questa era l'unica via». Kierstaad si allontanò senza rispondere. La logica avrebbe potuto permettergli di vedere l'effettivo coraggio che suo padre aveva dimostrato quel giorno ma la logica stava svolgendo un ruolo molto secondario nella consapevolezza del giovane, che provava invece una profonda vergogna e desiderava soltanto fuggire sulla tundra lontano da tutti, perché di colpo la vita pareva aver perso per lui ogni attrattiva. *
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Stumpet sedeva sulla vetta del Picco di Kelvin dopo aver completato quella che ormai le appariva come un'ascesa molto facile. I suoi pensieri, come la maggior parte dei suoi sogni più recenti, erano accentrati sul meridione e sulle alte cime dei monti della Spina Dorsale del Mondo mentre fugaci immagini di gloria e di vittoria le affioravano a tratti nella mente accompagnate dall'immagine di se stessa in piedi sulla cima della montagna più alta, intenta a contemplare il mondo dall'alto. L'assurdità di quell'immagine, la sua pura e semplice irrazionalità non riusciva ad affiorare nei suoi pensieri coscienti perché la costante raffica di immagini e di illusioni stava cominciando a logorare la sua razionalità abitualmente tanto pragmatica; in Stumpet. la logica stava rapidamente perdendo terreno di fronte a desideri che non le appartenevano effettivamente. «Sto arrivando, picchi torreggianti», disse d'un tratto rivolta alle lontane montagne. «Fra voi non ce n'è neppure uno tanto alto da impedirmi di scalarlo». Ecco, io aveva detto ad alta voce, aveva proclamato la propria decisione. Senza indugiare oltre, Stumpet procedette a raccogliere le sue cose e si calò dalla sporgenza che dava accesso alla cima del monte, cominciando la discesa per tornare a valle. Nel suo zaino intanto Crenshinibon stava quasi facendo le fusa per la soddisfazione. Il potente manufatto continuava infatti a non volere che fosse Stumpet Unghie-imbellettate a utilizzarlo perché ormai ne conosceva bene la cocciutaggine pur essendo riuscito in parte a sopraffarla grazie alle illusioni sotto cui l'aveva letteralmente seppellita; soprattutto, però, il cristallo comprendeva il posto che Stumpet occupava all'interno della società del suo popolo in qualità di sacerdotessa di Moradin, il Forgiatore di Ani-
me. Fino a quel momento il manufatto era in genere riuscito a distrarre Stumpet dal fare qualsiasi tentativo per entrare in comunione con il suo dio ma presto o tardi lei avrebbe cercato quel più elevato livello di consapevolezza e con ogni probabilità avrebbe così scoperto la verità in merito al "cristallo riscaldante" che teneva risposto nello zaino. Di conseguenza Crenshinibon intendeva utilizzarla per allontanarsi dai nani e arrivare nelle zone selvagge della Spina Dorsale del Mondo dove avrebbe potuto trovare un troll, un gigante o forse addirittura un drago da cui farsi utilizzare. Un drago sarebbe stato la soluzione ideale, in quanto lavorare insieme a un essere tanto possente sarebbe stata per il manufatto una grande soddisfazione. Ignara di quei desideri e del fatto che il suo "cristallo riscaldante" fosse in grado di formularne, la povera Stumpet continuò intanto a pensare soltanto alla sua intenzione di conquistare le vette della catena montuosa senza neppure riuscire a capire perché la cosa le stesse tanto a cuore. *
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Quella notte, la prima del suo regno, Berkthgar cominciò a rivelare le leggi che i barbari della Valle del Vento Ghiacciato avrebbero dovuto osservare, tornando così a vivere come avevano fatto dieci anni prima, quando ancora Wulfgar non aveva sconfitto e spodestato Heafstaag. Tutti i contatti con gli abitanti delle Dieci Città sarebbero dovuti cessare e rivolgere anche solo la parola a Bruenor Battlehammer o a qualsiasi altro membro del popolo dei nani sarebbe stata considerata una colpa da punire con la morte. «E se sulla tundra doveste imbattervi in qualche membro del popolo barbuto in difficoltà», concluse Berkthgar dando a Kierstaad l'impressione che quelle parole fossero rivolte a lui in modo particolare, «lasciatelo là a morire!» Più tardi quella notte Kierstaad rimase a lungo seduto in solitudine sotto le stelle con l'anima tormentata. Adesso cominciava a capire cosa suo padre avesse cercato di fare quel pomeriggio: dal momento che non poteva sconfiggere Berkthgar in combattimento, cosa evidente per tutti, l'anziano re aveva tentato di trovare una via di compromesso che tornasse a beneficio di tutti i barbari. A livello razionale, Kierstaad era consapevole che l'abdicazione da parte di Revjak quando la maggior parte della tribù era a
favore di Berkthgar era stata un atto saggio e addirittura coraggioso, ma nel profondo del suo cuore non poteva trattenersi dal provare vergogna per il fatto che suo padre non avesse voluto combattere. Kierstaad, o almeno una parte del suo animo, era convinto che sarebbe stato meglio se Revjak avesse impugnato la propria ascia e fosse morto per mano di Berkthgar perché quella era l'usanza del loro popolo, antica e sacra. Cosa poteva aver pensato quel giorno Tempus, il dio dei barbari, il dio della battaglia, del comportamento di Revjak? E quale posto poteva essere disposto a riservare nell'aldilà a un uomo che come lui aveva rifiutato di impegnare un onesto e doveroso duello? Abbandonando con sconforto la testa fra le mani, Kierstaad si disse che suo padre aveva disonorato non solo se stesso ma tutta la famiglia. Per un momento pensò poi che forse avrebbe dovuto proclamarsi apertamente a favore di Berkthgar e rinnegare suo padre. Berkthgar, che era stato al suo fianco in tutti gli anni vissuti a Settlestone e quando lui aveva abbattuto la sua prima preda sulla tundra, avrebbe accolto con piacere il suo supporto nel quale avrebbe visto senza dubbio un rafforzamento della sua posizione di capo. Per quanta ira provasse nei suoi confronti, Kierstaad non poteva però abbandonare suo padre: se fosse stato necessario avrebbe impugnato le armi contro Berkthgar, uccidendolo per restaurare l'onore della famiglia, ma non avrebbe mai abbandonato suo padre. Averlo anche solo pensato parve d'un tratto una cosa assurda al giovane guerriero mentre sedeva in solitudine, con l'anima sopraffatta dall'angoscia, sotto la vasta volta stellata della Valle del Vento Ghiacciato. 20 Guadagnarsi la paga Drizzt e Catti-brie erano diventati entrambi piuttosto abili nel cavalcare nel corso del loro viaggio da Mithril Hall a Waterdeep, ma questo era successo sei anni prima e la sola cosa che entrambi avessero cavalcato dopo di allora erano state le onde. Quando la carovana arrivò al limitare occidentale della Spina Dorsale del Mondo, distante cinque giorni di viaggio da Luskan, entrambi avevano comunque ripreso confidenza con la sella anche se avevano le gambe e i glutei costellati di dolorose vesciche, una confidenza che andò poi aumentando progressivamente e che li portò a trovarsi all'a-
vanguardia, molto più avanti rispetto alla carovana, quando essa finalmente raggiunse la valle. La valle! Drizzt stava per lanciare un richiamo a Catti-brie per indurla a rallentare l'andatura ma si trattenne nel vedere che lei stava già tirando le redini di propria iniziativa, affascinata e stordita quanto lui dallo spettacolo che aveva davanti. Adesso erano a casa, veramente a casa, nel raggio di un centinaio di miglia dal luogo in cui si erano incontrati per la prima volta e dove la loro vita e le loro più importanti amicizie erano state forgiate e modellate. Tutti i ricordi da tempo accantonati si riversarono su di loro nel momento in cui si trovarono di nuovo a contemplare la tundra spazzata dal vento glaciale che dava alla valle il suo nome, il cui richiamo incessante quanto gemente e desolato giungeva di continuo dai vasti ghiacciai che si allargavano verso nordovest. Catti-brie avrebbe voluto poter dire a Drizzt qualcosa di profondo e di significativo e anche lui provò lo stesso impulso, ma nessuno dei due riuscì a trovare le parole adatte perché entrambi erano semplicemente sopraffatti dal fatto di rivedere dopo tanto tempo la Valle del Vento Ghiacciato. «Muoviamoci», disse infine Drizzt girandosi a guardare da sopra la spalla i sei carri della carovana che stavano guadagnando terreno dietro di loro per poi riportare lo sguardo sulla splendida distesa vuota della valle; il Picco di Kelvin non era ancora visibile perché troppo lontano, ma presto anch'esso sarebbe entrato nel loro campo visivo. Nel formulare quel pensiero il drow fu assalito d'un tratto dal disperato desiderio di rivedere quella montagna e si trovò a ripensare alle innumerevoli ore trascorse sui suoi pendii rocciosi, alle notti in cui era rimasto seduto su quelle pietre nude, contemplando le stelle e le luci ammiccanti dei fuochi da campo dei barbari, visibili in lontananza. Riscuotendosi accennò ad avvertire Catti-brie che era meglio rimettersi in cammino ma di nuovo lei parve anticipare i suoi pensieri perché fece ripartire al galoppo il cavallo prima ancora che lui avesse avuto il tempo di fare altrettanto. D'un tratto Drizzt Do'Urden fu assalito da un altro ricordo della Valle del Vento Ghiacciato, un avvertimento del suo istinto di guardaboschi che gli ricordava che quel luogo, per quanto splendido, non era sicuro e che l'aver oltrepassato l'ultima spalla della Spina Dorsale del Mondo li aveva riportati in terre veramente selvagge dove vagavano feroci tribù di yeti della tundra e di orchetti. Drizzt esitò ad avvertire Catti-brie di stare attenta perché
non voleva rovinare l'atmosfera di quel momento, ma dentro di sé si augurò che la giovane donna stesse di nuovo condividendo i suoi pensieri dal momento che gli incauti non sopravvivevano a lungo in quella terra spietata nota come Valle del Vento Ghiacciato. Nonostante le apprensioni di Drizzt la carovana non ebbe problemi né quel giorno né il giorno successivo e si rimise in cammino appena prima dell'alba procedendo con un'andatura spedita perché il fango prodotto dal disgelo primaverile si era ormai seccato e il terreno era tornato a essere solido e piatto, permettendo alle ruote dei carri di avanzare senza difficoltà. Con il sopraggiungere dell'alba i raggi del sole li colpirono in pieno volto e ferirono loro gli occhi, soprattutto quelli color lavanda di Drizzt che per natura erano strutturati per vedere nell'oscuro Mondo Sotterraneo, tanto sensibili che dopo oltre due decenni vissuti sulla superficie e sei anni di navigazione sulle acque scintillanti del Mare delle Spade non si erano ancora del tutto abituati alla luce intensa della superficie. Drizzt però accettò quel bruciore agli occhi senza sentirsene infastidito e anzi si crogiolò in esso e accolse l'alba sempre più luminosa con un ampio sorriso, in quanto la luce serviva a ricordargli i progressi che aveva compiuto nel corso della sua vita. Più tardi quella stessa mattina, quando il sole si era levato ormai alto nel cielo limpido, verso sudest, e l'orizzonte si era trasformato in una linea distinta e perfettamente nitida, ai loro occhi si offrì quella che Drizzt sostenne essere la prima vera vista del luogo che era stato la loro dimora, un singolo bagliore di luce che lui ritenne un riflesso strappato dal sole alla neve cristallina che copriva il Picco di Kelvin. Catti-brie non ne fu altrettanto sicura perché il Picco di Kelvin non era a suo parere abbastanza alto e loro si trovavano ancora a due giorni di marcia da esso, ma si trattenne dal manifestare i propri dubbi nella speranza che il drow avesse ragione perché desiderava terribilmente arrivare a casa. Anche Drizzt condivideva quello stesso desiderio che li portò entrambi ad accelerare il passo e a lasciare progressivamente indietro i carri fino a quando il buon senso e un secco richiamo da parte del conducente del veicolo di testa non ricordarono loro il dovere che stavano assolvendo e li indussero a rallentare l'andatura, scambiandosi peraltro un significativo sorriso. «Presto saremo a casa», promise Drizzt. I due continuarono quindi a procedere velocemente ancora per breve
tempo prima che Drizzt cominciasse a far rallentare il cavallo guardandosi intorno con attenzione e annusando l'aria; senza aver bisogno di ulteriori avvertimenti, Catti-brie si affrettò a imitarlo e prese a sua volta a scrutare il terreno circostante. Dopo un po' Drizzt fu costretto ad ammettere che tutto sembrava normale in quanto il suolo marrone era piatto e uniforme e lui non riusciva a scorgere nulla di insolito così come non stava sentendo nulla a parte il tamburellare degli zoccoli dei cavalli e il gemito del vento; anche l'olfatto non gli portava messaggi particolari a parte il profumo umido che sempre permeava il vento estivo della Valle del Vento Ghiacciato, ma nonostante questo non si permise di rilassarsi perché era tipico dei mostri che vivevano nella valle non segnalare in alcun modo la loro presenza. «Cos'hai notato?» sussurrò infine Catti-brie. Senza rispondere Drizzt continuò a guardarsi intorno. Adesso lui e la ragazza si trovavano quasi cento metri più avanti rispetto ai carri, una distanza che si stava riducendo in fretta, e per quanto si sforzasse lui non riusciva a rilevare nulla con la vista, l'olfatto o il suo acuto udito di drow; d'altro canto il suo sesto senso di guerriero sapeva che non tutto era come avrebbe dovuto essere e che lui e Catti-brie si erano lasciati sfuggire qualcosa, oltrepassandolo senza notarlo. Estratta la statuetta di onice dalla sacca in cui la conservava, Drizzt convocò Guenhwy var con voce sommessa e mentre la nebbia scaturiva dalla statuetta fino ad assumere la forma della pantera segnalò a Catti-brie di approntare l'arco, cosa peraltro inutile perché lei aveva già provveduto a farlo, e di tornare verso i carri descrivendo un ampio cerchio e tenendosi sulla destra mentre lui sarebbe rimasto sulla sinistra. La giovane donna annuì, sentendo i capelli che le si rizzavano sulla nuca e il proprio istinto di guerriera che l'avvertiva di tenersi pronta, e per precauzione incoccò una freccia in Taulmaril, tenendo senza difficoltà l'arco parzialmente teso con una mano mentre con l'altra guidava il cavallo. Guenhwyvar apparve sulla tundra con gli orecchi appiattiti sul cranio perché il tono furtivo con cui Drizzt l'aveva convocata e i suoi sensi particolarmente acuti l'avevano già avvertita della presenza di nemici nelle vicinanze. Dopo aver guardato verso Catti-brie e verso Drizzt, il grosso felino si portò silenziosamente in mezzo a loro, pronto a scattare in aiuto dell'uno o dell'altra. Notando i movimenti dei suoi esploratori e la presenza della pantera, il conducente del carro di testa rallentò l'andatura e avvertì gli altri di fermar-
si, cosa che indusse Drizzt a levare in alto una scimitarra per indicare la propria approvazione. Catti-brie, che adesso si trovava più lontano sulla destra, fu la prima ad avvistare un nemico, annidato in profondità nel terreno con la sola sommità della testa irsuta appena visibile nello sporgere dal buco in cui esso era acquattato: si trattava di uno yeti della tundra, le creature più feroci e pericolose fra quelle che popolavano la Valle del Vento Ghiacciato. Il loro pelo ispido, che d'estate era di una cupa tonalità marrone, si tingeva d'inverno di un candore assoluto e faceva degli yeti dei maestri dell'arte del camuffamento, cosa che Catti-brie fu costretta a riconoscere annuendo fra sé quasi in segno di apprezzamento dell'abilità della creatura. Infatti lei e Drizzt, che pure non erano due novellini, erano passati con le loro cavalcature accanto alla bestia in agguato senza neppure accorgersi del pericolo, una constatazione che indusse la giovane donna a ricordare a se stessa che quella era la Valle del Vento Ghiacciato, un luogo spietato che non perdonava il minimo errore. Questa volta però a sbagliare era stato lo yeti, come lei disse a se stessa con cupa determinazione nel sollevare l'arco: un istante più tardi una freccia scintillante solcò l'aria e raggiunse la creatura ignara nel centro della nuca, facendola sussultare in avanti e poi ricadere con violenza all'indietro nella sua buca, ormai morta. Una frazione di secondo più tardi il terreno stesso parve esplodere tutt'intorno ai due quando una mezza dozzina di altri yeti emerse da altrettante buche scavate nel terreno, bestie irsute e possenti che sembravano un incrocio fra un essere umano e un orso e che secondo le leggende narrate dai barbari della valle erano esattamente questo. Guenhwyvar, che si trovava alle spalle di Drizzt e di Catti-brie, in una posizione centrale rispetto a entrambi, si abbatté con un balzo su una di quelle creature e la scagliò all'indietro nella sua buca finendo poi per caderle addosso a causa dell'impeto del proprio salto. Pensando di poterla stritolare, lo yeti serrò le braccia intorno al corpo della pantera che però reagì devastandogli il ventre con i possenti artigli posteriori e impedendogli di accentuare la stretta. Nel frattempo Drizzt lanciò il cavallo al galoppo in modo da affiancarsi a una di quelle creature e da aggredirla con un fendente di entrambe le scimitarre controllando la corsa del cavallo con la semplice stretta delle gambe vigorose. Mentre la bestia insanguinata crollava al suolo con un ruggito di dolore e di protesta, Drizzt se ne disinteressò e puntò verso un
secondo yeti che però risultò pronto ad affrontarlo e, cosa ancora peggiore, altrettanto pronto a bloccare il suo cavallo; era infatti cosa risaputa che gli yeti erano in grado di arrestare un cavallo lanciato alla carica spezzandogli il collo. Sapendo di non poter rischiare una cosa del genere, Drizzt alterò leggermente la direzione della propria carica in modo da spostarsi sulla sinistra dello yeti, poi passò la gamba sinistra oltre la sella e si lasciò cadere correndo dalla cavalcatura al galoppo grazie alle cavigliere incantate che gli permisero di ritrovare l'equilibrio dopo aver mosso appena pochi passi di corsa e di passare accanto allo sconcertato yeti a una velocità sorprendente, infliggendogli parecchie profonde ferite prima di venirsi a trovare troppo lontano per poterlo colpire ancora. Consapevole che la creatura era tutt'altro che finita e che si era lanciata al suo inseguimento, Drizzt continuò a correre fino ad avere la certezza di aver posto una distanza adeguata fra se stesso e la bestia, poi si girò e cambiò angolazione per effettuare un nuovo attacco. In quel momento anche Catti-brie lanciò il proprio cavallo al galoppo guidandolo con le gambe e chinandosi in avanti sulla sella nel prendere di mira lo yeti più vicino. Il suo primo tiro mancò il bersaglio ma l'istante successivo lei aveva già incoccato una nuova freccia che raggiunse lo yeti al fianco. Portando le mani alla freccia nel tentativo di estrarla, la creatura girò su se stessa e venne così raggiunta al petto da altri due dardi scagliati dalla sua assalitrice sempre più vicina. Nonostante questo lo yeti era ancora ostinatamente vivo e in piedi quando Catti-brie arrivò alla sua altezza: pronta a improvvisare, lei appese Taulmaril al corno della sella e con un movimento fulmineo estrasse Khazid'hea, la sua favolosa spada, calandola in un violento fendente quando passò accanto alla bestia morente. La lama affilata della spada raggiunse in pieno lo yeti alla testa, facendolo crollare al suolo con il cranio spaccato che riversava sangue e sostanza cerebrale sullo scuro suolo della pianura. Senza rallentare, Catti-brie oltrepassò la creatura abbattuta, ripose la spada nel fodero e scagliò una quinta freccia che andò a conficcarsi nella spalla dello yeti successivo e gli fece ricadere il braccio inerte lungo il fianco, inutilizzabile. Spingendo lo sguardo oltre la creatura ferita, Catti-brie vide poi che l'ultimo degli yeti era ormai vicino ai carri di testa della carovana e vide anche in lontananza le altre guardie della carovana, una dozzina di validi combattenti, che stavano sopraggiungendo al galoppo per partecipa-
re allo scontro. «Questa battaglia è soltanto nostra», mormorò la giovane donna in tono deciso, puntando verso lo yeti ferito mentre appendeva di nuovo Taulmaril al pomo della sella per estrarre la spada. Intanto Guenhwyvar, che si trovava ancora nello stretto buco in cui si era rintanato lo yeti, scoprì che i propri possenti artigli le conferivano un notevole vantaggio e che per quanto lo yeti cercasse a sua volta di morderla lei era più rapida di movimenti e aveva il collo più flessibile; schivando l'ennesimo attacco dello yeti riuscì infine a insinuarsi sotto il suo collo e a serrargli fra le fauci la gola irsuta, stringendo fino a soffocare la creatura mentre con gli artigli le impediva di attaccare a sua volta. Non appena lo yeti cessò di reagire, la pantera emerse dalla buca e guardò a sinistra e a destra in direzione di Drizzt e di Catti-brie per poi lanciarsi con un ruggito verso destra, dove la situazione pareva essere di gran lunga più critica. Lanciatosi all'attacco verso lo yeti ferito poco prima, Drizzt si arrestò quando ormai stava per arrivargli addosso in modo da costringere la bestia, che era stata pronta a far fronte all'impatto, a sbilanciarsi in avanti per cercare di raggiungerlo, permettendo così alle sue scimitarre di attaccare con mosse rapide e precise e di affondare nelle mani della creatura, recidendo di netto parecchie dita. Ululando lo yeti si affrettò a ritrarre le braccia e al tempo stesso Drizzt scattò in avanti con una rapidità incredibile, conficcando Lampo nel braccio destro della creatura e infliggendole un'altra ferita all'altezza della vita con la seconda scimitarra per poi ritrarsi con prontezza fuori della portata della bestia prima che essa avesse la possibilità di reagire. Lo yeti non era una creatura stupida almeno per quanto concerneva l'abilità nel combattere e comprese di essere in condizione d'inferiorità per cui rinunciò a contrattaccare e si volse per fuggire, spiccando la corsa con lunghe falcate capaci di distanziare qualsiasi uomo o elfo. Avendo indosso le cavigliere incantate Drizzt non ebbe però difficoltà a eguagliare la sua andatura, portandosi alle spalle della creatura e poi affiancandola nel continuare a tempestarla di colpi fino a tingere di rosso per il sangue il suo ispido pelo marrone. Il guardaboschi conosceva infatti molto bene la natura degli yeti della tundra, sapeva che non erano semplici cacciatori ma mostri malvagi che uccidevano per divertimento oltre che per nutrirsi e non mostrò quindi la minima pietà nell'incalzare la creatura, rifiutandosi di permetterle di fuggire e schivando con facilità i suoi deboli
tentativi di attaccarlo mentre continuava a infliggerle profonde ferite. Disperato, lo yeti alla fine smise di correre e si girò per tentare un'ultima carica. Drizzt però caricò a sua volta e le sue scimitarre raggiunsero la bestia alla gola e al ventre mentre lui si spostava agilmente di lato e passava sotto il suo braccio proteso per poi arrestarsi di colpo e calarle entrambe le lame sulla schiena, mossa peraltro superflua perché essa stava già crollando in avanti nella polvere, sconfitta. Adesso rimaneva soltanto uno yeti ancora illeso, che stava gareggiando con Catti-brie per tentare di raggiungere prima di lei la creatura che la ragazza aveva già ferito al braccio con una freccia. Arrivando per prima alla meta, ella vibrò un deciso fendente nel momento in cui lo yeti protendeva il braccio sano per cercare di attaccarla e la lama affilata di Khazid'hea recise l'arto di netto all'altezza della spalla. Impazzito per il dolore lo yeti prese a dimenarsi e a girare su se stesso per poi crollare al suolo con il sangue che gli scaturiva a fiotti dalla ferita; disinteressandosene, Catti-brie si affrettò a procedere oltre perché non voleva essere travolta dal frenetico dibattersi della creatura morente e sapeva che lo scontro non era ancora vinto. Infatti si girò appena in tempo per fronteggiare la carica dell'ultimo yeti superstite, che le lasciò a stento il tempo di protendere la spada davanti a sé e di prepararsi all'impatto prima di scagliarlesi addosso con le braccia protese. Infallibile, Khazid'hea penetrò totalmente nel petto della creatura ma essa arrivò comunque a serrare le spalle della ragazza fra le braccia massicce, spingendola con violenza all'indietro sull'impeto della propria carica. Nel precipitare al suolo, Catti-brie fece appena in tempo a rendersi conto del pericolo di finire schiacciata sotto i duecentocinquanta chili di peso della creatura che però cessò improvvisamente di gravarle addosso grazie a un balzo di Guenhwyvar che l'aveva intercettata e spinta lontano. Questo naturalmente non interruppe la caduta della ragazza che colpì con violenza il terreno ma riuscì a rotolare su se stessa in modo da assorbire almeno in parte la forza dell'impatto; rialzatasi prontamente in piedi, constatò poi che il combattimento si era concluso grazie a Guenhwyvar, le cui fauci erano ancora saldamente serrate intorno alla gola dello yeti ormai morto. Distogliendo lo sguardo dal felino, Catti-brie scoprì poi che le altre guardie della carovana si stavano guardando intorno con un'espressione di assoluto stupore dipinta sul volto nel constatare che sei yeti della tundra
erano stati eliminati nell'arco di pochi minuti. Suo malgrado Catti-brie, e come lei anche Drizzt che nel frattempo l'aveva raggiunta, non riuscì a trattenere un sorriso divertito nel vedere gli uomini che tornavano verso la carovana scuotendo il capo per l'incredulità. Secondo Cadderly, ciò che aveva fruttato loro quel posto all'interno della carovana era stata la reputazione di combattente di Drizzt, reputazione che senza dubbio si sarebbe ora ampiamente diffusa fra tutti i mercanti di Luskan e che avrebbe portato con sé anche l'assoluta accettazione da parte loro di questo drow così particolare. *
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Subito dopo la fine dello scontro, i due amici recuperarono i cavalli e rimontarono in sella per portarsi di nuovo in testa alla carovana. «Io ne ho abbattuti tre», commentò Catti-brie in tono noncurante. Drizzt si girò a scrutarla con gli occhi lavanda socchiusi in un'espressione intenta: conosceva bene quel gioco che aveva portato avanti spesso con Wulfgar e ancor più con Bruenor nei giorni delle loro imprese insieme. «Due e mezzo», precisò quindi, ricordando il ruolo avuto dalla pantera nell'abbattimento dell'ultimo yeti. Effettuato un rapido calcolo mentale, Catti-brie decise che non c'era nulla di male nell'avallare l'affermazione dell'amico anche se personalmente era convinta che l'ultimo yeti fosse già morto prima che Guenhwyvar gli piombasse addosso. «D'accordo, due e mezzo», replicò, «però tu ne hai abbattuti soltanto due!» Divertito, Drizzt non riuscì a reprimere una risatina. «E Guen ne ha al suo attivo soltanto uno e mezzo!» continuò Catti-brie, facendo schioccare le dita con aria di superiorità. Guenhwyvar, che stava correndo accanto ai cavalli, reagì con un basso ringhio che indusse i due amici a scoppiare in una risata nel constatare che l'intelligente pantera aveva capito tutto quello che avevano detto. La carovana proseguì la marcia nella Valle del Vento Ghiacciato senza ulteriori incidenti e arrivò in anticipo sul previsto a Bryn Shander, il centro commerciale più importante della valle e la più grande delle Dieci Città che davano il nome a quell'area della vallata. Situata nel centro esatto del triangolo creato dai tre laghi di Maer Dualdon, Mac Dinneshere e Redwaters, Bryn Shander era l'unica delle Dieci Città a non avere una flotta di
pescherecci, attività che costituiva la base dell'economia locale, e tuttavia era comunque la più prosperosa in quanto dimora di artigiani e mercanti e fulcro politico della regione. Alle porte Drizzt non venne accolto in maniera molto amichevole anche dopo essere stato formalmente presentato alle guardie, questo nonostante il fatto che una di esse ricordasse di averlo conosciuto quando era ragazzo; Catti-brie ricevette invece un'accoglienza più che mai calorosa, grazie soprattutto al fatto che suo padre aveva fatto ritorno nella valle e che tutta la città era in ansiosa attesa che i metalli preziosi estratti dai nani cominciassero ad affluire nelle sue botteghe. Dal momento che il suo lavoro come guardia della carovana si era ormai concluso, Drizzt avrebbe evitato volentieri di entrare in città in quanto era sua intenzione puntare dritto a nord verso la valle dei nani, ma prima che lui e Catti-brie potessero incassare la loro paga e congedarsi dai capi della carovana un messaggero venne a informarli che Cassius, il Portavoce di Bryn Shander, desiderava poter conferire con Catti-brie. Stanca e sporca a causa del lungo viaggio, la ragazza desiderava soltanto lasciarsi cadere su un comodo letto ma quello era un invito a cui non poteva opporre un rifiuto; costretta suo malgrado ad accettare, lei insistette però perché Drizzt la accompagnasse. *
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«È andata bene», commentò più tardi Catti-brie nel lasciare insieme a Drizzt la dimora del portavoce, e il drow non poté che annuire. In effetti l'incontro era andato meglio di quanto si fosse aspettato perché Cassius si ricordava bene di Drizzt Do'Urden e lo aveva accolto con un inatteso sorriso; adesso Drizzt stava camminando apertamente lungo le strade di Bryn Shander attirando parecchie occhiate incuriosite ma non aperta ostilità. Molti, soprattutto i bambini, continuavano a indicarlo e a sussurrare fra loro, e nonostante il tono basso di quei mormorii l'udito acuto di Drizzt colse più di una volta parole come "guardaboschi" e "guerriero" pronunciate con estremo rispetto. Essere a casa era piacevole, tanto che per qualche tempo Drizzt si concesse quasi di dimenticare la disperata ricerca che lo aveva condotto fin là e di non pensare almeno per il momento a Errtu e al cristallo senziente. Prima di arrivare alle porte cittadine i due videro sopraggiungere di corsa un altro degli abitanti di Bryn Shander, che li stava chiamando a gran
voce per nome. «Regis!» esclamò Catti-brie nel vedere l'halfling alto appena un metro correre verso di loro con i ricciuti capelli castani che gli si agitavano intorno al volto e l'ampio ventre che sobbalzava a ogni passo ansimante. «Stavate per andarvene senza neppure passare a trovarmi!» esclamò l'halfling quando finalmente li ebbe raggiunti, dibattendosi nello stretto abbraccio di Catti-brie, che era ammutolita per la gioia. «Allora, non avete neppure una parola di saluto per un vecchio amico?» aggiunse, quando finalmente lei lo ebbe rimesso a terra. «Credevamo che fossi con Bruenor», si scusò Drizzt in tutta onestà. Regis non esitò a credergli perché la spiegazione era semplice e del tutto plausibile; senza dubbio, se fossero stati al corrente della sua presenza a Bryn Shander i suoi due amici si sarebbero recati da lui prima di fare qualsiasi altra cosa. «Divido il mio tempo fra le miniere e la città», spiegò l'halfling. «Qualcuno doveva pur fungere da ambasciatore e tenere i rapporti fra i mercanti e quell'acido orso di tuo padre!» Troppo commossa per parlare, Catti-brie lo abbracciò nuovamente. «Abbiamo cenato con Cassius», commentò intanto Drizzt. «A quanto pare nelle Dieci Città non sono cambiate molte cose». «No, però le persone sono cambiate in buona parte. Sai com'è la vita nella valle: molti non vi restano a lungo o muoiono prematuramente». «Cassius però governa ancora a Bryn Shander», obiettò Drizzt. «E Jensin Brent è tuttora il portavoce di Caer-Dineval», ribatté allegramente Regis consapevole che quella era per i due amici una buona notizia in quanto Jensin Brent era uno degli eroi della battaglia combattuta contro Akar Kessel e Crenshinibon per la supremazia nella Valle del Vento Ghiacciato ed era inoltre uno dei politici più ragionevoli che entrambi avessero mai conosciuto. «Insieme al bene persiste anche il male», continuò intanto Regis, «dato che Kemp è tuttora a Targos». «Quel vecchio orco dalla pelle dura», mormorò Catti-brie. «Più dura che mai», convenne Regis. «Anche Berkthgar è tornato nella valle». Drizzt e Catti-brie si limitarono ad annuire perché quella era una voce che entrambi avevano già sentito circolare. «Adesso vive con Revjak e la Tribù degli Alci», continuò l'halfling. «Noi però abbiamo ben pochi contatti con loro». Il suo tono rivelò ai due amici che sotto quelle parole doveva celarsi
qualcosa di ben più serio. «Bruenor è andato a trovare Revjak», aggiunse infatti Regis. «Non è stata un'esperienza positiva». Dal momento che conosceva bene il saggio Revjak ma conosceva altrettanto bene anche Berkthgar, Drizzt non impiegò molto tempo a capire quale dovesse essere la fonte degli evidenti problemi che parevano essere insorti. «Berkthgar non ha mai veramente perdonato Bruenor», affermò infatti Regis. «Non si tratterà ancora del martello!» esclamò Catti-brie, esasperata. Regis non seppe cosa risponderle e in cuor suo Drizzt decise in quel momento di andare a trovare personalmente i barbari. Pur essendo un guerriero nobile e possente, Berkthgar poteva essere anche molto cocciuto e lui cominciava ad avere il sospetto che il suo vecchio amico Revjak potesse avere bisogno di un po' di sostegno. Quelle erano però cose che potevano attendere un altro giorno. Drizzt e Catti-brie trascorsero la notte nella casa che Regis occupava a Bryn Shander e il mattino successivo di buon'ora tutti e tre s'incamminarono con passo deciso verso nord e verso le miniere dei nani, arrivando sul posto prima di mezzogiorno. Non appena si furono addentrati nella valle Catti-brie, che era cresciuta in quel luogo, si portò in testa al gruppo perché non aveva bisogno di una guida per trovare la strada in quell'ambiente per lei così familiare e puntò dritta versò l'entrata principale del complesso di gallerie, chinandosi per oltrepassare la bassa soglia con una disinvoltura tale da dare l'impressione che non avesse mai lasciato quel posto. Una volta nei corridoi fiocamente illuminati, la ragazza si mise quasi a correre, soffermandosi per qualche momento con ogni nano che incontrava; ogni volta un raggiante sorriso appariva sul viso barbuto del suo interlocutore di fronte alla constatazione che lei e Drizzt erano tornati, ma la conversazione era sempre molto breve, limitandosi a qualche parola di augurio da parte del nano e a una domanda da parte di Catti-brie o di Drizzt in merito a dove si trovasse in quel momento Bruenor. Finalmente i tre raggiunsero la stanza in cui era stato loro detto che Bruenor era intento a lavorare e nel sentire un clangore metallico giungere dall'interno si resero conto che il nano stava forgiando qualcosa, un evento senza precedenti nell'arco dell'ultimo decennio, da quanto lui aveva creato Aegis-fang.
Socchiudendo la porta, Catti-brie vide che Bruenor le volgeva la schiena ma non faticò a riconoscerlo dalle spalle robuste, dagli arruffati capelli rossi e dall'elmo con un corno spezzato. A causa del rumore prodotto dal martello e dal fuoco ruggente che aveva accanto, il nano non li sentì entrare ed essi riuscirono così ad arrivare dietro di lui senza essere notati. In silenzio, Catti-brie si protese allora a battergli un colpetto sulla spalla in reazione al quale Bruenor accennò a girarsi parzialmente senza quasi guardare verso di lei. «Andate via!» borbottò. «Non vedete che sto aggiustando...» D'un tratto la voce gli si bloccò in gola e per un lungo momento lui continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé come se avesse avuto timore di girarsi e di scoprire che quella fugace occhiata alle proprie spalle lo aveva tratto in inganno. Infine si decise a voltarsi e per poco non svenne nel trovarsi di fronte la figlia che aveva finalmente fatto ritorno e il suo migliore amico, tornato a casa dopo sei lunghi anni; in preda alla commozione Bruenor si lasciò sfuggire di mano il martello che gli cadde su un piede ma lui non parve accorgersene nell'avanzare di un passo per stringere Catti-brie e Drizzt in un abbraccio tale da indurli a temere che il possente nano potesse spezzare loro la schiena. Dopo qualche momento Bruenor permise poi a Drizzt di sgusciare fuori dall'abbraccio e continuò a tenere stretta a sé Catti-brie, mormorando ripetutamente "la mia ragazza", come una sorta di preghiera. Drizzt approfittò di quel momento per evocare Guenhwyvar dalla sua dimora astrale e quando infine il nano si decise a lasciar andare Catti-brie la pantera fu pronta a seppellirlo sotto il proprio peso, gettandolo al suolo ed ergendosi trionfante su di lui. «Toglietemi di dosso questo dannato gattone!» ruggì Bruenor, e per tutta risposta Guenhwyvar si chinò a lappargli il volto con assoluta disinvoltura mentre lui aggiungeva: «Razza di stupido gattone!» Nel suo tono non c'era però traccia d'ira perché infuriarsi gli era impossibile adesso che i suoi due amici... anzi... tre, avevano fatto ritorno a casa e del resto se pure avesse cercato di arrabbiarsi la cosa gli sarebbe riuscita impossibile di fronte alle risate incontenibili di Drizzt, di Catti-brie e di Regis. Sconfitto, Bruenor sollevò lo sguardo sulla pantera e gli parve che Guenhwyvar stesse sorridendo. I cinque compagni trascorsero il resto di quella giornata e buona parte della notte a scambiarsi storie relative alle rispettive vicende di quegli an-
ni, anche se Bruenor e Regis ebbero ben poco da raccontare a parte la loro decisione di lasciare Mithril Hall nelle mani di Gandalug per far ritorno nella Valle del Vento Ghiacciato. Quella era una scelta che Bruenor non sapeva spiegare neppure a se stesso, una scelta esclusivamente sua dato che Regis si era limitato a seguirlo, ma Drizzt non faticò a capire cosa l'avesse motivata: quando il dolore per la perdita di Wulfgar e l'entusiasmo per la vittoria sugli elfi scuri si erano infine attenuati, Bruenor si era fatto irrequieto, proprio come era successo a lui e a Catti-brie. Pur avendo già più di duecento anni, quel nano dalla barba rossa non era troppo vecchio secondo il metro di valutazione del suo popolo e non era ancora pronto a condurre una vita tranquilla e sedentaria; una volta che Gandalug si era insediato a Mithril Hall, Bruenor aveva finalmente potuto dimenticarsi delle proprie responsabilità e dare spazio invece ai suoi sentimenti personali. Da parte loro, Drizzt e Catti-brie ebbero invece molte più cose da raccontare, a cominciare dalla storia delle loro cacce ai pirati lungo la Costa delle Spade insieme al capitano Deudermont; avendo avuto occasione di navigare con lui, Bruenor conosceva a sua volta Deudermont, mentre Regis non aveva mai avuto modo d'incontrarlo. I due avevano tanti episodi da narrarsi, battaglie su battaglie, precedute da inseguimenti eccitanti mentre Catti-brie si sforzava dall'alto della coffa di decifrare la bandiera della nave nemica, ma quando infine giunsero a parlare degli eventi delle ultime settimane, Drizzt pose bruscamente fine alla narrazione con poche parole concise. «Questo è tutto», affermò. «A volte però anche attività così movimentate possono cessare di entusiasmare e alla fine entrambi ci siamo resi conto che era arrivato il momento di tornare a casa per venire a cercarvi». «Ma come avete fatto a sapere dove trovarci?» domandò Bruenor. Preso in contropiede, Drizzt ebbe un momento di esitazione da cui però si riprese immediatamente. «È stato così che abbiamo capito che era arrivato il momento di tornare a casa», mentì. «A Luskan abbiamo sentito dire che alcuni nani avevano attraversato la città per far ritorno alla Valle del Vento Ghiacciato e che fra loro pareva esserci anche Bruenor Battlehammer». Bruenor si limitò ad annuire pur sapendo che l'amico non gli stava dicendo la verità, o almeno non tutta. Infatti la sua gente aveva volutamente evitato Luskan e anche se senza dubbio gli abitanti del posto dovevano essere venuti a sapere della loro marcia, i nani non avevano comunque
"attraversato la città" come Drizzt invece aveva appena affermato. Bruenor però si trattenne dal far notare quell'incongruenza perché era certo che Drizzt gli avrebbe detto tutta la verità quando lo avesse ritenuto opportuno e al tempo stesso aveva il sospetto che i suoi due amici avessero un monumentale segreto di cui supponeva di conoscere la natura; dentro di sé si disse infatti che era davvero ironico che un nano finisse per avere come genero un elfo drow! Una volta che Drizzt e Catti-brie ebbero finito di narrare la loro storia, almeno nella misura in cui per ora erano disposti a farlo, sul gruppo scese per un momento il silenzio e Regis ne approfittò per assentarsi per un attimo, tornando di lì a poco per avvertire gli altri che il sole era già alto nel cielo verso oriente. «È il momento di concedersi del buon cibo e un letto caldo!» decretò Bruenor, e nel lasciare la sala Drizzt provvide a congedare Guenhwyvar con la promessa di convocarla di nuovo non appena si fosse riposata. Dopo essersi concessi un breve periodo di sonno, gli amici tornarono a riunirsi per parlare, con la sola eccezione di Regis per il quale dormire meno di dieci ore consecutive era una cosa da non prendere neppure in considerazione. Drizzt e Catti-brie non rivelarono però niente altro in merito alle ultime settimane delle loro avventure e Bruenor evitò di insistere perché aveva assoluta fiducia in sua figlia e nel suo caro amico. E per un momento, almeno, a tutti e tre il mondo parve un posto sereno e spensierato. 21 In qualsiasi momento Sdraiato all'ombra del fianco liscio e inclinato di un masso, con le mani incrociate dietro la testa e gli occhi chiusi, Drizzt stava godendo di quella giornata insolitamente calda per la Valle del Vento Ghiacciato anche in tarda estate; sebbene si trovasse lontano dall'ingresso delle miniere dei nani il drow non temeva di poter essere colto alla sprovvista perché Guenhwyvar era adagiata poco lontano, sempre all'erta, ed era ormai prossimo ad addormentarsi quando la pantera emise un ringhio sordo e appiattì gli orecchi. Subito Drizzt si levò a sedere ma, nel vedere Guenhwyvar calmarsi con la stessa rapidità con cui si era allarmata e addirittura rotolarsi pigramente
su un fianco, comprese che chi si stava avvicinando non costituiva una minaccia; infatti un momento più tardi Catti-brie oltrepassò la curva della pista per venire a unirsi ai suoi amici e come sempre Drizzt fu contento di vederla. Quando però lei gli si avvicinò e gli sedette accanto sul masso, l'elfo scuro non poté fare a meno di notare la sua espressione turbata. «Sto pensando che dovremo dirglielo», esordì senza preamboli la ragazza, ponendo fine alla tensione, e Drizzt comprese con esattezza a cosa intendeva riferirsi. Quando avevano raccontato le loro avventure a Bruenor era stato lui a inventare una conclusione fittizia per la storia mentre Catti-brie non aveva detto una sola parola perché non si era sentita a suo agio nel dover mentire a suo padre. Anche Drizzt provava del disagio per quella situazione ma non sapeva con esattezza cosa avrebbe potuto dire a Bruenor per spiegare gli eventi che li avevano riportati nella valle e non voleva generare una tensione inutile dato che per quanto ne sapeva lui era possibile che passassero anni o addirittura decenni prima che Errtu trovasse il modo di arrivare fino a loro. «Prima o poi», rispose quindi a Catti-brie. «Perché vuoi aspettare?» insistette lei. Drizzt si concesse una pausa di riflessione perché quella era una domanda indubbiamente valida. «Ci servono altre informazioni», spiegò infine. «Non sappiamo se Errtu abbia intenzione di venire nella valle e non abbiamo idea di quando questo possa succedere in quanto i demoni misurano il tempo in maniera diversa da come facciamo noi e per loro né un anno né un secolo sono un periodo di tempo troppo lungo. Di conseguenza non vedo perché dovremmo allarmare fin da ora Bruenor e Regis». «E come pensi di ottenere altre informazioni?» domandò la ragazza dopo aver soppesato accuratamente quelle parole. «Stumpet Unghie-imbellettate», replicò Drizzt. «Quasi non la conosci». «Imparerò a conoscerla e comunque so quanto basta sul suo conto e sulle gesta che ha compiuto prima nella Valle del Guardiano e poi a Menzoberranzan contro gli elfi scuri invasori da indurmi a fidarmi del suo potere e del suo buon senso». Catti-brie annuì in silenzio in quanto anche a suo parere e sulla base di quanto aveva sentito sul suo conto Stumpet Unghie-imbellettate costituiva
una scelta eccellente. Qualcos'altro però continuò a tormentarla, qualcosa di implicito nelle parole del drow che le strappò un profondo sospiro, rivelando così a Drizzt cosa le stesse passando per la mente. «Non abbiamo modo di sapere quanto tempo dovrà passare», ammise il drow guardaboschi. «Dobbiamo dunque diventare due guardiani per un anno, o magari per cento anni?» ritorse Catti-brie in tono piuttosto tagliente, poi rimpianse all'istante le parole che aveva pronunciato nel vedere l'espressione dolente che esse avevano fatto affiorare sul volto di Drizzt. Se per lei sarebbe stato difficile rimanere un mese dopo l'altro in attesa di un demone che avrebbe potuto non mostrarsi affatto, senza dubbio la cosa sarebbe stata molto più difficile per Drizzt, che non stava aspettando soltanto Errtu ma anche il proprio padre che il demone stava torturando e per il quale ogni giorno che passava era un altro giorno trascorso nelle mani di Errtu. «Mi dispiace», si scusò Catti-brie, chinando il capo. «Avrei dovuto pensare a tuo padre». «Non temere, io penso a lui costantemente», rispose Drizzt posandole una mano sulla spalla. Catti-brie sollevò gli occhi di un azzurro intenso a fissare quelli color lavanda del drow. «Lo libereremo», promise in tono cupo, «e faremo pagare a Errtu le sofferenze che gli ha causato». «Lo so», annuì Drizzt, «ma per il momento non c'è ancora bisogno di dare l'allarme. Bruenor e Regis hanno già preoccupazioni a sufficienza, con l'inverno che si sta avvicinando in fretta». Assentendo, Catti-brie si appoggiò all'indietro sulla pietra scaldata dal sole e si disse che avrebbero aspettato per tutto il tempo che fosse stato necessario, ma che dopo Errtu avrebbe fatto bene a stare in guardia. Fu così che nelle due settimane che seguirono i due amici s'inserirono nella routine della vita quotidiana della Valle del Vento Ghiacciato, lavorando accanto ai nani; in quel periodo di tempo Drizzt trovò una grotta che poteva servirgli come campo esterno nel corso delle sue numerose uscite sulla tundra e anche Catti-brie si recò spesso sulla tundra con lui, standogli accanto e offrendogli in silenzio il proprio conforto. In quei momenti parlavano ben poco di Errtu o del cristallo o del fatto che Drizzt non aveva ancora contattato Stumpet, ma il drow non cessava mai di pensare al demone e soprattutto al suo prigioniero.
Tormentandosi. *
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*
«Devi accorrere più in fretta quando ti convoco!» ringhiò il mago aggirandosi nervosamente per la stanza. Nonostante il suo tono aggressivo non fece però la minima impressione sul glabrezu alto quattro metri e dotato di quattro braccia due delle quali terminavano in mani possenti e altre due erano dotate di tenaglie che potevano spezzare un uomo in due. «I miei amici non tollerano ritardi», proseguì intanto il mago, inducendo il glabrezu Bizmatec ad arricciare le labbra canine in un astuto sorriso. Il demone sapeva infatti che quel mago agitato e nervoso, Dosemen di Sundabar, era impegnato in una dura battaglia per uscire vittorioso da una stupida gara ingaggiata contro gli altri membri della sua gilda, cosa che lo indusse a sperare che potesse aver commesso qualche errore dovuto alla troppa fretta nel preparare il cerchio. «Ti sto forse chiedendo troppo?» gemette intanto Dosemen. «Certo che no! Desidero soltanto la risposta a poche e semplici domande e in cambio ho già elargito molto!» «Io non mi sto lamentando», replicò Bizmatec, e nel parlare continuò a esaminare con attenzione il cerchio magico, la sola cosa che stesse tenendo a bada la sua furia: se Dosemen aveva commesso qualche errore nella sua preparazione, Bizmatec si riproponeva infatti di divorarlo. «Però non mi stai neppure fornendo delle risposte!» ululò Dosemen. «Adesso te lo chiederò ancora una volta, poi ti concederò tre ore, soltanto tre ore, per tornare con le risposte che mi servono!» Bizmatec ascoltò con attenzione quelle parole e vagliò ciò che esse implicavano sotto una nuova luce permeata di rispetto perché nel frattempo era giunto a constatare che il cerchio era completo e perfetto, al punto da non lasciare vie di uscita. Dosemen procedette quindi a porgli sette domande, tutte arcane e prive d'importanza per chiunque tranne per il fatto che trovare una risposta a esse era lo scopo della gara avviata dalla gilda a cui il mago apparteneva. La voce di Dosemen tradiva la sua impazienza, dovuta alla consapevolezza che tre dei suoi colleghi avevano già raccolto parecchie delle risposte necessarie per vincere, ma nonostante questo Bizmatec non lo stava effettivamente ascoltando perché stava cercando invece di ricordare qualcosa
che aveva sentito dire nell'Abisso, una proposta avanzata da un tanar'ri molto più potente di lui. Osservando di nuovo il cerchio perfetto il glabrezu si accigliò con aria dubbiosa, poi scrollò le spalle possenti: Errtu aveva detto che il potere dell'evocatore e la perfezione del cerchio magico vincolante non avevano importanza, quindi quello non era problema che lo riguardasse. «Aspetta!» ruggì il glabrezu, con voce tanto possente che, nonostante si sentisse molto sicuro di sé e fosse veramente infuriato, Dosemen indietreggiò comunque di un passo e tacque; poi Bizmatec replicò: «Ci vorranno molte ore per procurarti le risposte che desideri». «Io non ho molte ore!» ribatté Dosemen, ritrovando in parte la compostezza perduta con il riaccendersi dell'ira. «In tal caso ho un'altra risposta da darti», suggerì il glabrezu con un sorriso astuto e maligno. «Ma hai appena detto...» «Che non ho le risposte alle tue domande», fu pronto a interromperlo Bizmatec. «Però conosco qualcuno che te le può fornire, un balor». Nel sentir nominare la grande bestia Dosemen impallidì. Pur non essendo un mago da poco ed essendo esperto nelle evocazioni nonché sicuro della perfezione del proprio cerchio magico, non aveva infatti mai tentato di evocare un demone di quella portata perché i balor, che pareva fossero al massimo una ventina in tutto, costituivano il livello più elevato dei tanar'ri, il massimo terrore che l'Abisso poteva vomitare. «Hai paura del balor?» lo provocò Bizmatec. Dosemen si erse sulla persona, ricordandosi che doveva mostrarsi sempre sicuro di sé davanti a un demone poiché, com'erano soliti dire tutti i maghi, un atteggiamento debole portava a un indebolirsi del vincolo. «Io non ho paura di nulla!» dichiarò. «Allora chiama il balor e ottieni le tue risposte!» ruggì Bizmatec. «Il suo nome è Errtu». Dosemen indietreggiò di un altro passo per la semplice potenza sonora del ruggito del demone, poi si calmò considerevolmente e indugiò per un momento a riflettere: il glabrezu gli aveva appena fornito il nome di un balor apertamente e senza richiedere un prezzo, mentre il nome di un tanar'ri era uno dei beni più preziosi che esistessero perché con esso un mago come Dosemen avrebbe potuto dare maggior forza alle proprie evocazioni. «Fino a che punto desideri sconfiggere i tuoi rivali?» insistette Bizmatec
in tono provocatorio, sogghignando a ogni parola. «Senza dubbio Errtu saprà dare la risposta giusta a ciascuna delle tue domande». Dosemen ci pensò sopra per un momento appena, poi si girò di scatto verso Bizmatec: in cuor suo il mago era ancora alquanto titubante di fronte alla possibilità di evocare un balor, ma al tempo stesso la prospettiva che aveva davanti, la sua prima vittoria nella gara biennale tenuta dalla gilda, era un premio troppo succulento per poterlo ignorare. «Vattene!» ordinò. «Non intendo sprecare altro tempo con te». Il glabrezu rimase compiaciuto nel sentire quell'affermazione. Il demone sapeva che il congedo da parte del mago si riferiva soltanto al momento attuale perché Dosemen era diventato per lui una sorta di spina nel fianco che lo infastidiva di continuo, ma sapeva anche che se i sussurri che circolavano nelle fumose profondità dell'Abisso sul conto del possente Errtu erano veri, Dosemen sarebbe presto rimasto sorpreso e terrorizzato nel constatare quanto le sue attuali parole fossero state profetiche. *
*
*
Una volta nell'Abisso, con la porta di passaggio fra i diversi piani che ancora si stava richiudendo alle sue spalle, Bizmatec si affrettò a raggiungere un'area disseminata di funghi giganteschi che costituiva il covo del possente Errtu. Nel veder sopraggiungere il glabrezu, il primo impulso di Errtu fu quello di distruggerlo perché pensò che si trattasse di un invasore, ma non appena Bizmatec cominciò a riferirgli le notizie di cui era latore il balor si lasciò ricadere contro lo schienale del suo trono ricavato da un fungo, sfoggiando un sogghigno che gli andava da un corno all'altro. «Hai fornito il mio nome a quello stolto?» chiese infine. Bizmatec ebbe un momento di esitazione, ma poi si decise a rispondere perché nella voce di Errtu non pareva esserci ira, ma soltanto avide aspettative. «In base alle istruzioni che avevo sentito...» cominciò con titubanza, ma fu interrotto da una stridula risata di Errtu. «Hai fatto bene», approvò poi il balor, e Bizmatec si rilassò considerevolmente. «Dosemen non è però un mago da poco», avvertì quindi. «Il suo cerchio è perfetto». Errtu rise ancora, come se la cosa non avesse importanza e Bizmatec era sul punto di ribadire il concetto in quanto supponeva che il balor fosse
semplicemente convinto di poter trovare una falla là dove lui non ne aveva viste quando Errtu lo precedette, protendendo un piccolo cofanetto nero. «Nessun cerchio è perfetto», dichiarò in tono ermetico ma con assoluta sicurezza. «Adesso tieniti pronto ad agire perché ho bisogno che tu mi renda un servigio, sorvegliando per me il mio preziosissimo prigioniero». Nel proferire quelle parole il balor scese dal trono e accennò ad avviarsi, ma poi si arrestò nel vedere che il glabrezu stava ancora esitando. «La tua ricompensa sarà grande, mio generale», promise. «Molti giorni in cui potrai circolare libero sul Piano Materiale dell'Esistenza e molte anime da divorare». Quella era una promessa a cui nessun tanar'ri era in grado di resistere a lungo. L'evocazione di Dosemen giunse di lì a poco e anche se risultò piuttosto debole poiché il mago aveva già consumato troppa parte delle sue energie magiche nell'evocare Bizmatec, il balor si affrettò a raccogliere il prezioso cofanetto e a rispondere alla chiamata, oltrepassando la porta fra i piani, il che gli permise di accedere alla stanza che Dosemen occupava a Sundabar e venendosi a trovare, proprio come aveva avvertito Bizmatec, all'interno di un cerchio di potere perfettamente realizzato. «Affrettati a chiudere la porta!» esclamò il balor, facendo echeggiare le pareti di pietra con la propria voce tonante. «Il baatezu mi potrebbe raggiungere qui! Stolto! Mi hai separato dai miei seguaci e adesso quella bestia mi raggiungerà e mi distruggerà! Che cosa farai, stolto mortale, quando i mostri dell'Abisso varcheranno la porta da te creata?» Come avrebbe fatto al suo posto qualsiasi saggio mago, Dosemen stava già lavorando freneticamente per richiudere la porta. I mostri dell'Abisso! E più di uno? Nessun cerchio e nessun mago, per quanto potenti, avrebbero mai potuto contenere un balor e un paio di altri demoni dell'Abisso, quindi Dosemen prese a cantilenare e a muovere le braccia in cerchi concentrici, scagliando nell'aria svariati componenti che accompagnavano l'incantesimo. Nel frattempo Errtu continuò a fingere ira e terrore, osservando il mago per poi tornare a guardarsi alle spalle come se stesse contemplando la porta che aveva appena oltrepassato. La verità era che lui aveva bisogno che quella porta venisse chiusa perché presto qualsiasi magia ancora in atto sarebbe stata annullata e se la porta fosse stata attiva con ogni probabilità lui si sarebbe venuto a trovare di nuovo nell'Abisso. Finalmente la procedura si concluse e Dosemen si calmò, nella misura in
cui qualsiasi mago poteva calmarsi nell'avere di fronte la faccia fra il canino e lo scimmiesco di un possente balor. «Ti ho convocato perché ho bisogno di un semplice...» cominciò il mago. «Silenzio!» ruggì il possente Errtu. «Tu mi hai convocato perché ti è stata data istruzione di farlo». Dosemen adocchiò con aria sospettosa il balor, poi esaminò il proprio cerchio trovandolo perfetto e si disse che non doveva perdere la fiducia in se stesso, che le parole del balor erano soltanto un inganno. «Taci!» ingiunse a sua volta, e poiché il cerchio era effettivamente perfetto e lui era stato evocato nel modo corretto, mediante l'impiego del suo nome, Errtu fu costretto ad obbedire. Pur tacendo, tuttavia, tirò fuori il cofanetto nero e lo protese in modo che Dosemen potesse vederlo. «Cos'è?» domandò il mago. «La tua fine», rispose Errtu con assoluta sincerità. Sfoggiando un sorriso malvagio il balor aprì il cofanetto, rivelando uno scintillante zaffiro nero grosso quanto il pugno di un uomo, un residuo dell'Era dei Pericoli. All'interno dello zaffiro era racchiusa un'energia antimagica in quanto esso era un pezzo di zona di magia morta, uno dei più importanti resti dell'era in cui gli avatar degli dei si aggiravano nei Reami. Nel momento stesso in cui il cofanetto che racchiudeva la gemma venne aperto il vincolo mentale che Dosemen esercitava su Errtu scomparve e il cerchio tracciato dal mago, pur conservando la propria perfezione, perse la capacità di fungere da prigione per il demone evocato al suo interno e cessò quindi di costituire una difesa, come accadde anche per gli incantesimi protettivi che il mago aveva apposto sulla propria persona. Alla presenza di quella pietra magica lo stesso Errtu era del tutto privo di poteri magici, ma del resto il possente tanar'ri, mezzo quintale di muscoli e di malvagità, non ne aveva bisogno. *
*
*
Più tardi quella stessa notte i colleghi di Dosemen entrarono nella stanza privata del mago, timorosi per la sorte del loro confratello, ma di lui trovarono soltanto una scarpa e una chiazza di sangue ormai secco. Quanto a Errtu, dopo aver riposto di nuovo lo zaffiro nel cofanetto che ne poteva bloccare l'intenso potere antimagico, era ormai molto, molto lontano e stava volando veloce verso nordovest, alla volta della Valle del
Vento Ghiacciato dov'era in attesa Crenshinibon, un manufatto che il balor desiderava da secoli di avere in suo possesso. 22 Come ai vecchi tempi Drizzt stava correndo con il costante mormorio del vento che gli accarezzava gli orecchi, proveniente ora soprattutto da nord, dai ghiacciai e dai grandi iceberg del Mare del Ghiaccio Mobile, perché la stagione stava cominciando a cambiare e l'estate cedeva a poco a poco il posto al breve autunno e al cupo inverno. Drizzt conosceva quel cambiamento di ritmo vitale della tundra bene come qualsiasi altro suo abitante dal momento che, anche se vi aveva trascorso soltanto un decennio della propria vita, in quel periodo di tempo era giunto a conoscere a fondo quella terra e la sua natura, al punto che sulla base della semplice consistenza del terreno era in grado di determinare in quale periodo dell'anno ci si trovasse, con un margine di errore di dieci giorni al massimo. Adesso il terreno stava ricominciando a indurirsi anche se conservava ancora una traccia di scivolosità sotto i suoi piedi in movimento, dovuta al fango che si annidava sotto la superficie sempre più dura e che costituiva un residuo della corta estate. Mentre correva il guardaboschi si strinse maggiormente il mantello intorno al collo per tenere a bada la brezza gelida. Per quanto infagottato, e anche se non riusciva a sentire molto al di sopra del gemito costante del vento, il drow era comunque come sempre sul chi vive perché le creature che si avventuravano sulla tundra della Valle del Vento Ghiacciato e non si mostravano guardinghe non sopravvivevano a lungo. In parecchi punti l'occhio attento di Drizzt notò tracce lasciate da yeti della tundra e più oltre ne scoprì delle altre che procedevano affiancate, secondo il modo di viaggiare proprio degli orchetti; poiché non aveva lasciato il Picco di Kelvin per andare in cerca di uno scontro, il drow si limitò a prendere nota della provenienza di quelle impronte e della direzione in cui erano avviate semplicemente per poter evitare le creature che le avevano lasciate. Di lì a poco trovò infine le tracce che stava cercando, quelle di due paia di piedi umani calzati di morbidi stivali, disposte in modo tale da indicare che chi le aveva lasciate stava procedendo con passo lento, come un cacciatore che braccasse una preda. Esaminandole meglio, rilevò quindi che
esse erano più profonde vicino all'attaccatura delle dita, tipico del modo di camminare dei barbari che posavano prima la punta del piede e poi il tallone, contrariamente alla maggior parte dei popoli dei Reami che invece camminavano nel modo opposto. A quel punto Drizzt non ebbe più dubbi sul fatto di essere sulla pista giusta. La notte precedente si era avventurato nelle vicinanze dell'accampamento dei barbari con l'intenzione di entrarvi per parlare con Revjak e con Berkthgar ma nell'ascoltare non visto nel buio aveva scoperto che il giorno successivo Berkthgar aveva intenzione di andare a caccia insieme al figlio di Revjak e in un primo tempo era rimasto turbato dalla cosa, temendo che Berkthgar potesse decidere di sferrare un colpo indiretto a Revjak uccidendo il ragazzo. Subito dopo però aveva scartato quella supposizione, ritenendola infondata e stupida perché conosceva bene Berkthgar e nonostante i contrasti che avevano avuto sapeva che era un uomo onorevole e che non era un assassino; era quindi molto più probabile che stesse cercando di conquistarsi la fiducia del figlio di Revjak in modo da rafforzare il proprio potere all'interno della tribù. Drizzt aveva trascorso quella notte fuori dall'accampamento, nel buio, senza che nessuno si accorgesse della sua presenza, e prima dell'alba si era portato a distanza di sicurezza per poi descrivere un ampio giro verso nord fino a ritrovare queste tracce, le impronte di due uomini che procedevano affiancati. I due avevano circa un'ora di vantaggio rispetto a lui, ma dal momento che stavano procedendo come cacciatori, lenti e cauti, non dubitò di riuscire a raggiungerli nell'arco di pochi minuti. Un momento più tardi però fu costretto a rallentare il passo nel constatare che le tracce si erano divise e che quelle più piccole si erano allontanate verso ovest mentre quelle più grandi avevano continuato dritte verso nord. Supponendo che le impronte più grandi fossero quelle di Berkthgar, alla fine il drow proseguì a sua volta verso nord e di lì a poco in effetti avvistò il gigantesco barbaro, inginocchiato sulla tundra e con la mano sollevata a proteggersi gli occhi dal sole nello scrutare con attenzione verso nordovest. Rallentando di nuovo l'andatura, Drizzt avanzò con cautela, scoprendo di sentirsi nervoso alla vista di quell'uomo imponente. In passato lui e Berkthgar avevano avuto molte discussioni, all'epoca in cui di solito Drizzt fungeva da collegamento fra Bruenor e la gente di Settlestone, l'insediamento su cui allora Berkthgar regnava, ma adesso le cose erano cambiate,
il grosso barbaro era di nuovo nella sua terra, non aveva bisogno di nulla da Bruenor e questo avrebbe potuto renderlo pericoloso. Drizzt però doveva scoprire se fosse davvero così, questo era il motivo per cui aveva lasciato il Picco di Kelvin, quindi avanzò silenziosamente, un passo dopo l'altro, fino a venirsi a trovare ad appena pochi passi dal barbaro, ancora inginocchiato e all'apparenza ignaro della sua presenza. «Salve, Berkthgar», esordì il drow, e quando l'improvviso risuonare della sua voce non parve sorprendere il barbaro comprese che Berkthgar, da vero figlio della tundra, lo aveva comunque sentito avvicinarsi. Rialzatosi lentamente in piedi, Berkthgar intanto si era girato in modo da fronteggiarlo. «Il tuo compagno di caccia?» chiese Drizzt, guardando verso ovest dove un lontano punto nero era apparso sulla tundra. «È il figlio di Revjak», replicò Berkthgar. «Si chiama Kierstaad ed è un ragazzo in gamba». «E cosa mi dici di Revjak?» insistette Drizzt. Berkthgar non rispose immediatamente. «Era corsa voce che fossi tornato nella valle», affermò infine. «Questa è una cosa buona agli occhi di Berkthgar?» domandò Drizzt. «No», fu la semplice risposta. «La tundra è vasta, drow, abbastanza perché io e te non ci si debba incontrare di nuovo». Con quelle parole accennò ad allontanarsi come se non avesse avuto altro da dire, ma Drizzt non era ancora pronto a porre fine a quella conversazione. «Perché dovresti volere una cosa del genere?» chiese con finta ingenuità, nel tentativo di spingere Berkthgar a scoprire il suo gioco. Ciò che voleva sapere era infatti quanto fosse grande la distanza che i barbari stavano mettendo fra loro e la gente delle Dieci Città e i nani. Essi sarebbero diventati invisibili coinquilini che avrebbero diviso con loro pacificamente la tundra oppure sarebbero tornati a essere irriducibili nemici? «Revjak mi definisce un amico», proseguì quindi, «e quando ho lasciato la valle, tanti anni fa, l'ho annoverato fra coloro di cui avrei sentito profondamente la mancanza». «Revjak è un vecchio», affermò in tono secco Berkthgar. «Revjak parla per conto della tribù». «No!» fu pronto a rispondere Berkthgar, in tono ora addirittura tagliente, poi si affrettò a calmarsi e sfoggiò un sorriso da cui Drizzt comprese che il
guerriero stava dicendo la verità prima ancora che lui aggiungesse: «Revjak non parla più per conto della tribù». «È dunque Berkthgar a farlo?» chiese Drizzt. «Sono tornato per guidare il mio popolo», annuì il grosso barbaro continuando a sorridere. «Voglio allontanarlo dalla via errata seguita da Wulfgar e da Revjak e riportarlo alle usanze che seguivamo un tempo quando eravamo liberi e non dovevamo rispondere di nulla a nessuno se non a noi stessi e al nostro dio». Drizzt rifletté per un momento su quelle parole, rendendosi conto che quel giovane e orgoglioso guerriero si stava autoingannando perché quei tempi andati di cui parlava con tanta reverenza non erano stati spensierati e meravigliosi come lui adesso li dipingeva con apparente convinzione ed erano stati caratterizzati da guerre costanti, di solito fra le tribù che si contendevano il cibo, spesso troppo scarso per tutti. In quei favolosi tempi passati i barbari morivano di fame o per congelamento e capitava di frequente che finissero per costituire il pranzo di uno yeti della tundra o di qualcuno dei grossi orsi bianchi che seguivano a loro volta le mandrie di renne lungo la costa del Mare del Ghiaccio Mobile. Il pericolo della nostalgia era proprio quello, la tendenza a ricordare soltanto le cose belle del passato e a dimenticare i problemi che lo avevano caratterizzato. «Dunque Berkthgar parla per conto della tribù», disse infine. «Intende guidarle verso la disperazione? Verso la guerra?» «La guerra non è sempre disperazione», dichiarò con freddezza il grosso barbaro. «In quanto a te, hai forse già dimenticato che seguire la via voluta da Wulfgar ci ha portati a impegnare una guerra contro il tuo popolo?» Drizzt non seppe cosa rispondere a quell'obiezione; infatti le cose non erano andate in quel modo e la guerra contro i drow era stata dovuta più a un caso che a qualsiasi cosa Wulfgar avesse fatto, ma d'altro canto quelle parole contenevano comunque una certa dose di verità, almeno dal punto di vista di Berkthgar. «E prima ancora la via voluta da Wulfgar ha portato le tribù a combattere una guerra per aiutare il tuo ingrato amico a riconquistare il suo trono», continuò Berkthgar. Drizzt si limitò a fissare il barbaro con occhi roventi: anche in questo caso le sue parole contenevano una verità, per quanto distorta, e lui si rese conto che non c'era risposta che potesse fornire, offerta concreta con cui potesse far cambiare idea a Berkthgar.
Poi entrambi si accorsero che il punto nero che si stava muovendo sulla tundra si era fatto più grande e che Kierstaad si stava avvicinando. «Noi abbiamo ritrovato l'aria pulita della tundra», proclamò Berkthgar prima che il ragazzo li raggiungesse. «Siamo tornati alle antiche usanze, usanze migliori, ed esse non permettono l'amicizia con elfi drow». «Berkthgar sta dimenticando molte cose», ribatté Drizzt. «Al contrario, Berkthgar ne ricorda anche troppe», ribatté il barbaro allontanandosi. «Saresti saggio a riflettere sul bene che Wulfgar ha fatto al tuo popolo», gli gridò dietro Drizzt. «Forse Settlestone non era un posto adatto per la tribù, ma la Valle del Vento Ghiacciato è un luogo spietato, una terra dove gii alleati sono il bene più prezioso che un uomo possa avere». Berkthgar non accennò neppure a rallentare il passo e quando ebbe raggiunto Kierstaad continuò a camminare senza fermarsi, oltrepassandolo; arrestandosi, il giovane si girò a seguirlo con lo sguardo per un momento e non tardò a capire cosa fosse appena accaduto. Quando poi tornò a voltarsi verso Drizzt, lo riconobbe e spiccò la corsa per raggiungerlo. «Ben incontrato, Kierstaad», lo salutò Drizzt. «Il passare degli anni ti è stato favorevole, a quanto vedo». Nel sentire quelle parole Kierstaad si erse leggermente sulla persona, elettrizzato all'idea che Drizzt Do'Urden gli avesse fatto un complimento del genere. Essendo stato un ragazzo di appena dodici anni quando Drizzt aveva lasciato Mithril Hall, Kierstaad non aveva avuto modo di conoscerlo bene ma aveva sentito parlare di lui come di un guerriero leggendario. Una volta Drizzt e Catti-brie si erano recati nell'Hengorot, la sala del sidro di Settlestone, e Drizzt era balzato sul tavolo per tenere un discorso in cui aveva esortato a una più stretta alleanza fra i barbari e i nani. Secondo le antiche usanze di cui Berkthgar amava parlare tanto spesso a nessun elfo drow avrebbe dovuto essere permesso di entrare nell'Hengorot e senza dubbio a nessun drow sarebbe mai stato mostrato del rispetto; quel giorno però i presenti nella sala del sidro avevano mostrato di rispettare Drizzt Do'Urden, il che era di per sé una testimonianza del valore di guerriero del drow. Kierstaad inoltre non riusciva a dimenticare le storie che suo padre gli aveva narrato sul conto di Drizzt, soprattutto quella relativa a una feroce battaglia contro gli abitanti delle Dieci Città in cui i guerrieri barbari invasori erano stati sonoramente sconfitti soprattutto per merito di Drizzt Do'Urden. Dopo quel combattimento le file dei barbari erano risultate no-
tevolmente ridotte e con l'inverno ormai imminente era parso che quanti erano sopravvissuti alla guerra sarebbero andati incontro a un periodo di estrema difficoltà, soprattutto i giovanissimi e i vecchi, perché i cacciatori ancora in vita non erano semplicemente abbastanza numerosi per poter provvedere a nutrire tutti quanti. Quando si erano incamminate verso ovest per seguire le mandrie, le nomadi tribù barbare avevano però cominciato a trovare ogni giorno sulla loro pista carcasse di renna appena abbattute e lasciate a disposizione della tribù, e sia Revjak sia molti altri anziani erano stati concordi nel ritenere che quella fosse opera di Drizzt Do'Urden, il drow che aveva difeso le Dieci Città contro i barbari. Revjak non aveva mai dimenticato la portata di quel gesto gentile e come lui non lo avevano dimenticato neppure molti fra i barbari più maturi. «Ben incontrato anche a te», replicò Kierstaad. «È un bene che tu sia tornato». «Non tutti condividono questo punto di vista», osservò Drizzt. «Sono certo che Bruenor è stato lieto di rivedere Drizzt Do'Urden», sbuffò Kierstaad, scrollando le spalle da neutrale. «E Catti-brie», precisò Drizzt, «che è tornata insieme a me». Il giovane annuì nuovamente in modo tale da far capire a Drizzt che avrebbe voluto dirgli qualcosa di più, ma al tempo stesso il modo in cui continuò a guardarsi alle spalle in direzione della figura di Berkthgar che si stava allontanando rivelò anche che il giovane nutriva sentimenti contrastanti. Infine Kierstaad parve risolvere quel conflitto interiore e tornò a girarsi verso il drow con un profondo sospiro. «Molti ricordano la verità in merito a Drizzt Do'Urden», disse. «E riguardo a Bruenor Battlehammer?» chiese Drizzt. «Berkthgar guida la tribù per diritto acquisito con le sue azioni, ma non tutti sono d'accordo con ogni sua parola», informò Kierstaad. «Allora speriamo che Berkthgar rammenti presto la verità», replicò Drizzt. Guardandosi alle spalle ancora una volta, Kierstaad si accorse che Berkthgar si era fermato e si era voltato nella sua direzione; comprendendo cosa ci si aspettava da lui, il giovane rivolse a Drizzt un rapido cenno del capo che non fu accompagnato neppure da una parola di commiato e spiccò la corsa per raggiungere il gigantesco guerriero. Rimasto solo, Drizzt rifletté a lungo su cosa implicasse lo spettacolo del
giovane che era stato pronto ad accorrere in obbedienza alla volontà di Berkthgar pur non essendo d'accordo con il suo modo di vedere, poi passò a esaminare la linea di condotta che lui stesso avrebbe dovuto adottare. Era stata sua intenzione recarsi all'accampamento per parlare con Revjak ma adesso quella gli pareva una cosa inutile e addirittura pericolosa. Ora infatti era Berkthgar a parlare per conto della tribù. *
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Mentre Drizzt stava procedendo a nord rispetto al Picco di Kelvin, un altro viandante stava attraversando la tundra a sud della montagna: Stumpet Unghie-imbellettate, che procedeva china sotto il peso del voluminoso zaino e con lo sguardo fisso sulla sua meta, costituita dalle vette torreggianti della Spina Dorsale del Mondo. Appeso alla sua cintura, Crenshinibon taceva soddisfatto. Il manufatto aveva invaso i sogni di Stumpet notte dopo notte, ricorrendo a un metodo di comunicazione più subdolo del consueto a causa del suo profondo rispetto per colei che lo possedeva, che era al tempo stesso una nana e una sacerdotessa di un dio buono. A poco a poco, nel corso delle settimane Crenshinibon era comunque riuscito a logorare la resistenza opposta da Stumpet e a convincerla che quello non era un viaggio assurdo e pericoloso ma piuttosto una sfida da affrontare e da vincere. E così il giorno precedente Stumpet si era messa risolutamente in marcia verso sud, armata e pronta ad affrontare qualsiasi mostro e a scalare qualsiasi montagna. Per il momento non era però ancora vicina alle montagne e si trovava a metà strada da Redwaters, il più meridionale dei tre laghi, e per ora Crenshinibon era intenzionato a continuare tacere. Essendo abituato a lavorare nell'arco di secoli, il manufatto non dava infatti peso a pochi giorni di attesa e sapeva che quando fossero arrivati fra le montagne avrebbe trovato qualcuno più adatto a utilizzarlo. D'un tratto però il cristallo avvertì una presenza possente e familiare. Un tanar'ri. Un momento più tardi Stumpet smise di correre e contrasse il volto in un'espressione incuriosita nell'esaminare l'oggetto che portava alla cintura e da cui stavano ora emanando delle vibrazioni, come se fosse stata una cosa viva. «Cosa succede?» esclamò prendendo in mano il cristallo nel rendersi
conto che le vibrazioni erano una sorta di richiamo. «Cosa stai combinando?» Stava ancora scrutando il cristallo quando una sfera di oscurità apparve in mezzo alla caligine azzurrina che avviluppava l'orizzonte e prese ad avvicinarsi rapida sulla spinta delle possenti ali in risposta al richiamo del manufatto; non comprendendo cosa stesse succedendo, Stumpet infine scrollò le spalle con aria perplessa e tornò ad appendere il cristallo alla cintura prima di risollevare lo sguardo. Ormai però era troppo tardi. Errtu scese in picchiata, veloce e violento, sopraffacendo la nana prima che avesse la possibilità di sollevare un'arma, e nell'arco di pochi secondi poté stringere in pugno Crenshinibon, un'unione che entrambi desideravano. Stordita e disarmata, gettata al suolo dall'impatto, Stumpet si sollevò sui gomiti e nel vedere il tanar'ri ergersi su di lei cercò di invocare il suo dio; Errtu però non era disposto a permetterglielo e le sferrò un calcio che la scagliò a qualche metro di distanza, avanzando poi verso di lei con l'intenzione di ucciderla lentamente. Crenshinibon lo fermò. Il manufatto non disprezzava la forza bruta e non nutriva una particolare simpatia nei confronti di Stumpet, ma gli bastò ricordare a Errtu che nemici come Stumpet potevano essere sfruttati a suo vantaggio, per indurre il demone a soffermarsi a riflettere. Errtu non sapeva nulla di Bruenor Battlehammer e della ricerca di Mithril Hall, non sapeva né della partenza del clan dalla valle né del suo ritorno, ma era a conoscenza della passata alleanza di Drizzt Do'Urden con i nani della Valle del Vento Ghiacciato e ritenne quindi probabile che se fosse tornato nella valle il drow avrebbe di nuovo instaurato rapporti di amicizia con i nani che lavoravano nelle miniere a sud della montagna chiamata il Picco di Kelvin, evidente luogo di provenienza di quella femmina che aveva davanti. Torreggiando su Stumpet, il demone sfruttò il proprio aspetto minaccioso per impedirle di raggiungere la concentrazione necessaria per lanciare un incantesimo o anche soltanto per recuperare la propria arma, poi protese una mano su cui spiccava un anello adorno di una pietra fra il nero e il porpora e mentre nei suoi occhi neri divampava un bagliore di fiamma prese a intonare un canto nella lingua gutturale dell'Abisso. Dalla gemma scaturì una luce purpurea che si riversò su Stumpet, la cui prospettiva visiva cambiò immediatamente.
Adesso non stava più guardando verso l'alto e verso il demone ma piuttosto verso il basso e verso il proprio corpo! La sacerdotessa sentì la risata malevola di Errtu e percepì l'approvazione del cristallo, poi vide il proprio corpo rialzarsi da terra e procedere a raccogliere tutti gli oggetti che aveva lasciato cadere. Con rigidi gesti da zombie, il corpo privo di anima della nana si girò e s'incamminò verso nord, lasciando l'anima di Stumpet intrappolata all'interno della gemma purpurea, da dove poteva avvertire le risate del demone e le ondate in sintonia che il manufatto gli stava trasmettendo. *
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Quella notte Drizzt e Catti-brie si recarono sulla cima della Salita di Bruenor insieme al nano dalla barba rossa e a Regis, e si sedettero a contemplare lo spettacolo offerto dalla volta stellata. Nonostante la serenità di quello spettacolo, sia il nano che l'halfling avvertirono il disagio dei loro compagni e intuirono che essi stavano celando un segreto. «Allora?» chiese infine Bruenor, incapace di sopportare oltre le occhiate indecifrabili che Drizzt e Catti-brie continuavano a scambiarsi. D'un tratto Catti-brie scoppiò in una risatina, sentendo la propria tensione alleviarsi di fronte all'acuto spirito intuitivo di suo padre, dato che quella notte lei e Drizzt avevano in effetti chiesto a Bruenor e a Regis di salire lassù con loro per parlare di qualcosa di più importante della bellezza della luna e delle stelle. Dopo lunga discussione il drow aveva infatti convenuto con lei che non era giusto tenere i loro amici all'oscuro del motivo effettivo per cui avevano fatto ritorno nella Valle del Vento Ghiacciato. Di conseguenza, in risposta alla domanda del nano Drizzt procedette a raccontare gli eventi che avevano accompagnato le loro ultime settimane a bordo del Folletto del Mare, parlando dell'attacco subito da Deudermont a Waterdeep, del viaggio fino a Caerwitch e del modo in cui Harkle li aveva trasportati fino a Carradoon con il suo incantesimo, concludendo con il viaggio sulle ali del vento in compagnia di Cadderly che li aveva fatti arrivare a Luskan, e questa volta non trascurò neppure un particolare, né i versi della strega cieca che riferì così come gli riusciva di ricordarli né il fatto che suo padre fosse prigioniero di Errtu, il grande tanar'ri. Nel corso della narrazione Catti-brie interloquì spesso, soprattutto per rassicurare suo padre in merito al fatto che se avevano deciso che era giunto il momento di tornare a casa era stato in buona parte perché questa era
davvero la loro casa e perché sapevano che lì avrebbero trovato lui e Regis. Quando Drizzt concluse la narrazione sui quattro scese un profondo silenzio, e lo sguardo di tutti si appuntò su Bruenor in attesa della sua reazione, come se essa fosse stata un giudizio definitivo e inappellabile. «Dannato elfo!» esplose infine il nano. «Devi sempre portare con te qualche guaio! Sappi che rendi la vita davvero interessante!» Drizzt, Catti-brie e lo stesso Bruenor scoppiarono quindi in una breve risata piena di tensione e si girarono verso Regis per sentire quale fosse il suo parere al riguardo. «Devo proprio allargare la mia cerchia di amicizie», commentò l'halfling, con una disperazione fasulla quanto lo era stata l'indignazione di Bruenor. Ruggendo alla notte, Guenhwyvar aggiunse la propria voce a quella degli altri. Adesso i cinque amici erano di nuovo insieme, più che pronti ad affrontare qualsiasi situazione e qualsiasi battaglia. Essi però non conoscevano l'intensità del terrore che Errtu poteva scatenare e non sapevano che il demone era già entrato in possesso di Crenshinibon. 23 Cryshal-Tirith Senza il minimo suono, simile a una sfera di oscurità che si stagliava sullo sfondo del cupo cielo notturno, Errtu si diresse verso nord, sorvolando i tre laghi e il Picco di Kelvin, l'aperta tundra e l'accampamento del popolo di Berkthgar, con l'intenzione di raggiungere il limitare estremo della tundra per organizzare là la propria fortezza, ma quando arrivò alla costa del Mare del Ghiaccio Mobile scoprì un territorio ancora migliore e più desolato. Essendo una creatura dell'infocato Abisso, Errtu non amava la neve e il ghiaccio, ma la consistenza dei grandi iceberg che si muovevano nell'acqua, una vera e propria catena di montagne cinta da mobili e gelidi fossati difensivi, gli rivelò un potenziale a cui non seppe resistere. Il tanar'ri scese quindi verso la prima e più ampia distesa di acqua e si andò a posare sul fianco della parte visibile dell'iceberg più vicino da dove prese a scrutare l'oscurità circostante servendosi dapprima della vista nor-
male e poi passando a vagliare le emanazioni di calore che potevano esserci nelle vicinanze. Com'era prevedibile la sola risposta che ottenne con entrambi i sondaggi fu una fredda oscurità priva di vita. Quando però accennò a riprendere il volo il demone avvertì la volontà di Crenshinibon che gli consigliava di guardare con maggiore attenzione. Prevedendo di non trovare nulla Errtu non riuscì a capire il motivo di quell'insistenza ma riprese a vagliare la zona e rimase sorpreso di constatare che un'area di aria più calda si levava da una depressione su un lato di un iceberg distante circa un centinaio di metri; con il buio la distanza era eccessiva perché Errtu potesse distinguere eventuali forme fisiche, ma al grande tanar'ri bastò un colpo d'ali per dimezzarla. Senza far rumore, il balor continuò poi ad avvicinarsi sempre di più e alla fine constatò che il calore da lui avvistato emanava da un gruppo di figure a sangue caldo raccolte le une vicino alle altre in uno stretto cerchio. Un viandante che avesse avuto maggiore esperienza della Valle del Vento Ghiacciato e delle sue forme di vita avrebbe pensato che si trattasse di foche o di qualche altro animale marino, ma Errtu non aveva familiarità con le creature del nord e scelse quindi di avvicinarsi con precauzione. Gli esseri erano di forma umanoide e di dimensioni simili a quelle di un uomo, con lunghe braccia e una grossa testa; in un primo tempo Errtu pensò che fossero vestiti di pellicce, ma poi la distanza sempre più ridotta gli permise di constatare che in effetti non erano affatto vestiti e che quello che stava vedendo era il loro fitto pelo bianco, ispido e coperto di una sostanza lucida e oleosa. La base del tuo esercito. Quel pensiero insidioso s'insinuò nella mente del balor, proveniente da Crenshinibon che con impazienza stava rinnovando i propri sforzi per acquisire un maggior potere. Arrestandosi, Errtu rifletté su quell'idea per qualche tempo. Non era sua intenzione raccogliere un esercito, non in quella landa selvaggia e desolata. Ciò che voleva fare era rimanere nella Valle del Vento Ghiacciato per il breve tempo necessario a scoprire se Drizzt Do'Urden era in quella zona e per distruggerlo se in effetti si trovava laggiù, poi avrebbe abbandonato la desolazione della valle per raggiungere regioni più ospitali e più densamente popolate. I suggerimenti di Crenshinibon però non diminuirono d'intensità e dopo qualche tempo il tanar'ri cominciò a scorgere un potenziale vantaggio nello schiavizzare alcune delle creature che vivevano in quella zona, in quanto gli parve che sarebbe stato saggio proteggere la propria base con un certo
numero di soldati sacrificabili. Scoppiando in una perfida risatina il balor borbottò alcune parole, un incantesimo che gli avrebbe permesso di comunicare con quelle creature nella loro gutturale lingua primitiva, sempre supponendo che quell'insieme di ringhi e di grugniti potesse essere definito una lingua, poi fece di nuovo appello alle proprie capacità magiche per scomparire e riapparire sul pendio alle spalle e al di sopra dell'accampamento improvvisato dalle creature pelose. Da dove si trovava il balor poté finalmente esaminarle meglio. Esse ammontavano a una quarantina circa. Il loro pelo ispido era bianco, la grossa testa era praticamente priva di fronte ed avevano un fisico robusto e muscoloso. Sono tue, dichiarò Crenshinibon, riferendosi alle creature che continuavano a spintonarsi a vicenda, ciascuna all'apparenza decisa ad arrivare il più vicino possibile al centro del mucchio, che doveva essere il punto più caldo. Errtu, che stava avvertendo appieno il potere dominante del cristallo, assentì e si alzò in piedi sul costone in tutta la sua altezza di oltre tre metri, rivolgendosi alle creature con voce tonante e dichiarando di essere il loro dio. Immediatamente sul campo scese il caos più totale in quanto le creature presero a correre alla cieca, sbattendo le une contro le altre e cadendosi reciprocamente addosso. Errtu scelse quel momento per spiccare il volo e venire a posarsi in mezzo a loro, con il risultato che le creature si allontanarono dalla sua forma torreggiante e si disposero cautamente in cerchio intorno a lui; per tutta risposta il balor evocò un basso muro di fuoco come barriera difensiva personale, poi levò in alto la propria spada costituita da una saetta, ingiungendo alle creature di inginocchiarsi davanti a lui. Invece di obbedire le bestie irsute spinsero avanti una di loro, la più grossa del gruppo, in una sfida che Errtu non faticò a comprendere. La grossa creatura emise un ruggito provocatorio ma il suono le si mozzò in gola quando il tanar'ri brandì l'altra sua arma abituale, la crudele frusta a molteplici code e con uno schiocco deciso la mandò ad avvilupparsi intorno alle sue caviglie; un momento più tardi Errtu assestò un leggero strattone alla frusta e fece cadere supina la bestia, trascinandola in avanti con noncuranza fino a farla giacere nel proprio fuoco, urlante di agonia. Errtu però non uccise la creatura e un momento più tardi impresse alla frusta un moto ondulatorio che scagliò l'essere lontano dalle fiamme e lo mandò a rotolarsi gemendo sul ghiaccio.
«Errtu!» proclamò quindi il tanar'ri con voce tonante, inducendo le creature intimorite a indietreggiare. L'istante successivo si accorse però che per quanto intimorite esse non erano ancora pronte a inginocchiarsi davanti a lui e decise quindi di adottare una tattica differente poiché le usanze basilari e istintive di quelle bestie tribali gli erano ormai evidenti; sfruttando la luce del fuoco il balor esaminò quindi meglio gli esseri e i loro ornamenti, e si rese conto che essi erano probabilmente molto meno civilizzati degli orchetti con cui lui era più abituato ad avere a che fare. Intimoriscile e ricompensale, suggerì Crenshinibon, ma del resto quella era una strategia a cui Errtu stava già facendo ricorso. Avendo provveduto a dimostrare la propria superiorità, il demone emise un possente ruggito e spiccò il volo, librandosi al di sopra della sommità dell'iceberg per poi scomparire nella notte; nell'allontanarsi sentì levarsi alle proprie spalle altri grugniti e sussurri che gli fecero affiorare sul volto un sorriso di compiacimento per la propria astuzia, mentre immaginava come avrebbero reagito quegli stupidi bruti quando avessero ricevuto da lui la loro ricompensa. Errtu non dovette spingersi lontano per capire quale potesse essere la natura di quella ricompensa, perché di lì a poco essa gli fu suggerita dalla vista della pinna dorsale di una grande creatura marina che emergeva dalla nera superficie dell'acqua. Si trattava di una orca assassina, ma agli occhi di Errtu essa apparve soltanto come un grosso pesce, un mucchio di carne che lui poteva fornire ai suoi schiavi. Scendendo in picchiata, il grande demone puntò dritto verso il dorso del colosso marino impugnando in una mano la sua spada e nell'altra il frammento di cristallo; l'istante successivo la spada vibrò un colpo possente ma ancora più violento fu l'attacco di Crenshinibon, il cui potere stava venendo liberato per la prima volta da molti anni, manifestandosi in un dardo di fuoco incandescente che trapassò la carne della balena come un raggio di luce avrebbe potuto fendere il buio della notte. Pochi minuti più tardi Errtu fece ritorno all'accampamento degli irsuti umanoidi trascinando con sé l'orca morta che lasciò cadere in mezzo al cerchio di stupefatte creature, tornando a proclamarsi come loro dio. Immediatamente i bruti si lanciarono sulla preda, aggredendola con le loro rozze asce e divorandone la carne cruda in una sorta di cruenta cerimonia. Proprio come piaceva a Errtu.
Nell'arco di poche ore il demone e i suoi nuovi seguaci localizzarono una piattaforma di ghiaccio adatta a servire da roccaforte, poi Errtu ricorse ancora una volta ai poteri di Crenshinibon e le creature, che già cominciavano ad adorarlo come dio, presero a danzare in cerchio invocando il suo nome per poi prostrarsi davanti a lui. Il più grande potere di cui Crenshinibon era dotato era quello di creare una copia esatta di se stesso ma di enormi proporzioni, la torre cristallina di Cryshal-Tirith. Incitate da Errtu, le creature fecero tutto il giro della base della torre senza però vedere traccia di entrate di sorta, perché soltanto le creature non appartenenti al Piano della Materia potevano trovare la porta di Cryshal-Tirith. Vedendo chiaramente l'ingresso, Errtu entrò quindi nella torre e non perse tempo ad aprire una porta di accesso all'Abisso in modo che Bizmatec potesse raggiungerlo trascinandosi dietro il suo impotente e tormentato prigioniero. «Benvenuto nel mio nuovo regno», fu il saluto che Errtu rivolse a quell'anima torturata. «Questo posto dovrebbe piacerti». Poi lo colpì ripetutamente con la frusta fino a farlo crollare privo di sensi. Accanto a lui Bizmatec scoppiò in una gongolante risata, consapevole che il divertimento era soltanto agli inizi. Nel corso dei giorni che seguirono Errtu provvide a insediarsi nella nuova fortezza, facendovi affluire un'orda di miserabili manes, demoni minori, e riuscendo perfino a convincere un altro potente tanar'ri, una marilith dotata di sei braccia, a unirsi a lui. L'attenzione di Errtu però non si allontanò mai di molto da quello che era il suo scopo primario e lui non permise mai all'esaltazione del potere assoluto di fargli dimenticare che in effetti le sue erano conquiste di secondaria importanza. Su una parete della torre, al secondo livello, c'era uno specchio che serviva per evocare immagini ed Errtu lo utilizzò spesso per scrutare la valle con la visuale magica che esso conferiva, e la sua soddisfazione fu a dir poco immensa quando scoprì che in effetti Drizzt Do'Urden aveva fatto ritorno nella Valle del Vento Ghiacciato. Il prigioniero, che Errtu teneva sempre accanto a sé, vide a sua volta le immagini del drow, della donna umana, del nano dalla barba rossa e del grassoccio halfling, e la sua espressione cambiò, i suoi occhi s'illuminarono per la prima volta da molti anni. «Tu mi sarai davvero prezioso», commentò Errtu, spegnendo sul nascere
quella speranza nel ricordare al prigioniero che lui era soltanto un suo strumento, una merce di scambio. «Avendoti in mia mano attirerò a me il drow e lo distruggerò sotto i tuoi occhi prima di distruggere anche te: Questo è il tuo fato!» Ululando per la soddisfazione, il mostro prese poi a frustare ripetutamente il prigioniero fino a farlo accasciare al suolo. «Anche tu mi sarai molto utile», aggiunse quindi il balor parlando alla grossa pietra purpurea incastonata nel suo anello, nella quale era imprigionata l'anima della povera Stumpet Unghie-imbellettate, «o almeno lo sarà il tuo corpo». Intrappolata, Stumpet sentì quelle parole che giungevano da molto lontano ma non poté reagire in alcun modo poiché il suo spirito era segregato in un vuoto grigio nel quale neppure il suo dio poteva udire le sue suppliche. *
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Quella notte Drizzt, Bruenor e gli altri osservarono con espressione stupefatta Stumpet quando lei fece ritorno alle miniere dei nani con un'espressione del tutto vacua e priva di qualsiasi emozione, entrando nella sala principale delle udienze, al livello più elevato, e arrestandosi in mezzo ad essa. «La sua anima non c'è più», opinò Catti-brie, e dopo aver esaminato la nana e aver tentato invano di farla riscuotere dal suo stato di trance, arrivando al punto di schiaffeggiarla con forza, gli altri non poterono che dirsi d'accordo con lei. Per parecchio tempo Drizzt rimase davanti a quella sorta di zombie in cui Stumpet era stata trasformata, ponendole delle domande e cercando di farla reagire, e nel frattempo Bruenor allontanò tutti dalla sala, permettendo di rimanere soltanto ai suoi più intimi amici fra i quali, ironia della sorte, non c'era neppure un nano. Spinto da un impulso improvviso, Drizzt chiese quindi a Regis di prestargli il suo prezioso pendente con il rubino e l'halfling fu pronto ad accontentarlo, sfilandosi l'oggetto magico dal collo e gettandolo al drow. Per un momento questi si limitò a contemplare il grosso rubino, al cui interno un incessante vorticare di piccole luci era in grado di far scivolare una vittima ignara in uno stato di profonda ipnosi, poi sollevò la gemma in modo da porla davanti al volto della nana e cominciò a parlarle in tono pacato e
sommesso. Se pure lo sentì lei non lo diede a vedere, così come non dimostrò di vedere il pendente, e alla fine Drizzt si girò verso i suoi amici con aria impotente, come per dire qualcosa che ammettesse la sua sconfitta; un momento più tardi la sua espressione però si ravvivò e un fugace bagliore gli attraversò lo sguardo prima che lui tornasse a farsi grave in volto. «Stumpet è uscita da sola?» chiese a Bruenor. «È impossibile costringerla a restare in uno stesso posto», rispose il nano. «Lei è sempre in giro... guarda quello zaino, a me sembra che sia di nuovo uscita in cerca di qualche montagna da scalare». Una rapida perquisizione dello zaino di Stumpet fornì una conferma delle parole di Bruenor in quanto esso risultò pieno di viveri, di picchetti, di corda e di altri attrezzi necessari per scalare una montagna. «Sai se è salita sul Picco di Kelvin?» chiese d'un tratto Drizzt, per il quale quell'enigma stava cominciando a chiarirsi. Accanto a lui Catti-brie si lasciò sfuggire un sommesso gemito nel capire dove Drizzt intendesse andare a parare con quella domanda. «Ha posato gli occhi su quella vetta fin dal primo momento in cui siamo entrati in questa regione», replicò intanto Bruenor. «Credo che sia arrivata fino in cima, o almeno ha detto di averlo fatto non molto tempo fa». Drizzt guardò verso Catti-brie, che annuì per indicare che la pensava come lui. «Cosa state pensando?» domandò Regis. «È opera del cristallo», replicò Catti-brie. Sulla scia di quella conclusione procedettero quindi a perquisire attentamente Stumpet e in seguito si recarono nel suo alloggio, rivoltando letteralmente ogni cosa; Bruenor arrivò perfino a convocare un altro sacerdote che era capace di individuare aure magiche, ma anche quella perquisizione a livello più approfondito non diede risultati di sorta. Esaurito anche quel tentativo lasciarono Stumpet affidata al sacerdote, che con un assortimento di incantesimi si accinse a cercare di ridestarla o almeno di darle una certa misura di conforto, e guidati da Bruenor procedettero a espandere le ricerche del cristallo fino a reclutare ogni nano presente nelle miniere, duecento industriosi soggetti. Quando poi anche quel tentativo fallì non rimase loro altro da fare che aspettare e sperare. Più tardi, a notte ormai inoltrata, Bruenor venne svegliato dal sacerdote che spiegò in toni frenetici come Stumpet si fosse rimessa in movimento e
si fosse diretta verso l'uscita delle miniere. «L'avete fermata?» fu pronto a chiedere Bruenor, affrettandosi a riscuotersi dall'intontimento del sonno. «Cinque nani la stanno trattenendo», rispose il prete, «ma lei continua a tentare di oltrepassarli». Destati i suoi tre amici, Bruenor si affrettò a raggiungere insieme a loro l'uscita delle miniere dove scoprirono che Stumpet stava ancora cercando di uscire, rimbalzando ogni volta contro una barriera umana e tornando subito dopo cocciutamente a sbattere contro di essa. «Non riusciamo a stancarla e non possiamo certo ucciderla», si lamentò uno dei nani che la stavano bloccando, quando vide sopraggiungere il re. «Allora tenetela ferma!» ringhiò Bruenor. Drizzt però non si mostrò altrettanto sicuro che quella fosse la linea d'azione migliore da seguire perché stava cominciando a percepire qualcosa di strano in quella situazione e a ritenere che non si trattasse di mera coincidenza; pur non sapendo spiegare come, aveva la sensazione che in qualche modo quello che era successo a Stumpet potesse essere collegato al suo ritorno nella Valle del Vento Ghiacciato. Prima di parlare guardò però verso Catti-brie, e nell'incontrare il suo sguardo ebbe la conferma che lei condivideva la sua stessa sensazione. «Prepariamoci a metterci in cammino», sussurrò allora a Bruenor. «Forse Stumpet desidera farci vedere qualcosa». Prima che il sole cominciasse a fare capolino oltre le montagne, verso est, Stumpet Unghie-imbellettate lasciò la Valle dei nani diretta a nord attraverso la tundra, seguita da presso da Drizzt, da Catti-brie, da Bruenor e da Regis. Proprio secondo i piani di Errtu, che stava seguendo gli eventi tramite lo specchio al secondo piano della torre di Cryshal-Tirith. A un cenno della mano dotata di artigli del demone l'immagine presente sullo specchio si fece nebulosa per svanire completamente; poi Errtu salì al livello più alto della torre, nella piccola stanza in cui il cristallo si trovava sospeso a mezz'aria. Errtu avvertiva una notevole curiosità nei confronti del manufatto, con il quale aveva sviluppato un intenso rapporto empatico e telepatico; sapeva che Crenshinibon poteva avvertire la sua soddisfazione e che desiderava conoscerne la causa ma si rifiutò di accontentarlo e con una risata riversò su di esso un succedersi di immagini assurde che sventassero il tentativo del manufatto di insinuarglisi nella mente.
All'improvviso il demone si sentì assalire da una sconvolgente intrusione, un raggio focalizzato della volontà di Crenshinibon che per poco non gli strappò a viva forza dalle labbra la storia di Stumpet. Il balor dovette fare appello a tutta la propria energia mentale per resistere a quell'assalto ma quando lo ebbe respinto scoprì di non avere energie sufficienti a lasciare la stanza e comprese di non poter resistere a lungo. «Come osi...», annaspò, ma l'attacco da parte del cristallo persistette con pari violenza. Consapevole che se esso fosse riuscito a penetrargli in quel momento nella mente per lui sarebbe stata la fine, Errtu continuò a bombardarlo di immagini prive di senso e al tempo stesso protese senza parere una mano dietro la schiena, prelevando un piccolo sacco che portava appeso a uno degli artigli ricurvi di cui erano dotate le sue ali. In un movimento improvviso quanto violento, Errtu lacerò il sacco, afferrando il cofanetto e spalancandolo in modo che lo zaffiro gli rotolasse in mano. L'attacco di Crenshinibon salì di potenza e il demone sentì le gambe che cominciavano a cedergli. Nel frattempo, però, era riuscito ad avvicinarsi al cristallo quanto bastava. «Sono io a comandare!» proclamò, accostando al cristallo la gemma permeata di antimagia. L'esplosione che seguì scagliò Errtu contro la parete e fece tremare fino alle fondamenta la torre e perfino l'iceberg su cui sorgeva. Quando la polvere da essa sollevata si fu dispersa il demone constatò che la gemma era svanita e che a dimostrare la sua passata esistenza rimaneva soltanto un pizzico d'inutile polvere. Non fare mai più una stupidaggine del genere! fu il comando telepatico che gli giunse da Crenshinibon, che fece seguire a quell'ordine una promessa di spaventose torture. Errtu intanto si era rialzato da terra, furente e deliziato al tempo stesso. Il potere del cristallo doveva essere effettivamente immenso per aver distrutto in maniera così assoluta quello zaffiro incantato ma il comando che Crenshinibon gli aveva appena impartito mancava della forza degli attacchi precedenti, ed Errtu comprese di aver danneggiato il cristallo sia pure temporaneamente, cosa che non era stata nelle sue intenzioni. Dopo aver riflettuto, il demone si disse che il suo era stato un atto indispensabile se voleva essere lui a comandare e non diventare un cieco servitore di quell'oggetto magico.
Dimmi tutto! insistette intanto il cristallo, tornando a intrudere nella sua mente, ma come già era successo con il suo ordine indignato di poco prima, anche quel messaggio telepatico mancò di effettivo vigore. Errtu reagì scoppiando in una risata. «Qui sono io a comandare, non tu», disse al cristallo, ergendosi in tutta la propria altezza fino a sfiorare con le corna il soffitto della torre. «Ti informerò quando ne avrò voglia e solo nella misura in cui mi parrà opportuno». Il cristallo, la cui energia era stata in gran parte prosciugata dallo scontro con lo zaffiro, non poté costringerlo a piegarsi al suo volere e infine Errtu lasciò la stanza ridendo ancora, consapevole di avere di nuovo il controllo della situazione. Naturalmente in futuro avrebbe dovuto stare molto attento a Crenshinibon e cercare di conquistarsi il massimo rispetto da parte sua, perché probabilmente esso avrebbe recuperato le forze ora prosciugate e lui non aveva altre gemme permeate di antimagia da scagliargli contro. Errtu era però deciso a conservare il comando o a stabilire quanto meno una collaborazione su un piano di parità con il cristallo dal momento che l'orgoglio gli impediva di sottomettersi ad esso. PARTE 5 MORTALI NEMICI Berkthgar aveva ragione. Aveva ragione nell'aver voluto riportare il suo popolo nella Valle del Vento Ghiacciato e ancor di più nell'aver voluto che esso riprendesse a seguire le antiche usanze. A Settlestone la vita era stata più facile per i barbari, la loro ricchezza materiale molto maggiore; là essi avevano avuto più cibo, abitazioni migliori e la sicurezza di aver tutt'intorno degli alleati, ma sulla tundra sconfinata, fra le mandrie di renne in perenne migrazione, c'era il loro dio, quella era la terra che ospitava le ossa dei loro antenati e ne custodiva lo spirito. A Settlestone i barbari erano stati molto più ricchi dal punto di vista materiale mentre qui essi erano immortali e quindi di gran lunga più ricchi. Di conseguenza Berkthgar aveva avuto ragione nel voler far ritorno alla Valle del Vento Ghiacciato e alle usanze di un tempo, ma anche Wulfgar era stato nel giusto quando aveva unito le tribù e forgiato un'alleanza con gli abitanti delle Dieci Città e soprattutto con i nani; quando poi aveva involontariamente condotto il suo popolo lontano dalla valle, Wulfgar
aveva di nuovo avuto ragione nel cercare di migliorarne le condizioni di vita anche se nel farlo i barbari si erano forse allontanati troppo dalle antiche usanze e dal vero spirito della loro razza. I capi dei barbari acquisiscono il potere mediante una sfida, giungono a comandare in virtù "del diritto di sangue o delle loro azioni ", ed è poi grazie a questo che continuano a comandare, ai vincoli di sangue, alla saggezza centenaria e all'affinità derivante dall'intenzione di seguire la via che si ritiene la migliore. Sia Wulfgar sia Berkthgar erano giunti al comando in virtù delle loro azioni, Wulfgar uccidendo Dracos Icingdeath e Berkthgar assumendo il comando a Settlestone dopo la morte di Wulfgar, ma questo era l'unico punto di contatto fra loro perché in seguito Wulfgar aveva regnato in virtù di vincoli di sangue mentre Berkthgar anche adesso continua a comandare in virtù delle proprie azioni. Wulfgar cercava sempre di fare quello che era meglio per il suo popolo, certo che esso lo avrebbe seguito se avesse ritenuto sagge le sue scelte oppure avrebbe dimostrato la propria disapprovazione e si sarebbe rifiutato di seguirlo se avesse giudicato che stava sbagliando, mostrandogli così l'assurdità dei propri intenti. Berkthgar non nutre invece una simile fiducia in se stesso o nel suo popolo e comanda soltanto mediante le azioni, con la forza e con l'intimidazione. Ha avuto ragione nel voler tornare nella valle, e con il tempo il suo popolo avrebbe riconosciuto questa verità e approvato la sua scelta, solo che lui non gli ha mai dato la possibilità di farlo. È in questo che Berkthgar sta sbagliando, perché così facendo non ha una guida che gli indichi quando sta errando. Non è infatti necessario che un ritorno all'antico sia assoluto e totale, non è detto che si debba per forza abbandonare ciò che di meglio il nuovo ha da offrire. Come spesso accade in questi casi, la verità occupa un posto intermedio, una cosa di cui Revjak è consapevole come lo sono anche altri, soprattutto i membri più anziani della tribù, che però non possono fare nulla per esprimere il loro dissenso perché Berkthgar regna mediante le azioni, con una forza priva di sicurezza e, quindi, anche di fiducia. Molti altri membri della tribù, soprattutto i guerrieri giovani e forti, sono impressionati dal possente Berkthgar e dai suoi modi decisi che accendono loro il sangue ed esaltano il loro spirito. Un'esaltazione che, temo, li porterà all'autodistruzione. La via migliore, all'interno del contesto delle antiche usanze, consiste nel mantenere le alleanze acquisite da Wulfgar; questa è la via della sag-
gezza e dei legami di sangue. Berkthgar però governa tramite le azioni e non in virtù di legami di sangue, quindi riporterà il suo popolo alle antiche usanze e ridesterà antiche inimicizie. La sua è una via fatta di dolore. Drizzt Do'Urden 24 La marcia di Stumpet Drizzt, Catti-brie, Bruenor e Regis badarono a non perdere di vista Stumpet mentre lei proseguiva come uno zombie la sua marcia attraverso la tundra, diretta a nordest seguendo una linea perfettamente diritta come se sapesse dove stava andando, marciando instancabilmente per molte ore. «Se ha intenzione di continuare per tutto il giorno non riusciremo a starle dietro», commentò Bruenor, guardando verso Regis che stava ansando e sbuffando e che cercava disperatamente di riprendere fiato e di mantenere l'andatura imposta dagli altri. «Potresti chiamare Guenhwyvar perché le stia dietro», suggerì Catti-brie a Drizzt, «così poi potrebbe tornare indietro e mostrarci la strada da seguire». Drizzt rifletté per un momento sulla proposta ma poi scosse il capo perché era possibile che Guenhwyvar fosse presto necessaria per motivi più importanti del seguire Stumpet e non voleva sprecare il tempo prezioso che la pantera poteva trascorrere sul Piano Materiale dell'Esistenza. Prese quindi in esame l'eventualità di raggiungere Stumpet e di bloccarla, legandola, e stava spiegando la cosa a Bruenor quando di colpo la sacerdotessa dei nani si arrestò e si sedette per terra. Immediatamente i compagni la circondarono, temendo per la sua sicurezza in quanto supponevano di essere giunti nel posto dove Errtu desiderava che si recassero, e Catti-brie incoccò una freccia in Taulmaril per poi guardarsi intorno e scrutare il cielo per cercare di avvistare il demone. Tutto però rimase tranquillo, il cielo continuò a essere azzurrissimo e del tutto vuoto salvo per qualche nuvola candida e lanuginosa che correva rapida sulle ali del vento teso.
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Nel sentire Revjak parlare della marcia di Bruenor e di Drizzt con alcuni degli uomini più anziani della tribù, Kierstaad rimase colpito soprattutto dalla preoccupazione manifestata da suo padre che i suoi amici potessero andare di nuovo incontro a dei pericoli. Quella stessa mattina Revjak lasciò l'accampamento dei barbari insieme a un gruppo dei suoi più intimi amici e, anche se essi asserirono di essere intenzionati ad andare a caccia, Kierstaad, che possedeva una saggezza superiore alla sua età, comprese che le loro intenzioni erano tutt'altre. Revjak era deciso a seguire Bruenor. In un primo tempo il giovane barbaro si sentì profondamente ferito per il fatto che suo padre non si fosse confidato con lui e non gli avesse chiesto di accompagnarlo, ma poi pensò a Berkthgar, a quel colosso che era sempre pronto a infuriarsi, e comprese di non aver più bisogno di pararsi dietro suo padre. Se Revjak aveva macchiato l'onore della famiglia Jorn avrebbe provveduto lui, Kierstaad, che era ormai un uomo, a rivendicarne la gloria. La presa di Berkthgar sulla tribù si stava accentuando e soltanto un atto di proporzioni eroiche avrebbe potuto permettergli di acquistare una posizione tale da poter esercitare il diritto alla sfida e adesso lui pensava di sapere come fare perché sapeva come si sarebbe comportato in quella stessa situazione il suo eroe ormai morto, perché adesso i compagni di Wulfgar erano soli sulla steppa e, lui ne era certo, avevano bisogno di aiuto. Era giunto il momento di prendere una posizione netta. Kierstaad raggiunse le miniere dei nani a mezzogiorno e s'insinuò nelle anguste gallerie senza fare rumore. Ancora una volta le camere da letto risultarono vuote perché i nani erano come sempre impegnati nelle miniere e nelle fucine, un'attività che pareva avere per loro un peso maggiore della preoccupazione che potevano nutrire per la sicurezza del loro capo. In un primo tempo questo parve strano a Kierstaad ma poi lui giunse a rendersi conto che l'apparente ambivalenza dei nani era semplicemente una manifestazione di rispetto nei confronti di Bruenor, che non aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui e che dopo tutto aveva vissuto altre avventure da solo con i suoi amici che non appartenevano al popolo dei nani. Avendo ora una maggiore familiarità con le miniere, Kierstaad non ebbe difficoltà a ritrovare la stanza di Bruenor e non appena ebbe di nuovo in pugno Aegis-fang, avvertendo la sensazione di solidità e di sicurezza che
esso gli trasmetteva, la linea d'azione che doveva seguire gli apparve più che mai chiara. Verso metà pomeriggio il giovane barbaro era già di nuovo nella tundra con Aegis-fang in pugno. Secondo quanto aveva sentito Bruenor e i suoi compagni avevano mezza giornata di vantaggio su di lui e Revjak lo stava precedendo di quasi otto ore, ma Kierstaad sapeva che con ogni probabilità gli altri stavano camminando mentre lui era giovane e forte e non avrebbe avuto difficoltà a procedere invece di corsa. *
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La pausa di riposo si protrasse per il resto del pomeriggio, poi Stumpet si alzò in piedi nello stesso modo improvviso e inatteso in cui si era seduta e riprese la sua marcia sulla tundra, camminando con determinazione anche se il suo sguardo continuava a essere vacuo e fisso. «Quel demone è davvero cortese ad averci concesso un po' di riposo», commentò con sarcasmo Bruenor. Nessuno degli altri mostrò però di apprezzare il suo umorismo perché se aveva predisposto quella pausa improvvisata senza dubbio Errtu sapeva con esattezza dove si trovavano. Quel pensiero continuò a gravare a ogni passo sulla mente di tutti fino a quando di lì a poco un fattore nuovo attrasse l'attenzione di Drizzt, che stava fiancheggiando il gruppo a passo di corsa, spostandosi da un lato all'altro in modo da descrivere ampi archi intorno ai compagni; d'un tratto il drow si arrestò e segnalò a Bruenor di avvicinarglisi. «Ci stanno seguendo», annunciò quando il nano lo ebbe raggiunto. Bruenor si limitò ad annuire perché anche lui conosceva bene la tundra e non gli erano sfuggiti alcuni segni inconfondibili come un accenno di movimento in lontananza sul loro fianco e il levarsi in volo degli uccelli della tundra, disturbati dal passaggio di qualcuno ma troppo distanti perché a infastidirli potesse essere stato il loro gruppo. «Barbari?» chiese mostrandosi preoccupato. Nonostante i problemi che erano insorti di recente fra il suo popolo e quello dei barbari, Bruenor infatti quasi sperava che si trattasse di Berkthgar, perché almeno in quel caso avrebbe saputo con esattezza a quali problemi doveva fare fronte. «Chi ci sta seguendo conosce la tundra perché ha disturbato solo qualche uccello e non ha spaventato i daini. Gli orchetti non starebbero tanto attenti e gli yeti della tundra non inseguono le prede, si limitano a tendere imbo-
scate», rispose Drizzt. «In tal caso sono uomini», sintetizzò il nano, «e i soli uomini che conoscono abbastanza bene la tundra sono i barbari». Drizzt non poté che assentire, poi i due si separarono, Bruenor per tornare da Catti-brie e da Regis per informarli dei loro sospetti e Drizzt per descrivere un altro ampio e rapido arco. In realtà non c'era nulla che potessero fare in merito agli inseguitori perché il terreno della tundra era troppo aperto e piatto per permettere azioni diversive. Se si trattava dei barbari, era peraltro probabile che la gente di Berkthgar li stesse seguendo più per curiosità che con intenti ostili e un confronto con essi avrebbe potuto far insorgere problemi dove in effetti non ce n'erano. Di conseguenza i quattro amici continuarono a camminare per il resto della giornata e buona parte della notte, fino a quando finalmente Stumpet si decise a fermarsi nuovamente, lasciandosi cadere senza troppe cerimonie sul terreno freddo e duro. Subito i compagni si misero all'opera per approntare questa volta un vero e proprio accampamento perché supponevano che il riposo si sarebbe protratto per parecchie ore e con l'estate che stava finendo in fretta il gelo dell'inverno incipiente cominciava già a insinuarsi nella Valle del Vento Ghiacciato, soprattutto nel corso delle notti sempre più lunghe. Catti-brie provvide anche ad avvolgere una pesante coperta intorno alle spalle di Stumpet, che però non parve neppure accorgersene. Quell'intervallo di calma e di tranquillità si protrasse per una lunga ora. «Drizzt?» chiamò in un sussurro Catti-brie, e nel parlare si rese conto che, in effetti, il drow non era addormentato e che sebbene sedesse immobile con gli occhi chiusi era del tutto sveglio e perfettamente consapevole che una piccola forma volante aveva appena sorvolato il loro accampamento. Naturalmente era possibile che si trattasse di un gufo, perché nella valle ce n'erano di molto grandi che peraltro si facevano vedere di rado, ma nessuno di loro poteva concedersi il lusso di crogiolarsi in un falso senso di sicurezza. Il lieve battere d'ali quasi impercettibile tornò poi a farsi sentire verso nord e una sagoma più scura del buio notturno fluttuò silenziosa sopra il campo. Alzandosi in piedi di scatto Drizzt snudò le scimitarre in un movimento fulmineo a cui la creatura reagì all'istante con un rapido colpo di ali che le permise di portarsi fuori della portata di quelle lame letali. Ma non fuori dei tiri di Taulmaril.
Una freccia argentea solcò l'oscurità e andò a conficcarsi nella creatura, qualsiasi cosa essa fosse, prima che avesse avuto il tempo di allontanarsi dall'accampamento. Subito una marea di scintille multicolori illuminò l'area circostante e permise a Drizzt di vedere bene per la prima volta l'invasore, un demonietto, mentre esso crollava al suolo scosso ma non ferito in modo grave, lo vide atterrare con violenza per poi rotolare per mettersi in posizione seduta e affrettarsi a balzare in piedi con un frenetico sbattere delle ali di pipistrello nel tentativo di riprendere quota prima che il letale drow gli si potesse avvicinare. Nel frattempo però Regis aveva avuto il tempo di accendere una lanterna alla cui luce Bruenor e Drizzt furono pronti ad affiancare la creatura mentre Catti-brie si teneva a distanza con l'arco spianato, pronta a tirare ancora. «Il mio signore ha detto che lo avresti fatto», ringhiò il demonietto, rivolto a Catti-brie. «Errtu mi protegge». «Questo non mi ha impedito di tirarti giù dal cielo», gli fece notare la ragazza. «Perché sei qui, Druzil?» intervenne Drizzt, che aveva riconosciuto il demonietto, lo stesso che Cadderly aveva utilizzato al Fremente Mistero per ottenere delle informazioni. «Conosci questo essere?» domandò Bruenor al drow. Drizzt si limitò ad annuire perché era troppo concentrato su Druzil per rispondere. «Errtu non è stato contento di sapere che sono stato io quello che ha informato Cadderly», ringhiò Druzil a titolo di spiegazione. «Adesso è lui a servirsi di me». «Povero Druzil», ribatté Drizzt, con profondo sarcasmo. «La tua è davvero una triste sorte». «Risparmiami la tua falsa compassione», ritorse il demonietto. «Io adoro lavorare per Errtu. Quando il mio signore avrà finito con voi in questo posto andremo a cercare Cadderly e forse Errtu trasformerà il Fremente Mistero nella sua fortezza personale!» aggiunse ridacchiando in maniera tale da far capire che stava assaporando ogni singola parola. Drizzt riuscì a stento a trattenersi dal sogghignare a sua volta perché essendo stato al Fremente Mistero comprendeva la sua forza e la sua purezza e sapeva che per quanto Errtu potesse essere potente e per quanto numerosi e forti potessero essere i suoi seguaci non sarebbe mai riuscito a sconfiggere Cadderly in quel luogo, che era la dimora di Deneir, la dimora del bene. «Allora ammetti che dietro questa nostra marcia e ciò che è successo alla
povera Stumpet c'è l'operato di Errtu?» intervenne Catti-brie indicando la nana. Druzil però ignorò sia lei sia la sacerdotessa. «Stolto!» scattò, sempre rivolto a Drizzt. «Credi forse che al mio signore possano interessare le poche prede offerte da questo luogo sperduto? No, Errtu è qui soltanto per incontrare te, Drizzt Do'Urden, in modo che tu possa pagare per i problemi che gli hai causato!» Istintivamente Drizzt avanzò di un rapido passo verso il demonietto mentre Catti-brie sollevava l'arco e Bruenor l'ascia. Drizzt però si calmò subito perché sperava di ottenere altre informazioni e sollevò una mano per bloccare la pericolosa reazione dei suoi amici. «Ti porto l'offerta di un patto da parte di Errtu», proseguì Druzil, persistendo nel rivolgersi soltanto al drow. «La tua anima in cambio di quella del suo tormentato prigioniero e dell'anima di questa femmina dei nani». Il modo in cui il demonietto descrisse Zaknafein, usando la definizione di "tormentato prigioniero", ferì il cuore di Drizzt che per un momento si sentì quasi sopraffare dalla tentazione di accettare quel patto e abbassò il capo con aria afflitta e riflessiva, lasciando che la punta delle scimitarre si abbassasse fin quasi a toccare il terreno. Senza dubbio era pronto a sacrificarsi per salvare Zaknafein o anche Stumpet, perché come avrebbe potuto non farlo? Poi però si rese conto che nessuno dei due, né Zaknafein né Stumpet, avrebbe mai voluto il suo sacrificio o sarebbe poi riuscito a vivere oppresso dal peso di quella consapevolezza e all'improvviso entrò in azione in maniera tanto fulminea che Druzil non ebbe il tempo di reagire e di impedire che Lampo gli penetrasse in profondità in un'ala mentre l'altra scimitarra, quella forgiata per combattere contro le creature di fuoco, gli lacerava il petto per poi cominciare a nutrirsi della sua forza vitale anche se il danno che gli aveva causato era poca cosa. Nonostante le ferite, Druzil si allontanò con un volteggio e accennò a dire qualcosa in un ultimo disperato atto di sfida. Tutte le sue difese magiche erano però state consumate dalla prima freccia di Catti-brie e adesso il secondo dardo della ragazza, diretto con mira perfetta, lo fece precipitare dal cielo. L'istante successivo Drizzt gli fu addosso e gli sfondò il cranio con una scimitarra; Druzil ebbe un brivido poi si dissolse in un'acre voluta di fumo nero. «Io non tratto con gli abitanti dei piani inferiori», spiegò quindi Drizzt a
Bruenor, che si stava avvicinando soltanto adesso e che non era stato abbastanza rapido a reagire così da partecipare allo scontro. Per consolarsi, il nano lasciò comunque cadere la lama della pesante ascia sulla testa del demonietto prima che la sua forma corporea svanisse completamente. «Una buona decisione», convenne. Di lì a poco sul gruppo scese la calma; ben presto Regis prese a russare serenamente e Catti-brie scivolò in un sonno profondo, ma Drizzt non dormì e preferì vegliare sui suoi amici anche se per quanto cauto non si aspettava comunque altre mosse da parte di Errtu nel corso di quella nottata. Irrequieto, prese a camminare lungo il perimetro del campo scrutando spesso l'orizzonte, contemplando le stelle scintillanti e lasciando il proprio cuore libero di assaporare lo spirito di libertà che permeava la Valle del Vento Ghiacciato. In quei momenti passati a contemplare tanta bellezza, il drow comprese infine il vero motivo che lo aveva spinto a tornare e perché Berkthgar e gli altri avessero abbandonato Settlestone per tornare a casa. «Non troverai molti demoni intenti a spiarci annidati fra quelle dannate stelle», sussurrò alle sue spalle una voce burbera, e nel voltarsi Drizzt vide Bruenor venire verso di lui. Il nano aveva già indossato la propria tenuta da battaglia, con l'elmo dotato di un solo corno di traverso sulla testa e l'ascia dalla lama segnata e consumata che gli appoggiava comodamente su una spalla in previsione della marcia imminente. «I balor possono volare», gli ricordò Drizzt, anche se entrambi sapevano che lui non stava guardando il cielo in previsione di un attacco da parte del nemico. Annuendo, Bruenor gli si venne a fermare accanto e per parecchio tempo rimasero entrambi in silenzio, ciascuno solo con il vento e fra le stelle; al tempo stesso però Drizzt avvertì l'umore cupo di Bruenor e comprese che il nano era venuto a cercarlo per un motivo ben preciso, probabilmente perché aveva qualcosa da dirgli. «Dovevo tornare qui», affermò infine Bruenor. Drizzt si girò a guardarlo, annuendo in silenzio, ma Bruenor non vide il suo gesto perché stava contemplando il cielo. «Gandalug ha riavuto Mithril Hall», continuò il nano, in un tono tale da dare a Drizzt l'impressione che stesse accampando delle scuse. «È suo di diritto». «E tu hai la Valle del Vento Ghiacciato», commentò infine Drizzt.
Bruenor si girò verso di lui come se intendesse protestare o fornire altre spiegazioni ma gli bastò incontrare lo sguardo degli occhi color lavanda del drow per capire che non era necessario, che Drizzt comprendeva molto bene sia lui sia le sue azioni. Era dovuto tornare, questo era tutto ciò che c'era da dire. I due trascorsero il resto della notte fermi sotto il soffio del vento gelido, intenti a osservare le stelle, fino a quando il primo chiarore dell'alba venne a far impallidire quel maestoso spettacolo o per meglio dire a sostituirlo con un altro. Di lì a poco Stumpet si rialzò in piedi per riprendere a camminare come una sorta di zombie e subito Drizzt e Bruenor si affrettarono a svegliare Catti-brie e Regis, riprendendo insieme a loro l'inseguimento. 25 Fra gli iceberg Oltrepassato un costone i quattro amici avvistarono gli iceberg e le piattaforme di ghiaccio mobile che galleggiavano sulle acque scure del Mare del Ghiaccio Mobile e, anche se secondo la logica dovevano essere ormai vicini alla loro meta, tutti e quattro furono assaliti dal timore che Stumpet continuasse a camminare e scegliesse di addentrarsi su quella pericolosa distesa, passando da una piattaforma all'altra e scalando le sagome coniche degli iceberg. Crenshinibon era noto per la sua capacità di creare delle torri, denotata dal fatto che un altro dei suoi nomi era Cryshal-Tirith, che tradotto letteralmente dal linguaggio elfico significava "torre di cristallo", ma anche se un costone di roccia impediva loro di vedere chiaramente la linea della costa, senza dubbio da dove si trovavano avrebbero già dovuto avvistare qualsiasi torre che si fosse levata lungo la riva del mare. Apparentemente ignara di tutto Stumpet continuò intanto la propria marcia diretta verso il mare e oltrepassò il costone per prima; quando però i suoi amici si affrettarono a seguirla furono assaliti da una scarica di palle di neve ghiacciata. Immediatamente Drizzt entrò in azione, schivando a destra e a sinistra e allontanando con le scimitarre quegli strani proiettili; contemporaneamente Regis e Catti-brie si appiattirono al suolo, ma i due nani e in particolare la povera Stumpet che continuava a camminare vennero investiti in pieno dalla raffica che fece apparire una serie di rossi ematomi sul volto della sacerdotessa e la fece barcollare più di una volta. Un momento più tardi Catti-brie si riprese dallo shock di quell'attacco
improvviso e si rialzò in piedi con uno scatto, raggiungendo Stumpet e gettandola al suolo per poi gravare protettivamente su di lei con il proprio corpo. E intanto il bombardamento cessò improvviso com'era cominciato. Tirata fuori la statuetta di onice, Drizzt la posò per terra davanti a sé per convocare in tono sommesso la pantera, e fu allora che infine sia lui che gli altri videro i loro nemici, anche se nessuno di essi seppe come catalogare quelle creature che stavano venendo avanti come spettri, passando dalle candide piattaforme di ghiaccio al suolo ancora bruno con una tale fluidità di movimenti da dare l'impressione di essere parte di quella terra, creature umanoidi, bipedi, il cui corpo forte e massiccio era coperto da un ispido pelo bianco. «Se fossi tanto brutto sarei aggressivo anch'io», borbottò Bruenor, avvicinandosi a Drizzt per decidere insieme a lui la mossa successiva. «Ma lo sei», commentò Regis, sempre appiattito al suolo. Né il drow né il nano ebbero il tempo o la voglia di rispondere all'halfling perché la loro attenzione era concentrata sul numero sempre maggiore di nemici che stava giungendo dal mare ghiacciato per allargarsi sui loro fianchi; le creature infatti erano ormai almeno una sessantina e continuavano a sopraggiungerne altre. «Comincio a pensare che faremmo meglio a tornare indietro», commentò infine Bruenor. Pur detestando l'idea Drizzt dovette ammettere che quella pareva essere la sola alternativa perché anche se lui e i suoi amici erano in grado di infliggere danni notevoli e avevano affrontato molti possenti nemici, adesso davanti a loro c'era almeno un centinaio di quelle creature che ovviamente non erano stupide bestie, almeno a giudicare dal modo astuto e organizzato con cui si stavano muovendo. Poi Guenhwyvar si materializzò accanto al suo padrone, pronta a entrare in azione. «Forse possiamo spaventarli e indurli ad andarsene», sussurrò Drizzt a Bruenor e con una parola indusse la pantera a lanciarsi verso i nemici. Subito una salva di palle di ghiaccio si abbatté sui fianchi neri di Guenhwyvar e le creature non accennarono a ritirarsi o anche solo a mostrare la minima titubanza, neppure quelle che si trovavano direttamente davanti alla pantera; due di esse vennero abbattute dove si trovavano, ma le altre non cedettero terreno e vennero invece affiancate da molti altri di quegli esseri che presero a colpire il felino con pesanti bastoni fino a costringerlo
a battere in ritirata. Abbandonata la presa su Stumpet, che subito si rialzò e riprese a camminare fino a quando Regis non tornò a bloccarla, Catti-brie incoccò una freccia in Taulmaril, guardandosi intorno per un momento prima di lasciarla partire e di mandarla a conficcarsi fra le gambe della creatura più vicina. Catti-brie aveva cercato di essere misericordiosa e di limitarsi a spaventare quello strano essere, quindi rimase sorpresa dalla reazione della creatura che non sussultò neppure, come se per essa vivere o morire non avesse avuto importanza e reagì scagliandole contro una serie di palle di ghiaccio, imitata da una ventina dei suoi simili. Pur tuffandosi a terra e rotolando su se stessa Catti-brie venne colpita parecchie volte prima che una palla ben diretta la raggiungesse a una tempia, lasciandola stordita; ripresasi, la ragazza scattò in piedi e si portò accanto a Bruenor, a Drizzt e alla pantera che stava tornando indietro. «Comincio a pensare che la nostra strada abbia di colpo cambiato direzione», osservò, massaggiandosi un livido sulla fronte. «Un vero guerriero sa quando deve ritirarsi», convenne Drizzt, continuando tuttavia a scrutare con lo sguardo gli iceberg che galleggiavano sulle acque cupe del mare, alla ricerca di qualche traccia di Cryshal-Tirith e della vicinanza di Errtu. «Qualcuno vorrebbe per favore informare questa dannata nana della necessità di ritirarsi?» gridò in quel momento Regis in tono affannato, mantenendo saldamente la presa su una delle gambe robuste di Stumpet. Tuttora in trance, la sacerdotessa stava continuando a camminare senza badare a lui, trascinandolo con sé sulla tundra. Nel frattempo tutt'intorno a loro le creature si stavano allargando per completare la manovra di affiancamento e si stavano passando le une con le altre quelle compatte e dolorose palle di ghiaccio in previsione di una nuova raffica, che i quattro compagni sospettavano sarebbe stata accompagnata da una carica selvaggia. Dovevano andare via, ma non avevano il tempo di trascinare Stumpet con loro e se non li avesse seguiti lei sarebbe senza dubbio morta. *
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«Sei stato tu a mandarli!» ruggì Errtu in tono di accusa, rivolto al frammento di cristallo che si librava a mezz'aria nella stanza più alta della torre di Cryshal-Tirith. Grazie allo specchio con cui poteva evocare immagini, il possente balor
aveva visto i suoi seguaci, i taer, bloccare il passo a Drizzt Do'Urden e ai suoi compagni, una cosa che lui senza dubbio non desiderava che accadesse. «Ammettilo!» tuonò ancora il demone. Quando si tratta di quel drow traditore tendi a correre rischi pericolosi, e questa è una cosa che non posso permettere, fu la risposta telepatica del cristallo. «I taer sono ai miei ordini, non ai tuoi!» stridette Errtu; naturalmente sapeva che gli sarebbe bastato pensare la propria risposta perché il cristallo senziente fosse di grado di "sentirla", ma in quel momento aveva bisogno di udire il ruggito della propria voce e di sfogare verbalmente l'ira che lo divorava. «Non importa», decise però un momento più tardi. «Drizzt Do'Urden è un avversario di tutto rispetto e sono certo che lui e i suoi compagni sapranno mettere in fuga i taer. Non lo hai fermato!» Essi sono soltanto strumenti privi di mente, rispose Crenshinibon con indifferente sicurezza. Obbediscono ai miei ordini e combatteranno fino alla morte. Ho fermato Drizzt Do'Urden. Errtu non dubitò per un momento della validità di quell'affermazione. Anche se era stato senza dubbio indebolito dallo scontro con lo zaffiro permeato di antimagia, Crenshinibon era ancora abbastanza forte da non avere difficoltà a dominare gli stupidi taer e dal momento che erano più di un centinaio quelle creature erano troppo numerose e possenti perché perfino Drizzt e i suoi amici le potessero sconfiggere. Essi sarebbero potuti fuggire, o almeno ci sarebbe riuscito il veloce drow, ma Stumpet era senza dubbio condannata, e con lei anche Bruenor Battlehammer e il grassoccio halfling. Errtu prese quindi in considerazione la possibilità di lasciare in volo la torre o addirittura di servirsi del proprio talento magico per raggiungere la spiaggia e affrontare là il drow, ma Crenshinibon non ebbe difficoltà a leggere quel pensiero nella sua mente e subito lo specchio che serviva per evocare immagini scomparve, e con esso anche la capacità di teletrasportarsi del balor perché lui non sapeva neppure con esattezza dove si trovasse la spiaggia in questione. Certo, avrebbe potuto comunque levarsi in volo e naturalmente aveva un'idea alquanto vaga del punto in cui Stumpet doveva aver raggiunto il Mare del Ghiaccio Mobile, ma si rese conto che con tutte quelle difficoltà da superare probabilmente sarebbe arrivato sul posto quando Drizzt Do'Urden era già morto. Furente, il demone si rivoltò contro il cristallo che fu pronto a fronteg-
giare la sua ira con una quantità di pensieri rassicuranti in cui prometteva potere e gloria. Per quanto senziente, il manufatto non era in grado di comprendere la portata dell'odio che Errtu nutriva nei confronti del drow e non capiva che il motivo principale per cui il demone aveva fatto in modo di accedere al Piano Materiale dell'Esistenza era proprio quello di vendicarsi di Drizzt Do'Urden. Impotente, confuso e tutt'altro che placato, Errtu lasciò a grandi passi la camera. *
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«Non possiamo abbandonare Stumpet», osservò Catti-brie, incontrando ovviamente l'assenso di Drizzt e di Bruenor. «Infliggi loro un duro colpo», ordinò il drow. «Usa le tue frecce e mira per uccidere». Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole la raffica di palle di ghiaccio si abbatté su di loro con violenza, centrando più volte la povera Stumpet e raggiungendo alla testa anche Regis che, stordito, perse la presa sulla gamba della sacerdotessa. Libera di procedere, Stumpet continuò a camminare lentamente fino a quando tre di quegli strani proiettili la raggiunsero contemporaneamente, scagliandola a terra. Nel frattempo Catti-brie uccise due taer in rapida successione, poi si affrettò a spiccare la corsa insieme a Drizzt, a Bruenor e a Guenhwyvar che scattarono in avanti per formare un cerchio difensivo intorno a Stumpet e a Regis. Avendo esaurito le palle di ghiaccio, i taer si lanciarono intanto alla carica senza la minima esitazione, brandendo pesanti randelli e levando un ululato simile all'infuriare del vento del nord. «Quelle dannate creature sono solo un centinaio!» ringhiò Bruenor, sollevando l'ascia. «E noi siamo in quattro», replicò Catti-brie. «Cinque», la corresse Regis, risollevandosi in piedi con fare deciso. Guenhwyvar rispose con un possente ruggito e in quel momento Cattibrie scagliò una terza freccia, uccidendo un altro taer. Impugnami! supplicò Khazid'hea con una nota disperata nella voce. La donna ebbe appena il tempo di tirare un'altra freccia, poi gli assalitori furono troppo vicini e a lei non rimase altro da fare che lasciar cadere il prezioso arco e dare ascolto alla supplica dell'impaziente lama.
Drizzt si parò davanti a lei e vibrò un fendente alla gola di un taer con entrambe le scimitarre, poi si lasciò cadere al suolo e ruotò sulle ginocchia protendendo Lampo davanti a sé in modo da conficcarne la lama ricurva nel ventre di una seconda creatura mentre con l'altra scimitarra tesa orizzontalmente davanti a sé faceva inciampare un terzo assalitore prima che piombasse addosso a Catti-brie. L'istante successivo un fendente dall'alto in basso inferto dalla ragazza fece penetrare la lama affilata di Khazid'hea nel cranio della creatura e fino a metà del collo, poi lei dovette concedersi una pausa per liberare la spada e nel frattempo Drizzt si rialzò in piedi per lanciarsi in una nuova disperata serie di evoluzioni nel tentativo di impedire la manovra a tenaglia con cui i taer stavano cercando di togliere loro ogni via di fuga. I cinque amici erano ormai certi di essere condannati quando giunse fino a loro un grido possente. «Tempus!» Invocando il loro dio della guerra Revjak e i suoi venticinque guerrieri piombarono sulle schiere dei taer, aprendosi senza fatica un varco fra le creature sorprese grazie alle loro grandi spade e asce. Sollevato, Regis lanciò un grido per attirare i rinforzi verso di loro ma subito venne zittito dal randello di un taer che lo raggiunse alla spalla e gli tolse il respiro per la violenza del colpo, che lo scagliò al suolo dove tre creature furono pronte a incombere su di lui con l'intento di finirlo. Spiccando un possente balzo Guenhwyvar piombò addosso ai tre taer investendoli lateralmente, poi ruotò sulle quattro zampe e prese a lavorare selvaggiamente di artigli, senza accorgersi di un quarto taer che fu pronto ad aggirare i compagni in difficoltà per cercare di raggiungere l'halfling ancora stordito e la nana svenuta che gli giaceva accanto. La creatura incontrò però sulla propria strada un ringhiante Bruenor, o per meglio dire la sua ascia. Tuttora stordito, Regis fu lieto di vedere sopra di sé gli stivali di Bruenor quando il nano si erse su di lui per proteggerlo. Poco lontano Drizzt e Catti-brie stavano ora lottando fianco a fianco con la letale abilità derivante dall'aver combattuto insieme per tanti anni. Intercettato con la mano libera il randello di uno dei taer, Catti-brie fece descrivere a Khazid-hea un breve arco che la portò a recidere l'altro braccio della creatura appena sotto la spalla, ma con suo orrore e sorpresa il taer continuò ad avanzare e nel frattempo un'altra creatura venne a dargli manforte, portandosi sulla sinistra della ragazza che, impegnata con una
mano a mantenere salda la presa sul randello del primo assalitore e con la spada protesa sul lato destro del corpo, non aveva nessuna possibilità di difendersi dal nuovo assalitore. Lanciando un urlo pieno di sfida Catti-brie colpì ancora con la spada seguendo questa volta una traiettoria alta che portò la lama a penetrare per metà nel collo del taer che stava tenendo a bada, poi chiuse gli occhi per non vedere il randello del secondo assalitore che calava su di lei. La scimitarra di Drizzt scattò però in avanti, passando sotto Khazid'hea mentre il drow si proiettava con violenza da un lato per spingere la lama oltre Catti-brie e intercettare il randello in una parata che riuscì alla perfezione, come la sorpresa Catti-brie poté constatare quando riaprì gli occhi. Consapevole che Drizzt doveva tornare a tenere a bada i due taer contro cui aveva impegnato un serrato duello, Catti-brie non esitò a sfruttare il vantaggio che quella disperata parata le aveva fornito. Con una contorsione selvaggia si girò a fronteggiare il secondo taer e impresse nuova forza alla lama di Khazid'hea, in modo che attraversasse del tutto il collo della creatura ormai morta e sulla spinta dell'impeto acquisito Catti-brie la liberò e si proiettò in avanti verso il petto dell'altro assalitore. Il taer crollò al suolo ma altri due vennero a prendere il suo posto. Mentre tutt'intorno a lui sul terreno si andava formando un mucchio di cadaveri e di arti recisi, Bruenor incassò un colpo dopo l'altro da parte dei randelli dei taer, rispondendo con letali fendenti della sua affilatissima ascia. «Sei!» gridò nello sfondare con l'ascia la fronte sfuggente dell'ennesimo avversario, ma la voce gli si troncò di netto quando un'altra di quelle bestie lo colpì alle spalle. Per quanto l'impatto fosse stato questa volta veramente doloroso, Bruenor comprese che doveva ignorare il dolore e si girò con un sussulto dovuto alla sofferenza per poi impugnare l'ascia a due mani e farla ruotare in un rapido semicerchio che la portò a penetrare in profondità nel fianco del taer, come se si fosse trattato di un albero. Il taer venne spinto di lato dall'impatto, poi si accasciò morente sulla lama dell'ascia e in quel momento Bruenor sentì con piacere un ruggito che proveniva da dietro le sue spalle e annunciava che Guenhwyvar si era districata ancora una volta e gli stava proteggendo la schiena. L'istante successivo sentì poi un altro grido, una nuova invocazione al dio guerriero dei barbari, quando Revjak e i suoi guerrieri riuscirono infine a ricongiungersi con i cinque compagni. Adesso il cerchio protettivo intor-
no a Stumpet e a Regis era completo e abbastanza forte da permettere a Guenhwyvar di scagliarsi in mezzo alle file delle creature, simile a una muscolosa nera massa seminatrice di devastazione. Sterminata la prima linea di assalitori, Drizzt e Catti-brie procedettero ad aggredire la seconda e nell'arco di pochi minuti tutti i taer furono a terra morti o feriti troppo gravemente per poter continuare a combattere anche se i comandi di Crenshinibon continuavano a esortarli con il loro devastante attacco mentale. Stumpet intanto si era ripresa abbastanza da rialzarsi in piedi e da riprendere cocciutamente la marcia, cosa che però gli altri non erano pronti a fare. In ginocchio, ancora impegnato a riprendere fiato, Drizzt lanciò un richiamo a Revjak e subito il barbaro ordinò a due dei suoi uomini più forti di raggiungere la nana e di sollevarla da terra; quando l'afferrarono Stumpet non oppose resistenza e continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé con i piedi che persistevano invano a muoversi nel vuoto. Il sorriso che Drizzt e Revjak si scambiarono non ebbe il tempo di trasformarsi in un vero e proprio saluto che i due vennero interrotti da un grido di una voce familiare. «Tradimento!» ruggì Berkthgar, mentre insieme a un numero di guerrieri doppio di quello che Revjak aveva con sé procedeva a circondare il gruppo. «La situazione si fa sempre più interessante», commentò in tono asciutto Catti-brie. «Conoscevi le leggi, Revjak, e tuttavia le hai violate!» continuò intanto Berkthgar. «Avrei dovuto lasciare Bruenor e i suoi compagni a morire?» ribatté in tono incredulo Revjak, senza traccia di timore anche se ai compagni pareva che stesse per scoppiare un nuovo combattimento. «Non seguirei mai un ordine del genere», proseguì Revjak, con estrema sicurezza, e i guerrieri che lo avevano accompagnato e che in molti avevano riportato delle ferite nello scontro con i taer furono pronti a manifestare il loro unanime assenso mentre lui aggiungeva: «Alcuni membri del nostro popolo non dimenticano l'amicizia che Bruenor, Catti-brie, Drizzt Do'Urden e tutti gli altri hanno avuto per noi». «Alcuni di noi non dimenticano la guerra contro la gente di Bruenor e gli abitanti delle Dieci Città», fu pronto a ribattere Berkthgar, ottenendo un'altrettanto pronta reazione dai suoi guerrieri. «Credo di aver sentito abbastanza», sussurrò Catti-brie.
Prima che Drizzt potesse fermarla attraversò a grandi passi il tratto di terreno scoperto che la separava dall'enorme e imponente barbaro, andando a fermarsi davanti a lui. «Direi proprio che sei rimpicciolito», dichiarò in tono di sfida. Alle spalle del condottiero barbaro si levarono delle grida che lo incitavano a spingere da parte quella donna impertinente con uno schiaffo ma il buonsenso indusse Berkthgar a trattenersi dal seguire quei consigli. Innanzitutto lui sapeva che Catti-brie era un'avversaria formidabile perché aveva avuto modo di scoprirlo personalmente a Settlestone quando lei lo aveva sconfitto in un duello privato, e poi sapeva che la ragazza aveva alle sue spalle sia Drizzt sia Bruenor, che non desiderava affrontare. Il grosso barbaro sapeva infatti che se avesse colpito Catti-brie la sola cosa che avrebbe impedito al drow di farlo a pezzi sarebbe stato il fatto di essere preceduto da Bruenor. «E pensare a quanto rispetto nutrivo per te un tempo», proseguì intanto Catti-brie, cogliendo alla sprovvista Berkthgar con quell'improvviso cambio di argomento e con le proprie parole. «Tu eri il legittimo capo dopo la scomparsa di Wulfgar, e questo in virtù delle tue azioni e della tua saggezza. Senza la tua guida la tribù sarebbe stata perduta, in un luogo lontano come Settlestone». «Quello non era il nostro posto!» fu pronto a ribattere Berkthgar. «Infatti», convenne Catti-brie, cogliendolo ancora una volta in contropiede e smontando la sua ira nascente. «Hai fatto la cosa giusta nel tornare alla valle e al tuo dio, ma non è giusto voler tornare anche agli antichi nemici. Pensa alla verità racchiusa nelle azioni di mio padre, Berkthgar, e in quelle di Drizzt Do'Urden». «Entrambi uccisori della mia gente». «Solo quando la tua gente è venuta per uccidere», replicò Catti-brie, senza accennare a cedere terreno neppure di un centimetro. «Sarebbero stati dei vigliacchi se non avessero difeso la loro casa e la loro gente! Rimproveri forse loro di essere combattenti più abili dei tuoi guerrieri?» Accorgendosi che il respiro di Berkthgar si stava facendo affannoso per l'ira Drizzt si affrettò ad andare a raggiungere Catti-brie; avendo seguito tutta la conversazione, che pure si era svolta in tono sommesso, adesso sapeva da che punto riprenderla per portarla avanti nel modo giusto. «So che cosa hai fatto», affermò, e subito Berkthgar s'irrigidì perché credette che quelle fossero parole d'accusa. «Per ottenere il controllo di una tribù unificata dovevi screditare chi ti aveva preceduto, ma per il bene
di tutti coloro che abitano nella valle ti devo avvertire: bada a non lasciarti intrappolare dalle tue mezze verità. Il nome di Berkthgar viene pronunciato con reverenza a Mithril Hall, a Luna d'Argento, a Sellalunga e a Nesme, e perfino nelle Dieci Città e nelle miniere dei nani. Le tue imprese nella Valle del Guardiano non sono state dimenticate, anche se tu sembri aver dimenticato la passata alleanza e quanto di buono la gente di Bruenor ha fatto per la tua. Ora guarda Revjak, a cui siamo debitori della vita, e decidi qual è la via migliore per il tuo popolo». Berkthgar rimase in silenzio per un lungo momento, cosa che sia Drizzt che Catti-brie accolsero come un segnale positivo. Il grosso guerriero non era uno stupido, anche se spesso permetteva alle proprie emozioni di avere la meglio sulla razionalità, e in effetti si soffermò a osservare Revjak e i risoluti guerrieri che lo fiancheggiavano, certo un po' malconci per lo scontro appena sostenuto e numericamente inferiori, e tuttavia del tutto impavidi. Per Berkthgar, tuttavia, la cosa più importante era che né Catti-brie né Drizzt parevano volergli negare il diritto di comandare e parevano invece disposti a lavorare di comune accordo con lui, a tal punto che Catti-brie lo aveva addirittura paragonato favorevolmente a Wulfgar! «E lascia che il martello rimanga a Bruenor, a cui spetta di diritto», si azzardò ad aggiungere Catti-brie, quasi avesse letto nella mente del barbaro. «Adesso la tua spada è l'arma che guida la tribù e se le tue scelte saranno sagge la sua leggenda non sarà inferiore a quella di Aegis-fang». Quella era un'esca che Berkthgar non poteva permettersi di ignorare e che lo indusse a rilassarsi visibilmente, imitato dai suoi uomini che stavano seguendo ogni singola parola di quella conversazione; nel notare la cosa, Drizzt si rese conto che un importante scoglio era appena stato superato. «Sei stato saggio a seguire Bruenor e i suoi compagni», affermò infine ad alta voce Berkthgar rivolto a Revjak, e quelle furono le prime parole anche solo lontanamente simili a delle scuse che chiunque gli avesse mai sentito proferire. «E tu hai sbagliato nel negare la nostra amicizia con lui», ritorse Revjak. Subito Catti-brie e Drizzt s'irrigidirono, chiedendosi se Revjak non avesse esercitato una pressione eccessiva, e troppo prematura. Berkthgar però non parve offendersi e non rispose all'accusa, non mostrando di accettarla ma neppure ponendosi di nuovo sulla difensiva. «Ora tornate indietro con noi», disse infine a Revjak. Invece di rispondere Revjak spostò lo sguardo da Drizzt a Bruenor, consapevole che essi avevano ancora bisogno del suo aiuto; dopo tutto, erano
due dei suoi uomini che stavano trattenendo Stumpet a mezz'aria. Berkthgar notò la direzione dello sguardo di Revjak e dopo aver fissato a sua volta Bruenor guardò verso la costa che spiccava non molto lontana alle spalle del nano. «Avete intenzione di avventurarvi sul Mare del Ghiaccio Mobile?» chiese. «Così pare», ammise Bruenor con aria frustrata, scoccando un'occhiata in tralice a Stumpet. «Allora non vi possiamo accompagnare», decretò Berkthgar in tono secco. «Questa non è una mia decisione ma un editto dei nostri antenati, i quali hanno stabilito che nessun uomo delle tribù dovesse mai addentrarsi nelle terre galleggianti». Revjak accolse quelle parole con un cenno di assenso in quanto quell'antico editto esisteva davvero, promulgato per scopi meramente pratici in quanto c'era ben poco da guadagnare e molto da perdere nell'avventurarsi su quelle pericolose piattaforme di ghiaccio, dimora dell'orso bianco e delle grandi balene. «Non vi chiederemmo mai di venire con noi», si affrettò a dichiarare Drizzt sorprendendo i suoi compagni. Dopo tutto stavano andando a caccia di un pericoloso balor e dei suoi seguaci e un piccolo esercito di possenti barbari sarebbe potuto tornare loro utile! Drizzt però sapeva che Berkthgar non avrebbe mai violato quell'antica legge e non voleva che la frattura fra lui e Revjak tornasse ad allargarsi, mettendo a repentaglio il processo di risanamento dei rapporti reciproci che si era appena avviato; inoltre, nello scontro con i taer nessuno dei guerrieri di Revjak era rimasto ucciso mentre con ogni probabilità le cose non sarebbero andate altrettanto bene per loro se li avessero seguiti fino a dove si trovava Errtu, e Drizzt Do'Urden aveva già le mani abbastanza sporche di sangue senza versarne dell'altro. Per lui questa era una guerra privata e avrebbe preferito poter affrontare da solo Errtu, ma poiché sapeva che il balor non sarebbe stato solo era consapevole di non poter negare ai suoi migliori amici il diritto di stargli a fianco, come lui avrebbe fatto con loro. «Sei almeno disposto ad ammettere che il tuo popolo è comunque in debito con Bruenor?» non poté trattenersi dal chiedere Catti-brie. Di nuovo Berkthgar non rispose apertamente ma il suo silenzio e l'assenza di proteste da parte sua, furono per lei una risposta esauriente. Dopo essersi curati i lividi e le ammaccature come meglio potevano, i
cinque compagni ringraziarono i barbari e si accomiatarono da loro, poi gli uomini di Revjak posarono di nuovo Stumpet per terra e subito lei riprese la sua marcia, seguita dai compagni, mentre la Tribù degli Alci si dirigeva in gruppo verso sud, unita, Berkthgar e Revjak che procedevano fianco a fianco. *
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Qualche tempo dopo Kierstaad giunse sulla scena dello scontro e nel trovare i corpi di un centinaio di taer che già cominciavano a gonfiarsi sotto il sole del pomeriggio non impiegò molto tempo a capire cosa fosse successo. Era evidente che i barbari al seguito di suo padre avevano preso parte al combattimento a fianco del gruppo di Bruenor, e dalla quantità di impronte che rilevò sul terreno dedusse anche che un secondo gruppo di barbari, che doveva senza dubbio essere guidato da Berkthgar, era poi sopraggiunto sul posto. Per un momento Kierstaad indugiò a guardare verso sud, chiedendosi se suo padre era stato scortato al campo in qualità di prigioniero, e per poco non si girò per seguirlo; le altre tracce, quelle di due nani, di un drow, di una donna, di un halfling e di un grosso felino, proseguivano però verso nord e lo invitavano a seguirle. Stringendo in pugno Aegis-fang il giovane barbaro si diresse verso la fredda costa e si addentrò sulla distesa di piattaforme di ghiaccio; nel farlo era consapevole di infrangere gli antichi editti del suo popolo ma non se ne preoccupò perché nella mente e nel cuore ciò che stava facendo era seguire le orme di Wulfgar. 26 Una sorpresa mancata Nonostante le crescenti minacce del nervoso e disperato Errtu, Bizmatec si mostrò adamantino e rifiutò di farsi intimidire. «Drizzt Do'Urden e i suoi amici hanno oltrepassato i taer», ribadì ancora una volta, «lasciandoli morti e smembrati sulla pianura». «Lo hai visto tu stesso?» chiese Errtu per la quinta volta, serrando e rilassando nervosamente i pugni. «Con i miei occhi», dichiarò senza esitazione Bizmatec, pur ritraendosi
con fare guardingo davanti al balor. «I taer non li hanno fermati e non hanno neppure rallentato la loro avanzata. Ti sei scelto nemici veramente possenti». «E la nana?» domandò Errtu, la cui frustrazione si stava rapidamente mutando in avida aspettativa, e nel parlare batté un colpetto sull'anello che portava al dito per indicare che si stava riferendo all'imprigionata Stumpet. «Continua a guidarli», rispose il glabrezu con un perfido sorriso, eccitato dall'impazienza e dalla pura malvagità che vedeva ora scintillare negli occhi roventi di Errtu. Il balor diede d'un tratto un possente colpo con le grandi ali che gli permise di arrivare al pianerottolo del primo livello della torre di cristallo, poi continuò l'ascesa spinto dall'incontenibile impazienza di dimostrare a Crenshinibon che aveva fallito. «Errtu ci ha posti di fronte a nemici degni di noi», ripeté intanto Bizmatec osservando il balor che si allontanava. L'altro tanar'ri che si trovava al livello più basso della torre, una donna che aveva sei braccia e la parte inferiore del corpo modellata come quella di un serpente, si limitò a sogghignare senza mostrarsi effettivamente impressionata perché a suo parere era impossibile trovare degni avversari sul Piano Materiale dell'Esistenza. Errtu intanto entrò nella piccola stanza posta al livello più alto della torre e per prima cosa si accostò alla finestra per sbirciare fuori nella speranza di poter già intravedere la preda che si stava avvicinando. Era stata sua intenzione fare un drammatico annuncio dell'accaduto a Crenshinibon ma la sua eccitazione era tale che finì per tradire i propri pensieri che vennero recepiti dal cristallo senziente. Il sentiero che stai seguendo continua ad essere pericoloso, ammonì il manufatto. Errtu girò di scatto le spalle alla finestra scoppiando in una gracchiante risata. Non devi fallire, continuò Crenshinibon, perché se tu e i tuoi seguaci verrete sconfitti sarò sconfitto anch'io e mi verrò a trovare nelle mani di persone che conoscono la mia natura e che... Errtu continuò a ridere, tenendo così a bada ulteriori intrusioni telepatiche. «Ho già incontrato avversari come Drizzt Do'Urden», affermò infine il grande balor con un ringhio. «Ti garantisco che conoscerà il vero significato del dolore spirituale e della sofferenza fisica prima che io gli conceda di
trovare sollievo nella morte! Vedrà morire coloro che gli sono cari e che sono stati tanto stolti da accompagnarlo, e con loro anche colui che tengo prigioniero! Che nemico sei stato, stolto drow rinnegato!» esclamò quindi con voce ringhiante, voltandosi di nuovo verso la finestra. «Ora vieni a me in modo che possa ottenere la mia vendetta e infliggerti la punizione che meriti!» Nel proferire quelle parole assestò un calcio al piccolo cofanetto che giaceva ancora sul pavimento dove lui lo aveva lasciato cadere dopo la violenta reazione fra il cristallo e lo zaffiro permeato di antimagia e accennò a lasciare la stanza, ma poi si arrestò a causa di un pensiero improvviso che lo aveva appena assalito. Presto avrebbe affrontato direttamente Drizzt e i suoi compagni, compresa la sacerdotessa imprigionata nell'anello e, se Stumpet si fosse venuta a trovare faccia a faccia con la gemma in cui era imprigionata, il suo spirito avrebbe potuto trovare il modo di tornare nel proprio corpo. Sfilatosi l'anello dal dito, Errtu lo mostrò a Crenshinibon. «Questo anello racchiude lo spirito della sacerdotessa dei nani», dichiarò. «Controllala e cerca di aiutarmi come meglio puoi»Poi lasciò cadere l'anello al suolo e uscì dalla camera per tornare dai suoi seguaci e prepararsi all'arrivo di Drizzt Do'Urden. Rimasto solo, Crenshinibon continuò a percepire acutamente l'ira del tanar'ri e la pura malvagità che lo permeava. A quanto pareva Drizzt e i suoi amici erano riusciti a oltrepassare i taer, ma cos'erano quei selvaggi paragonati al possente Errtu? Senza contare che il balor aveva al suo fianco potenti alleati. Soddisfatto da quelle riflessioni Crenshinibon cominciò a sentirsi del tutto al sicuro e si concesse di assaporare l'idea di servirsi di Stumpet come di un'arma da impiegare contro i suoi amici. *
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Stumpet intanto stava continuando la sua marcia sull'infida superficie di ghiaccio instabile, a volte immergendo per qualche momento gli stivali nell'acqua gelida ma proseguendo il cammino senza apparentemente avvertire la fredda umidità che doveva ormai esserle penetrata nei piedi. Comprendendo il pericolo che la nana stava correndo, Drizzt avrebbe voluto bloccarla ancora una volta e sfilarle gli stivali per avvolgerle i piedi in una coperta calda e asciutta ma ci rinunciò pensando che, se un princi-
pio di congelamento alle dita dei piedi fosse stato il danno maggiore che avrebbero riportato da quell'avventura, se la sarebbero cavata molto meglio di quanto lui osasse sperare. Attualmente la cosa migliore che poteva fare per Stumpet e per tutti loro era arrivare al più presto da Errtu per porre fine a quella difficile situazione. Nel camminare il drow badò a tenere sempre una mano in tasca, chiusa intorno all'intricato intaglio della statuetta di onice; poco dopo la conclusione dello scontro contro i taer aveva infatti rimandato Guenhwyvar sul piano astrale per permetterle di riposare un poco in previsione della battaglia successiva ma adesso nel guardarsi intorno stava cominciando a dubitare della saggezza di quella decisione perché sapeva di sentirsi fuori posto su quel terreno a lui così poco familiare. Il panorama circostante gli appariva infatti surreale, un susseguirsi di cumuli irregolari di ghiaccio, alcuni alti anche una dozzina di metri, e di ampie lastre piatte di un candore assoluto, spesso segnate da lunghe e scure crepe zigzaganti. Si erano lasciati la spiaggia alle spalle da oltre due ore per addentrarsi nel mare ricoperto di ghiaccio quando il tempo cambiò in modo repentino con il sopraggiungere di minacciose nubi nere accompagnate da un vento più teso e tagliente, ma il gruppo continuò imperterrito la marcia scalando lentamente un lato di un iceberg conico per poi lasciarsi scivolare lungo il fianco opposto, al di là del quale si venne a trovare davanti a un panorama composto più di acqua cupa che di ghiaccio e poté infine avvistare in lontananza la sua meta, verso nordovest. La torre cristallina si levava infatti al di sopra delle masse bianche degli iceberg spiccando scintillante all'orizzonte anche sotto l'opaco grigiore del cielo rannuvolato e non ci potevano essere dubbi in merito alla sua identità in quanto pur sembrando fatta di ghiaccio essa era palesemente una struttura che non era stata creata dalla natura e che appariva del tutto fuori posto in mezzo all'aspro candore degli iceberg. Soffermandosi per un momento a contemplare la torre e la loro attuale direzione di marcia, Bruenor scosse il capo con perplessità. «Troppa acqua», spiegò quindi indicando verso ovest. «Dovremmo procedere dritti da quella parte». A giudicare dalle apparenze sembrava proprio che lui avesse ragione perché anche se la direzione generale che loro avrebbero dovuto seguire era verso nord, le lastre di ghiaccio su cui stavano camminando erano invece ammucchiate prevalentemente verso ovest.
Purtroppo però non spettava a loro decidere quale percorso scegliere in quanto Stumpet stava proseguendo verso nord senza badare alla natura del terreno e al fatto che presto sarebbe stata bloccata da un ampio tratto di acqua aperta e non valicabile. In quel panorama irreale e poco familiare le apparenze potevano però risultare ingannevoli, come presto ebbero modo di scoprire nel constatare l'esistenza di una lunga striscia di ghiaccio compatto che attraversava il tratto di mare e puntava direttamente verso la torre di cristallo. Superato quello stretto ponte naturale, si vennero poi a trovare di nuovo in una regione intasata dagli iceberg e videro incombere davanti a loro, distante ormai meno di cinquecento metri, la sagoma scintillante di Cryshal-Tirith. Arrestandosi, Drizzt evocò di nuovo Guenhwyvar e Bruenor depose al suolo Stumpet, sedendosi su di lei mentre Catti-brie si arrampicava sulla sommità del picco di ghiaccio più vicino per poter scrutare meglio la zona circostante. La torre sorgeva su un grosso iceberg, a ridosso della sua punta conica alta una decina di metri. Da dove si trovava, Catti-brie poté vedere che lei e i suoi amici sarebbero stati costretti ad avvicinarsi alla torre di cristallo da sudovest, passando su una nuova striscia di ghiaccio larga appena tre metri circa. Uno degli altri iceberg che si trovavano a ovest della loro meta era forse abbastanza vicino alla torre da permettere di raggiungere con un balzo il tratto di ghiaccio che la circondava, ma a parte questo la fortezza del demone era interamente attorniata dall'oceano. Prima di ridiscendere Catti-brie prese nota mentalmente di un altro punto di riferimento interessante: l'ingresso di una grotta che si apriva nella parete meridionale del picco conico e che si trovava quasi direttamente di fronte alla torre sul lato opposto dell'iceberg, grotta posta almeno all'altezza di un uomo rispetto alla piatta area di ghiaccio che si allargava sul lato meridionale dell'iceberg, lo stesso tratto di terreno del tutto scoperto che loro presto sarebbero stati costretti ad attraversare. Con un sospiro rassegnato la giovane donna scivolò infine giù lungo il picco per andare a riferire ai suoi amici quanto aveva visto. «I seguaci di Errtu ci piomberanno addosso non appena ci troveremo su quell'ultimo tratto di ghiaccio», rifletté Drizzt, e Catti-brie non poté che annuire a ogni sua parola. «Dovremo conquistare combattendo ogni metro di terreno fino all'ingresso della grotta e una volta dentro la situazione sarà anche peggiore». «Allora andiamo e facciamola finita», brontolò Bruenor. «Comincio ad
avere i piedi dannatamente gelati». Catti-brie guardò invece verso Drizzt come se sperasse di sentirsi offrire qualche alternativa, ma pareva proprio che non ce ne fossero. Anche se Drizzt, lei stessa e Guenhwyvar fossero riusciti a spiccare il salto dall'iceberg più vicino a quello che ospitava la torre, una cosa del genere sarebbe stata impossibile per Bruenor, gravato dal peso dell'armatura, e ancor più per Regis, senza contare che se fossero andati in quella direzione avrebbero dovuto abbandonare al suo destino la povera Stumpet, che era soltanto in grado di procedere in linea retta. «In uno scontro io non vi potrò servire a molto», osservò Regis. «In passato questo però non ti ha mai fermato», ringhiò Bruenor, fraintendendo ciò che lui aveva inteso dire. «Vorresti forse restartene qui seduto...» Drizzt si affrettò però a sollevare una mano per interromperlo, intuendo che l'ingegnoso halfling doveva aver avuto un'idea tanto importante quanto preziosa. «Se Guenhwyvar potesse farmi superare quel tratto d'acqua, io potrei penetrare nella torre senza farmi vedere», suggerì infatti l'halfling. Nel vagliare le possibilità offerte da quella proposta i suoi tre compagni s'illuminarono in volto. «Sono già stato all'interno di Cryshal-Tirith», proseguì Regis. «So come penetrare nella torre e come sconfiggere il cristallo, qualora riuscissi a raggiungerlo», aggiunse guardando verso Drizzt, che annuì nel ricordare come Regis fosse stato al suo fianco sulla piana di Bryn Shander quando lui aveva sconfitto la torre di Akar Kessel. «È una scommessa disperata», gli fece notare il drow. «Già», commentò in tono asciutto Bruenor. «Non è una cosa semplice come lanciarsi nel bel mezzo di un'orda di tanar'ri». Quelle parole strapparono a tutti una risatina permeata di tensione. «Lascia andare Stumpet», disse poi Drizzt a Bruenor. «Lei ci guiderà fino a ciò che Errtu ha preparato per noi, qualsiasi cosa sia. Quanto a te», aggiunse guardando verso l'halfling, «possa Gwaeron Vento di Tempesta, servitore di Mielikki e protettore dei guardaboschi, accompagnarti nella tua impresa. Guenhwyvar ti porterà fino alla torre ma tu, amico mio, devi essere consapevole del fatto che se dovessi fallire e non riuscire a sconfiggere Crenshinibon questo aumenterà il potere di Errtu». Annuendo con cupa determinazione Regis affondò le mani nel pelo del collo di Guenhwyvar e si allontanò con lei dagli altri ben sapendo che la
sua unica possibilità di riuscita risiedeva nell'arrivare all'iceberg in fretta e senza farsi notare. Presto lui e il felino scomparvero alla vista nell'addentrarsi su un tratto di terreno più accidentato, con Guenhwyvar che svolgeva la maggior parte del lavoro affondando in profondità gli artigli nel ghiaccio e cercando tutti i possibili appigli mentre Regis si limitava a mantenere la presa sul suo collo e cercava di correre più in fretta che poteva in modo da non costituire per la pantera un fardello eccessivo. Nello scendere lungo il pendio scivoloso di uno degli iceberg i due per poco non andarono incontro a un disastro perché anche se Guenhwyvar riuscì a bloccarsi affondando gli artigli Regis incespicò e cadde al suolo con una velocità tale da oltrepassare il felino e da assestargli uno strattone che gli fece perdere la presa già molto precaria. I due cominciarono a precipitare verso le acque scure e nell'avvicinarsi sempre più ad esse Regis si costrinse a soffocare un grido di terrore ma chiuse gli occhi per non vedere la tomba gelida da cui si aspettava di essere ben presto inghiottito. Guenhwyvar riuscì però a trovare un nuovo appiglio appena prima di finire in mare. Scossi e ammaccati, i due si rialzarono in piedi e ripresero il cammino, con Regis che cercava di ritrovare la determinazione iniziale soffocando le proprie paure e ripetendosi di continuo quanto fosse importante la sua missione. *
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Nell'attraversare l'ultimo tratto di ghiaccio per arrivare al grosso iceberg su cui sorgeva Cryshal-Tirith i compagni si vennero a trovare del tutto allo scoperto e si resero conto di essere estremamente vulnerabili, intuendo al tempo stesso che qualcuno li stava osservando e che stava per succedere qualcosa di terribile. Pieno di tensione, Drizzt cercò di indurre Stumpet ad accelerare il passo mentre Bruenor e Catti-brie spiccavano la corsa, precedendo gli altri due. In effetti i seguaci di Errtu erano in attesa accoccolati all'interno della grotta, sull'altro lato dell'iceberg, e sia il demone sia Crenshinibon stavano tenendo d'occhio l'avanzata dei compagni. Ritenendo che il balor fosse uno stolto a correre un simile rischio per ottenere così poco sul piano concreto, il manufatto si era servito dell'anello con la gemma per collegarsi con Stumpet e vedere attraverso i suoi occhi, in modo da sapere con esattezza dove si trovassero i nemici, e all'improv-
viso l'estrema sommità di Cryshal-Tirith si tinse di un rosso incandescente che accese di una sfumatura rosata le cupe nubi grigiastre che accompagnavano la tempesta imminente. Notando il fenomeno Catti-brie lanciò un grido di avvertimento a Drizzt e nello stesso tempo Bruenor l'afferrò per una mano, trascinandola a terra con sé. Poco più indietro Drizzt si lanciò addosso a Stumpet ma ottenne soltanto di rimbalzare contro di lei; obbligato dal proprio slancio a continuare a muoversi proseguì oltre la sacerdotessa e riuscì poi ad arrestarsi con una scivolata disperata proprio nel momento in cui una linea di fuoco scaturiva dalla vetta della torre e fendeva il ghiaccio davanti ai suoi piedi, generando dense nubi di vapore che avvolsero l'area circostante e lo sconvolto guardaboschi. Non riuscendo a fermarsi del tutto, Drizzt lanciò un grido e riprese a correre, spiccando un balzo e rotolando su se stesso con tutte le proprie forze. La sola cosa che lo salvò fu pura e semplice fortuna, in quanto la linea di fuoco che giungeva dalla torre s'interruppe per un istante e poi riprese ad agire al di là dell'immobilizzata sacerdotessa dei nani, praticando un secondo taglio nel ghiaccio alle sue spalle. La violenza dell'impatto scagliò in aria una quantità di schegge ghiacciate e produsse altre nubi di vapore mentre la piattaforma di ghiaccio di circa sessanta metri quadrati ora staccata dal resto dell'iceberg prendeva ad andare alla deriva verso sudovest girando lentamente su se stessa. Non avendo dove andare, Stumpet si limitò a rimanere immobile dove si trovava con lo sguardo fisso davanti a sé, mentre sull'iceberg principale i tre compagni si rialzavano in piedi e riprendevano la corsa. «Verso sinistra!» avvertì Catti-brie, nel vedere una creatura oltrepassare il costone che costituiva il fianco del cono centrale, poi non riuscì a dire altro perché la gola le si contrasse per il disgusto alla vista di quell'essere orribile, una di quelle creature inferiori dell'Abisso che venivano chiamate manes. Essendo lo spirito defunto di qualche infelice abitante del Piano Materiale dell'Esistenza, la creatura aveva la pelle pallida che pendeva in molteplici pieghe lungo il torso, gonfia e appesantita da liquidi che le colavano lenti lungo il corpo insieme a una massa di insetti dalle molteplici zampe, e pur essendo alta appena quanto Regis era resa più che mai pericolosa da lunghi artigli affilati e da denti acuminati. Il primo manes che entrò nel loro campo visivo venne subito eliminato da una scintillante freccia di Catti-brie, ma un istante più tardi un altro
gruppo di quelle creature si affrettò a valicare il costone senza mostrare il minimo riguardo per la propria sicurezza. «A sinistra!» gridò di nuovo la giovane donna, ma né Drizzt né Bruenor poterono permettersi di darle retta perché molti altri manes stavano emergendo dall'ingresso della grotta distante appena una decina di metri e due demoni volanti, giganteschi insettoidi che parevano un incrocio fra un essere umano e un'enorme mosca, stavano sopraggiungendo al di sopra dell'orda di assalitori. Bruenor intercettò il demone più vicino con un violento fendente della propria ascia e lo abbatté con quel singolo colpo, ma nel morire l'essere non si accasciò semplicemente al suolo bensì esplose in una nube di fumi acri e fetidi che bruciarono la pelle e i polmoni del nano. «Dannati mostriciattoli», ringhiò Bruenor, senza lasciarsi intimidire e procedette ad abbattere un secondo demone e poi un terzo in rapida successione, e l'aria fu pervasa da fumi soffocanti. Drizzt intanto stava seminando a sua volta la morte fra i manes, ma i suoi movimenti erano così rapidi che le nubi di vapori che scaturivano dai cadaveri esplosi non riuscivano neppure a sfiorarlo; dopo averne abbattuti parecchi in rapida successione fu però costretto a gettarsi al suolo per evitare uno dei tanar'ri volanti, un chasme, che stava scendendo in picchiata su di lui e quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi si venne a trovare circondato da un gruppo di manes impazienti di lacerarlo con i loro lunghi artigli affilati. Nell'avvistare i due demoni volanti Catti-brie, che nel frattempo aveva sterminato una mezza dozzina di manes, si sentì assalire da un rinnovato senso di nausea ma fu comunque costretta a concentrare la propria attenzione su quegli orribili e disgustosi insettoidi. Girandosi di scatto scagliò una freccia contro il più vicino, colpendolo quasi a bruciapelo, e trasse un sincero quanto profondo respiro di sollievo nel vedere la sua freccia proiettare il mostro all'indietro e gettarlo al suolo. Nel frattempo però l'altro demone volante scomparve alla vista in un lampo di magia per poi apparire silenziosamente alle spalle della ragazza. *
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Da dove si trovavano Regis e Guenhwyvar videro i manes in movimento e i bagliori di fuoco argenteo delle frecce di Catti-brie, accompagnati dai rumori prodotti dallo scontro in corso, e si affrettarono ad accelerare il
passo il più possibile, ostacolati peraltro dal terreno tutt'altro che favorevole. Ancora una volta l'halfling non poté fare altro che tenersi stretto alla pantera in modo da farsi trainare dalla sua corsa mentre lui veniva sballottato a destra e a sinistra, cosa di cui però non si lamentò perché senza dubbio quello che stava patendo era nulla in confronto alla situazione in cui si trovavano i suoi amici. *
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«Alle tue spalle!», gridò Bruenor, spiccando la corsa per liberarsi dall'accerchiamento dell'orda di manes, e anche se una di quelle orribili creature riuscì ad afferrarlo, affondandogli gli artigli nella nuca, lui non parve neppure accorgersene. In quel momento la sola cosa che contasse per Bruenor era Catti-brie, che stava correndo un mortale pericolo. Da dove si trovava il nano non poteva raggiungere il demone alle spalle della ragazza ma quello che lei aveva abbattuto con una freccia e che si era rialzato, pur rimanendo sul terreno, era direttamente fra lui e Catti-brie. Una posizione decisamente poco salutare, perfino per un demone. Catti-brie si girò di scatto nel momento stesso in cui il demone attaccava e incassò il violento colpo intercettandolo con la spalla per poi rotolare su se stessa sotto il suo impatto e fare due capriole complete sul ghiaccio prima di rimettersi in piedi. Nel frattempo l'ascia vorticante di Bruenor colpì in pieno il primo chasme e lo scagliò al suolo per la seconda volta; cocciutamente, la creatura tentò ancora di rialzarsi ma il nano in corsa le piombò addosso e recuperò l'ascia conficcata nel suo corpo per poi prendere a martellare il chasme di colpi fino a chiazzare tutto il ghiaccio circostante di sangue verde e giallastro. Nel frattempo il manes che lo aveva artigliato continuava a restargli aggrappato al collo, graffiando e mordendo, e stava cominciando a infliggere danni seri quando una delle scimitarre di Drizzt lo fece esplodere in una nube di fumo. Vista la fine del compagno, l'altro chasme aveva intanto spiccato nuovamente il volo con il solo risultato di offrirsi come bersaglio all'arco di Catti-brie: centrato in pieno da una freccia il demone parve infine decidere di averne abbastanza e oltrepassò volando la ragazza per poi cercare riparo
oltre il costone, sul lato posteriore del ghiacciaio, proprio mentre il corpo del chasme abbattuto da Bruenor prendeva a sgonfiarsi sotto di lui (non c'era altro termine per definire quello strano fenomeno) appiattendosi progressivamente sul ghiaccio come un otre che fosse stato svuotato di tutto il suo contenuto. Aiutato il nano a rialzarsi in piedi, Drizzt lo costrinse rudemente a girarsi perché anche se il pericolo immediato corso da Catti-brie era stato sventato adesso i compagni avevano perso terreno rispetto all'orda dei manes, che erano tornati a raggrupparsi. La cosa peraltro non preoccupò eccessivamente i due amici; dopo essersi accertati con una rapida occhiata che Catti-brie stava tenendo sotto controllo il gruppo che si trovava su un lato rispetto a loro, essi si lanciarono alla carica fianco a fianco, sterminando le file più vicine di quei tanar'ri di basso livello. Letale grazie alle due scimitarre e alla propria rapidità di movimento, Drizzt fece più progressi dei compagni, troncando le braccia che si protendevano ad afferrarlo e schivando i manes senza difficoltà nell'abbatterne sei in rapida successione nell'arco di pochi secondi, così intento nel combattimento che si accorse del fatto che la natura del suo avversario era cambiata soltanto quando alcuni istanti più tardi un suo fendente venne bloccato non da una ma da tre parate contemporanee. Subito l'orda dei manes si assottigliò nelle immediate vicinanze in quanto quei demoni di rango inferiore si affrettarono a fare rispettosamente posto alla mostruosità a sei braccia che stava ora affrontando Drizzt Do'Urden. Da dove si trovava Catti-brie vide l'evolversi del combattimento e comprendendo la situazione in cui si era venuto a trovare il drow spiccò la corsa sulla destra in direzione della sponda dell'iceberg per cercare di trovare l'angolazione giusta per un tiro, senza badare all'impassibile Stumpet che sulla sua piattaforma galleggiante si trovava a circa dodici metri di distanza dall'iceberg principale. La sua spalla ferita intanto continuava a perdere sangue in abbondanza a causa della brutta lesione causatale dal chasme, ma lei sapeva di non avere il tempo di fermarsi per fasciarla. Arrestandosi, la donna piegò al suolo un ginocchio e prese la mira, consapevole che si trattava di un tiro difficile soprattutto a causa del fatto che il drow in movimento si trovava fra lei e il tanar'ri a sei braccia ma sapendo anche che Drizzt avrebbe comunque voluto che lei facesse un tentativo e che aveva bisogno del suo aiuto. Sollevato lentamente Taulmaril, Catti-
brie tese le dita sulla corda nel prepararsi a far partire la freccia. «Il drow non è in grado di combattere da solo le sue battaglie?» commentò in quel momento una voce profonda alle spalle della ragazza. «È una cosa di cui dobbiamo discutere». Si trattava del glabrezu, Bizmatec. Lanciandosi in avanti Catti-brie piegò al suolo una spalla e protese al massimo il braccio per proteggere l'arco e soprattutto per proteggere l'integrità della freccia già incoccata, e nel ruotare con agilità su se stessa lasciò partire il dardo ancor prima di aver completato il movimento, contraendo il volto in una smorfia nel vedere altro sangue fiottarle dal braccio. Contemporaneamente l'espressione del loro nuovo avversario passò dallo stupore all'agonia quando la freccia argentea gli tracciò un solco rovente lungo l'interno dell'enorme coscia. Catti-brie dal canto suo sussultò nel vedere la freccia continuare il proprio volo oltre il confine dell'iceberg e sull'acqua, fino a raggiungere la piattaforma di ghiaccio e a passare a poche decine di centimetri di distanza dall'ignara e passiva Stumpet. Nell'istante successivo la ragazza si rese conto che non avrebbe dovuto perdere tempo a seguire con lo sguardo la traiettoria della freccia quando il glabrezu alto quattro metri, tutto muscoli e orribili tenaglie affilate, lanciò un ruggito di rabbia e superò in un solo grande passo la distanza che lo separava da lei, protendendosi a serrarle la vita sottile con un mostruoso artiglio che avrebbe potuto facilmente spezzarla in due. Con un movimento fluido Catti-brie infilò la mano fra la corda e il legno dell'arco e la protese dietro di sé in modo da strappare Khazid'hea dal fodero, poi lanciò un urlo e cercò invano di ritrarsi dalla presa de! glabrezu, calando un debole fendente di rovescio con l'arma nella speranza di insinuarne la lama all'interno delle tenaglie del mostro e di spezzarne la presa. Affilatissima, Khazid'hea colpì il lato interno della tenaglia e continuò la propria traiettoria fino ad attraversarla di netto. Temevo di essere stata dimenticata! trasmise a Catti-brie la spada senziente. «Questo mai!» replicò con cupa determinazione la ragazza. Bizmatec lanciò un nuovo ululato di dolore e di rabbia e vibrò un colpo con il braccio massiccio, scagliando a terra Catti-brie con quanto rimaneva della tenaglia per poi farlesi addosso e sollevare un enorme piede con l'intenzione di schiacciarla. L'istante successivo il sollevarsi rapido e sicuro di Khazid'hea indusse il
demone a rivedere l'opportunità di quella manovra, soprattutto quando la spada gli staccò una delle dita del piede. Ululando per la terza volta il glabrezu saltellò all'indietro e Catti-brie ne approfittò per rialzarsi in piedi e prepararsi all'assalto successivo. Il nuovo attacco non fu però del genere che lei si sarebbe aspettata. Di solito Bizmatec adorava giocare con le sue vittime mortali e in particolare con gli umani, tormentandoli per poi farli lentamente a pezzi arto per arto, ma questa volta decise che l'avversario che aveva di fronte era troppo pericoloso per ricorrere a una tattica del genere e preferì fare appello ai propri poteri magici. All'improvviso Catti-brie sentì i piedi che perdevano la presa sul terreno e quando cercò di ritrovare l'equilibrio si rese conto che non era più sul ghiaccio ma stava fluttuando nell'aria. «No, razza di imbroglione dalla faccia di cane!» urlò inutilmente in tono di protesta. L'istante successivo Bizmatec agitò nell'aria una grande mano e Cattibrie fluttuò sempre più in alto e lontano, a tre metri dal suolo e spostandosi progressivamente sull'acqua. Comprendendo quello che il demone aveva intenzione di fare, la ragazza reagì con un ringhio di sfida e impugnò Khazid'hea con una sola mano, come se fosse stata una lancia più che una spada, per poi scagliarla da un lato in direzione della piattaforma mobile su cui si trovava Stumpet e mandarla a conficcarsi fino all'elsa nel ghiaccio accanto alla sacerdotessa. Disinteressandosi della spada lei si affrettò intanto a cercare di ritrovare l'equilibrio per poter tendere l'arco ma Bizmatec scoppiò in una risata e ritrasse la propria energia magica, facendola sprofondare nell'acqua gelida con un impatto che le tolse il respiro. «Stumpet!» urlò Catti-brie, sentendo i piedi che già cominciavano a perdere sensibilità, e sulla piattaforma anche Khazid'hea lanciò una supplica mentale alla sacerdotessa perché la estraesse dal ghiaccio; Stumpet però continuò a rimanere immobile e impassibile, del tutto indifferente alla scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Bruenor sapeva cosa stava succedendo a Catti-brie perché l'aveva vista sollevarsi nell'aria e aveva sentito il rumore del suo impatto con il mare, seguito dai richiami che lei aveva lanciato a Stumpet. Ogni istinto paterno stava ora incitando il nano ad abbandonare la lotta in cui era impegnato per gettarsi in acqua e aiutare la figlia, ma lui sapeva che un atto del genere sarebbe stato una follia perché oltre a costargli la vita (cosa che peraltro
per lui non aveva importanza quando era in gioco la sicurezza della ragazza) avrebbe anche segnato la condanna a morte di Catti-brie. La sola cosa che poteva fare per aiutarla era vincere in fretta quello scontro, quindi il nano si scagliò contro i manes con rinnovato furore e con un urlo possente, troncando in due un avversario con un solo fendente della sua ascia e proseguendo la propria carica con una velocità tale da riempire l'aria intorno a sé di fetide e acri nuvole di gas giallastro. I suoi progressi vennero poi arrestati di colpo dal divampare di una fiammata improvvisa che lo costrinse a indietreggiare con un grido di sorpresa e con il volto arrossato dall'ondata di calore. Il nano stava ancora scuotendo il capo per riprendersi dall'impatto quando vide Bizmatec piombargli addosso e calargli sulla testa quello che restava dell'artiglio destro per poi protendere le tenaglie sinistre con l'evidente intenzione di squarciargli la gola e di porre rapidamente fine allo scontro. Da dove si trovava Drizzt si rese conto di quello che era successo a Catti-brie e della situazione in cui versava Bruenor ma non permise al minimo senso di colpa di affiorare dentro di lui perché molto tempo prima aveva infine scoperto di non essere responsabile di tutti i dolori del mondo e che i suoi amici erano liberi di scegliere la strada che volevano percorrere. La sola cosa che affiorò nel suo animo fu una pura e semplice ondata d'ira mista a indignazione che gli pervase le vene di adrenalina e intensificò ulteriormente la prontezza dei suoi riflessi di combattente. Ma anche così, come poteva chiunque fronteggiare sei attacchi contemporanei? Lampo eseguì una serie di parate sulla sinistra e una sulla destra, intercettando ogni volta una delle lame dell'avversaria, poi l'altra sciabola di Drizzt, che stava addirittura pulsando per la bramosia di nutrirsi del demone, calò un fendente in verticale con la punta rivolta verso il basso che la portò a bloccare contemporaneamente due delle spade della marilith; l'istante successivo Lampo scattò nella direzione opposta, salendo con una spiccata angolazione in modo da bloccare un nuovo attacco e poi girandosi per intercettare un'altra spada. Sulla spinta del puro istinto Drizzt saltò quindi più in alto che poté nel momento stesso in cui la marilith ruotò su se stessa e sferrò un colpo con la lunga coda verde coperta di scaglie nel tentativo di raggiungerlo alle caviglie e di fargli perdere l'equilibrio. Sfruttando il vantaggio ottenuto con quel balzo Drizzt spiccò la corsa mentre atterrava e si lanciò dritto davanti a sé con le scimitarre che eseguivano una serie di attacchi fulminei, ma anche se questo gli permise di superare la
guardia delle sei spade della marilith non gli servì peraltro a niente perché l'istante successivo il demone svanì nel nulla per riapparire alle sue spalle. Drizzt, dal canto suo, aveva ormai per quanto concerneva i demoni un'esperienza sufficiente a permettergli di reagire in modo adeguato a quella mossa e nel momento in cui vide svanire il suo bersaglio si tuffò in avanti e rotolò su se stesso per poi rialzarsi in piedi con una torsione protendendo lateralmente la famelica scimitarra in un fendente che abbatté uno dei manes che aveva osato avvicinarsi troppo; Drizzt però non tentò neppure di proseguire l'attacco in quella direzione e si affrettò a ruotare sul ghiaccio per tornare ad affrontare la marilith. Seguì un nuovo succedersi di attacchi e di parate, così concatenati da far sì che il clangore delle spade suonasse come un unico, protratto lamento che accompagnò la danza di morte intessuta dalle otto lame, e anche se la cosa poteva apparire miracolosa o addirittura impossibile Drizzt fu il primo a colpire l'avversario, raggiungendo la marilith a una delle sue numerose spalle con un fendente che rese quel braccio del demone inutilizzabile. L'istante successivo le cinque spade rimanenti della marilith presero a muoversi in un attacco così fulmineo che il drow fu costretto a indietreggiare. *
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Finalmente Regis e Guenhwyvar raggiunsero il punto più stretto del braccio di mare che formava un canale fra i due iceberg, e nel guardare lo spazio che dovevano superare lo spaventato halfling ebbe l'impressione che si trattasse di una distanza invalicabile; la cosa peggiore era però costituita dall'insorgere di un nuovo problema, dovuto al fatto che l'area che avevano di fronte e che costituiva la meta da raggiungere non offriva un percorso nascosto e segreto fino alla torre di cristallo perché si stava riempiendo rapidamente di manes. A quel punto Regis sarebbe tornato indietro e avrebbe cercato di raggiungere i suoi amici o, non riuscendoci, di tornare nella tundra e nelle miniere dei nani. Una serie di immagini in cui si vedeva far ritorno su quel mare di ghiaccio con un esercito di nani (o per meglio dire al seguito di un esercito di nani) gli fluttuò nella mente offrendo una notevole tentazione, ma prima che potesse rifletterci sopra quell'idea risultò del tutto inattuabile. Regis infatti si stava ancora tenendo aggrappato alla pantera e ben presto
si rese conto che Guenhwyvar non aveva neppure l'intenzione di rallentare l'andatura. A quel punto non gli restò altro da fare che accentuare la stretta sul collo dell'animale, lanciando un grido di terrore quando il grande felino spiccò un possente balzo che lo portò a librarsi al di sopra del tratto di gelida acqua scura per poi atterrare con una lunga scivolata e sparpagliare così il gruppo di manes più vicino. Se fosse stata libera di agire come voleva Guenhwyvar avrebbe sterminato in pochi momenti quelle miserabili e orrende creature, ma conosceva la sua missione e preferì dedicarvisi in modo assoluto e totale. Con Regis che si teneva aggrappato disperatamente al suo pelo, ululando di terrore, la pantera continuò la sua corsa zigzagando a destra e a sinistra in modo da evitare i manes e da lasciarseli alle spalle. Entro pochi secondi i due compagni oltrepassarono il costone e si addentrarono in una valletta deserta che si allargava alla base di CryshalTirith; apparentemente troppo stupidi per continuare a braccare una preda che era scomparsa dal loro campo visivo, i manes non accennarono a proseguire l'inseguimento. «Devo essere pazzo», sussurrò Regis, contemplando nuovamente la torre di cristallo che era stata la sua prigione quando Akar Kessel aveva invaso la Valle del Vento Ghiacciato; pur essendo un mago, Kessel era stato soltanto un uomo, mentre questa volta a controllare il cristallo era un demone, un grande e potente balor! A occhio nudo l'halfling non riuscì a distinguere nessuna porta sui quattro lati della torre, ma del resto aveva saputo fin dall'inizio che sarebbe stato così perché una difesa aggiuntiva di cui godeva Cryshal-Tirith consisteva proprio nel fatto che il suo accesso non era visibile alle creature del Piano dell'Esistenza su cui essa sorgeva, con la sola eccezione di colui che era in possesso del pezzo di cristallo. Se però Regis non era in grado di vedere la porta essa doveva invece essere perfettamente visibile per Guenhwyvar, che era una creatura del Piano Astrale. Esitando, Regis riuscì a trattenere Guenhwyvar per qualche secondo ancora. «Ci sono delle guardie», avvertì, ricordando i giganteschi e possenti troll che avevano abitato in passato Cryshal-Tirith e chiedendosi quali altri mostri Errtu potesse aver schierato oltre a loro. Nel momento stesso in cui pronunciava quelle parole udì un suono ronzante che lo indusse a sollevare lo sguardo e l'istante successivo per poco non svenne nel vedere un chasme oltrepassare il costone e scendere in picchiata verso di loro.
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Incassato il colpo alla testa senza quasi avvertirlo, Bruenor sollevò la possente ascia in modo da intercettare la tenaglia protesa verso di lui e si lanciò in avanti, o almeno cercò di farlo; quando poi quel genere di attacco non diede i frutti sperati fu abbastanza saggio da cambiare tattica e da battere in ritirata. «Più grossa la bestia, più grosso il bersaglio», ringhiò raddrizzandosi sulla testa l'elmo con un solo corno, poi fece descrivere all'ascia un arco laterale che abbatté un paio di manes e con un ruggito si scagliò contro Bizmatec senza dimostrare il minimo timore. Il glabrezu dalle quattro braccia fronteggiò quell'attacco con la mezza tenaglia rimastagli e con i pugni, e pur riuscendo a raggiungerlo con l'ascia Bruenor incassò a sua volta un paio di colpi che lo lasciarono stordito e capace soltanto di guardare con impotenza il demone che gli si stava scagliando contro con la tenaglia ancora sana protesa verso di lui. Una scia argentea passò accanto al nano e andò a trapassare il petto massiccio del demone, facendolo indietreggiare di un passo, barcollante. Ancora nell'acqua, Catti-brie si era dibattuta fino a riuscire a sollevarsi quanto bastava per alzare Taumaril, impugnandolo in orizzontale, e per tenerlo fuori dall'acqua il tempo necessario a scagliare una freccia. Già solo il fatto che fosse stata in grado di usare l'arco in quelle condizioni era di per sé stupefacente, e che avesse addirittura centrato il bersaglio aveva addirittura dell'incredibile. Per un momento Bruenor non riuscì a capire come avesse fatto Catti-brie a sollevarsi tanto al di sopra del pelo dell'acqua, poi però comprese che doveva aver puntato i piedi su un pezzo di ghiaccio sommerso, un appiglio che in quel momento le permise di scoccare un'altra freccia letale. Ululando, Bizmatec indietreggiò di un secondo passo e nell'acqua Cattibrie lanciò a sua volta un grido di soddisfazione che mancava però di sincerità. Pur essendo lieta di essersi in una certa misura vendicata del demone e di aver aiutato suo padre, lei non poteva infatti ignorare il fatto di avere le gambe del tutto intorpidite e la spalla che continuava a sanguinare, inconvenienti che non le avrebbero permesso di prendere parte allo scontro ancora per molto; tutt'intorno a lei la fredda acqua nera attendeva con impazienza come un animale in agguato che stesse aspettando solo il momento di divorarla in un solo boccone. Il suo terzo tiro mancò il bersaglio ma passò tanto vicino a Bizmatec da
costringerlo ad abbassarsi di scatto. Con una torsione il demone si chinò il più possibile, poi sgranò notevolmente gli occhi nel rendersi conto di aver appena allineato alla perfezione la propria fronte con l'ascia di Bruenor. La violenza dell'impatto fece crollare in ginocchio il glabrezu, che avvertì poi il doloroso strattone con cui il nano liberò l'ascia, subito seguito da un secondo impatto quando una freccia argentea annientò i manes che stavano cercando di accorrere in suo aiuto. Dov'era Errtu, adesso che c'era bisogno di lui? Il glabrezu riuscì a stento a formulare quel pensiero prima di essere nuovamente colpito, poi tutto prese a oscurarsi e a vorticare intorno a lui e il suo spirito precipitò lungo il corridoio che lo avrebbe riportato nell'Abisso, dove sarebbe rimasto vincolato per cento anni, al bando. Bruenor emerse dalla nube di fumo nero che era tutto ciò che restava del glabrezu, animato da rinnovate energie e riprese a falciare le file sempre più assottigliate dei manes cercando di raggiungere Drizzt. Da dove si trovava non aveva modo di vederlo ma sentiva bene il clangore dell'acciaio e il susseguirsi incredibilmente veloce degli impatti fra le diverse lame. Un momento più tardi il nano riuscì a intravedere di sfuggita Catti-brie e il cuore gli si librò in petto per la speranza quando vide che sua figlia era in qualche modo riuscita a raggiungere la stessa piattaforma di ghiaccio su cui si trovava Stumpet. «Avanti, sacerdotessa», borbottò in tono intenso Bruenor. «Ritrova il tuo dio e salva la mia ragazza!» Stumpet però non accennò a muoversi in direzione della giovane donna che si stava dibattendo nell'acqua e che come suo padre era troppo impegnata per scorgere la grossa sagoma che si stava dirigendo rapida verso il terreno dello scontro, procedendo con passo agile e sciolto sul ghiaccio. In attesa, appena più indietro rispetto all'ingresso della grotta, Errtu stava osservando l'intero combattimento con assoluto divertimento, in quanto gli importava assai poco della perdita di Bizmatec che era stato appena scagliato nell'Abisso, ancor meno dei chasme e per nulla dei manes. Perfino la marilith, impegnata in un così disperato duello con Drizzt, costituiva per lui una fonte di preoccupazione soltanto perché avrebbe potuto uccidere il drow; quanto ai suoi generali e alle sue truppe, il demone era del tutto indifferente alla loro sorte perché erano facilmente rimpiazzabili con l'abbondanza di demoni che attendeva nell'Abisso, impaziente di raggiungere il Piano Materiale dell'Esistenza. L'intenzione di Errtu era quindi quella di permettere ai compagni di vincere quello scontro sul ghiaccio in modo che ne uscissero logorati. La
donna era infatti già da considerarsi fuori combattimento, il nano era alquanto malconcio e Drizzt Do'Urden, che pure stava combattendo così bene, doveva senza dubbio essere ormai stanco. Con ogni probabilità, quando infine avesse raggiunto la grotta il drow sarebbe stato solo e nessun mortale, neppure un elfo drow, poteva tenere testa da solo a un balor in uno scontro diretto. Con un perverso sorriso il demone continuò a osservare l'evolversi dello scontro, pronto a intervenire nel caso che la marilith avesse finito per acquisire un eccessivo vantaggio nei confronti del suo avversario. *
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Anche Crenshinibon stava seguendo con estremo interesse quel serrato combattimento, tanto concentrato su di esso da non accorgersi degli altri nemici che nel frattempo avevano raggiunto la soglia stessa di CryshalTirith. Al contrario di Errtu, il manufatto voleva che il combattimento finisse e che Drizzt e i suoi amici venissero distrutti prima di potersi avvicinare alla grotta; per questo motivo avrebbe voluto scatenare un secondo getto di fuoco diretto contro il drow che costituiva un bersaglio più facile ora che era impegnato nel duello con la marilith, ma il primo attacco sferrato in precedenza lo aveva lasciato troppo indebolito a causa dello scontro con lo zaffiro permeato di antimateria da cui aveva riportato danni notevoli che poteva solo sperare finissero per risanarsi con il passare del tempo. Per il momento, però... D'un tratto il malvagio manufatto trovò finalmente il modo di intervenire nella lotta e protese il proprio potere telepatico verso l'anello che Errtu aveva lasciato per terra, raggiungendo lo spirito della nana intrappolato al suo interno. Sulla piattaforma di ghiaccio Stumpet si decise finalmente a muoversi e Catti-brie, fraintendendo le sue intenzioni, si concesse un sorriso pieno di speranza nel vederla avvicinarsi. *
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Nelle incessanti guerre che infuriano nell'Abisso i demoni noti come marilith hanno la reputazione di essere i migliori generali e i più eccellenti esperti di tattica, ma nel fronteggiare la sua avversaria Drizzt si rese ben presto conto che quella creatura dotata di sei arti non era poi tanto coordi-
nata nei suoi movimenti che erano estremamente ripetitivi e facevano affidamento soprattutto sulla confusione che qualsiasi avversario finiva per provare nell'essere costretto a cercare di controllare gli spostamenti di sei lame diverse. Forte di questa consapevolezza il drow stava quindi cominciando ad avere il sopravvento anche se aveva le braccia che ormai formicolavano per la stanchezza derivante semplicemente dal numero di parate che aveva dovuto sostenere. Lampo saettò due volte a sinistra e poi una a destra, con mosse speculari a quelle dell'altra scimitarra, poi Drizzt fu pronto a spiccare un salto quando, com'era prevedibile, la marilith vibrò un nuovo colpo di coda. Subito dopo il demone scomparve una seconda volta e Drizzt era sul punto di ruotare su se stesso come aveva fatto in precedenza quando si rese conto che la marilith si aspettava esattamente questo e preferì invece lanciarsi in avanti, infliggendo una nuova ferita alla creatura quando essa tornò ad apparire esattamente dove si era trovata poco prima. «Oh, figlio mio!» esclamò d'un tratto il demone, indietreggiando inaspettatamente. Quelle parole e quel comportamento indussero Drizzt a esitare ma lui mantenne comunque la posizione di combattimento, disintegrando in altrettante nubi di gas fetido due manes che avevano osato avvicinarglisi troppo. «Oh, figlio mio», tornò a ripetere il demone con una voce che suonò terribilmente familiare agli orecchi del drow. «Non riesci a vedere oltre questo aspetto illusorio?» Drizzt trattenne il respiro e cercò di non guardare in direzione della profonda ferita sanguinante che aveva appena provocato sul seno sinistro della marilith, chiedendosi al tempo stesso se il suo attacco non fosse stato una follia. «Sono Zaknafein», insistette intanto la creatura. «Questo è un trucco di Errtu, che mi sta costringendo a combattere contro di te come la Matrona Malice ha fatto con Zin-carla!» Quelle parole sconvolsero profondamente Drizzt ed ebbero l'effetto di immobilizzarlo dove si trovava, con le ginocchia che quasi gli cedevano per l'emozione nel vedere la creatura cambiare gradualmente forma per cessare di essere una mostruosità a sei braccia e diventare un avvenente drow che lui conosceva molto bene. «Zaknafein!» sussurrò.
«Errtu vuole che tu mi uccida», affermò la creatura sforzandosi di trattenere un sogghigno. Nel corso del duello essa aveva sondato i pensieri di Drizzt da cui aveva tratto l'idea per quell'inganno, lasciando poi che fosse lo stesso Drizzt a guidare passo dopo passo le sue mosse successive. Non appena la marilith aveva proclamato di essere un inganno creato dal balor Drizzt aveva pensato a Matrona Malice, chiunque fosse, e a Zin-carla, di qualsiasi cosa si trattasse, fornendole così un canovaccio da seguire. E stava funzionando, dato che le scimitarre del drow si stavano progressivamente abbassando. «Combattilo, padre mio!» gridò Drizzt. «Ritrova la tua libertà come hai fatto con Malice!» «Lui è forte», replicò la marilith. «Lui...». Interrompendosi, la marilith sorrise e abbassò volutamente le due spade ancora visibili, aggiungendo con voce familiare e suadente. «Figlio mio». Drizzt per poco non cadde in quell'inganno. «Dobbiamo aiutare il nano», cominciò a dire, pronto a credere che quello fosse davvero Zaknafein e che fosse abbastanza forte da riuscire a sottrarsi al controllo che Errtu esercitava su di lui. Se però Drizzt era disposto a credere nell'imbroglio della marilith, la sua scimitarra forgiata per distruggere creature di fuoco come quella non era altrettanto malleabile: essa non era infatti in grado di "vedere" la forma illusoria assunta dalla marilith e non poteva sentire la sua voce rassicurante. Drizzt stava già muovendo un passo di lato per andare in aiuto di Bruenor quando avvertì e riconobbe il persistente pulsare dell'arma, la sua fame perdurante, e questo gli fece comprendere l'inganno in cui stava cadendo. Mosso un altro passo al solo scopo di posizionare i piedi nel modo migliore, senza preavviso si scagliò contro l'illusione della forma paterna, animato da un'ira sempre più incontenibile. E venne respinto dalle cinque lame rimanenti della marilith quando essa si affrettò ad assumere di nuovo la propria forma naturale per riprendere il duello. Impaziente di farla finita, Drizzt attinse alla propria magia naturale e avviluppò il demone in un velo di fuoco fatuo purpureo, ma la marilith si limitò a ridere e contrastò con facilità quell'energia magica, spegnendo le fiamme con la forza di un semplice pensiero. Subito dopo Drizzt sentì un rumore familiare alle proprie spalle e si affrettò a evocare un globo di oscurità impenetrabile intorno a se stesso e
alla sua avversaria. «Credi che non ti possa vedere?» lo provocò la marilith. «Io ho vissuto nell'oscurità più a lungo di te, Drizzt Do'Urden!» I suoi incessanti attacchi parvero confermare quelle parole a mano a mano che le sue spade si abbattevano con clangore contro le scimitarre e poi contro... un'ascia. La creatura impiegò una frazione di secondo a comprendere cosa stava succedendo e quell'esitazione le fu fatale perché quando si rese conto che chi aveva davanti non era più Drizzt ma il suo amico nano era ormai troppo tardi. E se quello che aveva davanti era Bruenor... La marilith cercò di attingere di nuovo alla propria magia innata con l'intento di uscire da quella situazione teletrasportandosi lontano ma l'attacco di Drizzt prevenne quella mossa e la sua famelica scimitarra le trapassò la spina dorsale. Nello stesso momento la sfera di oscurità scomparve e Bruenor, che si trovava davanti alla marilith, lanciò un folle urlo di soddisfazione nel vedere la punta della lama del drow sporgere dal petto del demone. Drizzt intanto riuscì a fatica a mantenere la presa sull'arma e perfino a imprimere una o due torsioni mentre la scimitarra continuava ad alimentarsi dell'energia vitale della marilith, che scorreva lungo la lama e nell'elsa mentre il demone ringhiava imprecazioni e maledizioni e cercava invano di attaccare Bruenor perché ormai impossibilitata a muovere le braccia a causa della lama che le stava prosciugando ogni grammo di energia vitale. D'un tratto il corpo del demone cominciò a perdere di consistenza e la sua carne si dissolse in una nube di fumo fino a scomparire. Nello svanire la marilith promise a Drizzt Do'Urden mille morti piene di sofferenza e che un giorno sarebbe tornata per ottenere una spaventosa vendetta, ma quelle erano tutte minacce che Drizzt aveva già sentito e che non gli fecero impressione. «Là dentro c'è di peggio», commentò rivolto a Bruenor, quando infine il combattimento volse al termine. Lanciandosi una rapida occhiata alle spalle Bruenor vide che Stumpet si stava dirigendo verso sua figlia che ancora si dibatteva nell'acqua e ne fu tranquillizzato perché credette che volesse aiutarla. «Allora andiamo!» tuonò, consapevole di non poter fare altro per Cattibrie. Vedendo i pochi manes ancora vivi che stavano oltrepassando il costone sulla parte posteriore dell'iceberg i due amici si lanciarono alla carica con-
tro di loro, fianco a fianco, disintegrando la patetica resistenza opposta da quelle creature per poi entrare di corsa nella grotta dove distrussero l'ultimo gruppo di manes che li stava aspettando al suo interno. La sola luce di cui i due compagni disponevano nella caverna era quella che scaturiva dalle armi di Drizzt, il consueto bagliore azzurro emesso da Lampo e un'insolita quanto intensa tonalità di blu che proveniva dall'altra lama; quella scimitarra splendeva soltanto quando veniva esposta a un freddo intenso e adesso la sua luce si era fatta ancor più incandescente in virtù della quantità di energia vitale che aveva appena sottratto alla marilith. All'interno la caverna risultò più vasta di quanto fosse parsa dall'esterno, con il pavimento che subito oltre la soglia acquisiva una forte pendenza verso il basso che ne aumentava la profondità e con una quantità di stalagmiti e di stalattiti che sporgevano dal suolo per arrivare fino alla volta, posta ad almeno una decina di metri di altezza dai due compagni. Una volta annientati i manes, Drizzt indicò verso la parte opposta della grotta, dove un sentiero molto erto risaliva la parete di roccia per poi arrivare a un pianerottolo dove effettuava una svolta intorno a una spessa lastra di ghiaccio che bloccava la visuale. Insieme i due si avviarono sul pavimento irregolare della grotta, ma un momento più tardi si arrestarono nell'udire una folle risata che accompagnò l'apparizione di Errtu nel sentire che la temperatura passava da un gelo assoluto al caldo più incandescente a causa del fuoco devastante scatenato dal possente balor. *
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Si trattò di un semplice caso di sottovalutazione da parte del chiasme, che conosceva il mondo materiale, vi era già stato in precedenza e credeva quindi di sapere cosa aspettarsi dalle creature che vivevano in esso. Guenhwyvar non apparteneva però al mondo della materia e le sue capacità erano nettamente superiori a quelle di un normale felino. Nello scendere in picchiata su lei e su Regis, convinto di essere a una quota abbastanza alta da non correre rischi, il chasme rimase quindi terribilmente sorpreso quando il possente felino spiccò un balzo nell'aria e superò in verticale una decina di metri in un istante, agganciando i possenti artigli nel suo torso da insetto. L'istante successivo entrambi precipitarono al suolo in un mucchio in-
forme, Guenhwyvar che graffiava selvaggiamente il demone con le zampe posteriori, lo tratteneva saldamente con quelle anteriori e mordeva con tutta la considerevole forza delle sue fauci. Nel guardare le due creature che rotolavano al suolo Regis si rese subito conto di non poter essere di nessun aiuto e dopo aver lanciato ripetuti richiami a Guenhwyvar si guardò intorno e constatò che alcuni dei manes stavano venendo verso di loro e che questa volta si stavano spingendo oltre il costone. «Fa' presto, Guenhwyvar!» gridò, e la pantera si affrettò a obbedire, raddoppiando la potenza dei propri colpi di artiglio fino a quando, senza preavviso, si venne a trovare sola sul terreno e si dovette affrettare a ritrarsi da una nube di fumo nero che già si andava dissolvendo. Raggiunto Regis. il felino si diresse verso la porta della torre, ma in quel momento l'halfling fu assalito da un'idea improvvisa che lo indusse a imprimere uno strattone al pelo della pantera per farla fermare. «C'è una finestra all'ultimo piano!» le indicò. Sapeva che quella era una mossa disperata perché spesso la finestra all'ultimo piano di Cryshal Tirith era un portale di accesso a un altro luogo e non una normale via per entrare e uscire dalla torre, ma non aveva nessuna voglia di aprirsi un varco combattendo contro i diversi guardiani che potevano esserci nella torre e che potevano includere lo stesso Errtu. Scrutata in fretta l'area che le era stata indicata, Guenhwyvar cambiò subito direzione e Regis balzò direttamente sul suo dorso per il timore di non riuscire ad adeguarsi con le sue corte gambe al passo veloce della creatura. Affondando gli artigli e puntellando le zampe con tutte le sue forze la pantera risalì la forma conica dell'iceberg fino a raggiungere un'area relativamente pianeggiante che le permise di acquistare velocità e di spiccare il balzo verso la piccola finestra. L'impatto contro il fianco di Crenshinibon fu violento, poi Regis si issò in qualche modo sopra la pantera per insinuare il proprio corpo attraverso la stretta apertura, cadde sul pavimento e rotolò all'indietro fino ad addossarsi con la schiena alla parete. Una volta dentro accennò a chiamare Guenhwyvar perché lo seguisse ma prima di poterlo fare sentì il suo ruggito che accompagnava un balzo con cui essa si allontanò dal fianco della torre per correre in aiuto del suo padrone. Lasciando Regis solo nella piccola stanza, faccia a faccia con il cristallo senziente.
«Grandioso», commentò in tono asciutto l'halfling terrorizzato. 27 La resa dei conti Drizzt e Bruenor non tardarono a rendersi conto delle condizioni per loro assolutamente sfavorevoli in cui si stavano trovando a fronteggiare Errtu, in quanto l'infuriare del fuoco prodotto dal demone stava trasformando la grotta in una sorta di acquitrino e grossi blocchi di ghiaccio cominciavano a cadere dal soffitto costringendoli a cercare di schivarli con prontezza, cosa resa difficoltosa dall'acqua gelida che rallentava i loro movimenti. La cosa peggiore era però data dal fatto che ogni volta che il grande balor si allontanava da loro insieme al suo demoniaco calore l'acqua riprendeva subito a ghiacciare intorno a Drizzt e a Bruenor, minacciando di intrappolarli. E nel frattempo l'aria continuava a echeggiare della risata beffarda del demone. «Quali tormenti ti attendono, Drizzt Do'Urden!» tuonò il balor. Udendo un improvviso sciacquio alle proprie spalle accompagnato da un'ondata di intenso calore Drizzt comprese che il demone si era servito della propria magia per teletrasportarsi dietro di lui: accennando a girarsi riuscì a essere abbastanza rapido da evitare il supposto attacco, ma invece di aggredirlo il demone si limitò a conficcare la sua spada formata da una saetta nell'acqua in modo che l'energia da essa liberata si riversasse in ogni suo singolo muscolo. Ruotando su se stesso Drizzt serrò i denti per non mordersi la lingua a causa di quelle scosse e sollevò Lampo in una parata perfetta che intercettò sul nascere il secondo attacco di Errtu. Scoppiando in una risata ancor più fragorosa e maligna il demone emanò una nuova scarica di energia elettrica che percorse la scimitarra di Drizzt e si riversò su di lui, scorrendogli lungo il corpo e facendogli schioccare le ossa delle ginocchia in maniera così dolorosa che lui perse l'equilibrio e per poco non svenne. Vagamente, Drizzt sentì Bruenor lanciare un grido possente e dirigersi verso di lui con un sonoro sciacquio ma si rese conto che il nano non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo e che l'assalto improvviso di Errtu stava per segnare la sua fine.
D'un tratto però il demone parve svanire nel nulla e un istante più tardi Drizzt comprese quali erano le sue intenzioni: Errtu stava giocando con loro! Dopo aver atteso tanti anni per vendicarsi adesso il grande balor era deciso a divertirsi fino in fondo. Mentre Drizzt si rialzava faticosamente in piedi Bruenor gli passò accanto sdrucciolando sul terreno melmoso e viscido, e nell'aria echeggiò la voce di Errtu che continuava a ridere beffardo da un punto sul lato opposto della caverna. «Attento, quel demone può apparire dovunque lo desideri», avvertì Drizzt. Nel momento stesso in cui pronunciò quelle parole nell'aria echeggiò il crepitare della frusta del balor seguito da un grido del nano, e nel girarsi di scatto Drizzt vide che Bruenor era stato gettato a terra. «Ma non mi dire!» esclamò rabbiosamente il nano nel dimenarsi per cercare di posizionarsi in modo da colpire il demone che lo stava trascinando all'indietro, lontano da Drizzt. Subito dopo Bruenor si rese però conto della portata della situazione in cui si trovava perché nel guardarsi alle spalle vide venirgli incontro un muro di fuoco che sfrigolava e strideva trasformando il ghiaccio in acqua, e scorse Errtu al di là di quel muro, che sogghignava malvagiamente nel tirarlo verso di sé con la frusta. Poco lontano Drizzt ebbe l'impressione che le energie lo abbandonassero quando si rese conto di come Errtu avesse intenzione di tormentarlo: Bruenor era condannato. *
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Regis non aveva modo di saperlo, ma il suo improvviso sopraggiungere nella piccola stanza alla sommità di Cryshal-Tirith fu la sola cosa che salvò la vita a Catti-brie. In quel momento infatti Stumpet l'aveva raggiunta ma quando la nana si era chinata verso di lei Catti-brie aveva scoperto con orrore che non aveva nessuna intenzione di aiutarla a issare il proprio corpo intorpidito dal gelo sulla piattaforma di ghiaccio perché la sacerdotessa aveva cominciato a spingerla e a colpirla nel tentativo di farle perdere l'appiglio sul ghiaccio e di rigettarla nell'acqua. Catti-brie aveva reagito difendendosi con tutto il vigore possibile, ma senza un saldo appiglio per i piedi e con le gambe che avevano perso ogni
sensibilità a causa del gelo la sua era stata una lotta persa in partenza. Quando però Regis era giunto nella stanza della torre il cristallo era stato costretto a rinunciare a controllare Stumpet per concentrarsi su quella nuova e più vicina minaccia. Nel momento stesso in cui Crenshinibon smise si controllarla Stumpet cessò di lottare e s'immobilizzò completamente, e non appena si rese conto di quanto era accaduto Catti-brie si affrettò ad aggrapparsi a una gamba robusta della nana, servendosi di lei come di una leva che le permettesse di issarsi fuori dall'acqua. Non fu una cosa facile, ma finalmente la donna riuscì a alzarsi in piedi su gambe tremanti e constatò che Drizzt e Bruenor erano ormai scomparsi all'interno della grotta; all'esterno c'erano però ancora dei manes da abbattere, compreso un gruppo che si era gettato nell'acqua e a furia di dibattersi disordinatamente si stava avvicinando sempre di più alla piattaforma su cui lei e Stumpet si trovavano. Sollevato Taulmaril, la ragazza prese di mira quelli che erano gli unici avversari ancora in vista. *
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Lottando con tutte le sue forze, Bruenor si aggrappò a quanto restava di una stalagmite distrutta dal calore, ma il ghiaccio risultò troppo viscido per permettergli di ottenere una presa salda e del resto le sue sole forze non gli sarebbero comunque bastate messe a confronto con la mole immensa di Errtu che lo stava trascinando con tutto il suo vigore. Un momento più tardi il nano lanciò un grido di dolore quando i suoi piedi vennero avviluppati dal fuoco demoniaco. Drizzt allora scattò in avanti così in fretta che i suoi piedi persero l'appiglio sul ghiaccio; nonostante l'impatto doloroso delle ginocchia il drow non permise che questo lo arrestasse e non badò quasi al dolore perché sapeva che Bruenor aveva bisogno di lui e tutto il resto non aveva importanza. Correndo con tutta la velocità di cui era capace riuscì infine a trovare un appiglio adeguato in mezzo alla fanghiglia e si tuffò in avanti protendendo al massimo la mano che impugnava la scimitarra forgiata nel ghiaccio in modo da far scivolare la sua lama ricurva proprio accanto all'amico. Subito in quell'area i fuochi generati da Errtu cessarono di esistere, estinti dal contatto con la magia della scimitarra, ma quando i due amici cerca-
rono di rialzarsi in piedi vennero scaraventati di nuovo sul terreno umido dal contatto della spada del balor con l'acqua ghiacciata. «Sì, un salvataggio ben riuscito!» tuonò il demone in tono beffardo. «Ben fatto, Drizzt Do'Urden, stolto drow, hai prolungato il mio piacere e per questo...» La frase del balor venne bruscamente troncata in un grugnito quando Guenhwyvar penetrò nella grotta con un possente balzo che la mandò a sbattere con violenza contro Errtu, facendogli perdere l'equilibrio sul terreno viscido e gettandolo al suolo. L'istante successivo Drizzt era già in piedi e si stava lanciando alla carica mentre Bruenor si affrettava a districarsi dal groviglio dei lacci della frusta che lo imprigionavano e Guenhwyvar proseguiva con ferocia il proprio attacco, tutta zanne e artigli. Avendo familiarità con quel grande felino che aveva già dovuto affrontare nell'occasione in cui poi Drizzt lo aveva bandito dal Piano Esistenziale della Materia, il balor si sentì uno stupido per non averne previsto il sopraggiungere, ma subito dopo si disse che la cosa non aveva importanza e con una contrazione dei muscoli possenti scagliò lontano la pantera. L'istante successivo Drizzt gli fu addosso con la famelica scimitarra protesa verso il suo ventre esposto. La spada di energia di Errtu calò in una rapida parata accompagnata ancora una volta dallo scorrere dell'elettricità da un'arma all'altra che ebbe di nuovo l'effetto di proiettare Drizzt all'indietro. Bruenor però si era intanto liberato e fu pronto a calare con forza l'ascia sulla gamba di Errtu. Ruggendo, il balor allontanò da sé il nano con una manata gettandolo all'indietro, poi allargò le grandi ali e si levò nell'aria in modo da sottrarsi alla portata degli avversari e quando Guenhwyvar spiccò un nuovo balzo fu pronto a intercettarla con un incantesimo di telecinesi e a tenerla bloccata a mezz'aria come il glabrezu aveva fatto con Catti-brie. Per Drizzt e Bruenor, che si stavano riprendendo dai colpi incassati, quello dato da Guenhwyvar fu comunque un notevole aiuto perché con il suo intervento il felino stava tenendo concentrate su di sé le considerevoli energie magiche del demone. «Libera mio padre!» gridò Drizzt. Errtu rispose con una risata che pose fine a quel momento di tregua apparente. L'istante successivo il demone scagliò lontano da sé la pantera e venne avanti in tutta la sua furia.
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La stanza era piccola, tanto da misurare appena tre metri di diametro, e il suo soffitto a cupola si protendeva verso l'alto a formare il pinnacolo della torre; al centro della camera, sospeso a mezz'aria, spiccava Crenshinibon, il cristallo senziente che era il cuore stesso della torre e che pulsava di un colore fra il rosa e il rosso, come se fosse stato una cosa vivente. Guardandosi rapidamente intorno Regis notò subito il cofanetto che giaceva per terra e che aveva qualcosa di familiare anche se sul momento non riuscì a ricordare dove lo aveva già visto, poi il suo sguardo si posò sull'anello adorno della gemma purpurea, ma lui esitò a toccare entrambi perché non sapeva quali potessero essere i loro effetti e i loro poteri. E non aveva neppure il tempo per cercare di scoprirlo. Dopo la caduta di Kessel, Regis aveva parlato a lungo con Drizzt e sapeva bene quale tecnica lui aveva utilizzato in quell'occasione per sconfiggere la torre, limitandosi a coprire il cristallo con della farina che ne aveva bloccato i poteri, quindi adesso sfilò dal proprio zaino un sacchetto di farina e avanzò con piglio sicuro verso di esso. «È ora di andare a dormire», commentò in tono provocatorio, e in effetti l'istante successivo le sue parole parvero trovare conferma ma non nel senso da lui inteso, dato che la reazione di Crenshinibon per poco non gli fece perdere i sensi. Infatti lui e Drizzt avevano commesso un errore di valutazione perché in quella torre eretta sulla pianura antistante Bryn Shander, tanti anni prima Drizzt in realtà non aveva coperto il vero Crenshinibon ma una delle innumerevoli immagini illusorie del cristallo, mentre in questo caso era il cristallo vero e proprio, il potente manufatto senziente, a fungere da cuore della torre e per sconfiggere un'aggressione così patetica non dovette fare altro che liberare una pulsazione delle proprie energie che disintegrò la farina a mano a mano che scendeva e bruciò il sacco che l'halfling aveva in mano, scagliando indietro Regis con tanta forza da mandarlo a sbattere contro la parete. Stordito, l'halfling si lasciò sfuggire un gemito che era insieme di dolore e di sgomento nel vedere la botola di accesso alla stanza aprirsi e lasciar scaturire un intenso fetore di troll, seguito l'istante successivo da un'enorme mano dalla putrida pelle verde e gommosa e dai lunghi artigli affilati. *
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Catti-brie non riusciva quasi ad avvertire i piedi, aveva i denti che battevano in maniera incontrollabile e sapeva che la corda dell'arco le stava penetrando in profondità nelle dita, ferendole, anche se lei non avvertiva il minimo dolore, ma nonostante questo si costrinse a continuare ad agire per amore di suo padre e di Drizzt. Servendosi della solida forma di Stumpet come di un sostegno, la giovane donna ritrovò l'equilibrio e lasciò partire una freccia che abbatté il demone più vicino all'ingresso della grotta, poi continuò a tirare frecce su frecce grazie alla sua faretra incantata che non la lasciava mai a corto di dardi e ben presto decimò i manes che ancora si trovavano sulla spiaggia ghiacciata e quelli che si avvicinavano troppo al costone. Di lì a poco rischiò di abbattere anche Guenhwy var ma riconobbe in tempo la sagoma della pantera in corsa e si sentì invadere da un certo sollievo nel vederla lanciarsi nella grotta. Ben presto i soli manes ancora in vita furono quelli che si erano gettati in acqua e che stavano nuotando verso di lei, e per quanto Catti-brie si mettesse freneticamente all'opera per abbatterli raggiungendo un bersaglio quasi a ogni tiro, uno di essi riuscì a issarsi sulla piattaforma di ghiaccio e a lanciarsi verso di lei. Catti-brie guardò verso la spada, conficcata fino all'elsa nel ghiaccio, e comprese di non poterla raggiungere in tempo, quindi si servì dell'arco come di un randello con cui vibrò un violento colpo in piena faccia al demone. Esso scivolò in avanti, privo di equilibrio, e quando le andò a sbattere contro Catti-brie gli sferrò una testata sul naso per poi sollevare la punta dell'arco che conficcò sotto il flaccido mento della creatura, trapassando la pelle viscida. L'istante successivo essa esplose in una nube di gas fetido ma ormai il danno era fatto perché l'impatto del manes abbinato all'effetto della nauseante nube gassosa furono sufficienti a spingere Catti-brie all'indietro e a farle perdere l'appiglio sulla nana, gettandola di nuovo in acqua. Riaffiorando in superficie con il respiro affannoso, la ragazza agitò le braccia ormai quasi insensibili e riuscì in qualche modo ad aggrapparsi al bordo estremo della piattaforma, agganciando le dita in una piccola crepa del ghiaccio per mantenere la presa in quanto sapeva che le sue forze stavano per esaurirsi, poi tentò di lanciare un richiamo a Stumpet ma ormai il gelo che la pervadeva era tale che perfino i muscoli della gola e della bocca rifiutarono di reagire ai comandi del suo cervello.
A quanto pareva, dopo essere sopravvissuta ai demoni stava per essere annientata dagli elementi naturali della Valle del Vento Ghiacciato, il luogo che aveva considerato la propria casa per la maggior parte della sua vita, un'ironia della sorte che non mancò di colpirla mentre il gelo s'impadroniva di lei. *
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La schiena di Regis scivolò lungo la volta ricurva della torre quando il troll alto cinque metri, il più grosso dei due che erano entrati nella stanza, lo sollevò in alto nell'aria per poterlo guardare in faccia. «Adesso tu finisce nella mia pancia», dichiarò l'orribile creatura, spalancando le fauci. Il semplice fatto che il troll fosse in grado di parlare destò però in Regis un improvviso bagliore di speranza. «Aspetta!» esclamò l'halfling, infilando una mano sotto la tunica. «Ho un tesoro da offrirti». E tirò fuori il suo prezioso pendente, con il magnifico rubino ipnotico che danzava all'estremità della sua catena ad appena pochi centimetri di distanza dagli occhi del troll stupito e d'un tratto interessato. «Questo è solo il principio», balbettò Regis, che si stava sforzando di improvvisare facendo appello a tutta la sua inventiva in quanto le conseguenze di un fallimento erano fin troppo evidenti. «Ne ho a mucchi... guarda il modo meraviglioso in cui gira, attirando il tuo sguardo...» «Allora, tu mangia la creatura o no?» domandò il secondo troll, assestando un deciso spintone al primo. L'altro troll era però già caduto sotto l'influsso del rubino e cominciava a pensare di non voler dividere il bottino con il suo compagno, quindi cadde facile preda del suggerimento avanzato da Regis quando questi guardò con indifferenza verso il secondo troll e ordinò: «Uccidilo». L'istante successivo l'haifling venne scaraventato al suolo e finì quasi schiacciato quando i due troll presero a lottare con violenza fra loro. Consapevole di dover agire in fretta, Regis si chiese quindi cosa poteva fare, poi il movimento rotolante con cui si era allontanato dai troll in lotta lo portò vicino all'anello adorno della gemma che si affrettò a infilare in tasca e al cofanetto aperto e vuoto dall'aria tanto familiare. D'un tratto l'haifling ricordò di cosa si trattava: quello era lo stesso cofa-
netto che il glabrezu aveva con sé quando lui e i suoi compagni si erano imbattuti nella malvagia Matrona Baenre nelle gallerie sottostanti MithriI Hall, lo stesso che aveva contenuto quello zaffiro nero capace di annullare qualsiasi energia magica. Raccolto il cofanetto, Regis saettò oltre i troll che continuavano a lottare e puntò dritto verso il cristallo. Immediatamente una vera e propria inondazione di immagini mentali si riversò su di lui e per poco non lo fece crollare al suolo quando il manufatto senziente, percependo il pericolo, gli penetrò nella mente cercando di dominarlo. Regis voleva continuare ad avanzare, lo voleva davvero, ma i suoi piedi rifiutavano di obbedirgli e d'un tratto cessò anche di essere certo di voler davvero avanzare ancora, si sorprese a domandarsi perché volesse distruggere quella splendida torre di cristallo e perché dovesse desiderare l'annientamento di Crenshinibon, il suo creatore, quando avrebbe potuto invece utilizzare il manufatto a proprio vantaggio. Dopo tutto, che poteva mai saperne Drizzt di quel cristallo? Confuso e ormai quasi prossimo a cedere, l'haifling ebbe però ancora la presenza di spirito sufficiente a pensare di sollevare il pendente di rubino davanti ai propri occhi e subito si trovò a vorticare nelle profondità della gemma, addentrandosi sempre più nel suo rosso cuore scintillante in cui la maggior parte delle persone perdeva se stessa, e fu proprio lì, a contatto con l'ipnosi della gemma, che ritrovò se stesso. Lasciata ricadere la catena del pendente l'haifling si proiettò in avanti e chiuse il coperchio del cofanetto su Crenshinibon nel momento stesso in cui esso si preparava a emanare un'altra ondata di energia letale. Le pulsazioni e il cristallo stesso vennero fagocitati dal cofanetto. Immediatamente la torre, quella gigantesca immagine del cristallo senziente, fu assalita da un tremito accompagnato dal rombo fragoroso che ne annunciava il disintegrarsi. «Oh, non di nuovo», borbottò l'haifling, perché quella era un'esperienza che aveva già vissuto e a cui era riuscito a sottrarsi soltanto grazie all'intervento di Guenhwyvar, mentre Drizzt si era salvato... Giratosi verso la finestra Regis balzò sul davanzale e si volse a osservare i due troll che adesso si stavano tenendo stretti uno all'altro invece di lottare, terrorizzati dal tremito che scuoteva la torre, e che si girarono entrambi a fissare il suo volto sorridente. «Magari ci rivedremo un'altra volta», disse Regis, e senza guardare in basso spiccò il salto nel vuoto, precipitando per cinque o sei metri prima di
colpire il lato dell'iceberg e di rotolare e rimbalzare selvaggiamente per alcuni istanti, arrestandosi poi con un improvviso scossone in mezzo alla neve gelata mentre la torre si smantellava tutt'intorno a lui e grossi blocchi di cristallo piovevano dall'alto, mancando di stretta misura la sua forma stordita e ammaccata. *
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Il terremoto che stava infuriando sull'iceberg ebbe l'effetto di arrestare temporaneamente il combattimento all'interno della grotta e di dare un momento di respiro ai malconci avversari del potente tanar'ri, ma al tempo stesso risultò deleterio per il povero Bruenor che era in piedi vicino alla parete della grotta e che crollò al suolo quando un'ampia fenditura si aprì nel ghiaccio proprio sotto i suoi piedi. Di per sé la fenditura non era molto profonda, tanto che gli arrivava appena alla vita, ma quando infine il tremore del suolo cessò il nano si venne a trovare incastrato nel ghiaccio. D'altro canto la perdita di Crenshinibon non diminuì in alcun modo i poteri di Errtu e l'evidente crollo della torre ebbe invece l'effetto di scatenarne ancora di più le ire. L'istante successivo Guenhwyvar spiccò un altro balzo contro di lui ma il demone la infilzò a mezz'aria con la sua spada di energia e la tenne sollevata con una sola mano possente. In ginocchio nel fango, Drizzt poté soltanto guardare con orrore mentre Errtu si avvicinava con mosse lente e deliberate e la pantera si contorceva ringhiando per l'agonia nel vano sforzo di liberarsi, e comprese che la fine, improvvisa quanto devastante, era ormai prossima. Lui non aveva più nessuna speranza di vincere e d'un tratto desiderò soltanto che Guenhwyvar riuscisse a liberarsi dalla spada perché se lo avesse fatto l'avrebbe mandata da Bruenor e poi l'avrebbe congedata con la speranza che portasse con sé il nano nella relativa sicurezza offerta dalla sua dimora astrale. Questo però non poteva accadere. Dopo un'ultima contorsione Guenhwyvar si accasciò e infine si dissipò in una nube di fumo grigio, la sua forma corporea sconfitta e allontanata dal Piano Materiale dell'Esistenza. Tirata fuori la statuetta Drizzt la fissò per un momento, consapevole che per alcuni giorni almeno non avrebbe più potuto richiamare la pantera, poi sentì lo sfrigolio dei fuochi del demone che gli si avvicinavano e che venivano estinti dalla sua sciabola di ghiaccio, e nel distogliere lo sguardo dal-
la statuetta incontrò quello del sogghignante Errtu, che adesso torreggiava su di lui ad appena un metro e mezzo di distanza. «Sei pronto a morire, Drizzt Do'Urden?» domandò il demone. «Sai, tuo padre ci può vedere e soffrirà di certo moltissimo nell'assistere alla lenta morte che io ti infliggerò!» Non dubitando minimamente di quelle parole, Drizzt si sentì pervadere da un'ira intensa che però questa volta non gli fu di nessun aiuto: era gelato, stanco, angosciato e sconfitto, e lo sapeva. *
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Le parole di Errtu erano vere solo parzialmente. Il prigioniero che si trovava dietro la parete di ghiaccio opaco dall'altra parte del pianerottolo più alto della caverna poteva in effetti vedere la scena, rischiarata dal chiarore azzurrino delle scimitarre di Drizzt e dal bagliore arancione delle fiamme di Errtu, e stava artigliando invano il muro della sua prigione, piangendo come non aveva pianto da moltissimi anni. *
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«Inoltre il tuo gattone sarà per me uno splendido animale domestico», continuò Errtu, beffardo. «Questo mai», ringhiò il drow, e agendo sulla pura spinta dell'impulso scagliò lontano la suatuetta con tutte le sue forze, oltre l'ingresso della grotta. Da dove si trovava non poté udire il rumore dell'impatto con il mare, ma dentro di sé si sentì certo di averla lanciata abbastanza lontano da farla finire nell'acqua. «Ben fatto, amico mio», approvò Bruenor, cupo in volto. Il sorriso di Errtu si mutò in una smorfia d'ira e la sua spada di energia si sollevò per prepararsi a calare sulla testa vulnerabile di Drizzt, che a sua volta approntò Lampo per cercare di bloccare il colpo. In quel momento un martello da guerra vorticò ripetutamente nell'aria per abbattersi con violenza contro la tempia del balor, accompagnato da un grido possente. «Tempus!» Senza il minimo timore, Kierstaad si precipitò nella grotta e attraversò i fuochi di Errtu grazie alla breccia creata dalla scimitarra di Drizzt per poi arrestarsi di fronte al tanar'ri e chiamare a gran voce Aegis-fang; il giovane
barbaro conosceva infatti la leggenda di quel martello da guerra e sapeva che esso avrebbe fatto ritorno nelle sue mani. Aegis-fang però non stava tornando da lui. Il martello non giaceva più al suolo accanto al demone ma per un motivo che Kierstaad non riusciva a capire non si era materializzato nelle sue mani in attesa. «Sarebbe dovuto tornare da me!» gridò in tono di protesta, rivolto soprattutto a Bruenor, l'istante prima di essere scagliato lontano da uno schiaffo del demone che lo mandò a sbattere con violenza contro un cumulo di ghiaccio per poi rotolare lontano da esso e accasciarsi gemendo sul terreno pantanoso. «Sarebbe dovuto tornare indietro», mormorò nuovamente, prima di perdere i sensi. *
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Aegis-fang non poteva tornare da Kierstaad perché aveva invece fatto ritorno fra le mani del suo legittimo proprietario, Wulfgar figlio di Beornegar, che stava seguendo gli eventi da dietro la parete di ghiaccio e che da sei lunghi anni era prigioniero di Errtu. Il contatto con l'arma trasformò Wulfgar e gli restituì in certa misura la sua identità che parve essergli resa insieme a quel familiare martello da guerra, forgiato per lui dal nano che lo amava come un figlio. In quel momento Wulfgar ricordò molte cose che per necessità era stato costretto a dimenticare in quegli anni di disperazione assoluta e per un momento fu quasi sopraffatto da quella marea di emozioni, ma non al punto da dimenticare le necessità più immediate. Invocando con voce ruggente Tempus, il suo dio, e assaporando il piacere di sentire di nuovo quel nome scaturire dalle proprie labbra, procedette ad abbattere la parete di ghiaccio con pochi possenti colpi di martello. *
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Avvertendo un richiamo nella propria mente, per un momento Regis credette che si trattasse del cristallo, e dopo essersi accertato che esso era del tutto isolato nel cofanetto suppose che a chiamarlo fosse invece il pendente con il rubino. Una volta constatato che anche quell'ipotesi era errata riuscì infine ad accertare la fonte di quel richiamo: l'anello che si era messo in tasca. Ti-
randolo fuori, lo fissò intensamente per un momento poi sollevò il braccio con l'intenzione di scagliarlo in mare nel timore che potesse essere un'altra manifestazione di Crenshinibon. In quel momento però riconobbe infine la voce fievole che gli echeggiava nella mente. «Stumpet?» esclamò, scrutando con curiosità le profondità della pietra mentre già cominciava a muoversi. Inginocchiatosi accanto a uno dei blocchi infranti precipitati dalla torre, l'halfling tirò fuori con determinazione la sua piccola mazza. *
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Il boato dei colpi inferti dal barbaro fece tremare tutta la grotta in maniera tale da indurre Errtu, improvvisamente teso, a guardarsi alle spalle, e Drizzt approfittò di quel momento di distrazione del balor per infliggergli un duro colpo. Saettando in avanti Lampo aprì uno squarcio nel polpaccio del demone e al tempo stesso Drizzt diresse più in alto l'altra lama, puntando all'inguine di Errtu; nel momento in cui la punta della scimitarra gli penetrò nella carne Errtu emise un violento ululato di dolore, poi Drizzt avvertì il familiare e benaccetto formicolio lungo il braccio quando la scimitarra cominciò a nutrirsi delle energie vitali del demone. Quella svolta favorevole nelle sorti dello scontro fu però momentanea perché subito Errtu allontanò da sé Drizzt con un colpo a mano aperta e scomparve per poi riapparire fra le gelide stalattiti che pendevano dal soffitto. «Alzati, Bruenor!» esclamò Drizzt. «Ci è stata concessa una tregua e presto Zaknafein sarà al nostro fianco!» Nel parlare il drow guardò verso il nano dalla barba rossa, che a furia di contorcersi era quasi riuscito a sgusciare fuori dalla fenditura, e al tempo stesso si rialzò in piedi, pronto a continuare la lotta. L'espressione che apparve sul volto di Bruenor quando il suo sguardo si diresse verso il lato opposto della grotta ebbe però l'effetto di sgomentarlo e lo indusse a girarsi a sua volta in direzione della parete di ghiaccio e del pianerottolo su cui si aspettava di vedere Zaknafein. Invece vide Wulfgar, con i capelli e la barba lunghi e arruffati, che levava in alto Aegis-fang nel lanciare un ruggito colmo di puro odio. «Il mio ragazzo», riuscì a stento a mormorare Bruenor, accasciandosi di
nuovo nella crepa. Errtu intanto si lanciò in picchiata sul barbaro con la frusta che crepitava e la spada che emanava scintille, e per poco non venne abbattuto a mezz'aria dall'impatto di Aegis-fang. Nonostante il colpo ricevuto, il demone continuò ad avanzare e avviluppò nella frusta le caviglie di Wulfgar, tirandolo giù con uno strattone dal pianerottolo per mandarlo a rimbalzare fra i cumuli di ghiaccio che costellavano il suolo pantanoso della grotta. «Wulfgar!» gridò Drizzt, sussultando nel vedere la rovinosa caduta del barbaro. Adesso, però, che era di nuovo fra amici e che stringeva in pugno il suo possente martello, ci sarebbe voluto molto più di una caduta per arrestare Wulfgar, che si rialzò di scatto con un urlo quasi animalesco e protese la mano a stringere Aegis-fang, lo splendido e possente Aegis-fang, che era già tornato a lui. Errtu si fece allora frenetico, deciso a schiacciare quella rinnovata resistenza e a distruggere tutti gli amici di Drizzt sotto i suoi occhi prima di uccidere anche lui. Sfere di oscurità apparvero nell'aria a oscurare la visuale di Wulfgar che stava tentando di scagliare ancora il martello, poi il demone fece crepitare la frusta e prese a saettare per tutta la grotta, a volte spostandosi rapidamente in volo e altre facendo appello alla magia per teletrasportarsi da un punto all'altro. Quella tattica creò il caos più assoluto e permise a Errtu di bloccare ogni tentativo da parte di Drizzt di raggiungere Bruenor, Wulfgar o anche lo stordito Kierstaad, scagliando ogni volta lontano il drow; per quanto riuscisse sempre a parare i colpi della spada di energia del demone, Drizzt continuò a incassare dolorose scariche elettriche; quando poi cercò di contrattaccare, scoprì che Errtu era già svanito e stava seminando devastazione in un altro punto della grotta a spese di un altro dei suoi amici. *
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Adesso Catti-brie non avvertiva più il freddo perché aveva oltrepassato la soglia delle sensazioni e stava sprofondando sempre più nell'oscurità, allontanandosi dal regno dei mortali. D'un tratto una mano decisa l'afferrò per una spalla, un contatto fisico che riportò i suoi sensi in sintonia con il suo corpo concreto, e un momento più tardi la ragazza si sentì issare fuori dall'acqua. Subito dopo un calore di natura magica prese a filtrarle nelle ossa e nella
carne, riportando la vita dove ormai quasi non ne restava più traccia. Quando finalmente riuscì ad aprire gli occhi, Catti-brie vide Stumpet Unghie-imbellettate che stava lavorando freneticamente su di lei, invocando gli dei dei nani perché infondessero nuova vita in quella donna che era come una figlia per tutto il Clan Battlehammer. *
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Lampo sfrigolava ogni volta che entrava in contatto con la possente spada di Errtu, i cui ruggiti esaltati si mescolavano alle invocazioni di Wulfgar al suo dio della guerra e alle grida di Bruenor, che ancora intrappolato e frenetico continuava a ripetere "il mio ragazzo" come una sorta di preghiera. In mezzo a quel caos, Drizzt lanciò un grido ai suoi amici nel tentativo di riportare una parvenza di ordine che permettesse loro di adottare una strategia comune in modo da riuscire infine a sconfiggere il malvagio Errtu, ma il demone era deciso a non permettere una cosa del genere e continuò ad alternare le discese in picchiata a improvvise sparizioni, colpendo rapido e violento per poi svanire. A volte il balor si limitava a rimanere sospeso in volo fra le stalattiti e a servirsi del proprio fuoco per far cadere sui tre compagni vere e proprie lance di ghiaccio che li costringevano a reagire freneticamente per spostarsi, mentre in altri momenti era costretto a discendere verso il terreno per impedire ai tre di ricongiungersi; nonostante gli sforzi del balor, tuttavia Drizzt si stava cocciutamente avvicinando sempre di più a Bruenor. Quando sceglieva di apparire in un determinato punto, il demone non poteva rimanere fermo o visibile per molto tempo perché anche se il pantano in cui era stato trasformato il suolo persisteva nel rallentare i movimenti del drow e il nano era ancora incastrato nell'angusta crepa, il prigioniero evaso e il suo potente martello erano pronti a intervenire e spesso Errtu riusciva a stento a scomparire un istante prima che Aegis-fang andasse a sbattere contro la parete a colpire il punto in cui lui si era trovato un momento prima. In questo modo Errtu stava mantenendo un certo vantaggio sugli avversari, ma costretto com'era a restare in continuo movimento non riusciva neppure a infliggere loro danni decisivi. Per gli amici era giunto il momento di vincere. Bruenor era quasi riuscito a emergere dalla fenditura, che gli bloccava ormai soltanto una gamba, quando Errtu si materializzò proprio alle sue
spalle. Accorgendosene Drizzt lanciò un grido di avvertimento in risposta al quale il nano agì sulla pura spinta dell'istinto e si gettò da un lato in modo da allontanarsi il più possibile dal balor, afferrandolo al tempo stesso per una gamba con una mossa che lo portò a procurarsi una brutta torsione al ginocchio. Subito la spada di Errtu calò in un fendente letale, e anche se adesso Bruenor gli era troppo vicino per poterlo colpire in modo grave ogni contatto con quella lama pervasa di energia gli faceva schioccare dolorosamente le giunture, soprattutto quella sforzata del ginocchio. Ignorando il dolore Bruenor cercò di stringere con tutte le sue forze, consapevole di non poter tenere fermo a lungo il balor ma sperando di trattenerlo quanto bastava perché i suoi amici potessero colpirlo; poi i capelli gli si strinarono e gli occhi presero a bruciargli quando il demone evocò il proprio fuoco, ma l'istante successivo il calore demoniaco scomparve e Bruenor comprese che Drizzt era riuscito ad avvicinarsi. La frusta di Errtu schioccò veloce per tenere a bada il drow e Drizzt ruotò su se stesso per schivare il colpo, scivolando su un ginocchio e poi incespicando nel tentare di rimettersi in piedi. Nel frattempo la frusta tornò a crepitare ma non riuscì comunque ad arrestare il volo di Aegis-fang, che raggiunse Errtu alla testa e lo mandò a sbattere contro la parete di ghiaccio, facendo crescere notevolmente il rispetto del demone nei confronti dell'uomo che era stato suo prigioniero. Infatti Errtu era già stato colpito una volta dal martello quando Kierstaad aveva fatto irruzione nella grotta e pensava quindi di conoscere la potenza di quell'arma; il primo impatto non lo aveva però preparato alla potenza che Wulfgar poteva dare ad Aegis-fang, e se il colpo inflitto da Kierstaad era stato per lui una semplice puntura insignificante questo secondo contatto con il martello da guerra ora brandito da Wulfgar gli causò invece danni dolorosi. Subito Drizzt cercò di sfruttare il successo di Wulfgar per attaccare, ma il balor sferrò un violento calcio con un piede strappando Bruenor dalla crepa e scaraventandolo a quattro metri di distanza sul pavimento della grotta, poi si servì della propria magia per svanire, mandando Drizzt ad arrestarsi scivolando contro una parete ormai vuota. «Stolti!» tuonò il balor, che si trovava ora davanti all'ingresso della grotta. «Recupererò il cristallo e vi raggiungerò prima che possiate allontanarvi da questo mare. Siete condannati, sappiatelo!» Drizzt si rialzò in piedi e Wulfgar cercò di prendere la mira per un ulti-
mo colpo mentre Bruenor lottava per risollevarsi barcollando, ma tutti e tre erano consapevoli che non sarebbero riusciti a raggiungere Errtu in tempo per fermarlo. Allora il demone volse loro le spalle e accennò a spiccare il volo, ma rimase paralizzato dallo stupore quando una saettante freccia argentea lo raggiunse in pieno volto, strappandogli un ululato di dolore. In quello stesso momento Wulfgar scagliò il martello, che si abbatté con forza sul demone con un rumore di ossa infrante e Catti-brie tirò ancora, mirando questa volta al petto del balor che, con un altro ululato, indietreggiò incespicando all'interno della grotta. Zoppicando, Bruenor prese ad avanzare verso di lui e afferrò al volo la propria ascia lanciatagli da Drizzt, invertendo la presa per aggiungere potenza al colpo e conficcando poi in profondità la lama nella schiena del demone. Errtu ululò ancora e Catti-brie mandò una terza freccia a raggiungere la precedente, trapassando ancora il petto dell'avversario. L'istante successivo Drizzt arrivò sul posto e sferrò un primo fendente con Lampo per poi conficcare in profondità l'altra lama nel fianco del demone, proprio sotto il braccio, quando esso cercò di sollevare a sua volta la spada per tenerlo a bada; Wulfgar intanto venne a raggiungere Bruenor, unendo l'attacco di Aegis-fang a quello della sua ascia e Catti-brie continuò a tenere bloccata l'uscita con un susseguirsi di frecce argentee. Mantenendo saldamente la presa sull'impugnatura, Drizzt lasciò che la scimitarra conficcata nel fianco del demone continuasse a trangugiarne l'energia vitale e al tempo stesso persistette nel martellare l'avversario con Lampo, causando ferite su ferite. Con un ultimo impeto di energia Errtu infine riuscì a girarsi, scrollandosi di dosso Bruenor e Wulfgar ma non Drizzt. Incontrando lo sguardo degli occhi violetti del drow Errtu comprese di essere sconfitto anche perché poteva sentire la propria forma corporea che cominciava a dissolversi, ma decise che questa volta avrebbe trascinato Drizzt Do'Urden con sé nell'Abisso. Levando alta la spada, il balor protese la mano libera a intercettare il nuovo attacco di Lampo, accettando quell'ulteriore ferita pur di allontanare l'arma dalla traiettoria della propria lama. Privo di difese, Drizzt lasciò andare la presa sull'altra scimitarra ancora conficcata nel corpo del demone e cercò di gettarsi all'indietro, ma ormai era troppo tardi perché la saetta modellata a formare una spada stava già calando rapida verso la sua testa.
D'un tratto una mano possente saettò davanti agli occhi inorriditi del drow e intercettò il polso del demone, arrestandone in qualche modo il movimento e riuscendo a tenere a bada il possente Errtu quando la sua lama grondante energia era ormai a pochi centimetri dal bersaglio. Lanciando un'occhiata di lato, Errtu vide accanto a sé Wulfgar, il possente Wulfgar, con i denti serrati e i muscoli che spiccavano come cavi d'acciaio per lo sforzo che stava sostenendo: la sua presa ferrea era resa ancor più tale da tutti gli anni di frustrazione e di sofferenza, da tutti gli orrori che il giovane barbaro aveva dovuto sopportare e che si erano ora trasformati in puro e semplice odio nei confronti del suo tormentatore. In teoria avrebbe dovuto essere impossibile per Wulfgar o per qualsiasi altro uomo avere la meglio su Errtu in un simile confronto di mera forza fisica, ma Wulfgar si rifiutò di accettare quella logica, quella verità, contrapponendo a essa una verità per lui assai più importante, la sua determinazione a non permettere a Errtu di fargli ancora del male o di allontanare Drizzt dal suo fianco. Incredulo, Errtu scosse il capo, rifiutandosi di credere a ciò che stava accadendo, che era peraltro estremamente reale. Wulfgar riuscì a trattenerlo per il tempo necessario e di lì a poco la forma del grande balor si dissolse in uno sbuffo di fumo accompagnato da un gemito di protesta. L'istante successivo i tre amici si strinsero in un abbraccio commosso, troppo sopraffatti dalla gioia per proferire parola o per fare altro se non piangere di gioia. 28 Wulfgar figlio di Beornegar Catti-brie vide Regis oltrepassare con passo incespicante il costone sulla sinistra dell'iceberg, poi vide Drizzt e Bruenor uscire dalla grotta sorreggendosi a vicenda, seguiti da Kierstaad che veniva trasportato a spalla da... Con i propri incantesimi di risanamento Stumpet aveva fatto molto per infondere nuove energie nella ragazza, quindi rimase sorpresa quando Catti-brie emise un grido soffocato e crollò d'un tratto in ginocchio. Per un momento la sacerdotessa dei nani scrutò con preoccupazione la sua paziente, poi seguì la direzione del suo sguardo fisso e comprese immediatamente che cosa aveva provocato quella reazione.
«Ehi», esclamò, grattandosi il mento ispido di barba, «ma quello è...» «Wulfgar», sussurrò Catti-brie. Nel raggiungere gli altri quattro al limitare dell'iceberg, Regis rimase altrettanto sconvolto nel rendersi conto dell'identità di colui che avevano salvato dalle grinfie di Errtu: con ripetuti strilli di gioia l'halfling si gettò fra le braccia del barbaro che, in equilibrio precario sul ghiaccio viscido e con il peso di Kierstaad che gli gravava sulla spalla, crollò all'indietro e per poco non sbatté la testa. Wulfgar però diede poco peso all'incidente perché adesso che Errtu e i suoi seguaci erano stati sconfitti era tempo di abbandonarsi alla gioia e ai festeggiamenti. O quasi. Poco lontano Drizzt stava cercando freneticamente lungo il tratto di spiaggia dell'iceberg antistante l'imboccatura della caverna, imprecando ripetutamente contro se stesso per aver perso la fiducia nelle proprie capacità e in quelle dei suoi amici. Dopo parecchie ricerche infruttuose il drow provò anche a interrogare Regis e perfino Catti-brie e Stumpet, ma nessuno di essi l'aveva vista: la statuetta che gli permetteva di evocare Guenhwyvar era scomparsa, inghiottita dalle nere acque del mare. Mentre Drizzt era concentrato sulle sue angosciose quanto frenetiche ricerche, Bruenor assunse il controllo della situazione e mise all'opera i suoi amici. La prima cosa da fare era trovare il modo di riportare fino a loro Stumpet e Catti-brie, una cosa a cui provvedere al più presto perché Drizzt, Bruenor e Wulfgar stavano congelando rapidamente e Kierstaad aveva bisogno di cure immediate da parte della sacerdotessa. Sulla piattaforma Stumpet estrasse dal proprio zaino un rampino di ferro e una spessa corda e con un lancio perfetto degno di un'esperta scalatrice quale lei era mandò il gancio a conficcarsi nell'iceberg a meno di tre metri di distanza dai suoi compagni. Subito Bruenor si affrettò a fissare la corda e provvide quindi ad aiutare Wulfgar che stava già tirando con tutte le sue forze per trascinare verso riva la piattaforma fluttuante, con lo sguardo fisso su Catti-brie che era il suo amore, la donna che tanti anni prima sarebbe dovuta diventare sua moglie. Drizzt invece risultò di ben poco aiuto; inginocchiato sull'orlo dell'iceberg, il drow aveva immerso entrambe le scimitarre nell'acqua per cercare di illuminarla ed era intento a scrutarne le profondità. «Ho bisogno di una protezione di qualche tipo in modo da poter scendere là sotto!» gridò a Stumpet, che stava a sua volta tirando l'altra estremità
della corda e stava al tempo stesso cercando di offrirgli qualche parola di conforto. Fermo accanto al drow, Regis scosse il capo con rassegnazione, sapendo che la tattica che Drizzt aveva in mente non poteva funzionare perché lui stesso aveva provato a immergere nell'acqua una corda gravata da un peso ed essa era discesa per almeno quindici metri senza incontrare il fondo; anche se Stumpet avesse operato un incantesimo per riscaldare Drizzt e permettergli di respirare sott'acqua lui non sarebbe comunque potuto rimanere a lungo a una simile profondità e in ogni caso non aveva nessuna speranza di poter ritrovare la statuetta in quell'acqua così cupa. Finalmente la piattaforma si ricongiunse all'iceberg e Catti-brie scambiò un rapido abbraccio con Bruenor sulla riva per poi fronteggiare Wulfgar con un senso di disagio da parte di entrambi, mentre Stumpet si affrettava a mettersi all'opera per aiutare Kierstaad. Wulfgar aveva un aspetto patito e malconcio, con i capelli arruffati che sporgevano in ogni direzione, la barba che gli arrivava al petto e gli occhi permeati da un'espressione angosciata; per quanto ancora alto e massiccio, con muscoli possenti e ben modellati, in lui c'era una sorta di rilassatezza degli arti che derivava più da una perdita subita dal suo spirito che da patimenti fisici, ma era pur sempre Wulfgar e in quel momento a Catti-brie le cicatrici che la prigionia nelle mani di Errtu poteva aver lasciato su di lui parvero del tutto irrilevanti. Con il cuore che gli martellava nel petto muscoloso, Wulfgar la stava fissando a sua volta, pensando che lei non appariva cambiata. Forse era un po' meno snella di un tempo, ma i suoi occhi azzurri continuavano a possedere quella scintilla che parlava di amore per la vita e per l'avventura, che tradiva uno spirito che non poteva essere domato... «Credevo che tu...» cominciò Catti-brie, poi s'interruppe e trasse un profondo respiro prima di aggiungere: «Non ti ho mai dimenticato». Prendendola fra le braccia Wulfgar la strinse a sé e cercò di parlarle, di spiegarle che era stato soltanto pensando a lei che era riuscito a rimanere vivo in quel periodo di prove intollerabili, però non fu in grado di trovare le parole, neppure una, quindi si limitò a tenerla stretta mentre entrambi davano libero sfogo alle lacrime. Quello fu un momento di profonda gioia per Bruenor, per Regis, per Stumpet e anche per Drizzt, che però non riuscì a goderselo adeguatamente perché non poteva dimenticare che Guenhwyvar era ormai perduta per lui, una perdita dolorosa quanto lo era stata quella di suo padre o di Wulfgar.
Guenhwyvar era stata la sua fedele compagna per tanti anni, spesso la sua unica compagna e l'unica vera amica. E non aveva neppure potuto dirle addio. Alla fine fu Kierstaad, emerso dal suo stato di stordimento grazie alla magia risanante di Stumpet, a infrangere l'incantesimo in cui tutti parevano essere caduti. Il giovane barbaro comprese subito la situazione precaria in cui tutti si trovavano, soprattutto in considerazione del fatto che il cielo si stava facendo denso di umidità e che la breve giornata nordica stava volgendo al termine. Lassù l'aria era più fredda di quanto lo fosse sulla tundra, molto più fredda, e loro avevano a disposizione ben pochi materiali con cui accendere e mantenere un fuoco. Kierstaad conosceva però un modo diverso per costruire un rifugio. Ancora disteso al suolo si sollevò sui gomiti e assunse il comando del gruppo, procedendo a dirigere gli altri. Servendosi di Khazid'hea, Catti-brie si diede a tagliare blocchi di ghiaccio e gli altri li ammucchiarono secondo le istruzioni del giovane barbaro fino a creare una struttura a cupola, una vera e propria capanna di ghiaccio. Il lavoro di costruzione finì appena in tempo in quanto la sacerdotessa dei nani cominciava a essere a corto d'incantesimi e di energie e il freddo stava aggredendo di nuovo i compagni, che si erano appena messi al riparo quando dal cielo si riversò su di loro una tempesta di grandine che ben presto si mutò in una bufera di neve. All'interno della capanna, i compagni erano però ormai al caldo e al sicuro. Tutti tranne Drizzt che, privato di Guenhwyvar, aveva la sensazione che non sarebbe mai più riuscito a riscaldarsi. *
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L'alba successiva sorse opaca e grigia, ancora più fredda della precedente notte gelida. La cosa peggiore per i compagni fu però scoprire di essere bloccati dove si trovavano perché nel corso della notte il vento aveva spostato i blocchi di ghiaccio che davano a quel mare il suo nome e adesso il loro iceberg era troppo lontano da qualsiasi altro per permettere loro di abbandonarlo. Sentendosi ora molto meglio, Kierstaad si arrampicò sulla sommità del cono di ghiaccio e si portò alle labbra il corno da caccia, traendone una nota prolungata e selvaggia che però ebbe come unica risposta gli echi
desolati provenienti dalle numerose montagne di ghiaccio che costellavano la piatta distesa del mare. Drizzt trascorse la mattinata in preghiera, invocando Mielikki e Gwaeron Vento di Tempesta perché lo guidassero e chiedendo che gli restituissero la pantera, la sua preziosa amica. Il drow avrebbe voluto vedere Guenhwyvar emergere dal mare e gettarsi fra le sue braccia, e pregò per questo pur sapendo che una cosa del genere non avrebbe mai potuto verificarsi. D'un tratto fu assalito da un'idea. Senza neppure chiedersi se era stata ispirata dagli dei o generata dal suo cervello febbrile, procedette a interpellare Regis, che sapeva intagliare tanti meravigliosi oggetti nelle ossa delle trote e che aveva creato l'unicorno che lui portava al collo. Subito l'halfling tagliò un pezzo di ghiaccio delle giuste dimensioni e si mise all'opera mentre Drizzt si recava sul lato posteriore dell'iceberg, il più lontano possibile dagli altri, e cominciava a lanciare il suo richiamo. Due ore più tardi il drow tornò indietro accompagnato da una giovane foca che gli saltellava accanto. Come guardaboschi, Drizzt conosceva gli animali, sapeva come comunicare con loro in termini rudimentali e quali movimenti potevano spaventarli o infondere loro sicurezza; nel ricongiungersi agli altri il drow notò con soddisfazione che grazie a un arco e a una rete improvvisata Catti-brie e Bruenor erano riusciti a catturare alcuni pesci, e ne prese subito uno che gettò alla foca. «Ehi!» ululò Bruenor, in tono di protesta, poi però s'illuminò in viso e si sfregò le mani, convinto di aver capito le intenzioni del drow, mentre aggiungeva: «Sì, in effetti bisogna ingrassarla un poco». L'espressione aggrondata di Drizzt, la più seria che lui avesse mai visto sul suo volto, fece dissolvere subito quell'ipotesi dalla mente del nano. Avvicinatosi a Regis, Drizzt procedette quindi a esaminare il frutto del suo lavoro e rimase al tempo stesso stupefatto e soddisfatto nel vedere che l'halfling aveva creato da un insignificante blocco di ghiaccio una copia esatta per forma e dimensioni della statuetta perduta. «Se avessi avuto a disposizione più tempo...», cominciò a scusarsi Regis, ma Drizzt fu pronto a interromperlo con un cenno della mano perché a suo parere il risultato ottenuto era più che sufficiente. Ben presto cominciarono ad addestrare la foca, con Drizzt che gettava in acqua la statuetta di ghiaccio gridando "Guen!" e Regis che si precipitava sul bordo dell'iceberg per recuperarla con la stessa rete che Bruenor aveva impiegato per pescare; ogni volta che l'halfling gli restituiva la rete conte-
nente la statuetta, Drizzt lo ricompensava con un pesce, una manovra che ripeterono parecchie volte fino a quando Drizzt sì decise a far prendere in bocca la rete alla foca e a gettare la statuetta in acqua. «Guen!» gridò. Immediatamente l'intelligente creatura sbuffò e si lanciò in mare, recuperando la scultura creata dall'halfling, e Drizzt si girò a guardare verso i suoi amici con un sorriso pieno di speranza nel gettare un pesce alla foca che lo attendeva avidamente. Quella procedura venne ripetuta per oltre venti minuti, ogni lancio più lontano del successivo, e ogni volta la foca recuperò immancabilmente la statuetta ottenendo come compenso una quantità di lodi entusiastiche e, soprattutto, un pesce. Poi giunse il momento di fare una pausa perché la foca era stanca e non aveva più fame, e le ore che seguirono furono decisamente interminabili per il povero Drizzt, che le trascorse seduto nella capanna di ghiaccio insieme ai suoi amici, ascoltando gli altri parlare soprattutto con Wulfgar nel tentativo di aiutarlo a reinserirsi nel mondo dei viventi perché era dolorosamente evidente per tutti, e soprattutto per lo stesso Wulfgar, che lui aveva davanti a sé una lunga strada da percorrere prima di tornare a essere se stesso. Durante quel lungo periodo di attesa, a tratti Kierstaad uscì sull'iceberg per suonare il corno, sempre più preoccupato per il fatto che il blocco di ghiaccio su cui si trovavano continuava ad allontanarsi dagli altri e dalla riva senza che paresse esserci il modo di tornare verso di essa e verso casa. Potevano nutrirsi con il pesce che pescavano, gli incantesimi di Stumpet e la capanna di ghiaccio li tenevano al caldo ma il Mare del Ghiaccio Mobile non era certo il luogo ideale in cui trascorrere il lungo inverno della Valle del Vento Ghiacciato. Kierstaad sapeva che prima o poi una vera bufera invernale si sarebbe abbattuta su di loro e avrebbe seppellito la capanna sotto la neve mentre loro dormivano oppure un famelico orso bianco sarebbe venuto fino a loro in cerca di cibo. Nel pomeriggio Drizzt si rimise al lavoro con la foca, arrivando al punto di fare in modo che Regis la distraesse mentre lui smuoveva l'acqua e faceva finta di gettare la statuetta. Subito la foca si gettò in mare con entusiasmo ma di lì a poco risalì sulla piattaforma di ghiaccio senza la statua e con sonore proteste. Drizzt rifiutò di darle qualsiasi ricompensa. Quella notte Drizzt tenne la foca accanto a sé nella capanna di ghiaccio e
ve la trattenne anche per la maggior parte della mattina successiva perché aveva bisogno che fosse affamata, molto affamata in quanto era consapevole che il tempo a loro disposizione stava per esaurirsi e poteva solo sperare che l'iceberg non si fosse allontanato già troppo dal punto in cui si trovava la statuetta. Dopo un paio di lanci il drow tornò a distrarre la foca in modo da mandarla a caccia di una preda inesistente; quando poi la frustrazione dell'animale parve raggiungere il culmine Drizzt lasciò scivolare senza parere la statuetta di ghiaccio nell'acqua. Avvistandola immediatamente, la foca si gettò prontamente in mare, la riportò a riva e ottenne la sua ricompensa. «Il guaio è che la copia non affonda», osservò allora Regis, intuendo la natura del problema. «Dobbiamo abituare la foca a cercarla in profondità». Seguendo quella logica, lui e Drizzt appesantirono la statuetta con il rampino di Stumpet, che Wulfgar non ebbe difficoltà a piegare intorno a essa, e nei due lanci successivi Drizzt badò ad accertarsi che la foca seguisse con lo sguardo la traiettoria dell'oggetto. L'intelligente animale reagì peraltro alla perfezione, scivolando sotto l'acqua scura e scomparendo alla vista per poi tornare ogni volta con la statuetta nella rete. A quel punto Drizzt ricorse di nuovo all'espediente di far distrarre la foca e di agitare l'acqua senza gettarvi dentro nulla, poi tutti attesero con il fiato sospeso mentre il loro segugio improvvisato si gettava in mare. Di lì a poco la foca riaffiorò a molti metri di distanza dall'iceberg, latrò una volta in direzione di Drizzt poi tornò a immergersi, ripetendo molte volte quella procedura per poi riemergere finalmente per l'ultima volta accanto all'iceberg e saltare gioiosamente accanto al drow, fiera di aver portato a termine la sua missione. Nella rete c'era la statuetta di Guenhwyvar. Gli amici lanciarono un grido di gioia e Kierstaad suonò con vigore il corno, ottenendo questa volta una risposta che non era costituita soltanto da vani echi. Per un momento Kierstaad fissò con aria speranzosa gli altri, poi soffiò ancora nel corno. Di lì a poco sul mare nebbioso apparve una singola imbarcazione, con Berkthgar alto e imponente in piedi a poppa e una schiera di nani e di barbari che manovrava i remi con tutte le sue forze. Kierstaad lanciò un terzo squillo di risposta, poi porse il corno a Wulfgar che ne trasse la nota più forte e limpida che si fosse mai sentita nella Valle del Vento Ghiacciato.
Da oltre la distesa di acqua scura Berkthgar appuntò su di lui lo sguardo incredulo, imitato da Revjak, e quello fu per tutti un momento di confusione e di gioia, perfino per l'orgoglioso Berkthgar. *
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La notte successiva al loro ritorno nelle miniere dei nani, Drizzt si ritirò nella propria camera in preda a molte emozioni contrastanti. Da un lato era felice, anzi entusiasta, di avere di nuovo Wulfgar accanto e di essere emerso da uno scontro contro tanti possenti nemici avendo ancora con sé sani e salvi tutti i suoi amici che, compresa Guenhwyvar, erano praticamente illesi, ma d'altro canto non poteva fare a meno di pensare a suo padre. Per mesi aveva seguito quella linea d'azione convinto che lo avrebbe portato fino a Zaknafein e si era costruito l'illusione di poter tornare a stare con suo padre, il suo mentore e, anche se non provava il minimo risentimento per il fatto che il prigioniero di Errtu era risultato essere Wulfgar e non Zaknafein, faticava ora a dissipare quelle illusioni e a liberarsene. Andò quindi a dormire in uno stato d'animo turbato e nel sonno fece un sogno particolare. D'un tratto una spettrale presenza apparsa nella sua stanza lo strappò al sonno e lui accennò a protendersi verso le scimitarre soltanto per arrestarsi bruscamente a metà del gesto e ricadere all'indietro sul letto nel riconoscere lo spirito di Zaknafein. «Figlio mio», lo salutò lo spettro, sfoggiando il caloroso sorriso di un padre orgoglioso e di un'anima appagata. «Io sto bene, meglio di quanto tu possa immaginare». Drizzt non riuscì a trovare le parole per rispondere, ma la sua espressione fu sufficiente a rivelare tutte le domande che gli si agitavano nel cuore. «Un vecchio prete mi ha chiamato e ha detto che avevi bisogno di ricevere mie notizie», spiegò Zaknafein. «Vivi serenamente, figlio mio, resta vicino ai tuoi amici, custodisci i tuoi ricordi e sappi nel profondo del tuo cuore che ci incontreremo ancora». Con quelle parole lo spettro svanì. Il mattino successivo Drizzt constatò di ricordare ogni cosa nei particolari e si sentì effettivamente confortato anche se logicamente cercò di convincersi che era stato soltanto un sogno fino a quando non si rese conto che il vecchio prete nominato da Zaknafein doveva essere Cadderly. Dentro di sé Drizzt aveva già deciso di far ritorno a primavera al Fre-
mente Mistero per consegnare il cristallo, al sicuro dentro il cofanetto, come aveva promesso di fare, e ne avrebbe approfittato per ringraziare l'anziano prete. Con il trascorrere dei giorni il ricordo dell'incontro con lo spettro non accennò ad attenuarsi e in esso Drizzt trovò finalmente un vero senso di pace perché giunse infine a convincersi davvero che non era stato un sogno. *
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«Mi hanno offerto il comando della tribù», confidò Wulfgar a Drizzt in una tersa e fredda mattina d'inverno, mentre sostavano davanti alle miniere dei nani, due mesi dopo il loro ritorno dal Mare del Ghiaccio Mobile. Drizzt rifletté su quella notizia non del tutto inattesa e sulle migliorate condizioni del suo ritrovato amico ma poi scosse il capo nel constatare che Wulfgar non si era ancora ripreso del tutto e non avrebbe quindi dovuto addossarsi il fardello di una simile responsabilità. «Ho rifiutato», aggiunse Wulfgar. «Non è ancora il momento», commentò Drizzt, con l'intento di confortarlo. «Non lo sarà mai», lo corresse Wulfgar, contemplando il cielo che aveva lo stesso azzurro dei suoi occhi e che stava splendendo di nuovo sopra di lui dopo sei anni di oscurità. «Quello non è il mio posto». Drizzt non si sentì di convenire con quell'affermazione e si chiese quanta parte del rifiuto di Wulfgar fosse dovuto all'enorme opera di riadattamento che il barbaro stava cercando di portare a compimento. Anche le cose più semplici della vita sembravano poco familiari per il povero Wulfgar, che si mostrava goffo con tutti e in particolare con Catti-brie anche se Bruenor e Drizzt non nutrivano dubbi sul fatto che la fiamma dell'amore si stesse riaccendendo fra loro. «Provvederò però a guidare Berkthgar», proseguì Wulfgar, «e non intendo accettare ostilità di sorta fra il suo popolo, il mio popolo, e gli altri abitanti della Valle del Vento Ghiacciato. Abbiamo già fin troppi effettivi nemici senza dovercene creare altri!» Su quel punto Drizzt non trovò nulla da obiettare. «Tu l'ami?» domandò d'un tratto Wulfgar, cogliendolo alla sprovvista. «È ovvio che le voglia bene», rispose con assoluta sincerità Drizzt, «come ne voglio a te, a Bruenor e a Regis».
«Io non interferirei...»accennò a dire Wulfgar, ma venne interrotto da una risatina soffocata di Drizzt. «La scelta non spetta né a me né a te», affermò quindi il drow, «ma soltanto a Catti-brie. Ricorda ciò che avevi, amico mio, e ricorda ciò che per stoltezza hai rischiato di perdere». Wulfgar fissò a lungo e intensamente il suo caro amico, deciso a seguire quel saggio consiglio. La vita di Catti-brie era soltanto sua e spettava a lei decidere chi amare o non amare, e quale che fosse stata la sua scelta Wulfgar si sarebbe comunque trovato sempre fra amici. L'inverno sarebbe stato lungo, freddo, nevoso e misericordiosamente tranquillo e, anche se le cose non avrebbero più potuto essere le stesse fra quegli amici dopo tutto ciò che avevano superato, almeno sarebbero stati di nuovo insieme, nel cuore e nell'anima, e che nessuno, uomo o demone, cercasse di separarli ancora. *
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Era una perfetta notte di primavera nella Valle del Vento Ghiacciato, non troppo fredda ma con un alito di brezza sufficiente a far formicolare la pelle, le stelle scintillavano lucenti e numerose nel cielo tanto scuro da rendere impossibile determinare dove esso finisse e cominciasse la tundra. Questo però non importava a Drizzt, a Bruenor o a Regis e neppure all'altrettanto appagata e serena Guenhwyvar che si stava aggirando fra le rocce più basse della Salita di Bruenor. «Sono di nuovo amici», spiegò Bruenor. parlando di Catti-brie e di Wulfgar. «Adesso lui le dà più ascolto e lei lo sta aiutando a tornare se stesso». «Non si possono dimenticare in breve tempo sei anni nelle mani di un essere come Errtu», osservò Regis. Drizzt sorrise, pensando che i suoi amici avevano trovato di nuovo il loro posto gli uni accanto agli altri, una riflessione che naturalmente lo portò a chiedersi quale fosse il "suo" posto. «Credo che andrò a raggiungere Deudermont a Luskan», disse d'un tratto, inaspettatamente. «E se non è là, di certo lo troverò a Waterdeep». «Dannato elfo, da cosa stai fuggendo, questa volta?» chiese subito il nano. Drizzt si girò a fissarlo e scoppiò in una risata. «Non sto fuggendo da nulla, buon nano», rispose, «ma sono solito mantenere la parola data e per il bene di tutti intendo consegnare il cristallo a
Cadderly, al Fremente Mistero nella lontana Carradoon». «La mia ragazza mi ha detto che quel posto si trova a sud di Sundabar», protestò il nano, convinto di aver colto il drow a mentire. «Non puoi arrivare fin là navigando!» «È a sud di Sundabar», convenne Drizzt, «ma è più vicino alle Porte di Baldur di quanto lo sia a Waterdeep. Il Folletto del Mare è una nave veloce e Deudermont potrà permettermi di arrivare molto più vicino a Cadderly». Di fronte alla logica di quel ragionamento Bruenor non seppe cosa ribattere. «Dannato elfo», borbottò di nuovo. «Non ho molta voglia di salire ancora su una maledetta barca, ma se proprio dobbiamo...» «Vuoi venire anche tu?» esclamò Drizzt, fissandolo con espressione intenta. «Credi forse che rimarremmo qui?» replicò Regis, e quando Drizzt spostò su di lui il proprio sguardo stupito si affrettò a ricordargli che era stato lui a catturare Crenshinibon. «È ovvio che vogliano venire con te, come faremo anche noi», intervenne una voce familiare che scaturiva dal buio, poi Catti-brie e Wulfgar finirono di risalire l'erto sentiero e vennero a unirsi agli altri. Drizzt lasciò vagare lo sguardo su tutti loro, scrutandoli uno per uno, poi si volse a contemplare le stelle. «Per tutta la vita ho cercato una casa», affermò in tono sommesso. «Per tutta la vita ho sempre voluto più di quanto mi veniva offerto, più di Menzoberranzan, più degli amici che avevo accanto e che mi aiutavano senza nessun vantaggio personale. Ho sempre creduto che la casa fosse un luogo e in effetti lo è anche se non nel senso fisico del termine. È un luogo che si trova qui dentro», aggiunse, posandosi una mano sul cuore nel tornare a girarsi verso i suoi compagni. «È la sensazione che ti viene data da veri amici. Adesso però lo so, e so di essere a casa». «Ma stai per partire per Carradoon», fu pronta a obiettare Catti-brie. «Come faremo anche noi!» tuonò Bruenor. Drizzt sorrise ancora, poi scoppiò a ridere. «Se le circostanze non mi permettono di rimanere a casa», dichiarò con fermezza, «vuol dire che porterò la mia casa con me!» Da un punto non lontano giunse nel buio il ruggito di Guwenhwyvar. Con l'alba successiva si sarebbero messi in cammino, tutti e sei.
FINE