ALDO TOLLINI
KANJI
ELEMENTI DI LINGUISTICA DEGLI IDEOGRAMMI GIAPPONESI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
1992
A Paol...
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ALDO TOLLINI
KANJI
ELEMENTI DI LINGUISTICA DEGLI IDEOGRAMMI GIAPPONESI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
1992
A Paolo Beonio Brocchieri maestro e amico
INDICE
PREMESSA METODOLOGICA UNA QUESTIONA TERMINOLOGICA
1 IL MONDO DEGLI IDEOGRAMMI 1.0 Generalità……………………………………....pag. 12 1.1 Le origini della scrittura ideografica…………..pag. 15 1.2 Gli stili………………………………………….pag. 17 1.3 Ideogrammi e lingua cinese…………………… pag. 18 1.4 Introduzione degli ideogrammi in Giappone …..pag. 20 1.5 Ideogrammi cinesi e lingua giapponese…... .. pag. 21 1.6 I kana………………………………………….. pag. 20 1.7 Ideogrammi giapponesi attuali ………………...pag. 24 1.8 Le parole nuove ………………………………..pag. 27 1.9 Perché gli ideogrammi…………………………pag. 33 1.10 Il trattamento informatico degli ideogrammi…pag. 36 1.11 Eliminazione degli ideogrammi…………….…pag. 40
2. LA LINGUISTICA DEGLI IDEOGRAMMI 2.1 Appunti per una semiotica degli ideogrammi
2.1.0 Premessa ………………………………………pag. 49 2.1.1 Le principali teorie correnti …………………...pag. 53 2.1.2 L'approccio semiotico …………………………pag. 57 2.1.3 I processi di riconoscimento …………………..pag. 69 2.2 La forma ………………………………………...pag. 72 2.3 La pronuncia……………………………………pag.
2.3.1 I singoli kanji …………………………………pag. 86 2.3.2 I composti ……………………………………..pag. 93 2.3.3 Considerazioni finali ………………………….pag. 97 2.4 Il significato 2.4.1 Ideogrammi e iconicità ………………………..pag. 99 2.4.2 Gli ideogrammi tra analogico e digitale.….......pag. 103 2.4.3 Gli ideogrammi e la doppia articolazione..…....pag. 112 2.5 Il campo semantico..........................……….......pag. 115 2.6 I composti 2.6.0 Generalità................................………………....pag. 120 2.6.1 Tipologia dei composti a due elementi......…......pag. 121
3 IDEOGRAMMI E PROCESSI MENTALI 3.1 Consederazioni generali.................………….......pag. 126 3.2 Ideogrammi e iconicità..................…………........pag. 131 3.3 Il riconoscimento semantico.........……….............pag. 139 3.4 Il ruolo degli emisferi cerebrali....……….............pag. 157 4 LA CIVILTA' DEGLI IDEOGRAMMI 4.1 Esempio di formazione degli ideogrammi......pag. 160 4.1.1 Il kanji di base......................……………...........pag. 161 4.1.2 I composti.............................……………...........pag. 162 4.1.3 Ideogrammi e cultura..........………....................pag. 170 4.2 Uso del dizionario degli ideogrammi..............pag. 174 Bibliografia..........................…………………...........pag. 182
PREMESSA METODOLOGICA
“ .. percioché più chiaro è lo scrivere che il parlare. A questa equivocatione di parole sovvengono loro [i cinesi] con cinque accenti assai sottili con i quali diversificano quasi ogni parola o lettera, a tal che una sola sillaba nostra, pronunciata in cinque modi, significa cinque cose in sè diversissime. Questo mi pare, fu la causa che dal tempo antico questa natione fece molto più caso del bene scrivere che del bene parlare, e tutta la loro rettorica et eloquentia consista nella compositione, come quella di Isocrate; et il trattare tra loro imbasciate, tutto e con la penna, ancorche stiano nella stessa città.” (Matteo Ricci, Fonti Ricciane, p.37)
Per l’Occidentale il sistema di scrittura ideografico è un fenomeno che normalmente si pone al di là del proprio orizzonte culturale. Nato in una dimensione culturale diversa, l’Occidentale stenta a capire le ragioni che hanno indotto gli antichi cinesi a escogitare uno strumento culturale tanto sofisticato quanto complesso. E se le stravaganze di un lontano passato possono essere accettate in quanto appartenenti ad un mondo mitico, la persistenza odierna sugli stessi modelli ha, per chi non ne senta l’eredita culturale, l’aspetto dell’incredibile: del mantenersi fedeli all’antico in un mondo che si muove a
velocità incontrollabile verso l’innovazione, passando attraverso la semplificazione e la razionalizzazione dei propri strumenti. I quali, d’altra parte, solo a queste condizioni, sembra che possano diventare efficaci mezzi di progresso. Per queste ragioni, l’Occidente tende spesso a vedere nel sistema ideografico un complesso di contraddizioni che ostacolano, o nel migliore dei casi che non facilitano nè la modernizzazione nè i rapporti tra Occidente e Oriente.
* * *
Lo studio degli ideogrammi in Giappone è tradizionalmente rivolto in due direzioni: 1) la paleografia, cioè la decifrazione di caratteri antichi e oscuri; 2) la tassonomia, ossia la classificazione dei segni. Il primo è uno studio di tipo diacronico con intenti interpretativi e di ricostruzione, mentre il secondo di tipo sincronico si dedica principalmente a scopi catalogatori, compilativi, ortografici e ortofonici. Mentre il primo ha carattere filologico, il secondo si propone di standardizzare il complesso sistema di scrittura giapponese, creando liste di kanji d’uso accettato e comune, di codificare le relazioni tra il sistema ideografico e quello fonetico e tra questi e la loro realizzazione orale, ecc. Più di recente sono apparsi, ma ancora in numero limitato, studi di tipo strutturale che si occupano più propriamente del segno e degli elementi che lo compongono. Questo tipo di approccio ha aperto prospettive nuove nel campo dello studio degli ideogrammi ed è risultato di particolare utilità nel campo della scrittura elettronica dei segni ideografici. Quest’ultima area di studio sta conoscendo in anni recenti un successo notevole e già si contano parecchi studi di alto livello. Un’altra area di indagine è quella di derivazione neuro e psicolinguistica che si interessa dei processi mentali che conducono al riconoscimento dei caratteri soprattutto mettendo a contrasto la modalità alfabetica e quella ideografica. A questo campo di studi appartengono le teorie sulle diverse funzioni dei due emisferi cerebrali. Quest'area ha un'approccio prevalentemente sperimentale. In questo lavoro ho mantenuto la tradizionale divisione nelle tre aree fondamentali nello studio degli ideogrammi: la forma, il suono e il significato. Questi tre elementi sono anche da sempre considerati i tre costituenti degli ideogrammi, la mancanza di uno di essi
rende il segno di altro tipo che ideografico. La forma è la forma grafica o realizzazione grafica (R.G.) , il suono è la forma orale o realizzazione orale (R.O.), il significato è il valore semantico del segno. Il motivo di questa scelta deriva dal fatto che questo lavoro intende essere uno studio di base del sistema ideografico e pertanto non può esimersi dal presentare le nozioni fondamentali ormai consolidate nel filone di studi tradizionali. A questa parte ho aggiunto un capitolo che tratta i segni ideografici dal punto di vista delle teorie della semiotica. Mi è sembrato, infatti, indispensabile chiarire preliminarmente quale sia la natura dell’ideogramma al fine di porre le basi di una discussione pertinente. Un’altra parte fondamentale è quella di carattere storico che inquadra il processo di nascita, sviluppo e introduzione in Giappone del sistema ideografico cinese. Un capitolo è dedicato all'approccio neurolinguistico. Esso vuole presentare, in sunto, le principali tendenze della disciplina nei confronti degli ideogrammi.
NOTE E ABBREVIAZIONI:
R.O.= Realizzazione Orale. La forma orale di un segno, la sua ‘lettura’. R.G.= Realizzazione Grafiche. La forma grafica di un segno, la sua ‘scrittura’. f.o.:forma orale f.g.:forma grafica alfabeto = si intende per semplicità l’alfabeto latino e le sue varianti. ideogramma = segno ideografico in generale. kanji 漢字 = segno ideografico giapponese. kana 仮名 = il sistema fonetico sillabico di scrittura giapponese composto di due sottosistemi paralleli: hiragana 平仮名 e katakana 片仮名. ON 音: lettura di origine cinese di un kanji. kun 訓: resa di un kanji con un vocabolo di origine giapponese.
LETTURA DELLA TRASLITTERAZIONE GIAPPONESE (Rômaji): Viene utilizzato il sistema Hepburn che prevede in linea di massima la lettura delle vocali all'italiana e le consonanti all'inglese. Si noti però, che in giapponese esistono le vocali lunghe per il fonema /o/ scritto /ô/, per /u/ scritto /û/ e per /e/, scritto /ei/. In rari casi si trova anche il corrispondente lungo per /a/ scritto /â/ e per/i/ scritto /ii/. Tra le consonanti e i gruppi consonantici letti all’inglese, il lettore italiano faccia particolarmente attenzione a: ch - come in italiano cena. g - sempre dura come in gallo. h - sempre aspirata. j - sempre come in gennaio. s - sempre sorda come in lusso.
sh - come in scioperò. w - letta u. y - letta i. z - dolce come in mezzo. ts aspra come in mazzo. Inoltre, i fonemi /i/ e /u/ sono resi semimuti quando si trovano tra fonemi sordi o tra uno sordo e un valore zero, cioè in fine parola. Il sistema fonetico giapponese prevede la sequenza “consonante + vocale”. L’unica eccezione è la /n/ che forma sillaba a sè. Pertanto è scorretto trascrivere ad esempio shimbun come spesso si trova scritto. La grafia corretta è shinbun. Quando vi sia possibilità di equivoco nella suddivisione delle sillabe si è ricorso all’apostrofo come nel caso di kai’i, per evidenziare che si tratta di una parola di due sillabe, composta di due kanji.
I brani giapponesi sono stati tradotti dall’autore.
UNA QUESTIONE TERMINOLOGICA
Il primo problema da affrontare nei riguardi degli ideogrammi è il loro nome. Il termine “ideogramma” non è, infatti, del tutto felice. Esso è composto da ideo e gramma: il primo che sta per idea, il secondo, derivato dal greco graphein, vale scrittura. Insomma il tutto corrisponde a “scrittura che rappresenta idee”. Ideogramma e i suoi composti (come ideografico, ecc.) sono una interpretazione alquanto semplicistica del fatto linguistico che rappresentano non tenendo conto delle varietà tipologiche e trattano tutti i caratteri di origine cinese come uno stesso tipo di segno. In realtà si vedrà più avanti nel corso della trattazione, che esistono sei tipi di caratteri, ciascuno con le proprie peculiarità semiotiche. Ecco perché un termine come “ideogramma” che vuole con due parole spiegare l'intero mondo dei caratteri cinesi lascia alla fine insoddisfatti. Soprattutto perché la gran parte di essi appartine a quel gruppo detto in giapponese keisei moji in cui una parte è di origine fonetica, l’altra semantica. A maggior ragione si può essere perplessi se si pensa che molto spesso la parte fonetica (ma anche quella semantica) con l’andare del tempo e le inevitabili trasformazioni della lingua è andata perdendo i suoi riferimenti originari. Il termine “logogramma” è insoddisfaciente per altri motivi. Composto di logos e gramma indica un segno che sta per un'intera parola. Non si interessa della natura del segno, se esso sia pittografico o arbitrario, o altro. Essendo sufficientemente generico può adattarsi bene a quei casi in cui un solo segno stia per un’intera parola. Si capisce che questo è il caso dei caratteri cinesi quando essi servono a scrivere la lingua cinese. Siccome i suoi elementi sono monosillabici e invariabili, un segno può, come in effetti succede, coprire l’intero valore semantico e anche fonetico del lessema. In giapponese possono essere considerati logogrammi solo i kango 漢語, le parole di origine cinese, lette alla cinese, invariabili e scritte solo in kanji. Tuttavia, nel giapponese, oltre ai kango vi sono anche i wago 和語, parole di origine autoctona, lette secondo la lettura giapponese che pur scritte in kanji (o solo in kana) possono necessitàre di caratteri ausiliari fonetici a completamento. Il segno, allora copre solo una parte della parola e non può essere detto “logogramma”. Il termine “pittogramma” si adatta, invece, ancora bene ai caratteri originari, quelli creati per primi e dai quali molti altri sono derivati. Essi mantengono un valore iconico molto elevato e un riferimento diretto nei confronti del referente, o della sua immagine mentale. I Giapponesi chiamano i segni ideografici kanji che significa caratteri (ji 字) cinesi (Kan 漢, cinese Han, nome di una dinastia cinese; il termine è poi passato ad indicare la Cina). Questo termine, che non ha intenzioni definitorie, ma solo funzionali potrebbe essere il più adatto non
foss’altro perché lascia ogni spazio possibile all’interpretazione. Purtroppo non è un termine entrato nell’ambito delle conoscenze generali degli Occidentali e quindi suonerebbe strano o comunque sconosciuto. Inoltre, esso si riferisce solo agli ideogrammi giapponesi. Il suo corrispondente italiano “caratteri cinesi” è un po’ troppo ingombrante e manca del corrispondente aggettivale: risulta perciò di difficile uso. In definitiva ho mantenuto la dizione “ideogramma” e “ideografico” perché più semplice e conosciuta in riferimento al sistema di segni usato con varianti locali ma con una sostanziale unita di base in alcuni paesi dell’Asia Orientale. Ho adottato, invece, il termine kanji per indicare la variante giapponese degli ideogrammi.
CAPITOLO 1
IL MONDO DEGLI IDEOGRAMMI
1.0 GENERALITÀ Vi è una differenza fondamentale tra i sistemi alfabetici e quelli ideografici che riguarda il rapporto con le “cose”, ossia il mondo della referenza. Mentre la scrittura alfabetica, che riproduce il lessico orale è come esso “aperto” cioè non ha limiti e può riprodurre qualsiasi R.O., il sistema ideografico che ha un rapporto 1:1 con i singoli referenti, è un sistema “chiuso”, cioè ha un numero di R.G. limitato. Ogniqualvolta si presenta una “cosa” o parola nuova va escogitato un nuovo segno. Questo porta, com’è evidente, al proliferare indiscriminato ( e talvolta non standardizzato, cioè con molte varianti) dei caratteri ideografici. Il problema principale è che il sistema tende a diventare sempre più complesso e difficilmente gestibile. Di conseguenza più volte nella lunga storia degli ideogrammi si è dovuto ricorrere ai ripari catalogando, semplificando, standardizzando e riducendo il numero dei segni. Rimane il fatto che il sistema ideografico con un numero di segni limitato rappresenta una realtà complessa potenzialmente senza limiti e che muta rapidamente. Questa discrepanza tra un sistema di rappresentazione scritta chiuso, statico e limitato, e un sistema linguistico orale aperto crea difficoltà di vario ordine: per esempio quella di dover utilizzare per quanto possibile segni esistenti per significati nuovi. Questa pratica viene a incidere profondamente sulla trasparenza fondamentale degli ideogrammi: il loro rapporto con il significato si fa meno trasparente e sempre più indipendente dalla forma. I pittogrammi diventano una percentuale minima del totale e aumentano i segni con riferimenti fonetici. Il ricorso, sebbene in maniera diversa rispetto alla scrittura alfabetica, ad una rappresenatzione grafica che coinvolga l'aspetto fonetico e una tendenza creata dall'impossibilità di poter gestire facilmente una materia mutevole e aperta con un sistema chiuso. In Giappone si è ormai da tempo smesso di creare ideogrammi nuovi e si ricorre a quelli esistenti, o meglio a combinazioni di essi per rendere significati nuovi. Il limite degli attuali Jôyô Kanji 常用漢字 di 1945 caratteri è rispettato. È facile capire che con un numero così limitato di segni sono necessarie forzature per poter rappresentare l’intero campo dell’esprimibile. Intanto perché il campo semantico di ciascun segno tende ad ampliarsi talvolta irragionevolmente, rendendo difficile l’immediatezza della comprensione. E poi
perché, come lamenta Kanô,1 la limitazione delle letture kun (che per i giapponesi sono quelle significative) 2 imposta dai Jôyô Kanji ostacolano la comprensione di molti kanji in composizione. Insomma, limitando il numero e le letture dei kanji si semplifica l’aspetto dell’apprendimento e della ritenzione, ma allo stesso tempo si ostacola la trasparenza e l’immediatezza della comprensione. La trasparenza di significato spesso citata da studiosi giapponesi, è la capacità di riconoscimento immediato anche di composti, alla vista, dovuta, laddove è possibile, al rapporto diretto esistente tra segno grafico e significato. Quando il composto ha un valore semantico globale prossimo alla somma dei valori semantici dei singoli componenti e ciascuno di questi è usato per il suo valore originale, la comprensione risulta trasparente. Se, però, uno o entrambi i parametri sono falsati, la trasparenza viene meno. Un vantaggio del sistema di scrittura giapponese è quello di essere misto, cioè di avere accanto al sistema ideografico quello fonetico dei kana. Questo consente un certo grado di indipendenza dal sistema ideografico, soprattutto perché permette di rappresentare foneticamente le parti funzionali della lingua, lasciando agli ideogrammi il compito di rappresentare le parti più semanticamente rilevanti come sostantivi, verbi, aggettivi. Questa suddivisione dei compiti facilita la percezione immediata delle parti più semanticamente rilevanti e può agevolare il processo di lettura e di decodifica testuale. La presenza di sistemi anche fonetici, inoltre, dà agilita e flessibilità al sistema di scrittura. Si pensi per esempio alla resa di nomi propri stranieri: essa è semplicemente risolta con i katakana. Laddove il significato sia un aspetto secondario o irrilevante del segno, la scrittura fonetica è di gran lunga più funzionale ed economica. Nel caso, invece, in cui la valenza semantica sia prioritaria, il segno ideografico può indurre meccanismi di comprensione o decodifica diversi e preferenziali rispetto a quelli dell’alfabeto. I problemi riguardano, invece, l’interazione tra i due sistemi: semplificando, cosa e come va espresso in kanji e in kana. Si assiste sempre più frequentemente alla tendenza a scrivere in kana le parti meno ambigue della lingua e in kanji quelle che creerebbero difficoltà alla comprensione se scritte foneticamente. D’altra parte l’uso sempre più frequente di neologismi, di parole abbreviate ad alto contenuto informativo e insomma, i fenomeni linguistici che accompagnano i meccanismi della comunicazione della società moderna fanno sì che l'uso dei kanji in giapponese rimanga fondamentale. Perciò, la presenza in Giappone di un sistema di scrittura fonetico accanto a quello ideografico, rende forse l’uso di quest’ultimo in qualche modo differente rispetto a quello che se ne fa in Cina dove esso è l’unico presente. Intanto perché in Cina gli ideogrammi dovendo coprire
1
KANÔ Y. , 1989, p.64 I Jôyô Kanji limitano e classificano oltre i caratteri, anche le letture ON e kun. Anche le letture, infatti, col tempo, avevano la tendenza a moltiplicarsi rendendo ostico il processo di lettura. 2
l’intero arco linguistico assumono inevitabilmente anche impieghi più prettamente funzionali. E poi perché devono assolvere anche a compiti fonetici come quelli tipici della resa di nomi propri di persona o geografici esteri. Comunque, è importante considerare che la scrittura ideografica è tutt’altro che scomparsa dalla faccia della terra. In base a calcoli molto semplici, e per ovvi motivi molto approssimativi, la popolazione terrestre che attualmente usa un sistema di scrittura ideografico o in parte ideografico ammonta a ben oltre un miliardo di persone. Il che equivale a dire che circa tra un quarto e un quinto della popolazione mondiale scrive ideogrammi. Purtroppo spesso si sottovaluta l’importanza anche quantitativa della scrittura ideografica e la si considera un arcaismo in via d’estinzione, aspettandosi che la sua scomparsa sia solo questione di tempo. In realtà, a parte il caso coreano, in Cina e in Giappone essa è ben lungi dal mostrare segni di crisi e le ipotesi di resa solo fonetica di queste lingue hanno ormai scarso credito.3 Resta aperto l’esempio del Giappone – e in parte della Corea – che pur avendo una lingua non monosillabica-isolante, e nonostante l’invenzione di un sillabario fonetico, resta fedele al sistema di scrittura ideografico. Sembra che questo non sia l’unico caso perché anche la scrittura dell’antico Egitto, pur evolvendosi da una fase geroglifica pura ad una mista non è mai approdata ad una trascrizione puramente fonetica. Ciò può far pensare che nel sistema ideografico in qualche modo vi siano aspetti convenienti o insostituibili che la trascrizione puramente fonetica non possiede: aspetti che solo attraverso i segni ideografici possono essere resi appieno. Merita qui solo un breve cenno la considerazione che viene sviluppata più avanti, nella parte intitolata “Ideogrammi e processi mentali”: il sistema di scrittura di per sè implica processi mentali che sono diversi nel caso di scrittura alfabetica e di scrittura ideografica. Per esempio, il riconoscimento semantico ha presupposti diversi nei due casi. Se supponiamo, com’è credibile, che la conoscenza passi in parte (in gran parte?) attraverso il sistema di scrittura, è evidente che i processi mentali implicati nel riconoscimento della scrittura influenzano, filtrano l’acquisizione della conoscenza. Di qui l’importanza delle riflessioni su uno dei mezzi privilegiati della comunicazione umana, la scrittura e le sue forme.
1.1 LE ORIGINI DELLA SCRITTURA IDEOGRAFICA
3
Vedi avanti il capitolo 1.11 “Eliminazione degli ideogrammi”.
“Il materiale di scavo scientificamente datato indica per la scrittura cinese un’origine […] almeno del V millennio a.C.. Risale infatti al Neolitico il sito di Banpo, un’estensione di 70.000 mq. nei pressi della citta di Xian nello Shaansi, dove in diverse campagne di scavi condotte tra il 1954 e il 1957, sono stati riportati alla luce 113 cocci e vasi di ceramica recanti incisi 22 segni diversi, considerati […] i primi indiscutibili esempi di scrittura rinvenuti in Cina. […] I caratteri usati durante il periodo neolitico finora scoperti non superano la quarantina. […] Sulla base dei dati fin qui considerati, è possibile quindi ritenere che la scrittura sia nata in Cina almeno 6.000 anni fa. […] Da queste prime iscrizioni non emerge l’esistenza di un organico sistema di scrittura.”4 Però, riguardo ai segni di Banpo risalenti al V millennio a.C., A.Tôdô ritiene, infatti che essi non possano essere considerati segni di scrittura veri e propri e afferma che: “Ciò che è inciso sulle ceramiche colorate di Hanba [Banpo] non sono segni di scrittura, ma nient’altro che segni di riconoscimento del clan che ha costruito il vaso.”5 Secondo alcuni studiosi i primi segni di scrittura sono databili attorno al V millennio a.C., secondo altri durante l’ultima parte della dinastia Shang, cioè tra il XIV e l’XI secolo a.C.6 Per J. Needham, l’inizio della scrittura cinese va posta nell’ultimo periodo della dinastia Shang. “Nel periodo Shang il sistema di scrittura cinese aveva ormai superato la fase dei semplici segni pittografici ed era in realtà molto sviluppato e complesso. Senza dubbio esso aveva già subito una lunga evoluzione. Le popolazioni del periodo Shang disponevano di più di duemila caratteri diversi, o singoli segni per le parole. In seguito la lingua subì un ulteriore sviluppo con l’aggiunta di cinquantamila o più caratteri e varianti, ma gli elementi essenziali per la formazione dei caratteri erano già presenti nella scrittura del periodo Shang.”7
4
Scarpari M.G, in: AA.VV. , 7000 anni di Cina, arte e archeologia cinese dal neolitico alla dinastia degli Han, 1983, p.55. 5 Tôdô A. , 1987, p. 45. 6 La prima ipotesi è sostenuta da Sabattini (1986), la seconda da Norman (1988). 7
Reischauer E.O., Fairbank J.K. , 1974, p.46.
La diversità delle posizioni sulla datazione della nascita degli ideogrammi dipende in gran parte da un problema di ordine linguistico: in quale epoca è possibile parlare di un sistema di scrittura cinese sufficientemente codificato e sistematizzato?8 Quanto è durato il periodo di gestazione in cui il sistema di scrittura che via via si andava creando non rispondeva ancora a norme codificate? Per una scrittura basata, almeno agli stadi iniziali prevalentemente su pittogrammi, il problema della standardizzazione non deve essere stato di poco conto. Comunque sia, le prime iscrizioni ideografiche risalenti al periodo di cui s’è detto sopra, sono iscrizioni oracolistiche incise su gusci di tartaruga o su ossa di animali dette in giapponese kôkotsubun 甲骨文. Esse contengono le domande (e talvolta le risposte) relative a pratiche divinatorie. Gli ideogrammi di questo periodo usano spesso più versioni per uno stesso segno. Più tarde sono le iscrizioni su vasi di bronzo, dette in giapponese kinbun 金文. Esse si fanno risalire al periodo che va tra il XII e l'VIII secolo a.C.9 Anche la loro forma è variabile. L’unificazione della scrittura cinese fu portata a termine durante il regno del primo imperatore della dinastia Qin, nel III secolo a.C. (tradizionalmente la data è fissata nel 221). In questo periodo si provvide alla standardizzazione dei pesi, delle misure, della moneta, e anche della scrittura. La quale, pur passando attraverso vari stili che ne hanno alterato in parte l’aspetto formale, è rimasta sostanzialmente la stessa fino ai nostri giorni. Ciò vuol dire che la scrittura cinese almeno fino alla riforma che ha semplificato i caratteri in anni recenti è essenzialmente la stessa del III secolo a.C. Nel 121 d.C. fu portato a termine da Xu Shen il primo grande dizionario, il Shuo Wen Jie Zi (giapp. Setsumon Kaiji 説文解字) in cui per la prima volta si introduceva la classificazione degli ideogrammi secondo i criteri della loro formazione, che è ancora oggi quella maggiormente seguita dai linguisti.10 Vi si introducevano anche, per la prima volta i radicali per la ricerca degli ideogrammi, in numero di 541, poi ridotti col tempo agli attuali 214.
1.2 GLI STILI All’inizio, gli ideogrammi non erano altro che varianti più o meno libere di pittogrammi, ossia di rappresentazioni grafiche di oggetti concreti. Col tempo le forme pittografiche si vennero
8
Secondo Norman J. ,1988, p. 58, per la fine del periodo Shang, la scrittura cinese era già un sistema completamente sviluppato, “capace di registrare la lingua cinese contemporanea in un modo completo e non ambiguo”. Lo stesso autore suppone che l'inizio della scrittura possa risalire all'inizio del periodo Shang o addirittura al periodo della tarda dinastia Xia, cioè attorno al XVII secolo a.C. 9 Vedi Ho Y. ,1977. 10 Vedi avanti il capitolo su “Tipologia degli ideogrammi”.
stilizzando e assunsero una forma standardizzata. Il primo vero e proprio stile di scrittura ideografica è quello del cosiddetto ‘Grande Sigillo’ ( in giap. daiten 大篆) che si riferisce alla scrittura su vasi di bronzo. Con la creazione di questo stile i caratteri precedenti furono resi più eleganti pur conservando ancora chiaramente la loro fisionomia pittografica. Un altro stile è quello del ‘Piccolo Sigillo’ (in giap. shôten 小篆) che serviva come stile ufficiale durante la dinastia Qin. E anche quello usato da Xu Shen per la compilazione del famoso dizionario dei caratteri. Esso è molto simile all’altro stile citato prima, ma i caratteri hanno una struttura più rettangolare e verticale. Accanto allo stile ufficiale, se ne sviluppò anche un altro di esecuzione più semplice e veloce, soprattutto meno impegnativo, da adottare per la scrittura privata. Si tratta dello ‘Stile Popolare’ ( in giap. reisho隷書) in cui i tratti assumono un aspetto più rigido. Essi si diffusero rapidamente e durante la dinastia Han Anteriore (III secolo a.C.- I secolo d.C.) divennero lo stile ufficiale. La transizione dallo stile del sigillo, arcaico ed elaborato, ad uno più popolare segna il punto di passaggio dalla forma prettamente pittografica ad una più stilizzata e astratta. Durante il periodo degli Han Posteriori (I-III secolo d.C.) dallo stile popolaresco, si sviluppò un nuovo stile detto ‘Stile Standard’ (in giap. kaisho 楷書). Esso è quello ancora in uso oggigiorno. Con quest’ultima realizzazione i caratteri continuarono e portarono a termine il processo di stilizzazione e di astrazione. Allo stesso tempo i tratti circolari sparirono completamente. Questo è lo stile comunemente adottato per la stampa ed è quello cui si fa riferimento in ogni circostanza. Accanto a questo stile ufficiale, esistono sia in Cina che in Giappone altri due stili corsivi, ossia per l’uso privato. Il primo, (in giapponese gyôsho 行書) è una varietà del kaisho scritto più velocemente e con tratti meno rigidi. Un altro stile è quello detto in giapponese sôsho 草 書 ‘stile dell'erba’ perché somiglia per la flessuosità e l’essenzialità dei tratti a fili d’erba. È di scrittura (e di interpretazione!) molto difficile, essendo altamente stilizzato, e pertanto adoperato principalmente in ambito artistico, cioè nell’arte calligrafica. La capacità di scrittura in sôsho richiede un lungo tirocinio di apprendimento ed è confinata ai soli specialisti.
1.3 IDEOGRAMMI E LINGUA CINESE La Cina è l’unico paese al mondo ad aver adottato un tipo di scrittura non fonetico e ad esservi rimasto fedele per ormai migliaia d'anni. Infatti gli altri paesi limitrofi che, come il Vietnam, la Corea e il Giappone avevano introdotto dalla Cina il sistema di scrittura ideografico, l’hanno col tempo modificato in tutto o in parte. Il Vietnam ha ormai da molto tempo adottato la trascrizione in lettere latine, la Corea ha sviluppato un suo alfabeto che ha quasi del tutto
soppiantato gli ideogrammi. Il Giappone ha mantenuto gli ideogrammi (limitandone, però il numero) ma ha anche parallelamente sviluppato due sistemi di trascrizione fonetica: lo hiragana e il katakana, ponendosi in una situazione idealmente intermedia tra quella dei paesi che hanno abbandonato il sistema ideografico e quelli che ne fanno un uso esclusivo. Secondo il Needham i motivi che hanno permesso il mantenimento degli ideogrammi in Cina sono da ricercare in due direzioni principali: “a) al fatto che la lingua in origine era forse strettamente monosillabica e b) che essa era ‘isolante’, cioè non agglutinante. Non vi è mai stato, come in Egitto, un passaggio dal geroglifico al demotico attraverso lo ieratico, passaggio che diede luogo alla nascita di un alfabeto sillabico”.11 La struttura monosillabica-isolante del cinese fece in modo che la scrittura dovesse rappresentare delle parole, e quindi essere “logografica”.12 L'enorme numero di omofoni solo in parte distinti dai toni presenti nella lingua richiesero una scrittura che distinguesse chiaramente tra i vari significati della stessa realizzazione orale. Così se una stessa pronuncia poteva avere tre, quattro, o anche sette, otto significati diversi, era necessario che la distinzione avvenisse nello scritto non a livello fonetico di per sè ambiguo. Allora ciascuno dei vari significati poteva essere realizzato graficamente con un ideogramma diverso. Il fatto che la lingua fosse composta di elementi invariabili facilitò la formazione di caratteri che rappresentavano l’intera parola.13 I primi ideogrammi si svilupparono quindi come rappresentazioni pittografiche di oggetti concreti, animali e insomma elementi del mondo circostante (shôkei moji). Tuttavia, non tutti gli elementi della lingua potevano essere espressi con pittogrammi. Per esempio le parole astratte non lo potevano. Allora, si dovette ricorrere ad altri principi di formazione dei caratteri e si passò ai (shiji moji) che permettevano una rappresentazione simbolica astratta. Poi si passò al sistema di adottare ideogrammi che avevano una pronuncia uguale (o simile) alla parola che si voleva rappresentare benché non avessero relazione semantica (tenchû moji). Un altro passo in avanti fu quello rappresentato dall’uso dei kai'i moji in cui due o più ideogrammi venivano uniti a formare una nuova associazione di idee. Tuttavia, il sistema più importante e prolifico fu quello dei keisei moji, nei quali l’elemento fonetico iniziò ad avere un ruolo determinante. Con i keisei moji ci si scosta in modo definitivo 11
Needham J. ,1981, p.35. Norman J. ,1988, p. 60-61. 13 Secondo Wang J. , 983, p. 9, in cinese esistono solo 411sillabe e quattro toni. Nel dialetto di Pechino sono possibili 1284 realizzazioni sillabiche orali. Inotre, il 10% delle parole polisillabiche e 1/3 dei monosillabi sono omofoni. 12
da una produzione basata sul solo rapporto tra forma e significato. Questo fu il passo che permise di ampliare enormemente il vocabolario ideografico cinese e rese la possibilità di espressione scritta altamente sofisticata. Il sistema, come verrà spiegato meglio più avanti, è molto semplice e consiste nel formare nuovi caratteri che sono composti da una parte che indica la categoria di significato e da un’ltra che indica la pronuncia. In questo modo si hanno indicazioni sull’ambito semantico di appartenenza dell’ideogramma e sulla sua lettura. Allo stesso tempo questo sistema permette di creare facilmente nuovi caratteri identificabili e distinguibili tra loro senza eccessiva difficoltà. Col tempo, naturalmente, parecchie di queste caratteristiche si sono indebolite, soprattutto a causa dell’evoluzione fonetica della lingua cinese. Però ancora oggi si può in molti casi rintracciare l’applicazione di questi principi. A conclusione, vorrei richiamare l’attenzione su un’affermazione di J. Gernet che scrive quanto segue: “Per virtù propria, la scrittura cinese è diventata pertanto una specie di mezzo di espressione universale in tutta l’Asia di civiltà e influenza cinese.”14 E ancora oggi questa presenza è avvertibile in tutta l’area di civiltà sinica.
1.4 INTRODUZIONE DEGLI IDEOGRAMMI IN GIAPPONE Si ritiene che l’introduzione della scrittura ideografica in Giappone sia avvenuta nel corso del V secolo d.C. La tradizione vuole che fosse uno studioso coreano di nome Wani a portare in Giappone la conoscenza degli ideogrammi. Certamente i secoli V e VI d.C. furono un periodo di intensi scambi tra il Giappone e il continente, e molti elementi della cultura cinese furono importati nell’arcipelago. È quindi probabile che anche la scrittura fosse uno di questi elementi introdotti attraverso la mediazione dell’arcipelago coreano che faceva da tramite tra il continente e le isole giapponesi. Infatti, le più antiche scritture giapponesi su spade e specchi risalgono al periodo indicato sopra, mentre le più antiche opere di carattere storico scritte in Giappone risalgono all’VIII secolo, e precisamente al 712 il Kojiki 古事記 (Memorie degli Antichi Eventi) e al 720 il Nihongi 日本紀 o Nihon shoki 日本書紀 ( Annali del Giappone). Essi sono testimoni dell’epoca piuttosto tardiva di adozione di un sistema di scrittura in Giappone. Nel Nihongi si legge:
14
Gernet J. , 1978, p.30.
“Inoltre, A-chik-ki era in grado di leggere i classici, quindi l’Erede Legittimo Uji no Waka-iratsuko, lo prese per maestro. Di conseguenza, l’imperatore chiese di A-chik-ki dicendo: -‘Vi sono altri sapienti superiori a te?’ Egli rispose dicendo: -‘Vi è Wang-ni [Wani] che è superiore.’ Allora Areda wake, antenato di Kimi di Kôdzuke e Kamu nagi wake furono mandati a Pekche [Corea] per convocare Wang-ni. Questo A-chik-ki fu il primo antenato di A-chik-ki (o Atogi) no Fumi-bito. Sedicesimo anno, primavera, secondo mese. Wang-ni arrivò e l’Erede Legittimo Uji no Waka-iratsuko lo prese come maestro, e da lui imparò vari libri. Non vi era nulla che egli non capisse completamente. Perciò, l‘uomo chiamato Wang-ni fu il primo antenato dei Fumi no Obito.”15 Il sedicesimo anno di cui si parla nel brano riportato sopra e relativo all’arrivo di Wani dovrebbe essere secondo la cronologia del Nihongi il 285 d.C., ma come avverte il traduttore W.G. Aston, le date del testo non sono attendibili ed egli stesso in nota propende verso una data molto posteriore che si aggira attorno al 405. Si noti che la parola Fumi-bito significa uomo del pennello, scriba, scrivano. Fumi no Obito è invece il ‘capo degli scrivani’. La datazione dell’entrata in Giappone della scrittura ideografica non può essere stabilita con certezza. È probabile comunque che essa venne attraverso la Corea in qualche momento prima o attorno al V secolo d.C. È anche probabile che questa introduzione sia avvenuta gradualmente coprendo un lungo periodo storico, e che solo con l’importazione dal continente di elementi culturali cinesi tra cui soprattutto il Buddhismo nel VI secolo, la scrittura venne ad assumere una importanza (e diffusione) prima sconosciuta.
1.5 IDEOGRAMMI CINESI E LINGUA GIAPPONESE Il passaggio degli ideogrammi ad una lingua cosiddetta agglutinante come quella giapponese non fu cosa semplice. Gli ideogrammi nati in ambiente monosillabico-isolante dovettero essere sottoposti ad un lungo e laborioso processo di adattamento che richiese vari tentativi prima di approdare a una soluzione, che per quanto complessa, potesse ritenersi soddifaciente. In primo luogo gli ideogrammi si mostrarono insufficienti da soli a rendere graficamente tutte le componenti della lingua 15
Nihongi, Chronicles of Japan from Earliest Times to A.D.697,1975, p.262-3. Traduzione dall’inglese dell’autore.
giapponese. Per la parte flessiva, pospositiva e quella funzionale si dovette ricorrere a caratteri fonetici che come vedremo furono col tempo sviluppati ad integrazione della scrittura ideografica. L’importazione degli ideogrammi cinesi in Giappone avvenne in tre diversi modi: 1. con l'acquisizione in giapponese di parole cinesi ideografiche (kango) con la forma grafica e il significato originali, ma con l’adattamento della pronuncia alle regole fonetiche della lingua autoctona (lettura ON); 2. attraverso la “traduzione” dei singoli ideogrammi in giapponese, ossia con l’attribuzione del corrispondente giapponese di uguale significato o di significato più prossimo; 3. attraverso la creazione di nuovi segni ideografici creati dai giapponesi per le esigenze della propria lingua. Nel primo caso le parole venivano trapiantate così com’erano in cinese con lievi adattamenti. Nel secondo caso gli ideogrammi cinesi venivano letti in giapponese (lettura kun). Per chiarire questo processo è come se volendo adottare in italiano un segno non fonetico come < per il significato di ‘amare’ scrivessi ‘<erò’ per “amerò”. Il segno, in questo caso pittografico, sta per ‘am-‘ e perciò potrei scrivere ad esempio: ‘