Elementi di tomografia computerizzata
Lorenzo Faggioni · Fabio Paolicchi · Emanuele Neri (a cura di)
Elementi di tomografia computerizzata Presentazione a cura di Davide Caramella
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a cura di Lorenzo Faggioni Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Fabio Paolicchi Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Emanuele Neri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
ISBN 978-88-470-1696-5
e-ISBN 978-88-470-1697-2
DOI 10.1007/978-88-470-1697-2 © Springer-Verlag Italia 2010 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore, e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail
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Presentazione
È per me davvero un piacere presentare il bel libro Elementi di tomografia computerizzata, che è il frutto dell’intelligente fatica di un Radiologo senior, un Radiologo junior e un validissimo Tecnico di Radiologia appartenenti al nostro gruppo. Gli Autori condividono una quotidiana esperienza di lavoro nelle diagnostiche dell’Ospedale Universitario Pisano e hanno messo insieme in modo coerente e didatticamente molto efficace un testo che contiene tutte le notizie essenziali per operare allo stato dell’arte in Tomografia Computerizzata. La loro idea non è stata quella di produrre un manuale illeggibile se non per superesperti, hanno piuttosto realizzato un’articolata introduzione alla tecnologia TC, riassumendone le tappe storiche e arrivando a coprire le ultime innovative applicazioni. In questo libro studenti, tecnici, medici e radiologi potranno trovare risposte alle domande legate al funzionamento di una modalità oggi quarantenne, ma che non dimostra affatto la sua età. La trattazione degli argomenti è rigorosa ma concisa, le problematiche più ardue sono affrontate con autorevolezza e in modo semplice e chiaro, facendo di questo libro un supporto didattico indispensabile per tutti coloro che lavorano in TC. Un aspetto che gli Autori hanno voluto approfondire in dettaglio è quello relativo alla dose. Sappiamo infatti che allo spettacolare successo delle applicazioni cliniche della TC si oppongono crescenti preoccupazioni riguardo la dose erogata ai pazienti. Ebbene, nel libro ciascuno potrà trovare le informazioni essenziali sui metodi per misurare la dose in TC e soprattutto sulle procedure che devono vedere il medico e il tecnico collaborare per ridurre la dose complessiva erogata, grazie all’ottimizzazione di tutte le fasi dell’esame. Auguro ai lettori di leggere questo libro con la stessa soddisfazione che ho visto negli Autori mentre erano impegnati in questo duro lavoro “parallelo” rispetto alla loro attività assistenziale principale. Pisa, maggio 2010
Davide Caramella Direttore Sezione RX Universitaria Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
V
Prefazione
L’avvento della tomografia computerizzata ha rivoluzionato la diagnostica per immagini negli ultimi trent’anni, consentendo di ottenere una visione analitica di sezioni del corpo umano, superando la visualizzazione additiva e proiettiva della radiologia convenzionale. Questo volume si propone di illustrare le basi fisiche e tecniche della TC nelle sue diverse implementazioni tecnologiche, descrivendone in maniera sistematica le caratteristiche e i rispettivi campi di applicazione. Nel libro vengono ripercorse le tappe storiche dell’evoluzione della TC, a partire dai primi modelli di TC sequenziale fino all’introduzione degli apparecchi TC spirale e multistrato. Vengono spiegati i principi fisici della generazione delle immagini TC e viene discussa la loro realizzazione tecnica sulle varie tipologie di scanner TC, evidenziandone punti di forza e svantaggi. Sono poi illustrati le caratteristiche delle immagini TC (intese come particolare tipologia di immagini digitali) e i principali algoritmi per la loro elaborazione; vengono infine trattati le proprietà e l’uso dei mezzi di contrasto in TC e mostrate le applicazioni della TC in campo medico-nucleare e radioterapico. Particolare attenzione viene posta alla problematica della dose radiante in TC e alle tecniche volte a ridurla il più possibile pur mantenendo una sufficiente qualità diagnostica, nell’ambito del principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable): ora che i moderni scanner TC sono in grado di offrire altissime risoluzioni spaziali e temporali con tempi di acquisizione assai ridotti, il contenimento della dose radiante è diventato una questione di grande attualità e rappresenta sicuramente uno dei principali obiettivi delle case produttrici e, a nostro avviso, una tematica alla quale chi apprende o già si occupa di TC – tecnici di radiologia, medici, fisici sanitari – deve essere adeguatamente sensibilizzato. Gli argomenti vengono trattati in maniera concisa, cercando tuttavia di preservare il rigore e l’ordine logico dell’esposizione: in particolare, abbiamo scelto di tralasciare la trattazione puntuale di dettagli a nostro avviso non essenziali in un testo didattico (per i quali si rimanda comunque a opere specifiche), privilegiando invece la spiegazione sistematica del razionale delle varie soluzioni tecnologiche e diagnostiche. Ciò allo scopo di offrire una presentazione il più possibile lineare ed esaustiva di una materia complessa, ma sempre più attuale nella sua continua evoluzione, qual è appunto la TC nelle sue moderne implementazioni e applicazioni. Pisa, maggio 2010
Lorenzo Faggioni Fabio Paolicchi Emanuele Neri VII
Indice
1
2
Cenni storici sulla tomografia computerizzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Davide Caramella
1
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6
Principali componenti di uno scanner TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Simona Del Corona, Silvia Cavaliere, Cristiana Baggiani
7
2.1 2.2
3
4
5
Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Componenti di uno scanner TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7 8 17
Principi della TC convenzionale e della TC spirale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini
19
3.1 3.2 3.3 3.4
La formazione dell’immagine in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Principi fisici della formazione dell’immagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Evoluzione tecnologica dei sistemi TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TC spirale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19 20 26 29 34
TC multistrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini, Emanuele Neri
35
4.1 4.2 4.3
Dalla TC spirale monodetettore alla TCMS: la TC a doppio strato . . . . . . . . . Acquisizione delle immagini nella TCMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vantaggi della TCMS rispetto alla TC spirale monostrato . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35 36 42 48
Caratteristiche di base delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Mercede Marinelli
49
5.1 5.2
49 50 58
Matrice di ricostruzione, voxel e pixel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrittori di qualità delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
IX
X
Indice
6
7
8
Tecniche di elaborazione delle immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Riccardo Lazzarini, Fabio Paolicchi
59
6.1 6.2 6.3 6.4 6.5
Ricostruzione multiplanare (Multiplanar Reformation, MPR) . . . . . . . . . . . . . . Proiezione di massima intensità (Maximum Intensity Projection, MIP) . . . . . Rendering volumetrico (Volume Rendering, VR) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rappresentazione di superficie (Shaded Surface Display, SSD) . . . . . . . . . . . . Endoscopia virtuale (Virtual Endoscopy, VE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
60 64 68 71 72 74
Parametri di scansione e artefatti in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Riccardo Lazzarini, Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni
75
7.1 7.2 7.3 7.4
Parametri di acquisizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parametri di ricostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parametri di visualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Principali artefatti delle immagini TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75 82 84 85 92
Cardio-TC e TC dual source . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Francesca Cerri, Davide Giustini
93
8.1 8.2
9
10
11
Cardio-TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TC dual source . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
93 99 104
La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Davide Caramella, Franco Perrone
107
9.1 9.2 9.3 9.4
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Unità di misura ed effetti biologici delle radiazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Descrittori di dose in TC: MSAD, CTDI e DLP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fattori che determinano la dose in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
107 109 111 117 125
Controlli di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Franco Perrone, Fabio Picchi
127
10.1 10.2 10.3
Controllo di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Programma di controllo di qualità per apparecchi TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prove per il controllo di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127 129 129 138
I mezzi di contrasto in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lorenzo Faggioni, Sabina Giusti, Elisa Orsi
139
11.1 11.2 11.3
139 140 146 147
Classificazione dei mezzi di contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) . . . . . . . . . . . Mezzi di contrasto intraluminali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Indice
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XI
La TC in medicina nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Duccio Volterrani, Oreste Sorace, Daniele Fontanelli
149
12.1 12.2
Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Protocolli diagnostici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
149 154 163
La TC in radioterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucia R. Fatigante, Marco Panichi
165
13.1 13.2 13.3
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ruolo della TC nella pianificazione del trattamento radioterapico . . . . . . . . . Impiego della TC nelle procedure di controllo del trattamento radioterapico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165 166
Sviluppi futuri in TC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fabio Paolicchi, Lorenzo Faggioni, Emanuele Neri
177
14.1 14.2 14.3 14.4
177 178 180 183 184
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La TCMS: oltre 64 strati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Flat panel CT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La dose radiante: la vera sfida dei prossimi anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
174 176
Elenco degli Autori
Cristiana Baggiani Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Daniele Fontanelli U.O. Medicina Nucleare Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Davide Caramella Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Sabina Giusti Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Silvia Cavaliere U.O. Radiodiagnostica 2 Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Davide Giustini Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Francesca Cerri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Riccardo Lazzarini U.O.C. Radiologia AUSL 12 Viareggio (Lucca)
Simona Del Corona U.O. Neuroradiologia Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Lorenzo Faggioni Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa Lucia R. Fatigante U.O. Radioterapia Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Mercede Marinelli U.O. Radiodiagnostica 1 Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana Emanuele Neri Radiologia Diagnostica e Interventistica Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa Elisa Orsi U.O. Radiodiagnostica AUSL 2 Lucca Marco Panichi U.O. Radioterapia Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
XIII
XIV
Elenco degli Autori Fabio Paolicchi Sezione RX Universitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Oreste Sorace Istituto di Fisiologia Clinica C.N.R. Pisa
Franco Perrone Fisica Sanitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Duccio Volterrani U.O. Medicina Nucleare Universitaria Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa
Fabio Picchi Fisica Sanitaria Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
Cenni storici sulla tomografia computerizzata
1
F. Paolicchi, L. Faggioni, D. Caramella
La tomografia computerizzata (TC) rappresenta una delle principali innovazioni mediche degli ultimi quarant’anni. Dalla sua introduzione, avvenuta nel 1972, la TC si è trasformata in uno strumento indispensabile per l’imaging diagnostico in una molteplicità di applicazioni cliniche. Dai pionieristici tomografi degli anni Settanta siamo giunti alle moderne TC multistrato, in grado di produrre con brevissimi tempi di acquisizione immagini di elevata qualità dell’intero distretto corporeo, fornendo informazioni di tipo sia anatomico sia funzionale, impensabili fino a pochi anni fa. Il principio su cui si basa la TC ha origine dal lavoro del matematico austriaco Johann Radon, che nel 1917 dimostrò la possibilità di ricostruire un oggetto tridimensionale mediante un numero infinito di proiezioni bidimensionali dell’oggetto stesso [1]. Tale teoria, modificata per un numero finito di proiezioni, è stata utilizzata in numerosi campi, dall’astronomia alla microscopia elettronica, ma inizialmente non fu ideata per scopi medici [2]. Occorre, infatti, arrivare agli anni Sessanta per trovare le prime applicazioni in campo medico delle teorie matematiche sulla ricostruzione di oggetti tridimensionali mediante acquisizione tomografica. Nel 1961 il neurologo William H. Oldendorf studiò la possibilità di produrre immagini mediante proiezioni ottenute con una fonte di raggi gamma generata dall’isotopo 131I: Oldendorf utilizzò un detettore a scintillazione per misurare l’intensità della radiazione trasmessa attraverso un oggetto che ruotava tra la sorgente e il detettore [3]. In precedenza, verso la metà degli anni Cinquanta, il fisico Allan Cormack si era interessato alla variazione, durante i trattamenti radioterapici, della distribuzione di dose causata dalla disomogeneità dei tessuti: egli comprese che tali variazioni potevano essere previste conoscendo i coefficienti di attenuazione delle zone interessate. Nel 1957 Cormack si trasferì alla Tufts University di Boston e riprese il suo lavoro sull’imaging proiettivo solo nel 1963, quando ripeté le misurazioni utilizzando un nuovo dispositivo. Mediante un oggetto test asimmetrico, egli riuscì a ottenere una distribuzione altamente accurata dei coefficienti di attenuazione dell’oggetto, misurati attraverso proiezioni angolari intervallate di 7° [4]. I risultati, pubblicati sulla rivista Physics Review, passarono tuttavia quasi inosservati; solo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, diversi gruppi di ricerca iniziarono a occuparsi di imaging tomografico come possibile strumento utile per la diagnosi e il planning radioterapico. La transizione dell’imaging proiettivo da semplice curiosità sperimentale a vera e propria applicazione clinica è stata resa possibile, in gran parte, dal lavoro di una sola
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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F. Paolicchi et al.
persona: l’ingegnere inglese Godfrey Hounsfield. Questi, conseguita la laurea in ingegneria meccanica, entrò nel 1951 a far parte dello staff della EMI (Electrical Music Industries), dove iniziò a lavorare su progetti inerenti la tecnologia dei computer, giungendo allo sviluppo di EMIDEC 1100, il primo computer a diffusione commerciale prodotto in Gran Bretagna. In seguito Hounsfield iniziò a interessarsi alle tecniche di ricostruzione delle immagini mediante computer. Egli ipotizzò che fosse possibile ottenere informazioni sulle strutture interne di un oggetto facendolo attraversare da un fascio di raggi X da molteplici direzioni e misurando l’attenuazione di tutte le proiezioni. Hounsfield riuscì a risolvere questa complessa sfida fisico-matematica senza conoscere il lavoro svolto in precedenza da Radon e da Cormack. Sostenuto dalle strutture governative inglesi, e favorito dagli introiti che negli stessi anni la EMI otteneva per il successo planetario dei Beatles [5], nel 1967 Hounsfield mise a punto il primo tomografo sperimentale, costituito da una sorgente di 241Am e da un detettore di materiale scintillante montati su un dispositivo che consentiva movimenti sia di traslazione sia di rotazione. A causa della bassa intensità della radiazione emessa dall’isotopo 241Am, questo dispositivo necessitava di circa nove giorni per acquisire l’oggetto; nella fase successiva un computer impiegava 2,5 ore per elaborare e ricostruire le 28 000 misurazioni raccolte dal detettore. Per aumentare l’intensità delle radiazioni, Hounsfield decise di ripetere l’esperimento sostituendo il 241Am con un tubo a raggi X, e riuscì a ridurre il tempo di acquisizione da 9 giorni a 9 ore. Con questo nuovo dispositivo Hounsfield produsse immagini di numerose specie animali, che presentavano una capacità di risoluzione dei tessuti di densità simili decisamente superiore a quella ottenibile con le tecniche radiografiche tradizionali. Incoraggiato dai buoni risultati ottenuti, l’ingegnere inglese decise di progettare un tomografo da utilizzare sugli esseri umani; scelse di esaminare l’encefalo, in quanto i movimenti fisiologici caratteristici della regione toracoaddominale avrebbero reso difficile la produzione di immagini, a causa degli elevati tempi di acquisizione. Il prototipo di TC, denominato EMI Mark 1, fu costruito in gran segreto nel reparto radiologico dell’Atkinson Morley Hospital di Londra; nell’ottobre del 1971 fu prodotta la prima immagine di un encefalo, dalla quale risultava chiaramente la presenza di una lesione tumorale nel lobo frontale [6]. Il prototipo, basato su movimenti di traslazione e rotazione del complesso tubo radiogeno-detettore, produceva un’immagine su una matrice di 80 × 80 con una risoluzione spaziale di 0,5 cm, e richiedeva per l’acquisizione e la ricostruzione di ciascuna fetta, rispettivamente, 4 e 7 minuti (Fig. 1.1). Nel 1972 furono sottoposti a esame tomografico ben 70 pazienti e i risultati furono presentati al congresso annuale del British Institute of Radiology di Londra; nello stesso anno, i risultati ottenuti furono pubblicati su un articolo del London Times e l’entusiasmo per questa nuova tecnica diagnostica crebbe notevolmente. La EMI decise di produrre cinque nuovi scanner, che furono immediatamente acquistati da quattro ospedali inglesi e da uno americano, e ben presto ricevette numerosi nuovi ordini. Il primo tomografo in grado di acquisire il distretto toraco-addominale fu prodotto dalla Pfizer nel 1973 e installato nell’ospedale di Georgetown: tale tomografo, chiamato ACTA (Automatic Computerized Transverse Axial), produceva immagini su una matrice di 256× 256 e utilizzava, come lo strumento messo a punto da Hounsfield, una combinazione di movimenti di traslazione e rotazione (Fig. 1.2) [7]. I movimenti fisiologici del distretto toraco-addominale rappresentavano, tuttavia, un forte limite nell’acquisizione delle immagini. Successivamente, la EMI presentò un nuovo modello di scanner
1 Cenni storici sulla tomografia computerizzata
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Fig. 1.1 a Il primo tomografo computerizzato per lo studio del cranio prodotto dalla EMI nel 1973. b Immagine di una sezione assiale di encefalo prodotta dal tomografo EMI Mark 1 con una matrice di 80×80 pixel. c Immagine di una sezione di encefalo prodotta da un moderno apparecchio TCMS a 64 strati con una matrice di 512×512 pixel
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Fig. 1.2 Il primo scanner total body, ACTA (Authomatic Computerized Transverse Axial) prodotto dalla Pfizer nel 1973 con il suo ideatore Robert Ledley. (riprodotta da Sittig et al. [8] con l’autorizzazione di BMJ Publishing Group Ltd.)
tomografico, caratterizzato dalla presenza di due detettori di scintillazione in grado di acquisire due immagini per ciascuna rotazione, riducendo così il tempo di acquisizione a circa 20 secondi e fornendo immagini di qualità superiore rispetto a quelle del tomografo ACTA prodotto dalla Pfizer. I proprietari della casa inglese si resero comunque conto che, con il passaggio da una fase prettamente di ricerca a una di commercializzazione, non avrebbero avuto la capacità di gestire un prodotto che si collocava in un mercato diverso da quello loro familiare. Decisero quindi di proporre alla multinazionale statunitense General Electric (GE) di distribuire per la EMI gli scanner tomografici; non ponendo particolare fiducia nello sviluppo di questa tecnologia, la General Electric rifiutò l’offerta. Ma a distanza di soli due anni, in seguito al grande successo conseguito dalla EMI negli Stati Uniti, la General Electric si rese conto di aver sottovalutato l’enorme potenziale della TC e in un solo anno produsse un nuovo prototipo in grado di ridurre il tempo di acquisizione a pochi secondi. Nel 1979 Cormack e Hounsfield vinsero il premio Nobel per la scoperta della TC (Fig. 1.3). Verso la fine degli anni Settanta lo sviluppo tecnologico della TC sembrava aver raggiunto il suo picco e nel successivo decennio non vi furono progressi di rilievo. Fu con l’introduzione della tecnologia slip ring (avvenuta nel 1989 e illustrata nei prossimi capitoli) e l’ulteriore sviluppo tecnologico dei vari componenti, che la TC suscitò un rinnovato e forte interesse per le possibili applicazioni aggiuntive in ambito medico.
1 Cenni storici sulla tomografia computerizzata
Fig. 1.3 Allan Cormack e Godfrey Hounsfield, vincitori del premio Nobel del 1979 per lo sviluppo della tecnologia TC
Tabella 1.1 Principali eventi storici della tomografia computerizzata
Anno
Evento
1917 1963 1972 1975 1979 1989 1998 2001 2004 2007/2008 2009
Radon formula i principi matematici per la ricostruzione delle immagini TC Cormack descrive una metodica per il calcolo della distribuzione dell’attenuazione dei tessuti del corpo umano Hounsfield effettua i primi esami TC su encefalo Prima TC total body Hounsfield e Cormack ricevono il premio Nobel per la scoperta della TC Tecnologia di acquisizione spirale Primi scanner TC multistrato (4 strati) TC a 16 strati TC a 64 strati TC a 128-256 strati TC a 320 strati (Aquilion One, Toshiba)
Alla fine degli anni Ottanta iniziò una vera e propria competizione per produrre strumenti capaci di velocità di acquisizione e qualità dell’immagine sempre maggiori, che portarono al susseguirsi delle varie tecnologie fino alle moderne TC multistrato (Tabella 1.1). Nel 1979, soltanto sei anni dopo l’introduzione della TC, ben 1300 strumenti erano stati installati negli Stati Uniti. Nel 1980 furono eseguiti 3 milioni di esami TC, nel 2006 si arrivò a 62 milioni e si stima che nel 2010 si possano raggiungere i 100 milioni [9].
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Fig. 1.4 Apparecchio microTC di SkyScan Inc. (Università di Lubecca, Germania). L’oggetto da esaminare viene posto in un alloggiamento rotante all’interno della camera di misurazione; il campo di misura ha un volume di circa 2 cm3. (Da Buzug [10])
Oggi la TC rappresenta una metodica di indagine radiologica di fondamentale importanza diagnostica in numerose discipline, tra le quali neurologia, ortopedia e gastroenterologia. I progressi tecnici della TC sono continui e orientati in diverse direzioni: dall’integrazione con altre metodiche (TC-SPECT e TC-PET) alla realizzazione di apparecchi di micro-TC per applicazioni scientifiche (Fig. 1.4) [11].
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Principali componenti di uno scanner TC
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S. Del Corona, S. Cavaliere, C. Baggiani
Indice dei contenuti 2.1 2.2
Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC Componenti di uno scanner TC Bibliografia
2.1 Requisiti strutturali e tecnologici di una sala di TC I requisiti strutturali di una sala in cui si svolge attività diagnostica mediante tomografia computerizzata variano in funzione del tipo di apparecchiatura prevista e della tipologia di esami che saranno effettuati. In linea generale, una diagnostica TC prevede tre aree distinte. 1. Sala diagnostica: è il locale nel quale sono posizionati lo scanner TC (gantry e lettino porta-paziente), il generatore, l’iniettore del mezzo di contrasto e i dispositivi di assistenza ed emergenza (attacco dei gas medicali, aspiratore, sistema di monitoraggio elettrocardiografico e defibrillatore, respiratore automatico, pulsossimetro, carrello delle emergenze); 2. locale consolle: vi si trovano le postazioni dell’operatore e del medico radiologo, dalle quali viene diretta l’esecuzione dell’esame TC; 3. locale tecnico: vi alloggiano le componenti del quadro elettrico e tutto il materiale necessario ai tecnici delle ditte costruttrici per le manutenzioni programmate. Di norma la superficie dell’area in cui è presente il macchinario TC non deve essere inferiore ai 25 m2, in modo da consentire il corretto posizionamento del tomografo e gli spostamenti del personale di radiologia (medico, tecnico, infermieristico ecc.), nonché favorire l’ingresso dei pazienti, soprattutto dei non deambulanti. I locali devono essere opportunamente climatizzati mediante sistema dedicato. Il locale consolle, in cui opera il tecnico di radiologia, deve avere una facile comunicazione con la sala diagnostica e deve essere dotato di dispositivi per la visualizzazione diretta (vetro schermato) e indiretta Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 2.1 Sala consolle con postazione operatore TC
(telecamera) del paziente e di interfono per permettere all’operatore di dialogare con il paziente durante l’esecuzione dell’esame [1] (Fig. 2.1). La diagnostica TC è collocata all’interno di un servizio di radiologia, che comprende tutti gli spazi previsti dalla specifica normativa sanitaria: aree di attesa per l’utenza, spazi per l’accettazione, servizi igienici per operatori e utenti, aree di refertazione, depositi per il materiale d’uso. È molto importante che la diagnostica TC sia prossima a un servizio di anestesia e rianimazione, sia per motivi logistici sia per conformità a quanto previsto dalla normativa in materia.
2.2 Componenti di uno scanner TC I principali componenti di uno scanner TC sono il gantry e il tavolo su cui viene collocato il paziente; tutti i tavoli porta-paziente disponibili in commercio, indipendentemente dal costruttore, hanno caratteristiche abbastanza simili (Fig. 2.2). Altre parti essenziali per il funzionamento del tomografo sono il generatore di alta tensione, i sistemi elettronici per la trasmissione dei dati e i computer per la visualizzazione e l’elaborazione delle immagini. Per garantire una piena operatività del sistema, è necessario che tutte le unità siano correttamente integrate tra di loro [2].
2 Principali componenti di uno scanner TC
Fig. 2.2 Sala diagnostica di uno scanner TCMS (Lightspeed VCT; General Electric), in cui sono visibili il gantry e il tavolo porta-paziente
2.2.1 Gantry e slip ring
Il gantry rappresenta la struttura principale di uno scanner TC e contiene il tubo radiogeno, i detettori, il generatore di alta tensione, i dispositivi per la trasmissione dell’energia, i collimatori e il DAS (Data Acquisition System) (Fig. 2.3). Tipicamente il gantry ha una peso variabile da 1500 a 2000 kg ed è caratterizzato da un’apertura ad anello, del diametro di circa 70 cm, attraverso la quale il tavolo porta-paziente scorre durante la scansione. Sebbene il diametro del gantry possa arrivare a 70 cm, il campionamento dei dati viene eseguito su un campo di vista (Sampling Field of View, SFOV) del diametro massimo di 50 cm [3]. I moderni sistemi TC multistrato (TCMS) si basano sulla geometria della cosiddetta TC di terza generazione, in cui – come sarà spiegato in dettaglio nei prossimi capitoli – un arco costituito da più file di detettori ruota intorno al paziente in maniera solidale con il tubo radiogeno, al quale è contrapposto di 180° [4]. L’asse di rotazione del gantry può essere inclinato rispetto all’asse longitudinale del paziente entro limiti pari a ±30° a una velocità di 1°/s. Nelle moderne apparecchiature TCMS il complesso tubo-detettori può arrivare a compiere una rotazione di 360° in 0,3 s, generando un’accelerazione centrifuga che raggiunge anche i 30 g. La rotazione continua del complesso tubo-detettori, introdotta
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Fig. 2.3 Interno del gantry di uno scanner TCMS (Aquilion 16, Toshiba Medical Systems)
con la terza generazione, è stata resa possibile dalla tecnologia slip ring (“a contatti striscianti”). Si tratta di dispositivi elettromeccanici costituiti da anelli circolari concentrici e paralleli all’asse del gantry, che conducono energia elettrica, accoppiati a spazzole che trasmettono l’energia elettrica attraverso un’interfaccia rotante (Fig. 2.4). In questo modo, gli slip ring eliminano il fastidioso problema del riavvolgimento dei cavi dell’alta tensione che caratterizzava le prime due generazioni della TC. Grazie a questa soluzione, nei tomografi con tecnologia slip ring il generatore di alta tensione – che nelle TC di prima e seconda generazione era posizionato all’interno della stanza TC – è posto all’interno del gantry e può ruotare insieme al complesso tubo-detettori [5].
2.2.2 Tubo radiogeno
Il tubo a raggi X rappresenta il cuore di un tomografo computerizzato (Fig. 2.5). Rispetto ai tubi a raggi X della diagnostica radiologica tradizionale, il tubo radiogeno di una TC deve possedere un’elevata capacità di dissipazione termica, requisito che ha rappresentato storicamente uno dei principali problemi per le diverse case costruttrici. Nei tomografi di prima e seconda generazione l’anodo era di tipo stazionario, ma l’esigenza di una capacità termica sempre più elevata e i relativi problemi di dissipazione del calore prodotto
2 Principali componenti di uno scanner TC
Fig. 2.4 Particolare della tecnologia slip ring
hanno portato allo sviluppo di anodi rotanti, in grado di produrre un fascio eterogeneo di radiazioni mediante diametri elevati e macchie focali capaci di fornire la risoluzione spaziale richiesta dalla TC con un adeguato rapporto segnale-rumore. Strutturalmente il tubo radiogeno è costituito da un involucro, mantenuto sotto vuoto tramite pompe, che contiene sia il catodo sia l’anodo (Fig. 2.6a). Tale involucro può essere di vetro in borosilicato – che, a fronte di un ottimo isolamento termico ed elettrico, è soggetto più facilmente a fenomeni di vaporizzazione del tungsteno – oppure (come si osserva nelle moderne TCMS) di metallo. Il catodo è costituito da uno o due filamenti di tungsteno inseriti in un alloggiamento chiamato “coppa focalizzatrice”. L’anodo, formato da un disco collegato a un rotore, è costituito da atomi pesanti, come renio, tungsteno o molibdeno, e possiede una macchia focale che presenta un angolo di inclinazione del target di circa 12° e una velocità di rotazione variabile tra 3500 e 10 000 rpm (rotazioni per minuto). La continua rotazione del complesso tubo-detettore dei moderni scanner TCMS ha spinto l’industria verso la ricerca di dispositivi in grado di gestire gli elevati livelli termici che si vengono a produrre (5-10 MHU [Million Heat Unit: 1 MHU = 740 kJ]). Le potenze fornite dai tubi a raggi X delle TCMS variano normalmente da 20 a 150 kW, con una tensione al tubo compresa in genere tra 80 e 140 kV e una corrente che può raggiungere valori di 800 mA continui, anche se le potenze massime non possono essere sostenute per lunghi tempi di acquisizione per non eccedere i limiti di dissipazione termica del tubo radiogeno.
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Fig. 2.5 Particolare del tubo radiogeno e del sistema di collimazione
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Fig. 2.6 Schema di tubo radiogeno convenzionale con involucro in vetro (a) e di tubo radiogeno modello Straton (Siemens Medical Solutions) (b). (Da Baert [6])
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La vita media di un tubo a raggi X per TCMS varia da 10 000 a 40 000 ore lavorative ed è, quindi, decisamente più elevata di quella dei tubi delle ormai desuete TC convenzionali, che difficilmente superavano le 1000-2000 ore di funzionamento. Particolari attenzioni durante l’attività lavorativa, come effettuare il riscaldamento del tubo dopo un periodo di inattività di qualche ora (variabile a seconda delle caratteristiche dei diversi scanner in commercio), possono comunque contribuire ad allungare la vita media di un tubo radiogeno. Una calibrazione rapida è inoltre consigliata almeno una volta al giorno, per permettere al sistema di controllare il corretto funzionamento del tubo, dei canali di detezione e del sistema di collimazione del fascio radiante [7]. Degna di nota è la scelta costruttiva del tubo a raggi X Straton, della Siemens Medical Solutions, la cui progettazione ricorda la tecnologia electron beam (di cui si parlerà nei successivi capitoli); in tale modello l’anodo e il catodo sono racchiusi in un contenitore ad alto vuoto e ruotano immersi in un bagno d’olio refrigerato (Fig. 2.6b). Il diretto contatto dell’anodo con il bagno d’olio facilità il raffreddamento del tubo, consentendo di eseguire scansioni con alti valori di mA ed elevati tempi di acquisizione [8]. Un altro aspetto che ha caratterizzato la ricerca costruttiva dei tubi radiogeni dei tomografi TCMS è il tentativo di minimizzare le radiazioni secondarie, che provocano un aumento dell’esposizione dosimetrica e deteriorano il contrasto dell’immagine. A tale scopo i vari costruttori di TC hanno adottato speciali finestre di uscita del fascio di raggi X o dispositivi per sopprimere gli elettroni di scattering.
2.2.3 Filtrazione
Il fascio di raggi X prodotto dall’interazione tra gli elettroni emessi dal catodo e gli atomi dell’anodo è tipicamente multienergetico (o policromatico). Ciò accade perché la tensione applicata all’anodo non è perfettamente continua per le impurità contenute nella struttura dell’anodo, per le multiple interazioni degli elettroni incidenti sugli atomi dell’anodo (che ha uno spessore finito) e per la natura continua e composita della radiazione di frenamento (Bremsstrahlung). Tuttavia la legge di Lambert-Beer, che descrive l’attenuazione dei raggi X da parte della materia e governa il processo di formazione dell’immagine in TC, ha come presupposto l’utilizzo di un fascio monocromatico: per realizzare questa condizione sono stati messi a punto vari dispositivi di filtraggio del fascio radiante. In TC la filtrazione viene utilizzata principalmente per due motivi: in primo luogo, per eliminare dallo spettro del fascio in uscita i raggi X che – per la loro lunghezza d’onda – non fornirebbero alcun contributo alla formazione dell’immagine, ma contribuirebbero comunque ad aumentare la dose erogata al paziente; in secondo luogo la filtrazione ha, come si è detto, lo scopo di produrre un fascio il più possibile omogeneo, che tenda quindi ad avere un’attenuazione dipendente solo dalle caratteristiche dei tessuti che va ad attraversare [9]. I principali e più comuni filtri utilizzati sono i cosiddetti flat filter, normalmente costituiti da metalli, quali rame e alluminio, in grado di assorbire le componenti a bassa energia del fascio di raggi X. In aggiunta a questi, sono stati recentemente introdotti altri filtri in grado di conformare il fascio di raggi X alla forma dell’oggetto da esaminare. Questi filtri, chiamati bowtie filter, sono costituiti di materiale con basso numero atomico ed elevata densità, come il teflon; il loro ruolo non è quello di indurire il fascio, bensì di diminuire la radiazione erogata nelle zone a minor spessore, mantenendo costante il rumore dell’immagine. Normalmente questi filtri sono presenti in numero limitato sugli
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scanner TC (tipicamente per il distretto toraco-addominale e il cranio), sebbene l’ideale sarebbe poter usufruire di un’ampia gamma di filtri in grado di adattarsi alle variazioni di taglia e conformazione dei pazienti. L’utilizzo di tali filtri richiede particolare attenzione nella procedura di centraggio del paziente e nella scelta del campo di vista, in quanto errori in queste fasi dell’esame TC possono addirittura causare un incremento della dose erogata al paziente [10].
2.2.4 Collimazione
In radiologia tradizionale la collimazione ha lo scopo di restringere e adattare il fascio di raggi X al distretto anatomico da indagare. Anche in TC la collimazione del fascio assume particolare importanza, poiché influenza sia la qualità dell’immagine sia la dose radiante erogata al paziente. Normalmente in TC vengono indicati due diversi tipi di collimatori: pre-paziente e post-paziente (o pre-rivelatore). I collimatori pre-paziente sono costituiti di materiale a elevato peso atomico e sono collocati nelle immediate vicinanze del tubo radiogeno: la loro apertura determina l’ampiezza del fascio di raggi X necessario per illuminare i detettori nelle loro varie configurazioni geometriche (Fig. 2.7). Nei vecchi scanner TC di prima e seconda generazione, e nelle apparecchiature TC spirali a singolo strato (TCSS), la collimazione pre-paziente determinava anche lo spessore dello strato dell’immagine acquisita, mentre nelle macchine TCMS lo spessore dello strato viene regolato dall’apertura dei singoli canali del detettore. La collimazione post-paziente era presente nei tomografi TCSS e aveva il compito di rimuovere la componente di scattering del fascio di raggi X; essa era posizionata vicino ai detettori in modo da disegnare il profilo dello strato. Questo secondo tipo di collimazione è assente nelle attuali apparecchiature TCMS, nelle quali la collimazione post-paziente
Fig. 2.7 Nello schema la posizione della macchia focale, del collimatore e dei detettori in uno scanner TCMS
2 Principali componenti di uno scanner TC
viene determinata dalla dimensione dei canali del detettore e dai setti che si interpongono tra le varie celle di detezione [6].
2.2.5 Detettori
I detettori rappresentano il sistema di rilevazione dei fotoni prodotti dal tubo radiogeno ed emergenti dal distretto anatomico irradiato (Fig. 2.8). La loro funzione è trasformare l’energia dei fotoni che fuoriescono dal paziente in segnali elettrici da utilizzare per la formazione dell’immagine. Le principali caratteristiche che differenziano i vari tipi di detettori sono: l’efficienza, ovvero la loro capacità di rilevare i fotoni e convertirli in segnali elettrici; la stabilità, ovvero la capacità di rispondere in maniera costante a una stessa densità di fotoni che raggiungono il detettore; il tempo di risposta, che esprime la velocità con cui il detettore può registrare un fotone e rendersi nuovamente disponibile per la ricezione successiva. I detettori hanno conformazione curvilinea e ciò consente
Fig. 2.8 Varie tipologie di detettori di TCMS. (Da Buzug [9])
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una collimazione ottimale del fascio emergente dal paziente, permette di ridurre le radiazioni secondarie e assicura una distanza costante tra tubo e detettori, che si traduce in una migliore ricostruzione delle immagini [11]. Nei moderni sistemi TCMS i detettori sono costituiti da materiali allo stato solido, formati da un cristallo di scintillazione accoppiato a un fotodiodo. Quando colpisce il cristallo, il raggio X genera un fotone luminoso che viene prima amplificato da un foto-amplificatore e poi trasformato in un elettrone mediante il fotodiodo; questi segnali elettrici vengono quindi campionati e trasformati in segnali digitali, che porteranno alla produzione dell’immagine. Nei vecchi sistemi TC erano presenti anche detettori allo stato gassoso, costituiti da camere di ionizzazione contenenti gas mantenuti ad alta pressione (principalmente xenon). In questo caso, quando il fotone colpisce il gas presente all’interno della camera, ne causa la ionizzazione; i corrispondenti ioni positivi e negativi migrano verso le armature della camera di ionizzazione, producendo una corrente direttamente proporzionale alla quantità di fotoni X incidenti. I detettori allo stato gassoso presentavano un’elevata stabilità, tempi di risposta rapidi e un minor costo rispetto a quelli allo stato solido, ma avevano un’efficienza decisamente inferiore. Con l’introduzione della tecnologia TCMS, i detettori gassosi sono stati completamente sostituiti da quelli allo stato solido. La separazione delle singole celle del detettore viene realizzata mediante setti che non contribuiscono alla rilevazione del segnale: ciò determina una perdita di segnale (ossia uno spreco di dose radiante), che dipende dalla configurazione geometrica dei detettori e si somma a quella causata dalla caduta di sensibilità alla periferia del detettore: in totale, la perdita di sensibilità è stata calcolata intorno al 10-20%. Per compensare tali perdite è necessario aumentare l’intensità della radiazione, ovvero – purtroppo – la dose radiante erogata al paziente.
2.2.6 DAS (Data Acquisition System)
Il DAS (Data Acquisition System) è il sistema deputato a collezionare e a convertire in digitale il segnale analogico proveniente dai detettori. È il numero di canali del DAS e non il numero di corone di detettori a definire il numero di strati che si possono acquisire indipendentemente in maniera simultanea. All’aumentare del numero di corone di detettori, aumenta anche il numero di dati gestiti, e ciò impone una modifica dei circuiti tradizionali. I circuiti montati sugli odierni scanner sono DAS di tipo ASIC (Application Specific Integrated Circuit): questi, oltre ad avere dimensioni notevolmente ridotte, hanno una maggiore capacità di trasferire dati con una notevole riduzione del rumore elettronico. La riduzione del rumore, che è dell’ordine del 25%, ha consentito una sensibile riduzione della dose radiante erogata al paziente [12].
2.2.7 Lettino porta-paziente
Il lettino (o tavolo) porta-paziente è costituito da materiale in fibra di carbonio, il cui basso numero atomico consente la minore interazione possibile con il fascio di radiazioni X, determinandone un’attenuazione vicina allo zero ed evitando la produzione di radiazioni secondarie diffuse. L’indispensabile presenza di questo supporto, posto tra il pa-
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ziente e il sistema di rilevazione, non provoca quindi alcun significativo aumento di dose ed evita la comparsa di artefatti nelle immagini. Il lettino poggia su un dispositivo che, attraverso un sistema idraulico, ne permette il movimento verticale (normalmente per un’escursione compresa fra 30 e 120 cm) e lo scorrimento all’interno del gantry (entro un intervallo di circa 200 cm). Dal punto di vista progettuale, il lettino deve consentire spostamenti millimetrici e precisi, indispensabili soprattutto negli studi che richiedono avanzamenti progressivi anche minimi, come nelle acquisizioni con tecnica sequenziale per l’esame del menisco del ginocchio o delle piccole strutture dell’orecchio interno. L’escursione verticale – e, quindi, l’altezza del lettino da terra – ha un valore massimo di cui è importante tener conto per evitare collisioni con il gantry, soprattutto quando si utilizzano tecniche di acquisizione sequenziale che prevedono un’inclinazione del gantry stesso (come nello studio dell’encefalo o della colonna lombosacrale). Per le acquisizioni di routine con macchine TCMS, invece, l’altezza di lavoro del lettino porta-paziente è sempre quella che permette di allineare la regione anatomica in esame con l’isocentro del gantry, che rappresenta il punto in cui l’asse centrale del fascio e l’asse di rotazione del gantry si incontrano [13]. Un’altra importante caratteristica del lettino porta-paziente è il peso che è in grado di sostenere. Generalmente ogni casa produttrice indica una capacità di carico massimo, che nelle apparecchiature più recenti è intorno ai 200 kg, con un limite di precisione nello spostamento longitudinale del lettino di circa 1-2 mm. Viene anche fornita una velocità massima di avanzamento, che può raggiungere i 100 mm/s per gli scanogrammi e superare i 50 mm/s per l’imaging elicoidale.
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Principi della TC convenzionale e della TC spirale
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F. Paolicchi, L. Faggioni, R. Lazzarini
Indice dei contenuti 3.1 3.2 3.3 3.4
La formazione dell’immagine in TC Principi fisici della formazione dell’immagine Evoluzione tecnologica dei sistemi TC TC spirale Bibliografia
3.1 La formazione dell’immagine in TC Nella radiografia convenzionale il fascio di raggi X diretto al paziente fuoriesce dalla superficie opposta con intensità variabile a seconda dell’attenuazione differenziale che incontra durante il suo percorso e viene infine registrato su un dispositivo di visualizzazione bidimensionale. La principale limitazione della radiografia convenzionale è dovuta alla sovrapposizione di strutture tridimensionali su una superficie bidimensionale, fenomeno che rende spesso impossibile visualizzare dettagli anatomici. Sebbene le immagini possano essere acquisite da diverse angolazioni (proiezioni laterali, oblique ecc.), il problema della sovrapposizione dei tessuti non può essere risolto e rende assai difficile differenziare organi e tessuti con densità poco diverse. Per questo motivo, prima dell’introduzione delle tecniche di imaging tridimensionale i radiologi necessitavano di un “allenamento mentale” per ricostruire l’anatomia tridimensionale del paziente basandosi su una o più proiezioni radiografiche e rilevare eventuali alterazioni. Il grande vantaggio della tomografia (dal greco τόμος e γραφία, immagine a sezioni) è stato quello di superare le limitazioni della radiografia convenzionale. In una tomografia le informazioni ottenute misurando l’attenuazione del fascio di raggi X con diverse proiezioni (ruotando di 360° intorno al paziente) vengono opportunamente integrate, mediante un calcolatore, per ricostruire l’immagine di una sezione del corpo del paziente. Ciascuna zona dell’immagine di una sezione ha un’intensità luminosa direttamente Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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correlata alle proprietà di attenuazione locale dei raggi X: le strutture anatomiche presenti nella sezione sono visibili e non risultano mai occultate da altre strutture (Fig. 3.1). L’immagine-sezione TC, quindi, non presenta i problemi di sovrapposizione tipici dell’immagine radiografica.
3.2 Principi fisici della formazione dell’immagine I principi fisici alla base della formazione di un’immagine di tomografia computerizzata possono essere ricondotti a tre differenti fasi: 1. acquisizione; 2. elaborazione; 3. visualizzazione.
3.2.1 Acquisizione
Per produrre l’immagine, tutti i dati provenienti dal paziente devono essere acquisiti, cioè registrati sistematicamente. A seconda del metodo di scansione, l’acquisizione dei dati può essere di tipo sequenziale o volumetrico. Nella modalità sequenziale (sezione per sezione) il tubo a raggi X ruota intorno al paziente di un angolo di 360°, raccogliendo
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Fig. 3.1 Paziente di 53 anni con carcinoma mammario e dolore all’anca sinistra. a La radiografia del bacino in proiezione AP non mostra apparenti alterazioni strutturali ossee. b L’esame TC rivela la presenza di una metastasi scheletrica osteolitica, con interruzione della corticale, in corrispondenza del pilastro posteriore dell’acetabolo sinistro (freccia). La radiografia non ha consentito di osservare tale reperto a causa della sovrapposizione di tutti i tessuti attraversati dal fascio di raggi X, mentre la TC ha fornito un’immagine analitica di un singolo strato corporeo, separato da quelli circostanti
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informazioni da tutte le proiezioni; al termine della prima rotazione il tubo si ferma, il lettino si sposta in senso longitudinale, e si procede alla successiva scansione fino al completamento del volume da esaminare. Nella modalità volumetrica, invece, il tubo ruota continuativamente intorno al paziente in sincronia con lo spostamento del lettino, disegnando una geometria spirale o elicoidale, come spiegato in dettaglio nel seguito. Durante la scansione i detettori, che ruotano solidali con il tubo radiogeno, effettuano una misurazione della radiazione trasmessa attraverso il paziente da molteplici angoli di visualizzazione (proiezioni o viste), fornendo una mappa di attenuazione dei diversi tessuti che viene utilizzata per ricostruire un’immagine digitale di una sezione assiale, in cui ciascun pixel dell’immagine rappresenta il valore di attenuazione media di ciascun elemento unitario di volume (voxel, volume element) [1] (Fig. 3.2). Per attenuazione si intende la riduzione di energia che il fascio di raggi X subisce quando attraversa un oggetto; essa dipende dal numero atomico degli elementi che compongono il tessuto, dalla densità dei tessuti, dal numero di elettroni per unità di massa (densità elettronica) del materiale attraversato e dall’energia della radiazione. Poiché, con le energie normalmente utilizzate in TC, l’assorbimento del fascio avviene sia per effetto fotoelettrico sia per effetto Compton, il fattore che maggiormente influenza l’attenuazione è la densità elettronica del tessuto [2].
Fig. 3.2 Mentre la radiografia convenzionale è una metodica additiva (in cui l’immagine finale è la risultante dell’attenuazione di tutti i tessuti attraversati dal fascio di raggi X), la TC è una metodica tomografica, nella quale l’immagine in uscita è la rappresentazione di una sezione del corpo, distinta dagli strati adiacenti, ottenuta misurando i profili di attenuazione di un fascio collimato di raggi X attraverso multiple viste angolari dello strato in esame
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Un requisito fondamentale per la misurazione dell’attenuazione dei tessuti è che il fascio di raggi X sia omogeneo (o monocromatico, o monoenergetico), cioè costituito da fotoni aventi la stessa energia. Quest’ultima caratteristica è essenziale per soddisfare la legge di Lambert-Beer, che descrive in termini quantitativi l’interazione energetica tra fotoni X e materia I t = I 0 e − μΔx dove It e I0 rappresentano, rispettivamente, l’energia del fotone trasmesso e quella del fotone incidente, μ il coefficiente di attenuazione lineare media del tessuto in questione, Δ x lo spessore di tessuto attraversato ed e la base dei logaritmi naturali. L’obiettivo della tomografia computerizzata è quindi determinare il valore del coefficiente di attenuazione lineare, che si può ottenere dalla legge di Lambert-Beer risolvendo l’equazione rispetto a μ
μ=−
1 I ln t Δx I 0
Poiché in TC i valori di It, I0 e Δx sono noti, in quanto misurabili dal sistema, possiamo di conseguenza ottenere il valore di μ. Come abbiamo detto, però, la legge di LambertBeer è valida solo nel caso di un fascio omogeneo, mentre la TC è costituita da un fascio eterogeneo (o multienergetico). Per risolvere questo problema occorre ragionare in termini di numero di fotoni che attraversano il tessuto piuttosto che di intensità del fascio: di conseguenza, l’equazione di Lambert-Beer può essere riscritta come N t = N 0 e − μΔx dove Nt è il numero di fotoni trasmessi, N0 il numero di fotoni incidenti, Δ x lo spessore del tessuto, μ il suo coefficiente di attenuazione lineare ed e la base dei logaritmi naturali. Occorre considerare, infine, che il corpo di un paziente non è costituito da un unico tipo di sostanza, bensì da diversi tessuti e molecole (aventi quindi diversa densità), ognuno con un proprio coefficiente di attenuazione lineare. Di conseguenza, il numero di fotoni che attraversano il tessuto è N (t ) = N 0 e
− ( μ1ds + μ 2 ds +…)
t
= N 0e
− ∫ μ (σ ) dσ 0
= N 0 e − p(t )
ovvero la somma dei coefficienti di attenuazione lineare media dei vari tessuti; la funzione p(t) viene denominata proiezione lungo la direzione del fascio e riveste un ruolo centrale ai fini della ricostruzione dell’immagine. Il valore ottenuto da ciascuna vista è quindi costituito da un numero che rappresenta l’intensità del fascio che fuoriesce dal paziente. Ciò non fornisce ancora informazioni sui contributi dei singoli tessuti all’attenuazione totale di ciascun fascio e nemmeno sulla loro precisa localizzazione spaziale. Per avere una localizzazione spaziale dei vari tessuti e una misura della loro attenuazione lungo ciascuna vista occorre misurare un numero elevato (centinaia) di proiezioni, ottenendo diversi profili di attenuazione fotonica, di cui è possibile calcolare la distribuzione.
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3.2.2 Elaborazione
La fase di elaborazione dei dati consiste in un processo fisico-matematico cui vengono sottoposti i coefficienti di attenuazione media di ciascun voxel della sezione acquisita mediante un numero elevato di “viste” angolari. Le moderne apparecchiature TC utilizzano il metodo della retroproiezione filtrata (Filtered Backprojection, FBP). Tale metodo consiste nel retroproiettare il valore numerico di attenuazione di ciascun fascio lungo la sua stessa traiettoria verso il campo di ricostruzione, ottenendo un insieme di valori numerici per ciascun punto del campo di ricostruzione; trasformando questi numeri in corrispondenti toni di grigio, si ottiene un’immagine che rappresenta un’approssimazione dell’oggetto esaminato. La semplice operazione di retroproiezione produce però valori imprecisi, in quanto i valori numerici dei singoli punti ricevono contributi anche dai punti adiacenti, generando quindi un’immagine distorta dell’oggetto esaminato (per esempio, la rappresentazione mediante retroproiezione non filtrata di un oggetto circolare dà luogo a una forma a stella). Per eliminare questa imprecisione (che determina un artefatto detto blurring), prima di essere retroproiettati i dati grezzi vengono modificati mediante un processo matematico detto convoluzione che, in parole semplici, modifica il valore di un raggio in base al valore di quelli vicini (Fig. 3.3). Ai dati grezzi possono essere applicati numerosi tipi di filtri in grado di modificare le caratteristiche dell’immagine, esaltandone alcuni aspetti e riducendone altri; questi filtri sono illustrati nei prossimi capitoli (Fig. 3.4). L’immagine TC viene prodotta su una matrice normalmente di 512× 512 pixel, dove a ciascun pixel (corrispondente a un voxel, se ragioniamo tridimensionalmente) corrisponde un particolare valore di attenuazione. Per poter visualizzare l’immagine, occorre trasformare i valori di attenuazione media di ciascun pixel in un proporzionale valore di tonalità di grigio; tale valore prende il nome di numero TC o numero Hounsfield, e viene calcolato mediante l’equazione HU = k
μt − μ w μw
dove μ t e μ w rappresentano rispettivamente il coefficiente di attenuazione lineare del tessuto e dell’acqua e k è un fattore di scala che determina il livello di contrasto (normalmente k = 1000). I numeri TC vengono quindi calcolati prendendo come riferimento il valore di attenuazione dell’acqua, cui viene attribuito un valore pari a zero; tessuti con densità maggiore dell’acqua avranno valori maggiori di zero (sovraidrici), mentre tessuti con densità inferiore avranno valori negativi (Fig. 3.5). Nelle TC attuali, in cui la profondità del pixel è pari a 212 (ovvero 4096 differenti valori), normalmente le unità Hounsfield hanno una scala che varia da –1024 HU a +3071 HU.
3.2.3 Visualizzazione
La scala di grigi così ottenuta viene riprodotta su un monitor (CRT o LCD); tuttavia tali dispositivi di visualizzazione, così come i supporti per hard copy, consentono di differenziare solo un limitato numero di livelli di grigio. Di conseguenza, nella conversione dell’immagine numerica in immagine visibile non vi sarebbe una risoluzione sufficiente
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Fig. 3.3 Schema della retroproiezione semplice e di quella filtrata. Notare come la sfocatura (blurring) dell’immagine ottenuta mediante retroproiezione semplice scompare utilizzando la retroproiezione filtrata (Da Buzug [3])
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Fig. 3.4 Impiego di diversi filtri di convoluzione. a Sezione TC di un torace con finestra di visualizzazione per parenchima polmonare e filtro standard (a media frequenza), in cui è visibile un nodulo polmonare (freccia). b Stessa sezione dell’immagine precedente con identica finestra di visualizzazione e filtro per parenchima polmonare (ad alta frequenza). Nell’immagine (b) i contorni del nodulo e l’interstizio polmonare appaiono più netti a fronte di un maggior rumore, in quanto il filtro ad alta frequenza esalta i bordi delle strutture (edge enhancement) e il rumore, che con la retroproiezione filtrata vengono codificati prevalentemente attraverso le alte frequenze del segnale. Ricostruzione sul piano coronale con filtro standard (c) e con filtro per i tessuti molli (d) di una colografia TC eseguita a bassa dose radiante in regime di screening oncologico. L’immagine (d) è meno rumorosa, ma presenta bordi meno definiti per l’attenuazione delle alte frequenze del segnale
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Fig. 3.5 Numeri TC di diversi tessuti corporei
per rilevare dettagli fini e discriminare tra tessuti con minima differenza di contrasto. L’occhio umano, inoltre, è in grado di differenziare soltanto un numero limitato di livelli di grigio e se venisse rappresentata sull’immagine tutta la scala Hounsfield, piccole variazioni di densità sfuggirebbero all’operatore [4]. Si preferisce quindi rappresentare in livelli di grigio soltanto un certo intervallo di numeri TC, corrispondenti alle strutture di maggiore interesse in rapporto al quesito clinico e al distretto anatomico in esame. Questo intervallo è determinato da una finestra di visualizzazione (window) – la cui ampiezza (Window Width, WW) rappresenta il numero dei coefficienti densitometrici da visualizzare – e da un livello (Window Level, WL), che esprime il valore densitometrico corrispondente al centro della finestra. Ampiezza e livello della finestra di visualizzazione vengono scelti in base al tipo di tessuto da analizzare e possono essere modificati a piacere dall’operatore in maniera istantanea (Fig. 3.6).
3.3 Evoluzione tecnologica dei sistemi TC La tomografia computerizzata nasce negli anni Settanta grazie al lavoro dell’ingegnere Godfrey Newbold Hounsfield e del fisico Allan McLeod Cormack [5, 6], anche se il principio matematico su cui si basa era già stato proposto da Radon nel 1917. Il primo tomografo, l’EMI Mark I, fu montato all’Atkinson Morley Hospital di Londra nel 1971 e consentiva solo l’acquisizione di immagini dell’encefalo [7]. Da allora la TC ha conosciuto un notevole progresso tecnologico, le cui tappe sono rappresentate dalle generazioni.
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Fig. 3.6 Immagine TC di un torace rappresentata con filtro standard e finestra per mediastino (a), per parenchima polmonare (b) e per osso (c). Notare come con ciascuna finestra venga ottimizzata la rappresentazione rispettivamente dei tessuti mediastinici, del parenchima polmonare e delle strutture scheletriche, riducendo allo stesso tempo le differenze di contrasto tra le strutture non di interesse
La prima generazione di scanner TC, di cui faceva parte l’EMI Mark I, era rappresentata da macchine con un fascio di raggi X estremamente collimato e per questo motivo definito “a matita” (pencil beam). Il tubo radiogeno era contrapposto a 1-2 detettori che, dopo una traslazione, compivano in sincronia una rotazione di 1-2 gradi (Fig. 3.7). L’intralcio dei cavi di collegamento consentiva una rotazione di soli 180°, per cui dopo una semirotazione il tubo doveva ruotare in senso opposto. Questo tipo di strumenti TC richiedeva circa 4-5 minuti per l’acquisizione di ogni singola scansione e poteva quindi essere impiegato solo per lo studio di organi privi di movimento, come l’encefalo. L’introduzione della seconda generazione permise per la prima volta l’acquisizione di immagini della regione toraco-addominale. Pur mantenendo il principio della traslazione/ rotazione, gli scanner di seconda generazione erano caratterizzati da un fascio di raggi X di 20-30°, che raggiungevano una serie di detettori disposti linearmente, in numero variabile da 20 a 50. Ai movimenti di traslazione, ridotti rispetto alla prima generazione, erano associate rotazioni di 5°, fino a compiere un totale di 180°. Tale configurazione
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Fig. 3.7 Le quattro generazioni della TC convenzionale. (Da Buzug [3])
produceva un piccolo fascio a ventaglio (fan beam) generato dal tubo radiogeno; i raggi X – contrariamente agli scanner di prima generazione, dove assumevano un andamento parallelo – acquistavano una direzione divergente, richiedendo nuovi algoritmi che tenessero conto del diverso angolo di proiezione del fascio a ventaglio. L’incremento dell’angolo di rotazione, unito all’aumento del numero di detettori, determinò la diminuzione del tempo di scansione, fino ad arrivare a circa 20 secondi; ciò rappresentò una pietra miliare nell’evoluzione della TC, in quanto per la prima volta fu possibile effettuare acquisizioni in tempi che consentivano alla maggior parte dei pazienti l’esecuzione di un’apnea inspiratoria. I tomografi di terza generazione sono stati quelli maggiormente commercializzati e rappresentano il sistema base su cui si sono sviluppati i moderni apparecchi TC multidetettore. Questi tomografi sono caratterizzati da tubi radiogeni con un ampio fascio X
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a ventaglio (circa 30-50°), che ruotano continuativamente intorno al paziente per 360°, eliminando quindi il movimento di traslazione tipico delle prime due generazioni. Il tubo è contrapposto a un arco di rivelatori in numero variabile: da 300, nelle prime apparecchiature, a 800, in quelle più recenti. La terza generazione consentiva di registrare dati molto più velocemente di quanto fosse possibile con le precedenti, con tempi di scansione di 1-3 sec. La quarta generazione, che è in realtà un ampliamento della terza, è costituita da apparecchiature in cui il solo tubo radiogeno ruota intorno a un anello stazionario di detettori; questi ultimi, il cui numero è compreso tra 600 e 4800, sono soltanto del tipo allo stato solido, in quanto quelli gassosi sono grandangolari. Le apparecchiature della quarta generazione sono molto costose a causa dell’elevato numero di detettori e non hanno mai sostituito la terza generazione, su cui si basa l’attuale tecnologia della TC spirale.
3.4 TC spirale Una delle limitazioni della TC convenzionale è il tempo relativamente lungo di acquisizione delle immagini, dovuto al fatto che l’acquisizione di più sezioni lungo l’asse longitudinale richiede l’arresto della rotazione del complesso tubo-detettori e l’avanzamento del tavolo porta-paziente per ogni successiva scansione. Questa tipologia di scansione (detta step-and-shoot) riflette, a sua volta, le caratteristiche meccaniche degli scanner TC convenzionali, nei quali le connessioni elettriche tra parti mobili all’interno del gantry (come il tubo radiogeno e i detettori) e parti fisse (generatore di alta tensione ed elettronica di elaborazione del segnale) sono garantite da cavi che, avendo una lunghezza limitata, impongono che, a ogni avanzamento del tavolo, la scansione successiva sia ottenuta ruotando il complesso tubo-detettori in senso opposto rispetto alla scansione precedente [8]. Verso la metà degli anni Ottanta furono effettuate ricerche che portarono alla messa a punto di sistemi slip ring (ovvero a contatti striscianti), nei quali la connessione tra le componenti mobili situate all’interno del gantry e le componenti situate all’esterno è realizzata mediante anelli di materiale conduttore disposti lungo la circonferenza del gantry, nei quali “pescano” i contatti elettrici delle parti rotanti. In questo modo divenne possibile, oltre all’acquisizione “step-and-shoot”, acquisire dati TC con una rotazione continua del complesso tubo-detettori associata a uno scorrimento continuo del tavolo porta-paziente. La modalità di scansione sopra descritta è detta “spirale” o “elicoidale” in quanto con essa, diversamente dallo schema “step-and-shoot”, non si ha più l’acquisizione di una serie di strati contigui tra loro indipendenti, bensì un volume continuo di dati di attenuazione fotonica, che può essere rappresentato in forma spazio-temporale come un’elica, il cui spessore corrisponde alla collimazione del fascio radiante e la cui ampiezza dipende dalla velocità di avanzamento del tavolo porta-paziente. A differenza di quanto si verifica in TC convenzionale, la generazione di immagini assiali dal volume elicoidale acquisito non è diretta ma richiede l’esecuzione di un processo di interpolazione matematica, in cui i voxel delle sezioni assiali ricostruite hanno valori di densità e posizione dipendenti dalla posizione angolare del complesso tubo-detettori e da quella longitudinale del tavolo porta-paziente nel tempo (Fig. 3.8).
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Fig. 3.8 Mentre la TC convenzionale (a) si basa sull’acquisizione sequenziale di strati successivi mediante tecnica step-andshoot (registrazione dati e tavolo fermo - tubo spento e avanzamento del tavolo - registrazione dati dello strato successivo con rotazione del complesso tubo-detettori in senso opposto e tavolo fermo...), la TC spirale (b) prevede la rotazione continua del complesso tubo-detettori accoppiata alla traslazione continua del tavolo, comportando una geometria di scansione elicoidale (o spirale) che necessita di un processo di interpolazione matematica dei dati grezzi ottenuti per la generazione di immagini assiali
Un fattore determinante nell’acquisizione dei dati in TC spirale è il pitch, ovvero il passo dell’elica, definito come p=
vt s
dove v è la velocità di avanzamento longitudinale del tavolo porta-paziente, t il tempo di rotazione del complesso tubo-detettori e s lo spessore nominale di strato (cioè la collimazione del fascio radiante). Valori di pitch più elevati comportano, a parità degli altri parametri di scansione, una riduzione direttamente proporzionale del tempo di scansione e della dose radiante somministrata al paziente, ma causano un allargamento del profilo di sensibilità di strato come conseguenza di un sottocampionamento (per valori di pitch superiori a 1) dei dati di attenuazione, e ciò si traduce in un peggioramento della risoluzione spaziale longitudinale: in altri termini, lo spessore effettivo di strato è maggiore di quello nominale come effetto della minore accuratezza del processo di interpolazione [8-11] (Fig. 3.9). È stato rilevato che un valore di pitch intorno a 1,4 rappresenta un compromesso ottimale tra qualità dell’immagine e velocità di acquisizione [12]. Inoltre, dovendo scegliere – a parità di tempo complessivo di scansione – tra lavorare con collimazione del fascio spessa e basso pitch, da un lato, e collimazione del fascio sottile ed elevato pitch, dall’altro, quest’ultima opzione è preferibile, dato che il peggioramento della risoluzione spaziale longitudinale conseguente all’aumento della collimazione del fascio radiante è di gran lunga superiore rispetto a quello indotto da un alto pitch [13].
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Fig. 3.9 Aumentando il valore del pitch si allarga il profilo di sensibilità dello strato come conseguenza della minore frequenza di campionamento dei dati, che comporta una minore accuratezza del processo di interpolazione. In altri termini, all’aumentare del pitch lo spessore effettivo di strato è via via maggiore dello spessore nominale, corrispondente alla collimazione del fascio
I vantaggi della TC spirale rispetto alla TC convenzionale sono notevoli. 1. La scomparsa dei tempi morti necessari per l’avanzamento del tavolo porta-paziente in TC convenzionale consente una drastica riduzione del tempo di acquisizione delle immagini, rendendo possibile l’esecuzione di studi TC dell’intero torace o addome in una singola apnea, o addirittura esami TC comprendenti sia il torace sia l’addome (total body) in un’unica seduta e con una singola iniezione di mezzo di contrasto endovena (d’ora in poi abbreviato in “mdc ev”). Questo, peraltro, contribuisce a una maggiore accuratezza diagnostica dei dataset ottenuti, grazie alla riduzione degli artefatti da movimento e del rischio di disallineamento delle immagini consentita dal minor tempo di scansione e dall’acquisizione in apnea singola [14]. 2. La maggior rapidità di acquisizione permette di ridurre in maniera considerevole la quantità di mdc ev per gli esami contrastografici, con evidenti benefici in termini sia di sicurezza del paziente sia di costi gestionali [15]. 3. Dato che le immagini vengono ricostruite a posteriori, mediante interpolazione a partire da un volume continuo di dati grezzi di attenuazione, si possono generare sezioni tra loro parzialmente sovrapposte senza irradiare ulteriormente il paziente, scegliendo un intervallo di ricostruzione delle immagini inferiore alla collimazione del fascio: ciò consente di ridurre eventuali artefatti da movimento (come quelli da respiro o da pulsatilità cardiaca) e di migliorare la qualità di elaborazioni 2D e 3D riducendo gli artefatti a gradino (stairstep artifacts), che si verificano quando si elaborano dataset con spessore di sezione troppo elevato [8-11]. Viceversa, quando si generano sezioni tra loro contigue, l’intervallo di ricostruzione viene posto uguale alla collimazione del fascio. 4. La maggiore velocità di acquisizione consente di effettuare in tempi relativamente contenuti studi volumetrici a elevata risoluzione spaziale, ottenendo – con l’impiego di collimazioni del fascio sottili e di elevati gradi di sovrapposizione delle immagini –
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Fig. 3.10 Studio del massiccio facciale effettuato mediante TC spirale a strato sottile dopo mdc ev in paziente con trauma facciale maggiore e deficit neurologico. L’immagine assiale (a) e la ricostruzione tridimensionale (Volume Rendering) (b) mostrano plurime fratture (frecce); lo studio angio- TC (c, d, e) dei vasi cerebroafferenti rivela la presenza di una dissezione con pseudoaneurisma su base post-traumatica dell’arteria carotide interna sinistra (frecce). Indagine eseguita con collimazione del fascio di 1 mm, intervallo di ricostruzione 0,5 mm, pitch 1,5
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risoluzioni spaziali longitudinali impensabili con la TC convenzionale (virtualmente 20 MeV
Protoni Particelle alfa, frammenti di fissione nuclei pesanti
Fattori di peso Q f (ICRP 103) 1 1 5 10 20 10 5 5 20
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poiché può uccidere le cellule e causare cambiamenti degenerativi nei tessuti che sono stati esposti alla radiazione. La dose soglia per alcuni effetti deterministici può essere raggiunta solo se un paziente si sottopone a un numero elevato di esami. Per esempio, la dose soglia per la cataratta è di 2 Gy: considerando che in una TC del cranio la dose agli occhi è di circa 50 mGy, per raggiungere la dose soglia sono necessarie 40 TC del cranio. Gli effetti stocastici sono invece quei danni la cui probabilità di verificarsi è direttamente proporzionale alla dose assorbita. Il verificarsi di un effetto stocastico non richiede dunque il superamento di alcuna soglia (Linear No Threshold, LNT), ma la probabilità che si verifichi l’evento è tanto più alta quanto maggiore è il tempo di esposizione del soggetto a radiazioni ionizzanti. Tali effetti non mostrano gradualità di manifestazione con la dose ricevuta, ma sono del tipo “tutto o nulla” quale che sia la dose; così, perfino una piccola dose può determinare l’insorgenza dell’evento. Tali danni sono considerati tardivi, poiché si verificano dopo un tempo di latenza molto lungo. Il modello lineare senza soglia afferma quindi che non esiste una dose, per quanto piccola, che non possa produrre un danno e, allo stesso tempo, che non esiste un incremento di dose, per quanto piccolo, al quale non corrisponda un incremento del rischio di induzione neoplastica, secondo una relazione lineare. L’ipotesi dell’LNT ha permesso di sviluppare l’attuale sistema di radioprotezione basato sui principi di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi, affinché queste siano mantenute ai livelli più bassi ottenibili, nell’assunzione che i danni stocastici possono essere limitati ma non del tutto prevenuti [4]. Gli effetti determinati dalle radiazioni dipendono da vari fattori, tra i quali principalmente l’istotipo e l’organizzazione strutturale del tessuto esposto alla radiazione. I tessuti che costituiscono il corpo umano differiscono tra loro anche in base alla diversa radiosensibilità: esistono tessuti molto sensibili alle radiazioni e altri meno. I tessuti più sensibili sono quelli più ricchi di substrati cellulari in continua proliferazione, quali il tessuto emopoietico, i linfonodi, il tessuto epiteliale, le mucose enteriche e quei tessuti poco differenziati nei quali le cellule non hanno ancora raggiunto il livello finale di specializzazione funzionale; i tessuti con minore radiosensibilità sono invece quelli più differenziati, come il tessuto muscolare, il tessuto nervoso, il tessuto epatico e quello renale. Detto ciò, occorre considerare che, a parità di dose somministrata, l’effetto che si determinerà sui vari organi sarà diverso in base alla radiosensibilità del tessuto considerato e perciò per ogni tessuto esisterà una soglia di dose variabile per l’induzione degli effetti deterministici. Per quanto riguarda invece gli effetti stocastici, quanto più un tessuto è radiosensibile tanto maggiore sarà la probabilità di arrecargli un danno anche con basse dosi rispetto a un tessuto più radioresistente.
9.3 Descrittori di dose in TC: MSAD, CTDI e DLP Tutti i modelli di tomografi computerizzati riportano, prima dell’esecuzione di una scansione e spesso anche in un report separato presente nel record relativo al paziente, i valori della dose erogata durante l’intero esame e per ogni singola scansione. Oggi i due principali descrittori della dose sono il CTDI (Computed Tomography Dose Index) e il DLP (Dose Length Product); in passato era utilizzato anche il MSAD (Multiple Scan Average Dose), qui descritto esclusivamente per motivi storici.
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9.3.1 MSAD Il MSAD (Multiple Scan Average Dose) è stato il primo descrittore di dose per la tomografia computerizzata e rappresenta il valore della dose ottenuto da una serie di scansioni sequenziali, cioè con spostamenti longitudinali di valore determinato (bed index) del lettino porta-paziente al termine di ogni rotazione del complesso tubo-detettori. Ciascuna acquisizione è caratterizzata da un tipico profilo di dose a forma di campana, dove l’integrale dell’area sottesa rappresenta il valore della dose erogata; sommando i valori delle dosi relative alle varie scansioni sequenziali eseguite, si ricava la dose totale fornita al paziente, come indicato in Fig. 9.2. Nelle zone in cui le diverse campane tendono a sovrapporsi avremo un valore di dose più elevato di quello ottenuto per ogni singola scansione. Il valore del MSAD può essere calcolato eseguendo una campionatura del valore dei massimi e dei minimi della curva ottenuta sommando le diverse scansioni. Matematicamente può essere espresso con la formula MSAD = CTDI ×
SW BI
dove CTDI è il valore della dose erogata per ogni singola scansione, SW è lo spessore dello strato in millimetri e BI lo spazio presente tra una scansione e quella successiva, generato dal movimento del lettino. L’introduzione delle moderne TC multistrato con tecnica di acquisizione volumetrica spirale ha determinato la perdita di importanza del MSAD, strettamente collegato alla tecnica di scansione sequenziale.
a
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c Fig. 9.2 Profilo di dose “ideale” di un singolo strato (a). Profilo di dose “reale” di un singolo strato (b). Profilo di dose “ideale” di 5 strati consecutivi (c). Profilo di dose “reale” di 5 strati consecutivi (d)
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9.3.2 CTDI Il concetto di CTDI (Computed Tomography Dose Index) è stato introdotto da Shope e collaboratori nel 1981 [5], definendolo come “l’integrale del profilo di dose lungo l’asse z di una singola scansione, normalizzato per lo spessore dell’immagine acquisita”. Shope e collaboratori evidenziarono che, introducendo un’opportuna correzione per l’intervallo di spazio presente tra una scansione e quella successiva, il CTDI permetteva di determinare il valore del MSAD in modo più semplice e standardizzato. Per quantificare il CTDI, la dose di una singola scansione veniva misurata mediante una camera di ionizzazione lunga 100 mm e l’integrale di dose veniva poi normalizzato rispetto al valore nominale dell’ampiezza del fascio; il CTDI non rappresenta, quindi, la dose in un punto, bensì la dose media di un volume. Occorre precisare che, a causa di fenomeni di scattering e di diffusione della radiazione, il profilo di dose di una singola scansione si estende oltre i limiti della collimazione nominale del fascio. Le regioni del profilo di dose situate all’esterno della collimazione nominale del fascio vengono chiamate “code” della distribuzione di dose e contribuiscono significativamente alla dose fornita al paziente, pur non contribuendo alla formazione dell’immagine visualizzata sul monitor. Il CTDI rappresenta quindi l’integrale dell’area del profilo di dose della radiazione tenendo conto anche delle “code” del profilo, e dividendo tale valore per l’ampiezza nominale del fascio (Fig. 9.3). Matematicamente può quindi essere espresso dall’equazione 1 CTDI = nT
z2
∫ D ( z ) dz
z1
dove D(z) rappresenta il valore del profilo di dose lungo l’asse z; z1 e z 2 i limiti dell’integrazione; n il numero degli strati acquisiti e T lo spessore nominale del fascio. Nel 1984, negli Stati Uniti, la FDA (Food and Drug Administration) propose di standardizzare la misura del CTDI (CTDIFDA ) introducendo dei limiti di integrazione di ±7T, ovvero un
a
b
Fig. 9.3 Rappresentazione grafica del calcolo del CTDI nel caso di una collimazione pari a n = 2 (a) e n = 8 (b)
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F. Paolicchi et al.
intervallo di integrazione pari a 14 volte lo spessore nominale dello strato d’esame, centrato nel picco del profilo di dose CTDI FDA =
1 nT
+7 T
∫ D ( z ) dz
−7 T
La FDA specificava inoltre l’utilizzo di due fantocci cilindrici in PMMA (polimetilmetacrilato), entrambi di 14 cm di lunghezza (Fig. 9.4): uno con diametro di 16 cm per lo studio della dose relativo agli esami del cranio (head) e uno di 32 cm per gli esami del torace e dell’addome (body). Il CTDI FDA presentava tuttavia il limite di dipendere dallo spessore nominale del fascio. Per superare tale limite e rendere più semplice la misurazione del CTDI, è stata standardizzata la lunghezza della misurazione a un valore di 100 mm, introducendo quindi il concetto di CTDI100, i cui limiti di integrazione sono ± 50 mm CTDI100
1 = nT
+50 mm
∫
D ( z ) dz
−50 mm
Tuttavia, come evidenziato nei precedenti paragrafi, la dose assorbita dalla superficie del distretto esaminato può avere un valore molto diverso da quello della dose che raggiunge il centro del target; quindi il valore del CTDI può variare in base alla posizione lungo il FOV. Per tener conto di tale variazione, è stato introdotto il CTDI pesato (CTDI w), definito come la somma di 1/3 del valore del CTDI100 misurato al centro del fantoccio e di 2/3 del valore del CTDI100 misurato alla periferia del fantoccio 1 2 CTDI w = CTDI w , centro + CTDI w , periferia 3 3 Il CTDI w rappresenta uno dei principali descrittori della dose in TC, viene utilizzato nel documento della Comunità Europea Quality Criteria and Reference Doses in TC ed
Fig. 9.4 Fantocci cilindrici in polimetilmetacrilato di 32 e 16 cm di diametro con alloggiamenti per le camere di ionizzazione
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
115
è il parametro di riferimento ai sensi del DLgs 187/2000 per le verifica dei livelli di dose in Italia (LDR, Livelli di Dose di Riferimento). I valori di CTDI finora esaminati si riferiscono a scansioni di tipo sequenziale, cioè con il letto porta-paziente che rimane fermo durante l’acquisizione di ogni singola scansione, e non tengono quindi conto di ciò che succede quando la scansione è spirale. Il CTDI w infatti non prevede alcuna correzione per il valore del pitch utilizzato nella scansione spirale; più recentemente è stato introdotto un nuovo descrittore di dose, il CTDIvol, che si ottiene correggendo il valore del CTDI w con il valore del pitch: CTDI vol =
CTDI w Pitch
Il CTDIvol rappresenta la dose dell’intero volume di scansione per un particolare protocollo di esame e per un definito fantoccio, e fornisce quindi un valore per la valutazione dei vari protocolli di uno specifico scanner e non un valore della dose erogata al paziente. Attualmente i vari tomografi tendono a riportare sia il CTDI w sia il CTDI vol ed è quindi importante fare attenzione a non confrontare i valori dei due diversi descrittori di dose senza considerare anche la possibile variazione causata dal pitch utilizzato durante la scansione spirale. 9.3.3 DLP Il descrittore di dose che caratterizza l’energia totale assorbita dal paziente durante un esame TC – e che può quindi essere utilizzato per effettuare confronti di dose tra i diversi esami TC e le diverse apparecchiature – è il DLP, dose length product, ovvero il valore del CTDI vol corretto per la lunghezza della scansione (l) lungo l’asse z del paziente DLP = CTDIvol × l Anche il valore del DLP viene normalmente riportato sulla consolle del tomografo per fornire al tecnico di radiologia informazioni inerenti la dose erogata durante la scansione (Fig. 9.5). Il valore del CTDI, e di conseguenza anche quello del DLP, presenta tuttavia limitazioni di cui occorre tener conto. Innanzitutto va ricordato che – essendo misurato in un fantoccio cilindrico, standardizzato e di materiale omogeneo – difficilmente il CTDI può simulare in modo accurato le differenze di taglia, forma e attenuazione che si registrano durante l’acquisizione del corpo umano; inoltre il CTDI è espresso come dose in aria e non come dose nel tessuto. Infine, l’integrazione dell’area con uno z di 100 mm può non essere sufficiente per tenere conto in modo corretto delle code di dose che si ottengono con collimazioni maggiori di 10 cm, come nel caso del Toshiba a 256 banchi di detettori, che ha una collimazione nominale del fascio pari a 12 cm [6]. 9.3.4 Misurazione della dose efficace Come abbiamo visto, la dose efficace è un parametro che descrive il rischio prodotto dalla radiazione ionizzante tenendo conto sia del tipo di radiazione utilizzato sia dell’organo
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F. Paolicchi et al.
Fig. 9.5 Esempio di report dosimetrico di una TC multistrato
Tabella 9.2 Fattori di ponderazione raccomandati per i diversi tessuti [7]
Tessuti
N. di tessuti
WT
Contributo totale
Midollo osseo, mammella, colon, polmoni, stomaco, tessuti rimanenti *
6
0,12
0,72
Gonadi
1
0,08
0,08
Vescica, esofago, fegato, tiroide
4
0,04
0,16
Superficie ossea, cervello, ghiandole salivari, pelle
4
0,01
0,04
Tessuti rimanenti (14 in tutto): ghiandole surrenali, regione extratoracica, cistifellea, cuore, reni, linfonodi, muscolo, mucosa orale, (pancreas, prostata, intestino tenue, milza, timo, utero/cervice (W T nominale applicato alla dose media per 14 tessuti)
irradiato. Tale grandezza è l’unica che può consentire un confronto tra le diverse tecniche radiologiche e che permette di informare correttamente il paziente sul diverso rischio associato, per esempio, a una radiografia e a una TC del torace. La stima della dose efficace richiede la conoscenza dei valori di sensibilità alle radiazioni dei diversi organi – normalmente ottenuti con programmi matematici basati su coefficienti ricavati con metodo Monte Carlo, che utilizza un fantoccio ermafrodito per la simulazione dell’interazione dei raggi X – e informazioni sulle caratteristiche del fascio e sulla sua filtrazione, fornite dai vari costruttori. Occorre sottolineare nuovamente che i valori di dose ottenuti da un fantoccio standard forniscono soltanto una valutazione approssimativa della dose agli organi e della dose efficace per ogni singolo paziente. Sebbene il calcolo della dose efficace richieda informazioni precise sulle caratteristiche del tomografo e sull’area anatomica irradiata, è possibile effettuare una rapida stima della dose efficace utilizzando dei coefficienti che consentono di valutare la dose a partire dal valore del DLP e dal distretto corporeo esaminato, con la formula Dose efficace = DLP × k
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
dove k rappresenta un fattore di correzione che dipende dal distretto esaminato. Nella Tabella 9.2 sono riportati i coefficienti di correzione utilizzati per i vari distretti esaminati durante un esame TC, come indicato dal documento 103 dell’ICRP [7].
9.4 Fattori che determinano la dose in TC Numerosi fattori possono influenzare la dose assorbita in un esame TC. Alcuni di questi dipendono strettamente dai parametri che vengono impostati prima di effettuare la scansione e sono quindi sotto diretto controllo dell’operatore (corrente, tensione, pitch, collimazione, centraggio del paziente, numero di fasi acquisite, lunghezza delle scansioni); altri invece dipendono dalle caratteristiche del paziente (dimensione, altezza, età, sesso). Gli stessi parametri possono anche essere suddivisi in due gruppi: parametri che hanno un’influenza diretta sulla dose erogata (corrente, tensione, ecc.) e parametri che, pur non avendo un’influenza diretta, possono tuttavia esercitare un’azione indiretta modificando la qualità dell’immagine ottenuta (filtri di ricostruzione, finestra di visualizzazione ecc.). I diversi parametri sono analizzati singolarmente nei prossimi paragrafi.
9.4.1 Corrente del tubo (mA) e dispositivi di regolazione automatica I mA sono legati al rateo di dose prodotto dal tubo radiogeno. Tra la dose erogata al paziente e la corrente del tubo sussiste un rapporto di linearità, cioè all’aumentare del valore dei mA aumenta proporzionalmente la dose erogata: passando, quindi, da un valore di 100 mA a un valore di 200 mA, la dose erogata raddoppia. Per evitare valutazioni errate in sede di confronti, occorre fare attenzione alle diversa modalità con cui le case produttrici riportano il valore della corrente del tubo; alcuni strumenti infatti riportano tale valore, anziché in mA, in mAs, tenendo quindi conto anche del tempo di rotazione del tubo. Con l’avvento dei tomografi multistrato, alcune aziende produttrici (Siemens, Philips) hanno reso ulteriormente complesso il confronto tra i vari strumenti, introducendo il concetto di mAs effettivi, ovvero un valore di milliampere corretto con il valore del pitch utilizzato durante la scansione (mAs effettivi = mAs/pitch). I mAs effettivi rappresentano probabilmente il metodo più corretto per indicare il valore della corrente del tubo nei moderni strumenti multistrato che utilizzano complessi sistemi di interpolazione dei dati; tuttavia, altre aziende (come General Electric e Toshiba) preferiscono continuare a utilizzare il tradizionale valore di mA o mAs. Negli attuali tomografi multistrato l’erogazione dei mA viene comunemente controllata da sistemi di regolazione automatica (AEC, Automatic Exposure Control), cioè dispositivi in grado di modulare la corrente del tubo in base al diverso livello di attenuazione che il fascio di raggi X incontra durante il suo percorso. L’obiettivo di tali sistemi è mantenere la stessa qualità dell’immagine durante l’intera scansione, tenendo in considerazione sia la dimensione del paziente sia l’attenuazione caratteristica di ciascun tessuto, e ridurre in modo significativo la dose erogata al paziente [8]. Infatti, nei vecchi scanner privi di regolazione automatica dell’esposizione la scelta dei mA veniva effettuata basandosi sul tessuto a più alta attenuazione del distretto esaminato, provocando
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F. Paolicchi et al.
un inutile sovradosaggio dei tessuti con minore attenuazione. I sistemi di regolazione automatica dei mA attualmente disponibili sono caratterizzati da tre diverse modalità, che in alcuni casi possono essere utilizzate simultaneamente: modulazione in base alla taglia del paziente (patient size based), modulazione lungo l’asse longitudinale (Z-axis modulation) e modulazione angolare (rotational modulation) (Fig. 9.6). Nella patient size modulation la corrente del tubo viene regolata in base alle dimensioni totali del paziente ottenute mediante l’acquisizione di un scanogramma, in modo da diversificare tra pazienti di diversa taglia. Per ciascuna classe dimensionale dei pazienti viene scelto un appropriato valore di milliamperaggio, che si utilizza per l’intera scansione. Il valore di mA da utilizzare per ciascuna taglia viene settato in base a un’immagine di riferimento precedentemente memorizzata dalla casa produttrice. Il razionale della Z-axis modulation è legato invece alla differente attenuazione del fascio che distretti anatomici diversi possono determinare. In un esame total body di un paziente di normale corporatura, per esempio, è intuitivo che il distretto toracico (costituito in gran parte dai polmoni contenenti aria) avrà un’attenuazione decisamente inferiore rispetto a quella registrata a livello dell’addome superiore (dove sono localizzati organi quali fegato e milza) e, a maggior ragione, a livello dell’addome inferiore (per la presenza delle ossa del bacino). Per ottimizzare la dose erogata durante la scansione, la TC si basa quindi su una mappa di attenuazione misurata lungo l’asse longitudinale del paziente durante l’esecuzione di uno scanogramma, che non serve solo a fornire un’immagine di
a
b
c
d
Fig. 9.6 Differenti dispositivi di modulazione automatica della dose: (a) in base alla taglia del paziente; (b) longitudinale; (c) angolare; (d) longitudinale e angolare (combined)
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
119
riferimento per il posizionamento del FOV della scansione, ma rappresenta una fase importante per la corretta scelta dei mA da utilizzare nella successiva acquisizione. La rotational modulation, o XY modulation, fu introdotta nel 1994 dalla GE Medical System, con il sistema chiamato Smart mA. Questa metodica modula la corrente del tubo a seconda dell’angolo di proiezione, in modo da ridurre i raggi emessi in ciascuna rotazione del tubo. Per esempio nelle proiezioni antero-posteriori e postero-anteriori del cingolo scapolare, dove il fascio subisce un’attenuazione inferiore a quella delle proiezioni laterali, la corrente erogata viene ridotta. Lo Smart mA è basato sulla misurazione della densità delle strutture di interesse in modo da ottenere valori di assorbimento. Queste informazioni sono ottenute tramite i due scanogrammi eseguiti prima della scansione, dai quali il software ricava le dimensioni del paziente e modula la corrente al tubo durante la rotazione di 360°, allo scopo di contrastare le differenze di attenuazione, producendo una costante qualità dell’immagine e riducendo la dose. Lo smart mA, come si è detto, richiede uno scout (tecnica scout-based), ma è possibile ottenere la modulazione della corrente al tubo anche con un sistema on line. Questa modalità è stata inizialmente introdotta dalla Siemens, che ha progettato il CARE Dose, un software in grado di adattare i mAs in tempo reale durante la rotazione. Il tecnico di radiologia imposta la scansione definendo un mA effettivo: per i primi 180° lo scanner utilizzerà quel valore in modalità fissa e per i restanti 180° si baserà sull’attenuazione calcolata durante il primo emigiro. Attualmente le varie case produttrici di scanner tomografici utilizzano sistemi di modulazione della dose “combinati” (combined modulation), cioè sistemi in cui la modula-
Tabella 9.3 Caratteristiche dei sistemi di modulazione automatica della corrente nelle TC a 64 strati
Caratteristica
Scanner TC GE LightSpeed VCT 64 Smart mA
Philips Brillance CT 64 Doseright ACS, Dose-rigth DOM (D DOM, Z DOM)
Siemens Sensation 64 CARE Dose 4D
Toshiba Aquilion 64 SureExposure
Metodo di controllo dell’AEC per l’operatore
Noise index
Reference image
Reference mA
Standard deviation
Metodo di controllo del sistema per il controllo dei mA
Singolo o doppio scout, online control
Singolo o doppio scout
Singolo o doppio scout, online control
Singolo o doppio scout
Modulazione dei mA rispetto alle dimensioni del paziente
Sì
Sì
Sì
Sì
Modulazione dei mA lungo l’asse z
Sì
Sì
Sì
Sì
Modulazione dei mA durante la rotazione
Sì
Sì
Sì
Sì
Software per il controllo automatico dei mA
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F. Paolicchi et al. Tabella 9.4 Lineee guida europee per i livelli diagnostici di riferimento in alcuni esami TC
Esame Encefalo di routine Massiccio facciale Trauma Vertebrale Torace di routine Torace ad alta risoluzione Addome di routine Fegato e milza Pelvi di routine Pelvi per osso
Livelli diagnostici di riferimento CTDI w (mGy)
DLP (mGy × cm)
60 35 70 30 35 35 35 35 25
1060 360 460 650 280 780 900 570 520
Fonte: European Guidelines on Quality Criteria for Computed Tomography, EUR 16262, 1999
zione avviene in modo tridimensionale lungo gli assi x, y e z (Tabella 9.3). L’utilizzo di tali sistemi, rispetto a quelli a milliamperaggio fisso, può ridurre la dose erogata al paziente di oltre il 50%, ma richiede da parte dell’operatore una profonda conoscenza delle differenti strategie messe in atto dalle ditte produttrici. L’operatore, per esempio, deve scegliere con attenzione il livello della qualità dell’immagine che vuole ottenere in base ai diversi sistemi utilizzati dagli AEC dei vari tomografi, che includono il noise index (General Electric), la reference image (Philips), i reference mAs (Siemens), e la standard deviation dei numeri TC (Toshiba) [9]. Non esistendo un parametro assoluto per impostare il livello di qualità dell’immagine TC, gli operatori possono utilizzare come standard di riferimento le linee guida europee sui criteri di qualità in tomografia computerizzata (European Guidelines on Quality Criteria for Computed Tomography); tali raccomandazioni forniscono i valori di CTDI w e DLP consigliati per ciascun distretto corporeo esaminato (Tabella 9.4). 9.4.2 Tensione del tubo La differenza di potenziale applicata tra l’anodo e il catodo determina l’energia massima dei raggi X prodotti. Il rapporto dei kVp con la dose erogata risulta più complesso rispetto a quello dei mAs; in linea di massima si può affermare che esiste una correlazione polinomiale, per la quale se il valore dei kVp viene raddoppiato, la radiazione prodotta subisce un incremento di circa quattro volte [10]. L’aumento dei kVp influenza, inoltre, la capacità con cui i raggi X penetrano attraverso i vari tessuti ed essi tendono quindi a esercitare un effetto sul contrasto dell’immagine (all’aumentare dei kVp il contrasto diminuisce); tale riduzione di contrasto viene comunque ampiamente compensata dalla forte diminuzione del rumore presente nell’immagine. Il valore dei kVp tende comunque a essere mantenuto costante nei vari protocolli TC e da paziente a paziente (di norma 120 kVp, range 80-140 kVp). Valori maggiori di tensione del tubo possono essere giustificati nel caso di acquisizioni di distretti caratterizzati
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da elevati valori di attenuazione, come il bacino, o nel caso di pazienti obesi; allo stesso modo una riduzione del valore dei kVp può essere fortemente consigliata nei pazienti pediatrici, con l’obiettivo di ridurre al minimo la dose somministrata.
9.4.3 Collimazione del fascio La collimazione è un parametro che definisce l’ampiezza del fascio utilizzato durante la scansione. Nella SSCT (Single Slice Computed Tomography) l’intera ampiezza del fascio più la penombra cadono all’interno dei detettori. Al contrario, negli apparecchi multistrato l’ampiezza del fascio e la penombra cadono all’interno di un preciso numero di detettori, differente in base al tipo di scanner utilizzato; la penombra tuttavia non dovrebbe essere utilizzata, in quanto degrada la qualità dell’immagine ottenuta (Fig. 9.7). Per limitare tale inconveniente, l’ampiezza del fascio viene aumentata in modo da far cadere la penombra oltre i detettori che ricevono il fascio principale di raggi X, concetto che prende il nome di overbeaming [11]. Il rapporto tra la collimazione nominale del fascio, che viene impostata sullo strumento prima di effettuare la scansione, e l’estensione effettiva del fascio, che tiene conto anche della penombra, prende il nome di efficienza geometrica longitudinale; tale rapporto fornisce la percentuale di raggi X che viene realmente utilizzata per produrre l’immagine e la percentuale che invece, pur incidendo sul paziente, non produce alcuna informazione. L’efficienza geometrica tende a diminuire quando si utilizzano collimazioni molto sottili, raggiungendo valori che possono scendere anche al di sotto del 50%, con conseguente aumento del rumore presente nell’immagine; per limitare tale inconveniente, occorre incrementare il valore dei mAs, determinando un aumento della
a
b
Fig. 9.7 Rappresentazione della geometria del fascio di raggi X in condizioni reali (a) e in condizioni ideali (b): l’area di colore grigio scuro rappresenta il fascio principale, mentre l’area di colore grigio chiaro la penombra
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F. Paolicchi et al.
dose fornita. Da quanto detto, ne consegue che l’utilizzo di collimazioni estremamente sottili deve essere limitato ai casi in cui occorre ottenere un’isotropia dei voxel per effettuare ricostruzioni multiplanari e volumetriche di elevato dettaglio, allo scopo di minimizzare fastidiosi artefatti cosiddetti “a scalino” (step artifact) o artefatti legati a un effetto di volume parziale. Inoltre, l’utilizzo di piccole collimazioni determina una minore copertura lungo l’asse z del paziente, richiedendo quindi un maggior tempo di scansione per ricoprire l’area in esame, con conseguente aumento della dose erogata. Contrariamente al fenomeno dell’overbeaming, ampie collimazioni totali e valori elevati di pitch tendono ad aumentare la dose somministrata al paziente per il fenomeno chiamato overranging [12]. L’overranging può essere definito come la differenza che sussiste tra la lunghezza della scansione programmata sullo strumento e la lunghezza della scansione realmente eseguita; la lunghezza reale, infatti, tende a essere maggiore per la presenza di rotazioni aggiuntive all’inizio e alla fine della scansione allo scopo di fornire a tutti i detettori le informazioni necessarie per la ricostruzione della prima e dell’ultima immagine (Fig. 9.8). L’overranging quindi, aumentando al crescere della collimazione totale e del pitch utilizzato, può determinare – soprattutto nelle scansioni di piccoli distretti – una sovraesposizione del paziente tutt’altro che trascurabile. La collimazione del fascio deve quindi essere scelta cercando la giusta combinazione per ridurre al minimo gli effetti negativi derivanti sia dall’overbeaming sia dall’overranging.
9.4.4 Pitch Nella TC multistrato il pitch rappresenta il rapporto tra il movimento del lettino per ogni rotazione del gantry e la collimazione totale del fascio. Nella tomografia computerizzata il pitch gioca un ruolo importante per quanto riguarda gli aspetti dosimetrici, poiché la radiazione erogata, a parità di tutti gli altri fattori, risulta inversamente proporzionale al
Fig. 9.8 Rappresentazione schematica del fenomeno dell’overranging
9 La dose in TC: descrittori e tecniche di riduzione
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suo valore; perciò maggiore è il valore del pitch minore è la radiazione erogata, e viceversa. Tuttavia, nei moderni scanner multistrato tale concetto ha perso gran parte della sua importanza, in quanto i dispositivi di regolazione automatica della dose tendono a modificare i milliampere erogati al variare del pitch, con l’obiettivo di mantenere costante il rumore; di conseguenza, nella multistrato un aumento del pitch non determina una chiara riduzione della dose erogata. Attualmente, quindi, la variazione del pitch deve essere tenuta in considerazione principalmente per problemi relativi alla durata della scansione o per ridurre gli artefatti provocati da valori elevati del pitch.
9.4.5 Centraggio del paziente Un aspetto che svolge un ruolo molto importante nella dosimetria di un esame TC e che viene spesso sottovalutato dal tecnico di radiologia è il corretto allineamento del paziente all’interno del gantry. Un posizionamento non corretto tende a produrre una diminuzione della qualità dell’immagine e, in presenza di sistemi di regolazione automatica della dose, ciò viene compensato con un incremento della dose erogata. Tale effetto tende a essere ancora maggiore nelle TC multistrato che dispongono di sistemi di filtraggio dei raggi X detti bow tie, la cui funzione è adattare l’intensità del fascio dei raggi X alla geometria del distretto corporeo. Osservando infatti una sezione trasversale del tratto torace-addome di un paziente di normali dimensioni, vediamo come la parte centrale risulterà più spessa e quindi con una maggiore attenuazione, mentre le parti periferiche saranno più sottili e quindi con una minore capacità di attenuazione dei raggi X. I filtri bow-tie, conformano la fluenza dei fotoni allo spessore del paziente, poichè diminuiscono il numero dei fotoni diretti verso le porzioni periferiche e più sottili del distretto corporeo rispetto alla parte centrale più spessa. Studi presenti in letteratura dimostrano che, se il paziente è correttamente posizionato, tali filtri possono ridurre anche del 50% la quantità di dose erogata [13]. Allo stesso tempo però, se il posizionamento del paziente non viene effettuato in modo corretto, si possono registrare valori di dose elevati a livello della superficie del distretto esaminato, ma non sufficientemente adeguati nella zona centrale di maggiore spessore [14, 15] (Fig. 9.9).
Fig. 9.9 Conseguenze del non corretto posizionamento del paziente durante l’esame TC
124
F. Paolicchi et al.
9.4.6 Lunghezza e numero di acquisizioni eseguite La dose totale di un esame TC è chiaramente influenzata dalla lunghezza delle scansioni eseguite. Il valore, in termini di DLP, della dose di un esame total body di un paziente di notevole altezza sarà sicuramente più elevato rispetto allo stesso esame eseguito su un paziente più basso; ciò ovviamente si traduce in una diversa dose efficace dei due esami. È quindi essenziale limitare la lunghezza di ciascuna acquisizione al quesito clinico. La lunghezza della scansione deve essere attentamente selezionata utilizzando i due radiogrammi (scout view) con proiezioni antero-posteriore e latero-laterale che vengono acquisiti prima della scansione, cercando di evitare quando possibile l’irradiazione di organi particolarmente radiosensibili (per esempio, il cristallino o le gonadi). L’utilizzo di protocolli che prevedono più ripetizioni delle scansioni eseguite su un distretto anatomico aumentano ovviamente la dose di un esame TC. Ciò si verifica in presenza di esami che richiedono scansioni pre e post somministrazione del mezzo di contrasto, o in protocolli che prevedono studi multifasici, cioè con acquisizioni dello stesso distretto a intervalli di tempo progressivi dal momento della somministrazione del mezzo di contrasto (per esempio uno studio trifasico del fegato). Sebbene gli effetti stocastici della radiazione non possano essere sommati in modo diretto, è comunque vero che ogni scansione aggiuntiva e la frequente ripetizione dell’esame all’interno di un anno solare (per esempio nei pazienti oncologici) incrementano la probabilità che essi si verifichino. È quindi un obbligo del medico radiologo valutare la reale necessità di un esame di tomografia computerizzata e, se questo viene ritenuto indispensabile, limitare il numero delle scansioni eseguite con riferimento a un preciso quesito clinico.
9.4.7 Filtri di ricostruzione e finestre di visualizzazione La scelta di idonei filtri di ricostruzione delle immagini e di adeguate finestre di visualizzazione rappresenta un importante strumento a disposizione del tecnico di radiologia per limitare “indirettamente” la dose dell’esame. I filtri di ricostruzione sono degli algoritmi matematici caratterizzati da una molteplicità di effetti sulla qualità delle immagini che possono produrre; alcuni filtri sono in grado di aumentare la risoluzione spaziale dell’immagine, ma con conseguente aumento del rumore (sharpening filter), altri invece possono ridurre il rumore presente a discapito della risoluzione spaziale (smoothing filter). Oggi gli scanner tomografici disponibili in commercio presentano un’ampia varietà di filtri di ricostruzione specifici per ciascun distretto. Nei casi in cui la risoluzione spaziale e di contrasto dell’immagine risulti più che sufficiente per il quesito clinico richiesto, si possono utilizzare filtri idonei per limitare il rumore di un’immagine ottenuta con valori di dose inferiori. È opportuno sottolineare che il compito del tecnico di radiologia non è produrre la migliore immagine possibile, bensì mettere a disposizione del radiologo un’immagine con un livello informativo sufficiente per rispondere a un preciso quesito clinico, limitando il più possibile la dose somministrata al paziente. Anche la finestra di visualizzazione (window level), ovvero il numero dei livelli di grigio con cui viene rappresentata una determinata immagine, può esercitare un’azione indiretta sulla dose erogata in un esame TC. Infatti la percezione del rumore presente in un’immagine dipende strettamente dal numero dei livelli di grigio con cui viene osservata: un’ampia finestra tende a ridurre la percezione del rumore, anche se a discapito di una
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minore risoluzione di contrasto. Il prerequisito indispensabile per poter utilizzare finestre di visualizzazione più ampie, allo scopo di ridurre la dose, risulta quindi un sufficiente rapporto contrasto/rumore intrinseco dei tessuti esaminati.
9.4.8 Fattori dipendenti dal paziente: dimensione, età, sesso Le caratteristiche anatomiche dei singoli pazienti rappresentano una variabile importante in relazione ai livelli di dose comunemente utilizzati in un esame TC. Come già visto in precedenza, pazienti caratterizzati da una maggiore altezza necessitano spesso di scansioni più lunghe rispetto ai pazienti meno alti, producendo quindi esami con valori di DLP differenti, nonostante vengano eseguiti sugli stessi distretti (per esempio l’esame del distretto toracico può presentare, da un paziente all’altro, differenze di diversi centimetri di lunghezza). Anche lo spessore del distretto toraco-addominale del paziente influenza decisamente la dose necessaria per poter eseguire l’esame, in quanto per mantenere una sufficiente qualità dell’immagine occorre incrementare i parametri energetici (corrente e tensione) in modo da fornire al fascio di raggi X l’energia necessaria per attraversare i tessuti in esame. L’età del paziente rappresenta un fattore determinante nella scelta della tecnica di imaging radiologico da utilizzare, in quanto il rischio associato alla radiazione è decisamente più elevato in età giovanile (da tre a cinque volte superiore) [16, 17]. Ciò è dovuto a una predominanza di tessuti sensibili, quali ossa in accrescimento, epiteli, fegato, midollo osseo e cartilagine, oltre al fatto che i bambini hanno un’aspettativa di vita maggiore. Nel caso di pazienti pediatrici è quindi opportuno predisporre protocolli di acquisizione TC dedicati, che tengano conto delle loro diverse caratteristiche anatomiche e di radiosensibilità. Anche il sesso gioca un ruolo importante nell’impatto dosimetrico di un esame TC: occorre prestare particolare attenzione ad alcuni organi critici, come le mammelle nelle giovani donne, per i quali il rischio associato è più alto rispetto a quello che si registra negli uomini.
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Controlli di qualità
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F. Perrone, F. Picchi
Indice dei contenuti 10.1 10.2 10.3
Controllo di qualità Programma di controllo di qualità per apparecchi TC Prove per il controllo di qualità Bibliografia
10.1 Controllo di qualità Nei capitoli precedenti sono stati introdotti e discussi i principi della tomografia computerizzata a raggi X; particolare attenzione è stata dedicata al processo di formazione dell’immagine e al suo impiego clinico. Nel presente capitolo saranno presentati alcuni aspetti pratici relativi alla caratterizzazione delle prestazioni degli apparecchi TC e, in particolare, saranno esaminati i principali parametri impiegati nella valutazione della qualità delle immagini e i criteri per garantire un livello standard di funzionamento (considerato ottimale) di un tomografo. La garanzia di efficacia di una qualunque metodica diagnostica, e più in generale di qualsiasi processo produttivo, si fonda sul soddisfacimento di numerosi requisiti che definiscono il livello di adeguatezza delle risorse di cui si dispone nella fase produttiva. La “qualità” del processo produttivo, definita come la misura della capacità del processo di raggiungere gli obiettivi stabiliti (efficacia), utilizzando al meglio le risorse umane, di tempo ed economiche a disposizione (efficienza), si può valutare attraverso una procedura codificata di controllo. In altri termini, l’obiettivo principale del controllo di qualità è stabilire e mantenere un programma di verifiche che permetta di confrontare le prestazioni correnti con uno standard definito come soddisfacente. Per gli apparecchi TC, così come per qualunque altro apparecchio radiologico di impiego clinico, il controllo di qualità ha lo scopo di assicurare che qualunque immagine
Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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clinica prodotta fornisca al radiologo tutte le informazioni cliniche necessarie per consentire una diagnosi corretta e, in ultima analisi, per contribuire alla qualità del sistema di cura del paziente. Inoltre, compatibilmente con il mantenimento dell’informazione clinica, si deve perseguire l’ottenimento e il mantenimento di livelli di dose più bassi possibili per il paziente. Il programma di controllo della qualità deve essere messo a punto in maniera congiunta dal radiologo e dal fisico specialista e deve includere anche le prove di funzionalità indicate dal costruttore come parte del regime di funzionamento ordinario (per esempio, le verifiche funzionali quotidiane da effettuare al momento dell’accensione). In alcuni casi, il programma di qualità prevede l’impiego di attrezzatura specifica fornita dal costruttore (per esempio, fantocci o oggetti di test), di specifiche modalità di imaging o di software interni di analisi per l’interpretazione e la validazione delle misure effettuate. È evidente che, per questioni di tempo e di economicità, i test quotidiani – sebbene siano fortemente indicativi dello stato dell’apparecchiatura – non possono essere estesi e approfonditi al punto da garantire l’ottenimento di una qualità di immagine ottimale; un programma di qualità deve dunque prevedere tutte le altre prove che caratterizzano in maniera completa la qualità clinica delle immagini. Il programma di controllo di qualità si articola in diverse fasi. Al momento in cui si progetta un processo di garanzia della qualità, occorre definire il livello standard di prestazione, in base ai risultati di una serie di verifiche specifiche eseguite al momento dell’accettazione dell’apparecchio (quando il perfetto funzionamento del tomografo è garantito dal costruttore) e di indicazioni fornite sia dal costruttore sia da documenti tecnici sui quali esiste un ampio consenso da parte della comunità scientifica e degli utilizzatori (per esempio, articoli pubblicati su riviste scientifiche di prestigio internazionale o norme tecniche prodotte da enti scientifici e associazioni professionali [1-10]). In questa fase si selezionano gli indicatori di qualità del processo, cioè le grandezze misurabili (per esempio, fisiche, dosimetriche, prestazionali), che permettono di stabilire in maniera inequivocabile se l’apparecchio TC opera in maniera ottimale. Per ciascuna grandezza quantificabile si stabiliscono un livello di riferimento (che diviene uno degli obiettivi del programma di qualità) e un intervallo di accettabilità intorno a esso tali da determinare in maniera oggettiva l’adeguatezza della prestazione. Inoltre, allo scopo di garantire la più ampia indipendenza dei risultati delle verifiche dall’osservatore, il programma di qualità deve codificare in dettaglio anche le procedure operative di misura e di valutazione degli indicatori. Se dalle verifiche si ricava un valore del parametro che si discosta dal valore di riferimento in misura superiore all’intervallo di accettabilità, è necessario attuare un intervento correttivo sul sistema. È opportuno sottolineare il fatto che un programma di qualità non prevede che cosa fare nel caso in cui la qualità di immagini non sia accettabile, ma definisce solo le soglie di intervento. A seconda dei casi, l’intervento correttivo può consistere in una ripetizione del processo di misura, nell’effettuazione di una serie di prove più analitiche per comprendere meglio l’origine del funzionamento sub-ottimale, o ancora nella richiesta di un intervento tecnico di manutenzione. Successivamente, occorre pianificare un programma di prove per valutare con una certa periodicità il livello della qualità di immagine del tomografo, al fine di garantire la tempestività di eventuali azioni correttive in caso di funzionamento sub-ottimale. Per questa ragione, i risultati delle prove di qualità devono essere prontamente interpretati dal fisico e confrontati con i valori di riferimento. Infine, i risultati delle prove e le
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conclusioni di chi li interpreta devono essere registrati (su supporto cartaceo o informatico) e custoditi per un intervallo di tempo adeguatamente lungo, per esempio per tutta la durata di vita dell’apparecchio, in modo da poter individuare ogni andamento anomalo nei risultati delle prove dovuto a un deterioramento di parti costitutive dell’apparecchio, o da poter giustificare la sostituzione di un apparecchio che richieda manutenzioni sempre più frequenti, o ancora da riuscire a individuare le macchine sottoposte a condizioni di funzionamento non adeguate (per esempio, ciclo di riscaldamento non conforme alle indicazioni fornite dal costruttore, carico di lavoro troppo pesante, temperatura ambientale eccessiva). In conclusione, il programma di controllo di qualità non deve essere inteso solo come un punto d’arrivo per gli adempimenti di legge del responsabile di un apparecchio, ma come uno strumento prezioso, sottoposto esso stesso a continua evoluzione e integrazione. Esso deve essere periodicamente riconsiderato alla luce degli sviluppi tecnico-scientifici e dell’evoluzione dei documenti tecnici di riferimento e deve essere completato da una serie di altre operazioni marginali ma fondamentali, quali la revisione e la calibrazione periodica degli strumenti di misura utilizzati.
10.2 Programma di controllo di qualità per apparecchi TC Le pagine che seguono sono dedicate alla descrizione di alcune procedure di misura relative ai controlli di qualità, all’indicazione dei valori attesi e dell’intervallo di accettabilità e alla frequenza di esecuzione delle prove. I criteri di scelta della periodicità dei controlli di qualità devono tener conto di molteplici fattori: le indicazioni dei documenti tecnici di riferimento scelti; le indicazioni fornite dal costruttore riguardo alla stabilità del sistema e riportate nella scheda tecnica relativa a ogni apparecchiatura; il carico di lavoro e la complessità delle apparecchiature. In genere, al momento dell’installazione o del collaudo funzionale ogni apparecchio TC è sottoposto a una caratterizzazione quanto più completa possibile, volta a verificare la corrispondenza al capitolato di acquisto in materia di specifiche tecniche fornite dal costruttore e anche ai fini della definizione dei valori di riferimento, poiché tutte le verifiche successive devono tener conto in qualche misura della storia dell’apparecchio. Una revisione approfondita delle prestazioni dell’apparecchio è richiesta dopo la sostituzione di parti fondamentali (tubo radiogeno, sistemi di movimentazione, sistemi di puntamento e localizzazione).
10.3 Prove per il controllo di qualità In questo paragrafo sono schematicamente presentati alcuni test di verifica che consentono di valutare in maniera quantitativa o semi-quantitativa la qualità di un tomografo computerizzato. Sono discussi brevemente anche gli oggetti di test e gli strumenti di misura necessari (Fig. 10.1).
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Fig. 10.1 Fantocci contenenti diversi tipi di inserti, impiegati per i test descritti nel paragrafo
Test 1 – Numero TC Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm, riempito d’acqua. Procedura Acquisire una scansione assiale del fantoccio. Selezionare una ROI di circa 30 mm2 sull’acqua e successivamente spostare la ROI fuori dal fantoccio nella regione che contiene solo aria (Fig. 10.2). Opzionale Se si dispone di un fantoccio con inserti di materiali diversi dall’acqua, si può ripetere la misura del numero TC per materiali di densità diversa (materiali plastici, alluminio), in modo da campionare la curva di correlazione densità elettronica/numeri TC con maggior dettaglio (Fig. 10.3). Valore atteso Il numero TC medio dell’acqua deve essere prossimo a zero; quello per l’aria deve essere –1000. Limiti di accettabilità Le differenze tra i valori misurati e i valori di riferimento devono essere inferiori a 3-5 numeri TC. Per inserti di altro materiale: scegliere il valore più alto tra 20 numeri TC e il 5% del valore medio del numero TC dell’inserto. Frequenza La verifica deve essere eseguita all’accettazione e quotidianamente.
Test 2 – Rumore Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm e riempito d’acqua (come nel Test 1). Procedura Determinare la deviazione standard dei numeri TC nella ROI impiegata nel Test 1.
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Fig. 10.2 Scansione TC di un fantoccio ad acqua uniforme. Una ROI (in giallo) è posta al centro dell’immagine per determinare il valore medio dei numeri TC e la loro deviazione standard nell’area selezionata. Si noti anche la ROI posta in corrispondenza dell’aria
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Fig. 10.3 Scansione TC di un fantoccio contenente alcuni inserti di diversi materiali
Valore atteso La deviazione standard del numero TC medio dell’acqua deve essere di circa 3-10 numeri TC. Il valore registrato dipende dalla dose in corrispondenza della ROI, dai valori di kVp, mA, dalla durata della scansione, dallo spessore della fetta, dalle dimensioni del fantoccio, dalla posizione della ROI all’interno del fantoccio e dal tipo di algoritmo di ricostruzione dell’immagine. Limiti di accettabilità Il valore del rumore deve essere il più piccolo possibile, compatibilmente con le condizioni di acquisizione. Lo scarto tra il valore misurato e quello di riferimento non deve essere superiore al 20%. Frequenza La verifica deve essere eseguita all’accettazione e quotidianamente.
Test 3 – Uniformità Strumentazione Un semplice fantoccio plastico di forma cilindrica, avente un diametro di circa 200 mm e riempito d’acqua (come nel Test 1). Procedura Nell’immagine impiegata nel Test 1 posizionare la ROI prima definita in quattro differenti posizioni periferiche poste a 1 cm dal bordo del fantoccio (per esempio in alto, in basso, a destra e a sinistra, Fig. 10.4). Selezionare una ROI al centro dell’immagine e quattro ROI poste a 1 cm dal bordo del fantoccio. Confrontare i numeri TC medi ottenuti con quello della ROI centrale. Valore atteso I quattro valori medi di numeri TC dovrebbero coincidere con quello ottenuto al centro del fantoccio.
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Fig. 10.4 Impiego di differenti ROI posizionate in diverse aree del fantoccio per determinare l’uniformità dei numeri TC
Limiti di accettabilità Le differenze ottenute non dovrebbero scostarsi più di 2-5 numeri TC dalle differenze ottenute nella prova di accettazione. Frequenza All’installazione e successivamente con cadenza mensile.
Test 4 – Risoluzione ad alto contrasto Strumentazione Un fantoccio con mire per la risoluzione ad alto contrasto. Si può impiegare anche un oggetto in plastica con una griglia di fori ordinati per gruppi di diametro decrescente (Fig. 10.5). I diametri dei fori decrescono da una riga alla successiva. Procedura Acquisire un’immagine assiale del fantoccio in corrispondenza delle mire e determinare il numero massimo di righe nelle quali gli oggetti sono chiaramente distinguibili. Valore atteso Nei tomografi più recenti dovrebbe essere possibile risolvere oggetti con diametro pari o inferiore a 1 mm. Limiti di accettabilità Il valore di riferimento deve essere determinato al momento dell’installazione. Nei test successivi si deve ottenere lo stesso risultato. Frequenza All’accettazione e successivamente con cadenza biennale.
Test 5 – Risoluzione a basso contrasto Strumentazione Un fantoccio con mire per la risoluzione a basso contrasto. Si può impiegare anche un oggetto in plastica con una griglia di fori ordinati per gruppi di diametro decrescente (da 8 a 2 mm). I diametri dei fori decrescono da una riga alla successiva. Il contrasto necessario può essere ottenuto riempiendo i fori con una soluzione acquosa di saccarosio o metanolo a bassa concentrazione, in modo da ottenere differenze di contrasto tra la plastica e la soluzione pari allo 0,5% circa.
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Fig. 10.5 Immagine TC di un fantoccio contenente 8 serie di 5 oggetti per determinare la soglia di visibilità ad alto contrasto
Fig. 10.6 Immagine TC di un fantoccio contenente 6 serie di coppie di oggetti per determinare la soglia di visibilità a basso contrasto
Procedura Acquisire una scansione assiale del fantoccio test nella sezione di interesse. Determinare il numero di righe nelle quali i dettagli sono distinguibili dal fondo. Il diametro del più piccolo oggetto circolare distinguibile fornisce il limite di rilevabilità a basso contrasto (Fig. 10.6). Valore atteso Devono essere distinguibili sull’immagine i dettagli di diametro pari a 35 mm. Occorre notare che il numero di oggetti dipende fortemente dai parametri tecnici di acquisizione dell’immagine. Limiti di accettabilità Il valore di riferimento deve essere determinato al momento dell’installazione. Nei test successivi si deve ottenere lo stesso risultato. Frequenza All’accettazione e successivamente con cadenza biennale.
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Test 6 – Spessore dello strato Strumentazione Il dispositivo di prova consiste in un fantoccio contenente una rampa o un altro oggetto in materiale uniforme di densità diversa da quella dell’acqua (per esempio, un filo metallico o un foro in un fantoccio in plastica), inclinato a 45° rispetto alla direzione di avanzamento del lettino. Procedura Tomografi con sole scansioni assiali: acquisire almeno tre scansioni con differenti valori di spessori della fetta. Valutare lo spessore dello strato calcolando la larghezza a metà altezza del profilo dei numeri TC dell’inserto (Fig. 10.7). Scansioni elicoidali: impostare la ricostruzione di ciascuna immagine sullo stesso intervallo angolare di 360°. Per tomografi a singolo rivelatore, impostare un bed index uguale allo spessore della scansione (cioè, fissare il pitch = 1) e procedere come per le scansioni assiali. Per i tomografi dotati di rivelatore segmentato, occorre fissare il bed index uguale al prodotto dello spessore della scansione per il numero di rivelatori e procedere come per le scansioni assiali. Valore atteso Il valore misurato dell’ampiezza dello strato deve coincidere con quello nominale. Limiti di accettabilità Scegliere come limite sullo scostamento del valore misurato da quello di riferimento il valore più alto tra il 20% del valore di riferimento e 1 mm. Frequenza Test di accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 7 – Dose Strumentazione La misura degli indici di dose (Computed Tomography Dose Index e Dose Length Product) deve essere effettuata preferenzialmente mediante una camera a ionizzazione di tipo pencil avente forma cilindrica con diametro di circa 10 mm e lunghezza sensibile non inferiore a 100 mm, connessa a un elettrometro con adeguate caratteristiche di
Fig. 10.7 Immagine TC di un fantoccio ad acqua contenente una rampa metallica inclinata a 45° per la determinazione dello spessore dello strato visualizzato. Un regolo mostra la larghezza dell’oggetto
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sensibilità e livello di rumore. Questi strumenti devono avere una risposta uniforme su tutta la lunghezza; essi devono essere corredati di una calibrazione in kerma in aria all’energia di interesse. La misura deve essere effettuata in fantoccio acrilico standard di forma cilindrica, avente spessore pari a 150 mm e diametro pari a 160 mm (fantoccio di tipo HEAD) o a 320 mm (fantoccio di tipo BODY). I fantocci devono avere un foro centrale e 4 fori a 10 mm dal bordo, rispettivamente a ore 3, 6, 9 e 12, idonei ad alloggiare la camera a ionizzazione (Fig. 10.8). Procedura Mediante la camera a ionizzazione misurare la dose per singola scansione in aria al centro dell’asse di rotazione e alla periferia di ciascun fantoccio. Calcolare il valore di CDTIw e il DLP (vedi capitoli precedenti). Valore atteso I valori degli indici di dose devono coincidere con quelli nominali e devono rispettare i valori indicati per alcuni esami specifici dalla normativa sulla radioprotezione del paziente. Limiti di accettabilità Il valore degli indici di dose non devono differire per più del 20% dai valori di riferimento. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 8 – Profilo della radiazione Strumentazione Un regolo millimetrato e una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare la pellicola a un sostegno verticale e posizionarla sul lettino al centro del gantry. Effettuare una scansione (con basso valore di mA) per ogni spessore dello strato impostabile, avendo cura di spostare ogni volta la pellicola in modo da non sovrapporre le diverse esposizioni. Misurare la larghezza del profilo di densità sul film con un sensitometro o direttamente con un righello all’altezza dei centri delle penombre di ogni lato.
Fig. 10.8 Fantocci omogenei in PMMA per la misura dei parametri di dose
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Valore atteso I valori misurati delle larghezze devono coincidere con i valori nominali impostati. Limiti di accettabilità Scegliere come limite sullo scostamento del valore misurato da quello di riferimento il valore più alto tra il 20% del valore di riferimento e 1 mm. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’accettazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 9 – Posizionamento del lettino Strumentazione Un regolo millimetrato, un peso da 50 kg per simulare un paziente e una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare il regolo alla parte fissa del supporto del paziente e utilizzare un peso di circa 50 kg che simuli il peso del paziente. Posizionare il regolo mediante il centratore luminoso del gantry. Incollare la pellicola radiologica al lettino con un lato parallelo la direzione di spostamento. Eseguire 10 scansioni con apertura del fascio uguale o inferiore a 5 mm, distanziate di 10 mm una dall’altra. La pellicola registrerà una serie di strisce in corrispondenza dell’esposizione alla radiazione. Misurare la distanza tra i centri delle strisce consecutive. Valore atteso Le distanze misurate tra due strisce successive devono essere pari a 10 mm. Limiti di accettabilità Il massimo scarto accettabile è di 1 mm per coppia di strisce adiacenti. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 10 – Accuratezza delle luci di localizzazione Strumentazione Un regolo millimetrato, una pellicola radiografica del tipo “ready-pack” sviluppabile o una pellicola radiologica da verifica dosimetrica che non richiede sviluppo. Procedura Fissare la pellicola sul lettino con un lato parallelo alla direzione di spostamento. Forare con un oggetto appuntito la pellicola (o il suo involucro) in corrispondenza delle luci del centratore nelle quattro direzioni (destra, sinistra, craniale e caudale) rispetto al centro del campo. Impostando il minimo spessore di strato, effettuare una scansione nella posizione della luce interna. Ripetere l’esposizione per la luce esterna, dopo aver spostato il lettino mediante il controllo automatico. Sviluppare la pellicola (se necessario) e misurare la distanza tra i buchi della pellicola e il centro del campo per entrambe le luci. Valore atteso I fori devono indicare un perfetto centraggio della banda di annerimento dovuta alla radiazione. Limiti di accettabilità La differenza rispetto alle indicazioni del centratore luminoso non deve superare i 2 mm. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
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Test 11 – Accuratezza dello spostamento del lettino in TC elicoidale Strumentazione Un fantoccio con una serie di marker a distanza nota lungo l’asse di movimento del lettino. Procedura Effettuare una scansione elicoidale con la prima e l’ultima fetta coincidente con la posizione dei marker. Tali marker devono essere chiaramente visibili sulle immagini. Dalle immagini acquisite è possibile valutare la posizione dei marker e la relativa distanza da confrontarsi con la distanza reale. Valore atteso La distanza tra coppie adiacenti di marker deve coincidere con quella nominale. Limiti di accettabilità Lo scarto massimo accettabile è di 2 mm per 200 mm di spostamento. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
Test 12 – Misura della radiazione diffusa Strumentazione Una camera a ionizzazione di grande volume per la rilevazione ambientale della radiazione che possa funzionare in modalità di integrazione nel tempo, un supporto da pavimento per il posizionamento della camera nella sala TC durante l’esecuzione di una scansione, un fantoccio ad acqua del diametro di almeno 200 mm. Procedura Posizionare il fantoccio ad acqua sul lettino all’interno del gantry, impostare una sequenza di scansione con dati tecnici (mA, kV e tempo di scansione) analoghi a quelli di impiego clinico comune (per esempio, cranio). Rilevare la dose integrata dalla camera a ionizzazione, ripetendo la misura in varie posizioni al fine di descrivere una distribuzione o mappa di dose all’interno della sala TC. Valore atteso I valori di dose rilevata variano in funzione della posizione della camera a ionizzazione all’interno della sala TC. In genere, valori di dose più significativi si rilevano in posizioni prossime al lettino (Fig. 10.9) e diminuiscono all’aumentare della distanza dal tubo radiogeno.
Fig. 10.9 Curva di isolivello per i valori di kerma in aria, rilevabili intorno a un tomografo computerizzato. I valori di massima esposizione ambientale fuori dalla zona occupata dal paziente sono generalmente rilevabili nelle posizioni indicate dai simboli ⊕
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Limiti di accettabilità Nessuno. Frequenza La verifica deve essere effettuata all’installazione e successivamente con cadenza annuale.
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I mezzi di contrasto in TC
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L. Faggioni, S. Giusti, E. Orsi
Indice dei contenuti 11.1 11.2 11.3
Classificazione dei mezzi di contrasto Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) Mezzi di contrasto intraluminali Bibliografia
Lo sviluppo dei mezzi di contrasto è iniziato poco dopo la scoperta dei raggi X, non appena ci si rese conto che molte strutture non erano visibili sulla semplice immagine radiografica, perché caratterizzate da una scarsa differenza di densità rispetto alle strutture circostanti. Tali strutture anatomiche non sarebbero state direttamente valutabili con le tecniche radiologiche se non fosse stato possibile ottenerne una variazione artificiale della densità mediante l’introduzione nell’organismo di sostanze dotate di un’attenuazione dei fotoni X notevolmente diversa da quella dei tessuti esaminati: i mezzi di contrasto.
11.1 Classificazione dei mezzi di contrasto Nel caso di metodiche di imaging basate sull’impiego di raggi X, si definiscono mezzi di contrasto (mdc) tutte le sostanze che, introdotte nel corpo umano, modificano il numero atomico medio dei distretti anatomici in cui si distribuiscono, rendendoli direttamente riconoscibili e consentendo di ottenere anche informazioni di tipo funzionale (per esempio, circolo nel sistema arterioso e venoso, vascolarizzazione e perfusione in funzione del tempo e accumulo ed eliminazione del mdc). I mdc possono essere classificati come naturali o artificiali, in base alla loro origine, e come positivi (o radiopachi, o iperdensi) o negativi (o radiotrasparenti, o ipodensi) a seconda delle loro caratteristiche di attenuazione fotonica. Il potere contrastografico dei mdc positivi dipende dalla presenza all’interno della loro molecola di atomi a elevato numero Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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atomico, come lo iodio (Z = 53) o il bario (Z = 56) che, essendo caratterizzati da un’attenuazione dei raggi X nettamente superiore rispetto a quella media dei tessuti corporei, aumentano la differenza di densità (contrasto) tra i compartimenti in cui si distribuiscono e quelli in cui non si distribuiscono. I mdc negativi, invece, sono sostanze naturali (come l’acqua, l’aria o il biossido di carbonio) o artificiali (come il polietilenglicole) che, essendo costituite da atomi a basso numero atomico, presentano un’attenuazione fotonica minore rispetto alle strutture circostanti e, pertanto (da sole o in combinazione con mdc positivi a diversa biodistribuzione), generano un contrasto negativo. Per quanto riguarda la somministrazione, i mdc possono essere distinti in intravascolari e intraluminali: i primi sono utilizzati per il riconoscimento delle strutture vascolari, lo studio dei parenchimi e l’opacizzazione delle vie escretrici, mentre i mdc intraluminali vengono impiegati per rendere riconoscibile il lume di un viscere (o, più in generale, di una cavità).
11.2 Mezzi di contrasto intravascolari-interstiziali (uro-angiografici) 11.2.1 Proprietà chimico-fisiche I mdc intravascolari-interstiziali per TC (così denominati per la loro biodistribuzione prima nel torrente circolatorio e successivamente nel compartimento extravascolare interstiziale; sono detti anche uro-angiografici per il loro impiego in angiografia e urografia) sono costituiti da molecole contenenti atomi di iodio e, pertanto, appartengono alla classe dei mdc positivi. Lo iodio viene integrato in una struttura molecolare che determina l’idrosolubilità, l’osmolarità, la farmacocinetica (biodistribuzione e successiva eliminazione) e la tollerabilità del mdc stesso [1, 2] (Fig. 11.1a). Storicamente la scelta dello iodio come elemento contrastografico è stata dettata dal suo basso costo e dalla notevole stabilità del suo legame
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Fig. 11.1 Struttura molecolare di base dei mdc iodati uro-angiografici (a); mdc iodati uro-angiografici monomerici ionici (b)
11 I mezzi di contrasto in TC
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con il resto della molecola. Quest’ultima è costituita da un anello benzenico, legato a tre atomi di iodio nelle posizioni 2-4-6 e a catene laterali nelle posizioni 3 e 5, che determinano l’idrofilicità della molecola (ovvero la sua solubilità nel plasma) e le sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche. In posizione 1 possono essere presenti un gruppo carbossilico unito mediante legame ionico a un catione di sodio o metilglucamina (mdc ionici), oppure un gruppo idrofilico non ionico (mdc non ionici), che concorrono a determinare l’idrofilicità della molecola e, soprattutto nel caso di mdc ionici, la sua osmolarità. Quest’ultimo parametro misura la capacità di una soluzione di richiamare acqua attraverso una membrana semipermeabile ed è particolarmente elevata nei mdc ionici, dove raggiunge valori circa 7 volte superiori rispetto al plasma. Per questo motivo i mdc ionici (denominati appunto High Osmolarity Contrast Media, HOCM, Fig. 11.1b) non sono più utilizzati come mdc uro-angiografici, in quanto la loro elevata osmolarità determinava un’eccessiva emodiluizione ed era responsabile di lesioni endoteliali, soprattutto a livello microcircolatorio: in particolare, nel rene l’iperosmolarità comportava un’elevata nefrotossicità. Attualmente i mdc iodati uro-angiografici sono non ionici e si suddividono in mdc a bassa osmolarità (Low Osmolarity Contrast Media, LOCM, Fig. 11.2) e iso-osmolari (IsoOsmolar Contrast Media, IOCM, Fig. 11.3) rispetto al plasma. I mdc non ionici si sono dimostrati più tollerabili di quelli ionici a livello renale, cardiovascolare e neurologico (anche grazie alla presenza di catene laterali idrofiliche che riducono la tendenza della molecola a interagire con le proteine e con le membrane cellulari [3, 4]) e sono gravati da una minore frequenza di eventi avversi, quali nausea, vomito e reazioni anafilattoidi.
Fig. 11.2 Struttura molecolare di base dei mdc iodati uro-angiografici monomerici non ionici
Fig. 11.3 Struttura molecolare di un mdc uro-angiografico dimerico non ionico (iodixanolo)
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I mdc iodati possono essere suddivisi anche in monomeri e dimeri: questi ultimi sono formati da due metà identiche legate tra loro mediante un legame covalente. È da notare che la fusione di due monomeri di mdc ionico in un dimero consentiva di dimezzarne l’osmolarità, con benefici sulla tollerabilità del composto [5]. Una caratteristica importante dei mdc iodati in generale è la loro concentrazione iodica, ovvero la quantità di atomi di iodio contenuti nell’unità di volume. Essa viene solitamente espressa in milligrammi equivalenti di iodio per millilitro (mgI/mL); è intuitivo che – almeno in vitro – mdc a maggiore concentrazione iodica sono dotati di un maggiore potere contrastografico, ovvero attenuano maggiormente i fotoni X. La concentrazione iodica influenza anche l’osmolarità del mdc, in quanto mdc più concentrati, possedendo una maggiore forza ionica, sono più iperosmolari rispetto a soluzioni meno concentrate della stessa molecola. Un’eccezione a questa caratteristica generale è costituita dalle soluzioni di iodixanolo, dimero non ionico iso-osmolare, che si mantengono iso-osmolari al plasma a tutte le concentrazioni grazie all’aggiunta alla soluzione di elettroliti [6]. I mdc non ionici comunemente impiegati in TC hanno concentrazioni iodiche comprese tra 300 e 400 mg I/mL. Le dimensioni della molecola dei mdc ne determinano la capacità di diffusione: le molecole dei mdc iodati attuali sono di dimensioni relativamente grandi, per cui non superano la barriera ematoencefalica integra e tendono a distribuirsi nel compartimento interstiziale in una fase successiva al loro passaggio attraverso l’albero vascolare. La viscosità delle soluzioni acquose di mdc misura la loro capacità di fluire nei vasi, negli aghi e nei cateteri di iniezione. Si misura in mPa × s e dipende dalla struttura della molecola, dalla temperatura e dalla concentrazione iodica. In generale, la viscosità cresce al crescere delle dimensioni molecolari (i dimeri tendono a essere più viscosi dei monomeri) e con la concentrazione e si riduce all’aumentare della temperatura [3, 7-8]. Per quest’ultimo motivo è importante preriscaldare il mdc a temperatura corporea (37 °C) prima della sua somministrazione endovenosa, al fine di diminuirne la viscosità per consentirne l’iniezione rapida (particolarmente utile nel caso di studi angio-TC) e ridurre il rischio di stravaso extravenoso. Effetti indesiderati di un mdc sono non di rado secondari a una caduta del livello elettrolitico; per tale motivo un mdc per uso endovenoso viene considerato migliore quando, a parità di altri requisiti, possiede una bassa osmolarità.
11.2.2 Farmacocinetica Una volta iniettato per via endovenosa, il bolo di mdc si miscela con il plasma e la sua concentrazione plasmatica si innalza tanto più rapidamente quanto maggiore è la velocità di somministrazione. Dal livello di concentrazione plasmatica del mdc dipende la rapidità della filtrazione glomerulare del mdc stesso attraverso il rene. In una prima fase, quindi, si avrà l’opacizzazione delle vene che drenano il punto di iniezione e del circolo polmonare e, successivamente, del macrocircolo arterioso. Per questo motivo, la prima fase di biodistribuzione intravascolare del mdc è detta angiografica o di primo passaggio ( first pass), in quanto il mdc è distribuito pressoché interamente all’interno delle arterie di conduzione e di resistenza, senza che si abbia opacizzazione delle vene o dei parenchimi. Poiché il distretto arterioso è caratterizzato da un’elevata velocità di scorrimento del sangue e l’intera colonna di mdc giunge al suo interno senza fenomeni di ricircolo, l’enhancement
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contrastografico delle arterie è direttamente proporzionale alla velocità di iniezione: in altri termini, un’elevata velocità di iniezione garantisce che il mdc che nell’unità di tempo viene allontanato da una sezione di arteria a opera della pressione sistolica venga sostituito dalla frazione di bolo successiva. È inoltre intuitivo che l’enhancement arterioso sia proporzionale anche alla concentrazione di mdc, ovvero alla quantità di iodio per unità di volume. Complessivamente, si può dire che l’enhancement arterioso è direttamente proporzionale all’IDR (Iodine Delivery Rate), definito come il prodotto tra la velocità di iniezione e la concentrazione iodica del mdc: è possibile ottenere lo stesso IDR utilizzando mdc a concentrazione iodica standard ed elevata velocità di flusso oppure mdc ad alta concentrazione iodica e velocità di flusso minore [9-10]. Il volume del mdc influenza la durata del bolo (e, in minor misura, l’enhancement arterioso): a parità di concentrazione iodica, volumi maggiori portano a una disponibilità intravascolare più lunga del mdc per un dato livello di enhancement (espresso in HU), anche se ovviamente comportano un maggior carico iodico per il paziente e costi di gestione più elevati. Volumi minori, invece, possono essere adeguati purché sia possibile effettuare l’acquisizione in tempi più rapidi. Naturalmente, la velocità di flusso è inversamente correlata alla durata del bolo e va scelta in base alla rapidità di acquisizione dello scanner, alla concentrazione del mdc e alla qualità dell’accesso venoso disponibile (Fig. 11.4). Dopo la fase angiografica, il mdc passa dal macrocircolo al microcircolo arterioso: questa fase, detta arteriosa parenchimale, è di fondamentale importanza per la valutazione di organi con importante vascolarizzazione arteriosa (come il rene o il pancreas) o di lesioni tissutali sostenute da circoli arteriosi, come le neoplasie ipervascolari. Analogamente
Fig. 11.4 Schema della relazione tra enhancement contrastografico e velocità di iniezione, concentrazione iodica e volume somministrato di mdc. A parità degli altri parametri, un aumento della velocità di flusso determina un anticipo del tempo di picco dell’enhancement contrastografico (peak enhancement), una minore durata dell’intervallo di enhancement contrastografico superiore alla soglia desiderata (linea tratteggiata) e una maggiore intensità del peak enhancement. Un incremento della concentrazione iodica comporta un aumento del peak enhancement, mentre un aumento del volume di mdc iniettato si traduce in un ritardo del tempo di picco, in una maggiore durata del bolo di mdc e in una maggiore intensità del peak enhancement
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a quanto si verifica nella fase angiografica, l’enhancement contrastografico in fase arteriosa parenchimale è proporzionale all’IDR [11-13]. Successivamente, il mdc fluisce nel distretto venoso (fase venosa) e, quindi, passa progressivamente nello spazio extravascolare interstiziale fino a equilibrare (fase tardiva o di equilibrio) la sua concentrazione interstiziale con quella plasmatica. Sia il compartimento venoso che quello interstiziale sono di tipo capacitivo e sono caratterizzati da un volume di distribuzione molto più grande di quello arterioso. Di conseguenza, l’enhancement contrastografico in queste fasi non dipende più dall’IDR, ma dalla quantità totale di iodio somministrata, ovvero dal prodotto della concentrazione iodica per il volume di mdc iniettato [9,14]. Nel frattempo, aumenta progressivamente la quota di mdc eliminata dal rene e si assiste a una crescente opacizzazione delle vie urinarie (fase urografica). A livello del sistema nervoso centrale, se la barriera emato-liquorale è integra, i mdc iodati uro-angiografici non diffondono nel compartimento extravascolare; ciò accade, invece, quando la barriera emato-liquorale diventa permeabile al mdc (come negli stati flogistici o in presenza di danno di barriera). L’emivita plasmatica media dei mdc iodati è di 1-3 ore. Dopo 10 minuti, circa il 10% della quantità iniettata viene eliminata per via glomerulare e dopo 24 ore ne viene rimosso circa l’85%; solo il 10-15% segue, in condizioni di normale funzionalità renale, la via extrarenale (biliare, intestinale, salivare).
11.2.3 Modalità di iniezione Generalmente il punto d’accesso per l’iniezione è una vena cubitale o antecubitale del braccio; raramente vengono scelte altre vie, come le vene del dorso delle mani o dei piedi. Il contrasto può essere iniettato a mano oppure, preferibilmente, in maniera automatica mediante iniettore programmabile: in quest’ultimo caso è possibile selezionare accuratamente il volume e la velocità di iniezione del mdc. Esistono anche iniettori a due vie, che consentono la somministrazione di un bolo di soluzione fisiologica dopo quello di mdc: ciò consente di compattare il bolo di mdc, riducendone la quantità che rimane nello “spazio morto”, costituito dal raccordo iniettore-accesso venoso e dalla via venosa stessa, e attenuando gli artefatti da iperconcentrazione di mdc, che possono aver luogo in corrispondenza delle vene succlavie, della vena cava superiore e del cuore destro (nel caso più frequente di iniezione attraverso il braccio). È possibile, inoltre, programmare l’iniettore in modo da somministrare un bolo di mdc diluito con soluzione fisiologica dopo il primo bolo: ciò può essere utile, per esempio, per garantire un’adeguata opacizzazione delle cavità cardiache di destra senza generare artefatti da iperconcentrazione di mdc, il che può essere utile, per esempio, per lo studio TC del cuore destro o della funzione cardiaca. La temporizzazione dell’acquisizione TC con le varie fasi di biodistribuzione del mdc varia a seconda del quesito diagnostico e può avvenire sia scegliendo ritardi temporali fissi (basati sul tempo di circolo medio del mdc all’interno di un determinato distretto), sia - preferibilmente - impiegando tecniche automatiche o semiautomatiche. Quest’ultimo approccio è generalmente vantaggioso, in quanto consente di ridurre gli errori di sincronizzazione della scansione TC dovuti alle differenze di tempo di circolo in individui diversi. È possibile utilizzare, a tale scopo, la tecnica del bolus test o quella del bolus
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tracking. La prima consiste nell’iniettare per via endovenosa un piccolo bolo di mdc (1025 mL) e nel misurare, posizionando una regione di interesse (Region of Interest, ROI) su un particolare distretto (per esempio, il lume aortico), la densità all’interno della ROI in funzione del tempo mediante scansioni a bassa dose radiante, ripetute con elevata risoluzione temporale (1-3 secondi) allo stesso livello anatomico: in questo modo si deduce il ritardo dall’inizio della somministrazione di mdc al quale corrisponde il picco di enhancement contrastografico e si procede a iniettare il bolo standard di mdc, iniziando la scansione al tempo così determinato. La tecnica del bolus tracking, invece, prevede la contemporanea iniezione del normale bolo di mdc e la registrazione continua della densità su un livello anatomico prestabilito; la scansione contrastografica inizia dopo un ritardo prestabilito a partire dal superamento di una soglia di densità (per esempio, 100-150 HU), selezionabile a piacere a seconda del quesito diagnostico [9].
11.2.4 Eventi avversi Per quanto uno dei presupposti di un mdc ideale sia la sua inerzia farmacologica, i mdc iodati uro-angiografici non sono composti biochimicamente inerti e pertanto interagiscono con l’organismo, causando talvolta reazioni indesiderate. Le reazioni avverse si distinguono essenzialmente in due gruppi. 1. Chemiotossiche (tipo A), dipendenti dalla dose e dalla concentrazione plasmatica del mdc, perciò potenzialmente prevedibili; esse sono influenzate da osmolarità, viscosità e idrofilia del mdc. Gli organi più colpiti sono il rene, il sistema nervoso centrale e l’apparato cardiovascolare. In particolare, il rene rappresenta il principale organo bersaglio, poiché il mdc iodato viene in gran parte eliminato per filtrazione glomerulare. I principali effetti nefrotossici si esplicano soprattutto attraverso una relativa ipossia della midollare renale in rapporto alla viscosità del mdc (con conseguente riduzione della filtrazione glomerulare), uno stress osmotico, una produzione di fattori paracrini vasocostrittori, un’aumentata liberazione di radicali liberi dell’ossigeno e una tossicità molecolare diretta del mdc. Tali effetti sono alla base della nefropatia da contrasto (Contrast-Induced Nephropathy, CIN), definita comunemente come una riduzione della funzionalità renale entro tre giorni dalla somministrazione intravascolare di mdc iodato, in assenza di un’eziologia alternativa [8]. Fattori di rischio per l’insorgenza di CIN sono l’insufficienza renale cronica, la disidratazione, gli stati ipovolemici (come quelli associati a scompenso cardiaco), l’uso di farmaci nefrotossici e indagini contrastografiche ripetute a breve intervallo di tempo e con alte dosi di mdc iodato. Allo scopo di ridurre il rischio di CIN in pazienti che presentino uno o più di tali fattori è bene usare mdc non ionici (LOCM o IOCM), ridurre il più possibile la quantità di mdc somministrato, assicurare un’adeguata idratazione e sospendere – per quanto possibile – l’assunzione di farmaci nefrotossici almeno 24-48 ore prima e dopo l’esame. Un’ulteriore controindicazione alla somministrazione di mdc iodati è costituita dagli stati di ipertiroidismo, in quanto crisi tireotossiche possono essere scatenate dalla dissociazione (per quanto in minima percentuale) di atomi di iodio dalla molecola di mdc e dalla presenza di tracce di iodio libero nella preparazione di mdc. Anche stati di ipotiroidismo potrebbero essere aggravati dall’introduzione ev di mdc iodati, con possibili complicanze a carico degli organi bersaglio (come l’instaurarsi di scompenso cardiaco in pazienti a rischio).
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2. Anafilattoidi (tipo B o allergic-like), dose-indipendenti e imprevedibili; possono indurre il rilascio di amine vasoattive (istamina, serotonina, prostaglandine, leucotrieni, bradichinina), dando luogo a reazioni di tipo allergico o pseudoallergico. In base alla loro severità, queste reazioni possono essere suddivise in: – lievi: sapore metallico in bocca, sensazione di calore, nausea e vomito, sudorazione, disestesia periorale, sensazione di testa leggera, dolore nella sede dell’iniezione, orticaria, emicrania; – moderate: persistenza e aumento di intensità dei sintomi minori, dispnea, ipotensione, dolore toracico; – severe: tosse, starnuti, broncospasmo, ansia (sintomi minori); diarrea, parestesie; edema al volto, alle mani e in altri siti corporei; dispnea, cianosi, edema della glottide, ipotensione marcata, bradicardia, shock, edema polmonare, aritmie, midriasi, convulsioni, paralisi, coma, morte. Se le reazioni compaiono entro un’ora dalla somministrazione sono dette immediate, altrimenti si parla di reazioni tardive o ritardate. La probabilità di incorrere in reazioni avverse aumenta in pazienti con storia di reazioni al mdc o in soggetti allergici; per tale motivo è fondamentale raccogliere un’anamnesi accurata volta a individuare allergie o precedenti reazioni al mdc o ad altre sostanze e, più in generale, stati di insufficienza renale e/o cardiaca, iper- o ipotiroidismo, paraproteinemia, assunzione di metformina [4, 7-8, 15-20].
11.3 Mezzi di contrasto intraluminali I mdc intraluminali più usati in TC sono quelli gastrointestinali, ovvero soluzioni o sospensioni acquose di sostanze contenenti atomi a elevato numero atomico (composti iodati, baritati) nel caso di mdc positivi, oppure atomi a basso numero atomico nel caso di mdc negativi (acqua, polietilenglicole, aria, biossido di carbonio). I mdc gastrointestinali iodati più comunemente utilizzati in TC sono composti ionici idrosolubili tri-iodati, un tempo impiegati anche come mdc uro-angiografici e tuttora usati come mdc intraluminali per il basso costo e il buon potere contrastografico. Il grado di opacizzazione dipende dalla dose e dalla concentrazione del mdc somministrato; in generale, per ottenere un adeguato enhancement luminale, è necessaria una soluzione di mdc ionico almeno al 60%; solitamente sono sufficienti 20 mL di mdc diluiti in 1000 mL di acqua. Uno dei limiti di tali composti è il cattivo sapore, che spesso comporta una scarsa accettazione da parte del paziente; inoltre, trattandosi di HOCM, possono avere un effetto diarroico (diarrea osmotica) o aggravare enterocoliti preesistenti a causa di un notevole incremento della peristalsi. Inoltre, dato che una minima quantità di mdc viene assorbita dalla mucosa intestinale, ne è sconsigliato l’uso in pazienti con paraproteinemia e insufficienza renale. Esistono comunque anche mdc iodati non ionici approvati per uso gastrointestinale – come iopamidolo, iohexolo e iodixanolo – più costosi, ma di sapore più gradevole e più tollerati in quanto meno osmotici. In TC è possibile utilizzare anche mdc baritati: questi ultimi permettono un’intensa opacizzazione del lume gastroenterico, ma per tale motivo vanno usati con cautela in quanto possono provocare artefatti da indurimento del fascio radiante, compromettendo
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quindi la qualità dell’immagine. I mdc a base di bario sono inoltre da evitare in pazienti con sospetta perforazione del tubo digerente per il rischio di stravaso intraperitoneale e conseguente peritonite chimica. È da notare che in TC i mdc iodati ionici, stimolando la peristalsi, sono solitamente preferiti a quelli baritati, perché consentono una visualizzazione dell’intestino distale in tempi più rapidi rispetto al solfato di bario. Per lo studio del tratto gastroenterico, inoltre, si ricorre spesso all’uso di mdc negativi, sia liquidi (acqua, polietilenglicole) sia gassosi (aria, biossido di carbonio); questi mdc, da soli o in combinazione con mdc positivi intravascolari-interstiziali, generano un contrasto ottimale tra lume e parete. Per esempio, mediante l’ingestione di un’adeguata quantità di acqua (≥1000 mL) si può ottenere un’ottimale distensione dello stomaco che, unitamente all’enhancement parietale determinato dalla somministrazione di mdc uro-angiografico per via endovenosa, consente la corretta visualizzazione di eventuali lesioni parietali [21]. Con l’introduzione di soluzioni di polietilenglicole è possibile ottenere una buona distensione del lume enterico che, associata all’iniezione di mdc iodato endovena e alla somministrazione di farmaci miorilassanti, permette lo studio dettagliato delle pareti intestinali e dei loro rapporti con le strutture extraparietali [22]; l’aria o il biossido di carbonio trovano invece la principale applicazione per lo studio TC del colon [23]. Al di fuori del tubo digerente, i mdc intraluminali possono essere somministrati mediante iniezione locale per lo studio delle articolazioni (artro-TC), del sistema escretore delle ghiandole salivari (scialo-TC), degli spazi liquorali subaracnoidei tramite puntura lombare (cisterno-TC e mielo-TC) e di tragitti fistolosi (fistolo-TC). In particolare, l’artro-TC prevede l’introduzione per via percutanea di mdc iodato idrosolubile all’interno della cavità articolare, cui si associa, per migliorare il risultato diagnostico, la contemporanea iniezione di aria (doppio contrasto); successivamente, l’articolazione viene mobilizzata per consentire al mdc iodato e all’aria di miscelarsi, distribuendosi in modo uniforme sui capi articolari, consentendo la visualizzazione di strutture (come quelle tendinee) altrimenti non direttamente visibili. Tuttavia, queste applicazioni extra-gastrointestinali dei mdc intraluminali sono oggi molto più rare che in passato grazie all’evoluzione delle metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (RM), che spesso consentono una visualizzazione diretta dei distretti sopra menzionati con elevata risoluzione di contrasto e senza somministrazione di mdc esogeno. L’uso attuale di queste tecniche TC resta pertanto limitato a quei casi in cui la RM sia non disponibile o controindicata.
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La TC in medicina nucleare
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D. Volterrani, O. Sorace, D. Fontanelli
Indice dei contenuti 12.1 12.2
Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC Protocolli diagnostici Bibliografia
12.1 Tomografi ibridi PET/TC e SPECT/TC In questi ultimi anni gli strumenti di tomografia computerizzata (TC) sono apparsi sulla scena della medicina nucleare a integrare tomografi PET (Positron Emission Tomography) e gamma-camere. Il primo prototipo di strumento ibrido, divenuto operativo nel 1998, comprendeva una componente PET e una TC spirale montate sullo stesso supporto rotante [1]. I primi tomografi ibridi commerciali che seguirono, a partire dal 2001, erano costituiti da una componente TC e da una PET accoppiate in tandem (l’una di seguito all’altra, con l’asse sulla stessa linea); i due tomografi erano integrati meccanicamente solo in minima parte, sebbene inclusi nel medesimo gantry. Questo disegno di tomografo ibrido caratterizza ancora oggi tutti gli attuali apparecchi PET/TC in commercio (Fig. 12.1). In pratica, i detettori e i sistemi di acquisizione sono separati, e le acquisizioni delle due modalità di imaging sono effettuate in successione temporale, mantenendo il paziente nella stessa posizione; in comune hanno il tavolo sul quale è posizionato il paziente, progettato per minimizzare la flessione sull’asse verticale (ha infatti una corsa maggiore rispetto a quella richiesta nei sistemi singoli) e per assicurare un accurato allineamento tra TC e PET (corretto movimento traslazionale). Un’unica consolle di comando consente di impostare le acquisizioni TC e PET (le due scansioni sono spazialmente, oltre che temporalmente, separate, ma la loro posizione è perfettamente nota, in modo tale da poter sovrapporre le immagini a posteriori). L’integrazione finale tra PET e TC è eseguita dal software deputato al post-processing e alla rappresentazione visiva delle immagini PET, TC e di fusione. Elementi di tomografia computerizzata. Lorenzo Faggioni, Fabio Paolicchi, Emanuele Neri (a cura di) © Springer-Verlag Italia 2010
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Fig. 12.1 Rappresentazione schematica dei tomografi PET/TC attualmente in commercio. Il disegno include nello stesso gantry una TC multistrato posizionata davanti alla componente PET. L’escursione del tavolo è tale da consentire l’acquisizione total body delle due modalità di imaging in successione
Se i tomografi ibridi PET/TC sono stati inizialmente caratterizzati da una TC a singola o doppia linea di detettori, attualmente tutte le ditte produttrici commercializzano tomografi con la componente PET e TC al top dello stato dell’arte [2]. Negli stessi anni sono apparsi in commercio tomografi ibridi SPECT/TC (SPECT, Single Photon Emission Computed Tomography), ovvero gamma-camere che includono nello stesso gantry una TC. Il primo modello di gamma-camera con queste caratteristiche, commercializzato nel 2002 dalla GE Healthcare (Millennium VG Hawkeye), era caratterizzato da una TC a bassa risoluzione, accoppiata meccanicamente alla gamma-camera, con la quale ruotava solidale sullo stesso supporto. Il gantry era caratterizzato per la prima volta dalla presenza della tecnologia slip-ring, sia per la componente TC sia per la SPECT, il tubo radiogeno era alimentato da una tensione di 140 kV con una corrente di 2,5 mA e lo spessore di strato era di 10 mm (matrice 256×256); la velocità di rotazione dell’apparecchio era piuttosto lenta e consentiva alla TC (singola slice) di effettuare la scansione, corrispondente al FOV della gamma-camera (40 cm), in 10 minuti, con una bassa dose efficace per il paziente (