Savannah Dubrinsky è la regina dei sortilegi, una maga famosa in tutto il mondo, capace di incantare chiunque con la su...
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Savannah Dubrinsky è la regina dei sortilegi, una maga famosa in tutto il mondo, capace di incantare chiunque con la sua abilità e il suo fascino magnetico. Giovane, fiera e indipendente, non ha paura di nulla, e nessuno è mai riuscito a domarla. Ma ora Gregori, uno fra i più antichi e potenti carpaziani, è venuto a reclamarla dopo secoli di vuoto e solitudine, e, grazie alla magia nera che lui solo conosce, ha preso a sussurrare alla sua mente che il fato vuole vederli uniti e che lei è nata per salvare la sua anima immortale. E per Savannah sarà difficile resistergli, perché solo lei può illuminare il buio in cui l’oscura anima di Gregori si trova… Un capitolo ancora più dark della saga di Christine Feehan, pieno di disperazione, amore, rituali antichi come il tempo e ineluttabili come il destino.
«Aristocratico, romantico e con un castello nei Carpazi: dopo i teenagers americani, tra i vampiri tira il vento della restaurazione.»
Corriere della Sera
«Sesso e vampiri (vietato ai minori).»
Vanity Fair
«Dopo Bram Stoker, Anne Rice e Joss Whedon (il creatore di Buffy l’ammazzavampiri), l’unica autrice su cui valga la pena scommettere è Christine Feehan.»
Time
«La regina incontrastata del fantasy romantico.»
Publishers Weekly
«Intensa, sensuale, ipnotica.»
Library Journal
«Christine Feehan è insuperabile. La sua immaginazione non ha limiti nel creare storie poetiche e originalissime dalla sensualità prorompente.»
Publishers Weekly «Imperdibile.»
Romance Journal
Titolo originale: Dark Magic Copyright © 2000 by Christine Feehan Published by arrangement with HarperCollins Publishers Traduzione dall’inglese di Clara Serretta
Prima edizione: ottobre 2011 © 2010 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-3319-8
www.newtoncompton.com
Questo libro è dedicato alla mia adorata sorella, Renee Martinez. Hai sempre preso parte alle gioie e ai dolori della mia vita. Non ho mai dovuto cercarti, ho sempre saputo che saresti stata al mio fianco. Se qualcuno a questo mondo merita di avere un vero compagno per la vita, quella persona sei tu…
Capitolo 1 Nella notte riecheggiavano i battiti del cuore di migliaia di persone. Lui camminava tra loro, invisibile, come se non esistesse, muovendosi con la fluida grazia di un predatore della giungla. Gli odori gli arrivavano dritti alle narici. Erano nauseanti. Sudore. Shampoo. Sapone. Alcol. Droga. AIDS. Il dolce e insidioso profumo del sangue. La città era piena di gente. Bestiame. Greggi. Prede. Un perfetto terreno di caccia. Per quel giorno però si era già nutrito a sazietà e quindi, nonostante il richiamo del sangue lo allettasse, tentandolo con la promessa di donargli forza e potere e la garanzia di un’eccitante scarica di adrenalina, lui rifiutò di cedere ai propri desideri. Dopo tutti quei secoli trascorsi a percorrere la terra in lungo e largo, aveva capito che le promesse bisbigliate sono vane. Aveva già un potere e una forza incredibili e si rendeva conto che tutta quella eccitazione, per quanto attraente, era illusoria, come quella provocata dalle sostanze stupefacenti in uso tra gli umani. Lo stadio di quella moderna città era enorme, stipato di gente. Superò le guardie senza alcuna esitazione, certo che non potessero individuare la sua presenza. Lo spettacolo di magia – che comprendeva acrobazie e sparizioni misteriose – era quasi finito e un manto di stupefatto silenzio calò sulla folla. Sul palco, proprio nel punto esatto in cui, fino a un attimo prima, si trovava la maga, si levò una colonna di fumo. Lui si mescolò al pubblico, il suo pallido sguardo argenteo fisso sul palcoscenico. Poi dalla foschia venne fuori colei che incarnava le fantasie erotiche di ogni uomo, la donna con cui tutti avrebbero voluto trascorrere notti bollenti di sesso sfrenato. Sembrava fatta di raso e seta. Mistica, misteriosa, un miscuglio di innocenza e seduzione, si muoveva con la grazia di un’incantatrice. I folti e ondulati capelli nero-blu le arrivavano fino ai fianchi snelli. Indossava un romantico abito bianco di pizzo, che le modellava i seni pieni e sodi, la stretta gabbia toracica e la vita sottile. Una fila di piccoli bottoni di perle che partiva dall’orlo del vestito era
sbottonata fino alla coscia e lo spacco lasciava intravedere le belle gambe. Un paio di occhiali scuri griffati le nascondeva gli occhi, mettendo invece in evidenza la bocca carnosa, i denti bianchissimi e gli zigomi alti. Savannah Dubrinsky, una delle maghe più famose al mondo. Lui aveva resistito quasi per un migliaio di anni al vuoto della solitudine. Nessuna gioia, nessuno scatto di collera, nessun desiderio. Nessuna emozione. Nient’altro che la bestia accovacciata dentro di lui, affamata e insaziabile. Nient’altro che l’oscurità dilagante, la macchia nera che si allargava sulla sua anima. I suoi occhi chiari si fermarono sulla piccola e perfetta sagoma di Savannah e si sentì attanagliare dalla morsa del desiderio. Forte. Abietto. Doloroso. Il suo corpo si irrigidì, tutti i muscoli erano tesi, duri, sofferenti. Chiuse lentamente le dita sullo schienale del sedile davanti a lui, stringendolo talmente forte da lasciare visibili impronte nel metallo. Piccole gocce di sudore gli imperlarono la fronte. Lasciò che il dolore gli scorresse dentro, lo attraversasse. Lo assaporò. Provava delle sensazioni. Il suo corpo non si limitava a volere Savannah. La pretendeva, ardeva di desiderio per lei. La bestia che covava dentro di lui sollevò il capo e la guardò, la puntò, la reclamò. La fame si manifestò di colpo, feroce e pericolosa. Sul palco, due assistenti cominciarono a incatenare Savannah, sfiorandole la pelle setosa, strofinando il corpo contro il suo. Lui emise un ruggito basso e gutturale. Negli occhi chiari balenò un lampo rosso. In quell’istante, il letale predatore si liberò dal giogo dell’autocontrollo a cui era stato sottomesso per un migliaio di anni. Nessuno, mortale o immortale che fosse, era più al sicuro, e lui lo sapeva. Sul palco, Savannah sollevò la testa e cominciò a farla oscillare, come se avesse fiutato il pericolo, un piccolo cerbiatto preso in una tagliola e bloccato al suolo. Lui percepì una stretta allo stomaco. Sensazioni. Oscuro desiderio. Selvaggia libido. Un’acuta e intensa brama di possesso. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. Riusciva a percepire l’odore della paura di Savannah e ne era gratificato. Aveva pensato di essere perso per sempre, e quindi non si preoccupò del fatto che i suoi sentimenti
in quel momento fossero tanto intensi da risultare quasi violenti. Erano autentici. E lui gioiva nel provarli, indipendentemente da quanto fossero pericolosi. Non gli importava di averla marchiata in maniera scorretta, di aver manipolato la loro unione ancor prima che lei nascesse, di aver infranto le leggi della loro gente per averla, del fatto che lei non gli appartenesse di diritto. Niente di tutto ciò gli importava, voleva solo che alla fine lei fosse sua. Si accorse che la mente di Savannah lo stava cercando; si sentì sfiorare dalle ali di una bellissima farfalla. Ma lui era uno degli antichi, dotato di un potere e di una conoscenza ultraterreni. L’unico della sua specie in grado di suscitare timore reverenziale, paura, terrore con un semplice mormorio. Il tenebroso. Nonostante Savannah avesse fiutato la presenza del pericolo, non aveva alcuna speranza di individuarlo, a meno che non lo avesse consentito lui stesso. Stirò le labbra in un ghigno silenzioso mentre un biondo assistente accarezzava con una mano il viso di Savannah e le dava un lieve bacio sulla fronte prima di far scattare i lucchetti di manette e catene e chiuderla dentro una cassaforte d’acciaio. In bocca gli spuntarono le zanne e la bestia rivolse a quel tale un freddo sguardo assassino. Si concentrò sulla sua gola e l’assistente, solo per un attimo, si sentì soffocare. Si portò le mani al collo ed ebbe un istante di mancamento, poi si riprese e riempì d’aria i polmoni. Lanciò una rapida occhiata intorno, nervoso, cercandolo invano tra il pubblico. Preoccupato e con il fiato ancora corto, si voltò e diede una mano a calare la cassaforte dentro una teca piena d’acqua. L’invisibile predatore emise un ringhio sommesso di avvertimento, un suono letale e minaccioso che solo il biondo assistente fu in grado di udire. L’uomo sul palco impallidì visibilmente e mormorò qualcosa al collega, che scosse subito la testa con aria accigliata. Se da una parte la rinnovata presenza di sensazioni procurava all’antico una gioia indescrivibile, dall’altra il rischio di perdere il controllo costituiva un pericolo persino per lui stesso. Voltò la schiena all’esibizione e lasciò lo stadio: ogni passo che lo allontanava da Savannah gli risultava doloroso. Tuttavia accettò la sofferenza, godendo del fatto di riuscire di nuovo a sperimentarla.
I suoi primi cento anni di vita erano stati un’orgia di sentimenti, sensazioni, potere e desideri – anche positivi. Ma, lenta e inesorabile, aveva preso possesso di lui l’oscurità che minaccia l’anima di ogni maschio carpaziano privo di una compagna per la vita. Le emozioni andarono scomparendo, i colori sbiadirono, finché lui non si limitò a esistere. Aveva fatto le proprie esperienze, aveva ottenuto potere e conoscenza, ne aveva pagato il prezzo. Si nutriva, andava a caccia e uccideva quando lo riteneva opportuno. L’oscurità nel frattempo si addensava sempre di più, minacciando di contaminare per sempre la sua anima, di trasformarlo in un dannato, in un non-morto.
Lei era innocente. Rideva, provava compassione, era buona. Era
la luce che illuminava la sua tenebra. Un sorriso amaro gli incurvò gli angoli della bocca sensuale, conferendogli un’aria crudele. I forti muscoli guizzarono. Scosse i folti capelli corvini lunghi fino alle spalle. La sua espressione divenne dura e impietosa come lui. Quegli occhi chiari, che riuscivano senza difficoltà ad attrarre i mortali, a catturarli, a penetrarli, divennero gli occhi della morte, accecanti e gelidi come l’acciaio. Nonostante si fosse già allontanato abbastanza, poteva sentire gli applausi scroscianti far vibrare il suolo, chiara dimostrazione del fatto che Savannah era riuscita a venir fuori dalla cassaforte immersa nella teca piena d’acqua. Si confuse con la notte: individuarlo sarebbe stato impossibile sia per gli umani che per coloro che appartenevano alla sua stessa razza. Era paziente come la terra, immobile come le montagne. Rimase fermo mentre la folla sciamava chiassosa fuori dallo stadio e si riversava nel parcheggio, creando l’inevitabile ingorgo. Lui sapeva in ogni momento dove si trovava Savannah: era stato certo del loro legame sin da quando lei era solo una bambina. Neanche la morte avrebbe potuto infrangere il vincolo che aveva forgiato. Lei aveva messo l’oceano tra di loro, scappando nella terra d’origine di sua madre, l’America, e, nella sua innocenza, aveva pensato di essere al sicuro. Lo scorrere del tempo significava ben poco per lui. Alla fine i rumori delle auto e della gente svanirono e le luci gli si spensero intorno, lasciandolo in balia della notte. Trasse un profondo respiro, ubriaco dell’odore di Savannah. Si stiracchiò, come una pantera che ha avvistato la sua preda. Riusciva a sentire la sua risata sommessa,
bassa, musicale, indimenticabile. Stava parlando con il suo biondo assistente, mentre supervisionava l’impacchettamento degli arredi di scena da caricare sui camion. Nonostante i due si trovassero ancora dentro l’edificio e a una certa distanza da lui, poteva ascoltare la loro conversazione senza compiere alcuno sforzo. «Sono così contenta che questo tour sia finalmente finito». Savannah, stanca, seguì l’ultimo ragazzo della compagnia fino alla piattaforma di carico, si sedette su un gradino e lo osservò sollevare la cassaforte d’acciaio e metterla dentro l’enorme camion. «Abbiamo guadagnato quanto speravi?», chiese in tono di gentile provocazione al suo assistente. Entrambi sapevano che a lei non importava nulla dei soldi, che non prestava mai neanche un briciolo di attenzione alle questioni finanziarie. Se non ci fosse stato Peter Sanders a preoccuparsi di tutti i dettagli, Savannah probabilmente sarebbe rimasta senza il becco di un quattrino. «Anche di più. Potremmo definirlo un vero successo». Peter le sorrise. «Si dice che San Francisco sia una città fantastica. Perché non ci prendiamo una vacanza e facciamo tutto quello che farebbero dei normali turisti? Un giro in tram, il Golden Gate, Alcatraz. Non possiamo lasciarci sfuggire questa opportunità, non torneremo mai più qui». «No, grazie». Savannah declinò la proposta ed ebbe un piccolo sussulto quando Peter si sedette sul gradino accanto a lei. «Sto morendo di sonno. Poi mi racconterai tutto». «Savannah…», sospirò Peter. «Ti sto chiedendo di uscire». Lei drizzò la schiena, si tolse gli occhiali scuri e lo guardò dritto negli occhi. I suoi, incorniciati da lunghe ciglia nere, erano di un blu intenso, quasi viola, con strane pagliuzze d’argento che li rendevano luminosi come stelle. Come sempre, quando lei lo fissava in quel modo, Peter si sentì un po’ disorientato, come se stesse per precipitare, annegare, perdersi in quello sguardo splendente. «Oh, Peter». La voce di Savannah era dolce, armoniosa, ipnotica. Era uno dei motivi per cui era diventata famosa così in fretta. Riusciva a catturare l’attenzione del pubblico senza alcuno sforzo, le bastava proferire parola. «Quando flirtiamo sul palco è solo per esigenze di scena. Siamo amici, lavoriamo insieme, e questo per me
significa molto. Da piccola la cosa più simile a un migliore amico che avessi era un lupo». Non aggiunse che comunque continuava a pensare a quel lupo, ogni giorno. «Non ho alcuna intenzione di mettere a rischio un rapporto a cui tengo cercando di trasformarlo in qualcos’altro». Peter sbatté le palpebre e scosse la testa per schiarirsi le idee. I discorsi di Savannah erano sempre così logici e convincenti. Ogni volta che lo guardava negli occhi, per lui era impossibile non trovarsi d’accordo con lei. Savannah aveva la sua volontà in pugno, così come il suo cuore. «Un lupo? Un lupo vero?». Lei annuì. «Quando ero piccola, io e la mia famiglia vivevamo in un angolo remoto dei Carpazi. Non c’erano bambini con cui potessi stare. Un giorno, un cucciolo di lupo cominciò a gironzolare nel bosco vicino casa nostra. Quando i miei non c’erano, veniva a giocare con me». Il pensiero del suo vecchio amico a quattro zampe fece trapelare nelle parole di Savannah una punta di sofferenza. «Sembrava che sapesse quando avevo bisogno di lui, quando mi sentivo triste e sola. Era sempre affettuoso. Anche nel periodo in cui stava mettendo i denti, mi ha dato solo qualche leggero morso». Si strofinò le braccia al ricordo della sua infanzia, e sfiorò con una inconsapevole carezza il punto in cui portava il segno di quei morsi. «Quando crebbe divenne il mio inseparabile accompagnatore. Stavamo sempre insieme. Non avevo mai paura di ritrovarmi da sola nella foresta di notte, perché c’era sempre lui a proteggermi. Era enorme, con il pelo nero e lucente e intelligenti occhi grigi che mi guardavano con aria d’intesa. A volte sembrava afflitto, come se portasse sulla schiena il peso del mondo intero. Quando decisi di venire qui in America è stata dura separarmi dai miei genitori, ma ancora di più lo è stato lasciare il mio lupo. Prima di partire ho pianto per tre notti di fila, abbracciandolo forte. Lui stava immobile, sembrava che capisse e soffrisse insieme a me. Se fosse stato possibile lo avrei portato con me. Ma aveva bisogno di rimanere libero». «Mi stai dicendo la verità? Un lupo vero?», le chiese Peter, incredulo. Non aveva alcuna difficoltà a credere che Savannah riuscisse a addomesticare uomini e belve, ma il comportamento di quell’animale rimaneva per lui un mistero. «Credevo che i lupi fossero schivi. Non che ne abbia incontrati molti… almeno non di
quelli a quattro zampe». Lei gli rivolse un ampio sorriso. «Il mio lupo era enorme, e sarebbe potuto essere molto feroce, ma con me era tutt’altro che schivo. Ovviamente si teneva alla larga dalle altre persone, anche dai miei genitori. Scappava nella foresta se si avvicinava qualcuno. Tuttavia, continuava a osservarmi da lontano per assicurarsi che fossi al sicuro. Riuscivo a vedere i suoi occhi scintillare nel folto del bosco e mi sentivo protetta». Rendendosi improvvisamente conto del fatto che Savannah era riuscita a distrarlo, Peter si sforzò di distogliere lo sguardo da lei, stringendo i pugni, determinato. «Non è normale il modo in cui vivi, Savannah. Ti isoli e sfuggi a qualsiasi contatto ravvicinato». «Noi abbiamo un contatto ravvicinato», puntualizzò lei, gentile. «Ti voglio un sacco di bene, Peter, come a un fratello. Ho sempre desiderato avere un fratello». «No, Savannah. Tu non hai mai dato una chance alla nostra storia. E chi altro c’è nella tua vita? Io ti accompagno alle feste e alle interviste. Controllo i conti e le prenotazioni e mi assicuro che le fatture vengano pagate. L’unica cosa che non faccio è dormire con te». Un basso ululato riecheggiò nella notte in segno di avvertimento, e un brivido freddo corse lungo la schiena di Peter. Savannah sollevò la testa e diede un’occhiata in giro preoccupata. Peter si alzò in piedi e osservò attentamente i camion che lasciavano la piattaforma di carico. «L’hai sentito?». Porse una mano a Savannah per aiutarla ad alzarsi, mentre i suoi occhi continuavano a scrutare nell’ombra. «Non te l’ho detto, ma durante lo spettacolo è successa una cosa stranissima». Stava bisbigliando, come se persino la notte avesse orecchie. «Dopo che ti ho chiuso nella cassaforte, mi sono sentito strozzare. Ho avuto la sensazione che qualcuno mi stringesse le mani intorno alla gola, qualcuno con una forza enorme. Come se fossi vittima di una rabbia assassina». Si passò una mano tra i capelli e ridacchiò nervosamente. «Tutto frutto della mia stupida immaginazione, lo so. Ma ora ho di nuovo udito quello stesso ululato. È folle, Savannah, ma sembra che qualcuno voglia tenermi
lontano da te». «Perché non mi hai detto niente?», gli chiese lei, con lo sguardo colmo di paura. Senza alcun preavviso, le luci nel parcheggio si spensero, avvolgendoli nella fitta oscurità. Savannah strinse la mano di Peter, e lui ebbe la netta sensazione che qualcuno li stesse osservando, dando loro la caccia. La sua macchina era lontana, e tutto intorno era buio pesto. Dov’erano le guardie della sicurezza? «Peter, dobbiamo andarcene da qui. Se ti dico di correre, fallo, e non voltarti indietro, qualsiasi cosa accada». La sua voce era bassa e convincente, al punto che per un attimo Peter pensò che non desiderava altro che obbedirle. Ma Savannah, stretta a lui, tremava, e la galanteria ebbe la meglio. «Resta dietro di me, tesoro. Ho un brutto presentimento», la avvertì. Come molte celebrità, anche Savannah era oggetto di minacce e delle attenzioni di qualche maniaco. Valeva diversi milioni di dollari, per non parlare del fatto che nell’immaginario collettivo era una ragazza sexy e molto attraente. Aveva una specie di effetto ipnotico sugli uomini, sembrava quasi che il ricordo di lei li tormentasse per l’eternità. Savannah avvertì Peter con un grido un attimo prima che qualcosa lo colpisse dritto al petto, facendogli buttare l’aria fuori dai polmoni e strappandogli la presa sulla mano di lei. Peter grugnì: aveva il petto in fiamme e si sentiva come se gli fosse caduta addosso una tonnellata di mattoni. Incatenò lo sguardo a quello di Savannah e scorse la paura negli occhi di lei. Qualcosa di incredibilmente forte lo afferrò e lo scagliò a una decina di metri di distanza, slogandogli le spalle e spezzandogli le braccia come fossero state ramoscelli. Sentì un alito di fiato caldo sul collo e urlò. Savannah bisbigliò il suo nome, coprì la distanza che li separava in un solo balzo e si gettò contro il suo assalitore. Fu colpita al viso da uno schiaffo tanto potente da farla cadere dalla piattaforma di carico sull’asfalto del parcheggio, neanche fosse stata una bambola di pezza. Sebbene, grazie a un’agilità da felino, fosse riuscita ad atterrare in piedi, aveva un cerchio alla testa e migliaia di pagliuzze bianche le danzavano davanti agli occhi. Prima che potesse riprendersi, la bestia attaccò Peter affondandogli le zanne nel collo,
squarciandoglielo, e bevve il sangue che sgorgò copioso dalla terribile ferita. Peter riuscì a girare la testa, aspettandosi di vedere un lupo o quanto meno un enorme cane. Vide invece un viso scheletrico, bianco e malvagio, da cui spuntavano un paio d’occhi di un rosso fiammeggiante. Morì in preda al terrore e alla sofferenza, alla paura e al senso di colpa per non essere riuscito a proteggere Savannah. Emettendo un sibilo basso e crudele, la creatura, con indifferenza, gettò lontano il corpo del giovane, facendolo atterrare a pochi passi da Savannah. Il sangue formò una pozza, che si andò allargando lentamente sull’asfalto. La bestia sollevò il capo e si girò verso la ragazza, rivolgendole un orribile sorriso che lasciava intravedere le zanne aguzze. Savannah fece un passo indietro, con il cuore che le martellava nel petto per la paura. Il dolore si impadronì di lei e per un attimo non riuscì nemmeno a respirare. Peter. Il suo primo amico in carne e ossa in ventitré anni di vita. Morto a causa sua. Guardò lo scheletrico sconosciuto che lo aveva ucciso. Il sangue di Peter gli aveva macchiato la faccia e i denti di rosso. Con un gesto disgustoso, stava tirando fuori la lingua per leccarsi le labbra. Ricambiò lo sguardo, fulminandola con aria di scherno. «Ti ho trovata per primo. Sapevo che ci sarei riuscito». «Perché lo hai ucciso?». La voce di Savannah era piena di orrore. Il mostro scoppiò a ridere, lanciandosi in volo e atterrando a pochi metri da lei. «Dovresti provarci qualche volta. La paura, il sangue, l’adrenalina. Non c’è niente che possa essere paragonato a quella sensazione. Mi piace che le mie vittime mi vedano, che sappiano che sta arrivando la fine». «Che cosa vuoi?». Savannah non distolse nemmeno per un secondo il proprio sguardo e la propria attenzione da lui, rimase immobile ma pronta a scattare, senza vacillare. «Voglio essere tuo marito. Il tuo compagno per la vita». Nella sua voce c’era una punta di minaccia. «Tuo padre, Mikhail Dubrinsky, dovrà ritrattare la sentenza di morte con cui mi ha condannato. I potenti mezzi della sua giustizia non riusciranno a raggiungere
facilmente San Francisco, non trovi?». Lei tirò su il mento. «E se mi rifiutassi?» «Allora sarò costretto a ricorrere alle cattive maniere. Potrebbe essere divertente, di certo diverso rispetto alle esperienze che ho avuto con quelle smorfiose delle umane, che mendicano le mie attenzioni». La sua depravazione la disgustò. «Non mendicano un bel niente. Hai sottratto loro il libero arbitrio. È l’unico modo che conosci per avere una donna». Mise in quelle parole tutto l’odio e il disprezzo di cui era capace. Il maligno sorriso sparì dal viso di quella creatura, che divenne la brutta caricatura di un uomo, un essere proveniente dalle viscere dell’inferno. Gli sfuggì dalle labbra un lungo sospiro. «Mi hai mancato di rispetto e la pagherai», disse, e fece uno scatto verso Savannah. Dal buio della notte sbucò una sagoma scura: un uomo forte e potente, come si poteva dedurre dai muscoli che si intravedevano sotto un’elegante camicia di seta. L’ombra scivolò di fronte a Savannah, facendole scudo con il proprio corpo e costringendola a fare un passo indietro. Una grande mano le accarezzò il viso, nel punto esatto in cui lo aveva sfiorato Peter. Fu un tocco breve ma incredibilmente tenero, e non appena le dita si staccarono dal suo volto, a Savannah sembrò che si fossero portate via il dolore che le attanagliava il cuore. Il nuovo arrivato rivolse quindi gli occhi chiarissimi, quasi argentei, alla scheletrica creatura. «Buonasera, Roberto. Vedo che hai già cenato». Aveva un tono di voce affabile, educato, rilassato, ipnotico. Savannah trattenne un singhiozzo. Provò immediatamente un’ondata di calore, come se delle forti braccia la stessero abbracciando e proteggendo. «Gregori», ringhiò Roberto, e nei suoi occhi si intravide la sete di sangue. «Ho sentito parlare del pericoloso Gregori, il tenebroso, l’uomo nero dei Carpazi. Ma non ho paura di te». La sua era solo spavalderia e lo sapevano entrambi; stava cercando disperatamente una via di fuga.
Gregori sorrise, un piccolo stiramento delle labbra privo di qualsiasi calore, che conferì al suo sguardo un luccichio crudele. «Evidentemente non ha mai imparato le buone maniere a tavola. In tanti lunghi anni, Roberto, che altro non sei riuscito a imparare?». A Roberto sfuggì un lungo e lento sibilo. Cominciò a dondolare piano la testa. Le sue unghie si allungarono, trasformandosi in artigli affilati come rasoi.
Quando attaccherà, Savannah, vattene via da qui. Il comando
risuonò imperioso nella mente della ragazza.
Ha ucciso il mio amico, ed è me che ha minacciato. Era contro
ogni suo principio permettere a qualcun altro di combattere le sue battaglie e magari uscirne ferito o ucciso al posto suo. Non smetteva di chiedersi perché le riuscisse così semplice parlare con Gregori, il più temuto degli antichi carpaziani: quello scambio telepatico non corrispondeva all’abituale modo di comunicare della loro gente.
Farai come ti ho detto, piccola mia. L’ordine fu pronunciato nella
sua mente sempre con quel tono calmo, da cui trasudava un’incontestabile autorità. Savannah trattenne il respiro: aveva paura di sfidarlo. Roberto poteva anche pensare di riuscire a sconfiggere un carpaziano potente come Gregori, ma lei sapeva di non essere in grado di farlo. Era giovane, una novizia che non aveva ancora appreso pienamente le arti del suo popolo. «Non hai alcun diritto di interferire, Gregori», sbottò Roberto, come un ragazzino viziato e petulante. «Savannah non è stata rivendicata». I chiari occhi di Gregori divennero fessure di gelido argento. «Savannah appartiene a me, Roberto. L’ho rivendicata ormai molti anni fa. È la mia compagna per la vita». Roberto fece un prudente passo verso sinistra. «La vostra unione non ha ricevuto alcun riconoscimento ufficiale. Ti ucciderò e lei diverrà mia». «Quello che hai appena compiuto è un delitto contro l’umanità. Quello che avresti intenzione di fare a Savannah è un reato contro la nostra gente, contro le nostre adorate donne, e contro di me. La giustizia ha seguito le tue tracce fino a San Francisco e la sentenza
pronunciata dal principe Mikhail verrà eseguita. Sarebbe bastato comunque lo schiaffo che hai dato alla mia donna a farti meritare il tuo destino». Gregori aveva alzato la voce, ma il sorrisetto minaccioso che aveva dipinto sul volto non era sparito. Vattene,
Savannah.
Non permetterò che ti faccia del male, è me che vuole. La bassa risata di Gregori le riecheggiò in testa. Non succederà, piccola mia. Fa’ come ti ho detto, vattene. Non voleva che assistesse alla distruzione dell’abominevole creatura che aveva osato colpire una donna. La sua donna. Savannah già lo temeva abbastanza. «Ti ucciderò», esclamò Roberto ad alta voce, comportandosi da spaccone per farsi coraggio. «Be’, allora non posso far altro che costringerti a provarci», ribatté Gregori, divertito. La sua voce era scesa di un’ottava, divenendo ipnotica. «Sei lento, Roberto. Lento, goffo e troppo maldestro per prendertela con uno potente come me». Il suo sorriso era crudele e un po’ beffardo. Era impossibile non ascoltare la voce cadenzata di Gregori. Si faceva strada nel cervello e annebbiava la mente. Eppure, eccitato e forte dopo il recente assassinio, bramoso e desideroso di potere, Roberto si scagliò contro il suo rivale. Be’, Gregori non era più lì. Aveva spinto Savannah il più lontano possibile da loro e, fulmineo, aveva graffiato il volto di Roberto, lasciando quattro profondi segni nel punto esatto in cui aveva sfiorato il viso della ragazza. La sommessa e minacciosa risata del carpaziano fece scendere un brivido lungo la schiena di Savannah. Riusciva a distinguere i suoni della lotta, le esclamazioni di dolore di Roberto, mentre Gregori, freddo, implacabile e impietoso, lo faceva a pezzi. Roberto aveva perso una gran quantità di sangue ed era molto debole. Rispetto al suo antagonista, era lento e maldestro. Savannah si morse le nocche e fece alcuni passi indietro, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dal duro viso di Gregori. Era una maschera di ostinazione, con quel sorrisetto derisorio dipinto sul volto e quegli occhi chiarissimi, gli occhi della morte. Non aveva mai
cambiato espressione. Il suo attacco era stato l’aggressione più impietosa e fredda cui lei avesse mai assistito. Ognuno dei colpi che infliggeva a Roberto rendeva la sua vittima più debole, finché quest’ultima non fu letteralmente ricoperta di tagli e ferite. Roberto non riuscì ad affondare i propri artigli su Gregori neanche una volta. Era evidente che non aveva alcuna possibilità di prevalere, che Gregori avrebbe potuto dargli in qualunque momento il colpo di grazia. Savannah guardò il corpo senza vita di Peter, abbandonato sull’asfalto. Era stato un suo grande amico. Lo aveva amato come un fratello, e adesso lui era morto. In preda all’orrore, fuggì dal parcheggio e trovò rifugio tra gli alberi che lo circondavano. Crollò a terra. Oh, Peter. Era il suo destino. Aveva pensato di essersi lasciata alle spalle il mondo dei vampiri e dei carpaziani. Piegò la testa, il suo stomaco dava segno di non gradire il brutale spettacolo cui aveva assistito. Lei non era come quelle creature. Le lacrime le riempirono gli occhi e cominciarono a rigarle il viso. All’improvviso ci fu uno sfrigolio, e un lampo bianco e blu squarciò il cielo. Un bagliore arancione fu subito seguito dal crepitare delle fiamme. Savannah si nascose il volto tra le mani, ben sapendo che Gregori stava distruggendo definitivamente il cadavere di Roberto. Il suo cuore e il suo sangue contaminato dovevano essere ridotti in cenere per essere certi che il vampiro non risorgesse. Un carpaziano, persino uno che si era trasformato in vampiro, non avrebbe mai dovuto rischiare di essere sottoposto a un’autopsia umana. Se gli uomini avessero avuto in mano le prove fisiche della loro esistenza, l’intera razza sarebbe stata in pericolo. Savannah strinse le palpebre degli occhi chiusi e cercò di scacciare dalle narici l’odore della carne bruciata. Bisognava cremare anche Peter, per nascondere il terribile squarcio che aveva sul collo, chiara evidenza dell’intervento di un vampiro. Sentì una brezza leggera accanto a sé. Le dita di Gregori le afferrarono l’avambraccio, facendola alzare. Da così vicino sembrava ancora più potente, praticamente invincibile. Le circondò le spalle con un braccio e se la strinse al petto. Le asciugò le lacrime con il pollice e le strofinò il mento sul capo.
«Mi dispiace, sono arrivato tardi e non ho potuto salvare il tuo amico. Sapevo da tempo della presenza del vampiro, aveva già colpito». Non aggiunse che era stato troppo occupato a riscoprire la meraviglia delle emozioni e a reimparare a gestirle per bloccare subito Roberto. Era la sua prima svista in un migliaio di anni, e non era pronto a esaminarne approfonditamente le ragioni. Senso di colpa, forse, per aver manipolato l’intesa che aveva con Savannah? La mente della ragazza sfiorò quella di Gregori e vi trovò profondo dispiacere per il suo dolore. «Come hai fatto a trovarmi?» «So sempre dove ti trovi, in qualsiasi momento. Cinque anni fa mi hai detto che avevi bisogno di tempo, e io te l’ho dato. Ma non ti ho mai abbandonato. Non potrei mai farlo». Nelle sue parole c’era una punta di gentile determinazione, un’eco della sua risolutezza. Savannah ebbe un tuffo al cuore. «Non dire così, Gregori. Sai come mi sento. Mi sono rifatta una vita». Lui le accarezzò con dolcezza i capelli e lei sentì le farfalle nello stomaco. «Non puoi cambiare te stessa. Sei la mia compagna per la vita, ed è tempo che ti unisca a me». Mentre mormorava le parole “compagna per la vita”, la sua voce vellutata aveva assunto un tono imperativo, che contribuiva a rinforzare il legame che lui aveva creato. Più parlava, più Savannah gli avrebbe prestato ascolto. Era la verità, Gregori aveva improvvisamente distinto i colori e provato delle emozioni non appena l’aveva incontrata. Tuttavia, sapeva di aver fatto in modo che tra loro scattasse quella scintilla ancor prima che lei nascesse; Savannah non aveva mai avuto scelta. Lei si mordicchiò un labbro, nervosa. «Se non mi unisco a te di mia spontanea volontà non potrai avermi, Gregori. Sarebbe contro le nostre leggi». Lui chinò la testa, e il suo alito caldo le provocò una stretta alla bocca dello stomaco. «Savannah, vieni via con me». Lei buttò indietro la testa e i capelli nero-blu le ondeggiarono sulla schiena. «No. Rappresento quanto di più vicino a una famiglia avesse Peter. Devo prima occuparmi di lui. Poi ne parliamo». Si stava tormentando le mani, tradendo in maniera inconsapevole il proprio nervosismo.
La grande mano di Gregori si posò sulle sue, facendole smettere di torcersi disperatamente le dita. «Forse non hai le idee chiare, piccola mia. Non puoi farti trovare qui. Non avresti modo di spiegare che cosa è accaduto. Ho sistemato le cose in modo tale che quando il suo cadavere verrà trovato e identificato, su di te e sulla nostra gente non cada alcun sospetto». Savannah inspirò profondamente: odiava dover riconoscere che Gregori aveva ragione. Non era il caso di attirare l’attenzione sulla sua razza. Sarebbe stato davvero spiacevole. «Non verrò con te». Lui le mostrò i denti in un sorriso smagliante, il ghigno di un predatore. «Puoi resistermi, Savannah, ma solo se in cuor tuo senti di aver ragione». Lei gli sfiorò la mente. Virile divertimento, implacabile determinazione, calma totale. Niente poteva mettere Gregori in agitazione. Non la morte né tanto meno il suo tono di sfida. «Chiamerò la sicurezza», lo minacciò, disperata. Gregori le mostrò di nuovo i denti bianchissimi. I suoi occhi argentei scintillarono. «Vuoi che prima li sciolga dai comandi che ho impartito loro?». Savannah, ancora tremante per la paura e lo spavento, chiuse gli occhi. «No, non farlo», bisbigliò, sconfitta. Gregori studiò lo sconforto dipinto sul suo volto. Si sentì colpire al cuore da un sentimento intenso ma indecifrabile. «Tra un paio d’ore sarà l’alba. Dobbiamo lasciare questo posto». «Io non verrò con te», insisté lei, testarda. «Se il tuo orgoglio ti impone di provare a resistermi, fai pure». La sua voce, con quella cadenza formale e all’antica, era quasi tenera. Gli occhi di Savannah si incupirono e diventarono tendenti al viola. «Smettila di darmi il tuo permesso! Sono la figlia di Mikhail e Raven, una carpaziana tanto quanto te, e anche io ho i miei poteri. Ho diritto di fare le mie scelte!». «Se la metti così…». La prese per l’esile polso. La stretta era delicata, ma Savannah avvertì l’enorme forza di cui Gregori era capace. Lo strattonò, mettendo alla prova la sua risolutezza. Gregori
sembrò non notare nemmeno i suoi tentativi di divincolarsi. «Vuoi che ti renda le cose più semplici? Non hai motivo di aver paura». La sua voce ipnotica era incredibilmente dolce. «No!». Il cuore le martellava nel petto. «Non controllare la mia mente. Non farmi diventare un burattino». Savannah sapeva che Gregori era abbastanza potente per farlo, e ne era terrorizzata. Lui le prese il mento fra le mani e glielo sollevò, in modo tale da catturare il suo sguardo. «Non corri alcun rischio di essere vittima di una simile atrocità. Io non sono un vampiro, sono un carpaziano, nonché il tuo compagno per la vita. Ti proteggerò a qualunque costo. Avrò sempre cura di te e cercherò di renderti felice». Savannah trasse un profondo respiro per cercare di mantenere il controllo, poi buttò fuori l’aria lentamente. «Noi non siamo compagni per la vita. Io non ti ho scelto». Si aggrappava a quel particolare, era la sua unica speranza. «Ne discuteremo in un momento più opportuno». Lei annuì, diffidente. «Allora ci vediamo domani». La sua risata silenziosa le riempì la testa. Sommessa. Divertita. Di una virilità davvero frustrante. «Tu verrai con me adesso». La voce di Gregori si abbassò di un’ottava, divenne calda come il miele, irresistibile, ipnotica, tanto convincente che lei non riuscì a opporglisi. Savannah appoggiò la fronte sul suo petto muscoloso. Le lacrime le facevano bruciare gli occhi e la gola. «Ho paura di te, Gregori», ammise, afflitta. «Non posso vivere come una carpaziana. Sono come mia madre. Ho bisogno di essere indipendente, di vivere la mia vita». «Lo so, piccola mia. Conosco ogni tuo pensiero. Il legame tra di noi è talmente forte da attraversare gli oceani. Affronteremo i tuoi timori insieme». «Non posso. Non voglio!». Savannah sgattaiolò fuori dalla stretta di Gregori, la sua immagine divenne indistinta e scappò via velocissima. Ma anche se si girava dall’altra parte, anche se cercava di
nascondersi o si metteva a correre alla velocità della luce per sfuggirgli, Gregori era sempre accanto a lei. Quando alla fine rallentò fino a fermarsi, Savannah era giunta dall’altra parte dello stadio e lacrime copiose le rigavano il volto. Il carpaziano era al suo fianco, solido, affettuoso, invincibile, come se fosse davvero a conoscenza di ogni suo pensiero, di ogni suo movimento, prima ancora che lei lo facesse. Le circondò la vita con un braccio, attirandola e stringendola a sé. «Concedendoti la libertà, ti esporrei al rischio di incontrare un altro pericoloso vampiro, come Roberto». Per un istante abbassò la testa e la affondò nella folta e setosa chioma di lei. Poi, senza alcun preavviso, spiccò il volo, come un enorme e fortissimo uccello rapace, tenendo stretto l’esile corpo di Savannah. Lei chiuse gli occhi e permise al dolore che provava per la sorte di Peter di consumarla, di scacciare il pensiero della creatura in compagnia della quale stava solcando i cieli, che l’avrebbe condotta dritta alla sua tomba. Strinse i pugni contro quel petto forte come l’acciaio. I suoi singhiozzi risuonarono nel vento, raggiunsero le stelle. Le lacrime scintillavano nella notte come pietre preziose. Gregori soffriva come se quel dolore fosse il suo. Solo il pianto di Savannah aveva il potere di commuoverlo. La contattò telepaticamente e si accorse che era confusa, preda di una terribile sofferenza e atterrita da lui. Le instillò una sensazione di calore e conforto. Le accarezzò la mente, le rilassò i nervi. Savannah aprì gli occhi e si ritrovò ormai lontana dalla città, fra le montagne. Gregori la depositò con delicatezza sui gradini d’ingresso di un’enorme villa dalla struttura irregolare. Le passò davanti per aprire la porta, poi, in segno di galanteria, fece un passo indietro per permetterle di entrare per prima. Savannah si sentì piccola e sperduta: sapeva che se avesse messo anche solo un piede in quella tomba, gli avrebbe consegnato la propria esistenza. I suoi occhi brillarono di un bagliore bianco e blu, come se avessero catturato una stella e l’avessero intrappolata per sempre nelle loro profondità. Sollevando il mento con aria di sfida, fece qualche passo indietro finché non andò a sbattere contro la balaustra della veranda. «Mi rifiuto di entrare a casa tua».
Lui scoppiò a ridere, una risata sommessa, divertita e incredibilmente sensuale. «Il mio corpo e il tuo hanno scelto al posto nostro. Non c’è altro uomo per te, Savannah. Né ora, né mai. Posso avvertire le sensazioni che provi quando qualcun altro, umano o carpaziano che sia, ti tocca. È repulsione. Non riesci a sopportare il contatto». La sua voce divenne ancora più bassa, una carezza di velluto nero, che la surriscaldava come una colata di lava incandescente. «Quando ti tocco io, non hai la stessa reazione, piccola mia. Lo sappiamo entrambi. Non negarlo, o sarò costretto a dimostrarti che ho ragione». «Ho soltanto ventitré anni», puntualizzò lei, disperata. «Tu ne hai centinaia. Praticamente non ho ancora vissuto». Gregori scrollò le spalle con indifferenza, i suoi muscoli guizzarono, gli occhi argentei erano fissi sul bel viso preoccupato di lei. «Be’, allora godrai dei frutti della mia esperienza». «Gregori, per favore, cerca di capire. Tu non mi ami. Nemmeno mi conosci. Io non sono come le altre donne carpaziane. Non voglio diventare una fattrice. Non posso essere tua prigioniera, non importa quanto sarei coccolata e vezzeggiata». Lui si mise a ridacchiare e agitò una mano con fare sbrigativo. «Sei proprio immatura, tesoro, se pensi davvero ciò che stai dicendo». Il suo tono gentile le fece venire un tuffo al cuore, a dispetto di tutte le sue paure. «Tua madre è forse una prigioniera?» «Nel caso dei miei genitori è diverso. Mio padre ama mia madre. Eppure, talvolta calpesta i suoi diritti, se può. Sebbene dorata, è pur sempre una gabbia, Gregori». Di nuovo quell’aria divertita che dava calore al suo sguardo freddo come l’acciaio. Savannah sentì montarle dentro la collera. Provò l’incontrollabile desiderio di dargli uno schiaffo. Il sorriso di lui divenne ancora più ampio, in segno di sfida. Indicò la porta aperta. Lei fece una risata forzata. «Possiamo anche restare qui fino all’alba, Gregori. Io sono disposta a farlo, e tu?». Lui appoggiò pigro un fianco contro la parete. «Hai intenzione di sfidarmi?»
«Non puoi costringermi a entrare contro la mia volontà: violeresti le nostre leggi». «Tu credi che io non abbia mai violato queste leggi in tanti secoli di vita?». La sua risatina era priva di qualsiasi traccia di divertimento. «A confronto di quello che ho fatto, rapirti sarebbe l’equivalente del crimine umano di attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali». «In effetti hai consegnato Roberto alla giustizia, anche se San Francisco è il terreno di caccia di Aidan Savage», osservò Savannah, menzionando un altro potente carpaziano che aveva il compito di rintracciare ed eliminare coloro che si erano trasformati in vampiri. «Lo hai fatto per me?» «Tu sei la mia compagna per la vita, l’unica cosa che mi impedisce di distruggere tanto gli umani quanto gli immortali». Gregori pronunciò quell’affermazione con calma, come se si trattasse di un’inconfutabile verità. «Nessuno può toccarti o provare a mettersi tra noi e pensare di sopravvivere. Quel vampiro ti aveva colpito, Savannah». «Mio padre…». Gregori scosse il capo. «Non provare a coinvolgere tuo padre in questa faccenda, cara, anche se Mikhail è il nostro principe. Questa è una faccenda tra me e te. Tu non vuoi una guerra. Lui ti aveva colpito, e questa è stata una ragione sufficiente per dargli la morte». Savannah sfiorò nuovamente la sua mente. Nessuna rabbia. Solo determinazione. Voleva dire esattamente quello che aveva detto. Gregori non stava bluffando o provando a spaventarla. Si premette una mano sulla bocca. Aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato. «Mi dispiace, Gregori», mormorò disperata. «Io non posso darti quello che tu desideri. Affronterò l’alba». Lui le accarezzò il volto con una delicatezza incredibile. «Non hai la benché minima idea di quello che io voglio da te». Le prese il viso fra le mani, e le sfiorò con il pollice il punto del collo in cui si avvertivano le frenetiche pulsazioni della sua arteria. «Lo sai, piccola mia, non posso consentirti di scegliere. Discuteremo a fondo delle tue paure. Vieni dentro con me». La mente di Gregori stava prendendo possesso della sua, una calda e dolce seduzione. Negli
occhi di lui, chiarissimi e gelidi, sembrava scorrere il mercurio, che le bruciava nella testa e minacciava l’autonomia della sua volontà. Savannah si sentì sprofondare in una pozza di liquido caldo e si aggrappò al corrimano. «Fermati, Gregori», urlò all’improvviso, determinata a interrompere quel contatto telepatico. Era un tormento quasi piacevole, l’eccitazione stava avendo la meglio: quel tentativo di sedurla divenne talmente pericoloso che lei si fiondò attraverso la porta d’ingresso pur di sfuggire all’oscuro potere di lui. Con un braccio, Gregori le impedì di portare a termine quel gesto precipitoso. Le sue labbra si incollarono all’orecchio di lei. Il suo corpo, aggressivo, virile, teso e ferocemente eccitato, schiacciato contro il suo. Dillo, Savannah. Pronuncia quelle parole. Persino quel mormorio nella sua testa sembrava velluto nero. La bocca di Gregori, perfetta e sensuale, calda e umida, si abbassò in cerca del suo collo. Il contatto fisico era addirittura più eccitante della seduzione telepatica. Le graffiò appena la pelle con i denti. Il corpo di lui si irrigidì e Savannah avvertì il mostro dentro di lui, desto, affamato, ardente di desiderio – non un amante dolce e razionale, ma un maschio carpaziano all’apice dell’eccitazione. Le parole che le aveva ordinato di pronunciare le si bloccarono in gola e fuoriuscirono a un volume così basso che sarebbe stato impossibile capire se le avesse dette davvero o se fossero soltanto un’eco che le risuonava nella mente. «Vengo con te di mia spontanea volontà». Gregori la lasciò subito andare, permettendole di oltrepassare da sola e a passo incerto la soglia. Dietro Savannah, la sua sagoma riempiva la cornice della porta. Torreggiava su di lei, emanando dagli occhi argentei eccitazione, potere e immensa soddisfazione. Il carpaziano chiuse la porta con il piede e la raggiunse. Savannah urlò e cercò di evitare il contatto, ma lui la afferrò con forza e attirò quel corpicino ribelle contro il suo petto. Le strofinò il mento sui capelli morbidi come la seta. «Stai buona, bambina, o finirai per farti male. Non riusciresti ad avere la meglio su di me, e io non posso permettere che tu ti ferisca». «Ti odio». «Tu non mi odi, Savannah. Tu hai paura di me, e soprattutto hai
paura della tua stessa natura», replicò lui, serafico. Muovendosi per la casa a grandi falcate, la condusse nel seminterrato e poi ancora più in basso, in una camera segreta sprofondata nel suolo. Il corpo di Savannah, a contatto con il suo, caldo ed eccitato, bruciava così tanto di desiderio da non trovare pace. All’improvviso fu presa da un impeto di passione e la sua natura selvaggia si ridestò.
Capitolo 2 Nel momento stesso in cui lui la mise giù, Savannah si allontanò di scatto. Un solo balzo, e a separarli c’era l’intera stanza. La paura cresceva, una creatura palpitante, a fianco della sua indole selvaggia. Gregori poteva sentire battere il cuore di Savannah: il suo si era sintonizzato sulla accelerata frequenza di quello di lei. Il sangue di quella donna gli inviava un richiamo. Ne inalò l’odore, riempiendosene i polmoni e facendoselo scorrere nelle vene, e il suo stesso sangue rifluì surriscaldato dall’ardente passione. Respirava per entrambi, cercando di tenere sotto controllo il demone infuriato dentro di lui, tentando di mantenere la calma necessaria per non farle del male, di trattenersi dall’aggredirla. L’aspetto di Savannah ne rispecchiava il carattere, giovane, selvaggia, bellissima; i suoi occhi erano di un viola intenso e scintillanti come stelle, sgranati dal terrore. Si era accovacciata nell’angolo opposto della stanza: i suoi pensieri erano talmente caotici che a Gregori fu necessario qualche istante per dipanare il groviglio delle sue emozioni. Dolore e senso di colpa per l’amico morto. Disgusto e umiliazione per il fatto che il suo corpo avrebbe potuto tradirla, che non era abbastanza forte da resistere alla seduzione del carpaziano. Paura che lui potesse raggiungere il suo obiettivo, ovvero renderla la sua compagna, controllare la sua vita. Paura che le facesse del male, visto quant’era potente e quant’era forte il suo bisogno di lei. Voleva fuggire: questo pensiero sovrastava tutti gli altri; avrebbe combattuto fino alla morte. Gregori la guardò negli occhi, privo di espressione e senza muovere un muscolo, in cerca di un modo per disinnescare una situazione esplosiva. Non avrebbe mai permesso che Savannah morisse. Aveva rischiato grosso per lei. La sua salute mentale, la sua anima. Non voleva perdere tutto proprio adesso, solo per mancanza di tatto. «Mi dispiace molto per il tuo amico, Savannah», fece, calmo e gentile, a voce bassa, quasi un sussurro musicale e ipnotico. Lei sbatté le palpebre, perplessa. Non si era aspettata quelle parole.
«Avrei dovuto arrivare prima e salvarlo», ammise a bassa voce. «Non ti deluderò un’altra volta». Savannah si inumidì le labbra e trasse un profondo respiro. Gregori le sembrava invincibile, spietato. Uno stregone che trasudava oscure tentazioni da ogni poro. La sua sensualità era irresistibile. La voce gentile e la calma totale erano in evidente contraddizione con la smorfia al tempo stesso attraente e crudele delle sue labbra, con i suoi occhi chiari, ardenti e intensi e con la maschera di implacabilità che indossava costantemente. «Non sono un mostro e non sarei capace di attaccarti in un momento in cui il tuo dolore e la tua sofferenza sono così acuti. Rilassati, bambina. Il tuo compagno per la vita può costituire un pericolo per tutti gli altri, ma tu sei al sicuro. Voglio solo consolarti». Gregori si accorse che Savannah stava tentando di contattarlo telepaticamente, per verificare la sincerità delle sue parole. Il carpaziano raramente permetteva a qualcuno di prendersi una tale confidenza. Il legame telepatico che aveva con lei gli procurava inoltre un profondo dolore fisico, il vorticare di emozioni sconosciute. Ma anche piacere. Intenso piacere. Tutto ciò che Savannah riuscì a individuare fu il bisogno di Gregori di offrirle consolazione. Nella sua mente trovò solo serenità: una pozza d’acqua limpida e fresca, senza un’increspatura. Sentì il proprio corpo rilassarsi, avvertì la mente di lui placare il caos che le si agitava dentro. Perché aveva questa reazione proprio con Gregori? Come aveva detto lui, il contatto fisico con qualsiasi altro uomo le provocava istintivamente repulsione. Invece bastava che Gregori le stesse accanto per far sì che il suo corpo e la sua mente ardessero di desiderio per lui. Le faceva male la testa e si strofinò le tempie. Le sembrava di avere nel cervello mille piccoli martelli che picchiavano all’impazzata. Gregori si spostò con aria distratta verso il comodino accanto al letto. Savannah, pallida e con la vista appannata, gli tenne gli occhi incollati addosso. Lui sminuzzò delle erbe in una ciotola di cristallo, e un odore rilassante e rasserenante invase subito la stanza. «Vieni qui, mia cara». La sua voce era bassa e irresistibile. Le scorreva addosso come acqua cristallina. «È quasi l’alba».
Savannah spostò imbarazzata lo sguardo verso il letto come se avesse notato solo in quel momento l’arredamento della stanza. La camera era ampia, spaziosa, arredata con mobili un po’ vecchio stile. Era illuminata dalla luce calda e soffusa delle candele. Il letto era enorme, una pesante struttura a baldacchino finemente intarsiata di rose e fiori. Era bellissimo, gotico… e spaventoso. Savannah si schiarì la gola e si passò una mano sulla fronte con aria spaesata. «Vorrei dormire da sola, in un’altra stanza da letto». Gli occhi chiari di Gregori la fissarono, possessivi. «Non ti permetterò di allontanarti da me». «No?». Tutt’un tratto Savannah si sentì molto stanca, le faceva male la testa, le tremavano le gambe, e crollò a sedere sul pavimento. Si passò una mano tra i folti capelli, scostandoseli dal volto con un gesto molto femminile. Ebbe appena il tempo di sbattere le palpebre che Gregori era già lì. Quando lui si chinò, Savannah chiuse gli occhi. Era forte, incredibilmente forte, e la sollevò come se fosse un fuscello. Lei seppellì il volto nel suo petto, incapace di chiamare a raccolta le energie necessarie a resistergli. Gregori assaporò la sensazione di stringere Savannah fra le braccia, il corpo soffice di lei incollato ai suoi possenti muscoli, i lunghi e setosi capelli che lo sfioravano, seducendolo. Si sentì pervadere da un’ondata di dolore, impetuosa come lava incandescente; il desiderio crebbe. La adagiò sul suo letto, lì dove era giusto che stesse. La sua natura primitiva, quella del cacciatore, del predatore, gli chiedeva di possederla subito, legandola a lui in un vincolo che sarebbe stato indissolubile, nei secoli dei secoli. Lei gli apparteneva. Gregori sapeva bene qual era la sua indole: un demone senza cuore, che se non ci fosse stata Savannah sarebbe stato condannato a un’esistenza di solitudine. Aveva percorso la terra in lungo e largo per secoli, il più potente guaritore di tutti i tempi, ma sempre con la morte nel cuore. Era stato così solo. Sempre. Infinitamente solo. Ma adesso aveva Savannah. E avrebbe distrutto chiunque avesse tentato di togliergliela, chiunque l’avesse minacciata. Le scostò indietro i capelli, massaggiandole delicatamente la testa. Incominciò a cantare con voce ipnotica una lenta nenia terapeutica, che avrebbe rimosso il dolore dalle sue tempie e lo avrebbe
sostituito con una sensazione di pace. Si allungò accanto a lei; la sua enorme stazza faceva sembrare Savannah ancora più minuscola. Il suo corpo reagì subito alla vicinanza con quello di lei. Gregori prese fuoco, il desiderio gli rese incandescenti il sangue, i muscoli, ogni fibra del suo essere. Il carpaziano accettò quella sofferenza, grato di poterla sperimentare. Attirò Savannah tra le sue braccia e si meravigliò di quanto fosse perfetta, piccola e fragile. Tremava talmente tanto che poteva sentire battere i suoi denti. «So bene cosa sono, Savannah, un essere così mostruoso che l’umanità non può nemmeno immaginare. Ma ho vissuto all’insegna dell’onore e dell’integrità e ho un indiscutibile talento da guaritore. Posso farti due promesse. Non ti mentirò mai e ti proteggerò a costo della vita. Ti ho detto che non prenderò ciò che mi appartiene questa notte. Avremo il tempo necessario ad affrontare le tue paure». Savannah affondò il viso nella sua camicia di seta, riuscendo a sentire il costante battito del suo cuore e il calore della sua pelle. Sarebbe stato impossibile per Gregori nascondere la propria eccitazione e lui nemmeno ci provò, preferendo piuttosto far aderire il corpo di Savannah al suo, teso e rigido. Savannah era troppo provata dagli eventi della serata per opporgli resistenza. Giacque tra le sue braccia, esausta, cercando un po’ di pace proprio in colui da cui più si sentiva minacciata. «Tu credi che io sia come le altre donne carpaziane, Gregori, ma non è così», disse a bassa voce, senza sapere se stava cercando di scusarsi o di fornirgli una spiegazione. Lui le posò le labbra sul capo, la più lieve delle carezze; passò il pollice sul punto in cui Roberto l’aveva colpita. «Lo sai cosa accade ai maschi della nostra specie, Savannah; tuo padre di certo non avrà tralasciato un’informazione così importante. Non puoi andare in giro senza essere rivendicata. Ci sono altre creature come Roberto, selvagge, pericolose, impazzite perché prive di una compagna per la vita». «Aveva la metà dei tuoi anni. Perché lui si è trasformato in un vampiro e tu no?». Savannah si girò e incontrò lo sguardo argenteo di Gregori. Sentì un brivido lungo la schiena quando scorse nel
profondo dei suoi occhi l’assenza di pietà e l’acuta brama di possesso. «Ti sei mai chiesta perché ci sono così pochi carpaziani?» «Certo. Il fatto che abbia scelto di non accoppiarmi non vuol dire che non pensi ai problemi che affliggono il nostro popolo. Gregori, io non voglio essere la compagna per la vita di nessuno. Non hai motivo di prenderla sul personale». Gregori le sorrise: la sua bocca perfetta era sensuale e invitante. «So che hai paura di me, Savannah». Decisa a non affrontare una discussione dalla quale non sarebbe di certo uscita vincitrice, lei tornò su un terreno più sicuro. «La ragione per cui ci sono così pochi carpaziani è che le donne sono ancora meno e dalle unioni non nascono figlie femmine. E i maschi difficilmente sopravvivono al primo anno di vita». Savannah si fece involontariamente più vicina al calore che emanava dal corpo di Gregori. Lui era così possente: la sua presenza la faceva sentire stranamente al sicuro e la rassicurava, anche se quella era forse la notte peggiore della sua vita. «E che mi dici degli uomini? Ti meravigli davvero che così pochi sopravvivano senza trasformarsi in non-morti?». Le accarezzò i capelli. «Ti sei mai sentita sola, Savannah, veramente sola?». Quand’era piccola aveva vissuto in isolamento, ma i suoi genitori, che erano devoti l’uno all’altra, l’avevano viziata e coccolata. E il suo lupo era stato un compagno straordinario, aveva riempito ogni singolo momento di vuoto che lei aveva sperimentato. Non si era mai sentita sola prima di mettere un oceano tra lei e il suo Paese d’origine. La lontananza dai suoi genitori, dal lupo, e persino dagli opprimenti doveri che aveva in quanto donna carpaziana, le aveva spezzato il cuore. Era circondata dalla gente e aveva provato affetto sincero per Peter e per gli altri suoi assistenti, eppure quel crescente senso di vuoto non veniva meno e minacciava di consumarla. Restia a condividere i suoi segreti con Gregori, comunque, non gli rispose. «Noi uomini non riusciamo a sopravvivere al buio che invade la nostra anima se non abbiamo una compagna, Savannah. Abbiamo un’indole aggressiva, predatoria, possessiva, persino nei confronti dei
membri della nostra stessa razza. Siamo devastanti e potenti e abbiamo sete di sangue. Abbiamo bisogno di un equilibrio. Molti di noi cominciano a perdere le forze dopo qualche secolo: non vedono più i colori, non provano più emozioni, e possono fare affidamento solo sulla loro forza di volontà per obbedire alle leggi del nostro popolo. Alcuni preferiscono mettere fine alla propria esistenza prima che sia troppo tardi: affrontano l’alba, la luce del giorno, e vengono reclamati dalla terra. Molti altri invece scelgono di abbracciare l’oscurità, rinunciano alla propria anima e divengono predatori degli umani. Abusano di donne e bambini, vanno a caccia e uccidono solo in nome della momentanea scarica di adrenalina, perché si sentono potenti. Non possiamo permetterlo». «Tu e mio padre siete i più antichi. Come avete fatto a sopravvivere?» «Tuo padre e io abbiamo trascorso gli anni in cui la nostra sete di sangue era più forte combattendo in giro per l’Europa. Abbiamo potuto incanalare le nostre energie per salvare gli umani dalla devastazione degli eserciti. I vampiri a caccia costituivano ulteriori pericolosi avversari. Tra noi, abbiamo fatto il patto di affrontare l’alba prima di essere noi stessi vittime della trasformazione. Tuo padre aveva la responsabilità di governare il nostro popolo. A un certo punto, incontrò tua madre, un’umana dotata di straordinari poteri psichici e tanto coraggiosa e compassionevole da accettare il nostro stile di vita». «E tu?» «Quello che posso dire riguardo a me è che non ho mai abusato di una donna o di un bambino e che per secoli mi sono dedicato all’apprendimento delle arti curative. Tuttavia ho pur sempre la natura di un predatore, Savannah, come tutti i maschi della nostra razza. E dal momento che ho vissuto per secoli, la bestia dentro di me è ormai quasi ingovernabile». Gregori sospirò.«I cinque anni di libertà che ti ho concesso sono stati un inferno per me: ero un pericolo per chiunque mi si avvicinasse. Sono a un passo dalla trasformazione, ormai è persino troppo tardi per incontrare l’alba. Era necessario per la sicurezza di tutti che io venissi a riprenderti adesso». Si attorcigliò fra le dita alcune ciocche dei setosi capelli di
Savannah, nascose il volto nel folto della sua chioma e ne inalò il meraviglioso profumo. «Non posso più aspettare». Quell’ammissione gli spezzò il cuore. Non poteva permettersi di darle l’unica cosa che lei gli chiedeva, la libertà. Sebbene Gregori fosse il più potente dei carpaziani, il più tenebroso, non poteva accontentarla. Savannah sarebbe diventata la compagna per la vita del carpaziano che tutti gli altri temevano. Ed era così giovane. «Ti sei mai chiesto, Gregori, a cosa sono costrette le donne del nostro popolo? Ti sei mai chiesto che cosa significhi per loro separarsi dal proprio padre per finire nelle grinfie di uno sconosciuto?». A quel punto Savannah gli spalancò le porte della sua mente, richiamando alla memoria gli eventi di cinque anni prima. Come qualsiasi ragazzina in età da marito, Savannah aveva scoperto con una certa inebriante esaltazione di poter esercitare il potere della propria bellezza sui maschi carpaziani. Era stata contenta quando suo padre aveva convocato tutti i possibili pretendenti per farglieli incontrare. Non dando peso alle preoccupazioni di sua madre, aveva svolazzato tra loro, inconsapevole dello sconvolgimento che stava creando. Comunque, a un certo punto, durante quella riunione, si era accorta che aleggiava un’atmosfera di pericolo, si era resa conto della pressione di quei corpi maschili contro il suo, degli sguardi famelici, dell’odore dell’eccitazione. Nessuno di quei pretendenti, aveva tutt’un tratto capito, la conosceva, teneva a lei o si preoccupava di quello che lei provava e pensava. La desideravano, eppure non era veramente lei ciò che volevano. Si era sentita soffocare, aveva avuto un moto di repulsione e paura. Nessuno di loro aveva suscitato in lei le sensazioni che si sarebbe aspettata di sperimentare. Savannah era scappata nella sua stanza e, come se fosse infetta e in qualche modo sporca, si era lavata il viso con acqua gelida. Quando si era voltata, Gregori, il tenebroso, era lì, nella sua camera. Trasudava forza e potere da ogni poro, eppure sembrava non rendersene nemmeno conto. Era completamente diverso… molto più spaventoso e molto più potente. Gli altri, a confronto, sembravano degli sbarbatelli. I suoi occhi chiari si muovevano su di lei, possessivi, e bastò quello sguardo
a far sì che Savannah si sentisse bruciare la pelle. Le aveva mozzato il fiato e aveva trasformato il suo corpo in un liquido caldo, facendole desiderare cose che fino a un attimo prima non avrebbe neanche immaginato. La consapevolezza che quell’uomo avrebbe potuto con estrema facilità sottrarle il libero arbitrio e convincerla a non desiderare altro che diventare sua per sempre l’aveva spaventata da morire.
Tu sei mia, non appartieni a nessun altro. Quelle parole le erano
riecheggiate in testa, creando tra un loro un contatto telepatico così familiare e così forte che ne era stata terrorizzata. Si trattava di un legame diverso rispetto a quello che si instaurava comunemente tra due carpaziani, più privato, più intimo. Gregori si era spostato, un guizzo di muscoli, e lei aveva avuto un tuffo al cuore, pregustando la futura eccitazione. Le dita di lui le si erano chiuse intorno all’avambraccio e Savannah era stata immediatamente consapevole della sua immensa forza. Respirare era quasi impossibile. Gregori aveva fatto scivolare la presa lungo il braccio, fino a stringerle l’esile polso, come se le sue dita fossero un braccialetto. Lei si era sentita sfiorare da una lingua di fuoco che le lambiva la pelle. Era rimasta completamente immobile e aveva trattenuto il fiato, aspettando. Limitandosi ad aspettare. Lui l’aveva strattonata attirandola a sé e stringendola così forte da imprimere sul corpo di Savannah il proprio incancellabile marchio. Con estrema delicatezza, le aveva sollevato il mento e aveva avvicinato la bocca alle labbra di lei. In un solo istante, tutta la vita, tutta l’esistenza di Savannah, erano cambiate. La terra aveva tremato, c’era stato uno sfrigolio nell’aria, e all’improvviso il suo corpo non le apparteneva più. Aveva sentito il bruciante e impellente desiderio di quello di lui. Si erano fusi l’uno nell’altra, fisicamente e mentalmente. Savannah non sarebbe più potuta esistere senza Gregori e Gregori senza Savannah. Lei aveva bisogno di tenere le mani di lui fra le sue, aveva bisogno di sentirlo dentro di sé, nel cuore, nella mente, nel corpo, nel profondo dell’anima. Quando Gregori l’aveva lasciata andare, Savannah si era sentita abbandonata e aveva sperimentato un terribile senso di vuoto, come se lui si fosse portato via una parte di lei e le avesse lasciato in
cambio solo un’ombra di sé. Quella sensazione l’aveva spaventata. Uno sconosciuto, che non l’amava e nemmeno la conosceva, era stato capace di prendere il controllo della sua vita. D’un tratto le era sembrato persino peggio che concedersi a uno degli altri pretendenti. Nessuno di loro sarebbe mai riuscito a controllarla né tantomeno a dirigere la sua esistenza. Gli altri di certo non l’avrebbero amata, ma almeno non l’avrebbero posseduta, anima e corpo. Terrorizzata, aveva implorato Gregori di lasciarla andare, di permetterle di vivere la sua vita. Lui, con sguardo incupito dal dolore e riscaldato da qualche altro sentimento, l’aveva accontentata, le aveva concesso un po’ di tempo. Savannah, comunque, sin d’allora aveva avuto l’intenzione di fuggire per sempre dal suo potere. Il peggio fu che, dopo aver sorvolato l’oceano ed essere giunta negli Stati Uniti, Savannah aveva continuato a sentirsi incompleta. Gregori le aveva strappato con un solo piccolo bacio una parte del suo essere. Era sempre lì. Quando Savannah chiudeva gli occhi, la notte, tutto ciò che riusciva a vedere era lui. Talvolta, se si concentrava abbastanza, poteva sentire persino il suo odore, indomito e selvaggio. Infestava i suoi sogni e le si palesava durante il sonno. Quel carpaziano rappresentava un rischio troppo grosso perché lei potesse permettersi di concedergli ciò che le stava chiedendo. Gregori mise una mano dietro la testa di Savannah e gliela fece scivolare sulla nuca. «Ce la faremo, affronteremo le tue paure, piccola mia. Non sono ostacoli insormontabili». La sua voce era calma e imperturbabile, come sempre. Savannah ebbe un tuffo al cuore. Niente lo impietosiva, neanche i suoi ricordi più intimi e spaventosi. «Non voglio», mormorò, e le lacrime le bruciarono in gola. Si sentì umiliata dal fatto di aver condiviso così tanto con lui, senza che questa confidenza avesse un qualche significato. «Adesso riposati, bambina. Ci organizzeremo più tardi». Savannah rimase in silenzio, come se avesse accettato quel comando di buon grado. Ma aveva un asso nella manica; dopotutto era considerata una delle più brave illusioniste al mondo. Gregori poteva anche concederle una breve tregua, ma quando si sarebbero
svegliati, sarebbe stato famelico. Savannah dubitava che, per quanto potesse essere esercitato il suo autocontrollo, il carpaziano sarebbe riuscito a risparmiarla. Era il momento di mettere in atto la sua sparizione più audace. E più importante. «Savannah?». Gregori l’attirò forte a sé con un braccio, possessivo. «Non provare a lasciarmi. Puoi combattermi, possiamo discutere, ma non cercare di scappare. Cammino sull’orlo del baratro. Non provo nulla, eccetto quello che sento per te. Sarebbe molto pericoloso». «Insomma, dovrei cederti la mia vita in modo tale che la tua possa proseguire». Lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Neanche tu esisteresti senza di me, Savannah. È solo questione di tempo: anche tu sarai consumata dal senso di vuoto». Gregori si portò la mano di lei alla bocca e bevve le sue lacrime, assaporandone il gusto. Poi la sua voce calò di un’ottava e divenne pura e cristallina. «Non negarlo. Sento crescere dentro di te una solitudine terribile e dolorosa». Savannah sussultò al contatto di quella lingua ruvida e vellutata contro le nocche della sua mano. Non avrebbe permesso alla sua sensualità di avere la meglio, non le importava di come il suo stesso corpo rispondeva a quel richiamo proibito. «Quanto tempo avrò prima che accada, Gregori? Un secolo? Due? Cinque? Di più? Non lo sai, vero? Certo, perché a nessuna delle donne della nostra razza è mai stato concesso di vivere la propria vita. Non dovrei essere responsabile della tua vita più di quanto tu non lo sia della mia». «Siamo carpaziani, piccola mia, non umani, nonostante tua madre non ti abbia cresciuto come una di noi. Io sono responsabile della tua vita, così come tu lo sei della mia. È così che funziona tra la nostra gente, ed è anche l’unica cosa che protegge gli umani dalla nostra oscurità. Le donne sono preziose, protette, trattate con rispetto, custodite come è giusto che sia, perché rappresentano un vero e proprio tesoro». Le strofinò il mento ruvido sul capo e quel gesto le procurò stranamente sollievo. Alcune piccole ciocche di capelli si impigliarono nella barba corta e ispida, legandoli l’uno all’altra. «È soprattutto colpa di tua madre, che ti ha riempito la testa di stupidaggini umane, mentre avrebbe dovuto prepararti al destino che ti aspettava».
«Cos’è che chiami stupidaggini? Il fatto che lei volesse scegliessi da sola ciò che desideravo? Che fossi in grado di decidere della mia sorte? Che assaporassi la libertà? Io non voglio essere reclamata». «Nessuno di noi può scegliere, Savannah». Strinse lievemente la presa su di lei e le mormorò all’orecchio: «I compagni per la vita sono nati per appartenere l’uno all’altra. “Libertà” è una parola che può voler dire tante cose». La sua voce era dolce e gentile, in netto contrasto con quel pragmatico discorso. «Dormi e prenditi una breve tregua dalle tue paure». Savannah chiuse gli occhi e avvertì le labbra di Gregori sfiorarle l’orecchio e poi scendere giù fino al collo. Godette di quel contatto, lo assaporò fino in fondo e si detestò per questo. «Vacci tu a dormire, Gregori. Io voglio pensare». Gregori le graffiò appena la pelle con i denti, proprio in corrispondenza della vena che pulsava sul collo. Subito dopo la lambì con la lingua, attenuando l’intensità di quella sensazione. «Non voglio che tu stia ancora a pensare, piccola mia. Fa’ come ti ho detto, o dovrò costringerti a obbedirmi facendoti addormentare io stesso». Lei sbiancò. «No!». Come qualsiasi altro membro della sua razza, Savannah sapeva bene quanto sarebbe stata vulnerabile una volta che il sole fosse sorto e il sonno si fosse impadronito di lei. Se Gregori l’avesse costretta a sprofondare nel sonno carpaziano, lei sarebbe stata completamente in suo potere. «Dormirò». Rallentò intenzionalmente il ritmo del proprio respiro e il battito del proprio cuore. Accanto a lei, Gregori si concentrò sull’ingresso alla camera sotterranea, sigillandolo con i suoi potenti incantesimi. Poi, con la forza del pensiero, aprì i cancelli delle gabbie dei suoi lupi, che furono così liberi di girovagare e tenere d’occhio i piani superiori e la tenuta intorno alla villa. Savannah continuava a pensare di poter fuggire. Quella ragazza non aveva proprio idea di quanto lui fosse potente. Gregori però si era ripromesso di essere sempre onesto con lei e non poteva quindi pronunciare le due semplici parole che l’avrebbero aiutata ad alleviare le sue paure. Era stata proprio quella consapevolezza a fortificare la sua anima e il suo corpo nei lunghi
anni di profonda oscurità. Aveva aspettato Savannah, la sua compagna per la vita, ancor prima che lei nascesse. Nel momento stesso in cui aveva toccato la donna di Mikhail Dubrinsky, Raven, guarendo le terribili ferite provocate da alcuni vampiri pazzi e assassini e trasfondendole il suo stesso sangue, puro e potente, aveva capito che lei lo avrebbe ricompensato dandogli una compagna per la vita. Che la bambina che cresceva nel suo ventre sarebbe stata la donna per lui. E aveva fatto di tutto perché le cose andassero proprio in quel modo. Quando i cacciatori umani avevano cercato di uccidere Raven Dubrinsky, Gregori aveva salvato lei e la creatura che la donna portava in grembo, suggellando con il proprio sangue il legame tra se stesso e la bambina appena concepita. Si era assicurato che colei che sarebbe stata la madre della sua compagna per la vita non fuggisse, mormorandole le sue formule da guaritore, inducendola a continuare a far parte di quel mondo, nonostante le ferite che affliggevano quel fragile corpicino. Dopo essere giunto a tal punto pur di legare a sé la sua futura compagna per la vita, non l’avrebbe di certo lasciata andar via. Strinse il più possibile il corpo di Savannah, come per proteggerla con la sua enorme corporatura. Roberto viaggiava insieme a un gruppo di carpaziani rinnegati, divenuti ormai vampiri, che uccidevano, violentavano, rendevano gli umani stupidi burattini capaci solo di obbedire ai loro ordini. Se avevano tutti seguito le tracce di Savannah fino a San Francisco, quella città sarebbe presto diventata il loro terreno di caccia. Gregori doveva mettere Savannah al sicuro, ma sapeva anche di non poter lasciare gli umani da soli ad affrontare l’incombente minaccia. Aidan Savage, un altro potente carpaziano, viveva anche lui in quella zona e avrebbe dato la caccia ai rinnegati, distruggendoli. Aidan era un bravo cacciatore, uno dei più temuti dai non-morti. Gregori accarezzò delicatamente i capelli di Savannah. Avrebbe voluto poterle concedere la libertà che lei tanto desiderava per farla contenta, ma era impossibile. Sarebbe stata incatenata a lui per l’eternità. Gregori sospirò e fece rallentare il ritmo della respirazione e del battito del cuore per prepararsi al sonno. Era uno degli antichi, e quindi spesso era stato compito suo far rispettare ai rinnegati le
leggi carpaziane, proprio come aveva chiesto a Mikhail di farle rispettare a lui se avesse dovuto aspettare troppo a lungo per rivendicare Savannah, salvandolo in questo modo dall’oscurità. Tuttavia, Gregori nutriva seri dubbi sul fatto che qualcuno, si trattasse anche di Mikhail, il principe dei carpaziani, avrebbe potuto sconfiggerlo, una volta che si fosse trasformato in vampiro. Non poteva rischiare. Savannah doveva rimanere sua. Trasse un ultimo profondo respiro, inalando l’odore di lei e trattenendolo finché il suo cuore non smise di battere. Il sole sorse dietro le montagne e i raggi filtrarono attraverso le finestre dell’enorme villa isolata. I lucidi pavimenti di legno di quercia risplendettero, le piastrelle di marmo scintillarono. L’unico rumore che si riusciva a sentire era quello prodotto dalle zampe dei lupi che perlustravano il pianoterra, il primo e il secondo piano. All’esterno, altri lupi si aggiravano per il giardino in instancabili pattuglie e controllavano l’alta e robusta recinzione che circondava la proprietà. Quella barricata serviva più a proteggere gli umani che passavano di là che a impedire che le bestie andassero a spadroneggiare nella campagna. Il loro legame con Gregori era forte, la tenuta e la riserva di caccia enormi. I lupi non si sarebbero mai allontanati di loro spontanea iniziativa. Nonostante una spessa coltre di nuvole, i dorati raggi del sole illuminavano il pomeriggio. Il vento cominciò a ululare, sollevando le foglie in piccoli vortici. Nella grande stanza da letto sepolta sottoterra regnava il silenzio. Poi, in quel silenzio, cominciò a battere un cuore. Un soffio d’aria riempì due polmoni. Savannah perlustrò quello che le stava intorno, mettendo alla prova i sigilli di protezione di Gregori. Accanto a lei, il carpaziano giaceva come morto e le circondava la vita con un braccio, possessivo. Savannah si concesse un sospiro di sollievo. Aveva un segreto di cui nessuno, eccetto il suo lupo, era a conoscenza. Molti bambini carpaziani non sopravvivevano al primo anno di vita. Durante la fase critica, in cui i loro corpi chiedono qualcosa di più del latte ma rifiutano il cibo e il sangue, sua madre, che un tempo era stata un’umana ed era incapace di dare nutrimento alla sua stessa razza, le
aveva fatto bere sangue animale diluito. Sebbene Savannah fosse più piccola e debole della maggior parte degli altri bambini carpaziani, era cresciuta sana e forte grazie alla miscela di latte che Raven le aveva dato. E, determinata a vivere un’esistenza il più normale possibile, aveva continuato quell’insolita dieta fino all’adolescenza, sperando che potesse renderla diversa dagli altri carpaziani e in grado di decidere del proprio futuro. A sedici anni, Savannah aveva cominciato a provare a esporsi alla luce naturale. Sua madre le aveva raccontato un sacco di storie sulla vita alla luce del sole, attraverso gli oceani, storie di libertà e di viaggi. Savannah le aveva narrate a sua volta al suo amico a quattro zampe, il lupo. Temeraria, aveva iniziato a svegliarsi sempre prima, abituando lentamente la sua pelle ai raggi del sole, nel tentativo di diventare insensibile alla luce, mentre gli altri carpaziani che non lo erano sarebbero sempre stati costretti a seppellirsi nel profondo della terra durante il giorno e a vivere di notte. Qualche volta aveva provato talmente tanto dolore da dover interrompere le uscite diurne per alcuni giorni. Ma, quando si metteva in testa qualcosa, Savannah era testarda e aveva deciso che avrebbe camminato alla luce del sole. Sebbene non fosse mai riuscita a sopportare l’esposizione ai raggi oltre le undici di mattina e prima delle cinque di pomeriggio nei mesi estivi, la sua pelle si era abituata a tollerare la luce. Doveva comunque indossare occhiali dalle lenti scurissime durante il giorno e quando era sotto i riflettori sul palcoscenico, tuttavia sembrava fosse riuscita a sfuggire al terribile letargo carpaziano causato dalla dieta a base di sangue. Aveva dovuto sacrificare un po’ della forza e della velocità tipiche dei membri della sua razza, ma in compenso aveva ottenuto la libertà, tanto decantata da sua madre, di camminare alla luce del sole. Savannah chiuse gli occhi, richiamando alla memoria quella volta in cui era sgattaiolata fuori da casa mentre i suoi genitori dormivano profondamente nella loro stanza sotterranea. Il sole era ancora alto e, sentendosi molto soddisfatta di sé, Savannah si era inoltrata nella foresta, fino a una parete a strapiombo. Aveva cominciato ad arrampicarsi, nel tentativo di potenziare
forza e velocità. Tuttavia, quando era giunta quasi in cima, aveva messo un piede in fallo, aveva perso l’equilibrio ed era scivolata. Si era aggrappata alla superficie rocciosa, cercando di tirarsi su, conficcando le unghie divenute artigli nelle scanalature della parete, ma non ce l’aveva fatta. Cadendo, aveva tuttavia provato a rigirarsi in aria, agile come un felino, per atterrare in piedi. Non si era accorta però di un ramo spezzato che sporgeva dalla parete rocciosa come un paletto appuntito, che le aveva violentemente penetrato la carne, i muscoli e le ossa. Era rimasta appesa lì. Gli occhiali scuri le erano caduti giù nel bosco. Savannah aveva cominciato a urlare di dolore e a perdere sangue dalla ferita. Per un momento, era rimasta ferma, poi il ramo aveva cominciato a cedere sotto il suo peso e lei era atterrata sbattendo sul suolo duro. All’inizio non era riuscita a respirare, l’aria le era rimasta bloccata nei polmoni. Tenendo gli occhi chiusi per fuggire alla terribile luce del sole e stringendo i denti, Savannah aveva premuto entrambe le mani sulla ferita e aveva inviato un richiamo disperato al suo lupo. Più tardi, si era chiesta come mai non avesse esitato a chiamare lui piuttosto che i propri genitori. Il lupo le aveva risposto immediatamente, e lei si era subito sentita rassicurata. Il suo amico era lontano, ma stava accorrendo in suo soccorso. Mentre lo aspettava, Savannah aveva mescolato alla terra la propria saliva, facendo degli impacchi sulla ferita. Faceva male, quasi come le schegge di luce che le trafiggevano gli occhi privi del necessario schermo protettivo. Sbrigati!, aveva incitato il lupo, ormai debole per il sangue che aveva perso. Il lupo aveva attraversato a grandi falcate la foresta, piangendo, gli occhi stretti in due fessure. In un balzo era giunto al fianco di Savannah, aveva valutato la situazione e si era diretto verso gli occhiali. Raccogliendoli delicatamente con il muso, li aveva fatti cadere in grembo alla ragazza. Poi aveva preso a leccarle la ferita, un gesto stranamente rassicurante. Savannah gli aveva circondato il collo lucente con un braccio e aveva sepolto il viso nel folto della sua pelliccia, alla ricerca di forza. Per la prima e unica volta nella sua vita, aveva sentito la necessità di nutrirsi, consapevole del fatto che se non avesse bevuto del
sangue non sarebbe sopravvissuta. Grata del forte legame che li univa, fu in grado di spiegargli di cosa aveva bisogno senza nemmeno proferire parola. Il lupo le aveva offerto il proprio collo senza alcuna esitazione. Delicata e rispettosa per quanto possibile, Savannah aveva affondato i denti, cercando nel frattempo di calmare l’animale. I suoi sforzi si erano dimostrati del tutto superflui. Semmai, era stato il lupo a calmare lei, donandosi spontaneamente, senza riserve. Savannah era rimasta stupita: si era nutrita direttamente dal collo dell’animale e non dalla tazza che sua madre di solito le porgeva, eppure non aveva provato repulsione. Poi, era rimasta distesa, abbracciata al lupo, mentre lui aveva continuato a leccarle con dolcezza la ferita. Avrebbe potuto giurare che in qualche modo il lupo era entrato a far parte di lei, insieme al suo sangue, e le aveva curato la terribile ferita alla gamba. Aveva cominciato a sentire calore, luce ed energia diffondersi dentro di lei, eccitandosi. Non aveva più provato paura e si era sentita protetta dall’amore incondizionato dell’animale. Lo squarcio era guarito a una velocità che aveva del miracoloso e Savannah non aveva mai fatto cenno dell’incidente ai suoi genitori, perché sapeva che si sarebbero arrabbiati venendo a conoscenza dei suoi esperimenti di resistenza alla luce del sole. I rischi che la figlia aveva deciso di correre li avrebbero lasciati sgomenti. Ma lei non aveva intenzione di rinnegare la propria decisione di rifiutare il sangue umano o di provare a esporsi ai raggi solari. Le sue scelte l’avevano condotta alla libertà, quella libertà che adesso le avrebbe consentito di fuggire. «Mi dispiace, Gregori», mormorò. «Non posso mettere la mia vita nelle tue mani. Sei troppo potente perché io possa anche solo tentare di vivere insieme a te. Ti prego, trova qualcun’altra e sii felice». Sapeva che non sarebbe mai accaduto, ma non aveva scelta, se non voleva che quel potente antico carpaziano si impossessasse della sua esistenza. Si morse il labbro. Nonostante la sua determinazione, si scoprì stranamente riluttante a lasciarlo. Eppure lui avrebbe preso il controllo della sua vita: non poteva farne a meno! Savannah sarebbe rimasta sola. Non poteva fare ritorno a casa o cercare il suo lupo. Era condannata a percorrere in solitudine la terra
in lungo e in largo. Ma qualcosa dentro di lei, la sua decisione e il suo orgoglio, non avrebbero permesso a quell’uomo di dominarla, di scegliere al posto suo, di dettare legge. Gregori aveva ragione; conosceva bene anche lei la sensazione di vuoto di quando ci si sente soli in mezzo a una folla di gente. Savannah era diversa. Per quanto ce la mettesse tutta, non sarebbe mai stata né completamente umana né completamente carpaziana. Era perfettamente consapevole, anche se non l’avrebbe mai ammesso in presenza di nessuno, fatta eccezione per il suo lupo, cui aveva confidato la verità, che non sarebbe potuta stare con un altro uomo che non fosse Gregori. Tuttavia preferiva rimanere sola per l’eternità piuttosto che essere sua. Sapeva che non avrebbe mai desiderato nessun altro con l’intensità con cui desiderava Gregori; quell’uomo già possedeva la sua anima. Avrebbe voluto spiegarglielo, farglielo capire. Ma Gregori considerava validi soltanto i propri ragionamenti e non prestava attenzione a quelli altrui. Gregori era uno degli antichi, il più potente, il più sapiente. Il tenebroso. Era uno spietato assassino, un vero maschio carpaziano. I secoli non avevano minato la sua virilità o modificato le sue opinioni. Era pienamente convinto di avere il diritto di possedere Savannah, credeva che lei gli appartenesse. L’avrebbe protetta mettendo a rischio la sua stessa vita, avrebbe provveduto a ogni suo bisogno e soddisfatto qualsiasi suo desiderio. Ma lei voleva gestirsi da sé. «Mi dispiace», bisbigliò di nuovo, e tentò di mettersi a sedere. Le sembrò però di avere un enorme peso sul petto e non ci riuscì. Provò uno spiacevole tuffo al cuore. Terrorizzata al pensiero di aver disturbato il sonno di Gregori, si voltò a guardarlo. Era immobile e silenzioso e non dava segni di vita. Savannah inspirò a fondo e lasciò uscire l’aria molto piano per cercare di calmarsi. Poi provò a scivolare di lato, come se volesse sfuggire a qualcosa che incombeva su di lei. All’improvviso un laccio le imprigionò le caviglie. Savannah abbassò lo sguardo per controllarsi i piedi, ma non vide nulla, niente che la trattenesse. Eppure non riusciva a muoversi. Qualcosa la teneva ancorata a quel letto. Per un attimo pensò che qualche altro maschio carpaziano – o un vampiro – li avesse seguiti nella stanza sotterranea. Ma nessuno dei
suoi simili avrebbe osato disturbare Gregori. In qualche modo, anche mentre dormiva profondamente, lui la stava controllando. Gli risultava semplice. Facile. Era così sicuro dei propri poteri, così poco preoccupato del fatto che lei avesse intenzione di sfidarlo, che ci dormiva su. Savannah non ebbe alcun dubbio che fosse Gregori a impedirle di scappare. Giacque immobile e si concentrò sulle proprie caviglie, alla ricerca di una via di fuga, di qualsiasi cosa le potesse permettere di capire il funzionamento di quegli invisibili legacci e di scioglierli.
Dormi. Quell’ordine le risuonò in testa, come ferro avvolto nel
velluto, così imperioso che sarebbe stato impossibile rifiutarsi di obbedire. D’un tratto le si annebbiò la mente e il cuore cominciò a battere più piano. Savannah si ribellò, allarmata, e cercò di resistere a quel comando. Era umiliante il fatto che Gregori riuscisse a controllarla persino mentre dormiva. Se era davvero tanto potente, come sarebbe stata la sua vita con lui pienamente sveglio e nel pieno delle sue capacità? Una risata bassa e beffarda le riempì la testa. Dormi, piccola mia.
È pericoloso provocarmi in questo modo.
Savannah si girò. Gregori giaceva come morto. Come faceva a essere così forte? Persino suo padre, Mikhail, il principe dell’oscurità, non possedeva quel potere. La voce di Gregori la ipnotizzava. Savannah chiuse gli occhi, sfiancata dalla lotta. Si sentì sopraffare dalla disperazione. Ok, Gregori. Hai vinto… per questa volta.
Vincerò sempre, piccola mia. Non c’era una punta di spacconeria
o di trionfo nelle sue parole, solo calma e gentilezza.
Era proprio quella calma a farle credere che Gregori fosse ancor più pericoloso di quanto lei immaginasse. Non la minacciava, non le si rivolgeva con rabbiose imprecazioni. Il suo tono era sempre pacato o, peggio ancora, un po’ divertito. Quando trasse il suo ultimo respiro, sentì un odore familiare. Il lupo, il suo lupo, le trasmise telepaticamente una sensazione di sollievo e le sembrò quasi che le stesse strofinando la morbida pelliccia sul braccio e sulla guancia. Savannah continuò a tenere gli occhi chiusi, spaventata
all’idea che quell’illusione potesse svanire.
Mi sei mancato. Fuse la propria mente con quella del lupo. Vorrei che fossi davvero qui con me in questo momento. Io sono sempre con te. La mente del lupo la accolse, la avvolse, la abbracciò con il suo calore. Quel contatto era così familiare, come se lo avesse sperimentato migliaia di volte. Vorrei che fosse vero, che fossi davvero qui con me. Il suo odore selvaggio le riempì le narici. Per un attimo Savannah trattenne il respiro, rifiutandosi di inalare altra aria. Poi, lentamente, aprì le palpebre. Il lupo era disteso al suo fianco e le sfregava addosso il pelo nero e lucente. L’animale si voltò verso di lei, guardandola con quei suoi occhi grigi, strani e intelligenti. Savannah sentì il cuore martellarle nel petto. Le sfuggì un lamento. Non si trattava di un’illusione, era la realtà. Gregori, potente com’era, riusciva a prendere le sembianze di altri esseri. Era lui il suo lupo. Quanto era stata arrogante a credere di essere l’unica ad aver imparato a sopportare la luce del sole. Aveva creduto di essere capace di esporsi ai raggi solo perché si era nutrita di sangue animale. Se solo ne avesse parlato con i suoi genitori. Perché aveva tenuto segreto il lupo? Le era sembrata una cosa innocente e divertente, avere un meraviglioso segreto di cui sua madre e suo padre erano all’oscuro. Ma avrebbe dovuto riconoscere quegli occhi. Non grigi, ma del colore penetrante e scintillante dell’argento. E aveva rivelato al lupo ogni sua paura, ogni suo desiderio, ogni suo sogno. Quell’animale era a conoscenza dei suoi segreti, di ogni suo più intimo pensiero. Peggio ancora, si erano scambiati il sangue, lei nutrendosi, lui leccandole le ferite. Quello scambio, forse, non corrispondeva al solito rituale di accoppiamento dei carpaziani, eppure il loro legame mentale era fortissimo, niente avrebbe potuto spezzarlo. Era stata davvero stupida! Un lupo qualsiasi non sarebbe potuto essere così intelligente, così bravo a trasmetterle affetto e sicurezza, così dolce nel confortarla. Gregori aveva forgiato il legame tra di loro sin da quando lei era ancora una bambina. Eri sola.
Non ho mai avuto alcuna possibilità, vero? Nemmeno quando ero piccola.
No, a partire dal momento in cui sei stata concepita. Nessun
rimorso, solo calma e implacabile determinazione.
Savannah gli rese inaccessibile la propria mente, furiosa per il fatto che lui avesse tratto profitto dalla situazione, furiosa per essere stata ingannata per tutti quegli anni. Gli voltò la schiena e si ricordò di quando il lupo era accorso in suo aiuto durante il giorno, senza niente che gli proteggesse gli occhi. Gregori poteva anche essere il più potente degli antichi, ma era pur sempre un carpaziano. Doveva aver sopportato un dolore terribile per andare a soccorrerla. Si scostò la lunga cascata di capelli, sentendosi un po’ a disagio: avrebbe dovuto riconoscere l’enormità del sacrificio che Gregori aveva compiuto anni prima. Voleva provare rabbia nei confronti di quell’uomo, essere infuriata. Non essere preoccupata per il proprio carceriere e sentire istinto di protezione per lui. Non avrebbe voluto che il battito del suo cuore accelerasse, che un delizioso calore le si diffondesse per tutto il corpo al pensiero che lui le era stato accanto per tutti quegli anni, per rendere più forte il loro legame, per assicurarsi che fosse al sicuro, felice. La sua giustificazione era stata acuta e pragmatica. Eri sola. Per Gregori era semplice. Lei aveva un bisogno e lui provvedeva a soddisfarlo. La regola d’oro di ogni maschio carpaziano.
Mi dispiace che tu abbia sofferto a causa mia. Savannah scelse di
comunicargli i suoi pensieri con molta cautela, non voleva che lui venisse a conoscenza delle caotiche emozioni che si agitavano dentro di lei. D’un tratto ebbe la sensazione che una mano le stesse accarezzando dolcemente i capelli, per tutta la loro lunghezza.
Domani sarà una nottata lunga. Hai bisogno di una bella dormita ristoratrice. Quel comando la fece piombare nel sonno profondo durante il quale i carpaziani riprendono le proprie forze.
Gregori le aveva dato un ordine preciso, non un gentile consiglio che lei avrebbe potuto scegliere di non seguire. Savannah gli obbedì all’istante, senza neanche rendersene conto, senza paura e del tutto inconsapevole di ciò che lui le aveva fatto. Gregori doveva mettere fine alla sua voglia di avventure e d’indipendenza. Persino in quel
momento, il dolore per la perdita del suo amico e il terrore che provava verso di lui e verso la loro razza incombevano su di lei. Il carpaziano non si capacitò di averle permesso di ribellarsi al suo destino. Qualcosa dentro di lui si scioglieva quando si trovava in presenza di Savannah. Aveva il terribile presentimento che quando i loro corpi si sarebbero fusi l’uno nell’altro, avrebbe perso qualsiasi traccia di buonsenso.
Capitolo 3 Il sole tramontò lentamente, scivolando sempre più giù oltre l’orizzonte, prima di sparire dietro le montagne ed essere inghiottito dal mare. Lampi di luce rossa e arancione attraversarono il cielo, sostituendo il suo colore naturale, l’azzurro, con quello del sangue. Nelle profondità della terra, i polmoni e il cuore di Gregori ripresero a funzionare. In maniera del tutto automatica, ispezionò con il pensiero l’area circostante per assicurarsi che le guardie fossero al loro posto e che la stanza fosse al sicuro. I suoi lupi erano affamati, ma non in stato d’allerta. Accanto a lui, l’esile sagoma di Savannah giaceva immobile. Con un braccio, protettivo e possessivo, le circondava la vita. Le aveva appoggiato una gamba sulla coscia, quasi a impedirle qualsiasi via di fuga. Il desiderio si fece sentire, famelico e vorace, così acuto e intenso da essere quasi ingovernabile. Gregori fluttuò fino al piano terra della villa, cercando di allontanarsi dalla tentazione. Savannah era finalmente lì con lui, nella sua casa. Avrebbe potuto combattere contro di lui – e contro se stessa – quanto voleva, ma Gregori era dentro di lei, le leggeva nel pensiero. Molte delle sue paure derivavano dall’attrazione che sentiva nei suoi confronti. Il desiderio che provavano i carpaziani era divorante, irresistibile e rivolto solo e unicamente al proprio compagno per la vita. Un compagno per la vita raramente sopravviveva alla morte del partner. Due compagni erano legati mente, corpo, anima e cuore per l’eternità. I lupi gli si fecero incontro, affamati e festosi. Gregori li salutò uno per uno con pazienza e contenuto entusiasmo. Non ne aveva uno preferito. In effetti, prima dell’arrivo di Savannah, prima di entrare in contatto con lei, nella sua vita c’era stato solo il vuoto. Diede da mangiare agli animali, poi ritornò con la memoria a quell’oscuro momento, tra le montagne dei Carpazi, il momento in cui Savannah aveva rivelato al suo lupo che sarebbe fuggita lontano dal tenebroso, in America, la terra d’origine di sua madre, per scappare da Gregori e dall’intensità dei suoi sentimenti per lui. Gli ci era voluto ogni grammo della sua forza di volontà per permetterle
di andarsene. Si era rifugiato tra le vette più alte delle più remote montagne che conosceva. Aveva viaggiato per le foreste di tutta Europa, nelle spoglie del lupo abbandonato, si era sepolto per lunghi periodi nelle viscere della terra, venendone fuori solo per nutrirsi. L’oscurità si era allargata dentro di lui, al punto tale che Gregori aveva perso fiducia in se stesso. Per due volte aveva quasi ucciso la sua preda e, anziché restarne scosso, aveva provato appena un briciolo di preoccupazione. A quel punto aveva pensato di non avere più scelta. Doveva rivendicarla, possederla. Doveva andare in America e aspettare che lei arrivasse a San Francisco. Savannah non riusciva a capire che se lui non l’avesse fatto – scegliendo, invece, di affrontare l’alba, o lasciando che l’oscurità prevalesse, trasformandolo in un rinnegato, un temibile vampiro – anche lei sarebbe stata condannata a un’esistenza desolata, insopportabile, fatta solo di totale solitudine e vuoto. Non sarebbe sopravvissuta. Raven, sua madre, non aveva pienamente afferrato la complessa relazione tra il maschio e la femmina carpaziani. Era nata umana, e non le era nemmeno mai stato molto chiaro il pericolo che un maschio potente come Gregori poteva rappresentare. La madre di Savannah voleva che sua figlia fosse indipendente, non rendendosi conto che in quanto carpaziana non avrebbe avuto altra scelta che andare in cerca della sua metà. Raven Dubrinsky non aveva certo reso un buon servizio alla sua bambina instillandole la convinzione di poter essere libera. Tuttavia, per la prima volta in tutta la sua vita, Gregori era indeciso. Finché non l’avesse ufficialmente rivendicata, tutti i maschi carpaziani, compresi i vampiri, sarebbero stati inquieti e avrebbero pensato di poter usurpare il suo diritto e rivendicarla al posto suo. Era necessario completare il rituale che li avrebbe legati l’uno all’altra per sempre perché Savannah fosse al sicuro. E perché anche mortali e immortali fossero al sicuro, lui doveva prendersi ciò che gli spettava. L’attesa di Gregori era stata pericolosamente lunga. Eppure, il carpaziano odiava l’idea piegare alla sua volontà Savannah, che si mostrava tanto restia. Si passò una mano tra i folti capelli, aggirandosi furtivo per la casa come una pantera in gabbia. Il desiderio lo stava divorando, diventava sempre più intenso ogni secondo che passava.
Si diresse con passo felpato alla terrazza e sollevò la testa per respirare l’aria della notte. Il vento portava con sé il profumo di selvaggina. Conigli, caprioli, una volpe, e debole, in lontananza, l’odore degli umani. Gregori inviò nel buio il proprio richiamo, con semplicità e autorevolezza, per attirare a sé una preda. Talvolta, dal momento che li controllava con tanta facilità, gli risultava difficile ricordarsi che gli essere umani erano dotati di emozioni e intelletto. Gregori scese con un balzo dalla terrazza del secondo piano, atterrando in piedi. Cominciò a camminare, tranquillo e senza fretta, anche se il guizzare dei muscoli lasciava intendere quanto fosse forte e potente. Nessun sasso rotolò sotto i suoi passi, non si spezzò neanche un rametto e non scricchiolò nemmeno una foglia. Gregori riusciva a sentire i rumori della terra, gli insetti e gli animali notturni, l’acqua che scorreva nel sottosuolo come fosse sangue. La linfa degli alberi lo chiamava. I pipistrelli volavano in ronde di perlustrazione e squittivano. Giunto all’alta cancellata, Gregori si fermò. Si piegò sulle ginocchia e saltò in alto, superando con agilità la ringhiera alta circa due metri e mezzo. Atterrò dall’altra parte, accovacciandosi. A sollevare il capo non fu un uomo elegante e beneducato ma una bestia pericolosa. I suoi occhi chiari scintillarono, selvaggi. Gli artigli della fame strinsero la presa su di lui e sulle sue viscere. L’istinto, la vecchia indole del predatore che deve andare a caccia per sopravvivere, ebbe la meglio. Gregori annusò l’aria, poi andò incontro alla sua preda. Il richiamo aveva catturato una giovane coppia. Riusciva a sentire i battiti dei loro cuori, il sangue che scorreva nelle loro vene. Il corpo di Gregori bruciava dal desiderio di lasciarsi andare. Il pericoloso, insidioso mormorio che proveniva dal vuoto della sua anima gli sussurrò all’orecchio. Una donna. Così facile. L’uomo, messo ormai quasi da parte dalla bestia, cercò di resistere all’oscurità. Nella condizione in cui si trovava, avrebbe potuto ucciderla senza difficoltà. La ragazza era giovane, sui vent’anni, e il suo compagno non doveva essere molto più grande. Lo stavano aspettando: avevano dipinta in volto l’impazienza, come se stessero attendendo un amante. Non appena Gregori li raggiunse, la donna tese le braccia verso di lui, sorridendo felice. La fame gli bruciava dentro, rossa e
violenta, il suo corpo gridava il proprio desiderio. Gregori emise un basso grugnito e la raggiunse, incapace di contrastare la belva che gli si agitava dentro. Aveva appena attirato selvaggiamente a sé la giovane, quando sentì un rumore. Lieve. Ritmico. Rapido. Con un ruggito gutturale spinse via la donna. Era incinta. Gregori tese la mano e allargò le dita sulla protuberanza del suo ventre, appena accennata. Era un maschio. Così piccolo e bisognoso di cure. Si voltò di scatto e afferrò l’uomo. Cercò di controllarsi, di fare in modo che la sua giovane vittima si offrisse a lui, calma e disponibile. Ascoltò per un momento il sangue, la vita, scorrere nelle vene del ragazzo, poi abbassò il capo e bevve. Era in uno stato di eccitazione tale che la sensazione generata dall’afflusso di sangue fu molto intesa. Sentì il gusto del potere riportarlo in vita, riempirlo. Gregori ne aveva bisogno, desiderio, voglia. Si nutrì, famelico e vorace, nel disperato tentativo di colmare il suo vuoto. Le ginocchia del ragazzo cedettero e il carpaziano ritornò in sé. Per un attimo dovette opporsi alla bestia, felice di banchettare a sazietà, quasi corrotta dal potere della vita e della morte. Gregori dovette farsi forza e riprendere il controllo prima che fosse troppo tardi. Il sangue di quel ragazzo lo attirava, lo tentava. Invitante, insistente. Stava per essere avvolto dall’alone rosso che si allargava e cresceva dentro di lui, il suo corpo ardeva e bruciava, quando gli balenò in mente un pensiero. Savannah. Tutt’a un tratto riuscì di nuovo a sentire l’odore della notte, il fresco e pulito profumo di lei. L’aria che gli sfiorava la pelle calda gli ricordò il tocco delle sue dita. Vide i rami degli alberi che si agitavano piano e gli occhi di lei, bellissimi e saggi, che fissavano il vuoto della sua anima. Gregori imprecò, richiuse la ferita sul collo dell’uomo e lo adagiò al suolo, appoggiandolo al tronco di un grande albero. Si accovacciò e cercò di sentirgli le pulsazioni. Non voleva tornare da Savannah dopo essersi macchiato della morte di un innocente. Aveva pensato di concederle il tempo necessario per abituarsi a lui, alla loro relazione, ma lui stesso, nella condizione in cui si trovava, stava diventando troppo pericoloso e imprevedibile. Savannah doveva
entrare dentro di lui e trascinarlo lontano dall’orlo della follia. Il ragazzo, cereo in volto, rimase seduto, respirando a fatica. Con un po’ di riposo e le cure necessarie si sarebbe ripreso. Impresse nella mente dei due giovani la convinzione di essere stati vittime di un incidente, in modo tale che la debolezza di lui risultasse plausibile, poi se ne andò, veloce come era arrivato, correndo attraverso il folto del bosco e oltrepassando con agilità rami caduti e piccoli torrenti. Una volta rientrato nella sua proprietà, rallentò il passo e cominciò a passeggiare, inviando ancora una volta un richiamo nella notte. I due ragazzi avrebbero avuto bisogno di aiuto, quindi fece in modo che una famiglia si imbattesse in loro. Udì le grida allarmate e preoccupate, nonostante la scena si stesse verificando a molti chilometri di distanza, e le sue labbra si curvarono in un sorriso soddisfatto. Non appena spiccò il salto per raggiungere la terrazza, Gregori percepì una sorta di formicolio che lo avvisava di stare all’erta. Scrutò il cielo notturno mentre si dissolveva in un’ombra. Quel luogo, lontano, selvaggio, deserto e allo stesso tempo denso di potere, avrebbe richiamo l’attenzione di qualsiasi carpaziano rinnegato. I vampiri non erano in grado di resistere al richiamo della terra e dei lupi. Qualcuno di loro poteva aver avvertito la terribile lotta dentro di lui, il fatto che uno dei cacciatori era prossimo alla trasformazione, prossimo a diventare uno di loro, condannato per l’eternità. Mentre si nutriva, era stato talmente assorbito dal suo pasto che si era dimenticato di occultare la propria presenza nel caso ci fosse qualcuno della sua razza lì vicino… un altro indizio che rivelava quanto fosse vicino a perdere la sua anima. Gregori sfiorò la mente dei lupi per rassicurarli e prepararli al confronto. Aveva già avvertito l’avvicinamento dei vampiri, che procedevano verso di lui come enormi pipistrelli, in un fitto schieramento. Stavano cercando di impossessarsi delle menti tanto degli umani quanto degli animali. I lupi gironzolavano e si aggiravano nella villa, continuando a cercare il contatto telepatico, ma Gregori rimase concentrato su di loro, infondendo nelle bestie la propria calma. I vampiri sarebbero riusciti a impadronirsi solo di animali selvatici e randagi, prede di
caccia. I candidi denti di Gregori scintillarono. Non poteva essere lui l’oggetto di quella ricerca: nessuno poteva avvertire la sua presenza, a meno che non lo consentisse lui stesso. E nessuna mente poteva essere così forte da schermarlo. Savannah. Probabilmente i rinnegati stavano cercando lei, di certo Roberto l’aveva trovata e l’aveva tenuta nascosta agli altri. Nei suoi ultimi istanti di vita quella canaglia non aveva avuto il tempo o la forza per inviare un messaggio di avvertimento ai suoi simili. Dovevano aver intrapreso d’ufficio le ricerche nelle aree più remote della zona. Gregori scosse la testa, pensando a quanto fossero stupidi. Savannah era la figlia di Mikhail. Mikhail era il loro principe, un antico, uno dei più potenti carpaziani. Savannah poteva anche aver scelto di indebolire il proprio potere rifiutando di bere sangue umano, tuttavia quando avesse scelto di nutrirsi sarebbe stata più pericolosa di quanto loro potessero immaginare. Gregori rivolse al cielo un altro sorriso privo di allegria, crudele e minaccioso. I vampiri si stavano dirigendo in un’altra direzione, verso sud, verso la città brulicante di vita. Il carpaziano pensò allo scompiglio che avrebbero creato, alle vittime che avrebbero fatto prima che Aidan Savage, il cacciatore che si occupava di quell’area, potesse rintracciarli. Affidò ad Aidan quel compito, e non si sentì in colpa per aver lasciato all’altro suo simile l’incombenza di eliminare a tempo debito i vampiri dalla baia. Il tempo, per Gregori, significava tutto e niente. Non aveva confini, squallido isolamento senza fine. Per lunghi secoli aveva sopportato la terribile e profonda solitudine cui erano condannati tutti i maschi della sua specie. Le sue emozioni erano sparite, facendo di lui un essere spietato, capace di immani crudeltà. Ma dopo anni e anni in cui era stato completamente solo, a un passo dal trasformarsi in un non-morto, si era svegliato e aveva di nuovo visto i colori e sentito i profumi, distinto la luce dal buio. Bruciava di passione, sfiorare i capelli di Savannah gli procurava intense sensazioni, così come la pressione del corpo di lei contro il suo. Gli bastava solo vederla per ardere di desiderio. Era troppo tardi? Sarebbe sopravvissuto all’offensiva di emozioni tanto potenti oppure queste
l’avrebbero fatto vacillare e cadere nel baratro della follia? Gregori era riuscito a resistere per tutti quei secoli perché, come Mikhail, faceva piani precisi e meticolosi, senza tralasciare il minimo dettaglio. Il suo primo errore in centinaia di anni era stato trascurare la possibile presenza di altri carpaziani o non-morti nel parcheggio dello stadio in cui si era svolto lo spettacolo di magia di Savannah. Qualche attimo prima aveva fatto lo stesso sbaglio. Tutto perché era distratto dal suo bisogno di lei e per averla attesa per così tanto tempo. Rientrò in casa e scese a piedi nudi al piano di sotto. Una volta nella stanza da letto, accese delle candele e fece scorrere dell’acqua bollente nell’enorme vasca di marmo incassata nel pavimento. Poi ordinò a Savannah di svegliarsi. Gregori si sentì a disagio e un po’ in difficoltà per via di quell’urgente bisogno di soddisfare la propria voglia; il recente e abbondante pasto lo avrebbe tuttavia aiutato a trattenersi. Guardò il volto di lei mentre il suo cuore cominciava a battere e i polmoni a gonfiarsi. Percepì l’esatto momento in cui, ispezionando con il pensiero l’area circostante, Savannah avvertì la minaccia che incombeva su di lei, il pericolo imminente. Si accorse della presenza di Gregori. Savannah lo sorprese mettendosi lentamente a sedere e scuotendo i serici capelli, che le andarono a finire davanti al viso. Lo fissò con quei suoi occhi grandi e bellissimi. Si passò la punta della lingua sulla labbra, preoccupata. Per quanto possibile, la tensione sessuale di Gregori aumentò. Il carpaziano aveva un aspetto potente, intimidatorio, un’espressione rude e sensuale, notò Savannah, in trepidazione. La stava toccando, sbranando, con quel suo sguardo famelico. E, nonostante la sua ostinazione, nonostante le sue paure, Savannah sentì il proprio corpo rispondergli, di propria iniziativa. Un intenso calore le si diffuse in tutte le membra, procurandole un dolore terribile e un fortissimo impeto di desiderio. Riusciva a sentire il profumo virile di Gregori. Gli era rimasto appiccicato addosso l’odore selvatico della foresta, ma nascondeva un segreto. Gli occhi viola di Savannah mandarono un bagliore, brillando come due stelle. «Come osi venire da me con addosso il profumo di un’altra
donna?». Un debole sorriso incurvò gli angoli della bocca del carpaziano, rendendo un po’ meno dura la sua espressione. «Mi sono solo nutrito, piccola mia». Savannah era la donna più bella e sensuale che avesse mai incontrato. Credeva di temerlo e di essere terrorizzata da lui, ma poi non si faceva scrupoli a rimproverarlo. Lei, con i lunghi capelli scompigliati e i pugni chiusi, gli lanciò un’occhiata. «Di’ quello che vuoi, Gregori, ma non ti avvicinare a me finché hai addosso quell’odore». Savannah era furiosa. Gregori continuava a insistere con la storia che lei era la sua compagna per la vita, tentando di condannarla a un’eternità all’inferno, e poi si azzardava a presentarsi da lei con il profumo di un’altra donna addosso? «Vattene e lasciami in pace». Per qualche inspiegabile ragione, il pensiero che lui potesse tradirla le faceva venire le lacrime agli occhi. Gregori, possessivo, squadrò l’esile figura di lei, uno sguardo caldo e carezzevole. Aggrottò appena le sopracciglia. «Sei ancora debole, Savannah. Me ne rendo conto quando le nostre menti si fondono l’una nell’altra». «Esci dalla mia testa. Non sei stato invitato». Si mise le mani sui fianchi. «E, giusto per la cronaca, i tuoi pensieri avrebbero bisogno di una bella strigliata! La metà delle cose che immagini di fare con me non si verificheranno mai. Non riuscirei più a guardarti negli occhi». Gregori scoppiò a ridere. Una risata sonora. Una vera risata, di cuore. Si stava davvero divertendo, e gli era venuta fuori spontanea, bassa e un po’ roca. In un solo balzo annullò la distanza che li separava e attirò Savannah tra le sue braccia, grato della sua presenza più di quanto potesse immaginare. Lei gli lanciò un cuscino. «Dai, continua a ridere, stupido arrogante che non sei altro». Avrebbe voluto averne un altro a portata di mano. Gregori inarcò le sopracciglia. Ancora una nuova esperienza. Era stato chiamato in tanti modi, ma mai stupido. La preoccupazione per lo stato di salute di Savannah, comunque, era più forte delle sue elucubrazioni. Persino più importante della bestia che covava dentro
di sé e che non vedeva l’ora di possederla. «Perché sei così debole, piccola mia? Non va bene». Savannah non si curò delle sue parole. «E invece secondo te va bene che tu vada a divertirti con altre donne?». Non riusciva a smettere di chiedersi perché il suo comportamento la mandasse su tutte le furie, eppure non era in grado di mantenere la calma. «Mi sono presa cura di me stessa per cinque anni, Gregori, senza il tuo aiuto. Non ho bisogno di te e non ti voglio. Ma se proprio dovessi essere costretta ad averti tra i piedi, sarà meglio stabilire un paio di regole». Gregori fece una smorfia, sentì una stretta allo stomaco e si irrigidì, in una morsa di dolore. La voglia di farla sua era sempre più forte e intensa e la bestia accovacciata dentro di lui ringhiava, desiderosa di essere liberata. Cinque anni. Lui le aveva concesso cinque anni. Che Dio venisse in loro soccorso, se aveva aspettato troppo a lungo. «Il bagno è pronto. Potresti elencarmi le tue regole mentre ci rilassiamo nella vasca». Savannah sgranò gli occhi. «Ci rilassiamo? Non credo proprio. Tu puoi anche avere l’abitudine di fare il bagno con le donne ma, te lo assicuro, io non faccio il bagno con gli uomini». «Be’, questo mi rassicura», replicò lui, secco. Si stava divertendo, tuttavia l’urgenza del suo desiderio continuava a crescere. «Non ho mai fatto il bagno con una donna, Savannah. Sarà una nuova piacevole esperienza per entrambi». «Forse nei tuoi sogni». «Non hai motivo di essere timida. Siamo soltanto un uomo e una donna». «Risparmiami le tue sciocchezze, Gregori. Non farò il bagno con te e basta». Lui alzò un sopracciglio. Tutto d’un tratto emerse la sua indole da predatore. Nessun pigro divertimento, nessuna indulgenza. Solo un cacciatore che teneva gli occhi fissi sulla sua preda. Il cuore di Savannah perse un colpo, poi cominciò a martellarle forte nel petto. La cosa peggiore era che lui poteva sentirlo. Gregori sapeva di averla spaventata. E questo la faceva arrabbiare ancora di
più. Doveva per forza assumere quell’aria tanto intimidatoria? Tutti i maschi carpaziani erano incredibilmente forti: non avevano bisogno di dimostrarlo. Gregori non aveva motivo di fare sfoggio dei possenti pettorali, delle braccia muscolose e delle gambe solide come querce. Savannah si era ripromessa di essere coraggiosa, era determinata a non farsi intimidire, ma lui era il potere in persona. «Ti sto leggendo nel pensiero», fece lui, a bassa voce. Savannah detestò quel suo corpo traditore, il modo in cui si scioglieva alla vista di lui e al suono della sua voce, morbida come il velluto. «Ti avevo detto di non farlo». «È un’abitudine, piccola». Lei gli scagliò contro l’altro cuscino. «Non ritrasformarti nel lupo, non ti permettere! Sono certa che le nostre leggi lo vietino. Sei un mascalzone, Gregori, e non provi nemmeno un briciolo di senso di colpa!». «Togliti i vestiti, Savannah». A quell’ordine sommesso, gli occhi di lei vagarono per la stanza finché non incontrarono quelli di Gregori. I loro sguardi rimasero incatenati l’uno all’altro. Savannah fece un passo indietro, barcollando, e sarebbe caduta se lui, coprendo la distanza che li separava a una velocità soprannaturale, non l’avesse sorretta. Gregori la tirò su e la strinse a sé, fissandola con gli argentei occhi stretti a fessura. «Perché sei così debole?». Savannah cercò di fare leva sul suo petto e si sforzò inutilmente di sfuggire al contatto telepatico. Gregori avrebbe potuto desumere qualsiasi informazione desiderasse dalla sua mente con discreta facilità. «Non ho mai bevuto sangue umano, lo sai. Quando ero piccola sembrava che la cosa non avesse alcuna conseguenza, ma negli ultimi due anni, ci sono state delle…», temporeggiò in cerca della parola adatta, «ripercussioni». Gregori rimase immobile, lo sguardo fisso, in attesa di ulteriori spiegazioni. Era un ordine. Savannah non poteva disobbedire al comando di quegli occhi imperiosi. Sospirò. «Sono quasi sempre debole. Per cambiare forma devo compiere uno sforzo incredibile. Ecco perché i miei spettacoli sono
sempre meno frequenti. Ho grosse difficoltà a smaterializzarmi e poi a ricomparire di nuovo». Non aggiunse che non poteva più tessere adeguati incantesimi di protezione mentre dormiva, ma dall’improvviso bagliore negli occhi argentei di lui capì che Gregori aveva percepito anche l’eco delle parole non dette. Il suo sguardo divenne freddo come l’acciaio e Gregori strinse la presa, schiacciando il corpo di lei contro il proprio petto muscoloso. «Perché non hai posto rimedio a questa situazione?». Savannah non voleva ammettere la vera ragione: aveva pensato che quella strana dieta le avrebbe permesso di esporsi alla luce del sole. «Basta. Ti impedisco di proseguire con queste stupidaggini». La scosse un po’, mostrandole i denti bianchissimi in una smorfia di indignazione. «Devi metterci un punto, Savannah. Ti costringerò a farlo». Non erano spacconate: la sua voce non nascondeva toni di sfida o di provocazione. Gregori stava semplicemente rendendo conto di un dato di fatto. Savannah capì di essere vittima di una minaccia, non fisica ma mentale. «Gregori», disse, sforzandosi di sembrare calma e ragionevole, «non è un bene per te costringermi a seguire la tua volontà». Lui la rimise in piedi, sostenendola con una mano e cominciando a sbottonarle la camicetta con l’altra. A Savannah si spezzò il fiato in gola. Sollevò entrambe le mani per allontanare la sua. «Che stai facendo?» «Ti sto togliendo i vestiti». Sembrava non rendersi conto delle mani di Savannah che cercavano di impedirglielo. La camicetta cominciò ad aprirsi, rivelando la stretta gabbia toracica e la morbida curva dei seni coperti da un reggiseno di pizzo quasi trasparente. Per un attimo la bestia ebbe il sopravvento, desiderosa di strapparglielo, di nutrirsi, di reclamarla. A Gregori risultò quasi impossibile tenerla sotto controllo e per la prima volta il carpaziano pensò di aver aspettato davvero troppo a lungo prima di fare sua Savannah. Quella ragazza sarebbe stata in grave pericolo se fosse scivolato oltre il confine della follia. Il desiderio di possederla divenne violento e doloroso, ma Gregori trasse un profondo respiro,
gli si oppose ed ebbe la meglio. Non gli tremarono le mani quando le sfilò le bretelle, lasciando nudi ed esposti al suo sguardo i seni pieni e sodi. Non riuscì a trattenersi e glieli accarezzò, facendole inturgidire i capezzoli. Mormorò qualcosa – Savannah non avrebbe saputo dire cosa –, poi abbassò il capo e la baciò. Non appena le loro lingue si sfiorarono e i denti di lui mordicchiarono un labbro, Savannah sentì le gambe cederle. desiderio era talmente intenso che le sembrò che il suo corpo sciogliesse. Gregori la baciò appassionatamente, ed entrambi eccitarono ancora di più.
le Il si si
Savannah infilò le dita nel folto dei suoi capelli, scuri come il cielo di mezzanotte, intenzionata ad allontanarlo, ma le fiamme del desiderio si erano impossessate di lei e avevano prodotto un fuoco ingovernabile. Solo una volta, per assaggiare il gusto del proibito. Solo una volta. Il fatto che non sapesse dire se quel pensiero fosse frutto della sua mente o di quella di lui la diceva lunga sul livello del suo piacere. La mano di Gregori le scivolò sul ventre, fino a quando non trovò la cerniera dei jeans. Savannah ebbe la sensazione che i colori danzassero intorno a lei, che l’aria sfrigolasse, che le mancasse la terra sotto i piedi. Le sfuggì un gemito di disperazione, di desiderio. Il suono dei loro cuori che battevano, del sangue che fluiva nelle loro vene, era musica per le sue orecchie. Quell’uomo richiamava in vita la sua parte selvaggia. Il suo profumo, mascolino ed eccitato, il profumo del suo sangue, le faceva venire fame, una fame acuta e irresistibile. «No! Non voglio!». Savannah, nel disperato tentativo di sfuggire a quell’incantesimo di magia nera, si tirò indietro. Lo desiderava più di ogni altra cosa, più della sua stessa anima, ma l’intensità di quell’emozione la spaventava da morire. Gregori cercò di riacciuffarla e caddero insieme sul pavimento, lui sopra di lei. Il capo di Savannah rimase schiacciato contro il petto di Gregori: il profumo del sangue e il battito del cuore del carpaziano erano sul punto di vincere ogni sua resistenza. La mano di lui rimase intrappolata tra le gambe di lei e ne venne fuori solo dopo averle strappato via il minuscolo ritaglio di tessuto che fungeva da
biancheria intima. La accarezzò tutta, cercando di memorizzare ogni curva o ogni piega del suo corpo, e le sue mani lasciavano una scia infuocata al loro passaggio. Savannah assaporò la pelle di lui, calda e salata. Trovò con la lingua il punto in cui si sentivano le pulsazioni e lo sfiorò con un tocco leggero. Gregori rabbrividì di piacere e la strinse a sé in una morsa d’acciaio. Savannah avvertì il respiro caldo sul collo, vicino all’orecchio. «Prendi ciò di cui hai bisogno, Savannah», mormorò con un tono di voce seducente come velluto nero. «Te lo offro di mia spontanea volontà, come ho già fatto in passato. Ti ricordi che gusto ho?». Era pura tentazione, diabolica e allettante. Te lo ricordi? Le bisbigliò quelle parole telepaticamente. Savannah chiuse gli occhi. Il profumo del sangue era irresistibile, la chiamava, le sussurrava un incantesimo. E lei era così debole. Le sarebbe bastato nutrirsi solo una volta e sarebbe stata di nuovo in forze… e a lungo. Sarebbe stato così facile concedersi di assaporare il gusto di Gregori. Il suo corpo si irrigidì solo al pensiero: ne aveva un estremo bisogno, era una questione di sopravvivenza. La mano di Gregori le risalì di nuovo su per la coscia, procurandole un brivido di piacere. Savannah lo sfiorò ancora con la lingua, indugiando un po’ più a lungo sulla vena. Le dita di lui trovarono il fulcro umido della sua eccitazione e lo accarezzarono, lente. I denti di Savannah gli graffiarono la pelle, poi lei gli diede un morso. Gregori dovette controllarsi per non penetrarla e possederla subito. Savannah si sentiva ancora smarrita e confusa, anche se il suo desiderio era sempre più intenso e il suo corpo ardeva di passione. Il carpaziano nutrì quella passione, frugando con le dita, esplorandola, sentendo i suoi muscoli tendersi, i suoi fianchi schiacciati contro di lui, in cerca di un liberatorio sollievo. Desiderio. Gregori vi si concentrava, lo faceva crescere, gli permetteva di consumarlo. Soffriva fisicamente per la passione, era tanto accaldato ed eccitato da sentire dolore. La mente di Savannah cercò la sua e vi si fuse al punto che sarebbe stato impossibile distinguere i pensieri di uno da quelli dell’altra. Desiderio. Ricordi. Il gusto. Solo un’altra volta, il
gusto di lui.
Savannah non riusciva a pensare. La passione e la voglia di lui
erano troppo forti. Era in grado di sentire la pelle nuda e calda di Gregori contro la sua, la pressione di quel corpo, così aggressivo e virile; ma ad attirarla era soprattutto il costante e ritmico battito del suo cuore. Le dita di Gregori sprofondarono dentro di lei, e per tutta risposta divampò un incendio; fuoco rosso, calore bianco, lampi blu. La ferrea volontà di Savannah venne meno e lei gli affondò i denti nel collo. Gregori emise un urlo roco, un’esplosione di piacere tanto intensa da essere paragonabile all’estasi. Era erotismo puro: la bocca di lei che si muoveva su di lui, nutrendosi e traendone forza vitale. Gregori aveva aspettato così a lungo. La mente gli si annebbiò, divenne un alone rosso di intenso desiderio, e il carpaziano le bloccò gli esili fianchi con una forza brutale, tenendola ferma per penetrarla. Lei lo accolse, morbida come il velluto e infuocata dalla passione; lui lacerò la sottile barriera della sua verginità e sprofondò dentro di lei più che poté, ardendo dalla voglia di farla sua per l’eternità. L’urlo sconvolto di dolore di Savannah rimase imprigionato e soffocato dal petto di Gregori. Quella ragazza era così minuta, stretta e infervorata che lui si sentì perso in un mare di sensazioni. Emozioni. Emozioni pure. Emozioni reali. Non le fantasie di cui si era nutrito per resistere all’oscurità, alla solitudine, ma emozioni vere. Si sentì sopraffare dal dolce e mieloso profumo del sangue, che lo attirava, lo seduceva in modo irresistibile. L’odore del sangue di Savannah, mescolato al suo, fece allargare la macchia rossa che gli annebbiava la mente, perse il controllo e scatenò tutti i suoi istinti predatori, aggressivi, bestiali. Savannah chiuse automaticamente la ferita che gli aveva procurato sul petto passandogli sopra la lingua e subito cominciò a opporgli resistenza. Gregori era così forte e violento che le stava facendo male, il suo corpo la stava deformando, portandole via con estrema brutalità la sua innocenza. Le sue mani erano dappertutto, e i suoi denti pure. Ai tentativi di Savannah di resistergli, lui rispose con bassi e gutturali grugniti di avvertimento. Gregori sollevò la testa: nei suoi occhi lampeggiavano bagliori rossi, era pericoloso, fuori controllo, non più umano, a un passo dal
baratro della follia. Più Savannah gli resisteva più lui diventava brutale, come un animale selvatico il cui unico scopo è dominare, raggiungere il proprio piacere. Quando i denti di lui le perforarono la vulnerabile curva del seno, Savannah si sentì pervadere da un dolore caldo e bianco. Urlò in segno di protesta, ma Gregori la immobilizzò con il peso del suo corpo, tenendola ferma, finché non raggiunse il piacere. Mentre il sangue di Savannah fluiva dentro di lui, il carpaziano continuò a penetrarla, sempre più a fondo e con sempre maggiore violenza. Sangue caldo gli colò in bocca. Non aveva mai sentito un gusto simile: non ne avrebbe avuto mai abbastanza. Scorreva dentro di lui come nettare, procurandogli un lieve bruciore e al contempo un senso di sollievo. Non aveva mai sperimentato un’estasi simile a quella che il sangue di Savannah gli aveva provocato. Gli sarebbe piaciuto che quel momento fosse durato per sempre. Si sentì sempre più potente, una sensazione di totale rapimento. Il suo corpo era selvaggio e voleva di più, ancora di più, in modo che la frenesia con la quale la penetrava andasse allo stesso ritmo della frenesia con la quale si nutriva. Gregori non esisteva più; la bestia furiosa che aveva preso il suo posto stava prosciugando Savannah, bevendone il sangue fino all’ultima goccia e servendosi del suo corpo senza la dolcezza che un compagno per la vita avrebbe dovuto usare. Savannah accettò la morte imminente, ma pensò con preoccupazione a quale sarebbe stata la reazione di suo padre, che si sarebbe dovuto misurare con Gregori, il più scaltro, il più forte di tutti i carpaziani. Sentì un debole sussulto nella mente, non frasi articolate, solo impressioni. Gregori stava cercando di risalire dal baratro della follia per salvarla, ogni suo pensiero adesso era per lei. Si sentiva profondamente addolorato per aver aspettato così a lungo e averle fatto correre un così grande pericolo. Uccidimi, cara. Quando questa
creatura che sta abusando di te avrà finito, sarà debole, pigra e sazia. A quel punto, uccidila. Farò del mio meglio per aiutarti.
Su di lei si riversò un enorme senso di colpa. Gregori si era condannato da solo a cinque anni d’inferno per concederle la libertà che lei desiderava. In quel periodo aveva camminato sull’orlo della
pazzia, eppure aveva resistito… e l’aveva fatto per lei. Le loro menti si erano fuse l’una nell’altra e Savannah, a quel punto, riusciva a comprendere quanta sofferenza Gregori avesse sopportato a causa del suo comportamento. Adesso avrebbe voluto morire pur di salvarla. Savannah chiuse gli occhi e ordinò al proprio corpo di rilassarsi e di accoglierlo. Gregori. Pensava di essere perduto, di essere diventato un vampiro che non avrebbe più distinto il bene dal male. Una bestia selvaggia priva di fede, infinitamente potente e pericolosa oltre ogni immaginazione. Aveva resistito tanto a lungo contro il vuoto oscuro che minacciava di schiacciarlo, eppure adesso era perduto, intrappolato in un vortice di violenza e passione, potere e piacere. Era stata lei a condurlo a quell’orribile fine. Le sue paure e la sua giovinezza, erano state loro a trasformare la sua grandezza in ferocia gratuita. Savannah incrociò le dita dietro la nuca di Gregori e si sforzò di allontanare il dolore dalla propria mente, nel tentativo di non pensare alla violenza di cui era vittima. Gregori. Il tenebroso. Selvaggio. Indomito. Sempre solitario. Colui che non si commuoveva mai, che stava in disparte. Temuto. Nessun carpaziano si sentiva a proprio agio in sua presenza, eppure lui aveva guarito molti dei membri del loro popolo, aveva dato la caccia agli assassini, aveva fatto giustizia quando questo si era rivelato il più ingrato dei compiti, per far sì che la loro gente fosse al sicuro. Chi si sarebbe preoccupato adesso di quella belva selvatica? Chi avrebbe provato gratitudine per quanto lui aveva sacrificato in nome del bene di tutti? Chi avrebbe osato avvicinarsi per raggiungere l’uomo che si celava là dentro? Savannah ebbe un moto di compassione e sperimentò sentimenti sui quali non osava indagare. Non poteva permettere che un simile destino si abbattesse su un così grande carpaziano. Non l’avrebbe permesso. Si sentì determinata come non mai. Gli prese fra le mani la folta chioma di capelli e si strinse la testa al seno, concedendosi spontaneamente, cercando di restare calma nell’occhio del ciclone, di offrirgli la propria vita senza riserve. Prendila, Gregori. La mia vita in cambio della tua. Era il
minimo che potesse fare, a fronte di ciò che lui aveva fatto per lei e per il loro popolo. Sono qui per te, Gregori. Ti offro di mia spontanea volontà ciò di cui hai bisogno. Era sincera. Non avrebbe permesso che lui diventasse un non-morto. Non l’avrebbe abbandonato nel mondo delle creature prive di anima.
Savannah! Le sembrò che Gregori fosse un po’ più forte, ma forse
si trattava solo della speranza che l’uomo stesse riguadagnando terreno nei confronti della bestia. Tu devi sopravvivere. Uccidimi. La sua voce era un lamento veemente e supplichevole nella sua testa. Lei gli rispose. Prova a sentirmi, il mio corpo si sta unendo al tuo.
Io ti appartengo e tu appartieni a me. Senti la mia presenza dentro di te. Resta con me. Non ti lascerò andare. Ovunque tu sarai, io sarò al tuo fianco. Ovunque andrai, io ti seguirò. Ti sto offrendo spontaneamente la mia vita per salvare la tua. Non puoi prendere con la violenza ciò che ti viene dato. Non hai commesso alcun errore nel far tuo ciò che ti appartiene. I fianchi di Gregori continuarono a muoversi su di lei, ma con maggior delicatezza, come se stesse lentamente tornando padrone di sé. Incoraggiata, Savannah gli andò incontro, cercando di seguire il ritmo furioso del suo cuore, del suo respiro, finché non furono in perfetta sincronia. Un cuore, un corpo, una mente. Poi lei tentò di rallentare, di persuaderlo a fare lo stesso.
Savannah. A quel punto il suo nome era un lamento. Ancora
lontano, ma più deciso. La bocca di lui, che fino a un attimo prima si muoveva feroce su di lei, divenne più dolce. Mettiti in salvo. Gregori stava lottando per Savannah così come lei stava lottando per lui.
Esistiamo solo noi. Lei si era tranquillizzata, le sue mani gli accarezzavano dolcemente i muscoli tesi della schiena. Non ci sono più io, né tu. Si sentiva debole, prosciugata, e una strana sensazione di letargia si stava impadronendo di lei. Solo noi. Stava farfugliando un po’? Non ti lascerò. Non permetterò che l’oscurità ti porti via da me. Savannah rimase distesa sotto di lui, nel mondo dei sogni. Improvvisamente, come se avesse percepito che la preda stava fuggendo via, la bestia sollevò il capo, e i suoi occhi, ora rossi poi argentei, poi di nuovo rossi e infine ancora argentei, la fissarono,
teneri e feroci allo stesso tempo. Un rivolo di sangue le corse giù lungo la curva del seno. Lei sbatté le palpebre per rimetterlo a fuoco. Gregori stava riversando il proprio seme dentro di lei, tremando. Passò la lingua sulla ferita che le aveva procurato e la chiuse, poi leccò le gocce di sangue che Savannah aveva sul ventre.
Ti rivendico quale mia compagna per la vita. Quelle parole
risuonarono roche nella mente di Savannah. Poi proseguì, con tono gutturale, come se il terribile conflitto che lo aveva dilaniato gli avesse reso la voce più fioca. «Io appartengo a te. Ti offro la mia vita». Mentre recitava le antiche formule carpaziane che li avrebbero legati per sempre l’uno all’altra, il suo tono però divenne più sicuro, più simile a quello che aveva di solito, una bellissima carezza di velluto. «Ti do la mia protezione, la mia fedeltà, il mio cuore, la mia anima e il mio corpo. E prendo lo stesso da te». Le mise una mano dietro la nuca, si procurò una ferita sul collo e vi premette la bocca di Savannah. Lei era debole, talmente debole che quasi non riusciva a nutrirsi nemmeno sotto costrizione. Bevi, amore mio, per la vita di entrambi. Non ebbe scrupoli nel costringerla a obbedirgli. Se non si fosse nutrita del suo sangue, non sarebbe sopravvissuta per più di un’ora. E tutto quello che aveva patito per salvargli la vita sarebbe stato vano. Perché senza di lei lui non avrebbe avuto motivo di vivere. Gregori le scostò teneramente i capelli da volto, e continuò a muoversi con dolcezza dentro di lei. Era necessario portare a termine il rituale per evitare che la bestia potesse nuovamente diventare un pericolo per lei. Gregori aveva bisogno di sentire Savannah dentro di sé, di ancorare la sua oscurità alla luce di lei. Sarebbe stato un lungo cammino, ma Savannah era forte e, con la fiducia che nutriva nei suoi confronti, lo avrebbe trascinato lontano dal vuoto della solitudine e dalla sua indole selvaggia. Terminò la formula a voce bassa. «La tua vita, la tua felicità e il tuo benessere saranno al di sopra dei miei. Sei la mia compagna per la vita, legata a me per l’eternità e per sempre sotto la mia protezione». Gregori sperimentò l’estasi procuratagli dalla combinazione delle sensazioni di Savannah che si nutriva e del caldo velluto della sua femminilità in cui era sprofondato. Cercò di contenere il proprio piacere, consapevole del fatto che lei non stava sperimentando le
stesse gradevoli emozioni. Quando fu sicuro che avesse bevuto abbastanza sangue per sopravvivere, si abbandonò a un’altra ondata di godimento. La testa di Savannah penzolava dal fragile collo, come un fiore dal gambo. Era così pallida che la pelle sembrava quasi trasparente. Gregori le prese una mano e se la portò alle labbra, puntando gli occhi argentei sul suo volto e notando la presenza di ombre e cavità che non c’erano fino a un attimo prima. Mentre la osservava, qualcosa dentro di lui si sciolse. Si tirò su, lanciò un’occhiata all’esile figura di lei e rimase di sasso, scioccato e sconvolto, quasi incredulo. Era piena di graffi, lividi e segni di morsi. Il suo seme e il sangue le colavano tra le gambe, e Gregori dovette fare mente locale per ricordarsi che le aveva portato via la verginità. Emise un suono gutturale, roco e ferito. Come aveva potuto farle una tale imperdonabile violenza? Come avrebbe mai potuto essere perdonato? Savannah era riuscita a trascinarlo lontano dal baratro dei dannati. Tutto ciò che sapeva e credeva gli suggeriva che si era trattato di un miracolo. Ma Savannah ne aveva pagato il prezzo. Gregori sollevò quel corpo privo di forze e lo immerse nella vasca da bagno, convinto che l’acqua calda avrebbe alleviato le sue sofferenze fino al momento in cui lui non sarebbe stato in grado di farla dormire di un sonno profondo e ristoratore. Nella loro terra d’origine, il suolo l’avrebbe accolta e guarita. Lì, in quello strano paese, c’erano solo Gregori e i suoi poteri da guaritore. Il carpaziano avrebbe potuto costringerla a dormire finché le ferite non si fossero del tutto rimarginate. Avrebbe potuto cancellare il ricordo di quella violenza e convincerla che avevano fatto l’amore in modo dolcissimo. Ma le aveva promesso che non le avrebbe mai mentito e, se fosse intervenuto sulla sua memoria, la loro relazione da quel momento in poi sarebbe diventata solo una menzogna. Savannah giaceva immobile, pallida e priva di forze. Gregori le scostò dal viso i capelli color dell’ebano: era profondamente addolorato, come se qualcuno gli stesse strizzando il cuore, strappandoglielo via dal petto. La verità era che avrebbe voluto mentire solo a se stesso, e non se lo meritava. Il coraggio di quella
donna lo aveva salvato. Se lei era riuscita a guardare in faccia il suo demone, lui avrebbe dovuto fare lo stesso.
Capitolo 4 Savannah si risvegliò lentamente e rimase a letto, ancora assonnata. Appena provò a muoversi si ricordò di quanto era accaduto. La acuta sensibilità tipica dei carpaziani, il fatto di avere tutti e cinque i sensi molto sviluppati, l’indole passionale che faceva accoppiare uomini e donne del suo popolo in modo selvaggio, tutto ciò si era rivelato una maledizione. I carpaziani provano il dolore con la stessa intensità con la quale vedono e sentono, e nessun agente chimico può alleviare la loro sofferenza. Prima che potesse trattenersi, le sfuggì un lamento. Una mano dal tocco lenitivo le si poggiò subito sulla fronte, scostandole via i capelli. «Non muoverti, piccola mia». Un debole sorriso le curvò gli angoli della bocca. «Non sai far altro che impartire ordini?». Le sue palpebre si sollevarono e rivelarono due occhi di un blu tendente al viola. Gregori si era aspettato biasimo, rabbia, disgusto. Gli occhi di Savannah erano annebbiati dal dolore, un po’ assonnati, nascondevano una traccia di paura che lei faceva di tutto per dissimulare, nient’altro. Lui era un’ombra nella sua mente, pertanto lei non poté schermarlo. Savannah era soprattutto preoccupata per lui, per la terribile battaglia che aveva combattuto contro la follia, per le cicatrici che gli segnavano l’anima. Si sentiva in colpa e sopraffatta dalla tristezza, perché la sua giovinezza e inesperienza l’avevano portata a fare delle scelte sbagliate. Gregori non si accorse di essersi accigliato finché Savannah non gli passò le dita sulle labbra. Quel contatto lo fece sobbalzare. Il modo in cui lei lo guardava gli provocò un tuffo al cuore, sciogliendo ogni grumo di solitudine. «Ti sei esposta a un rischio terribile, Savannah. Avrei potuto ucciderti. La prossima volta che ti darò un ordine, obbediscimi!». Un debole sorriso illuminò il suo volto, ma sparì subito, dal momento che le labbra spaccate le tiravano e le facevano male. Era davvero debole, aveva bisogno di molto sangue. Le arrivò una zaffata di quel liquido vitale e le fece venire in mente ricordi che
proprio in quel momento avrebbe preferito evitare. «Be’, non sono molto brava a seguire gli ordini altrui. Credo che dovrai abituarti». Savannah provò a mettersi seduta, ma le risultò impossibile, per via di quell’enorme mano che aveva poggiata sul cuore. Aveva provato a scherzare e ad assumere un tono sarcastico, solo che il contatto telepatico tra loro era ormai attivo e funzionante, le loro menti si fondevano senza incontrare alcun ostacolo l’una nell’altra, e lui riuscì a cogliere una punta di nervosismo e di paura nelle sue parole. Savannah avvertiva la presenza della sua mano, poggiata sulle lenzuola sottili, all’altezza della curva del suo seno, e le faceva un certo effetto. Stava disperatamente cercando di ignorare la fortissima tensione sessuale che c’era tra loro. Gregori si piegò e le strofinò con dolcezza le labbra sulla fronte. «Ti ringrazio per quello che hai fatto. Mi hai salvato la vita. E, cosa ancor più importante, hai salvato la mia anima». Hai salvato la vita a entrambi. «Non cercare di nascondermi le tue paure, piccola mia. Non ce n’è alcun motivo». Savannah si lasciò sfuggire un sospiro e chiuse gli occhi. «Puoi risultare molto fastidioso, Gregori. Ce la sto mettendo tutta per non pensarci, e potrei anche aver bisogno di un piccolo aiuto per riuscirci. A essere sinceri, mi sono spaventata da morire. Ma adesso non voglio pensarci». Si morse un labbro, poi trasalì per il dolore. Si spostò un po’ indietro, nella speranza che lui togliesse la mano da lì. Era conscia del suo tocco, del suo calore. Quella consapevolezza comprendeva da una parte il dolore fisico causato dal suo tocco e dall’altra la terribile paura che la sua mente non avesse alcuna speranza di venirne fuori. Gregori non mosse un muscolo, immobile come una statua intagliata nel granito. «Mi hai trascinato via dall’oscurità, dai cancelli dell’inferno. In base al diritto, in base alle leggi della nostra gente, avresti dovuto uccidermi per quello che ti ho fatto». Parlò in tono sommesso, denso di sofferenza. «In tutta sincerità, non credevo che fosse possibile autosacrificarsi e compiere un gesto salvifico come il tuo». Savannah non avrebbe mai più voluto sperimentare un’esperienza come quella. Eppure, per quanto fosse terrorizzata, per quanto stesse
soffrendo, sapeva che Gregori viveva un tormento più intenso del suo. «Non posso supporre che tu mi sia così riconoscente da prendere in considerazione l’ipotesi di stare alla larga da me per un po’, vero?», gli chiese, speranzosa, chiudendo per un attimo gli occhi in modo tale da scacciare il ricordo del combattimento che aveva ingaggiato per salvarlo. Non riusciva a confrontarsi allo stesso tempo con quel ricordo e con l’uomo reale e minaccioso. Per un istante qualcosa guizzò nella profondità dello sguardo di Savannah, procurò una lieve increspatura nella mente di lui e in quella di lei, poi svanì. Dolore. Lo aveva ferito? Savannah non era sicura di volerlo sapere. «Il rituale è stato completato, piccola mia. È troppo tardi. Nessuno di noi due sopravvivrebbe se ci separassimo». Le arruffò i capelli, passandole le dita nel folto della chioma, come se non ne avesse mai abbastanza di lei. Savannah ricordò di aver sentito che i compagni per la vita non possono vivere l’uno lontano dall’altra. Ma ciò significava che doveva assolutamente trovare un modo per dipanare il suo profondo conflitto interiore e venire a patti con la paura che la loro relazione le metteva. Sarebbe stato possibile? «E quindi? Che cosa vuol dire?», lo provocò. «Ho sentito questo discorso sia da te che da mio padre. Mi è stato ripetuto per tutta la vita. Che significa?» «Significa che avrai bisogno del contatto telepatico, del mio corpo e del mio sangue, così come io avrò bisogno del tuo. Si verificherà spesso, e sarà un bisogno così forte che nessuno di noi due sarà in grado di esistere senza l’altro». Il suo tono di voce era rimasto neutrale, basso, cadenzato e tranquillo. Savannah impallidì ancora di più, per quanto possibile. Il cuore le balzò in gola, gli occhi vagarono per la stanza colmi di paura. Mai! Lei non avrebbe mai e poi mai, qualsiasi fossero le circostanze, ripetuto quell’esperienza. Il sesso era un incubo, lo scambio di sangue troppo doloroso. Si voltò, cercando di nascondergli i suoi timori. Il suo cervello si stava dando da fare, alla ricerca di una soluzione. Era stata lei l’artefice di tutto. Se solo… No, se si fosse comportata in maniera diversa Gregori sarebbe morto, o peggio, sarebbe diventato un vampiro, e chissà perché, anche
davanti alla minaccia che potesse di nuovo verificarsi quanto era accaduto, Savannah non riusciva nemmeno a sopportare quel pensiero. Si inumidì le labbra con la punta della lingua, e avvertì le ferite che l’aggressione le aveva procurato. «Adesso però non c’è il rischio che ti trasformi in un vampiro, giusto?». Quella domanda causò a Gregori un tuffo al cuore. «Non c’è alcuna possibilità che la mia anima sia risucchiata dall’oscurità, Savannah, a meno che io non ti perda. Non ti mentirò, piccola mia. La nostra vita, all’inizio, sarà difficile. Non so quanto saranno profonde le emozioni che scatenerai in me. Ci vorrà del tempo per abituarsi. Ma se mi stai chiedendo se ti farò di nuovo del male, la risposta è no». «Ne sei sciuro?». A quel punto le tremava sensibilmente la voce e le sue mani fremettero quando le sollevò per scostarsi i capelli dal volto. Quel movimento la fece trasalire, e quel sussulto, quel tremito, furono per Gregori come la tagliente lama di un coltello. «Tu sei dentro di me, Savannah, una luce che mi guida nell’oscurità». Avrebbe voluto stringerla tra le braccia, tenerla stretta al petto per l’eternità. Ma le stava dicendo la verità? In cuor suo sapeva di che pasta era fatto, anche se cercava da tempo di moderare la propria indole. Gli incantesimi che avrebbero dovuto proteggerlo dalla sua stessa violenza sarebbero stati efficaci? «Ho bisogno di tempo». Savannah si detestò per il tono lamentoso con cui aveva pronunciato quelle parole. Ma nel corso di una sola notte la sua vita era cambiata. E Peter. Che Dio l’assistesse, non si sarebbe mai data pace per la morte di Peter. «Roberto non era solo». Per Gregori era semplicissimo leggerle nel pensiero. Savannah mise alla prova con molta cautela la propria capacità di muoversi. Ogni muscolo sembrò urlare in segno di protesta. «Che vuoi dire?». Lui, con fare possessivo, le poggiò una mano sulla spalla. Savannah fu pervasa da un’ondata di paura. Sotto le lenzuola era
nuda. D’un tratto si sentì vulnerabile, e i suoi occhi blu incontrano quelli chiarissimi di Gregori, fissandolo come se si aspettasse che da un momento all’altro gli spuntassero le corna. Gregori sospirò e si distese sul letto. «Non ti farò del male, amore mio. Non potrei, una volta che il rituale è stato completato». «Allora perché dici che la nostra vita sarà difficile?». Savannah strinse così forte l’orlo delle lenzuola che le nocche le diventarono bianche. La mano di Gregori si posò delicatamente sulle sue, seguendone il profilo con la punta delle dita. Quel contatto le procurò un’inattesa scarica elettrica. «Non posso perderti dopo averti aspettato per secoli. So di essere un tipo difficile e tu stessa ti accorgerai che non è una passeggiata vivermi accanto. Entrambi dovremo venirci incontro». «Sì, così magari tu la smetterai di fare il macho», mormorò lei. Poi, armatasi di coraggio, aggiunse a voce alta: «Voglio mettermi a sedere, Gregori». Si sentiva in posizione di svantaggio, supina e nuda sotto le lenzuola. «Visto che stiamo discutendo del nostro futuro, vorrei intervenire». Per un lungo momento lui la osservò con quei suoi occhi argentei, esaminando il volto pallido e pieno di lividi, studiandola attentamente, evidentemente considerando se accontentarla o meno. Lo sguardo di Savannah prometteva tempesta e Gregori, seppure riluttante, si spostò per farla mettere seduta. «Attenta, bambina!», fece a bassa voce, circondandole la vita con un braccio e alitandole fiato caldo sul collo. Il contatto di quel braccio duro come l’acciaio e coperto di peluria contro la sua pelle nuda, procurò a Savannah un brivido lungo la schiena e una stretta alla stomaco. Detestava quella sensazione di calore, il modo in cui il suo corpo si adattava a quello di lui, come la mente continuava a ignorare i suoi propositi e cercava il contatto telepatico. Era colpa del rituale. Continuava a ripeterselo, ma non serviva ad arginare il disgusto che provava per se stessa. Com’era possibile che desiderasse la brutalità con cui l’aveva posseduta? Era diventata improvvisamente masochista?
Si sentì tremare dal profondo delle viscere fino ai fasci di muscoli e cominciò a digrignare i denti. Tenne stretto l’orlo delle lenzuola e si mise a sedere rigida, appoggiandosi al suo braccio. «Credo che sarebbe molto meglio se tu ti sedessi lì», e indicò una sedia dall’altra parte della stanza. Gregori le prese il viso tra le mani, accarezzandole il delicato profilo. «Guardami, Savannah». La sua voce era morbida come velluto nero ma non per questo meno imperiosa. Lei gli puntò gli occhi addosso, ma distolse precipitosamente lo sguardo, chiudendo le palpebre come per proteggersi. Le sue carezze le acceleravano il battito cardiaco. «Hai intenzione di opporre resistenza a ogni cosa che ti chiedo? Ti sto domandando solo un piccolo favore, di guardare me, il tuo compagno». «Davvero? Si dice che tu possa piegare alla tua volontà chiunque con una semplice occhiata». Gregori ridacchiò, continuando ad accarezzarla, come se stesse suonando uno strumento. «Mi basta parlare, mia cara. Savannah, ho bisogno che tu mi rivolga uno sguardo». Riluttante, lei lo guardò negli occhi. Perché aveva pensato che i suoi occhi fossero freddi? In realtà erano come due pozze di mercurio liquido, che la riscaldarono e la calmarono: smise di tremare e alcune delle sue paure svanirono quel tanto che bastava per farle rilassare un po’ la muscolatura contratta. «Non ti farò di nuovo del male. Il modo in cui ti ho posseduto non è stata una mia scelta: mi sento molto in colpa e mi vergogno di più ogni istante che passa per aver perso il controllo fino a tal punto». Le infilò le mani tra i capelli e si portò alcune ciocche setose alle labbra. «So che hai paura, Savannah, e ti ho dato buone ragioni per averne, ma vorrei che entrassi nella mia mente e verificassi che quella che ti sto dicendo è la verità». Stava rischiando il tutto per tutto. Il suo passato era torbido, a volte persino oscuro. Alla sua tenera età, Savannah non sarebbe stata capace di capire la sua storia, lo squallore che aveva pervaso la sua esistenza fino a quel momento. Sarebbe venuta a conoscenza di tutto, di ogni sua crudeltà. Avrebbe anche visto fino a che punto si era spinto per assicurarsi che lei diventasse la sua compagna per la vita. Ma era l’unico modo per
garantirle che quello che le aveva detto corrispondeva al vero. Se le avesse spalancato le porte della sua mente, Savannah avrebbe capito che non le stava mentendo. Non avrebbe mai potuto amarlo, ma d’altronde lui non si aspettava amore da parte sua. Savannah studiò a lungo l’espressione di Gregori. «È già tanto che tu mi abbia fatto questa proposta, Gregori. Una volta che avrò appurato che non vuoi farmi del male, comunque i miei timori non si dilegueranno. La paura non funziona così». Non era necessario che il carpaziano sacrificasse il proprio orgoglio, che confessasse tutte le malvagità che aveva commesso. La sua vita era stata difficile e lui aveva fatto del suo meglio. Lei non aveva il diritto di giudicarlo. «Magari potremmo rallentare un po’ e imparare a conoscerci l’un l’altro». Dopo aver trattenuto il respiro, Gregori buttò fuori l’aria lentamente. «Sei sicura?». Al cenno d’assenso di Savannah, la lasciò andare. «Che intendevi quando hai detto che Roberto non era da solo?». Lei cambiò argomento di proposito, per tentare di allentare un po’ la tensione che si era creata tra loro. «Viaggiava in gruppo. Una banda di vampiri ha trasformato l’Europa in un’area di caccia. È stato difficile per tuo padre cercare di nascondere l’evidenza e proteggere il nostro popolo. Da un po’ di tempo questi assassini si aggirano per il nostro paese e uccidono la nostra gente». «In quanti sono a far parte di questa banda?» «Altri quattro». Savannah si portò una mano alla gola. Sembrava così giovane e indifesa che Gregori avrebbe voluto metterla al sicuro tra le sue braccia. Si comportava in un modo che a lui risultava incomprensibile, ma avrebbe comunque fatto qualsiasi cosa per lei. «Sono venuti fin qui a causa mia? Roberto ha detto di avermi trovato per primo. Pensavo che intendesse dire che mi aveva trovato prima di te. Sono stata io a portarli qui?». Gregori avrebbe voluto mentirle – non le aveva forse già procurato abbastanza sofferenze? – ma non poteva costringersi a
farlo, quindi rimase in silenzio. Savannah scosse la testa, triste. «Capisco». Era ancora debole e le girava la testa per il sangue che aveva perso a seguito del vorace pasto di Gregori. «Dove sono i miei vestiti? Non ho la forza di prendermeli da sola». Lui inarcò un sopracciglio. «Dove credi di andare?» «Devo prepararmi per il funerale di Peter. Tutti probabilmente mi cercheranno e i miei assistenti saranno sconvolti dalla sua morte e preoccupati per me. Una volta che avrò risolto questa faccenda, vorrei unirmi a te e dare la caccia ai rinnegati». «E credi che ti permetterò di esporti a un simile pericolo?». Lo sguardo di Savannah si incupì. «Non puoi darmi ordini, Gregori… dovremmo chiarire questo punto». Gregori si alzò dal letto e si stiracchiò come un felino. Savannah si ritrovò a fissarlo. Senza emettere un suono, lui scivolò con un guizzo dei muscoli dentro un’elegante camicia di seta. Si mise a sbriciolare delle erbe profumate in alcune piccole ciotole piene d’acqua, poi accese una candela in ognuno dei contenitori. Immediatamente, la stanza si riempì di un odore piacevole e rilassante, che si fece strada persino dentro di lei, dentro il suo corpo, scorrendole nelle vene. Gregori prese una spazzola dal comodino, poi girò intorno al letto e tornò al suo fianco. «Naturalmente ti darò degli ordini, Savannah. Ma, per favore, non preoccuparti. Sono abbastanza bravo a farlo, te lo assicuro». Savannah era sconvolta. Gregori, il tenebroso, la stava pettinando? Lui le si sedette dietro, attento a non farle male, e si mise a scioglierle i nodi dei capelli. Era una bella sensazione quella della spazzola che le massaggiava la testa e poi scendeva per tutta la lunghezza della sua chioma, mentre le mani di lui indugiavano in lunghe carezze: aveva un non so che di magico. «Molto divertente. Io non sono nata nel quattordicesimo secolo o in qualsiasi altra epoca idiota e arretrata sia nato tu. Sono una donna moderna, che ti piaccia o no. Sei stato tu a scegliere di legarti a me. Non importa quanto tu sia bravo a dare ordini, non va bene comunque». Nel tocco delle mani di Gregori, nel suono vellutato
della sua voce, nel suo tono provocatorio, che era lo stesso di quello di Savannah, c’era qualcosa di stregonesco, di seduttivo. Lui le sfiorò la nuca e lei si sentì precipitare in un vortice di eccitazione. «Io appartengo al mondo degli antichi, bambina». Savannah sentì il suo respiro caldo vicino all’orecchio. «Non posso fare altro che proteggere la mia donna». «Falla finita», gli suggerì lei dolcemente. «Andremmo molto più d’accordo». «Andremmo molto d’accordo, piccola mia, anche se tu non ti rifiutassi di obbedirmi». La sua voce, di un tono più basso, era pura tentazione. L’aria nella stanza era densa per via dell’aroma delle erbe e le ottenebrava i sensi: nel frattempo le sue parole continuavano a ipnotizzarla. Savannah si girò e lo guardò da sopra una spalla nuda, fissandolo con quegli occhi violetti. In quelli argentei di Gregori passò un lampo di divertimento. «Controllati, Gregori. Stai perdendo la testa. Non credi che avrei bisogno dei vestiti?». Cercò di fare la dura. Non sarebbe stato un bene abbassare la guardia e permettergli di sedurla. Tuttavia era molto assonnata, e per di più quel profumo di erbe e la sensazione delle mani di lui fra i capelli le facevano girare la testa. «Non dovrebbe essere difficile farli comparire», le ricordò Gregori, piegando la testa con fare rassicurante per leccarle un graffio particolarmente brutto sul fondoschiena. La sua saliva guaritrice avrebbe fatto effetto più velocemente se mescolata alla terra del loro paese, ma in quel momento era tutto ciò di cui disponeva. Savannah sobbalzò, sentendo la ruvida lingua di lui che si muoveva sensuale sul suo fianco. L’intenso profumo delle erbe le ottenebrò i sensi, inducendole un languido assopimento. Gregori le scostò i capelli per lasciarle la schiena scoperta. Chinò lentamente la testa su di lei, e la lunga chioma nera le accarezzò la pelle sensibile. Savannah protestò e provò ad allontanarsi da lui ma, sdraiandosi a pancia in giù, si intrappolò le mani sotto lo pancia. «Stai ferma, Savannah. Devo farlo». Le poggiò le labbra sul fianco, sul livido più brutto. La paura la attanagliò e le creò un vortice nel cervello. Gregori la
faceva sentire completamente vulnerabile, impotente. Stava per accadere di nuovo, stava per possederla alla sua maniera brutale. Le vennero le lacrime agli occhi e le salì un groppo in gola. Per Gregori i timori di Savannah erano insopportabili. Non avrebbe dovuto importargli. Sapeva che non le avrebbe fatto del male – anzi al contrario, l’avrebbe guarita – eppure le sue paure lo consumavano, lo sconvolgevano. Proprio lui, che pensava di non avere più nemmeno un briciolo di delicatezza, la sfiorò con incredibile tenerezza. «Se ti riporterò il tuo lupo, Savannah, accetterai le sue cure?», le propose, gentile. Le braccia gli si ricoprirono di una folta e lucente peluria scura e le sue ossa scricchiolarono e si allungarono per adattarsi al nuovo sembiante. La pelle di Savannah era diventata tanto sensibile che persino lo strofinio di quella peluria le provocava dolore. Nonostante il terrore, avvertì che Gregori era ferito: gli dispiaceva che lei preferisse l’animale all’uomo. «No, Gregori, per favore non trasformarti in lupo. Lasciami guarire in maniera naturale», lo supplicò, incapace di sopportare l’idea di farlo soffrire. Savannah chiuse gli occhi e lui riprese sembianze umane. Gregori trovò con la lingua il punto della schiena in cui la pressione delle sue dita le aveva provocato dei lividi e ne seguì i contorni violacei. «Tu non sei una mortale, piccola mia. È questo il modo naturale di guarire per la nostra gente». Le parole di lei lo avevano rincuorato, e ne era rimasto sorpreso. Le mani del carpaziano le percorsero tutto il corpo, alla ricerca di ogni graffio, di ogni livido. Le passò la lingua umida e calda sul petto, sul punto vita, sui fianchi e sul sedere, come se la stesse accarezzando. Savannah sussultò quando le infilò una mano tra le gambe, costringendola a mostrargli il profondo e lungo graffio che aveva sulla coscia. La sua bocca si fece strada dalla schiena all’interno coscia. Le leccò, ruvido e vellutato al tempo stesso, la ferita sanguinante, un contatto intimo ed erotico. Savannah riusciva a stento a respirare. Il modo in cui la toccava era quasi una droga, si impossessava del suo corpo, le surriscaldava il sangue, alleviava ogni suo dolore. Per Gregori era semplicissimo controllarla sia fisicamente che mentalmente, come se Savannah non
potesse esistere senza di lui. Lei lo desiderava tanto quanto lo detestava. Persino l’atmosfera della stanza, densa dell’aroma insidioso delle erbe medicinali, sembrava giocare a suo vantaggio, facendola assopire. Gregori la fece girare sulla schiena con estrema delicatezza e il respiro gli si spezzò in gola. Non si era reso ancora conto di quanto fosse bello il corpo femminile. Il corpo che gli apparteneva. Orgoglio e senso di possesso gli brillarono nello sguardo quando i suoi occhi chiari scivolarono sulla pelle nuda fino a posarsi sul suo volto delicato. Le lacrime, intrappolate nelle sue lunghe ciglia, scintillavano come gemme. Lui mormorò qualcosa che Savannah non afferrò, le passò le dita sulle palpebre e le lacrime gli caddero sul palmo della mano. Chiuse il pugno, vi soffiò dentro e lo riaprì. Al posto delle lacrime c’erano tre stupendi diamanti. Sebbene fosse anche lei padrona della magia, Savannah rimase meravigliata dalla prodezza di Gregori e gli chiuse le dita intorno al polso. Quel contatto, l’insieme di infantile timore reverenziale per i suoi incantesimi e paura delle sensazioni che avrebbe scatenato il modo intimo in cui la stava toccando, fece venire a Gregori un tuffo al cuore. Ogni carpaziano degno di questo nome avrebbe potuto trasformare le lacrime in diamanti, ma le pietre preziose che Gregori aveva in mano erano vere, reali. Si era servito della forza enorme e del tremendo potere che lo contraddistinguevano per fare l’impossibile, per materializzare un’illusione, e tutto questo per lei. Gregori la guardò negli occhi, le prese la mano e vi fece cadere i diamanti, una pioggia di pietre preziose. Poi, con molta delicatezza, le chiuse le dita sul dono che le aveva appena fatto. I loro sguardi rimasero incatenati e lui le passò la lingua sulle nocche lacere. Una, due, tre volte. A Savannah sembrò che frecce infuocate le scorressero nelle vene. Si irrigidì, accaldata nonostante la fresca brezza della sera. Quando lui si chinò a baciarle un piccolo graffio all’angolo della bocca, le sfuggì un gemito. Il cuore, impazzito, smise di batterle. Avrebbe voluto mettersi a correre, ma si sentiva appesantita, e in più l’odore delle erbe le aveva annebbiato i sensi. Una litania, pronunciata dalla
voce di Gregori, bassa e melliflua, nella loro lingua secolare, risuonò debole in un remoto angolo della mente. Savannah abbassò le palpebre. Fuoco e ghiaccio. Dolore e piacere. Lui le passò la lingua, ruvida e vellutata allo stesso tempo, sulla bocca secca e screpolata, facendo svanire il dolore. Di fronte al tormento della virile bellezza di lui, della tenerezza impressa nei suoi lineamenti, Savannah chiuse gli occhi. La lingua di Gregori indugiò sulle sue labbra, poi si fece strada dentro la sua bocca. Era una sensazione così piacevole. Continuò a baciarle il collo e la nuca, prendendosi cura di ogni graffio e di ogni ferita. Il punto della spalla in cui l’aveva marcata con i denti per immobilizzarla richiese particolare attenzione: la accarezzò con la lingua a lungo, in maniera lenta e indolente, per rimuovere il dolore e sostituirlo con fremente eccitazione. Gregori sentiva il proprio corpo reagire a ogni centimetro della setosa pelle di Savannah, al suo gusto, alla sua vista, al suo odore, ma aveva comunque intenzione di dedicarsi esclusivamente a lei. Non doveva rischiare di farle del male; era invece determinato a rimpiazzare ogni livido, graffio o cattivo ricordo con una piacevole sensazione.
Va bene così, Gregori. Savannah lo contattò telepaticamente e lo
trovò eccitato, famelico. Le loro sensazioni erano le stesse, la paura non le ottenebrava la mente. Il suo respiro divenne corto e ansimante, a metà tra il piacere e il terrore. «Ogni livido, tesoro mio, anche il più piccolo». Gregori lo fece apposta: mormorò quelle parole e le soffiò il proprio alito caldo contro la rotondità del suo seno. Si prese tutto il tempo necessario, godendo di ogni istante, seguendo il profilo delle sue morbide curve, mordicchiandole delicatamente i capezzoli, alleviando la sofferenza che le procuravano quei brutti segni che aveva su una pelle altrimenti immacolata. Ogni carezza era un indugio, una provocazione, la turbava e al tempo stesso la guariva. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei, non avrebbe mai dimenticato quelle sensazioni e la perfezione di quel corpo. Non avrebbe mai dimenticato il fatto che Savannah non l’aveva condannato, che aveva cercato di proteggerlo dal terribile crimine che aveva
commesso contro di lei. Sembrava impossibile che si potesse preoccupare per lui, che qualcuno, tanto meno Savannah, dopo quello che le aveva fatto patire, si prendesse la briga di fare quello che aveva fatto lei. Seguirlo fino all’inferno e poi trascinarlo fuori da lì. A quel pensiero gli sfuggì un lamento: pativa intimamente, soffriva in silenzio per aver commesso un’azione tanto terribile contro la sua donna, la sola donna abbastanza coraggiosa da andargli dietro e strappare la sua anima alle tenebre, restituendogli la luce. Savannah infilò le dita nel folto della sua chioma, tessendo una sorta di magia tutta loro. Smettila di tormentarti, Gregori. Sapevi di
correre un grosso rischio, eppure mi hai permesso di essere libera. Quei cinque anni di libertà sono stati molto preziosi per me. Ti ringrazio per avermeli concessi.
Gregori chiuse gli occhi. Quella donna lo sconvolgeva, portava calore alla sua freddezza, alla sua gelida esistenza, con la bellezza che la contraddistingueva. Savannah era tutto ciò che lui non era. Compassione, perdono, luce e bontà d’animo, adesso sposa di un demone che non aveva la minima idea di cosa la rendesse così splendida. Quello che sentiva crescere dentro di sé era amore per lei, un’emozione potente e pericolosa. Tu adesso hai paura di me. Era tormentato da quel pensiero. Savannah si spostò appena, per consentirgli di avere accesso a ogni angolo del proprio corpo. Quando lui le sfiorò delicatamente i seni con la lingua, le vennero i brividi, si sentì sempre più eccitata e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Io ti ho sempre temuto, Gregori. Ho sempre avuto paura del potere che hai su di me, del fatto che rappresenti la perdita della mia libertà. Ho paura della tua potenza e dell’effetto che mi fai. Se anche non fosse successo ciò che invece si è verificato, ti avrei temuto lo stesso. La bocca di Gregori scivolò più in basso, sulla stretta gabbia toracica e sul ventre. Indugiò su quattro lunghi graffi che le attraversavano la pancia: provava dolore fisico, ma gli piaceva così tanto quello che stava facendo che non gli importava. Adesso però
hai paura di unirti a me. Savannah sentì il respiro venirle meno e rimase immobile sotto di lui, tuttavia la litania proseguiva e l’intenso profumo delle erbe unito al modo delicato in cui lui la toccava ebbero la meglio. Finì per rilassarsi. Non vorrei infliggere un duro colpo al tuo ego – gli uomini
sono così sensibili su quest’argomento – ma il sesso è decisamente sopravvalutato. Potremmo anche farne a meno.
Gregori provò un pizzico di divertimento. Sapeva di averla fatta eccitare, di aver suscitato in lei ondate di desiderio. Riusciva persino a sentire il suo odore: lo chiamava, era pronta. Ma Savannah non sarebbe caduta nella sua trappola. Gregori era troppo grande per lei, troppo rude. La sua bocca continuò a muoversi sul ventre di lei, fino a raggiungere il soffice triangolo dell’inguine. Savannah sobbalzò, afferrandolo per i capelli. «No, Gregori, dicevo sul serio». La sua voce era roca e le piccole mani tutte un fremito: il modo in cui lo toccava gli fece stringere il cuore. Le accarezzò teneramente le cosce, lambendole con la lingua l’attaccatura dell’anca. Conosco un solo modo per guarirti. Giunse fino al fulcro della sua eccitazione con incredibile dolcezza. Savannah urlò e contrasse i muscoli, dimenandosi nel tentativo di sfuggire al vortice delle fiamme che Gregori aveva scatenato. Si irrigidì. Fu sconvolta da un tremito. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. La passione cresceva, l’eccitazione stava per giungere al suo culmine. Gregori! La sua fu una supplica disperata… di desiderio, paura, confusione. Il contatto telepatico tra di loro era così forte che il carpaziano non ebbe alcuna difficoltà a venire a conoscenza delle emozioni contrastanti di cui Savannah era preda, nonché della sua ardente voglia di lui. Continuò imperterrito a recitare la solita litania rilassante e cercò di stare attento a mantenere il controllo sul proprio corpo e i propri appassionati e selvaggi pensieri. Per il suo bene, fece fondere le loro menti, creando godimento in assenza di paura, una cura per indennizzarla del modo brutale in cui le aveva sottratto la verginità. In qualche modo Savannah sapeva che lui era dentro di lei, che stava pilotando le sue emozioni, allontanando il timore e portando
all’acme il piacere, procurandole una sensazione talmente intensa da farle credere di essere sul punto di morire. La toccava con estrema delicatezza, allentando la tensione dei muscoli, finché il godimento non divenne quasi insopportabile.
Andiamo, piccola. Sono qui per te. La sua voce era un
incantesimo, l’avrebbe indotta a essere accondiscendente. Savannah desiderava obbedirgli, abbandonarsi a lui. Voleva che Gregori spegnesse le fiamme che le bruciavano dentro. Le sfuggì un debole lamento, un piccolo gemito, e il carpaziano ne fu straziato. L’orgasmo di Savannah fu intensissimo, la sconvolse: ebbe la sensazione che il suo corpo andasse in pezzi e si dissolvesse, che la terra si stesse muovendo e che i colori esplodessero intorno a lei, attraverso lei, dentro di lei. Gregori la abbracciò, mentre raggiungeva l’apice del piacere: una serie di piccoli fremiti continuò a scuoterla. La strinse a sé e la protesse tra le proprie braccia, sentendo il disperato bisogno di averla vicina. Era madido di sudore, teso e rigido per via della propria eccitazione. Se la loro vita sessuale fosse stata intensa quanto il desiderio che in quel momento attanagliava Gregori, per lui e Savannah all’orizzonte ci sarebbero stati momenti difficili e allo stesso tempo meravigliosi. Savannah riusciva a percepire la voglia che lo stava dilaniando nel profondo. «Mi dispiace, Gregori», disse piano e in tono colpevole, un esile filo di voce e il viso sepolto nella sua camicia di seta. Lui si portò alcune ciocche dei suoi capelli d’ebano alla bocca, inalandone il profumo. «Non hai motivo di dispiacerti, piccola mia». Savannah appoggiò sul suo petto la mano stretta a pugno, tenendo stretti i diamanti. «Credi che non sia in grado di leggere i segnali del tuo corpo? Che non riesca a sentire il peso che grava sulla tua mente quando cerchi di proteggermi? Io non posso modificare la mia natura, e neanche tu. So che ti sto tarpando le ali, che ti sto procurando un malessere». Un lento sorriso gli curvò gli angoli della bocca. “Malessere”. Ecco, quella era la parola giusta per indicare la sua sensazione. Le poggiò una mano sui capelli, facendoseli scorrere tra
le dita. «Non ti ho mai chiesto di cambiare, nemmeno vorrei che tu lo facessi. Sembra tu abbia dimenticato che ti conosco più di chiunque altro. So come prenderti». Savannah si voltò e lui vide delle pagliuzze illuminarle lo sguardo, un cauto avvertimento. «Sei così arrogante, Gregori, che mi verrebbe voglia di lanciarti addosso qualcosa. Ma ascolti quello che dici? Sai come prendermi? Be’, io stavo cercando di dirti che sono dispiaciuta per te e tu fai il gradasso. Il fatto che sia nato diversi secoli fa, quando le donne non erano altro che suppellettili, non ti fornisce un alibi». «Le donne carpaziane non sono mai state considerate suppellettili», la corresse lui in tono sommesso. «La nostra è una razza in via d’estinzione. I nostri bambini difficilmente sopravvivono, e ci sono così poche donne da reclamare quali compagne per la vita, che la maggior parte degli uomini si perde nelle tenebre dopo secoli di solitudine. Le nostre donne sono il tesoro più prezioso che possediamo, vengono salvaguardate e protette». «Gregori». Savannah continuava a tenere chiuso il pugno che custodiva le lacrime trasformate in diamanti, come se fossero un simbolo. «Cerchiamo un punto d’incontro che ci permetta di vivere insieme serenamente». Il suo corpo era ancora scosso dai fremiti e le bastava guardarlo per continuare a sentirsi eccitata. Provò il curioso desiderio di toccargli le sopracciglia scure con la punta delle dita. Lui affondò il viso nei capelli profumati di lei e le accarezzò la schiena, giù fino all’esile vita e alla curva dei fianchi. «Che intendi per punto d’incontro?», le mormorò in tono quasi assente: era concentrato su ben altri pensieri, più stimolanti. La punta di divertimento nella sua voce la irritò, facendole credere che la stesse prendendo in giro. Savannah gli diede una spinta, puntando i pugni chiusi contro il suo petto, per mettere qualche centimetro di distanza tra loro. Gregori non si mosse e lei rimase intrappolata tra le sue braccia. Lo spinse di nuovo via. «Lascia stare». Gregori piegò il capo per posare le labbra sul vulnerabile collo di lei, per sentirne le pulsazioni a contatto con la sua bocca calda e umida. Il sangue cominciò a scorrergli più velocemente nelle vene.
Le tempie iniziarono a pulsargli. «Io ascolto ogni tua parola, piccola mia», bisbigliò, perso nel suo dolce profumo. La desiderava con ogni fibra del suo essere, con ogni cellula del suo corpo. «Posso ripetere testualmente quello che hai detto, se vuoi». Presto sarebbe divampato il fuoco e nessuno dei due avrebbe più avuto scelta. Il sangue di Gregori le avrebbe inviato un richiamo che Savannah non sarebbe riuscita a ignorare. La mente di lui sarebbe scivolata senza alcuna difficoltà dentro e fuori quella di lei, sarebbero stati legati da un vincolo psichico talmente forte che si sarebbero sentiti vicini anche a grande distanza l’uno dall’altra. Lei avrebbe avuto bisogno di questo legame tanto quanto lui. Gregori trasse un profondo respiro, inalando il femminile e seducente profumo di Savannah. La sua presenza risvegliava emozioni così profonde, dopo un’esistenza tanto vuota, che lui ne era terrorizzato. Era abituato a vivere una vita priva di sentimenti. Savannah avrebbe potuto condurlo verso il bene, ma il suo potenziale di compiere il male era enorme. Era al di sopra della legge. Persino della legge del suo popolo, quella stessa legge che difendeva, ma che a lui non veniva applicata. Gregori riusciva senza troppe difficoltà a leggerle nel pensiero. Savannah aveva un’indole diretta, aperta. Si sentiva attratta da lui ed era pronta a proteggerlo da se stesso, se si fosse rivelato necessario. Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di fare di nuovo l’amore. Faceva molto male sapere che era stato lui a ferirla, a far convergere in sé tutte le sue paure. «Non mi stai ascoltando», si lamentò Savannah, mentre cercava di divincolarsi dalla sua stretta. «Stai cercando di sedurmi», fece, indignata. Gregori sollevò il capo e i suoi occhi chiari vagarono sul bellissimo viso di lei. «Sì, è vero. Funziona?». Le sue parole – pronunciate a voce bassa e provocatorie come una carezza – la lasciarono disarmata, diversamente da quanto sarebbe accaduto se avesse negato. Le mise una mano sulla gola, accarezzandole con dolcezza la nuca con il pollice e facendole scorrere il fuoco sotto la pelle. Savannah stava sorridendo della sua battuta, nonostante si fosse sforzata di non farlo. «No, non funziona affatto», mentì. Non
riusciva neanche a guardarlo senza desiderarlo. Quelle carezze le avevano fatto aumentare il ritmo del battito cardiaco. La sua pelle era seta calda, che non chiedeva altro che essere toccata ed esplorata. Provava emozioni contrastanti: la più forte di tutte era la paura, ma il desiderio la seguiva a ruota. Gregori si concentrò su quello, alimentando il fuoco della passione che bruciava dentro di lei. Le sfiorò l’angolo della bocca con le labbra, emettendo un vellutato mormorio e, per tutta risposta, sentì il cuore di Savannah battere più velocemente. «Ne sei sicura? Nel corso dei secoli ho imparato molto. Fare l’amore è un’arte». Le sue parole adesso erano pura stregoneria, uno spudorato tentativo di sedurla. Gregori stava facendo qualcosa di magico alla sua bocca. Esercitò una certa pressione, tenera e possessiva allo stesso tempo e lei si sentì mancare. Savannah infilò le dita tra i suoi capelli corvini. Si sentì sfiorare le guance dalle sue lunghe ciglia; nei suoi occhi danzò una risata. «Un’arte? È così che la chiami? Credo che potresti scegliere un termine migliore». Gregori sollevò il capo, un riflesso argenteo negli occhi chiari. «E tu che ne sai? La tua prima volta è stata una farsa, un abominio. Quello non ero io, Savannah, era la bestia che cova dentro di me. Non abbiamo fatto l’amore. Non puoi considerarla un’esperienza in quel senso». Dalla sua voce trapelava profondo dolore, anche se il suo sguardo era sensuale, famelico, intenso e così eccitato da farle scorrere il fuoco nelle vene. Savannah sollevò il mento: detestava il dolore e il senso di colpa che Gregori provava. Cambiò argomento, in modo che la mente di lui potesse concentrarsi su altro. «Tu non sai molto di me. C’è stato un uomo una volta. Era pazzo di me». Si atteggiò a donna di mondo. «Completamente pazzo di me». Lui scoppiò a ridere e lei sentì il suo fiato caldo sulla gola. Le sfiorò con le labbra il punto del collo in cui si sentivano le pulsazioni, poi le mormorò all’orecchio: «Per caso, ti riferisci a quello stupido ragazzino con i capelli arancioni e un collare con gli spuntoni? Dragon qualcosa?». Savannah ansimò e lo spinse indietro per guardarlo negli occhi. «E
tu come fai a saperlo? Sono uscita con lui l’anno scorso». Gregori le strofinò la guancia sul collo, respirando il suo profumo e accarezzandole dolcemente una spalla per poi farle scivolare la mano sul petto. «Indossava gli stivali e guidava una Harley». Il suo respiro si fece più corto quando le strinse il seno e le stuzzicò il capezzolo con le dita. Savannah, a contatto con quella grande mano – così forte, calda e possessiva – si sentì pervadere da un fremito d’eccitazione. Fu sconvolta da una scarica di intenso desiderio. Gregori, con la sua tenerezza, la stava seducendo. Lei non voleva che accadesse. Provava sollievo fisico ma i dolori erano lì a ricordarle dove sarebbero potuti arrivare. La paura era una creatura viva e pericolosa che non riusciva a cacciar via. Lo prese per un polso. «Come hai fatto a sapere di Dragon?», gli chiese, nel disperato tentativo di distrarsi e di distrarlo. Come faceva a farla bruciare di passione in quel modo anche se lei lo temeva e non voleva fare sesso con lui? «Fare l’amore», la corresse, con la sua voce roca e carezzevole, tradendo la semplicità con cui la sua mente si muoveva come un’ombra in quella di lei. «Comunque, per rispondere alla tua domanda, io vivo dentro di te e posso toccarti in qualsiasi momento lo desideri. So tutto dei tuoi pretendenti. Di ogni tuo maledetto pretendente». Le sue ultime parole furono quasi un ruggito e Savannah sentì il respiro morirle in gola. «È stato l’unico che hai pensato di baciare». La sua bocca si posò su quella di lei. Delicata. Leggera. Poi un’altra volta. Persuasiva, insistente, finché lei non si decise a schiudere le labbra. Gregori le rubò il fiato, il senno, trascinandola in un mondo fatto solo di sensazioni. Colori brillanti e calore bianco: la stanza intorno a loro si dissolse e rimasero solo le sue spalle larghe, le sue braccia forti, il suo corpo teso e quella bocca perfetta. Quando Gregori sollevò la testa, Savannah fu sul punto di riattirarlo a sé. Lui osservò il suo viso, gli occhi annebbiati dal desiderio, le labbra bellissime e vedove delle sue. «Hai la benché minima idea di quanto sei bella, Savannah? La tua anima è così incantevole che riesco a vederla brillare nel tuo sguardo».
Lei gli sfiorò il viso, seguendo con le dita il profilo della mascella volitiva. Perché non riusciva a resistere agli occhi famelici di Gregori? «Credo che tu mi stia facendo un incantesimo. Non mi ricordo più di cosa stavamo parlando». Gregori sorrise. «Di baci». Le diede un piccolo morso sul mento. «Nello specifico, del fatto che tu volevi baciare quell’imbecille con la barba arancione». «Veramente io avrei voluto baciare tutti i miei pretendenti», mentì lei, indignata. «No, non è vero. Tu speravi che quello stupido bellimbusto cancellasse il gusto della mia bocca dalla tua per sempre». Le scostò i capelli dal viso, poi tempestò di piccoli baci il profilo delicato del suo volto. «Sai bene che non avrebbe funzionato. Se non ricordo male, lui sembrava avere qualche problema ad avvicinarsi a te». Negli occhi di Savannah brillò un lampo minaccioso. «Non è che per caso hai qualcosa a che fare con le sue allergie?». Era vero, lei voleva che qualcuno, chiunque, cancellasse il gusto di Gregori dalla sua bocca, dalla sua anima. La voce di lui si alzò di un’ottava. «Oh, Savannah, voglio solo sentire il sapore delle tue labbra», lo scimmiottò. Poi cominciò a far finta di starnutire. «Non sei mai andato in moto se non ti è mai capitato di montare su una Harley, piccola». Si mise a starnutire, a tossire, a simulare conati di vomito: l’imitazione era perfetta. Savannah gli diede un pugno sul braccio, dimenticando per un attimo che la mano le faceva male. Sentì una fitta di dolore, imprecò e gli lanciò un’occhiata accusatoria. «Eri tu a farlo stare male! Poveretto, hai minato la sua autostima in maniera definitiva. Ogni volta che mi toccava, gli veniva da starnutire». Gregori inarcò un sopracciglio, con l’aria di chi non è affatto pentito. «Tecnicamente non è mai riuscito a metterti le mani addosso, per mettersi a starnutire gli bastava avvicinarsi a te». Lei appoggiò la testa sul cuscino, e i suoi capelli scuri ricaddero sul braccio di Gregori e sul suo, legandoli l’uno all’altra. Lui le diede un bacio sul collo, poi le sue labbra andarono più giù e trovarono il punto del suo petto in cui il desiderio si era annidato. Savannah,
decisa, gli prese la testa fra le mani e se la allontanò dal seno, prima che il proprio corpo la tradisse e soccombesse definitivamente ai suoi incantesimi. «E che mi dici del cane?». Gregori cercò di sembrarle innocente, ma la sua risata le risuonò nella mente. «Quale cane?» «Sai benissimo a cosa mi riferisco», insisté lei. «Sto parlando di quando Dragon mi ha accompagnata a casa». «Ah, sì, adesso mi sembra di ricordare. Quel grande lupo cattivo pieno di catene e spuntoni si è spaventato per un piccolo cagnolino». «Piccolo? Un rottweiler di più di cinquanta chili? Che sbavava, abbaiava e minacciava di aggredirlo!». «Si è messo a correre come un coniglio». Nella dolce e carezzevole voce di Gregori trapelò una punta di soddisfazione. Mettere in fuga quel somaro gli aveva procurato un discreto piacere. Come aveva osato allungare le mani su Savannah? «Non mi meraviglio di non essere riuscita a persuadere quella bestia a lasciarci in pace. Maledetta canaglia che non sei altro!». «Dopo che Dragon ti ha lasciato a casa, l’ho inseguito per altri due isolati, poi lui si è arrampicato su un albero. L’ho costretto a rimanere appollaiato lassù per ore, giusto per essere chiari. Con quella cresta arancione, sembrava una specie di gallo». Savannah scoppiò a ridere, suo malgrado. «Non è mai più tornato alla carica». «Ovvio. Era impossibile», fece lui in tono compiaciuto e soddisfatto. Il calore del suo respiro le faceva scorrere il fuoco nelle vene. Cominciò a sfiorarle, a leccarle e a stuzzicarle il capezzolo e continuò a indugiare sul suo seno, facendola eccitare sempre di più, scatenando dentro di lei un incendio di passione. Savannah aveva voglia di lui, una voglia così intensa da farla tremare. Lo desiderava, pur essendo sicura che le avrebbe fatto del male: com’era possibile?
Nessun dolore, piccola mia, solo piacere. La sua lingua la fece precipitare nel vuoto. Te lo giuro sulla mia vita. La bocca di Gregori,
calda come il velluto, si chiuse sul suo seno. Il fuoco cominciò a danzarle sulla pelle, prese possesso del suo corpo, le sciolse le
viscere: Savannah divenne calore liquido e provò un’ondata di intenso desiderio di lui, solo di lui.
Capitolo 5 Le paure di Savannah stavano per essere accantonate dall’appassionata tenerezza della bocca di Gregori, dalla delicatezza delle sue carezze. Lui, senza pensarci su, scostò le lenzuola, lasciando i seni nudi di lei scoperti ed esposti al suo sguardo voglioso. Eccitato. Gregori era eccitatissimo. Savannah non riusciva a sopportare la sensazione delle lenzuola leggere a contatto con i suoi fianchi, ingarbugliate tra le sue gambe. Infilò le mani tra i folti capelli di Gregori, intrecciandoseli fra le dita come fili di seta. Il carpaziano aveva la camicia sbottonata che lasciava intravedere il ventre piatto e i pettorali, schiacciati contro il morbido seno di lei. La peluria ruvida e scura che ricopriva il suo petto le solleticava i capezzoli. Un’ondata di calore preannunciò lo scatenarsi di una tempesta di fuoco, che minacciava di avvolgere entrambi. Le mani di Savannah, di propria iniziativa, cercarono di sfilargli la camicia dalle ampie spalle. Sgranò gli occhi osservandolo mentre si dimenava per togliersela: i loro sguardi rimasero incatenati l’uno all’altro. Savannah rischiò di annegare in quegli occhi chiari, ipnotici. Intensi e colmi di desiderio per una sola donna. Per lei. Solo per lei. Spaventata da ciò che stava per fare, Savannah, timida e cauta, sfiorò i suoi pensieri. Vi individuò un desiderio così profondo, selvaggio e insistente che ne venne immediatamente risucchiata. Come poteva rifiutarsi di soddisfare un bisogno tanto feroce? Sebbene Gregori sapesse di essere un tipo poco tenero, sebbene conoscesse il suo istinto primordiale e disinibito, si sforzava di essere gentile con lei, di assicurarsi che provasse piacere. Ogni suo pensiero era rivolto alla sua donna, ad accontentarla, a idolatrare il suo corpo. «Lo so che sei spaventata, amore mio», le sussurrò, facendole scivolare le mani sul petto, fino ai seni. «Ma non sono più una bestia. Sei stata tu a mettere il demone al guinzaglio. Adesso ci sono soltanto io. Un uomo che vorrebbe con tutto se stesso fare l’amore con la propria compagna per la vita». Savannah sentì il suo respiro caldo sulla pelle. «Lascia che ti mostri come dovrebbe essere.
Bellissimo. Incredibilmente piacevole. Posso farti godere tanto, piccola mia». La bocca di Gregori si schiuse sul suo seno, calda e umida. Il suono della sua voce era ipnotico, seducente. Savannah avrebbe potuto rimanerne prigioniera per sempre. Gregori non pensava affatto alle proprie esigenze, al suo corpo che bruciava di passione: desiderava soltanto mostrarle quanto potesse essere bello fare davvero l’amore. Quella situazione così erotica, la bocca di lui sul suo seno, le fecero scorrere fiamme nelle vene e le infuocarono le membra. Savannah gemette piano e quel lamento toccò Gregori nel profondo, come se le ali di una farfalla gli avessero sfiorato l’anima. Lei gli accarezzò la schiena, seguendo il profilo di ogni muscolo, cercando di memorizzare ogni centimetro della sua pelle. Aveva le lacrime agli occhi. Come era possibile che un uomo fosse così sensuale, così perfetto? Gregori le stava rubando la volontà, così come le aveva sottratto il dominio del proprio corpo. «Desiderami, Savannah», bisbigliò. «Desiderami come ti desidero io». La lingua di Gregori, ruvida su di lei, seguì la piega sotto il suo seno e il segno di ogni costola, mentre lui le accarezzava i fianchi e le cosce. Le sue dita raggiunsero il loro obiettivo, il fulcro umido e caldo della sua femminilità, pronto e desideroso che i loro corpi si fondessero l’uno nell’altro. Savannah inarcò la schiena, in cerca di sollievo. «Mi sento come se stessi bruciando, Gregori!», ansimò, sconvolta dall’intensità con cui lo voleva. Aveva “bisogno” di lui. «Sono io che sto bruciando, che sto andando a fuoco». Le dita di Gregori si spinsero più in profondità, per assicurarsi che Savannah fosse pronta ad accoglierlo, e godette nel sentirla provare piacere. Le mani di lei sulla sua pelle nuda lo stavano facendo impazzire, ma era soprattutto la fiducia che Savannah stava riponendo in lui a sconvolgerlo. Gregori non riusciva a capire come una donna di cui aveva così brutalmente abusato potesse affidarsi a lui di nuovo. Si sentiva quasi umiliato dal suo perdono. Savannah non solo era in grado di amare un mostro come lui, ma con la sua comprensione e la sua compassione, era anche decisa a fare della relazione alla quale erano
stati condannati una vera storia d’amore. Gregori ebbe la sensazione che i vestiti che portava addosso fossero una stretta e dolorosa prigione per il suo corpo, quindi se li tolse con la semplice forza del pensiero. Savannah ansimò quando sentì la pressione aggressiva del suo membro duro contro la propria coscia. Finché lui era rimasto vestito, aveva creduto di essere al sicuro. Credeva che avrebbe avuto il tempo di decidere cosa fare, invece era stato il corpo a scegliere al posto suo. E Gregori aveva già cominciato a perdersi nelle sue umide profondità, nei suoi anfratti più remoti e segreti. Savannah si irrigidì all’improvviso. Gli prese il volto fra le mani, esercitando una pressione tale che Gregori dovette interrompere le sue deliziose occupazioni e sollevare la testa. I suoi occhi divennero argento fuso non appena si posarono sul viso di lei. Savannah trasse un profondo respiro. «E se non ci riuscissi, Gregori?». Sembrava sul punto di mettersi a piangere. «E se dovessi non riuscirci mai?» «Nessuno ti costringe a fare nulla, piccola mia», replicò lui, gentile, dandole un bacio sulla pancia. «Stiamo solo vagliando alcune possibilità». «Ma, Gregori», provò a protestare lei, cercando di fargli sollevare il capo, in modo che potesse leggerle sul volto la paura di lui, della loro relazione. «Se non riuscirò a persuaderti a cambiare idea, amore mio, non sarei un vero compagno per la vita, o no?». Quelle parole vennero smorzate nei folti e setosi riccioli del piccolo e affascinante triangolo che lei aveva tra le gambe. «Non capisco, Gregori». Savannah chiuse gli occhi e fu sopraffatta da una serie di ondate di passione. «Sono io a non essere una vera compagna per la vita. Non so come compiacerti, e questa cosa mi spaventa». «Rilassati, bambina». Gregori fece un profondo respiro, inalando il suo profumo. «Tu mi soddisfi più di quanto immagini». Le mordicchiò la coscia, esplorando con la lingua pieghe e cavità, seguendo la scia di fuoco che avevano lasciato le sue dita. Un susseguirsi di sensazioni, tumultuose, turbolente, selvagge,
indomite, la fece urlare. Non si trovava più sulla terra: era salita vertiginosamente al cielo, facendo una piroetta, libera e fuori controllo. Gregori si mosse sopra di lei, teso ed eccitato: aveva una forza incredibile, eppure le prese la testa tra le mani con estrema delicatezza. La gentile pressione delle sue ginocchia la spinse ad aprire le gambe per consentirgli di entrare in lei. Savannah, ancora scossa dai fremiti dell’orgasmo, a stento si accorse che lui la stava bloccando sotto di sé, rendendola di nuovo vulnerabile e pronta ad accoglierlo. Approfittando del minimo vantaggio che aveva conquistato, Gregori si fece strada dentro di lei. Savannah era bagnata, calda, stretta e morbida come il velluto. Non appena la penetrò, la sentì ansimare e si fermò per dare al suo corpo la possibilità di adattarsi a lui. Savannah stava trattenendo il respiro, in attesa del dolore terribile e lancinante che aveva sperimentato in precedenza. Le sue unghie gli sprofondarono nella schiena ed emise un sommesso gemito di protesta soffocato dal petto di lui. Eppure non sentì altro che scariche di fuoco, una tempesta di piacere talmente intenso che temette di esserne consumata. «Rilassati, Savannah. Fallo per me. Sei fatta per me, creata per me. E io sono fatto per te». La riempì di piccoli baci sulla tempia e sul collo, continuando a muovere i fianchi a un ritmo lento e delicato. Savannah si accorse che Gregori aveva la schiena imperlata di sudore, segno evidente dello sforzo che stava compiendo per trattenersi. Ogni suo tocco, ogni suo movimento era tenero e gentile. Gregori si muoveva dentro di lei con estrema cautela, stupito da quanto fosse perfetta, stretta e ardente di passione. Le passò il pollice sulle labbra e sul piccolo livido all’angolo della bocca. Savannah avvertì subito una piacevole sensazione di calore, come se vi avesse steso sopra un balsamo lenitivo. Il cuore prese a martellarle nel petto. Gregori stava facendo qualcosa al suo corpo, non se ne stava semplicemente servendo. Non era solo una questione fisica, c’era una forte componente mentale.
Nonostante le sue paure, nonostante il ricordo delle sofferenze che aveva patito a causa della sua recente aggressione, Savannah si lasciò catturare dal fuoco e dalla tenerezza. A poco a poco si rilassò e accettò la presenza di Gregori dentro di sé. Lui sprofondò in lei con un movimento sicuro, che la fece trasalire. Savannah gli affondò le unghie nel braccio, aggrappandosi a lui mentre veniva risucchiata in un vortice di piacere. Lui le parlò all’orecchio, un po’ in francese un po’ nell’idioma degli antichi. Lei non conosceva bene nessuna delle due lingue e quindi non capì quello che le stava dicendo, tuttavia quelle parole la eccitarono e la consolarono. Le sembrò di essere molto importante per lui. Non il suo corpo. Lei… Savannah. «Come hai potuto dubitare che fosse così, cara?», le bisbigliò, mentre la sua bocca si chiudeva sul seno di lei, baciandolo al ritmo lento del movimento dei fianchi. Il corpo di Savannah, di sua spontanea iniziativa, cominciò ad andare a tempo. Si stavano muovendo in perfetta sincronia, come se non avessero mai fatto altro, e i loro cuori iniziarono a battere allo stesso ritmo. Le mani di Gregori che le scivolarono sulla pelle, le parole di incoraggiamento che lui le mormorava, rendevano quell’unione ancora più bella. Gregori era incredibilmente delicato: la iniziò al sesso come se fosse la prima volta anche per lui, con amore e tenerezza. Savannah voleva mettersi a urlare. Il modo in cui stavano facendo l’amore era davvero incredibile, le sembrava di essere la donna più preziosa, più bella e più coccolata del pianeta. Si tenne stretta a lui, aggrappandosi all’unica realtà di cui era certa: gli spasmi erano sempre più frequenti, il cuore le batteva all’impazzata, finché a un certo punto non sentì il bisogno di gridare per avere sollievo. Solo a quel punto Gregori si concesse il lusso di andare ancora più a fondo, sprofondando completamente dentro di lei. Fece in modo che entrambi rimanessero al culmine dell’eccitazione, cavalcando l’onda della passione fin quando le urla acute e il caldo velluto in cui era immerso non lo fecero precipitare negli abissi del piacere. E trascinò Savannah con sé nel precipizio. La voce di lei era attutita dal petto di Gregori, schiacciato contro la sua bocca. Stava cadendo, era tutta
un’esplosione di luci e colori intorno a lei, ma Gregori era lì accanto, la teneva stretta tra le braccia e lei era certa di essere al sicuro. Mentre giacevano ancora incatenati l’uno all’altra, Savannah si scoprì incapace di comprendere come Gregori avesse potuto farla sentire in quel modo. Lui continuò ad accarezzarle i capelli e a darle piccoli baci sulla tempia. Gregori sapeva che non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lei. Con aria assente, Savannah si stava arrotolando alcune ciocche dei suoi capelli intorno alle dita e bastò questo gesto a eccitarlo di nuovo. Poi qualcosa invase il loro spazio di pace e serenità. Subito il carpaziano, sentendo l’odore del pericolo, alzò la testa. Immediatamente dopo, anche i lupi si allertarono. Gli inviarono un richiamo, i loro ululati erano acuti e allarmati. Gregori chinò il capo e diede a Savannah un breve ma appassionato bacio sulla bocca. Lei aveva l’aria assonnata, sexy, davvero adorabile. In quello stesso momento, Savannah si sentì chiamare da una voce sommessa e lontana, ma insistente, che le sussurrò: Mia cara, sono qui vicino. Dove sei? Era sua madre? Savannah cercò di mettersi a sedere, provando un fremito di gioia. Non vedeva sua madre da cinque anni. Ora, che ne aveva assoluta necessità, che aveva bisogno della sua guida e del suo conforto, lei si era fatta inaspettatamente viva.
Non rispondere. Era un ordine imperioso e Gregori pretendeva
che lei gli obbedisse. Si stava già allontanando da lei, il suo volto era una maschera implacabile, i suoi occhi schegge d’acciaio. Savannah stava già cercando di stabilire un contatto telepatico con sua madre. Ma, all’improvviso, prima ancora che potesse inviare effettivamente il messaggio, il corpo assunse il controllo della situazione e la mente non poté opporsi. Il terrore si impadronì di lei, senza che riuscisse a capirne il motivo. Lanciò un’occhiata disperata a Gregori e, non appena vide l’espressione granitica dipinta sul suo volto, capì che era successo qualcosa. Gli lanciò uno sguardo eloquente, supplichevole, impaurito dall’aspetto del carpaziano, impassibile e freddo. C’era un
che di irremovibile in quell’uomo, un nocciolo duro e implacabile. Impietoso. Come aveva fatto a sembrarle dolce e tenero? Era crudele come un vampiro. «Non puoi inviare un messaggio a tua madre. Non era Raven. Ti stanno dando la caccia, Savannah», sussurrò Gregori, e la sua bellissima voce parve non avere alcuna inflessione. «Puoi parlare solo con me, attraverso il nostro canale di comunicazione esclusivo. Voglio che tu mi prometta che farai come ti ho detto». Savannah era furiosa. Ferita. Più ferita che furiosa. A farla arrabbiare era soprattutto il fatto di avergli permesso di ferirla. Non
hai alcun diritto di farmi questo. Ritira subito i tuoi ordini, Gregori! Riconosco la voce di mia madre quando la sento.
Lui si alzò in piedi e si stiracchiò, i muscoli guizzarono indolenti. Savannah avrebbe voluto distogliere lo sguardo. «Non era tua madre. Tu mi appartieni, Savannah, ed è mio dovere proteggerti, in qualsiasi modo mi sembri opportuno. Questi vampiri amici di Roberto sono alla ricerca di qualcosa, e credo che non siano i soli. Penso che abbiano coinvolto anche dei sicari umani. Aidan Savage è qui in città, ed è un ottimo cacciatore, ma ho l’impressione che i rinnegati vogliano te». Gregori si rivestì con movimenti fluidi ed efficienti, eleganti ma al tempo stesso distratti. «Non è mia abitudine dare spiegazioni. Ho fatto un’eccezione in questo caso. Adesso vedi un po’ che cosa intendi fare».
Io rifiuto il fatto che tu mi abbia rivendicato, rispose lei nell’unico modo in cui lui le permetteva di comunicare. Riferirò il mio rifiuto alla nostra gente e la supplicherò di provare per te la pietà che tu evidentemente non hai. Non sarò legata a te! Gregori si chinò su di lei, una figura scura e maestosa che trasudava potere. Nei suoi occhi argentei apparve un lampo, mentre le parlava. «Ascoltami, Savannah. Anche se non credi a niente di quello che ti dico, abbi fiducia almeno in questo. Tu appartieni a me. Sei mia. Nessuno potrà cercare di portarti via da me e sperare di sopravvivere. Nessuno». La sua voce era bassa, bellissima, e per questo ancora più inquietante. Gli occhi viola di Savannah vennero catturati da quelli chiarissimi di Gregori. Lei gli credette. Nemmeno suo padre, il principe dei
carpaziani, aveva la minima possibilità di distruggerlo. Rifuggì quel pensiero. Distruggere Gregori? Non voleva che accadesse. Desiderava soltanto non appartenergli. Lasciami, Gregori, gli chiese. Quella paralisi la stava facendo impazzire. Le sembrava di non riuscire a respirare. Si sentiva strozzata, soffocata. «Dimmi che mi obbedirai». A quel punto si era completamente rivestito, elegante come sempre. Non era più concentrato solo su di lei, la sua mente era tesa a cogliere le vibrazioni dell’aria, a individuare ogni nota degli ululati dei lupi. Savannah sapeva che stava gridando – gridando a squarciagola – ma non venne fuori alcun suono. Il corpo non rispondeva più ai suoi ordini. La sua mente urlava di sdegno, ma Gregori controllava la sua capacità di lanciare richiami d’aiuto.
Smetti di combattermi. La voce del carpaziano era come un basso
grugnito nella sua mente.
Lasciami. Il cuore le batteva così forte che Savannah temeva le
esplodesse. Non era possibile che le cose stessero andando in quel modo. Qualche istante prima, Gregori giaceva accanto a lei, la abbracciava protettivo, faceva l’amore con lei. O almeno questo era ciò che lei aveva pensato. In fondo che cosa ne sapeva del sesso? Gregori era in grado di far provare a chiunque qualsiasi sensazione. Non aveva bisogno di sentire qualcosa per lei, bastava che glielo facesse credere. Come aveva potuto possederla in maniera tanto tenera e poi trasformarsi in un mostro senza cuore e distruggere la sua volontà, controllarla come se lei non fosse altro che una marionetta? Che genere di persona avrebbe potuto fare una cosa del genere? Savannah, adesso la devi smettere di fare resistenza. Siamo in pericolo. Devi obbedirmi se vuoi riavere il controllo del tuo corpo.
Conosco mia madre. La verità è che tu non vuoi che ci sia qualcun altro nella mia vita: per questo non mi permetti di risponderle, lo
accusò lei.
E sia. Lo hai voluto tu. Il tono rimase imperturbabile come
sempre. Niente sembrava farlo alterare. Neanche l’ostilità della sua donna, lo stato confusionale in cui versava o la sua disillusione.
Il corpo di Savannah si mise a sedere di scatto, poi lei si ritrovò in piedi, impotente, accanto al letto, nuda, completamente vulnerabile e incapace di parlare o di muoversi. Se provava a opporsi al controllo che Gregori esercitava su di lei, le facevano malissimo le tempie. Non avrebbe piegato il suo libero arbitrio alla volontà di quell’uomo, quanto meno non di sua iniziativa. Gregori avrebbe anche potuto avere il suo corpo, ma avrebbe dovuto lottare con lei fino allo stremo delle forze per possedere anche la sua mente. Una risata provocatoria le risuonò in testa. Puoi combattermi
quanto vuoi, bambina, ma ti stai solo facendo del male. Finirai per obbedirmi, Savannah. D’un tratto fu presa dalla disperazione. Aveva ragione. Lei era inerme di fronte alla sua forza e alla sua potenza. Lo odiava per averla resa consapevole di quella verità, per averla costretta a rendersi conto che avrebbe anche potuto provare a resistergli, a mantenere un briciolo di orgoglio e dignità, ma sarebbe sempre bastato un suo pensiero per spogliarla di qualsiasi velleità. Si sentì la testa trafitta da schegge di vetro. Più si impuntava, più forte era il dolore. Si trovò all’improvviso vestita con una maglietta e un paio di jeans. Ai piedi delle scarpe di morbida pelle. Gregori, rapido ed efficiente, le fece una treccia. Savannah detestava la semplicità e la sicurezza con cui il carpaziano compiva ogni gesto. Hai un’ultima possibilità, Savannah. Intendi obbedirmi? Le si avvicinò: i suoi lineamenti erano duri eppure sensuali, il suo volto era una maschera indecifrabile. Aveva gli occhi chiari e freddi come il ghiaccio. Ogni sua parola era stata ponderata e chiaramente non gli importava nulla della scelta di Savannah. In lui non c’era traccia di elasticità, di gentilezza o di rimorso. Savannah rabbrividì. Era legata a un uomo spietato per il resto dell’eternità. Ci doveva pur essere un modo per annullare gli effetti del rituale. Persino la morte sarebbe stata meglio di una perenne schiavitù. Rinunciò al proprio orgoglio: era incapace di sostenere l’opprimente peso del proprio corpo e della propria mente, nonché di permettere a Gregori di assumerne il pieno controllo. Obbedirò. Non lo guardò nemmeno, non avrebbe
potuto. Con estrema lentezza, lui smise di controllarla, osservandola attentamente e continuando a mantenere il contatto telepatico. Savannah rimase in piedi davanti a lui, tremante per la rabbia repressa. Tremante per l’umiliazione subita e i sogni infranti. Sollevò il pugno chiuso finché non fu all’altezza del petto di lui, poi lo aprì. Teneva ancora stretti i tre diamanti a goccia. Girò il palmo della mano verso il basso e fece cadere a terra le pietre. Non rivolse nemmeno un’occhiata all’espressione di lui o ai diamanti sparsi sul pavimento, segno che considerava finita la loro relazione. Guardando dritto davanti a sé, Savannah si limitò ad aspettare le istruzioni di Gregori. «Sei in grado di mutare aspetto?». La sua voce era bassa, calma e tranquilla. Lei lo detestò. «Sai bene che la risposta è no». «Hai bisogno di sangue. Dovrai sempre tenere la mente schermata. Se senti l’impellente bisogno di inviare un messaggio, cerca il contatto telepatico con me. Ti porterò via di qui: andremo in un posto meno accessibile e facile da difendere. Non fare l’errore di cercare di disobbedire a quest’ordine, Savannah. La tua vita è in pericolo e non sono disposto a tollerare alcun rifiuto». Se sperava in una risposta, poteva anche aspettare per l’eternità. Si trattava di un ordine, il despota aveva esercitato la sua autorità. Non era necessario rispondergli e lei non lo degnò di una parola. Gregori la prese per i polsi e la tirò a sé. Il suo corpo era solido come il tronco di un albero, completamente immobile. In lui non c’era la benché minima traccia di dolcezza o gentilezza. La sensibilità che aveva dimostrato poco prima era stata solo un trucco, come il giochetto che aveva fatto con i diamanti? Savannah avrebbe voluto mettersi a piangere per la vergogna, ma non voleva dargli soddisfazione mostrando segni di debolezza. Gregori spiccò il volo, portandosi dietro Savannah, il cui peso gli sembrò di poco superiore a quello di una piuma. Uscirono dalla stanza da letto e salirono al piano superiore della villa. I lupi, obbedienti ai suoi ordini, si erano sparpagliati per la tenuta.
Avrebbero potuto andare a caccia da soli, varcare le recinzioni della villa se necessario. Salvare la vita di Savannah era la sua unica preoccupazione, la sua unica ragione di vita. Una volta che la sua donna fosse stata al sicuro, avrebbe mandato un messaggio ad Aidan Savage per chiedergli di prendersi cura degli animali. Il nemico era più forte e più organizzato di quanto si aspettasse e Savannah era l’obiettivo. I vampiri avevano un piano, uno schema cui avevano chiaramente lavorato prima ancora che lei arrivasse in città. Gregori avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggerla. Qualsiasi. Savannah si abbandonò docile al suo abbraccio, schermandogli però la mente. Naturalmente non servì a nulla. Gregori era in grado di attivare e disattivare il contatto telepatico tra loro a proprio piacimento sin da quando lei era piccola. Aveva sempre saputo che Savannah non l’avrebbe mai amato davvero, che non avrebbe mai accettato il suo dominio. D’altronde, come sarebbe stato possibile se neanche lo conosceva? Non si era aspettato però di provare una simile sofferenza, come se avesse avuto la lama di un coltello conficcata nel cuore, una lama che penetrava sempre più a fondo, fino a raggiungere la sua anima. La notte volgeva al termine. Due ore, forse, e poi sarebbe sorto il sole. I vampiri avrebbero avuto bisogno di un rifugio e, se fossero stati così arroganti da credere di poterlo trovare nella sua dimora, avrebbero avuto una brutta sorpresa. Gregori emise un ringhio silenzioso e continuò a volare tenendo Savannah stretta a sé. Il carpaziano cercò di arginare il dolore per il rifiuto di Savannah. Le serviva solo un po’ di tempo per conoscerlo. E avevano l’eternità davanti. Credeva di essere condannata a ricoprire il ruolo di compagna per la vita di un demone. In effetti aveva ragione. Savannah era debole perché si rifiutava di bere sangue: pensava, sbagliando, che privandosene sarebbe riuscita a esporsi alla luce del sole. La sua salute per lui era di vitale importanza. Gregori inviò un richiamo. Subito, due uomini e una donna, che si trovavano in una casetta lungo il fiume, uscirono per andargli incontro, attraversando un boschetto di pini e querce. Atterrò, ma spinse Savannah incontro al trio. «Nutriti», le disse dolcemente, aspettandosi un rifiuto.
«Sono la tua marionetta, vero, Gregori?», gli chiese lei sottovoce. «È così che funzionerà la nostra relazione? Perché hai avuto bisogno di rivendicarmi come compagna per la vita quando potevi piegare alla tua volontà qualsiasi donna umana senza che si ribellasse?». Il disprezzo nella sua voce gli provocò un immenso dolore. Quella sensazione era per lui del tutto nuova. «Non ho tempo né voglia di discutere con te, Savannah. Nutriti». La fece mettere in piedi. «Credi che lo farò soltanto se mi costringi?». Savannah tirò su il mento, un chiaro segno di sfida. «Non ho bisogno del tuo aiuto». Senza voltarsi a guardarlo si diresse verso il più alto dei due uomini. Gregori fece un passo indietro, diffidando di quella reazione. Nei suoi occhi argentei passò un lampo. Quella ragazza stava scherzando con il fuoco. Savannah procedette, con le labbra curve in un sensuale sorriso. I suoi grandi occhi erano cupi, tendenti al violetto, misteriosi e sexy. Rivolse uno sguardo all’altro uomo. Ammaliante. Allettante. L’umano sorrise, concentrandosi su Savannah mentre le si faceva incontro. Lei gli tese le braccia: aveva tutti i vestiti addosso, eppure era sensuale come se fosse nuda. Gregori, preoccupato, emise un basso e gutturale ruggito. All’improvviso ringhiò, mostrando i denti bianchissimi. Rapido, si piazzò tra la sua compagna per la vita e la preda. Fu un comportamento dettato dall’istinto, non dalla ragione. Quell’uomo non avrebbe dovuto toccare Savannah, nemmeno per fornirle nutrimento. Lei alzò lo sguardo, ipnotico e minaccioso, e lo fissò. «Non era questo che volevi?». La sua voce, così bassa, era come una musica per le orecchie di lui. «Non volevi che usassi la voce e il corpo per attirare a me la vittima e nutrirmi?» «Non cominciare una discussione dalla quale non hai alcuna speranza di uscire vincente, Savannah», la minacciò cupo Gregori. Poi attirò a sé quell’uomo e piegò il capo sul suo collo. Savannah non smise di guardarlo nemmeno per un attimo mentre Gregori si nutriva a sazietà. Quando lui sollevò la testa, la preda cadde a terra
e rimase distesa tra di loro. «Adesso vieni qui», le ordinò in tono sommesso. Savannah sentì inaspettatamente un tuffo al cuore e le farfalle nello stomaco. Non avrebbe mai dovuto provocarlo. Perché era stata tanto stupida? Gregori nemmeno si preoccupava di sembrare una persona civile. Farlo ingelosire non era stata un’idea intelligente. Gli tese una mano, come per placarlo. «Gregori». «Vieni qui, Savannah». La sua voce era melliflua. Impossibile ignorarla. Riluttante, Savannah girò intorno all’uomo disteso per terra, superando l’ostacolo che li separava. Gregori la prese per un braccio e la attirò a sé. Piegò la testa scura e le mormorò all’orecchio, facendole svolazzare qualche ciuffo di capelli: «Prenderai ciò di cui hai bisogno dal tuo compagno per la vita». L’ordine venne appena sussurrato, ma l’ingannevole dolcezza della voce lo rese solo più coercitivo. Savannah cercò di allontanarsi da lui, spaventata dalla sua potenza. Gregori strinse la presa. Lei riusciva a sentire la sagoma, rigida ed eccitata, del corpo di lui contro il suo. «Farai quello che ti ho detto». Le accarezzò dolcemente la vena sul collo, devastandole i sensi. Come sempre quando lui la toccava, a lei sembrava di sciogliersi, di diventare liquida. Non le piaceva che quel contatto la facesse sempre sentire accaldata ed eccitata. La bocca di Savannah era schiacciata contro il petto di Gregori, ma lui si abbassò quel tanto che bastava perché lei riuscisse a poggiargli la guancia sulla spalla, vicino al collo. Sapeva di legno e spezie. Aveva la pelle bollente, e la vena pulsava proprio sotto la sua bocca, invitante. Gregori la accarezzò di nuovo, insistente e provocatorio. Savannah gemette e il suo respiro si trasformò in un rantolo. «Perché mi costringi a far questo, Gregori?» «Ne hai bisogno e io devo provvedere a soddisfare le tue necessità». Le mise una mano sulla nuca e le tenne la testa ferma contro il suo collo. Savannah non riuscì a trattenersi, non poté resistere e gli diede dei piccoli colpetti con la lingua, una, due volte, come fossero carezze.
Forse dipendeva dal modo in cui il corpo di Gregori era pigiato contro il suo: protettivo, rassicurante e al tempo stesso aggressivo ed esigente. Quella combinazione risultava inebriante, pura tentazione. Come poteva resistergli? Gregori era così potente. Savannah sospirò e chiuse gli occhi, poi gli affondò i denti nel collo. Il carpaziano fu travolto da un’ondata di piacere, di dolore, da una scarica erotica che lo scosse da capo a piedi e Savannah se ne accorse. Gregori premette il proprio corpo contro quello di lei, desideroso e appassionato: a separarli c’erano solo gli abiti. Savannah si sciolse in una pozza di calore: l’essenza della vita di lui fluì dentro di lei, la saturò, la rafforzò, esattamente come avrebbe dovuto fare. Gregori la abbracciò e prese a digrignare i denti. La sensazione della bocca di lei che si muoveva sul suo collo, nutrendosi, era così intensa ed erotica che a stento riuscì a trattenersi. Avrebbe voluto farla distendere a terra, lì dove si trovavano, e prendere ciò che gli spettava di diritto. La desiderava così tanto che gli sembrava di andare a fuoco. Tenerla stretta a sé era nello stesso tempo l’inferno e il paradiso, il culmine del piacere e del dolore. Maledetta, Savannah non avrebbe mai più toccato un altro uomo finché entrambi fossero stati in vita. Mai più. Gregori piegò la testa e le sfiorò i capelli con le labbra, assaporando la piacevole sensazione che quel contatto gli procurava. Savannah era così minuta e delicata, morbida e soffice. Come seta calda. Il carpaziano chiuse gli occhi e immaginò che lei lo amasse. Che lei riuscisse ad amarlo. Un mostro. Gregori. Il tenebroso. Savannah percepì l’eco dei suoi pensieri, le parole che tutti i bambini carpaziani dicevano in tono minaccioso ai loro amichetti. Chi era colui che sarebbe venuto nella notte e li avrebbe trasformati in sassi? Gregori, il tenebroso. L’unico che avesse il potere di guarire… e distruggere. Colse in Gregori un profondo dolore, la consapevolezza che quell’accusa crudele era vera. Non vi era amarezza in lui, solo rassegnazione. Savannah si sentì un macigno sul cuore, pesante e opprimente. Con grande attenzione, chiuse i minuscoli buchetti che gli aveva fatto sul collo e poggiò la testa contro il petto di lui. Riuscì a sentire
il battito del suo cuore, ritmico e costante. Affidabile. Misterioso. Sexy. Spaventoso. Ecco com’era Gregori. La mano con cui lui le stava accarezzando la testa si chiuse a pugno per un istante, imprigionando alcune ciocche di capelli; poi, d’un tratto, la lasciò andare. Senza guardarla, Gregori attirò a sé l’altro umano, chinò il capo e si nutrì con voracità. Quando si fu saziato permise all’uomo di sedersi tra l’erba alta. Fece sì che anche la donna si sedesse insieme ai due. Savannah, perplessa, fece un passo indietro. Gregori si accovacciò per verificare che gli umani stessero tutti e tre bene. Li guardò negli occhi e con tocco gentile li fece distendere per terra, in modo che recuperassero le forze. «Stanno bene», fece, senza rendersi conto della nota di raucedine della sua voce. Si tirò su, poi, lentamente, girò la testa per guardare Savannah, con quei suoi occhi argentei e luccicanti. «Non toccherai mai un altro uomo. A qualsiasi specie appartenga». Scandì quelle parole una per una, in tono sommesso. «Non credi che la tua reazione sia un po’ eccessiva, Gregori?», azzardò lei. Lui le si avvicinò, incombendo su di lei e avvolgendola con il calore che emanava. «Potrei non essere in grado di trattenermi e far loro del male», ammise, come al solito in maniera molto pacata. «Credevo che il fatto di essere stata rivendicata annullasse qualsiasi minaccia». «Evidentemente ce ne sono di nuove. Finché non sarò in grado di capire e controllare ciò che mi succede, tutto ciò che sperimento a causa tua, è meglio se non ti opponi al mio volere». Gli occhi blu di Savannah si incupirono, diventando quasi viola, e gli lanciarono uno sguardo intenso. «Il tuo volere? Non dovrei oppormi al tuo volere? Non è esattamente come se potessi esercitare il mio libero arbitrio, Gregori. Devi sempre dirmi cosa pensare e cosa provare. Sono qui solo per soddisfarti». A quel punto Savannah fece un inchino. Gregori produsse un roco ruggito. La afferrò e la strinse a sé. «Come vorrei che fosse vero. Credo che tu sia stata creata solo per farmi impazzire».
«Mi posso attrezzare», fece lei, a bassa voce. «Ci sono delle cose importanti di cui devo occuparmi, Gregori». «Tipo?». Fissò il suo viso rivolto all’insù e nei suoi occhi chiari passò un lampo. «Peter. Devo occuparmi di lui. Rappresento la sua famiglia. Non ha nessun altro oltre me. E se è morto è per colpa mia. Stava cercando di proteggermi». Savannah represse il bisogno di scoppiare in lacrime, di urlare, di far sprofondare Gregori nelle viscere della terra. Lui rimase in silenzio per un momento. «La polizia vorrà parlare con te. La notizia probabilmente è già sui giornali. Sei pronta ad affrontare tutte le conseguenze di questa situazione?». Savannah sollevò il mento. «Amavo Peter come un fratello. Glielo devo». Si passò le mani tra i capelli, agitata. «Devo farlo. Devo. Per favore, Gregori. Stammi accanto. So di non poter averla vinta con te. Ho bisogno del tuo sostegno». Gregori imprecò e ripeté le parolacce in quattro lingue. Era necessario rinchiudere Savannah in un posto sicuro, lontano dallo Stato della California, e possibilmente dagli Stati Uniti. La faccenda Peter Sanders sarebbe stata al centro di un circo mediatico. La polizia forse stava già setacciando la città in cerca di lei. Dannazione! Senza nemmeno risponderle, Gregori le passò un braccio intorno alla vita e la tirò su. Spiccò il volo, e i suoi ragionamenti, che di solito erano logici e pacati, divennero una giungla di emozioni sconosciute, un ginepraio di indecisioni. Aveva sempre pieno dominio di sé. Dal momento che era così potente non aveva scelta. Ma Savannah lo stava trasformando. No, non poteva permetterlo. Non voleva. Non gli importava se lei si sarebbe messa a urlare. Se quegli occhi enormi e bellissimi gli fossero apparsi tristi e tormentati. Se gli angoli della bocca si fossero curvati in un’espressione triste. Quella donna non l’avrebbe distolto dai suoi piani. Doveva mettere al primo posto sicurezza e senso di responsabilità. La sicurezza era la cosa più importante, non lo sguardo sconfortato di Savannah o la sua bocca morbida e carnosa. O la sua incredibile sofferenza. Gregori la portò con sé nel cielo notturno, mentre titubanze e
pensieri vulcanici gli si affastellavano nel cervello, al punto tale che gli sembrò di impazzire. Sapeva ciò che doveva fare. Che cosa gli stava succedendo? Perché prendeva in considerazione una tale follia? Sarebbe stato troppo pericoloso, avventato. Se i vampiri che davano la caccia a Savannah avessero perseverato nei loro piani, non c’era niente di meglio che attirarli in una trappola, facendo in modo che lei si presentasse al funerale di Peter. Savannah si stava concentrando sulle cime degli alberi sotto di loro. Non individuò da nessuna parte tracce di centri abitati. Si sentiva vuota e aveva freddo. Gli aggettivi che erano stati attribuiti a Gregori corrispondevano tutti alla sua natura. Insensibile. Duro. Freddo. Privo di emozioni. La sua vita sarebbe stata un inferno senza fine. Lui non sarebbe mai riuscito ad amarla. In realtà, nemmeno la desiderava. Voleva solo qualcuno da controllare. Qualcuno con cui fare sesso. Deglutì un grumo di bile che le era salito alla gola. E la vittima prescelta era lei. Ogni volta che lui la toccava o la fissava con quei suoi occhi argentei e ipnotici, il corpo di Savannah diventava una furia. Oh, Peter. Non era riuscita a metterlo in salvo, anzi aveva condotto un vampiro, la feccia del suo popolo, dritto a lui. E adesso, se Gregori non le avesse dato il proprio consenso, non avrebbe potuto neanche organizzargli un funerale decente. Savannah avrebbe voluto provare rabbia – odio, persino – ma tutto quello che sentiva era un senso di vuoto. Avrebbe dovuto capirlo anni prima, quando aveva trovato quel carpaziano nella sua stanza da letto, che il suo destino era di perdersi per sempre.
Capitolo 6 Savannah di fatto non vide mai l’esterno del loro rifugio. Un attimo prima volavano in alto nel cielo, un attimo dopo piombavano a terra. Le venne il voltastomaco, chiuse gli occhi e, quando li riaprì, Gregori stava procedendo a grandi falcate all’interno di una casa di pietra. Le pareti erano spesse e fredde, lisce al tatto come se fossero state levigate. Il soffitto era alto e fatto dello stesso materiale dei muri e del pavimento. Gregori aveva scavato quella tana dentro la montagna, un miracolo di ingegneria. Savannah riuscì a individuare tre stanze, ma era sicura che ce ne fosse un’altra sotterranea, una botola nascosta nella quale sarebbero potuti scendere in caso di estremo pericolo. Nel momento stesso in cui Gregori la mise in piedi sul pavimento di pietra, lei si allontanò da lui, una rapida ritirata, tipicamente femminile. Si rifiutò di guardarlo, tenendo la testa bassa, in modo da non rischiare di incontrare i suoi occhi. Si mise a camminare per quello strano appartamento. Il mobilio era gradevole, persino un po’ ricercato. «Quindi questa sarà la mia prigione?», osservò in tono piatto. Gregori non rispose. Dal suo volto non trapelava nulla, sebbene le rughe di espressione agli angoli della bocca e degli occhi sembrassero appena un po’ più profonde del solito. I suoi occhi argentei e chiarissimi riflettevano l’immagine di ciò che lo circondava, non i suoi più intimi pensieri. Si portò una mano dietro la nuca, per massaggiarsi i muscoli indolenziti del collo. Poi abbandonò il salotto, con passi felpati e silenziosi. Planava. Come una pantera. Nonostante fosse decisa a non farlo, Savannah si ritrovò a lanciargli qualche occhiata furtiva. C’era qualcosa di ipnotico nel modo in cui Gregori si muoveva. I muscoli erano tutti un guizzo, potenti e sensuali. Il cuore di Savannah perse un colpo quando lei lo vide massaggiarsi la nuca. Gregori si sedette sul bordo del letto, certo che la sua compagna non gli stesse prestando la minima attenzione. Savannah cercava di stargli il più alla larga possibile. Ma per quanto fossero distanti l’uno
dall’altra, Gregori era come un’ombra nella sua mente. Riusciva a carpire tutto ciò che lei pensava di lui. E non si trattava di complimenti, ma d’altronde non poteva certo rimproverarla per questo. Si nascose il volto tra le mani. Savannah lo aveva definito un mostro, e non si sbagliava. Lo temeva. Avrebbe per sempre odiato la propria sorte, avrebbe pregato per l’eternità che il fato fosse più benevolo con lei. E chissà, magari sarebbe stata esaudita. Dopotutto, lui aveva manipolato il suo futuro sin da quando era stata concepita. Savannah era la luce che illuminava la sua tenebra, la compassione che alleviava la sua crudeltà. Non sarebbe mai riuscita ad amare una bestia brutale come lui. Si era impossessato di qualcosa che non gli apparteneva, aveva interferito con il corso della natura e si era impadronito di lei. Quando lo vide accasciato sul bordo del letto, il ritratto della più profonda disperazione, a Savannah si strinse il cuore. Gregori. Rappresentava la fiducia in se stessi per antonomasia. La totale autorità. Un robot privo di emozioni che non avrebbe dovuto preoccuparsi di averle rovinato la vita per sempre. Quello che Savannah pensava o provava non avrebbe dovuto importargli. Lo aveva definito un mostro senza cuore. Un selvaggio. Ogni epiteto che le era venuto in testa aveva cominciato a danzarle per la mente per poi essere scagliato dritto verso l’obiettivo. L’aveva fatto apposta, in modo tale che il carpaziano potesse leggerle nel pensiero quelle accuse e non venisse invece a sapere che, anche se disprezzava i suoi modi, lei aveva un disperato bisogno del contatto fisico con lui. Eppure, l’aria con cui se ne stava lì seduto la straziava. Gregori, che era sempre stato da solo. Savannah indietreggiò finché le sue spalle non poggiarono sulla fredda parete di pietra, continuando a guardarlo, pensierosa. Le stava concedendo un po’ di privacy, se così si poteva definirla, ritirandosi dalla sua mente. Savannah si mordicchiò il labbro, provò una lieve fitta di dolore e trasalì al ricordo che quella sensazione aveva riportato a galla. Si accorse di essersi abituata alla discreta presenza di lui dentro di sé. In un primo tempo, le si era presentato sotto le spoglie del lupo, poi, dopo, nel periodo terribile in cui la solitudine le sembrava davvero insopportabile, il contatto con Gregori aveva alleviato la sua
sofferenza. Strano, non ci aveva mai fatto caso, non aveva mai riflettuto sul perché lui la facesse sentire meglio. Gregori le aveva offerto la possibilità di esplorare la sua mente. Savannah sapeva che lui sarebbe stato in grado di proteggersi, di nascondere le sue emozioni e i suoi ricordi, in modo tale che lei potesse avere accesso solo alla parte che il carpaziano desiderava condividere. Non era certa che fossero tanti i suoi simili in grado di far ciò con le rispettive compagne per la vita, comunque Gregori era uno di loro. Gregori poteva fare qualsiasi cosa. In ogni caso, lei era Savannah Dubrinsky. La figlia di Mikhail e Raven. Il loro sangue scorreva nelle sue vene, così come quello di Gregori. Anche lei aveva dei poteri, no? Fino a quel momento era stata una ragazzina che scappava da se stessa, dalla relazione con un uomo troppo potente. Ma se la sua vita era intrecciata a quella di Gregori, avrebbe fatto meglio a crescere alla svelta e a scoprire che cosa era in grado di fare. Mikhail e Raven le avevano insegnato ad avere fiducia in se stessa. Savannah inspirò a fondo e permise alla propria mente di fondersi con quella del carpaziano. Il suo tocco fu leggero come una piuma, delicato, solo un’ombra dentro di lui. Nonostante Gregori fosse immerso nei propri pensieri, Savannah sapeva che avrebbe avvertito la sua presenza. Rimase tranquilla e cercò di limitarsi ad assorbire i suoi pensieri, come una spugna. Gregori credeva di essere un demone. Pensava che la sua anima fosse nera, che per lui non ci fosse alcuna possibilità di redenzione. Era assolutamente convinto di averla manipolata ed escludeva a priori l’ipotesi che tra loro fosse scattata la chimica giusta. Era stato a un passo dal trasformarsi in un vampiro e aveva esagerato, ci avrebbe scommesso sopra l’anima. Aveva creato un contatto telepatico con la bambina che Raven portava in grembo, le aveva dato il suo sangue, le aveva persino parlato. Savannah aveva ricordi confusi di una luce che la illuminava in un momento di estrema sofferenza, in cui avrebbe voluto abbandonare il ventre di sua madre. Gregori glielo aveva impedito. Savannah vide tutto ciò con grande chiarezza. Tutta la vita di Gregori. Il momento in cui aveva trovato suo padre e sua madre con
un paletto conficcato nel cuore e le teste mozzate. I terribili anni trascorsi ad ammazzare vampiri in giro per l’Europa. Le tante donne e i tanti bambini uccisi con i paletti. Poi il periodo in cui era andato a caccia. E le guerre. E tutti i suoi amici che si erano trasformati. Gregori era stato costretto a farli fuori per evitare che facessero del male tanto agli umani quanto agli altri carpaziani. Secoli dopo secoli. Senza fine. Così tanto sangue sulle sue mani. Così tanti morti. Ogni vittima aveva portato via con sé una parte di lui, finché a un certo punto non gli era stato più possibile affrontare gli altri membri della sua razza e aveva dovuto smettere di frequentarli. Era condannato a un eterno isolamento. Solo. Sempre solo. Savannah quasi si commosse fino alle lacrime al pensiero di quell’esistenza squallida e vuota. Chi avrebbe potuto vivere anno dopo anno in una tale desolazione e mantenere intatto il proprio spirito? Era impossibile. La sapienza era stata la sua unica amica. Gregori era sempre stato un ribelle. Nessuna autorità avrebbe potuto far presa solo di lui, era leale solo verso Mikhail. Aveva un proprio rigido codice d’onore, che seguiva alla lettera. L’onore era la sua stessa vita. Eppure era dovuto scendere a compromessi per far sua Savannah. Lei aveva deciso di accedere alla sua mente per assicurarsi di averlo trascinato lontano dal baratro della tenebra, in modo tale da non temerlo più, da essere sicura che non le avrebbe fatto del male, e lo aveva fatto perché lo rispettava. Tuttavia Gregori credeva che Savannah lo stesse rifiutando. Pensava che lei non sarebbe mai riuscita a perdonarlo per quello che aveva scelto di fare nel corso della sua esistenza. Lui stesso non riusciva a darsi pace. Savannah vide tutto. Ogni azione pericolosa e cattiva che aveva compiuto. Ogni crudele assassinio. Ogni legge che aveva infranto. Ma soprattutto vide la sua grandezza. Per tantissimo tempo, Gregori si era impegnato anima e corpo a guarire il prossimo, aveva esaurito la sua immensa forza, aveva messo a rischio la sua stessa vita osando ciò che altri non avrebbero sopportato. Una vita intera spesa al servizio di persone cresciute nella paura dello stesso potere sul quale facevano affidamento. Mentre gli altri non erano nemmeno sfiorati dalle brutture della caccia e dal pericolo, Gregori viveva in uno stato di allerta continua. Aveva accettato l’inevitabilità della sua esistenza solitaria, del suo stretto isolamento. Era giunto a credere che i
carpaziani facessero bene a temerlo. Anche Savannah aveva capito che era così. Gregori esercitava troppo potere per essere un solo uomo, portava un onere troppo pesante sulle sue larghe spalle. Per secoli non c’era stato niente che lo tenesse legato al loro mondo, nessuna emozione che potesse trattenerlo e impedirgli di trasformarsi in un vampiro. Solamente la sua forza e la sua determinazione. La sua volontà di ferro. Il suo rigido codice d’onore. La sua lealtà nei confronti di Mikhail e la convinzione che il loro popolo meritasse di avere un posto nel mondo. La sua risolutezza nel cercare di evitare la morte dei bambini carpaziani, trovando agli uomini delle vere compagne per la vita che ne scongiurassero la trasformazione. Il fatto che Mikhail avesse trovato Raven gli aveva dato speranza. Poi, da quando Savannah era stata concepita, il mondo per Gregori era diventato un inferno senza fine. Ogni minuto gli sembrava un’ora, ogni ora un giorno: quell’attesa aveva rischiato di farlo impazzire. Quando Savannah aveva rifiutato di unirsi a lui, Gregori aveva giurato a se stesso di concederle cinque anni di libertà. Dal momento che lei sarebbe stata legata per sempre a un uomo che avrebbe deciso di ogni aspetto della sua vita, aveva creduto di poterle dare in cambio almeno un po’ di tempo. Per Gregori, ogni istante era un’agonia: aveva dovuto resistere alle tenebre che si radicavano sempre di più dentro di lui. Aveva resistito fino a quando non aveva creduto di essere sul punto di soccombere, finché non si era accorto che non sarebbe più riuscito a decidere di affrontare l’alba – l’autodistruzione, l’unica opzione onorevole per un carpaziano che non volesse diventare un vampiro. Aveva rispettato il giuramento, ma per farlo aveva quasi smarrito la propria anima. Dopo tutti quei secoli passati a resistere, gli ultimi cinque anni gli avevano fatto rischiare la dannazione. Savannah sedeva immobile, assorbita dai ricordi di Gregori. Gli unici momenti piacevoli nella sua arida e solitaria esistenza erano stati gli anni dell’adolescenza di Savannah, in cui era stato libero di trascorrere del tempo con lei, sotto le spoglie del lupo. Lei non aveva paura dell’animale, aveva provato per lui un amore totale e incondizionato, gli aveva elargito le proprie confidenze, lo aveva accettato in tutto e per tutto. Gregori non aveva mai sperimentato
niente di simile prima. Lo desiderava, ne aveva bisogno, e credeva che lei non gli avrebbe ma i più riservato un tale trattamento. Accettava il fatto che Savannah non lo avrebbe mai amato, che l’avrebbe sempre guardato intimorita. Era quasi come se pensasse di meritarselo, visto che si era comportato in maniera scorretta. Non era però preparato alle fitte che questo rifiuto gli provocava, o alle violente emozioni che lei suscitava in lui. Savannah rimase di sasso davanti a quell’incredibile scoperta. Gregori non desiderava una donna qualsiasi, come aveva creduto. E di certo non desiderava avere al suo fianco una marionetta, cosa di cui lei lo aveva accusato. Voleva Savannah, con il suo senso dell’umorismo, il suo orgoglio e la sua compassione, persino con quel suo caratterino. Non provava il benché minimo interesse per le altre donne. Nessun’altra avrebbe fatto al caso suo. Gregori soffriva. Soffriva terribilmente. Percepiva il dolore di Savannah per la perdita di Peter. Percepiva la paura che nutriva nei suoi confronti. Provava pena per la propria solitudine e per l’eterno isolamento a cui era stato condannato. Queste sensazioni irradiavano dal profondo della sua anima. Si era rassegnato a convivere con tutta quella sofferenza per sempre. E non l’avrebbe mai dato a vedere. Savannah si ritrasse dai pensieri del carpaziano prima che lui potesse individuare la sua presenza. Gregori era talmente solo che avrebbe voluto mettersi a piangere per lui. E per di più quell’uomo non aveva neanche una vaga idea di cosa significasse amare qualcuno, ridere insieme, condividere la propria vita. Tutto ciò che gli interessava era far sì che lei fosse al sicuro, a qualsiasi costo. Savannah lo aveva definito un mostro e lui credeva che avesse ragione. Lei rivolse lo sguardo fuori dalla finestra verso il bosco. Gregori aveva una personalità complessa. Aveva infranto quasi tutte le loro leggi senza provare nemmeno l’ombra del rimorso. Aveva ucciso innumerevoli volte. Aveva più poteri lui nel mignolo che la maggior parte dei carpaziani messi insieme. Ma non era un mostro. Non lo era mai stato. Savannah cominciò a battere il piede sul pavimento di pietra. I
rami degli alberi ondeggiavano allo stesso ritmo. Anche lei era potente, più di quanto credesse. Gregori la desiderava. Più che altro, aveva bisogno di lei. Quella precisa rivelazione aveva cambiato tutto. Le aveva restituito il controllo sulla sua vita. Raddrizzò le spalle. Non era più una bambina in fuga da una paura senza nome. Savannah era la compagna per la vita di Gregori, scelta da Dio per camminare al fianco di un uomo potente e degno di rispetto. Un uomo forte e seducente che aveva bisogno di lei più di chiunque altro sulla terra. Inspirò a fondo e buttò fuori l’aria con calma. «Gregori?». Cercò di conferire alla propria voce un tono sommesso e neutrale. Lui sollevò il capo lentamente, ma Savannah si accorse che le era già penetrato nella mente. Tuttavia quella forma d’invasione non la spaventò. Aveva imparato ad accettare il fatto che le loro menti si fondessero l’una nell’altra e quindi aveva smesso di cercare di evitare che accadesse. «Questo posto è proprio incantevole. Sei stato molto in gamba a metterlo in piedi». Savannah udì un lieve fruscio, un movimento alle sue spalle, ma non si girò. «Sei un’artista, per così dire». Riusciva a sentirne l’odore: sapeva di legno e di spezie. Un profumo virile, caldo ed eccitante. Sfiorò la parete di pietra e sorrise fra sé al pensiero che era come se stesse toccando il solido corpo di Gregori e non un muro di roccia. «Ci sono voluti alcuni mesi, cara. Me ne sono occupato mentre stavo qui da solo, in attesa che il tuo spettacolo giungesse a San Francisco». La sua voce era bellissima. Savannah si concesse il lusso di ascoltarla, di assaporarne la purezza, di lasciare che quel velluto nero la accarezzasse. «È davvero un bel posto, Gregori. Se dovessimo trascorrere l’estate negli Stati Uniti, potremmo stare qui». Gregori non riuscì a resistere e le passò la mano sui capelli: Savannah non sgusciò via e lui ne rimase profondamente stupito. Gli faceva piacere sentirla parlare come se avesse accettato il fatto che in futuro sarebbero stati insieme. Comunque non le rispose, temendo che le sue parole potessero infrangere quel precario armistizio.
Savannah si girò e gli toccò il braccio. Sentì le vene pulsare sotto il palmo della mano e continuò a sorridere fra sé e sé. «Be’, mi stavi spiegando come fa il vampiro a emulare la voce di mia madre per attirarmi a sé. O almeno presumo si trattasse di un vampiro. E poi, come mai ho sentito un’esigenza quasi incontrollabile di rispondergli? Sono una carpaziana, non dovrebbe essere così facile costringermi a fare qualcosa». Continuò a guardare fuori dalla finestra. Delle fiamme cominciarono a diffondersi nelle vene del braccio di Gregori a partire dal punto in cui era rimasta posata la mano di Savannah. In qualche modo, lei aveva capito che Gregori la credeva in pericolo. «Il vampiro è un illusionista ancora più in gamba di te. Sono secoli che si allena a imitare le voci altrui. Si serve di questo talento per attirare a sé la gente. Ho individuato nel tono della sua voce l’impulso alla coercizione e poi ho pensato che tua madre avrebbe usato un vostro privato canale comunicativo, non quello più comune», disse Gregori, impassibile, senza neanche una punta di condanna per la cantonata che Savannah aveva preso. Lei arrossì lo stesso. Perché non l’aveva capito da sola? Era stato un errore davvero grossolano. Un errore che avrebbe potuto causare la sua morte, forse addirittura la morte di entrambi. Si voltò a guardarlo. Gregori non batté ciglio. I suoi occhi argentei si limitavano a riflettere l’immagine di Savannah. «Immagino di doverti delle scuse per averti insultato. Mi sono comportata in maniera infantile, mi dispiace». Gregori sbatté le palpebre. Era riuscita a stupirlo. Savannah sentì un’ondata di calore nel petto, una sensazione piacevole e struggente. «Vorrei che tu facessi una cosa per me. So di non avere molta esperienza in materia di vampiri, ma piuttosto che pretendere arbitrariamente la mia obbedienza, forse potresti spiegarmi che cosa mi accade intorno. Mi fiderò della tua opinione, Gregori. Non ho intenzione di sfidarti. Soltanto che ho qualche problema a fare quello che la gente mi ordina. Mi succedeva anche quand’ero più piccola… te lo ricordi?». Savannah fece intenzionalmente riferimento alla propria infanzia, l’unico momento in cui fossero stati davvero felici insieme.
Gregori non sorrise, ma dal suo sguardo, di solito freddo e inespressivo, trapelò un lampo di calore. «Certo che me lo ricordo. Ti impegnavi con tutta te stessa per fare l’esatto contrario di quello che ti veniva detto». Savannah fece un affascinante sorriso. Gregori non riuscì a staccare gli occhi dalla sua bocca. «Credevi che crescendo avrei smesso di essere tanto insubordinata, ma non è andata così. Dovremo provare a lavorarci insieme». Lei gli rivolse un’occhiata supplichevole e a Gregori sembrò di sprofondare negli abissi di quello sguardo. «Per favore». Gregori si attorcigliò al polso una ciocca dei capelli di lei. «Ci proveremo, cara. Ma prima di tutto viene la tua sicurezza. Sempre e comunque». Savannah ridacchiò. «Sono certa che non permetterai mi accada mai nulla di male. Non sono affatto preoccupata per la mia incolumità». «Per me è la cosa più importante», fece lui con aria grave. Savannah lo guardò e sollevò il mento. «Non ti è mai venuto in mente che negli ultimi cinque anni me ne sono stata per conto mio e non mi è accaduto nulla?». A quel punto Gregori sorrise, e gli angoli delle labbra si atteggiarono a una piega sensuale. «Tu non sei mai stata davvero sola, cara, mai. E quando per me è diventato troppo pericoloso starti accanto, ho fatto in modo che fossero altri a proteggerti». Nonostante Savannah fosse fermamente decisa a controllarsi, un lampo di collera le balenò nello sguardo. I suoi occhi blu scintillarono. «Hai fatto in modo che qualcun altro mi proteggesse?». Ci fu qualcosa nel modo in cui le sue guance presero colore e il petto si gonfiò di rabbia, nel bagliore improvviso che le illuminò lo sguardo, che fece pensare a Gregori che avrebbe voluto vederla sempre adirata. «Non è stata solo una mia iniziativa, piccola. Tuo padre non ti avrebbe mai lasciata priva di protezione. Dovresti saperlo».
«Mio padre?». Com’era possibile che lei ne fosse all’oscuro? Tipico di Mikhail. E di Gregori. Lei se ne stava lì a pensare di essersi guadagnata chissà quale indipendenza, di aver fatto qualcosa per tutte le donne carpaziane, e invece per tutto il tempo c’era stato qualcuno a proteggerla. «Ho chiesto ad alcune guardie del corpo di seguirmi in tour», fece, in modo che Gregori si rendesse conto che non era stata del tutto imprudente. «Umani». Il suo tono fu eloquente. «Avevi bisogno di qualcuno di noi». «Chi? Di chi hai avuto così tanta fiducia, Gregori?», gli chiese Savannah, curiosa. La fiducia era estranea al loro universo di valori. A quale altro maschio carpaziano Gregori aveva potuto affidare l’incolumità della propria compagna per la vita? Sembrava una mossa totalmente aliena dal suo carattere. Gregori infilò una mano nell’intricata selva dei capelli di Savannah, che gli ricadevano sulle ampie spalle. Gli doleva il collo. Con aria assente, cominciò di nuovo a massaggiarselo. «Alcune situazioni sono talmente estreme da richiedere misure altrettanto estreme. Ho scelto l’uomo più potente e più forte che conosco, un uomo dal ferreo codice d’onore. Si chiama Julian. Julian Savage». «Il fratello gemello di Aidan Savage. È qui in città?». Savannah non aveva mai incontrato Aidan Savage, ma aveva sentito suo padre parlare di lui. Era un cacciatore di vampiri. Mikhail lo rispettava molto e questo già la diceva lunga sul suo valore. Aveva da poco trovato la sua compagna per la vita. Savannah aveva pensato di approfittare del fatto che si trovava a San Francisco per andarli a trovare. Dovevano avere una gran voglia di incontrare qualcuno che appartenesse alla loro stessa specie. «Aidan sapeva che suo fratello era qui per proteggermi?» «Sono sicuro che ne avrà avvertito la presenza. Come avrebbe potuto non percepirla? Sono gemelli. Non so se Julian vorrà incontrarlo. Sta lottando contro le tenebre». Savannah distolse gli occhi da quello sguardo cupo e luccicante. Così freddo. Così solo. Così smarrito. Gregori. Il tenebroso. Il suo tenebroso. Il suo Gregori. A stento riuscì a sopportare il dolore del compagno. Lui non lo mostrava: il suo volto non lasciava trapelare
alcuna emozione, quasi fosse stato scavato nel granito, come il rifugio di pietra nel quale si trovavano. Non lo mostravano neanche i suoi occhi chiari, così freddi e glaciali da ricordarle la morte. Non lo mostrava nessun anfratto della sua mente, o almeno di quella parte della mente che Gregori aveva scelto di condividere con lei. Savannah si sentiva esattamente come lui. Il cuore di Gregori era il suo cuore. L’anima di Gregori la sua anima. Erano la stessa persona. Le due metà di un unico essere. Gregori ancora non lo sapeva, non riusciva a crederci. Dopotutto, aveva pensato che tra loro non fosse scattata alcuna scintilla, dal momento che era stato lui a manipolare quell’unione. Savannah invece sapeva che erano fatti l’uno per l’altra. L’aveva capito quando aveva condiviso la propria vita con il lupo. Forse lei non se ne era pienamente resa conto, ma il suo cuore e la sua anima sì. L’aveva capito quando aveva raggiunto Gregori nell’abisso e nell’oscurità e l’aveva trascinato via con sé. L’aveva capito quando aveva condiviso con lui il proprio corpo, nonostante l’innocenza e l’inibizione. Lo temeva, ma aveva capito che era la sua metà. Il suo cuore e la sua anima lo avevano riconosciuto. «L’alba si avvicina, cara», disse lui piano. «Sarebbe meglio se andassimo un po’ a dormire». Sarebbe stato meglio per lei. Il corpo di Gregori era una furia, desiderava solo il contatto con la pelle di Savannah. Gregori aveva bisogno di tenerla fra le braccia e stringerla al petto. Per una manciata di secondi, avrebbe potuto immaginare di non essere più solo. Savannah avrebbe tenuto l’oscurità alla larga e gli avrebbe permesso di vivere un giorno di più. Lei gli accarezzò il braccio per tutta la lunghezza. Sfiorò il profilo dei suoi muscoli con la punta delle dita. Era stato solo un tocco lieve, eppure la scarica di desiderio fu tanto intensa che Gregori si irrigidì. Fu travolto da una violenta ondata di passione, gli sembrò che nelle vene cominciasse a scorrergli lava incandescente e si sentì bruciare in tutto il corpo. Nel suo candore, Savannah non si rendeva conto dell’effetto che gli faceva. Le loro dita si allacciarono strette. «E che mi dici di Peter? Cosa pensi che dovremmo fare per ridurre al minimo i rischi? Lo so, hai ragione, la stampa mi darà la caccia. Mi seguiranno dovunque, quegli stupidi giornalisti in cerca di scoop». Lo
stava guardando dritto negli occhi. Gregori non avrebbe potuto guardare da nessun’altra parte né lasciarle andare la mano. Non si sarebbe mosso neanche a costo della propria vita. Si era perso in quegli occhi violetti, era sprofondato nei loro abissi, misteriosi, ossessionanti e seducenti. Cos’è che aveva deciso? Cosa aveva stabilito? Non le avrebbe consentito nemmeno di avvicinarsi al funerale di Peter. Perché la sua determinazione era svanita in un soffio? Aveva delle ragioni, delle buone ragioni. Ne era sicuro. Eppure, in quel momento, mentre annegava in quegli occhi, ogni suo pensiero era rivolto alla lunghezza delle ciglia di Savannah, alla forma delle sue guance, alla sua pelle morbida e liscia, e non riusciva a immaginare di poterle negare qualcosa. Dopotutto, lei non gli aveva disobbedito; non era al corrente della sua decisione di tenerla alla larga dal funerale di Peter. Savannah lo stava coinvolgendo nel piano, come se insieme formassero una squadra. Gli stava chiedendo un consiglio. Sarebbe poi stato così grave accontentarla? Per lei era davvero importante. Gregori sbatté le palpebre per impedirsi di sprofondare ancora in quello sguardo e si ritrovò a fissarle la bocca. Il modo in cui le sue labbra si schiudevano, come se stesse aspettando qualcosa. Il modo in cui la punta della lingua inumidiva il labbro inferiore. Quasi una carezza. Gregori gemette. Era un invito. Dovette farsi forza e trattenersi dal chinarsi e seguire con la propria lingua lo stesso percorso. Savannah lo stava torturando. Era un tormento. Quelle labbra perfette si atteggiarono a un broncio. Gregori avrebbe voluto darle un bacio sulla bocca. «Che c’è, Gregori?». Savannah si mise sulla punta dei piedi per sfiorargli le labbra con un dito. A Gregori sembrò che il cuore stesse quasi per scoppiargli. Le prese il polso e le fece poggiare la mano sul proprio petto. «Savannah», bisbigliò lui. Un lamento. Il suo nome era venuto fuori così. Come un lamento. Gregori se ne rese conto. Lei anche. Dio, la desiderava con ogni cellula. Indomito, selvaggio, folle. Avrebbe voluto sprofondare dentro di lei così tanto da non poter più venirne fuori. A Savannah tremò la mano, un movimento appena accennato, come il battito delle ali di una farfalla. Gregori sentì quel fremito
lungo tutto il corpo. «Va tutto bene, amore mio», le disse a bassa voce. «Non ti sto chiedendo niente». «Lo so. E io non ti sto negando niente. Abbiamo bisogno di tempo per diventare amici, ma non voglio ignorare quello che già sento. Quando ti avvicini a me, mi sembra di andare a fuoco». I suoi occhi blu erano profondi e seducenti, fissi su di lui. Gregori le sfiorò la mente con tocco gentile, quasi tenero, superò le sue barriere e vide quanto coraggio era stato necessario per quella confidenza. Savannah era nervosa, persino spaventata, ma decisa ad andargli incontro. Quando lo capì, per poco non cadde in ginocchio. La sua mascella ebbe un guizzo e gli occhi divennero due pozze di mercurio liquido, ma la sua espressione rimase impassibile come sempre. «Credo che tu sia una strega, Savannah, e che mi stia facendo una qualche fattura». Le prese il viso tra le mani, accarezzandole dolcemente le guance con i pollici. Lei gli si fece più vicina e Gregori si accorse che aveva bisogno di conforto, di essere rassicurata. Savannah gli circondò la vita con le braccia. Gli appoggiò la testa sul petto. Gregori l’abbracciò, si limitò a stringerla a sé, in attesa che smettesse di tremare. In attesa che il calore del proprio corpo si trasfondesse dentro di lei. Sollevò una mano e le accarezzò la folta massa di setosi capelli neri come l’ebano, godendo di quel semplice gesto. Sembrava calmare un po’ entrambi. Gregori non avrebbe mai creduto che una cosa così banale come tenere tra le braccia una donna potesse provocare effetti tali in uomo. Savannah lo stava scombussolando; era scosso da emozioni sconosciute e potenti e la sua vita ben organizzata era andata in fumo. Tra le sue braccia forti, Savannah si sentiva fragile e delicata come un fiore esotico il cui stelo poteva spezzarsi da un momento all’altro. «Non preoccuparti di Peter, piccola mia», le sussurrò lui, le parole attutite dai capelli di lei. «Provvederemo domani alla sua sepoltura». «Grazie, Gregori», disse Savannah. «Significa molto per me». Lui la sollevò prendendola fra le braccia. «Ti capisco. Anche se sarebbe meglio che non lo facessi. Vieni nel mio letto, cara, è il posto
a cui appartieni». La sua stretta e la sua impetuosità la allettarono. Savannah gli cinse il collo con le braccia. Gli scostò i capelli dal volto, in modo tale che fra loro non ci fosse alcuna barriera. «E se viene il vampiro?», mormorò, con le labbra attaccate all’orecchio di Gregori. Gli leccò una minuscola e intrigante fossetta. «Che cosa pensi di fare con me se i rinnegati ritornano?». Il suo respiro era eccitante come la seta, la bocca calda come il velluto. Savannah gli diede un piccolo morsetto. Gregori non pensò più a niente, solo a soddisfare lo struggente desiderio di lei che provava in quel momento. Un desiderio sordo e ardente. I denti di Savannah gli stavano punzecchiando la clavicola e nel frattempo lei gli aveva infilato una mano sotto la camicia. Gli accarezzava l’ampio e villoso petto, seguendo il profilo di ogni muscolo. Gregori si sentì scuotere da un fremito di passione. Riuscirono a raggiungere il letto soltanto perché era lì vicino. Quando Gregori le fece poggiare i piedi sul pavimento di pietra, Savannah sollevò il capo e gli angoli delle labbra si curvarono in un lieve sorriso. Misterioso. Sexy. Quella ragazzina innocente lo stava seducendo e davvero bene, per giunta. Ogni muscolo del corpo di Gregori era teso e dolente. Stava andando a fuoco, bruciando di passione. Il sorriso di Savannah. La sua bocca perfetta. Gregori chinò la testa e prese possesso di quella bocca. Le labbra erano calde e morbide come la seta. Lui ne esplorò la curvatura con la lingua. Cominciò a mordicchiarla insistentemente per far sì che Savannah le schiudesse. Lei acconsentì a quella silenziosa richiesta: la sua bocca era calda e umida. Il mondo sembrò svanire. Gregori la baciò a lungo, vorace e appassionato, come se volesse divorare quelle labbra dolci e sensuali. Le incorniciò il volto fra le mani, tenendola ferma per poter continuare a baciarla. I colori gli danzavano intorno, era tutto un guizzare di luci, e il suo desiderio di lei cresceva sempre di più. Gregori trovò la gola, delicata e vulnerabile. Le strappò via i vestiti: aveva bisogno del contatto con la sua pelle, di accarezzarla. Gli abiti caddero sul pavimento, una pioggia di indumenti. Savannah sentì il respiro morirle in gola. Aveva scatenato
qualcosa che adesso non riusciva più a controllare e, a dispetto di tutte le sue buone intenzioni, ne era atterrita. Gregori era ovunque, il suo corpo teso e rigido, le sue braccia dure come sbarre di ferro. Quella enorme forza la intimidiva. Eppure la bocca, calda e mascolina, che le chiedeva di rispondere ai suoi baci, era ipnotica. Le sembrò che le sue membra, di propria iniziativa, si sciogliessero per l’eccitazione. Gregori le strappò dai fianchi esili le mutandine di pizzo bianco, denudandola a beneficio del proprio sguardo. Savannah si accorse di avere il fiato corto. Gli occhi argentei di lui si spostarono sul suo viso, sulla sua bocca, sulla sua gola. Dovunque Gregori la guardasse, Savannah si sentiva lambire dalle fiamme, che bruciavano fino al momento in cui lui non spostava altrove la propria attenzione. Per quegli occhi famelici, il suo corpo era perfetto in ogni dettaglio. La sua pelle era liscia come la seta, i seni pieni e sodi, e la gabbia toracica stretta per sottolinearne la morbida piega. Gregori le circondò la vita con un braccio e la attirò a sé, facendole inarcare la schiena per baciarle i seni. Savannah emise un flebile miagolio, come una gattina, seguendo i movimenti di Gregori. Gli prese la testa fra le mani, tenendolo stretto a sé. La bocca sul suo seno era calda, avida e insistente. Le sembrò di sciogliersi, gemette e si strinse ancora di più a lui, per godere appieno di quella sensazione. Le sue mani le scivolarono sulla schiena, si aggrapparono ai fianchi e la costrinsero a stringersi a lui. Gregori era al culmine dell’eccitazione, aveva un disperato bisogno di lei. Quando sollevò il capo, il suo sguardo la investì di un calore bruciante e Savannah si chinò ad assaporare le piccole gocce di sudore che gli imperlavano il petto. Ne seguì il percorso sull’addome, senza mai saziarsene. Quando giunse all’altezza dell’inguine, Gregori ebbe un fremito. Una minuscola gocciolina scendeva ancora più in basso. Savannah lo prese per i fianchi, gli afferrò i glutei e lo attirò ancora più vicino a sé. Quando riabbassò la testa per inseguire quella goccia, i suoi capelli si riversarono su di lui. Gregori emise un ruggito, un suono gutturale, violento e sofferente. Ne prese alcune ciocche fra le mani e strinse i pugni.
«Stai giocando con il fuoco, piccola mia». Quelle parole riuscirono a farsi strada a stento fino a lei. Savannah alzò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata, una sola, sbattendo le lunghe ciglia. Provocatoria. Sexy. Innocente ed erotica al tempo stesso. «Pensavo di giocare con te», obiettò, tornando a concentrarsi sulla sua impetuosa eccitazione. Il suo respiro bollente lo surriscaldò ancora di più, tentandolo. Gregori gettò indietro la testa, e infilò le mani nel folto dei capelli di lei. Piegò il collo e chiuse gli occhi. «Credo che sia corretto affermare che in fondo è la stessa cosa», disse fra i denti. Savannah catturò la piccola goccia di sudore con la lingua, mentre prendeva in mano il suo membro eccitato. «Sei stato tu a cominciare», mormorò con aria assente. Gregori era caldo e duro, come ferro inguainato in un fodero di velluto. Trattenne il respiro mentre lei si stringeva sempre più a lui, la sua bocca calda come la seta. «Mio Dio, Savannah», sussurrò lui, ansimando. «Potrei non sopravvivere». La sua lingua lo accarezzò, una lieve e piacevolissima pressione, una sensazione che lui a stento riuscì a sopportare. Cominciò a muovere i fianchi a un ritmo incontrollato, tenendola stretta a sé. Il mondo intorno svanì: rimasero solo un intenso piacere e un turbinio di colori nella sua testa. Per pochi preziosi momenti di quella sua esistenza squallida e vuota, riuscì a convincersi del fatto che qualcuno si stava prendendo cura di lui, che qualcuno lo amava abbastanza da trascinarlo lontano dall’abisso dell’oscurità verso la luce. Verso l’estasi. Gregori prese Savannah e la tirò su, in modo da poterla poi spingere sul letto. Quella ragazza era così minuta che per un attimo pensò che con tutti i suoi muscoli avrebbe potuto farle del male: lei però si muoveva senza posa, aveva bisogno di lui, sentiva un desiderio intenso quanto il suo. La prese per i fianchi e la trascinò verso il bordo del letto, in modo da poterla esplorare come voleva. Savannah era soltanto sua. Il suo corpo era l’unica consolazione per lui. Gregori era deciso a conoscerne ogni centimetro. Sapeva che lei non temeva ciò che le stava facendo, bensì la sua forza. Savannah
si irrigidì quando Gregori la inchiodò sulle lenzuola. Lui chinò il capo e le mordicchiò l’interno coscia. «Fidati di me, Savannah. So che puoi farlo». La stava assaporando e il suo respiro era caldo. «Sei parte di me, non posso farti del male. Fondi la tua mente con la mia. Nella mia vita non ho mai voluto qualcosa come adesso voglio te». La sua lingua la accarezzava, la provocava, la colpiva nel profondo dell’anima. Il corpo di Savannah si contrasse sotto di lui, poi lei buttò fuori l’aria. Non c’erano più le pareti, non c’era più il soffitto né il pavimento, non c’era nient’altro a parte Gregori e lo spazio intorno a loro. Le mani di lui le si muovevano addosso, esplorandola, memorizzando ogni centimetro di pelle, possedendola, e nel frattempo la sua bocca la faceva impazzire, mandandola in mille pezzi e poi rimettendola insieme solo per rifarlo di nuovo. Era una sensazione senza fine, eterna, e continuò finché non le sembrò di stare per esplodere. Savannah lo prese per i capelli: era avida del suo corpo, voleva che lui la riempisse, che si fondesse completamente con lei. Gregori, seppur riluttante, la accontentò, mettendosi sopra di lei. Esercitò una lieve pressione e la trovò umida, eccitata, pronta, desiderosa e bisognosa di lui. Si piegò in cerca della sua gola. La baciò, la mordicchiò, la accarezzò con la lingua. Staccò i fianchi da lei per poi tornare a sprofondarle dentro, mentre affondava i denti nel suo vulnerabile collo. Savannah pensò che sarebbe morta di piacere. Gregori, teso ed eccitato, la stava deformando; la frizione dei loro corpi, il ritmo incalzante con cui lui le si muoveva sopra, la facevano impazzire. Si aggrappò alle sue spalle, conficcandovi le unghie, per non volare via. Riusciva a sentire la sua bocca che la divorava, le sottraeva fluido vitale, e la sua mente conficcata dentro di lei, in una condivisione del piacere che non faceva altro che fomentarli entrambi. Savannah sentì il proprio corpo dilatarsi, irrigidirsi ancora di più, mentre una violenta tempesta di fuoco minacciava di consumarli entrambi. Dovunque lei si girasse, nella sua mente, nel suo corpo, nel suo cuore e nella sua anima, c’era Gregori. Le fiamme li lambivano. Lui, aggressivo e dominante, si impossessò di lei, la sua bocca era
delirante e famelica. Sembrava insaziabile, così come lei. Savannah non sarebbe riuscita stabilire dove finiva il proprio corpo e dove iniziava quello di lui. Gregori la prese con foga finché lei non fu preda di convulsioni di piacere. Non importava a nessuno dei due. Non era abbastanza; non sarebbe mai stato abbastanza. Gregori le passò la lingua sulla gola per chiuderle le piccole ferite che le aveva procurato, ma le lasciò intenzionalmente un marchio sul collo. «Nutriti, Savannah. Saziati di me». La sua voce vellutata e ipnotica era arrochita dal desiderio. Non sarebbe stato necessario chiederglielo. Savannah lo desiderava. “Desiderio” era l’unica parola che le venisse in mente per descrivere l’intensità di quell’impulso. Voleva assaporarlo, averlo dentro di sé, non solo dentro il suo corpo, il suo cuore o la sua mente, voleva che scorresse dentro le sue vene. Aveva un disperato bisogno di lui: quell’uomo era diventato la sua droga, lo desiderava con tutta se stessa. «Mi vuoi?», le chiese lui, rallentando il ritmo con cui muoveva i fianchi. Savannah sorrise. «Lo sai che ti voglio. Tu senti le stesse cose che sento io». Gli diede un piccolo morso sul collo e avvertì il battito della vena sotto la lingua. «Come potrei non volerti?». Il corpo di Gregori fremette, pregustando il piacere. Restò in attesa. Smise di respirare. Anche il suo cuore smise di battere. Savannah fece in modo che quel momento durasse il più a lungo possibile, graffiandogli delicatamente la pelle in corrispondenza della vena, e chiuse gli occhi quando lui per reazione sprofondò dentro di lei. Non appena i denti gli perforarono il collo, Gregori perse quasi il controllo; il godimento era tanto inteso che i suoi movimenti acquistarono velocità: avrebbe voluto affondare nell’anima di Savannah. Lei si irrigidì, trattenendolo dentro di sé in una vellutata morsa di fuoco, contorcendosi e contraendosi fino a quando lui non poté fare altro che rispondere al suo richiamo. Esplosero insieme, con un’intensità tale che Gregori avrebbe ricordato per sempre quel momento. Savannah si era arresa, si era concessa a lui, anima e corpo. Il carpaziano abbandonò la testa accanto a quella di lei, tenendo
gli occhi chiusi per evitare che Savannah vi leggesse la commozione. Lei si nutrì in maniera delicata, la sua bocca carnosa e sensuale si muoveva sul suo collo, il corpo continuava a tremare a seguito dell’orgasmo. Lui la abbracciò, deciso a non lasciarla mai più andare. Deciso a trovare un modo per convincerla a stare con lui. Determinato a trovare una maniera per legarla a sé così indissolubilmente che se anche avesse scoperto la sua doppiezza, non avrebbe comunque potuto abbandonarlo. Savannah chiuse le due minuscole ferite che gli aveva procurato con i denti e giacque serena sotto di lui. Gregori era pesante e il suo corpo la avvolgeva completamente, quasi la schiacciava. La sua immobilità, la stretta possessiva delle sue braccia erano come un avvertimento: anche lei doveva rimanere altrettanto ferma. Gregori stava di nuovo combattendo contro i suoi demoni. «Gregori?». Savannah gli diede un bacio sulla spalla. «Io sono la tua vera compagna per la vita. Non c’è nessun altro per me. Le tue paure sono infondate». Lui la strinse ancora più forte a sé, rischiando quasi di strozzarla. «Sono pericoloso, Savannah, più pericoloso di quanto tu possa immaginare. Io stesso non mi fido delle mie emozioni. Sono nuove per me e troppo intense. Ho ucciso così spesso e la mia anima è andata in frantumi ormai molto tempo fa». Lei gli passò le mani fra i capelli, accarezzandoli, nel tentativo di farlo rilassare. «La mia anima è la metà mancante della tua. Combaciano perfettamente e non c’è alcun pezzo mancante. Ti senti così soltanto perché, dopo secoli di nulla e vuoto, sei nuovamente in grado di provare delle sensazioni e ti senti sopraffatto». Gregori si sollevò un po’, ma senza lasciarla andare. Non avrebbe potuto. Doveva toccarla, rimanere dentro di lei, i loro corpi dovevano essere incatenati l’uno all’altro. «Vorrei che fosse vero, amore mio. Lo vorrei con tutto il cuore». «È l’alba, Gregori», gli ricordò lei dolcemente, tutto d’un tratto consapevole del fatto che erano un groviglio di gambe e braccia, intrecciati come se fossero un’unica creatura. «Hai freddo?»
«No». Come avrebbe potuto? Il corpo bollente di Gregori era dentro di lei, sopra di lei, e lui continuava a muovere i fianchi in maniera delicata ma incessante. Gregori fece un gesto con la mano per chiudere a chiave la porta d’ingresso e piazzò degli incantesimi protettivi sia fuori che dentro l’abitazione. Per tutto il tempo però era rimasto concentrato sul ritmico movimento dei loro corpi. La bellezza. Il mistero. Il piacere. «Presto ci addormenteremo, mia cara, te lo prometto. Ma non adesso. Non per un altro po’ di tempo». Le mormorò quelle parole con la bocca schiacciata sul suo seno morbido, poi si strinse ancora di più a lei e cominciò a nutrirsi con delicatezza. Sarebbe voluto rimanere lì, nel santuario del suo corpo, per sempre.
Capitolo 7 Il detective David Johnson scortò la coppia attraverso l’affollata stanza d’ingresso della stazione di polizia fino al suo ufficio. Tutti si voltarono a guardarli e, mentre si facevano strada, piombò un inquietante silenzio. Johnson non poteva certo biasimare i suoi uomini. In tanti anni di onorata carriera, lui stesso non aveva mai visto una donna più bella e ammaliante. Era quella l’unica parola adatta a descrivere la sua bellezza. Ammaliante. Si muoveva nello spazio come una musica, come un sussurro, come una sorgente d’acqua. Fluida. Eppure il fatto che dei poliziotti adulti si stessero comportando come imberbi cascamorti era piuttosto imbarazzante. Quella donna era una celebrità, a causa sua schiere di giornalisti si affollavano dietro la porta della centrale, ma Johnson sapeva che non si trattava solo di quello. Savannah Dubrinsky era il tipo di femmina che si insedia per sempre nella mente di un uomo. Era fatta della materia di cui sono fatti i sogni. Sogni di notti bollenti, di lenzuola di seta e di sesso sfrenato. L’incarnazione di una fantasia erotica. Il detective lanciò un’occhiata all’uomo che camminava tranquillo al suo fianco. Un tipo pericoloso, quello lì. Bruno. Minaccioso. Si muoveva tanto silenziosamente che nessuno avrebbe potuto individuarne la presenza se lui non lo avesse voluto. I suoi vestiti non producevano nemmeno un fruscio. Aveva i capelli lunghi e folti, legati sulla nuca con un laccetto di pelle. Sembrava elegante, vecchio stile, come un pirata o un nobile. Aveva un volto interessante, angoloso e squadrato, con insoliti occhi chiari, un lampo argenteo a cui nulla sfuggiva. Era un uomo con cui bisognava fare i conti. Sarà stato per le spalle dritte o per l’aria autoritaria. Johnson aveva conosciuto degli uomini potenti prima di allora, persone che prendevano ogni giorno decisioni di capitale importanza. Ma quel tale era una spanna sopra. Indossava il potere come se fosse stata la sua seconda pelle. Era il potere. Johnson sentiva il cuore martellargli nel petto ogni volta che i suoi strani occhi da felino si posavano su di lui. Quello sguardo era impassibile. Inquietante.
La sua postura la diceva lunga. Che Dio venisse in aiuto dello sciocco che avesse osato posare un dito su Savannah Dubrinsky. Johnson si era preoccupato che qualche pazzo maniaco potesse mettere le mani addosso alla maga mentre si trovava a San Francisco, ma da quando aveva incontrato suo marito si era convinto che chiunque l’avesse fatto avrebbe compiuto un gesto suicida. Fece un passo indietro per far entrare Savannah nel suo ufficio e non fu affatto stupito quando il marito riuscì in qualche modo a frapporsi fra lui e la moglie. Johnson chiuse con decisione la porta ma si trattenne dall’impulso di alzare la veneziana. L’intera squadra li stava osservando attraverso il vetro sudicio, fissando quella donna. Johnson non si era mai reso conto di quanto fosse sporco il suo ufficio: uno strato di polvere e lerciume, le scatole vuote di cibo cinese e pizza unte, con ancora qualche rimasuglio dentro. Quella pallida ragazza dalla bellezza sconvolgente gli faceva prendere coscienza di quanto fosse squallido il posto in cui si trovavano. Avrebbe voluto togliere quelle schifezze dalla scrivania e gettarle nel cestino dell’immondizia, in modo che lei non le vedesse. Si accorse con orrore che stava arrossendo. Era noto in tutto la centrale come un detective dedito al lavoro, cinico fino all’osso, privo di qualsivoglia sentimento. Ma i suoi ormoni erano partiti in quarta e sembrava stessero facendo gli straordinari. Il poliziotto si schiarì la gola due volte, cercando di non rendersi ridicolo. «Apprezziamo molto che sia venuta a darci una mano. Grazie per aver identificato il corpo; lo so che è stato difficile per lei». Tacque ma, dal momento che nessuno dei due prendeva la parola, proseguì. «Vorremmo chiarire alcuni punti in merito a quanto è accaduto la notte dell’omicidio. Abbiamo già le dichiarazioni delle guardie della sicurezza e degli autisti dei camion. Sembra che abbiate entrambi un alibi di ferro, signora Dubrinsky. La guardia della sicurezza l’ha vista allontanarsi mentre Peter si trovava ancora sulla piattaforma di carico. Peter non è mai venuto via. Quando è stata l’ultima volta che ha visto il suo assistente vivo, signora?». Savannah sapeva che era stato Gregori a impiantare quella scena
nella memoria di una delle guardie mentre loro scappavano via dallo stadio, quell’orribile notte. «Detective Johnson», cominciò. La sua voce era incantevole, tanto quanto lei. «Mi chiami David», si ritrovò a dire Johnson, meravigliandosi di se stesso. Il marito si irrigidì, un lieve guizzare dei muscoli, un segnale di pericolo. Quegli occhi, due brillanti fessure, si posarono sul viso di Johnson, che provò un brivido di freddo, visualizzò l’immagine di una tomba vuota e percepì un tremito di morte. Il detective deglutì, improvvisamente lieto di non essere uno dei giovani poliziotti assegnati a quello strano caso. Credeva che quell’uomo sarebbe stato perfettamente in grado di uccidere qualcuno. Che ci faceva una donna come Savannah Dubrinsky con un tipo del genere? «Sono andato a prendere Savannah circa un’ora dopo la fine dello spettacolo», lo informò Gregori, mentre la moglie sedeva con la testa china, giocherellando con le dita. Da lei si irradiava un’aura di ansia capace di ridurre in poltiglia il cuore di pietra di Gregori. Il carpaziano era perfettamente consapevole dei pensieri del detective e abbassò intenzionalmente la voce di un’ottava. Chiunque avesse un briciolo di cervello avrebbe capito che si trattava di un soggetto pericoloso; non era semplice nasconderlo e Gregori sembrava non essere particolarmente intenzionato a farlo. «Era già stato tutto caricato dentro i camion e la maggior parte degli operai era andata via», disse a bassa voce. Johnson si ritrovò a pendere dalle sue labbra, ad ascoltare attentamente il tono e la cadenza di quella voce. Era come un ruscello dal corso impetuoso. Quell’uomo, quel Gregori, era onesto, era l’integrità fatta persona. Johnson cambiò posizione, chinandosi sulla scrivania in direzione del suo interlocutore. Non riuscì a trattenersi, quasi fosse stato ipnotizzato. «Fino a quel momento, Peter era vivo e stava bene», proseguì Gregori. «Abbiamo chiacchierato per un po’, forse per una mezz’oretta. Il camion con gli incassi si stava allontanando quando abbiamo deciso di andarcene via anche noi. Peter si è diretto verso la sua auto, ma poi ci ha detto di aver dimenticato le chiavi sulla piattaforma di carico». Savannah chinò la testa e un brivido le corse lungo la schiena. Era
pallida ma composta. Dentro urlava per la rabbia e la disperazione. Gregori era immobile eppure ebbe la sensazione che la stesse sfiorando, riscaldandola con il calore del proprio corpo. La storiella perfettamente credibile che stava raccontando con quella sua voce incantevole la stupì. Nessuno avrebbe potuto aver qualcosa da obiettare. Come sarebbe stato possibile, visto che bastava ascoltarlo per essere controllati dalla sua volontà? «È stata l’ultima volta che lo avete visto vivo?», chiese Johnson. Savannah annuì. Gregori la prese per mano. «Peter per noi era un socio e un amico. Gestiva tutto lui al posto di Savannah. Senza Peter non ci sarebbe stato nessuno spettacolo. Io ho molti affari che mi tengono impegnato. Peter si occupava di ogni dettaglio degli show di magia. Come può immaginare, la sua morte è un evento devastante per mia moglie. Per tutti e due. Avremmo dovuto aspettare finché non fosse stato al sicuro dentro la sua macchina, ma ero stato lontano da Savannah per un po’ di tempo e non vedevamo l’ora di starcene da soli. Le guardie della sicurezza erano ancora in giro, per cui non ci siamo preoccupati più di tanto». «Non siete andati un’affermazione.
in
hotel».
Quella
di
Johnson
era
Fu di nuovo Gregori a rispondere, senza mostrare segni di apprensione, a bassa voce e con un tono ipnotico. «No, siamo andati in una villa di nostra proprietà appena fuori dalla città. Non abbiamo sentito il telegiornale fino a questa sera». «Perché non ha fatto il check-out in albergo, Savannah?». Johnson le rivolse una domanda diretta. Era davvero difficile non rimanere abbagliati da quella straordinaria bellezza. «Pensavamo di rincontrare Peter nel giro di un paio di giorni una volta ritornati in città, quindi abbiamo tenuto la stanza». Savannah aveva parlato a voce così bassa che Johnson era riuscito a stento a decifrare le parole. Sembrava così triste che il detective sentì il peso di un macigno sul petto e si mise una mano sul cuore. Gregori fece un lieve movimento e scostò a Savannah i capelli dal viso e dal collo, muovendo le dita come se le stesse facendo un massaggio rilassante. Lei stava comunicando il proprio dolore in
maniera troppo esplicita e il detective sembrava colpito. Fai un
profondo respiro, amore mio. Non possiamo permetterci che al poliziotto venga un attacco di cuore proprio adesso. È molto sensibile alla tua presenza. Non posso continuare a mentire in questo modo. La sua voce, la
sua mente, erano gonfie di lacrime. Si stava aggrappando a Gregori come se lui fosse la sua àncora di salvezza, e questo gli fece pensare che il legame tra loro stava diventando sempre più solido e reale. Forse persino indistruttibile. Peter meritava di meglio.
Hai ragione, bambina, ma noi comunque non possiamo dire la verità a quest’uomo. Saremmo etichettati entrambi come due pazzi. Gregori si piegò in avanti sulla scrivania e guardò Johnson dritto negli occhi. Dopo che noi avremo lasciato questo posto dovrai prestare un po’ di attenzione ai tuoi problemi cardiaci. Per il momento smettila di fare domande a Savannah e rivolgiti solo ed esclusivamente a me. Johnson sbatté le palpebre e il suo sguardo divenne vitreo. Si era per caso addormentato? Non si sentiva molto bene. Aveva la fronte madida di sudore. Forse sarebbe stato opportuno fare un salto in ospedale e sottoporsi a quei test che aveva a lungo rimandato. Inoltre, Savannah sembrava così angosciata che pensò di concentrarsi su Gregori. C’era qualcosa nella voce di quell’uomo che lo affascinava. Avrebbe potuto stare ad ascoltarlo per sempre. «Nessuno si ricorda del vostro matrimonio e non ne abbiamo trovato riscontro nei registri», azzardò. Gregori annuì in segno di assenso. «Per questioni di carriera è meglio che Savannah sembri disponibile, non so neanche io come faccio ad accettare questa situazione. Una donna single è molto più attraente di una sposata. Noi siamo marito e moglie da quasi cinque anni. La cerimonia si è svolta nel nostro paese d’origine. La madre di Savannah è americana, ma il padre è dei Carpazi. Ci siamo sposati lì». Johnson si astenne dal dire che quella ragazza sembrava davvero troppo giovane e innocente per un uomo potente come Gregori. Sarebbe stato impossibile dire quanti anni avesse quel tale. «Il signor Sanders approvava questo matrimonio?».
Gli occhi argentei di Gregori lampeggiarono come due lame d’acciaio. «Certo». Si accorse che quella domanda aveva ulteriormente intristito Savannah. Si piegò di nuovo sulla scrivania, in direzione del detective. La devi smettere con questo tipo di
domande.
Johnson scosse la testa. «Stiamo andando fuori tema. Sa se il signor Sanders aveva qualche nemico?». Gregori si prese un po’ di tempo prima di rispondergli, assumendo un’aria molto pensierosa. Alla fine fece di no con il capo. «Mi piacerebbe poterle essere più d’aiuto, detective, ma il fatto è che Peter piaceva a tutti. Be’, fatta eccezione per i giornalisti: la privacy di Savannah gli stava molto a cuore e in questo modo salvaguardava anche l’aura di mistero che avvolge lo spettacolo. Non credo che riuscirà a trovare qualcuno che le parli male di Peter». «Si occupava anche delle questioni finanziarie, vero?», gli chiese astutamente Johnson. «Sì», rispose Gregori, per nulla imbarazzato. «Peter era socio di Savannah a tutti gli effetti. Ne traeva anche un guadagno». «C’era qualche problema con la contabilità?». Johnson la buttò lì, osservandoli per cogliere la loro reazione. Savannah era così pallida e tormentata dal dolore che quasi gli sembrò di torturarla. Sul volto di Gregori non era dipinta alcuna emozione e Johnson pensò che, qualunque cosa avesse detto o fatto, non sarebbe riuscito ad avere la meglio sulla sua imperturbabilità. «Io sono benestante per conto mio, detective, e possiedo più denaro di quanto riuscirò a spenderne in tutta la mia vita. Savannah non ha bisogno di ottenere guadagni dai propri spettacoli. Se anche ci fosse stato qualche problema, io certamente non ne sono al corrente e, ne sono sicuro, nemmeno Savannah. In ogni caso, non si tratterebbe di certo di una frode o di qualcosa del genere. Peter ha ottenuto discreti introiti dagli spettacoli e non avrebbe avuto alcun motivo di truccare i libri contabili. Potrà senz’altro verificare quanto ho detto controllando tanto i suoi conti bancari quanto la nostra contabilità. Non avremo alcuna difficoltà a fornirle tutta la documentazione di cui ha bisogno. Peter Sanders non era un ladro».
Savannah tirò su il capo. «Peter non ha mai rubato nulla. E se avesse avuto bisogno di soldi tutto quello che doveva fare era chiederli. Glieli avremmo dati, e lui lo sapeva». «Era solo una supposizione. Non c’è nessun indizio in questa direzione, ma dobbiamo esaminare ogni possibilità». Johnson si passò una mano fra i capelli. Odiava rendere triste quella donna. «Sanders si occupava anche della sua sicurezza personale?» «Avevamo una persona apposta per quello», rispose Gregori, privo di imbarazzo. «Peter dava ordini alla guardia del corpo e la teneva informata sulla tabella di marcia in modo che potesse fare al meglio il suo lavoro». «Non è che per caso la signora Dubrinsky è stata oggetto di attenzioni da parte di qualche maniaco?». Savannah emise un gemito soffocato che spezzò il cuore di Gregori. Mentre lui continuava a massaggiarla, cominciò a tremare. «Potrebbe essere, detective. A volte ha ricevuto qualche lettera da certi fan un po’ perversi. Peter e Roland, la guardia del corpo, la proteggevano da tutti questi spiacevoli inconvenienti. Ma se avesse ricevuto qualche lettera minatoria nel corso di questo tour, Peter mi avrebbe di sicuro informato subito». Johnson era certo che Gregori fosse il tipo d’uomo coinvolto in ogni aspetto della vita della propria moglie. «Le viene in mente qualche incidente? Qualcosa che le è rimasto impresso?». Savannah scosse la testa. «Qualcosa di strano, magari un rumore inaspettato che ha sentito quella notte?». Subito Savannah pensò alla malvagia risata del vampiro. «Mia moglie è molto scossa, detective, e dobbiamo ancora occuparci del funerale di Peter. Il resto della compagnia ci sta aspettando, oltretutto». «Anche i giornalisti». Negli occhi argentei di Gregori balenò un lampo di avvertimento. «Savannah non parlerà con i giornalisti. Per lei è già abbastanza difficile così».
Johnson annuì. «Proveremo a farvi sgattaiolare fuori dal retro. Quella gente è accampata fuori dalla centrale sin da quando abbiamo identificato il corpo». Savannah trasalì visibilmente. «Piranha», osservò Gregori. «Sono come vampiri», concordò Johnson. Non si accorse del tremito che scosse Savannah. «Una volta che affondano i denti in una storia, non la mollano più. Uno in particolare, un tipo che viene da fuori, ci sta facendo impazzire. Già lo abbiamo beccato una volta a ficcare il naso tra i nostri file per cercare di scoprire qualcosa. Ha anche provato a corrompere qualcuno degli assistenti del medico legale per avere maggiori informazioni». Il detective non si rese conto che si stava facendo sfuggire dettagli che avrebbe fatto meglio a tenere per sé, ma sembrava che non riuscisse a trattenersi. Le parole gli uscivano dalla bocca come l’acqua fuoriesce da un bicchiere colmo fino all’orlo. Gregori alzò la testa e i capelli scuri gli ricaddero sulla fronte. Tutt’a un tratto assunse l’aspetto del predatore, cupo e minaccioso. A Johnson cominciò a battere forte il cuore e il detective avrebbe potuto giurare di aver visto per un attimo un lampo rosso illuminare quegli occhi argentei. Gregori aveva l’aria di una bestia che non ha ancora sfoderato gli artigli, ma che fissa, immobile, la sua preda, aspettando. Johnson tremò, poi sbatté le palpebre. Quando gli rivolse nuovamente uno sguardo, la faccia di quell’uomo gli apparve impassibile come sempre: i suoi occhi si limitavano a riflettere la faccia del detective. C’era una certa, mascolina bellezza in quel volto crudele e severo. Johnson scosse la testa per scacciare dalla propria mente l’immagine di un lupo aggressivo. «Come si chiama questo giornalista, detective?» «Non posso divulgare quest’informazione», replicò Johnson, prudente. C’era qualcosa che non lo lasciava tranquillo, non voleva assumersi la responsabilità di mandare un cronista all’ospedale. Non aveva dubbi in merito: chiunque si fosse ritrovato ad avere a che fare con Gregori ne avrebbe patito le conseguenze. Gregori gli sorrise e i suoi candidi denti brillarono. Continuava a
fissare David Johnson, che lo guardava a sua volta, stanco. Quegli occhi divennero all’improvviso due pozze argentee. A Johnson, incapace di distogliere lo sguardo, sembrò di venirne risucchiato. Gregori si fece strada nella mente del detective, ne abbatté le insufficienti barriere e ne esplorò i ricordi. Soddisfatto di aver individuato ciò che cercava, eliminò dalla memoria del poliziotto qualsiasi traccia della conversazione sul giornalista e vi impiantò la convinzione che Savannah e Gregori avevano collaborato, pur non avendo assolutamente nulla a che fare con la morte di Peter Sanders. Johnson sbatté le palpebre e si ritrovò in piedi, a stringere la mano di Gregori e a sorridere comprensivo a Savannah. La stazza di Gregori, mentre le cingeva le spalle con aria protettiva, faceva apparire quella ragazza ancor più minuscola. Savannah rivolse a Johnson un debole sorriso. «Spero che avremo la possibilità di incontrarci in un contesto più lieto, detective». «David», la corresse lui, facendo del suo meglio per non restare imbambolato a guardarla. Gregori spinse Savannah fuori dall’ufficio. «La ringrazio di aver avuto riguardo per i sentimenti di mia moglie». Johnson fece strada attraverso un labirinto di stanze fino alle scale che conducevano alla porta sul retro. «Se credete che sia necessario, posso dire a un paio dei miei uomini di tenere d’occhio la signora Dubrinsky per qualche giorno». «Grazie, detective, ma non ce n’è bisogno». Gregori declinò gentilmente la proposta, ma nella sua voce vellutata si nascondeva una punta di minaccia. Cinse con un braccio le spalle di Savannah. «Penserò io a proteggerla». Le scale erano strette e polverose, con la moquette strappata in diversi punti. Gregori e Savannah scesero i gradini in perfetta sincronia, come se fossero una coppia di ballerini. Gregori la bloccò prima che lei potesse aprire la porta esterna. «C’è qualcuno là fuori». Savannah osservò la smorfia crudele che gli si era dipinta sul volto. «Non sappiamo di chi si tratta, Gregori», lo avvisò a bassa voce. «Sarà un gioco da ragazzi scoprirlo», le rispose lui. «Quel
giornalista è pericoloso, Savannah. Non si tratta di un semplice cronista molesto». «Hai letto nel pensiero del detective e hai esaminato i suoi ricordi, vero?». Savannah lo afferrò per un polso, fissandolo con quei suoi enormi occhi blu. Gregori non negò. Non finse di esserne pentito. «Certo». «Gregori», disse lei, «hai di nuovo quell’espressione». Lui inarcò un sopracciglio. «Che espressione?» «Quella di quando sei affamato e ti sei appena procurato da mangiare». Gregori le sorrise, ma nei suoi occhi non c’era calore. «Stai molto attenta con questo tipo, Savannah. Non ti lascerà andar via facilmente». Lei scrollò le spalle. «Be’, diamogli quello che vuole, così ci lascerà in pace». Temeva di sapere ciò che Gregori aveva in mente. Se non fosse riuscito a controllare quel giornalista e questi fosse diventato una minaccia per la loro specie, non avrebbe avuto altra scelta che distruggerlo. Savannah avrebbe voluto convivere pacificamente con gli umani e non riusciva a sopportare l’idea di un altro inutile spargimento di sangue. «Proviamo a fare come dici tu», concesse Gregori, seppure con lo stomaco sottosopra. Perché continuava ad accontentarla in quelle stupidaggini? Gli occhi di Savannah, grandi e tristi, avevano sempre la meglio sul suo buonsenso. Lei gli poggiò un dito sulle labbra, seguendone il profilo, fino a fargli spuntare un sorriso, poi lui glielo lambì con la lingua, una lenta ed erotica carezza. Gregori sentiva continuamente la necessità di quel tipo di contatto. Savannah era così giovane, eppure era riuscita ad allontanare lo squallore della vita che lui aveva a lungo condotto. Come poteva comprendere il suo bisogno di assicurarsi che una tale desolazione non la toccasse mai? Savannah sorrise, un piccolo sorriso misterioso, e Gregori pensò che non sarebbe mai riuscito a comprenderlo. Conosceva la terra, il vento, le onde, il fuoco, l’aria e persino lo spazio. Gli elementi della
natura rispondevano ai suoi ordini, ma Savannah no. Savannah gli sfuggiva. Perché gli importava tanto che lei lo capisse? Non era forse la sua incolumità la cosa più importante al mondo? Savannah sentì un fremito di eccitazione correrle lungo la schiena. Gregori aveva un immenso potere su di lei. Non appena lui lasciò andare il dito che aveva tenuto nell’umida caverna della sua bocca, lei gli si appoggiò, facendogli scivolare la mano sul collo e poi abbandonandola sul petto. «Credo che dovresti essere considerato un fuorilegge, Gregori. Per le donne sei letale». La voce di Savannah gli sfiorò la pelle, come una carezza. «Solo per una donna», le rispose lui, guardandola con quei suoi occhi intensi. Si impossessò della sua mano; doveva farlo, altrimenti sarebbe andato a fuoco. Portandosela alla bocca, sospirò e cominciò a tempestarla di baci sul dorso, sul palmo, sulle dita. «Cerchiamo di farla finita, piccola mia, prima che cambi idea e trasformi questo giornalista in una statua di pietra». Savannah sgranò gli occhi: le si era spezzato il fiato. «Puoi fare davvero una cosa del genere?». Lo stava fissando con uno sguardo a metà tra il timore reverenziale e la paura, e in più con una punta d’orgoglio. Gregori rimase completamente impassibile, i suoi argentei occhi si limitarono a restituirle la sua immagine. «Io posso fare qualsiasi cosa. Pensavo che lo sapessero tutti i membri della nostra specie». Savannah osservò i suoi lineamenti, nel tentativo di scoprire se la stava prendendo in giro. Quando si accorse che non sarebbe riuscita a capirlo, si girò e aprì la porta. Quasi subito un uomo le si piazzò davanti e la abbagliò con un flash. Sbattendo le palpebre per via del dolore causato dalla luce accecante puntata dritta contro i suoi occhi tanto sensibili, Savannah alzò d’istinto una mano per coprirsi il volto. Gregori la fece girare, in modo che nascondesse il viso contro il suo petto. Sei stata tu a
insistere perché lo facessimo. Non dire «te l’avevo detto!».
La risatina di Gregori alleviò le fitte agli occhi, ma lui mantenne un’espressione dura e minacciosa e affrontò il giornalista e il suo
fotografo. «Andatevene!», intimò loro a voce bassa. Il giornalista fu cauto. Fece un passo indietro e buttò fuori l’aria dai polmoni. «Wade Carter, giornalista freelance. Seguo la signora Dubrinsky da un po’ di tempo e vorrei farle un’intervista». «Si metta in contatto con il suo ufficio stampa». Gregori prese a camminare, tenendo sempre il braccio sulle spalle di Savannah, protettivo. Il giornalista fu costretto a farlo passare; non avrebbe mai osato sfidare quel tale. Gregori sembrava un predatore. Una nera, minacciosa, macchina di morte. Pericolosa. Stava mostrando a quel cronista la sua vera natura, senza alcuna esitazione. Carter imprecò fra sé, ma dal suo viso traspariva l’eccitazione. «In giro si dice che lei sia suo marito, è vero?» «Non vedo perché dovrei negarlo». Gregori continuò a procedere, cingendo sempre Savannah con il forte e muscoloso braccio, in modo da nasconderla allo sguardo indagatore dell’altro uomo. Lanciò un’occhiataccia al fotografo che si stava preparando a scattare un’altra foto. «Una è abbastanza. Fanne un’altra e ti strappo la macchina fotografica dal collo. Con la forza. E non te la restituisco. Chiaro?». L’uomo abbassò subito la macchina, impallidendo. Il tono di voce di Gregori era basso e sommesso, persino gentile, ma così minaccioso che il fotografo, ormai veterano di tanti alterchi, preferì la prudenza. «Sì, signore», mormorò, senza guardare in faccia Carter. «Quindi non nega che siete sposati. È vero che tutti e due venite dai Carpazi?». Carter sembrava impaziente. «Be’, è una regione piuttosto grande», rispose Gregori vago, facendo segno all’autista di aprire la portiera della limousine. Carter fece uno scatto in avanti. «Peter Sanders conosceva i segreti delle sue magie, Savannah?». Il tono era accusatorio, aggressivo. «Nessuno degli altri componenti della compagnia ne era al corrente e la morte del suo assistente potrebbe esserle risultata conveniente, qualora lei avesse qualcosa da nascondere». Nonostante il braccio di Gregori le impedisse i movimenti, Savannah alzò la testa per affrontare il giornalista. I suoi occhi blu
mandarono pericolosi bagliori. «Come osa? Peter Sanders era un mio amico». Carter si avvicinò ancora di più. «Lei ha molti segreti che non hanno niente a che fare con lo spettacolo di magia, vero Savannah?» «Cosa vuole insinuare?». Negli occhi argentei di Gregori passò un lampo. La sua mente è
schermata. Potrei abbatterne le barriere, ma è complicato e lui potrebbe accorgersene, così come se ne accorgerebbe chi lo ha aiutato a proteggersi. Questo tipo è molto pericoloso per te, amore mio. Non metterti a discutere con lui. Dobbiamo lasciare questo posto. Lo andremo a trovare un’altra volta. Quest’uomo non mi spaventa. Dovrebbe. È uno degli scagnozzi umani dei vampiri e ti ha individuato. Quella dannata foschia in cui ti dissolvi. Julian non ne ha mai capito bene il funzionamento. «Credo che lei sappia a cosa mi riferisco. Peter Sanders aveva scoperto alcuni dei suoi trucchi e lei lo ha ucciso». Savannah scosse la testa. «Mi dispiace per lei, signor Carter. Non dev’essere piacevole vivere accusando la gente di aver commesso dei crimini per trovare una storia sensazionale da raccontare. Non avrà molti amici». Si infilò nella buia limousine, all’interno della quale si sentì al sicuro. «Non si libererà di me tanto facilmente», ghignò Carter, chinandosi per cercare di catturare un’ultima occhiata di Savannah. Gregori gli si avvicinò, emanava potere da ogni poro. Sorrise al giornalista, mostrandogli i denti bianchissimi. I suoi occhi del colore dell’argento riflettevano in ogni dettaglio l’immagine di Carter, vivida e distinta. Ma si trattava di una scena di morte: il suo corpo ferito e sanguinante era abbandonato a terra, floscio come una bambola di pezza. Gregori catturò lo sguardo di Carter. «Neanche lei si libererà tanto facilmente di me, signor Carter», disse, una minaccia nera come il velluto. Wade Carter si sentì cedere le ginocchia per la paura. Si fece il segno della croce, poi con la mano destra andò in cerca del ciondolo
d’argento che portava al collo. Una risata bassa e inquietante gli risuonò nella mente. Non smise nemmeno quando quell’uomo alto ed elegante scivolò dentro l’auto, al fianco di Savannah. Carter scosse ripetutamente il capo, cercando di scacciare quel suono minaccioso dalla sua testa. Lanciò un’occhiata in direzione della limousine che si allontanava, poi si coprì le orecchie con le mani. Non aveva alcuna prova che Savannah Dubrinsky fosse un vampiro, era solo una sensazione. Le cose che faceva sul palco erano impossibili. Nessun altro mago aveva mai portato a compimento qualcosa di simile. Quella ragazza era così giovane; come aveva fatto a imparare dei trucchi che non riuscivano nemmeno ai suoi colleghi più adulti? L’aveva seguita per tutto il tour, cercando senza successo di corrompere qualcuno dei suoi assistenti. Tutti dicevano di non sapere nulla. Ogni volta che aveva tentato di intrufolarsi per osservare i suoi attrezzi del mestiere e studiare le sue tecniche, qualcosa era andato storto. Era inquietante. Carter non credeva nelle coincidenze. Forse aveva sbagliato una volta o due, ma per il resto i suoi tentativi erano stati scrupolosi. Era un professionista; i suoi soci erano dei professionisti. Nessuno, né tra i membri della compagnia né tra gli uomini della sicurezza, era altrettanto in gamba. C’era puzza di imbroglio e lui aveva intenzione di andare fino in fondo. La polizia poteva credere a tutte le storielle che voleva, ma la morte di Peter Sanders, onestamente, puzzava. Tutti gli autisti dei camion e gli operai avevano fornito un’identica versione dei fatti. Ma due testimoni non dicono mai precisamente la stessa cosa. I dettagli sono sempre diversi. E non poteva trattarsi di un complotto; le persone che aveva interrogato nemmeno si conoscevano. Quindi doveva esserci qualcos’altro. Qualcosa come dei ricordi impiantati nella testa della gente… una cosa che solo i vampiri avrebbero potuto fare. Savannah all’improvviso aveva un marito che nessuno conosceva. E quel tale non era certo un uomo qualunque, che sarebbe potuto passare inosservato. Il marito di Savannah era tenebroso e minaccioso. Un killer. Wade Carter era certo che si trattasse di un vampiro. Un vero vampiro. Si sedette sui gradini, il cuore gli martellava nel petto. Aveva scoperto la verità. E la verità lo spaventava da morire. Avrebbe dovuto dire agli altri di raggiungerlo.
Che opportunità! Era stato lui a trovarli. O a trovare lui. In tutta onestà non sarebbe riuscito a stabilire se anche Savannah Dubrinsky era un vampiro, ma le sue ricerche non gli permettevano di escluderne la possibilità. Sarebbe diventato famoso. Molto, molto famoso. E ricco. Molto, molto ricco. «Sa di noi», disse Gregori. «Quel tale non è un vero giornalista. È uno di loro». «Chi sono loro?». Savannah si scostò i capelli dal volto: all’improvviso si sentiva stanca e prossima alle lacrime. Peter. Era tutta colpa sua. Non avrebbe mai dovuto permettergli di starle tanto vicino, non avrebbe mai dovuto esporlo al pericolo. Era stata troppo ingenua. Il suo era sempre stato un mondo di amore sconfinato. I suoi genitori la amavano e la proteggevano. Durante l’adolescenza, il suo lupo – no, il suo compagno per la vita – non le aveva mai mostrato altro che incondizionata dedizione. Non avevano mai permesso che qualcuno dei pericoli che loro avevano corso o delle sofferenze che avevano patito la sfiorasse. Lanciò un’occhiata a Gregori: l’espressione impassibile, i lineamenti scolpiti sul suo bel viso. Lo sguardo era gelido e distante. Quell’uomo era stato testimone di troppi orrori nel corso della propria vita e immaginava chiaramente tutto quello che sarebbe potuto accadere. Lo aveva visto con i suoi occhi. «Chi sono loro, Gregori?», gli chiese di nuovo. Gli occhi chiari di lui le si posarono sul volto e si soffermarono sulla bocca carnosa, lasciandosi dietro uno strano calore. «C’è una ristretta cerchia di umani che crede nei vampiri e si occupa di dar loro la caccia. Nonostante siano ossessionati dai non-morti – nel corso dei secoli hanno addirittura fondato alcune società segrete per coltivare insieme questa depravata passione – non riconoscono le differenze che esistono tra carpaziani e vampiri. Secondo loro, siamo la stessa cosa e dobbiamo essere ugualmente sterminati. Forse è un bene che non capiscano di aver a che fare con due diverse entità». «Da che cosa è spinta questa gente? Hanno le prove che i vampiri esistono per davvero?». Credere che fosse così era quasi impossibile: i cacciatori di rinnegati carpaziani distruggevano con la massima attenzione ogni testimonianza dell’esistenza dei traditori.
«Niente di concreto. Ma miti, storie e leggende hanno fatto sì che gli umani si ponessero delle domande. E poi alcuni dei vampiri più in gamba hanno fatto anche apparizioni in società prima di essere uccisi». «Già», fece Savannah. Conosceva la storia. Nel Medioevo e nei secoli immediatamente successivi, i non-morti si divertivano un sacco e vivevano tranquilli in mezzo agli umani, le loro stesse prede. C’era voluto un grande sforzo collettivo per sterminarli prima che potessero far svanire ogni possibilità di pacifica convivenza tra le due specie, gli umani e i carpaziani. Da quando i più famosi cacciatori carpaziani, Gabriel e Lucien, erano scomparsi, era toccato a Mikhail, Gregori, Aidan e altri antichi come loro dare la caccia a coloro che si erano trasformati in vampiri. Insieme avevano protetto le loro donne e avevano preso le dovute precauzioni affinché tanto i vampiri quanto i carpaziani rimanessero per gli umani un prodotto dell’immaginazione, materiale per leggende, racconti e pellicole cinematografiche. La campagna di rimozione di ogni ricordo era stata portata a termine con successo, anche se evidentemente doveva esserci stata qualche defaillance. «Qualche anno fa, prima che tu nascessi, alcuni umani hanno fondato una società segreta con lo scopo di scoprire e sterminare i vampiri, quel genere di vampiri di cui si legge nei romanzi da quattro soldi. Noi carpaziani credevamo che questa gente non costituisse una vera minaccia. Nessuno di noi si aspettava che ricominciassero le persecuzioni dei vampiri cui avevamo assistito tanti secoli fa, in Europa». Dalla sua voce piatta non traspariva alcuna nota di dolore, niente che inducesse a credere che Gregori stava pensando a quando aveva ritrovato il corpo senza vita di sua madre, eppure Savannah lo sapeva, ne era sicura, come se fosse stato lui stesso a confessarglielo. «La prima volta che sono venuti allo scoperto per uccidere, la loro vittima è stata tua zia Noelle. Stavano per far fuori un’altra donna, ma tua madre, che era ancora umana, ha mostrato grande coraggio e l’ha salvata. La società segreta ha quindi fatto di Raven e di tuo padre, il principe del nostro popolo, il suo nuovo obiettivo. A un certo punto pensavamo di aver scongiurato la minaccia, ma pochi anni dopo la setta è tornata a colpire. Quegli umani hanno ucciso
diversi membri della nostra gente nonché alcuni loro simili. Il figlio di Noelle è stato ammazzato e tuo zio Jacques torturato fino a impazzire. Hanno anche attaccato una seconda volta Raven, che era incinta di te ed è stata sul punto di perderti». Savannah si allungò e gli posò una mano sul braccio, ma badò comunque a tenere per sé la propria compassione, perché non voleva che Gregori capisse con quale facilità fosse riuscita a scivolare dentro la sua mente e ad accedere ai suoi ricordi. Stava diventando piuttosto brava a leggergli nel pensiero. Gregori le prese la mano, meravigliandosi del fatto che una cosa tanto piccola potesse procuragli tutto quel piacere. Il semplice tocco sul braccio e le dita chiuse intorno al polso lo avevano profondamente intenerito, gli avevano dato conforto e sicurezza. Se ne stupì. Se prima certi ricordi lo spingevano a cercare l’incoscienza, lo inducevano a isolarsi in modo da poterli affrontare senza un tremito, senza che la bestia che gli ruggiva dentro lo sopraffacesse, adesso gli bastava quella piccola mano per alleviare la sua furia e la sua ira. Tracciò con aria assente un incantesimo protettivo sul palmo di Savannah, appena consapevole di quello che stava facendo. Persino il suo inconscio voleva assicurarsi che lei fosse al sicuro. Il modo in cui Gregori la toccava faceva scorrere il fuoco nelle sue vene e Savannah si mordicchiò il labbro. «Stai dicendo che quel giornalista… Cosa pensi che sappia quel tale?», gli chiese, incalzandolo dolcemente. Non voleva che Gregori smettesse di tenerle la mano e di tracciarle sul palmo quegli strani disegni che le davano sollievo. Desiderava però che i terribili ricordi che lo attanagliavano nella loro morsa lo lasciassero in pace, lo restituissero a lei. Gli sorrise, fissandolo con quei suoi grandi occhi blu. «Di certo non sa nulla». Negli occhi di Gregori passò un lampo un po’ maligno. «Almeno per quanto riguarda te». «E per quanto riguarda te?», gli domandò lei. «Gregori, tu non devi proteggermi concentrando le attenzioni su di te. Siamo una squadra, no? Qualsiasi cosa accada a te, accadrebbe anche a me». Lui distolse lo sguardo da lei, fissando fuori dal finestrino. Le teneva ancora stretta la mano. «Non è così», le rispose, prudente.
«Che stai dicendo, Gregori? Siamo compagni per la vita, nessuno dei due sopravvivrebbe alla morte dell’altro. Magari non so tutto quello che c’è da sapere sui compagni per la vita, ma di questo sono sicura». «Normalmente è vero, piccola mia. E normalmente un cacciatore che trova la propria compagna per la vita smette di andare a caccia. Eppure Aidan Savage deve continuare perché vive in un posto in cui non ci sono molti altri cacciatori. I cacciatori corrono un pericolo maggiore rispetto al resto dei carpaziani, e per questo motivo, per non mettere a repentaglio anche la vita delle loro donne, passano le consegne ad altri uomini. Aidan Savage non ha potuto permettersi un simile lusso». E nemmeno io. «E tu? Tu hai intenzione di smettere di andare a caccia?», gli chiese lei, pur conoscendo già la risposta. «Sai che non posso», le rispose lui, dolce e gentile. «Io sono la tua compagna per la vita, Gregori». La voce le tremava appena. «Tu devi andare a caccia, perché sei il miglior cacciatore sulla piazza e la nostra gente ha bisogno di te. Ma se dovesse accaderti qualcosa, io ti seguirò». Gregori continuò ad accarezzarle il polso, indugiando in corrispondenza della vena. Il cuore le batteva forte. «Sarebbe disonesto da parte mia lasciarti credere che io abbia una così nobile motivazione. Il fatto è che io sono andato a caccia per secoli e non conosco altro stile di vita». Il suo volto rimase impassibile, ma in realtà stava trattenendo il respiro. Un piccolo sorriso le curvò gli angoli della bocca perfetta. «Se preferisci pensare questo di te stesso, Gregori, per me non c’è alcun problema. Sei un uomo particolarmente arrogante; non hai bisogno che io ti faccia i complimenti. Ma forse posso fare qualcosa per insegnarti un altro stile di vita. Nel frattempo, ti suggerisco di insegnarmi quello dei vampiri, in modo che sembri che stiamo dando loro la caccia. E ricordati anche che sei il più bravo guaritore del nostro popolo. È incontestabile». «Sono anche il killer più bravo. Pure questo è incontestabile». Provò a metterla di nuovo davanti alla verità.
Savannah gli toccò le labbra, atteggiate a una smorfia dura. «Allora verrò a cacciare con te, visto che sei il mio compagno per la vita». Gregori ebbe un sussulto. Il sorriso di Savannah era così misterioso, riservato e bello da spezzargli il cuore. «Cosa c’è dietro quel sorriso, bambina?». Le mise una mano sul collo e con il pollice le sfiorò la bocca. «Pensi che non te lo permetterò?». Scivolò nella sua mente, un contatto sensuale, il massimo dell’intimità, un rapporto ancor più profondo di quello che si creava quando la baciava o quando la possedeva. Savannah si era abituata a quella presenza. Sapeva che Gregori avrebbe cercato di essere il meno invadente possibile. Le aveva permesso di stabilire dei confini e non valicava mai le barriere che lei aveva eretto, anche se per lui sarebbe stato semplicissimo oltrepassarle. Entrambi, tanto Savannah quanto Gregori, avevano bisogno dell’intima unione delle loro menti, fuse l’una nell’altra. Le notizie che lei aveva appreso su di lui erano quindi al sicuro, protette dalla barricata in miniatura che lei aveva precipitosamente eretto. Spaurita e innocente: ecco come Savannah appariva a Gregori. Lui le passò il pollice sulle labbra, rimanendo quasi ipnotizzato dalla loro perfezione. «Tu non andrai mai a caccia di vampiri, mia cara, mai. E se dovessi beccarti a provarci, ti farò patire le pene dell’inferno». Savannah non sembrava spaventata. Piuttosto, nei suoi profondi occhi blu, si intravedeva una punta di divertimento. «Mi stai forse minacciando, tenebroso, uomo nero tra i carpaziani?». Si mise a ridacchiare e quel suono, leggero come una piuma, fece correre un tremito lungo la schiena di Gregori e in qualche modo riuscì a scacciare il dolore che lui provava per il compito che adempiva da secoli. «Togliti quell’espressione seria dal volto, Gregori… non hai ancora perso del tutto la tua reputazione. Sono tutti terrorizzati dal lupo cattivo». Lui inarcò le sopracciglia. Savannah stava scherzando. Sulla sua reputazione, su un sacco di cose. Il suo sguardo era limpido e luminoso, appena un po’ malizioso. Non stava maledicendo il suo destino, quello di essere legata a un mostro come lui. Era piena di
vita e di gioia e stava ridendo. Gregori glielo leggeva nel pensiero, nel cuore, nel profondo dell’anima. Desiderava riuscire in qualche modo a contagiarlo, a renderlo un compagno per la vita più compatibile con lei. «Sei tu l’unica che dovrebbe preoccuparsi del lupo cattivo, amore mio», la minacciò lui con finta serietà. Savannah gli si fece più vicina per guardarlo dritto negli occhi, mentre sulle labbra le spuntava un sorriso. «Ti stai sforzando di scherzare. Facciamo progressi. Be’, siamo quasi amici, adesso». «Quasi?», ripeté lui in tono gentile. «Ce la stiamo facendo», replicò lei decisa, sfidandolo a contraddirla. «Si può essere amici di un mostro?», fece lui con aria distratta, come se stesse semplicemente riflettendo ad alta voce. Il suo sguardo si incupì. «Sono stata infantile, Gregori, quando ti ho accusato di essere un mostro», rispose lei, guardandolo dritto negli occhi. «Io volevo vivere la mia vita, senza doverne rendere conto a nessuno. Ma era un desiderio sconsiderato, non adatto a me. E poi avevo paura. Adesso però ho capito che stavo sbagliando e ti chiedo scusa…». «Non farlo!», la interruppe Gregori, brusco. «Mio Dio, cara, non devi mai scusarti con me per aver avuto paura. Non me lo merito, e lo sappiamo entrambi». Le passò di nuovo il pollice sulle morbide labbra. «E non cercare di fare la temeraria. Io sono il tuo compagno per la vita e non puoi certo nascondermi una sensazione così intensa come la paura». «La trepidazione», lo corresse lei, mordicchiandogli il polpastrello. «E quale sarebbe la differenza?». I suoi occhi chiari erano ridivenuti liquidi. Altrettanto velocemente Savannah si sentì sciogliere per l’eccitazione. «Lo sai bene qual è». Lei rise di nuovo e questa volta il suono della sua risata gli trafisse il cuore e gli provocò un intenso dolore, che ormai conosceva bene, all’inguine. «Sottile, forse, ma molto importante». «Cercherò di renderti felice, Savannah», le promise Gregori, serio.
Lei gli passò una mano fra i folti capelli che gli ricadevano sul viso. «Tu sei il mio compagno per la vita, Gregori. Non ho alcun dubbio sul fatto che saprai farmi felice». Gregori dovette distogliere lo sguardo e si ritrovò a fissare il buio della notte oltre il finestrino. Savannah era così dolce, così bella e lui invece era malvagio, la sua bontà d’animo era svanita insieme alle vite di coloro che aveva ucciso mentre aspettava la sua donna. Ma ora che si trovava faccia a faccia con lei, Gregori non poteva sopportare che la sua donna fosse testimone dello squallore che attanagliava la sua anima. Oltre ad aver ucciso e ad aver infranto la legge, aveva commesso il crimine più grave di tutti. E per questo meritava la peggiore delle pene, doveva pagare con la propria vita. Aveva intenzionalmente modificato il naturale corso degli eventi. Sapeva di essere abbastanza potente, sapeva che la sua sapienza andava al di là dei confini della legge carpaziana. Si era impossessato del libero arbitrio di Savannah, aveva manipolato la chimica che sarebbe scattata fra loro, in modo tale che lei credesse di essere la sua vera compagna per la vita. E adesso lei era lì accanto a lui – meno di un quarto di secolo di innocenza contro migliaia di anni di duro lavoro – e forse era quella la sua punizione, rifletté, ovvero essere condannato a sapere che Savannah non l’avrebbe mai amato davvero, che non avrebbe mai accettato le tenebre della sua anima. Che lei gli sarebbe stata accanto, pur rimanendo anni luce distante da lui. Se Savannah avesse scoperto la gravità del suo gesto, di certo lo avrebbe disprezzato. Ma Gregori non poteva assolutamente permettersi di perderla. In quel caso, mortali e immortali non sarebbero stati più al sicuro. La sua mascella si indurì e lui continuò a guardare fuori dal finestrino, dandole le spalle. Smise di leggerle nel pensiero: non voleva che lei percepisse il terribile crimine che lui aveva commesso. Gregori avrebbe potuto sopportare torture di vario genere e secoli di isolamento, avrebbe potuto tollerare persino il peso dei suoi stessi peccati, ma non l’odio di Savannah. Inconsapevolmente, le prese la mano e gliela strinse così forte da rischiare di spezzarle le fragili ossa. Savannah gli lanciò un’occhiata, buttò fuori l’aria piano per non
trasalire e lasciò la propria mano fra le sue. Gregori pensava che la sua mente fosse schermata. Non credeva che Savannah fosse la sua vera compagna per la vita. Piuttosto era fermamente convinto di aver manipolato in maniera scorretta la loro unione ed era certo che ci fosse da qualche parte un altro maschio carpaziano che la stava aspettando. Sebbene le avesse offerto di accedere ai suoi pensieri, sebbene lui stesso le avesse conferito il potere di fondere le loro menti, sia nei panni del lupo che in quelli di colui che aveva guarito sua madre mentre era incinta di lei, probabilmente non credeva che una donna adulta, che lui non riteneva essere la sua compagna per la vita, sarebbe riuscita a scoprire i suoi più intimi segreti. Ma Savannah lo aveva fatto. E il completamento dell’antico rituale aveva reso ancora più forte il loro legame.
Capitolo 8 Le ceneri di Peter Sanders furono sepolte in un angolo del giardino della villa che Gregori aveva costruito mentre aspettava che Savannah arrivasse a San Francisco. La compagnia di Savannah e il detective David Johnson presero parte al rito funebre, tuttavia ai partecipanti fu chiesto di non rivelare alla stampa l’effettiva ubicazione della casa, che si trovava un po’ fuori dalla città. Tra i giornalisti si presentò solo Wade Carter, che aveva seguito uno dei membri della compagnia, ma non gli fu permesso di varcare i cancelli. Il suo fotografo si era rifiutato di accompagnarlo; c’era qualcosa nel marito di Savannah Dubrinsky che lo spaventava a morte. Wade era quindi rimasto con una sgradevole sensazione addosso e un’ingombrante macchina fotografica appesa al collo. La proprietà era recintata e un branco di lupi si aggirava libero per il giardino. Gregori sosteneva Savannah cingendole la vita con un braccio e lei parlò tranquillamente alla compagnia, ringraziandola per aver presenziato al rito, e annunciò il proprio ritiro dalle scene. Quando se ne andarono, i suoi collaboratori furono tutti omaggiati di una busta contenente una considerevole gratifica in denaro. Gregori si soffermò a parlare qualche minuto con Johnson. Il poliziotto, una volta capito che non avrebbe ottenuto ulteriori informazioni, lasciò la villa. Savannah rimase un po’ accanto alla tomba, osservando la bellissima lapide di marmo che Gregori aveva disegnato per Peter. Le lacrime che le riempirono gli occhi erano dovute tanto alla sofferenza per la perdita di un caro amico quanto alla commozione per la premura che Gregori aveva dimostrato nei suoi confronti. Aveva fatto in modo che Peter rimanesse vicino a loro e aveva reso quella giornata il meno dolorosa possibile, per quanto lo consentissero le circostanze. Savannah si stava girando per tornare verso casa, quando i lupi sollevarono il capo e cominciarono a ululare. Gregori si voltò di scatto e le afferrò il braccio, tirandola a sé. «Credo che sia Aidan
Savage», mormorò. «Dobbiamo andare dentro, in modo che Carter non abbia alcuna possibilità di vederlo. Non è certo mia intenzione spingere degli assassini a bussare alla porta di Aidan». Sussurrò un comando ai lupi e si affrettò insieme a Savannah verso la villa. «Pensavo che avessi reso sicuro questo posto», disse lei. «Sarebbe stato troppo pericoloso, visto che aspettavamo la compagnia e il detective per il funerale. Qualcuno avrebbe potuto allontanarsi e farsi male». Le passò teneramente una mano tra i capelli. «Lo so che sei stanca. Dovresti riposarti per un’oretta. Ci siamo svegliati troppo presto». Savannah gli si strinse al petto e lesse nella sua mente il rimorso. «Non è stata colpa tua Gregori, non lo è stata affatto. Io non ti ho mai accusato di essere responsabile della morte di Peter». Lui le accarezzò la folta chioma. «Lo so che non l’hai fatto». La sua attenzione era stata catturata dal fruscio del vento, che di solito annunciava l’arrivo di un membro del loro popolo. «Ma se io non fossi stato sopraffatto dal desiderio fisico di te», si autocondannò, «mi sarei accorto che quel vampiro ti stava puntando, nel buio della notte. Avevo sciolto Julian dalle sue responsabilità, dovevo essere io a prendermi cura di te». «Devi sempre essere così duro con te stesso?», gli chiese lei, sospirando. «Non sei responsabile delle sorti di tutti i carpaziani e di tutti gli umani. Se c’è qualcuno che deve addossarsi la colpa per l’accaduto, quella sono io: non dovevo insistere per ottenere un po’ di libertà. Mi sono comportata in maniera sconsiderata, non ho capito quello che stavo facendo a te e a tutti i maschi liberi della nostra razza. Mentre fuggivo da me stessa e dalla nostra relazione, non mi sono mai soffermata a pensare quanto stavi soffrendo. Di certo non credevo che Peter fosse in pericolo. Avrei dovuto considerare quest’ipotesi. Dovevo immaginare di essere una preda appetibile». Gregori le circondò la vita con un braccio, stringendola a sé per consolarla. «Non hai fatto niente di sbagliato, cara», le disse, forte di un’incrollabile certezza. Nel frattempo continuò a condurla verso la villa, dove sarebbe stata al sicuro.
All’improvviso, tra gli alberi, apparve un arcobaleno luminoso. Gregori scrollò il capo, mentre la luce cominciava a farsi materia e ad acquisire sembianze umane. «Sei sempre stato uno spaccone, Aidan», salutò il suo ospite, con un tono di voce inespressivo come al solito. «Andiamo dentro». Savannah, sfiorandogli la mente, si accorse che Gregori nutriva un profondo affetto per quel tipo. Lei aveva sentito parlare di Aidan Savage, il cacciatore di vampiri, ma sapeva che aveva lasciato i Carpazi una cinquantina d’anni prima della sua nascita per stabilirsi negli Stati Uniti. Era uno dei pochi ad avere la stessa stazza di Gregori: alto, come tutti i carpaziani maschi, ma più robusto e muscoloso degli altri. Al posto dei caratteristici capelli scuri che contraddistinguevano gli appartenenti alla loro razza, Aidan aveva una lunga e folta chioma bionda e i suoi occhi erano del colore dell’ambra, scintillanti e illuminati da mille pagliuzze dorate. Il gemello di quell’uomo l’aveva protetta nel corso degli ultimi cinque anni. Aidan aveva un aspetto imponente, e lo stesso avrebbe dovuto valere per il fratello, eppure Savannah non si era mai accorta della sua presenza. Come aveva fatto Julian a starsene nascosto, nonostante la sicurezza di sé che trasudavano tutti i maschi carpaziani, nonostante il potere e l’autorità dovuti a secoli di caccia e di studio? Gregori spostò il braccio e, anziché circondarle la vita, glielo mise intorno alle spalle, un gesto virile che indicava che Savannah gli apparteneva. Lei rise fra sé e sé. I maschi carpaziani non erano poi così diversi dagli altri.
Ti ho sentito, amore mio. Gregori le sfiorò con delicatezza la
mente, una lenta carezza che le provocò una calda sensazione allo stomaco. Sembrava che stesse scherzando, ma Savannah notò che non tolse il braccio. «Aidan, non ti aspettavamo così presto. Il sole non è ancora tramontato e non dev’essere molto piacevole viaggiare con la luce pomeridiana», osservò Gregori, una volta che furono entrati nella villa. «Mi dispiace di non aver partecipato alla funzione», replicò Aidan,
in tono sommesso. «Ma non potevo rischiare. In ogni caso, volevo che sapessi che non sei completamente sola in questo paese», aggiunse, rivolgendosi a Savannah. «Savannah, lui è Aidan Savage. È un fedele servo di tuo padre e un mio buon amico». Gregori fece le presentazioni. «Aidan, la mia compagna per la vita, Savannah». «Assomigli molto a tua madre», fece Aidan. «Grazie. Per me è un gran complimento», replicò lei, desiderando all’improvviso che Raven fosse lì. Le mancavano molto i suoi genitori. «Per me è un onore che tu sia venuto a quest’ora del pomeriggio per farmi le condoglianze. So che è un orario difficile per noi carpaziani, ma dovevo fare in modo che fosse compatibile anche con le abitudini degli amici umani di Peter». «Sei in pericolo qui, Aidan», lo avvisò Gregori. «Vorrei che tu e la tua famiglia foste al sicuro da questi killer. Sono degli umani e fanno parte della stessa società segreta alla quale abbiamo dato la caccia diversi anni fa nei Carpazi». Un’ombra apparve umani che facevano compagna per la vita. due pozze d’oro fuso. minaccioso.
sul volto di Aidan. Doveva proteggere gli parte della sua famiglia, nonché la sua I suoi occhi del colore dell’ambra divennero «Il giornalista», ringhiò, un suono gutturale e
Gregori annuì. «Stanotte cercherò di scoprire tutto il possibile sul signor Carter. Ho intenzione di portare via Savannah e condurre questo tipo e gli altri membri della setta lontano da qui, in modo tale che tu e la tua famiglia siate al sicuro». Si trovavano in casa, al riparo dai ficcanaso, eppure Gregori riusciva ad avvertire la malvagia presenza del reporter che si aggirava ancora nei paraggi della sua proprietà. «Ti ho mandato un chiaro avvertimento, Aidan», disse con una punta di biasimo, sebbene il tono della sua voce fosse sempre gentile. Aidan atteggiò la bocca a un’espressione severa. «L’ho ricevuto. Ma si tratta della mia città e della mia famiglia, Gregori. Devo essere io a preoccuparmene». Savannah alzò gli occhi al cielo. «Be’, potreste limitarvi a battervi
il petto. Probabilmente funzionerebbe».
Mostra un po’ di rispetto, le ordinò Gregori. Savannah scoppiò a ridere, poi si mise sulla punta dei piedi e fece a Gregori, che la guardava accigliato, una carezza. «Continua a sperare, amore mio, e forse un giorno qualcuno ti obbedirà». Aidan fece una smorfia, e squadrò Gregori, divertito. «Questa ragazza non assomiglia a sua madre soltanto fisicamente, vero?». Gregori sospirò. «È un tipo impossibile». Aidan rise, ignorando il lampo di avvertimento che aveva scorto negli occhi chiari di Gregori. «Credo lo siano tutte le donne». Savannah si liberò della stretta di Gregori e trovò una sedia imbottita sulla quale acciambellarsi. «Certo che siamo impossibili. È l’unico modo per non diventare pazze». «Avrei voluto portare Alexandria con me per presentartela, ma Gregori mi ha raccomandato prudenza». Aidan sembrava molto compiaciuto, come se lui fosse in grado di mettere in riga la sua donna e Gregori no. Savannah gli rivolse un sorrisetto maligno. «E che hai fatto? L’hai lasciata a dormire mentre tu correvi qui a giocare a fare l’eroe? Credo che avrà un paio di cose da dirti quando tornerai a svegliarla». Aidan ebbe il buongusto di sembrare imbarazzato. Poi si girò verso Gregori. «La tua compagna per la vita è proprio un bel tipetto, amico mio. Non ti invidio per niente». Savannah scoppiò a ridere, nient’affatto intimidita. «Gregori è pazzo di me. Non farti ingannare dalle apparenze!». «Ci credo!», concordò Aidan. «Non incoraggiare il suo spirito ribelle». Gregori cercò di sembrare serio, ma quella donna gli faceva un effetto sconvolgente. Savannah rappresentava tutto per lui, persino quando faceva la sciocchina. Dove trovava quell’oltraggioso senso dell’umorismo? Come faceva a essere sempre allegra, anche in presenza di gente che non rideva da secoli? La tempra di Gregori con lei si scioglieva come burro. Completamente. Stava molto attento a fare in modo che il suo volto restasse sempre inespressivo. Era già abbastanza grave che Savannah
sapesse di averlo in pugno. Non era il caso che se ne rendesse conto anche Aidan. «Davvero, Gregori, non c’è bisogno che sia tu a condurre questi killer lontano dalla mia città. Possiamo cercare di giungere a un accordo con loro», disse Aidan. «Julian è qui in giro. Avverto la sua presenza, anche se lui non risponde al mio richiamo». «Julian è a un passo dalla trasformazione. Non dovresti chiedergli aiuto. Più uccide, più aumenta il rischio che diventi un vampiro anche lui. Lo sai. Tuo fratello affronterà il suo destino, Aidan. E se dovesse essere necessario dargli la caccia, se non si arrendesse spontaneamente prima di trasformarsi, devi chiamarmi. Julian è diventato molto potente. Molto pericoloso. Non correre inutili rischi solo perché è il tuo gemello. Uno dei fratelli di Mikhail si è trasformato e, quando la giustizia si è messa a cercarlo, lui ha provato a distruggere chiunque, come avrebbe fatto ogni vampiro. Non avrebbe risparmiato nemmeno Mikhail». Gregori non aggiunse di essere stato l’unico a riuscire ad avere la meglio sul fratello di Mikhail. Era stata un’impresa talmente difficile che aveva deciso di non stabilire mai più dei legami profondi come quelli che lo univano a Mikhail e alla sua famiglia. Gregori lanciò un’occhiata a Savannah, si accorse che lei lo stava fissando con i suoi grandi occhi blu, e come per incanto quel ricordo doloroso svanì. «Julian è sempre stato un uomo molto sapiente e pericoloso», concluse. «Come te, d’altronde». Aidan non riuscì a trattenersi dal rivolgere a Gregori quell’accusa. Detestava il fatto di dover parlare della possibile trasformazione di suo fratello in vampiro. Gregori non batté ciglio. «Esattamente come me. È proprio questo il punto. Mi chiederai aiuto, se ce ne sarà bisogno». Lo stava guardando dritto negli occhi dorati. Il suo tono di voce era basso e convincente, incantevole e affascinante. Aidan distolse lo sguardo da quegli occhi argentei. Occhi che potevano scrutare dentro l’anima di un uomo. «Lo farò, Gregori. Lo so che hai ragione, anche se mi riesce difficile credere che Julian possa trasformarsi». «Chiunque può trasformarsi, Aidan. Chiunque non abbia trovato la propria compagna per la vita». Gregori planò attraverso la stanza
e raggiunse Savannah: non riusciva a sopportare di starle lontano. Gli occhi di lei erano tornati ancora una volta cupi e tormentati, il funerale l’aveva intristita e fatta sentire in colpa. Gregori scivolò dietro la sua sedia, le mise le mani sulle spalle e cominciò a massaggiargliele delicatamente. Aveva bisogno di quel contatto fisico anche più di quanto ne avesse bisogno lei. Aidan nascose il proprio turbamento. Conosceva Gregori da secoli, era stato lui a insegnargli le arti curative, ad andare a caccia e a uccidere. Niente lo aveva mai sfiorato. Niente e nessuno. Eppure, quegli occhi argentei e glaciali, una volta posatisi su Savannah, si trasformavano in due pozze di mercurio liquido, il suo atteggiamento diventava possessivo e protettivo e in più il modo in cui le poggiava le mani sulle spalle aveva un non so che di tenero e sincero. Stai bene, mia cara? Forse dovresti andarti a stendere per un po’. Savannah gli rivolse un debole sorriso. A lui sembrò che fosse più pallida del solito. Gregori era andato a caccia nel pomeriggio, nonostante fosse molto presto, e si era procurato abbastanza sangue per soddisfare le esigenze di entrambi. Lei però si era rifiutata di nutrirsi, come se avesse potuto in qualche modo scontare i peccati di cui si sentiva responsabile soffrendo la fame. Gregori le mise una mano sulla nuca e prese a farle un delicato massaggio. Savannah era affamata, se ne rendeva conto tanto lui quanto, probabilmente, Aidan. Quest’ultimo lo stava osservando, senza mostrare chiari segni di rimprovero ma con un’espressione misteriosa nello sguardo dorato. Gregori si sentì come trafitto dalla lama di un coltello: non si stava prendendo cura della propria compagna della vita come avrebbe dovuto.
Non fare lo stupido, Gregori. La dolce voce di Savannah gli risuonò in testa. Ti prendi cura di me alla perfezione. Che cosa ti importa di quello che possono pensare gli altri? «Dunque, Gregori», disse Aidan, «hai fatto mente locale su dove pensi di condurre questi assassini?». Savannah si spostò, cercando di lanciare un’occhiata a Gregori,
che si trovava alle sue spalle: i suoi occhi blu divennero subito più vivi. «C’è un posto in particolare in cui vorresti andare?» «Hai qualcosa in mente?», le chiese lui. Sapeva che sarebbe stato un errore guardarla negli occhi. Vi sarebbe sprofondato. Come se fosse caduto da una scogliera. «Sì. New Orleans. Questa settimana c’è il festival jazz del Quartiere Francese. Intendevo andarci e fermarmi per un po’. Potremmo farlo insieme. Ti piace il jazz? Io lo adoro!». Savannah rivolse a Gregori un ampio sorriso. «Avevo progettato di andarci prima… di tutto questo. In effetti, ho anche casa lì». Savannah voleva andare a New Orleans con tutta se stessa. Glielo si poteva leggere nello sguardo e nel pensiero. Era molto importante per lei. Gregori si sentì travolgere dal terrore. Era quasi impossibile negare qualcosa a Savannah. Tuttavia, non poteva portarla a New Orleans, la capitale mondiale dei vampiri, la città del peccato. Gli assassini probabilmente avevano proprio lì il loro quartier generale. Soffocò un gemito. «Hai una villa a New Orleans?» «Non fare quella faccia funerea. Tu vuoi andare da qualche parte, allontanare la società segreta dalla famiglia di Aidan, quindi che c’è di meglio della prossima tappa sulla mia tabella di marcia? Nessuno troverà qualcosa di strano nel nostro spostamento e non attireremo alcun sospetto», puntualizzò Savannah, «dal momento che si trova già sulla mia agenda». Gregori lanciò un’occhiata ad Aidan e scosse il capo. «Ti sembra logico? Savannah non è mai stata al Quartiere Francese di New Orleans, ma nessuno dovrebbe trovare strano il fatto che vi compaia all’improvviso in una casa che le appartiene». «Molto logico», concordò Aidan. «Comunque, immagino che questa conversazione vi impegnerà per un po’ e in più io devo ritornare da Alexandria. Prima, però, vorrei tanto fare una visitina a quel giornalista insieme a te, Gregori». Per un attimo la sua espressione si indurì e la sua bocca si atteggiò a una smorfia crudele. «Mi ricordo che cosa hanno fatto i membri di questa setta alla nostra gente». «Questo combattimento non è roba per te, Aidan», ribatté
Gregori. «Non voglio mettere te e la tua famiglia in pericolo». Aidan inclinò la testa. «Quel tale sta ancora girovagando da queste parti. Avverto la sua presenza dentro la tua proprietà». Era impaziente, desideroso di dar battaglia. Savannah riconobbe la natura istintiva e predatoria dei selvaggi maschi carpaziani. «Vattene, Aidan», fece Gregori, categorico. «È stato un piacere conoscerti, Aidan», aggiunse Savannah. «Spero di conoscere presto anche Alexandria. Magari dopo che io e Gregori avremo sconfitto questa setta potremmo rivederci tutti insieme». «Dopo che Gregori avrà sconfitto questa setta», la corresse Gregori, usando il tono implacabile e perentorio del genere “nonpensare-nemmeno-di-sfidare-la-mia-autorità”. Aidan annuì in segno di saluto. Poi i contorni della sua sagoma divennero tremolanti e cominciarono a sfumare, finché non si dissolse fuori dalla finestra aperta in un caleidoscopio di colori trasportati via dalla brezza notturna. Savannah si girò e prese la mano di Gregori fra le sue. «Che ne pensi di New Orleans?». Seguì un breve silenzio. «È pericoloso», rispose lui, prudente. «Già, ma ogni posto in cui andremo sarà pericoloso, no?», osservò lei, giustamente. «Quindi che differenza fa? Lì almeno potremo divertirci un po’». «Preferisco la montagna», obiettò lui in tono piatto. Savannah d’un tratto gli sorrise, quel sorriso malizioso e malandrino al quale Gregori non riusciva a resistere. «Quando un vecchio si sposa con una ragazzina, deve imparare a rientrare nell’ordine di idee dei giovani. Feste. Vita notturna. Ti suona familiare o forse ormai è passato troppo tempo?», lo provocò. Gregori le infilò le mani tra i capelli e glieli tirò. «Mostra un po’ di rispetto, bambina, o sarò costretto a sculacciarti». «Pervertito». Savannah scrollò le spalle con fare sexy. «Dovremmo provarci qualche volta».
Gregori si piegò e la baciò. Doveva baciarla; non aveva altra scelta. Quando le loro labbra si toccarono, per lui furono guai. Savannah era calore e luce, spezie e seta, merletti e fiammelle di candela. E lui si smarrì. Totalmente, completamente. Il carpaziano si allontanò di scatto da lei, imprecando nella lingua dei padri. Gli occhi di Savannah erano annebbiati, sognanti, e le labbra umide e appena dischiuse. La sua bocca carnosa si atteggiò a quel sensuale e misterioso sorriso che lui non sarebbe mai riuscito a capire. «Ho una magnifica idea, Gregori», disse lei, maliziosa. «Prendiamo un volo di linea». «Cosa?». Lui le stava fissando le labbra. Aveva una bocca stupenda. Una bocca perfetta. Una bocca molto sexy. Dio, quanto voleva quella bocca. «Non ti sembra divertente? Potremmo prendere un volo notturno, mischiarci alla gente. Potremmo liberarci di quel giornalista». «Non c’è modo di liberarsi di Carter. È un tipo molto tenace. E non ci sarà nessun volo di linea. Non ammetto discussioni in proposito, assolutamente. Se mai dovessimo andare a New Orleans, e non sto dicendo che lo faremo, un volo di linea è escluso». «Oh, Gregori. Stavo solo scherzando. Faremo come vuoi tu, senza ombra di dubbio», aggiunse lei, con aria dimessa. Lui scosse la testa, esasperato da se stesso. Ovvio che Savannah stava scherzando. Non era abituato a essere trattato in quel modo. Che donna provocatoria. «Devo uscire e andare a fare due chiacchiere con Wade Carter». Savannah si alzò di scatto, con l’aria di chi aspetta qualcosa, gli occhi sgranati per l’eccitazione. «Dimmi cosa vuoi che faccia. Probabilmente posso creare della nebbia. Sono più forte adesso, dopo aver bevuto il tuo sangue. Posso guardarti le spalle». Gregori la squadrò divertito. «Mio Dio, Savannah, sembri uscita da un poliziesco. No, non mi guarderai le spalle. Non parlerai con Carter. Starai qui, al sicuro, dove io so che nessuno può farti del male. Sono stato abbastanza chiaro, bambina? Tu non lascerai questa casa».
«Ma Gregori», fece lei in tono sommesso, «adesso sono la tua compagna. Devo esserti d’aiuto. Se insisti a confrontarti con questo Carter, allora io dovrò aiutarti. Sono la tua compagna per la vita». «Non c’è la benché minima possibilità che ti permetta di farlo. Puoi anche cercare di disobbedirmi, ma ti assicuro che sarebbe uno spreco di energie», ribatté lui gentile, con quell’aria beffarda da maschio autoritario che la mandava su tutte le furie. «Io sono il tuo compagno per la vita, cara, e ti darò qualsiasi ordine a mio parere necessario affinché tu sia al sicuro». Savannah gli diede un pugno sul petto. «Mi fai impazzire, Gregori! Ce la sto mettendo tutta per andare d’accordo con te e i tuoi ordini arroganti. E tu nemmeno cambi espressione! Come se fossimo qui a parlare del tempo e non stessimo litigando». Lui inarcò un sopracciglio. «Noi non stiamo litigando, piccola mia. Quando due persone litigano, sono entrambe arrabbiate e le loro opinioni divergono. Tra di noi non sta accadendo niente del genere. Quando ti guardo non provo neanche un briciolo di rabbia, sento solo il bisogno di prendermi cura di te e di preoccuparmi che tu stia bene. Sono responsabile della tua salute e della tua incolumità, Savannah. Non posso fare altro che proteggerti, persino dalle tue stesse follie. Non puoi nemmeno sperare di averla vinta. Lo so con certezza, per cui non vedo il motivo di tanta agitazione». Lei lo picchiò di nuovo. Gregori sembrò sorpreso, poi le afferrò il pugno e con delicatezza aprì le dita una a una. Le impresse un bacio al centro del palmo della mano. «Savannah, stai cercando di colpirmi?» «Be’, veramente ti ho già colpito, e per due volte anche, schifoso che non sei altro. Non ti sei nemmeno accorto del primo pugno che ti ho dato». Sembrava davvero arrabbiata con lui. Per qualche strana ragione, a Gregori venne da ridere. «Scusami, amore mio. Ti prometto che la prossima volta che mi picchierai me ne accorgerò». La dura espressione si ammorbidì e sul suo volto comparve l’ombra di un sorriso. «Posso addirittura spingermi a far finta che tu mi abbia fatto male, se lo desideri». Un lampo passò negli occhi blu di Savannah. «Ah, ah, ah, sei così
divertente, Gregori. Smettila di fare lo sbruffone». «Farti prendere coscienza del mio potere non vuol dire fare lo sbruffone, cara. Sto cercando di prendermi cura di te al meglio delle mie potenzialità. E tu non mi stai rendendo la vita facile. Mi ritrovo a prendere delle decisioni sbagliate solo per vederti sorridere», ammise Gregori, riluttante. Savannah gli appoggiò la fronte sul petto. «Mi dispiace procurarti così tanti problemi, Gregori». Non era sicura che quella fosse la pura e semplice verità. Le piaceva farglielo credere. «Vorrei solo che fossimo due veri compagni. È così che ho sempre immaginato la relazione che avrei avuto con il mio compagno per la vita. Non voglio essere una fragile violetta protetta dal mondo reale e usata soltanto come fattrice per la prosecuzione della stirpe. Io voglio essere la migliore amica e confidente del mio compagno per la vita. È così sbagliato?». Lo stava supplicando di comprenderla. «Sono degli umani. Riusciremo a gestirli», affermò, più fiduciosa di quanto in realtà non fosse. Se Gregori era preoccupato, doveva avere una ragione valida. Comunque, Savannah era fermamente decisa a seguirlo, a dividere con lui ogni aspetto della loro esistenza. E sapeva che la caccia sarebbe sempre stata parte integrante della loro vita. Lui le circondò la vita con un braccio, la attirò a sé e le accarezzò i capelli. «Gli umani sono anche riusciti ad avere la meglio sui carpaziani nel corso dei secoli. È vero che siamo molto potenti, ma non siamo invincibili. Non voglio che questa gente ti metta le mani addosso. Voglio solo scoprire che cosa Wade Carter e il suo amico hanno in mente, che cosa sanno di preciso, e chi è in pericolo. Poi io e te discuteremo di dove andare e di quanto ti permetterò di lasciarti coinvolgere da questa situazione». Savannah ebbe un brivido alla parola “permetterò” e Gregori desiderò non averla mai pronunciata. La strinse forte a sé e le diede un bacetto sulla testa. «Starai al sicuro fra le mura di questa casa, Savannah, qualunque cosa accada». Lei rimase per un attimo aggrappata a lui. «Fa’ in modo che non ti succeda niente, Gregori. Insomma… mi arrabbierei molto con te». Un breve sorriso gli passò sul volto, ma non illuminò il suo sguardo. «Resterò in contatto telepatico con te, cara, e così saprai
che sto bene». Esitò per un attimo. «I miei metodi potrebbero non piacerti». Era una specie di avvertimento. Nei suoi occhi argentei passò un’ombra, che lui non tentò di nasconderle. Savannah sollevò il mento. «A volte posso anche comportarmi come una bambina, Gregori, ma non lo sono. La prosecuzione della nostra razza viene prima di tutto, deve venire prima di tutto. So che userai qualsiasi mezzo si riveli utile allo scopo». «Spero che tu lo comprenda, Savannah. Spero che tu sia pronta a confrontarti con il mio stile di vita. Io non posso fare altro che proteggere il nostro popolo. E a volte è un lavoro sporco», disse burbero, con la sua voce ipnotica. Fece un passo indietro, staccandosi all’improvviso da lei, ma Savannah continuò a tenerlo per mano. «Stai dentro casa, piccola mia. Tesserò degli incantesimi protettivi. Tu non provare a disobbedirmi». Savannah si strofinò il dorso della mano di Gregori sulla guancia. «Farò quello che mi hai chiesto». Gregori le prese il mento fra le mani, le fece sollevare il viso e le diede un bacio sulle labbra. All’improvviso, tra di loro scattò la scintilla. Un alone di calore bianco li avviluppò. Poi il carpaziano si allontanò e semplicemente svanì. Volò nel cielo, invisibile – dopo secoli di pratica non aveva alcun problema a farlo –, come un soffio di vento tra gli alberi. Wade Carter stava cercando di scavalcare la recinzione sul lato ovest della villa. Tre lupi erano appostati lì sotto, con le zanne che luccicavano alla luce del crepuscolo. I pantaloni del giornalista rimasero impigliati per un attimo in una pietra più sporgente delle altre e si strapparono. Gregori scintillò, ancora sospeso in aria e incorporeo, poi si materializzò a pochi passi da Carter. Il giornalista buttò fuori l’aria dai polmoni con violenza. «Mio Dio, sei davvero un vampiro! Lo sapevo! Sapevo di aver ragione!». Gregori riuscì a percepire l’odore della sua paura, della sua agitazione. Si appoggiò con nonchalance, disinvolto e un po’ indolente come al solito, alla parete di pietra, proprio accanto a Carter. «Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti presto. Io mantengo sempre le promesse», replicò.
Le sue parole sembrarono penetrare dritte nella mente del giornalista. Wade si massaggiò le tempie doloranti. Non era mai stato così spaventato e così eccitato al tempo stesso. Il vampiro si era seduto proprio al suo fianco. Si rovistò nelle tasche per essere sicuro che la pistola anestetizzante che aveva portato con sé fosse al suo posto. «Perché hai deciso di palesarti a me?». Cercò di controllare la voce affinché non gli tremasse troppo. Gregori gli sorrise. Non c’era traccia di allegria in quel sorriso, solo uno sfolgorio minaccioso di denti. Rimase impassibile, senza sbattere le palpebre, come i predatori della giungla. A Carter parve un atteggiamento snervante. «Hai disturbato mia moglie», gli rispose Gregori. La sua voce era bellissima, ipnotica. Carter scosse la testa per non farsi ottundere il pensiero. «Pensi davvero di essere così potente da farmi fuori e riuscire a cavartela?». I muscoli di Gregori guizzarono, un chiaro segnale della sua enorme forza. «Pensi davvero che non lo sia?» «Non avrei mai rischiato di affrontarti privo di un supporto. Non sono solo», ribatté Carter, per fare lo spaccone. Stava cercando disperatamente di prendere la pistola con l’anestetico dalla tasca, ma si era impigliata. «Non c’è nessun altro qui, signor Carter», lo corresse Gregori. «Solo noi due. Pensavo di leggerti un po’ nel pensiero». Il suo tono era sceso di un’ottava, era diventato dolce e persuasivo, sarebbe stato impossibile resistervi. Il sudore cominciò a bagnare la fronte di Carter. «Non te lo permetterò», gli rispose, ma si ritrovò subito prigioniero del suo sguardo, intenso come argento fuso. Avrebbe dovuto essere schermato contro un’aggressione di quel tipo! Tutti i membri della setta dovevano essere schermati. La voce dei vampiri non avrebbe dovuto avere alcun effetto su di loro; i loro occhi non avrebbero dovuto condurli a uno stato di trance. Nessuno poteva penetrare nella loro mente o impossessarsi dei loro ricordi. Tutti, nella società segreta, si erano sottoposti a una lunga sessione di ipnosi, proprio per prepararsi a resistere a un simile abominio. E avevano lavorato su una formula per più di trent’anni. Gli scienziati, ottimi scienziati, che l’avevano messa a punto, avevano avuto il vantaggio di poter
lavorare addirittura con il sangue dei veri vampiri. Gregori abbatté le barriere mentali del giornalista, sebbene fossero sorprendentemente resistenti. Riuscì a individuare lo scopo delle ricerche della società segreta, il desiderio di trovare un nuovo esemplare di vampiro. I membri della setta avevano estratto campioni di sangue da diverse vittime che avevano torturato e mutilato una trentina di anni prima. Gregori inspirò profondamente. Erano in possesso di un farmaco che credevano sarebbe riuscito a privare le loro vittime di ogni potere: in questo modo avrebbero potuto imprigionare coloro che reputavano vampiri, studiarli e dissezionarli a loro piacimento. La società segreta era più ramificata di quanto i carpaziani pensassero. Gregori abbandonò la mente di Carter, consentendogli di proposito di ricordare che ne aveva attinto preziose informazioni. Il giornalista imprecò in maniera disgustosa e riuscì a tirare fuori la pistola anestetizzante dalla tasca. L’ago perforò la pelle di Gregori proprio sopra il cuore. Il carpaziano se ne accorse, e percepì il veleno che entrava in circolo.
Gregori! L’urlo angosciato di Savannah gli rimbombò nella mente. Permettimi di venire da te. Stava cercando di oltrepassare le
pareti invisibili che lui le aveva eretto intorno, lottando contro i suoi incantesimi.
Stai calma, piccola mia. Pensi che non abbia consentito apposta a questo imbecille di iniettarmi del veleno? Io sono il guaritore del nostro popolo. Se questa gente è in possesso di qualcosa che può farci del male, è mio compito trovare l’antidoto. Savannah prese a battere i pugni contro le barriere immateriali per cercare di raggiungere Gregori. Le vennero le lacrime agli occhi: si sentì quasi sopraffare dalla paura della sua stessa impotenza. Il veleno era potente e cominciò immediatamente a diffondersi nei vasi sanguigni di Gregori, immobilizzandolo. Crampi e sudore, i muscoli che si contraevano. Savannah provava le stesse sensazioni del suo compagno e il fatto di non poterlo raggiungere, di non poterlo aiutare, come sarebbe stato suo diritto, la stava facendo impazzire di rabbia. Gregori rimase calmo e impassibile come sempre: studiò la
composizione chimica del siero, interessato alla faccenda come se fosse stato un semplice scienziato. Non prestava quasi più attenzione al giornalista esultante. Il carpaziano era sprofondato nel suo stesso corpo e seguiva il flusso del proprio sangue per verificare gli effetti del veleno. Carter praticamente si era quasi messo a saltellare su e giù. Se non fosse stato per la posizione scomoda in cui si trovava, di certo l’avrebbe fatto. Non aveva la benché minima di idea di come sarebbe riuscito a trascinare quell’uomo enorme nella sua macchina e poi in laboratorio. Avrebbe chiamato aiuto. Ma per il resto era stato così facile. I tecnici avevano ragione. Il veleno era perfetto! Tutti quegli anni di ricerche alla fine erano serviti a qualcosa. Ed era tutto merito suo! Piantò un coltello nel petto di Gregori e fece uscire un po’ di sangue. «Non sembri un osso così duro adesso, vampiro», gongolò. «Non fai poi tutto questo effetto. Forse ti senti un po’ male?». Ridacchiò. «Ho sentito che più vecchio è il vampiro, maggiore è la sua sensibilità al dolore». Gli piantò di nuovo il coltello nel petto, affondandolo di più, cosicché venne fuori un fiotto di sangue. «Lo spero. Spero che ti ci voglia molto tempo a morire, una volta che sarai nelle mani dei tecnici di laboratorio. Nel frattempo, pensa a chi si sta divertendo con Savannah. Ho dei progetti per quella piccola troietta…». Si chinò per guardare da vicino gli occhi annebbiati di Gregori. «Niente di personale, sia chiaro. Tutto nel nome della scienza». Savannah, infuriata per quello che il giornalista stava dicendo a Gregori e per il dolore che gli stava provocando, caricò e si scagliò con tutte le proprie forze contro il muro invisibile. La parete non cedette. Gregori l’aveva costruita proprio con l’intento di bloccarla ed era anche più resistente di quanto lei stessa aveva immaginato. Si mise a battere i pugni contro il muro finché non cominciarono a sanguinarle, mentre le lacrime le rigavano il volto. Riusciva a sentire ogni taglio e ogni percossa che il giornalista infliggeva a Gregori. Poteva sentire le sue provocazioni e le sue minacce. Implorò il suo compagno per la vita di permetterle di raggiungerlo, ma l’unica risposta che ottenne fu il silenzio.
Niente di tutto ciò sembrava riguardare Gregori. Il carpaziano sentì la sofferenza, ma si limitò a metterla da parte e a concentrarsi sull’autoanalisi di ciò che gli stava accadendo. Il veleno era denso e si diffondeva, lento e doloroso attraverso il suo sistema circolatorio. Gregori cominciò a spezzare gli agenti chimici per scoprirne la composizione, in modo tale che la sua gente potesse inventarsi un antidoto. Molti membri della sua razza non sarebbero stati in grado di fare quello che stava facendo lui. Ma Gregori era un guaritore, esperto di erbe e di chimica, di veleni naturali e artificiali. Questo, in particolare, era un miscuglio interessante, pericoloso e di effetto immediato. Avevano usato come base il sangue estratto dalle vittime precedenti. All’inizio procurava una fitta dolorosa e costante che in pochi minuti si trasformava in un tormento così intenso da privare dei propri poteri qualsiasi carpaziano, eccetto gli antichi e i più esperti guaritori. Non appena Gregori riuscì a individuare i singoli componenti di quella mistura, li trasmise telepaticamente ad Aidan Savage. Il cacciatore aveva imparato da lui l’arte curativa e sarebbe stato in grado di mettere a frutto quelle informazioni. Poi intraprese il processo di guarigione su se stesso, riportando ogni agente chimico al suo elemento naturale, separando gli atomi e distruggendoli o assorbendoli a seconda delle necessità. Solo una volta completata la procedura sarebbe potuto tornare padrone di sé. Gregori si rendeva conto che il giornalista lo stava accoltellando, probabilmente per fargli perdere sangue e indebolirlo. Aveva cominciato a sanguinare da diverse ferite. Riusciva persino a sentire il dolore, mentre il vento gli faceva svolazzare gli abiti laceri. I suoi occhi chiari si posarono sul volto del giornalista. «Hai finito, Carter, o vuoi fare qualche altra prova prima che ti riporti al tuo laboratorio?», gli chiese con estrema gentilezza. L’uomo si rese conto che il veleno non aveva fatto il suo dovere su quel vampiro ed emise un rantolo. Sollevò il coltello per pugnalare Gregori dritto al cuore con tutta la forza di cui era capace. L’arma però si fermò a mezz’aria, come bloccata da qualcuno dotato di una forza enorme. Lenta ma inesorabile, la lama si girò e puntò dritta al collo di Carter. «No, Dio, no! Non farlo. Posso rivelarti un sacco di informazioni.
Non farlo. Rendimi simile a te. Posso essere il tuo servo», implorò Wade Carter, mentre il coltello si faceva sempre più vicino alla sua giugulare. All’improvviso l’arma cadde a terra, innocua. Subito Wade ricominciò a rovistarsi in tasca per prendere la pistola anestetizzante. Ma l’arma si trasformò in una terribile creatura squamosa che prese ad arrotolarsi su per il suo braccio. Il reporter cominciò a urlare: il suo grido riempì la notte e i lupi gli ulularono in risposta. Gregori lo fissò con quei suoi occhi argentei e impassibili. Gli occhi della morte. «Questo è il mio mondo, Carter, il mio territorio. Ti ci sei intrufolato e mi hai sfidato. Hai tentato di fare del male a qualcosa che mi appartiene. Non posso permettere che accadano cose del genere». Chinò il capo e il suo sguardo catturò quello della vittima e lo tenne prigioniero. «E, tanto per essere chiari, Carter, si tratta di una questione personale… molto personale». Il carpaziano sbatté Wade a terra, senza preoccuparsi di quanto potesse fargli male. Il serpente si avvolse attorno al corpo del giornalista, rendendogli impossibile qualsiasi movimento. Gregori lo raggiunse fluttuando, lo prese per la camicia e lo trascinò fino alla sua lercia auto. «Credo che sia il caso di fare una visitina a questo laboratorio, non pensi, signor Carter? Mi era sembrato che non vedessi l’ora di portarmi lì e io non posso fare altro che restituire la cortesia della visita a te e ai tuoi amici».
No, Gregori, lo implorò Savannah. Andiamo via di qui. Lascialo stare, andiamocene! Allontanati da me, bambina, le ordinò lui e interruppe il contatto telepatico.
Savannah avvertì l’implacabile determinazione del suo compagno. Si era messo in testa di distruggere quel laboratorio, il veleno che avevano usato su di lui e tutte le informazioni relative alla sua elaborazione. Aveva la ferma intenzione di ammazzare qualsiasi membro di quella setta avesse incontrato. Savannah si accorse che Gregori non era adirato come lei. Non sentiva il bisogno di vendicarsi. Era freddo e spietato, una macchina pronta a portare a termine il suo brutale compito per la salvaguardia della razza. Gregori aveva messo da parte tutte le sue emozioni private: era
diventato un anonimo robot programmato per uccidere. Preciso e implacabile. Niente avrebbe potuto fermarlo. Savannah, intrappolata nella sua gabbia, scivolò sul pavimento e si rannicchiò su se stessa, stringendosi le ginocchia al petto. Quella sarebbe stata la sua vita. Lui era fatto così, nel corso di interminabili secoli era diventato il tenebroso angelo della morte che non avrebbe avuto pietà per coloro che dichiaravano guerra alla sua razza. Gregori, il tenebroso. Credeva di essere un mostro senza pari. Savannah si nascose il volto fra le mani. Non c’era modo di fermarlo. Nessun modo. Nemmeno Mikhail, suo padre, il loro principe, l’unico al quale Gregori aveva giurato obbedienza, avrebbe potuto impedirgli di fare qualcosa che il suo compagno reputava giusto o necessario. Si morse il labbro. Gregori esercitava un immenso potere. Nessun altro sarebbe riuscito ad annullare l’effetto del letale veleno che gli era stato iniettato. Nessuno avrebbe intenzionalmente lanciato un’esca al nemico servendosi del proprio corpo, come aveva fatto lui. Savannah sapeva quanto era alto il prezzo che Gregori aveva pagato. La loro intimità non era solo fisica, ma anche mentale. Il carpaziano poteva anche mettere a tacere i propri sentimenti, fare di se stesso una macchina priva di emozioni pronta a tutto pur di difendere il suo popolo. Ma, nel profondo della sua anima, si considerava un mostro irredento. Quello che doveva fare per garantire la sopravvivenza alla loro razza richiedeva un enorme sacrificio.
Capitolo 9 Era una notte buia e senza luna. Le nuvole offuscavano le stelle e rendevano l’atmosfera ancor più misteriosa e minacciosa. La macchina si fermò davanti a un edificio che aveva tutta l’apparenza di un magazzino deserto nella baia di San Francisco. Sul molo non c’era nessuno. L’acqua era torbida, quasi oleosa. Gregori uscì dall’auto e se ne stette lì ad ascoltare lo sciabordio delle onde contro i piloni del molo. Esaminò attentamente la zona con la sicurezza che derivava da secoli di pratica. Dentro il grande edificio c’erano tre uomini che parlottavano a voce bassa. Il carpaziano agitò una mano in direzione del giornalista e Wade Carter si accasciò sul volante dell’auto con gli occhi vitrei. Ci fu una folata di vento e un mucchio di foglie secche svolazzarono in un vortice nell’esatto punto in cui fino a un attimo prima si trovava Gregori. Calò di nuovo il silenzio. Un silenzio innaturale. Gregori penetrò nel magazzino dalla crepa di una finestra dai vetri sporchi e opachi. Fluttuò attraverso la stanza e si fece strada tra una vasta gamma di bruciatori e ampolle piene di vari agenti chimici. Sul lato opposto della stanza c’erano tre tavoli ai quali erano attaccate catene metalliche con tanto di manette per polsi e caviglie. Erano i tavoli su cui gli “scienziati” della setta in tutta tranquillità potevano dissezionare le povere vittime e fare i loro esperimenti. Su uno dei tavoli c’era anche una macchia di sangue. Gregori rimase sospeso in aria a guardarla per esaminarne la composizione. Sollevato, constatò che non si trattava di sangue carpaziano. In un angolo del magazzino c’era un banco pieno di imponenti computer, apparecchiature tecnologiche e una fila di cassettini che facevano da archivio. Tre scrivanie formavano un ampio semicerchio intorno a quell’area. I tre uomini stavano giocando a poker e evidentemente aspettavano qualcun altro. Gregori fluttuò sul tavolo, una brezza gelida che fece svolazzare le carte di qua e di là. I tre si tuffarono a recuperarle, guardandosi intorno per cercare di individuare il punto da cui arrivava quel fastidioso venticello. Si squadrarono l’un l’altro
a disagio e poi tornarono a osservare l’ampio magazzino. Gregori condusse Wade Carter alla porta. Il giornalista la spinse ed entrò, camminando con la tipica andatura da zombie, come un fantoccio pilotato da un vampiro, a passi pesanti, testa china, mettendo un piede davanti all’altro. Si fermò di botto esattamente davanti al tavolo con le carte, proprio come avrebbe fatto un pupazzo. Una marionetta tenuta in piedi dai fili del burattinaio. «E quindi? Dov’è, Wade?», gli domandò l’uomo più corpulento, avvolto in un capotto bianco. «Sarà meglio che tu abbia qualcosa di grosso per strappare Morrison alla sua festa. Era un affare importante… Stava raccogliendo fondi per il suo istituto di beneficenza preferito». Gli altri scoppiarono a ridere. «Eh sì», aggiunse un tecnico dai capelli scuri. «Maledizione, Wade, spero che tu ci abbia portato una donna. Sono in vena di bagordi stasera». Si sfregò le mani con aria truce. «Non vedo l’ora di mettere le mani addosso a quella maga che sostieni sia un vampiro. È un tipo eccitante. Molto eccitante». L’uomo con il cappotto bianco guardò attentamente il giornalista. «Be’, dov’è questo vampiro?». «Proprio dietro di te», rispose Gregori a voce bassa. I tre si girarono di scatto e Gregori cominciò a mutare forma: un attimo prima era un uomo, in carne e ossa, poi le sue ossa presero a torcersi e a spezzarsi, i tendini si allungarono, il suo viso divenne un muso animale e gli spuntarono delle zanne nella bocca. I muscoli guizzarono e si ricoprì di pelo: la bestia fece uno scatto in avanti e puntò dritta alla gola dell’uomo con il cappotto bianco. A quel punto, spinti all’azione dalla vista del copioso fiotto di sangue, gli altri si voltarono in contemporanea e si misero a correre verso la porta. Il lupo fece un balzo, azzerò le distanze e atterrò con una zampata il tecnico dai capelli scuri. Gli conficcò gli artigli nello stomaco, in profondità, poi affondò il muso ancora più in basso, strappandogli via il simbolo della sua mascolinità. Il sangue zampillò, poi eruppe come una colata di lava. L’uomo emise delle urla terribili, premendosi le mani sulla pancia anche se ormai non aveva alcuna speranza di salvarsi la vita, per non parlare della virilità.
L’ultima vittima era riuscita a raggiungere la porta quando il lupo la aggredì alle spalle. Un colpo secco e gli spezzò l’osso del collo. La bestia tornò sui suoi passi e verificò le condizioni di morti e feriti. Poi trotterellò verso i computer e lentamente riprese sembianze umane. La fame di Gregori era una creatura vivente, che aveva bisogno di essere soddisfatta. L’oscuro impulso di uccidere faceva parte di lui. Bestia o uomo, non importava; era la sua natura, il suo destino. Tuttavia, Gregori si impose di resistere, nonostante l’odore del sangue gli aleggiasse intorno. I computer dovevano essere distrutti. Ogni loro componente. Ogni documento. Gregori chiamò a raccolta le proprie forze e le energie necessarie per investire i macchinari di scariche elettriche. Le apparecchiature esplosero in una vampata e si sciolsero sulle scrivanie. Alle sue spalle, le ampolle andarono in frantumi e il loro contenuto si riversò per terra. Il pavimento di legno venne lambito dalle fiamme. Gregori fece un cenno con la mano e anche gli archivi si rovesciarono, facendo cadere per terra i fogli che si trovavano al loro interno. Questi andarono ad alimentare il fuoco, finché a un certo punto l’incendio non divampò per tutta la stanza. Wade Carter era in piedi, immobile, accanto al tavolo su cui i tre avevano giocato a carte. Non pareva essersi accorto della morte dei suoi compagni né delle fiamme che stavano rapidamente bruciando tutto ciò che si trovava dentro il magazzino. Gregori si assicurò di aver distrutto tutto prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione al giornalista. Una densa coltre di fumo avvolgeva entrambi ormai quando lo afferrò e lo tirò a sé. La fame lo attanagliava, era diventata un essere vivente, aveva vita propria. Gregori chinò il capo e trovò la vena sul collo di Carter. «Hai tentato di condannare il mio popolo all’estinzione, hai cercato di portare mia moglie in questa caverna degli orrori. Per questo e per tutti i crimini che hai compiuto contro la mia gente, ti condanno a morte». Mormorò le formule di rito mentre già i suoi denti bucavano la gola e affondavano nell’arteria della sua vittima. Un fiotto di sangue caldo cominciò a scorrergli nelle vene. Era affamato, le sue forze e le sue energie erano state quasi interamente prosciugate dallo sforzo compiuto e dal veleno e si dissetò con lo
scuro liquido vitale. Bevve in maniera vorace, sembrava insaziabile. La sua preda era immobile e Gregori stava per succhiargli via la vita.
Gregori, fermati!, lo implorò Savannah. Non puoi ammazzarlo in questo modo. Ti prego, fallo per me, fermati. Gregori ringhiò, nei suoi occhi argentei passò un bagliore rosso, un riflesso dell’incendio che gli divampava intorno. Riluttante, sollevò la testa, guardando impassibile il sangue che sgorgava dalla ferita di Carter e il suo corpo accasciato per terra. Lasciò andare la camicia del giornalista, lo sguardo sempre fisso sul rivolo di sangue che a quel punto aveva cominciato a gocciolare anche sul pavimento del magazzino. Vieni a casa. Vattene da quell’orribile posto. Il carpaziano sentì in lontananza l’ululato delle sirene, il mormorio della folla che si radunava lì fuori. Tuttavia si trattenne ancora un po’ per assicurarsi che non ci fosse più traccia di vita in nessuna delle sue vittime. Aveva un nome adesso, un punto da cui cominciare le sue ricerche. Morrison. Qualcuno che poteva raccogliere fondi. Qualcuno che contava fra la buona società.
Gregori, vieni da me, subito. Savannah era diventata insistente.
Gregori riusciva ad avvertire le note della paura nella sua voce. Le era stato insegnato, sin da quando era ancora in fasce, che solo un vampiro è capace di uccidere compiendo il semplice gesto di nutrirsi. Era terrorizzata dal fatto che Gregori potesse infrangere una regola tanto sacra. Che lo avesse già fatto in passato. Più di una volta.
Il tuo mostro sta tornando, le rispose lui, con il suo abituale tono
piatto. Si trasformò in una nube di fumo, un vortice di vento che danzò attraverso il laboratorio in fiamme, e infine uscì all’aria aperta. Volteggiò in alto, osservando la gente che si affaccendava con gli idranti per spegnere l’incendio. Arrivò una lunga limousine e parcheggiò a poca distanza dal laboratorio. Un finestrino nella parte posteriore dell’auto si aprì un po’, ma il passeggero rimase all’interno della vettura. Morrison. Gregori volò ancora più in alto. Stava tornando da Savannah nei panni di se stesso, non sotto le mentite spoglie di colui che le aveva fatto credere di essere. Quella donna aveva davvero pensato che lui
avrebbe potuto provare delle emozioni mentre uccideva, dopo essere andato a caccia per secoli, dopo aver dispensato oscura giustizia per innumerevoli anni? Rimorso? Vendetta? Pietà? Il carpaziano non sentiva nulla e nemmeno avrebbe voluto. Era un lavoro semplice, che lui faceva alla perfezione, senza per questo provare orgoglio o paura. Gregori non voleva scorgere il terrore negli occhi di Savannah. La condanna. Ma non poteva fingere per sempre. Lei doveva conoscerlo per quell’orribile mostro che era. Il suo mostro. Savannah aveva bisogno di capire che il suo uomo era molto più pericoloso di quanto lei stessa pensasse, che non sarebbe stato prudente fare determinate cose. Eppure Gregori non avrebbe voluto vedere ancora una volta la paura nel suo sguardo. Sospirò e prese la via del ritorno, attraverso le montagne. Viaggiò lentamente, una nube di fumo nel vento, disperdendo l’aria che smuoveva in modo da non mettere in allerta i vampiri. Sentiva il peso degli anni, degli assassini, del sangue che gli insozzava le mani. Savannah l’avrebbe visto e avrebbe finalmente capito quale sarebbe stato il suo destino. Una volta giunto all’interno della sua proprietà, fece un cenno con la mano per sciogliere gli incantesimi e liberare Savannah dalla sua prigione invisibile. Lei era seduta, le gambe strette al petto e il mento appoggiato sopra le ginocchia. I suoi grandi occhi blu rimasero incollati alla nube di fumo mentre lui le si avvicinava. Davanti a lei, Gregori riprese sembianze umane, una sagoma alta e possente che incombeva sulla sua compagna. Savannah si alzò lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal viso di lui. Fu lei ad annullare la poca distanza che li separava, a cingergli la vita con le esili braccia. Gli appoggiò la testa contro il petto e sentì il battito regolare del suo cuore. «Ero così spaventata per te, Gregori». La sua voce era rotta dalle lacrime, che le rigavano il volto. «Non lasciarmi mai più sola in questo modo. Preferisco stare con te, anche se è pericoloso». Le sue mani si muovevano su di lui, scivolandogli sotto la camicia per controllare che non fosse ferito. «Riuscivo a sentire il dolore che provavi, quando quel veleno ha fatto effetto». Savannah gli sfiorò il collo. Gli scostò la folta chioma. Lo toccò
dovunque. Doveva toccarlo. Non poteva trattenersi. Individuò ognuna delle ferite che Carter gli aveva procurato con il coltello. Le si spezzò il fiato in gola e abbassò il capo per guarire delicatamente ogni taglio con la propria saliva. Gregori le afferrò entrambe le braccia e la fece allontanare di qualche centimetro. «Guardami, mia cara. Guardami bene. Guarda chi sono veramente». La scosse un po’. «Guardami bene, Savannah». I suoi occhi viola e blu cercarono quelli chiarissimi di Gregori. «Cosa pensi che stia guardando? Sei il mio compagno per la vita, non un mostro, anche se ti ho rivolto un simile insulto. Non sei il mostro che credi. Sei un grande carpaziano, un grande guaritore. Sei la mia metà». Gli rivolse uno sguardo fulminante. «Non pensare di riuscire a farla franca con tutte queste sciocchezze che hai tirato fuori, lasciandomi sola e imprigionata da pareti invisibili. Non farlo mai più. Dico sul serio, Gregori. Da questo momento in poi, io verrò con te». Gregori le strinse i capelli in una coda dietro la nuca. La attirò più vicino a sé. «Non ti metterò mai in pericolo. Mai». Chinò la testa per trovare la sua bocca, per impossessarsi di ciò che gli apparteneva. Il cuore gli martellava nel petto. Gli occhi di Savannah erano limpidi, forse appena un po’ annebbiati dalla preoccupazione, ma non vi si leggeva più la paura. Lui le tenne la testa immobile mentre la baciava, mentre le divorava le dolci labbra e avanzava le proprie pretese. Savannah non lo ostacolò, accettò le sue maniere autoritarie e gli restituì il bacio con la stessa passione che animava lui. Gregori la abbracciò, schiacciando il corpo di lei contro il proprio. «Mai, Savannah. Io non permetterò mai che tu sia in pericolo». «Cosa pensi che provi nei tuoi confronti? Leggimi nel pensiero, così capirai che cosa ho passato mentre eri immobilizzato dal veleno». Savannah gli sfiorò delicatamente le ferite. «Mentre lui ti stava facendo questo». «Se te lo avesse iniettato, quel veleno ti avrebbe consumato, Savannah. Ho trasmesso le informazioni sulle tossine che conteneva ad Aidan. Sarà lui ad assicurarsi che in patria siano avvertiti della presenza di questo nuovo pericolo. Grazie a quanto abbiamo appreso, possiamo sviluppare un antidoto». Gregori le accarezzava la
schiena, i fianchi e le natiche, stringendola sempre più forte a sé. Si sentiva dolorante ed eccitato e le carezze di cui lei lo ricopriva non facevano che infiammarlo sempre di più. «Sarebbe potuto essere letale per chiunque, Gregori», ribatté lei. «Tu non avevi la benché minima idea di quanto fosse pericoloso quel siero». Savannah gli aprì la camicia per osservargli il petto: ne ispezionò ogni centimetro, assaporò la sua pelle, e contemplò tutte le ferite che Carter gli aveva inflitto. «Io sono un guaritore, Savannah. Sono in grado di neutralizzare i veleni». Il modo in cui lei lo toccava mandava Gregori su di giri: il fuoco aveva cominciato a scorrergli nelle vene. Savannah gli infilò una mano dentro i pantaloni, impaziente, e prese ad accarezzargli il membro duro. L’indole animalesca di Gregori prese il sopravvento e si liberò dalle catene: il carpaziano la fece adagiare sul pavimento, strappandole i vestiti come era solito fare. La bloccò a terra e con un ginocchio la costrinse ad aprire le gambe. Ma furono gli occhi argentei di Gregori a catturare lo sguardo di Savannah. Era Gregori a metterle le mani sui fianchi e a controllare con le dita che anche lei fosse pronta. «Tu sei mia, Savannah. Solo mia», le bisbigliò, posizionandosi sopra di lei e possedendola. Avrebbe voluto dirle che l’amava, ma non riusciva a pronunciare quelle parole, quindi cercò di farglielo capire con il linguaggio del corpo. Sprofondò dentro di lei. La penetrò in maniera appassionata e frenetica, poi rallentò il ritmo e fu più dolce. Si prese il tempo di cui aveva bisogno, sperando che durasse per sempre, nascondendole il proprio volto perché non voleva che si accorgesse delle lacrime che gli inumidirono inaspettatamente gli occhi. Il corpo di Savannah sembrava fatto apposta per quello di lui. Era stretta. Calda. Serica. La sua pelle era liscia come il raso, la sua bocca affamata. Gregori desiderava che lei cancellasse i lunghi e infiniti secoli di vuoto. Desiderava che riempisse l’abisso privo di emozioni della sua anima. Quell’anfratto scuro e deserto, terribilmente squallido e disperato. E lei lo fece. In qualche modo, riuscì ad accettarlo in maniera totale e incondizionata. Savannah gli si concesse spontaneamente, senza riserve, acconsentì a essere
dominata e posseduta da lui. Gregori la sentì fremere di piacere, in preda a una serie di scariche di godimento, mentre lo avvolgeva in una morsa di velluto e lo portava al culmine dell’eccitazione, finché entrambi non presero a volare nello spazio. Savannah gli si aggrappò, gli affondò le unghie nella schiena, gli premette la bocca sulla spalla e il suo gridolino di soddisfazione fu attutito dai muscoli del petto di Gregori. Lui la strinse forte a sé, rischiando di spezzarle le ossa. Ancora non riusciva a credere che quella donna fosse effettivamente lì con lui. Non riusciva a credere che l’avesse davvero accettato. Gregori aveva ucciso innumerevoli volte e altrettanto spesso aveva infranto le leggi. Non sentiva alcun rimorso. Non sentiva proprio niente. E Savannah era così compassionevole. Così giovane. Così bella e piena di vita. Gregori nascose il volto sul suo collo. «Devi nutrirti, bambina», le ricordò in tono piatto. A Savannah vennero i crampi allo stomaco. Era stata presente, era stata dentro di lui, mentre Gregori beveva il sangue del giornalista. Nutrirsi era necessario; se ne rendeva conto. Aveva persino accettato che Wade Carter morisse per non mettere a rischio la sopravvivenza della loro razza. Ma non voleva il suo sangue. Si morse il labbro, il cuore cominciò a batterle forte. Con molta cautela, provò a spostarsi, e subito sentì il duro pavimento di marmo contro la schiena. Non se ne era accorta prima; in effetti, aveva permesso a Gregori di sprofondare il più possibile dentro di lei e aveva fatto in modo che il piacere di entrambi giungesse all’apice. In quel momento però Savannah si accorse di provare dolore e di essersi procurata dei lividi: i fianchi le facevano malissimo. «Non è che questo sia un posto molto comodo, Gregori», azzardò. Lui si sollevò con un unico fluido movimento e la fece alzare, tenendola stretta tra le braccia. «Mi dispiace, piccola mia. Avrei dovuto essere più delicato». Savannah gli sfiorò il viso con estrema dolcezza. «Promettimi che non mi lascerai mai più sola, come hai fatto prima. La prossima volta mi permetterai di venire con te». Il suo sguardo era eloquente, implorante, al punto che Gregori fu costretto a guardare altrove. «Non chiedermi qualcosa che non
posso concederti. Ti darei la luna se la volessi, mia cara, ma non posso permetterti di correre alcun pericolo. Per nessuna ragione. Nemmeno per essermi d’aiuto». Lei gli cinse il collo con le esili braccia. Gli si schiacciò contro. «Non credo che riuscirei a sopravvivere se accadesse un’altra volta», gli mormorò. «Ero terrorizzata per te». «Avverto la tua fame. Voglio nutrirti». «Non posso», ammise lei, riluttante e timorosa della sua reazione. «Quell’uomo…». Gregori rimase in silenzio e la condusse in una delle stanze da letto. «Sì che puoi, e lo vuoi perché sono io a desiderarlo». La adagiò sul letto. Lei lo guardò dritto negli occhi chiari, occhi che la tenevano prigioniera, che le davano ordini, persino quando vagavano possessivi sul suo corpo. Gregori le prese uno dei morbidi seni sodi fra le mani, stuzzicandole il capezzolo con il pollice fino a farlo inturgidire. «Gregori». La voce di Savannah era un debole lamento. «Farai quello che desidero, Savannah». Era L’espressione del viso era determinata, quasi crudele.
implacabile.
Savannah cercò di distogliere lo sguardo, ma lui le afferrò il mento e le impedì di girare la testa. «Adesso, Savannah. Devi nutrirti adesso. Non l’hai fatto stamattina e abbiamo tutta la notte davanti. Devi nutrirti». Savannah deglutì, il suo stomaco si ribellò. «Non posso, Gregori. Quel giornalista è morto. Proprio non posso». «Forse volevi dire che sono stato io a ucciderlo». Le sue parole furono appena un bisbiglio. «No, lo so che costituiva una minaccia per la nostra gente. So anche che ha tentato di ammazzarti. Non c’era scelta. Tuttavia, non posso bere il suo sangue». Savannah, dimenandosi, cercò di allontanarsi da lui. D’un tratto si rese conto di essere nuda e desiderò con tutta se stessa di rimettersi addosso i propri vestiti. «Tu ti nutrirai», ripeté Gregori. A quel punto la sua voce era diventata un mormorio, così ipnotico e irresistibile che lei gli si
ritrovò abbarbicata. Savannah riuscì a percepire il calore del suo corpo e del suo respiro. Nutriti, Savannah. Vieni qui, adesso. Gregori la attirò a sé e la schiacciò contro il proprio petto. «Io sono il tuo compagno per la vita. Non posso fare altro che soddisfare le tue necessità». Savannah assaporò il gusto salino della sua pelle. Il desiderio di lui, il suo desiderio… Non avrebbe saputo dire dove cominciava l’uno e finiva l’altro. Gregori le stava bisbigliando nella testa parole impossibili da decifrare, che le risuonavano come musica per tutto il corpo. Sarebbe stato impossibile liberarsi dalla sua stretta: lui le aveva messo anche una mano sulla nuca per tenerla ancora più vicina a sé. Non c’era modo di sfuggire a quella morsa d’acciaio. Savannah, che oltretutto nemmeno lo voleva, aveva già preso a baciarlo. Quando i denti di lei gli perforarono la pelle, Gregori chiuse gli occhi. Provò una sensazione voluttuosa, piacere e dolore allo stesso tempo: il corpo nudo di lei era irresistibile, tuttavia dovette frenare il proprio insaziabile desiderio. Si era già comportato da egoista, possedendola sul pavimento, impaziente e assetato di lei, nonostante si sentisse insicuro di sé. Ora le strinse la testa al proprio petto, fornendole il nutrimento necessario a rendere il suo pallido colorito di nuovo roseo e sano. Poi, lentamente, seppur riluttante, le permise di sfuggire al suo dominio. Savannah sbatté le palpebre e nei suoi grandi occhi blu affiorò all’improvviso la consapevolezza. Si tirò indietro di colpo, rotolando dall’altra parte del letto per riprendersi i vestiti. «Sei davvero disgustoso, Gregori. Non hai alcun diritto di costringermi a obbedirti quando ti ho già detto di no». Gregori la osservò mentre lei guardava in giro alla ricerca dei propri abiti. Savannah si ributtò a letto. «Sembra che ancora una volta sia rimasta senza vestiti», sospirò, stanca. «Ci vorrà un attimo a risolvere la faccenda», replicò lui. Creare vestiti dal nulla era un gioco da ragazzi, semplice come qualsiasi altro incantesimo per Gregori. Savannah sembrava così triste che lui avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé per consolarla. Era ancora infastidita dal fatto che lui aveva volontariamente assunto il
veleno. Dal fatto che aveva infranto le loro leggi e ucciso la propria vittima nutrendosi del suo sangue. Ma soprattutto era arrabbiata perché l’aveva costretta ad aspettarlo mentre il suo compagno per la vita andava incontro al pericolo invece di consentirle di accorrere in suo aiuto. E poi era afflitta perché lui l’aveva obbligata a nutrirsi contro la sua volontà. Gregori le porse un paio di jeans e una maglietta di cotone, squadrandola attentamente. «Sono così perché tutti questi secoli di vuoto mi hanno plasmato, Savannah», le disse. Lei si scostò stancamente i capelli dal volto. Tutto stava accadendo troppo in fretta. Il suo mondo stava cambiando, si era capovolto e le era diventato estraneo, ne aveva perso il controllo. Peter. Il vampiro. Il cacciatore umano. Il veleno. Il fatto di essere stata imprigionata dal suo stesso compagno per la vita. Si morse un labbro, agitata, prendendo la maglietta per coprirsi i seni. «Puoi scegliere di cambiare, Gregori. Chiunque può farlo». Lui le sfiorò la mente, un tocco leggerissimo, e si accorse che Savannah stava per mettersi a piangere. Le accarezzò una guancia, solleticandole lo zigomo con il pollice. «Non posso scegliere di permettere che tu corra un pericolo, amore mio. In questo non potrò cambiare mai». «Ma il fatto stesso che viviamo insieme costituisce un rischio per te», obiettò lei, fulminandolo con lo sguardo. Gregori sfoderò i denti bianchi e scintillanti in un sorriso da predatore. «Io non corro mai rischi. Wade Carter pensava che la sua mente fosse schermata e invece anche i bimbi carpaziani riescono a innalzare barriere più forti contro i loro nemici». «Il punto è che tu non potevi saperlo, Gregori. Sei uscito di casa e gli hai permesso di colpirti con quella pistola anestetizzante senza sapere cosa contenesse. E ti sei anche assicurato che io non potessi venire ad aiutarti». Gregori presa la maglietta e gliela fece indossare. «Io non sono mai in pericolo, Savannah», ripeté, calmo e paziente. La sua voce era morbida come velluto nero. Lei chinò il capo e i capelli le ricaddero sulla fronte, nascondendo
l’espressione che aveva dipinta in volto. Poco importava. Gregori le leggeva nel pensiero e non aveva alcuna difficoltà a capire che cosa le passava per la testa. Savannah era confusa, spaventata, triste. Quelle sensazioni la opprimevano come se avesse avuto un macigno sul petto. Gregori la prese in braccio come se fosse una bambina e le infilò i jeans, ricoprendole le nude ed esili gambe. Si sedette sul bordo del letto e la cullò fra le braccia. La dondolò teneramente. «Mi dispiace di averti spaventato, piccola mia. Non avrei mai voluto, per niente al mondo. Ma tu devi capire che cosa vuol dire essere legata a un uomo potente come me. Molte delle cose che potrebbero costituire un pericolo per la nostra razza, su di me non hanno alcun effetto. Io sono in grado di fare incantesimi e magie che non riescono a nessun altro. So di cosa sono capace». Le accarezzò con dolcezza i capelli. Lei si girò e nascose il volto rigato di lacrime contro il suo petto. «Io però non lo so di cosa sei capace». La sua voce era strozzata dal pianto. Gli infilò una mano tra i folti capelli e si aggrappò disperatamente a lui. Gregori chinò il capo con aria protettiva. «Devi avere più fiducia nelle mie forze, Savannah. Più fiducia in me. Non ho alcuna intenzione di buttare al vento la mia vita, non dopo averti trovato. Credi in me, nel mio potere e nelle mie capacità». Lei gli si abbarbicò ancora di più, quasi stesse cercando di penetrare dentro di lui. Gregori la strinse a sé, offrendole protezione e riparo tra le proprie braccia. «So cosa posso fare e cosa no, mio piccolo amore. Non ho corso alcun rischio che non fosse strettamente necessario». Continuò ad abbracciarla, a inalare il suo profumo, i loro odori mescolati, e si reputò molto fortunato per il fatto che lei tenesse tanto alla sua incolumità. «Mi dispiace averti spaventato», ripeté affondando la bocca tra i suoi capelli. «Non farlo di nuovo», gli ordinò lei, strofinandogli il naso sul collo. La sua bocca si lasciava dietro una scia di fiamme che gli lambivano la pelle. Gregori reagì, il suo corpo prese vita. Percepiva l’angoscia di
Savannah, sapeva che aveva dei lividi sulle anche e sulla schiena e che era stato lui con la sua mancanza di attenzioni a procurarglieli. Le mise una mano sul fianco e uscì dal proprio corpo, penetrando in quello di lei. All’improvviso Savannah avvertì un’ondata di calore che le alleviò i dolori muscolari e le guarì le ferite. Riuscì a sentire l’antico canto curativo riecheggiarle nella mente e la bellissima e melliflua voce di Gregori che le fluiva dentro. Gli si abbandonò tra le braccia, fissando i suoi lineamenti sensuali, scavati e intagliati dal tempo, contemplando quel magnifico esemplare di bellezza carpaziana. Gregori era forte e potente. Era il suo compagno per la vita. Savannah continuò a studiarlo, a esaminarne ogni centimetro di pelle. Lui d’un tratto le sorrise, un vero sorriso, che gli illuminò lo sguardo e trasformò i suoi occhi argentei in due laghi. «Che cosa stai guardando?». Savannah gli toccò il mento con la punta di un dito. Era un bel mento. Volitivo. Determinato. Ben fatto. «Sto osservando il mio compagno per la vita, Gregori. Non voglio che ti accada mai niente di brutto». Gli incorniciò il volto fra le mani. Molto lentamente, sollevò la testa e lo baciò. Fu un bacio lento e appassionato. Un bacio profondo. Infilò la lingua nella bocca di lui, la esplorò, provocandolo e tentandolo. Quando le loro labbra si staccarono, Savannah appoggiò la fronte contro quella di Gregori. «Non farlo di nuovo. Non lasciarmi sola e indifesa senza di te». Gregori sentì una stretta lancinante al cuore. Quella donna gli faceva un effetto sconvolgente. Non lo stava condannando come avrebbe dovuto, era invece rimasta profondamente turbata dalla preoccupazione. Le diede una serie di piccoli baci sul collo. Le graffiò leggermente una spalla con i denti. «Quindi ti piace il jazz». Savannah sollevò il capo, cercando di incontrare il suo sguardo. «Io adoro il jazz», mormorò. Gregori si accorse dell’ansia e delle speranze che aveva suscitato in lei. «E immagino che non potremo certo perderci il festival di New Orleans», si ritrovò a dire lui, solo per il gusto di cancellare le ombre che le velavano gli occhi.
Savannah rimase per un attimo in silenzio, stringendo l’orlo della coperta fra le dita. «Cosa intendi dire, Gregori? Possiamo andarci?» «Sai quanto amo immergermi tra una folla di umani», replicò lui, serio. Savannah scoppiò a ridere. «Be’, non mordono». «Io sì», ribatté Gregori a voce bassa. Un lampo di possessività gli illuminò gli occhi d’argento. Bastava il suo sorriso a suscitare in lui un’eccitazione devastante. L’aveva posseduta solo pochi minuti prima e adesso la desiderava di nuovo. La desiderava tantissimo. Il suo corpo aveva avuto una reazione selvaggia, impetuosa, e lui non aveva opposto resistenza, non aveva fatto alcuno sforzo per nascondere il suo enorme bisogno di averla. Savannah rimase senza fiato quando si accorse che Gregori era nuovamente eccitato. Aveva quel particolare potere su di lui e rimase stupita dei suoi micidiali effetti. Gli sfiorò la pelle con la punta delle dita. Quel tocco lieve lo fece fremere. Lei gli mise la mano sul ventre piatto e lo sentì trattenere il respiro. Gli accarezzò il membro duro e lo sentì tremare di piacere. Gregori le prese il capo fra le mani, avvicinandola a sé. Era al culmine dell’eccitazione, quasi provava dolore. «Finirò per odiare New Orleans», le bisbigliò fra i capelli setosi, prima che lei abbassasse la testa. Il respiro di Savannah gli riscaldò la vellutata estremità del membro, facendogli scorrere il fuoco nelle vene. «Forse possiamo trovare un modo per renderla un po’ più interessante e piacevole anche per te», azzardò. La sua bocca era morbida come la seta, calda e umida. Gregori sollevò i fianchi, spingendola sul letto e puntando le ginocchia sulla spessa coperta. Savannah era bellissima, la sua pelle era liscia e priva di imperfezioni, i folti capelli sciolti le ricadevano sulle spalle. Mettendosi a sedere, lei si tolse lentamente la maglietta di cotone e offrì i propri seni nudi e sodi al suo sguardo. Aveva un aspetto incantevole e sexy nel buio della notte, era un regalo erotico e misterioso, tutto per lui. «Credi di riuscire a rendermi New Orleans più sopportabile?». Gli
occhi di Gregori dicevano più delle sue parole, le percorrevano il corpo in lungo e in largo, indugiando su ogni curva. Savannah gli accarezzò la pancia piatta e vi concentrò la propria attenzione. «Sono sicura di poter essere abbastanza fantasiosa da farti dimenticare che odi la folla. Toglimi i jeans». «I jeans?», le fece eco lui. «Tu me li hai messi ed è ora che me li tolga. Levameli». La sua mano stava scendendo, mentre seguiva con le dita il profilo dei forti muscoli, un intenzionale tentativo di convincerlo ad accontentarla. Lui le sbottonò velocemente i jeans e glieli sfilò dalle gambe. Lei li gettò da una parte e si chinò in avanti per dargli un bacio sul ventre. I lunghi capelli ricaddero sul membro duro di Gregori, una massa setosa che quasi lo mandò fuori di testa. «A volte è proprio una bazzecola obbedire ai tuoi ordini, mia cara», mormorò lui, chiudendo gli occhi mentre la bocca di Savannah scendeva ancora più in basso. Gregori le palpò i seni, accarezzandole i capezzoli con i pollici finché non divennero turgidi. I fianchi fecero uno scatto in avanti, quasi di loro spontanea iniziativa: il suo corpo viveva di vita propria. Savannah gli mise le mani sui glutei, spingendolo il più possibile dentro di sé, poi gli accarezzò i forti muscoli delle cosce. Gli affondò le unghie nella carne e inarcò la schiena per offrirgli i seni doloranti. Lui bruciava di desiderio. Gli riecheggiò in testa un ringhio soffocato, poi un’ondata di piacere lo travolse e trascinò con sé ogni residuo di autocontrollo. Fuori il vento cominciò a soffiare forte. Fece sbattere le imposte e si infranse contro le spesse mura della villa, minacciando l’arrivo di una tempesta. Nessuno dei due lo udì o se ne preoccupò. La burrasca stava già imperversando dentro la stanza: Gregori fece sdraiare Savannah ed esplorò con la bocca ogni centimetro del suo corpo, ogni piega e ogni cavità, accarezzandola e infiammandola. Facendo divampare un incendio. Facendo scatenare una tempesta. Si agitò sopra di lei, baciandola e toccandola dovunque. Savannah aveva scacciato i suoi demoni, spettacoli orribili e morti terrificanti. Aveva allontanato la
solitudine e l’aveva rimpiazzata con un piacere tanto intenso che Gregori non sapeva se sarebbe sopravvissuto. L’urlo inarticolato di Savannah, mentre lui la penetrava e le sprofondava dentro, fu attutito dalla sua bocca premuta contro quella di lei. Lo avvolse in una morsa di calore liquido, morbida come il velluto, bollente e appassionata, squisitamente stretta. Gregori le mormorò all’orecchio alcune parole nell’antica lingua dei padri, parole che lei non riusciva a comprendere, ma che lui sentiva di dover pronunciare, parole che non aveva mai detto prima, di cui non aveva mai sperimentato il significato. Savannah avrebbe anche potuto non comprenderlo mai, eppure lui ormai era legato a lei per il resto dell’eternità. Sarebbe stato per sempre suo. La venerava. E l’unico modo in cui poteva dimostrarglielo era per mezzo del suo corpo, della sua forza, della sua saggezza, della sua esperienza. La possedette e fecero l’amore a lungo. Un lampo di luce illuminò il cielo. La terra si mosse sotto di loro. Niente sembrava avere importanza. Lui continuò a penetrarla, ancora e ancora, assicurandosi che lei per prima provasse piacere. Savannah gli si era aggrappata, e alla fine anche Gregori si abbandonò al godimento. Non avrebbe mai voluto fermarsi: temeva che se l’avesse lasciata andare, Savannah gli sarebbe sfuggita per sempre. Il carpaziano imprecò a bassa voce e rotolò sul letto, costringendosi ad allontanarsi da lei. Quella donna lo stava facendo diventare pazzo. Disperato. Avrebbe finito per porre fine alla vita di entrambi con quel suo insaziabile desiderio. Le aveva già infilato una mano nel folto della serica chioma, stringendo nel pugno alcune ciocche di capelli. Savannah udì le parole appena bisbigliate che venivano fuori dalla bocca di Gregori e il suo cuore smise di battere. Aveva appena sconvolto la sua esistenza, dandola alle fiamme, e ora era persino indispettito. Gli voltò la schiena in modo tale che lui non potesse vedere la sua espressione contrariata e sofferente. «Che ho fatto di sbagliato?», gli chiese con un filo di voce. Gregori le tirò i capelli per costringerla a voltarsi verso di lui. «Tu mi fai sentire vivo, Savannah». «Io? Ed è per questo che stavi imprecando?». Savannah si mise a
pancia in giù, sollevandosi sui gomiti. Lui le si fece più vicino e le sfiorò con le labbra la curva del seno. «Stai facendo di tutto per legarmi sempre più stretto a te. Mi stai portando via ogni briciola di buonsenso». Un piccolo sorriso le curvò gli angoli della bocca. «Non mi è sembrato che tu avessi molto buonsenso prima». Gregori sorrise, mostrando i denti bianchissimi in un ghigno da predatore per poi affondarli nella morbida carne nuda di Savannah. Lei gemette ma gli si avvicinò, mentre la lingua di lui continuava ad accarezzarla e stuzzicarla, alleviando l’acuto dolore che le aveva appena inflitto. «Ho sempre avuto molto buonsenso», replicò Gregori, deciso, graffiandole il profondo incavo tra i seni. «Sarà. Ma non mi pare sia così. Hai permesso a un dannato imbecille di spararti con una pistola anestetizzante e di avvelenarti. Sei andato da solo in un laboratorio pieno zeppo di tuoi nemici. È necessario che continui?». Lo squadrò con aria beffarda. Il suo sedere, sodo e rotondo, era una tentazione troppo forte alla quale Gregori non riuscì a resistere. Le diede una sculacciata fingendo di rimproverarla. Savannah saltò su, ma prima che potesse darsela a gambe, lui cominciò ad accarezzarla, producendo su di lei un effetto di gran lunga diverso. «A giudicare dalla posizione in cui ci troviamo, mia cara, direi che il mio buonsenso è più sviluppato del tuo». Savannah scoppiò a ridere. «Be’, per questa volta ti permetto di averla vinta». «Che ne pensi di una doccia?», le chiese lui, premuroso. Savannah annuì in segno d’assenso e Gregori volò giù dal letto, la prese in braccio e se la strinse al petto. C’era qualcosa di troppo innocente in quell’uomo. Lei lo guardò con diffidenza. Tuttavia, in un attimo lui aveva già attraversato la stanza ed era giunto davanti alla porta-finestra. Questa si spalancò a un suo cenno, e lui la portò fuori, nuda, sotto un freddo e splendente acquazzone. Savannah cercò di dimenarsi per sfuggirgli, agitandosi e prendendolo a pugni sul petto, sghignazzando nonostante il fiume d’acqua gelida che le si stava riversando addosso. «Gregori, sei così
cattivo! Non posso credere che tu mi stia facendo questo». «Be’, in effetti non ho molto buonsenso», ridacchiò lui, prendendola in giro divertito. «Non è questo che hai detto?» «Me lo rimangio», gemette Savannah, aggrappandosi a lui e nascondendo il viso contro il suo petto, mentre la pioggia battente le bagnava i seni nudi, facendole subito inturgidire i capezzoli. «Corri con me stanotte», le mormorò Gregori. Una lusinga. Una tentazione. Portandola con sé, sarebbe stata sempre più coinvolta dall’oscuro mondo da cui lui proveniva. Savannah sollevò il capo, lo guardò dritto negli occhi argentei e si smarrì. La pioggia le scrosciava addosso, la inzuppava, ma, mentre Gregori sorvolava lentamente insieme a lei la distesa di aghi di pino che ricopriva il balcone, Savannah non riuscì a distogliere lo sguardo da quegli occhi affamati. Fece di sì con la testa e accettò i programmi che Gregori aveva fatto per lei quella notte. Andando incontro ai desideri del suo compagno, Savannah si concentrò sulla propria immaginazione. Il suo corpo a quel punto cominciò a contorcersi. Avvertì una bizzarra torsione, una sensazione strana e disorientante, la sua pelle iniziò a ricoprirsi di una folta peluria nero-blu e le sue sembianze mutarono rapidamente. Presto un piccolo lupo dagli occhi blu si ritrovò fermo sotto la pioggia a guardarsi intorno, quando un enorme lupo nero gli diede un colpetto con il muso e lo leccò con una ruvida carezza sul muso. Savannah si voltò e trotterellò attraverso la fitta vegetazione, esaltata dal senso di libertà che provava in quei panni. Gregori le si avvicinò e le camminò al fianco, protettivo. Il vento soffiava forte e le cime degli alberi ondeggiavano. Savannah riusciva a udire qualsiasi rumore, avvertiva ogni cosa, la notte stessa le inviava un richiamo. Cominciò a correre a grandi falcate – il suo corpo era fatto apposta – e il collo allungato in avanti. Si sentiva selvaggia. Non più umana. Libera. Corse veloce, scartando a destra e a sinistra tra gli alberi. Gregori tenne la stessa andatura, sfiorandole di tanto in tanto il corpo slanciato con il muso o dandole un colpetto sul fianco o sulla spalla per indicarle la direzione verso la quale intendeva proseguire. Savannah snidò un
coniglio e si mise a inseguirlo per il puro gusto di farlo prima di svoltare per un sentiero poco battuto che serpeggiava nel fitto della boscaglia. Aveva sentito l’odore di altri suoi simili. Lupi che correvano liberi. Diversi maschi, tre femmine. Il grande lupo che le stava al fianco le mostrò le zanne e le fece cenno di allontanarsi da quella scia. Savannah oppose resistenza e si mise a girargli intorno, allettata da quel richiamo selvaggio. Gregori ululò, sfoderò le zanne, le si scagliò addosso con tutto il suo peso per bloccarla e alla fine ebbe la meglio. La spinse a tornare verso casa. Lei gli lanciò un’occhiata eloquente. Era stato lui a proporre la corsa e a farle mutare forma; adesso Savannah gli stava chiedendo di smetterla di impedirle di divertirsi. Gregori cominciò a darle dei colpi più forti con il muso. Avrebbe dovuto essere esausta dopo l’intensa attività della nottata. Voleva che tornasse indietro. Quando Savannah si rifiutò, le diede un morso sul fianco, per ricordarle chi comandava fra loro due. Lei si girò di scatto, ma alla fine obbedì e si fiondarono entrambi ad ampie falcate nella foresta. Una volta giunti a casa ripresero sembianze umane e Gregori la prese per mano e la condusse dentro. Savannah era nuda, bagnata fradicia, con i capelli che gocciolavano. Gli lanciò un’occhiata. «Non importa che aspetto assumi, devi sempre fare il prepotente, vero?». Lui la avvolse in un asciugamano e la frizionò finché la sua pelle non cominciò ad arrossarsi. «Prendo sul serio la tua salute e la tua sicurezza, Savannah». Non mostrava il benché minimo segno di pentimento. Savannah tremò appena e si arrotolò l’asciugamano intorno al corpo, d’un tratto infastidita da tutti i cambiamenti che aveva dovuto affrontare. Aveva appena ventitré anni, nemmeno un quarto di secolo. E aveva trascorso gli ultimi cinque completamente immersa nel mondo degli umani. Adesso la sua natura selvaggia la richiamava all’ordine. Gregori stava toccando qualcosa di indomito che covava dentro di lei, qualcosa di cui lei stessa aveva fino a quel momento negato l’esistenza. Qualcosa di selvatico, disinibito e incredibilmente voluttuoso.
Savannah alzò lo sguardo e osservò il suo viso cupo e bello. Era così virile. Così carnale. Così potente. Gregori. Il tenebroso. Le bastava guardarlo per sentirsi vincere dal desiderio. Una sua sola occhiata era in grado di farla impazzire per l’eccitazione, di farle scorrere il fuoco nelle vene. Diventava morbida e duttile. Diventava sua. Gregori le accarezzò una guancia. «Qualsiasi cosa tu stia pensando mi mette paura, Savannah», le disse. «Smettila». «Mi stai trasformando in qualcosa che non sono», sussurrò lei. «Tu sei una carpaziana, la mia compagna per la vita. Sei Savannah Dubrinsky. Non posso cambiare nessuna di queste cose. Non voglio una marionetta, o una donna diversa. Ti voglio così come sei». Il suo tono era basso e irresistibile. La prese in braccio, la portò a letto e le rimboccò le coperte. Il temporale continuava a far sbattere le imposte e a fischiare attraverso i muri della casa. Gregori cominciò a tessere gli incantesimi che li avrebbero protetti durante il sonno. Savannah era esausta, gli occhi già le si chiudevano. Lui scivolò sotto le lenzuola e la abbracciò. «Non vorrei cambiare nulla di te, piccola mia, nemmeno il tuo fastidioso caratterino». Lei si strinse a lui, l’incastro fra i loro corpi era perfetto. Gregori sentì le labbra di Savannah a contatto con il suo petto e avvertì l’ultimo sbuffo d’aria che le uscì dai polmoni. Il carpaziano rimase sveglio a lungo, osservando l’alba che si faceva strada, cacciando via la notte. Con un cenno della mano chiuse a chiave le serrature delle finestre. Continuò a vegliare, tenendo stretta Savannah tra le braccia. Aveva sempre saputo di essere pericoloso, per questo temeva per i mortali e gli immortali che venivano a contatto con lui. Ma in qualche modo, forse ingenuamente, aveva pensato che, una volta legato alla sua compagna per la vita, sarebbe diventato più innocuo, sarebbe stato addomesticato. Le sue dita presero a giocherellare con i capelli di Savannah. E invece quella donna lo aveva reso ancora più selvaggio. Più pericoloso di quanto non fosse mai stato. Prima di Savannah non aveva provato alcuna emozione. Aveva ucciso
quando era stato necessario, proprio perché era necessario. Non aveva temuto nulla, perché non amava e non aveva niente da perdere. E invece, da quando c’era lei, era diventato più pericoloso. Niente e nessuno avrebbe potuto minacciare Savannah e sopravvivere.
Capitolo 10 Gregori osservò la piccola casa a due piani, racchiusa da una recinzione di ferro battuto e stretta tra due abitazioni ancora più minuscole e piuttosto trascurate, nell’affollato Quartiere Francese di New Orleans. Inserì la chiave nella serratura e si voltò per guardare l’espressione di Savannah. Il suo viso era illuminato dalle aspettative e gli occhi le brillavano. «Ho definitivamente perso anche l’ultimo briciolo di buonsenso», borbottò mentre apriva la porta. L’interno della casa era buio, ma lui riusciva a distinguere tutto senza difficoltà. La stanza era ammantata di polvere; vecchie lenzuola ricoprivano i mobili e la carta da parati si era scollata dalle pareti. «Non è bellissima?». Savannah tese le braccia e si mise a girare come una trottola. Saltò tra le braccia di Gregori e lo strinse a sé. «È perfetta!». Lui non riuscì a trattenersi e le diede un bacio sulle labbra carnose. «Perfetta per darle fuoco. Savannah, ma tu avevi mai visto questa casa prima di acquistarla?». Lei scoppiò a ridere e gli spettinò i folti capelli. «Non fare il pessimista. Non vedi che ha un grande potenziale?» «È una trappola in cui può divampare un incendio da un momento all’altro», brontolò Gregori, ma nel frattempo stava già esaminando i pesanti tendaggi e le strette scale che conducevano sia al piano di sopra che a un qualche rifugio sotterraneo. «Vieni con me». Savannah si stava già precipitando in direzione delle scale. «Lascia che ti mostri la grande sorpresa, Gregori. Ecco perché l’ho comprata. Non è solo una splendida casa con un magnifico giardino». «Un giardino?», le fece eco lui. Tuttavia la seguì. Avrebbe forse potuto fare altrimenti? Savannah irradiava felicità. Gregori si ritrovò a fissarla, a osservare ogni suo movimento, il modo in cui si voltava,
il modo in cui lo sguardo si spostava da una parte all’altra. Era bellissima. Se quello che desiderava era una casetta claustrofobica al centro del Quartiere Francese, se questo la rendeva felice, lui non glielo avrebbe certo negato. Una scaletta a chiocciola, dai gradini ripidi e stretti, conduceva a un inaspettato seminterrato grande quanto l’intero appartamento. New Orleans era stata costruita su un terreno molto umido e al di sotto del livello del mare. Neanche i morti potevano essere sepolti sotto terra. Quella città rendeva Gregori nervoso. In caso di necessità non c’era un quadratino di terra sotto cui seppellirsi. Nessuna via di fuga semplice e naturale. New Orleans presentava dei problemi che lui in quel momento non avrebbe voluto dover affrontare. Gregori osservò con molta attenzione le pareti di cemento del seminterrato, il solido pavimento. Percorse a grandi falcate tutta la lunghezza della stanza, ne seguì il perimetro, si spostò al centro della camera e chiuse gli occhi. Inspirò a fondo. C’erano tracce di altre persone lì sotto, tracce di coloro che vi avevano abitato. «Lo senti?», gli chiese Savannah a bassa voce. Gli mise una mano sul braccio e lo prese per il polso, anche se non riusciva a chiudervi le dita intorno. Gregori fissò la minuscola mano. Riusciva a percepire quel contatto in ogni cellula del corpo. Il suo polso era troppo grosso e Savannah non era riuscita a circondarlo tutto con le proprie dita. Si rese d’un tratto conto che lei lo prendeva spesso per il polso: era un gesto che li legava l’uno all’altra, un gesto che lo faceva sciogliere. Gregori si sforzò di ricondurre al presente la propria attenzione. Quindi anche Savannah sentiva quella presenza. Qualcuno aveva vissuto lì prima di loro. Julian. Julian Savage era stato in quella casa. Perché? Quanto l’aveva resa sicura? Probabilmente Julian aveva condotto Savannah in quella villetta, quando aveva avuto sentore del suo desiderio di trasferirsi a New Orleans. Gregori le circondò le spalle con un braccio. «Cosa sai del precedente inquilino?» «Soltanto che non abitava qui da molto tempo. L’agente immobiliare mi ha detto che la casa era di proprietà della sua
famiglia da più di duecento anni, e che quindi è una delle abitazioni più antiche di tutta la zona». «Tu non l’hai mai incontrato di persona?», le domandò Gregori. «No», rispose Savannah. «Il precedente proprietario era Julian Savage, sebbene mi riesca difficile immaginare che abbia potuto vivere qui. È un tipo solitario, indomito come il vento». Attraversò di nuovo la stanza a grandi passi. «Il fatto che Julian abbia abbandonato questo rifugio può voler dire soltanto una cosa. Ha scelto di incontrare l’alba». Pronunciò quelle parole in tono freddo, ma dentro di sé avvertì quella curiosa sensazione che gli stava diventando sempre più familiare. Commozione. Dolore. Ormai molti degli appartenenti al suo popolo erano andati via per sempre. Julian era stato più forte di molti altri, più saggio. A Gregori dispiacque moltissimo aver perso Julian. Savannah gli strattonò il braccio. «Non possiamo esserne sicuri, Gregori. Forse voleva solo farci un regalo di nozze. Non pensare sempre al peggio». Gregori cercò di scrollarsi la malinconia di dosso, tuttavia gli sembrava di riuscire a stento a respirare in un quartiere piccolo e affollato come quello. «Le altre case sono praticamente appiccicate a questa», disse. «È come se al vicino bastasse fare un passo per ritrovarsi del nostro soggiorno». «Non hai ancora visto il cortile, Gregori. La casa dà su un giardino interno, grande e abbastanza ben tenuto». Savannah cominciò a risalire le scale, ignorando i suoi brontolii. «Non voglio neanche immaginare che cosa intenda tu per malmesso, allora», borbottò Gregori, seguendola al piano superiore. «Strano che ci sia tutta questa polvere», disse Savannah. «Avevo detto a quelli dell’agenzia immobiliare di mandare qualcuno a pulire, in modo che fosse tutto pronto per il nostro arrivo». «Non toccare niente», sibilò Gregori; la prese per le spalle con estrema delicatezza e le si mise davanti. «Che c’è?». Istintivamente Savannah abbassò la voce e si guardò intorno, cercando di individuare un qualche pericolo che fino a quel
momento non aveva avvertito. «Se è venuto qualcuno a fare i letti e a preparare la casa per il nostro arrivo, avrebbe dovuto anche spolverare». «Forse sono speranzosa.
incredibilmente
incompetenti»,
suggerì
lei,
Gregori le lanciò un’occhiataccia e si accorse che gli angoli della sua bocca si erano curvati in un sorriso. Savannah lo faceva ridere, anche nelle situazioni più serie. «Sono sicuro che chiunque farebbe gli straordinari pur di farti contenta, piccola mia. Io lo farei». Savannah arrossì al ricordo di come lui si era adoperato per renderla felice. «Quindi come ti spieghi tutta questa polvere?», gli chiese, tentando di distrarlo. «Credo che Julian abbia voluto lasciarci un messaggio. Sei stata così a lungo insieme agli umani che ormai vedi la realtà solo con i loro occhi». A quel rimprovero, Savannah alzò gli occhi al cielo. «E tu hai vissuto tanto a lungo fra le montagne che ti sei dimenticato come si fa a divertirsi». I suoi occhi chiari le scivolarono addosso, surriscaldandola. «Ho una mia personale idea del divertimento, cara. Mi piacerebbe dartene una dimostrazione, se vuoi», si offrì, malizioso. Savannah tirò su il mento e gli rivolse uno sguardo provocatorio. «Se pensi di spaventarmi con il tuo vecchio trucco del grande lupo cattivo, ti sbagli», ribatté. Gregori sentì il cuore di Savannah battere forte. Il suo odore gli stava inviando un richiamo. «Be’, magari posso farmi venire in mente qualche variante», la avvertì lui. Gregori rivolse nuovamente la propria attenzione alla stanza. La polvere ricopriva le pareti, il camino, le mattonelle del pavimento. Il carpaziano si accovacciò, sfiorò i minuscoli granelli e studiò la pianta della camera da ogni angolo. I suoi occhi, nella stanza buia, mandarono un bagliore rosso. Savannah fece un passo indietro e andò a sbattere con la schiena contro la parete. Era concentrata su Gregori, non su quello che lui
stava facendo. Osservava il modo in cui si muoveva, il guizzare dei muscoli sotto la camicia di seta, i passi fluidi: sembrava che planasse da una parte all’altra della stanza. Il modo in cui inclinava il capo, il modo in cui si passava, impaziente, una mano tra i folti capelli. Gregori apparteneva a un altro mondo. Era elegante. Pericoloso. Letale. Tuttavia, quando girò la testa e le sorrise, le apparve sensuale e non crudele. I suoi occhi erano gelidi e mortali, vedevano tutto, non si lasciavano sfuggire nulla, eppure, quando la guardava, il freddo acciaio si trasformava in mercurio liquido. Bollente. Eccitante. Sexy. Quasi peccaminoso. Savannah sbatté le palpebre, nel tentativo di rimettere a fuoco la stanza. C’era stato un piccolo cambiamento. Adesso sembrava che Gregori stesse spostando la polvere con un cenno della mano. Muoveva il braccio con grazia, come se dirigesse un’orchestra, e sulle pareti e sul pavimento cominciarono a spuntare dei disegni. I granelli formarono lettere e simboli antichi. Una volta che Gregori ebbe trovato la chiave, i geroglifici fatti di polvere presero rapidamente forma. «È bellissimo. Si tratta della lingua degli antichi, non è vero?», chiese Savannah, impressionata. Si spostò disegnando un piccolo semicerchio, per non disturbarlo. «Come sei riuscito a capire di dover riportare alla luce queste scritte?» «Il modo in cui la polvere era disposta non aveva nulla di casuale. Il disegno aspettava solo che noi lo svelassimo. Si tratta di un’arte che conoscono in pochi. E non sapevo che la conoscesse anche Julian». Gregori sembrò compiaciuto. «Tuo padre è abbastanza esperto, ma non sono molti quelli che padroneggiano bene la materia». «Ma mio padre è esperto di tutto?». Gregori alzò lo sguardo, avvertendo una nota polemica nella voce della sua compagna. «È il nostro principe. Il più anziano membro del nostro popolo. Be’, direi di sì, sa fare qualsiasi cosa». “A differenza di me”, pensò Savannah. «E tu lo conosci da sempre». Gregori la fissò dritto negli occhi. «Io e tuo padre viviamo da più
di mille anni, bambina. Perché pensi di dover avere anche tu la saggezza degli antichi? Sei bellissima, sveglia e intelligente, e in più impari in fretta». «Forse non potrò mai vivere come vuoi tu. Forse sono nata troppo tardi». C’era una punta di dolore nelle sue parole, tradiva il fatto che Savannah stava perdendo fiducia in se stessa. Le pagliuzze argentee che le splendevano luminose come stelle nelle pupille mandarono un bagliore e i suoi occhi diventarono violetti. Era evidentemente angosciata. Gregori le si fece subito vicino e le incorniciò il volto fra le mani. «Hai tutta la vita davanti per imparare quello che io e tuo padre abbiamo già appreso. A noi ci è voluta la vita intera. Alla tua giovane età, nessuno di noi due portava il carico di responsabilità che hai tu. Potevamo andarcene liberi in giro per il mondo. Non dovevamo vivere insieme a un compagno per la vita arrogante e prepotente». Le accarezzò gli zigomi con i pollici. «Che non ti venga mai in mente, cara, di non essere all’altezza delle mie aspettative». «Potresti stancarti di dovermi spiegare ogni cosa». Gregori le mise una mano sulla gola: sentiva la vena pulsare sotto il palmo. «Mai. Non accadrà mai. E poi anch’io ho molto da imparare da te. Non rido da molto tempo. Dovrai essere tu a insegnarmelo di nuovo. E ci sono moltissime altre cose di cui mi riempirai l’esistenza, emozioni e sentimenti che non avrei mai sperimentato se non ci fossi stata tu». Le diede un bacio sulle labbra. «Vedi che ti sto dicendo la verità?». Savannah chiuse gli occhi: Gregori la baciò appassionatamente e le loro menti si fusero l’una nell’altra. La condivisione di pensieri e sensazioni era qualcosa di intimo e profondo. Il carpaziano provava un urgente bisogno di lei e un altrettanto intenso desiderio. Non aveva alcun dubbio, alcuna esitazione. Sapeva che sarebbero rimasti insieme per sempre; non avrebbe ammesso nessun’altra possibilità. Se fosse intervenuto qualcosa a cambiare il corso degli eventi, avrebbe scelto di seguirla e avrebbe affrontato l’alba. La lasciò andare, lentamente e con una certa riluttanza. Savannah rimase in piedi, immobile, guardandolo fisso e studiando la sua espressione. «Possiamo farcela, Savannah», la incoraggiò lui. «Non avere paura e
non correre via dal tuo destino. Stai al mio fianco e combatti». Un sorrisetto le illuminò il volto. «“Destino”. Una parola interessante. Sembrava che stessi dicendo che sono stata condannata all’ergastolo». Trasse un profondo sospiro e cercò di rilassarsi. «Sei cattivo, ma non così tanto», lo provocò. I bianchissimi denti di Gregori scintillarono in un sorriso da predatore. «Io sono molto cattivo, piccola mia. Non dimenticartelo se vuoi rimanere al sicuro». Lei scrollò le spalle con indifferenza, ma avvertì un tuffo al cuore. «La mia incolumità non mi interessa molto», replicò, sollevando il mento. «La tua affermazione è un’arma a doppio taglio per me». Savannah scoppiò a ridere, dando libero sfogo al suo naturale senso dell’umorismo. «Ci puoi scommettere. Non intendo renderti la vita semplice. Hai fatto di testa tua già per troppo tempo. Adesso insegnami a fare questo. Lo trovo affascinante». Fece un cenno con la mano in direzione di quelle scritte scintillanti. Gregori le afferrò il braccio e glielo tenne fermo. «Rivelare i disegni al nostro sguardo è molto semplice. Prima bisogna studiarli, una volta che sono stati compresi, bisogna ricomporli. I movimenti della mano conducono i granelli di polvere al loro posto. Invece, gli spostamenti d’aria li rimettono dove erano stati originariamente piazzati». «Chi ti ha insegnato queste cose?» «Molte arti sono andate perdute nel corso dei secoli. I monaci buddisti tibetani si servivano un tempo di questa tecnica per comunicare fra di loro e tenere gli altri all’oscuro di quello che si stavano dicendo. Noi siamo tutt’uno con la terra, l’aria, lo spazio. Comandare e spostare gli elementi non è poi così difficile». Cominciò a muovere di nuovo le mani e Savannah rimase ipnotizzata dalla grazia e dalla bellezza dei suoi gesti. «Conosci la lingua degli antichi? Sai leggerla? Scriverla? Parlarla?», le chiese lui. «Solo poche parole. Mia madre aveva appena iniziato ad apprenderla da mio padre quando io sono partita per gli Stati Uniti. Non ho mai avuto occasione di impararla».
«Un’altra cosa che posso insegnarti, mia cara. Sarà una bella esperienza per entrambi». Le rivolse un’occhiata eloquente. «So recitare la litania curativa. Credo di conoscerla da sempre. Mio padre la cantava a mia madre in continuazione mentre lei mi portava in grembo». Gregori si stava muovendo con cautela attraverso la stanza. «La litania è vecchia come il tempo, come la nostra stirpe, nonché molto efficace. È impressa dentro di noi da prima ancora che nascessimo e ha salvato un gran numero di vite. Tua madre ha dovuto impararla molto in fretta, come capita ogni volta che si ha bisogno di qualcosa». La sua voce era appena un mormorio, come se anche un soffio di fiato potesse turbare l’antico messaggio che scintillava nell’aria. Savannah adorava il suono di quella voce, velluto nero che si faceva strada nella sua mente, nel suo cuore. «Che cosa c’è scritto?». Anche lei stava bisbigliando. «È un messaggio da parte di Julian», disse Gregori. «Ha giustiziato due vampiri che avevano da poco preso dimora in questa città, in modo tale che tu non fossi in pericolo». «Vedi? Non corriamo alcun rischio. Possiamo goderci il festival». Savannah fece un sorriso smagliante. «Il messaggio non finisce qui». Gregori parlava in tono neutrale. Il sorriso di Savannah svanì all’improvviso. «Chissà perché, ma sapevo che l’avresti detto. Mi pareva strano che si fosse dato tanto da fare per un paio di frasette. Sembra che ci abbia lasciato una mappa vicino alla finestra». «Julian ha creato diversi nascondigli disseminati per la città, persino vicino il fiume, in cui puoi essere al sicuro. Sotto, nel seminterrato, c’è un passaggio segreto dal quale possiamo scappare, se dovesse essere necessario. Ci ha lasciato un regalo». Savannah osservò la sua espressione, tenendogli gli occhi incollati addosso. «E…?», fece in tono sommesso. «Ci sono dei membri della società segreta che vanno a caccia di vampiri in questa città. È saltato di nuovo fuori il nome di un certo
Morrison. Pare che Julian si sia imbattuto per caso nel gruppo, qualche tempo fa. Hanno stabilito qui il loro quartier generale, visto che in giro circolano molte voci sulla presenza dei vampiri. Credono ci debba essere un po’ di movimento da queste parti per giustificare tutto questo interesse nei confronti della zona. Julian mi indica alcuni luoghi da cui posso cominciare le mie ricerche. Nomi. Negozi. Un locale in cui questa gente si ritrova abitualmente per cercare di procurarsi qualche informazione». Savannah buttò fuori l’aria dai polmoni, lentamente. «Be’, un po’ troppo per un festival jazz. Volevamo che ci seguissero e invece siamo finiti nella tana del lupo. Devo avere un dono speciale, ecco perché attiro tutti questi tipi strambi». «Probabilmente è così», osservò Gregori, serio. «Può costituire tanto un vantaggio quanto una maledizione. Tua madre era un’umana dotata di poteri psichici. Forse ti ha trasmesso un po’ del suo dono». Savannah rimase ferma, in piedi, al centro della stanza, le lunghe ciglia abbassate in modo tale da nascondere l’espressione dei suoi occhi. Gregori le si riavvicinò. Sembrava fragile a vulnerabile accanto a lui, così forte e possente. Le mise una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. «Savannah», le disse in un sussurro, «non fare quella faccia afflitta. Volevamo che ci seguissero, ti ricordi? Non è la fine del mondo. Possiamo comunque goderci il festival mentre stiamo qui». Savannah scosse la testa. «Andiamo, Gregori. Mi piaceva l’idea, ma adesso non mi sembra più il caso». Gregori la guardò a lungo, esaminando il suo volto pallido. I duri lineamenti si ammorbidirono. Sentì anche uno strano movimento dalle parti del cuore. «Stai cercando di nuovo di proteggermi, Savannah». Scosse la testa. Sul suo viso non comparve alcun sorriso, ma una risata gli riscaldò il cuore. Nessuno aveva mai cercato di proteggerlo; nessuno si era mai soffermato a pensare che, in quanto cacciatore, potesse correre qualche rischio. E invece adesso quella piccola e fragile donna dagli enormi occhi blu gli aveva stretto il cuore in una morsa perché si preoccupava sinceramente per la sua incolumità. «Non ho bisogno di proteggermi da questa gente. È necessario affrontarla. Se deve accadere a casa loro, che accada.
Julian mi ha fornito abbastanza informazioni e non procederò di certo alla cieca». «Già sospettano di noi, Gregori, perché Wade Carter li aveva avvisati che avrebbe portato un esemplare. Avranno girato l’informazione a questo Morrison. Ci stanno cercando. Ti stanno cercando». «E quindi non possiamo fare altro che accontentarli. Lavorerò a un antidoto contro il loro veleno. Non voglio rischiare che ti venga iniettato, se prima non ho trovato il modo per porvi rimedio». «Il nostro seminterrato è perfetto per mettere su un laboratorio da far invidia a Frankenstein». Un sorriso le stava già illuminando lo sguardo. Quell’espressione gli faceva mancare il fiato. Gregori sollevò una mano e disperse con un gesto i granelli di polvere. Una lieve brezza cominciò a soffiare e creò dei vortici nella stanza. All’improvviso il vento cessò e del messaggio lasciato da Julian non rimase nulla. La stanza era perfettamente pulita e la carta da parati di nuovo priva di polvere. «Vieni, Savannah. Andiamo a vedere il regalo che ci ha lasciato Julian», le disse, tendendole una mano. Lei la prese e lo seguì sulla scala a chiocciola. Non voleva immaginare perché mai Julian avesse venduto una casa che era stata sua per due secoli. Non era possibile che avesse deciso di togliersi la vita. E se il suo gemello non fosse riuscito a dissuaderlo? Savannah deglutì al ricordo di quanto era stata vicina a perdere Gregori. Dov’era la compagna per la vita di Julian? Esisteva? Tra i carpaziani, c’erano così poche donne rispetto all’elevato numero di uomini. «Voglio che tu stia ferma qui vicino alle scale mentre esamino la stanza». Era un ordine. Addolcito dal tono ipnotico della sua voce, ma pur sempre un ordine. «Se Julian ci ha lasciato un regalo, Gregori, non c’è alcun motivo di preoccuparsi. Non può essere una trappola», puntualizzò, un po’ infastidita. Gregori sollevò il capo, fulminandola con lo sguardo. «Sei davvero troppo ingenua, bambina. Avresti dovuto imparare già molti anni fa a usare i tuoi sensi e a non fare affidamento su quelli
degli altri. Solo così la nostra specie è riuscita a sopravvivere». «Noi dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, Gregori», protestò lei. «Siamo spesso costretti a dare la caccia ai nostri stessi fratelli. Ecco perché molti maschi carpaziani scelgono di non condividere il proprio sangue, nemmeno se è questione di vita o di morte. Sarebbe più facile rintracciarli quando e se si trasformassero in vampiri. Inoltre, ricorda che i non-morti sono i più grandi imbroglioni che esistano sulla faccia della terra. No, cara, non possiamo fidarci di nessun maschio che non abbia una compagna per la vita». «Che modo terribile di vivere», disse lei a bassa voce. «Di esistere», la corresse lui. «Vivere isolati ed essere evitati dai membri della nostra stessa razza anche se ne abbiamo un disperato bisogno non è vivere. Io ho condiviso il mio sangue quando si è rivelato necessario, ma in pochi hanno voluto condividerlo con me». Come sempre, Savannah non notò alcuna nota di autocommiserazione, nemmeno l’ombra di un’emozione. Gregori accettava il suo stile di vita. Non si sarebbe mai fidato di nessuno. Si mordicchiò il labbro. Anche lei era inclusa nel pacchetto? Una parte di Gregori le sarebbe stata preclusa per sempre? Savannah era così giovane e priva di esperienza. Avrebbe voluto essere un’antica, potente, una compagna in grado di aiutarlo come lui meritava. Gregori planò attraverso il seminterrato, senza mai toccare il suolo. Esaminò le pareti centimetro per centimetro. C’erano due ingressi, uno dei quali conduceva a un’altra stanza, divisa dalla principale da spesse mura, e l’altro a un tunnel di cemento pieno di canali di scolo che avrebbero dovuto tenere lontana l’acqua. «Questo tunnel probabilmente conduce all’esterno». «Un rifugio», osservò lei. «Sbucherà in giardino?». Gregori scosse la testa. «Ne dubito, Savannah. Immagino che Julian abbia voluto andar via da questa casa e da questa gente». Già gli sembrava inconcepibile che Julian avesse voluto vivere in quella città. Il Julian Savage che conosceva era un solitario, come lui. Preferiva l’altitudine, la montagna. La solitudine. «Quindi si tratterebbe di una trappola?», chiese lei, con una punta di sarcasmo.
«Quasi preferirei che lo fosse», replicò lui, cercando di rimanere serio. «Credo che non lo dimenticherei, se tu avessi ragione». Quando lei inarcò le sopracciglia e scosse il capo, Gregori ne ricavò una certa soddisfazione. «No, non lo è». Passò una mano sulla parete più vicina al cortile interno. Una porticina nascosta si aprì senza fare alcun rumore e rivelò una stanza grande abbastanza per accogliere entrambi. L’interno della camera era magnificamente intagliato da antiche iscrizioni. Julian Savage era proprio un artista, quelle incisioni erano davvero belle da guardare. Savannah sapeva poco della lingua dei padri, ma sapeva che quelle scritte dovevano corrispondere a un qualche incantesimo protettivo, fitte com’erano di simboli legati alla guarigione. L’atmosfera complessiva era di pace e sacralità al tempo stesso. Gregori era rimasto impalato a fissare le iscrizioni, il volto impassibile come sempre, ma lo sguardo entusiasta. La vera sorpresa era nascosta sotto un lenzuolo bianco. Gregori fece un cenno con la mano e il lenzuolo volò via. Savannah rimase senza fiato e scrutò stupita la sontuosità di quel tesoro. Terra, soffice e scura. La terra della loro patria. La stanza ne era colma, ce n’era una montagnola alta circa due metri. Gregori vi affondò dentro una mano. Un’ondata di calore lo travolse e lo sommerse. Anche Savannah mise la mano lì dentro. Erano cinque anni che non sentiva tra le dita i granelli di quella terra fertile, ricca di proprietà curative. Ne trassero entrambi un senso di pace e conforto. «Come ha fatto?». Savannah, compiaciuta per il fatto che la sua casa celasse un simile segreto, sorrise a Gregori. Lui le circondò le spalle con un braccio. «Gli ci sarà voluta infinita pazienza». Le sue labbra si curvarono in un piccolo sorriso. «Ti ricordi quelle bare che vennero inviate a New Orleans dall’Europa, quando la città fu sconvolta da un’epidemia di febbre gialla? Per molto tempo si disse che contenevano vampiri, invece, molto più semplicemente, contenevano la terra della nostra patria. Un’intelligente trovata di Julian». «Chissà quanto tempo è stato qui», mormorò Savannah, facendosi
scorrere i granelli di terra tra le dita. Quello che si domandava sul serio era quanto profondamente fosse coinvolto Julian Savage nella storia di New Orleans. Era stato ciò che lui aveva fatto negli ultimi due secoli ad alimentare le dicerie sui vampiri? «Credi che i membri della setta si siano acquartierati qui apposta per dargli la caccia?», chiese a Gregori. «Questa setta sta diventando la nostra spina nel fianco. Devo assolutamente mettere al corrente Mikhail del fatto che non siamo riusciti a liberarcene come pensavamo. Sembra che siano tornati e siano anche più forti di prima. All’incirca ogni trent’anni si rifanno vivi e ci creano dei problemi». «Julian avrà individuato la loro presenza solo di recente, altrimenti te l’avrebbe detto quando ti parlava di me». Il tono di Savannah era agguerrito. Era ancora infastidita dal fatto che Gregori avesse incaricato qualcuno di tenerla d’occhio. In più, era arrabbiata con se stessa per non essere riuscita a percepire la presenza di un altro membro della sua stirpe. «Julian non mi ha mai fatto dei resoconti molto dettagliati», disse Gregori, asciutto. «Non è il tipo di uomo che risponde alle domande che gli altri gli pongono. Julian è come il vento, come i lupi. Completamente libero. Va per la sua strada. Ti ha protetta, ma non mi ha mai fatto alcun resoconto. Non è nel suo stile». «Sembra un tipo interessante», bisbigliò Savannah. Subito Gregori sentì i propri muscoli contrarsi. Quella rabbia, nera e senza nome che lo rendeva tanto pericoloso, aveva ripreso a bollirgli dentro. Avrebbe per sempre dovuto convivere con la paura di aver rubato Savannah a qualcun altro. Con la paura che qualche altro maschio carpaziano possedesse la chiave del suo cuore. Con il terrore di aver condannato qualcuno a morte o, peggio, a diventare un non-morto, proprio perché gli aveva sottratto Savannah. Gregori aveva manipolato l’esito della loro unione e forse da qualche parte c’era un maschio la cui anima si sarebbe incastrata alla perfezione con quella di lei. Gli occhi argentei di Gregori erano freddi e letali, piccole fiammelle rosse guizzavano nell’abisso del suo sguardo. «Non hai alcun bisogno di trovare Savage un tipo interessante. Non ti lascerò mai andare, Savannah».
«Non fare l’idiota, Gregori», ribatté lei con impazienza. «Come se io potessi desiderare un’altra bestia da addestrare proprio adesso che sono quasi riuscita ad ammansire te». Savannah gli tese una mano. «Avanti, vieni a vedere il giardino». La manina di Savannah venne inghiottita da quella enorme di Gregori. Sembrava che quella donna sapesse sempre cosa dire o cosa fare per alleviare il terribile peso che gli opprimeva il petto. Sebbene Gregori avesse spesso voglia di farla fremere di desiderio, di sottometterla e di baciarla, gli piaceva anche quando si comportava da impertinente, proprio come stava facendo in quel momento. Savannah aveva messo sottosopra il suo universo. Gregori la seguì al piano superiore, incapace di fare altro. Le doppie porte-finestre si aprirono sul cortile interno. Savannah aveva ragione. Era impressionante. Il giardino era più grande della casa stessa. Gli alberi crescevano in ogni angolo, una selvaggia giustapposizione di rami verdi e fiori brillanti. Il patio era pavimentato con maioliche moresche. Tra le piante, riparate dai raggi del sole, erano disseminate sedie e panchine. Alcune sdraio erano invece disposte all’aperto, in modo che chi vi si sedeva potesse contemplare la luna e le stelle. I pipistrelli svolazzavano, nutrendosi degli insetti della notte. La fragranza dei fiori aveva sostituito l’aria opprimente densa di smog che aleggiava nelle strette strade della città, anche se niente sarebbe riuscito ad attutirne il rumore. La musica proveniva da ogni direzione e si sovrapponeva allo scalpiccio dei cavalli sui ciottoli delle vie, ai clacson delle macchine che strombazzavano a tutto volume, alle voci che sprigionavano allegria e risate. Gregori analizzò quei suoni, ascoltò alcuni frammenti di conversazione e si fece un’idea del ritmo di quel quartiere. Sarebbe stato necessario qualche giorno per abituarsi. Avrebbe preferito dare prima un’occhiata in giro per esplorare la zona da solo, in modo da poter essere certo che Savannah fosse al sicuro. «Abbiamo bisogno di fare una passeggiata», fece a un tratto. «Voglio vedere tutte le entrate e le uscite, prendere familiarità con le facce e le voci di questo posto». Savannah aprì il cancello di ferro e uscì in strada. Una giovane
coppia li fissava incuriosita dalla veranda della casa accanto. Savannah rivolse loro un sorriso e agitò la mano in segno di saluto. La donna ricambiò alzando un braccio. Non essere troppo amichevole, Savannah. Sei una celebrità. Abbiamo già attirato abbastanza l’attenzione.
Sono i nostri vicini. Cerca di non spaventarli a morte, ok? Savannah lo prese per un braccio, sorridendogli in maniera
provocatoria. «Sembri un mafioso. Non c’è niente di strano se i nostri vicini ci guardano. La gente ha la tendenza a essere curiosa. Non lo saresti forse anche tu se qualcuno venisse a vivere nella casa accanto alla tua?» «Io non tollero il fatto di avere dei vicini. Quando qualche umano ha anche solo pensato di costruire nei pressi della mia villa, ho fatto in modo che il circondario si riempisse subito di lupi. Funziona sempre». Gregori aveva un’aria minacciosa. Savannah scoppiò a ridere. «Sei proprio un bambino, Gregori. Ti spaventi persino per un po’ di gente innocua». «Sei tu a spaventarmi a morte, Savannah. A causa tua, mi ritrovo a fare cose che considero completamente folli. Vivere in una casa al centro di un’affollatissima città costruita sotto il livello del mare. Con vicini da ogni lato. E circondati dai membri di una setta».
«Come se potessi credere che tutto questo ti fa paura», fece lei, compiaciuta, ben consapevole del fatto che l’unica cosa che lo preoccupava era la sua incolumità, non la propria. Girarono l’angolo e si diressero verso la famosa Bourbon Street. «Cerca di farti notare il meno possibile», la istruì lui. Un cane al guinzaglio si mise ad abbaiare e sfoderò loro i denti. Gregori girò la testa ed emise una specie di sibilo, mostrandogli i canini. Il cane smise subito di essere aggressivo, guaì allarmato e batté in ritirata. «Che stai facendo?», gli domandò Savannah indignata. «Sto prendendo confidenza con il posto», replicò lui con aria assente, evidentemente concentrato su altro, i sensi sintonizzati su ciò che li circondava. «Qui sono tutti pazzi, Savannah. Proprio in
questa città dovevi andarti a ficcare». Le scarmigliò affettuosamente i capelli. Lei si fermò di colpo, il sorriso le svanì dal volto e la mano scivolò via dal braccio di Gregori. Lui sollevò il capo, in allerta, esaminando subito l’area circostante, in cerca del nemico. «Che c’è?». Savannah fece dietrofront e girò l’angolo, continuando a camminare lentamente sul marciapiede. Savannah, rispondimi. Cos’è che hai avvertito e che a me invece è sfuggito? Gregori la prese per un braccio, cercando di farla fermare. Le chiuse le dita sul polso come per ammanettarla e le si fece subito più vicino per proteggerla. Rispondimi, o ti costringerò a tornare a casa.
Sssh. Sto cercando di concentrarmi. Non l’ho mai fatto prima d’ora. Leggendole nel pensiero, il carpaziano si accorse che la sua
compagna era turbata.
Fece in modo che le loro menti si fondessero per individuare ciò che le passava per la testa e capire quello che provava. Qualcosa le stava impartendo uno strano comando, uno a cui di solito i membri della loro razza non ricorrevano, e la stava attirando da qualche parte. Qualcosa di potente? Gregori provò a sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda. No, non qualcosa di potente. Qualcosa di malvagio. Qualcosa o qualcuno di molto malvagio. Ancora una volta le afferrò il polso e la fece arrestare. C’erano diverse case lungo la strada ma alla fine dell’isolato le villette cedevano il posto ai negozi. Uno di questi era un negozio voodoo. Gregori si concentrò su quello in particolare, ascoltando con attenzione la conversazione che si stava svolgendo all’interno tra un turista e un commesso. C’era traccia di magia, di potere, ma certamente non di male.
Due palazzi più giù, dopo il negozio voodoo. La voce di
Savannah gli sfiorò la mente.
Si tratta di un posto che sulla lista di Julian non c’è, rispose il
carpaziano, ma le credette. Lo sentiva. Raven Dubrinsky aveva di certo trasferito alla figlia le proprie doti psichiche.
Gregori e Savannah si presero per mano e passeggiarono con aria distratta lungo la strada, come una giovane coppia che si gode la
brezza notturna, mescolandosi ai turisti e agli abitanti del posto. La maggior parte dei locali si trovava proprio nel cuore del Quartiere Francese, lungo Bourbon Street, fino a Preservation Hall. Proseguirono sullo stretto marciapiede, fermandosi per consentire a un carretto trainato da un cavallo di passare. I passeggeri a bordo del veicolo ridevano e ascoltavano la voce cantilenante della loro guida, che stava descrivendo i principali punti d’interesse della città e raccontando loro qualche leggenda locale. Due ragazzi, seduti a bere birra sul gradino di una libreria chiusa dall’altra parte della strada, puntarono gli occhi su Savannah. Gregori riuscì a notare persino da quella distanza il loro sguardo fisso, quella specie di ossessione che la sua compagna scatenava negli uomini. Probabilmente per via del modo in cui si muoveva, dei capelli che ondeggiavano al vento, di quegli occhi enormi e della sua aura, sexy e innocente al tempo stesso. Non c’era alcuna speranza che non la riconoscessero. Era l’incarnazione di magia e fantasie erotiche. Gregori avvertì una stretta allo stomaco e sospirò. Savannah lo stava facendo impazzire: sarebbe persino riuscita a spingerlo a uccidere un innocuo ubriacone. I due giovani si erano alzati, bisbigliando qualcosa in preda all’eccitazione, e stavano chiamando a raccolta il proprio coraggio per abbordarla. Gregori li vide fomentarsi l’un l’altro. Li fissò con i suoi occhi color argento e si concentrò un attimo. Cancellò i loro più recenti pensieri e li convinse del fatto che era indispensabile allontanarsi subito da quella zona. «Fammi un favore, cara, cerca di sembrare anonima e poco interessante». Nonostante sentisse crescere la paura dentro di sé, Savannah ridacchiò. «Smettila di fare del mio aspetto un dramma!», gli suggerì. «Sei incredibilmente irrispettosa, tesoro. Nel corso della mia esistenza, nessuno mi si è mai rivolto come fai tu neanche una volta, non che io ricordi almeno». Lei gli strofinò la guancia carezza. A Gregori mancò il bisogno di qualcuno che ti provocatorio tono di voce gli
sul braccio, una specie di piccola fiato. «Ecco perché lo faccio. Hai crei un po’ di problemi». Il suo scivolò addosso, lo penetrò: il filo
sottile che li legava l’uno all’altra stava diventando sempre più spesso e robusto. «Non mi preoccuperei affatto se si trattasse solo di un po’ di problemi. Il fatto è che tu ne crei una discreta quantità». Si ritrovarono di fronte il palazzo che Savannah aveva individuato quale fonte delle inquietanti emanazioni. Il portone era chiuso e le finestre oscurate. Gregori avvertì dei movimenti al suo interno e percepì la presenza di diversi uomini al di là delle pareti. Savannah gli si aggrappò, con gli occhi colmi di lacrime. «Là dentro sta succedendo qualcosa di terribile, Gregori. C’è…». Si interruppe e si strinse le braccia al petto. Gregori cercò di scuoterla. «Calmati, piccola mia. Ho capito anch’io cosa sta accadendo lì dentro. Lei non è una di noi». «Lo so. Non sono una completa incompetente». Il tono di voce di Savannah era un miscuglio di rabbia e lacrime. «È un’umana, ma loro pensano si tratti di un vampiro. Gregori, è solo una bambina. Non puoi permettere che le facciano del male. Non riesco a sopportare il suo dolore». «È più grande di te, tesoro, e se ne andava in giro con un cappotto nero e gli incisivi limati ad arte. Si è ficcata da sola nelle mani di questi pazzi, è stata solo colpa della sua stupidità». Gregori sembrava disgustato. «Quella ragazza non merita di essere torturata solo perché le piace giocare a fare il vampiro. Dobbiamo tirarla fuori di lì». Savannah lo fulminò con lo sguardo. «Sappiamo entrambi che la salverai, quindi smettila di lagnarti e diamoci da fare». «Non ti permetterò mai di correre il benché minimo pericolo, Savannah», mormorò lui. La sua voce era bellissima, ferro avvolto in un guanto di velluto. «Non mettere alla prova la mia pazienza, piccola. Te lo assicuro, con me non hai alcuna possibilità di averla vinta». «Zitto», sbottò lei bruscamente, esasperata dai suoi modi autoritari. «So che non lascerai quella donna là dentro. Riesco a percepire il suo terrore, Gregori, e mi fa sentire male».
«Sapevo che saresti stata un problema sin dal primo momento in cui ti ho messo gli occhi addosso», fece lui. «Non metterò a rischio la tua incolumità per una stupida che si maschera da vampiro. Ha scelto di fingere di esserlo. Vorrei aiutarla, ma non ho intenzione di lasciarti qui in strada da sola». A Savannah sfuggì un gemito. «Sono in splendida forma, Gregori. Per diventare invisibile devo solo decidere di camminare tra gli umani senza essere vista. Non è necessario che mi rintani dentro casa solo perché tu hai paura che mi succeda qualcosa». Sollevò il mento in segno di sfida. «Sono la figlia del principe. Posso riuscire a fare un po’ delle cose che fanno anche gli altri membri del nostro popolo». Gregori le mise una mano sulla gola. «Savannah, per te farei quasi tutto, ma il modo in cui potrei essere obbligato a portare a termine questo compito forse sarà disgustoso». Si ritrovò a fornirle delle spiegazioni, come voleva lei, anche se la sua indole di maschio aggressivo gli suggeriva di limitarsi a costringerla a obbedirgli. Il fatto che la sua compagna credesse che non aveva abbastanza fiducia nelle sue capacità gli risultava insopportabile. «Non voglio assolutamente che tu sia testimone della depravazione che pervade la mente di questi individui né tantomeno del vento di morte che soffia dentro quella casa. Non puoi avere entrambe le cose. Vuoi che io salvi quella donna e lo farò, ma non davanti ai tuoi occhi. Vai a casa e aspettami lì». Savannah scosse la testa. «Quando ti ficcherai in quella testa dura che io sono la tua vera compagna per la vita? Io. Savannah Dubrinsky, la figlia del principe. Abbiamo condiviso i pensieri sin da prima che io nascessi. Non puoi nascondermi la tua vera natura, non puoi impedirmi di sapere chi sei veramente. Anche in mezzo al sangue e alla morte, persino mentre la bestia è all’opera, io sarò sempre in grado di vedere il tuo vero io». «Fa’ come ti ho ordinato. E tieni presente che se per qualche ragione decidi di disobbedirmi, metterai in pericolo la vita di quella donna. La tua incolumità sarà sempre la mia preoccupazione prioritaria. Questo significa che se verrò distratto dal tuo comportamento irresponsabile, dovrò prima di tutto rimetterti in riga».
«Sei il più arrogante maschio carpaziano in circolazione», disse lei esasperata, tuttavia gli prese la testa fra le mani e lo fece chinare per dargli un bacio sulle labbra. «Stai in guardia. Questo è ciò che io ti ordino, amore. Cerca di non disobbedire al mio comando». Savannah si voltò e se ne andò per la strada da cui erano venuti, senza nemmeno girarsi a guardarlo. I suoi fianchi ondeggiavano un po’, provocanti. La brezza che si era appena alzata le faceva svolazzare i lunghi capelli. Gregori la fissò, incapace di distogliere lo sguardo.
Capitolo 11 Alla fine Gregori girò lentamente la testa, ferino, e si diresse deciso verso l’angusto vicolo dietro l’edificio. Calpestò un praticello d’erba secca e ormai stremata dai ripetuti tentativi di farla attecchire, ma nessun rumore tradì la sua presenza, nemmeno un piccolo spostamento d’aria. Una volta al riparo dagli sguardi dei passanti, esaminò la zona per determinare l’esatta posizione di coloro che si trovavano dentro l’appartamento e di chi si aggirava nelle vicinanze. Si dissolse in un istante: un attimo prima era fatto di carne e ossa e l’attimo dopo era diventato invisibile. Controllò la casa: tutte le porte erano chiuse a chiave e le finestre sprangate. La donna che quei tipi avevano fatto prigioniera urlava e le sue grida tradivano terrore e sofferenza. Quel suono gli sfiorò la mente, ma lui la schermò. Individuò tre possibili vie d’accesso all’edificio e scelse quella che lo avrebbe fatto sbucare nel seminterrato, passando attraverso delle assi marce e spezzate. Per una frazione di secondo, la sua immagine risplendette nel buio della notte, rimpicciolendosi, facendosi sempre più piccola, finché tra l’erba secca non apparve un topolino. La bestiolina si mise a sedere un attimo sulle zampe posteriori, con i baffi che vibravano nella brezza notturna. Poi si mise a correre tra l’erba e la sporcizia e si insinuò in una piccola fenditura sotto le scale. L’apertura era stretta, ma il roditore riuscì lo stesso a sgattaiolare dentro il palazzo. La struttura dell’edificio era vecchia e le pareti sottili e per lo più fradice, quindi l’animaletto trovò senza troppa difficoltà un buchetto che gli permise di sbucare dentro una stanza buia. L’odore del sangue e della paura gli fece battere forte il cuore e il predatore, per quanto costretto in quel corpo minuscolo, ringhiò, mostrando le zanne e rivelando il proprio oscuro e letale proposito. Il topo esitò prima di attraversare la moquette ingiallita e rizzò le orecchie e i baffi, annusando il pericolo. Nella prima stanza, che sembrava una specie di magazzino inutilizzato, non c’era nessuno. Solo odore di vecchio e di muffa. Gregori riprese sembianze umane, poi svanì di nuovo e divenne
ancora una volta invisibile. Riusciva a sentire chiaramente la conversazione che si stava svolgendo nella camera accanto. Tre uomini discutevano e uno si disse chiaramente disgustato da ciò che gli altri due avevano fatto. «Questa donna è un vampiro tanto quanto lo sono io, Rodney», stava esclamando. «La verità è ti piace dedicarti a schifezze del genere, ma questa è solo una ragazzina che si diverte ad andare in giro con gli amici facendo finta di avere i canini appuntiti». «Non possiamo esserne sicuri», protestò Rodney. «E dal momento che dovremo ucciderla comunque, tanto vale che almeno prima ci divertiamo un po’». «Scordatelo». Il primo uomo era evidentemente in disaccordo. «Non ti lascerò uccidere questa ragazza. Pensavo fossimo scienziati. Anche se fosse davvero un vampiro, non dovremmo comunque trattarla in questa maniera. La porterò via di qui, in un ospedale». «Morrison ti ucciderà», sbottò Rodney, tutt’a un tratto infuriato. «Non andrete da nessuna parte. Ci arresterebbero. Anche te, non dimenticarlo. Sei invischiato in questa storia, Gary, ci sei dentro fino al collo». «No, non è vero. E se la scelta si riduce ad ammazzare una povera ragazza innocente o finire in galera, be’, io preferisco la galera». Gregori capì che stava per scatenarsi una reazione violenta, non da parte di Rodney, ma del terzo uomo, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. Era pronto ad aggredire Gary alle spalle, mentre quest’ultimo continuava a discutere con Rodney. La ragazza stava cercando disperatamente di avvisare del pericolo Gary, la sua unica speranza di salvezza. Gregori avvertì dentro quella stanza la presenza di poteri oscuri. Manipolazione. Coercizione. C’era in ballo qualcosa di più grosso di una semplice società segreta di umani. Fluttuò nella camera senza essere visto, lasciando dietro di sé una scia d’aria fredda. Il terzo uomo, con un coltello già sporco di sangue nascosto nel polsino destro della camicia, si avvicinò a Gary per sorprenderlo alle spalle. Gregori si infilò tra i due uomini. Quando l’assalitore sollevò il pugnale per conficcarlo nella schiena della vittima all’altezza dei reni,
il carpaziano gli afferrò il polso, stringendoglielo in una morsa d’acciaio, con una forza tale da polverizzargli le ossa. Il coltello cadde per terra e l’aggressore urlò. Gary si girò su se stesso per capire cosa fosse successo. Rodney si tuffò sul coltello. La ragazza era talmente isterica e spaventata che Gregori riuscì a sentire il cuore martellarle nel petto a un ritmo davvero troppo veloce. Le riservò un attimo della propria attenzione e le schermò la mente, proteggendola da ulteriori pensieri. Lei scivolò in uno stato di incoscienza, gli occhi vitrei e spalancati. Rodney raccolse il coltello e si rialzò in piedi. «Sembra proprio che saremo costretti a uccidere anche te, eh, Gary?». Gregori sospirò. Perché la gente doveva fare sempre delle osservazioni così ovvie? Gary fece qualche passo indietro, cercando contemporaneamente di tenere d’occhio il terzo uomo, che nel frattempo era caduto in ginocchio e si teneva stretto al petto il braccio ferito, bianco come un lenzuolo. Stava ancora gridando, un lamento acuto e monotono. Gary si sfilò il camice da laboratorio e glielo arrotolò attorno al braccio. «Non ti permetterò di farle di nuovo del male, Rodney. Non sto scherzando. Questo doveva essere uno studio serio. Dissezionare una creatura vivente, che si tratti di un uomo o un vampiro, non è nient’altro che tortura. Non ho deciso di prendervi parte con l’intenzione di fare del male a qualcuno». «A cosa pensavi che servisse il veleno che hai creato?», ringhiò Rodney, agitando il coltello. «Io non ho creato nessun veleno. Ho sviluppato solo un tranquillante molto potente, fatto apposta per sedare anche creature con grandi poteri. Morrison vi ha fatto modificare la mia formula originaria. Sono venuto qui proprio per parlargliene. Questo è omicidio, Rodney. Da qualsiasi prospettiva lo si osservi, è omicidio». Gregori planò fino a raggiungere Rodney alle spalle. La mente di quell’uomo emanava puzza di vampiro. Rodney aveva pensato che l’ipnosi a cui tutti i membri della setta dovevano sottoporsi potesse proteggerlo dai non-morti, invece un vampiro era riuscito in qualche modo a infiltrarsi tra le loro fila e stava contaminando la società
segreta con la propria depravazione. Era il genere di cose che i rinnegati facevano da secoli, al solo scopo di divertirsi. Nascondendo la propria natura, facevano amicizia con gli umani e li conducevano per mano attraverso una lenta decadenza morale. Spesso usavano le donne dei loro amici per avere piacere, poi le uccidevano. A volte spingevano gli umani ad ammazzarsi l’un l’altro. Di certo in quella storia doveva esserci lo zampino di un vampiro professionista, uno che era riuscito a sfuggire agli attacchi dei cacciatori per molto tempo, forse persino per secoli. Gregori sfiorò la mente di Gary. Vi trovò onesta e integrità. Quell’uomo non aveva mai avuto contatti diretti con il vampiro ed era pronto a morire per salvare la vita della ragazza legata al tavolo di acciaio. Aveva interrotto gli altri due ed era rimasto disgustato da ciò che stavano facendo. Ma Gregori sapeva che Gary non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivere alla pulsione omicida indotta dal vampiro che animava il suo antagonista. Rodney avrebbe vinto quel combattimento. Per un attimo Gregori esitò. Se fosse intervenuto forse Gary ce l’avrebbe fatta, ma avrebbe dovuto distruggere Rodney. Se invece non si fosse immischiato, Rodney lo avrebbe condotto alla tana del vampiro.
Non stai seriamente valutando l’ipotesi, lo so. L’indignato
mormorio di Savannah gli sfiorò la mente, morbido come il velluto.
Lui sospirò. Amore, lasciami in pace. Devo fare quel che è meglio per il nostro popolo. Eppure sapeva che le cose non sarebbero andate in quel modo. Non poteva permettere che Gary morisse. Il suo coraggio e la sua integrità gli piacevano, ma dannazione, Savannah non avrebbe dovuto essere a conoscenza dei suoi punti deboli. Peraltro, prima che lei entrasse nella sua vita, lui non ne aveva. La risata di Savannah gli fece correre un brivido lungo la schiena, come una carezza. Gregori si mise fra i due uomini: ci fu uno sfrigolio nell’aria e, un attimo dopo, si materializzò. Per un istante regnò il silenzio. Rimasero tutti impietriti, persino il terzo uomo cercò di smettere di urlare. Gregori fece un amabile sorriso, mettendo in mostra i canini bianchissimi e scintillanti. «Buonasera, signori. Ho sentito che stavate cercando qualcuno che
appartenesse alla mia razza. Credo che faresti meglio a posare quel coltello, Rodney». Gregori elargì quel consiglio in tono strascicato e vellutato. Gary si allontanò di scatto dal nuovo arrivato, dirigendosi istintivamente verso il tavolo d’acciaio. Aveva le braccia alzate, in segno di resa. «Ehi, io non so cosa o chi sia tu, ma questa ragazza non c’entra niente. Non farle del male. Fa’ quello che vuoi a noi, ma chiama un’ambulanza». Gregori continuò a fissare Rodney con i suoi occhi del colore dell’argento. Quell’uomo sembrava posseduto dall’oscuro impulso di uccidere. Per Gregori era evidente e da quel momento in poi lo fu anche per Gary. Rodney aveva bisogno di uccidere. Per lui era necessario, tanto quanto lo era respirare. «Stai attento», fece Gary, come se si fosse accorto solo allora che il vampiro, pericoloso o no, si era messo fra lui e Rodney per risparmiargli la vita. Lanciò un’occhiata al terzo uomo. Era stato sempre il vampiro a salvarlo da Todd Davis. Armandosi di coraggio, cercò di posizionarsi in maniera tale da essere d’aiuto alla creatura che era arrivata in suo soccorso. «Non farlo», sibilò Gregori. Fece un cenno con la mano e per Gary divenne impossibile muoversi, come se fosse stato imprigionato dalle sbarre di un’invisibile prigione. «Girati dall’altra parte». All’improvviso nella stanza ci fu un lampo di luce e si materializzò una specie di nube a forma di fungo. Un forte rumore fece tremare le pareti, un tuono così forte che per un attimo Gary credette di essere diventato cieco e sordo. L’intero edificio tremò e le finestre cominciarono a vibrare come se ci fosse stata un’esplosione. Quando il fumo si diradò, Rodney e Davis giacevano per terra, senza vita. Gary fissò con orrore i due cadaveri, poi tese una mano esitante per toccare le invisibili sbarre che in qualche modo lo stavano proteggendo. Con suo immenso stupore, non c’erano più. Si precipitò subito dalla ragazza. Respirava ancora ma il polso era molto debole. Cercò invano di aprire le manette che la incatenavano al tavolo. «Stai lasciando delle impronte digitali», lo informò Gregori in tono sommesso. Fissò per un secondo le catene d’acciaio e quelle
scivolarono semplicemente via dai polsi e dalle caviglie della donna. «Adesso vattene. Corri via da questo posto. Ci vediamo in fondo all’isolato». Gregori lo guardò dritto negli occhi. «Fatti trovare lì. Potrei comunque rintracciarti in qualunque momento, se lo desiderassi». «Questa ragazza ha bisogno d’aiuto». determinato e non aveva intenzione di cedere.
Quell’umano
era
«Mentre tu continui a perdere tempo, qua intorno si sta radunando una folla di gente. Posso nasconderti ai loro occhi se te ne vai subito. Dopo diventeranno troppi. La ragazza si riprenderà. Fa’ quello che ti ho detto». Gregori si stava già concentrando su altro: aveva eliminato le impronte compromettenti di Gary, aveva fatto in modo che la ragazza non si ricordasse di lui e si era assicurato che le persone che si aggiravano intorno all’edificio non notassero l’uomo basso e magrolino in abito grigio che se ne andava via da lì. Gary Jansen procedette lentamente tra la gente che aveva cominciato a correre verso l’edificio. Nessuno gli rivolse nemmeno uno sguardo: le persone sembravano proprio non vederlo, al punto che quasi gli andavano a sbattere contro. In lontananza si udì il rumore delle sirene. I pompieri. La polizia. L’ambulanza. Gary era scioccato, stordito. La creatura venuta a salvargli la vita aveva poteri che andavano oltre la sua immaginazione. Rianalizzò ogni suo movimento, ogni parola. Gli aveva permesso di andarsene, non riusciva ancora a crederci. Non aveva neanche bevuto il suo sangue. Per la verità, non era certo che quella creatura si nutrisse di sangue. Arrivò alla fine dell’isolato e fu subito colto da un’enorme stanchezza. Le ginocchia cedettero, le gambe diventarono di gelatina e fu costretto a sedersi sul bordo del marciapiede. Sentì una mano sulla nuca, che gli teneva la testa bassa. «Limitati a respirare». Era un ordine, pronunciato dalla stessa voce che lo aveva ipnotizzato nel magazzino. Gary prese profonde boccate d’aria, lottando contro le vertigini. Fece un malriuscito tentativo di sembrare ironico. «Mi dispiace, ma non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno come te». Quando la mano si ritrasse lentamente, Gary si raddrizzò per osservare l’alta e possente figura che incombeva su di lui. Non aveva mai visto
qualcuno con un aspetto più minaccioso. Represse la paura. «Hai intenzione di uccidermi?». Quelle parole gli sfuggirono prima che potesse trattenersi dal pronunciarle.
Smettila di fare la parte del lupo cattivo, suggerì Savannah a Gregori. Stai facendo venire un attacco di cuore a quel poveretto. Il carpaziano sospirò, esasperato. «Se avessi intenzione di ucciderti saresti già morto. Che ragioni credi che abbia per tenerti in vita?». Gary scrollò le spalle. «Nessuna, penso». Si alzò con grande cautela e buttò fuori l’aria dai polmoni con estrema lentezza. Da vicino quell’uomo sembrava ancora più pericoloso, se possibile. Come un affamato felino della giungla. «Mi sono già nutrito per stanotte», disse Gregori, asciutto. «Mi leggi nel pensiero, vero?». Gary cercò di non lasciar trapelare dalla voce la propria eccitazione. Aveva sempre desiderato incontrarne uno vero. Sempre. Sin dal primo film sui vampiri che aveva visto, ne era rimasto affascinato. Rapito. Certo, era terrorizzato, nessun dubbio in merito, ma quella era l’occasione della sua vita. «Io ti ho visto. Questo non significa che dovrai uccidermi? Hai lasciato andare la ragazza solo perché lei non ti ha visto». Gregori fece un cenno verso la strada ed entrambi cominciarono a camminare, lasciandosi alle spalle il caos che avevano creato. «Nessuno ti crederebbe se lo raccontassi. In ogni caso, posso rimuovere dalla tua memoria il ricordo del nostro incontro senza alcuna difficoltà. La ragazza non si ricorderà di te». «Io stesso stento a crederci. Hai ragione, sai. Se dicessi di te ai miei genitori, mi farebbero rinchiudere. È fantastico, davvero fantastico». Fece un giro su se stesso, con i pugni chiusi in segno di vittoria. «Oddio, grandioso!».
Portalo a casa, Gregori, gli consigliò Savannah. Neanche per idea, Savannah. Questo tipo è fuori di testa. Non c’è alcun bisogno che voi due mi facciate diventare pazzo. Perché mai qualcuno dotato di un briciolo di cervello dovrebbe voler incontrare uno di noi? «Sono entrato a far parte della setta per capire se i membri erano
in possesso di qualche indizio certo dell’esistenza dei…», Gary esitò, «…dei vampiri. Tu sei un vampiro, vero?» «Diciamo così», rispose Gregori, evasivo. «Quei tizi mi hanno detto di avere del sangue di vampiro, sai. All’inizio pensavo che fosse una montatura, ma quella sostanza aveva qualcosa di strano, era davvero interessante. Non avevo mai visto niente del genere. Sono un biochimico, e per me era una grossa opportunità. Quella roba mi ha fatto pensare che avessero ragione». Nella foga di raccontare, le parole si accavallavano le une sulle altre. «Tutti pensavano che fossi pazzo, persino i membri della setta, ma io credevo che sarebbe stato davvero stupendo riuscire a stabilire un contatto con un vero vampiro. Purtroppo, invece, loro volevano solo catturarli e farli a fette». Gregori scosse la testa al pensiero di quanto fossero ingenui gli umani. «Non hai mai pensato che i vampiri potessero essere creature pericolose? Che magari il fatto di farne uscire uno allo scoperto avrebbe potuto causare la tua stessa morte? Forse persino la morte della tua famiglia? La morte delle persone che ami?» «Perché? Perché un vampiro deve necessariamente uccidere?», lo provocò Gary. Era uno di quegli uomini che vedono sempre il lato positivo nelle persone. Vedi perché evito gli umani, mia cara? Sono delle creature stupide, snervanti. Quel tale ti piace. A me non puoi nasconderlo, anche se stai cercando di nasconderlo prima di tutto a te stesso. Invitalo a casa. Nemmeno per tutto l’oro del mondo. Io voglio incontrarlo.
Savannah. Non avrebbe portato a nulla di buono, ne era certo. Gregori si portò una mano alla nuca e prese a massaggiarsela. Ciò che dovrei fare è spaventarlo a morte in modo tale che la smetta con tutte queste stupidaggini. «Tu sei così?», gli chiese Gary. «Così come?». Il carpaziano si era distratto. Tanto per cominciare, perché si era messo a discutere con quel tale? Perché Savannah lo
stava facendo impazzire. Savannah lo faceva comportare da stupido. Gregori aveva letto nel pensiero di Gary e lo aveva trovato un soggetto interessante, gradevole.
Non dare la colpa a me, fece Savannah in tono innocente. «Sei un killer che uccide a sangue freddo? Faresti fuori la mia famiglia e i miei amici?», insisté Gary. «La risposta alla prima domanda è sì», rispose Gregori con onestà. «I vampiri sono dei grandi imbroglioni. Di sicuro hai letto qualche leggenda sul fatto che i non-morti spesso adescano gli umani per ridurli in loro potere. Un vero vampiro avrebbe distrutto te e tutti coloro che ami. È questo il suo unico divertimento. Non sperare mai in un incontro ravvicinato con una creatura del genere. Quanto alla domanda sulla tua famiglia e i tuoi amici, se costituissero una minaccia per me, non esiterei a ucciderli». Gary smise di camminare e rimase fermo a fissare l’uomo che aveva al fianco. Gregori si muoveva nel tempo e nello spazio senza produrre il benché minimo rumore. I suoi insoliti occhi argentei erano ipnotici, così come la sua incantevole voce. Aveva le movenze di un predatore, era sempre impassibile e irrequieto allo stesso tempo. Tutto in quel tale gridava al pericolo, eppure Gary se ne sentiva stranamente attratto. Sarebbe potuto rimanere per sempre ad ascoltare il suono della sua voce. «Mi stai prendendo in giro, vero? Vorresti dire forse che tu non sei un vampiro?» «Io sono un cacciatore di non-morti, li distruggo. Comunque, tra i membri della società a cui ti sei unito c’è un vero vampiro. Li farà tutti fuori». Il suo tono era sommesso, freddo e privo di qualsiasi inflessione. Gary si passò una mano tra i capelli. «Mi stai dando tutte queste informazioni solo perché hai intenzione di cancellare dalla mia memoria ogni traccia di questa conversazione, no?». Lo sguardo di Gregori si posò sul viso di Gary con rammarico. «Non posso fare altro. Non avrei dovuto rivelarmi a te, ma sei stato molto coraggioso e l’unico tuo desiderio che potessi esaudire era permetterti di incontrare quello che stavi cercando».
Sei così dolce, Gregori. Savannah fece le fusa, sfiorandogli la
mente.
Io non sono dolce, si oppose lui. «Non capisco cosa ho fatto per meritarmelo», disse Gary, «ma te ne sono comunque molto grato». «Hai cercato di salvare sia la ragazza che me. Io non credevo che qualcuno della tua razza, un membro di quella “società”, avrebbe mai tentato di venire in aiuto di un mio simile». Gregori fu sincero, sentiva di poter fare affidamento su quell’uomo. «Puoi fidarti di me, lo sai. Non rivelerò i tuoi segreti. Ci sono altri umani che conoscono la verità?» «Sì, ma sono sempre in pericolo. E non voglio che tu patisca la stessa sorte».
Sei l’uomo più dolce del mondo, si intromise Savannah,
accarezzandolo con l’eco delle sue parole.
Gregori si accigliò. L’eco? Doveva essere lì vicino. Si guardò intorno, imprecando in francese, un’eloquente serie di improperi che fece rabbrividire Gary. Savannah, comunque, si limitò a prenderlo per il braccio e a sorridergli, mentre gli occhi le brillavano come stelle. Era fatta così. Lo distraeva e poi lo sbalordiva con il suo sorriso. Con quegli occhi violetti, maledettamente brillanti. Non aveva mai neanche la decenza di mostrarsi pentita.
Non ti arrabbiare, Gregori. Mi sentivo sola e triste in quella casa. Sei molto, molto arrabbiato? O solo un po’? La voce di Savannah
era dolce come il richiamo di una sirena, sapeva di lenzuola di seta e luci soffuse. Le lunghe ciglia erano folte e le ombreggiavano gli occhi come un ventaglio magico. Non è possibile che ti senta sola se stai sempre a gironzolare nella mia mente. «Tu sei Savannah Dubrinsky». Gary pronunciò quel nome con timore reverenziale. «Oddio, avrei dovuto sospettarlo».
L’atteggiamento di Gregori mutò di colpo e divenne all’improvviso inquietante e pericoloso. I lineamenti sembravano scolpiti nella pietra, la bocca assunse un’espressione severa e un po’ crudele. A Gary venne la pelle d’oca. Deglutì e istintivamente si
allontanò dalla donna. Non che biasimasse quell’uomo, quella creatura, qualsiasi cosa fosse, ma la sua reazione fu più da bestia selvatica che da persona civile. Gary non voleva correre alcun rischio. Savannah ridacchiò. Si protese verso di lui, nonostante Gregori avesse allungato un braccio per bloccarla. «Può leggerti nel pensiero», gli ricordò a bassa voce, e Gary sentì il suo respiro caldo e provocante sul collo. Balzò via di scatto, come se stesse andando a fuoco, e arrossì, guardando Gregori con aria colpevole. I lineamenti di Gregori si rilassarono. La dura smorfia sulla sua bocca si ammorbidì. «Non preoccuparti, Gary. Quella donna è incorreggibile. Dà filo da torcere persino a me. Non posso certo prendermela con te per qualcosa che io stesso non riesco a controllare». Circondò la vita sottile di Savannah con un braccio e se la strinse al petto.
Sei arrabbiato? Il sorriso cominciò a svanirle dallo sguardo e dalle
labbra.
Savannah inciampò e lui strinse la presa. Ne parleremo a casa,
cara, ormai sei qui. Puoi anche dare a questo ragazzo una bella scarica di adrenalina. Ma ti avverto, fa’ in modo che non sia troppo intensa. Lei si abbandonò contro di lui. Con estrema rapidità e disinvoltura. Come se gli appartenesse, come se fosse la sua metà. Gregori stava cominciando a credere che fosse proprio così. Savannah sorrise e Gary si sentì attraversare da un lampo di luce. «Ti andrebbe di andare al Café du Monde?», gli chiese. «Dovrebbe essere ancora aperto. Potremmo sederci e fare due chiacchiere». Gary lanciò un’occhiata al volto impassibile di Gregori. Chi avrebbe mai potuto negarle qualcosa? Quella ragazza era una creatura magica e misteriosa, proveniente da un altro pianeta. Gregori sembrava impietoso e irrequieto come sempre, i suoi lineamenti granitici erano cupi e minacciosi, i suoi occhi argentei freddi e intimidatori. Eppure aveva assunto una postura protettiva e le aveva teneramente circondato la vita con il braccio. Gary si voltò
dall’altra parte per nascondere un sorriso. Anche i vampiri avevano qualche problema con le donne, a quanto pareva. «Vuoi venire insieme a noi al Café du Monde?», gli chiese Gregori tranquillo, dirigendo già i propri passi in direzione del locale. Svoltarono a Saint Ann Street, verso Decatur Street e Jackson Square. Una volta che ebbero superato la famosa cattedrale di St Louis, Gary si schiarì la gola. «È vero che i vampiri non possono calpestare il suolo consacrato? È una domanda alla quale ho sempre desiderato di poter dare una risposta. E poi, le croci servono davvero a proteggere le persone o sono tutte fesserie?» «I vampiri non possono calpestare il suolo consacrato, è vero. La loro anima è persa per sempre. Si tratta di una scelta che hanno fatto: hanno deciso di diventare dei non-morti», rispose Gregori. «Non compiere il madornale errore di dispiacerti per il loro destino. Sono creature molto malvagie». «Stai mandando all’aria tutte le mie teorie», fece Gary tristemente. «E quali sarebbero queste teorie?», gli chiese Savannah, fissandolo con i suoi occhi blu. Quello sguardo fece sentire Gary come se fosse l’unico uomo sulla faccia della terra, come se qualsiasi cosa lui avesse risposto fosse per lei di vitale importanza. Gregori si irrigidì, nervoso. Rivolse a Gary un’occhiata gelida e spietata e l’umano sentì in bocca uno strano gusto amaro. Avrebbe voluto dire a quella creatura che non riusciva a trattenersi, Savannah era troppo sexy. Tuttavia ebbe la netta impressione che quell’ammissione gli avrebbe definitivamente alienato le simpatie di Gregori. Quindi si sforzò di distogliere lo sguardo da quella conturbante bellezza e di concentrarsi sull’eccitazione che gli procurava il fatto di trovarsi in compagnia di tali mitiche creature della notte. Il sogno di una vita. «Stavi per spiegarci le tue teorie», lo esortò Gregori, gentile. Il gruppetto attraversò la strada insieme a una folla di turisti in giro per le vie della città. Il carpaziano era fin troppo consapevole che la maggior parte di loro stava fissando la sua compagna per la vita. Quando Savannah si fermò sulla soglia della terrazza del locale, dove i tavolini erano attaccati l’uno all’altro, tutti si girarono a
guardarla. Uno dei camerieri fece loro cenno di accomodarsi a un tavolo vuoto, poi, quando ebbe riconosciuto Savannah, la fissò intontito per un attimo e corse a prendere le ordinazioni. Gregori si era seduto e aveva appoggiato la schiena contro una voluminosa colonna in parte nascosta nell’ombra, lo sguardo sempre irrequieto e tutti i sensi all’erta. Non poteva rischiare di abbassare le guardia. Da qualche parte, in quella città, c’era un potente vampiro con un esercito di marionette umane ai propri ordini. Savannah firmò diversi autografi e spese qualche minuto a chiacchierare con ognuna delle persone che si avvicinava al loro tavolo. Gregori le aveva messo una mano sulla nuca e le stava facendo un massaggio delicato e rilassante. Si riscoprì molto fiero di lei. Comunque, quando arrivarono i caffè e i tramezzini, persino Gary divenne ansioso di liberarsi di quella folla di fan che si accalcava intorno al loro tavolo. Gregori chiamò il cameriere e gli disse con voce ipnotica: «Savannah è stata contenta di firmare autografi agli altri clienti, ma adesso avrebbe bisogno di un po’ di tranquillità per gustare il vostro superbo caffè». Quel consiglio era evidentemente un ordine: gli occhi argentei del carpaziano catturarono quelli del suo interlocutore, non lasciandogli altra scelta che acconsentire. Savannah sorrise in segno di ringraziamento, mentre i camerieri tenevano alla larga la calca di turisti. «È sempre così? Dovunque tu vada?», le chiese Gary. «Più o meno». Savannah scrollò le spalle, calma. «Non mi importa granché. Peter diceva sempre…», si interruppe di botto e si portò la tazza fumante alle labbra. Gregori riusciva a percepire il suo tremendo dolore, il macigno che le pesava sul petto. Le accarezzò il braccio e le prese la mano. Grazie a quel contatto, alla sensazione che le procurava, Savannah si sentì subito investire da un’ondata di calore e conforto. «Peter Sanders si è sempre preoccupato di tutti i dettagli degli spettacoli di Savannah. Era molto bravo a proteggerla. È stato ucciso dopo il suo ultimo spettacolo, quello che si è tenuto a San Francisco». Gregori fornì con calma a Gary tutte le informazioni del caso.
«Mi dispiace», fece subito Gary, partecipe. Dallo sguardo di Savannah traspariva la sua intensa sofferenza. Aveva gli occhi lucidi. Gregori si portò la mano di Savannah alle labbra e sentì il polso pulsarle a un ritmo frenetico. Questa notte è particolarmente bella,
mio piccolo amore. Il tuo eroe ha salvato quella povera ragazza, ha passeggiato fra gli umani e si è messo a chiacchierare con questo stupido. Tutto ciò dovrebbe bastare a farti sorridere. Non piangere per quello che non possiamo cambiare. Dobbiamo fare in modo che lui creda che non è accaduto nulla di strano. Quindi tu saresti il mio eroe? Savannah aveva la voce spezzata dal
pianto e le lacrime le offuscavano la mente, come un prisma iridescente. Aveva bisogno di Gregori, del suo conforto, del suo supporto, per affrontare il terribile peso del senso di colpa, di amore e di perdita.
Per sempre, per tutta l’eternità, le rispose subito lui, senza alcuna
esitazione. I suoi occhi erano diventati due laghi. Le fece sollevare il mento in modo tale che i loro sguardi si incontrassero. Per sempre, amore mio. Gli occhi argentei di Gregori catturarono quelli blu di Savannah, che rimase ammaliata. Il peso che ti grava sul cuore diverrà più leggero. Il tuo dolore sarà il mio. Gregori continuò a fissarla ancora per un attimo, per assicurarsi che Savannah si fosse davvero liberata del fardello che la opprimeva. Savannah sbatté le palpebre e si scostò un po’ da Gregori, chiedendosi a che cosa stava pensando. Qual era l’argomento della conversazione? «Gary». Gregori snocciolò il nome del suo interlocutore e si riappoggiò allo schienale della sedia, completamente rilassato. Aveva l’aspetto di un’enorme tigre, pericolosa e selvaggia. «Parlaci di te». «Lavoro molto. Non sono sposato. Direi che non sono un tipo molto socievole. In pratica sono un nerd». Gregori si spostò sulla sedia, un piccolo guizzo dei muscoli che lasciava intendere quanto fosse potente. «Non so bene cosa significhi questa parola». «Be’, non sei tenuto a saperlo», disse Gary. «Significa che sono tutto cervello e niente muscoli. Non faccio sport. Mi occupo solo di
computer, gioco a scacchi, faccio solo cose che richiedano sforzo mentale. Le donne mi trovano troppo magro, imbranato e noioso. Insomma, non sono il genere di uomo con cui amano aver a che fare». Non c’era alcuna traccia di amarezza nelle sue parole, solo pacifica accettazione di se stesso, della sua vita. I denti bianchissimi di Gregori scintillarono. «Gary, c’è solo una donna che conti per me e anche lei trova difficile vivermi accanto. Non riesco a capire perché, e tu?» «Forse perché sei geloso e possessivo e ti preoccupi di ogni singolo dettaglio che la riguardi?». Gary ovviamente aveva preso la domanda alla lettera e gli stava esponendo senza alcun riguardo le proprie considerazioni. «E poi sei un dominatore. Si vede. Sì. Potrebbe essere dura». Savannah proruppe in una risata, un suono tanto musicale da fare concorrenza ai musicisti in strada. La gente intorno si girò a guardarla e trattenne il respiro, sperando che continuasse. «Molto sagace, Gary. Davvero molto sagace. Scommetto che hai un alto quoziente intellettivo». Gregori si agitò di nuovo sulla sedia, un movimento che trasudava potere, pericolo. Improvvisamente si sporse verso l’umano. «Credi di essere intelligente? Provocare un animale selvatico non è una mossa furba». La risata di Gary si unì a quella di Savannah. «Mi stai leggendo nel pensiero! Lo sapevo. Sapevo che non mi stavate prendendo in giro. È proprio assurdo. Come fai? Possono farlo anche gli umani, secondo te?». Per un attimo si era sentito intimidito, ma l’espressione serena di Savannah aveva alleggerito la tensione. Savannah e Gregori si scambiarono un sorriso. Fu Gregori a rispondergli. «So per certo che una ristretta cerchia di umani possiede questa dote». «Vorrei averla anche io. Che altro sai fare?» «Credevo che stessimo parlando di te», replicò Gregori, cercando in qualche modo di evitare che l’umano continuasse a nutrire quella poco lusinghiera opinione di sé. «Non ho mai incontrato un uomo che avesse più coraggio e intuizione di quanta ne hai dimostrata tu
stasera, eppure ho vissuto ormai un discreto numero di anni. Non sottovalutarti così. Forse ti sei dedicato anima e corpo al lavoro per dimenticare una storia finita male». Savannah nascose la propria espressione sbattendo le lunghe ciglia. A parlare era un uomo che considerava se stesso un mostro. Che diceva di non provare sentimenti per niente e nessuno. Gary sorseggiò il tanto celebrato caffè e diede un morso al tramezzino per cui il Café du Monde era famoso. Trovò entrambi deliziosi. La coppia seduta al tavolo con lui sembrava stesse mangiando, notò, ma non era proprio sicuro che lo facesse per davvero. Che cos’erano quei due? Perché si sentiva tanto a suo agio con loro? Gli piaceva la loro compagnia. Se ne sentì rinvigorito. Tranquillizzato. Osservazione interessante, considerando che quell’uomo era una specie di bestia selvaggia e pericolosa, in grado di divenire letale alla minima provocazione. E Gary era stato testimone della potenza che quel tale avrebbe potuto sprigionare. E se quell’uomo gli avesse detto la verità? Magari i vampiri erano davvero dei grandi imbroglioni. Magari la creatura che gli sedeva di fronte disinvolta lo stava ingannando. Gary studiò quel volto impassibile. Sarebbe stato arduo dire quanti anni avesse. La sua era una bellezza rude, un po’ crudele, ma incredibilmente seducente. Gregori si passò una mano sul volto. Come poteva venirne a capo? «È proprio questo il problema con i vampiri, Gary», osservò Gregori. «Un umano non ha alcuna possibilità di cogliere la differenza e capire cosa è un cacciatore e cosa un vampiro». Gary fece caso al fatto che Gregori aveva detto “cosa” e non “chi”. Che cosa era lui? «Entrare a far parte del nostro mondo è molto pericoloso», aggiunse Savannah in tono gentile. Fece per poggiare una mano sul braccio di Gary, con quel suo modo molto cordiale e comprensivo, ma un basso e gutturale ruggito di Gregori la indusse a fermarsi. Si mise la mano in grembo. Gregori le accarezzò le nocche delle dita per scusarsi di non essere riuscito a dominare il suo istinto possessivo. Gary
trasse
un
profondo
respiro.
«Forse
è
vero,
ma
probabilmente io sono già compromesso. Non sarei dovuto essere al magazzino questo pomeriggio, ma ci sono andato lo stesso. La formula che avevo sviluppato non mi sembrava corretta e quindi avevo fatto alcune indagini. Volevo eseguire un test sulla composizione chimica. Ero così arrabbiato che sono andato a uno dei pochi indirizzi della società segreta che conoscevo. Quando ho trovato lì quella povera ragazza, mi sono infuriato e ho chiamato il capo – Morrison – al suo numero privato. Non sono riuscito a rintracciarlo, ma gli ho lasciato un messaggio in cui dicevo che avrei fatto chiudere la società, che avrei raccontato tutto ai giornali e alla polizia. Non pensavo che Rodney potesse essere interessato a uccidere voi tanto quanto lo era a far fuori me. Ho avuto la sensazione che qualcuno gli avesse ordinato di farlo». «Era posseduto da un vampiro. Niente l’avrebbe fermato», ammise Gregori. «Quindi io sono già un loro obiettivo, giusto?», puntualizzò Gary, trionfante. Gregori sospirò un’altra volta. «Non c’è motivo di esserne tanto contento. Noi possiamo proteggerti, ma fino a un certo punto. La tua presenza oltretutto mette a rischio l’incolumità di Savannah». Solo per questo non avrei alcuna esitazione a strapparti il cuore dal petto. Quelle parole sembrarono aleggiare nell’aria: non vennero pronunciate, ma tutti e tre le avevano sentite. Gary parve Immagino che, un obiettivo». terribile non eventualità».
sbigottito. «Mi dispiace. Non ci avevo pensato. una volta vista insieme a me, anche lei sia diventata Ne era evidentemente preoccupato. «Mi sembra aver preso nemmeno in considerazione questa
«Abbassa la voce», gli ricordò Gregori. «Abbiamo bisogno di sapere qualcosa di più dei membri di questa setta. Hai una lista dei loro nomi?» «Sì, di quelli che lavoravano in laboratorio. Il laboratorio di facciata, intendo. Non in quello schifo che hai visto stasera». Gary si passò una mano tra i capelli, agitato. «Voglio chiamare l’ospedale per assicurarmi che la ragazza stia bene. Sai, ancora non riesco a credere che avessero davvero intenzione di vivisezionarla».
«Te l’ho detto», ripeté Gregori, «l’unica forma di divertimento che i vampiri conoscono è far soffrire coloro che li circondano. Il nonmorto ha intenzionalmente corrotto le menti delle persone che credeva sarebbero cadute con più difficoltà in suo potere. È come un gioco per lui. Tu sei un brav’uomo, Gary, ma saresti stata una vittima troppo facile. Il vampiro avrebbe potuto spingerti a uccidere tua madre. Ti avrebbe costretto a fare qualsiasi cosa ti risulti abominevole». «Non voglio che cancelli dalla mia memoria il ricordo di questa notte», lo supplicò Gary. «Ho aspettato questo momento per tutta la vita. Lo so che hai detto che non sarei in grado di stabilire la differenza tra un cacciatore e un vampiro, ma secondo me ti sbagli. Per esempio, tu mi spaventi a morte. Hai un aspetto pericoloso e compi azioni pericolose. Non fai alcuno sforzo per nasconderlo. Sei un uomo terrificante, ma ti comporti da amico. Ti affiderei la mia vita. Una creatura malvagia invece potrebbe anche apparire amichevole, ma si comporterebbe in modo orribile, posso scommetterci». Gli splendenti occhi argentei di Gregori si posarono sul viso di Gary, e vi apparve un barlume di calore, una traccia di ironia. «Mi hai già affidato la tua vita». Savannah si sporse verso Gregori. «Sono fiera di te. Hai fatto una battuta». Spostò lo sguardo su Gary, dall’altra parte del tavolo: negli enormi occhi blu danzava una risata. «Gregori ha qualche problema con il concetto di senso dell’umorismo». Gary si ritrovò a ridere insieme a lei. «Be’, ci credo». «Attento, ragazzino. Non c’è alcun bisogno di mancarmi di rispetto. Non fare l’errore di credere che anche tu puoi cavartela come se la cava questa qui». Gregori tirò a Savannah una ciocca dei lunghi capelli neri come l’ebano. Le arrivavano fino alla vita, una cascata di seta nero-blu, che aveva vita propria, che tentava e invitava gli uomini a farsi accarezzare. «Be’, e quindi che avete intenzione di fare con me?», azzardò Gary, preoccupato. Savannah resistette al desiderio di allungare una mano e toccarlo
per dimostrargli la propria compassione. Era di indole espansiva, affettuosa. Quando qualcuno si intristiva, sentiva il bisogno di risollevargli il morale. Gregori inibiva la sua naturale tendenza a consolare il prossimo.
Non posso cambiare la mia natura, piccola, le bisbigliò lui con
dolcezza nella mente, in tono vellutato, lento e strascicato. La sua voce l’avvolse e la colpì per la tenerezza. Posso solo prometterti di
prendermi cura della tua incolumità e di cercare di renderti il più felice possibile, sforzandomi di sopperire alle mie mancanze. Non ho mai detto che hai delle mancanze, gli rispose lei. Le sue
parole furono come una carezza, come dita che gli solleticavano la nuca e scendevano giù lungo la schiena.
Il desiderio fece irruzione dentro di lui, intenso e terribile. Gli sembrò di andare a fuoco. La divorò con lo sguardo e a Savannah parve che il proprio corpo fosse lambito dalle fiamme. Gli occhi di Gregori la toccavano. La accarezzavano. La passione esplose in lui come un vulcano. Cominciò a sentire un ruggito echeggiargli in testa. D’un tratto desiderò che Gary sparisse. Che il locale sparisse. Che il mondo sparisse. Non era neanche certo di riuscire ad aspettare fino a quando sarebbero stati a casa. All’improvviso, il lungofiume gli sembrò un posto molto invitante.
Capitolo 12 Gary sollevò la mano in segno di saluto. Il suo sguardo era colmo di rimpianto. Stava per tornare alla sua quotidianità. Non che la sua vita fosse poi così male, ma lui si sentiva profondamente legato a quella gente. Per tutta la sua esistenza era stato isolato. Mai in sintonia con gli altri. L’unico a battere un ritmo diverso sul proprio tamburo. «Be’, sono pronto. Andiamo. Però promettetemi che un giorno o l’altro mi verrete a trovare». La mano di Gregori che stava massaggiando la nuca di Savannah improvvisamente si fermò. Il carpaziano trasse un profondo respiro. Savannah? Lo sento anch’io. Gregori si sporse oltre il tavolo per fissare Gary dritto negli occhi. Farai quello che Savannah ti dice senza obiezioni, senza fare domande. Assoluta obbedienza. «Gary, adesso vorrei che tu andassi via con Savannah. Ci stanno dando la caccia. La mia compagna proteggerà entrambi dagli sguardi altrui e io farò in modo che i predatori prendano un’altra direzione. Savannah, cammineremo insieme nell’ombra. Riesci a rendere invisibile te stessa e Gary senza la mia assistenza? Avrò bisogno di avere un vostro simulacro al mio fianco almeno per un po’, poi scatenerò un’inattesa tempesta. Le nuvole ti saranno di qualche aiuto». «Nessun problema», rispose lei senza esitazione. Niente nell’espressione del suo viso tradiva l’improvvisa preoccupazione. Quello era lo stile di vita di Gregori, non il suo. Lui era il capo. Gregori lasciò i soldi sul tavolo e sorrise al cameriere guardandolo negli occhi. Ci aiuterai a lasciare questo posto senza che si verifichi qualche incidente. Catturò lo sguardo di quel tale per un momento. Quando fece uscire l’uomo dalla trance che gli aveva indotto, lui fece accorrere gli altri con un cenno della mano e tutti insieme formarono un semicerchio che divideva gli occupanti del tavolo dal resto dei clienti. Gregori gli lasciò una generosa mancia e fece segno a Savannah e
a Gary di andarsene. Savannah si diresse con innata eleganza verso una strada buia, che sbucava nella parte non illuminata della piazza. Era ben consapevole della presenza di Gregori al suo fianco, del fatto che la stava proteggendo. Per un attimo pensò che le avesse sfiorato le spalle con una mano, ne ebbe la netta sensazione, ma quando si voltò, vide che era rimasto diversi metri indietro. Vai, piccola mia, porta Gary a casa. Non farti vedere dai vicini. E fa’ in modo di tessere gli incantesimi protettivi con la massima attenzione. E tu?
Non c’è incantesimo che non possa disfare. Adesso vai. A quel
punto non c’era alcun dubbio. Gregori era a un paio di metri da lei, stava già svoltando per un’altra strada, eppure Savannah sentì le sue labbra posarsi sulle proprie e indugiarvi un momento, passandovi sopra la lingua. Non riusciva a credere che quell’uomo potesse spingerla a desiderarlo con tutta se stessa, potesse farla ardere di passione, proprio mentre se ne stava andando via, nella notte, ad affrontare i loro nemici.
La notte è sempre stata il mio habitat naturale, Savannah. Non perdere tempo preoccupandoti di me. Quella voce dolce e ipnotica
trasudava intimità. Gregori procedette a grandi passi, camminando lungo il bordo della piazza, e al suo fianco i simulacri di Gary e Savannah, che passeggiavano con la sua stessa andatura disinvolta. Con calma. Come turisti che stavano visitando la città.
Le nuvole cominciarono a offuscare il cielo, muovendosi scure e rapide e portandosi dietro un’inattesa nebbiolina, una specie di vapore prodotto dal calore della notte. Savannah cercò di concentrarsi sul proprio compito. Era abbastanza facile rendersi invisibile agli occhi di coloro che voleva evitare, ma non aveva mai provato a fare lo stesso con un’altra persona. Scacciando con decisione il pensiero dell’incolumità di Gregori dalla propria mente e cercando di non pensare al fatto che avrebbe ucciso ancora, prese Gary per le spalle e lo fece voltare verso la fila di negozi che conducevano alla piazza. «Resta là dentro e continua a camminare, qualsiasi cosa accada, anche se ti sembra che la gente venga a sbatterti addosso».
Gary non fece domande, ma Savannah riuscì a sentire il battito frenetico del suo cuore rimbombare nella notte. Dal fiume si alzò la foschia, una densa coltre di vapore trasportata dal vento, che avvolse la piazza e le strade lì intorno. La gente cominciò a ridere sguaiatamente per nascondere il proprio nervosismo. Insieme alla nebbia era arrivata un’atmosfera di apprensione, di pericolo. Strane creature si muovevano nella foschia, creature malvagie, creature della notte. Gregori continuò a mantenere viva l’illusione che Savannah e Gary stessero camminando al suo fianco lungo la riva del fiume. Sembrava che si muovessero come un blocco compatto, passeggiando senza meta e chiacchierando in tutta tranquillità. Il carpaziano voleva mettere un po’ di distanza tra gli umani innocenti e l’incantesimo che stava creando. Riusciva ad avvertire la presenza di qualcuno che li stava seguendo e che vedeva solo ciò che lui gli stava mostrando. Erano degli esseri malefici. Macabre marionette inviate dal padrone a eseguire i suoi ordini. Sentì il demone dentro di lui sollevare la testa, sfoderare le zanne e lottare per liberarsi, e gli sfuggì un piccolo sibilo. Il suo corpo si irrigidì, i muscoli guizzarono, accogliendo quella potenza che ben conoscevano. Gregori ridacchiò, una sommessa risata di scherno che equivaleva a una sfida. Sfiorò la mente di Savannah, per assicurarsi che fosse vicina a casa. Stava nascondendo se stessa e l’umano dagli occhi indiscreti lungo la strada in maniera eccellente. Savannah era solo una bambina, una ragazzina che aveva appreso ben poco delle tecniche carpaziane. Mentre si intrufolava tra la folla dei turisti che si stavano riversando in Preservation Hall, Gregori si accorse di essere orgoglioso di lei. Le aveva affidato un compito difficile e Savannah lo aveva portato a termine da professionista. I due simulacri che aveva creato si riflessero nell’acqua, poi si dissolsero lentamente e svanirono nella nebbia. Lui, da solo, attraversò il fiume e si diresse verso il quartiere di Algiers. Era certo che il non-morto si fosse accorto della sfida che gli aveva lanciato. L’oscuro impulso di uccidere si era impossessato di loro, dei burattini comandati dal vampiro. Un piccolo sorriso privo di qualsiasi traccia di umorismo gli si disegnò sul volto. Il vampiro, che stava cercando
Savannah, non aveva idea di doversela vedere con Gregori, il tenebroso, proprio lì a New Orleans. Julian Savage era un abile cacciatore, forse secondo in bravura solo a Gregori. Se Julian aveva messo su casa in quella città e non aveva distrutto il potente vampiro, poteva solo voler dire che quest’ultimo se n’era andato quando Julian era arrivato. Il nonmorto aveva probabilmente sacrificato altri membri della sua razza senza alcun rimorso. I vampiri spesso vivevano in gruppo per unire le proprie forze contro i cacciatori, ma non c’era alcun vincolo di lealtà che li legava l’uno all’altro. Gregori si fermò ad aspettare tra gli alberi lungo la riva del fiume. Sentì gli aggressori ruggire mentre seguivano le sue tracce e attraversavano anche loro il fiume: un grugnito monotono, simile a quello degli zombie. La loro imbarcazione aveva un motore che scoppiettava e produceva forti fischi, eppure non fecero alcun tentativo di celare la loro presenza. Era tipico dei demoni, obbedire in maniera indefettibile agli ordini del vampiro. Non avevano altro scopo, nessun’altra ragione di esistere. Erano demoni, schiavi, fantocci: un tempo erano stati umani, ma adesso avevano bisogno del sangue del vampiro per continuare a esistere e dormivano nelle fogne o nelle tombe per sfuggire alla luce del sole. I vampiri di solito uccidevano le vittime da cui traevano il nutrimento, ma talvolta, quando avevano bisogno di servi che portassero a termine durante il giorno i compiti che venivano loro impartiti, condividevano con i malcapitati il proprio sangue e li legavano a loro, privandoli dell’anima e della mente. Quei burattini rappresentavano comunque un grande pericolo. Avevano una forza spaventosa, erano furbi e i normali maschi carpaziani incontravano una certa difficoltà a ucciderli. Quasi impossibile che ci riuscissero degli umani. Gregori trasalì al pensiero di Savannah tra le grinfie di uno di quegli esseri abominevoli. Era solo una ragazzina, assolutamente incapace di far loro del male. Forse sarebbe stato meglio se li avesse uccisi a distanza – Gregori aveva imparato molti anni prima l’arte di uccidere nel suo mondo nonché in quello degli umani – ma voleva assicurarsi che nessun altro venisse coinvolto nel combattimento. E voleva anche che il vampiro che li aveva mandati capisse che aveva raccolto la sfida. Gregori. Il
tenebroso. La barca si incagliò tra alcune radici degli alberi che spuntavano fuori dall’acqua scura e fangosa. Gregori non fece alcun tentativo di nascondersi dagli zombie. Rimase fermo ad aspettarli, rilassato, con le gambe avvolte dalla nebbia. Una leggera foschia, calata come un impalpabile velo nella notte, rendeva indistinti i suoi lineamenti. I due fantocci scesero goffamente dall’imbarcazione, producendo spruzzi a destra e a manca. Gregori inspirò e avvertì l’improvvisa presenza malvagia nell’aria. Il vampiro doveva aver pensato che fosse caduto in trappola. Tutti i carpaziani possono rintracciarsi a vicenda se si trovano entro una certa distanza l’uno dall’altro. Il vampiro aveva individuato il momento in cui Savannah era entrata nel suo territorio, ma non aveva avvertito la presenza di Gregori. Quest’ultimo infatti aveva il potere di diventare invisibile anche per i suoi simili, se lo desiderava. Nascondersi per lui era ormai naturale tanto quanto respirare. Il vampiro, che era scappato da Julian, chiaramente pensava di aver a che fare con un carpaziano meno potente. Con un novizio. I due demoni, goffi ed enormi, stavano risalendo il terrapieno. Per due volte, uno dei due, un uomo dai capelli rossi, cadde in acqua, schizzando e spruzzando nel tentativo di riguadagnare la posizione eretta. Gli zombie si separarono e presero due strade diverse.
Guarda un po’ di cosa sono capace. Gregori inviò un forte
richiamo telepatico. Sentì un’improvvisa esitazione nell’aria: il vampiro aveva capito che la nebbia densa, la strana foschia e le nuvole scure non erano un fenomeno naturale. Il non-morto trasalì, preoccupato. Gli elementi atmosferici erano stati ricreati alla perfezione: in pochi erano capaci di compiere un simile incantesimo. Mi hai mandato la tua sfida, e io l’ho accettata. Adesso vieni qui. Il tono di voce di Gregori era basso e ipnotico. Meraviglioso. Di una bellezza ineguagliabile. Nessuno avrebbe potuto resistergli se sceglieva di esercitare il suo potere letale. Il vampiro cercò di opporsi all’istinto di obbedire a quell’ordine, ma la sua sagoma attraversò lo stesso la nebbia e il fiume. Il suo volto era una maschera malvagia e deforme, nei suoi occhi
lampeggiavano bagliori rossi, le gengive ritirate rivelavano denti affilati e appuntiti. Le dita terminavano in artigli ritorti, temibili e taglienti come rasoi. Sputava veleno, spaventato e furioso per il fatto che qualcuno l’avesse costretto a manifestarsi contro la sua volontà. Non c’era modo di nascondersi alle insidie di quella voce; era bastato un sussurro e il vampiro, incapace di restare pura illusione, aveva dovuto materializzarsi. Per secoli era stato come un enorme ragno, che tesse la sua ragnatela malvagia, mantenendo un basso profilo e manifestandosi solo se strettamente necessario. «Gregori, non posso credere che un carpaziano come te abbia deciso di prendersela con un avversario indegno quale sono io», fece, con un atteggiamento servile e un sorriso affettato, come se fossero vecchi amici. «Ti fai chiamare Morrison adesso?». Gli occhi chiari di Gregori colsero i movimenti dello zombie alla sua sinistra, che si faceva più vicino, sempre manovrato dal vampiro. «Quando eravamo giovani il tuo nome era Rafael. Sei scomparso circa quattrocento anni fa». Il vampiro mostrò i denti appuntiti, macchiati di marrone per via del consumo ormai secolare di sangue umano, che aveva un alto contenuto di adrenalina: la grottesca parodia di un sorriso. «Per quasi cent’anni sono stato sottoterra. Quando mi sono rialzato, ho trovato il mondo molto cambiato. Tu eri diventato il killer del principe, ti nutrivi dei nostri simili. Ho lasciato la nostra patria, cacciato dalla tua febbre, dalla tua sete di sangue. Questo adesso è il mio rifugio, la mia casa. Non chiedo altro. Perché sei venuto qui a darmi il tormento senza essere invitato?». Gregori cercò di concentrarsi, di raccogliere le forze di cui aveva bisogno, riunendole in una palla di fuoco, un agglomerato di energia scoppiettante e violenta, nascosto dalla coltre di nubi. «Questa città non ti appartiene, Rafael, e tu non puoi stabilire dove io posso o non posso andare. Hai messo i tuoi schiavi sulle tracce di Savannah. Sapevi che era la mia compagna per la vita, eppure ti sei dato da fare per trovarla. Non vedo altra ragione che questa: volevi riversare su di lei secoli di depravazione. Stavi cercando l’oscura giustizia del nostro popolo». Il primo burattino si scagliò su Gregori, urlando e muovendosi a
scatti. Gregori si limitò a sparire, conficcando al tempo stesso un’unghia nel collo del demone e recidendogli la giugulare. Quello urlò e si mise a girare su se stesso: gli schizzi di sangue erano neri nel buio della notte. Il rumore continuò, acuto e insistente, riverberandosi sull’acqua della palude e spaventando gli animali selvatici e gli uccelli. I serpenti, disturbati da quel fracasso, scesero dagli alberi e si diressero verso il canale. Un po’ più lontano, nella baia, gli alligatori scivolarono giù dall’argine e si immersero silenziosamente nelle acque fangose. Il fantoccio gridava ancora, girandosi di qua e di là alla ricerca della vittima designata. Gregori, qualche metro più in là, fissò con freddezza quella patetica creatura. «Finiscilo, Rafael. Tu lo hai creato; concedigli una morte dignitosa». Il vampiro si stava godendo la vista degli schizzi di sangue e, pregustandone il sapore, la saliva aveva cominciato a colargli sul mento. Con aria disinvolta, tese la mano, se la sporcò di sangue e prese a leccarsela avidamente. La creatura strisciava verso di lui, pregandolo e lamentandosi, implorandolo di risparmiarlo. Rafael le diede un calcio per allontanarla. Il corpo, dimenandosi furiosamente, finì nell’acqua alta e cominciò ad affondare. Imprecando tra sé e sé, Gregori alzò la mano e diresse la palla di fuoco verso il demone. I burattini potevano resuscitare più e più volte ed essere sempre asserviti al loro creatore se non li si distruggeva in maniera definitiva. Quello avrebbe continuato a terrorizzare coloro che vivevano lungo la riva del canale se Gregori non l’avesse bruciato, rendendolo inutile per il vampiro stesso. Rafael balzò indietro, spaventato dalla vista della palla infuocata che colpì la sua creatura ed esplose, provocando un’enorme deflagrazione. Il vampiro sibilò e prese a muovere la testa avanti e indietro alla maniera dei rettili. Gregori lo osservò con freddezza. «Mi sbagliavo. Non sei tu il capo. Tu sei uno di questi fantocci sacrificabili, uno schiavo che lecca i piedi al vampiro e cerca di ingraziarsene i favori. Tu non puoi essere Morrison». Negli occhi del non-morto apparve un bagliore rosso e le sue labbra si ritirarono in un ghigno malefico. «Pensi di rendermi
ridicolo? Credi che ci sia un tale chiamato Morrison più potente di me? Io ho creato Morrison. Lui è un mio schiavo». Gregori scoppiò a ridere. «Non spacciarti per uno degli antichi, Rafael. Da quel che ricordo, anche quando eri solo un apprendista, non hai fatto il benché minimo sforzo per imparare a tessere gli incantesimi necessari a garantire la tua incolumità». Inclinò la testa da un lato. «È stata un’idea tua, non di Morrison, vero? Mi hai provocato, scagliando quella specie di ridicolo vampiro, Roberto, contro Savannah e hai messo Wade Carter sulle sue tracce. Il tipo che loro chiamano Morrison è troppo furbo per aver fatto una cosa del genere. Non si arrischierebbe a sfidare uno come me». Gli occhi del vampiro brillarono di una rabbia furiosa. Cominciò a sputare veleno, a muovere la testa più velocemente, a un ritmo che avrebbe dovuto ipnotizzare la sua vittima. «Morrison è uno stupido. Non è lui il capo». Era difficile decifrare le parole, visto che Rafael ringhiava e sputava mentre parlava. La saliva, mescolata al suo sangue corrotto, gli colava dagli angoli della bocca e sul mento e gocciolava sulla sua vecchia camicia di seta bianca, che un tempo doveva essere stata elegante. Gregori scosse lentamente il capo. «Tu vuoi che io dia la caccia a Morrison. Stai usando Savannah per farmi uscire allo scoperto in modo che ti liberi dal tuo capo». Il secondo demone aggredì Gregori alle spalle, strisciando furtivo fino a lui e poi agitando un enorme ramo per colpirlo alla nuca. All’ultimo secondo utile, Gregori si girò e spezzò con il braccio il grosso ramo: schegge e piccoli frammenti di legno si riversarono come una pioggia sulla fangosa riva del canale. Il carpaziano fu fluido nei movimenti, come un ballerino dall’enorme potenza fisica, forte ed elegante: conficcò gli artigli in gola al fantoccio, con una forza tale che per poco non lo decapitò. Il vampiro proruppe in un urlo di rabbia che squarciò la fitta nebbia come il rombo di un tuono. La foschia era calata come una coltre e il vapore si addensava sempre di più intorno alle gambe e ai fianchi di Gregori e del non-morto, continuando a salire, fino ad avvolgere anche il loro petto. Sembrava che fosse un essere dotato di vita propria, una bestia acquattata, che guadagnava forza man
mano che si diffondeva. Gregori rivolse un amabile sorriso al vampiro, badando ad allontanarsi di un passo dal corpo accasciato sul terreno fangoso. «Sei come un pavone, Rafael, che fa la ruota e cammina impettito. Devono essere secoli che coltivi odio nei confronti di Morrison». La sua bellissima voce si infiltrava nella mente del vampiro, trasformando la forza costruita grazie alla morte delle sue vittime in un mucchietto di cenere. Una voce che trasudava potere. Potere reale. Invincibile. Impietoso. Implacabile. «Devi ringraziare Morrison, che ti ha allontanato da questa città, se sei riuscito a sopravvivere ai cacciatori. Nello stesso modo è riuscito a sopravvivere anche lui, scappando non appena loro hanno iniziato ad aggirarsi nei paraggi». «E di corsa», fece Rafael in tono sprezzante. «Fuggiva a gambe levate anche quando eravamo forti. Avremmo dovuto essere i padroni di questa città. Insieme avremmo dovuto cacciare e uccidere ogni cacciatore che osasse avvicinarsi. Invece, lui se ne andava di corsa come un coniglio. Disprezzo la sua debolezza». Gregori puntò il demone sconfitto e una palla luminosa si separò dalle nuvole e piombò al suolo, colpendo al cuore il fantoccio e trasformandolo in cenere, inutile e nera. «Credi di essere molto potente», sghignazzò Rafael. «Ma io ho ucciso così tante persone che tu per me non rappresenti nulla. Non sei nessuno paragonato a me». Gli occhi argentei di Gregori si illuminarono, chiari e freddi nel buio della notte. Sembrò che stesse aumentando di statura e che la sua forza stesse crescendo. «Io sono il vento portatore di morte, lo strumento della giustizia, inviato dal principe per eseguire la sentenza emessa dalla nostra gente a fronte dei crimini da te commessi sia contro i mortali che contro gli immortali». La sua voce era pura, bella; le parole erano però fonte di immensa sofferenza per il vampiro: sembravano spine che gli si conficcavano in testa. Eppure non aveva scelta; contro la propria volontà si avvicinò al carpaziano, desideroso di sentire ancora un suono di tale purezza e bellezza. Non appena il vampiro fece un passo in avanti, qualcosa gli si arrotolò ai polpacci, alle cosce, per poi salire più in alto e
avvinghiarsi al suo petto, stringendolo in una morsa che si faceva sempre più serrata. Una pressione costante e implacabile. Inorridito, il vampiro abbassò lo sguardo e vide la nebbia muoversi, viva, come un enorme e grosso pitone che si arrotolava in spire via via più strette, imprigionandolo. «Combattiamo!», urlò Rafael, sputando sangue e saliva nel fango e nel canale. «Tu hai paura di combattere contro di me!». «Io sono la giustizia», replicò Gregori, implacabile e determinato. «Non può esserci alcun combattimento, alcuna battaglia: il vincitore sarà uno soltanto. Che si tratti di un’aggressione fisica o mentale, o anche solo di uno scambio di arguzie, la fine sarà comunque la stessa. Io sono la giustizia. E questo è tutto». Una folata di vento e il carpaziano sparì dalla vista del vampiro. Si era spostato a una velocità tale che il non-morto non aveva neanche scorto una forma indistinta in movimento. Ma Rafael sentì comunque l’impatto. Forte. Ne venne scosso da capo a piedi. Rimase fermo, imprigionato dalla stretta di quella anomala foschia, e guardò in basso, verso la mano tesa del cacciatore. Sul palmo di Gregori giaceva il suo cuore, ancora pulsante. Il vampiro gettò indietro la testa e urlò di rabbia e di dolore. Quel buco nero che era stato la sua anima, ormai perduta da secoli, era sparito, si era disperso nella notte con il suo malefico tanfo, come una nuvola di fumo. Digrignò i denti davanti al suo impassibile avversario. Gregori tenne duro, imperturbabile. Quella era la sua vita. La sua ragione di vita. Era il tenebroso giustiziere che consentiva al suo popolo di continuare a sopravvivere, a esistere in segreto. Se ne rimase lì fermo, nella notte, completamente solo. Gregori, io sono sempre con te. Tu non sei mai da solo. Cercami nel tuo cuore, nella tua mente, nel profondo della tua anima.
Guarda il tuo eroe. Guarda chi sono davvero. Uccido senza pensarci. Senza sforzo. Senza rimorso. Senza pietà. Sono un mostro, così come tu mi hai definito, un mostro che non ha rivali. Un giorno sconterò i miei peccati. La dolce risata di Savannah lo sfiorò come una carezza. Una brezza delicata, purificatrice che gli si infiltrò nella mente. E chi è più
forte del mio compagno per la vita? Nessuno può ucciderti.
Tu pensi che sia la morte il modo in cui sconterò i miei peccati? No, Savannah. Un giorno capirai chi sono e mi guarderai terrorizzata e disgustata. Quando quel giorno arriverà, io smetterò di esistere. Gregori osservò il vampiro morire. Poi si mise all’opera per
portare a termine il ripugnante compito di assicurarsi che il nonmorto non potesse risorgere. Una pioggia di scintille, grandi quanto palline da golf, cadde dal cielo e si abbatté sul vampiro, facendogli prendere fuoco. Lì, sulla riva fangosa del canale, a una certa distanza dal cadavere in fiamme, Gregori diede fuoco anche al suo cuore malefico.
È finita, amore mio. Adesso vieni a casa da me. Il tono di voce di
Savannah era basso e irresistibile, dolce e seducente: non pareva per nulla preoccupata del fatto che lui continuasse a definirsi un assassino. A sostenere che sarebbe stato per sempre un killer. Il tuo
posto è a casa con me. Non sarai solo. Non sarai mai solo. Non riesci a sentirmi vicina? Prova a percepire la mia presenza, Gregori. La mia vicinanza. Il mio bisogno di te.
Sì, che riusciva a sentirla, nel cuore, nella mente. La sua voce lo toccava in un anfratto segreto e nascosto dell’anima, di cui lui stesso ignorava l’esistenza. Savannah era tutto ciò che di bello c’era al mondo e, che Dio li aiutasse entrambi, lui non sarebbe mai riuscito ad abbandonarla.
Ho bisogno di te, Gregori. Di nuovo quel sussurro. A quel punto
era diventato ancora più carico di desiderio. Savannah lo travolse con la propria passione, con la propria crescente eccitazione e con l’improvvisa paura che lui l’avrebbe lasciata sola. Gregori?
Rispondimi. Non lasciarmi. Non riuscirei a sopportarlo. Non c’è il benché minimo rischio che accada una cosa del genere, piccola mia. Sto venendo a casa. Era l’unica casa che avesse sentito
davvero sua, l’unico rifugio che avesse mai avuto: Savannah. Lei gli stava bisbigliando, dolce e sensuale, che sognava da tanto tempo di essere parte della sua anima. Gli stava bisbigliando che lo accettava, in maniera totale e incondizionata. Gregori spiccò il volo e il suo corpo si dissolse nella foschia per diventare parte della nebbia che lui stesso aveva creato. Poi, una specie di furia si impossessò di lui, si scatenò, prese a
consumarlo. Era stato lui, manipolando la natura, a dar vita a quell’assurda situazione in cui lui e Savannah si trovavano. Sapeva che non poteva continuare a lungo. In quella condizione, si sentiva instabile e precario. Lei doveva sapere la verità. Che cosa gli era saltato in mente? Che avrebbe potuto tenerla nascosta alla sua donna e a tutti gli altri carpaziani per sempre? Savannah diventava ogni giorno più forte. Aveva bisogno della vicinanza di qualcuno che lui le aveva tenuto lontano e Gregori non poteva far altro che tornare sui propri passi. Lui era stato fermamente convinto che, a fini egoistici, avrebbe potuto tenerla all’oscuro di una parte di sé, ma a quel punto la felicità di Savannah era diventata per Gregori il bene più importante. Quella ragazza aveva bisogno di sapere la verità, doveva rivelarle di non essere il suo vero compagno per la vita. Avrebbe eliminato la società segreta, dato la caccia al vampiro che l’aveva creata e infine affrontato l’alba. Non aveva scelta. Savannah meritava di essere completa. In maniera del tutto automatica esaminò da lontano la casa e si accorse che Gary si trovava in una delle stanze da letto al piano superiore. Savannah lo aveva ipnotizzato e costretto a dormire. Gli incantesimi protettivi che la ragazza aveva tessuto sarebbero anche potuti bastare, tuttavia il carpaziano preferì renderli ancora più sicuri. Gli incantesimi di Gregori erano davvero letali. Se Gary si fosse alzato prima di loro e se ne fosse andato in giro a cercarli e a curiosare sarebbe morto. Si fece strada nella sua mente assopita e vi penetrò. Rimarrai in questa posizione finché non verrò a svegliarti.
Se qualcosa dovesse andare storto e dovessi svegliarti troppo presto, non provare a cercarci. Moriresti. Neanche io potrei salvarti. Quest’ultima affermazione non era esattamente vera –
Gregori sarebbe stato in grado di proteggerlo – ma il carpaziano voleva imprimere il pericolo nel subconscio di Gary. Chiunque sarebbe stato curioso di scoprire dove la coppia stesse dormendo. E quel ragazzo più di molti altri.
La fitta nebbia bianca nascose quasi la piccola casa. Gregori si fermò ad analizzare gli incantesimi protettivi di Savannah, disfacendoli con estrema attenzione in modo tale da poter entrare senza correre rischi. La foschia si addensò nell’ingresso e Gregori si
rimaterializzò. La casa era calda e accogliente, luminosa e abbastanza ospitale. Le lenzuola che ricoprivano i mobili erano sparite e il fuoco si stava spegnendo nel camino, una danza di piccole fiammelle rosse che proiettavano la propria ombra sul muro di fronte. Gregori si diresse subito verso la scala a chiocciola. Riusciva a sentire la presenza di Savannah, avrebbe persino potuto indicare il punto preciso del seminterrato in cui lei lo stava aspettando. Non aveva bisogno di cercarla con il pensiero; il suo corpo lo avrebbe portato dalla sua compagna in qualsiasi momento, la sua mente avrebbe sempre saputo dove si trovava Savannah. Scese le scale piano, spaventato all’idea di doverla affrontare. Il seminterrato era completamente diverso. Candele dovunque, la cui luce tremolante illuminava il buio di quella stanza. Ombre si intrecciavano in ogni angolo della camera. Diverse erbe erano state triturate ed erano stati accesi degli incensi che riempivano l’ambiente dell’odore di legno e di fiori. Al centro della stanza c’era un’enorme vasca da bagno dalla foggia antiquata, larga e profonda, e con i piedini a forma di zampe. L’acqua brillava invitante e dalla superficie si alzava una nuvola di vapore. Savannah lo raggiunse immediatamente: il suo volto era illuminato da un’emozione il cui nome Gregori non osava pronunciare. Indossava solo una camicia da uomo di seta. Sbottonata, peraltro, in modo tale da lasciar intravedere i seni sodi e pieni. Un altro passo e i lunghi lembi dell’indumento che portava si scostarono per un intrigante momento e, prima di tornare al proprio posto, rivelarono la vita sottile, il ventre piatto, il triangolo scuro tra le cosce. La lunga cascata di capelli setosi ondeggiava e si muoveva come se avesse vita propria. A ogni passo di Savannah, Gregori si impossessava di uno scorcio della sua nudità. All’improvviso, sentì un sordo ruggito nella testa. Il suo corpo fu travolto da un’eccitazione esplosiva e l’urgenza del desiderio lo fece irrigidire. Ogni buona e nobile intenzione pareva essere andata in fumo. Savannah gli sorrise, gettandogli le braccia al collo. «Sono così felice che tu sia a casa», mormorò, cercando con le labbra il punto in cui gli pulsava la vena del collo. Gregori sentì il calore del corpo di lei, i morbidi seni schiacciati contro il suo petto.
Il carpaziano chiuse gli occhi, cercò di fare appello alla propria ferrea forza di volontà e la prese per i polsi, stringendoglieli in una morsa d’acciaio. Le fece abbassare le braccia e la allontanò. «No, Savannah, non posso permettere che quest’inganno duri ancora a lungo. Non posso». Le lunghe ciglia di lei si abbassarono e offuscarono per un momento gli enormi occhi violetti, nascondendo i segreti sepolti nei loro abissi. «Non puoi ingannarmi, Gregori. È impossibile. Proprio tu dovresti saperlo». Agitò i polsi, un gesto molto femminile, e Gregori glieli lasciò andare senza fare resistenza. Il carpaziano li osservò per vedere se le aveva fatto dei lividi, temendo, dato che era al colmo della disperazione, di non essere riuscito a dosare la propria forza. Savannah lo ignorò e prese ad abbottonarsi la camicia. «Se vuoi affrontare la questione, bene, facciamolo, ma ti avviso che mantenere l’acqua calda nella vasca mi costa energie che avrei preferito spendere in un altro modo». La punta di divertimento nelle sue parole ebbe lo stesso effetto delle carezze che gli stava facendo sul petto. Gli sfilò dalle ampie spalle la camicia, che fluttuò sul pavimento. «Savannah». Il suo nome era un gemito che invocava pietà. «Questa volta devi ascoltarmi. Non troverò mai più la forza di farti questa confessione». «Mmh», mugolò lei, chiaramente distratta. Stava armeggiando con i bottoni dei pantaloni. «Certo che ti ascolto, ma voglio che tu ti faccia un bagno. Fallo per me, Gregori, dopo tutti i guai che ho passato per colpa tua». Gregori chiuse gli occhi: le fiamme della passione avevano cominciato a lambirlo. Il suo corpo, all’apice dell’eccitazione, era una furia. Savannah gli accarezzava i fianchi, mentre gli faceva scivolare i pantaloni lungo le gambe, e gli affondava le unghie nelle cosce. Lui fece un passo indietro, fin troppo consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a nasconderle il proprio desiderio. Savannah gli sorrise, uno di quei suoi sorrisi misteriosi che lo mandavano su di giri, e lo prese per mano per condurlo alla vasca da bagno. Gregori vi entrò e sprofondò nell’acqua bollente. La sensazione del calore sulla pelle lo rendeva ancora più sensibile al
piacere. Savannah rimase in piedi, alle sue spalle, e gli sciolse il nodo del laccetto di pelle con cui lui si legava i capelli. La delicatezza con cui prese ad accarezzarglieli fece esplodere in Gregori il fuoco della passione. Lei gli versò un po’ d’acqua calda sul capo, bagnandogli i capelli. Si distribuì una noce di shampoo sulle mani e cominciò a massaggiargli la testa, un massaggio lento e rilassante. Mentre continuava a darsi da fare con la sua chioma, si protese su di lui, premendogli i morbidi seni contro la schiena. «E quindi, amore, quale sarebbe questo terribile segreto che ti affligge?». Fu facile dirglielo senza doverla guardare negli occhi e con il conforto del massaggio che lei gli stava facendo. «Tu non sei la mia vera compagna per la vita. Ho manipolato la natura grazie alla sapienza che ho acquisito nel corso dei secoli». «Sapevo già che ne eri convinto, Gregori», riconobbe Savannah. «Ma so anche che ti sbagli». La sua voce era un concentrato di purezza e di onestà. Gregori sentì la gola andargli a fuoco. «Tu non puoi aver scoperto la mia vera natura, Savannah. Non sarei in grado di nascondere ciò che realmente sono solo alla mia vera compagna per la vita. Ho provato a spiegartelo, ma tu ti rifiuti di prendere atto della verità. Sei vittima di un’illusione, non c’è niente da fare». Savannah continuò a massaggiargli la testa, senza mai smettere. «E tu saresti l’antico carpaziano più saggio. Amore mio, sei tu a illuderti riguardo a te stesso. E, mi permetto di aggiungere, riguardo a me. È vero, sono giovane – rispetto a te, solo una bambina – ma, prima di tutto, sono anch’io una carpaziana. E so di essere la tua vera compagna per la vita». Interruppe il massaggio e Gregori sentì un improvviso senso di abbandono. Poi, con un po’ di acqua calda, gli sciacquò via lo shampoo. «Ricordo che prima ancora di nascere sia io che mia madre abbiamo provato una terribile fitta di dolore. Io avrei voluto liberarmi di quella incredibile sofferenza, poi sei venuto tu e mi hai dato sollievo». «Savannah».
Gregori
pronunciò
di
nuovo
il
suo
nome,
nascondendosi il volto tra le mani. «Ti ho legato a me di mia iniziativa». «Mi hai dato il tuo sangue e mi hai salvato la vita, hai guarito le mie ferite e mi hai raccontato le meraviglie della notte, del nostro mondo. Appena ho cominciato a gattonare, sei venuto da me nelle sembianze del lupo. Abbiamo condiviso i nostri pensieri, sempre, ogni notte. Quando sono cresciuta, ci siamo ritrovati e siamo diventati l’uno parte dell’altra». «Tu mi hai accettato solo perché io ti ho costretto a farlo». «Gregori, ti sbagli. Io sono penetrata nella tua mente. Ho capito chi sei, forse più di quanto l’abbia capito tu stesso. Mi ci è voluto del tempo per abituarmi, dal momento che ero spaventata dall’intensità del nostro legame. Avevo paura di smarrire me stessa di fronte a una personalità più forte». Cominciò a insaponargli la schiena, disegnandogli con una certa indolenza dei piccoli cerchi di schiuma sulle spalle. «All’inizio non avevo le idee chiare. I ricordi relativi a quando ero ancora nel grembo di mia madre e al mio bellissimo lupo, il compagno che mi faceva sentire un essere completo. Non avevo pensato alla semplicità e alla naturalezza con la quale le nostre menti si fondevano l’una nell’altra. Non avevo pensato al perché non avessi mai sentito il bisogno o il desiderio di qualcun altro. Non mi era mai venuto in mente, finché non mi sono resa conto di quanto profondamente riuscivo a fondermi con te, che riuscivo a scivolare dentro la tua mente ogni qualvolta lo desiderassi. Nessuno dei due se n’era accorto. Nemmeno tu. Non hai fatto caso al senso di pace che sperimentavi quando stavi con me, durante la mia infanzia. Ma io sì. Te l’ho letto nel pensiero. Se esamini attentamente i tuoi ricordi, ritroverai anche tu quella sensazione. Ecco perché hai sofferto così tanto quando ho deciso di partire per gli Stati Uniti e sono scappata via, comportandomi da ragazzina quale ero. Tu vedi i colori, Gregori. Non li hai visti per secoli. Lo so, ti sembrano vividi e brillanti. E il merito può essere solo della tua compagna per la vita. Il tuo stupido senso di colpa ti rende cieco e non ti permette di prendere atto della realtà». L’acqua calda cominciò a scorrergli lungo la schiena. Savannah fece il giro intorno alla vasca e si inginocchiò davanti a lui. Mentre si
chinava in avanti, i lunghi e setosi capelli le incorniciarono i perfetti lineamenti del viso. I lembi della camicia che aveva indosso si scostarono e lasciarono intravedere l’eccitante profilo delle sue curve. Il capezzolo rosa di uno dei suoi seni lo tentò. Gregori trovò immensamente difficile indirizzare altrove il proprio sguardo. Savannah cominciò a insaponargli il petto. «Io sono con te quando vai a caccia. Sono con te quando uccidi. Sono nella tua mente, condivido i tuoi pensieri. Nessun altro potrebbe farlo perché io sono la tua vera compagna per la vita. Tu non avverti la mia presenza perché abbiamo raggiunto un livello tale di intimità che sono come un’ombra nel tuo inconscio». Savannah gli sciacquò il petto, poi si strofinò di nuovo il sapone tra le mani. Inclinando la testa da un lato, fissò la sua dura smorfia dipinta sul suo volto e rivolse a Gregori un amorevole sorriso. «Non pensi a nulla quando vai a caccia. Lo so non perché sei stato tu a dirmelo ma perché sono lì con te. Cosa vorresti provare? Tristezza? Rimorso? Hai cacciato per circa un migliaio di anni. Sei stato costretto a uccidere amici e parenti. Sei rimasto isolato e solo per secoli, senza una compagna per la vita. In un mondo così sterile sarebbe impossibile avere dei sentimenti. Solo il tuo codice d’onore e la tua lealtà nei confronti di mio padre ti hanno permesso di andare avanti». Savannah infilò le mani sotto la superficie dell’acqua e prese fra le mani il suo membro duro ed eccitato, cominciando a fargli un intimo e lento massaggio. Le sue dita erano magiche, procuravano a Gregori continue scariche di piacere. «Io non vorrei che tu pensassi a niente mentre vai a caccia, soprattutto non vorrei che pensassi a me. Potresti distrarti, o almeno spero che sia così». Il suo sorriso era davvero sexy e le sue mani continuavano a muoversi abili, una bravura recentemente acquisita. «In quei momenti non puoi provare nulla, Gregori. Le emozioni ti rallenterebbero, ti indurrebbero a compiere degli sbagli. Davvero credi di poter modificare uno stile di combattimento che hai appreso e portato all’eccellenza in un migliaio di anni? Sei stato programmato in questa maniera secoli fa». Il corpo di Gregori ruggiva di desiderio, la bestia che covava dentro di lui si dibatteva nell’urgenza di appagarlo. Aprì gli occhi e la guardò. Uno sguardo passionale. Affamato. Selvaggio. Indomito.
Savannah gli sorrise, il suo solito sorriso misterioso e dall’intensa carica erotica, e si mise in ginocchio. Poi si alzò in piedi e si sfilò la camicia, facendola cadere sul pavimento. «Io sono con te, nella tua mente, e tu nemmeno te ne rendi conto, perché sono la tua metà, perché ti appartengo. Chi altri se non la tua compagna per la vita avrebbe potuto cacciar via l’oscurità che stava dilagando nella tua anima? Sai bene che sono stata io a farlo. E chi altri avrebbe potuto seguirti durante la caccia, quando tutti i tuoi sensi sono in allerta, senza che tu te ne accorgessi?». Il respiro di Gregori riecheggiava nell’immobilità della stanza. Savannah fece un passo indietro: era sensuale e attraente, i lunghi capelli nero-blu le ondeggiavano sulle spalle. Gregori si alzò, incurante dell’acqua che gli scorreva addosso. La desiderava e lei gli apparteneva. Non appena uscì dalla vasca, Savannah indietreggiò. Aveva le palpebre semichiuse, lo voleva, il suo corpo gli stava inviando un richiamo. Fece un movimento brusco, si passò una mano fra i lunghi e serici capelli e i capezzoli le si inturgidirono. «Vieni qui», ruggì lui. La desiderava a tal punto da temere di esplodere. Savannah scosse lentamente la testa, passandosi la lingua sulle labbra. «Voglio solo il mio vero compagno per la vita. Stasera lo desidero. Lo voglio». Si accarezzò il ventre, liscio come la seta, lenta e sensuale, e Gregori seguì ogni suo aggraziato movimento, mentre la bestia che covava dentro di lui lottava per prendere il sopravvento. All’improvviso il carpaziano coprì la distanza che li separava con una falcata, la afferrò e lo slancio li fece finire entrambi contro la parete. La bloccò come se Savannah fosse sua prigioniera e la baciò impetuosamente, costringendola a baciarlo a sua volta, nutrendosi, divorandola, rivendicando con le mani il possesso di quel corpo. «Nessun altro potrà mai toccarti e sopravvivere», ringhiò, mentre la sua bocca lasciava dietro di sé una scia di fuoco che partiva dal collo di Savannah e le arrivava fino alla curva del seno. Si nutrì voracemente, graffiandole con i denti i seni soffici e sodi. «Nessun altro, Savannah». «Perché, Gregori? Perché nessun altro può toccarmi come fai tu?»,
bisbigliò lei, baciandogli il collo e solleticandolo con la lingua in corrispondenza della vena. «Dimmi perché il mio corpo è solo tuo e il tuo è solo mio». Lui le mise le mani sui glutei e la strinse forte a sé. «Lo sai perché, Savannah». «Dillo, Gregori. Dillo se ci credi. Non voglio che ci siano menzogne tra di noi. Devi sentirlo nel cuore, così come lo sento io. Devi sentirlo nella mente. Il tuo corpo deve ardere di desiderio per me. Ma soprattutto devi riconoscere nel profondo della tua anima che io sono la tua metà». Gregori la prese in braccio e la adagiò sul bordo del letto, facendole aprire le cosce. «Sai bene che muoio di desiderio per te. Persino durante il sonno, il sonno pesante di cui dormono tutti i carpaziani, io ardo di passione per te». La attirò a sé e si chinò ad assaporarla, facendole gocciolare i capelli bagnati sull’interno coscia. Non appena la bocca di Gregori la sfiorò, Savannah si mise a urlare: un’ondata di desiderio la travolse e scatenò un incendio dentro di lei. Lo prese per i capelli, costringendolo a stringerla ancora più forte. «Dillo, Gregori», sbottò, tra i denti. «Ho bisogno di sentirtelo dire».
Te lo sto dicendo, sei tu la mia compagna per la vita. Riesci a sentirmi? Gregori non sollevò la testa: voleva che Savannah lo
supplicasse di penetrarla, aveva bisogno di sentirla spingere contro di lui, nel tentativo di placare le scariche della passione. Sapeva di miele selvatico e spezie. Aveva un gusto che avrebbe potuto dargli dipendenza. Così come il modo in cui reagiva ai suoi stimoli, il modo in cui gemeva e si contorceva in risposta al suo assalto. Era tutta un guizzo di vita, di fuoco, e Gregori la condusse fino al culmine del desiderio, la spinse a chiedergli pietà. Solo a quel punto sollevò il capo e la prese in braccio. «Circondami la vita con le gambe». Se la strinse al petto, sfiorando il tempio della sua femminilità con il proprio membro, ma non la penetrò.
Savannah era umida, calda e pronta. Gregori si eccitò ancora di più e un martello pneumatico cominciò a picchiargli nel cervello. La tenne ferma in quella posizione: era bagnata, invitante ed estremamente vulnerabile. «Dammi un bacio sul collo, Savannah», le
ordinò, «e nutriti di me mentre io ti possiedo». «Fa’ in fretta», gemette lei con una punta di esitazione. Gli obbedì quasi senza pensarci e prese ad accarezzargli con la punta della lingua il punto in cui sentì la vena del collo pulsare a un ritmo frenetico. Gli scostò i capelli bagnati e, mentre Gregori la penetrava, sprofondando in quella fessura stretta e vellutata, Savannah gli perforò la pelle con i denti, cosicché lui, con il corpo, l’anima e la mente, fluì dentro di lei. Gli sfuggì un urlo roco: era già al colmo dell’estasi, stava possedendo la sua compagna per la vita com’era giusto che fosse, senza riserve, senza impedimenti, senza che tra loro ci fosse alcuna barriera. Nella testa di Savannah si susseguivano immagini erotiche che Gregori condivise, eccitandola ancora di più. Il carpaziano non doveva preoccuparsi di nasconderle nulla, non aveva ragione di temere che qualcosa avrebbe potuto allontanarla da lui. Si limitò ad abbandonarsi a un intenso piacere. Fiamme, scariche elettriche, lampi di luce calda e bianca, il ritmo della penetrazione che diventava sempre più frenetico. Savannah era sempre stata nella sua anima; e adesso lui la stava possedendo: lei gli si era arresa in maniera incondizionata, lo aveva accettato completamente, aveva fede e fiducia in lui. Gli passò la lingua sul collo per richiudere i piccoli buchi che gli aveva fatto e inarcò la schiena, offrendogli i seni, sodi e perfetti. «Tocca a te. Nutriti. Fammi rifluire dentro di te, così come ho fatto io». Tra le braccia di Gregori, Savannah era minuscola e leggera, piccolissima rispetto al carpaziano, eppure muovendo i fianchi a un ritmo forsennato, lui le sprofondò dentro, arrivando quasi a toccarle l’anima: i loro corpi erano fatti l’uno per l’altro. Gregori prima la baciò, mordendole le labbra e assaporando il gusto del sangue. Poi le graffiò con i denti e la gola e scese più giù, fino alla morbida curva dei seni. Savannah si muoveva insieme a lui, al suo stesso ritmo, appassionata e scatenata, tenendogli la testa fra le mani e spingendolo a nutrirsi di lei. Ho bisogno di te. Nella sua voce c’era una punta di lamentosa sofferenza che spinse Gregori a non temporeggiare oltre. Le affondò gli incisivi sul seno.
Savannah urlò, aggrappandosi a lui; fremette con una tale intensità e fu investita da una scarica di godimento così forte che pensò di essere sul punto di esplodere. Gli conficcò le unghie in una spalla per ancorarsi a lui, mentre Gregori continuava a muovere i fianchi, selvaggio, indomito e disinibito. Raggiunsero contemporaneamente la vetta del piacere e Gregori sollevò la testa, emettendo un grido rauco, incapace di contenere l’impeto selvaggio che gli ardeva nelle viscere. Savannah si strinse a lui e gli poggiò la testa sulla spalla. Gregori attese di sentire il battito del proprio cuore per assicurarsi di essere ancora vivo. Percepì qualcosa che si muoveva tra i loro corpi e vide una piccola goccia di sangue scorrerle sullo stomaco e cadere su di lui. Chinò la testa e passò la lingua sui segni che le aveva procurato con i denti per chiuderle la ferita. «Ti amo, Gregori», mormorò Savannah, la bocca ancora schiacciata sul suo collo. «Ti amo davvero. Ti amo per quello che sei. Capito?». Gregori spense le candele con un cenno della mano, facendo piombare la stanza nella più totale oscurità. Ancora abbracciati, vennero accolti dal fertile suolo della loro patria, che li stava aspettando. Un immediato senso di pace invase le loro menti eccitate e fece rallentare il battito del loro cuore. «Sarai mia per il resto dell’eternità, Savannah, finché non ne avremo entrambi abbastanza di questa vita e sceglieremo insieme di scendere nell’oltretomba». Seppur riluttante, Gregori la lasciò andare e abbassò il capo per leccare la sottile scia rossa che le macchiava la pelle candida. Si sistemò accanto a lei in maniera tale da poterle poggiare la testa sul seno. Savannah gli passò una mano fra i capelli bagnati e lo abbracciò, mentre il sonno pesante dei carpaziani calava su di lei. Gregori la fece sistemare in modo da poterle mettere una gamba sulle cosce e da riuscire ad accarezzarle tutto il corpo, impresso nel terreno proprio accanto al suo. Con la forza del pensiero fece in modo che la porta si chiudesse senza emettere alcun rumore e li sigillasse nella stanza. Aveva tessuto numerosi incantesimi protettivi, alcuni dei quali addirittura letali.
Chiunque avesse disturbato il loro sonno avrebbe rischiato la vita. Le accarezzò i capelli, felice. In pace con il mondo. «Sei così minuta, piccola mia, eppure riesci a darmi un enorme piacere». Prima il suo respiro caldo poi la sua lingua le stuzzicarono il capezzolo, una lenta, calma carezza. «Ho fatto l’amore con te ogni volta che ti ho stretto fra le braccia. Non temere, non può esserci qualcun altro per nessuno di noi due, Savannah». Lei si stiracchiò con aria soddisfatta e assonnata e quel piccolo movimento avvicinò il suo seno alla bocca di lui. Gli passò delicatamente le mani fra la folta chioma. «Io non mi preoccupo affatto, amore mio. Lo so che non c’è nessun altro». Gregori, indolente e appagato, le sfiorò di nuovo con la lingua la pelle liscia e morbida. «Uno come me, che ha vagato per secoli nella più profonda oscurità, ci mette un po’ ad abituarsi all’idea che la luce non svanirà un’altra volta. Dormi, Savannah, sei al sicuro qui, fra le mie braccia. Lasciamo che il suolo carpaziano ci guarisca e ci porti sollievo, così come Julian aveva previsto che facesse». Savannah rimase in silenzio per un attimo, ma il fatto che lui si fosse nutrito dal suo seno le aveva causato una serie di piccoli fremiti e si era sentita sommergere da ondate di liquido caldo. «Sì, basta che ti comporti bene». Nel suo tono c’era una punta di ironia, che lasciava intendere che avrebbe fatto qualsiasi cosa lui le avesse chiesto. Gregori voleva che Savannah si addormentasse e si insinuò silenzioso nella sua mente per convincerla di sentirsi sempre più stanca, tuttavia lui non riuscì a cedere subito al sonno. Continuò, tenero e delicato, a stuzzicarle il seno per qualche minuto. Lei lo abbracciò stretto e nel frattempo sprofondò in un indistinto sogno erotico. «Adesso dormi», le ordinò lui e, mentre il sole stava per sorgere, entrambi si abbandonarono all’abbraccio del suolo guaritore.
Capitolo 13 Gary cercò di far finta di niente, ma Savannah, che gli stava preparando una tazza di caffè, era pallidissima. La sua pelle morbida come la seta sembrava quasi trasparente. L’umano si sentiva un po’ intontito per via della trance cui era stato indotto, e svegliarsi gli era risultato difficilissimo, persino dopo essersi fatto una lunga doccia. Quando si era alzato aveva trovato dei vestiti puliti poggiati sul letto, senza che avesse la benché minima idea di chi fosse stato a portarglieli. Savannah era bellissima: si muoveva per casa come acqua che scorre, come musica nell’aria. Indossava un paio di jeans scoloriti e una maglietta azzurro chiaro che le aderiva alle curve e sottolineava la vita sottile e il busto stretto. I lunghi capelli erano acconciati in una treccia che le arrivava appena sopra il sedere. Gary cercò di distogliere lo sguardo. Non c’era traccia di Gregori in giro quel pomeriggio, ma non voleva correre alcun rischio. Aveva la sensazione che la semplice occhiata di un altro uomo alla sua donna sarebbe bastata a mandarlo su tutte le furie. «Non appena torna Gregori, ti portiamo a cena fuori», gli disse Savannah, tendendogli una tazza di caffè fumante, che l’umano accettò di buon grado. Era già buio. Gary non immaginava nemmeno che cosa fosse accaduto da quando, la sera prima, erano rientrati a casa. Si schiarì la gola, nervoso. «Che cosa è successo di preciso la notte scorsa? Tutto ciò che riesco a ricordare è di essere tornato con voi e poi di essermi svegliato un’oretta fa. Ne deduco di aver dormito per tutto il giorno». Sembrava un po’ più diffidente rispetto a prima. Rendersi conto che qualcuno ha preso il completo controllo della tua esistenza dev’essere un’esperienza piuttosto singolare. «Non ti abbiamo svegliato finché non siamo stati certi che fossi al sicuro. La notte scorsa Gregori ha avuto uno scontro con due fantocci di un non-morto e con un vampiro meno potente. Li ha sconfitti, ovviamente, e distrutti, in modo tale che non possano nuocere più a nessuno. Per te era meglio rimanere qui. Non ti stiamo tenendo prigioniero. Vogliamo solo che tu sia al sicuro». Dalle parole
di Savannah trapelò una punta di divertimento. «Non credo che Gregori abbia deciso cosa fare di te». Gary ebbe un tuffo al cuore. Si schiarì di nuovo la gola. «Spero che le tue parole abbiano un’accezione positiva». Savannah lo guardò e rise. «Pensi davvero che voglia farti del male? Gregori può leggerti nel pensiero. Se fossi stato un nemico ti avrebbe ucciso in quel magazzino». Si sporse sul tavolo con aria un po’ cospiratoria. «Certo, si tratta pure sempre di una persona del tutto imprevedibile, per cui non puoi mai sapere che cosa gli passa per la testa o che cosa ha intenzione di fare…». Si interruppe, ridendo e sollevando un braccio, come se qualcosa le avesse circondato la vita e le avesse fatto fare un passo indietro. Savannah venne trascinata per la cucina da un’entità invisibile. Rideva e i suoi occhi blu erano pieni di malizia. Gregori la prese per il polso e la portò con sé in giardino, un rifugio protetto dal folto delle piante alte. I fiori caddero dalla cima degli alberi, lasciando una traccia del loro passaggio, e lui emerse dal buio della notte. «L’hai fatto apposta, volevi spaventare a morte quel ragazzo», la accusò. Lei inclinò la testa per guardarlo negli occhi e le stelle della notte le illuminarono lo sguardo. «Be’, d’altronde chi mai potrebbe dubitare di te?». Gli accarezzò il duro profilo della mascella, passandogli la punta di un dito sulle labbra perfette. «Smettila di pensare di dovermi proteggere, Savannah. È già tanto che io abbia te. Non ho bisogno di nessun altro». Chinò la testa e la baciò. Per via del suo insaziabile appetito ci mise il doppio del tempo a staccarsi; oltretutto, il pensiero che lei sarebbe corsa in sua difesa lo fece fremere di piacere. Nel momento stesso in cui le loro labbra si toccarono, Savannah sentì la terra muoversi sotto i suoi piedi, quel movimento tutto particolare che sentiva ogni volta che lui le si avvicinava, e il fuoco cominciò a scorrerle nelle vene, caldo. Ebbe la sensazione che il suo corpo si stesse sciogliendo, come se fosse diventata improvvisamente priva di scheletro, e si stesse fondendo a quello di lui. Gregori la abbracciò forte. «Nutriti, piccola mia. Fallo per me». Savannah accostò obbediente la bocca al collo di lui; sentì con la lingua le
pulsazioni della vena. Fu una sensazione voluttuosa. Erotica. Gregori, travolto dal desiderio, si irrigidì. La vena prese a pulsare ancor più freneticamente in risposta alle carezze esplorative di Savannah. Il carpaziano la prese per la vita sottile e la attirò più vicina a sé, stringendola forte tra le braccia. Savannah si prese il tempo di cui aveva bisogno: lo stuzzicò, lo provocò, lo aizzò sempre di più. Si divertiva a far eccitare Gregori e a farlo diventare aggressivo, le piaceva il contatto dei fianchi di lui schiacciati contro i propri. Non appena gli affondò i denti nel collo, Gregori emise una specie di roco ruggito, un grido inarticolato: lampi di luce bianca avevano preso a sfrigolare e a danzargli attraverso il corpo, un misto di dolore ed estasi, al punto che sarebbe stato impossibile stabilire dove finisse una sensazione e cominciasse l’altra. All’improvviso Gregori avvertì una presenza nell’aria, un lieve fruscio, e capì che non erano soli. Tenendo Savannah stretta a sé per proteggerla, facendole scudo con il proprio corpo da eventuali occhi predatori, Gregori si guardò intorno e individuò un uomo che si aggirava per il giardino. Gary ancora non li aveva notati, meravigliato com’era dalla bellezza di quel giardino interno. Gregori si nascose nell’ombra, rendendo se stesso e la sua compagna invisibili. Mise una mano dietro la nuca di Savannah, facendo aderire la bocca di lei al proprio collo. Il modo in cui Savannah si nutriva stava suscitando in Gregori ulteriori stimoli. Considerando il fuoco della passione che quel gesto scatenava dentro di lui, il carpaziano non riusciva nemmeno a immaginare che Savannah bevesse il sangue di qualcun altro. Lentamente e con una certa riluttanza, lei richiuse le minuscole ferite con la lingua e sollevò la testa. Aveva lo sguardo assonnato, come se avessero appena fatto l’amore, e quelle labbra lo tentarono. Una piccola gocciolina rossa le colava da un angolo della bocca e Gregori subito si chinò a leccarla per sentirne il sapore. Poi la baciò, prima in maniera impetuosa, poi in modo più lento e dolce, così teneramente da lasciarla di stucco. Savannah gli sorrise, e dal suo sguardo trapelò l’intensità dei suoi sentimenti. «Non siamo da soli, amore mio», le disse lui all’orecchio.
Lei ridacchiò con una punta di rammarico, gettando indietro la testa e facendo ondeggiare la lunga treccia. «Non sei stato tu a insistere perché quel ragazzo rimanesse?» «Veramente credevo che fossi stata tu», la corresse lui tra i denti. Per Gregori, Savannah era diventata una droga. Una follia alla quale non aveva alcuna speranza di sfuggire. E lui nemmeno voleva sfuggirvi. Le accarezzò il seno attraverso la sottile maglietta di cotone. La leggera brezza notturna era fresca. I pipistrelli volteggiavano sopra le loro teste. Il profumo dei fiori saturava l’aria e i loro corpi nel frattempo erano diventati un unico groviglio. Savannah scoppiò a ridere, una risata gioiosa che riecheggiò nel cuore del compagno. «Stai attento, Gregori, nessuno di noi due vuole che la fama di lupo cattivo che ti sei costruito vada in fumo». Gli allacciò le dita dietro la nuca. «Sei tu che mi istighi», la accusò lui. Savannah gli mordicchiò un orecchio, stuzzicandolo con la punta della lingua. L’odore del caffè aleggiava intorno a loro. I passi di Gary, che calzava un paio di scarpe da tennis, si sentivano appena sul pavimento del patio. Il giovane si avvicinò all’anfratto in cui Gregori e Savannah si erano nascosti e, quando passò accanto a un’enorme felce, i suoi vestiti frusciarono. Gregori si ritrovò a dover reprimere un ringhio. Savannah gli strinse le braccia al collo e lo baciò, con calma, prendendosela comoda, assaporando il gusto delle fiamme che bruciavano dentro di lui e minacciavano di consumarlo, di fargli perdere il controllo. Stai giocando con il fuoco, mia cara.
Mmh, un gioco davvero delizioso, mormorò lei, abbandonandosi
all’intenso piacere che quel bacio passionale le dava.
Gary era proprio dall’altra parte dell’albero dietro cui erano nascosti, a dividerli c’erano solo il caprifoglio e la folta bignonia. Gregori assunse il controllo della situazione e, riluttante, sollevò la testa con un’oscura promessa nello sguardo, facendosi sfuggire un lamento gutturale. Gary credeva di essere solo. Lanciò un’attenta occhiata in giro e le
sue dita si strinsero sul manico della tazza di caffè. Riuscì a sentire la bassa risata di Savannah. Sexy. Attraente. Scosse la testa. Quella donna era una minaccia. Se fosse stata sua l’avrebbe detestato. Soltanto un uomo molto forte e capace di non avere nessun amico di sesso maschile poteva stare con una sirena come quella. Più che indomabile, era una catastrofe perenne.
Stai leggendo i pensieri di quell’uomo, piccola mia? La voce
soddisfatta di Gregori riecheggiò come un sussurro nella mente di Savannah. Persino uno come lui ha capito che sei ingovernabile come il vento. Con sommo dispiacere, si ritrovò costretto ad allentare la presa e a smettere di abbracciarla. Vai a casa. Savannah sgranò gli occhi per la sorpresa. Credi che Gary
potrebbe pensare che stiamo facendo l’amore? Lo avremmo fatto, se solo non si fosse messo a gironzolare per il giardino interrompendoci. Fomentami ancora, piccola, e farò qualcosa che potrebbe non piacerti. Lei scoppiò a ridere, senza spaventarsi neanche un po’, e attraversò disinvolta il giardino. Una volta che ebbe raggiunto Gary, gli si accostò e gli soffiò un alito di aria calda nell’orecchio.
Savannah! Quello di Gregori era senza dubbio un ruggito,
un’evidente minaccia.
Vado, vado, rispose lei, per nulla pentita. Gregori si assicurò che lei fosse al sicuro tra le pareti di casa prima di emergere dall’ombra. Il cuore di Gary cominciò a martellargli nel petto e il carpaziano avvertì quel battito forte come un tuono. Sorrise, mostrando i denti come un predatore. «Nonostante abbiamo trascorso un bel po’ di tempo insieme, mi sa che non ci siamo ancora presentati. Io sono Gregori, il compagno per la vita di Savannah». «Gary. Gary Jansen. Tua... moglie, Savannah, ha detto che potevo dare un’occhiata in giro». «Sì, Savannah è mia moglie», confermò Gregori, con un’aria severa e minacciosa in netto contrasto con la voce melliflua. «Be’…», fece Gary, tanto nervoso che cominciò a sudare freddo.
«Vieni in casa e decidiamo cosa fare». Gregori gli era passato già davanti, camminando senza produrre alcun rumore, come faceva sempre. Gary lo seguì. Savannah era davanti al camino. La sua pelle aveva di nuovo un colorito sano. Nell’abisso di quegli occhi violetti, quando il suo sguardo si posò sul volto impassibile di Gregori, passò un lampo. Quelli argentei di Gregori si fermarono sul viso di Savannah. Non erano più freddi e inespressivi come qualche attimo prima, si erano trasformati in due pozze, teneri e protettivi. Quando Gregori aveva quell’aspetto, era impossibile temerlo. «Ho esaminato diverse alternative in relazione al nostro problema, Gary», fece il carpaziano a voce bassa. «Te le esporrò e tu sceglierai quella che ritieni più adatta». Gary assunse un’aria visibilmente più rilassata. «Sì, mi sembra un’ottima idea». «Ti verrà data la caccia dai vampiri e dagli umani che fanno parte della setta», lo avvisò Gregori. «Devi cominciare a evitare qualsiasi posto che prima frequentavi abitualmente. Questo vuol dire che devi anche stare alla larga dalla tua famiglia, da casa tua e dal tuo lavoro. È lì che quella gente ti sta aspettando». «Io devo lavorare, Gregori. Non ho molti risparmi da parte». «Puoi lavorare per me. Gestisco molti affari e mi farebbe comodo qualcuno di cui potermi fidare. Possiamo organizzarci e farti trasferire in una qualsiasi delle città degli Stati Uniti in cui si trovano i miei uffici o – e potrebbe essere una soluzione ancor più sicura – in Europa. Dipende se decidi di conservare i tuoi ricordi o se rinunci ad avere memoria di ciò che è accaduto». Savannah si appoggiò al muro, scioccata dalla proposta di Gregori. Leggera come una piuma, gli sfiorò la mente. Subito, l’attenzione di Gregori si concentrò su di lei. Stai zitta, Savannah. Si trattava di un ordine. Sebbene il volto del suo compagno fosse impassibile come sempre, lei avvertì la forza di quell’imperativo e rimase in silenzio a guardarlo. «Non voglio che cancelli i miei ricordi», rispose Gary. «Te lo avevo già detto. Inoltre, credo di avere il diritto di aiutarti a
risolvere questa faccenda, piuttosto che essere mandato in chissà quale Paese straniero, come se fossi un ragazzino». «Non conosci i pericoli che correresti, Gary. Ma forse potrebbe essere una buona idea. Se insisti nel voler mantenere i tuoi ricordi, non posso fare altro che proteggere Savannah e gli altri membri della nostra razza. Non avrò scelta: dovrò prendere il tuo sangue, in modo tale da poterti governare a mio piacimento». Gary impallidì. Mise giù lentamente la tazza di caffè, la mano gli tremava. «Non capisco». «Adesso riesco a leggerti nel pensiero, ma solo se ti sono vicino. Se invece berrò il tuo sangue, potrò sempre sapere dove ti trovi, seguire le tue tracce senza alcuna difficoltà e sapere che cosa stai pensando. Se avessi intenzione di tradirci, lo scoprirei». Gregori si sporse verso di lui e catturò il suo sguardo. «Cerca di capirmi, Gary. Se fossi costretto a farlo, potrei darti la caccia. Potrei trovarti. E ucciderti». Le sue parole e il modo in cui lo fissava erano estremamente convincenti. Gary non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Aveva come la sensazione che quello sguardo penetrante potesse vedere nel profondo della sua anima. «Immagino che debba rifletterci su», proseguì Gregori, in tono quasi gentile. «Devi essere tu a decidere. Qualunque sia la tua decisione, noi la rispetteremo e faremo del nostro meglio per proteggerti. Hai la mia parola». «Mi avevi detto che i vampiri sono i più abili imbroglioni in circolazione. Come faccio a sapere che mi stai dicendo la verità?» «Non puoi. Puoi solo intuire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ecco perché è necessario che ti prenda del tempo prima di decidere il da farsi. Una volta che avrai scelto, noi tutti dovremo convivere con la tua decisione». «Fa male?», chiese Gary, curioso. Il suo cervello da scienziato stava già raccogliendo dati utili. Savannah scorse un piccolo sorriso nella mente di Gregori, un’improvvisa ammirazione per quell’umano esile che si era alzato in piedi e aveva cominciato a misurare la stanza a grandi falcate.
«Non sentirai nulla», rispose Gregori con voce calma e neutra. Non voleva in alcun modo influenzarlo. «Immagino che sia troppo chiedere di essere morso da Savannah». Gary provò a fare una battuta. Si strofinò il collo e le scene di tutti i film su Dracula che aveva visto gli si affastellarono in testa. Gregori, per tutta risposta, emise un ringhio soffocato. Savannah scoppiò a ridere. Riusciva a sentire la crescente agitazione di Gary. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli. «Devo darti una risposta adesso?» «Prima di uscire da qui», ribatté Gregori. «Be’, non è che sia poi tanto allora il tempo a mia disposizione per riflettere», mugugnò l’altro. «E se tu dovessi cancellare i miei ricordi, io tornerei alla mia vita quotidiana senza avere la benché minima idea dei rischi che corro. Una soluzione davvero comoda per liberarti di me, non trovi?». Le sue parole erano intrise di sarcasmo. Gli argentei occhi di Gregori si strinsero fino a diventare fessure. Il carpaziano fremette, un minaccioso guizzare di muscoli, come quando un predatore sguaina gli artigli. Savannah gli poggiò una mano sul braccio per trattenerlo, accarezzandolo per placarlo. All’improvviso la tensione che si era creata nella stanza si dileguò. Ma quegli occhi da felino rimasero fissi sul volto di Gary. «Se ti volessi morto, Jansen, credimi, lo saresti già. Uccidere è una bazzecola per uno come me, che ha migliaia di anni». «Non intendevo offenderti, Gregori», fece Gary. «Il fatto è che non è facile. Non mi è mai accaduto niente del genere prima d’ora. O almeno non credo. Per caso ci siamo già incontrati?» «No», rispose Savannah, seria. «Te lo avremmo detto. Stiamo cercando con tutte le nostre forze di essere più onesti possibile. Si tratta di un’offerta favolosa, Gary, io non ci penserei due volte. Non hai idea di quale onore sia…». «Silenzio, Savannah. Deve scegliere da solo, senza che qualcuno lo convinca. È una decisione che deve prendere solo e soltanto lui», la rimproverò Gregori.
Quel ragazzo non ha capito quale onore gli stai facendo,
argomentò lei. Se se ne rendesse conto, sarebbe meno agitato. Per favore, Savannah. Lascialo decidere da solo. Gary alzò una mano. «Non fatelo. Lo so che state parlando tra di voi. Sono già abbastanza nervoso. Ok, ok. Facciamolo. Mettiamoci un punto. Datemi un morso sul collo. Ma, vi avverto, non ho mai fatto niente del genere prima. Potrebbe non essere gradevole per voi». Fece un debole sorriso. «Stai tranquillo. Non può sorgere alcun problema. L’unica cosa importante è che ti fidi di me. In certe occasioni ho dovuto dare la morte a degli umani. Non potrai più cambiare fazione nel corso della guerra», lo avvisò Gregori. Gary si inumidì le labbra. «Posso farti qualche domanda?» «Naturalmente». Gregori rimase sul vago. «Esistono umani che sono venuti a sapere della vostra esistenza e sono sopravvissuti?» «Certo. C’è una famiglia che vive con un membro della nostra stirpe da diversi secoli, di madre in figlia e di padre in figlio. Una delle persone più vicine al padre di Savannah era un prete umano. Sono stati buoni amici per quasi cinquant’anni. E una coppia di carpaziani sta crescendo un bambino». «Quindi io non sarei l’unico a essere a conoscenza della vostra esistenza. No, perché detenere questo sapere è una grande responsabilità. Se non siete vampiri, allora che cosa siete?» «Carpaziani, una stirpe antica come il mondo. Siamo dotati di speciali poteri, qualcuno lo hai anche visto, e abbiamo bisogno di sangue per sopravvivere, ma non uccidiamo né rendiamo schiave le persone che ci forniscono il nutrimento. Viviamo di notte e dobbiamo evitare la luce del sole». La voce di Gregori era di nuovo priva di qualsiasi cadenza. «E qual è la differenza tra vampiri e carpaziani?», domandò Gary, eccitato, interessato e in preda a una strana esaltazione. «Tutti i vampiri un tempo erano carpaziani. Il vampiro è in sostanza un maschio appartenente alla nostra stirpe che ha scelto la follia di un ingannevole potere e tradito le nostre leggi. Se un
carpaziano vive troppo a lungo senza la propria compagna per la vita, smette di provare tutte le emozioni e di distinguere i colori. Prevale la sua più intima oscurità e tanto gli umani quanto gli altri carpaziani diventano sue potenziali prede, non solo perché da loro prende il sangue che gli serve per vivere, ma anche perché comincia a sperimentare il puro gusto di uccidere. Il vampiro sceglie la via del male, piuttosto che affrontare l’alba e autodistruggersi. Ecco perché tra i carpaziani ci sono i cacciatori. Costoro sgombrano il mondo dai vampiri e si assicurano che l’esistenza del nostro popolo resti un segreto per coloro che non capirebbero e farebbero di tutta l’erba un fascio, non distinguendo tra vampiri e carpaziani e cercando di distruggerci tutti». Savannah tolse la mano dal braccio di Gregori. Prese la tazza di Gary e la riempì di nuovo di caffè. «Sembra quasi un B-movie, vero?». Gary si ritrovò a sorridere. C’era qualcosa nel sorriso malizioso di quella donna che rendeva felice chiunque le stesse intorno. Era contagioso. «E quindi che cosa succede se ti lascio bere il mio sangue e poi tu ti trasformi in un vampiro?» «Adesso è impossibile che io mi trasformi», disse Gregori piano, affermando con quella sua voce incantevole la pura e semplice verità. «Savannah è la mia àncora, la luce che ha illuminato le tenebre della mia anima». Gary rimase fermo in piedi per una manciata di secondi, prese un sorso di caffè e si girò verso Gregori. «Facciamolo». Non aveva alcuna difficoltà a credere che Savannah potesse essere la luce di Gregori. Il carpaziano si insinuò nella mente del ragazzo in maniera tanto delicata che lui nemmeno se ne accorse. Era deciso. Convinto. E li avrebbe aiutati se ne avesse avuto la possibilità. Vieni qui, non aver
paura, non ti farò del male, non ci sarà alcun effetto collaterale. Indusse Gary a sentirsi rilassato, a suo agio. Il giovane si
diresse verso di lui con lo sguardo vitreo di chi è in stato di trance. Gregori piegò il capo sul suo collo e bevve il suo sangue. Badò a non prenderne troppo e a fare in modo che la ferita si rimarginasse subito. Prima di liberare Gary dall’ipnosi, il carpaziano fece un passo
indietro e si posizionò alle sue spalle. Gary scosse la testa un paio di volte. Vacillò e si appoggiò al tavolo. Non aveva visto Gregori muoversi, ma se lo ritrovò comunque dietro, pronto a sostenerlo e ad aiutarlo a sedersi. «Ti daremo qualcosa da mangiare il prima possibile. Siamo arrivati solo la notte scorsa e non abbiamo avuto il tempo di fare la spesa». Gregori lanciò un’occhiata a Savannah. Dagli un bicchiere d’acqua in
modo che riprenda un po’ dei liquidi che ha perso, cara.
Savannah porse a Gregori il bicchiere, guardandolo, ansiosa. Gary si toccò il collo. Gli girava la testa e provava una sensazione di bruciore su un lato della gola, ma quando sfiorò con le dita il punto in cui gli pulsava la vena, ritirò la mano senza che fosse sporca di sangue. Osservò Gregori. «L’hai già fatto, vero?». «Bevi». Gregori gli portò il bicchiere alle labbra. «Non vedevo alcuna ragione per prolungare l’attesa. Eri abbastanza pronto». «Benvenuto nel mio mondo, Gary». Savannah gli rivolse uno di quei suoi maliziosi sorrisetti. «Gregori adesso ti considera un membro della sua famiglia che ha bisogno di essere protetto, per cui sarà costretto a comportarsi in maniera incredibilmente autoritaria anche con te». Gary grugnì. «Non l’avevo considerato. Dannazione. Hai ragione. Non riuscirà a trattenersi. È la sua natura». «Non cominciate. Non avevo pensato a come sarebbe stato avere a che fare con due come voi, di certo mi farete impazzire». Gregori sembrava disgustato, ma Gary aveva cominciato a capirlo. Il carpaziano non cambiò espressione e il suo sguardo rimase impassibile come sempre, ma l’umano quasi riuscì a sentire la sua intima risata. «Hai proprio un gran senso dell’umorismo», lo accusò. «Be’, non prendertela con me. È colpa di Savannah. È stata lei a insistere», replicò Gregori, infastidito. «Usciamo e andiamo in un posto in cui ci sia qualcosa di decente da mangiare». «Avrò un disperato bisogno di sangue, bistecche crude e roba del genere?», chiese Gary, serio.
«Be’, in realtà…», cominciò Savannah. «Non ho la rabbia». Gregori la zittì con un’occhiata. «Non sono contagioso». «Tutti i libri che ho letto sostengono che se tu bevi il mio sangue, io dovrò bere il tuo e poi diventerò come te». Gary sembrava provare un lieve disappunto. «Ad alcune persone crescono le ali come ai pipistrelli», ammise Savannah, mordicchiandosi il labbro. «Ecco da dove viene fuori la storia di Batman. E i mantelli. Tutti quei mantelli svolazzanti. Una vera e propria epidemia. Una specie di reazione allergica. Non preoccuparti, avresti già manifestato i primi sintomi se fossi stato uno che ne soffre». «Fa sempre così?», chiese Gary a Gregori. «Anche peggio», ribatté Gregori. Ed era la verità. Il ristorante famoso in cui volevano cenare era pieno e la fila fuori era lunga, ma a Gregori bastò bisbigliare due paroline all’orecchio della cameriera per avere subito un tavolo. Gary sprofondò grato in una poltrona dell’ingresso e bevve i tre bicchieri d’acqua che gli furono portati tutti d’un fiato. Non aveva mai avuto tanta sete in vita sua. «Da dove cominciamo per risolvere questo pasticcio?», chiese. «La setta di cui facevi parte… Chi ti ci ha introdotto?», domandò Gregori. Tutti intorno a loro stavano chiacchierando, alcuni in maniera intima e riservata, altri ad alta voce e in toni spiacevoli, altri ancora si stavano divertendo e ridevano. Gregori e Savannah sentivano tutto. Era ancora troppo presto perché qualcuno notasse la celebre maga, comunque Gregori aveva scelto un tavolo appartato e aveva fatto sedere la sua compagna nell’angolo più buio. «Tutti a lavoro sapevano della mia ossessione per i vampiri. Era diventata una barzelletta. Qualche anno fa fui avvicinato un uomo di nome David Crocket. Era amico di qualcuno che lavorava in laboratorio. Mi invitò a un incontro. Mi sembrava un po’ ridicolo, ma almeno avrei incontrato altra gente che coltivava i miei stessi
interessi». Gary si guardò intorno alla ricerca di un cameriere, aveva ancora bisogno di liquidi. Andavano tutti avanti e indietro e nessuno sembrava notarlo. Sospirò. «Quanto meno, mi dissi, avrei raccolto qualche informazione interessante. Ne avevo già diverse. Insomma, ci andai». Gregori lanciò un’occhiata a un aiuto cameriere che ciondolava vicino a un vaso e il ragazzo istantaneamente prese una caraffa d’acqua e corse a riempire i loro bicchieri. «Dove si tenne l’incontro?» «A Los Angeles. È lì che lavoro». «Che cosa hai pensato degli altri partecipanti? Erano dei fanatici? Dei pervertiti come quelli che abbiamo incontrato al magazzino?», indagò Gregori in tono sommesso e a voce così bassa che Gary dovette sporgersi verso di lui per decifrare le sue parole. Il ragazzo scosse la testa. «No, niente affatto. Alcuni erano lì solo per divertirsi. Non erano davvero convinti, sai, piuttosto li definirei speranzosi. Ecco cosa avevano in comune con chi invece era seriamente interessato alle tradizioni dei vampiri. All’inizio il tono della conversazione era leggero, domande del tipo: non sarebbe fantastico se esistessero davvero? Che tipo di poteri potrebbero avere? Saranno amichevoli? Poi, dopo che avevo preso parte già a qualche incontro, si presentarono due individui che provenivano da un altro gruppo». Savannah aveva il mento poggiato sul palmo della mano. Fissava Gary impassibile, restando nell’ombra per proteggersi da sguardi indiscreti. Stava utilizzando la semplice tecnica di offuscare la propria immagine per mimetizzarsi e non farsi riconoscere. Non diventava invisibile all’occhio umano, ma si avvolgeva in una specie di bolla d’aria che sfumava i suoi lineamenti e la rendeva irriconoscibile. «Dove si riuniva quest’altro gruppo?». Gary corrugò la fronte sforzandosi di ricordare. «Sapete, ci sono diversi gruppi. In Europa gravitano quasi tutti nell’area della Transilvania, in Romania. Posti del genere. Questi tipi erano americani però, del Sud… forse della Florida. Sì, della Florida. In ogni caso, avevano un approccio molto più scientifico alla questione. Volevano che ognuno di noi fornisse loro tutte le informazioni di cui
era in possesso su coloro che credeva potessero essere vampiri. Gente che vedevamo sempre pallida, che usciva solo di notte. Persone molto intelligenti, che riuscivano a ipnotizzare gli altri e che facevano mistero della propria vita e delle proprie attività». «È venuto fuori qualche nome?», chiese Gregori. «Pochi, ma le persone identificate non erano comunque veri vampiri. Nessuno di noi conosceva qualcuno che presentasse tutti i requisiti richiesti. Stavamo solo scherzando e menzionando qualche amico in comune, ma poi abbiamo capito che quei due facevano sul serio». Arrivò il cameriere e Gary esaminò in fretta il menu mentre Savannah e Gregori ordinavano. Il ragazzo si accorse di avere una fame da lupi. Avrebbe voluto chiedere tutto, ma poi pensò che probabilmente agli altri due non sarebbe dispiaciuto condividere con lui le pietanze. Alzò lo sguardo e vide Savannah sorridergli, un sorriso diabolico e allo stesso tempo ingenuo, che lo faceva sentire parte di un nucleo familiare. Come se fosse uno di loro. Non era più un emarginato, di cui tutti si prendevano gioco. Savannah tese una mano verso di lui, esitante, poi se la lasciò ricadere in grembo. «Sei un tipo sveglio», si complimentò. Gary si sentì accettato da tutti e due. Strano, riusciva a percepire che quel flusso di approvazione proveniva da entrambi. Gregori si sporse, prese la mano di Savannah e le diede un bacio proprio al centro del palmo. Mi dispiace, amore mio, ma sembra che non riesca
a vincere certe mie debolezze.
Non hai motivo di scusarti, amore. Ognuno di noi due sta cercando di imparare a vivere nel mondo dell’altro. Toccare gli altri non è indispensabile per essere felici. Gregori si portò la mano di lei alle labbra per la seconda volta e le fece una delicata carezza con lo sguardo. Gary tossicchiò. «Basta con queste smancerie». Un piccolo sorriso curvò gli angoli della bocca di Gregori. «Che altro hanno detto quei due uomini?» «Credevo che potessi leggermi nel pensiero», azzardò Gary.
Gregori annuì. «Infatti è così. Ma per farlo dovrei esaminare e passare al setaccio tutti i tuoi ricordi. Per cortesia e rispetto nei tuoi riguardi non lo faccio. Tutti abbiamo segreti che preferiamo tenere per noi, momenti dolorosi o imbarazzanti della nostra esistenza che non desideriamo condividere con gli altri». «Vale anche per voi due?». A Gary i carpaziani cominciavano proprio a piacere. Aveva capito che, qualsiasi fosse la natura di quel legame, il loro vincolo era qualcosa di unico e speciale. «Nel caso dei compagni per la vita è diverso», gli rispose Savannah. «Noi siamo due metà dello stesso essere. Quello che sente uno di noi, lo prova anche l’altro. Tra di noi può esserci solo la verità». «I tipi della Florida». Gregori li riportò al tema principale della conversazione. Mantenersi avvolta in quella bolla d’aria per proteggersi dagli sguardi degli altri clienti del ristorante era molto faticoso per Savannah, ma ogni volta che Gregori cercava di venirle in aiuto, lei opponeva una ferma resistenza. Il carpaziano capì che si trattava di una questione di orgoglio. Per qualche stupida ragione, quella donna voleva dimostrargli di essere una vera carpaziana. Non gli restava che sopportare quell’assurdità. Tuttavia, l’incolumità di Savannah veniva prima di ogni altra cosa. Lei gli lanciò uno sguardo assassino e ritirò la mano proprio mentre arrivava il cameriere con le loro ordinazioni. Gary aspettò che si allontanasse, poi proseguì a bassa voce. «Due di loro ci dissero che stavano cercando qualcuno in particolare. Persone le cui origini risalissero ad antiche famiglie dell’Est europeo, famiglie che esistevano da centinaia e centinaia di anni e che magari avevano le stesse proprietà da molto tempo. Insomma, questo genere di cose. Tirarono fuori un paio di nomi. Uno era quello di una cantante molto famosa che appariva in pubblico solo di notte e non voleva firmare un contratto con uno studio di registrazione. Dissero che aveva una voce ipnotica, ammaliante. Pare che sentirla cantare fosse un’esperienza indimenticabile. Erano molto interessati al suo caso». «Quella donna potrebbe essere in pericolo. Come si chiama?». Gregori scosse la testa in risposta alla domanda di Savannah. A
nessuna donna carpaziana sarebbe mai stato concesso di andarsene in giro priva della protezione di un maschio della sua stessa stirpe. Doveva trattarsi di un’umana dalle strane abitudini, che aveva attirato l’attenzione dei membri della setta. «Usa due diverse varianti dello stesso nome, Desari o Dara. Credo che quest’ultimo soprannome abbia qualcosa a che fare con l’oscurità o con altre stupidaggini del genere. Probabilmente aveva solo bisogno di un nome d’arte: in realtà si chiama Suzy». «Di preciso cosa volevano che le facessero gli altri membri?», chiese Savannah, spaventata per le sorti di una donna che nemmeno conosceva. Subito Gregori le inviò telepaticamente il proprio conforto. Faremo girare la voce tra tutti i carpaziani in modo che
sappiano che quella donna è in pericolo e possano sorvegliarla se se la ritrovano nei paraggi. Sì, ma in questo Paese siamo troppo pochi. Per la maggior parte del tempo non la proteggerà nessuno. Savannah, sentendosi
improvvisamente stanca, si passò una mano sulla fronte. Era stata coinvolta nelle sordide vicende di vampiri e cacciatori di “vampiri” umani da poco, eppure si era già stufata della loro sconfinata perversione.
Forse sarebbe il caso di parlarne a Julian. Gli chiederò di seguire questa cantante in tour finché non sarà fuori pericolo. Non preoccuparti per lei. Una volta che Julian l’avrà messa sotto la propria ala protettrice, non permetterà che le accada nulla di male. Gregori si accorse che Savannah era stanca e affaticata. Mi occuperò io di proteggerti dagli sguardi indiscreti, piccola mia, e non provare a discutere con il tuo compagno per la vita. Gregori non lasciò scampo alla sua testardaggine. Assunse il controllo della forza di volontà di Savannah e bloccò qualsiasi suo tentativo di riguadagnare la propria autonomia. Savannah era stanca.
Lei gli sorrise, tenera, dolce, arrendevole. Gregori fece scivolare un braccio lungo lo schienale della sedia su cui Savannah era seduta, con fare protettivo. Inconsapevole di quello che stava accadendo tra i due carpaziani,
Gary continuò a fare conversazione. «Volevano che la sorvegliassimo, che facessimo delle ricerche su di lei, che scoprissimo il più possibile sulle sue origini. E lei non era l’unica. C’era anche un uomo a cui erano molto interessati. Un italiano, credo. Julian Selvaggio o qualcosa del genere».
“Selvaggio” è l’equivalente italiano di Savage. Significa “poco civilizzato”, “scontroso”. È il cognome di Aidan e Julian. La voce di
Gregori era un mormorio nella mente di Savannah.
Il cuore prese a martellarle nel petto. Julian. Ovviamente si trattava di Julian Savage. Rivolse un’occhiata a Gregori. La setta stava aizzando i propri membri contro Julian. Savannah non lo conosceva di persona, ma all’improvviso tutta quella vicenda sembrò riguardarla da molto vicino. Lo avviseremo, piccola mia. Chi meglio di lui potrebbe proteggere quella donna da coloro che vogliono la morte di entrambi? Julian è un cacciatore molto pericoloso. Uno dei migliori. Dopo tuo padre, è probabilmente il carpaziano più potente che ci sia in circolazione.
Escluso te, immagino, replicò Savannah, leale e sincera. Gregori concentrò di nuovo la propria attenzione su Gary. «Insomma i membri di questa setta che venivano dalla Florida erano diversi da voi, prendevano la faccenda più sul serio. Vi hanno dato un paio di nomi sui quali raccogliere informazioni. Ce ne sono altri?». Gary annuì. «Nella mia stanza, in hotel, ho un computer su cui c’è una lista di tutti i soggetti e le attività che hanno destato i loro sospetti». Gregori si concesse un piccolo sorriso. I suoi denti bianchissimi scintillarono come quelli di un predatore in agguato. «Credo che un giretto al tuo albergo sia proprio quello che ci vuole stasera». Savannah si gettò la treccia dietro la schiena e si diede un’occhiata intorno. Da quasi tutti i tavoli provenivano scrosci di risate. Quasi tutti gli avventori del locale erano turisti e lei si divertì a prestare orecchio alle varie cadenze e alle diverse lingue. A quattro tavoli di distanza da loro c’era un gruppo di anziani del posto. Savannah trovò il loro dialetto particolarmente affascinante. Tre di loro erano
cresciuti insieme e stavano raccontando al quarto, un uomo più giovane, qualche divertente aneddoto della loro gioventù. Lei si ritrovò ad ascoltare il più giovane, che ridacchiava. «Le dicerie sull’uomo-alligatore circolano dai tempi di mio nonno. È solo una leggenda, una vecchia storia che le mamme raccontano ai bambini per tenerli lontani dalla palude, niente di più. Anche mia madre me la raccontava». I quattro proseguirono su quell’argomento. Il più anziano, quello con l’accento più marcato, cominciò a parlare in francese, non la lingua elegante che usava Gregori, ma il dialetto del posto. D’un tratto Savannah fu certa che stesse sproloquiando. La voce dell’anziano aveva però una cadenza rilassante, un ritmo unico, tipico di New Orleans. Mentre lo ascoltava, il vecchio uomo-alligatore diventava sempre più grande. Era enorme, come il coccodrillo del Nilo, e aveva divorato centinaia di cani da caccia, tendendo una serie di agguati e inghiottendo le sue vittime in un solo boccone. Rapiva i bambini dalla riva del canale, proprio davanti alle loro case. Un’intera barca di ragazzi che stavano facendo festa era svanita nella zona in cui si aggirava la bestia. Ogni volta che venivano raccontate, queste storie diventavano sempre più terribili. All’inizio Savannah sorrise, affascinata dall’antica leggenda, ma a un certo punto cadde in preda alla paura. Lanciò un’occhiata a Gregori. Stava parlando tranquillamente con Gary, ponendogli acuti interrogativi e desumendo una serie di utili informazioni, anche se dava l’impressione di star solo chiacchierando. Lei sapeva che nel frattempo esaminava quello che accadeva intorno a loro e monitorava le altre conversazioni, tuttavia aveva un’aria rilassata e sembrava che non si fosse accorto dell’incombente alone di tenebra. Savannah si strofinò le tempie che avevano preso a pulsarle e si massaggiò i muscoli tesi del collo. Piccole gocce di sudore le imperlarono la fronte. Cercò di concentrarsi sul quel racconto divertente, sulla storia dell’alligatore, ma più passava il tempo più la sensazione dominante diventava un’oscura apprensione che aumentava, come una terribile malattia che si faceva strada dentro di lei.
Gregori voltò il capo e la squadrò con quei suoi occhi argentei, tutt’a un tratto preoccupato. Piccola mia, che succede? Si era già insinuato nella sua mente, fondendola con la propria, in modo tale da percepire la presenza di quell’alone di oscurità che stava rapidamente prendendo possesso di lei.
È possibile che ci sia qualcuno di malvagio nei paraggi?, gli chiese
Savannah. Aveva lo stomaco sottosopra.
Gregori studiò la stanza. C’era sempre la possibilità che un nonmorto avesse imparato a nascondersi agli occhi dei carpaziani. Lui ci sarebbe riuscito. Sarebbe stato puro egotismo pensare che un altro non avrebbe potuto farlo. Il vampiro a cui stava dando la caccia era molto anziano. Era riuscito a sopravvivere ai cacciatori proprio in virtù della sua furbizia e della sua capacità di avvertire la loro presenza: fuggiva e tornava sui suoi passi solo dopo essersi accertato di trovarsi al sicuro. Eppure, Gregori dubitava che fosse andato apposta nello stesso ristorante in cui c’era un carpaziano, per il gusto di trarne soddisfazione, a maggior ragione considerando che il cacciatore in questione era Gregori. Il tenebroso. Solo coloro che si erano stancati della propria esistenza osavano sfidarlo. Gary osservò prima uno e poi l’altra. «Che succede?» «Stai calmo. Savannah è molto sensibile alla presenza del male. Lo percepisce e io riesco ad avvertirlo tramite lei, ma non sono in grado di identificare il punto della stanza da cui proviene». «Siamo in pericolo?». Gary trovava l’idea più eccitante che spaventosa. Non vedeva l’ora di assistere all’azione. In stile Rambo. Savannah e Gregori si scambiarono un breve sorriso. «Gary». Savannah non seppe trattenersi. «Hai visto decisamente troppi film». «Sì, be’, voi non capite cosa questo significhi per me. Per tutta la vita, compagni di classe e amici non hanno fatto altro che prendermi in giro. I più cattivi mi sbattevano contro il muro e mi gettavano dentro i bidoni della spazzatura. E tutto questo soltanto perché facevo i compiti e prendevo buoni voti. Questa sì che è roba eccitante per uno come me». «Anche per me», mentì Savannah. Non avrebbe voluto entrarci e non avrebbe voluto che ci entrassero nemmeno Gregori e Gary.
Voleva che fossero tutti al sicuro. La cosa che li stava aspettando, accovacciata in attesa che la stanassero, esalava il terribile tanfo del male. Quella puzza le era penetrata dentro, lasciando dietro di sé una sensazione di vertigine e malessere. «Devo uscire da qui, Gregori».
Andrà tutto bene, amore mio. Andremo via da questo posto subito. Sembra proprio che tu abbia ereditato il dono di tua madre. Esaminò la stanza ancora una volta. Non avvertì nulla
eccetto le risate dei turisti e le bonarie battute della gente del posto. Gregori chiamò il cameriere, pagò il conto e sostenne Savannah per il braccio mentre si faceva strada tra i tavoli.
Capitolo 14 Fare una passeggiata per il Quartiere Francese con la brezza notturna aiutò Savannah a rimuovere dalla propria anima la presenza del male. Chiunque o qualunque cosa ci fosse stata nel ristorante, non li aveva seguiti fuori. In pochi minuti, si riprese. Gregori le teneva un braccio sulle spalle. Rimase in silenzio, ma fuse la propria mente con quella di Savannah e osservò le tenebre dileguarsi rapidamente. Gregori li guidò senza proferire parola verso l’hotel in cui alloggiava Gary. Voleva la lista con i nomi, voleva capire quanto si era allargato il raggio d’azione della setta. Gary credeva che i membri della società segreta fossero perlopiù persone come lui, che speravano che i vampiri esistessero davvero e avessero le caratteristiche dei romantici personaggi protagonisti di film e romanzi. Ma Gregori aveva visto di cosa erano capaci quegli umani depravati. Aveva assistito all’evoluzione della setta nel tempo. Donne violentate e uccise, innocenti e bambini assassinati. Prese per mano Savannah, e la vicinanza di lei gli procurò un po’ di pace e di sollievo. Il vento soffiò via i suoi oscuri e spiacevoli ricordi. Le dita di Savannah si intrecciarono alle sue. «Hai capito cos’era?» «No, ma c’era davvero, cara. Ti ho letto nel pensiero. Non è stato frutto della tua immaginazione». Continuarono a camminare, confortati dal reciproco silenzio. A un isolato dal suo hotel Gary si schiarì la gola. «Pensavo a quando hai detto che tornare nella mia stanza sarebbe potuto essere pericoloso». «La vita è pericolosa, Gary», disse Gregori in tono sommesso. «E tu sei Rambo, ricordi?». La risata di Savannah risuonò cristallina, facendo a gara con il quartetto jazz che suonava all’angolo della strada. La gente si girò a guardarla, poi rimase a fissarla, distogliendo la propria attenzione dal gruppetto che si era radunato a semicerchio attorno ai musicisti. Savannah era a proprio agio nel mondo degli umani, del tutto
integrata. Gregori preferiva camminare nell’ombra. Lei invece lo stava trascinando nel suo universo. Quasi non riusciva a crederci: stava percorrendo una strada affollata insieme a un mortale e metà dei passanti li stava osservando. «Non credevo che sapessi chi è Rambo», disse Savannah, sforzandosi di trattenere una risatina. Non riusciva proprio a immaginare Gregori seduto al cinema a guardare un film con Sylvester Stallone. «Hai visto qualche episodio di Rambo?». Gary era incredulo. Gregori sbottò in un’esclamazione a metà tra la soddisfazione e la derisione. «Ho letto nel pensiero di Gary qualcosa in merito. Interessante. Stupido, ma interessante». Lanciò un’occhiata al ragazzo. «È lui il tuo eroe?». Il sorriso di Gary era malizioso come quello di Savannah. «Finché non ho incontrato te, Gregori». Il carpaziano mugugnò, un ruggito minaccioso e gutturale. Quei due compagnoni continuavano a ridersela senza alcun rispetto, per nulla intimiditi. «Scommetto che Gregori in segreto è un fan di Rambo», bisbigliò Savannah, come se stesse facendo a Gary una confidenza. Il ragazzo annuì. «Probabilmente si intrufola di nascosto al cinema per guardare tutti i suoi vecchi film». Savannah a quel punto stava ridendo davvero di gusto e le dolci note della sua contagiosa risata saturavano l’aria, invitando tutti coloro che la sentivano a unirsi a lei. Gregori scosse la testa, facendo finta di ignorare sia quei due che le idiozie che dicevano. Ma non riusciva a trattenersi; si sentiva il cuore più leggero, persino mentre esaminava l’hotel e si rendeva conto che presto avrebbero dovuto confrontarsi di nuovo con i malvagi membri della setta, guidati solo dal bisogno di uccidere. Tutt’a un tratto li fece fermare e li costrinse a nascondersi dietro l’angolo dell’edificio. «C’è qualcuno nella tua stanza ad aspettarti, Gary». «Ma se non sai neanche qual è la mia stanza», protestò l’umano.
«Un sacco di gente alloggia in questo albergo. Cerchiamo di non sbagliare». «Io non sbaglio», replicò Gregori, sottolineando ogni parola con il suono vellutato della sua voce. «Vuoi forse salire da solo?».
Non è necessario, amore, lo rimproverò Savannah. E non è da te. Ti piace quest’uomo e ti dà fastidio il pensiero che possa correre qualche pericolo. Forse mi danno fastidio i modi che usi con lui, suggerì lui, mellifluo. La afferrò per la treccia e gliela tirò.
Vorresti farmelo credere, ma io ti leggo nel pensiero e so che provi sempre più affetto per questo ragazzo. Gregori non voleva ammettere che Savannah aveva ragione. Quella donna lo stava trascinando nel suo mondo e gli faceva provare sensazioni che lui non approvava. Mikhail era stato a lungo amico di un umano. Gregori era a conoscenza del grande affetto che il principe nutriva per lui, eppure non l’aveva mai capito. Lo aveva rispettato, forse, ma non compreso. Savannah provava una genuina amicizia per Peter. Gregori non si era soffermato a lungo a riflettere sulla natura di quel sentimento, e comunque avrebbe faticato a comprenderla. E invece nei confronti di Gary, a dispetto di se stesso, provava ammirazione e non voleva che a quel ragazzo capitasse nulla di brutto. «Dimmi cosa vuoi che faccia», fece Gary, quasi con impazienza. Era stufo di essere sballottato a destra e a manca dal bullo di turno. «Dovrai entrare da solo e cercare di procurarti il maggior numero possibile di informazioni prima che provino a farti fuori», rispose Gregori. «“Provino”. Spero che questa sia la parola giusta», ribatté Gary, nervoso. «“Provino” a farmi fuori». «Non aver paura, non ti accadrà nulla», lo informò Gregori, cercando di infondergli fiducia. «Ma è meglio che la polizia non venga a cercarti. Questo significa che non dovranno esserci cadaveri in camera tua». «Be’, chiaro. Se ci sono dei vampiri e dei pazzi assassini che mi
danno la caccia, non abbiamo bisogno che ci si metta anche la polizia», ammise Gary. Aveva cominciato a sudare e i palmi delle sue mani erano così umidi che dovette strofinarseli sui jeans. «Non preoccuparti». Gregori gli fece un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarlo, uno di quei sorrisi che facevano venire in mente una bara spalancata. «Io sarò sempre al tuo fianco. Potrai persino divertirti giocando a fare Rambo». «Quel tipo ha un’enorme pistola», puntualizzò Gary. «E io sto andando di sopra a mani nude. Credo sia il caso di dirvi che non ho mai avuto la meglio in una scazzottata. Sono stato infilato dentro i bidoni dell’immondizia e dentro i gabinetti e mi hanno imbrattato la faccia. Io non sono affatto bravo a fare a botte». «Io sì», ribatté Gregori, dando a Gary una pacca sulla spalla. Era la prima volta, a quanto ricordava il ragazzo, che il carpaziano lo toccava con fare cameratesco. «Gary sta mettendo le mani avanti, cara, eppure si è scagliato contro un uomo che brandiva un coltello protetto solo da un camice da laboratorio». Gary arrossì violentemente. «Sai bene perché mi trovavo in quel magazzino», ricordò a Gregori, imbarazzato. «Ho sviluppato un tranquillante che fa effetto su di voi e quella gente l’ha trasformato in una specie di veleno. Dobbiamo rimediare. Se stanotte qualcosa dovesse andare storto e riuscissero a prendermi, sappi che tutti i miei appunti sulla formula sono nel computer». «Questa storia assomiglia sempre di più a un filmetto di quart’ordine», sospirò Gregori. «Avanti, all’arrembaggio». All’apparenza il carpaziano rimase impassibile, tuttavia non riuscì a trattenersi dal ridacchiare fra sé e sé. «Non preoccuparti per la formula. Ho fatto in modo che uno dei membri della setta mi iniettasse una dose di veleno, in modo tale da riuscire a capire quali sono le sostanze chimiche che lo compongono e lavorare sull’antidoto». «Non ha funzionato?». Gary era perplesso. Aveva investito moltissimo tempo nell’elaborazione di quella formula. Sebbene Morrison e i suoi amichetti l’avessero modificata, il ragazzo rimase ugualmente deluso.
«Be’, Gary, d’altronde, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca». Esasperato, Gregori gli diede una spintarella verso l’ingresso dell’albergo. «Desideravi forse che quel dannato veleno fosse efficace?» «Ehi, è in gioco la mia reputazione». «E anche la mia. Sono stato io a neutralizzarne gli effetti». Gregori gli diede un’altra piccola spinta. «Avanti». Gary si concentrò un attimo per ricordarsi il codice della porta d’ingresso, che veniva chiusa quando non c’era un impiegato alla reception. La serratura scattò e lui si voltò, sorridendo trionfante, ma i due carpaziani erano spariti, si erano dissolti nell’aria. Rimase immobile per un momento, il cuore che gli martellava nel petto, fermo sulla soglia dell’albergo, sperando che non lo avessero abbandonato. Rambo. Quel nome gli riecheggiò in testa come un talismano. Deciso, attraversò la hall, arrivò davanti alla porta della sua stanza e inserì la chiave nella toppa. Appena aperto l’uscio, Gary sentì qualcosa di freddo strofinarglisi addosso. Doveva essere Gregori che gli si era messo davanti per fargli scudo… o almeno Gary sperava che fosse così. In ogni caso si sentì rincuorato. Due uomini si voltarono a guardarlo. La stanza era sottosopra. Cassetti rivoltati, vestiti sparsi ovunque, persino tutti i libri strappati. Gary si fermò sulla soglia. Uno dei due tirò fuori una pistola. «Avanti, chiudi la porta», gli ordinò laconico. Dopo aver affrontato Gregori, nessuno poteva sembrargli più minaccioso del carpaziano. Gary si accorse di non essere spaventato quanto lo sarebbe stato un tempo se si fosse trovato nella stessa situazione. Chiuse la porta con cautela e si voltò verso i due sconosciuti. Quelli si scambiarono una rapida occhiata, visibilmente a disagio per il fatto che il ragazzo non appariva sconvolto più di tanto. Credevano che sarebbe stato un lavoretto semplice. «Sei tu Gary Jansen?», chiese quello con la pistola. «Questa è la mia stanza. Forse dovreste essere voi a presentarvi». Gary diede un’occhiata a quel disastro. «Siete ladri qualsiasi o cercate qualcosa in particolare?»
«Siamo qui per farti alcune domande. Hai chiamato Morrison al suo numero privato, dicendogli che stava succedendo qualcosa al magazzino. Quando siamo arrivati lì, il laboratorio stava andando a fuoco e due dei nostri erano morti. E la vampira era stata portata all’ospedale». «Allora non avete ancora capito che non si trattava di una vampira. Era solo una povera ragazza che amava uscire di notte per giocare a fare la succhiasangue e a cui piaceva tutta quella roba gotica. Per i giovani è solo un passatempo. Un modo per richiamare l’attenzione. Non è una vera vampira. Dovreste conoscere la differenza tra un’adolescente che ha voglia di divertirsi e un nonmorto», li rimproverò Gary. «Tu sai qual è?», gli chiese quello con la pistola. Un’improvvisa intuizione lo aveva reso sospettoso. Gary si guardò intorno e abbassò la voce, con aria cospiratoria. «Prima ditemi chi siete». «Io sono Evans. Derek Evans. So che hai sentito parlare di me. Lavoro per Morrison. E lui è Dan Martin. Avete parlato al telefono qualche giorno fa». «Avresti dovuto darmi ascolto», Gary redarguì Martin. Quello si passò una mano fra i capelli e sprofondò in una poltrona. «La ragazza non era una vampira e quei due idioti erano completamente impazziti. Non intendevano sul serio scoprire la verità. Non avrebbero riconosciuto un vampiro neanche se li avesse morsi sul collo». «Ma tu sì, vero?», disse Martin. «Tu ne hai visto uno». Sebbene non volesse, dalla sua voce trapelò una specie di timore reverenziale. «Ho cercato di dirtelo, ma tu non hai voluto ascoltarmi», rispose Gary, scuotendo la testa. «Ti avevo detto di portare Morrison al magazzino. Adesso dov’è?» «Ci ha spedito a cercarti, Gary. Pensa che tu lo abbia tradito». Evans abbassò la pistola. «Che cosa è successo in quel magazzino?» «Prima di raccontartelo, devo sapere se Morrison e la sua setta avevano autorizzato l’uccisione di quella povera ragazza», disse Gregori, mantenendo il tono della voce molto basso.
Martin rivolse una breve occhiata a Evans. «Naturalmente no, Gary. Morrison non vorrebbe mai che venisse fatto del male a un’innocente». «E per quanto riguarda la mia formula? Ho sviluppato un tranquillante per aiutare i membri della società segreta a domare un vampiro, a catturarlo, a studiarlo, non a farlo a pezzi. Quando ho cominciato ad avere a che fare con la setta, mi era stato detto che era questo il suo obiettivo. E invece la mia formula è stata corretta con il veleno. Dev’essere stato Morrison a ordinarlo». «Morrison è esperto di vampiri. Ha pensato che il tranquillante non avrebbe funzionato a dovere», suggerì Martin. «Non si trattava nemmeno di un semplice veleno», sbottò Gary. «Era progettato per essere doloroso. Morrison vuole uccidere i nonmorti, non studiarli. Il veleno era ad azione rapida, estremamente potente e letale». «Il capo vuole parlare con te. Vieni con noi, Gary. Lascia che sia lui a spiegarti tutto». Martin proseguì: «Ci ha mandato qui per proteggerti. Era molto preoccupato dopo ciò che è accaduto al magazzino». «È per questo che avete messo sottosopra la mia stanza?», chiese Gary. «La scorsa notte non sei tornato a dormire. Ti abbiamo aspettato tutto il giorno e poi abbiamo deciso di rovistare in cerca di indizi sulla tua sparizione», gli spiegò Evans, ragionevole. «E la pistola?», sbottò Gary. «Eravamo preoccupati per la nostra stessa incolumità. Morrison pensa che forse la colpa di quanto è accaduto al magazzino è di un vero vampiro. Temeva che ti avesse trasformato, e il fatto che tu non ti sia fatto vedere per tutto il giorno non faceva che rafforzare la sua ipotesi. Non potevamo correre alcun rischio». «Avete mai visto Morrison durante il giorno?», chiese Gary all’improvviso. Calò uno sconvolgente silenzio. «Be’, sì, certo», balbettò Evans, accigliato, facendo uno sforzo di memoria. Sembrava che tante
schegge di vetro gli stessero penetrando nel cervello. Si strofinò le tempie, che avevano cominciato a pulsargli. «Tu l’hai visto, vero, Martin?». Martin sghignazzò, il volto deformato dal male. «Certo. Un sacco di volte. Anche tu, Evans. Pensaci bene».
Sta mentendo, sussurrò Gregori a Savannah telepaticamente. È un servo del vampiro. Vuole portare Gary fuori di qui, da qualche parte nel bayou. Sei in grado di fermarlo senza attirare le attenzioni della polizia su Gary?
Dobbiamo trovare Morrison. C’è lui dietro tutto questo. Si sta servendo della società segreta per cercare di distruggere la nostra razza. Non possiamo fare altro che fermarlo. Gregori poggiò
delicatamente una mano sulla spalla di Gary e gli fu grato quando lui non sussultò. Vai con loro. Fa’ in modo che ci conducano dal loro
capo.
Sentire la voce di Gregori riecheggiargli autoritaria in testa era un po’ sconcertante, ma Gary annuì. «Non ho mai pensato che Morrison avesse qualcosa a che fare con quegli idioti del magazzino. Ecco perché l’ho chiamato. Pensavo che forse avrebbe potuto prendere in mano la situazione. Bene, andiamo da lui. Ho una bella storia da raccontargli. Dannazione, nessuno crederà a quello che ho visto». Con studiata ma disinvolta eleganza, Gary si chinò a rovistare fra i mucchi di carta in disordine sul pavimento e agguantò il computer. Spalleggiato dai due uomini uscì sicuro di sé dalla stanza, attraversò la hall e si immerse nel buio della notte.
Che facciamo? Savannah era preoccupata per Gary. Quel ragazzo
avrebbe dovuto vivere nel mondo degli umani e questo significava che, qualora quei due individui fossero stati ritrovati morti, su di lui non doveva ricadere alcun sospetto.
Nessuno lo vedrà insieme a quei fantocci, mormorò Gregori. Mi occupo di queste cose da migliaia di anni, cara. Questo è il mio universo. Lo conosco bene. Forse stasera non saremo fortunati e non riusciremo a catturare la nostra preda, tuttavia vale la pena di provare.
Hanno intenzione di uccidere Gary. Savannah era in grado tanto
quanto Gregori di leggere nel pensiero di coloro che la circondavano e riusciva a percepire che, al di là delle apparenze, quei due erano malvagi, soprattutto il tipo di nome Martin. Era stato a lungo vicino al vampiro e aveva appiccicato addosso il tanfo del male.
Sperano di ricavare maggiori informazioni. Morrison vuole provare a estrapolarle lui stesso da Gary, probabilmente perché non si fida di nessuno. E gode nel procurare dolore e paura. Quel pensiero gli sfuggì prima che potesse censurarlo. Adesso vai a casa, Savannah. Non mandarmi via subito. Puoi avere bisogno del mio aiuto per trarre d’impaccio Gary. Mi dileguerò al primo segnale di pericolo, te lo prometto. I due uomini condussero Gary verso il fiume. Una barca li stava aspettando e Gary vi montò senza alcuna esitazione. L’acqua era increspata, il vento soffiava forte. Gregori si posizionò proprio accanto a Gary per assicurarsi che l’impulso di uccidere non sopraffacesse nessuno dei due scagnozzi prima che fossero arrivati a destinazione. Il viaggio sembrò durare per sempre e Gary era così pallido da sembrare verdognolo. Soffriva il mal di mare. Non appena giunsero a un piccolo emissario del canale e scese dall’imbarcazione, prese a barcollare. Gregori lo sostenne, facendogli scivolare un braccio intorno alle spalle per rassicurarlo. Era evidente che il ragazzo aveva percepito che qualcosa non andava nei suoi accompagnatori. Il carpaziano lo sentì trarre un respiro profondo e buttare fuori l’aria molto lentamente. Gary si stava riprendendo. Aveva fiducia in Gregori. Passeggiando lungo l’argine paludoso, Gary notò subito che Evans e Martin l’avevano praticamente fatto prigioniero. I cipressi venivano fuori dall’acqua e le loro radici formavano una specie di macabra gabbia di rami frondosi. Al buio avevano proprio un aspetto sinistro. Dei ciuffi di nebbia cominciarono a fluttuare verso di loro dalla superficie dell’acqua, volute bianche che velarono il canale di un’inquietante iridescenza. Dalla riva arrivava uno strano odore, un terribile tanfo che permeava l’aria. Gli insetti abbondavano, fastidiose bestioline con
tanto di pungiglione che svolazzavano e saettavano nella notte. Gary si ritrovò a cercare di schiacciarle, senza fare troppo lo schizzinoso. La puzza di putrefazione era disgustosa, come quella emanata dalla carne avariata esposta al sole. Le sue scarpe si impantanavano nel fango e lui ebbe un attimo di esitazione. Da qualche parte aveva sentito di un uomo che si era perso nel canneto ed era affondato nella palude, sprofondando nella dolina. Gary tossì e gli venne un conato di vomito: il suo corpo gli si stava ribellando. Poi all’improvviso gli arrivò alle narici una zaffata di profumo, un po’ di aria fresca, che sapeva di fiori selvatici e sottobosco. Quasi gli sembrò di riuscire a sentire lo sciabordio dell’acqua che scorreva tra le rocce. “Savannah”. Capì che la sua amica stava provando ad aiutarlo a resistere a quel tanfo. L’aria divenne d’un tratto più densa e gli risultò difficile continuare a respirare normalmente. Il vento smise di soffiare e per un attimo regnò il più totale silenzio. I due uomini che stavano scortando Gary si fermarono, si girarono verso la palude e restarono ad aspettare. Qualcosa si mosse nell’oscurità. Qualcosa di malvagio e astuto. Un’ombra calò sopra di loro e li avvolse. Di nuovo una frazione di secondo di calma apparente, come se quell’ombra esitasse a palesarsi. Poi un ruggito di rabbia e disprezzo infranse il silenzio, come l’assordante rumore di un treno merci. Da qualche parte, a una certa distanza da loro, i serpenti si tuffarono con un tonfo nell’acqua. Gli alligatori strisciarono nel fango, producendo un suono sgradevole, prima di scivolare nel canale e svanire nei suoi abissi. Martin, senza alcun preavviso, diede uno spintone a Gary e lo fece cadere nel fango. Le gambe gli sprofondarono nella melma fino alla coscia. Gary cercò di scacciare la paura e si rialzò lentamente in piedi, per affrontare i due assassini. «Che succede? Pensavo che dovessimo incontrare Morrison», fece con calma. «Morrison ha deciso che non ha bisogno di parlare con te», rispose Martin.
Morrison avverte la tua presenza, disse Gregori a Savannah. È qui vicino. Riesco a sentirlo ma non potrei stabilire l’esatto punto in cui si trova. È davvero potente; ha imparato molto nel corso della sua
lunga esistenza. Ha messo in guardia i suoi fantocci, replicò Savannah, spaventata per il suo amico. Già si era posizionata davanti al ragazzo. Ha ordinato loro di uccidere Gary. Tu insegui il vampiro. Io mi occuperò dell’umano. Gregori la spinse di lato con uno strattone, rinforzando l’ordine che le aveva impartito telepaticamente. Non poteva assolutamente mettere a rischio la sua incolumità. Scordatelo, Savannah, ringhiò, mentre le zanne gli esplodevano in bocca. La furia omicida si era impossessata di Martin, la tenebra si stava diffondendo come un alone nella notte. Lo scagnozzo puntò il piccolo revolver contro Gary, all’altezza del cuore. «Buttati nel canale. Sono sicuro che gli alligatori hanno appetito stasera». Gary scosse la testa, triste. «Mi dispiace per te, Martin. Sei la pedina che il re ha sacrificato, mentre lui si dà alla fuga. Non ti sei mai nemmeno reso conto che per tutto il tempo in cui sei andato a caccia di vampiri è stato lui a pilotare ogni tuo movimento». «Credo che ti ucciderò facendoti soffrire, Jansen. Non mi piaci affatto», ribatté Martin. «Non vedi come ti ha raggirato? Tu stesso sei diventato la creatura che tanto disprezzi. Sei mesi fa avresti mai contemplato l’ipotesi di uccidere qualcuno? Morrison ti ha reso così». Gary insisteva, nel disperato tentativo di salvare la vita a quell’uomo. Martin tese il braccio e fissò la pistola. Improvvisamente gli si dipinse sul viso un’espressione scioccata. La maschera maligna che indossava cadde e lui si guardò la mano colmo d’orrore. La pistola stava girando su se stessa e puntava contro di lui. L’uomo si ribellò, cercò di lasciarla cadere, ma quella gli rimase incollata al palmo della mano. «Evans! Aiutami!», gridò e le sue urla si riverberarono sull’acqua. Gary fece un passo indietro, sforzandosi di distogliere lo sguardo da quell’uomo, che fino a qualche istante prima aveva cercato di sparargli. Il braccio di Martin si stava lentamente alzando, in modo tale che la pistola puntasse alla sua tempia. «Evans!», gridò lo scagnozzo.
Evans si fiondò su Gary, lo placcò e lo fece cadere nel fango e nella lurida melma. Gli schiacciò la faccia nel pantano, cercando di soffocarlo e di riempirgli la bocca di quella sporcizia. Lo sparo risuonò forte nella notte, il rumore si diffuse per tutto il bayou e spaventò per chilometri e chilometri gli animali selvatici. Evans non si girò per vedere che cosa era accaduto, determinato com’era a uccidere Gary Jansen e a lasciare che il suo corpo venisse sbranato dagli alligatori. Gary si dimenò violentemente, ed era quasi riuscito a divincolarsi quando Evans gli si scagliò addosso, mettendogli le mani intorno alla gola e tentando di strozzarlo. Si sentì un sommesso ringhiò di avvertimento. L’assassino girò la testa e vide due occhi di un rosso acceso che lo fissavano senza battere ciglio a pochi centimetri dalla sua faccia. Terrorizzato, Evans lasciò andare Gary e cadde all’indietro. All’improvviso riuscì a distinguere la testa di un lupo enorme. Il pelo nero e lucente, il corpo muscoloso. Il muso. Le zanne bianche. Urlò e si mise a correre verso il fiume, nel tentativo di allontanarsi il più possibile da quella bestia. Gary tossì cercando di riprendere fiato, con gli occhi e la bocca sporchi di fango e incapace di vedere cosa stava accadendo intorno a lui. Riuscì a sentire disgustose e monotone urla, grida che provenivano da un altro mondo e che gli fecero venire la pelle d’oca, ma era cieco, per via di quella melma che gli imbrattava gli occhi e gli impediva di tenerli aperti. Qualcosa di enorme gli passò accanto, una creatura pelosa e tutta muscoli. Odorava di selvaggio e di pericoloso. Ci fu un tremendo tonfo nell’acqua. Le grida aumentarono di volume, poi tutt’a un tratto si interruppero. Savannah gli mise un braccio sulle spalle e cominciò a ripulirlo dal fango con un fazzoletto morbido, tentando di restituirgli la vista, mentre lui si toglieva quella robaccia dalla bocca. «Quel tale ti ha quasi ammazzato», bisbigliò. «Mi dispiace, ma Gregori non mi ha permesso di aiutarti». Gary sputò fango. «Non ne sono sorpreso». Le parole vennero fuori un po’ smozzicate, ma lei riuscì a decifrarle lo stesso. Savannah avrebbe potuto girarsi da qualsiasi parte e l’unica cosa che avrebbe visto sarebbe stata la morte. Il mondo di Gregori era
squallido e brutto, fatto di violenza e distruzione. Le dispiacque per lui e per il fatto che quel vuoto terribile sarebbe stato per sempre parte della sua esistenza. Si rese conto che la sua insistenza nel tenerla lontano da tutto ciò andava oltre il bisogno di assicurarsi che lei fosse al sicuro. Gregori avrebbe dovuto dirglielo, avrebbe dovuto ammetterlo anche a se stesso, ma nel profondo del cuore e dell’anima, e questo era l’importante, non voleva che lei avesse a che fare con tutta quella violenza, che il suo stile di vita in qualche modo potesse cambiarla. Quello che gli premeva davvero era proteggerla da un simile destino. Era deciso a evitare che Savannah si macchiasse le mani del sangue di qualcun altro. Gary si sforzò di tenere gli occhi aperti. Savannah lo stava ispezionando preoccupata, togliendogli il fango dal viso. Il ragazzo lanciò un’occhiata in direzione del punto in cui si trovava prima Martin e vide il suo corpo per terra, zuppo d’acqua della palude. Teneva ancora la pistola stretta in pugno e sotto la sua testa il sangue formava una pozza che stava iniziando a impregnare il suolo. Gli insetti avevano già cominciato a banchettare con il suo cadavere. Gary distolse rapidamente lo sguardo, con lo stomaco già sottosopra. Non era tagliato per fare Rambo. «Dov’è Gregori?», chiese, sputando le parole tra i denti. Savannah gli tolse un po’ di fango dalla bocca. «Lascialo stare per un po’», gli consigliò a voce bassa. «E dov’è Evans?». Gary all’improvviso spinse Savannah da parte per guardarsi ansioso intorno, preoccupato di non riuscire a difenderla. «È morto», replicò Savannah, schietta. «Gregori lo ha ucciso per salvarti la vita». Se ne stette lì in piedi, cercando senza successo di pulirsi i jeans insudiciati. «Odio questo posto, vorrei che non fossimo mai venuti qui». «Savannah». Gary fece un passo avanti e le si avvicinò. C’era una punta di esitazione nella voce di lei che lui non aveva mai notato prima. Savannah, sempre allegra e piena di vita, sembrava tutt’a un tratto triste, smarrita. «Va tutto bene? Gregori sta bene. E tu non dovresti essere qui».
Lei scosse la testa, cercando di reprimere uno sfogo di rabbia. «Sembra che nessuno di voi due riesca a capire che invece è proprio qui che devo stare. Che io sia qui fisicamente o meno, comunque sono sempre al fianco del mio compagno per la vita. Provo quello che prova lui, le sue stesse identiche sensazioni. Avvolgermi in una coperta di lana e chiudermi in uno stanzino non vuol dire proteggermi». Si allontanò di scatto da Gary e si diresse verso il canale. Gregori si materializzò dietro di lei, la sua massiccia e corpulenta sagoma faceva sembrare Savannah ancor più minuscola. Si chinò su di lei, protettivo, e le mise una mano sulla spalla. Gary continuò a osservarli e vide che lei gliela scostava, per nulla intimidita dal suo potere e dalla sua stazza. «Non ti arrabbiare, amore mio, avevo solo intenzione di proteggerti. Se Martin avesse esploso il colpo, il proiettile ti avrebbe colpito. Non potevo permettere che accadesse», disse Gregori, gentile. Il carpaziano riusciva a sentire la rabbia che animava la sua compagna. Non era mai stata tanto vicina alla morte e alla violenza finché lui non l’aveva reclamata. Dal primo giorno che avevano trascorso insieme, come compagni per la vita, Savannah non aveva visto nient’altro che quello. «Non c’era la benché minima possibilità che tu gli permettessi di spararmi. Invece, dal momento che, grazie a qualcuno dei tuoi antichi comandi, mi hai impedito di agire, Gary stava per essere ucciso proprio davanti ai miei occhi». Savannah strinse i pugni. Voleva colpire qualcosa e Gregori sembrava un obiettivo abbastanza solido. «Non metterò mai a rischio la tua vita, piccola mia», ripeté lui, circondandole da dietro la vita con un braccio. Quando lei cercò di scostarsi, Gregori strinse la presa. «No, Savannah. Tu non dovresti essere qui». «Hai sprecato un’occasione di acciuffare quel vampiro per colpa mia, vero?», gli domandò, la voce rotta dal pianto e gli occhi pieni di lacrime. «Non riusciva ad avvertire la tua presenza – sei in grado di fare in modo che non la percepisca – ma aveva capito che c’ero io, sebbene fossi invisibile».
Era la verità. Gregori non avrebbe voluto che lo fosse, visto e considerato che Savannah era così triste e confusa. Il fatto che lei fosse infelice gli risultava insopportabile. Ma non c’era modo di mentirle: se anche avesse potuto, non voleva farlo. Rimase quindi in silenzio, permettendole di leggergli nel pensiero la risposta alla sua domanda. Savannah scosse il capo e poggiò la testa contro il suo petto. «Detesto questa situazione, Gregori. Mi sento talmente inutile. Mi sembra quasi di mettere la tua vita in pericolo. Noi siamo compagni per la vita. Ti avevo chiesto di venirmi incontro e tu l’hai fatto. Hai fatto tutto quello che ti ho domandato. Che cosa devo fare io per entrare a far parte del tuo mondo?». Gregori chinò la testa scura, sull’esile collo bianco di lei. «Tu sei il mio mondo, piccola, sei la mia vita. Sei tu che rendi sopportabile la mia esistenza. Sei la mia luce, sei l’aria che respiro». Le sfiorò con le labbra la vena, il lobo dell’orecchio. «Tu non sei fatta per camminare nell’oscurità. E non dovrai mai farlo». Savannah si girò, i suoi profondi occhi blu tendevano al violetto. «Se tu cammini nell’oscurità, Gregori, allora è lì che mi troverai. Proprio accanto a te. Io appartengo a te. Sono la tua compagna per la vita. Nient’altro. Sono la tua compagna per la vita». Mise le mani avanti, furiosa per la situazione in cui si trovavano. «Non ci sono discussioni in proposito. Non puoi fare altro che provvedere alla mia felicità e l’unico modo che hai per farmi contenta è insegnarmi a occultare la mia presenza ai vampiri, agli umani e anche ai carpaziani». Savannah si allontanò da Gregori, lasciandolo in piedi lungo la riva del fiume, e tornò indietro verso Gary. «Avanti, andiamocene via di qui». «Che cosa accadrà, quando troveranno i corpi? I poliziotti si metteranno in cerca dell’ultima persona che ha visto vivi quei due», osservò Gary, dirigendosi riluttante verso l’imbarcazione che li aveva portati lì. Si stava ancora ripulendo il naso e la bocca dal fango. «Nessuno ti ha visto insieme a loro», rispose Gregori tranquillo. «La gente ha notato solo due uomini che lasciavano l’hotel, che attraversavano il Quartiere Francese e che salivano su una barca.
Ecco perché non possiamo riprenderla». Gary sbatté le palpebre. «E come proponi di tornare indietro? Volando?», gli chiese, sarcastico. «Esatto», ribatté Gregori, compiaciuto. Gary fece di no con la testa. «Questo è davvero troppo per me». «Vuoi che cancelli dai tuoi ricordi quest’esperienza?», gli chiese il carpaziano, continuando chiaramente a pensare a Savannah. «No», rispose Gregori, deciso. Afferrò il computer dal sedile dell’imbarcazione. «Ma perché non mi portate in un altro albergo? Tu e Savannah ve ne potreste stare un po’ da soli. E, a essere sinceri, io ho bisogno di rilassarmi un po’ senza pensare a tutta questa faccenda. Devo metabolizzare ancora un sacco di novità». Gregori si accorse che quel mortale cominciava a piacergli sempre di più. Non credeva che un umano potesse essere tanto sensibile ai sentimenti altrui. Raven, la madre di Savannah, lo era, ma si trattava pur sempre di un caso unico, di una donna dotata di poteri psichici. Le esperienze che Gregori aveva avuto con i mortali erano sempre state con gente che gli dava la caccia, che voleva uccidere lui e tutti gli altri carpaziani. Preferiva stare a una certa distanza da quel tipo di persone. Non era preparato a Gary Jansen. Savannah si stava già dissolvendo, trasformandosi in una specie di foschia che si mescolava alla nebbia dirigendosi verso il fiume. Gregori afferrò Gary e spiccò il volo, inseguendola. Il ragazzo emise uno strillo stranamente simile a quello di un maialino. Non riuscì a trattenersi dallo stringersi forte alle larghe spalle di Gregori, aggrappandosi alla sua camicia. Il vento gli scorreva addosso così velocemente che dovette strizzare gli occhi e tenerli chiusi, senza mai guardare di sotto.
Aspettami, Savannah, le ordinò Gregori. La sua voce era come
una spranga di ferro foderata di velluto nero.
Lei non esitò un istante e continuò a risalire il fiume, diretta verso il Quartiere Francese.
Savannah! Adesso era diventato autoritario, le aveva impartito un chiaro comando, con il suo tono ipnotico. Farai come ti ho detto.
No, non lo farò. Lo stava sfidando, le sue parole contenevano un
misto di aggressività e dolore. Gregori riusciva a distinguere le lacrime che le bruciavano in gola, nel petto. Stava scappando da se stessa, prima ancora che da lui. Il carpaziano imprecò in diverse lingue. Non costringermi a
ottenere la tua obbedienza con la forza, cara. Ne va della tua incolumità. Forse non mi importa nulla della mia incolumità, sibilò lei, avanzando decisa nel buio della notte. Magari voglio provare a fare una pazzia. Detesto questa situazione, Gregori. La odio.
Amore mio, non scappare da quello che abbiamo costruito insieme. Mi rendo conto che la nostra relazione non è iniziata nel migliore dei modi. Che il mondo in cui siamo costretti ad abitare è brutto e pericoloso, ma dobbiamo affrontarlo insieme.
Tu sei un cacciatore. Savannah stava piangendo, Gregori se ne accorse. La mia presenza costituisce un pericolo per te. Gregori cercò di confortarla, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito. Il mortale lo tirò per la camicia. «Mmh, Gregori?». Il vento gli strappava le parole di bocca e ne disperdeva il suono. La replica del carpaziano fu un ruggito. Il suo corpo a quel punto aveva raggiunto la foschia in cui si era dissolta Savannah e le stava sopra per proteggerla, come una coperta. «Dimmi». «Credo che Savannah sia triste». Non ci fu alcuna risposta. Gregori continuò a seguire Savannah. «Se posso permettermi di dirtelo, qualche volta le donne hanno solo bisogno di piangere», azzardò Gary. Savannah si stava dirigendo dritto a casa. Una volta che fu al sicuro fra le mura domestiche, Gregori decise di portare Gary in un altro hotel. «Che sia chiaro: non potrai uscire finché non ti verremo a prendere domani», lo avvisò. Era un’ombra nella mente di Savannah. Riusciva a vederla correre dall’ingresso alla scala a chiocciola, verso il prezioso tesoro che Julian aveva donato loro. Savannah spalancò la porta del seminterrato, poi fece un cenno con la mano per aprire l’uscio nascosto che conduceva alla stanza da
letto. Sprofondò nel suolo guaritore, poi si raggomitolò su se stessa e iniziò a piangere come se le si fosse spezzato il cuore. Tutti quei morti. Peter. E cosa sarebbe accaduto se quella notte fosse stato ucciso anche Gary? Lo avrebbero perso e lei non sarebbe stata in grado di aiutarlo in nessun modo, perché Gregori non gliel’avrebbe permesso. Dopo aver lasciato Gary in hotel, Gregori tornò a casa e le si avvicinò, tenero e gentile. La accarezzò e nel frattempo la spogliò, denudando quel corpo al quale non era in grado di resistere. Non fece alcun tentativo di eccitarla, di persuaderla a fare l’amore con lui. Si mise invece a pestare erbe e prodotti curativi e lenitivi, che riempirono la stanza dell’odore della loro terra d’origine. Poi si distese accanto a lei, sprofondando anche lui nel fertile suolo, abbracciandola e stringendola forte. Savannah appoggiò la testa sulle sue larghe spalle e tenne gli occhi chiusi. Serrò il pugno e se lo portò alla bocca; Gregori sentì i singhiozzi scuoterla. Allora il carpaziano cominciò a parlarle a bassa voce in francese e ad accarezzarle i capelli, tenendola stretta e aspettando che sfogasse tutto il suo dolore. Gregori sapeva cacciare e uccidere le più spaventose e furbe delle creature, i vampiri. Era in grado di suscitare una tempesta e di scatenare i lampi nel cielo. Poteva far tremare la terra. Ma non aveva la benché minima idea di come fermare quella valanga di lacrime. Tenne Savannah fra le braccia e, quando non riuscì più a resistere, ordinò a entrambi di cedere al sonno.
Capitolo 15 La tempesta arrivò dal mare e soffiò, impetuosa e furiosa, sul bayou e sulla città. Era una bufera selvaggia e violenta e riversò sulle strade una tale quantità di pioggia che si formarono subito pozzanghere profonde diversi centimetri: l’impianto fognario di New Orleans, per quanto efficiente, non riuscì infatti a incanalare tutta quell’acqua. Lampi di luce squarciarono il cielo e sfrigolarono nella notte, dando mostra della magnificenza della natura. I tuoni rimbombarono per le vie, forti come il rullo di mille tamburi, scuotendo gli edifici fin dalle fondamenta. Gregori si aggirava a piedi nudi per casa, a passi felpati, all’improvviso molto preoccupato per Savannah. La sua compagna era fuori in giardino, da sola, tranquilla, ma non stava condividendo con lui i propri pensieri. Da quando si erano svegliati aveva provato a fondere le loro menti per due volte e in entrambi i casi si era accorto che lei era confusa, triste, nel caos più totale. Si era tirato indietro per farle spazio. Savannah voleva l’unica cosa che lui non era in grado di concederle: la libertà di unirsi a lui durante uno scontro. Il pensiero di lei in pericolo, di qualsiasi natura questo fosse, gli faceva mancare l’aria. Gregori era perplesso. Nonostante tutta la sua sapienza e il suo potere, non riusciva a trovare la cosa giusta da dirle per farla stare meglio. Savannah era uscita in silenzio in giardino proprio mentre il vento aveva cominciato a levarsi, ed era rimasta lì a osservare le nuvole scure rincorrersi e addensarsi, annunciando l’imminente burrasca. Il cielo si era squarciato e aveva cominciato a piovere a dirotto. Lei si era limitata a rannicchiarsi su una sedia e a guardare, con gli occhi velati dal pianto. Gregori si fermò sulla soglia della porta: i suoi occhi erano languidi, era attento e ansioso. Savannah contemplava i fulmini, senza preoccuparsi minimamente del fatto che per terra erano già cadute tre dita d’acqua, che i suoi lunghi capelli erano del tutto fradici e che la sottile camicetta che indossava le si era appiccicata addosso come una seconda pelle. Era così bella che a Gregori mancò
il fiato. Intorno a lei la natura si stava ribellando, selvaggia e indomabile. Savannah stava seduta in mezzo alla tempesta come se ne facesse parte. La sua camicia bianca di seta, inzuppata di pioggia, era diventata trasparente e le avvolgeva i seni sodi e pieni: aveva quasi l’aspetto di una divinità pagana. Era assorta nei suoi pensieri, lontana centinaia di chilometri da quello che le stava intorno. Gregori le sfiorò la mente: aveva assoluto bisogno di quel contatto. Savannah sembrava troppo distante, e il carpaziano non riusciva a sopportarlo. Nonostante all’apparenza sembrasse serena, la tempesta stava infuriando anche dentro di lei. Si era levata in volo, non era più fatta di carne e ossa. La forza del vento, tumultuosa e violenta, la scuoteva. Gregori non trovò traccia di condanna per i suoi fallimenti, nessun rancore per il dolore che le aveva causato. Savannah sentiva solo l’inestinguibile bisogno di trovare un modo per capire e accettare quello che non era in grado di cambiare. Era cosciente di essere troppo giovane e inesperta. Era inoltre molto angosciata per il fatto di aver inavvertitamente messo a repentaglio la vita di Gregori a causa della sua incapacità di nascondere al nemico la propria presenza. Gregori fu sul punto di lasciarsi sfuggire un gemito. Non meritava quella donna; non l’avrebbe mai meritata. Savannah girò lentamente il capo verso di lui: nei suoi intensi occhi blu si rifletteva la furia della tempesta. Il carpaziano si sentì all’improvviso affamato ed eccitato. La violenta bufera aveva cominciato a scorrergli nelle vene con la stessa irruenza con la quale sconquassava il cielo. Qualcosa di primitivo e selvaggio si era risvegliato dentro di lui. La bestia ruggì e un’ondata di desiderio lo invase. I suoi occhi argentei si illuminarono di un bagliore rosso, feroce, ferino, più animalesco che umano. Gregori non avrebbe mai dimenticato quel momento. Se lo sarebbe ricordato per tutti i secoli a venire, per l’eternità. La notte era loro. Nonostante tutto, non c’era nulla che riuscisse a tenerli distanti. Appartenevano l’uno all’altra. Avevano bisogno l’uno dell’altra. Con il cuore e con la mente, con l’anima e il corpo. Le cime degli alberi ondeggiarono al vento; le piante vennero quasi sradicate dalla violenza della tempesta. C’era molta umidità e l’aria,
carica di elettricità, sfrigolava. Lampi di luce bianca si abbattevano al suolo, scuotendo la terra. Uno di essi colpì un edificio a qualche isolato da loro, bruciandone le mura e facendo cadere pezzi di mattoni sul marciapiede. Un palo del telefono lì vicino esplose in un putiferio di scintille. Mentre i lampi squarciavano il cielo sopra di lei, il vento le ingarbugliava i capelli e la pioggia la inzuppava, Savannah rimase in piedi in giardino e allargò le braccia per accogliere il potere della natura. La sua pelle era morbida, liscia, bagnata. La camicia di seta le stava appiccicata al busto e lasciava intravedere in trasparenza i capezzoli inturgiditi e sexy. Le sue gambe slanciate erano nude e il triangolo di peluria scura lo attirava, lo eccitava, come un misterioso e primitivo richiamo. La lunga chioma sciolta al vento era fradicia e selvaggia, proprio come la notte. Gregori le si avvicinò: doveva farlo, non aveva altra scelta. Niente, nessun ostacolo avrebbe potuto impedirgli di raggiungerla. Tese le braccia, la afferrò e la attirò a sé, baciandola con la ferocia con cui imperversava la bufera. Non riuscì a trovare le parole, non avrebbe saputo cosa dirle, aveva solo un’estrema necessità di mostrarle che cosa lei rappresentava per lui. Di mostrarle ciò che gli dava. La vita. Tutto. Gregori la voleva proprio così. Bagnata e selvaggia, con i lampi che illuminavano il cielo e surriscaldavano il sangue che scorreva nelle loro vene. Le baciò il collo, glielo lambì con la lingua e vi affondò i denti, e a Savannah sembrò di prendere fuoco. Il piacere e il dolore la scossero profondamente, facendole sperimentare un’estasi selvaggia e spingendola a desiderarlo di più, sempre di più. Gregori bevve il suo sangue e si saziò di quel liquido caldo e dolce, assaporò la vera essenza di lei. Mentre si nutriva e gustava quel sapore speziato e mieloso, le aprì la camicia sul petto: cominciò a toccarla, prese fra le mani i seni sodi, godette del suo corpo, delle sue curve. Così perfette. Gregori riusciva a leggere dentro di lei il desiderio: la fame violenta, il bisogno di replicare la furia della tempesta, la necessità di sentirsi viva in mezzo a quella terribile bufera.
Le sue necessità corrispondevano a quelle di Gregori. Le leccò la piccola ferita per chiuderla, poi le tempestò il collo di baci, lasciando una scia di fuoco al passaggio della sua lingua. Trovò i seni sotto la maglietta leggera, trasparente e zuppa, e prese a succhiarli selvaggiamente, in preda a una frenesia mista di amore e libido. Le mise le mani sui glutei nudi e la attirò a sé. La passione ebbe la meglio su tutto il resto. Perforò con i canini le morbide curve del suo seno e il nettare di Savannah cominciò a scorrergli nelle vene. Lei con una mano gli teneva la testa e con l’altra esplorava il suo corpo, cercando di condurlo al culmine del piacere. La tempesta infuriava intorno a loro, attraverso di loro, si insinuava dentro di loro, li pregava di darle sollievo. Gregori si nutrì come era suo diritto fare, mentre le sue mani si impossessavano del corpo di lei, scivolando giù fino al tempio umido e caldo della sua femminilità. La sfiorò, la accarezzò con le dita, la stuzzicò e la eccitò. La sensazione della bocca di lui che beveva il suo sangue e delle sue dita che la toccavano mandò Savannah in estasi: cominciò a muoversi, ad agitarsi, alla ricerca disperata dell’orgasmo. Le sue grida roche furono coperte dal rombo del tuono: iniziò a fremere e a chiedergli di più. Gregori sollevò il capo e osservò con sguardo famelico la sottile striscia rossa che le scorreva sul ventre, mescolandosi alla pioggia. Le richiuse la ferita sul seno e cominciò a seguire la traccia di quelle gocce del colore dei rubini, sulla pancia e poi ancora più in basso: Savannah, eccitata e pronta, gridò come se stesse per esplodere in mille pezzi. I fulmini illuminarono e squarciarono il cielo, lampi di luce che sembravano sferzarli con la loro furia, danzare attraverso i loro corpi, alimentare la tempesta che infuriava dentro e intorno a loro. Gregori la spinse indietro, fino a che Savannah non finì contro il sostegno in ferro battuto che circondava il tronco di un albero. La fece girare, in modo tale da schiacciarle i seni contro le doghe, e lei vi si aggrappò, stringendo i pugni mentre lui le afferrava i fianchi. La toccò e la accarezzò: la sua pelle era così liscia da farlo impazzire di desiderio. Il carpaziano era al culmine dell’eccitazione: i loro corpi erano ormai uno solo. Non aveva mai desiderato qualcosa con una simile intensità.
Savannah emise un lamento, un piccolo gemito gutturale. Quel gridolino non fece altro che far definitivamente perdere a Gregori il controllo: la penetrò e si fece strada dentro di lei, che lo accolse calda e morbida come un guanto di velluto. Si mise a gridare di piacere e il vento portò con sé quelle urla che provenivano dal profondo del suo essere, disperdendole nel buio della notte. Gregori la tenne per i fianchi e continuò a spingere, a sprofondare dentro di lei, a un ritmo sempre più frenetico, selvaggio come la furia della bufera. La schiena dritta e perfetta di Savannah si inarcò: lui piegò la testa e leccò le gocce d’acqua che le imperlavano le spalle. Quella ragazza era minuscola, delicata, eppure più forte e selvatica di qualsiasi fenomeno naturale. Caddero in preda all’insaziabile eccitazione del rituale carpaziano; Gregori era talmente preso che fu allo stesso tempo violento e tenero. A un certo punto si accorse che lei si sentiva debole, che aveva iniziato a girarle la testa. Si rese conto subito di cosa c’era di sbagliato, sebbene lei avesse fatto di tutto per tenerglielo nascosto. Aveva bevuto troppo sangue. Senza interpellarla, senza alcun commento, la prese fra le braccia. Attraversarono il patio, dirigendosi verso una chaise longue: il breve gridolino di delusione emesso da Savannah per l’interruzione soddisfece il suo ego maschile. Gregori si accomodò sul cuscino zuppo di pioggia e fece mettere Savannah sopra di sé. I loro corpi tornarono a essere uno solo e lei urlò. Gregori la penetrò: era stretta, calda ed eccitata. Le mise una mano sulla nuca e le spinse la testa contro il proprio petto. Adesso devi nutrirti tu. Savannah era diventata una creatura selvatica e aveva cominciato ad agitarsi freneticamente sopra di lui, mandando in frantumi la ferrea volontà di Gregori. Lui le mise le mani sui fianchi e si concesse il lusso di abbandonarsi al piacere, facendosi attraversare da lampi di luce e consumare dal fuoco della passione. Le accarezzò la schiena, la afferrò per i capelli e la costrinse ad abbassare la testa. Ne ho bisogno. Ho bisogno di scorrere dentro il tuo corpo. Strinse i denti: il piacere che provava era talmente intenso da rischiare di farlo impazzire.
Il suo ordine era in realtà una supplica e Savannah si piegò su di lui, continuando a cavalcarlo, leccandogli le gocce d’acqua che gli imperlavano il petto. Gregori si irrigidì e si dimenò come se le fiamme lo stessero divorando, piacere e dolore erano ormai fusi in un’unica sensazione. I denti di Savannah sprofondarono dentro di lui, come lui stava sprofondando dentro di lei. Anima e corpo. Dio, Gregori la amava, si sentiva completo grazie a lei. La minaccia del vuoto terribile, dello squallido abisso, era stata per sempre spazzata via dalla bellezza interiore della sua compagna. Gregori bisbigliò tra i denti antiche parole d’amore, continuando a possederla, riempiendole il cuore e saziandola fisicamente. Quando raggiunsero l’orgasmo, fu come un’esplosione luminosa di fulmini e saette, come il rombo di un tuono, come una raffica di vento nella notte. Rimasero avvinghiati l’uno all’altra, esausti, sazi, impressionati dall’intensità con cui avevano fatto l’amore e dalla violenza della tempesta. Si misero a sedere, fusi ancora in un unico corpo, la testa di Savannah appoggiata al petto di Gregori e il braccio di lui attorno alla vita di lei, e solo allora il vento cominciò a calare. Mentre i loro cuori riprendevano a battere a un ritmo normale, la natura placò la propria furia selvaggia. Gregori le baciò le tempie, gli zigomi, le sfiorò la bocca con le labbra e le diede un piccolo morso sul mento. «Sei tutto il mio mondo, Savannah. È necessario che tu lo sappia». Lei si strinse a lui, scioccata dalla necessità che avevano l’uno dell’altra. «Se la forza dei nostri sentimenti è destinata ad aumentare nel corso del tempo nessuno dei due vivrà molto a lungo». Gregori ridacchiò. «Be’, forse hai ragione, cara. Sei una donna pericolosa». Si alzò dalla chaise longue, tenendo sempre Savannah stretta a sé, e attraversò il giardino, dirigendosi verso casa. Zuppi di pioggia gelata, si buttarono sotto una doccia bollente e vi rimasero per un po’, troppo stanchi per muoversi. Gregori continuò a sorreggere Savannah tenendola abbracciata e lei, che temeva che le gambe non le reggessero, gliene fu infinitamente grata.
Il carpaziano tamponò l’esile corpo con un asciugamano, poi con un semplice cenno della mano si rivestì. Savannah vagò per la casa, diretta in cucina, con addosso soltanto un’altra delle camicie di Gregori. La sua pelle nuda aveva dei segni che prima non c’erano; lui la seguì, maledicendo la propria brutalità. L’aveva marchiata sul seno e lo aveva fatto apposta, per indicare che lei gli apparteneva, ma doveva guarire gli altri piccoli lividi che aveva sul resto del corpo. Savannah proruppe in una risatina. «Non mi fa male da nessuna parte, amore. Mi è piaciuto molto, e lo sai». «Posso fare in modo che ti piaccia anche senza lasciarti per forza dei lividi», obiettò lui. Savannah prese con aria distratta un pacco di depliant, li esaminò e poi li riappoggiò sul mobile da cui li aveva raccolti. «Se mai dovessi farmi male, Gregori, te lo dirò subito, te lo prometto». Gregori si accorse che una strana inquietudine si era di nuovo impossessata di Savannah. «Che c’è?» «Facciamo qualcosa, Gregori. Qualcosa che non abbia niente a che fare con la caccia. Qualcosa di diverso. Qualcosa da turisti». «Le strade sono allagate stasera», osservò lui. Lei scrollò le spalle. «Lo so. Stavo solo dando un’occhiata ad alcuni depliant sulle attrazioni della città», replicò con aria indifferente. Gregori, rendendosi conto del disinteresse calcolato delle parole di lei, rimase all’erta. «Trovi che ce ne sia qualcuna particolarmente interessante?». Savannah alzò di nuovo le spalle, con sempre più disinvoltura. «La maggior parte di quelle che mi piacciono di più sono brevi escursioni. Come quella nel bayou. Ce n’è una in cui le guide sono persone del posto». Ancora un’alzata di spalle. «Vorrei conoscere un po’ di storia locale. Non mi dispiacerebbe fare un tour del bayou con qualcuno che è cresciuto lì». «Hai la brochure a portata di mano?», le chiese Gregori. «Non importa», fece lei con un breve sospiro. Mise da parte il pacchetto di depliant e prese la spazzola.
Gregori gliela tolse di mano. «Se proprio vuoi andare a fare il tour del bayou, Savannah, ci andremo». «Mi piace fare la turista», ammise lei, sorridendo appena. «Trovo divertente fare domande e imparare cose nuove». «Scommetto che ti viene benissimo», fece lui, pettinandole lentamente i capelli nero-blu per tutta la loro lunghezza. Vivevano di vita propria e si rifiutavano di farsi domare. Li prese fra le mani, solo per sentire quanto erano morbidi e setosi. Il suo sguardo si fermò, oltre la spalla di lei, sulla brochure che Savannah aveva messo da parte. Se la sua donna voleva fare quella gita, lui avrebbe spostato mari e monti pur di accontentarla. «Non dobbiamo sempre dare la caccia a vampiri e assassini che vogliono la morte della nostra gente», cominciò, diplomatico. «Lo so. Ma sembra che ci seguano dovunque andiamo». Gregori strinse in pugno una ciocca di quella lucente chioma. «All’inizio, quando mi hai proposto di venire a New Orleans, speravamo che i membri della setta ci seguissero e lasciassero in pace Aidan e gli altri carpaziani. Non era questo che volevi?» «Non proprio», ammise lei, e negli occhi blu le passò un lampo. «Stavo solo cercando di convincerti a venire qui. Sai, tipo una luna di miele. La dolce giovane moglie che insegna al vecchio e grinzoso marito brontolone a divertirsi. Questo genere di cose». «Il “vecchio e grinzoso marito brontolone”?», le fece eco lui, perplesso. «Sul vecchio posso chiudere un occhio, e persino sul brontolone. Ma non sono affatto “grinzoso”». Per punizione, le tirò i capelli. «Ehi!». Savannah si girò e gli rivolse un’occhiata indignata. «Grinzoso mi sembrava una parola adatta. Ricorda uno stregone, un saggio». Gregori seppellì il proprio viso tra i suoi capelli per nascondere l’improvvisa ondata di emozioni da cui rischiava di essere sopraffatto. Fu avvolto dal profumo dei fiori e dell’aria fresca. Dunque era questo ciò che aveva cercato per tutti quei secoli. Divertimento. Senso di appartenenza. Qualcuno con cui condividere risate e provocazioni, in modo che anche i momenti più difficili della
vita potessero sembrare bellissimi. Savannah era diventata parte di lui e Gregori non sarebbe mai più riuscito a tornare alla squallida e vuota esistenza di prima. Non sarebbe più stato in grado di vivere senza di lei. «Credi che sia troppo vecchio, Savannah?», le chiese a bassa voce, portandosi alcune ciocche dei suoi capelli alle labbra. Erano così morbidi. Persino più della seta. «Non vecchio, Gregori», lo corresse lei, gentile. «Solo all’antica. Hai la tendenza a credere che le donne dovrebbero fare tutto quello che viene loro ordinato». Lui si ritrovò a ridere. «Non è ciò che fai tu». Savannah inclinò la testa all’indietro, un modo non troppo velato per suggerirgli di continuare a pettinarla. «Vorrei che tu capissi che non posso star ferma a guardare qualcuno che soffre a causa mia». Gregori sospirò e lasciò passare qualche secondo prima di risponderle. «Non avrei mai voluto metterti in una simile posizione, mia cara. Mi dispiace». «Forse dovremmo parlarne», insisté lei, stringendo i pugni. Lui le scostò il colletto della camicia dalla nuca, chinò il capo e le sfiorò con le labbra la pelle nuda. Fu una sensazione intima e allo stesso tempo peccaminosa. «Non c’è niente da discutere. Abbiamo sviscerato la questione la notte scorsa. Non posso fare nulla per venirti incontro. Devi capire chi sono io. Sono parte di te, come tu sei parte di me. Puoi sentire quello che provo. Non posso fare altro che proteggerti. È la mia natura». «Devi per forza essere così inflessibile su questo argomento, Gregori?», si lamentò Savannah. Tuttavia sapeva che il suo compagno aveva ragione; conosceva già la risposta alla propria domanda. Era impossibile leggergli nel pensiero senza imbattersi nella sua implacabile determinazione. «La tempesta è passata. Vuoi andare al bayou questa notte?», le chiese lui, dividendole abilmente i capelli in grosse ciocche e cominciando a intrecciargliele. Savannah adorava la sensazione delle sue mani fra i capelli, il
modo in cui glieli tirava dolcemente per farle la treccia, il massaggio delle due dita sullo scalpo. Si mise una mano sulla spalla nuda, in corrispondenza del punto in cui si erano poggiate le labbra di lui. «Mi piacerebbe tantissimo andare al bayou con te». Gregori le sorrise e i suoi occhi argentei divennero mercurio liquido. «Potremmo osservare la natura, tanto per cambiare. Senza vampiri». «E senza adepti di una qualche società segreta», aggiunse lei. «E nessun mortale che ha bisogno di aiuto», fece Gregori con grande soddisfazione. «Dài, vestiti». «Non fai altro che togliermeli di dosso i vestiti e adesso mi dici di rimetterli!», si lamentò Savannah, con quel suo sorrisetto malizioso che lo faceva impazzire. Lui la fece girare per guardarla in faccia, le afferrò i lembi della camicia e glieli richiuse sul petto per coprire quel corpo tentatore. «Non ti aspetterai che sia io a vestirti, vero?», le disse, chinandosi e sfiorandole le labbra con un bacio. Lei, per tutta risposta, sentì un tuffo al cuore. O forse era stato il cuore di Gregori a sussultare. Non era più in grado di stabilire la differenza. Savannah si preparò in un attimo, poi, mano nella mano, uscirono in giardino. Aveva smesso di piovere e nell’aria c’era una sorta di nebbiolina, ma la pioggia aveva comunque formato profonde pozzanghere nel cortile interno. Gregori si portò la mano di Savannah alle labbra. «Questo posto per me non sarà mai più lo stesso, piccola mia», le disse dolcemente. La sua voce era un sussurro sulla pelle, velluto nero che le scivolava addosso e le si insinuava nella mente. Era talmente pura e bella che nessuno avrebbe potuto resistervi, men che meno lei. Savannah arrossì e le sue guance assunsero un colorito speciale. Gregori rise, una risata sommessa e roca. Cominciò a cambiare forma e spiccò il volo. Savannah lo osservò orgogliosa: divenne più piccolo e si ricoprì del piumaggio iridescente di un uccello predatore. Era stupendo: lo sguardo acuto, il becco appuntito, gli artigli, un corpo possente. Lei non riusciva a mutare forma mentre volava, tuttavia si concentrò sull’immagine che le aveva suggerito lui e sentì
uno strano contorcersi di ossa e muscoli: la trasformazione era in corso. Avvertì sensazioni completamente diverse. Così come era accaduto la notte in cui aveva corso nel bosco nelle sembianze di un lupo, adesso Savannah aveva la sensibilità di un uccello rapace. La vista nitida e penetrante, gli occhi enormi e sgranati. Provò ad aprire le ali, poi prese a muoverle nella pioggerella notturna. Erano più grandi di come se le era aspettate. Le piacevano e le sbatté sempre più forte, tanto da spostare l’aria e far increspare le pozzanghere del giardino.
Ti stai divertendo? Il tono di Gregori era allegro. Be’, questo sì che mi piace, tesoro, rispose Savannah. Il battito
rapido delle ali la fece sollevare in volo. Passò attraverso la leggera coltre di nebbia. L’aria era calda e pesante, densa di umidità, ma lei riuscì comunque a planare, rivelando una predisposizione innata per il volo. Gregori, più grande e più forte di lei, le si mise sopra, vicino e protettivo, guidandola in direzione del bayou. Nonostante fossero ormai molto alti nel cielo, la vista acuta tipica degli uccelli rapaci permetteva loro di individuare anche il più piccolo movimento sulla terra. I dettagli erano vividi e chiari. Anche i colori erano diversi dal solito. Avevano una visione a infrarossi e rilevatori di calore (Savannah non era certa che si trattasse esattamente di quello, in ogni caso il modo in cui percepiva il mondo era diverso, un’esperienza unica). Non rimase a lungo sotto Gregori: salì un po’ più in alto e cominciò a girargli intorno e a volargli accanto. Avvertì le sue telepatiche imprecazioni. Come sempre, era arrogante, all’antica, elegante e autoritario. Ridendo, lei prese una corrente ascensionale e la seguì lungo il fiume. L’uccello maschio si rimise sopra di lei e la coprì con le sue enormi ali, imprigionandola. Guastafeste!, lo accusò Savannah. Gli sfiorò la mente con un tocco lieve, invitandolo a unirsi a lei e a spassarsela.
Sei proprio una piantagrane, mia cara. Gregori si era reso conto
del fatto che si trattava di un rimprovero inutile nel momento stesso
in cui glielo aveva rivolto; le avrebbe concesso qualsiasi cosa. Ma quella donna doveva per forza essere sempre così temeraria?
Chiunque scelga di vivere insieme a te deve avere uno spiccato amore per l’avventura, non pensi? La sua dolce risata si riverberò
sulla pelle del carpaziano come una musica, come la fresca brezza delle montagne che soffiava nella loro terra d’origine.
Anche se aveva le sembianze di un volatile, Gregori ebbe un fremito di eccitazione: il desiderio e la voglia crebbero fino a diventare parte di lui. Implacabili. Urgenti. Selvaggi e intensi. Era più che semplice libido. Più che voglia. Più che desiderio. Era tutto questo, ma misto a un’incredibile tenerezza, che non aveva mai pensato di poter provare. Quando Savannah faceva i capricci, quando lo sfidava, proprio allora Gregori si scioglieva. Penso che
faresti meglio a fare le cose come io ti dico di farle. Mutare forma non è un gioco. Lo fanno tutti, obiettò lei, schizzando via da sotto di lui.
Il maschio scese in picchiata, raggiungendola in un batter d’occhio, veloce come una freccia, e piombando su di lei nel cielo notturno. Savannah, nelle sembianze di uccello femmina, emise un gridolino spaventato e, a causa di quell’attacco inatteso, il cuore cominciò a martellarle nel petto. Venne fuori una specie di gracchio che la sbigottì a tal punto che per un attimo dimenticò quello che stava facendo e rischiò di mutare nuovamente forma.
Savannah! La voce di Gregori era autoritaria, ipnotica, impossibile
da ignorare; sarebbe stato difficile disobbedirgli. Ricreò l’immagine dell’uccello nella sua testa, fondendo le loro menti in maniera tale che diventassero un unico essere. Il maschio volò in alto un’altra volta, per proteggere la femmina e guidarla attraverso la città e il canale, fino al bayou.
Mi hai spaventato… è stata colpa tua, dichiarò lei. Sotto di loro i tronchi dei cipressi coperti di muschio affondavano le radici in acqua. Dalla palude veniva fuori un folto canneto. Il bayou brulicava di vita: si sentivano i versi degli insetti, degli uccelli e delle rane. Le tartarughe condividevano i rami marci e spezzati con i giovani alligatori e i serpenti strisciavano o si avvolgevano su se
stessi, sazi e assonnati. L’uccello maschio pungolò la femmina ed entrambi planarono un po’ per contemplare la bellezza di quella notte, osservando la vita in continuo movimento sotto di loro. Gregori inviò un richiamo, in cerca dell’unica persona in grado di soddisfare i desideri di Savannah. La sua compagna voleva una guida, qualcuno che fosse nato e cresciuto lì e che potesse rispondere a tutte le sue domande. Una barca risalì il fiume in risposta all’appello. Il richiamo era stato forte, in modo tale che l’uomo rispondesse immediatamente. Atterra su quella roccia laggiù,
Savannah, e cambia forma non appena puoi. Io farò lo stesso.
Per un attimo lei si spaventò. Lo scoglio non era molto grande e la palude avrebbe potuto tradirli. Fidati di me, piccola mia. Non permetterei mai che ti accadesse qualcosa, la rassicurò dolcemente Gregori. Savannah si sentì confortata dal suo abbraccio, persino sotto forma di uccello. L’enormità dei poteri di Gregori la lasciava sempre perplessa. Quell’uomo era una leggenda. Tutti i carpaziani raccontavano aneddoti sulla sua forza. Lei sapeva che era potente, ma non aveva mai nemmeno immaginato quante cose fosse in grado di fare. D’un tratto si sentì fiera di lui e stupita dal fatto che avesse scelto come compagna una giovane inesperta come lei, una ragazza che a stento aveva le basi delle tecniche carpaziane.
Ti insegnerò tutto ciò che devi sapere, cara, e sarà uno spasso, le
mormorò Gregori. Quel sussurro le fece subito scorrere il fuoco nelle vene. Gli artigli del volatile si aggrapparono alla roccia proprio mentre la sua sagoma slanciata cominciò a brillare nell’aria umida. Non appena Savannah si materializzò, il maschio rapace trovò un piccolo quadrato di terra su cui atterrare vicino a lei. Vi planò senza alcuna difficoltà e la sua muscolosa corporatura fece sembrare Savannah ancora più minuta di quanto non fosse. Riuscirono a sentire il monotono ronzio dell’imbarcazione che avanzava scoppiettando verso di loro. Savannah, ridendo, saltò dalla sua roccia precaria al sicuro fra le braccia di Gregori. Lui se la strinse al petto e si sentì pervadere da un’ondata di ebbrezza, di pura euforia. Provare di nuovo dei sentimenti era
qualcosa che andava oltre la sua comprensione, e sperimentare emozioni intense come quelle, sentire una gioia così grande, gli risultava davvero incredibile. Le bisbigliò qualcosa nell’idioma degli antichi, parole d’amore e dedizione che non avrebbe saputo esprimere in nessun’altra lingua. Quella donna rappresentava per lui molto più di quanto lei stessa credesse; era la sua vita, era l’aria che respirava. Ti preoccupi per delle stupidaggini, le disse, burbero, seppellendo per un attimo il proprio volto nel suo collo per inalare il suo profumo. «Davvero?», gli chiese lei ad alta voce, guardandolo con occhi scintillanti. «Tu temi sempre che faccia qualcosa di avventato». «Perché tu ti comporti in maniera avventata», le rispose lui, compiaciuto. «Non so mai prevedere quale sarà la tua prossima mossa. È un’ottima cosa, piccola mia, il fatto che io possa leggerti nel pensiero, altrimenti correrei il rischio di farmi rinchiudere nel manicomio più vicino». Lei gli sfiorò il mento e la mascella con la bocca e poi gli mordicchiò le labbra, provocandolo. «Credo che farebbero bene a rinchiuderti. Sei decisamente letale per le donne». «Non per le donne in generale, solo per te». Gregori la mise a tacere con un bacio passionale, incurante del fatto che la barca li aveva quasi raggiunti. Savannah lo incantava e lui era completamente inerme al suo cospetto. Quella donna era puro fascino, magia, bellezza. Lei ricominciò a ridere e lo afferrò per i lembi della camicia. «Abbiamo compagnia, amore. Immagino sia stato tu a inviare il richiamo». «Tu e le tue strane idee», brontolò lui, sorvolando la superficie melmosa del canale per raggiungere la barca. Il capitano dell’imbarcazione sembrò non notare il fatto che Gregori non aveva immerso i piedi nell’acquitrino. Guardava fisso Savannah con una specie di timore reverenziale. «Lei è la maga, Savannah Dubrinsky. Ho assistito a tre dei suoi spettacoli. Ho preso un aereo fino a New York per vederla l’anno scorso, uno per Denver qualche mese fa e un altro per San Francisco questo mese.
Non riesco a credere che sia davvero lei». «Che complimento!». Il viso di Savannah si illuminò del suo famoso sorriso, quello che le faceva scintillare migliaia di pagliuzze argentee negli occhi. «Ha fatto tutta quella strada solo per vedermi? Sono lusingata». «Come fa? Come è possibile che lei scompaia nella nebbia? Sono arrivato il più possibile vicino al palco e non sono comunque riuscito a capire il trucco», disse l’uomo, sporgendosi verso di lei e prendendole la mano. «Mi chiamo Beau La Rue. Sono nato e cresciuto proprio qui, nel bayou. È un privilegio conoscerla, signora Dubrinsky». Savannah gli strinse appena la mano, il contatto fisico tra i due durò qualche frazione di secondo; Gregori nel frattempo la aiutò a salire sulla barca. Nel farlo la abbracciò da dietro e la allontanò da La Rue. «Io sono Gregori», disse, con quel suo tono di voce basso e gentile, che ipnotizzava e catturava l’attenzione del suo interlocutore. Quello che trasudava minaccia. «Il marito di Savannah». Nel corso della sua vita, Beau La Rue aveva conosciuto solo un altro uomo pericoloso come quello che gli stava di fronte. Per una strana coincidenza, anche quell’incontro aveva avuto luogo di notte nel bayou. Potere e pericolo erano parte di Gregori, come una seconda pelle. I suoi strani occhi chiari erano ipnotici, la sua voce irresistibile. Beau sorrise. Aveva trascorso gran parte della propria esistenza in quelle acque e aveva incontrato di tutto, dagli alligatori ai contrabbandieri. La vita era sempre piacevole lì nel bayou, divertente e imprevedibile. «Avete scelto una notte interessante per il vostro tour», fece, allegro. La vera e propria tempesta aveva smesso di infuriare, ma il canale era comunque molto pericoloso. Sulle sponde del fiume accanto a loro, gli alligatori, che se ne stavano di solito calmi e tranquilli a prendere il sole, brontolavano minacciosi o scivolavano in acqua a caccia della loro prossima preda. Per tutta risposta Gregori sorrise. Lui era parte della notte, conosceva le creature che la popolavano, vi era intima corrispondenza tra la natura selvatica e indomita e la sua anima
irrequieta. Beau lo guardò, osservò la sua completa immobilità, tipica di ogni pericoloso predatore, i suoi occhi spietati e sempre in movimento, a cui non sfuggiva nulla di quello che gli accadeva intorno. La sua muscolatura possente sembrava rilassata, ma era pronta a scattare alla minima necessità. I lineamenti del viso, rudi e sensuali, bellissimi e crudeli, erano segnati dalle avversità e dalla sapienza, dal rischio e dal pericolo. Gregori stava fermo nell’ombra, ma l’argentea minaccia del suo sguardo brillava di una strana luce iridescente nel buio della notte. Beau colse al volo l’opportunità di studiare Savannah. Da vicino era esattamente come appariva sul palcoscenico, persino meglio. Eterea, misteriosa, sexy. La materia di cui erano fatte le fantasie erotiche di qualsiasi uomo. Il suo volto era perfetto, illuminato dalla gioia, i suoi occhi splendenti, come bellissimi e scintillanti zaffiri. La sua risata era argentina e contagiosa. Sembrava minuta e innocente accanto a quel predatore che era salito con lei sulla barca. Stava toccando il braccio di Gregori, indicandogli qualcosa sulla riva, i loro corpi si sfioravano, e ogni volta che accadeva gli occhi chiari di lui sembravano liquefarsi e le accarezzavano il viso, una carezza intima, appassionata. Beau iniziò a rispondere alle domande di Savannah, raccontandole della sua infanzia, di suo padre che metteva le trappole per procurarsi cibo e pelli, di come lui e il fratello raccoglievano il muschio dai tronchi degli alberi e lo portavano alla madre e alle sorelle perché lo seccassero e ne facessero imbottiture per i materassi. Si ritrovò a riferirle episodi che credeva di non ricordare più. Lei pendeva dalle sue labbra, facendolo sentire come se fosse l’unico uomo sulla terra… finché Gregori non si irrigidì, solo un piccolo guizzo dei muscoli, per chiarire agli occhi di Beau che Savannah non era una donna libera. L’autoctono li condusse in tutti i suoi posti preferiti, i più belli e i più esotici che conosceva. Gregori a quel punto fece alcune domande in merito alle erbe e alle arti curative che si praticavano nel bayou. Beau scoprì che era impossibile resistere a quella voce vellutata, un suono oscuro e magico che avrebbe potuto ascoltare per il resto della sua vita.
«Al ristorante ho sentito alcuni uomini parlare di una delle leggende del bayou», disse d’un tratto Savannah. Era appoggiata a una delle paratie dell’imbarcazione, offrendo un’intrigante prospettiva dei jeans attillati che indossava. Le evidenziavano ogni curva. Gregori si spostò, scivolò silenzioso verso di lei e si mise davanti a Savannah, coprendola con il proprio corpo e nascondendola agli audaci sguardi del capitano. Si piegò su di lei e la imprigionò tra se stesso e la ringhiera dell’imbarcazione. Lo stai facendo di nuovo. Le sfiorò la mente con quelle parole mentre il suo respiro caldo le faceva venire la pelle d’oca. Savannah si appoggiò a lui, facendo aderire il proprio fondoschiena ai suoi fianchi. Si sentiva allegra, libera dall’opprimente peso della caccia, della morte e della violenza. C’erano solo loro due.
Noi tre, le ricordò lui, graffiandole appena il collo con i denti.
Riuscì a percepire l’ondata di eccitazione che sopraffece Savannah e si sentì travolgere da una colata di lava bollente. Mia madre pensa che mio padre sia un cavernicolo. Sto cominciando a credere che tu sia anche peggio di lui.
Piccola impertinente che non sei altro. «Quale leggenda? Ce ne sono molte», rispose Beau. «Una che ha come protagonista una creatura, mezzo uomo e mezzo alligatore, che sta ferma e aspetta che qualche cane o qualche bambino piccolo gli finisca tra le grinfie», disse Savannah. Gregori le tirò la treccia e lei gettò la testa all’indietro. Le sfiorò il collo con le labbra. Anch’io posso fare la parte dell’alligatore affamato, si offrì. «La storia del uomo-alligatore», fece Beau. «Tutti amano quella leggenda. Viene tramandata da centinaia di anni o più e l’anfibio cresce di dimensioni a ogni passaparola». Smise di parlare per un attimo, per manovrare l’imbarcazione. Lungo il canale giacevano tronchi di cipresso, enormi come macabri bastoni ricoperti di muschio. Di tanto in tanto si udiva il tonfo di qualche serpente che si tuffava in acqua.
«Si dice che quella vecchia bestia abbia vita eterna. Ormai dev’essere enorme, dato che ogni volta che uccide diventa sempre più grossa, più scaltra e più furba di qualsiasi altro abitante del bayou. Rivendica il proprio territorio e gli altri animali le lasciano ampio spazio. Sanno che ucciderebbe qualsiasi alligatore tanto stupido da vagare nel suo territorio, che sia giovane o anziano, maschio o femmina. Anche i cacciatori che mettono le trappole scompaiono di tanto in tanto proprio in quella zona e la colpa è proprio dell’uomo-alligatore». Beau fermò la barca, che prese a ondeggiare dolcemente sull’acqua. «Strano che mi chiediate proprio di questa leggenda. Anche l’uomo che mi ha dato i biglietti per lo spettacolo di Savannah era molto interessato alla stessa storia. Di solito venivamo qui di notte insieme, raccoglievamo erbe e cortecce d’albero e ci guardavamo intorno in cerca dell’alligatore. Non l’abbiamo mai avvistato, comunque». «Chi ti ha dato i biglietti per gli spettacoli di Savannah?», gli chiese Gregori in tono sommesso, sebbene conoscesse già la risposta. «Un uomo di nome Selvaggio, Julian Selvaggio. La sua famiglia vive a New Orleans sin da quando la città è stata fondata. L’ho conosciuto diversi anni fa. Siamo buoni amici», fece un sorriso accattivante, «nonostante sia italiano». Gregori inarcò le sopracciglia. Julian era nato e cresciuto nelle montagne dei Carpazi. Non era italiano, così come Gregori non era francese. Aveva trascorso diverso tempo in Italia, così come Gregori aveva vissuto a lungo in Francia, ma entrambi erano carpaziani fino al midollo. «Conosco Julian», azzardò Gregori, facendo scintillare nel buio i suoi denti bianchissimi. L’acqua lambiva l’imbarcazione, producendo un particolare sciabordio. Il dondolio era più rilassante e piacevole che fastidioso. Beau apparve molto compiaciuto. «L’avevo immaginato. Entrambi conoscete Savannah, entrambi mi avete fatto le stesse domande sulla medicina naturale, entrambi avete un aspetto
dannatamente minaccioso». «Io sono più bello di lui», disse Gregori, serio. Savannah strofinò la guancia contro il suo petto. La sua risata era una dolce melodia nel caldo soffocante della palude. «E quindi non avete mai trovato l’alligatore. È vero che si nutre di grossi cani?» «Be’, il fatto è che un sacco di cani da caccia si sono persi nel bayou lungo lo stesso sentiero. Probabilmente si tratta del territorio del mostro. Due cacciatori hanno riferito di averlo visto fermo, in attesa di tendere un agguato ai cani. Comunque, non sono riusciti ad acchiapparlo. Nessuno c’è mai riuscito. È qui in giro ormai da molto tempo e conosce palmo a palmo il bayou. Basta che avverta il minimo segnale di pericolo e scappa». Il capitano si strofinò la fronte, come se le tempie avessero preso a pulsargli. «Parli come se pensassi che quella creatura esiste davvero», osservò Gregori, gentile. «Eppure hai detto che tu e Julian non siete mai riusciti a trovarla. Julian è un cacciatore senza pari. Se ci fosse in giro un animale simile di sicuro l’avrebbe catturato». Stava leggendo nel pensiero del capitano, adescandolo. Dietro di lui Savannah si irrigidì come se stesse per contraddirlo, ma Gregori la zittì sollevando una mano. «Julian sapeva che si trovava da queste parti. Ne avvertiva la presenza». «Ma tu lo ha visto». Gregori diede una spintarella al suo interlocutore, improvvisamente molto interessato a questa bestia, che riusciva a sopravvivere a molte altre. Beau si diede un’occhiata intorno, un po’ a disagio nel buio della notte. Era un tipo superstizioso, aveva assistito a dei fenomeni, fenomeni inesplicabili, di cui non avrebbe voluto parlare alla luce del sole. «Forse. Forse ho visto l’uomo-alligatore», ammise a bassa voce. «Ma se ammettessi una cosa del genere fuori da qui, la gente crederebbe che sia completamente fuori di testa». «Raccontaci tutto», lo incoraggiò Gregori, con quella sua voce vellutata, ipnotica, a cui era impossibile resistere.
Capitolo 16 Per un momento il vento smise di soffiare e gli insetti del bayou non ronzarono più. Un’ombra scura sembrò passare sopra le loro teste. Gregori lanciò un’occhiata a Savannah. Beau prese una lattina di birra dal frigo e offrì da bere alla coppia. Loro declinarono e lui buttò giù un terzo del contenuto della lattina in un solo sorso. «Mio padre andava in giro a piazzare trappole», disse Beau. «Io ho trascorso un sacco di tempo nel bayou ad aiutarlo. Quando avevo circa sedici anni, stavamo campeggiando vicino alla vecchia capanna, quella che vi ho indicato poco fa. C’erano alcuni ragazzi che stavano facendo una festa su una barca, gente che veniva dalla città. Avevano una barca molto bella, non come quelle imbarcazioni scassate che prendevamo noi per andare a scuola. Be’, ero un po’ invidioso. Le ragazze erano molto carine e i maschi vestiti alla moda. Quando videro me e mio padre ci indicarono e si misero a ridere. Mi vergognai». Savannah gli manifestò la propria solidarietà, seguendo la sua naturale inclinazione a dare conforto. Gregori le strinse la mano e la attirò a sé. Era una donna compassionevole e incantava tutti gli uomini che la circondavano senza neanche rendersene conto. Si portò la sua mano alle labbra e le diede un bacio, per dimostrarle quanto gli piacesse il suo carattere. Beau bevve un altro sorso di birra, poi si asciugò la bocca con il dorso della mano. «Li guardammo dirigersi verso la parte più profonda della palude. La loro barca era grossa e non avrebbero dovuto avventurarsi nel canneto. Le radici laggiù sono spesse e vengono fuori dall’acqua un po’ dovunque. Ci sono insetti in abbondanza che pungono fino a far sanguinare le loro vittime. Credevo che sarebbe stato impossibile procedere per quella barca e invece in qualche modo ce la fece, come se la strada gli fosse stata, per così dire, spianata. Un invito ad andare incontro alla morte». Savannah ebbe improvvisamente freddo: una cupa e oscura paura le passò come un’ombra sul cuore. «Perché mai qualcuno dovrebbe andare in un posto del genere?», chiese, rabbrividendo.
Gregori le circondò le spalle con un braccio per proteggerla. «Non hai niente da temere, piccola mia. Ci sono qui io. Niente può farti del male se sono al tuo fianco». Beau prestò fede alle promesse che Gregori sussurrava a Savannah. Gli credette ciecamente. Si era già accorto che nell’aria non ronzavano più né mosche né zanzare. Lo stesso accadeva quando con lui c’era Julian Selvaggio. Uno strano fenomeno, eppure Beau era stato testimone di diversi curiosi avvenimenti nel bayou. La voce del capitano scese di un’ottava, come se le acque del fiume avessero potuto diffondere il suo racconto ai quattro venti. «In molti vogliono scoprire se la leggenda è vera. Cacciatori con le trappole, bracconieri in cerca di un trofeo, soggetti famelici, che hanno bisogno di cibo e denaro. Quelli che non sono del posto credono si tratti solo di stupidaggini, roba da riti voodoo. Non capiscono il potere della magia o dello stesso bayou. E quindi vanno a caccia di ciò che non comprendono. Julian invece rispettava la natura, i nostri costumi e le nostre credenze. Per questo gli ho raccontato tutto e sono andato a cacciare insieme a lui». «Ma perché tutti vogliono farlo fuori?». Le simpatie di Savannah adesso erano tutte per l’alligatore. «Lui vuole solo sopravvivere». Beau scosse la testa con aria seria e si chinò per riaccendere il motore. La barca ricominciò ad avanzare scoppiettando. «No, Savannah, non sprechi la sua compassione. Non si tratta di un alligatore qualsiasi. Quella creatura è malvagia. Sta lì ad aspettare, e qualsiasi cosa gli si avvicini la uccide, indipendentemente dal fatto che sia affamata o meno. Uomini o animali, fa lo stesso. Li affoga e li divora». «Credevo che ti piacessero gli alligatori», protestò Savannah. «Sono parte della natura, parte del bayou. Appartengono a questo luogo. Siamo noi che stiamo invadendo il loro territorio. Quella povera bestia non ha chiesto a nessuno di venire qui a darle la caccia. Probabilmente vuole solo starsene per conto suo. Ma i cacciatori la assediano da ogni parte». «Dicci che cosa è accaduto a quei ragazzi», lo esortò Gregori, gentilmente.
«Non sono più tornati indietro. Mio padre era molto agitato e preoccupato. Conosceva la reputazione di quella creatura e non gli piacque il fatto che dei forestieri si avventurassero nella palude. L’uomo-alligatore uccide solo per il gusto di farlo. Sapevamo che era cattivo. Alla fine mio padre insisté perché li andassimo a cercare. Mi disse di stare in assoluto silenzio. Prese una lampada a olio, dei fiammiferi, le pistole e un uncino, tutto quello che avevamo in tenda per proteggerci». L’aria densa della notte sembrò diventare ancora più soffocante in attesa della fine della storia. Savannah si strinse al solido petto di Gregori. Improvvisamente fu certa di non voler ascoltare il resto. Riusciva già a sentire l’odore di quella scena, a udire le parole che Beau stava per pronunciare.
Andrà tutto bene, cara. La voce di Gregori la confortò e Savannah
provò un po’ di sollievo: la sua sensibilità fu isolata e lei non udì più nulla. «C’era una puzza terribile. L’aria era così densa che a stento riuscivamo a respirare. Eravamo madidi di sudore e sapevamo entrambi che se fossimo rimasti a lungo nel territorio del mostro saremmo diventati la sua cena. Avremmo voluto tornare indietro. Rallentammo. Il cuore mi batteva così forte che riuscivo a sentirlo. Uno sciame di insetti ci avvolse. Cominciarono a pungerci e morderci, a infilarsi nel naso e negli occhi, persino in bocca». Beau si stava agitando e Gregori d’istinto lo raggiunse telepaticamente e lo rasserenò. Fece in modo che la guida respirasse al suo stesso ritmo e che il suo cuore battesse più lentamente. Mormorò le litanie curative della sua gente e con un cenno della mano sollevò una brezza che portò via la cappa di caldo soffocante e asciugò le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. All’improvviso il peso che opprimeva il petto del capitano svanì. Beau abbozzò un sorriso. «Ho raccontato questa storia solo a un’altra persona oltre voi. Mi ero ripromesso di non farlo, ma mi sono sentito in qualche modo costretto a condividere la mia esperienza con Julian, e ora con voi. Mi dispiace. È solo che mi sembra sempre sia appena accaduto». «Qualche volta aiuta raccontare ad altri le proprie brutte
esperienze», disse Savannah, gentile, e i suoi occhi intensi brillarono nella notte. Scintillarono come quelli di un gatto, strani e bellissimi. Il capitano scosse la testa. «Finché mi sono tenuto questa storia per me è stato come se non fosse mai accaduta. Mio padre non ne ha mai parlato, nemmeno con me. Penso che entrambi desiderassimo considerarla solo come un brutto sogno». «I ragazzi di quella barca erano ubriachi». Gregori estrapolò quell’informazione dalla mente di Beau. La guida annuì. «Trovammo delle bottiglie vuote che galleggiavano lungo le sponde del fiume. Poi li sentimmo urlare. Non grida qualsiasi, ma quelle urla che ti rimangono per sempre impresse nella mente. Quelle che ti fanno svegliare nel cuore della notte in un bagno di sudore. Mio padre si è ubriacato per un mese di fila per cercare di dimenticarle. E so che non ha funzionato». Si pulì di nuovo la bocca con il dorso della mano. «Non ha funzionato neanche per me».
Non voglio ascoltare questa storia. Gli fa troppo male ricordare,
protestò Savannah, aggrappandosi all’estremità della camicia di Gregori. Lui le accarezzò i capelli. Quando avrà finito allevierò il suo
dolore. È molto interessante; sento nella sua mente la presenza di Julian, come se anche lui lo avesse curato. Perché mai il fatto che un alligatore abbia ucciso degli umani avrebbe dovuto far soffrire così tanto suo padre? Perché il terrore di quella notte avrebbe dovuto affliggerlo per tutti questi anni? Molte persone sono morte qui, la maggior parte in modo innaturale. Forse è necessario sentire come va a finire la sua storia. «Eravamo coperti di insetti, ci avevano avvolto come una coperta e ci pungevano dappertutto. Era quasi impossibile respirare». Beau si toccò la gola, al ricordo della sensazione di soffocamento. «Comunque non potevamo abbandonare quei ragazzi al loro destino. Ci siamo fatti strada tra le canne e le radici degli alberi. Procedere ci risultava molto difficile, nonostante la nostra barca fosse più piccola della loro. L’acqua era scura e fangosa vicino alle sponde del canale. Si formavano delle pozze stagnanti. La puzza era qualcosa di incredibile, sembrava di essere in un mattatoio, con le
carcasse di animali morti lasciate a marcire al sole. Mio padre avrebbe voluto che lo aspettassi sulla barca, disse che sarebbe andato a piedi, ma io sapevo che se lo avessi lasciato da solo sarebbe morto». «Oh, Beau», sospirò Savannah, compassionevole. Era angosciata quasi quanto la guida. Subito Gregori la confortò e alleviò la sua preoccupazione, schermandole la mente e isolandola da quanto le accadeva intorno. Quella ragazza era come una spugna, faceva propri anche i traumi altrui. «Immagino che entrambi avessimo preso in considerazione l’ipotesi di non uscire vivi da lì», continuò Beau. Guidò sapientemente la barca attraverso il canneto. «Proseguimmo lo stesso. Era tutto nero. Non come se fosse notte, proprio nero. Mio padre accese la lampada e allora li vedemmo. L’imbarcazione di quei ragazzi si era spaccata in mille pezzi, come se qualcosa di enorme l’avesse attaccata. Stava affondando, era già quasi finita sott’acqua. Un ragazzo vi era rimasto aggrappato, ma c’erano schizzi di sangue dovunque. Non riuscimmo a raggiungerlo. Qualcosa, una creatura preistorica, venne fuori dalla palude. Aveva uno sguardo malvagio e la bocca spalancata. Non era un alligatore normale. Stava godendo nell’uccidere le sue vittime». In preda all’agitazione, Beau si passò una mano tra i capelli, guardandosi intorno. Gregori si irrigidì, attirando l’attenzione del capitano. I suoi occhi argentei catturarono lo sguardo della guida e lo tennero incatenato a loro. Beau si sentì subito calmo, tranquillo, protetto, sereno. La storia che stava raccontando divenne appunto solo quello, un’esperienza accaduta a qualcun altro. Gregori avvertì uno strano slittamento nella mente del suo interlocutore, come se fosse stata avvolta da un velo scuro, una reazione che aveva un che di programmato. Si concentrò e seguì quella traccia, la traccia del male, che conosceva bene. Riconobbe il tocco guaritore di Julian, gli incantesimi che aveva tessuto per evitare che l’ombra prendesse il sopravvento sull’anima del mortale. Beau La Rue era entrato in contatto con un vampiro. Era riuscito a scappare, ma non era rimasto illeso. Il lieve sussulto di Savannah nella sua mente ne tradì la presenza.
Gregori si ritrovò a sorridere dell’abilità con cui la sua compagna riusciva a entrare e uscire dalla sua testa: erano diventati davvero l’uno parte integrante dell’altra, al punto che non avrebbe più potuto stabilire dove finiva lui e iniziava lei. Aveva accesso ai suoi ricordi e al suo sapere. Più tempo trascorreva dentro Gregori, meglio apprendeva le lezioni che il tempo gli aveva impartito. Meglio di quanto tu creda. Savannah sembrava compiaciuta. Beau a quel punto era più rilassato: non certo la guida allegra di qualche ora prima, ma decisamente meno teso. «Non c’era niente che potessimo fare per aiutarli. Erano entrati nel territorio del mostro e quella bestia era in vena di divertirsi. Non cercò semplicemente di annegarli o di ucciderli. Li scagliò in aria e li fece a brandelli. Brandelli di corpi galleggiavano in acqua. La testa di una ragazza affondava e riaffiorava vicino alla sponda della palude. Mi ricordo i suoi capelli sciolti, come un ventaglio a pelo d’acqua». Gregori gli sfiorò una spalla. Va bene così. Non è necessario
richiamare alla memoria tutti i dettagli di quell’atrocità.
Beau scosse il capo e le vivide immagini che gli si affastellavano in testa divennero subito più sfocate. «Per un soffio non fece fuori anche noi. Ci raggiunse, grande come i coccodrilli del Nilo. Non voleva cibo, non stava proteggendo il proprio territorio, desiderava solo uccidere. Eravamo penetrati nella sua tana, nel suo dominio, mentre lui si stava divertendo, e questo lo aveva fatto arrabbiare. Mio padre gettò la lampada a olio in acqua e il canneto prese fuoco. Non ci voltammo indietro a guardare». «Sei stato molto fortunato», disse Gregori a bassa voce, una fresca e piacevole brezza. Le sue parole si infiltrarono nella mente di La Rue, nei suoi pori, e dissiparono l’inquietudine che lo stava affliggendo.
Potresti guarirlo, disse Savannah. È un mortale.
Puoi farlo lo stesso, insisté lei. Julian lo ha protetto, assicurandosi che la presenza velenosa non si diffondesse, tenendo l’incubo lontano, tu potresti proprio rimuoverlo. La smorfia severa della bocca di Gregori si addolcì, divenne quasi
un sorriso. Lo stava facendo di nuovo. Non c’era modo di persuaderla del fatto che lui non poteva fare tutto ciò che lei desiderava. Savannah lo dava per scontato. Gregori si portò una delle mani di lei alle labbra e le diede un bacio sul palmo. Ti amo, Savannah, le sussurrò, dolce come una carezza. Savannah si appoggiò contro di lui. Anche io, tesoro. Gregori si concentrò e ripulì la mente della guida, eliminando per sempre dalla sua memoria le tracce dell’incontro con quella disgustosa creatura, il non-morto. Non riuscì a rimuoverle del tutto però, perché erano ormai radicate nell’anima di quell’uomo; Beau aveva vissuto troppo a lungo in compagnia del ricordo di quell’esperienza. Tuttavia Gregori diede un’imbiancata alla sua mente, ne smorzò l’intensità, estrasse i resti del tocco malvagio del vampiro, la sua punizione per essersi immischiato, per la sua abilità nello sfuggire all’agguato. Gli incubi sarebbero spariti, il vivido orrore si sarebbe dissolto e la terribile paura che aveva caratterizzato fino a quel momento la vita di Beau sarebbe scomparsa per sempre. Gregori sospirò e si massaggiò i muscoli del collo, tesi per l’intenso sforzo compiuto. Rimuovere le tracce contaminate di un vampiro da un mortale, da qualsiasi mortale, era difficile; ci voleva moltissima energia. Ma incontrare lo sguardo luminoso di Savannah lo indusse a pensare che ne era valsa la pena. La sua compagna lo stava guardando come se fosse l’unico uomo sulla faccia della terra.
Tu sei l’unico uomo che mi interessi, gli bisbigliò lei dolcemente, e
quelle parole alleviarono il peso che gli opprimeva la mente. Il suono dell’antica litania curativa era melodioso, come la sua voce, bellissima e pura, in grado di sciacquare via l’orribile tocco della depravazione del vampiro. Per farsi strada tra i ricordi di Beau e guarirlo, Gregori aveva dovuto esaminare con attenzione ogni suo pensiero. Era dovuto penetrare negli orribili malefici del vampiro per scioglierne l’incantesimo e curare la guida dall’interno della sua stessa mente. Si ritrovò a stringere la mano di Savannah e all’improvviso si sentì pervadere da un senso di umiltà. Nessuno si era mai comportato in quel modo con lui prima di allora: nessuno si era preoccupato per lui, del suo benessere, nessuno lo aveva mai
guarito. Fu un’esperienza unica per il miglior guaritore tra tutti i carpaziani. «Ha portato Julian in quel posto?», chiese Gregori alla guida. Beau annuì. «Ci siamo andati diverse volte nel corso degli anni. Ma non abbiamo mai più incontrato quella creatura mostruosa». «Hai avuto le stesse sensazioni? Il territorio era ancora impregnato di malvagità?». Beau fece lentamente di sì con il capo, un lieve cipiglio gli corrugò la fronte. «Eppure sapevo che non era lì. Si sentiva il tanfo del male, ma non con la stessa intensità. E poi, insieme a Julian, provavo sensazioni diverse. Quando c’era lui ogni cosa era differente». «Differente?», gli fece eco Savannah. «In che senso?». Beau scrollò le spalle. «È difficile da spiegare, ma voi dovreste saperlo. Julian è come lui». Indicò Gregori. «È invincibile. Uomo o bestia, naturale o soprannaturale, niente poteva fargli del male. Quello era il tipo di sensazioni che provava chi stava insieme a lui». Savannah scambiò un breve sorriso d’intesa con Beau. Capiva alla perfezione che cosa intendesse dire la guida. «Pensi che l’alligatore sia ancora lì, dopo tutti questi anni? Magari è morto per cause naturali». «È ancora vivo e sta bene», rispose Beau. «Non credo però che stia sempre nello stesso posto. Penso che abbia un nuovo nascondiglio. Julian ha cercato di scovarlo. Abbiamo dedicato moltissimo tempo a dargli la caccia, ma non abbiamo mai scoperto il suo rifugio». «Ci sono stati avvistamenti recenti?», gli chiese Gregori. «Magari qualche diceria, lo sproloquio di un ubriaco? Oppure qualche strana sparizione?». Beau scrollò di nuovo le spalle, con la semplicità di chi accetta in tutto e per tutto la vita quotidiana del bayou. «Ci sono sempre strane sparizioni nella palude, odori inspiegabili, eventi misteriosi. Nessuno pensa si tratti di episodi insoliti. Nessuno crede più nel vecchio uomo-alligatore. È diventato una leggenda, una storiella spaventosa per terrorizzare i turisti. Ecco tutto». «Ma tu ne sai di più», disse Gregori a bassa voce.
Beau sospirò. «Sì, io ne so di più. So che è qui da qualche parte nella palude, ed è affamato. Sempre affamato. Non di cibo, ma di sangue. È questo il suo appetito, è questa la ragione che lo tiene in vita: il desiderio di uccidere». La Rue manovrò attentamente la propria imbarcazione e la ormeggiò. Gregori lo ringraziò e cercò di pagarlo. Quando la guida rifiutò, il carpaziano offuscò la sua memoria per qualche istante e gli mise una mazzetta di banconote nel portafoglio. Gli aveva letto nel pensiero, sapeva che aveva problemi economici ed era preoccupato per le condizioni di salute di sua moglie. Savannah afferrò Gregori per la tasca posteriore dei pantaloni mentre tornavano sui propri passi, verso luoghi più civilizzati. La Rue li richiamò. «Dove avete lasciato la macchina? Queste stradine sono pericolose dopo il tramonto». Gregori gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. Il suo sguardo era minaccioso, vi si riverberò la luce rossastra della luna. I suoi occhi assomigliavano a quelli di un lupo a caccia della propria preda. «Non preoccuparti. Non ci succederà nulla». Beau La Rue rise, allegro. «Non sono preoccupato per voi. Temo che qualcuno dei miei amici possa cercare di rapinarvi. Eventualmente, non fategli troppo male, ok? Basterà dargli una lezioncina di buone maniere». «Promesso», lo rassicurò Gregori. Fece scivolare un braccio attorno alla vita di Savannah. «Interessante la storia dell’alligatore». «Il vampiro se ne sta servendo come cane da guardia mentre si trova nella palude?», azzardò lei. «Forse», rifletté Gregori. Trasse un profondo respiro, come un predatore che segue le tracce della propria vittima. La fame lo attanagliava, era una lama affilata sempre in agguato, soprattutto quando consumava molte energie. C’era un gruppetto di uomini vicino a un grande albero lungo la strada: stavano bevendo birra e li guardavano avvicinarsi. Riuscì a sentire i loro occhi incollati a Savannah, ad avvertire l’odore della loro improvvisa eccitazione. Savannah fece un passo indietro, nascondendosi dietro di lui da quegli sguardi indiscreti. «Be’, e per quale altro motivo il vampiro
dovrebbe aver a che fare con l’alligatore? Perché mai dovrebbe fare la guardia al suo rifugio?» «Rifletti sulle tue stesse parole. Il “suo rifugio”. Il vampiro considera la palude il proprio rifugio. Se quell’alligatore è qui in giro da così tanto tempo, c’è solo una possibile spiegazione. Il vampiro dev’essere capace di mutare aspetto e di assumere le sembianze dell’alligatore. Si limita a sparire nel bayou e a terrorizzare la gente mentre aspetta che il cacciatore di turno se ne vada». «Ma se Julian ha vissuto qui per molti anni…», iniziò a protestare lei. Gregori scosse la testa. «Il tempo non significa nulla per un nonmorto. E ci sono molte altre paludi oltre questa, molte altre città da spaventare. Il vampiro cambia semplicemente posto, divertendosi altrove finché non è certo di poter ritornare qui senza correre alcun rischio». Il carpaziano si concentrò su quel piccolo gruppo di uomini. Riusciva a vederli distintamente. Poteva sentire i loro mormorii, il rumore della birra nelle lattine, lo scorrere del sangue nelle loro vene. Gli spuntarono le zanne. Si passò la lingua sugli incisivi appuntiti, sopraffatto dall’antico richiamo del nutrimento. Savannah gli diede uno strattone, costringendolo a fermarsi. «Non mi piace, Gregori. Andiamocene». «Resta qui». Le impartì quell’ordine in maniera brusca, il suo sguardo la oltrepassava, fisso sulla preda. «Vogliono attaccar briga con te», protestò lei. «Lasciali stare». Lui la afferrò per un braccio e inclinò la testa per guardarla dritto negli occhi. «Io sono fatto così, Savannah, meglio per te se ti abitui all’idea. Quei tizi pensano di costituire una minaccia per noi. Forse, se ce ne andiamo, un’altra coppia camminerà lungo questa stessa strada e noi non saremo qui a proteggerla. Si tratta di individui che vogliono mettere alla prova la loro forza, che vogliono intimidirci, rapinarci. Non si sono ancora messi d’accordo, ma hanno intenzione di farlo. Io ho bisogno di nutrimento e sento anche l’urgenza di soddisfare la tua fame. Ed è quello che farò». «Be’, allora vai», sbottò lei, allontanandosi da lui di scatto. «Ma
quegli individui mi danno il voltastomaco. Non voglio il loro sangue». Gregori la afferrò, la strinse fra le braccia e le poggiò le labbra sul collo, graffiandolo con i denti, indugiando sulla sua morbida pelle. «Sei così dolce, piccola mia, il tuo animo è talmente gentile. Per fortuna ci sono io al tuo fianco». «Questo è ciò che sostieni tu», esclamò Savannah, il suo corpo però si era fuso di propria iniziativa a quello di Gregori. Il carpaziano era fuoco e gelo, scariche elettriche ed eccitazione calda e bianca. Lui la spinse via e indirizzò i propri passi verso il gruppetto di uomini. A quel punto stavano confabulando, architettando un piano per attaccarli. Gregori si diresse verso di loro con andatura disinvolta. Quelli si aprirono a ventaglio, pensando di poter avere facilmente la meglio su di lui. «Qualcuno di voi conosce Beau La Rue?», chiese Gregori in tono sommesso, cogliendoli di sorpresa. Un uomo, alla sua sinistra, si schiarì la voce. «Sì, io lo conosco. E quindi?». Cercava di comportarsi in maniera aggressiva. A Gregori sembrò solo giovane e spaventato. «Sei un suo amico?». A quel punto la voce del carpaziano scese di un’ottava, catturandolo, intrappolandolo, tessendo un incantesimo di magia nera. L’uomo si sentì obbligato a rispondergli, a dirigersi verso di lui, allontanandosi dalla schiera protettiva dei suoi amici. «Sì. C’è qualche problema?», sbottò, spingendo in fuori il petto. Gregori sorrise, mostrandogli i denti bianchissimi. I suoi occhi risplendettero di una luce calda e strana nel buio della notte. Venite qui e permettetemi di nutrirmi. Inviò il suo richiamo, che avvolse quei ragazzi e li spinse ad avvicinarsi a lui. Bevve il sangue di quattro di loro, soddisfacendo la propria sete e saziando il proprio violento appetito. Non fu particolarmente gentile e fece cadere le sue vittime per terra, senza prestar loro la benché minima assistenza. Impiantò nella loro memoria il ricordo di un combattimento, uno contro tutti. Quei tizi erano doloranti e abbattuti. Si era riservato l’amico di La
Rue per ultimo, per Savannah. Nutrendosi, stette molto attento, assicurandosi che quel tale sentisse la necessità di ringraziare Beau La Rue. Gli doveva un favore per avergli risparmiato la dura sorte che era toccata agli altri. Gregori non diede a Savannah modo di protestare per il fatto che lui la stesse nutrendo. Le ordinò di essere obbediente e lei sbatté le palpebre sugli occhi vitrei prima di rendersi conto di quel che stava facendo. A un certo punto però il carpaziano vide la sua consapevolezza risalire a galla, un ardente calore che annunciava l’imminente ribellione. Lo spinse via. «Imbecille». Una sola parola. Avrebbe dovuto ferirlo, invece a Gregori scappava da ridere. Le prese la testa fra le mani e la abbracciò stretta, in un’esplosione di gioia. Tutt’intorno a lui c’era vita. La notte era loro. Sollevò Savannah e, stringendola forte, spiccò il volo. Gary quasi svenne quando la coppia si materializzò sul terrazzo della sua stanza. Aprì le porte scorrevoli e li fece entrare. «Ma siete pazzi? Chiunque potrebbe vedervi qui fuori. Tutte le altre camere si affacciano su questo cortile interno». Gregori gli passò accanto e gettò Savannah sul letto, senza tante cerimonie. Lei cercò debolmente di colpirlo, poi si rigirò su se stessa per osservarlo mentre attraversava la stanza a grandi passi per raggiungere Gary. «Nessuno può vederci se non vogliamo», spiegò paziente il carpaziano, cercando di distogliere lo sguardo dal perfetto didietro di Savannah. «Hai trovato la lista di nomi di cui abbiamo bisogno? Quella delle persone di cui sospettano i membri della società segreta?» «Il direttore mi ha permesso di usare la stampante», fece Gary, tendendo a Gregori la lista. «Ehi, Gary», disse Savannah, «vuoi partecipare anche tu a una caccia al vampiro?». Gregori si girò per fulminarla con il suo scintillante sguardo argenteo. Non cominciare. Usava la bellezza della sua voce come un’arma, irresistibile e ipnotica. Savannah sbatté le palpebre, poi gli sorrise dolcemente. «Davvero,
Gary. Ho letto qualcosa su quei depliant turistici. Non credi che New Orleans sia il posto perfetto per cercare quei tipi della società segreta? Questo dovrebbe essere il genere di cose a cui potrebbero interessarsi». «Una caccia al vampiro?», le fece eco Gary, incredulo. «Davvero?» «Ho la brochure a casa». Savannah evitò attentamente lo sguardo furioso del suo compagno. Fece di nuovo quel suo sorriso speciale, quello che faceva impazzire Gregori, che lo sconvolgeva, che gli faceva scogliere il cuore. Quella ragazza portava guai. Non aveva alcun dubbio in proposito. Credo che tu abbia bisogno di una bella sculacciata. Savannah sorrise, compiaciuta. Ho detto che sarei stata disposta a
provare qualsiasi cosa almeno una volta, tesoro, ma credo sia meglio aspettare di essere da soli, non trovi? «Mi sta prendendo in giro?», domandò Gary a Gregori. «C’è davvero una caccia al vampiro per turisti?» «Credimi, mortale, se ci fosse una cosa del genere, lei ne sarebbe al corrente», ammise Gregori. «Temo che stiamo per farci trascinare in qualcosa che rimpiangeremo». «Non lo rimpiangerai», replicò svelta Savannah, mettendosi a sedere. I suoi occhi blu avevano assunto sfumature di un intenso violetto, e quelle misteriose pagliuzze avevano cominciato a splenderle nelle pupille. «Potremmo andarci domani notte. Scommetto che sarà divertente. Comincia alle otto davanti il Lafitte’s Blacksmith Shop. Gli organizzatori provvedono anche all’aglio e ai paletti. Dài, facciamolo, Gregori». Le lunghe ciglia si abbassarono e nascosero la sua espressione, poi quell’esasperante sorriso fece in modo che tutta l’attenzione si concentrasse sulla sua bocca. «Si potrebbero raccogliere informazioni utili. Dopotutto, questi qui devono essere dei professionisti». Gregori sentì una risata salirgli alle labbra da qualche parte nel profondo dell’anima. I suoi occhi chiarissimi divennero due pozze di argento vivo. «Credi davvero che quei tizi potrebbero essermi d’aiuto?». Savannah annuì solennemente. «C’è scritto sulla brochure: “niente
ubriachi”. Vuol dire che sanno cosa stanno facendo, non credi?» «E che altro c’è scritto?», chiese Gary, curioso. Savannah gli rivolse un sorriso malizioso. «Be’, in effetti, c’è scritto che si tratta solo di un gioco. Si fanno delle passeggiate e nel frattempo le guide ti raccontano delle storielle. Storia vera mista a miti e leggende». Potremmo davvero imparare qualcosa, Gregori. Non puoi escluderlo a priori. Nella sua voce c’era una debole nota di speranza, che lei cercò disperatamente di tenergli nascosta. Gregori coprì subito la distanza che li separava e le mise una mano sulla guancia, accarezzandole delicatamente lo zigomo con il pollice. Perché sei sempre così insicura, Savannah? Lo sento, lo so,
immagini che io ti consideri una sciocca, visto che vuoi fare la turista.
Savannah ridacchiò, sensuale. Mise la propria mano su quella di Gregori. «Io sono dentro di te, amore», disse dolcemente. «Ti leggo nel pensiero con la stessa facilità con cui lo fai tu e so che sei convinto che il novanta percento delle cose che voglio fare siano sciocchezze». «Be’, più che altro penso che darti il permesso di fare tutto ciò che vuoi sia sciocco». Lei trasalì visibilmente. «Sarebbe meglio che usassi di meno la parola “permesso”. Inoltre, mi devi ancora una notte senza problemi». «Avete avuto qualche guaio stanotte?», chiese Gary. «No, nessun problema». Gregori era evidentemente perplesso. «Fai sempre l’attaccabrighe. Dovunque andiamo, non riesci mai a trattenerti», lo accusò Savannah, indignata. «Anche stanotte sei stato coinvolto in una rissa». «Hai avuto un alterco con qualcuno?». Gary era sorpreso. «No, assolutamente no», negò Gregori. «Abbiamo incontrato un gruppo di uomini che volevano rapinarci e quindi ho dato loro una lezione. Non c’è stata nessuna rissa. Ho solo tirato un paio di pugni, a quest’ora saranno tutti in ospedale». I suoi denti bianchissimi scintillarono e gli occhi del colore dell’argento brillarono di una luce che suggeriva non soltanto pericolo, ma anche una punta di
divertimento. «Comunque sia, hanno solo pensato di aver bisogno di un ospedale. Non c’è niente che non vada in loro. Per fare una cortesia a Savannah sono stato abbastanza delicato. Cosa che, a quanto pare, non ha apprezzato». «Avrei apprezzato di più se fossimo usciti e ci fossimo comportati come persone normali». «Io mi sono comportato come mi comporto normalmente, cara», le ricordò lui, gentile. «Credevo stessimo parlando di andare a fare la caccia al vampiro domani notte», li interruppe Gary ridacchiando. Gregori prese dalle mani del ragazzo la lista di nomi e le diede una rapida occhiata, imprimendosene il contenuto nella memoria prima di restituirgliela. Per un attimo il suo sguardo argenteo rimase incollato al viso di Gary, freddo e inquietante come se fosse perso nel vuoto. Gary rabbrividì, il carpaziano sbatté le palpebre e quella sensazione svanì. Jansen si chiese quale fosse in realtà il vero aspetto dei suoi occhi, se fosse più reale il calore che li illuminava in qualche occasione oppure l’abisso freddo e inanimato che riflettevano ogni tanto. Savannah balzò giù dal letto, lanciò a Gary uno sguardo luminoso, e prese Gregori a braccetto. «Ci vediamo domani sera alle otto davanti al Blacksmith Shop, lì, al bar». «Io devo tornare a lavorare», obiettò Gary. «Perderò il posto». «Non puoi tornare a casa», disse Gregori in tono sommesso. «Nel momento stesso in cui hai detto a Morrison che avresti chiamato la polizia, nel momento stesso in cui lo hai accusato di aver modificato la tua formula, hai determinato il tuo destino. Ti farà inseguire dai suoi scagnozzi, guidati solo dall’impulso di uccidere. Morrison è il vampiro capo – ormai lo sappiamo – e tu lo hai sfidato». «Io non merito le sue attenzioni». «Il potere è tutto per un vampiro», disse Savannah a bassa voce. «Ti darà la caccia con ogni mezzo a sua disposizione. La tua fuga lo inasprirà, lo farà impazzire. E poi sa che io ero insieme a te nella palude. E adesso ha capito che c’era anche Gregori. Non può prendersela con noi, ma pensa che se riuscisse a prendere te,
potrebbe in qualche modo sconfiggere anche Gregori». Il carpaziano annuì, sorpreso dall’abilità che Savannah stava dimostrando nell’interpretare gli eventi. Gary era molto più in pericolo di quanto non pensasse. «Hai fatto qualche chiamata da questa stanza? Hai dato il tuo indirizzo a qualcuno, magari alla tua famiglia?». Gary scosse la testa. «No, stavo per chiamare la compagnia aerea per chiedere se era possibile cambiare il mio biglietto con quello per un volo successivo. E domani avrei dovuto telefonare al mio capo. Rischio il licenziamento, Gregori, e non mi piace per niente. Se anche dovessi finire a lavorare per te, ho comunque una reputazione da salvaguardare». Strisciò le punte delle scarpe su un angolo consumato del tappeto. «Mi piace la ricerca. Non voglio rimanere incastrato in un lavoro che odio a causa di tutta questa situazione». Gregori prese il computer di Gary e aprì il programma di videoscrittura. Savannah lo guardò sorpresa, mentre le sue dita ticchettavano veloci sulla tastiera. Stava digitando un lungo elenco di nomi e aziende. «Scegli dove preferiresti lavorare. Mi considero fortunato ad averti tra i miei. Nel frattempo, ti darò dei contanti. Non voglio che riescano a rintracciarti». «Non hai neanche visto il mio curriculum», obiettò Gary. «Non voglio la tua carità». Negli occhi argentei di Gregori passò un lampo di divertimento. «Ho sperimentato la tua formula sulla mia pelle, Gary. Mi sembra una prova sufficiente del tuo genio. I membri della società segreta hanno avuto accesso a quel sangue prima di te, eppure nessuno di loro è riuscito a elaborare qualcosa che funzionasse». «Be’, fantastico, ho avuto io questo discutibile privilegio. Un giorno potrai presentarmi ai tuoi amici e dire: “Ehi, lui è l’unico a essere riuscito a creare un veleno in grado di uccidere la nostra gente”». Gregori a quel punto scoppiò a ridere, un suono roco, puro, bellissimo da ascoltare. Una melodia che illuminò il cuore di Gary, dissipando le nubi che vi si erano addensate. «Non avevo mai considerato quest’evenienza. Potremmo scatenare delle reazioni
interessanti». Gary si ritrovò a sorridere impacciato. «Be’, sì un linciaggio in cui io sarei l’ospite d’onore». «Presto avremo un antidoto», gli ricordò Gregori a bassa voce. «Non c’è alcun bisogno di preoccuparsi». «Se avessi qui tutte le mie apparecchiature potrei elaborarne uno all’istante», disse Gary. «Mi assicuro sempre di poter ottenere l’effetto opposto di qualsiasi reazione chimica inneschi. Non sarebbe difficile scoprire in che modo hanno alterato la mia formula originaria. In effetti, forse potresti avere ancora dei postumi». Quel ragazzo sembrava talmente speranzoso che Savannah scoppiò a ridere. «Lo scienziato pazzo ti inseguirà con il suo ago ipodermico, Gregori», scherzò. Il carpaziano inarcò un sopracciglio: il volto era una maschera indecifrabile, e nei suoi occhi chiari brillò qualcosa, un lampo più che minaccioso. Snudò i denti bianchissimi, che mandarono un bagliore. «Forse no», concesse Gary. «Dopotutto, non è una grande idea». Savannah si era alzata e si era andata a incastrare con quella sua sensuale eleganza di movimenti tra le braccia di Gregori. Sembrava incredibilmente piccola a confronto del grande e grosso carpaziano, delicata, persino fragile. Non tanto per il peso di Gregori, quanto per i suoi muscoli possenti, per le braccia voluminose e il petto massiccio, per il potere che emanava. Savannah, per nulla intimidita, sollevò il viso per guardarlo e gli angoli della bocca le si curvarono in un sorriso. Gregori la abbracciò e la strinse a sé, avviluppandola fino a farla quasi scomparire. «Pensa che la porterò a questa ridicola caccia al vampiro». «E ha ragione, vero?». Gary gli sorrise. «Sfortunatamente sì», ammise Gregori. «Hai abbastanza cibo per resistere fino a domani notte? A quel punto avremo elaborato un piano d’azione». Lasciò una mazzetta di banconote sul comodino, facendo in modo che Gary non se ne accorgesse. «Che piano d’azione? Che cosa possiamo fare? Non possiamo
metterci contro l’intera società segreta». «Pensavo che potremmo servirci di te come esca e attirarli in una trappola», fece Gregori, impassibile. Gary sgranò gli occhi, allarmato. «Non sono sicuro che mi piaccia il tuo piano. Mi sembra un po’ troppo rischioso». Rivolse un’occhiata a Savannah in cerca di sostegno. Gregori scrollò le larghe spalle con aria noncurante. «Non vedo che rischio ci sarebbe». Savannah gli diede un pugno nello stomaco in segno di protesta. Gregori la fissò stupito. «A questo punto dovrei dire “ahi”?». Savannah e Gary emisero un lungo, triste lamento. «Perché ho desiderato che avesse un po’ di senso dell’umorismo?», si chiese lei. Gary scosse il capo. «Non chiederlo a me. Sei stata tu a creare il mostro». «So che non sarei in grado di stare fra la calca di umani a Preservation Hall», esclamò Gregori all’improvviso, «ma forse potremmo sentire un po’ di musica dalla strada. Potresti allontanarti per qualche ora da questa stanza e poi forse, considerando la violenza della tempesta, alcuni turisti potrebbero aver deciso di restarsene in casa». Gary colse al volo l’opportunità di mettere il naso fuori dalla sua camera. «Andiamo». Savannah rimase perplessa e strinse il braccio di Gregori. «Sarà al sicuro?». Bambina, non riesco a credere che tu stia mettendo in dubbio la mia abilità di proteggere sia te che il mortale.
Il mortale? Quel ragazzo ha un nome. E potrebbe essere facilmente ucciso, a differenza di noi. Lo sguardo di Gregori vagò sul suo viso. Sollevò una mano per accarezzarle una guancia, sfiorandogliela con il pollice. «Non permetterei mai che Gary corresse il benché minimo pericolo. Non può vivere il resto della sua vita nascondendosi».
Avrei dovuto proteggere Peter. Se non fosse stato per me, adesso
sarebbe vivo e vegeto. La voce di Savannah era arrochita dal dolore,
le lacrime non versate le offuscavano la mente.
Sono io l’unico che dovrebbe sentirsi in colpa per la morte di Peter, piccola mia. Rintracciare la presenza del vampiro era una mia responsabilità. Non ho provato alcuna emozione per così tanto tempo, per così tanti secoli, che quando ho assistito al tuo spettacolo e ti ho vista, i colori mi hanno quasi accecato. Sono stato sopraffatto da un mare di sensazioni. Stavo cercando di arginarle e di riprendere il controllo. Quella è stata la prima e unica volta nella mia vita in cui ho fallito e non ho individuato un vampiro. La morte di Peter è una mia responsabilità e dovrò imparare a conviverci. Si accorse subito che lei non era d’accordo, che sarebbe subito scattata a difenderlo. Bastò quella sensazione a confortarlo come nient’altro avrebbe potuto. Uscirono dall’hotel e attraversarono le strade bagnate di pioggia, mescolandosi alla folla che, diversamente da quanto si erano aspettati, riempiva le vie della città; Gregori continuava a pensare al modo in cui Savannah lo faceva sentire. Era sempre molto controllato – era indispensabile, viste la sua potenza e la sua natura predatoria – eppure lei lo mandava su di giri. Il carpaziano abbassò lo sguardo, lo posò sulla serica chioma della compagna e sentì un’ondata di emozioni sovrastarlo, sopraffarlo. Gli bastava guardarla per provare immediatamente una sensazione di pace e calore. Si ritrovò a godere della musica ad alto volume, persino della follia dei turisti che ridevano e si accalcavano per strada e sui marciapiedi. Fusi l’uno nell’altro, Gregori riusciva a sentire quello che sentiva Savannah: spensieratezza, divertimento, l’acuto interesse che lei nutriva per tutto e tutti coloro che la circondavano. Parlava alla gente con disinvoltura, la teneva in pugno con la stessa semplicità con cui aveva catturato lui. Quando tornarono a casa, dopo aver riportato Gary in albergo, Gregori abbracciò Savannah. «Sei tutto il mio mondo», le sussurrò dolcemente, convinto delle proprie parole. Savannah gli appoggiò la testa sul petto, inalando il suo odore virile. «Grazie per avermi portata fuori stasera. Lo so che è dura per te stare in mezzo agli umani, ma io ho trascorso gli ultimi cinque
anni della mia vita insieme a loro. Più tempo di quanto abbia trascorso a contatto con uno qualsiasi dei miei simili». «È stato arduo», ammise lui. «Ma io voglio darti quello che desideri, Savannah. Anche se per me è difficile comprendere che tu possa aver bisogno di stare in loro compagnia». «Tu sei sempre stato un tipo solitario», disse lei a bassa voce, «mentre io, da quando ho lasciato casa, mi sono sempre circondata di umani». Gregori le diede un bacio sulla tempia, poi le sfiorò con le labbra le palpebre e la bocca. Baciandola, la prese in braccio e la strinse forte a sé. Salì le scale e la portò in una delle stanze da letto. Fece l’amore con lei in maniera tenera, gentile, incredibilmente rispettosa, mostrandole con il proprio corpo quanto non era in grado di esprimere a parole.
Capitolo 17 Il Lafitte’s Blacksmith Shop era un locale buio e misterioso, lo sfondo perfetto per dare inizio a quella strana e divertente avventura. Savannah scoppiò a ridere quando una coppia di individui del posto scosse la testa, vedendo quel branco di stupidi turisti che si affollavano nella taverna per prendere parte alla caccia al vampiro. Riuscì a sentire l’intimo trasalimento di Gregori, il suo incoercibile desiderio di dissolversi e diventare invisibile; eppure il carpaziano rimase lì, cupo e serio. Per via della sua impressionante corporatura e della potenza delle sue ampie spalle attirava su di sé tutti gli sguardi. La sua espressione era stoica e impassibile, ai suoi occhi, irrequieti e impietosi, non sfuggiva nulla. All’interno dei bui locali del bar, la speciale visione notturna tipica della loro razza costituiva senza dubbio un vantaggio. Gary stava lì accanto, sorpreso di quanti turisti avesse attirato la prospettiva di una caccia al vampiro. Savannah gli scoccò un’occhiata. «Siamo qui per divertirci, Gary. Non cominciare a comportarti con me come fa Gregori. Un brontolone al seguito mi sembra più che sufficiente». Gary le si fece più vicino. «Se la smettessi di leggere nel pensiero altrui per tutto il tempo e di ficcare il naso in giro, forse non ti arrabbieresti così tanto». «Non ti stavo leggendo nel pensiero», obiettò Savannah, con aria offesa, la bocca carnosa atteggiata a una smorfia molto sexy. «Ce l’avevi scritto in faccia». Per Gregori le cose si stavano facendo davvero difficili. I maschi carpaziani difficilmente permettono ad altri uomini di avvicinarsi alle loro compagne per la vita, di certo non ad altri uomini single. Odiava la pressione di tutti quei corpi. Savannah attraeva i membri del sesso opposto così come il miele attira le api. Tutti si giravano, sguardi appassionati la seguivano mentre si faceva strada attraverso la folla, dirigendosi alla stanza sul retro dell’edificio. Savannah trasudava sensualità. Persino in una stanza piena di gente, così tanta che in molti erano rimasti senza posto a sedere, quella donna faceva sentire gli uomini come se ci fosse stata solo lei lì dentro. L’ambiente,
debolmente illuminato dalle fiammelle tremolanti di qualche candela, aveva un’atmosfera densa di mistero, di cui quella ragazza era parte integrante. Inevitabilmente qualcuno la riconobbe; era sempre così. Gregori anzi si sorprese del fatto che la stampa non avesse scoperto che Savannah era in città e non avesse presidiato tutte le attrazioni turistiche in attesa che lei andasse a visitarle. Quando la prima ondata di fan li travolse, pressandoli e cercando di avvicinarsi il più possibile a Savannah, il carpaziano sospirò. D’istinto si piazzò tra lei e la folla. Stai per scatenare una sommossa. Savannah firmò diversi autografi, un’impresa piuttosto ardua con Gregori che si comportava come se fosse la sua guardia del corpo. Gary le faceva muro dall’altro lato, conscio del lampo minaccioso che brillava negli occhi argentei del carpaziano. Savannah non prestò attenzione a nessuno dei due; fu invece carina e amichevole e si mise a chiacchierare con la gente che la fermava. Arrivò la guida e calò il silenzio. Era un tipo che faceva un certo effetto: aveva una lunga e spessa treccia, un bastone da passeggio e un aspetto molto teatrale. Gregori inarcò un sopracciglio all’indirizzo di Savannah, ma anche lei era rimasta affascinata da quell’individuo. Questi accese una candela, fece una pausa drammatica che tenne il pubblico con il fiato sospeso, poi iniziò un discorso sul pericoloso viaggio che stavano per intraprendere. Chiarì subito che i bevitori non erano i benvenuti e sottolineò il fatto che si trattava di un’esperienza non adatta ai bambini piccoli.
È bravo, questo tipo, sussurrò Savannah a Gregori. Cattura l’attenzione degli spettatori e la mantiene sempre viva. Un ottimo animale da palcoscenico. È un imbroglione.
Non è tenuto a essere sincero, Gregori, lo rimproverò lei. Ci stiamo solo divertendo. Tutti sono qui per divertirsi. Se preferisci non venire, ci vediamo più tardi. Non c’è nulla di realmente pericoloso. Non incontreremo nessun vampiro. Al diavolo, no che non ci vedremo più tardi. Se dovessi allontanarmi, tutti gli uomini che ci sono in questa stanza si
accalcherebbero intorno a te. Gregori si accorse dell’esatto momento in cui due membri della società segreta entrarono nel Lafitte’s Blacksmith Shop. Sentì l’oscuro impulso di uccidere che li animava, capì che erano in cerca di un obiettivo. Esaminò l’oscuro interno del bar. Il vampiro era vivo e vegeto e il suo tenebroso esercito si stava schierando per obbedire ai suoi ordini. Nessun altro avrebbe potuto sapere che loro erano lì. Gregori sospirò. Prima di quel momento non aveva realizzato quanto fosse importante per lui soddisfare la richiesta di Savannah di trascorrere una notte fuori. Una sola notte senza incidenti di percorso. Seguì il gruppo oltre la porta e fece cadere il denaro sul palmo della mano della guida, pronto a ricevere la quota di partecipazione. Savannah era vicina a lui, Gregori la teneva da dietro per i fianchi. Tre adolescenti stavano flirtando con lei, la sua risata fece girare i presenti e catturò subito le attenzioni della guida e dei due membri della setta. Gregori li osservò cambiare direzione e cercare di farsi strada tra la folla per raggiungerla, senza tuttavia riuscire nell’intento. Il carpaziano si concentrò su quei due, fece in modo che il loro impulso di uccidere perdesse forza, annebbiò le loro menti in modo tale che si sentissero catturati dallo spirito della caccia al vampiro. Savannah si ritrovò con un paletto appuntito in mano: la guida le rivolse un sorriso cospiratorio. Cominciarono a camminare per le vie di New Orleans a passo svelto e nel frattempo la folla di gente formò una lunga fila. La guida si fermò davanti a una casa, si appoggiò alla recinzione e cominciò a recitare una drammatica storia d’amore e di morte. Fu un narratore davvero brillante: mescolò realtà e melodramma e ne venne fuori un racconto credibile. Gli occhi blu di Savannah brillarono. Mentre tutti si affrettavano a seguire a passo svelto la guida, lei si chinò e cominciò a gingillarsi con i lacci della scarpa. Gregori si accorse che aveva rallentato e si fermò ad aspettarla. Savannah gli sorrise, quel sorriso sexy e misterioso che gli irrigidiva le membra e gli faceva scoppiare mille piccole bombe nel cervello. I capelli le scivolarono sulla spalla come una cascata di seta.
Quello spettacolo gli fece mancare il fiato. Mentre lei si sistemava la scarpa, i due tipi della società segreta la raggiunsero. Savannah si raddrizzò e un altro dei suoi incredibili sorrisi le curvò gli angoli della bocca. «Di dove siete?». La sua voce era bellissima e pura, un concentrato di musica e seduzione. «Io mi chiamo Savannah Dubrinsky. Vi state divertendo?». I due furono immediatamente presi al laccio da quel tono ipnotico. Gregori sentì i loro cuori perdere un colpo per la sorpresa e poi cominciare a battere a un ritmo frenetico. Gli occhi blu di Savannah, quelle pupille al centro delle quali brillavano migliaia di pagliuzze argentee, catturarono i loro sguardi. «Randall Smith», rispose entusiasta il più basso dei due. «Sono venuto a vivere qui diversi mesi fa. Sono originario della Florida. E questo è John Perkins. Anche lui viene dalla Florida». «Siete venuti a festeggiare il martedì grasso, vi siete divertiti e avete deciso di rimanere?», domandò Savannah. Che diavolo pensi di fare? Mio dio, amore, finirai per farmi perdere la testa. Ti proibisco di continuare a comportarti così. Savannah si mise a camminare fra i due, disinvolta, gli enormi occhi sgranati per l’interesse che quei tizi suscitavano in lei. Gregori sentì la belva che covava dentro di lui alzare la testa e ruggire, ansiosa di essere liberata. L’alone rosso cominciò ad allargarsi e la fame lo travolse. «Siamo venuti qui ad aiutare un nostro amico», ammise Randall. Le tempie avevano preso a pulsargli, per cui cominciò a massaggiarsele. La testa gli faceva male: credeva che avrebbe potuto esplodergli da un momento all’altro. Savannah gli si fece ancora più vicina, continuando a tenerlo prigioniero con lo sguardo. La fila si fermò di nuovo e la guida riprese il racconto sui fantasmi e i misteri insoluti. La sua voce incantava l’uditorio, irretito dal fascino di quelle storie e dall’ammaliante illusione creata dal buio della notte. Randall si sentì annegare negli abissi degli occhi di Savannah, come se la luce di cui risplendevano l’avesse catturato per sempre. Le avrebbe dato qualsiasi cosa, tutto. Razionalmente sapeva che non avrebbe dovuto, ma il battito accelerato del suo cuore e la sua anima inquieta lo
costrinsero a rivelarle ogni suo pensiero. «Apparteniamo a una società segreta», le mormorò a voce così bassa che solo i due carpaziani riuscirono a sentirlo. Non voleva che il suo compare sapesse che stava tradendo la setta. Sentiva un bizzarro ronzio nel cervello, come se avesse uno sciame di api nella scatola cranica. Cominciò a sudare freddo. Savannah lo sfiorò appena, toccandogli il braccio con la punta delle dita. Strano, bastò quel contatto ad alleviare per un momento il cerchio che aveva alla testa e a fargli respirare una boccata d’aria fresca. Lei gli sorrise e Randall sentì un brivido di eccitazione corrergli lungo la schiena, un impeto di desiderio e di passione talmente intenso che avrebbe voluto inginocchiarsi ai piedi di quella ragazza. «Interessante. Ma non è pericoloso?». Savannah inclinò la testa, un’innocente seduzione per attirare Randall ancora più vicino a sé. L’uomo era conscio di quanto fosse sottile la vita di lei, di quanto fossero sodi i suoi seni e carnose le sue labbra. Non aveva mai desiderato qualcosa così intensamente in vita sua e lei lo stava guardando con quegli occhi grandi, che avevano messo a fuoco solo lui, per i quali esisteva solo lui. Randall deglutì. «Molto pericoloso. Andiamo a caccia di vampiri, per davvero, non come stiamo facendo adesso durante questa stupida escursione». La bocca perfetta di Savannah formò una piccola O. Aveva delle labbra bellissime, morbide come petali di rosa, umide, un po’ imbronciate, tutte da baciare. Savannah, adesso smettila. Questo tizio è pericoloso, che tu ci creda o no. La sua mente trasuda l’odore del vampiro. Voglio scoprire dov’è Morrison.
Ho detto di no. Gregori si allungò e la prese per i fianchi,
allontanandola con uno strattone da quei due e facendole schermo con il proprio corpo. Non mi servirò della mia compagna per
scovare il non-morto. Potrebbe comunque risalire a te. Non c’è altra scelta: devo far fuori questo individuo.
Savannah impallidì visibilmente, le sue lunghe ciglia si abbassarono e nascosero l’espressione dei suoi occhi. Perché non lo
guarisci come hai fatto con il capitano della barca? Non posso guarire una creatura la cui essenza è malvagia. Con la punta delle dita le sfiorò la pulsante vena del polso. È un servo del vampiro, Savannah, lo sai bene anche tu. Lo hai capito nel momento stesso in cui gli hai letto nel pensiero. Così come tu puoi seguire le tracce del non-morto, lo stesso può fare lui con te. E lui è senz’altro più bravo. Non posso permetterti di correre un rischio simile. Randall si avvicinò a loro, schiavo dell’ossessione che lo guidava. Percepiva la mano che stringeva il polso di Savannah come qualcosa di malvagio, le spire di un serpente che la trascinavano lontano da lui, lontano da dove era giusto che stesse. Gregori si concentrò sul suo compare, John Perkins. La sua mente era più forte di quella di Randall Smith. Il vampiro aveva più presa su di lui, come se Perkins fosse stato a stretto contatto con il nonmorto per un lungo periodo. Osservava Savannah, sospettoso. Gregori riuscì senza la benché minima difficoltà a rintracciare un sentimento di oscura lussuria, di gelosia, per il fatto che lei avesse scelto di prestare la propria attenzione a Randall e non a lui. Perkins sentì una stretta alle viscere: l’impulso del vampiro era già all’opera nella sua mente depravata. Morrison era bravo a scegliere coloro che lo avrebbero servito. Uomini malvagi, di indole maligna, senza amici o parenti, depravati e affamati di violenza. Li mandava in avanscoperta fra i curiosi, quelli come Gary, fra la gente sveglia, dotata di un fine intelletto e bendisposta verso il paranormale. Persone isolate per via della propria spiccata intelligenza e della propria apertura mentale. Il vampiro era in grado di servirsi anche degli uomini più capaci, seducendoli con false speranze e ingannevoli promesse, usandoli per le proprie ricerche e come galoppini per le folte legioni di loro schiavi. Gregori sospirò. Lui era fatto così. Il senso di colpa non poteva far parte della sua esistenza. Aveva la responsabilità della prosecuzione della sua razza e dell’incolumità di Savannah. Si fece strada nella mente di John Perkins, aggirò in controllo del vampiro e vi piantò i semi della distruzione. La sua presa sul polso di Savannah si fece più stretta e il carpaziano affrettò il passo per aumentare la distanza tra i
membri della setta e la sua compagna per la vita. La guida si fermò ancora una volta e cominciò a narrare un racconto di dissolutezza e di morte. La folla era silenziosa, catturata dall’interessante storia della città. Gregori insinuò Savannah tra la gente, facendole scudo con il proprio corpo e proteggendola dall’incombente minaccia di violenza. Fuori, sulla strada, John Perkins lanciò una malevola occhiata a Randall Smith. «Devi sempre mandare tutto a monte, Smith. Vuoi essere il solo a parlare con Morrison. Sono io che lo conosco meglio, eppure l’unica cosa che ti interessa è dimostrare che sei tu il pezzo grosso». «Di che diavolo stai parlando?», domandò Randall, cercando disperatamente con lo sguardo Savannah tra la folla. Gregori la stava proteggendo: aveva creato un alone che rendeva impossibile rintracciare nella notte la presenza della sua compagna. Randall allungò il collo, nel tentativo di guardare oltre Perkins, in modo tale da non farsi ostacolare da lui. Il cuore gli batteva a un ritmo forsennato, il suo unico pensiero era ritrovare Savannah. «Che stai facendo, Gregori?», gli chiese lei a bassa voce. Gary sgomitò tra la ressa di turisti finché non riuscì a raggiungere il carpaziano. Era rimasto ipnotizzato dal racconto della guida così come gli altri. Studiò attentamente l’edificio, rapito dalla sua storia di intrighi sentimentali, di incendi e di morte. Gregori chinò il capo bruno su Savannah. «Non posso fare altro che metterti al riparo dalle minacce. Il vampiro segue una traccia che parte dalla mente di quel tipo e conduce dritto a te. È una trappola, piccola mia, e non possiamo correre il rischio di cadervi». «La verità è che non vuoi che vi cada io», disse lei. Perkins strattonò Randall talmente forte da far rovinare il compagno per terra, in mezzo alla strada. Randall sbottò in un elenco di oscenità, disturbando il racconto della guida. Questi si interruppe per conferire alla storia un maggiore effetto drammatico, emise un sospiro e si diresse lentamente verso i due contendenti. Gary aveva notato che alcune auto di pattuglia della polizia
perlustravano spesso quella zona e si chiese se si trattava di una gentile concessione alla loro guida. Probabilmente questi aveva persino a disposizione qualche segnale in codice per avvertirli nel caso si fosse verificato qualche problema. Prima che la guida raggiungesse i due uomini, Perkins tirò fuori una pistola. Tutti i presenti rimasero subito di ghiaccio. «Sei un traditore. Ci stai tradendo tutti!», urlò l’uomo armato; il suo viso era una maschera deforme di rancore e furia. L’oscuro impulso di uccidere si era impossessato di lui e di Randall, che reagì sguainando la propria arma da fuoco. La folla si disperse in tutte le direzioni, mettendosi al riparo, nascondendosi dietro le macchine parcheggiate, saltando dall’altro lato della recinzione dell’edificio. Si sollevarono grida selvagge e nell’aria si addensò una coltre di paura. Gregori spinse Savannah verso Gary, dietro la relativa protezione offerta da un muretto di mattoni. Lui rimase in piedi sul marciapiede, osservando il dramma che si svolgeva davanti ai suoi occhi. La guida, evidentemente combattuta tra la necessità di salvaguardare la propria incolumità e quella di proteggere i turisti, esitò. Gregori fece un cenno con la mano e alzò una barriera tra quell’uomo e qualsiasi proiettile vagante. I due membri della società segreta, in preda a una furia cieca, si scatenarono l’uno contro l’altro e Perkins esplose una raffica di colpi in risposta agli spari di Randall. Un’ombra scura attraversò il cielo, offuscò le stelle e placò il vento. I due caddero lentamente per terra con le camicie sporche di quella che sembrava vernice rossa. Si adagiarono al suolo come bambole di pezza in mezzo alla strada e rimasero distesi, immobili. Le pistole caddero sferragliando sull’asfalto, simili a innocui giocattoli. L’ombra nera rimase sospesa, come allarmata dall’improvvisa esplosione di violenza. Nessuno si mosse, nessuno parlò, nessuno proferì verbo. Sembrava che tutti avessero capito che l’ombra scura e sinistra che aveva ammantato il cielo fosse ancor più pericolosa delle armi che giacevano silenziose per terra. La macchia si allargò e coprì le stelle, poi cominciò ad addensarsi minacciosa in una nuvola più piccola, più nera e più pesante. Era nera e compatta e si mosse lenta, come se stesse perlustrando il
gruppo con un osceno occhio rosso. Proprio al centro della nube, un lampo sfrigolava continuamente. Qualcuno rimase a bocca aperta dallo stupore. Qualcun altro iniziò a pregare. Dopo un attimo altri ancora si unirono alla litania. L’ombra divenne sempre più scura, finché non nascose ogni fonte di luce sopra le loro teste. Le venature luminose, lampeggianti e minacciose, sfrigolarono ancor più furiosamente. Gregori capì che il vampiro li stava cercando. Aveva scoperto che i suoi nemici erano vicini, ma il carpaziano aveva celato la propria presenza in maniera automatica, senza nemmeno pensarci. Il nonmorto avrebbe potuto essere in grado di rintracciare la presenza di Savannah, seguendo la debole traccia psichica che aveva lasciato nella mente del suo schiavo, ma anche lei si era data da fare. Gironzolando a lungo nella testa di Gregori, aveva appreso le lezioni che il suo compagno aveva imparato con l’esperienza, seppure dopo una serie di tentativi e di errori. Anche Savannah stava mascherando la propria presenza con la stessa abilità di Gregori.
Non farà la differenza, amore. Le parole di Savannah furono un fruscio nella mente di Gregori. Attaccherà e distruggerà tutti qui, pur di arrivare a noi. Lui ebbe un fremito di orgoglio per la velocità con cui Savannah era riuscita ad apprendere le tecniche carpaziane e a fare acute valutazioni sulle prossime mosse del nemico. Gregori si allontanò dalla calca dei turisti, frapponendo una certa distanza tra se stesso e la guida. Camminava perfettamente diritto, a testa alta e con i lunghi capelli che gli svolazzavano sulla schiena. Aveva le braccia molli lungo i fianchi, il corpo rilassato, ma guizzante di potere. «Adesso ascoltami, antico». Quella voce dolce e musicale saturò il silenzio con la sua bellezza e la sua purezza. «Hai vissuto a lungo in questo mondo, affaticato dal peso del vuoto. Sono venuto in risposta al tuo richiamo». «Gregori. Il tenebroso». La voce malvagia sibilò e rispose ringhiando. Quelle parole disturbarono i nervi producendo un rumore simile a quello delle unghie che graffiano una lavagna. Alcuni dei turisti si misero le mani sulle orecchie. «Come osi venire nella mia città e interferire con i piani? Non ne hai alcun diritto».
«Io sono la giustizia, essere diabolico. Sono qui per liberarti dai vincoli che ti legano a questo posto». La voce di Gregori era talmente bassa e ipnotica che coloro che lo stavano ascoltando uscirono lentamente dai rispettivi nascondigli. Aveva un tono allettante e seducente, al punto che nessuno sarebbe stato in grado di resistere a uno qualsiasi dei suoi ordini. L’ombra nera prese forma sopra di loro, ribollendo come il calderone di una strega. Un lampo di luce si abbatté al suolo, proprio in mezzo alla calca di turisti. Gregori sollevò una mano e reindirizzò la scarica di energia lontano da Savannah e dall’altra gente. Un sorriso ammorbidì la smorfia crudele che aveva dipinta in volto. «Credi di impressionarmi con questo sfoggio di potenza, antico? Non tentare nemmeno di scatenare forze che neanche comprendi. Vieni qui. Non ti ho dato la caccia. Sei stato tu a cercare di minacciare la mia compagna per la vita e coloro che io considero amici. Io non posso fare altro che applicare la giustizia secondo le regole che governano il nostro popolo». Le parole di Gregori erano talmente ragionevoli, logiche e melodiose che sarebbero riuscite a ricondurre all’obbedienza anche il più recalcitrante dei criminali. La guida emise un suono, qualcosa a metà tra lo scetticismo e il terrore. Gregori la zittì con un cenno della mano: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era essere distratto. Eppure quel rumore fu sufficiente perché l’antico rompesse l’incantesimo che Gregori aveva cominciato a tessere. La macchia scura che incombeva sulle loro teste si dibatté selvaggiamente, come se stesse cercando di liberarsi dalla morsa di legacci sempre più stretti, poi fece sì che una serie di lampi luminosi si abbattesse sugli inermi mortali sotto di lei. Urla e lamenti accompagnarono le preghiere appena sussurrate, ma Gregori rimase immobile, impassibile. Si limitò a rivolgere nuovamente altrove le scariche di luce ed energia, in modo tale che colpissero la massa scura che le aveva provocate. Un ghigno malvagio, uno stridio di sfida e rabbia fu l’unico avvertimento, poi prese a grandinare. Blocchi di ghiaccio grandi come palline da golf e di un rosso brillante si abbatterono su di loro. Era una scena orribile: una pioggia di cubetti di sangue ghiacciato che cadeva giù dal cielo. Tuttavia la grandinata si arrestò di colpo, come se una forza invisibile l’avesse fermata, librandosi sopra le loro teste.
Gregori non batté ciglio: mentre faceva scudo ai turisti e rimandava indietro quella pioggia verso colui che l’aveva scatenata, il suo volto restò una maschera inespressiva. Da un cimitero che si trovava a pochi isolati da loro, si alzò un esercito di zombie. I lupi ulularono e si misero a correre accanto agli scheletri, diretti contro il cacciatore carpaziano.
Savannah. Gregori pronunciò quel nome una volta soltanto e
sfiorò la mente della sua compagna con un debole tocco.
Ho capito, gli rispose subito lei. Gregori era impegnato a
destreggiarsi con quegli esseri abominevoli che il vampiro gli aveva scagliato contro; non era il caso che sprecasse la propria energia proteggendo la gente lì intorno dai morti viventi. Savannah si fece immediatamente avanti, una piccola, fragile figura, tutta concentrata sull’incombente minaccia. La ragazza fece in modo che a coloro che abitavano nelle case lungo la strada e che si trovavano alla guida della propria automobile la muta di lupi apparisse come un branco di cani che si aggiravano per la via. Gli scheletri ossuti, grotteschi e bizzarri, sarebbero invece sembrati solo un semplice gruppo di persone. Savannah fece sì che l’illusione durasse finché non furono a pochi passi da Gregori. Quando lo raggiunsero, concentrò ogni grammo della propria energia e del proprio potere su di lui, in modo che riuscisse a far fronte all’attacco. Il vento si alzò, sferzando la solida figura di Gregori, frustando il suo corpo, scompigliandogli i lunghi capelli neri e colpendolo al viso. L’espressione di lui rimase impassibile, i suoi occhi chiari e argentei restarono gelidi e impietosi: non batté ciglio e continuò a fissare la propria preda. L’attacco fu contemporaneamente aereo e terreste: delle schegge di legno affilato piovvero dal cielo mentre il vento continuava a soffiare selvaggio, rivolto proprio contro Gregori. I lupi balzarono su di lui e i loro occhi risplendettero feroci nel buio della notte. L’esercito di zombie continuava a procedere implacabile, incombendo sulla solitaria sagoma del carpaziano. Gregori fece un cenno con la mano, un complicato intreccio di gesti all’indirizzo della schiera di scheletri in avvicinamento; poi cominciò a volteggiare, un flusso di movimenti bellissimo a vedersi,
così veloce da renderlo una forma indistinta. Guaiti e ululati accompagnarono i corpi che presero a librarsi in aria. I lupi atterrarono immobili ai suoi piedi. L’espressione del carpaziano rimase immutata. Non vi trapelò la benché minima traccia di rabbia o di una qualsiasi altra emozione, nessun segno di paura, non perse neanche per un istante la concentrazione. Si limitò a reagire in base a quello che richiedevano le circostanze. Gli scheletri furono falciati da un muro di fuoco, una deflagrazione di fiamme arancioni e rosse che si levarono al cielo e per un attimo danzarono furiose. L’esercito diventò un cumulo di cenere, un mucchietto di polvere bruciacchiata che piovve dal cielo sulla strada, mentre il vento continuava a infuriare. Savannah si accorse che Gregori stava trasalendo: il dolore aveva iniziato a farsi strada dentro di lui prima che il carpaziano potesse mettere a tacere tutte le proprie sensazioni. Si girò di scatto a guardarlo e vide una scheggia appuntita che fuoriusciva dalla sua spalla destra. Proprio mentre lei lo fissava, Gregori se la strappò via. Il sangue sgorgò dalla ferita, schizzando tutt’intorno a lui. Altrettanto rapidamente il flusso si arrestò, come se fosse stato chiuso un rubinetto. Le folate di vento erano sempre più inquietanti, una burrasca di detriti che volteggiava sopra le loro teste, come se si trovassero nell’occhio di un ciclone. La nuvola nera girava velocissima, minacciando di risucchiare tutto e tutti nel vortice che aveva creato, lì dove si trovava quell’occhio rosso e malvagio che li fissava con odio. I turisti urlarono impauriti e persino la guida si aggrappò a un lampione con tutte le proprie forze. Gregori rimase in piedi da solo, mentre il vento continuava il suo assalto, nel tentativo di trascinarlo, di impossessarsi di lui. Proprio quando la colonna di macerie prese a volteggiargli sopra, producendo un rumore simile a quello di un treno merci, il carpaziano si limitò a battere le mani e con un cenno reindirizzò il tornado verso la scura entità che l’aveva scatenato. Il vampiro urlò per la rabbia. La densa nuvola nera si contrasse su se stessa emettendo un suono fastidioso e rimase sospesa in aria, guardando e aspettando in silenzio. Malvagia. Nessuno si mosse. Nessuno osò respirare.
All’improvviso quell’enorme e oscura entità si addensò ancora di più, fuggì via e scappò dal cacciatore, sorvolando il Quartiere Francese, diretta verso la palude. Gregori spiccò il volo, mutando nel frattempo sembianze, scansando le scariche elettriche bianche e incandescenti e scagliando frecce infuocate nell’aria turbolenta. A terra regnò un lungo silenzio, poi tutti proruppero in un sospiro di sollievo. Qualcuno scoppiò in una risata isterica. «Incredibile! Che spettacolo!». Savannah si aggrappò a quella reazione, la fomentò subito e impresse nella mente degli astanti l’idea che fosse tutta una montatura, riducendo l’impatto emozionale di ciò che avevano visto. «Effetti speciali grandiosi», mormorò un ragazzino. Il padre rise, seppure un po’ controvoglia. «Come diavolo hanno fatto? Quel tale si è praticamente dissolto in aria». Lanciò un’occhiata in direzione delle carcasse che giacevano a una certa distanza e imprecò sottovoce. «Quelle lì però sono vere. Non possono far parte dello spettacolo». «Tutto ciò è folle». Uno dei presenti si inginocchiò accanto ai due uomini che giacevano privi di vita sull’asfalto. La guida stava cercando le pulsazioni di uno di loro. «Sono entrambi morti. Che cosa diavolo è successo qui?». Savannah li raggiunse in un solo balzo, fornendo risposte a ognuna delle loro domande e costruendo nella memoria della gente il ricordo di ciò che era reale e ciò che era fittizio. I due turisti della Florida avevano avuto una discussione, poi erano venuti alle mani e avevano tirato fuori le pistole. Il tutto era accaduto nel bel mezzo di uno spettacolo di magia che la guida aveva chiesto a Savannah di inscenare a beneficio dei propri clienti. La muta di cani era arrivata da chissà dove, spaventata dagli spari. Era quanto di meglio avrebbe potuto fare in così poco tempo. La polizia era già arrivata e stava raccogliendo le dichiarazioni dei testimoni. Savannah doveva cercare di cancellare dalla memoria dei presenti ogni ricordo di Gregori. Era rimasta in contatto telepatico con il suo compagno per tutto il tempo, mentre lui sorvolava la città
e il bayou, diretto al luogo più pericoloso di tutti, la tana del vampiro. Gary le rimase al fianco, preoccupato, vedendola diventare sempre più pallida. Lo sforzo che le costava trovarsi in due posti nello stesso momento stava mostrando i propri effetti. La fatica di mettere in piedi una così complessa illusione per tutti quei testimoni era tremenda. Piccole gocce di sudore le imperlarono la fronte, ma lei tenne la testa alta e la schiena dritta come sempre. Riuscì anche a sedurre l’ufficiale della polizia che voleva raccogliere la sua dichiarazione. Gary era sicuro che Savannah sarebbe riuscita a convincere i turisti. Quegli avvenimenti erano davvero troppo strani e difficili da comprendere e per di più il ricordo della presenza di Gregori era stato sradicato, quindi la sparatoria e i cani potevano tranquillamente essere esistiti davvero. Solo la guida guardava verso il cielo con espressione accigliata ed esaminava le tracce di bruciato sul terreno a pochi passi da loro. Gary lo aveva beccato diverse volte a fissare Savannah con aria sconcertata: quel tale aveva troppa esperienza della strada per mettersi a raccontare una storia diversa, alla quale oltretutto nessuno avrebbe creduto, visto che tutti avevano visto altro rispetto a lui. Savannah continuò a rimanere concentrata sul proprio arduo compito. La sua mente era davvero con Gregori, una parte di lei si era fusa in lui, era un’ombra in un angolo remoto della sua testa. Gregori riusciva ad avvertire la presenza della sua compagna, la sua preoccupazione per la ferita che aveva riportato e per il sangue che aveva perso. Una volta giunto al cuore della palude, cercò di rassicurarla. Riconobbe il posto grazie alla descrizione che gliene aveva fatto La Rue. Gli insetti sciamarono, obbedendo agli ordini del vampiro e riunendosi in una nuvola scura, per pungere e mordere chiunque valicasse i confini di quell’area con l’intenzione di arrecare disturbo al non-morto. Gregori eresse intorno a sé una barriera protettiva e proseguì in direzione dell’acquitrino e della pozza nera e fangosa. Un odore disgustoso gli si insinuò su per le narici, un tanfo di putrefazione e di morte che da secoli saturava l’aria di quella zona.
Non c’era neanche un alito di vento e quella puzza non andava via. Le doline gorgogliavano e aspettavano il primo sfortunato che avesse messo un piede in fallo. Un sentiero d’erba di un brillante verde smeraldo attirava gli sprovveduti in una trappola mortale. Tanto gli umani quanto gli animali selvatici, adescati da quelle chiazze di colore vivo e splendente, sarebbero stati attratti verso una morte lenta e sarebbero sprofondati, impantanati nel fango che i ciuffi d’erba nascondevano alla perfezione. Gregori rimase sospeso in aria sopra la palude. Al di sotto della superficie dell’acqua alcune rocce formavano una specie di ripiano del quale quella bestia grottesca si serviva per intrappolare le sue vittime e lasciarne marcire la carne. La palude in quel punto era densa e melmosa, a differenza degli altri corsi d’acqua che vi sfociavano. Non c’era traccia né dell’alligatore né del vampiro. Gregori esaminò l’area circostante con estrema cautela e molta attenzione. Il non-morto era astuto e malvagio. E quello era il suo territorio, il suo rifugio. Non sarebbe stato facile incastrarlo proprio lì. Gregori avvertì la presenza del male e si rese conto che il vampiro doveva essere da quelle parti. Scelse il fazzoletto di terra che aveva l’aspetto più compatto e che fosse al contempo il più lontano possibile dalle acque oscure e mortali della palude. Ricorse al potere della propria voce. Dolce. Insistente. Impossibile da ignorare. «Devi venire da me. Hai aspettato a lungo prima di affrontarmi e adesso sono giunto fin qui apposta per te. Dài, vieni». Quelle parole erano pura melodia: si infiltravano nell’aria per raggiungere chiunque fosse in ascolto e riuscivano a stanarlo. Ogni nota era ipnotica, irresistibile incantesimo, la magia di uno stregone. Gregori rimase lì in piedi, tranquillo e indolente: la sua stazza solida e virile lo faceva sembrare invincibile, nonostante il sangue che perdeva dalla spalla gli avesse già inzuppato la camicia. Cominciò a recitare a bassa voce una litania nella lingua degli antichi, ripetendo al vampiro l’ordine di palesarsi. Le canne ondeggiarono lungo la riva, poi si piegarono come se fossero state colpite da un’onda. Non soffiava nessuna brezza che potesse giustificare quel movimento. Con la coda dell’occhio Gregori vide gonfiarsi una seconda onda e in un altro punto ancora della palude
se ne alzò una terza. Si dirigevano verso di lui per circondarlo: il nemico invisibile stava convergendo da ogni lato. Il carpaziano rimase in attesa. Paziente come le montagne. Immobile come il granito. Impietoso. Implacabile. Gregori, il tenebroso. Il cacciatore. L’assalto venne dall’alto. La volta del cielo fu offuscata da uno stormo di uccelli che riempirono la notte con la loro inattesa migrazione e i loro versi. Con gli artigli sguainati e i becchi affilati come rasoi i volatili si abbatterono veloci su Gregori, colpendolo al viso e sul corpo. Il carpaziano si smaterializzò trasformandosi in una nuvola, ma delle piccole gocce di sangue macchiarono l’erba verde, fornendo una chiara evidenza del fatto che il vampiro aveva messo a segno un secondo colpo. Gregori non ebbe altra scelta: fu costretto a riprendere sembianze umane per arrestare la perdita di sangue. Per tutta risposta si udì un flebile gemito di soddisfazione, uno stridulo borbottio e un ruggito di sfida. Il terreno sotto i piedi di Gregori era poroso e lo stava risucchiando, producendo un ghiotto gorgoglio. Mentre il cacciatore perlustrava le canne in movimento, il nemico lo aggredì dal basso, sbucando fuori dalla fanghiglia con le fauci spalancate e i denti affilati. Con uno schioccò selvaggio lo ferì alla gamba, proprio quando lui fece un passo indietro e sprofondò nella melma fino alle ginocchia. Il carpaziano eresse un’inconsistente barriera tra se stesso e l’alligatore, il meglio che poté fare mentre cercava di liberarsi. Un minuscolo rettile fece uno scatto e lo colse di sorpresa alle spalle, un altro lo attaccò sulla sinistra. Il più piccolo gli finì di squarciare la gamba ferita con un morso violento. Gregori cadde nel fango melmoso e quelle orribili creature si accalcarono sulla loro preda per nutrirsene. Gli piombarono addosso, mordendolo e ferendolo nella frenesia di procacciarsi del cibo. Lo sciame di insetti scese su di lui e cominciò a pungerlo e a mordicchiarlo. Mentre il carpaziano si dimenava nel tentativo di tirarsi su, calò un inquietante silenzio. Gli insetti volarono via e i piccoli alligatori ritornarono strisciando rapidi verso la palude. Gregori si mise a sedere, il fango gli inzuppava gli abiti, il sangue continuava a sgorgare dalle ferite che aveva alla gamba, al braccio e al petto. Udì un singolo rumore che infranse l’improvviso silenzio
che aveva avvolto la palude. Una specie di stridio, l’unico segnale dell’avvicinamento di un’enorme creatura. La bestia si mosse veloce, svelta ed efficace, nonostante la fanghiglia. Agitò avanti e indietro la coda possente. Negli occhi gli brillò un lampo rosso, inquietante, malvagio e spietato. Il muso era corazzato, sporco di alghe e ricoperto di una peluria verdastra e appiccicosa. Scattò verso Gregori, il suo fiato era puzzolente e caldo: assaporava già il gusto della preda. Un fulmine bianco e una scarica di energia elettrica piombarono giù dal cielo e si abbatterono sulle placche ossute di quell’animale, trapassandone la spessa corazza e bruciandole le viscere. La bestia fece un balzo in avanti nonostante il violento impatto del fulmine. Dalle fauci aperte uscì del fumo, che portò con sé l’odore di carne bruciata. La creatura proseguì, puntando dritto al petto di Gregori, determinato a squarciarlo e lacerarlo: il suo unico scopo era ucciderlo e divorarlo. Gregori si limitò a svanire. Le possenti mascelle si richiusero, inghiottendo solo aria. La bestia, ferita a morte, ruggì e scosse violentemente la testa, cercando in preda alla disperazione il suo nemico. Il vampiro abbandonò la carcassa bruciacchiata e fumante, librandosi in aria e urlando la propria sfida e la propria rabbia. Tuttavia, quando spiccò il volo, per abbandonare la tana in cui si era rifugiato per lunghi secoli per fuggire e aver salva la vita, si scontrò con una barriera. Il colpo fu duro e lo fece precipitare al suolo. Il non-morto giacque per un momento senza fiato, sconvolto dall’incredibile forza dell’urto. Con estrema cautela si rimise in piedi, sprofondando un po’ nel fango della palude. Gregori. Il tenebroso. Era persino più potente di quanto raccontassero miti e leggende che lo avevano come protagonista. Il vampiro si rese conto che le dicerie sul suo conto erano vere. Non c’era modo di sfuggire al tenebroso. Gregori aveva usato se stesso come esca per portare il suo rivale allo scoperto. Quale cacciatore avrebbe fatto una cosa simile? Chi avrebbe creduto tanto nelle proprie forze da mettere a rischio la vita? Il non-morto sentiva ancora i postumi della botta per tutto il corpo. Era stato un colpo fortissimo: non ne aveva mai subito uno simile prima di quel momento.
All’improvviso decise di cambiare tattica e modificò il tono delle proprie parole: da insinuanti e provocatorie che erano divennero dolci e melliflue. «Non ho intenzione di combatterti, Gregori. Riconosco che sei il migliore dei cacciatori. Non voglio che questa battaglia prosegua. Lascia che me ne vada via da qui e torni al mio rifugio nelle Everglades. Me ne starò nascosto lì per un secolo… o per più tempo, se tu lo desideri». La sua voce era accattivante, servile. Gregori si materializzò a qualche passo di distanza. Perdeva sangue da diverse e profonde ferite. Il suo volto era impassibile, implacabile, i suoi occhi chiari freddi come l’acciaio. «Il nostro principe ti ha condannato a morte. Io non posso fare altro che eseguire la sua sentenza». Il vampiro scosse la testa e sul suo viso apparve la sinistra parodia di un sorriso. «Il principe non è nemmeno al corrente della mia esistenza. Non devi portare a termine nessuna condanna, visto che lui nemmeno l’ha emessa. Mi darò alla macchia». Gregori sospirò. «Non abbiamo niente di cui discutere, vampiro. Conosci bene le leggi del nostro popolo. Io sono un cacciatore, un giustiziere, e non ho altra scelta: devo eseguire le sentenze». Non distolse mai lo sguardo dal nemico, non sbatté mai le palpebre. Il vento si stava alzando e gli faceva finire delle ciocche di capelli scuri davanti al viso: sembrava un guerriero dei tempi antichi. Gli occhi del vampiro divennero vitrei e maligni. «Allora diamoci da fare». I lampi cominciarono a zigzagare nel cielo, squarciando le nuvole. Il vento diventò sferzante e prese a mugghiare. Gregori planò: i suoi movimenti erano fluidi, pigri ed eleganti, per nulla minacciosi. Sollevò il capo e i lampi si rifletterono nel suo sguardo freddo e lucente. Il sangue continuava a sgorgargli dalle ferite. Il vampiro ne sentì l’odore e posò gli occhi avidi sul liquido vitale antico e potente. Gregori affondò il colpo tanto velocemente che il suo avversario non lo vide nemmeno muoversi. Distratto dalla vista del pasto lussurioso che scorreva fuori dalle ferite del carpaziano, il vampiro si accorse di correre un pericolo mortale sono quando venne colpito al petto con una forza incredibile. Gregori si era già dileguato: si trovava, in piedi e immobile, a
qualche metro di distanza e scrutava il vampiro con uno sguardo glaciale e vitreo. Lentamente tese il braccio, giro il palmo verso l’alto e aprì il pugno. Il non-morto urlò a squarciagola e le sue grida acute e terribili ruppero la quiete della notte, diffondendosi per i corsi d’acqua e i canali lì intorno. Con estrema lentezza e riluttanza abbassò gli occhi verso l’organo che ancora pulsava sul palmo del cacciatore e poi si guardò il petto. Al posto del cuore c’era un grosso buco. Distrutto, riuscì a fare due passi avanti prima di accartocciarsi su se stesso e rovinare a faccia in giù nella melmosa fanghiglia. Gregori impallidì visibilmente e si mise a sedere di botto. Fece cadere per terra quel cuore atrofizzato e avvelenato, esaminò le bruciature e le vesciche che il sangue contaminato gli aveva procurato sulla pelle. Si concentrò nel tentativo di chiamare a raccolta l’energia celeste e inviò una palla di fuoco verso il cadavere del vampiro. Con una seconda sfera infuocata incenerì anche il cuore infetto. Poi il carpaziano risprofondò nel fango e giacque immobile a osservare il cielo notturno. La vista gli si offuscò fino a venirgli meno. Uno strano letargo e una sensazione di incontrollabile sonnolenza s’impossessarono di lui. Gli parve di galleggiare alla mercé dei flutti, disconnesso, e rimase a guardare l’alba che cominciava a illuminare il cielo grigio scuro. Le sue lunghe ciglia si abbassarono e si rilassò, immerso nella soffice fanghiglia. A un certo punto sentì una perturbazione nell’aria, proprio sopra di lui. Un profumo fresco prese il posto dell’odore stantio che impregnava la palude. Savannah. L’avrebbe riconosciuta in qualsiasi circostanza. Cercò di sollevarsi, di avvertirla che l’alba era in arrivo e che sarebbe stato pericoloso rimanere ancora a lungo così lontana dal loro rifugio. Savannah ansimò affannosamente. «Oh, Gregori». Gli sfiorò una delle ferite sanguinanti che aveva sul petto. Il fatto che non avesse trovato le forze di richiudersi le lacerazioni era un chiaro segno di quanto fosse stanco e provato. Savannah fece in modo che le loro menti si fondessero l’una nell’altra e provò a costringerlo a obbedirle, così come lui aveva spesso fatto con lei. Gregori avrebbe solo dovuto medicarsi le ferite e sprofondare nel sonno guaritore dei
carpaziani, a tutto il resto avrebbe pensato Savannah. Cercò di contattare telepaticamente Gary, il loro amico umano. Ascoltami, Gary, siamo nei pasticci. Cerca La Rue. Beau La
Rue. È il capitano di un’imbarcazione che fa fare ai turisti il giro del bayou. Digli di andare alla palude dell’uomo-alligatore. Devi venire qui prima che il sole sia alto e portarci in un posto buio. Anche se ti sembriamo morti portaci via di qui. Contiamo su di te. Sei la nostra unica speranza.
Esaminò l’area circostante alla ricerca della striscia di terra più compatta. Con un po’ di impegno e di sforzo, Savannah era in grado di far levitare il corpo di Gregori e di spostarlo in un posto più sicuro, ma non avrebbe potuto fare niente contro il sole. Non appena si chinò su Gregori, si accorse che non si era addormentato. Il cuore cominciò a martellarle nel petto, poi perse un colpo. Gregori era estremamente debole: aveva perso troppo sangue e non riusciva a portare a termine il comando che lei gli aveva impartito e guarirsi da solo. Fu Savannah allora a chiudergli rapida le ferite, ancora una volta servendosi delle informazioni cui aveva avuto accesso fondendo la propria mente con quella del compagno. Si strappò via la giacca e si distese accanto a lui, coprendo entrambe le loro teste con il suo soprabito. Si graffiò il polso e lo pressò sopra la bocca di Gregori, costringendolo a deglutire, in modo che il liquido vitale scorresse dentro di lui e gli ridonasse le forze.
Capitolo 18 La barca avanzava sbuffando lungo il canale con tale lentezza che Gary avrebbe voluto mettersi a gridare. Per la centesima volta gettò uno sguardo alle lancette del suo orologio. Il sole stava sorgendo. Non si era mai reso conto di quanta luce e quanto calore fosse in grado di irradiare. Aveva speso tempo prezioso per trovare Beau La Rue e convincerlo che Savannah e Gregori erano davvero nei guai. Ogni secondo che passava era sempre più sicuro che il sole avrebbe finito per incenerirli. «Questo trabiccolo non può andare più veloce?», si informò per l’ennesima volta. Beau scosse la testa. «Siamo vicini alla palude dell’uomoalligatore. Queste acque sono insidiose. Ci sono secche e rocce affioranti dovunque. È pericoloso. E poi, se dovessimo incontrare quella creatura, di certo non sopravvivremmo». «Gregori l’ha uccisa», replicò Gary, freddo e pienamente fiducioso nei poteri del carpaziano. Era sicuro che nessuno poteva sconfiggere quell’uomo. Qualsiasi ferita gli fosse stata inflitta non gli avrebbe impedito di abbattere il nemico. «Prega di avere ragione», mormorò il capitano, profondamente convinto di quello che stava dicendo. L’imbarcazione girò l’angolo e si diresse verso il melmoso corso d’acqua che conduceva alla palude. Gary rimase senza fiato quando vide un cumulo di ceneri bruciacchiate e fumanti a una certa distanza dalla riva. Non poteva essere troppo tardi. Non poteva averli delusi. «Muoviti», sbottò, cercando di far procedere più velocemente la barca e preparandosi a saltare giù nel fango. «Anche se l’uomo-alligatore è morto», lo avvertì La Rue, «ci sono altre bestie in questa zona». «Credevo avessi detto che qui non c’era nient’altro oltre a quella creatura», protestò Gary. «Penso che tu abbia ragione. L’uomo-alligatore è morto». Gli
occhi annebbiati di La Rue scrutarono il paesaggio. Il capitano tirò un profondo respiro. «Il tanfo sta svanendo e il regolare ritmo del bayou si sta ripristinando. Vedi quel tronco che giace mezzo affondato nella melma? Be’, non è un pezzo di legno. Rimani in barca». Gary si mise a passeggiare impaziente a grandi falcate per l’imbarcazione, mentre Beau manovrava il timone e si accostava all’argine del fiume. Gary, con due pesanti coperte fra le braccia, saltò a terra e sprofondò di circa cinque centimetri nell’acquitrino. La Rue scosse la testa. «Il suolo qui non è compatto. Se affondi nella melma sei morto». Gary ispezionò il terreno con maggiore attenzione e giunse passo dopo passo a un pezzo di terra più solido. Vide i due corpi che giacevano su una montagnola di frasche spezzate. Imprecando, incurante della propria incolumità, coprì la distanza che lo separava dai suoi amici di corsa. Una giacca copriva loro il volto. Entrambi sembravano morti. Controllò le pulsazioni. Nessuno dei due ne aveva. Gli abiti di Gregori erano laceri e strappati. Erano macchiati di sangue secco in così tanti punti che Gary rimase sgomento. Prima che La Rue potesse vederli bene, Gary li coprì da capo a piedi con una pesante coperta. «Dobbiamo caricarli nella tua barca velocemente. C’è una stanzetta buia, una grotta, un qualsiasi posto privo di luce in cui possiamo portarli?», chiese Gary. Stava già prendendo Savannah in braccio. La Rue lo osservò trasportarla nella sua barca. «Un ospedale andrà bene». Il suo suggerimento fu pronunciato a bassa voce, in tono ragionevole, come se temesse che Gary avesse perso il lume della ragione. Questi si assicurò che ogni centimetro della pelle di Savannah fosse nascosto sotto la coperta prima di correre a prendere Gregori. «Ho bisogno del tuo aiuto per sollevarlo. Non lasciar cadere la coperta. Il sole gli dà immenso fastidio». «È vivo?». La Rue si chinò a scoprirlo per controllare da sé. Le sue ferite erano brutte e profonde. Gary lo afferrò per il polso. «Gregori mi ha detto che ci si poteva fidare di te. Aiutami a trasportarlo sulla barca e a trovare un posto buio in cui possano riposare. Mi prenderò io cura di loro. Sono un
dottore e ho portato con me tutto l’occorrente». Prese il carpaziano per le spalle e rimase ad aspettare che l’altro si convincesse a dargli una mano. Beau esitò, lo sconcerto dipinto in volto, ma alla fine sollevò le gambe di Gregori ed entrambi si diedero da fare in silenzio con quel peso morto, facendosi strada su quel terreno instabile e poroso come una spugna. Una volta sulla barca, Gary avvolse il corpo del suo amico nella coperta come se fosse stato una mummia e piazzò sia lui che Savannah sotto il tendalino. «Portaci via di qui in fretta e lasciaci in un posto buio», ordinò. Beau scosse il capo, ma azionò il motore dell’imbarcazione. Avrebbe voluto esaminare il mucchio di ceneri fumanti, le bruciature sulle canne e sulle rocce. In quel luogo era avvenuto qualcosa di terribile. Sapeva che Gary aveva ragione. Il vecchio alligatore era morto. Il terrore del bayou era finalmente diventato una leggenda, come tutti fino a quel momento avevano creduto che fosse. Gary si inginocchiò accanto ai corpi dei suoi amici con il cuore gli martellava nel petto per la paura. Non aveva avuto abbastanza tempo per guardarli da vicino; non osava farlo alla luce del sole e alla presenza del capitano. Pregò Dio di non averli delusi, che non fosse troppo tardi. Gregori aveva perso davvero molto sangue. Che cosa gli sarebbe accaduto? Perché non aveva fatto alla coppia altre domande quando ne aveva avuto l’opportunità? Si nascose il volto fra le mani e iniziò a pregare. «Sono tuoi cari amici?», gli chiese Beau, dispiaciuto. «I miei migliori amici. Sono come una famiglia per me. Mi hanno salvato la vita in più di un’occasione», rispose Gary, prudente, intenzionato a non rivelargli troppo. «Anch’io ho un amico a cui voglio molto bene. È proprio come lui. Si era stabilito non molto lontano da qui, dal momento che insieme trascorrevamo molto tempo nella palude. Neanche a lui piaceva molto il sole. Ti porterò lì. Gregori e Savannah lo conoscono. Non credo che a Julian darà fastidio». La barca cominciò a prendere velocità: si erano ormai allontanati dal canale pieno di canne e navigavano sull’acqua trasparente.
«Grazie», gli disse Gary, grato. Beau La Rue conosceva il bayou come le sue stesse tasche. Fece procedere la barca al massimo della velocità di sicurezza e prese tutte le scorciatoie possibili. Quando toccarono terra, si ritrovarono su un’isoletta su cui c’era un solo capanno da caccia. Davanti a questo si trovava una piccola foresta di cipressi tanto fitta da sembrare impenetrabile. «Il terreno qui è molto compatto. Non sembra, ma il pantano è attraversato da un sentiero di pietra. Possiamo portare i tuoi amici al rifugio segreto di Julian. Questo pezzo di terra è suo, per cui nessuno vi disturberà. Con lui non si scherza». Presero per primo Gregori dal momento che Beau avrebbe dovuto fare strada. Il capitano procedette con estrema cautela, mettendo un piede dietro l’altro sulle pietre che emergevano dalla melma. Era difficile andare avanti, Gregori era un gravoso peso morto. Beau non vedeva il petto sollevarsi e riabbassarsi, non notò alcuna traccia di respirazione, ma si astenne dal farlo notare. Non gli sembrava molto saggio portare un uomo tanto gravemente ferito in una buia e umida caverna, eppure aveva visto Julian recarsi in quel posto più di una volta quando il sole si stava alzando nel cielo. La grotta a cui arrivarono era scavata a mano e molto piccola. Non c’era abbastanza spazio per stare in piedi. Gary e Beau adagiarono il corpo di Gregori sul pavimento sporco al buio e se ne andarono subito, poiché Gary era ansioso di mettere anche Savannah al riparo dalla luce. Prese in braccio la ragazza e si rivolse al capitano. «Grazie per il tuo aiuto. Mi occuperò io di loro due. Lascia pure le mie borse lì sulle pietre. Porto Savannah nella caverna e vengo a riprenderle». «Vuoi che rimanga?», chiese Beau, combattuto tra la curiosità e il suo radicato rispetto per la privacy. Gary scosse il capo mentre già cominciava a dirigersi verso la grotta. Beau tornò sui suoi passi e avviò il motore. «Verrò a vedere se hai bisogno di me più tardi». «Grazie», replicò Gary da sopra la spalla, correndo a mettere al riparo dal sole il corpo di Savannah.
Il giovane si accasciò accanto ai due carpaziani immobili, con il fiato corto, preoccupato che potessero essere veramente morti. Era persino spaventato all’idea di ripulire le terribili ferite di Gregori, temeva di potergli far male. Trascorse il resto della giornata facendo solitari, bevendo dalla borraccia, oscillando continuamente tra la certezza di essere arrivato troppo tardi e la fiducia nel fatto che i due si sarebbero rialzati non appena il sole fosse tramontato. A un certo punto il cielo divenne finalmente grigio fumo. Gary strisciò fuori dall’ingresso della caverna e rimase immobile a fissare il calare della notte. Il buio scese con discreta lentezza e lui vi si abituò. Quando si girò, vide il petto di Gregori sollevarsi e riabbassarsi sotto la coperta. Il carpaziano sentì prima la fame e poi il dolore. Li arginò entrambi ed esaminò le lesioni che aveva riportato. Aveva perso molto sangue ma Savannah si era data da fare per rifornirlo. Non gli ci volle molto tempo per concentrarsi, sprofondare in se stesso e guarire i propri profondi squarci. Nonostante gli sforzi di Savannah, aveva un disperato bisogno di altro sangue. Solo dopo aver chiuso le ferite in modo tale da bloccare la perdita di liquido vitale, si stiracchiò e si mise a sedere. Riuscì ad avvertire il battito di un cuore accanto a sé, un flusso sanguigno scorrere caldo e invitante: era così affamato che gli spuntarono le zanne. La sua mente andò automaticamente in cerca di quella di Savannah. Quella donna lo aveva salvato. Si stava abituando al fatto che lei lo tirasse fuori dai guai. La sua compagna non si era persa d’animo nemmeno per un istante. Gregori rintracciò un piccolo grumo di luce e vita rannicchiato in un angolo della propria mente. Savannah si era spinta fino all’orlo del baratro pur di metterlo in salvo. Imprecando, si scoprì e spinse via anche la coperta adagiata sul corpo di lei. Attirò a sé la propria compagna e ne esaminò il corpo centimetro per centimetro. Il costante e rumoroso battito di un cuore così vicino a loro, così pieno di vita, attirò le attenzioni di Gregori. Lentamente si voltò e vide Gary osservarlo dall’ingresso della caverna. Sapeva che lui era lì, che era stato quel ragazzo a portarli via dalla palude e a trascinarli nel posto buio e sicuro in cui avevano dormito. «Ti devo molto», fece Gregori, salutandolo. La morsa della fame
lo attanagliò di nuovo e si accorse che i suoi denti erano diventati più affilati e sporgenti. La sua compagna per la vita aveva bisogno immediato di nutrimento. «Stai qui con lei mentre io vado a caccia». Gary trasse un profondo respiro e buttò fuori l’aria lentamente. «Puoi prendere il mio sangue. Immaginavo che al vostro risveglio sareste stati affamati». La dura espressione di Gregori per un momento si ammorbidì. «Non sono semplicemente affamato, amico mio. Ho bisogno di sangue. Ne ha bisogno anche Savannah. Posso essere pericoloso in queste condizioni. Non metterei mai a rischio la tua vita». «Io mi fido di te, Gregori», ribatté Gary, fiducioso e sorpreso del suo stesso atteggiamento. Gregori si girò intorno. «Sei un uomo speciale, Gary Jansen. Ho avuto il privilegio di conoscerti e di annoverarti fra i miei amici. Per favore, abbi cura della mia compagna per la vita mentre io vado a caccia». Gregori aveva già oltrepassato Gary, lo aveva sfiorato passandogli accanto, e quel contatto aveva fatto correre un brivido freddo lungo la schiena dell’umano. Il carpaziano emanava l’odore di un predatore, selvaggio, pericoloso e impietoso. Gary non avrebbe saputo spiegare in cosa consisteva la differenza, ma in quel momento il suo amico era più simile a una bestia che a un uomo. Solo dopo che Gregori se ne fu andato, cambiando forma davanti ai suoi occhi e assumendo le sembianze di un uccello rapace, Gary si accorse che le ferite mortali che aveva riportato il carpaziano erano guarite. Il ragazzo guardò l’uccello planare nel vento finché non diventò soltanto un minuscolo puntino nel cielo. Gary si fece strada attraverso il sudicio interno della caverna, piegandosi in avanti per evitare di sbattere la testa contro il soffitto. Si sedette accanto a Savannah e rimase in attesa. Non trascorse molto tempo prima che il volatile fosse di ritorno. Gary non riusciva a distogliere lo sguardo da quel piumaggio iridescente e brillante che subito lasciò il posto a una solida figura umana. Gregori, alto, pieno di salute e in splendida forma, attraversò il fitto boschetto di cipressi. Persino i suoi abiti erano immacolati.
Aveva i capelli lucidi e puliti, legati dietro la nuca con un laccetto di pelle. I suoi occhi chiari erano limpidi e, ancora una volta, il suo viso era bellissimo e sensuale. «Gary», la sua voce era come al solito pura e potente, «per favore, lasciaci soli per qualche minuto». «Savannah si riprenderà?», chiese l’umano, spaventato. Nonostante sapesse che era inutile, le aveva cercato diverse volte le pulsazioni. «Dovrà farlo», replicò Gregori molto piano. La sua voce era vellutata, ma c’era qualcosa in quel tono che fece correre un brivido di apprensione lungo la schiena di Gary. Se fosse accaduto qualcosa a Savannah, il ragazzo capì che nessuno, niente al mondo, sarebbe stato al sicuro dal carpaziano. Fino ad allora non aveva considerato questo aspetto e non sapeva da dove gli arrivasse quella consapevolezza, ma era certo che le cose stessero così. Se ne andò via da quello spazio angusto e cominciò a camminare, allontanandosi un po’ dalla caverna. Gli strani rumori della notte gli davano fastidio e lo intimidivano. Gregori prese teneramente Savannah tra le braccia. Vieni qui, sei la mia vita, il mio respiro. Svegliati, stammi vicino. Le impartì quell’ordine e, nel momento stesso in cui sentì il suo cuore ricominciare a battere, le premette la bocca contro la propria gola. Nutriti, piccola mia. Nutriti e riprenditi le forze che mi hai
generosamente trasfuso.
Savannah girò il capo e il suo primo respiro fu un soffio caldo sul collo di Gregori. Gli si strofinò contro, assonnata e debole a causa di tutto il sangue che aveva perso. Gli sfiorò la pelle con la lingua, accarezzandolo nel punto in cui gli pulsava la vena. Gregori si irrigidì allarmato quando i denti di lei gli provocarono un’ondata di piacere caldo e bianco. Lentamente il corpo di Savannah si riscaldò e il suo colorito da cereo divenne sano e roseo. Lei lo abbracciò e gli si strinse al collo, premendo il proprio corpo contro quello di lui, in un impeto inquieto di fame e desiderio. Savannah chiuse i piccoli buchi che aveva fatto sulla gola del suo compagno per la vita, lo tempestò di baci sul collo e sul viso, poi trovò l’angolo delle sue labbra. Gregori le prese la testa e la tenne ferma: la baciò voluttuosamente, impossessandosi della sua bocca
con una forza elementare come quella del vento. «Pensavo di averti perso», mormorò lei, rivolgendosi al suo cuore, al profondo della sua anima. «Pensavo di averti perso». «Stai prendendo l’abitudine di trarmi sempre d’impiccio?», le chiese lui, mentre una forte emozione senza nome lo scuoteva e gli spezzava il fiato in gola. Un debole sorriso illuminò il volto di Savannah. «Forse intendi dire “di salvarti la vita”». Per tutta risposta, Gregori emise un grugnito. «Ti amo, Savannah. Più di quanto sia in grado di dire, in tutte le lingue che conosco». La abbracciò forte, stringendosela al cuore. Quella ragazza era il suo mondo e lo sarebbe stato per sempre. Era la sua risata, la sua luce. Gli avrebbe insegnato a sentirsi a proprio agio in entrambi i mondi a cui appartenevano. Era lei a fargli avere fiducia negli umani, un sentimento che non era mai stato in grado si sperimentare prima. Come se gli stesse leggendo nel pensiero, Savannah gli sorrise. «Gary è venuto in nostro aiuto, vero?» «Sì, piccola mia. E Beau La Rue non è stato da meno. Vieni, non possiamo lasciare quel pover’uomo a passeggiare avanti e indietro per la palude. Altrimenti penserà che non ci siamo limitati a fare conversazione». Savannah, maliziosa, si strinse contro di lui e le sue mani scivolarono, provocatorie ed eccitanti, sul rigonfiamento dei pantaloni di lui. «E invece?», gli chiese, rivolgendogli uno di quei suoi sorrisi ammalianti, a cui Gregori non era in grado di resistere. «Abbiamo un sacco di cose da sistemare, Savannah», le disse severo. «E dobbiamo avvisare la nostre gente, diffondere la lista della società segreta, mettere all’erta coloro che sono in pericolo». Le dita di Savannah si stavano dando da fare con i bottoni della camicia di Gregori in modo tale da aprirla ed esaminare il suo petto e le sue spalle, lì dove aveva riportato due delle ferite più gravi. Doveva vedere da sé il suo corpo, toccarlo, per assicurarsi che fosse davvero guarito. «Be’, potresti per il momento creare un qualche diversivo per Gary, in modo tale da ritagliarci un po’ di privacy». Con un gesto fluido, si sfilò la maglietta dalla testa e offrì allo
sguardo di Gregori i propri seni, tentandolo. Il carpaziano emise un suono a metà tra un sospiro e un grugnito. Le mise le mani sul petto e, dopo aver sperimentato la terribile tortura del sangue contaminato, provò la sensazione rilassante di accarezzare quella pelle morbida e setosa. Le sfiorò con il pollice i capezzoli inturgiditi. Chinò la testa lentamente per godere di quella erotica sensazione: d’altronde, non avrebbe potuto fare altro. Dopo quell’invitante richiamo che lei gli aveva rivolto, sentiva l’urgente bisogno di far fondere i loro corpi. L’eccitazione crebbe e a Savannah, quando la bocca di lui si schiuse sul suo seno, sembrò di sciogliersi in un liquido caldo. Gregori la attirò ancora più stretta a sé, accarezzandole tutto il corpo con sempre maggiore passione. Il desiderio di lei aumentava e faceva sì che anche quello di lui crescesse sempre di più. «Gary», bisbigliò Savannah. «Non dimenticarti di Gary». Gregori imprecò a bassa voce, mettendole le mani sui fianchi e strappandole via i fastidiosi vestiti che indossava. Dedicò all’umano qualche secondo di concentrazione e fece in modo che si allontanasse dalla grotta. La dolce risatina di Savannah era sarcastica, provocatoria. «Te l’ho detto, amore, non fai altro che spogliarmi». «E allora tu smettila di metterti addosso quei dannati abiti», le rispose lui, burbero, prendendola per l’esile vita e vagando con la bocca sul suo ventre piatto. «Un giorno i miei bambini cresceranno proprio qui dentro», disse piano, baciandole l’ombelico. Le fece aprire le cosce, in modo da poterla esplorare a proprio piacimento senza venire interrotto. «Una bella bambina che assomigli a te nell’aspetto e a me nel carattere». Savannah ridacchiò, stringendogli la testa tra le mani, amorevole. «Be’, potrebbe essere una combinazione plausibile. Ma che cosa c’è che non va nel mio carattere?». Si stava contorcendo, vittima dell’assalto furioso delle sue mani e della sua bocca, e inarcò la schiena per concedersi totalmente a lui. «Sei una donna tremenda», mormorò lui. «Sarei costretto a uccidere qualsiasi uomo tratti mia figlia come io tratto te». Savannah urlò: le sue membra furono scosse da un fremito di
piacere. «A volte adoro il modo in cui mi tratti, tesoro», bisbigliò lei e gridò di nuovo quando lui fece in modo che i loro corpi, le loro menti, i loro cuori e le loro anime si fondessero. Il futuro poteva anche essere incerto, visto che gli adepti della società segreta erano sulle tracce dei loro simili, ma, unendo le loro forze, Gregori e Savannah sarebbero senz’altro riusciti ad aiutarli. Insieme, avrebbero potuto affrontare qualsiasi nemico per permettere alla loro razza di sopravvivere.