Chris Morton and Ceri Louise Thomas
Il Mistero Delle 13 Chiavi The Mystery of the Crystal Skulls © 1997
Alla terra e a...
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Chris Morton and Ceri Louise Thomas
Il Mistero Delle 13 Chiavi The Mystery of the Crystal Skulls © 1997
Alla terra e a tutte le sue creature Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non ne sogni la tua filosofia. WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto
RINGRAZIAMENTI Vogliamo ringraziare, oltre tutti coloro menzionati nell'opera, le seguenti persone e istituzioni, senza il cui aiuto questo libro non avrebbe potuto essere scritto. La nostra gratitudine va ai nostri commissioning editors del Religious Programmes Department della BBC per la loro disponibilità verso argomenti insoliti, verso la nostra troupe cinematografica e il personale di produzione impegnati in questo lavoro. Ringraziamo per la collaborazione anche la HewlettPackard, il British Museum, la Smithsonian Institution e l'Instituto Nacional de Archaeologia y Historia (Messico). Inoltre ringraziamo: in Guatemala, Rolando Urutia e tutti coloro che si sono prodigati nel Gathering of the Indigenous Elders of the Americas; nel Messico, Bertina Olmedo, Arturo Oliveros e Michel Vetter per la collaborazione; negli USA, gli archeologi Dr. Karl Taube e Dr. John Pohl per la consulenza; in Gran Bretagna, Simon Buxton del Sacred Trust, lo scrittore Kenneth Meadows e la nostra traduttrice Georgina Ochoa de Blausten. Uno speciale ringraziamento va a Leo Rutherford che ci ha incoraggiati nel tentativo di realizzare i nostri sogni. Vogliamo anche ringraziare tutto lo staff della HarperGollins, in particolar modo Michelle Pilley, nostra commissioning editor, per il suo entusiastico appoggio nel corso di tutto il lavoro, e Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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inoltre Lizzie Hutchins, nostra desk editor, per la sua capacità e la sua pazienza. Infine, un caloroso grazie ai nostri amici, parenti, fratelli e sorelle, per il loro inestimabile incoraggiamento e sostegno, e in particolar modo ai nostri genitori Marion e Andrew Morton, Madeleine e Peter Thomas, nonché alla nonna di Ceri, Joan Hallett, per il loro prezioso sostegno morale.
FONTI ICONOGRAFICHE Foto a colori: 1 e 2: Galde Press Inc., USA; 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 16, 18, 25, 26, 29 e 30: Chris Mortori e Ceri Louise Thomas; 8: © The British Museum; 10: JoAnn e Carl Parks; 12: Lourdes Grobet e Garcìa Valadés Editores, Messico; 13: tratta dalla Historia de las Indias de Nuevo Espana, di Diego Duràn, pubblicato nel 1581, per gentile concessione della Biblioteca Nacional de Madrid, Spagna; 14: Norma Redo; 15: Luis Enrique Argùelles Arredondo; 17: Adrian Garcìa Valadés/G.V. Editores, Messico; 19: National Tourist Board of Mexico; 20: ©Joseph Drivas/The Image Bank; 21 e 23: Silvia Gomez Tagle/G.V. Editores, Messico; 22: © Cosmo Condina/Tony Stone Images; 24: Codex Borgia, Codex Vaticanus mess. 1, edizione integrale in facsimile di Akademische Druck - und Verlagsanstalt, Graz, 1976; 27 e 28: © Georgina Ochoa de Blausten; 31: © David Hiser/Tony Stone Images. Foto in bianco e nero: 32 e 33: © Anna Mitchell-Hedges/Jimmy Honey; 34, 35, 36 e 47: Galde Press Inc., USA; 37: Nick Nocerino; 38: © Professor Michael D. Coe; 39 e 40: Lourdes Grobet/G.V. Editores; 41 e 42: Rafael Doniz/Antiguo Colegio de San Ildefonso, Messico; 43: Silvia Gomez Tagle/G.V. Editores; 44: Irmgard Groth-Kimball; 45: © Justin Kerr, 1980; 46: Richard Neave, University of Manchester, UK; 48: Patricio Domìnguez; 49, 50 e 51: Chris Morton e Ceri Louise Thomas. Le foto 1, 17, 20, 24, 31 sono state usate anche per l'immagine Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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di copertina.
1 LA LEGGENDA Stava per spuntare l'alba mentre, aprendoci il varco nel fitto sottobosco, procedevamo a fatica attraverso la foresta verso le rovine di quella che era stata una splendida città maya, ora sperduta in chissà quale angolo remoto. Nell'oscurità della foresta pluviale la mente gioca strani tiri: sembra di vedere e sentire le cose più incredibili - esseri in carne e ossa, spiriti, ombre dell'ignoto. All'improvviso udimmo lo spaventoso ringhio di un giaguaro. Quel verso, irrompendo nel vago sottofondo sonoro della vegetazione, lì a due passi, d'un colpo spazzò via ogni illusione di fiducia in noi stessi, rammentandoci brutalmente la nostra vulnerabile natura mortale. Ci fermammo, per un attimo impietriti dal terrore, prima di riprendere il cammino e avanzare con la massima speditezza possibile, sia pure incespicando, in mezzo all'immensa misteriosa oscurità. Ci trovavamo in uno dei luoghi più belli della terra, l'America Centrale, Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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nella vacanza più importante della nostra vita: una visita alle antiche rovine maya di Tikal, in Guatemala. Era nostra intenzione arrivare prima dell'alba sul luogo in cui giacevano i resti dei templi, dei palazzi e delle piramidi. Una volta giunti, ci saremmo messi in attesa del lento sorgere del sole dalla natura circostante, fino al momento in cui avrebbe posato pennellate di luce dorata sulle rovine di questa civiltà dallo splendido passato, quasi per riportarla in vita. La volta della foresta supera i 60 metri di altezza, ma nonostante ciò le piramidi diroccate, alcune ancora ricoperte di piante rampicanti, emergono al di sopra di essa, puntando verso il cielo. Dalla cima di una di queste grandi montagne innalzate dall'uomo, da qualsiasi parte ci si volga, la foresta si stende a perdita d'occhio. Là sotto potrebbe esserci una coltre di nubi o un oceano immenso, uno splendido oceano di verde, dove are e tucani dai colori smaglianti sfrecciano tra le piramidi dorate che si innalzano come scogli da un litorale. Fu in questa città dimenticata che vedemmo il primo teschio, questo simbolo di morte che tanta paura ispira all'animo dell'uomo moderno. Era di pietra, scolpito sul lato di una delle piramidi. Un'immagine mostruosa per noi, ma non, come Carlos ci spiegò, per l'antica civiltà a cui apparteneva, per la quale aveva tutt'altro significato: i maya e altri antichi popoli dell'America Centrale avevano infatti della morte una concezione completamente diversa dalla nostra. Per loro non era la fine; non era qualcosa da temere, bensì qualcosa a cui tendere, la grande occasione per accedere a un'altra dimensione, il mezzo per ricongiungersi al mondo degli spiriti e degli antenati. Per quell'antica civiltà la morte era un elemento dell'equilibrio naturale, un modo per restituire alla Madre Terra la vita che ci aveva dato. Il teschio dunque, a quanto sembrava, era una testimonianza di tale atteggiamento mentale. E fu in quell'occasione che Carlos ci raccontò la storia dei teschi di cristallo... Secondo un'antica leggenda dei nativi americani, esistono 13 teschi di cristallo, di dimensioni naturali, con la mandibola articolata e capaci, a quanto si dice, di parlare o cantare. Tali antichi teschi conterrebbero importanti rivelazioni sull'origine, il fine e il destino dell'umanità, e la risposta ad alcuni dei più grandi misteri della vita e dell'universo. Queste rivelazioni sarebbero, oltre che importanti per la vita del pianeta, fondamentali per la stessa sopravvivenza del genere umano. Secondo l'antica tradizione, verrà un giorno in cui tutti i teschi di cristallo saranno ritrovati e riuniti affinché la loro sapienza sia portata a conoscenza di tutti. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Perché ciò avvenga, però, il genere umano deve intanto raggiungere un certo grado di evoluzione, sia morale sia spirituale, affinché non faccia cattivo uso di questo nobile insegnamento. Presso i nativi americani tale leggenda, narrò Carlos, era stata tramandata di generazione in generazione per migliaia di anni. Come dovevamo poi scoprire, variazioni di questa tradizione si trovano in realtà presso diversi popoli delle Americhe, dai discendenti maya ai discendenti aztechi dell'America Centrale, fino agli indiani pueblo e navajo dei territori sudoccidentali degli Stati Uniti, e agli indiani cherokee e seneca del nordest. La versione cherokee, per esempio, dice che nel cosmo ci sono dodici pianeti abitati da esseri umani e che esiste un teschio per ciascuno di essi, oltre a un tredicesimo, che è di inestimabile valore per tutti i mondi. Naturalmente, mentre ascoltavamo Carlos ragguagliarci con poche parole sull'argomento, in piedi sulla cima di una delle piramidi di Tikal, pensammo che si trattava di una storia suggestiva, di uno scampolo di mitologia antica, di una favola bellissima e piena di fascino, ma appunto una storia e nulla più. Una curiosità interessante, pensavamo, che avremmo raccontato agli amici quando saremmo tornati a casa. Quello che allora non sapevamo era che eravamo in procinto di scoprire qualcosa che avrebbe radicalmente mutato la nostra opinione sulla leggenda, qualcosa che ci avrebbe condotti ad affrontare un'avventura, un viaggio pieno di mistero, intrigo e meraviglia. Sarebbe diventata una ricerca che ci avrebbe portato in giro per due continenti, dalle foreste e dalle antiche rovine dell'America Centrale ai palmizi delle remote isole del Belize, e dalle gelide nevi del Canada ai deserti degli Stati Uniti. Grazie a questa avventura saremmo passati dalle sale del British Museum di Londra e dai laboratori di una delle più importanti aziende informatiche della California, a un raduno religioso in una località segreta, nel cuore delle montagne del Guatemala. Così facendo avremmo incontrato scienziati e archeologi di fama mondiale, avremmo parlato con esperti di UFO, con medium e sensitivi, e avremmo ascoltato parole di grande saggezza da anziani, sciamani, guaritori indiani. Avremmo scoperto fatti inquietanti, udito teorie scientifiche rivoluzionarie e avremmo appreso dottrine antiche rimaste segrete per migliaia di anni. Sarebbe stato un viaggio in cui avremmo intuito che le cose non sono sempre così come appaiono e che la verità può essere più fantasiosa della fantasia. Un viaggio personale di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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scoperta, nel quale avremmo esplorato il nostro modo di porci nei confronti della vita e della morte, e il nostro posto nell'universo, un viaggio interiore che ci avrebbe condotto nelle pieghe più segrete dell'animo umano. Prima di lasciare la città di Tikal, Carlos ci fornì qualche altro ragguaglio sull'antica civiltà maya a cui si doveva la costruzione della grandiosa città che si stendeva ora, in rovina, davanti a noi. Si trattava di una civiltà che aveva interessato una vasta area dell'America Centrale, da quello che è l'odierno Messico meridionale a nord, sino all'Honduras a sud, e dalla costa pacifica del Guatemala a occidente, fino alla costa atlantica e caraibica del Belize a oriente. Quest'area comprendeva le foreste pluviali del Chapas, gli altopiani e i bassopiani nebbiosi del Guatemala e la vasta zona depressa della savana che si estende fin nell'Oceano Atlantico, in quella che prese il nome di Penisola dello Yucatàn. Come ci spiegò Carlos, gli antichi maya diedero vita a una delle civiltà più progredite e sofisticate che la terra abbia mai conosciuto. Tra le città superstiti: l'immensa superba città guerriera di Chichen Itzà; Uxmal, con la sua architettura monumentale, i serpenti scolpiti e le misteriose figurine "chac-mool"; Palenque dalla bellezza assoluta e dalle proporzioni perfette; Tulum, adagiata a poca distanza dalle bianche spiagge sabbiose e dalle azzurre acque del Mar Caraibico e la fiorentissima metropoli di Tikal, i cui ruderi erano ora lì davanti a noi, ma che ai suoi tempi aveva contato fino a 50.000 abitanti. Al crepuscolo ci stavamo ancora aggirando tra le rovine di Tikal, contemplando quanto aveva saputo creare questo popolo ormai quasi dimenticato. La nostra guida e i pochi altri turisti si erano man mano allontanati, per tornare nei loro rudimentali alloggi nella foresta, e noi ci trovammo soli nella Grande Plaza dell'antica città, mentre il sole stava per scomparire. La plaza è un luogo straordinario, in un certo senso magico, una piccola radura assediata su ogni lato dalla rigogliosa natura. A nord si trovano i 12 templi in rovina dell'Acropoli Settentrionale, a sud il palazzo dell'Acropoli Centrale. A est e a ovest sorgono due immense piramidi note col nome di Tempio del Giaguaro e Tempio delle Maschere (vedi la foto a colori 3). La prima cosa che mi colpì di queste piramidi fu la vertiginosa inclinazione delle loro pareti. Il disegno di base è sostanzialmente simile a quello delle piramidi egizie che tutti conosciamo, però queste sono più Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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piccole e molto più ripide; le loro facciate inoltre non sono lisce, in quanto costituite da ripiani o gradoni, e in cima hanno tutte un tempio. Ogni elemento strutturale aveva un significato religioso per gli antichi architetti. I primi nove gradoni rappresentano il "mondo inferiore", ma con i muri e il coronamento del tempio sulla sommità si arriva a 13, che è esattamente il numero degli dei del "mondo superiore" dei maya. Le sculture in pietra che coronano il tempio rappresentano il tredicesimo e ultimo livello. Si può accedere a questi immensi templi solo seguendo l'itinerario appositamente attrezzato su una delle pareti, che presenta gradini più piccoli. Anche il numero degli scalini a misura delle gambe umane ha un suo significato. Nella piramide in cui ci trovavamo in quel momento erano 52. Anche questo, come il 13, è un numero importante nel complicato, sacro calendario divinatorio dei maya. Mentre il nostro sguardo si soffermava sugli immensi templi nella luce che stava scemando, all'improvviso sentii l'impulso di inerpicarmi sulla ripida parete occidentale del Tempio del Giaguaro. Mentre Ceri si aggirava per scattare fotografie nella piazza sottostante, io raggiunsi trafelato la cima della piramide esattamente nel momento in cui il tramonto stava diventando d'oro. Guardando fuori dalla porta del Tempio delle Maschere, sotto il tredicesimo livello, vidi pararmisi di fronte la svettante Piramide delle Maschere, che sembrava fissarmi dall'altra parte della plaza. La facciata era inondata dalla luce dorata, mentre alle spalle si stendeva un mare di verde intenso sullo sfondo del cielo che andava scolorando. Fu lo spettacolo più bello che avessi mai visto. All'improvviso un'altra visione mi esplose nella mente. Sembrava filtrare dai luoghi che mi circondavano, penetrandomi nelle vene. Era solo la mia fantasia, è vero, ma mi pareva fosse al di là di qualsiasi controllo consapevole. Nonostante fossi perfettamente solo, mi sembrò di avvertire la presenza di altri che salivano lungo la piramide per mettersi accanto a me. Mi sembrava di essere circondato da un gruppo di antichi sacerdoti, in assetto cerimoniale, con lunghe vesti fluttuanti ed elaborati copricapo di penne. Sembrava che stessero celebrando qualche rito, come avevano fatto tante volte ai loro tempi, e che stessero adorando e rendendo omaggio a qualche superiore divinità. Ma c'era anche un'atmosfera di trepida attesa, come se dovesse succedere qualcosa di speciale. Ebbi la sensazione di udire due note, una alta e l'altra bassa. Poi tutto scomparve all'istante. Nella fredda luce del giorno tutto ciò sarebbe apparso assurdo, eppure Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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questa strana "visione" mi rimase dentro per tutto il resto del viaggio. La mattina seguente salimmo su un vecchio e sgangherato scuolabus e puntammo verso il Belize, lo stato confinante col Guatemala, mentre c'era chi ci avvertiva della possibilità di venir attaccati e derubati dai banditi durante il viaggio verso la costa. Il Belize è un piccolo stato stretto tra il Guatemala e il Mar Caraibico, ma ha una natura quanto mai varia, che va da una costa turchese protetta dalla barriera corallina e disseminata di isolette o atolli, alla palude di mangrovie e spiagge con palmizi, fino a un entroterra montagnoso fitto di foreste. Il Belize è abitato da una popolazione formata da diverse razze, molte delle quali vi si sono rifugiate in qualche frangente della storia passata. Fino a poco tempo fa era ancora infestato dai pirati. Mentre ce ne stavamo seduti in uno dei molti bar sull'isoletta di Caye Caulker, il padrone del locale sembrava spassarsela un mondo a raccontarci da dietro il banco alcuni fatti relativi a questo aspetto alquanto sinistro della loro storia. Dei pirati sapeva tutto, anzi di più: anche lui sembrava un pirata, mentre ci spiegava che il Belize ne era stato un vero e proprio covo. Le antiche vie del commercio tra l'Africa e il Nuovo Mondo passavano lì vicino e, come se non bastasse, la costa offriva un valido ausilio. Ai tempi dell'antica marineria, la barriera corallina costituiva un grosso pericolo per la navigazione. Molte navi vi ci si schiantavano, naturalmente, diventando facile preda dei pirati. Non che fosse impossibile superarla per attraccare sulla spiaggia, però era indispensabile conoscerla "come il dorso tatuato della mano". Ciò significava che su quella costa i pirati si trovavano perfettamente a loro agio, protetti dalla barriera corallina, e praticamente senza nemmeno la paura di venir acciuffati dalle autorità navali. Molti pirati avevano stretto amicizia con i nativi maya e avevano anche finito con l'assumerne alcune abitudini. L'esempio più vistoso era rappresentato dalla loro ben nota bandiera: il teschio con le tibie a croce. A quanto pare, si trattava di un simbolo religioso di carattere positivo per i maya. Naturalmente si trasformò in un simbolo di terrore per tutti gli altri uomini di mare a causa delle aggressioni dei pirati, anche se ciò - così si dice - non fu un loro preciso disegno. Quando ci capitò di tornare in quel bar, la conversazione andò inevitabilmente a cadere sull'argomento dei tesori nascosti. Ne era mai stato trovato qualcuno? Il barman non aveva mai sentito dire di qualche Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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forziere spinto sulla spiaggia dalle onde, però c'era qualcosa che poteva essere considerato una specie di tesoro nascosto, rinvenuto nel corso di uno scavo archeologico nell'entroterra, nei lontani anni Venti. Con nostra grande meraviglia, ci confidò che il tesoro consisteva in un teschio di cristallo. L'uomo ci precisò che era venuto alla luce nella città di Lubaantun, nome maya che significa "la Città delle Pietre Cadute", situata fra le foreste del Belize. Eravamo al colmo dello stupore. Alla leggenda dei teschi non avevamo quasi più pensato. Che un teschio di cristallo fosse stato veramente trovato ci sembrava incredibile. Dovevamo a tutti i costi approfondire l'argomento. Chiesi al padrone del locale se il teschio avesse qualcosa a che fare con la leggenda. Lui ne era all'oscuro, però sapeva con sicurezza che, dal momento in cui il teschio era stato rinvenuto, si erano diffuse storie prive di fondamento. A quanto sembrava, molte persone che si erano trovate a stargli vicino da sole per un po', sostenevano di aver visto o sentito qualcosa. Si diceva che il teschio avesse una luminosità particolare, una specie di aura che si diffondeva tutto intorno, e coloro che fissavano lo sguardo nel suo interno sostenevano di avervi scorto delle immagini. Molti dicevano di esser riusciti a vedere nel teschio il passato e il futuro, e persino che fosse in grado di influenzare gli eventi futuri. Altri sostenevano di aver udito dei suoni, come un dolce salmodiare di voci umane. Erano tante le persone che avevano udito il teschio parlare o cantare, infatti lo chiamavano il "teschio parlante" oppure il "teschio cantante", come nell'antica leggenda. A quanto sembrava, le origini del teschio erano un mistero. Esistevano varie ipotesi su come fosse venuto alla luce; il barman, per esempio sosteneva che era stato portato sulla terra da extraterrestri. Aveva sentito raccontare che erano state scattate delle fotografie a "prova" di ciò. Se poi avesse o no a che fare con l'antica leggenda, non era in grado di dircelo. Aveva però anche sentito voci secondo le quali era una delle più grandi pietre preziose del mondo. A dar retta alle chiacchiere, anche solo a valutarlo come tale, valeva milioni di dollari! Eravamo al colmo dell'emozione... e nella nostra veste di cronisti pensavamo che un teschio di cristallo avrebbe costituito senza dubbio un soggetto di grande interesse per un documentario. Chiedemmo dunque al barman che cosa ancora sapesse. Chi l'aveva scoperto? E dove si trovava? Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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C'era la possibilità di fotografarlo? Rispose che il teschio era stato rinvenuto da una ragazza nel corso di scavi archeologici negli anni Venti, ma che ora doveva trovarsi in qualche località del Canada. Questo era praticamente tutto quello che poteva dirci. Aggiunse che avrebbe potuto combinare una visita sul luogo in cui l'oggetto era stato scoperto, visto che eravamo tanto interessati. E lui, guarda caso, conosceva un tale che conosceva un altro tale che avrebbe potuto accompagnarci. Naturalmente avremmo dovuto sborsare "uno o due dollari". Sebbene alcune delle storie a proposito del teschio di cristallo suonassero alquanto incredibili, quello che sembrava abbastanza sicuro era che un "oggetto" del genere era stato effettivamente rinvenuto, il che ovviamente stuzzicava la nostra curiosità. Mercanteggiammo alquanto sul prezzo, infine chiedemmo al barman di prendere tutti gli accordi necessari per fare una puntata sul posto il giorno seguente. Ebbe così inizio il nostro viaggio di scoperta, la nostra ricerca della verità sui teschi di cristallo. Anche se allora non lo potevamo nemmeno lontanamente immaginare, le nostre indagini ci avrebbero portato dalle estreme frontiere della scienza moderna all'esplorazione di antiche tradizioni risalenti alla notte dei tempi. Pian piano saremmo venuti a conoscere idee che avrebbero messo in dubbio molte nozioni basilari in merito alla storia passata del pianeta e all'evoluzione dell'umanità. Avremmo appreso cose che ci avrebbero fatto dubitare della corrente concezione del mondo, dell'universo e della nostra posizione in esso. Avremmo dovuto rimettere in discussione l'idea del luogo da cui noi, come individui e come società, proveniamo, la nostra appartenenza e la nostra direzione. Tutto il nostro modo di vedere il mondo avrebbe subito un cambiamento radicale. Infine, avremmo udito profezie altamente inquietanti sul futuro immediato dell'umanità di questo piccolo pianeta, e ci saremmo sentiti dire dai vecchi nativi che noi, entrati così in possesso delle "chiavi del futuro", l'avremmo "comunicato a tutto il mondo". Intanto non ci rimaneva che metterci in cammino per la prima tappa del viaggio di ricerca sul mistero dei teschi di cristallo...
2 LA SCOPERTA Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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All'alba del giorno seguente ci mettemmo in viaggio verso le rovine di quella che era stata la città di Lubaantun. Ci ritrovammo a bordo d'un piccolo motoscafo che procedeva serpeggiando sulle acque paludose del Belize. Dopo l'attesa di prammatica, lunga circa un paio di ore, per il fuoristrada che ci doveva prelevare al pontile della piantagione di banane, eccoci tra balzi e scossoni su un'accidentata pista forestale, diretti verso l'interno. I villaggi maya che attraversammo lungo il percorso sembravano fuori del tempo: capanne di legno, galline che chiocciavano, bambini che ridevano e giocavano, donne che lavavano indumenti nel fiume. Era come essere in un altro mondo. Raggiungemmo infine la nostra destinazione nel primo pomeriggio, ma ci trovammo davanti a un sito archeologico dall'aspetto quanto mai squallido. C'era tuttavia una guida ancora di guardia al luogo, così lontano dalla civiltà. Era un maya del posto e si chiamava Catarino Cal; ci venne incontro salutandoci in ottimo inglese. Capimmo in seguito che eravamo i primi turisti ad arrivare dopo chissà quanti giorni in quel posto sperduto. Ci spiegò che gli scavi erano stati avviati da un esploratore inglese di nome Frederick Mitchell-Hedges nel 1924. Sebbene all'epoca si fosse proceduto al disboscamento, dopo decenni di incuria la foresta era di nuovo avanzata quasi volesse riprendersi l'antico prigioniero, e ormai infatti le vetuste piramidi non erano quasi più visibili. Notammo che le singole pietre con cui erano costruiti gli edifici non erano normali blocchi squadrati come quelli di Tikal. Ogni masso era un pezzo assolutamente unico, appena arrotondato o sagomato per adattarsi agli altri massi vicini. Non c'erano quindi linee precise e nette tra strati di pietre orizzontali o verticali. Ogni edificio si presentava come un complesso di curve e onde, quasi una forma d'arte viva, con zone che sporgevano o rientravano, come se la costruzione stesse letteralmente respirando. Erano tutte edificate con tanta precisione secondo questo sistema che, a quanto sembrava, i costruttori non avevano dovuto impiegare cemento o un qualsiasi altro tipo di legante. In quel momento però le straordinarie piramidi erano in uno stato pietoso. Come ci spiegò Catarino, era avvenuto che negli anni Trenta una nuova équipe di esploratori aveva cercato di scoprire che cosa ci fosse al loro interno, ricorrendo alla tecnica più spiccia e moderna a loro portata la dinamite - e conferendo così un ulteriore nuovo significato alla Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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denominazione di "Città delle Pietre Cadute"! Come ci spiegò la guida, la città non era più di conseguenza uno dei migliori esempi della perfezione delle costruzioni maya, sulle quali poi ci diede altri ragguagli. La loro era stata una civiltà altamente evoluta. Nonostante venga considerata una popolazione dell'Età della Pietra, che viveva di agricoltura, con pochi beni materiali o strumenti tecnici, in realtà aveva prodotto sapienti architetti, astronomi, scienziati e matematici e possedeva un complesso sistema di scrittura geroglifica e di numerazione. Aveva dato vita inoltre a una vasta rete di città-stato indipendenti, collegate da strade, e tali da sfidare le più stupefacenti città del mondo con le loro altissime piramidi, i loro palazzi, templi e santuari di squisita fattura, tutti arricchiti da stele di pietra con incisioni quanto mai elaborate. Ogni città era un'opera d'arte a sé, progettata, disposta e realizzata con somma perizia, ricca di edifici, tra cui osservatori astronomici orientati con esattezza rispetto al sole, alla luna, ai pianeti e alle stelle. L'intero sistema aveva infine una propria forma di governo, di politica e di amministrazione, una propria scienza basata sui movimenti dei pianeti e delle stelle, e una religione fondata sui ritmi del mondo naturale. Gli antichi maya credevano in un ricco pantheon di dei ed eroi, i quali pretendevano un costante tributo di adorazione, di riti religiosi e anche, di tanto in tanto, di sacrifici umani. Inoltre credevano nella predizione e nella divinazione. Erano instancabili osservatori dei cieli e dei movimenti dei corpi celesti, e davano grande importanza alle proprie capacità di profezia e preveggenza. Grazie al loro complesso sistema di strumenti per la misurazione del tempo, erano persino in grado di predire con assoluta certezza le eclissi. La civiltà maya prosperò per più di 1.000 anni, a iniziare dal 300 a.C. Le dinastie si susseguivano, i sovrani si adornavano di costumi elaborati, i sacerdoti davano i loro consigli e officiavano strani riti esoterici, guerre furono combattute e tregue stipulate. Poi, all'improvviso, le città furono abbandonate. Intorno all'830 d.C, ben prima dell'arrivo degli europei nelle Americhe, i maya "classici" lasciarono che le loro grandiose città venissero ingoiate dalla foresta e lentamente crollassero fino a ridursi in polvere. Per quanto si può dedurre sulla base di ciò che è rimasto, non si direbbe che sia intervenuta una carestia o una siccità, né un'epidemia o un immane conflitto bellico. Un mistero: più di mille anni di evoluzione, crescita e affinamento, una cultura ascesa a eccezionali vette spirituali, scientifiche e Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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artistiche... e poi più nulla, senza alcuna plausibile spiegazione. Nessuno infatti sa da dove fossero originariamente venuti i maya o da dove avessero tratto le avanzate conoscenze indispensabili per fondare la loro grandiosa civiltà in così breve tempo. Su di loro rimangono numerosi misteri. Mentre ci aggiravamo intorno alle piramidi diroccate, meditando sulle ragioni per le quali l'antica civiltà maya fosse scomparsa, Catarino ricominciò a parlare. "Una delle cose più strane che ci sono pervenute dai maya è stata trovata proprio qui a Lubaantun." Mise una mano in tasca e ne estrasse qualcosa. Era una vecchia fotografìa in bianco e nero molto sciupata. "Questo è stato trovato negli anni Venti dalla figlia di MitchellHedges, Anna, quando aveva diciassette anni." Ci porse la foto dagli angoli accartocciati. Ne fui subito calamitata. Era senza alcun dubbio la fotografìa di un teschio di cristallo. Un oggetto straordinario, al contempo terrificante e splendido. Persino in quella immagine malridotta il teschio si presentava come qualcosa di eccezionale e affascinante. Fissai lo sguardo in quelle vuote orbite di cristallo e me ne sentii ipnotizzata. Mentre Chris restituiva la foto, nacque in me la voglia di saperne di più. L'immagine del teschio ci aveva conquistato, suggerendoci domande che esigevano risposte. Chi aveva realizzato un oggetto del genere, e perché? Dove si trovava adesso? Ce ne erano altri di simili e dove? Era questo uno dei 13 teschi della leggenda? Le domande mi turbinavano nella mente. Ora sapevamo con certezza che un teschio di cristallo esisteva davvero e sentivamo il bisogno di indagare oltre. La prima domanda era: dove aveva preso quella foto Catarino? Rimanemmo alquanto sorpresi quando ci disse che era stata la stessa Anna Mitchell-Hedges a dargliela, ma d'altra parte questa era la ragazza che, secondo lui, aveva trovato il teschio di cristallo nei lontani anni Venti. Come erano andate le cose? La guida ci raccontò che Anna MitchellHedges era tornata in seguito diverse volte a visitare il luogo in cui aveva fatto quella clamorosa scoperta e che la sua ultima visita risaliva al 1987. Calcolammo che, se Anna aveva rinvenuto il teschio quando aveva diciassette anni - ed erano gli anni Venti - ora doveva averne più di ottanta... Ma era ancora viva? Secondo Catarino, al momento della sua ultima visita Anna accusava il Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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peso dell'età e lui aveva avuto l'impressione che fosse tornata per rivedere un'ultima volta il luogo prima di morire. Sulla base di queste affermazioni, sembrava abbastanza improbabile che la donna fosse ancora viva e ci potesse raccontare la storia. Ormai era ora di andarcene. Ringraziammo Catarino per la pazienza dimostrata rispondendo a tutte le nostre domande e a passi lenti ci avviammo verso il fuoristrada, chiedendoci come avremmo potuto rintracciare l'anziana signora. Stavamo già montando sul mezzo, quando la guida ci raggiunse correndo. "Aspettate, aspettate", disse. "Ora ricordo! Per la verità Anna MitchellHedges mi aveva dato il suo indirizzo, ma non so se ce l'ho ancora." Ci scambiammo gli indirizzi con Catarino, il quale ci assicurò che avrebbe cercato quello di Anna e che se l'avesse trovato ce lo avrebbe mandato. Mentre percorrevamo la strada a ritroso verso la costa dove avremmo trascorso i pochi giorni di vacanza che ci rimanevano, l'intera storia incominciò ad apparirci inverosimile. Una ragazza che in uno scavo archeologico trova un antico manufatto di cui si aveva notizia solo da una leggenda: sembrava improbabile, assurdamente romantico. Di sicuro non ci aspettavamo davvero di avere più notizie da Catarino, e in breve, una volta ritornati alla nostra normale vita in Gran Bretagna, l'idea dei teschi di cristallo ci uscì dalla mente. Ma poche settimane dopo il ritorno a casa, ricevemmo una lettera dal Belize. Catarino aveva trovato l'indirizzo di Anna Mitchell-Hedges. Viveva in Canada. Entusiasti, le scrivemmo, anche se con qualche trepidazione. Non sapevamo assolutamente se avremmo mai ricevuto una risposta e comunque, in caso affermativo, temevamo che ne avremmo ricavato solo la notizia che Anna non era più di questo mondo. Quando dal Canada arrivò una lettera l'aprimmo in preda alla più viva agitazione. Nel leggerne il contenuto, ci sentimmo incredibilmente emozionati: Anna Mitchell-Hedges, seppur ottantottenne, era ancora viva e vegeta - e aveva sempre con sé il teschio di cristallo. E non solo! Ci comunicava che sarebbe stata ben felice di raccontarci tutta la storia riguardo il suo rinvenimento. La vecchia signora aveva accluso una copia dell'autobiografia del padre, Danger, My Ally1 e da questo, oltre che dalle successive telefonate con Anna, riuscimmo a mettere insieme la straordinaria vicenda. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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La storia era incominciata nella Gran Bretagna degli anni Venti, col padre di Anna, Frederick Albert, o "Mike", Mitchell-Hedges (1882-1959), un vero e proprio emulo di Indiana Jones, che la aveva adottata, orfana, fin da bambina. Per molti anni la vita della ragazza rimase strettamente legata a quella del padre. Non si era sposata e lo aveva accompagnato in molti dei suoi viaggi oltreoceano. "La passione dominante di mio padre era l'archeologia", ci spiegò. "Era molto curioso, voleva sapere sempre di più sul passato, ed era uno di quei tipi che voleva scoprire da sé le cose. Voleva conoscere tutto su tutto e non prendeva per buono quello che gli veniva detto dagli altri." Secondo lei, per la verità, Frederick Mitchell-Hedges era diventato un mito già ai suoi tempi; il classico avventuriero ed esploratore inglese, deciso a lasciare il segno negli ultimi anni dell'Impero Britannico. Aveva un carattere eccentrico, carismatico e alquanto anticonvenzionale, non tollerava la vita della borghesia inglese di provincia. Si era quindi buttato nell'avventura e nelle esplorazioni. Il suo motto, "una vita senza emozioni e avventure non è una vita", lo spinse alle molte spedizioni oltreoceano "per vedere angoli della terra che nessun bianco aveva mai visto". Si autofinanziava in buona parte con il traffico dell'argento e con le conferenze. Amava il gioco d'azzardo e trovava sempre il tempo per la sua grande passione, la pesca d'altura. Si sarebbe detto che corresse dietro al pericolo, fino al punto che gli capitò persino di trovarsi prigioniero del famoso bandito messicano - poi divenuto eroe nazionale - Pancho Villa, nelle cui azioni di guerriglia di frontiera contro gli Stati Uniti rimase, suo malgrado, coinvolto. La sua passione per l'avventura si estrinsecò soprattutto nell'organizzazione di grandi viaggi di esplorazione e scoperta dei posti più lontani, sempre assillato dall'idea di scovare i tesori delle civiltà scomparse. Frederick Mitchell-Hedges era infatti anche membro del Comitato del British Museum. Secondo lui la culla della civiltà non era nel Medio Oriente, come normalmente si riteneva, ma nel leggendario continente scomparso, Atlantide. Era convinto che questa civiltà fosse realmente esistita e poi scomparsa in seguito a qualche catastrofe naturale, e che i suoi resti si trovassero nell'America Centrale. Ne era convinto fino al punto che era deciso a portarne le prove. A tale scopo mise insieme un manipolo di esploratori e con loro si imbarcò a Liverpool nel 1924,2 destinazione l'Honduras Britannico (attuale Belize). Giunti in America, Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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sbarcarono nel porticciolo di Punta Corda, da cui si era diffusa la voce che nella foresta dell'interno giaceva un'antica città sepolta. Tentarono, in un primo tempo senza successo, di penetrare nell'entroterra seguendo il Rio Grande infestato da coccodrilli, viaggio che si concluse con un disastro, in quanto persero tutto il materiale medico a bordo di una canoa, che si capovolse e affondò. Di conseguenza, un membro del gruppo, ammalatosi di malaria, morì. Solo con l'aiuto della tribù dei maya kekchi, diretti discendenti degli antichi maya, il gruppetto riuscì infine a penetrare nella fitta foresta tropicale per proseguire nelle ricerche. Un giorno, nel cuore della foresta, si imbatterono in alcuni tumuli di pietre, ricoperti di muschio e fogliame e avviluppati da radici e rampicanti. Ecco l'indizio che stavano cercando. Frederick Mitchell-Hedges gridò: "Non possiamo essere lontani dalla città sepolta!" Diedero inizio ai lavori: gli europei e gli aiutanti maya sfacchinarono nel caldo torrido per disboscare il sito. Era un'impresa estenuante e apparentemente senza fine. Ci volle infatti più di un anno per ripulire l'area. Alla fine della prima fase del lavoro, gli alberi caduti se ne stavano là, davanti a loro, in un'immensa montagna di rami contorti. Ora si doveva dare fuoco a quanto era rimasto della foresta. Il fuoco imperversò violento per giorni e giorni sotto un sole implacabile. Bruciava come un "immenso altoforno", disseminando intorno cenere bianca rovente e rossi tizzoni di brace. Faceva inaridire le labbra, arrossava gli occhi, bloccava il respiro. Ma quando le fiamme incominciarono a placarsi, dal fumo e dalle ceneri ardenti iniziarono a emergere le rovine di quella che era stata un'immensa città. Ecco come descrive quel momento Frederick Mitchell-Hedges nella sua autobiografia pubblicata nel 1954: "Rimanemmo stupefatti di fronte alla grandiosità delle rovine. Con l'estinguersi dell'incendio vennero alla luce muri, terrazzi e tumuli... là in mezzo sorgeva una volta una possente Cittadella. "... La Cittadella dominava tutta la zona e al momento della sua costruzione doveva innalzarsi come una scintillante isola bianca alta una cinquantina di metri. Tutt'intorno erano disseminati edifici minori e tumuli sepolcrali di persone comuni, e poco più in là le migliaia di acri di verde ondeggiante mais certo necessari per dare da vivere alla numerosa popolazione".3
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Quando l'incendio si estinse, Mitchell-Hedges e la sua troupe poterono passare all'esplorazione della grande città: "Copriva... un'area complessiva di più di quindici chilometri quadrati con piramidi, palazzi, tumuli, mura, case, locali sotterranei, [persino] un anfiteatro vastissimo destinato a contenere più di 10.000 persone, a cui si accedeva attraverso due grandiosi archi. La Cittadella era costruita su una superficie di circa tre ettari, ogni metro quadrato dei quali era coperto da pietra bianca intagliata..."4 L'archeologo era stupefatto dall'abilità tecnica: "Impossibile valutare l'impegno che essa aveva richiesto, dato che i loro soli strumenti erano asce e scalpelli di selce. Cercai di squadrare, un blocco di pietra dello stesso genere, servendomi di uno di quegli utensili che avevamo ritrovato in gran numero. Mi ci volle un'intera giornata... "5 Frederick Mitchell-Hedges avrebbe impiegato parecchi anni per scoprire i segreti del passato celati nelle rovine di quella città. Nel corso dei lunghi scavi sul posto, venne raggiunto da Anna, o "Sammy" come lui la chiamava affettuosamente (vedi le foto in bianco e nero 32 e 33). La ragazza si ambientò immediatamente alla vita nella foresta, quasi come se vi ci fosse nata; in certa misura condivideva il vivace spirito d'avventura del padre e aveva un carattere forte e curioso. Si deve a quest'ultimo la sua eccezionale scoperta. Era il pomeriggio di una giornata particolarmente afosa, in cui persino l'aria sembrava aver ceduto alla sonnolenza della calura. Il sito archeologico, di solito molto animato, in quell'ora era stranamente deserto. "Erano tutti andati a dormire. Distrutti dal caldo", ricorda Anna. Mancava qualche settimana al suo diciassettesimo compleanno. Era sola nella sua capanna e avvertiva una specie di irrequietezza; all'improvviso le venne in mente una cosa che già da tempo voleva fare. "Pensai che quello era il momento giusto per salire e scoprire fin dove potevo spingere lo sguardo dalla cima dell'edificio più Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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alto. Com'è ovvio mi era stato categoricamente proibito di salirvi in quanto le pietre erano sconnesse, quindi insidiose. Ma avevo sentito dire che dall'alto di una di quelle piramidi si poteva dominare il paesaggio intorno per chilometri e chilometri e la cosa mi stuzzicava." La ragazza dunque si diresse verso la zona degli scavi, sicura che gli uomini impegnati nei lavori in quel momento dormissero nei propri letti. Incominciò ad arrampicarsi sulla piramide più alta. Le scimmie lanciavano i loro stridi dagli alberi lontani e gli insetti ronzavano forte intorno a lei, mentre cercava il percorso migliore tra le pietre sconnesse, fino a raggiungere la cima. Fu ripagata della fatica: "Giunta alla sommità, potei allargare lo sguardo per chilometri e chilometri all'intorno, uno spettacolo splendido. Sarei rimasta lassù non so quanto, ma il sole scottava e c'era qualcosa che riverberava una luce verso il mio volto. Attraverso un pertugio, da un punto molto profondo, c'era qualcosa che rifrangeva nella mia direzione, allora mi sentii molto, molto eccitata. Ancora non so come feci a scendere dall'edificio così in fretta, ma non appena raggiunsi le capanne svegliai mio padre e gli dissi che avevo scoperto qualcosa. Naturalmente mi presi una bella lavata di capo perché non avrei dovuto andare fin lassù". Suo padre si mostrò molto scettico sul fatto che lei potesse aver effettivamente visto qualcosa. "'Te lo sei sognato', disse. "Ma la mattina seguente mio padre raccolse tutti gli uomini e prima ancora che io fossi desta li aveva messi a spostare le pietre della sommità della piramide, dato che era impossibile penetrarvi dalla base. Ci vollero diverse settimane di prudente lavoro per togliere le pietre e creare un passaggio sufficientemente largo." Era il giorno del suo compleanno e Anna si offrì di scendere lei personalmente nella fessura. Venne lentamente calata giù dal padre e dagli operai nel cunicolo tra le pietre. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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"Dopo avermi legato due corde intorno alla vita e avermi assicurato una torcia sulla testa, mi calarono. Mentre pian piano scendevo nel buio, incominciai ad avvertire una certa paura, pensando alla possibilità di trovarvi serpenti e scorpioni. Quando fui in fondo, ecco che tornai a vedere qualcosa di luccicante, che mi rimandava la luce della torcia. Lo presi in mano, lo infilai nella camicia per non danneggiarlo e quindi gridai che mi facessero risalire il più in fretta possibile." Quando riemerse nell'accecante luce del giorno, ripulì l'oggetto dalla terra e lo fissò, in preda allo stupore. "Era la cosa più bella che avessi mai visto." Era un oggetto davvero impressionante: in grandezza naturale e identico in tutto e per tutto a un cranio umano, anche se quasi totalmente trasparente. Un teschio di cristallo, senza alcun dubbio. Lo tenne in alto, controluce. Era stato ricavato da un magnifico pezzo di limpido cristallo di rocca, tanto che catturava e rifletteva la luce nella maniera più incredibilmente suggestiva, complicata e affascinante. Come per miracolo, inoltre, sembrava fosse giunto sino a quel momento senza aver subito alcun danno. Ci fu un istante di silenzio stupefatto, mentre il drappello degli scavatori fissava questo incredibile oggetto, ipnotizzato da come riceveva e rifletteva la luce del sole, tra mille barbaglii. Frederick Mitchell-Hedges prese il teschio dalle mani della figlia e lo innalzò perché tutti lo vedessero. Si levò un'esplosione di gioia. "Gli operai maya che lavoravano negli scavi cominciarono a ridere e a piangere. Baciarono la terra e si abbracciarono l'un l'altro", disse Anna. Fu un momento magico, aggiunse rivivendo quell'esperienza, forse il più straordinario della sua lunga vita. Fu "come se una forza antica e potente fosse tornata ad animare tutti i presenti". Quando scese la sera e nel cielo comparvero le prime stelle, Frederick Mitchell-Hedges con gesti solenni pose il teschio su un altare di fortuna costruito dai maya. Mentre lui e Anna stavano a guardare, gli altri accesero fuochi intorno al teschio e nella luce delle fiamme si misero ad adorarlo. Dopo, si incominciò a udire un rullìo di tamburi. Danzatori maya sbucarono dal fondo della notte, ornati con penne di uccelli della foresta e pelli di giaguaro. Si muovevano con agilità e grazia al ritmo della musica. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Furono intonati canti e nenie. Fu una notte di festa, ricordò Anna. "Eseguirono cerimonie, riti e danze al cospetto del teschio, alla luce dei fuochi." Dalle profondità della foresta giunse altra gente, come se qualche cosa li avesse indotti ad arrivare lì. "Era come se un messaggio di gioia fosse stato diffuso in tutte le terre dei maya. Giunsero tantissimi nativi che non avevamo mai visto, e così sollecitamente e da luoghi così lontani che non capisco come avessero potuto essere informati del ritrovamento del teschio in un tempo così breve. Ma lui lo sapeva." Le celebrazioni intorno al teschio si protrassero per diversi giorni e tra coloro che erano arrivati fin lì per vederlo c'era anche un vecchio maya di un villaggio vicino. Guardò il teschio, quindi rivolto ad Anna e al padre disse che era "molto, molto antico". "I sacerdoti maya sostengono che ha più di 100.000 anni. Ci dissero anche che il teschio era stato eseguito come copia della testa di un importantissimo sacerdote vissuto molte migliaia di anni prima, che avevano molto amato e di cui volevano conservare per sempre la verità e la saggezza. Il vecchio aggiunse che forse si poteva far parlare quel teschio, ma non sapeva dire come." Anna e il padre erano entrambi esterrefatti da tale scoperta. Ciò che non sapevano allora era che quell'oggetto si sarebbe rivelato uno dei più misteriosi mai rinvenuti e che sarebbe arrivato a cambiare la vita di Anna e di molti altri che, col tempo, sarebbero entrati in contatto con esso. Infatti, come avevamo sentito dire, erano molti quelli secondo i quali il teschio ha poteri magici e inspiegabili. Alcuni sostengono, d'accordo con la leggenda, che in esso è stata immessa una sapienza sacra che ci permette di attingere ai segreti del più lontano passato e forse anche del futuro. Altri credono più semplicemente che il teschio possa influenzare in modo determinante i pensieri e i sentimenti della gente. Nonostante Frederick Mitchell-Hedges non avesse alcuna idea delle incredibili storie che sarebbero nate a proposito del teschio, sembrava molto colpito dalla venerazione che la Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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gente locale gli tributava. Rimase però sfavorevolmente impressionato dal fatto che gli operai maya, dopo la scoperta del teschio, si dimostravano meno zelanti nel duro lavoro degli scavi. Ragionò a lungo sul perché e ne parlò con Thomas Gann, il consulente antropologo della spedizione. La vecchia signora ci raccontò: "Mio padre decise che evidentemente il teschio era così sacro e importante per quella gente che noi non avremmo dovuto tenerlo. "Non possiamo portar via il teschio a questa povera gente". Fu così che il padre, con gesto solenne, lo consegnò ai maya. "Ne furono molto, molto felici", ricorda Anna, la quale però non era per nulla soddisfatta di quel generoso gesto, dopo aver persino corso qualche rischio per recuperare l'oggetto. "Ero molto seccata perché per calarmi a prenderlo in quel cunicolo avevo rischiato la vita." A seguito della donazione tuttavia gli scavi furono ripresi con alacrità. La piramide in cui Anna aveva rinvenuto il teschio faceva parte di un successivo lotto di scavi, e solo tre mesi dopo venne rinvenuta la mandibola del teschio, sepolta sotto un altare della camera sotterranea. Lei infatti aveva trovato solo la parte superiore del cranio. Quando i maya aggiunsero al teschio la mandibola, l'opera d'arte si presentò in tutta la sua perfezione. Come Anna rammenta, "da quel momento esso rimase nelle loro mani per quasi tre anni, sempre circondato dalla luce delle candele". Nel 1927 gli scavi di Lubaantun stavano per concludersi. Gli ultimi pezzi vennero catalogati e inviati ai musei. Mitchell-Hedges e la sua squadra avevano riportato alla luce centinaia di manufatti eccezionali e rari, ma nessuno che raggiungesse la somma bellezza del teschio di cristallo. Mentre la compagnia stava per sciogliersi, Anna si sentiva molto triste. Aveva vissuto con una famiglia maya che l'aveva trattata "come una figlia", e "aveva condiviso le loro gioie e i loro dolori per anni". Quando la ragazza e il padre salutarono gli amici maya, il loro capo si fece avanti e mise tra le mani di Frederick Michell-Hedges un pacchetto. Quando Anna lo aprì, con immensa gioia scoprì che si trattava del teschio di cristallo. "I maya regalarono il teschio a mio padre per ringraziarlo di quanto aveva fatto per la loro gente, per le medicine, il lavoro, gli utensili e altre cose che aveva fornito. Fu per questo che scelsero di restituircelo. Era il dono di tutti i maya."
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Il destino dunque volle che il teschio di cristallo accompagnasse Frederick Mitchell-Hedges nel suo viaggio da Lubaantun all'Inghilterra. Ponendo infine termine alle avventure d'oltreoceano, Mitchell-Hedges si stabilì in Inghilterra. Nel 1951 andò ad abitare a Farley Castle, suggestivo edificio del Diciassettesimo secolo nel Berkshire. Qui teneva conferenze per ospiti d'oltreoceano, illustrando le sue spedizioni e la sua meravigliosa collezione d'antichità, ed esibiva il teschio di cristallo a membri dell'aristocrazia britannica, invitati a raffinate cene a lume di candela nella grandiosa sala da pranzo. Si divertiva a raccontare agli ospiti che quello era detto il "Teschio della Morte", e poi aggiungeva: "È stato descritto come l'incarnazione di tutto il male" e "secondo la leggenda veniva adoperato dal sommo sacerdote dei maya per incantesimi di morte. Si dice che quando egli faceva un incantesimo di morte mediante il teschio, la morte arrivava senza fallo".6 Secondo Anna tutto ciò poteva essere ascritto in buona misura al senso dello humour del padre, ma è anche vero che l'alto sacerdote dei maya gli aveva confidato che, se il teschio fosse caduto nelle mani di persone malvagie, avrebbe potuto essere usato a fini nefasti. Mitchell-Hedges provava indubbiamente un immenso piacere nell'osservare gli sguardi con i quali Lord e Lady fissavano quell'oggetto impressionante: la prima reazione era di paura, ben diversa dalla reazione dei maya che avevano aiutato a estrarlo dal buio della sua tomba. I ricchi e sofisticati europei vedevano solo terrore là dove i "poveri" e "ignoranti" maya avevano trovato motivo di festa e felicità. Quale che fosse la loro prima reazione, comunque, dopo un po' il teschio di cristallo cominciava a esercitare sugli ospiti di Mitchell-Hedges una specie di attrattiva. Si stupivano dell'abilità con cui era stato lavorato e venivano conquistati dalla sua bellezza. Ne ammiravano i denti perfettamente intagliati, il levigato profilo degli zigomi e la perfezione con cui la mandibola si adattava alla parte superiore. Sulla bocca di tutti allora emergeva la stessa domanda: come aveva fatto un popolo così "ingenuo", così "primitivo", perso nel cuore della foresta tanti anni fa, a creare un oggetto tanto rifinito, tanto perfetto? Nel corso degli anni molti sono rimasti affascinati dal teschio, per quel suo modo di catturare, filtrare e riflettere la luce. È stato lavorato in modo tale che qualsiasi fonte di luce lo colpisca dal basso viene rifratta nei Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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prismi della parte anteriore del cranio. Se quindi viene posto in un locale buio, al di sopra di una qualsiasi fiamma, la luce sembra uscire dalle orbite. Altri hanno osservato che alla base del teschio, ai lati del corpo principale, sono stati operati due fori. Sono della misura e della forma adatta per inserirvi dal basso due bastoncini, così che possa essere tenuto sollevato rispetto a una fiamma o una fonte di luce, permettendo alla parte superiore di muoversi lasciando ferma la mandibola. In questo modo, oppure attaccando alla mandibola una corda o un budello animale, è possibile farlo andare su e giù, tanto da dare l'impressione che stia parlando.7 Prendendo alla lettera ciò che avevano detto a Mitchell-Hedges, e cioè che lo si poteva "far parlare", alcuni hanno avanzato l'ipotesi che gli antichi maya lo usassero proprio in questo modo. Hanno ipotizzato che il teschio veniva forse posto su un altare in cima ai gradoni di una delle immense piramidi, sospeso su una fiamma non visibile da coloro che stavano a un livello più basso. Dagli occhi uscivano lampi rossi e la mandibola si muoveva in sincronia esatta con la voce roboante di un alto e potente sacerdote, i cui accoliti intanto provocavano i movimenti del teschio. Il sacerdote pronunciava oracoli, forse annunciando anche i nomi di coloro che erano destinati a diventare le prossime vittime sacrificali. Doveva trattarsi per la verità di uno spettacolo orrifico per le masse riunite nella piazza sottostante, e così, concludevano costoro, il teschio, migliaia di anni fa, si presentava come un terribile dio vivente e parlante, usato dalla classe sacerdotale per esercitare il potere sui loro atterriti sudditi.8 Ma da tutto ciò si dovrebbe dedurre che quando il vecchio maya aveva asserito che il teschio lo si poteva "far parlare", intendeva in senso letterale. E l'idea che fosse uno strumento dei sacerdoti maya per raggirare e terrorizzare i fedeli non si armonizzava con la gioia con cui, a quanto avevano raccontato, i maya l'avevano accolto al momento della scoperta. Sibley Morrill ne fu particolarmente affascinato. Secondo lui era un altro il modo in cui lo si "faceva parlare". Stupefatto dalla sua incredibile precisione anatomica, osservò che era perfettamente identico a un vero teschio umano. Mancava tuttavia qualcosa: il cranio umano presenta una serie di linee dette suture craniche: si tratta delle giunture che si formano dopo che le diverse parti si sono saldate. Lo scrittore fece notare che non sarebbe stato difficile aggiungere questi segni, che avrebbero conferito al Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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teschio un ancora più accentuato realismo. Il fatto che mancassero, a suo parere era prova che il teschio non era stato semplicemente creato come cimelio di un particolare personaggio. Morrill si lambiccò il cervello sull'assenza di questi segni e giunse alla conclusione abbastanza originale che l'unica ragione per cui erano stati intenzionalmente omessi doveva essere che l'artigiano del teschio aveva ricevuto disposizione di tralasciarli, oppure che "un elemento così facile da incidere non era assolutamente accettabile".9 La ragione poteva risiedere, secondo lui, nel fatto che le suture avrebbero interferito col vero scopo del teschio. Morrill infatti riteneva che il suo scopo primario consistesse nel "prevedere il futuro e influire sull'andamento degli eventi". Diceva infatti che "le suture... sarebbero state fuori luogo come incisioni su una sfera di cristallo".10 Ecco qual era il suo pensiero: "La predizione del futuro probabilmente era competenza del... sacerdote, [il quale], dopo altri preliminari che potevano comprendere il digiuno o l'uso di stupefacenti, o ambedue le cose, e dopo le cerimonie di rito, avrebbe guardato all'interno del cristallo per cercare di vedere nel suo corpo e nelle sue striature... ciò che riservava il futuro.11 "[Morrill concludeva:] Quale valido aiuto era il teschio di cristallo nel predire il futuro noi non possiamo saperlo. Tutto ciò che possiamo dire con certezza... è che esso era la più efficiente sfera di cristallo mai inventata e... è quanto mai probabile che in molti casi nel corso dei secoli il teschio sia stato adoperato anche a tale scopo".12 Per quali scopi insomma era stato usato il teschio? Era una divinità vivente, una specie di oracolo dotato di parola? Era una sofisticata sfera di cristallo intagliata per vedere nel passato, nel presente e nel futuro, oppure la riproduzione della testa di un antico sacerdote? Che cosa si intendeva dire per "farlo parlare"? Quali indizi del suo antico ruolo giacevano nascosti sotto la levigata superficie prismatica? Che segreti stavano celati al di là del suo penetrante sguardo di cristallo? Si sono fatte un'infinità di ipotesi, ma tuttora non esiste alcuna prova sicura o risposta definitiva. Nel 1959 Frederick Mitchell-Hedges morì, lasciando alla devota figlia Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Anna la proprietà del teschio. Costei lo ha custodito da allora nella propria casa, pur concedendo a diversi visitatori di andare e sperimentare personalmente il "potere del teschio". Ecco dunque quale sarebbe stata la nostra prossima tappa.
3 LA PROPRIETARIA DEL TESCHIO Nel corso delle conversazioni telefoniche con Anna si faceva via via più evidente che sulle proprietà paranormali del teschio, dal momento della sua scoperta, non avevano mai cessato di circolare storie fantasiose. Dopo che era stato riportato alla luce dal profondo della foresta, molti avevano dovuto ammettere che in quell'oggetto si nascondeva qualcosa di veramente strano, eccezionale e importante. Nonostante gli anni nel frattempo trascorsi, però, sembrava che esso sfuggisse a qualsiasi tipo di etichettatura o definizione. Da quanto potevamo dire, infatti, sembrava che avesse sempre sfidato qualsiasi spiegazione. A quel punto Ceri e io eravamo assolutamente convinti che il teschio avrebbe potuto costituire un soggetto eccezionale per un documentario di ricerca. Ne parlammo con Anna e le spiegammo che avremmo avuto bisogno di maggiori dettagli. Da parte sua, lei poteva dirci solo che, se volevamo approfondire l'argomento, non ci rimaneva che "andare a prendere contatto con lui", personalmente. La cosa più strana era che in quei colloqui telefonici cominciammo ad avere l'impressione che Anna, parlando del teschio, sembrava parlasse di un essere in carne e ossa. Nel citarlo diceva "lui" e aveva lo stesso tono affettuoso che di solito si usa per parlare dei figli, dei nipoti o degli animali domestici. La nostra curiosità era ormai vivissima; quindi, per scoprire qualcosa di più, dovevamo solo accettare il gentile invito di Anna e recarci in Canada. In questo modo non solo avremmo avuto la possibilità di vedere il teschio di cristallo con i nostri occhi, ma avremmo anche potuto prendere gli accordi necessari per il documentario. Era una decisione arrischiata, perché con la spedizione nell'America Centrale avevamo dato fondo alle nostre finanze e in quel momento non avevamo nessuna garanzia che ci fosse qualcuno disposto a sponsorizzare il film. Tuttavia, in un attacco di follia, Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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decidemmo di partire per il Canada. Giungemmo alla graziosa casetta moderna di Anna, nella tranquilla cittadina di Kitchener, vicino a Toronto nell'Ontario, in mezzo alle gelide nevicate dell'inverno canadese. Non avremmo potuto immaginare un contrasto più stridente con le umide foreste tropicali del Belize. Ma la vecchia signora ci accolse con molto calore; sia lei, che non dimostrava i suoi anni, sia il nipote Jimmy, che era sotto la quarantina ed era lì in visita, ci accolsero con grande cordialità. Non appena arrivati, Anna ci guidò nel piccolo soggiorno per "far conoscenza" col teschio di cristallo. Quando entrammo nella stanza, fummo immediatamente attratti dal teschio che giaceva su un cuscino di velluto nero, su un tavolino. Era assolutamente privo di difetti, anatomicamente accuratissimo, grande come la testa di una persona adulta di medie dimensioni, quasi completamente trasparente (vedi le foto a colori 1 e 2). "Io ne sono solo la custode", incominciò a dire Anna. "Il teschio appartiene a tutti, infatti. Ha donato molta felicità a tanta gente. Io l'ho portato a far vedere in giro per tutto il mondo. Mi si chiede di andare qua e là... in Australia, in Nuova Zelanda, persino in Giappone. Personalmente però preferisco che sia la gente a venire qua, cosicché io possa essere testimone della loro gioia e felicità nella mia stessa casa." Mentre parlava, mi accorsi che non riuscivo a distogliere gli occhi dal teschio, ero come ipnotizzato. Il modo in cui la luce veniva captata, polarizzata, fatta roteare nelle sue profondità, e infine rimandata fuori dalla serica liscia superficie, aveva un che di assolutamente magnetico. Nel guardare quel teschio si avvertiva qualcosa di strano, quasi di indefinibile, ma non riuscivo neanche lontanamente a immaginare che cosa fosse. Sembrava che il teschio mi avesse fatto suo prigioniero, quasi come se si fosse messo in contatto con il mio pensiero inconscio. Una parte della mia mente, si sarebbe detto, veniva sollecitata in non so quale misterioso, quasi incomprensibile modo. Ero assolutamente distaccato da tutto il resto. Anna mi parlava ma io non sentivo. Dovette battermi sulla spalla perché mi rendessi conto che mi stava dicendo qualcosa. "Normalmente non lo permetto a nessuno, ma se lei vuole può prenderlo in mano." "Mi spiace, mi ero distratto", risposi. "Succede sempre così", disse lei con una risatina. "È normale che il Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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teschio incanti la gente quando lo vede la prima volta. Sembra che per qualche momento addirittura entrino in trance." Presi in mano il teschio di cristallo. Rimasi stupefatto dal peso. "Pesa quasi cinque chilogrammi", mi spiegò la nostra ospite. Lo porsi a Ceri, la quale dichiarò che lo trovava "mortalmente freddo" al tatto e lo ripose immediatamente sul tavolo. "Non c'è nulla di cui spaventarsi", la tranquillizzò Anna. "La gente spesso prova paura quando lo vede per la prima volta", aggiunse. "Non mi meraviglia affatto, per la verità", intervenne Jimmy. "Basta pensare a che simbolo minaccioso sia diventato il teschio. Di solito lo vediamo in film dell'orrore, come Venerdì 13, capitolo finale e roba del genere, oppure lo troviamo come simbolo sulle boccettine di liquidi velenosi." Era vero, nella nostra cultura il teschio viene sempre presentato come un'immagine che incute paura. Il suo scopo primario è sempre stato quello di terrorizzare la gente o di mettere in guardia da un pericolo. Anna proseguì: "Di solito la gente viene ad ammirare il teschio in gruppetti di due o tre, e ce n'è sempre uno che vedendolo incomincia a dare in smanie. Ma poco dopo, eccoli che se ne stanno lì come niente fosse, seduti proprio vicino a lui. Dicono: 'Non è come credevo. È splendido'. E sul loro viso incomincia a comparire la gioia, si capisce che si sentono felici". Trovai tutto ciò alquanto curioso: un'immagine di morte, che però secondo lei riusciva a far sentire felici le persone. Dapprima non capii come si conciliassero le due cose. Ma entro breve tempo dovetti ammettere che anch'io avevo iniziato ad avvertire qualcosa di caldo e di familiare. Ci ragionai su. Forse entrare in contatto con il teschio era un modo per superare la nostra paura della morte, un modo per conoscere quella che sarà la nostra immagine nel futuro. Di norma cerchiamo di respingere tutti i pensieri di morte. Invece io mi trovavo lì a fissare in faccia la sua stessa immagine. Mentre me ne stavo seduto ad ammirare la splendida natura, primigenia e limpida, del cristallo, fui colpito dal pensiero che forse la vera ragione per cui il teschio era stato ricavato da un materiale trasparente stava nel fatto che esso non rappresentava quello di una persona reale: poteva essere il teschio di chiunque. Forse le cose stavano proprio così: doveva rappresentare ciascuno e chiunque di noi. Dopotutto ognuno ha dentro di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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sé un teschio, che ora è ricoperto dalla pelle, ma che un giorno sarà tutto ciò che rimarrà di noi. Degli innumerevoli simboli che aveva a sua disposizione l'umanità, quale poteva essere il più universale? Mentre esaminavo quell'oggetto misterioso, le sue fattezze levigate e le orbite vuote, pensai che un giorno anch'io sarei morto e non sarei stato niente altro che un teschio vuoto. Non solo io, ma tutti coloro che conoscevo e amavo avrebbero fatto questa stessa triste fine. Mi chiesi se per caso non fosse questo lo scopo del teschio di cristallo, rammentare cioè a ciascuno di noi la nostra natura mortale e il tempo brevissimo di cui disponiamo su questa Terra. Eppure sembrava che ci fosse dell'altro. Chi ha infatti bisogno di essere richiamato al pensiero che un giorno morirà? Certamente questa non poteva essere l'unica ragione per creare un simile teschio. Ma se così fosse stato, allora era veramente una cosa bizzarra e macabra. Presi in mano la mandibola. Era intagliata in maniera superba, con i denti rifiniti nei più piccoli particolari. Forse il teschio mi appariva macabro a causa del modo in cui io mi ponevo nei confronti della morte, cosa che forse non voglio ammettere. Quando agganciai con cura la mandibola al resto del cranio, all'improvviso fui colpito dal pensiero che quella forte, fredda immagine della morte nascondeva in realtà un messaggio molto importante: rammentarci che siamo vivi! Mi venne in mente qualcosa che avevo udito non so dove, e cioè che proprio nel momento in cui ci si trova più vicini alla morte, proprio quando uno se la vede in un certo senso davanti agli occhi, allora si sente veramente vivo e capace di apprezzare la vita appieno. Che il teschio di cristallo fosse lì proprio per aiutarci ad apprezzare la vita? Girai il teschio di qua e di là osservando come captava la luce. Era forse stato costruito in maniera tale che guardandone il gelido profilo scolpito ci ricordassimo della sensazione della morbida pelle sul nostro viso e del sangue caldo che scorre nelle nostre vene? C'era dell'altro, però, a proposito della sua trasparenza. Questa infatti era un'immagine di morte in cui si poteva "traguardare" da una parte all'altra. Era come se il teschio ci stesse dicendo che la morte è in realtà qualcosa che noi possiamo trascendere, qualcosa attraverso cui possiamo passare per arrivare dall'altra parte. Lo riposi sul suo cuscino di velluto sul tavolino, vicino a una fotografia in bianco e nero, incorniciata, di Frederick Mitchell-Hedges. Anna stava Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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giusto incominciando a dire a Ceri che lei doveva al teschio di cristallo il suo straordinario stato di salute e la sua longevità. Dovetti ammettere che per avere ottantotto anni era una donna piena di vivacità e di eccezionale energia. "Il teschio dona salute, felicità e gioia di vivere", spiegò. "Lui è sempre nella mia stanza, anche quando dormo. Io so che mi protegge... Lo ha fatto per tutta la vita." Ceri attirò la mia attenzione sulle minute bollicine che aveva notato nel fondo del teschio di cristallo: erano disposte in strati leggermente ondulati, scintillanti come minuscole stelline all'interno di un lontano sistema solare in una tersa notte stellata. Era sorprendente pensare che le minuscole bollicine erano rimaste racchiuse nel cristallo nel corso della sua formazione molti milioni di anni prima. Mentre stavo lì con lo sguardo fisso, non potevo liberarmi dalla sensazione che ci fosse molto di più di quanto non fossi mai riuscito a immaginare. Anna stava parlando dei visitatori che arrivavano per vedere il teschio. "Il teschio unisce le persone, in vari modi. Per me è sempre motivo di felicità mostrarlo alla gente, vedere la gioia che procura a tutti. Vengono in tantissimi, in gruppi addirittura. Un sacco di indiani... Indiani americani e indiani canadesi... rimangono davanti a lui per ore e ore e io non sono capace di dirgli: 'Be', è tempo di andare'. Lui riscuote l'affetto di tutti coloro che vengono qui. C'è stata anche l'attrice Shirley Maclaine per effettuare su di lui degli esperimenti. "Accolgo bene tutti perché è un modo di dare un po' di felicità, anche se in realtà è tutto merito del teschio. Io lo chiamo il 'Teschio dell'Amore', che è esattamente il concetto che ne hanno i maya." "È spuntato il sole", annunciò Jimmy. Guardammo fuori dalle finestre e vedemmo un pallido sole invernale illuminare la strada lì davanti. Jimmy si offrì di farci vedere come si comportava il teschio nella piena luce del sole, così lo seguimmo in giardino. Il modo in cui quello splendido oggetto reagì alla luce mi affascinò. Il suo aspetto cambiava completamente a seconda della luce che lo colpiva, come se si trasfigurasse, come se mutassero persino gli schemi e le rifrazioni della luce all'interno. Lo tenni sollevato. Nonostante la luce non fosse smagliante, gli effetti erano splendidi. Le qualità prismatiche del cristallo emettevano una gamma di riflessi che generavano tutti i colori dell'arcobaleno. Era una cosa di bellezza stupefacente. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Mi interessava sapere come reagiva sotto una luce più forte. "Ebbene, una volta ne ebbi un'esperienza scioccante", disse Anna mentre rientravamo in casa e ci sedevamo davanti a una teiera. Ci raccontò come le fosse capitato di mostrare il teschio a un gruppo di scolaretti. Lo aveva appoggiato sul cuscino e poi si era voltata per fare un discorsetto, in quel momento aveva sentito i bambini gridare: "Sta fumando, signora!" Anna si era girata: il cuscino stava prendendo fuoco. Jimmy spiegò che le caratteristiche prismatiche del cristallo sono tali che, se i raggi del sole sono molto forti e cadono con un particolare angolo di incidenza sulla parte posteriore del teschio, essi vengono captati e condensati fino a che dalle orbite, dal naso e dalla bocca esce un potente raggio di luce. "Se il fenomeno si protrae per qualche minuto, il teschio può veramente far divampare un incendio", ci spiegò. "Questo potrebbe essere uno degli usi che ne facevano i maya", ipotizzò Anna. Eravamo curiosi di sapere esattamente quali erano stati gli altri impieghi del teschio. "I maya lo usavano per molte funzioni, ma soprattutto per guarire", ci chiarì la vecchia signora. "Se uno è preoccupato o non si sente bene o cose del genere, basta che vada vicino al teschio, e questo gli ridà salute, felicità e gioia di vivere." "Racconta la storia di Melissa", le suggerì Jimmy. "Ah, quella bambina che aveva guai al midollo osseo", precisò Anna. "Venne e rimase con noi alcune settimane, poi le diedi una fotografia del teschio che lei ormai porta con sé dappertutto. È tornata una volta a dirmi che è guarita e che può camminare. È stata la più grande gioia della mia vita. Altro caso: il mese scorso è venuta una signora che aveva subito un'operazione ma non stava affatto bene. È venuta qui, ha visto il teschio e vi è rimasta seduta accanto a lungo. Mi ha mandato una lettera proprio l'altro giorno per dire che è guarita." Ero al colmo della meraviglia. Se un teschio ha veramente la capacità di guarire, perché il padre di Anna, anche nei suoi resoconti scritti lo chiamava il "Teschio della Morte" e sosteneva che gli antichi maya lo avevano adoperato per "fare incantesimi di morte"? La donna spiegò: "I maya ci dissero che era un teschio capace di guarire. In realtà veniva usato per gli scopi più vari, specialmente per guarire. Senza contare inoltre che la morte per i maya era una forma di guarigione". Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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"Da quel che capisco io", intervenne Jimmy, "il fatto è che per i maya la morte era il modo definitivo per accedere alle altre dimensioni in cui loro credevano, e il teschio veniva usato per favorire questo passaggio finale all'altro mondo." "Vi posso dire con precisione come i maya lo usavano nella cerimonia dell'incantesimo di morte", proseguì Anna. "Succedeva quando uno sciamano o un sacerdote diventava troppo vecchio per poter continuare il lavoro e si sceglieva un giovane che portasse avanti la sua opera. Quando giungeva quel giorno, il vecchio si metteva disteso, il giovane gli si inginocchiava vicino, e tutti e due tenevano le mani sul teschio di cristallo. Allora un sommo sacerdote celebrava una funzione durante la quale tutta la saggezza e la sapienza del vecchio passava nel giovane attraverso il teschio, e il vecchio nel frattempo moriva sprofondando nel sonno eterno. Questa era la cerimonia della morte." Continuò spiegando che ormai erano anni che custodiva il teschio e che riceveva nella sua casa la gente che ne voleva sperimentare personalmente i poteri. Disse che i maya sapevano che uso lei stava facendo del teschio e che ne erano molto contenti. Aggiunse che, prima di morire, voleva essere sicura che qualcuno portasse avanti il suo lavoro. "Questo è quello che mio padre avrebbe voluto e questo è anche il desiderio del popolo maya." E poi: "Penso di sapere già chi subentrerà nella sua custodia quando me ne sarò andata". Stava programmando un'ultima visita a Lubaantun e noi ci chiedemmo se non avesse per caso deciso di restituire il teschio al popolo maya, lei però ci rispose che non lo avrebbe portato con sé. Secondo il pensiero di Anna, il teschio di cristallo era stato affidato a lei e a suo padre per una particolare ragione, una ragione che si sarebbe capita col tempo. "I maya mi hanno detto che il teschio è importante per tutta l'umanità. È il dono del popolo maya a tutto il resto del mondo." Infine aggiunse: "I maya hanno una grande sapienza. Ci hanno consegnato il teschio per uno scopo e una ragione precisa. Io non so con sicurezza quale sia questa ragione, ma so che questo teschio è collegato a qualcosa di molto, molto importante". Naturalmente noi avremmo voluto sapere altro, però lei ci rispose: "Vi conviene andarlo a chiedere ai maya".
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IL MISTERO Di tanto in tanto nella storia dell'umanità si verifica una scoperta così straordinaria e incredibile che non può essere spiegata sulla base delle certezze e opinioni correnti, una scoperta così fuori del comune che sfida la normale visione della storia e quindi l'intera visione del mondo contemporaneo. Poteva darsi che il teschio di cristallo appartenesse a questa categoria di scoperte? Noi avevamo sempre ritenuto di essere più progrediti ed evoluti dei nostri antenati ingenui e primitivi. Tutto quello che avevamo appreso sulla storia umana sembrava aver dimostrato che la civiltà si era maturata logicamente in modo costante e con un progressivo miglioramento da un millennio all'altro, così che ora noi ci trovavamo a vivere per definizione nel punto più alto dell'evoluzione umana. Il teschio di cristallo sembrava mettere in dubbio questo assunto. Come avevano fatto degli uomini "primitivi" a creare un oggetto così perfetto? E i maya, con le loro raffinate città, i loro complicati geroglifici, le scienze matematiche, i metodi di computo del tempo, e con le loro conoscenze astronomiche, in che punto del nostro semplicistico modello di storia umana in costante evoluzione e perfezionamento erano da collocare? Il teschio era un mistero. Non solo era bello, ma sembrava che quasi tutti coloro che venivano in contatto con lui avessero poi qualcosa di strano da raccontare, esperienze insolite o fenomeni inspiegabili. Quali che fossero i suoi veri poteri, sta di fatto che il teschio aveva incantato anche noi. Ora sapevamo che i teschi di cristallo non erano solo i protagonisti di leggende, ma che c'erano altri aspetti da prendere in considerazione. Esistevano altri teschi simili a quello di Anna? Che relazione c'era tra quello in suo possesso e l'antica leggenda? Perché alcune persone, compreso il padre di Anna, lo consideravano un oggetto di maleficio mentre altri, come Anna stessa, lo consideravano uno strumento di bene? E infine erano stati proprio i maya a realizzare questo splendido e sofisticato manufatto? Dopo la nostra visita alla signora Mitchell-Hedges, queste domande rimanevano ancora senza risposta, eppure il nostro desiderio di soddisfarle era più vivo che mai. Incominciammo ad acquisire qualche altra notizia a proposito della civiltà degli antichi maya. Dai libri che stavamo leggendo sembrava che gli archeologi fossero riusciti a ricostruirne un quadro Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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quanto mai vivido basandosi sulle dettagliate iscrizioni, sui monumenti e sugli oggetti d'arte che avevano lasciato. Si erano infatti potuti fare un'idea abbastanza precisa di molte delle loro antiche abitudini, cerimonie, conoscenze e certezze, e in alcuni casi avevano anche maturato nozioni molto precise, come la data di nascita dei re e i nomi dei loro antenati fino alla settima generazione. Incominciammo così a parlare con vari esperti e archeologi dei maya, sperando che potessero dirci qualcosa intorno al teschio di cristallo. 1 maya lo avevano intagliato nella stessa epoca in cui avevano costruito le loro grandiose città, poi abbandonandolo, magari insieme con altri simili, al momento della loro improvvisa scomparsa? Il teschio di cristallo ci poteva forse dare qualche indizio sulla ragione della loro fine? Come mai era rimasto sepolto nelle rovine del tempio? Volevamo anche scoprire se c'erano altri indizi su come i maya lo avevano modellato e sull'uso che ne avevano fatto, e se, come Frederick Mitchell-Hedges aveva sospettato, non risalisse addirittura a qualche ancora più misteriosa civiltà pre-maya. Quando ci mettemmo a fare queste ulteriori ricerche, in breve fu evidente che si trattava di domande a cui non sarebbe stato facile dare risposta. Nonostante tutti i particolari che gli archeologi avevano scoperto su alcuni aspetti della storia maya, in realtà sembrava che su interi settori mancassero invece adeguate conoscenze. Nel proseguire le ricerche, ci rendemmo conto che eravamo capitati senza saperlo in un vero e proprio campo minato di grandi controversie archeologiche. Infatti, non solo esisteva un aspro dibattito su chi erano i maya, da dove erano venuti e dove erano finiti, ma una domanda in particolare, più di qualsiasi altra, sembrava dividere l'ambiente degli esperti: da dove era effettivamente venuto fuori il teschio di cristallo di Mitchell-Hedges? Come avremmo scoperto in seguito, la controversia era incominciata già dal luogo stesso del rinvenimento del teschio: Lubaantun. Mitchell-Hedges era dell'opinione che il sito fosse in realtà di origine pre-maya. Secondo lui conteneva la prova che nella sua costruzione erano coinvolti popoli premaya e che quindi fosse da attribuire a una data molto anteriore. Ciò che aveva fatto sospettare al padre di Anna che Lubaantun potesse essere di epoca pre-maya era che, come noi stessi avevamo osservato, le tecniche di costruzione impiegate erano molto diverse da quelle degli altri Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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siti maya. Nella loro recente opera The Mayan Prophecies1 gli scrittori Adrian Gilbert e Maurice Cotterell fanno notare che lo stile di costruzione è molto simile a quello degli inca dell'attuale Perù, nell'America Meridionale, vissuti anteriormente ai maya. Esistono alcune somiglianze tra Lubaantun e i famosi siti inca, come per esempio Machu Pichu, persi nelle Ande, a migliaia di chilometri di distanza. Gilbert e Cotterell ipotizzano che chiunque abbia costruito Lubaantun dovesse aver avuto la collaborazione degli antichi inca dell'America Meridionale, o dovesse averne appreso le tecniche costruttive. Oppure gli uni e gli altri avrebbero potuto aver ereditato le loro tecniche costruttive da qualche altra civiltà preesistente. Da qui la domanda: il teschio di cristallo proveniva forse da questa stessa misteriosa civiltà pre-maya? Mitchell-Hedges riteneva che quella civiltà si identificasse con la leggendaria Atlantide. Nonostante tale ipotesi a noi sembrasse per la verità alquanto improbabile, nei suoi successivi scavi nelle Bay Islands al largo della vicina costa dell'Honduras, egli aveva trovato la prova che vi era esistita una qualche civiltà pre-maya. Fece dono di diversi oggetti rinvenuti in quegli scavi al British Museum di Londra e al Museum of the American Indian di New York, e il capitano James Joyce del British Museum scriveva a commento: "È mia opinione che [gli esemplari] testimoniano un tipo molto antico di civiltà dell'America Centrale, probabilmente pre-maya. Il fatto che essi sembrano avere qualche relazione con le civiltà della Costa Rica, dei, primi maya e del Messico arcaico, anteriori alla Conquista, fa supporre che questo sia un centro molto antico, da cui si sono diffuse varie forme di cultura in tutta l'America Centrale... "I risultati [di ulteriori ricerche] potranno probabilmente gettare una nuova luce sulle attuali opinioni relative all'origine e allo sviluppo delle civiltà aborigene americane... "Ritengo che la sua scoperta sia di immensa importanza".2 George G. Heye, che in seguito diventò presidente e direttore del Museum of the American Indian, aveva anche scritto: "Concordiamo in tutto e per tutto con le conclusioni del British Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Museum per quanto riguarda le sue stupefacenti scoperte in un arcipelago al largo della costa dell'America Centrale... Gli oggetti... sono di una civiltà fino a questo momento ignota... "[Essi] aprono una nuova era nel pensiero scientifico relativamente all'età e alla storia degli originari abitatori del continente americano... "Le sue scoperte schiudono una visione assolutamente nuova sulle antiche civiltà del continente americano, e costringono gli archeologi a rifondare le loro attuali teorie scientifiche per quanto riguarda il mistero che da troppi anni avvolge l'America Centrale e Meridionale. In effetti man mano che si faranno ulteriori lavori, e che si acquisiranno nuove conoscenze, a mio giudizio emergerà una storia diversa e si darà inizio a una ricostruzione di carattere mondiale delle opinioni sull'antichità delle civiltà culturali".3 Riuscimmo a entrare in contatto con un archeologo, il dottor Norman Hammond della Boston University, il quale aveva passato qualche tempo a Lubaantun negli anni Settanta, proseguendo gli scavi del sito. Chris telefonò a Hammond per chiedergli chi erano stati a suo giudizio i costruttori della città. E Hammond, dimostrandosi lieto di scambiare qualche opinione sull'argomento, rispose che secondo lui erano stati i maya, e solo i maya, senza l'aiuto di esterni, a edificare Lubaantun. Secondo la sua opinione, il sito era stato costruito intorno al 700 d.C. e abbandonato intorno all'850. Che gli edifici fossero costruiti con una tecnica così diversa non lo sorprendeva, in quanto tra i siti dell'area maya esistevano per esempio anche edifici costruiti con mattoni rossi e malta, simili a molte case moderne, invece che con i soliti blocchi squadrati di bianca pietra calcarea. Secondo Hammond, Lubaantun, come quegli altri siti, era assolutamente maya e lui non avrebbe mai dato credito all'ipotesi che nella costruzione fosse intervenuta l'opera di altri popoli inca, atlantidi o altri. Quando però passammo alla questione del teschio di cristallo, scoprimmo che le opinioni di Hammond avrebbero gettato una vera e propria bomba nelle nostre ricerche. Non appena Chris accennò all'argomento del teschio, l'archeologo dichiarò categoricamente che, secondo lui, il teschio di cristallo non aveva niente a che fare con Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Lubaantun, che non era stato di certo trovato in quel posto! Disse che non c'era nemmeno la prova che Anna Mitchell-Hedges fosse mai stata a Lubaantun e che la storia del rinvenimento era stata inventata dopo la morte del padre e che l'unica testimonianza su quel ritrovamento era il racconto di Anna Mitchell-Hedges. Come stavamo scoprendo, una cosa era riuscire a far decollare il film, ma tutt'altra era chiarire la verità sul teschio di cristallo dei MitchellHedges. La verità sembrava sempre sfuggirci tra le mani come granelli di sabbia. Se Anna non era mai veramente stata a Lubaantun, come mai possedeva delle foto che lo comprovavano? Se la spedizione non aveva veramente trovato il teschio di cristallo, perché mai Anna aveva inventato una storia incredibile? A quanto sembrava, a gettare dubbi sulle vere origini di quello splendido oggetto era stata una serie di strane contraddizioni tra il preciso racconto di Anna sulla scoperta del teschio e il silenzio del padre sull'argomento. Persino nella sua autobiografia, Frederick Mitchell-Hedges spende pochissime parole sull'incredibile ritrovamento. In una successiva edizione americana anzi, pubblicata nel 1955, non ne parla nemmeno. Nell'edizione originale vi fa solo un breve cenno alquanto enigmatico in una parte della biografia che si occupa principalmente di un suo successivo viaggio in Africa: "Portammo con noi il sinistro Teschio della Morte, sul quale tanto è stato scritto..."4 Se era vero che tanto era stato scritto sul teschio, noi però non eravamo riusciti a trovare assolutamente nulla. La faccenda si ingarbugliò ulteriormente quando leggemmo gli scarni accenni fatti da Frederick Mitchell-Hedges: "Ho le mie ragioni per non rivelare come ne venni in possesso. "...risale ad almeno 3600 anni fa e secondo la leggenda veniva usato dal Sommo Sacerdote dei maya nel corso di riti esoterici. Si dice che quando lui invocava la morte con l'aiuto del teschio, la morte ineluttabilmente arrivava. È stato descritto come l'incarnazione di tutto il male. Non desidero cercare di spiegare questo fenomeno".5
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Alla fine dello stesso capitolo tuttavia aggiungeva: "Quanto noi abbiamo scoperto verrà narrato più estesamente in un libro che scriverà Sammy".6 La mancanza di notizie nello stesso resoconto della scoperta redatto da Frederick Mitchell-Hedges, forse più di qualsiasi altra cosa, forse persino più delle incredibili storie sui poteri magici e sulle guarigioni del teschio, era ciò che aveva suscitato l'incredibile controversia, soprattutto nell'ambiente degli archeologi. Alla luce di questo suo riserbo, ora era assolutamente comprensibile un certo grado di scetticismo. Esso però aveva condotto a speculazioni abbastanza spinte. Il dottor David Pendergast, esperto maya nell'ambito del Royal Ontario Museum di Toronto si chiedeva se non fosse possibile che Frederick Mitchell-Hedges avesse personalmente nascosto il teschio di cristallo per farlo scoprire ad Anna. Che lei lo avesse rinvenuto proprio il giorno del suo diciassettesimo compleanno suscitava alcuni sospetti. Poteva davvero trattarsi di uno straordinario regalo del padre, che lo aveva accuratamente ficcato in un certo posto con l'intenzione di farglielo trovare, apparentemente per caso, il giorno del suo compleanno? Il problema era che, se anche si ammetteva che le cose fossero andate in questo modo, non ci si poteva non chiedere dove Frederick MitchellHedges avesse allora preso il teschio di cristallo. David si chiedeva se non l'avesse trovato da qualche altra parte o non lo avesse comprato in precedenza, e certo non a poco prezzo. La domanda a questo punto era: come aveva fatto a trasportarlo, senza che nessuno se ne accorgesse, attraverso tutta la foresta fino a Lubaantun? Un'ipotesi possibile sull'origine del teschio emerse quando considerammo meglio gli scritti di Sibley Morrill. Dal suo racconto7 emergeva che anche lui aveva dei dubbi sulla storia della scoperta a Lubaantun, e aveva una sua teoria su come Mitchell-Hedges si fosse procurato il teschio di cristallo. Verso la fine del Diciannovesimo secolo a quanto pare correvano molte chiacchiere che attribuivano all'allora presidente messicano – Porfirio Dìaz - un tesoro nascosto in cui si trovavano tra l'altro uno o più teschi di cristallo. Si diceva che questi preziosi oggetti erano stari tramandati da un imperatore all'altro e che conferivano a chi li possedeva il potere per governare. Tra la fine del Diciannovesimo e l'inizio del Ventesimo secolo in Messico ci furono grandi disordini, sollevazioni popolari e guerre civili, Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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fino a quando il presidente venne deposto. Corse voce che il suo tesoro fosse stato saccheggiato e diviso tra i rivoltosi come bottino di guerra. Uno dei ribelli non era altro che il bandito, poi eroe nazionale, Pancho Villa, a fianco del quale Frederick Mitchell-Hedges sosteneva di essere stato costretto a combattere tra il 1913 e il 1914. Questo fatto fece supporre a qualcuno che il teschio di cristallo di Mitchell-Hedges fosse originariamente appartenuto alla dinastia degli imperatori messicani e che Mitchell-Hedges lo avesse ricevuto dagli uomini di Pancho Villa, che lo avevano a loro volta rubato al presidente messicano. Sibley Morrill faceva acutamente notare: "È importante sapere che alcuni alti ufficiali del governo messicano, sia pure non ufficialmente, ritengono che il teschio fosse stato acquisito da Mitchell-Hedges in Messico e che come migliaia di altri manufatti... fosse stato illegalmente portato fuori dal paese".8 In realtà Sibley Morrill dedica praticamente un libro intero alla complessa storia secondo cui Mitchell-Hedges nel periodo precedente la prima guerra mondiale avesse operato in qualità di spia per il governo inglese e avesse combattuto a fianco di Pancho Villa insieme con la leggendaria figura del letterato Ambrose Bierce, scomparso misteriosamente in Messico in quello stesso periodo. Morrill riteneva che Bierce spiasse per conto del governo degli Stati Uniti. Sia la Gran Bretagna sia gli Stati Uniti avevano a quel tempo grossi interessi nel petrolio e nei minerali di tutta la zona. Nel 1913 i pozzi di petrolio messicani erano la principale fonte di rifornimento per la flotta navale inglese, mentre da parte sua il governo degli Stati Uniti era preoccupato per le voci secondo cui giapponesi e tedeschi stavano armando e addestrando ribelli messicani allo scopo di riceverne poi appoggio nell'invasione degli Stati Uniti. Secondo Morrill, la missione di MitchellHedges e di Bierce consisteva nell'infiltrarsi nell'esercito di Pancho Villa per ottenere preziose informazioni su quella che essi ritenevano un'evenienza possibile, e cioè che Pancho Villa diventasse presidente del Messico. Se per caso Mitchell-Hedges avesse acquistato o ricevuto il teschio di cristallo nel corso di una missione di spionaggio, certamente aveva buone Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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ragioni per non rivelare come ne era venuto in possesso. Nel caso invece che si fosse appropriato del teschio di cristallo in qualche precedente visita nel Messico, come aveva potuto mai tenerlo nascosto per tanti anni? Inoltre, non è probabile che un oggetto del genere fosse troppo caro perché qualcuno potesse permettersi di acquistarlo per il compleanno della figlia, soprattutto se si considerano i rischi eccezionali nel frattempo corsi da Mitchell-Hedges? Il commento di Anna all'ipotesi che il padre avesse nascosto il teschio perché lei lo ritrovasse fu: "Assurdo". Disse che non avrebbe speso le migliaia di sterline necessarie a una spedizione solo per "seppellire un teschio di cristallo".9 Allora da dove mai era venuto? Era maya, come Anna credeva? Era il cimelio di una civiltà pre-maya? Era il prezioso tesoro rubato a un imperatore messicano? A questo punto facemmo però un'altra interessante scoperta, una scoperta che ci avrebbe portato ancora più addentro nell'enigma dei leggendari teschi di cristallo. Nei nostri sforzi di scovare ancora qualcosa a proposito del teschio di Mitchell-Hedges, telefonammo a Elizabeth Carmichael, viceconservatore del Museum of Mankind del British Museum di Londra. Con nostra immensa sorpresa, ci informò che di teschi di cristallo ne esistevano diversi, esattamente come raccontava la leggenda, e che il British Museum ne possedeva uno! Chris e io riprendemmo senza indugio le ricerche. Il Museum of Mankind del British Museum era situato dietro Piccadilly Circus, nel centro di Londra. Il secondo misterioso teschio di cristallo era conservato in una teca in cima alle scale, al primo piano del museo, ma sembrava alquanto fuori posto tra i totem e i manufatti in legno della Nuova Guinea papuasica. Anche questo oggetto si presentava incredibilmente limpido e anatomicamente perfetto. Anch'esso era più o meno di grandezza naturale e riproduceva esattamente la testa di un adulto di non grandi proporzioni, ma la qualità del cristallo era un po' meno limpida e l'intaglio sembrava più stilizzato di quello di Mitchell-Hedges. Nonostante anche questo teschio sembrasse ricavato da un unico blocco di cristallo, non presentava nemmeno lontanamente la verosimiglianza realistica propria di quello di Mitchell-Hedges. Pur essendo per molti versi simile nel complesso come misura e forma, le orbite erano solo accennate con due buchi profondi e tondi, i denti erano mal rifiniti e non esisteva la mandibola mobile. Ciò Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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non toglie che fosse anch'esso molto bello a vedersi {vedi foto a colori 8). Sotto il teschio di cristallo un'etichetta recitava: "Scultura azteca. "Teschio di cristallo di rocca. Messico. Probabilmente azteco. "1300-1500 ca. d.C. Lo stile di questo pezzo fa pensare al periodo azteco. Se tuttavia, come fa supporre un graffio dell'intaglio, nella lavorazione fosse stata usata una mola, il pezzo dovrebbe essere attribuito al periodo posteriore alla Conquista spagnola. "Lunghezza 21 cm. 1898.1". Non c'era dunque alcun cenno che facesse pensare a un'origine maya. Poteva anzi non essere nemmeno antico. Dopo aver esaminato il teschio, andammo a parlare con Elizabeth Carmichael in un locale tutto rivestito di pannelli di quercia, dove aveva sede la biblioteca per le ricerche. Era una donna dal tratto professionale, i modi spicci e simpatici; ci spiegò che le capitava spesso, uscendo dal suo ufficio, di trovare persone ferme davanti al teschio da ore. Aggiunse che non riusciva a capire come mai ci fosse chi veniva nel museo solo per guardare quel determinato oggetto, quando ce n'erano tanti altri magnifici, e aggiungeva che a lei personalmente il teschio non procurava nessun godimento estetico. Aggiunse che questo fatto poteva essere collegato con le voci riportate tempo prima da un tabloid. Con suo grande disappunto, vi si diceva che qualcuno del personale aveva dichiarato di aver visto il teschio muoversi da solo nella teca di vetro sigillata! I giornali avevano aggiunto che il personale delle pulizie del museo aveva chiesto che di notte venisse coperto perché incuteva paura. Ben presto fu evidente che le origini del teschio del British Museum erano misteriose e discutibili quanto quelle del teschio di Mitchell-Hedges. I documenti del museo dimostravano solo che era stato acquistato presso Tiffany, a New York, nel 1898. Si specificava che esso era stato portato dal Messico da un soldato di ventura spagnolo e che era sempre stato considerato azteco. Gli aztechi, che erano vissuti parecchi secoli più tardi, diverse centinaia di chilometri a nordovest del territorio dei maya, in quello che è oggi il Messico centrale erano notoriamente ossessionati Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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dall'immagine del teschio ancora più dei maya. Elizabeth Carmichael però spiegò che non esisteva alcuna vera prova sulla provenienza del teschio del British Museum. Disse che, nonostante fosse possibile la sua ascendenza azteca, esisteva anche la forte probabilità che si trattasse semplicemente di un falso moderno. Ci informò pure che l'oggetto del British Museum era stato in realtà analizzato insieme con quello di Mitchell-Hedges nel 1936 e che a proposito di questo studio comparato era stato pubblicato anche un articolo su Man, il giornale del Royal Anthropological Institute of Great Britain and Northern Ireland.10 Di tale articolo aveva una copia nel suo ufficio. Quando leggemmo tutti i particolari dello studio comparato, emerse che all'epoca c'era stata una discussione sulla notevole somiglianza tra i due manufatti. Uno degli esperti che partecipavano all'indagine avanzò l'ipotesi che il teschio del British Museum fosse una copia di quello originale di Mitchell-Hedges, che è più particolareggiato e più anatomicamente preciso, mentre un altro esperto pensava esattamente il contrario. Fatto sta che l'articolo arrivava alla conclusione che i due oggetti provenivano probabilmente da una stessa fonte. L'articolo però non rispondeva alla domanda: di che epoca erano i due teschi? Diceva infatti solamente: "La tecnica non ci aiuterà a stabilire la loro età perché in nessuno dei due casi c'è alcuna traccia di segni identificabili di strumenti, anche se è sicuro che nessuno dei due oggetti sia stato lavorato con strumenti di acciaio [cioè moderni]".11 Chiesi a Elizabeth Carmichael come potevamo arrivare a capire se i teschi fossero veramente un "falso moderno" o no. Ci rispose che adesso esistevano sistemi scientifici capaci di chiarire definitivamente la faccenda. Quando le domandammo se avremmo potuto filmare tali esperimenti, lei si offrì di avanzarne richiesta al capo della sua sezione. Ci spiegò che ci sarebbe voluto un bel po' per ottenere il consenso ufficiale, ma che nel frattempo potevamo dare un'occhiata agli altri documenti che il British Museum aveva in archivio, riguardanti il teschio di loro proprietà o quello di Mitchell-Hedges, per ricavarne qualche notizia utile alle nostre ricerche. Nel leggere i documenti emerse che, per quanto concerneva la storia della scoperta di Anna Mitchell-Hedges, c'era un altro problema. A quanto Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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sembrava non esisteva alcuna testimonianza scritta del rinvenimento del teschio di Mitchell-Hedges nelle schede del British Museum riguardanti Lubaantun, nonostante esse contenessero dettagliate descrizioni di tutte le altre migliaia di manufatti rinvenuti sul posto. Scoprimmo anche che, quando nei lontani anni Venti il capitano James Joyce del British Museum aveva visitato la squadra di Mitchell-Hedges a Lubaantun per ispezionarne gli scavi, non gli era stato riferito alcunché sulla scoperta del teschio di cristallo. Né gli altri membri della spedizione Mitchell-Hedges, e in particolare Thomas Gann o Lady Richmond Brown, avevano mai pubblicamente detto o scritto qualcosa a proposito della scoperta.12 Anna Mitchell-Hedges chiarì: "Mio padre affidava l'incarico della stesura della relazione sui ritrovamenti di Lubaantun al membro dell'équipe responsabile del rinvenimento, e si faceva un obbligo di rispettare il suo diritto a darne per primo la notizia".13 Si spiega con questo il suo accenno nell'autobiografia, quando dice che "quanto... scoperto verrà narrato più estesamente in un libro che scriverà Sammy". Tornammo a dare un'altra occhiata all'autobiografia di Frederick Mitchell-Hedges. Vi trovammo un accenno quanto mai convincente che spiegava in maniera chiara per quale motivo era stato così restio nel rivelare con precisione dove aveva trovato il teschio, spiegazione che avrebbe chiarito la ragione per cui la scoperta del teschio non era stata registrata nei resoconti dello scavo conservati nel British Museum, e come mai il capitano Joyce non lo vide mai e nessun membro della squadra parlò pubblicamente o scrisse del ritrovamento né a quell'epoca né dopo. Frederick Mitchell-Hedges infatti spiegava in maniera quanto mai esplicita che quando scoprì la città sepolta di Lubaantun, "La prima nostra preoccupazione fu di informare il governatore della scoperta, e durante una riunione del Legislative Council dell'Honduras Britannico, venne votata una concessione esclusiva valida per venti anni, per effettuare scavi in un'area di settanta miglia quadrate intorno alle rovine".14 Come Mitchell-Hedges avesse potuto trattare l'accordo venne spiegato nella dichiarazione stampa di George G. Heye a nome del Museum of the American Indian in cui diceva: Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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"[Mitchell-Hedges] effettuò la sua spedizione in seguito a un accordo secondo il quale gli oggetti rinvenuti sarebbero andati all'Istituto di New York [cioè al Museum of the American Indian] e al British Museum".15 Esistendo questo accordo, secondo cui tutti i ritrovamenti sarebbero dovuti automaticamente andare all'uno o all'altro dei musei citati, come meravigliarsi che all'epoca non si facesse alcun cenno al teschio di cristallo? Anna ci fece notare: "Se il teschio di cristallo, appena rinvenuto, fosse rimasto nelle nostre mani, sarebbe andato automaticamente a un museo, come tutti gli altri oggetti trovati" e "se il capitano Joyce avesse visto il teschio, esso sarebbe andato al British Museum". Tralasciando il commento su come le cose si svolsero, il fatto è che quando il capitano Joyce venne a ispezionare lo scavo, il teschio era già stato messo nelle mani dei maya. Per questa ragione non andò a finire al British Museum. La figlia di Mitchell-Hedges inoltre precisò che, nel caso il teschio di cristallo non fosse stato veramente trovato a Lubaantun, perché mai il governo del Belize e il British Museum continuano ancora a sostenere che esso è di loro proprietà e che quindi dovrebbero rientrarne in possesso? Esisteva però un altro problema che turbava accademici e archeologi quali Elizabeth Carmichael. C'erano infatti due resoconti scritti di un teschio di cristallo negli archivi del British Museum relativi alla prima parte del Ventesimo secolo, e nessuno dei due aveva alcun nesso con Lubaantun. Il primo era l'articolo che avevamo già letto, comparso sul numero di Man del luglio 1936. Questo articolo parlava in maniera precisa del teschio che non era in possesso del British Museum dato che "apparteneva a Mr. Sidney Burney" e non faceva alcun cenno a MitchellHedges. Recava anche la nota che l'oggetto rinvenuto aveva "il carattere quasi di uno studio anatomico di un'epoca scientifica", nonostante su di esso non si potesse trovare alcun segno di lavorazione mediante un qualsiasi strumento. L'altro documento era una nota scritta a mano da uno dei precedenti curatori del museo, in cui si diceva che un teschio di cristallo di rocca era apparso in un'asta di Sotheby's a Londra il 15 settembre 1943 contrassegnato come "lotto 54". La cosa sorprendente di questa voce era che il teschio figurava come spedito per l'incanto dall'antiquario di Londra Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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W. Sydney Burney, e non da Frederick Mitchell-Hedges. La nota faceva anche capire che il British Museum aveva cercato di comprare l'oggetto, ma senza successo in quanto esso era stato "comprato da Mr. Burney" e "venduto in seguito da Mr. Burney" a chi altri se non a "Mr. MitchellHedges per [soltanto] £ 400"! A quanto pare tale transazione privata dovrebbe essere avvenuta nel 1944.16 Queste, che sono le più antiche testimonianze scritte di quello che si può ritenere il teschio di cristallo di Mitchell-Hedges, avevano condotto alcuni archeologi, tra cui ora anche Elizabeth Carmichael, a supporre che Frederick Mitchell-Hedges non aveva in realtà trovato il teschio di cristallo a Lubaantun ma lo aveva semplicemente comprato a Londra nel 1944 da un certo Mr. Burney, il quale si presume fosse un commerciante di antichità. I due documenti per la verità hanno fatto supporre a molti che il teschio non sia effettivamente per nulla antico ma moderno, forse europeo, prodotto alla fine del Diciannovesimo secolo o agli inizi del Ventesimo. A questo punto noi stavamo naturalmente incominciando ad avere seri dubbi sulla storia di Anna Mitchell-Hedges. Anna però aveva una risposta quanto mai chiara persino a questi presunti problemi. Secondo lei, Mr. Burney era un amico di famiglia che aveva prestato del denaro a suo padre, e il teschio era stato usato come pegno. Quando Mr. Burney stava per metterlo in vendita, il padre di Anna restituì la somma avuta in prestito e si riprese il teschio di cristallo. Ciò spiega perché il misterioso Mr. Burney avesse ritirato l'oggetto dall'asta e lo avesse ceduto privatamente a Mitchell-Hedges invece di assegnarlo al più alto offerente. Altra conseguenza interessante, forse casuale, della vendita è però che legalmente nessuno può mettere in dubbio che la famiglia Mitchell-Hedges sia la legittima e legale proprietaria del teschio. Ma il teschio di cristallo dei Mitchell-Hedges era un falso moderno o invece veramente uno degli antichi teschi della leggenda? L'ipotesi che fosse moderno e probabilmente europeo era stata avanzata da diversi archeologi con cui avevamo parlato, e ora riceveva una decisa conferma dalle schede del British Museum, checché ne dicesse Anna MitchellHedges. Chiedemmo quindi ad Anna se era disposta a far sottoporre il teschio di sua proprietà a esperimenti per poter arrivare finalmente alla definizione della questione. Rimanemmo quanto mai sorpresi quando ci spiegò che "lui" era già stato esaminato scientificamente. Diversi anni prima erano Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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state condotte analisi da parte della famosa azienda informatica esperta in cristalli Hewlett-Packard. La signora Mitchell-Hedges aggiunse che avremmo trovato i risultati "estremamente interessanti" ma che se volevamo sapere fino in fondo che cosa avevano scoperto gli scienziati in quell'occasione, ci conveniva andare e parlare direttamente con loro. Detto fatto, ci mettemmo in azione per poter conferire senza indugio con gli esperti della Hewlett-Packard.
5 GLI ESPERTI Il teschio di cristallo aveva attirato l'attenzione non solo degli archeologi ma anche degli scienziati, affascinati dalla sua misteriosa storia e da tutte le incredibili qualità che gli si attribuivano. Quando Anna Mitchell-Hedges acconsentì a prestare il teschio di sua proprietà a una équipe di ricercatori della prestigiosa compagnia di computer ed elettronica Hewlett-Packard, essi ebbero la possibilità di effettuarne un esame quanto mai accurato. La Hewlett-Packard è un'industria leader nella fabbricazione di computer e di altri congegni elettronici, nella quale i cristalli vengono utilizzati in una vasta gamma di prodotti. Lo staff tecnico è dunque esperto non solo nel campo informatico, ma anche nell'analisi delle proprietà fisiche, tecniche e scientifiche del cristallo. Gli esami sul teschio ebbero luogo verso la fine degli anni Settanta, nei laboratori di studi cristallografici della Hewlett-Packard, a Santa Clara in California (vedi foto in bianco e nero 35 e 36). Ci recammo in questi laboratori, nel cuore della Silicon Valley, per cercare di capire che cosa avevano scoperto i ricercatori. Gli esperimenti erano stati condotti sotto la supervisione di Jim Pruett, responsabile dei membri dell'équipe che si occupava degli standard di frequenza. Quando noi arrivammo in California, lui aveva abbandonato l'impiego già da parecchio tempo, ma Ceri e io riuscimmo a parlare con l'attuale ricercatore capo del laboratorio, Jack Kusters, e con colui che era stato l'ingegnere responsabile delle strumentazioni al quarzo, Charles Adams, il quale pure aveva presenziato agli esperimenti. Tra l'uno e l'altro avevano alle spalle cinquant'anni di esperienza nell'utilizzazione del cristallo. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Come Jack e Charles ci spiegarono, in un primo momento la squadra di ricerca non era affatto convinta che il teschio in questione fosse di quarzo vero e proprio. Esistono infatti diversi altri materiali, compresi alcuni tipi di plastica e di vetro, che a occhio nudo hanno lo stesso identico aspetto del cristallo di quarzo. Anche quello che chiamiamo comunemente cristallo, con cui si fanno bicchieri, caraffe e soprammobili, non è che vetro con aggiunta di piombo. Moltissimi sono poi oggi i cristalli prodotti industrialmente, cioè "sintetici". Il quarzo naturale, o cristallo di rocca, è un prodotto di Madre Natura. Si forma nel terreno, talvolta nel corso di miliardi di anni. I cristalli hanno origine nel profondo della crosta terrestre, di solito nel corso di attività vulcaniche o sismiche. Il processo avviene solo in condizioni di temperatura e pressione estreme, ed è sempre necessario un "seme" di cristallo per avviare il processo. Questo "seme" si forma quando un singolo atomo di silicio, in condizioni di temperatura e pressione altissime, si fonde con due atomi di ossigeno da acqua o vapore surriscaldati. Gli atomi si uniscono per formare un'unica cella cristallina di biossido di silicio, sostanza da cui è composto tutto il cristallo di quarzo (il sottoprodotto è l'idrogeno). Nel corso dei millenni, se esistono le condizioni opportune, il seme incomincia a crescere, ma il fluido circostante deve avere la giusta proporzione di silicio e acqua, o vapore pressurizzato, mantenuti a un livello di calore e pressione eccezionali, per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Quando questo "fluido primordiale" scorre sulla prima cellula di biossido di silicio, la cella incomincia a replicarsi, dando luogo alla sua complessa struttura cristallina, un atomo alla volta. Ogni cella del cristallo si comporta secondo questo stesso schema; ciascuna è un piccolo cristallo a sé stante e ciascuna ripete lo stesso schema appena descritto. In questo modo il cristallo costruisce una rete tridimensionale detta "reticolo cristallino", di assoluta regolarità geometrica, dove ogni cella è esattamente simmetrica e si ripete nella stessa identica forma in tutto l'insieme. In questo modo, poco a poco, col passare degli anni, si forma un blocco di cristallo di quarzo naturale, puro e trasparente. Allo stato naturale presenta una forma molto angolosa, sempre con sei facce, e una terminazione appuntita a ogni estremità. Naturalmente non tutti i blocchi di cristallo di quarzo naturale sono perfetti. Il quarzo è uno dei minerali più comuni in natura. Come ci spiegò Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Jack, attualmente si valuta che circa l'80 per cento della crosta terrestre è formata da quarzo, che però contiene troppe impurità, o è in formazioni troppo piccole per essere di uso pratico, se non come sabbia. E anche se alcune varietà meno pure sono belle, esse non sono tuttavia utili nell'industria elettronica. In effetti l'industria si è trovata di fronte a delle difficoltà, proprio perché le formazioni di quarzo naturale grandi e perfette sono molto rare. Tale problema recentemente è stato risolto entro certi limiti con la produzione, o meglio con l'accrescimento, di quarzo sintetico, cioè prodotto dall'uomo. I primi esperimenti nella produzione o accrescimento del quarzo sintetico ebbero inizio nel 1851, ma solo verso la fine del Ventesimo secolo venne sufficientemente perfezionata una tecnica per produrre quarzo destinato all'elettronica. Il quarzo sintetico consente di ottenere un cristallo della purezza e della dimensione ottimali, ma questo non vuol dire che il procedimento prescinda dall'aiuto di Madre Natura. Al contrario, per produrre del quarzo sintetico si deve partire da piccoli pezzi naturali. Quello che fanno gli esperti è accelerare il processo riducendolo a poche settimane, grazie a un sistema con cui si crea un ambiente adatto all'accrescimento. In una grande "autoclave", cioè una specie di caldaia altamente sofisticata, si dissolvono, nell'acqua portata a temperatura e pressione altissime, dei frammenti, o "lascas" - schegge in spagnolo - di quarzo naturale. Questo pezzo di cristallo naturale, attentamente selezionato, viene sospeso nell'autoclave, e il processo è poi affidato alla natura. Il fluido che lo circonda accresce abbastanza semplicemente il cristallo originale e il prodotto viene quindi estratto dall'autoclave, cioè raccolto, quando i cristalli che si sono formati hanno raggiunto la dimensione voluta. Data l'esistenza di diversi tipi di materiale, che a occhio nudo hanno lo stesso identico aspetto del quarzo naturale, il primo compito degli esperti della Hewlett-Packard fu di compiere attente indagini per capire di che cosa fosse fatto il teschio cosiddetto di cristallo. In una di queste indagini esso venne immerso in una bacinella di vetro contenente alcool benzilico della stessa identica densità e dello stesso indice di rifrazione del quarzo puro. Calare il teschio nella bacinella fu lo stesso che vederlo scomparire (vedi la foto 36): ciò provava che era del tipo di quarzo più straordinariamente puro. Non solo era puro, ma anche naturale. Sul teschio immerso in quel bagno venne proiettata una luce polarizzata e si videro Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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comparire delle vaghe ombre o "veli", prova che si trattava di un cristallo naturale. Le ombre, tenui variazioni nello schema di accrescimento del cristallo, qualcosa come i cerchi nel tronco d'un albero, non si formano nell'ambiente attentamente controllato del quarzo sintetico. L'oggetto dunque non poteva essere di nessun tipo di plastica o vetro, né di un moderno cristallo sintetico: era un cristallo di rocca assolutamente genuino, generato dalla Terra. La presenza dei veli rivelava anche qualche altra cosa, molto importante. Data la sua dimensione, eccezionalmente grande per un blocco di quarzo naturale, alcuni avevano sospettato che esso fosse stato ottenuto da diversi pezzi di cristallo accuratamente assemblati. Ma la prova della luce polarizzata dimostrò al di là di ogni dubbio non solo che il blocco più grande dell'oggetto era fatto da un unico pezzo di cristallo, ma che da questo stesso era stata tratta anche la mandibola mobile. Il teschio dunque in origine, anche se non sappiamo quando, faceva parte di un unico blocco di cristallo di rocca. I ricercatori dell'équipe ne rimasero strabiliati. Si tratta di uno dei materiali più duri del mondo; secondo la scala di Mohs, usata dai gemmologi, è solo di poco meno duro del diamante. La caratteristica rende il cristallo di rocca un minerale estremamente difficile da intagliare, soprattutto a causa del fatto che è fragile e tende a scheggiarsi. La lavorazione del teschio era così eccezionale che secondo gli esperti, anche se gli intagliatori avessero usato strumenti elettrici con punte di diamante, ci sarebbe voluto almeno un anno per creare un oggetto così eccezionale. Ma essi arrivarono a una conclusione ancora più stupefacente: a loro giudizio era impossibile ottenere un oggetto intagliato in questo modo squisito usando qualsiasi attuale tipo di strumento con punta di diamante; ciò a causa del fatto che la vibrazione, il calore e la frizione provocati da questi strumenti su un pezzo così delicato come la mandibola avrebbero di sicuro provocato la scheggiatura del pezzo. Al che un ricercatore esclamò: "Questo teschio non può esistere!" L'opinione iniziale degli esperti, e cioè che il teschio non era stato intagliato con strumenti moderni, si rivelò qualcosa di più che una supposizione: venne infatti confermata da ulteriori indagini. Anche esaminandone col massimo ingrandimento la superficie, non si vedevano segni di strumenti moderni, nessuna traccia della normale "vibrazione" dello strumento, né dello schema già di per sé significativo di ripetitivi Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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graffi paralleli. Dato che questi eventuali segni sarebbero stati estremamente difficili da eliminare, i risultati sembravano confermare l'impressione iniziale; e cioè che il teschio di cristallo era stato effettivamente intagliato a mano! Si trattava di un vero e proprio fenomeno, dato che le uniche tecniche manuali per la lavorazione del cristallo oggi note richiedono tempi incredibilmente lunghi. Gli esperti potevano solo supporre che l'oggetto fosse stato modellato strofinando a mano con la pazienza e col tempo il blocco iniziale di quarzo, servendosi probabilmente di un misto di sabbia di fiume e di acqua. Anche con l'uso di punteruoli di rame o di "trapani ad arco" manuali, i ricercatori conclusero che la lavorazione doveva aver richiesto l'opera di varie generazioni. Pur essendo impossibile definire con precisione il tempo necessario per l'intaglio, il giornale interno della Hewlett-Packard, Measure, fece una stima approssimativa di "300 anni di lavoro umano"!1 Come Jack e Charles spiegarono, gli artefici, chiunque fossero, dovevano aver lavorato su un blocco di quarzo molto grande, pari a circa tre volte il teschio che ne ottennero, e quando si apprestarono all'opera di intaglio non potevano sapere se l'interno fosse compatto o non contenesse per caso fratture e vuoti. Essi inoltre dovettero certo graduare con molta attenzione la grana della sabbia, incominciando con quella più grossolana per sbozzare la forma, e passando a sabbia sempre più fine man mano che procedevano nel lavoro più particolareggiato, fino ad arrivare alla sabbia di granelli microscopici, poco più che polvere, per dare il tocco finale della politura. Più importante ancora è la considerazione che, se in un momento qualsiasi avessero commesso un sia pur minimo errore, avrebbero dovuto ricominciare da capo. Io dissi che avevo sentito parlare di una bizzarra teoria suggerita dall'antica leggenda e anche da coloro che avevano trascorso qualche tempo vicino al teschio, cioè che quell'oggetto fosse di origine extraterrestre. E d'altronde, se non poteva essere stato intagliato con strumenti moderni, come lo si era foggiato manualmente? Ma gli esperti della Hewlett-Packard, forse comprensibilmente, respinsero l'ipotesi. Ecco che cosa sostenne Jack Kusters: "Data la mia formazione scientifica, mi riesce quasi impossibile credere che uomini o comunque esseri venuti da altri Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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universi siano capitati qua e abbiano depositato oggetti del genere per poi scomparire e non preoccuparsi più di noi. Si tratta di ipotesi che sono assolutamente al di fuori di ogni probabilità. Io non credo nell'esistenza, degli alieni, quindi devo concludere che esso è opera dell'uomo". Eppure, anche questa convinzione aveva dell'incredibile, nonostante lo stesso Mitchell-Hedges l'avesse presa in considerazione: "Ci devono essere voluti 150 anni di lavoro, da parte di uomini di successive generazioni, che per tutti i giorni della loro vita si sono dedicati a strofinare pazientemente con la sabbia un immenso blocco di cristallo di rocca fino a ottenere un teschio perfetto ".2 Allo stesso modo, nel suo studio del 1936 su Man, Adrian Digby del British Museum aveva già osservato che "Il teschio di Mr. Burney [presumibilmente quello di Mitchell-Hedges] non presenta alcun segno di lavorazione con strumenti moderni (età del metallo)".3 A questo punto dunque, ciò che sembrava sicuro al cento per cento basandosi sulle ultime tecniche scientifiche era che il teschio era stato intagliato completamente a mano e senza l'uso di alcuno strumento moderno dell'età del metallo. Per gli scienziati d'altra parte era assolutamente impossibile individuare con precisione in quale epoca era stato intagliato. Come Jack e Charles spiegarono il cristallo di quarzo non invecchia, non si corrode, non si erode, non deperisce né si altera in alcuna maniera col passare del tempo. Questa è in realtà la qualità che lo rende indispensabile alla moderna industria elettronica, ma che rende anche impossibile la datazione al radiocarbonio. Per altri manufatti, anche se non presentano visibili segni di invecchiamento - come nel caso del teschio di cristallo - gli scienziati possono di solito individuare con precisione l'età sia del materiale originario sia della lavorazione a cui è stato sottoposto, ricorrendo alla misurazione del grado di decadimento radioattivo degli atomi di carbonio di cui è costituito. Quando si ha a che fare col cristallo di quarzo invece questo non è possibile. Nonostante tutte le conoscenze scientifiche dei ricercatori, dunque, Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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nonostante tutta la loro professionalità tecnologica e specialistica, non esisteva alcun modo per individuare l'età del teschio di cristallo. Poteva risalire a centinaia oppure anche a miliardi di anni prima. Per quello che gli esperti ne sapevano, poteva avere l'età della Terra o essere precedente a essa. Poteva anche risalire all'inizio dei tempi. Ma i ricercatori della Hewlett-Packard riuscirono a scoprire un altro possibile indizio nel mistero del teschio di cristallo. Ulteriori esperimenti dimostrarono che esso non solo era stato ricavato da un unico blocco di quarzo naturale, ma che era di biossido di silicio "piezoelettrico", cioè del tipo largamente impiegato nell'elettronica moderna. L'equipe della Hewlett-Packard ne esaminò anche le eccezionali qualità ottiche, per esempio la capacità di canalizzare la luce dalla parte inferiore, in maniera che venga convogliata e fatta uscire dalle orbite. A quanto pare questo è possibile grazie all'orientamento dell'asse ottico del teschio, dato che il cristallo di quarzo ha un asse ottico oltre che elettronico. Altra caratteristica è che esso è incredibilmente stabile rispetto a quanto lo circonda. Si tratta di un'altra proprietà del biossido di silicio piezoelettrico, che lo rende così prezioso per l'impiego nella moderna elettronica. Ciò significa che il teschio di cristallo è altamente resistente ai cambiamenti dell'ambiente, e in particolare ai mutamenti chimici. La scienza contemporanea infatti ha anche stabilito che una delle qualità insolite del quarzo piezoelettrico è che può funzionare come un eccellente oscillatore o amplificatore. Insomma il cristallo, a differenza di altri materiali, ha l'incredibile capacità di bloccare l'energia elettrica e di oscillare a una frequenza costante e precisa. Ciò significa che, almeno in teoria, il teschio di cristallo può praticamente essere in grado di trattenere l'energia elettrica, persino anche una qualche forma di informazione, e di emettere impulsi elettrici o onde vibranti di informazione. La capacità di oscillazione è un'altra eccezionale proprietà di questo tipo di quarzo che lo rende così prezioso per la moderna industria elettronica. Il suo impiego in circuiti di oscillazione, per esempio, lo rende indispensabile per molti congegni in cui è necessario un accuratissimo controllo delle frequenze elettroniche. È poi particolarmente importante nell'elettronica di precisione, soprattutto negli strumenti per la misurazione del tempo, dagli orologi da polso a tutti gli altri. Viene impiegato persino Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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nell'orologio atomico, il più preciso del mondo sul quale vengono regolati tutti gli altri. Utilizzato per dimostrare la teoria di Einstein secondo cui il tempo si muove più lentamente man mano che si avvicina alla velocità della luce, questo orologio è indispensabile alla ricerca per la misurazione dell'attività sismica (o vulcanica) su lontani pianeti. E tutto lo strumento si basa su un semplice cristallo di quarzo. Il quarzo è anche elemento indispensabile nel campo della tecnologia di informazione, delle telecomunicazioni e della comunicazione di massa, per non citare gli strumenti di navigazione, i sistemi radar e sonar e la più recente tecnologia medica e a ultrasuoni. Le sue incredibili proprietà elettriche comportano che lo si trovi ormai in tutti i tipi di strumenti elettronici, dalle radio ai computer, dai sistemi di televisione terrestri ai più avanzati satelliti per telecomunicazioni che orbitano intorno alla Terra. Tutti impiegano, in una forma o nell'altra, dei cristalli di quarzo. Persino le grandi superstrade informatiche sono state realizzate solo grazie ai recenti progressi nel campo della ricerca e della tecnologia del cristallo. Il cristallo dunque è oggi la punta più avanzata del progresso scientifico. In effetti il potere del cristallo ha letteralmente cambiato la faccia della società. Oggi viviamo in un mondo in cui le informazioni e le comunicazioni elettroniche fanno parte di ogni aspetto della vita, un mondo in cui persino le ore del giorno sono scandite elettronicamente. Siamo in grado di comunicare in tempo reale con i nostri simili a distanza di migliaia di chilometri e raccogliere e utilizzare immense quantità di informazioni da tutto il mondo schiacciando semplicemente un tasto. Il cristallo è il protagonista di una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche mai viste. Perché il teschio di cui ci stiamo occupando è stato realizzato proprio con questo tipo di quarzo, di cui noi abbiamo appena incominciato a capire proprietà e potenzialità?
6 IL COMPUTER PREISTORICO Solo all'inizio del Ventesimo secolo gli scienziati hanno incominciato a sfruttare l'incredibile potere del cristallo di quarzo. Come si spiega allora che i nostri "ingenui" e "primitivi" antenati abbiano avuto l'intuizione di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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costruire un teschio proprio con questo materiale? Fu pura e semplice coincidenza, o sapevano già allora qualcosa che noi fino a poco tempo fa non conoscevamo? Può darsi che il teschio di cristallo rappresentasse veramente un luogo di deposito di informazioni, come tramandato dall'antica leggenda? Poteva veramente contenere un importante messaggio affidatogli dai nostri antenati? In un primo momento tutto ciò sembrava semplicemente assurdo. Era quasi incredibile che un semplice blocco di minerale potesse contenere gli immensi segreti trasmessi da coloro che ci hanno preceduti e che sono oggi avvolti dalle nebbie del passato. Ma nonostante il nostro iniziale scetticismo, dopo la visita alla Hewlett-Packard iniziammo a considerare l'idea con occhio più attento. Parlammo con il dottor John Pohl, incaricato mesoamericano nella UCLA, che ci spiegò come nei suoi vari viaggi in America Centrale aveva sentito dire che i discendenti degli antichi maya oggi non hanno dubbi sulle particolari qualità del cristallo di quarzo e lo "paragonano a una specie di antico strumento radio, televisivo o informatico, uno strumento per comunicare 'tra i mondi', una specie di porta aperta verso altre dimensioni, un mezzo di comunicazione con il mondo degli spiriti e degli antenati". Rimanemmo impressionati dalle parole del dottor Joseph Alioto in un libro a cui aveva collaborato, Holy Ice, scritto dallo specialista in cristalli Frank Dorland, successivamente agli esperimenti presso la HewlettPackard. Alioto fece notare che se meno di cent'anni fa uno avesse descritto: "... una forza invisibile che si diffonde in tutto l'ambiente, una forza che potrebbe permettere di vedere e ascoltare i nostri simili in tutto il mondo in tempo reale, [egli sarebbe stato preso per] un grande mago o un grande bugiardo. Inoltre, se aveste avanzato l'ipotesi di poter catturare questi suoni e immagini per mezzo di una scatola appositamente costruita, contenente un insieme di pezzi di metallo e di cristallo, probabilmente avreste suscitato grande scalpore. "Ebbene, naturalmente quello che abbiamo appena descritto è ciò che noi ora prendiamo come cosa scontata della nostra normale vita quotidiana: la televisione. Eppure, qualche decennio Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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fa la sola idea veniva catalogata come favola o racconto di fantascienza".1 Questa era stata anche la nostra reazione iniziale all'idea che i teschi di cristallo potessero contenere informazioni. Ma come avevamo colto dai discorsi di Charles Adams e Jack Kusters alla Hewlett-Packard, il cuore del moderno computer non è che un chip, un pezzetto di cristallo di silicio. Le celle del chip, o più esattamente "circuito integrato al silicio", sono in effetti le celle del cervello, o memoria, del computer. Questo piccolo granello di cristallo, con la sua incredibile capacità di immagazzinamento, sta al centro dell'era informatica. Esso sfrutta le originali proprietà del cristallo per incamerare e conservare informazioni. E allora se un chip di cristallo di silicio ne contiene in grandi quantità, non può essere lo stesso per quanto riguarda il cristallo di quarzo naturale di cui è fatto il teschio? In realtà, come Charles Adams ci aveva spiegato, almeno in teoria un blocco di quarzo naturale come quello del teschio è perfettamente in grado di immagazzinare informazioni esattamente come un chip di cristallo di silicio. Emerse in effetti che alcuni primi esperimenti in questo senso erano già stati fatti. Così, dopo il nostro incontro con gli esperti della HewlettPackard, l'idea che un teschio di cristallo di quarzo naturale fosse capace di contenere informazioni incominciò ad apparirci più plausibile. Il problema, come ce lo prospettò Charles, sta nel fatto che nessuno scienziato è riuscito finora a immaginare come si possano immettere e come si possano poi ricuperare da un pezzo di quarzo naturale. Ma, come aggiunse subito dopo, ciò non voleva dire che non fosse mai stato realizzato. In realtà sono in molti a credere che invece tale possibilità esista. Alcuni, come il cristallografo Frank Dorland, ritengono che il modo di attingere informazioni da un blocco di quarzo naturale quale il teschio di cristallo consiste in una forma di comunicazione diretta col cervello umano. Mentre anche questa idea all'inizio ci sembrò incredibile, in un secondo tempo scoprimmo che erano già stati condotti esperimenti in questo senso ricorrendo all'ausilio di un computer.2 Il professor Giles Brindley del Royal National Orthopaedic Hospital nel Middlesex riteneva possibile che individui affetti da paralisi potessero comunicare direttamente con un computer mediante elementi elettronici collegati al cervello. I primi risultati sono abbastanza ottimistici: sarebbe possibile per questi soggetti servirsi della sola forza del pensiero per Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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"parlare" con una macchina. Tali esperimenti fanno immaginare che un giorno forse sarà possibile una comunicazione diretta tra la mente umana e un computer senza la mediazione di ingombranti tastiere o altre strumentazioni elettroniche. Che questo sia o meno quello che veramente il futuro ci riserva, si può effettivamente immaginare che prima o poi la mente umana comunicherà con un chip di cristallo di silicio più direttamente di quanto non avvenga oggi. Potrebbero allora esistere eventualità simili per la comunicazione mentale con un teschio di cristallo? Ma se veramente ci sono informazioni racchiuse dentro i teschi di cristallo, di che tipo sono? Come vi sono state immesse, come accedervi? Nel tentativo di capirlo incominciammo a considerare come le informazioni vengano custodite nei moderni computer. Ciò che scoprimmo è che un'"informazione", com'è intesa oggi, non è un "oggetto" ma un "processo". Non è una cosa né solida né statica, né letteralmente "immagazzinata" in forma tangibile; non è qualcosa che se ne sta in una certa precisa posizione in uno schedario. Anche se possiamo parlare di informazioni che sono "immagazzinate in un granello di silicio all'interno di un computer", l'informazione in sé e per sé non ha una riconoscibile forma fisica. Non la si può né toccare, né vedere, né udire, a meno che non si ricorra al procedimento di recupero elettronico del sistema. Nel caso del computer siamo riusciti a elaborare un sistema di immissione e di recupero dell'informazione "custodita al suo interno" tramite un procedimento elettronico. Ma che tipo di informazioni possono trovarsi in un teschio di cristallo? Oggi come oggi noi non sappiamo come immettere e recuperare le informazioni in precedenza inserite nel teschio, ma questo non vuol dire che non ci siano. L'analogia che ci viene in mente è quella di un uomo dell'Età della Pietra che trova un computer e si sente dire che contiene molte notizie. Se non possiede le necessarie conoscenze di elettronica, le formule e i comandi opportuni, non può assolutamente crederci. Non potremmo trovarci oggi noi in una situazione simile nei confronti dei teschi di cristallo? Forse le informazioni contenute in essi sono in una forma a cui oggi non riusciamo ad accedere. Infatti, solo quando siamo capaci di interagire adeguatamente col sistema di immissione delle informazioni, le conoscenze in esso racchiuse possono venir estratte in una forma per noi comprensibile. Per quanto mi riguarda, quando per la prima volta lavorai con un computer, ci furono momenti in cui mi sembrava impossibile riuscire ad Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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accedere alle informazioni. In molte occasioni dubitai che ciò che stavo cercando esistesse veramente, almeno cioè fin quando non ebbi la ventura di capitare per caso sulla giusta via di ingresso per accedere al contenuto del computer. La stessa cosa potrebbe avvenire con i teschi di cristallo. Alcuni studiosi, come Frank Dorland, ritengono effettivamente possibile una comunicazione diretta tra il cristallo e la mente umana; credono inoltre che si possa recuperare l'informazione contenuta in uno di questi oggetti. Il meccanismo tramite cui ciò avviene è complesso ed eccezionalmente misterioso. Dorland ipotizza che un pezzo di cristallo di quarzo naturale piezoelettrico, come appunto un teschio di cristallo, è già di per sé in grado di interagire col corpo e con la mente umana in un modo di cui non riusciamo a essere consapevoli. Frank Dorland dedicò sei anni di ricerche al teschio di Mitchell-Hedges, e con esso si recò persino nei laboratori della Hewlett-Packard per sottoporlo a esperimenti scientifici. Leggemmo le controverse teorie nel suo libro, Holy Ice, frutto delle originali scoperte. Dorland ritiene che l"'Età della Comunicazione" in cui viviamo dovrebbe in realtà essere detta l'"Età del Cristallo" e che siamo semplicemente agli albori di questa nuova era. È suo parere che nelle proprietà elettroniche del cristallo, e quindi nel teschio in questione, ci sia molto più di quanto non siamo oggi in grado di capire, e che indubbiamente faremo altre grandi scoperte. A suo giudizio il cristallo di quarzo naturale ha la capacità di influire sul nostro stato di consapevolezza, di portare a conoscenza razionale i nostri pensieri subconsci o inconsci, di chiarire quelle che sono solo vaghe intuizioni e di farci recuperare la sapienza sepolta di un lontano passato. Ritiene anche che il cristallo di quarzo ci può aiutare a guarire dalle malattie fisiche. La teoria di Dorland si fonda sull'idea che il corpo umano e il quarzo naturale si scambiano segnali elettromagnetici in una lunghezza d'onda finora ignota. Dorland a questo punto ci invita a ricordare che nel mondo invisibile che ci sta intorno avvengono molte più cose di quante noi non immaginiamo. Siamo sempre circondati da un "mare di onde di energia elettronica", e costantemente bombardati da raggi elettromagnetici spontanei che siamo incapaci di cogliere razionalmente. Il sole per esempio emette una vasta gamma di radiazioni, delle quali gli esseri umani si rendono conto in misura molto limitata, in quanto percepiscono solo i raggi infrarossi, che danno calore, e quelli luminosi, visibili. Allo stesso Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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modo, gran parte delle onde di energia elettromagnetica create dall'uomo, come i segnali radio, TV e microonde, non possono essere avvertite dai nostri sensi. In effetti, scrive Dorland: "Si ritiene che le capacità sensoriali umane medie siano inferiori al 2 per cento dello spettro delle lunghezze d'onda note. Ciò significa che la maggior parte di noi non si accorge nemmeno del 98 per cento degli eventi normalmente noti in mezzo a cui trascorriamo la nostra vita".3 In realtà è probabile che esistano intorno a noi molte altre frequenze di energia non ancora scoperte dalla scienza. Dorland ci suggerisce di provare a vedere il corpo e la mente umana come un sistema radio che può trasmettere e ricevere queste onde di energia elettromagnetica ancora sconosciute: "Il corpo, con la sua complessa rete elettrochimica del sistema nervoso e l'alta umidità è [non solo] un generatore di potenza [e il trasmettitore, ma anche] un sensibile sistema d'antenna capace di ricevere segnali da un'infinita varietà di emittenti".4 Quello che accade, dice, quando entriamo in contatto con un cristallo di quarzo piezoelettrico come il teschio, è che le onde di energia elettromagnetica da noi prodotte vengono ricevute dal quarzo. Il cristallo allora incomincia a oscillare, ad amplificare segnali e a ritrasmetterli in forma modificata, rimandandoli nell'atmosfera, dove vengono di nuovo raccolti dalle cellule del corpo. In realtà il cristallo di quarzo modifica e amplifica le onde elettromagnetiche e ce le rimanda. Nel corso di questo processo tali onde di "informazione di energia" diventano più forti e più chiare. Come abbiamo appena visto, il quarzo piezoelettrico naturale è riconosciuto da tutti come un oscillatore, o un circuito risonante naturale, o un amplificatore. Dorland immagina però che questo processo si verifichi solo quando un cristallo è stato "messo in funzione". Come uno strumento elettronico, deve essere attivato da una fonte di energia elettrica, in questo caso costituita dal corpo e dalla mente umana. Mentre un cristallo può ricevere dell'energia attraverso l'aria, lo studioso ritiene che il mezzo più efficace di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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farlo funzionare consiste nel toccarlo o tenerlo tra le mani. Il cristallo allora reagisce all'energia che riceve, vibrando su una frequenza compatibile e in armonia col corpo e col cervello. Il nostro corpo e il nostro pensiero subconscio, secondo Dorland, possono recepire una vasta gamma di messaggi elettromagnetici da un pezzo di quarzo piezoelettrico, ma noi non siamo consapevoli di buona parte dell'informazione che in effetti captiamo, come non siamo normalmente coscienti, per esempio, dei segnali a microonde. Lo stesso avviene con le radiazioni solari: ce ne accorgiamo in minima parte pur sapendo che vengono recepite dalle cellule del nostro corpo e che stimolano la ghiandola pineale. Allo stesso modo Dorland ritiene che nel caso delle radiazioni emesse dal cristallo la ghiandola chiave coinvolta nella ricezione è l'ipotalamo. Questa ghiandola, situata nella parte inferiore del mesencefalo, in uno dei punti meno accessibili del cranio, gioca un ruolo importante nella regolazione del funzionamento dei processi elettrici e chimici del corpo. Si sa che l'ipotalamo è influenzato dal minimo impulso elettronico e secondo Dorland è in grado di ricevere e filtrare le oscillazioni emesse dai cristalli di quarzo elettronici. Questi messaggi vengono quindi inviati in tutto il corpo, ma raramente o forse mai arrivano alla mente conscia. L'interazione col quarzo, sostiene lo scienziato, può aiutare a equilibrare il sistema neuro-endocrino del corpo e a mantenerci in buona salute. Ritiene anche che le qualità amplificatrici naturali del cristallo migliorino la comunicazione tra le cellule del corpo. Secondo questa teoria tale intensificata comunicazione può aiutare la mente razionale a prendere contatto con vari livelli dell'inconscio e può servire a portare a piena consapevolezza i pensieri subconsci. Il miglioramento della comunicazione tra il livello conscio e quello inconscio della mente è stato recentemente ritenuto responsabile di effetti benefici sulla salute. In un passato non poi tanto lontano molte funzioni del corpo, per esempio il battito cardiaco, venivano ritenute esterne al controllo del pensiero conscio. Recenti esperimenti nell'uso del "biofeedback", tecnica che impiega strumenti elettronici per fornire ai pazienti informazioni sulla loro fisiologia interna, hanno invece dimostrato che l'uomo è in grado di modificare il suo sistema nervoso autonomo controllando certe condizioni, come l'alta pressione arteriosa, che in precedenza venivano ritenute fuori del controllo consapevole. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Frank Dorland usa il termine "bio-crystal feedback" per descrivere la possibilità di tipi simili di feedback tra un cristallo di quarzo naturale e la mente umana. Egli considera il pensiero un elemento determinante della buona salute del nostro corpo e sostiene che il quarzo piezoelettrico può potenziare la comunicazione tra le diverse cellule, e tra il corpo e la mente. Ritiene pure che questi livelli potenziati di comunicazione sono importanti per il benessere tramite modalità di cui non siamo pienamente al corrente. Secondo lui da questi studi nascerà una nuova scienza detta "biocristallografia", cioè lo studio dello scambio delle energie tra il cristallo di quarzo e il pensiero umano. Secondo lui il bio-crystal feedback può essere usato non solo per guarire il corpo, ma anche per rendere palesi al pensiero cosciente molte cose che l'individuo già sa e che è capace di mettere in pratica pur non avendone la consapevolezza".5 Migliorando la comunicazione tra i livelli profondi della mente umana, il quarzo piezoelettrico può rendere palesi delle conoscenze rimaste nel profondo della mente subconscia e inconscia, portandole a perfetta consapevolezza: "Le celle del cristallo trasmettono queste onde simili a onde radio tramite il sistema nervoso alle cellule corticali... nel cervello. [Là] esse vengono decodificate e ricomposte in segnali significativi che possono essere riconoscibili come disegni, parole, o forse semplicemente come la sensazione di conoscerli nella mente conscia".6 Tali messaggi possono provenire da molte emittenti ma soprattutto dalla banca della memoria subconscia e da fonti superconsce. A parere dello scienziato queste conoscenze possono originarsi non solo dalla mente subconscia dell'individuo ma anche dall'"inconscio collettivo", individuato per la prima volta da Carl Jung. Egli fece notare che a livello conscio siamo tutti esseri umani indipendenti, distinti, unici e individuali, ma se andiamo appena sotto la superficie, ciò che si trova è un livello di inconscio nel quale tutti più o meno condividiamo lo stesso complesso di pensieri, idee, emozioni. È quasi come se questi concetti archetipici avessero una vita per conto proprio, una forma indipendente di esistenza, al di fuori della mente di qualsiasi individuo. Questo è il livello dell'inconscio "collettivo". Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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In un primo momento l'idea che alcuni pensieri e idee possano esistere al di fuori della mente di questo o quel particolare individuo mi colpì in maniera violenta, addirittura illogica. Infatti, noi crediamo che i pensieri si formino "all'interno" del cervello e che ciascuno di noi abbia bisogno del suo cervello individuale per pensare. A questo punto però fui "fulminata" da una idea... Siccome vedo immagini e sento suoni provenienti dal televisore, e siccome ho bisogno di un mio apparecchio per riceverli, immagini e suoni devono nascere all'interno del televisore stesso. Noi invece sappiamo che in realtà immagini e suoni vengono captati dai molti segnali che viaggiano nell'aria, di cui non ci rendiamo normalmente conto e che non siamo capaci di ricevere senza l'aiuto dell'adeguata tecnologia. Mi chiesi se alcuni di questi pensieri potessero arrivarci con un sistema simile. Mentre non si può assolutamente negare che abbiamo bisogno dei collegamenti elettrici del cervello per pensare, ciò non sembra necessariamente voler dire che tutti i nostri pensieri e tutte le nostre idee abbiano origine proprio là dentro. Alcuni, se non tutti, li riceviamo forse da qualche altra fonte, un qualche complesso di pensieri e idee che ha una propria forma di esistenza da qualche parte fuori da noi stessi come individui, forse in qualche punto dell'etere che ci circonda... proprio come i segnali TV. Il fatto che non siamo coscienti di questa massa di pensieri, o che non sempre riceviamo da essa segnali, non comporta necessariamente che non esista, così come i segnali TV non cessano di esistere anche quando non c'è nessuno a riceverli. Mi venne in mente che il teschio di cristallo era forse lo strumento più valido, al pari di un apparecchio televisivo, per raccogliere informazioni da quella sorgente. Dorland ipotizza che i teschi di cristallo possano in qualche modo metterci in condizione di attingere a questo inconscio collettivo in maniera più efficiente. Si riferisce a qualcosa del genere quando dichiara che: "Si ritiene che esista una rete di comunicazione universale a livello subconscio, della quale ben pochi sono consapevoli... e il cristallo potrebbe essere impiegato per entrare in contatto con le banche della, memoria di altri individui che forse hanno nei loro schedari le informazioni che ci servono... ciò vuol dire che un'immensa quantità di informazione ivi depositata è ottenibile Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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da tale fonte".7 Non è questa però l'unica fonte di informazione che, secondo lo studioso, il cristallo di quarzo piezoelettrico ci può aiutare a utilizzare. Sostiene infatti che può anche aiutarci a entrare in contatto con la "banca della memoria subconscia ereditata" della nostra specie, che contiene informazioni ereditate geneticamente, risalenti addirittura ai nostri più antichi predecessori. Dorland fa notare che teschi fossili risalenti a 500.000 anni fa dimostrerebbero che in quell'epoca ci fu un improvviso aumento della grandezza e quindi della capienza della scatola cranica, e che questo creò lo scenario per la comparsa dell'Homo Sapiens. Ciò implicherebbe che tale accrescimento potrebbe essere stato determinato dalla necessità di creare nel cervello una zona supplementare per la banca della memoria subconscia ereditata. A quanto pare usiamo solo una piccolissima parte delle nostre capacità mentali. Dorland ne attribuisce la ragione al fatto che, in effetti, custodiamo in noi stessi le memorie ereditate della storia passata dell'umanità, ma siccome esse sono inserite profondamente nel subconscio, normalmente non ne abbiamo nemmeno il sentore. Come fa notare, tutti ormai sanno che il DNA che ereditiamo è responsabile delle caratteristiche fisiche, la scienza però non è riuscita fino a oggi a dimostrare se anche le memorie inconsce non siano state ereditate dai nostri antenati. Secondo Dorland, un pezzo di cristallo di quarzo, qual è il teschio, potrebbe avere una parte determinante nell'attivare quelle memorie genetiche. Forse dunque le naturali qualità di amplificazione del cristallo di quarzo potrebbero essere utilizzate non solo per potenziare la comunicazione con i nostri personali ricordi, con i pensieri subconsci e con l'"inconscio collettivo", ma anche con le nostre "memorie ancestrali". Lo scienziato suppone inoltre che potrebbe essere possibile "programmare" un teschio di cristallo con un certo corredo di pensieri, memorie, messaggi e istruzioni. Non è chiaro quale sarebbe il meccanismo necessario, sebbene egli ipotizzi che questo è quanto potrebbe essere stato fatto nel passato dagli antichi. Secondo lui: "Si ritiene che il cristallo di quarzo naturale sia stato usato 12-15.000 anni fa da molti dei rappresentanti più significativi dei nostri antenati per altri scopi...8 Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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"Gli antichi riservavano l'uso del cristallo solo a rappresentanti della gerarchia sacerdotale, della casta regnante, dell'esercito e, naturalmente a consorterie segrete.9 "Gli scienziati moderni hanno compiuto esperimenti con laser e cristalli di quarzo, trasformandoli in una banca permanente di memoria di dati fattuali da custodirsi accuratamente all'interno di un cristallo e da ricuperare in un secondo momento, quando diventi necessario... Siccome il cristallo è un materiale stabile, che non invecchia e non deperisce, è forse possibile che i dati immessi in un cristallo [il teschio nel caso particolare] rimangano attivi per migliaia di anni?"10 Le teorie di Frank Doriano!, pur essendo certo suscettibili di discussione, hanno comunque aperto possibilità affascinanti. Può essere che le proprietà piezoelettriche dei teschi di cristallo migliorino la nostra comunicazione interna, non solo aiutando a guarire il corpo, ma anche portando dal nostro inconscio alla conoscenza razionale informazioni sino a oggi inesplorate? Il cristallo sarebbe dunque stato modellato a forma di teschio affinché fosse il simbolo stesso degli antenati, le cui memorie sono custodite nel profondo della nostra mente? Potrebbe il teschio di cristallo aiutarci a portare alla luce le nostre "memorie ancestrali"? Che possa essere usato o meno per attingere alle informazioni depositate in esso, nell'etere e nel profondo della nostra psiche, la teoria di Dorland certamente implicherebbe che il teschio di cristallo sia la chiave segreta d'accesso ad ampie zone della sapienza antica.
7 IL TESCHIO PARLANTE La teoria di Dorland, esattamente come l'antica leggenda, suggeriva che il teschio di cristallo fosse veramente in grado di fornirci importanti informazioni riguardanti il passato. A quanto pare lo credono anche i maya odierni, mentre persino i ricercatori della Hewlett-Packard riconoscevano che il cristallo di quarzo naturale ha la capacità di custodire delle informazioni, tanto che non scartavano l'ipotesi che il teschio racchiudesse in sé un programma di informazioni. Ma che tipo di informazioni potevano Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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essere, e noi come potevamo accedervi? Quando Chris e io andammo a trovare Anna Mitchell-Hedges a casa sua, avevamo già conosciuto una donna che sosteneva di sapere come accedere alle informazioni contenute nel teschio. Esattamente come Frank Dorland, asseriva che gli esperti della scienza convenzionale non c'erano riusciti perché adottavano un approccio sbagliato. Disse che i segreti del teschio potevano essere svelati usando "la tecnologia della mente". Noi eravamo alquanto scettici ma curiosi. Se questo era davvero possibile, che cosa avremmo scoperto? Forse la sapienza segreta, rimasta nascosta per migliaia di anni in "contenitori" di cristallo? Forse la saggezza misteriosa di società esoteriche ormai scomparse dalla faccia della terra, o qualche antica formula caduta nell'oblio, tramandata dal genio matematico del Mesoamerica, o forse i segreti del cosmo maya, le nozioni degli antichi sui movimenti dei pianeti e delle stelle. Quando ci sedemmo nel salottino di Anna a osservare il teschio, con la sua liscia superficie trasparente, ci sembrava di essere seduti davanti a uno strano computer, ma privi della giusta password per entrare nel sistema. Saremmo mai stati in grado di inserirci in questo Internet preistorico, e di navigare nei suoi molteplici mondi? Come estrarre i segreti che si diceva giacessero nelle profondità della sua struttura di cristallo di quarzo? Aspettavamo con interesse l'arrivo di Carole Wilson, colei che sosteneva di essere in grado di farlo. Anna a quel punto ci rivelò che Carole era in realtà una delle più famose medium del Canada. All'inizio ero molto dubbiosa. Avevo sempre nutrito serie riserve a proposito dei medium. La sola parola mi faceva venire in mente l'immagine di una vecchia abbigliata da zingara, seduta sotto una tenda, lo sguardo fisso su una sfera di cristallo. Mi chiedevo insomma se quella che stavamo per conoscere non fosse una ciarlatana. Quando Carole arrivò, ci trovammo davanti a una signora sulla cinquantina, ben vestita, di poche parole e modi estremamente professionali. Rimasi sorpresa scoprendo che era in compagnia dell'ex capo della sezione omicidi della polizia di Toronto. Venimmo a sapere che in molte occasioni la polizia locale si era trovata in un vicolo cieco e, non sapendo che altro fare, si era rivolta a Carole, che tuttora collaborava con le forze dell'ordine risolvendo, grazie alle sue capacità medianiche, casi di omicidi e di persone scomparse. Si era persino sposata con l'investigatore capo responsabile del settore omicidi e persone scomparse: John Gordon Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Wilson, l'uomo che l'accompagnava. Carole ci raccontò il suo approccio con il teschio di Mitchell-Hedges. Lo aveva visto la prima volta negli anni Ottanta in occasione di una visita a casa di Anna con due amici che volevano cercare di scoprire l'età del teschio, ma che non riuscirono nell'intento. Aveva anche sentito raccontare cose molto strane: "Prima di vedere il teschio, mi aspettavo di assistere a qualcosa di strabiliante. Quando invece me lo trovai davanti, non avvenne proprio nulla, o almeno così sembrò. Fu una specie di delusione. Tutte le persone con cui mi trovavo stavano dicendo: 'Guarda che luce, guarda cosa c'è là dentro!' ma io non vedevo nulla. Pensai che si trattasse di una storia come quella del vestito nuovo del re, e che in realtà non ci fosse nulla di eccezionale in quell'oggetto. Quando mi ci sedetti vicino, mi sembrò di piombare in una specie di dormiveglia. Gli occhi mi si chiudevano e mi sentivo estremamente annebbiata. Quello che udii dopo fu qualcuno che stava dicendo: 'Fantastico! Che cosa strabiliante!' Solo in seguito scoprii che ero caduta in trance e che avevo passato le ultime due ore a raccogliere informazioni fornite dal teschio, il suo messaggio se così vi piace. Io però non ricordavo neanche una parola". In seguito la medium aveva cominciato a lavorare regolarmente con il teschio. In un modo o nell'altro riusciva ad accedere a quelle che il nipote di Anna, Jimmy, aveva definito "informazioni incredibili". "Una volta Carole era riuscita ad accedere al sistema", disse, "il materiale sembrava infinito, una caterva di dati. Ma le informazioni erano di un genere così strano e inquietante che, eravamo convinti, la maggior parte della gente probabilmente non sarebbe stata disposta a dare ascolto a cose così fuori del comune, in quel momento." Carole continuò spiegandoci che per molti anni non se l'era sentita di rendere pubbliche le cose che aveva scoperto, sebbene molta parte del materiale fosse stata accuratamente trascritta e registrata. Aveva il timore che la maggior parte della gente lo avrebbe ritenuto troppo insolito, troppo difficile da accettare, o lo avrebbe considerato "fuori del mondo". Aveva quindi incominciato a far conoscere il suo lavoro scrivendo e pubblicando Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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a proprie spese un libro, The Skull Speaks.1 Ora lei, Anna, Jimmy e il marito John sentivano che i tempi erano maturi per rendere note almeno parte di queste informazioni a un pubblico più vasto. L'intervento che Carole stava per effettuare col teschio di cristallo è comunemente noto come "channelling", tramite il quale sarebbe entrata in contatto con l'universo parallelo. Carole spiegò che non c'è nulla di morboso in quello che fa: "Non è nulla di 'paranormale' o 'soprannaturale'. Tutto il processo è assolutamente naturale ed era adottato in molte società precedenti alla nostra". Mentre me ne stavo lì seduta ad ascoltare quella donna così fuori del comune che descriveva una pratica a me sconosciuta, meditavo sul fatto che il dipartimento di polizia prendesse il suo lavoro così sul serio da affidarle casi importanti... Carole credeva di poter comunicare con un blocco di cristallo! Non riuscivo a farmene una ragione. Mentre questi pensieri mi giravano per la testa, Carole mi lanciò un'occhiata e disse: "Le convinzioni sono una cosa strana: servono a mantenere lo status quo nella mente; aiutano a sentirsi più sicuri. Questo vale per tutti. Le convinzioni però possono essere molto costrittive... riguardano il qui e l'ora. Non ammettono cambiamenti". Poi aggiunse: "Non è necessario che lei creda in quello che io faccio. Perché il teschio di cristallo è un maestro misterioso e molto potente". Lei si sarebbe prestata come medium per l"'entità" del teschio di cristallo, e noi avremmo potuto fare delle domande molto specifiche, ci raccomandò Carole. Ci spiegò che il teschio si comporta quasi come un computer, nel senso che bisognava dargli istruzioni puntuali ed essere molto chiari su quanto si voleva sapere, altrimenti non ci sarebbero state risposte utili. Ci avvisò inoltre che talvolta rispondeva prima ancora che la domanda fosse formulata e ci avvertì di non meravigliarcene troppo. Anna sistemò il teschio di cristallo su un tavolino girevole, sotto una lampada, perché Carole potesse toccarlo da tutte le parti e manipolarlo a suo piacimento (vedi la foto a colori 7). La medium si sedette e chiuse gli occhi. Il ritmo del respiro incominciò ad alterarsi e lei prese a emettere una specie di mormorio per mettersi nello stato mentale appropriato. La stanza fu pervasa da una specie di atmosfera magica. All'improvviso lei si contrasse ed emise un suono estremamente acuto. Prima che io potessi porre la prima domanda, lei parlò con una voce strana, a sillabe staccate, in Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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un'inglese molto ampolloso. "Voi volete conoscere le origini di questo contenitore che chiamate 'teschio di cristallo'... Io vi dico che venne fatto molte, molte migliaia di anni fa da esseri di intelligenza superiore... Fu plasmato da una civiltà anteriore a quella che voi chiamate dei maya. Il nostro livello di civiltà era, come voi dite 'a quel tempo' molto più avanzato, per vari aspetti, di quello che voi avete oggi..." Il discorso venne interrotto da un lungo verso acuto, poi riprese: "Questo contenitore racchiude l'idea di molti e l'idea di uno... Non venne fatto utilizzando mezzi che voi chiamate 'fisici'. Venne modellato nella sua forma presente dal pensiero. I pensieri e la sapienza sono cristallizzati in questo contenitore... che è un processo mentale cristallizzato... le informazioni dunque vennero cristallizzate in questo contenitore... "Abbiamo messo all'interno di questo che voi chiamate 'il teschio di cristallo' una forma di pensiero trasformata in linguaggio. "Gran parte del mondo che noi abbiamo creato, lo creammo con l'idea. L'idea crea la materia. Voi lo comprenderete e la tecnologia del cristallo verrà donata a coloro che la comprenderanno in maniera più precisa... questo cristallo è una sostanza vivente e voi potete far penetrare l'idea nella materia..." Sembrava dunque che quell'oggetto fosse opera di una civiltà molto avanzata che lo aveva plasmato col pensiero. Era comunque un discorso abbastanza confuso, per non dire peggio. Stavo per chiedere perché il cristallo era stato modellato nella forma di teschio quando la voce proseguì, con lo stesso tono: "Questo contenitore è cristallizzato perché voi, nella terza dimensione, avete bisogno di vedere, sentire e toccare... la sua forma permette più facilmente a una mente di entrare in contatto con un'altra senza quella che voi chiamate personalità... ma voi Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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rispettate la personalità, la testa, il contenitore del vostro cervello... così questa forma è stata conservata e portata avanti lungo molte ere... La vita terrena di questo contenitore è di 17.000 anni... È stato tramandato da una generazione all'altra, lucidato con sabbia e capelli... e niente può danneggiarlo". La ragione dunque per cui il cristallo era stato modellato a forma di teschio era che in tal modo sarebbe stato rispettato e custodito nel corso del tempo. Volevo domandare se esistevano altri teschi di cristallo, come narrava la leggenda, ma ancora una volta la voce parlò prima che io aprissi bocca: "Voi state cercando informazioni su altri contenitori di idee... Ne saranno trovati altri... perché ce ne sono molti... perché tutta la sapienza non fu data a un solo uomo e a una sola idea... Ognuno di essi racchiude la notizia di dove si trovano gli altri... "Ve ne daremo uno laddove lasciammo segni sulla Terra [alcuni già da molto tempo supponevano che potrebbe trattarsi dell'area delle Linee di Nazca in Perù, sebbene ci siano naturalmente molte altre alternative possibili]... in alto sulle montagne... Ce ne sarà uno azzurro nella regione che voi chiamate 'Sud America'... Se ne troverà un altro dove la civiltà che voi chiamate 'Atlantide' si solleva fino a voi... e vi incitiamo a esplorare il letto dell'oceano... vi incitiamo a esplorare l'area che voi chiamate 'Bimini'... Ma noi vi indirizzeremo... vi mostreremo quello che voi chiamate un 'tempio'... Questa era una zona di comunicazione tra la Terra e altri sistemi... quando tutti i contenitori saranno portati l'uno vicino all'altro sarete i detentori di un sapere eccezionale... La luce e il suono saranno la chiave, quando sarà prodotta la giusta vibrazione voi avrete le informazioni che cercate... Ma non è ancora il tempo... Ci sono ancora alcuni che non hanno ricevuto la forma... e altri che rimarranno custoditi sotto il letto dell'oceano... Ala voi non li troverete lutti, come voi dite 'in questo momento'... Sarebbe troppo pericoloso per un uomo possedere queste informazioni... troppo presto dato il livello di evoluzione... perché l'umanità cerca di migliorare tutte le distruzioni originali del nostro Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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tempo". Non riuscivo a capire un messaggio tanto criptico, ma ero curiosa di sapere perché erano stati fatti questi teschi di cristallo. Ancora una volta la voce mi anticipò: "Il contenitore ha ricevuto questa forma per incoraggiare l'idea di unitarietà e per moderare il vostro desiderio di individualismo... La vostra mente vuole l'individualismo... Noi abbiamo cercato di tramandarvi il concetto di unitarietà, la vostra mente però cerca solo l'individualismo. Come voi dite, 'se cerchi trovi'. Ed è già cominciato il processo di separazione. Voi avete già incominciato a separarvi ma questo processo sarà più accentuato. Avete un desiderio di individualismo che vi condurrà alla distruzione... l'individualismo è causa di annientamento e di morte. Già ne possiamo sentire l'influenza sotto forma di violenza... c'è molta violenza nel vostro pianeta. Violenza contro gli uomini, contro la natura... contro la Terra". Quelle misteriose enunciazioni mi erano oscure. Il teschio ci poteva dire qualcosa sulla storia dell'umanità? Ed ecco giungere la risposta: "Noi comprendiamo che voi siete venuti alla ricerca del principio dell'uomo. Desideriamo dirvi che le vostre origini furono pensate nella forma, e che voi dovete indirizzare gli occhi verso l'alto, non verso il basso. Ci saranno molte scoperte che metteranno in evidenza questa dichiarazione nel corso dei prossimi 5, 10, 15 anni... e gli inizi di ciò che voi chiamate civiltà risalgono a 15.000 anni prima della scoperta di quella che voi chiamate Atlantide. Perché c'è anche prova della nostra civiltà sotto i vostri mari. Già sono state fatte scoperte vicino a Bimini. Ma ce ne saranno molte altre nei prossimi 5, 10, 15 anni che vi indicheranno la giusta direzione... ci saranno molte altre scoperte nel Sud America, in Australia e in Egitto. In quelli che voi chiamate deserti troverete molta conoscenza. Troverete tracce della nostra civiltà nella maggior parte dei vostri continenti e c'è molto sotto i vostri mari, soprattutto sotto l'oceano che chiamate Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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'Atlantico' sotto l'Oceano 'Indiano' e sotto quello che chiamale 'Mar Morto'. Molto vicino alla superficie della Terra ci sono i resti della nostra civiltà che verranno rinvenuti ben presto... queste scoperte vi metteranno in agitazione e saranno causa di grandi contrasti, ma sono necessarie per porre limiti alla mentalità dell'individualismo. "Molte di tali scoperte però non saranno consentite in questo momento. Possiamo consentire solo quel tanto che non provoca troppo scompiglio nella vostra mente. Giungemmo sulla vostra Terra da un mondo diverso. Da altre dimensioni giungemmo in questa dimensione. Giungemmo per sperimentare, avendo bisogno di sperimentare la densità. Ciò che noi per prima cosa annunciammo non aveva nulla della densità di ciò che voi chiamate un 'corpo'. La vita sul pianeta Terra era primitiva nella sua forma, ma noi assumemmo su noi stessi la forma fisica per voi riconoscibile. Noi cercammo soltanto di sperimentare la densità materiale e di portare sapienza e illuminazione. Ma noi non ci siamo limitati a uno solo di quelli che voi chiamate 'luoghi geografici'. Ce n'erano tanti, e tante delle nostre vestigia e dei nostri insegnamenti saranno ancora trovati, sparsi per i continenti e per gli oceani". Ero ansiosa di sapere esattamente chi erano questi "noi", soggetto della voce del teschio, quando essa riprese: "Ma ci sono ancora molti tra voi che vogliono sapere dove possono trovarci nel vostro universo. Voi però state ancora attaccati all'idea che noi siamo della terza dimensione e non riuscite ad afferrare l'idea che noi siamo di dimensioni diverse, al di là della vostra rudimentale relatività spazio-temporale. "Vi vorremmo dire che l'essenza del tempo è un'illusione. Il tempo è stato creato in realtà da un'intelligenza superiore come una forma di controllo sul cervello e sulla funzione dell'immagine corporea. Questa è una salvaguardia contro la corruzione della materia ma, in sostanza, è non-esistente. Il pensiero esiste indipendentemente dal corpo e dal cervello, ma il tempo è creatura della materia. Il pensiero è senza tempo. Il tempo, come Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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meccanismo, venne introdotto solo nella mente materiale e attuale, non nel pensiero o nello spirito, per tenervi legati all'interno della terza dimensione e all'interno dei perimetri del piccolo pianeta che voi chiamate 'Terra'. Vi incitiamo a esplorare con onestà e apertura ciò che la mente è capace di capire e non ciò a cui è limitato il cervello. "Per voi il tempo è connesso con i numeri. Noi vi facciamo vedere che numeri e tempo non hanno profondità. Sono semplicemente programmati nella mente normale come sicurezze, per tenervi fermi nel tempo e nello spazio. Essi non sono una funzione veramente della mente, ma del cervello. Sono in realtà una disfunzione del cervello, per tenervi legati alle dimensioni fisiche del mondo tridimensionale. Ma l'illusione del tempo deve continuare solo per un po'. Capite?" Non ero per nulla sicura di aver capito. Stavo ancora cercando di individuare di chi veramente fosse quella voce e perché i teschi di cristallo fossero stati creati. La voce proseguì: "Ora siamo venuti ad ammonirvi, perché l'individualismo è già incominciato. La distruzione inizia ad avere luogo. La mentalità dell'individualismo ha già preso piede e sono già avvenute cose molto gravi. Perché voi, col vostro sapere primitivo, avete dato l'avvio a un processo che non può essere cambiato. Esso ha avuto inizio a causa dei vostri scienziati che giocano e piegano il suono e le onde della luce e quelle che chiamate 'particelle' nella vostra atmosfera. Avrete già notato che esistono molte onde distruttive che ora colpiscono il vostro pianeta. Sopravverrà altra distruzione portata dalla manipolazione dell'atmosfera, dall'andamento innaturale dei fenomeni atmosferici e da veloci mutamenti climatici e ci saranno anche spostamenti dei vostri continenti. "Desideriamo dirvi che la vostra civiltà non ha capito l'uso della luce, del suono e della materia... perché avete scoperto solo le cose che vi sono più vicine. "Ma ancora oggi scienziati e governi giocano con mezzi che non comprendono. Giocano con la luce e con il sole e con quelle Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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che voi chiamate 'particelle' e 'radiazioni', ed essi faranno scendere su di voi la rovina. Ma siccome la reazione non è immediata e non evidentemente prossima, voi andate avanti sempre nello stesso modo, fin quando il pianeta scoppierà e sarà distrutto. "Voi sentite un desiderio di individualismo che vi porterà alla catastrofe. Perché questa è la stessa mentalità che ha causato il diluvio universale e la distruzione nel passato di molti continenti. E questa distruzione ha incominciato a operare di nuovo. Possiamo già sentire l'influenza di questo individualismo nel vostro mondo... voi non ne siete consapevoli perché è vostra stessa opera. La Terra sarà esposta a grandi cambiamenti... "Anche il corpo del vostro pianeta cambierà, come le condizioni atmosferiche e come tutto ciò che. ha a che fare con la Terra quale la vedete oggi. Ci saranno mutamenti nel regno umano, animale e nel regno che voi definite 'vegetale' e nel regno che definite 'continenti' e quello che definite 'atmosfera'. "Ci sarà un disastro di immensa portata. Ma in realtà il 'disastro' ha già avuto inizio. Troverete molta morte in mezzo alla vostra vita sul pianeta. Troverete che ciò che nasce sul terreno porterà grandi cambiamenti e vedrete che ciò che cresce dal terreno condurrà a grande morte. Vedrete molta distruzione dovuta a quelle che chiamate 'radiazioni' e grandi pestilenze in tutto ciò che oggi sorvola il vostro pianeta. Ci saranno eruzioni e alterazioni nell'andamento del clima, e grande lotta tra gli elementi atmosferici. Avrete molto vento... e il bestiame morirà in gran numero. Le acque si solleveranno e la terra si inabisserà sotto le onde. Continenti scompariranno e si formeranno mari e oceani. "Si creeranno voragini... fino nelle grandi profondità della Terra. Il campo magnetico si sposterà, anzi già si sta spostando. La Terra sarà spaccata e i pezzi si spargeranno per tutto il pianeta e nell'atmosfera. L'atmosfera sta già entrando in una situazione di tremendo inquinamento. Questo è quello che state facendo con le vostre energie negative. "Questa, è la ragione per cui abbiamo fatto sì che trovaste questi contenitori, in quello che voi direste 'molto tempo fa' Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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quando ci rendemmo conto che tanti avevano dimenticato il loro fine originario di incarnazione in questa dimensione fisica. Quando ci rendemmo conto che l'idea dell'individualismo avrebbe prevalso e che ci sarebbe stata una grande catastrofe su questa Terra, decidemmo di tornare alla nostra precedente dimensione ma ci, lasciammo alle spalle la testimonianza delle nostre menti. Sapevamo che ci sarebbero stati coloro che il sapere e la ricerca e il progresso spirituale avrebbe fatti ritornare verso questo sentiero. Noi sapevamo che a causa del disastro che sarebbe capitato su questo pianeta alcuni avrebbero sentito la necessità di richiamare i loro ricordi di incarnazione per guarire, per consigliare e per amare un mondo impazzito, un mondo senza saggezza, un mondo senza speranza, dove avrebbe imperversato il fuoco della distruzione. "Quando giungerà il tempo, sarà dovere di tutti coloro che cercano la saggezza spirituale istruire gli altri quando la Terra si sposterà dal suo asse. All'interno di questo contenitore e degli altri che vi abbiamo lasciato, sta ciò di cui avete bisogno. La nostra saggezza, cristallizzata qui dentro, vi verrà impartita quando arriverà il momento. Era deciso che tramite questi contenitori le idee di uno sarebbero state attivate e si sarebbero presentate nel momento in cui la Terra ne avrà bisogno. Questo ora sta incominciando ad accadere, come voi dite 'ora' e 'qui'. Siamo qui, a dirvi che c'è... ci sarà... ed è già incominciato, un grande mutamento all'interno della vostra Madre Terra. Vi incitiamo a far conoscere all'umanità le cose che vi abbiamo offerto, nella speranza di limitare l'olocausto. Perché, sebbene ciò che è stato donato non possa essere mutato, i suoi effetti possono diffondersi ampiamente". A questo punto la voce spiegò che stava per lasciarci perché il corpo fisico di cui si stava servendo, Carole, si stava stancando. Riprese quel lungo sibilo e mentre si affievoliva Carole fece un sobbalzo sulla sedia; appariva stremata e per diversi minuti non fu capace di parlare. Ci vollero alcuni bicchieri di acqua per ridarle la voce, che uscì in modo strascicato come quella di un ubriaco. Quando infine si fu ripresa, sembrava non rendersi assolutamente conto di ciò che era avvenuto e non era in grado di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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rispondere a nessuna domanda. Eravamo sconcertati per tutto quanto Carole ci aveva trasmesso, ma demmo prova di aver accettato le informazioni con estrema serietà e rispetto, senza contare che in quelle predizioni c'era qualcosa di allarmante ma purtroppo verosimile. In realtà tutto divenne ancora più sconvolgente quando John ci mostrò le trascrizioni delle precedenti sedute medianiche di Carole col teschio, a iniziare dagli anni Ottanta. Le informazioni trasmesse sembravano piuttosto coerenti. In una seduta del 1987 la voce aveva predetto: "Il bestiame morirà in gran numero". Questa notizia sembrava particolarmente significativa perché erano appena giunte dalla Gran Bretagna le notizie sulla "mucca pazza", che aveva portato all'abbattimento di decine di migliaia di capi. Circa nove mesi dopo, la predizione a proposito dello spostamento del campo magnetico della Terra assunse un'importanza reale quando leggemmo in un numero del New Sdentist che, secondo gli ultimi rilevamenti il campo magnetico aveva in effetti incominciato a spostarsi. Ci sono anche scienziati che predicono che l'intero asse terrestre potrebbe subire tra non molto uno spostamento totale.2 In quel momento però non sapevamo che cosa pensare. Quella che parlava tramite Carole era veramente la "voce del teschio"? Come facevamo a giurarlo? Ma quelle parole inquietanti continuavano a ronzarci nella testa mentre riprendevamo contatto con il mistero della provenienza dei teschi di cristallo.
8 LA MALEDIZIONE DEL TESCHIO La polemica sulla vera origine dei teschi di cristallo doveva prendere un'altra direzione quando a essere coinvolto nella controversia fu uno dei più importanti musei del mondo. Dopo la nostra visita ad Anna Mitchell-Hedges, andammo al British Museum di Londra: volevamo vedere come stavano procedendo i programmi per l'analisi del loro teschio. Elizabeth Carmichael ci mise in contatto con la dottoressa Jane Walsh, specialista in arte mesoamericana della Smithsonian Institution di Washington, che si era dimostrata interessata ai teschi di cristallo dopo che uno di questi era inaspettatamente Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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capitato nel suo ufficio. Quella novità ci colpì. Sembrava dunque che si verificasse una delle predizioni di Carole Wilson, e cioè che ben presto sarebbe stato scoperto qualche altro teschio di cristallo. Quello della Smithsonian era arrivato nell'istituto da poco, in circostanze piuttosto tragiche e misteriose: era stato inviato al National Museum of American History della Smithsonian per posta da un donatore anonimo. La dottoressa Walsh ci raccontò la storia: "Un pomeriggio ricevetti una telefonata da Richard Ahlborn, curatore del reparto di storia americana. Mi disse: 'Ho qui qualcosa che potrebbe interessare il Department of Anthropology'. In un primo momento non mi rivelò di cosa si trattava ma ebbi l'impressione dal tono della voce che fosse qualcosa di cui era impaziente di liberarsi. Spiegò dopo che con la posta aveva ricevuto una scatola contenente un teschio di cristallo. "Era arrivato accompagnato da una nota scritta a mano e non firmata che diceva semplicemente: 'Egregio signore, questo teschio di cristallo azteco che si suppone facesse parte della collezione del [presidente messicano] Porfirio Diaz, venne acquistato a Città del Messico nel 1960... Io lo offro alla Smithsonian senza pretendere nulla in cambio. Naturalmente desidero rimanere anonimo...' Richard mi chiese se ero interessata a prenderlo in carico. Non sapendo a quali guai andavo incontro gli risposi di sì. Mentre tornavo in ufficio trasportando il teschio di cristallo su un carrello, un tecnico che incrociai mi diede un consiglio molto preoccupato: 'Non guardarlo negli occhi... sono tutti maledetti!'" La dottoressa, per nulla intimorita, si portò il teschio in ufficio. Divenne così la custode del più grande e forse del più brutto teschio di cristallo che si conoscesse. Guardammo con interesse le fotografie che ci mandò. Era più grande di un teschio naturale, alto più di 25 centimetri, largo poco più di 22, e dell'incredibile peso di 14 chili. A differenza sia di quello di Mitchell-Hedges sia di quello del British Museum, è molto opaco e non ha la mandibola mobile. Un elemento particolarmente curioso è che, nonostante l'incredibile Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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peso, è completamente vuoto, tanto che vi si può guardare dentro fino in fondo attraverso le orbite. Sembra quasi una specie di lanterna di Halloween, come se in passato servisse a mettervi dentro una candela e farne uscire la luce dalle orbite. Il teschio è molto liscio ma manca di dettagli minuti e i lineamenti sono intagliati in maniera grossolana. Comunque, indipendentemente dalla qualità della lavorazione, rimane il fatto che questo oggetto non è certo bello. A me sembrò proprio brutto, Ceri ammise che lo trovava "tremendamente inquietante... è come guardare il teschio di un vero essere umano". L'impressione è quella di un viso strano, quasi non umano. Ceri aggiunse che sembrava l'immagine di un essere risalente ai primordi dell'evoluzione umana, e in verità per certi aspetti era abbastanza simile all'uomo di Neanderthal (vedi la foto a colori 9). Questo teschio è veramente maledetto? È vero che non si deve guardare nelle sue orbite? Da dove è venuto? Jane Walsh disse che ormai era da parecchio tempo che lo custodiva nel suo ufficio e aveva guardato nelle sue orbite parecchie volte. "Per adesso non è successo nulla, non mi sono sentita vittima di una maledizione o cose del genere", dichiarò con tono leggero. C'era tuttavia qualcosa, relativamente all'arrivo del teschio, che alcuni immaginavano si riferisse proprio alla sua maledizione. Perché per esempio il misterioso donatore voleva rimanere anonimo? Alcune indagini in proposito avevano portato alla luce particolari alquanto inquietanti. I tentativi di risalire al donatore anonimo avevano condotto solo al suo legale. La ragione stava nel fatto, spiegò questi, che l'uomo, di cui non poteva rivelare il nome, era morto. Dopo aver inviato il teschio di cristallo si era suicidato. L'avvocato spiegò che dal momento in cui era entrato in possesso del misterioso oggetto il suo cliente era stato vittima di un'interminabile serie di tremende tragedie: gli era morta la moglie, il figlio aveva avuto un gravissimo incidente che lo aveva lasciato cerebroleso e, quanto a lui, aveva fatto bancarotta. Aveva quindi deciso di farla finita. La domanda era: tutto ciò aveva qualcosa a che fare con la maledizione del teschio? La Walsh sembrava del tutto convinta che il donatore anonimo avesse semplicemente deciso di togliersi la vita a causa delle innumerevoli tragedie che lo avevano colpito, assolutamente non imputabili al teschio di cristallo. Da parte sua, lei aveva notato che era successo qualcosa di alquanto strano dal momento in cui ne era entrata in Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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possesso: "Non credo che il teschio sia maledetto... Ma dal momento in cui io ce l'ho in ufficio, sembra attirare dei 'compagni', perché ho ricevuto telefonate, alcune persone sono venute a portarmi altri teschi, e tuttora continuo a ricevere notizie di altri pezzi". Sorprendente! Anche a noi era successa la stessa cosa. Ogni volta che sentivamo parlare di un teschio di cristallo, chi lo possedeva o aveva avuto a che fare con esso ci metteva in contatto con qualcuno che conosceva qualcun altro, e così via. A questo punto, anche la Walsh aveva deciso di indagare sulla reale provenienza sia del teschio nelle sue mani sia di tutti gli altri. Il suo era veramente azteco ed era appartenuto al presidente messicano, come diceva il manoscritto che lo accompagnava? A quanto sembrava la dottoressa non era convinta che fosse la verità, soprattutto perché l'anonimo donatore sosteneva di averlo acquistato a Città del Messico solo nel 1960. Quindi anche lei come noi si era messa a investigare sui teschi di cristallo e aveva persino iniziato a scrivere una relazione sull'argomento nel tentativo di individuarne la provenienza.1 Stava conducendo le indagini ormai da diverso tempo ma non era arrivata a nessuna conclusione sicura. Nonostante ciò, pur non avendo trovato nulla di importante, era sempre più decisa a risolvere il mistero. Aveva pensato che l'unico modo per arrivare a capo della faccenda consisteva nell'effettuare ulteriori e rigorose analisi scientifiche. Per questa ragione il British Museum ci aveva messo in contatto con lei. Era sua intenzione, ora, cercare di riunire tutti i teschi di cristallo e sottoporli a una serie di test. L'idea era che avendone tanti vicini sarebbe stato possibile fare dei raffronti relativamente allo stile della lavorazione e condurre indagini comparate allo scopo di provarne definitivamente l'autenticità. Lei sperava anche di organizzare una mostra aperta al pubblico. Il progetto di Jane Walsh ci lasciò senza parole. Secondo la stessa antica leggenda un giorno o l'altro tutti i teschi di cristallo sarebbero stati scoperti e riuniti e in quel momento essi avrebbero svelato le verità sacre che contenevano, a beneficio dell'intera umanità. Era forse giunto il momento di attingere ai loro messaggi? I teschi si sarebbero tutti riuniti per l'inizio del nuovo millennio? Sembrava che si stesse giungendo alla piena Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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rivelazione. I problemi tuttavia erano numerosi. Per prima cosa Jane Walsh non sembrava affatto convinta che tutti i teschi di cristallo fossero veramente antichi. Cercò di spiegarci la profondità e la complessità del problema dandoci notizie su alcuni che aveva avuto modo di esaminare. Per prima cosa aveva condotto indagini in musei di tutto il mondo e aveva ben presto trovato un altro teschio di cristallo di dimensioni quasi naturali. Questo, ci disse, si trovava al museo del Trocadéro, ovvero Musée de l'Homme di Parigi. Il teschio di Parigi, sebbene più piccolo di quelli di Mitchell-Hedges, della Smithsonian e del British Museum, è comunque di notevoli dimensioni. È di quarzo puro, alto circa 11 centimetri, del peso di quasi 3 chili e non ha la mandibola mobile. La cosa interessante è che i lineamenti sono molto stilizzati, le orbite perfettamente rotonde e i denti cesellati, molto vicini allo stile attribuito agli antichi aztechi e ai loro vicini mixtechi. Anche questo teschio presenta una perforazione verticale che va dalla cima alla base. Come ci spiegò Jane Walsh, un foro orizzontale l'avrebbe assimilato ai crani umani che gli aztechi usavano infilzare su certe rastrelliere, ragion per cui, secondo lei, avrebbe indicato "una quasi sicura provenienza pre-colombiana", in altre parole origini veramente antiche o risalenti almeno a prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo e degli europei in America. Ma una perforazione verticale indicava che poteva anche essere stato usato dai conquistatori spagnoli come base per un crocifisso. Il foro del teschio di Parigi però, a quanto si sapeva, era di forma "biconica", quindi si poteva stabilire che era stato fatto certamente a mano, non con strumenti meccanici, probabilmente prima dell'arrivo degli spagnoli. Parlammo col curatore della collezione americana del museo del Trocadéro, Daniel Levine, secondo il quale l'oggetto in loro possesso è di certo antico e a suo parere azteco. Levine ci disse che esperti francesi si sono espressi tutti in favore di una provenienza azteca, del Quattordicesimo o Quindicesimo secolo, e lo ritengono l'ornamento dello scettro di un sacerdote. A quanto pare "lo stile del pezzo è caratteristico azteco" e "gli aztechi sono noti per aver intagliato molti oggetti in questo genere di cristallo di rocca". Ci fece sapere che il museo aveva già effettuato in proprio analisi scientifiche. Il foro bi-conico stava a Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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significare che il teschio era stato senza alcun dubbio intagliato a mano e vi avevano addirittura trovato sulla superficie tracce di strumenti di rame come quelli usati dagli aztechi. Il museo del Trocadéro era dunque assolutamente convinto che almeno quello in suo possesso fosse antico e non vedeva per quale ragione si dovessero svolgere altre indagini. C'era qualche prova sul luogo da cui esso proveniva o su quando era stato segnalato per la prima volta? Tutto ciò che Daniel Levine ci disse fu che era stato donato al museo e che faceva parte della Collection Francaise già quando, alla fine dell'Ottocento, si cominciarono a tenere veri e propri archivi. Parlammo dunque di nuovo con la Walsh, la quale obiettò che questa non era una prova definitiva in favore della sua origine antica. In realtà uno dei colleghi tecnici della dottoressa le aveva fatto notare che eventuali tracce di rame sulla sua superficie non erano necessariamente da ritenere della stessa epoca in cui il teschio era stato modellato. Alcune vernici per cristalli infatti, comprese quelle in uso oggi, contengono composti di rame; le tracce di rame potevano essere il risultato di una politura effettuata forse anche il giorno prima! Esse dunque, e il fatto che il teschio fosse stato realizzato a mano, non provavano nulla. La Walsh per la verità sembrava propendere verso l'ipotesi che nessuno dei teschi di cristallo fosse veramente antico. Come la maggior parte degli archeologi era colpita dal fatto che, per quanto ne sapeva lei, nessuno di essi era stato rinvenuto in uno scavo archeologico ufficiale o almeno correttamente documentato. Non esistevano registrazioni ufficiali che provassero il rinvenimento del teschio di cristallo di Mitchell-Hedges a Lubaantun, mentre il teschio di cristallo del British Museum acquistato da Tiffany - a quanto si diceva - era stato portato dal Messico da un soldato di ventura spagnolo, ma anche in questo caso non c'era documentazione del luogo in cui lo aveva preso e nemmeno alcuna testimonianza sulla veridicità della storia. Quanto al teschio della Smithsonian, potrebbe essere venuto da qualsiasi posto e addirittura essere stato fatto a Parigi. La Walsh aveva inoltre avuto modo di vedere altri teschi di origine altrettanto misteriosa, quindi anche probabilmente dubbia, e ci mise in contatto con i loro possessori. Trovammo due piccoli teschi, alti meno di 12 centimetri, l'uno trasparente e l'altro opaco, con la mandibola incorporata, che erano stati portati nel suo ufficio da un antiquario. A giudicare dalle foto che l'uomo ci inviò, il pezzo trasparente sembrava per Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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la verità il cranio di una scimmia, mentre l'altro non pareva rassomigliare a nessuna creatura conosciuta. Il teschio opaco era stato trovato, a quanto dicevano, in una zona dello Yucatàn, nel Messico meridionale; quello limpido era stato acquistato da un antiquario in Messico negli anni Venti. Ma non esistevano notizie più dettagliate sul ritrovamento di nessuno dei due. Un altro piccolo teschio venne portato nell'ufficio della Walsh dal figlio di un altro antiquario, che viveva ad Altadena, in California. Larry Hughes - questo era il suo nome - ci disse che lo aveva comprato circa sette anni prima da un personaggio molto facoltoso, il quale aveva dichiarato che l'oggetto era entrato nella sua collezione nell'ultimo ventennio del secolo scorso, ma che non sapeva da dove provenisse e non aveva alcun documento di accompagnamento. Anche questo teschio era alto solo 10 centimetri, piuttosto opaco e con la mandibola fissa. Aveva inoltre l'aspetto di un cranio di scimmia, ma intorno agli occhi presentava dei cerchi, quasi come dei grandi occhiali da sole: da quanto ci disse la Walsh, era il simbolo tradizionalmente associato al dio della pioggia mesoamericano, Tlaloc. Il teschio inoltre aveva inciso sulle sommità qualcosa che sembrava un antico geroglifico. La dottoressa disse che ne aveva mostrato una foto a due archeologi messicani i quali lo avevano immediatamente classificato nello stile caratteristico dell'antica città mesoamericana di Xochicalco. Come confermò più tardi nel resoconto delle sue ricerche: "Due archeologi, messicani, ai quali mostrai il glifo, ne riconobbero immediatamente lo stile xochicalco... un glifo di stile xochicalco, se autentico, daterebbe questo particolare oggetto tra l'800 e il 950 a.C, quindi anteriore di diversi secoli alle lavorazioni dei lapicidi [sia] aztechi [sia] mixtechi".2 Altra cosa interessante riguardante questo piccolo teschio era che corrispondeva alla descrizione di un ricercatore di teschi di cristallo di nome Joshua Shapiro, in cui ci imbattemmo in seguito: aveva visto un oggetto simile nel 1989. Apparteneva, a quanto pare, a un vecchio messicano di nome José Inìquez, il quale sosteneva di averlo trovato nel 1942 nel corso di un'escursione nelle antiche rovine maya nello Yucatàn con un gruppo di suoi allievi. Aggiunse anche che, dal momento in cui era entrato in possesso di questo teschio, aveva visto realizzare ogni suo sogno Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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e desiderio. Purtroppo era morto nel 1993 e rimaneva assolutamente ignota la sorte del teschio in questione. Improvvisamente sembrava che sbucassero piccoli teschi di cristallo dovunque guardassimo, anche in musei di grande prestigio. A parere di Jane Walsh questi piccoli oggetti avevano maggiore probabilità di essere antichi che non quelli grandi. Ma la leggenda che Ceri e io avevamo udito parlava dell'esistenza di 13 teschi di cristallo di grandezza naturale, quindi eravamo interessati a indagare solo sui più grossi. La dottoressa però ebbe l'occasione di trovare un altro teschio di cristallo di grandezza naturale. Apparteneva, ci disse, a JoAnn Parks, che abitava a Houston, Texas. Come gli altri teschi, anche questo era di origine misteriosa ed era circondato dalla fama di possedere poteri taumaturgici. Jane Walsh, anche se personalmente non credeva a nessuna di queste storie, era molto interessata a entrarne in possesso ai fini delle sue indagini scientifiche, così, mentre lei proseguiva con le ricerche sui documenti, noi partimmo per il Texas.
9 LE GUARIGIONI Arrivammo a Houston in una tiepida giornata invernale. I Parks vivevano in un quartiere residenziale. JoAnn ci aveva detto che proprio il giorno in cui intendevamo farle visita c'era in programma una "cerimonia di attivazione" col teschio, e che saremmo stati i benvenuti. JoAnn ci accolse esibendo un ampio sorriso: era un tipetto dai vaporosi capelli biondi, con un completo dall'aspetto amabile. Ci fece entrare e ci invitò a unirci a lei e a un gruppetto di sei o sette donne, probabilmente amiche e vicine di casa, convenute per l'occasione. Fotografie della famiglia di JoAnn decoravano le pareti, insieme con un poster raffigurante un giaguaro sul punto di attaccare, e con varie foto del teschio di cristallo. Nell'accogliente soggiorno i divani erano stati spinti contro le pareti e le tende tirate. Le donne se ne stavano sedute a terra, silenziose e con gli occhi chiusi, disposte in cerchio; nel centro si era collocata una signora sulla quarantina, con un poncho multicolore sulle spalle e due grandi cristalli nelle mani. Aveva occhi grandi e molto espressivi, il viso atteggiato a un'espressione di serenità. Come ci dissero in seguito, si Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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chiamava "Star" Johnsen-Moser. JoAnn prese posto tra le amiche che suonavano un tamburo. Il teschio di cristallo stava nel centro del cerchio, davanti a Star, tanto che io in un primo momento non riuscii nemmeno a vederne bene le fattezze. Ebbi l'impressione che fosse più grande di quello dei Mitchell-Hedges e che il cristallo fosse in parte opaco e in parte trasparente, con una placca sulla sommità del cranio. Cercando di non disturbare, ci sistemammo tra le donne. Il rullìo dei tamburi era regolare e ipnotico. Dopo qualche minuto Star incominciò a respirare in modo strano, con ansiti brevi e affannosi. Prese quindi a parlare, dapprima molto lentamente, in una lingua mai sentita, poi, man mano, in modo sempre più veloce. Ed ecco che la donna, col viso contratto, cominciò a contorcersi, gesticolando. Con un movimento improvviso e inaspettato alzò in aria i due cristalli e iniziò a tenderli di qua e di là, agitandoli in tutte le direzioni. Poi si mise a cantilenare, e a lei si unirono le compagne, ripetendo con voce ferma le parole che lei pronunciava. C'era qualcosa di surreale in questa cerimonia. Che cosa ci stavamo a fare là Chris e io, che senso aveva ascoltare quello strano canto e osservare una signora che agitava cristalli davanti a un teschio? Quella gente era tutta fuori di senno? Ora Star stava muovendo i cristalli con gesti circolari proprio al di sopra del teschio, e la sua cantilena stava diventando sempre più sonora. Infine poggiò le mani sul teschio di cristallo, si accasciò a terra e rimase immobile. Se avevo avuto dei dubbi su come giudicare la trance di Carole Wilson, questa "cerimonia di attivazione" e relativo scuotimento di cristalli mi sembrò ancora più sorprendente. Cercando di raccapezzarmi mentre Star si ricomponeva, le chiesi che relazione ci fosse tra lei e il teschio di cristallo. La donna, che viveva in una remota fattoria del Missouri, spiegò che non aveva mai avuto "alcun interesse per il cristallo" fino a quando non le era capitato di vedere quel teschio: era il 1987, dopo di che la sua vita era "completamente cambiata": "Non appena JoAnn mi mostrò il teschio, non so dire che cosa avvenne dentro di me, perché non avevo mai visto un oggetto del genere prima di allora... il cuore mi sobbalzò nel petto, fu come incontrare un amico perso da tempo e sentii uno straripante afflato di amore per questo pezzo di minerale. Qualcosa a un Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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livello emotivo estremamente profondo... Poco dopo mi trovai a parlare, senza sapere come, in una strana lingua e mi chiesi: che cosa diavolo mi sta succedendo? Che cosa penseranno di me i miei amici? E la mia famiglia? Qualcosa però mi diceva che il teschio di cristallo mi avrebbe capito. "Venni quindi diverse volte a vederlo e incominciai a esprimermi in questa lingua. Poi fu come se nel teschio vedessi accadere delle cose, e tutto assunse un andamento velocissimo. All'improvviso mi sembrò di veder saltar fuori una 'presenza', con una forza che mi turbò fino a farmi quasi uscire di senno. "Mi sentivo paralizzata da un dolore di intensità incredibile. Non potevo muovermi. Dopo, proprio quando quella forza stava diventando di una violenza quasi insopportabile, una specie di raggio di luce, un raggio laser, sembrò uscire dal teschio e attraversarmi il cuore, per poi finire nella terra sotto i piedi. Avvertii un 'incredibile ondata di energia e di potenza percorrermi tutta, come se fossi sul punto di prendere fuoco, o qualcosa del genere. La presenza nel teschio si mise a parlare in quella stessa lingua che ora io conosco e capisco. Era una cosa splendida, un'esperienza meravigliosa". Mentre Star parlava, i suoi occhi si colmarono di lacrime. Ci spiegò che da quel momento aveva incominciato ad avere "contatti telepatici con l'essere presente nel teschio". Proseguì rivelandomi che la lingua in cui quella presenza comunicava con lei era un antico idioma tibetano, il tak, derivante da una remota civiltà esistita 36.000 anni fa, prima che si formassero i continenti, piattaforme di terra che si staccavano partendo da una zona del pianeta ora nota come deserto di Takla Makan nell'Asia centrale.1 Aggiunse che Tak era anche l'antico nome tibetano della costellazione di Orione. In realtà ciò non sembrava casuale, dato che secondo Star esisteva una relazione tra i teschi di cristallo, gli esseri umani e le stelle. Ecco le sue esatte parole: "Siamo tutti venuti da quella manciata di stelle che sono le Pleiadi e Orione. Abbiamo tutti la stessa origine, e ora stiamo facendo un viaggio che ci deve riportare da dove siamo venuti".
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Queste stelle, a quanto sembrava, avevano qualcosa a che fare col nostro sistema osseo e col nostro DNA, sebbene Star sostenesse che non riusciva ancora a essere più precisa sui particolari. Aggiunse tuttavia che lei era entrata in contatto anche con la "presenza" del teschio di Mitchell-Hedges in occasione di una sua visita in casa di Anna. Grazie al contatto aveva avuto modo di assistere alla totale distruzione di Un pianeta detto Maldeck, che aveva fatto parte del nostro sistema solare in un lontano passato. Aggiunse che quel pianeta era deflagrato a causa di un "abuso del potere della parola", che aveva condotto i suoi abitanti a un impiego iniquo del potere tecnologico. Mentre la donna ricordava questa esperienza, a un certo punto tacque, mostrandosi evidentemente turbata e commossa. Le chiesi quali erano le sue sensazioni riguardo alle esperienze che viveva quando operava col teschio. "Ho trovato un'estrema difficoltà nell'esprimere con le parole quanto avevo sperimentato e appreso. In un certo senso è qualcosa che si può paragonare a un sentimento o a un'emozione. Quello che incominciai a sentire è che questa presenza è come la nostra 'superanima'. E come quella parte di noi che sta al di sopra e al di là di ciascuno di noi esseri individuali. Io ho avuto la precisa impressione che questa superanima sia pervenuta nella nostra dimensione fisica, e si sia suddivisa nei singoli corpi nel momento in cui ha assunto la sua primigenia espressione calandosi nella materia. Ci fu un tempo in cui le nostre civiltà, come per esempio la tak, erano in contatto perfetto con questo livello superiore, con questa origine superiore, ma, vivendo sulla Terra, col passare del tempo noi abbiamo dimenticato come comunicare in maniera adeguata tra di noi e con la nostra originaria sorgente. "Lavorare col teschio di cristallo equivale in un certo senso a tracciare un filo di luce, che rappresenta il collegamento tra noi e la nostra sorgente originaria. Lavorare col teschio è come sentire di spostarsi lungo quel filo di luce fino a ritornare, attraverso varie altre dimensioni, alla nostra origine". Spiegò anche che adesso è giunto il momento di risvegliare la nostra totale consapevolezza e di ridestare la memoria dei legami con la sorgente Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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d'origine. Ecco il perché della cerimonia d'attivazione. Il teschio le aveva detto di "raccogliere una Famiglia di Luce allo scopo di ricordare" e di iniziare a creare le giuste energie sulla Terra. Coloro che erano presenti, a quanto capii, erano i suoi "amici nella luce". Disse che noi dovevamo "riaprirci per ritrovare la nostra strada e la strada delle stelle, così da poter nuovamente ricevere la luce da quelle stelle da cui tutti siamo venuti". Aggiunse che aveva ricevuto informazioni molto particolareggiate e specifiche dal teschio, ma che le era anche stato detto che i tempi non erano ancora maturi per comunicarle in parte ad altri, dato che la gente, in quel momento, avrebbe accettato con molta difficoltà perfino le notizie più elementari provenienti da un oggetto tanto misterioso. Io, per esempio, qualche difficoltà l'avevo di sicuro. Quel discorso sulle stelle, sul nostro sistema osseo e su un pianeta deflagrato, era veramente un po' troppo per me. Per fortuna JoAnn Parks mi venne in soccorso: si avvicinò porgendomi il teschio di cristallo. Era pesante - quasi 8 chilogrammi - nonostante fosse un po' più piccolo di quello della Smithsonian. Osservai che metà del cranio era opaca e l'altra metà trasparente, il che gli conferiva un'espressione alquanto insolita, quasi sgradevole in confronto alla splendida trasparenza cesellata del teschio di Mitchell-Hedges. Non c'era nulla della fine lavorazione che contraddistingueva quest'ultimo, nessuna ricerca evidente di precisione nella resa dell'oggetto, e non aveva la mandibola mobile. Confrontandoli, questo di Houston si presentava piuttosto come un manufatto grezzo, intagliato con approssimazione, i denti appena accennati e le orbite eccessivamente rotonde (vedi la foto a colori 10). Mentre lo osservavo da vicino, mi chiesi se era possibile che all'interno ci fosse davvero quell'"essere di luce" o "presenza" di cui aveva parlato Star. In un certo senso non riuscivo a crederci. Tutto sembrava assurdo. Eppure in questo blocco di cristallo di rocca così stravagante c'era qualcosa che mi affascinava: notai sottili crepe che dividevano la zona opaca da quella trasparente. Le imperfezioni erano infiltrate nel profondo e davano l'impressione che il prodotto finale fosse una combinazione di diversi pezzi di cristallo poi giustapposti, mentre in realtà si trattava di un unico compatto blocco di quarzo. "L'ho fatto esaminare da un intagliatore di cristalli", disse JoAnn. "Mi ha spiegato che quelle incrinature ne rendono estremamente difficoltosa la lavorazione: la struttura ne viene indebolita, col rischio di spaccarsi sotto Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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la pressione degli strumenti." L'intagliatore aveva definito il minerale da cui era stato ricavato il teschio "cristallo di scarto": materiale che la maggior parte degli specialisti getterebbe nella spazzatura. Mentre io guardavo il teschio, ero stupita dalla grande delicatezza e attenzione che dovevano essere state spese per non far scheggiare il quarzo tanto scadente. Un piccolo movimento maldestro, e quel magnifico manufatto sarebbe andato in pezzi. L'impressione che il cristallo sia composto da diversi pezzi dipende dal fatto che, secondo JoAnn, si era formato nel corso di epoche geologicamente instabili. Per migliaia di anni una parte del cristallo era rimasta in situazione di equilibrio, poi sconvolgenti cambiamenti dell'ambiente geologico ne avevano provocato le screpolature. JoAnn sosteneva che il minerale in cui era stato intagliato il teschio aveva attraversato i cinque grandi mutamenti della Terra, che ne avevano causato imperfezioni o inclusioni, ma era riuscito ad accrescersi "nonostante tutto". Da dove veniva questo teschio di "cristallo di scarto"? JoAnn spiegò che era stato un incontro casuale a portare lei e il marito in contatto con esso, e che da allora la loro vita era cambiata in maniera sostanziale. Quando la donna iniziò a raccontare, il viso le si rabbuiò al ricordo della terribile serie di avvenimenti che l'avevano portata fino al teschio. JoAnn e Carl avevano due figli. Nel 1973 alla maggiore, Diana, all'epoca dodicenne, era stato diagnosticato un cancro delle ossa. Più o meno nello stesso periodo in cui la figlia si era ammalata, Carl, che faceva il falegname, stava lavorando per tale Norbu Chen, individuo riservato e di poche parole. Aveva quasi terminato i lavori, quando gli capitò sotto gli occhi l'articolo di una rivista: "Norbu Chen lo sciamano tibetano". Lo mostrò a JoAnn che naturalmente era alla disperata ricerca di qualcuno che potesse curare Diana, a cui i medici non avevano dato più di tre mesi di vita. La signora Parks parlò allora del suo incontro con Norbu: "Quando lo conobbi, mi trovai davanti un tipo riservato e gentile, ma capii subito che in quell'uomo c'era qualcosa di fuori del comune". Norbu era un lama tibetano di alto livello, che aveva trascorso molti anni di difficile apprendistato in India prima di trasferirsi a Houston e iniziare la professione di sciamano, con la Chakpori Ling Healing Foundation. Egli condusse JoAnn giù per delle scale ricoperte da un tappeto rosso, fino a un Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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piccolo locale anch'esso tutto - pavimento, pareti e soffitto - tappezzato di rosso. Non le era mai capitato di vedere nulla del genere. I suoi occhi furono subito attirati dall'altare rosso che si trovava a un'estremità della stanza, "dove, al centro, nella luce delle candele c'era la cosa più impressionante in cui mi fossi mai imbattuta: un teschio di cristallo. La mia educazione cristiana e timorata di Dio non mi aveva preparato a una cosa del genere". Nonostante l'aspetto così poco ortodosso dell'"ambulatorio medico" di Norbu Chen, qualcosa ispirò fiducia alla donna, che vi portò la figlia per farla visitare. Con l'opera di Norbu e del teschio di cristallo la "figlia visse bene ancora tre anni, anche se infine morì". Qualche tempo dopo la morte di Diana, Norbu Chen disse a JoAnn che stava cercando una segretaria e le chiese se voleva accettare di diventare la sua collaboratrice. Lei lavorò con Norbu per diversi anni, senza venir a sapere gran che a proposito del teschio di cristallo. Tutto ciò che il lama le confidò fu che gli era stato donato da uno sciamano guatemalteco. JoAnn racconta che nel periodo passato presso la fondazione, ha "visto verificarsi molti miracoli in persone uscite da quella stanza delle guarigioni", per non parlare del sollievo ricevuto da sua figlia. Con gli anni Norbu Chen divenne intimo amico dei Parks; nel 1980 morì, ma poco prima consegnò a JoAnn e Carl il teschio di cristallo con queste parole: "Un giorno capirete a che cosa serve". Lo sciamano aveva anche detto che dopo la morte, secondo la credenza tibetana, c'era pronto un altro corpo in cui egli sarebbe entrato per incominciare una nuova vita. Il teschio di cristallo, aggiunse, era parte della sua vita, lui però doveva passare a uno stadio successivo, ragione per cui ora lo consegnava ai Parks. I due portarono il teschio a casa, ma non avevano la minima idea di che cosa farne, per cui lo ficcarono in fondo allo stanzino guardaroba della camera da letto. Circa un anno dopo, l'oggetto incominciò ad apparire a JoAnn in sogno. Dapprima la sua immagine si presentava sporadicamente, ma circa due anni dopo prese a "parlarle". "Non era una voce vera e propria", spiegò lei. "Era una forma di telepatia." La donna non aveva mai sperimentato qualcosa del genere. Si era sempre ritenuta una persona razionale, "con i piedi per terra". Dapprima la comunicazione telepatica era talmente rara che non ci fece molto caso, ma pian piano prese a verificarsi sempre più spesso e nelle ore più strane della Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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giornata, mentre stava preparando il pranzo per i nipotini, per esempio, o mentre si stava occupando dell'amministrazione del lavoro del marito. Il teschio le compariva e le parlava persino mentre era alla guida dell'auto. Continuava a ripeterle: "Voglio uscire da questo guardaroba". JoAnn ci raccontò: "Incominciai a chiedermi se non stavo diventando matta. Pensai di andare a farmi visitare dal dottore". La faccenda si fece ancor più bizzarra quando il teschio iniziò a insistere che doveva "contattare l'uomo" senza dirle chi. Infine, un pomeriggio, si trovò "seduta nello stanzino guardaroba della camera da letto a conversare con quel blocco di cristallo". Lei gli intimò: "Lasciami in pace, non voglio più avere niente a che fare con te, esci dalla mia vita!" e sbatacchiò il coperchio del beauty case in cui lo aveva messo, spingendolo in fondo all'armadio e poi ricoprendolo con altre scatole e valigie, richiudendo infine accuratamente la porta dello stanzino. "Il teschio però era ostinato. Non aveva intenzione di mollare. Mentre mi precipitavo giù per le scale continuava a ripetere: 'Il mondo saprà di me. Io sono importante per l'umanità. E comunque il mio nome non è Teschio, ma Max!' "Bene, ora che conoscevamo i nostri rispettivi nomi, potevamo darci del tu e fare quattro chiacchiere!" Qualche tempo dopo la donna stava guardando un programma televisivo che parlava di UFO, in cui appariva una fotografia del teschio di MitchellHedges. L'unica informazione che lei avesse mai avuto sui teschi di cristallo prima di allora erano state le poche parole d'addio di Chen, risalenti a più di sette anni prima. Ora era molto emozionata nello scoprire che c'erano altre persone "che avevano questi straordinari blocchi di minerale parlanti". Quando telefonò all'emittente TV per avere altre notizie, le diedero il numero di Nick Nocerino che, secondo loro, poteva forse esserle utile. Max, che continuava imperterrito a parlare, assicurò JoAnn che quello era l'uomo di cui le aveva parlato, l'uomo con cui lui desiderava che lei entrasse in contatto. JoAnn chiamò Nick che, col suo modo di esprimersi grave e lento, la informò che stava cercando Max dal 1949; si "sintonizzò" con lui e fu molto sorpreso nel vedere dei guaritori tibetani. La signora Parks era al Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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colmo dello stupore. A Nick lei aveva solo descritto il teschio per telefono, ed ecco che quell'uomo era in grado di raccontarle qualcosa della sua storia! Si affrettò a prendere un appuntamento con Nocerino all'aeroporto di Houston la settimana successiva. Nick Nocerino si rivelò uno dei più importanti esperti di teschi di cristallo del mondo; aveva passato la vita a studiare l'argomento ed era diventato direttore della Society of Crystal Skulls International. Dopo la seconda guerra mondiale era stato mandato nell'America Centrale con incarichi di spionaggio per conto del governo americano. Fu in uno sperduto villaggio del Guatemala che vide un teschio di cristallo di quarzo rosa, con mandibola staccata, e sentì parlare di un altro che corrispondeva alla descrizione di Max. Gli avevano detto che Max veniva usato per guarire, che non era bello come quello di quarzo rosa e non aveva la mandibola separata. Era fatto di cristallo in parte opaco e in parte limpido, e aveva una macchia bianca sulla sommità, simile a una berretta. Si riteneva che fosse stato rinvenuto in una tomba maya del Guatemala nel 1924 e che a regalarlo era stato uno sciamano del posto, per ragioni ignote. Nick era felice di aver finalmente trovato Max, e JoAnn era semplicemente strabiliata nello scoprire che l'uomo che Max le aveva detto di cercare non era una fantasia della sua immaginazione. Fu con grande sollievo che ebbe la conferma che non era diventata pazza. Nocerino la rassicurò che i teschi di cristallo avevano veramente la possibilità di comunicare telepaticamente con la gente che stava loro vicino. Nel corso delle sue ricerche, infatti, aveva scoperto che possedevano molte proprietà che non sembravano rispondere ad alcuna logica, e che avere delle visioni o sentire il teschio "parlare" mentre lo si fissava era cosa assolutamente consueta. Aggiunse di sapere quanta paura la gente provasse in presenza di esperienze paranormali o medianiche e non razionali, ma era convinto che la maggior parte delle persone prima o poi sperimenti un qualche fenomeno paranormale. Nocerino suggerì che se JoAnn voleva convincersi di non essere fuori di testa doveva solo osservare che cosa capitava ad altre persone quando stavano accanto al teschio: Max le avrebbe parlato come aveva già fatto con altra gente, né più né meno. Nick stesso, benché fosse piuttosto addentro all'argomento, aveva visssuto alcune esperienze inspiegabili con i teschi. JoAnn quindi aprì la sua casa a chi nutriva particolari curiosità per Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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quegli oggetti misteriosi. "Max è stato fonte di grande gioia per me", ci disse. "Dà felicità a tutti." JoAnn ora gira gli Stati Uniti per portarlo in varie città a "incontrare la gente", cosa che "lui adora". E aggiunge: "È diventato praticamente una star". Ciò che più spesso le viene riferito da gente che è rimasta a lungo seduta davanti a Max, è la sensazione di benessere che sa infondere. JoAnn ha finalmente capito le parole pronunciate da Norbu Chen poco prima di morire. Ora crede di aver scoperto qual è lo scopo di Max: "... sta facendo quello che deve fare". Allora il vero fine dei teschi di cristallo era operare guarigioni? Erano stati creati per questo? JoAnn sosteneva che, in effetti, il teschio di cristallo aveva dato sollievo a sua figlia; e come Anna Mitchell-Hedges aveva ricevuto molte lettere in cui si diceva che i teschi di cristallo avevano esercitato effetti benefici sulla salute di coloro che se ne erano stati un po' vicino a loro. La Parks ha l'impressione che si tratti innanzitutto di guarigioni spirituali, mentre Anna Mitchell-Hedges ritiene che il suo teschio abbia influenza benefica sulle malattie fisiche, come ha sperimentato in prima persona. Eravamo scettici sui poteri di guarigione dei teschi, ma, quando uscimmo dalla casa di JoAnn, constatammo di essere in uno stato d'animo meraviglioso: effetto dei poteri di guarigione, o pura e semplice suggestione? Comunque stessero le cose, ora era il momento di fare una puntata nei sobborghi di San Francisco per conoscere personalmente Nick Nocerino.
10 LE VISIONI NEL TESCHIO "Non andavo certo alla ricerca di teschi, io", chiarì subito Nick Nocerino. "Non avevo interesse per i teschi, inizialmente. Erano loro che venivano a cercare me." Fummo costretti ad ammettere che - come aveva già osservato anche la dottoressa Jane Walsh della Smithsonian Institution - quando si incominciava a occuparsi di teschi di cristallo, era come se uno conducesse a un altro. Eccoci dunque nella casa di Nick Nocerino, a bere il tè che la moglie Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Khrys aveva preparato. Ormai si è abituata all'attività alquanto inconsueta del marito, ma quando lo aveva sposato 49 anni prima certo non aveva la minima idea dei suoi straordinari poteri paranormali. "Era un ragazzo come tutti gli altri", dice. Attualmente Nick, un italo-americano dalla pelle scura e con un non comune senso dello humour, viene considerato un'autorità in fatto di teschi di cristallo, e quando non ne è alla caccia, anche lui come Carole Wilson si serve delle sue doti paranormali per collaborare con la polizia del posto in indagini relative a fatti delittuosi. A proposito dei teschi di cristallo egli disse semplicemente: "Li si sogna, si hanno delle visioni. Si è come chiamati dai teschi, se ne viene affascinati. Non so per quale ragione ciò avvenga. Sono 50 anni ormai che vado a caccia ài teschi di cristallo ed essi per me sono ancora un mistero, né più né meno che quando vidi il primo". Ce ne stavamo seduti in soggiorno, le luci attenuate, sperando che Nick ci svelasse qualche strana notizia raccolta sui teschi di cristallo. JoAnn già ci aveva detto che lui era in grado di "vedere" per via paranormale la storia di un teschio di cristallo, e lui aveva promesso di darcene una dimostrazione. Nocerino disse che tutto quello che poteva fare era raccontarci le sue esperienze, iniziate ancora al tempo della sua infanzia, nel Queens, nello stato di New York, durante la Grande Depressione. Aveva 8 anni quando un giorno, guardandosi nello specchio del bagno, vi vide riflesso un teschio. Stava fissando proprio lui, e poi all'improvviso da un'orbita ne uscì strisciando un serpente e dall'altra ne sbucò lentamente un giaguaro! Quell'immagine da incubo gettò nel terrore il ragazzino, che corse a cercare conforto presso la nonna, pranoterapeuta. Lei capì che suo nipote possedeva straordinarie capacità paranormali, e si diede da fare a coltivarle, sebbene doti di questo genere non fossero viste di buon occhio dalla comunità cattolica in cui vivevano. Nick si imbatté per la prima volta in un teschio di cristallo nell'Europa dilaniata dalla seconda guerra mondiale. Si era arruolato in marina e durante l'occupazione delle coste meridionali della Francia chiese un paio di giorni di licenza, da trascorrere con alcuni amici della Legione Straniera Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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francese. Di notte facevano solenni dormite e di giorno si spostavano a piedi. A un certo punto giunsero in una fattoria. Erano diversi giorni che non si lavavano, per cui, adocchiato un pozzo in mezzo all'aia, vi si avvicinarono, e tirarono su un secchio d'acqua. Venne fuori un contadino, che ingiunse al gruppo di andarsene all'istante. Uno dei compagni di Nick, Alex, che parlava francese, gli disse che volevano solo darsi una ripulita. In quel momento il contadino scorse il cristallo, regalo della nonna, che Nick portava al collo: si agitò moltissimo e scomparve di corsa all'interno della fattoria. "E ora che succederà?" chiese Nick, temendo che l'uomo fosse rientrato per prendere un fucile. "Ha detto di aspettare, di non muoverci da qui", spiegò Alex. I ragazzi continuarono a lavarsi. Una ventina di minuti dopo l'uomo, con un fagotto in mano, li raggiunse. Li invitò a entrare nella fattoria, un edificio buio e dal soffitto basso, sgomberò una parte della vecchia tavola della cucina e vi poggiò sopra cautamente il fagotto. Cominciò ad aprirlo con mani tremanti. Uno a uno scostò i vari strati di stoffa sudicia, da cui infine emerse un teschio di limpido cristallo di quarzo, a grandezza naturale. Nick rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto una cosa del genere. Prese l'oggetto tra le mani. "Fu come ricevere una violenta scossa", aggiunse. Il fattore disse a Nick che doveva portarsi via quella "cosa" al più presto. Nocerino obiettò che non gli era possibile, ma l'uomo ribatté: "Tu sei il messaggero". Il cristallo che Nick portava al collo era il segno che lui stava cercando, il segno che gli aveva fatto riconoscere il messaggero. Il contadino ripeté che doveva prendere il teschio e portarlo via, perché stava per arrivare la Gestapo. Nick però non voleva averne niente a che fare: aveva già i suoi problemi a cercare di salvare la pelle senza quel peso da portarsi dietro. Non si pentì di aver preso quella decisione, perché una settimana dopo la nave su cui era imbarcato venne silurata per errore dai francesi. L'equipaggio riuscì a mettersi in salvo, ma tutto quello che era a bordo andò irrimediabilmente perso. Nick non avrebbe più rivisto quel teschio, ma c'è chi ritiene che attualmente sia di proprietà di una società segreta francese, e da allora lui lo chiamò il "Teschio del Sangue di Cristo". Nocerino aveva appreso da "fonte attendibile" che le società segrete e massoniche avevano sempre Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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dimostrato un grande interesse per i teschi di cristallo, anche se non sapeva dire da dove l'informazione gli fosse pervenuta. Ciò che è sicuro, invece, è che i Templari veneravano un misterioso oggetto raffigurante una testa. Che fosse un teschio di cristallo? Nick raccontò: "Senza dubbio la Gestapo andava alla ricerca di oggetti esoterici. Sia Hitler sia Himmler, capo della Gestapo, nutrivano un interesse ossessivo per l'occulto e collezionavano oggetti di carattere magico. Alcuni ritenevano che il Fùhrer dovesse gran parte del suo potere proprio all'esercizio di pratiche occulte". Negli ambienti militari, dopo la guerra, girava voce che Hitler possedeva un teschio di cristallo grazie al quale era diventato così potente. Nick era entrato in possesso del suo teschio nel 1959, grazie all'archeologia metapsichica". Con questo termine si intende la capacità di localizzare antichi tesori e opere d'arte, grazie a un'intuizione che entra in misteriosa consonanza con i luoghi in cui essi sono sepolti. Gli chiedemmo come ciò funzionasse, ma lui ci rispose: "Non domandatemi come faccio a trovare i teschi di cristallo con la metapsichica. Io sento dove sono, ecco tutto. In un certo senso è come se fossero loro a trovare me!" Volevamo sapere dove aveva rinvenuto il teschio. Tutto quello che rivelò fu: "Laggiù, da qualche parte nel Messico". Poi: "Non posso essere più preciso... nello stato di Guerrero, sulle montagne del Rio Bravo". Erano in quattro e stavano camminando da più di un'ora quando all'improvviso lui si chinò e appoggiò a terra una mano. Quello era il punto esatto, ne era sicuro. Afferrò una vanga e incominciò a scavare aiutato dagli amici messicani. Ci vollero cinque o sei ore prima di incontrare larghe lastre di pietra: i resti di un'antica costruzione. Andarono avanti a scavare, e in capo a cinque o sei giorni trovarono una tomba. Infine venne alla luce il teschio di cristallo che era adesso davanti ai nostri occhi, sul tavolino. Anche questo, come Max, aveva un nome, che era stato trasmesso al suo padrone per via metapsichica: "Sha Na Ra". Sha Na Ra è di cristallo di quarzo trasparente, a parte una leggera sfumatura giallognola. L'aspetto alquanto sudicio del teschio mi spinse a commentare che sarebbe stato bene dargli una buona ripulita, ma Nick rispose che lui preferiva mostrarlo praticamente nelle stesse condizioni in cui era stato trovato. Sha Na Ra non esercita lo stesso fascino di Max. Ha qualcosa di più rigido, di più severo nel suo modellato, con gli zìgomi pronunciati e gli occhi a mandorla. Nel complesso è più angoloso, duro, meno tornito di Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Max (vedi la foto a colori 11). Come JoAnn, anche Nick si dichiarò ben felice che la Smithsonian o il British Museum analizzassero Sha Na Ra. Ci disse che gli archeologi non sono propensi ad accettare l'idea che i teschi di cristallo provengano dall'America Centrale. A suo parere è perché nessuno di loro ne ha mai trovato uno. "Né succederà mai", aggiunse. Secondo Nocerino, gli archeologi sono eccessivamente burocratici: registrano con precisione il luogo in cui ogni pezzo è stato rinvenuto, ne misurano il livello rispetto al suolo, ed elencano tutti gli altri pezzi rinvenuti nelle vicinanze. Nick dice che questo sistema pecca di miopia, tanto da far perdere loro la visione dell'insieme e di conseguenza indizi di ben maggiore significato. Secondo lui, gli scavi archeologici possono essere fonte di informazione poco affidabile, e liquida i siti ufficiali con un gesto sprezzante della mano. È convinto che quelli più fertili sono stati ripuliti parecchio tempo prima dell'arrivo degli specialisti, quando i reperti più importanti si trovavano ormai a mille miglia. Le popolazioni locali infatti, sempre a corto di soldi, hanno scoperto un commercio quanto mai redditizio nella vendita di manufatti antichi estratti illegalmente. A loro modo di vedere quegli oggetti gli appartengono: sono una loro eredità, retaggio degli antenati, e quindi sta a loro, e non agli archeologi, decidere cosa farne. Oggetti di antiquariato provenienti da scavi abusivi rappresentano un mezzo di sussistenza. Nick sostiene che interi villaggi hanno potuto letteralmente sopravvivere grazie ai proventi delle vendite di pezzi esportati "illegalmente". Si tratta di pezzi molto richiesti e venduti al mercato nero di San Diego, di San José in California e di Miami in Florida. Secondo Nocerino ci sono archeologi che stanno facendo un sacco di soldi con il traffico illegale. Sostiene d'aver visto "molte cose nel passato", alcune delle quali gli fanno considerare con un certo cinismo la questione. Tornando all'argomento che ci stava più a cuore, ci disse che nel passato aveva avuto occasione di esaminare parecchi teschi di cristallo. Oltre che con quello di quarzo rosa, il più bello, aveva lavorato col "Teschio Ametista", di quarzo violetto, e con il "Teschio Maya": nomi che gli aveva attribuito lui stesso. A quanto pare il primo era stato trovato in Guatemala nel 1912 e il secondo era appartenuto a un sacerdote maya. Lui li aveva visti ambedue in vendita in California nel 1988, ma non sapeva assolutamente dove fossero andati a finire dopo quella data. Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Nick è dell'opinione che i teschi di cristallo contengano informazioni importanti, se solo si riuscisse ad accedervi. Questo naturalmente era il problema contro cui ci eravamo scontrati anche noi fin dall'inizio. Nocerino ci spiegò qual era la sua tecnica, detta "cristalloscopia", cioè divinazione tramite un cristallo. Si tratta di una tecnica divinatoria antica migliaia di anni e consistente nel "guardare in altre dimensioni", di solito con l'aiuto di una superficie lucida. Lo strumento più usato è appunto un cristallo, ma possono servire allo scopo anche altre pietre, per esempio una lucida ossidiana nera o una lastra d'ottone. Chiaroveggenti famosi come Nostradamus usavano fissare lo sguardo nell'acqua. Secondo Nick l'esperto di cristalloscopia o "veggente" guarda al di là della superficie e, sgombrando adeguatamente la mente, è in grado di vedere cose che avvengono in altre dimensioni. L'unico problema consiste nel capire se ciò che è stato visto si riferisce al passato, al presente o al futuro. A suo parere: "Dentro i teschi di cristallo ci sono delle informazioni. Quelle che di solito ottengo io non riguardano il futuro ma il passato, e in particolare il passato del teschio stesso. Non chiedetemi come sia possibile. Forse sono come la mente umana... i ricordi non si vedono nel vero senso della parola, informa tangibile e fisica, ma ciò non vuol dire che non esistano. Forse lo stesso succede col teschio. I ricordi sono là dentro, anche se noi non possiamo vederli facilmente come cose fisiche e tangibili. Alcuni sostengono che funzionano come computer. In un certo senso sono simili ai computer, contengono cioè informazioni che possono essere utili a tutta l'umanità. Queste informazioni possono essere di diverso genere, io però credo di riuscire a ottenere solo immagini riguardanti il passato". Chiesi a Nick che cosa pensasse di un teschio di cristallo che parlava nell'antica lingua tak. Sebbene lui nelle sue ricerche non avesse sperimentato casi di comunicazione in lingue straniere, rispose che essi hanno effetti diversi su persone diverse, per cui: "Chi lo sa? Può accadere di tutto". Nocerino ora voleva dimostrarci la sua tecnica cristalloscopica. Si avvicinò al teschio, vi posò sopra le mani e guardò intensamente Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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all'interno. Ci spiegò che la cristalloscopia consiste nel guardare nella profondità del cristallo, ma colui che vuole interrogarlo non deve limitarsi a farlo, bensì deve proiettare all'interno il proprio pensiero. "I riflessi che appaiono sulla superficie del teschio sono fonte di distrazione, quello che si deve fare è vedere al di là. Si deve riuscire a vedere oltre e arrivare ai livelli più profondi. Ci vuole una concentrazione particolare... è un po' come lasciarsi ipnotizzare. Lo strano è che il cristallo diventa opaco. Lo si fissa e si ha la sensazione che non si riuscirà mai a vederci dentro niente. Eppure l'annebbiamento è la fase che precede la trasparenza. Infatti dopo, lentamente, incominceranno a comparire dei messaggi sotto forma di immagini, nel profondo, al di sotto della superficie del teschio." Ci sedemmo nella semioscurità e nel silenzio interrotto solo dal ticchettio di un orologio alla parete, mentre Nick fissava lo sguardo nel teschio. Che cosa sarebbe successo? Dopo la "cerimonia di attivazione" di Star non avevamo idea di quello che dovevamo aspettarci. In capo a circa cinque minuti il nostro ospite cominciò a descriverci le scene eccezionali che apparivano ai suoi occhi come in un sogno. "Vedo guerrieri, non so di che genere. Sono vestiti con costumi elaborati, che imitano animali, forse aquile o giaguari. Stanno combattendo sul pendio di una montagna. Le immagini si sovrappongono... l'una sull'altra. È difficile capire... Riesco a vedere una donna... deve aver appena partorito. Qualcuno le posa tra le gambe un teschio di cristallo. Non so che cosa significa... Si sta annebbiando di nuovo... Ecco ancora qualcosa. Mi sembrano dei soldati, forse spagnoli di alcuni secoli fa. Sono a cavallo. Fanno una strage, uccidono donne e bambini... che urlano e piangono. Alcuni scappano. Gli spagnoli sembrano quasi non accorgersene; sono troppo occupati a strappare gli oggetti d'oro dai corpi dei morti e dei feriti". Quando Nick smise di parlare, mi accorsi che aveva gli occhi pieni di lacrime. Ero al colmo dello stupore. Come mai un uomo che aveva Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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conosciuto gli orrori della guerra si commuoveva per delle immagini viste in un teschio? Le aveva semplicemente inventate? Si creò un silenzio imbarazzato. Nocerino teneva lo sguardo perso nel vuoto. "Questo è quello che ho visto", incominciò a dire lentamente. "Non capisco. Non so perché vedo queste cose!" Sospirò. "Suppongo non sia possibile sapere con sicurezza se le visioni non siano per caso una creazione della mia fantasia." Gli chiedemmo quali altre cose avesse visto e rispose che a lui e a molti altri esperti di cristalloscopia erano spesso apparsi edifici, forse antiche piramidi o luoghi sacri, in cui si stavano svolgendo cerimonie religiose con sacrifici. Una era la cerimonia dell'"estrazione del cuore", durante la quale un teschio di cristallo era stato posto all'interno della cavità toracica delle vittime dopo che ne era stato estratto il cuore. Poteva spiegarci il significato di quelle immagini? La risposta fu: "Accidenti, non lo so! Ma Sha Na Ra risale per lo meno al periodo azteco, quindi immagino che debbano avere qualcosa a che fare con quell'epoca". Nick aveva compiuto moltissimi esperimenti di cristalloscopia con diversi tipi di teschi di cristallo, compreso quello di Mitchell-Hedges. Aggiunse però che molti non danno alcun credito alle sue visioni, anzi le negano. Ci raccontò di aver conosciuto uno scienziato a Toronto, che effettuava ricerche sulla storia del pianeta. Nocerino aveva disegnato alcune carte geografiche delle masse terrestri originarie, così come le aveva viste nel teschio. Le sottopose allo scienziato che dimostrò molto interesse, interesse che si spense immediatamente quando lui gli rivelò che quelle informazioni le aveva ricevute da un teschio di cristallo. Ci parlò di altri scenari apparsi nei teschi, simili a sogni, ma con frequenza regolare. Secondo lui, uno rappresentava l'oceano. Comparivano all'interno dei teschi strani esseri acquatici che si muovevano con grandi corpi pisciformi. Altri si muovevano in caverne sotterranee dotate di un qualche tipo di illuminazione artificiale. Dopo aver visto questi cavernicoli, Nick aveva effettuato ricerche e aveva scoperto che l'idea di una "Terra interna" è presente in molte leggende. Diverse tribù di nativi americani sostengono che le loro origini siano nel profondo della Terra, perché dopo un immane diluvio i loro antenati si erano ritirati a vivere in caverne in cui avevano fonti di luce artificiale. Nonostante l'idea di una "Terra interna" mi sembrasse assurda, Nick aveva scoperto che nazisti e Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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sovietici invece credevano fermamente, pur non avendone alcuna prova concreta, che una società del genere potesse esistere o essere esistita. Nocerino ci svelò che gli si era presentata molte volte nelle sedute di cristalloscopia un'immagine rassomigliante a un UFO. Era un apparecchio che compariva sospeso nel mezzo del teschio per poi sparire nelle acque o sotto la superficie terrestre. L'aspetto variava di volta in volta, presentandosi sotto forma di triangolo, o di due piatti sovrapposti, o di un solo disco con una protuberanza. Nick era persino riuscito a riprenderlo in un film (vedi foto in bianco e nero 37). Aggiunse: "Le immagini che ho visto ai miei occhi appaiono vere. Le ho viste e basta. Potrebbero essere allucinazioni, ma ciò che mi sconcerta è che molte di esse sono esattamente le stesse che sono state osservate da altri che hanno operato sui teschi di cristallo". Un fenomeno particolarmente curioso è che, secondo Nick, quasi tutti coloro che si avvicinano per la prima volta a un teschio di cristallo riferiscono quasi esattamente la stessa cosa. Anche lui aveva sperimentato la medesima serie di immagini con ogni teschio di cristallo con cui aveva fatto sedute. Essi sono "il mondo intero in movimento. Il mondo intero che cambia". "Vedo vulcani immensi che eruttano lava; la lava scende lungo i fianchi della montagna, l'aria è soffocante per il fumo e la polvere nera, che provocano un'oscurità totale, spaventosi terremoti distruggono città intere, il mare si solleva in onde immense, l'acqua cade a dirotto e si abbatte su foreste, annientando tutto, la Terra si apre, regioni che prima avevano costituito un unico continente si separano le une dalle altre e vanno alla deriva come barche senza ormeggi. E lo scatenarsi della natura come nei nostri più spaventosi incubi. "Mentre si lavora col teschio, non si vede solo la sua storia dal momento in cui è stato intagliato. Ricordate che il cristallo è molto antico e ci fa vedere cose che io credo vengano dagli albori della storia. Credo che i teschi abbiano attraversato ere incommensurabili di storia, durante le quali la Terra ha subito moltissimi cambiamenti." Chris Morton and Ceri Louise Thomas
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Nick disse che mutamenti planetari così drammatici si erano presentati tre o quattro volte, a seconda del teschio con cui stava operando. Ero stupita dalle sue parole. Sembravano cose prive di qualsiasi logica. Certamente la Terra o prima o dopo si era formata, chi non lo sapeva? Io non avevo mai sentito di terre che si erano divise in più parti! Era davvero possibile che i teschi di cristallo contenessero una registrazione dei mutamenti subiti dal nostro pianeta nel passato? Forse erano queste le informazioni che vi erano racchiuse? O queste visioni si riferivano invece al nostro futuro? O esistono solo nella fantasia di coloro che hanno le visioni? Prima di andarcene, Nick ci rivelò per quale ragione, secondo lui, erano stati creati i teschi di cristallo. "Io credo che esistano per aiutarci a entrare in contatto col nostro passato, con culture ormai scomparse. Sto parlando della preistoria, delle società esistite in epoche molto lontane da quella attuale. Io credo che i teschi di cristallo ci stiano dicendo che la Terra muta ogni 20, 30 o 40 mila anni, quando incomincia a prendere forma una nuova Terra. Sono convinto che all'interno di essi ci siano tante importantissime notizie, che tutti noi dovremmo conoscere. Da qualsiasi parte questa sapienza ci arrivi, ritengo che possa servire a portare la pace nel mondo e a migliorare la conoscenza dell'uomo sulle proprie origini, sul mistero da cui è venuto e su dove sta andando. "Non posso dimostrare tutto ciò, come non. posso dimostrare che io ho un'anima, eppure credo di averla, e credo che questi teschi possano essere utili a tutta l'umanità. Sono messaggeri portatori di sapienza. E di questa sapienza abbiamo un. bisogno assoluto. Attraverso i teschi di cristallo possiamo vedere le catastrofi avvenute nel passato sulla Terra e provvedere a che non si ripetano."
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Dopo i nostri incontri con Nick Nocerino, con JoAnn Parks e Max, il teschio guaritore, non sapevamo più che cosa pensare. Ci eravamo sentiti dire che i teschi erano "antichi" e che avevano "poteri speciali". Ma queste affermazioni rispondevano a verità o erano frutto di fantasticherie? Sperando di riuscire ad approfondire la faccenda con nuovi dati, prendemmo un aereo diretto a Washington per aggiornarci sui progressi delle ricerche di Jane Walsh. Nel nostro viaggio verso la Smithsonian pensammo di fare una capatina in un negozio specializzato in cristalli per interpellare una persona che, con altri autori, aveva scritto un libro sull'argomento1 e che si autodefiniva "esploratore dei teschi di cristallo e investigatore di UFO". Joshua Shapiro era un individuo piccoletto e tremendamente compunto, programmatore di computer di professione e accanito sostenitore dell'origine extraterrestre dei teschi di cristallo. Joshua è convinto che la strana visione apparsa tante volte nell'interno del teschio di MitchellHedges non è altro che un UFO o un tipo di nave spaziale aliena. Ci rivelò che pure lui aveva avuto esperienze del genere con alcuni degli altri teschi di cristallo in cui si era casualmente imbattuto. Sosteneva che, se il teschio di Mitchell Hedges non era stato intagliato con strumenti meccanici moderni, quale alternativa rimaneva se non una sua origine extraterrestre? "Credo che i teschi di cristallo veramente antichi abbiano qualche connessione con gli extraterrestri. Esperienze mie e di altre persone con teschi di cristallo, come quello di MitchellHedges, comprovano che ormai disponiamo di sufficienti prove per sostenere che gli antichi avevano qualche genere di contatto con gli extraterrestri e che questi oggetti sono doni degli dei, in un certo senso, per aiutarci e per risvegliare il nostro senso di spiritualità, in preparazione dei prossimi mutamenti della Terra." Secondo Josh non si poteva negare che "questi teschi veramente antichi erano stati programmati per essere donati ai terrestri e soccorrerli con informazioni vitali, che si riveleranno di grande portata per tutti". Avevamo già avuto motivo di meravigliarci per quanto ci avevano raccontato fino a quel punto, ed ecco che ora ci veniva presentata un'ulteriore strabiliante teoria. Josh continuò:
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"I teschi di cristallo sono come catalizzatori, capaci di mostrare all'umanità aspetti ignoti di noi stessi. Ci possono aiutare a risvegliare parti di noi stessi, quella zona della consapevolezza che è rimasta per tanto tempo sopita. Sono qui per aiutarci a intraprendere un programma acceleralo di evoluzione, per sostenerci nella sopravvivenza, nell'impresa di giungere al nostro destino finale. La maggior parte degli scienziati e degli archeologi non accetta di buon grado gli strani fenomeni relativi ai teschi di cristallo e le visioni di una realtà alternativa che ne scaturiscono. Ho parlato con molti studiosi e in generale, a causa della stranezza dei fenomeni che si verificano in presenza dei teschi di cristallo, sono alquanto riluttanti ad ammetterli. Ma in definitiva non si può certo negare quale sia il luogo da cui provengono e quale la ragione della loro presenza presso di noi". Nick Nocerino, tuttavia, aveva espresso molti dubbi sulla possibilità dell'origine extraterrestre: "La gente sta inventando un sacco di fandonie sui teschi di cristallo, per esempio che uno di essi sia appartenuto a una principessa dell'antichità, o che sono venuti da Mu, Lemuria o Atlantide, e altre cose del genere; persino che siano stati portati da extraterrestri. Io ho effettuato ricerche su questi oggetti per 50 anni e l'unica verità è... che proprio non ne sappiamo nulla". Quando giungemmo nell'ufficio di Jane Walsh alla Smithsonian Institution avemmo l'impressione che la studiosa stesse arrivando alla determinazione dell'origine di alcuni, se non di tutti, i teschi di cristallo. Chiaro che non credeva a una provenienza extraterrestre, né a qualche loro potere soprannaturale o paranormale. La dottoressa aveva affrontato il problema da un punto di vista archeologico ufficiale e stava portando avanti una serie di indagini scientifiche sui teschi, considerandoli puri e semplici oggetti da museo. In base a questo approccio, pareva ovvio che non erano il prodotto di una qualche mitica e leggendaria civiltà, né che erano stati portati da extraterrestri. In realtà, da quell'accurata ricerca, sembrava che ci fosse ragione di credere che i teschi di cristallo non Chris Morton and Ceri Louise Thomas 100
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fossero autentici pezzi antichi. La Walsh era interessata agli oggetti più grandi conservati nei musei più importanti: quello della Smithsonian, quello del British Museum e quello di Parigi. C'era un particolare che la incuriosiva: lasciando da parte il problema dell'origine dei teschi appartenuti a privati, e anche di quello della Smithsonian, i teschi di Parigi e del British Museum sembravano essere comparsi sulla scena più o meno nella stessa epoca, cioè verso la fine del Diciannovesimo secolo. Quella era stata un'epoca di grande fervore nella costruzione di musei nel mondo occidentale, era un periodo in cui le nazioni volevano simbolicamente affermare il loro prestigio nel mondo fondando istituzioni grandiose, quali la Smithsonian e il British Museum. Si erano date da fare a raccogliere il maggior numero possibile di preziose testimonianze storiche da tutto il globo e a dare loro degna sede in sale e bacheche, fonte di studio da parte degli scienziati e di ammirazione da parte dei cittadini. In questo periodo sembrava quasi che i musei facessero a gara per acquisire gli oggetti più antichi ed esotici. Fu anche un'epoca di grande interesse per l'arte pre-colombiana dell'America Centrale. I primi facoltosi e rari turisti vi si recavano spinti da una specie di morbosa attrazione esercitata dalla sanguinaria cultura azteca e dall'antica e sino allora sepolta civiltà maya. La maggior parte acquistava oggetti di poco valore, per esempio le figurine di terracotta, ma la zona era anche frequentata da acquirenti e collezionisti danarosi che operavano per conto dei grandi musei, accaparrandosi gli oggetti più cari, più belli e più pregiati. Il problema era che in quelle zone, e fino a quel momento, erano stati eseguiti pochi scavi archeologici sufficientemente controllati, per cui c'era l'incertezza più assoluta sul luogo di provenienza di ciascun reperto. Ma nonostante tutto l'interesse per i manufatti era sempre alle stelle, in quanto i musei si adoperavano per creare le collezioni più strabilianti nei tempi più brevi. L'avidità quasi insaziabile delle nuove istituzioni in aggiunta a quella dei turisti ebbe una conseguenza negativa: un redditizio mercato di oggetti falsi e di imitazione, sia pure di ottima fattura. Ecco che cosa dice la Walsh: "Venne venduta una mirìade di articoli spacciati per precolombiani, che invece non avevano nemmeno la più lontana Chris Morton and Ceri Louise Thomas 101
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rassomiglianza con autentici reperti pre-colombiani. Ma la gente non poteva saperlo, perché, essendo stati portati alla luce da scavi ufficiali pochissimi oggetti, aveva scarsi termini di paragone per giudicare l'autenticità dei pezzi". A questo punto era logico domandarsi se anche i teschi di cristallo facessero parte di questa categoria, vista anche la mancanza di documentazioni archeologiche ufficiali. C'era una cosa che aveva reso particolarmente prudente la Walsh a proposito dell'origine dei teschi in grandezza naturale: passando al setaccio gli archivi dei musei ed esaminando con la massima attenzione tutta la documentazione che aveva trovato su di essi, continuava a emergere un nome: quello di Eugène Boban. Importante collezionista e antiquario francese, aveva operato in Messico durante la sua occupazione (1862/4-7); era stato inviato da Napoleone III a far parte della commissione scientifica francese in Messico insieme con l'imperatore Massimiliano, colui che i francesi avevano imposto di forza al paese. Si sapeva che Boban aveva posseduto alcuni oggetti d'arte sicuramente originali, oltre a una collezione di libri rari e manoscritti messicani, e che aveva redatto un'opera molto importante sul Messico antico, Documents pour servir à l'histoire du Mexique, pubblicato nel 1891. Ed era anche proprietario di negozi di antiquariato sia a Parigi sia a Città del Messico. In uno dei suoi cataloghi d'asta, pubblicato nel 1881, Boban aveva lanciato un avvertimento sulla quantità di falsi e imitazioni che, a suo dire, venivano fabbricati per lo più nella periferia di Città del Messico. Quale personale cortesia sia ai collezionisti privati sia ai direttori di musei rendeva nota l'esistenza di molte imitazioni, che non erano nemmeno copie di originali, bensì: "... pure e semplici invenzioni... bizzarre caricature, la cui ispirazione ci sfugge, ma il cui principale scopo è di gabellare il pubblico... sfortunatamente, siccome sono di facile reperimento e a buon mercato... molte di queste mostruosità fanno bella mostra di sé nelle splendide vetrine dei nostri musei in Europa".2 Per ironia della sorte queste belle parole erano state scritte proprio da colui che ora la Walsh sospettava spacciare tali falsi. Aveva infatti Chris Morton and Ceri Louise Thomas 102
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scoperto un collegamento tra lui e il teschio di cristallo di Parigi, e forse anche quello del British Museum. Documenti del museo del Trocadéro per esempio comprovano che in realtà il teschio di Parigi era stato donato nel 1878 da Alphonse Pinart, che lo aveva acquistato da Eugène Boban, il quale ne dichiarava l'origine azteca pre-ispanica. Solo tre anni dopo la vendita del teschio a Pinart, il catalogo d'asta di Boban presentava un altro "cristallo di rocca in grandezza naturale", descritto come un "capolavoro di glittica". Costava 3.500 franchi francesi ed era il lotto più caro del catalogo del 1881. Jane Walsh si meravigliò non solo che Boban disponesse di un secondo teschio di cristallo quando ne aveva appena piazzato un primo, ma che esso non venisse nemmeno denunciato come d'origine centroamericana. Da notare che in questo stesso catalogo Boban citava i famosi falsi "per smascherarli", nonostante fossero contrassegnati con l'etichetta del prezzo! Il teschio di cristallo in grandezza naturale a quanto pare non andò venduto nell'asta in questione, ma Jane Walsh credeva fosse ugualmente poi finito al British Museum. Dai pochi documenti e dalle vecchie lettere che era riuscita a trovare, si convinse che quest'oggetto fosse stato portato da Boban in Messico, dove cercò senza successo di venderlo al Museo Nazionale del Messico, dichiarandolo proveniente da quella nazione. Il medesimo pezzo, secondo la Walsh, era quello che il francese cercò di piazzare alla Smithsonian Institution di Washington. La dottoressa aveva trovato una copia del catalogo d'asta del 1886 di Eugène Boban, a suo tempo inviato all'allora direttore della Smithsonian Institution, William Henry Holmes. Il teschio presente in questo catalogo veniva descritto come un:
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1 e 2. Il teschio di cristallo di Mitchdl-Hedges
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3 (in alto). Il tempio del Giaguaro a Tikal, Guatemala 4 (in basso). Il Tempio delle Iscrizioni a Palenque, in Messico
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5 (in alto). Anna Mitchell-Hedges con il teschio di sua proprietà 6 (in basso). Carole Wilson durante una seduta di channelling col teschio di cristallo di Mitchell-Hedges
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7 (in alto). Il teschio di cristallo del British Museum 8 (in basso). Il teschio "maledetto" della Smithsonian Institution
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9 (in alto). Max, il teschio di cristallo di proprietà di JoAnn e Carl Parks a Houston, nel Texas 10 (in basso). Nick Nocerino col suo teschio di cristallo Sha Na Ila
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11. Maschera fatta con un teschio; il naso è di ossidiana e gli occhi sono resi con conchiglie (rinvenuto negli scavi del Tempio Mayor; sì ritiene fosse usato nel corso di cerimonie con sacrifìci umani, oppure che fosse infilato su un tzompantli, ovvero rastrelliera di teschi) 12 (in basso). Disegno spagnolo del Sedicesimo secolo che riproduce una scena di sacrificio umano azteca
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13. Norma Redo e il suo teschio di cristallo con croce reliquaria
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14. Odierno danzatore azteco, con copricapo decorato da un teschio
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15 (in alto). L'osservatorio astronomico o "Caracol" a Chichen Itzà nella Penisola dello Yucatàn nel Messico meridionale 16 (in basso). Piattaforma dei Teschi di pietra o tzompantli a Chichen Itzà 17. Le rovine degli antichi maya a Tulum sulla costa caraibica 18. Teschi scolpiti nella pietra (e associati al simbolo di Quetzalcoatl) sul palazzo degli Atlanti a Tula, capitale tolteca presso Città del Messico
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19 (in alto). Il teschio nel centro dell'universo maya (tratto dal Codice Borgia) 20 (in basso). Alcuni dei teschi di cristallo raccolti in occasione degli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 113
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esperimenti scientifici presso il British Museum
31. Statuirla chac-mool del Tempio dei Guerrieri a Chichen Itzà Chris Morton and Ceri Louise Thomas 114
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"... teschio umano in grandezza naturale, di forma dolicocefala, con profonde orbite, cavità nasale, mascella superiore (sic) e inferiore, ricavato da un grande blocco compatto di cristallo di rocca ialino. Superficie liscia e lucidata. Magnifico esemplare, perfetto e senza uguali... "3 Lo stesso catalogo aggiungeva: "Il teschio umano giocava un ruolo importante nel cerimoniale religioso degli antichi messicani e piccoli esemplari in... cristallo di rocca si trovano abbastanza di frequente... ma l'esemplare di Boban è di gran lunga il più bello tra quelli conosciuti".4 Forse Holmes della Smithsonian fu dissuaso all'acquisto da una lettera che ricevette da un concorrente in affari di Eugène Boban, tale Wilson Wilberforce Blake. In una lettera datata 29 marzo 18865 Blake aveva scritto al direttore per consigliarlo di non comprare oggetti antichi da Boban, ma di rivolgersi piuttosto a lui stesso. Definiva Eugène Boban persona "disonesta" e di lui diceva: "Ha alcuni pezzi d'antiquariato di pregio, ma è sospetto il modo in cui ne è entrato in possesso". Andava avanti raccontando come il francese fosse stato coinvolto "in un'associazione avente lo scopo di imbrogliare il Museo Nazionale" del Messico cercando di vendergli "un teschio di vetro fatto a imitazione d'un teschio di cristallo di rocca" "prodotto in Germania" e spacciato per "autentico... al prezzo di $3.000". Il museo messicano a quanto sembrava "era stato sul punto di acquistarlo" prima di scoprire la truffa, tanto che Boban, "caduto in discredito", aveva dovuto in effetti chiudere il suo personale "museo" a Città del Messico e riparare a New York. Che si trattasse o meno dello stesso teschio presente nel catalogo d'asta del 1886 di Boban, Holmes aveva dimostrato un certo interesse per l'oggetto, tanto da annotare sul medesimo catalogo che era stato "venduto per $950 a un certo Ellis". La Walsh aveva scoperto un articolo sul New York Times del dicembre 1886 in cui si indicava un certo "Mr. Ellis" quale acquirente del "lotto più costoso" della "più grande vendita d'asta avvenuta in questo paese". Jane Walsh ritiene che il Mr. Ellis in questione non fosse Chris Morton and Ceri Louise Thomas 115
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altri che un socio della Tiffany & Co. di New York, che poi vendette il teschio al British Museum.6 La dottoressa trovò un'altra prova del nesso tra il teschio di Eugène Boban e quello del British Museum in un libro redatto da un personaggio che a suo giudizio aveva praticamente assistito il British Museum nell'acquisto. George Frederick Kunz era un notissimo gemmologo e consulente esterno della Smithsonian e aveva anche redatto un testo di consultazione sull'argomento, Precious Stones of Mexico, nel quale osservava che: "... il cristallo di rocca era adoperato dagli antichi messicani, che lo intagliavano per farne oggetti d'ornamento e teschi. Il più grande si trova oggi nell'Archaeologichal Department del British Museum, al quale fu procurato da Sir John Evans nel corso d'una sua visita negli Stati Uniti nel 1897, acquistandolo dai Messrs. Tiffany & Co".7 A quanto pareva dunque il francese aveva venduto a Mr. Ellis un teschio, che era poi stato comprato da Sir George Evans ed era finito al British Museum, nei cui registri veniva catalogato nel 1898. Il testo di Kunz indubbiamente mette in luce il collegamento tra il British Museum ed Eugène Boban. Dopo aver espresso la sua opinione, secondo la quale il teschio in questione era caratteristico della produzione messicana, ne sottolinea già allora il mistero della provenienza: "Ben poco si sa della sua storia e nulla della sua origine. Fu portato dal Messico da un ufficiale spagnolo qualche tempo prima dell'occupazione del Messico da parte dei francesi, [che ebbe inizio tra il 1862 e il 1864], e venne venduto a un collezionista inglese, alla cui morte passò nelle mani di E. Boban, di Parigi, e in seguito divenne proprietà della Tiffany & Co".8 Tutto ciò non lasciava alcun dubbio sul fatto che ambedue i teschi, quello del British Museum e quello parigino, o prima o poi erano appartenuti a Eugène Boban. La Walsh fu anche colpita dalla similitudine tra il racconto di Boban, secondo cui il teschio in grandezza naturale era appartenuto all'imperatore Massimiliano, e quanto veniva detto a proposito Chris Morton and Ceri Louise Thomas 116
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del teschio della Smithsonian, che sarebbe stato di proprietà del presidente messicano. Era sua opinione che "il teschio della Smithsonian finiva col porsi approssimativamente nello stesso periodo del teschio parigino e di quello del British Museum".9 Si evidenziava dunque l'ipotesi che anche l'oggetto della Smithsonian o prima o poi fosse passato per le mani di Boban, la cui già citata fuga dal Messico in seguito ai suoi imbrogli gettava dubbi sull'autenticità di tutti questi teschi. Le conclusioni a cui era giunta la Walsh sembravano convincenti. Tuttavia la prova che i teschi del British Museum e di Parigi fossero probabilmente dei falsi si basava su notizie incontrollate. La maggior parte delle informazioni da lei raccolte sul carattere e sui movimenti di Eugène Boban erano fornite da Blake nella sua lettera alla Smithsonian. Blake, come abbiamo detto, era uno dei maggiori concorrenti di Boban, se non addirittura il suo rivale numero uno. Come la stessa Walsh ammette, tale lettera rappresentava una mossa di Blake per screditare Boban e quindi instaurare proficui rapporti d'affari con la Smithsonian. Nel 1886 infatti la Smithsonian acquistò da Blake centinaia di oggetti d'arte pre-colombiana, compreso un teschio di cristallo che Blake stesso assicurava essere appartenuto al consigliere spirituale dell'imperatore ed essere "l'unico teschio di cristallo di rocca di qualche valore" (di questo piccolo esemplare si sono perse le tracce).10 Altrettanto non dimostrata è l'ipotesi secondo la quale persino il teschio del British Museum sia un "falso" di Boban. Ci sono infatti diverse contraddizioni inquietanti tra le varie notizie fornite su quell'esemplare, quindi non possiamo essere sicuri che si riferissero proprio tutte allo stesso oggetto. Il catalogo d'asta di Boban del 1886, per esempio, sembrava dare per scontato che il teschio da lui messo in vendita provenisse dalla collezione dell'imperatore Massimiliano, mentre a proposito del teschio del British Museum, Kunz dice che era stato portato dal Messico da un soldato spagnolo qualche tempo prima dell'occupazione francese di quel paese e dell'incoronazione di Massimiliano a imperatore. Allora le varie notizie si riferivano a oggetti diversi? A questo punto non possiamo dare per scontato che il teschio in grandezza naturale del catalogo di Boban del 1881 fosse lo stesso poi incluso come pezzo pre-colombiano nel catalogo del 1886 e quindi acquisito dal British Museum. Perché infatti quest'ultimo non venne descritto come di origine centroamericana nel 1881? Data la possibilità che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 117
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il francese non fosse di specchiata onestà, come sosteneva il rivale Blake, la faccenda appare abbastanza strana. Dopotutto, se Boban era riuscito a piazzare un teschio di cristallo azteco garantito - quello cioè andato al museo parigino - perché non dovrebbe aver tentato di mettere in atto la stessa tecnica tre anni dopo, tanto più considerate le forti richieste di oggetti d'antiquariato centroamericani? Sembra inoltre che non ci siano evidenti nessi tra il teschio che Boban aveva tentato di vendere in Messico e gli altri che stava vendendo. Se, come Blake sosteneva, il teschio che il francese aveva cercato di far comprare al Museo Nazionale del Messico proveniva dalla Germania ed era di vetro, non poteva assolutamente essere il medesimo finito al British Museum, dato che quest'ultimo è senza dubbio di cristallo di rocca. Naturalmente dobbiamo sempre ricordare che quanto diceva Blake era pura invenzione, tesa soltanto a screditare Boban agli occhi della Smithsonian Institution. Un'ulteriore contraddizione emerge però se osserviamo le misure attribuite nel catalogo di Eugène Boban del 1886 e quelle del teschio attualmente al British Museum. Benché siano abbastanza vicine, non sono tuttavia identiche: lunghezza, larghezza e altezza differiscono di 1 centimetro, 1 centimetro e mezzo. Il quesito vero era se la Walsh aveva ragione nel sospettare che il francese spacciasse falsi di recente produzione e non autentici pezzi antichi. A parte l'apparentemente inaffidabile lettera a proposito del teschio di vetro, la dottoressa aveva in mano ben poco per comprovare in maniera sicura l'autenticità dei pezzi offerti da Boban. Il teschio inserito nel catalogo d'asta di Boban nel 1886 poteva essere appartenuto veramente all'imperatore messicano o provenire direttamente da uno scavo archeologico. Altro risvolto interessante nel racconto è che all'incirca nella stessa epoca in cui il francese cercava di vendere i suoi teschi, era stata appena scoperta la misteriosa città pre-azteca di Teotihuacàn. Si tratta di una antica città in rovina a nord di Città del Messico. Sorgeva intorno a tre immense piramidi molto simili a quelle egiziane, ed era stata oggetto di grande venerazione nella mitologia degli aztechi, che la definivano "il luogo in cui era nato il sole" o "il luogo in cui il cielo incontra la terra" o "il luogo degli uomini che conoscevano le vie degli dei". Fino a oggi ben poco si sa degli originari abitanti della città, i teotihuacàni. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 118
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Come ebbe modo di scoprire la Walsh, nel 1885 un giornale messicano riferiva che Eugène Boban era stato a Teotihuacàn a visitare il sito delle immense Piramidi del Sole e della Luna, in compagnia di Leopoldo Batres, che era stato appena nominato ispettore ai monumenti, cioè supervisore degli scavi. Poi, a quanto pare tra il gennaio e il marzo del 1886, Boban prese contatto con Holmes, proponendo di vendere alla Smithsonian buona parte della sua collezione messicana pre-colombiana, compreso il teschio di cristallo già citato. La lettera era stata smarrita dallo scrivente, quindi la Walsh aveva dovuto ricostruirne il contenuto dalla lettera di Blake. Anche quest'ultimo era andato a vedere le piramidi e aveva messo particolarmente in evidenza che Batres, come Boban, era "non solo un imbroglione, ma un vero e proprio truffatore".11 Ma la cattiva opinione che Blake aveva dei "colleghi" poteva essere connessa in qualche modo col fatto che Boban aveva forse ottenuto quel teschio di cristallo da scavi archeologici ufficiali, magari a Teotihuacàn, scavi il cui accesso Batres potrebbe aver negato a Blake? Quest'ultimo non sembra aver detto la verità nel dichiarare che Boban lasciò il Messico subito dopo essere venuto via da Teotihuacàn e aver venduto in un'asta se non proprio tutta, la maggior parte della sua collezione a New York. Però la decisiva prova storica che i teschi di cristallo erano veramente dei falsi ottocenteschi non poté essere trovata e la Walsh dovette accontentarsi di concludere così la sua relazione sulle ricerche: "Nonostante io sia convinta, per fondate ragioni, che quanto meno il teschio della Smithsonian sia un falso del Diciannovesimo secolo... potrei naturalmente essere in errore".12 Indubbiamente Nick Nocerino, JoAnn Parks e Anna Mitchell-Hedges erano tutti convinti che gli oggetti in loro possesso fossero autentici pezzi antichi e che forse lo erano anche i teschi venduti da Boban. Ma dobbiamo convenire con la relazione della Walsh, e cioè che probabilmente Boban avesse anche venduto falsi di vario genere e che tra essi c'erano forse anche dei teschi di cristallo. Non avevamo tuttavia il modo per arrivare alla verità. Speravamo che le prove scientifiche potessero ora sciogliere il mistero una volta per tutte. La domanda da porsi era la seguente: se Boban aveva venduto teschi di cristallo falsi, dove li aveva presi? Dunque eravamo ansiosi di scoprire chi poteva averli fabbricati nel Chris Morton and Ceri Louise Thomas 119
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Diciannovesimo secolo. La Walsh ci svelò un pensiero che le mulinava per la testa, e cioè che Blake aveva parlato di qualche collegamento con la Germania. Se il teschio in questione era proprio quello del British Museum, allora Blake era fuori strada nell'affermare che era di vetro, ma poteva davvero essere stato portato "originariamente" dalla Germania? Jane aveva parlato con i colleghi del laboratorio di gemmologia a cui aveva chiesto se era possibile che nell'Ottocento si fabbricassero in Germania i teschi di cristallo. Quelli le avevano risposto che lì c'era una cittadina famosa in tutto il mondo come centro di lavorazione del cristallo: Idar-Oberstein. Quando esaminammo attentamente quest'ultima supposizione, scoprimmo che Idar-Oberstein era un centro importantissimo per l'intaglio del cristallo in Europa fin dal Medioevo. A partire dal Quindicesimo secolo era famosa per la lavorazione di splendidi oggetti ricavati dall'agata, dal diaspro e dal quarzo, che provenivano dalle cave del luogo, ma all'inizio dell'Ottocento i giacimenti locali si erano esauriti e la città aveva incominciato a decadere. Molti abitanti erano emigrati in Brasile, dove trovarono i cristalli di quarzo più belli del mondo, che spedirono in grandi quantità a Idar-Oberstein e la città visse un nuovo periodo di boom. Nell'Ottocento gli apprendisti di Idar-Oberstein si recavano a Parigi per studiarvi le tecniche lapicide e avevano prodotto molti splendidi ed elaboratissimi oggetti artistici. E se Eugène Boban avesse acquistato a Parigi quello che è l'attuale teschio di cristallo del British Museum da uno di questi intagliatori o commercianti di Idar-Oberstein? Forse i teschi del British Museum, della Smithsonian, dei Mitchell-Hedges e di Parigi erano stati tutti in realtà intagliati in Germania adoperando cristallo di quarzo importato dal Brasile. Ma non ce n'era alcuna prova. E i commercianti di Idar-Oberstein si proteggevano tenendo i clienti lontano dagli artigiani. I nomi degli artisti non venivano mai citati e non se ne teneva documentazione. A IdarOberstein però scoprimmo qualche altra cosa che ci fece supporre attendibile quell'ipotesi. Hans-Jùrgen Henri - responsabile di un laboratorio di intaglio - ci confidò di possedere un teschio di cristallo. Questo teschio, ci disse, era stato intagliato in quella cittadina non più tardi del 1993. Era più piccolo del naturale, alto circa 11 centimetri, ma accuratissimo dal punto di vista anatomico. Sembrava che avesse la Chris Morton and Ceri Louise Thomas 120
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mandibola separata, perché aveva lineamenti molto ben rifiniti e denti estremamente realistici; a un esame più accurato si notò che la mandibola faceva tutt'uno col pezzo superiore. Il teschio era stato ricavato da un blocco di quarzo della qualità più incredibilmente pura e trasparente, eppure all'occhio esperto denotava chiaramente che per la lavorazione erano stati impiegati strumenti moderni. Era stato infatti intagliato nel giro di circa un anno con strumenti elettrici dalla punta di diamante, ed era ora in vendita a una cifra superiore ai 50.000 dollari (33.000 sterline)! Nonostante la dichiarata origine contemporanea, eravamo curiosi di sapere che cosa ne aveva ispirato la fabbricazione. La risposta fu che anche qui, nella pratica e razionale Germania moderna, gli incisori di cristallo hanno un profondo senso della dimensione spirituale insita nel cristallo di rocca. Come Hans-Jùrgen ci spiegò: "Sono le pietre a dirci in che forma vogliono essere intagliate e modellate, il che complica non poco il lavoro. Vedete qui ora questo pezzo: se ne stava a dormire da chissà quanto tempo, quando a un certo punto ci fece capire che cosa voleva diventare". Dunque il cristallo aveva detto all'intagliatore che voleva essere trasformato in un teschio di cristallo! Anche se Hans-Jùrgen ci dichiarò di non essere al corrente dell'esistenza di altri oggetti simili fabbricati a Idar-Oberstein, era chiaro che in tutta la città c'era stato un grande fervore di lavoro di intaglio negli ultimi anni del secolo scorso, cioè esattamente nella stessa epoca in cui Eugène Boban andava qua e là a vendere i suoi teschi di cristallo "messicani". Era dunque possibile che musei e possessori di teschi fossero stati vittime di astuti raggiri da parte di disonesti trafficanti d'antiquariato, che si erano fatti intagliare i teschi di cristallo in Germania e li avevano poi portati in Messico col preciso intento di ingannare i futuri acquirenti? Ci era però inizialmente sfuggito un altro aspetto di quest'ultima ricerca. Era stato scoperto un teschio di cristallo, decisamente moderno, intagliato di recente in Europa, da un blocco importato dal Brasile: ebbene, ora Jane Walsh aveva deciso che quello tedesco avrebbe rappresentato il termine di paragone moderno su cui valutare tutti gli altri teschi di cristallo. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 121
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Figura: Grafico che illustra l'acsesa e il declino delle antiche culture mesoamericane
12 GLI AZTECHI E IL TESCHIO DI CRISTALLO Nonostante i nuovi dati scaturiti dal collegamento con la Germania minacciassero di cambiare le carte in tavola relativamente ai teschi di cristallo, il possessore del teschio parigino aveva riaffermato con decisione che il suo pezzo era "sicuramente azteco". Quello del British Museum era stato etichettato come "probabilmente azteco", e Nick Nocerino era dell'opinione che il proprio risaliva almeno agli aztechi. Fino a quando le indagini non fossero state ultimate, non potevamo sapere qualcosa di certo. Ma stavamo ancora aspettando la conferma che le ricerche avrebbero effettivamente avuto luogo. Nel frattempo volevamo raccogliere altre notizie su qualsiasi eventuale testimonianza archeologica lasciata dagli aztechi e volevamo esplorare le misteriose rovine di Teotihuacàn. A dispetto della dubbia reputazione di Eugène Boban, era legittimo chiedersi se la sua visita in quel luogo avesse qualche relazione con i teschi di cristallo che aveva piazzato in giro per il mondo. La civiltà azteca era emersa all'inizio del Tredicesimo secolo a.C, più o meno nella zona dove oggi si trova Città del Messico, e lì decidemmo di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 122
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recarci per prima cosa. Città del Messico è oggi una metropoli immensa, che conta quasi 20 milioni di abitanti. Dall'alto appare come uno sterminato mare di cemento che si estende su un grande altopiano montagnoso, circondato su tutti i lati da picchi vulcanici. La maggior parte di essi sono ormai estinti, ma alcuni, come il Popacatapetl, di tanto in tanto minacciano di entrare in attività. Appena arrivati ci dirigemmo al Museo Nazionale di Antropologia; e lì giunti ci capitò la fortuna di avere come guida nel museo una persona speciale, il professor José Salomez Sanchez, docente di archeologia della vicina Università Nazionale. Mentre Ceri e io ci muovevamo per le sale del museo e osservavamo affascinati i molti oggetti d'arte antichi, José ci fece un quadro vivo e palpitante degli aztechi e dei loro predecessori. A quanto pare essi avevano fondato tutta la loro civiltà sul culto e sull'adorazione della morte. Tutti sanno che celebravano sacrifici rituali umani e che erano ossessionati dall'immagine del teschio umano. Il museo era stracolmo di oggetti d'arte esotici di ogni genere, e molti di essi riportavano la raffigurazione del teschio umano. Nel momento del suo massimo splendore, l'impero azteco copriva una vasta zona dell'America Centrale, dall'Oceano Pacifico a ovest fino all'Atlantico a est, e dai deserti del nord alle foreste del sud. Si stima che contasse 10 milioni di abitanti, ma venne completamente distrutto dagli spagnoli, quando vi arrivarono nel 1519. La folgorante nascita e caduta di quell'impero è una storia di tragedia, violenze e tradimenti; essa ci narra di come uno sparuto manipolo di contadini nomadi riuscì, in meno di 200 anni, a evolversi fino al punto di dare luogo alla più grande e potente civiltà delle tre Americhe. È anche la storia di come un uomo di 33 anni, a capo di 600 uomini e di 16 cavalli, riuscì a conquistare un impero grandioso, molto più grande della Spagna da cui proveniva. La storia dell'improvvisa nascita e fine di questo grande popolo è anche una testimonianza del potere della profezia e della predizione. Inoltre, come stavamo per scoprire, vi potevano essere coinvolti anche uno o più teschi di cristallo. I teotihuacàni, i predecessori cioè degli aztechi in questa parte del Messico centrale, vengono spesso considerati i fondatori della cultura. Si pensa che la loro civiltà sia nata prima di Cristo e che abbia raggiunto l'apice più o meno contemporaneamente all'impero romano, ma tutto ciò che oggi ne rimane sono le rovine di Teotihuacàn, a nord dell'attuale Città Chris Morton and Ceri Louise Thomas 123
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del Messico. I teotihuacàni furono soppiantati dai toltechi, che sono riconosciuti come i fondatori della città di Tula, alcuni ruderi della quale sono ancora visibili non lontano da Città del Messico (vedi la figura 1). Vennero anche ritenuti i fondatori di gran parte del pensiero religioso: Tula venne mitizzata dagli aztechi, che la ritenevano un luogo splendido e prospero in cui fiorivano pittori, scultori e intagliatori di pietre preziose. Secondo quanto in seguito essi lasciarono scritto, i toltechi erano un popolo "veramente saggio". Veneravano molte divinità, ma soprattutto il grande dio di tutte le civiltà centro-americane, il "serpente piumato" Quetzalcoatl, che, si diceva, avesse insegnato le pratiche religiose che esaltavano la luce e l'apprendimento, la creazione dell'armonia e dell'equilibrio tra l'umanità e la natura. Gli aztechi credevano che Quetzalcoatl fosse stato il grande promotore dello sviluppo artistico e culturale dei loro antenati; che avesse costruito strepitosi palazzi orientati verso i quattro punti cardinali e che avesse insegnato alla gente la religione, l'agricoltura, il diritto. Insegnò anche la matematica e la scrittura, la musica e il canto, le arti e l'artigianato, e in particolare le tecniche della lavorazione dei metalli e delle pietre preziose. Come scriveva l'antico cronista spagnolo de Sahagùn: "Ai suoi tempi, Quetzalcoatl scoprì le grandi ricchezze: il turchese naturale, e l'oro e l'argento, il corallo e le grandi conchiglie... [e] le pietre preziose".1 Da ciò si deduce che è effettivamente possibile che questo grande condottiero abbia insegnato agli antenati degli aztechi come ricavare da minerali preziosi oggetti raffinati quali i teschi di cristallo. È rimasto sempre un mistero se Quetzalcoatl in origine fosse solo un dio o anche un essere umano in carne e ossa. Veniva descritto "di pelle chiara e con la barba" e non è escluso che sia esistito un sommo sacerdote di nome Quetzalcoatl che avviò un culto religioso e governò da Tula un piccolo impero. Divino o umano che fosse, si racconta che Quetzalcoatl, rappresentante delle forze della luce, a Tula combatté contro le forze del male. Esse erano tutte impersonate da divinità quali Tezcatlipoca, oppure "Specchio Fumante", e Huitzilopochtli, il dio supremo degli aztechi, il dio del sole e delle guerre. A quanto pare il sacrificio umano era già in uso Chris Morton and Ceri Louise Thomas 124
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nell'America Centrale - i toltechi dovevano essere letteralmente ossessionati quanto gli aztechi dall'idea della morte e dei sacrifici umani rituali - ma esso non faceva parte degli insegnamenti di Quetzalcoatl e pare che proprio su questo argomento sia venuto in urto con molti di coloro che gli stavano intorno. Si direbbe che alla fine abbia perso la battaglia contro le forze del male, in particolare contro Huitzilopochtli, e sia stato costretto a scappare da Tula. Secondo le leggende egli "seppellì il suo tesoro" e "si imbarcò su una nave per attraversare i mari verso oriente" su una zattera fatta di serpenti. Promise però che un giorno sarebbe ritornato, secondo alcune versioni solo quando fosse cessata la pratica dei sacrifici umani, secondo altri nell'anno Una Canna dell'antico calendario. Nell'ascoltare la storia di Quetzalcoatl e della sua battaglia contro le forze male di Huitzilopochtli, mi chiedevo se un teschio di cristallo non potesse essere associato con questo grande e saggio maestro che sapeva tutto sulle gemme, sulle pietre preziose e sull'intaglio. Forse i teschi di cristallo erano tra gli splendidi oggetti che il misterioso maestro aveva insegnato a fare al suo popolo? O erano stati creati per rappresentare le forze del male di Huitzilopochtli? Qualche tempo dopo la partenza di Quetzalcoatl, circa all'inizio del Tredicesimo secolo, in Messico centrale comparve un gruppo di nomadi. Vennero dapprima chiamati "il popolo di cui nessuno conosce la faccia",2 i futuri potenti aztechi. Come ci spiegò José Salomez Sanchez, le loro vere origini si perdono nel mito e nella leggenda. Secondo alcune versioni erano venuti dalla mitica Chicomoztoc, ovvero "il luogo delle sette caverne", forse corrispondente all'alta regione montagnosa che essi attraversarono con una lunga marcia provenendo dal loro originario "grembo". L'origine comune - si ritiene trattarsi di un popolo che nel corso della marcia si frazionò in sette diverse tribù - era un luogo detto "Aztlan". Si diceva che era un "luogo al di là del mare", oppure "una splendida città costruita su un'isola" laggiù in oriente, in seguito scomparsa. Molte storie narrano che gli aztechi erano arrivati da nord, ma si crede che il popolo venuto da Aztlan avesse effettuato una lunga migrazione, durata diversi secoli, per le pianure e le montagne del Messico in cerca di una terra dove fondare la nuova patria. Alcune versioni della storia della migrazione sostengono anche che il popolo azteco attraversò Michoacàn, "la terra di coloro che hanno i pesci", forse l'Oceano Atlantico, prima di arrivare alla Chris Morton and Ceri Louise Thomas 125
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loro definitiva dimora.3 Si dice che la migrazione fosse guidata dai profeti della tribù, i quali avevano annunciato al popolo la costruzione di un'immensa città nel luogo in cui avrebbero visto un'aquila con un serpente tra gli artigli. All'inizio del Tredicesimo secolo gli aztechi arrivarono in un vasto altopiano, situato a 2.250 metri sul livello del mare: la Valle del Messico. Questa valle è attualmente arida e asciutta, ma a quei tempi c'erano due grandi laghi ed era un luogo perfetto per dare asilo a una grande popolazione. In realtà era già abbastanza popolata quando giunsero gli aztechi, tanto che gli abitanti si dimostrarono poco soddisfatti dell'arrivo di estranei. Saputo che gli aztechi stavano cercando un luogo dove stabilirsi, i locali li indirizzarono verso la riva del lago, una zona infestata da serpenti velenosi, i quali, secondo le loro speranze, avrebbero dovuto in breve sterminare gli immigrati. Nel 1325 però, su un'isoletta a poca distanza dalla riva del lago, gli aztechi videro il segno che erano andati cercando: un'aquila appollaiata su un cactus e con un serpente tra gli artigli. Felici, vi si stabilirono e incominciarono a nutrirsi di serpenti ringraziando - a quanto si narra - gli abitanti per aver loro indicato un luogo meraviglioso, ricco di quello che era uno dei loro cibi preferiti. Eressero un piccolo tempio di canne e di rami come segno di venerazione verso il loro dio della pioggia Tlaloc, la divinità dell'acqua e della fertilità, quindi si misero a bonificare le paludi e a scavare canali di irrigazione tutto intorno all'isola, dando avvio a un'agricoltura molto fiorente basata soprattutto sulla coltivazione del mais. Gli aztechi divennero anche una potenza militare. Si offrivano come mercenari a tutte le altre piccole tribù della zona, diventandone i difensori e consiglieri armati, e alla fine anche i dominatori. In breve si fecero la fama di gente scaltra e spietata, che passava da atteggiamenti ambiguamente amichevoli all'aggressione, senza mai manifestare un'ombra di scrupolo. Si verificò per esempio un episodio particolarmente crudele, spiegò José Salomez: una volta gli aztechi invitarono il re di una tribù vicina a presentare loro la propria figlia, affinché potessero "onorarla" nel corso di una festa. Il re mandò avanti la figlia, poi anch'egli venne invitato alle celebrazioni. Quando giunse il momento in cui la giovane avrebbe dovuto comparire al banchetto, il re rimase inorridito nel vedere un guerriero azteco che avanzava danzando con indosso la pelle che aveva appena strappato alla fanciulla. In breve costituirono un immenso impero. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 126
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Man mano che la loro fortuna andava crescendo, costruirono due immense città d'oro e di pietra. Quella sul lago venne battezzata Tenochtitlan, l'attuale Città del Messico, mentre l'altra leggermente più a nord, Tlatelco, oggi si trova inglobata in uno dei grandi quartieri periferici della capitale. Ogni città veniva costruita su un sistema labirintico di canali e vie d'acqua, ed era servita da acquedotti che portavano acqua sorgiva dalle vicine montagne. Al centro di ognuna si innalzavano un immenso tempio, palazzi articolati che costituivano la residenza dei nuovi re, nobili e prelati, ed edifici in cui gli aztechi tributavano il loro omaggio alle molte divinità che esigevano continui sacrifici umani. Nel centro di Tenochtitlan costruirono il loro tempio più grande, ora detto Tempio Mayor (Tempio Maggiore). Governati da grandi dinastie di imperatori e spietati re-guerrieri, incominciarono a considerarsi un popolo eletto. Riscrissero la storia, esaltando le passate vittorie e distruggendo tutti i documenti delle genti conquistate, affinché non rimanesse testimonianza alcuna che potesse insidiare la loro supremazia. A loro si deve anche la riforma della religione locale, che metteva in cima a tutti il tremendo dio della guerra e del sole, Huitzilopochtli, a danno di Quetzalcoatl. La supremazia azteca in Messico era però destinata a durare meno di un secolo, perché le fondamenta dell'impero vennero ben presto scosse dall'arrivo degli spagnoli all'inizio del Sedicesimo secolo. A quanto pare i sacerdoti e alcuni membri della nobiltà l'avevano previsto. Uno dei loro capi militari, Nezahualpilli, che aveva anche fama di stregone e mago, pare abbia profetizzato l'arrivo dei "figli del sole" (termine col quale poi vennero denominati gli spagnoli) nei primi anni del Sedicesimo secolo, e di aver preavvisato l'imperatore, Moctezuma II, di "strane e meravigliose cose che devono avvenire durante il tuo regno".4 Si dice che allora Nezahualpilli sia scampato alla morte nascondendosi prima dell'arrivo degli spagnoli in una grotta segreta.5 Moctezuma II era ritenuto uno scrupoloso seguace dei riti religiosi e delle formule esoteriche della classe sacerdotale e si narra che fosse rimasto molto turbato da quanto gli avevano fatto intendere parecchi presagi funesti. Circa 10 anni prima dell'arrivo degli spagnoli era comparsa all'improvviso nel cielo una luminosa cometa. De Sahagùn riferisce quale era il significato che quel popolo attribuiva al fenomeno: "... un presagio funesto apparve dapprima nei cieli. Era come Chris Morton and Ceri Louise Thomas 127
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una lingua di fuoco, una fiamma [ovvero] la luce dell'alba. Sembrava che facesse, piovere piccole gocce, come se avesse ferito il cielo".6 Dopo di ciò, il santuario di una delle dee azteche prese fuoco misteriosamente e l'acqua del lago si alzò in onde gigantesche, nonostante non soffiasse nemmeno un alito di vento.7 Si dice anche che una misteriosa pietra "incominciò a parlare" e proclamò la caduta dell'impero di Moctezuma. Ben poco si sa di questa pietra, se non che veniva chiamata "la pietra del sacrificio" e che era custodita in un luogo detto Azcapotzalco. Lo spagnolo Diego Duràn nella sua cronaca ne parla in questi termini: "La pietra... parlò di nuovo: 'Va' a dire a Moctezuma che non c'è più tempo... Avvisalo che il suo potere e il suo comando stanno terminando, che presto lui vedrà e proverà la fine che lo aspetta per aver desiderato di essere, più grande dello stesso dio che decide le cose'".8 Lo stesso Moctezuma inoltre possedeva uno specchio magico, fatto di ossidiana, di cui si serviva per prevedere gli eventi futuri. Si racconta che avesse guardato in questo specchio e avesse visto "uomini armati montati sul dorso di cervi",9 probabile riferimento ai cavalli degli spagnoli, animali fino a quel momento mai visti nelle Americhe. Moctezuma chiamò a raccolta sacerdoti e indovini perché interpretassero il suo destino, dicendo: "Voi conoscete il futuro... voi sapete tutto ciò che avviene nell'universo... voi avete accesso a ciò che è racchiuso nel cuore delle montagne e nel cuore della terra... voi vedete ciò che sta sotto l'acqua, nelle caverne e nelle fessure del terreno, nelle grotte e nelle scaturigini delle fonti... vi prego di non nascondermi nulla e di parlarmi apertamente".10 Quelli però si rifiutarono di parlare. Moctezuma, al colmo della collera, li gettò in prigione. Quando apprese che i suoi sacerdoti non si disperavano ma anzi erano felici e contenti, e che continuavano a ridersela tra di loro, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 128
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andò a trovarli e promise di liberarli se avessero parlato. "Essi risposero che, visto che lui era così insistente nel voler conoscere la sua disgrazia, gli avrebbero detto ciò che avevano appreso dalle stelle del cielo e da tutte le scienze in loro potere: sarebbe stato vittima di una cosa tanto straordinariamente insolita che nessun uomo aveva mai conosciuto un fatto del genere".11 Alcune narrazioni dicono che Moctezuma si arrabbiò tanto che li lasciò morire di inedia. Nell'aprile del 1519 il primo conquistatore spagnolo Hernando Cortés e il suo piccolo esercito giunsero sulla costa messicana, nel luogo dove oggi si trova Veracruz. La gente del posto vide le navi veleggiare lungo le rive del golfo e riferì a Moctezuma che "una montagna era stata vista muoversi per le acque del golfo". Si racconta anche che il crudele Cortés ordinò che tutte le sue navi venissero bruciate e affondate per evitare che i suoi uomini fossero tentati di scappare. Il loro numero infatti era nella proporzione di uno a mille rispetto ai nativi.12 Cortés però era un politico e un diplomatico scaltro e persuase i locali Tlaxcalan e diverse altre tribù - che già avevano manifestato la loro insofferenza per il giogo degli aztechi - a unirsi al suo esercito contro il potente impero dominatore. Non sapeva allora che la fortuna era dalla sua parte. Era l'anno Una Canna quando Moctezuma si sentì dire che stranieri con "mani e volti bianchi e lunghe barbe", arrivati sulla costa da oriente, stavano "correndo sul dorso di cervi" e che il loro capo chiedeva di conferire con lui. Non c'è da meravigliarsi se egli prese Hernando Cortés per il grande dio Quetzalcoatl che ritornava, come profetizzato, a riprendersi il potere che gli spettava di diritto. Fu un errore che si sarebbe dimostrato fatale non solo per Moctezuma ma per tutto l'impero. In un primo momento Moctezuma non sapeva che cosa fare. Doveva ricevere Cortés come il capo di tutte le divinità o trattarlo come un nemico mortale? Ma si diceva che gli adoratori di Huitzilopochtli sarebbero stati incapaci di mantenere il potere una volta che lo stesso Quetzalcoatl fosse tornato a reclamarlo. L'imperatore dunque diede il benvenuto a Cortés e al suo esercito. Gli pose una collana di pietre preziose intorno al collo, gli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 129
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offrì la propria corona di penne di quetzal, e gli fece vedere che egli era umilmente disposto a restituirgli il comando di tutto l'impero, se questo era ciò che voleva. Cortés e il suo esercito vennero accompagnati nel cuore di Tenochtitlan, dove la folla si era riunita per vederli e salutarli, e furono sistemati negli splendidi ambienti intorno al palazzo imperiale. Gli spagnoli non riuscivano a credere ai propri occhi. La capitale azteca era molto più imponente di Roma e di Costantinopoli. Con una popolazione di circa 300.000 abitanti era circa cinque volte più grande della Londra dell'epoca. Molti soldati la paragonarono a Venezia o pensarono di essere capitati in una incantata città leggendaria, quale la famosa Atlantide. Come scrisse uno dei soldati di Cortés, Bernal Dìaz, nel suo diario: "Eravamo stupiti e ci dicemmo che era come gli incantesimi narrati nella leggenda di Amadìs, in considerazione delle immense torri, dei pinnacoli e degli edifici sorgenti dall'acqua, tutti in muratura. E alcuni dei nostri soldati si chiedevano se queste erano cose che veramente loro vedevano e non un sogno". 13
C'erano giardini galleggianti e mercati immensi traboccanti di oro, argento, giada e generi alimentari di ogni specie. Nel palazzo reale c'erano una voliera e uno zoo, in cui personale specializzato custodiva e curava giaguari, puma, coccodrilli. La città era di una bellezza, di una pulizia e di un ordine che gli spagnoli non avevano mai visto prima. Ma, quanto i soldati furono stupiti dalla bellezza e dalla proprietà della città, altrettanto rimasero atterriti da ciò che videro arrivando al Tempio Mayor nel cuore della stupefacente metropoli. Qui trovarono i due grandi santuari a piramide. Uno era dedicato a Tlaloch, il dio dell'acqua e della fertilità, e l'altro a Huitzilopochtli, il dio del sole e della guerra. Per salire in cima alle piramidi c'erano più di 100 gradini. I gradini sembravano dipinti di nero, invece erano ricoperti del sangue coagulato dei sacrifici rituali umani. L'aria era irrespirabile per il fetore stantio e per il putrido odore di morte. Gli aztechi invitarono gli spagnoli a presenziare alle celebrazioni per solennizzare Huitzilopochtli. Quando incominciarono le danze rituali e gli aztechi furono assorbiti dai festeggiamenti, gli spagnoli colsero il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 130
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momento propizio per attaccare. Uccisero i più alti rappresentanti della nobiltà, e a quanto pare massacrarono per lo meno 10.000 persone in quella sola notte. Alcuni cercarono di opporsi, spingendoli fuori dalla città, ma gli invasori tornarono con il rinforzo dei loro alleati locali, e dopo aver costruito 13 grandi chiatte posero l'assedio. Il 13 agosto 1521 Tenochtitlan cadde. Moctezuma fu fatto prigioniero e ucciso, migliaia di uomini vennero massacrati e le strade furono inondate del sangue delle vittime del nuovo governo spagnolo. Negli anni che seguirono molti di coloro che non erano stati uccisi dagli invasori morirono di fame o malattia. Gli spagnoli infatti avevano portato il vaiolo, il colera, il morbillo e la febbre gialla, malattie che nelle Americhe non esistevano e contro cui quindi i locali non avevano alcuna forma di immunizzazione. Tra guerre e malattie la popolazione venne decimata, scendendo da 10 milioni a poco più di 2 milioni in meno di 20 anni. Una volta tornati nel museo, ammirammo le ricostruzioni in scala della capitale azteca che i conquistatori avevano distrutto e un'immensa lastra di pietra ricoperta da incisioni molto particolareggiate raffiguranti personaggi in preda agli spasmi della morte. José spiegò che era una pietra simile a tutte quelle che si trovavano in cima alle piramidi e che servivano durante le cerimonie sacrificali. Esprimemmo il desiderio di sentire ancora qualcosa a proposito dell'esecuzione dei sacrifici umani, pensando che i teschi di cristallo potessero inserirsi in qualche modo in questo contesto. La nostra guida spiegò che gli aztechi avevano praticamente fondato tutto il loro impero sul sangue dei sacrifici umani. La maggior parte delle vittime erano soldati nemici catturati durante la battaglia, perché era stata costituita una macchina militare vera e propria allo scopo di approvvigionare la capitale di un continuo afflusso di persone da sacrificare. I due principi, quello della guerra e quello dei sacrifici, si alimentavano a vicenda, portando l'impero a espandersi in maniera costante. Nessuno sa con esattezza quante furono le vittime immolate. I primi spagnoli avevano fatto un conto basandosi sulle rastrelliere di teschi, o tzompantli, costruite dagli aztechi, di cui alcuni esemplari ancora perfettamente conservati sono visibili nel museo.
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Figura 3: Veduta della capitale azteco Tenochtitlan (ora Città del Messico) come si presentava all'arrivo degli spagnoli Dopo il sacrificio, durante il quale veniva estratto e mostrato il cuore, le vittime di solito venivano decapitate. La testa mozzata veniva impalata e posta in fila con le altre su una rastrelliera. Tali rastrelliere venivano esposte nel centro della città, lungo le piramidi principali e lungo il campo del gioco alla palla. Bernal Dìaz cercò di fare un computo dei teschi umani che vi si vedevano quando gli spagnoli arrivarono e ne contò almeno 100.000. Due suoi amici asserirono di aver fatto un conteggio più preciso arrivando al numero di 136.000, tutti in diverso grado di decomposizione e putrefazione.14 Ci incontrammo in seguito con un "sacerdote azteco" dei nostri tempi di nome Maestro Tlakaeletl, secondo cui le storie degli antichi sacrifici erano state gonfiate. Ci disse che i conquistatori spagnoli facevano di tutto per rappresentare gli indigeni come selvaggi spietati allo scopo di giustificare le proprie azioni, cioè il genocidio quasi totale di tutte le popolazioni dell'America Centrale. Le rastrelliere di teschi, sosteneva, facevano parte in realtà delle antiche operazioni calendaristiche azteche, e le teste erano di individui morti naturalmente. La rastrelliera veniva usata in certo senso come un abaco, per fungere come base del computo del tempo. Allo scopo di garantire un rifornimento di prigionieri per i sacrifici, gli aztechi mettevano in atto scontri ritualizzati contro gli stati vicini, le Chris Morton and Ceri Louise Thomas 132
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"guerre dei fiori". Erano combattute da "guerrieri-giaguari", che indossavano pelli di giaguaro, "guerrieri-aquile", il cui copricapo simulava una testa di aquila, e da altri che portavano semplicemente la mandibola di un teschio umano adattata sulla propria. I guerrieri raramente uccidevano i nemici sul campo di battaglia, in quanto dovevano cercare di catturarli vivi per i futuri sacrifici rituali. Lo strano è che, una volta catturati, i prigionieri destinati al sacrificio non venivano considerati nemici da giustiziare, ma messaggeri da inviare agli dei. Quando un guerriero faceva prigioniero un nemico, lo proclamava "il mio amato figlio" e lo sconfitto ritualmente replicava, "ecco il mio onorato padre". Per gli aztechi e molti dei loro vicini era considerato un grande onore essere sacrificati, e la vittima veniva investita di una dignità tale da sconfinare nella divinizzazione.15 A quanto pare, insomma, il sacrificio era un modo onorevole di morire, tanto che non era riservato solo ai nemici; gli aztechi sceglievano anche alcune vittime nelle proprie fila. Il più delle volte era un maschio nato un certo giorno, sotto una certa congiunzione astrologica, che veniva selezionato fin dalla nascita e consegnato a un'altra famiglia affinché lo allevasse fino al momento del sacrificio. Per questo bambino la morte nel tempio era praticamente l'unico vero scopo della vita. Subito dopo la pubertà, alcuni mesi prima del grande giorno, al prescelto come vittima sacrificale venivano date in sposa quattro fanciulle e gli si insegnava a suonare melodie col flauto. Quando giungeva il giorno fatale, lo si addobbava con ricchi paludamenti colorati, con campanelli intorno ai fianchi e fiori al collo. La folla si riuniva sulla piazza del mercato per salutarlo, quindi egli si dirigeva verso la piramide del sacrificio. Vi saliva suonando una dolce musica e fermandosi poi a deporre il flauto sui gradini subito sotto la cima. Raggiunta la sommità, gli veniva somministrata una bevanda detta dolowachi, anestetica e calmante, mentre i sacerdoti si radunavano per la cerimonia. Ecco le parole di Fra' de Landa: "Lo accompagnavano con grande solennità... lo mettevano sulla pietra del sacrificio. Quattro di essi lo tenevano per le braccia e le gambe, per far sì che fosse ben steso..."16 La bevanda serviva anche a far rilassare il petto della vittima affinché aderisse alla curvatura della pietra sacrificale per facilitare l'inserzione di un coltello (vedi foto a colori 13): Chris Morton and Ceri Louise Thomas 133
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"Poi arrivava il carnefice, con un coltello di selce (o una lama di ossidiana) in mano, e con grande abilità praticava un'incisione tra le costole del lato sinistro, sotto al capezzolo; quindi affondava la mano e come una tigre famelica ne strappava il cuore palpitante".17 Il cuore veniva innalzato al cielo in offerta al dio sole Huitzilopochtli. Il sangue, o "liquido divino", fluiva dal corpo mentre il cuore, il cuauhnochtli ovvero "cactus dell'aquila", veniva messo in un piatto e quindi bruciato. Il cadavere allora veniva gettato dalla piramide, in memoria della mitica lotta tra Huitzilopochtli e la sorella maggiore Coyolxauhqui, che si diceva egli avesse ucciso. Al cadavere si mozzava la testa e la si impalava su una rastrelliera di teschi (vedi foto a colori 12). Il resto del corpo veniva poi smembrato e la carne distribuita tra i nobili per un pasto antropofago rituale: essi cioè banchettavano con le simboliche membra di Coyolxauhqui. Ci capitò in seguito di vedere un'incisione in pietra raffigurante Coyolxauhqui nel museo del Tempio Mayor. In essa era rappresentato il momento in cui ruzzolava giù dalla piramide per mano del suo divino fratello. La testa e le membra di Coyolxauhqui erano state mozzate, e dalla vita le pendeva un grande teschio. La maggior parte degli archeologi ritengono che questo teschio rappresenti il momento della sua morte e tutto ciò che di lei rimane nella dimensione umana del "mondo di mezzo". Devo confessare che mi chiesi se invece non si trattava della riproduzione di un teschio di cristallo che Coyolxauhqui portava di norma intorno alla vita (vedi la figura 4). Anche cadere in battaglia era per gli aztechi una morte onorevole. Poiché molti guerrieri morivano nel tentativo di catturare vittime per i sacrifici, uno stesso grado di dignità era attribuito a colui che cadeva sul campo di battaglia. Un antico canto azteco rende con poche parole questo sentimento: Non c'è nulla come la morte in guerra, nulla come la morte fiorita. Così preziosa per lui che dà la vita. Io la vedo lontana. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 134
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Il mio cuore anela a essa!18 Il modo in cui si moriva era molto importante. Come ci spiegò José, "da questo dipendeva il tipo di sepoltura, cioè o in posizione fetale in una giara di terracotta o stesi con le braccia aperte sul pavimento della tomba di qualcun altro". Ancora più significativa era la credenza azteca secondo cui era il modo in cui si moriva a determinare la vita dell'oltretomba. Perire da guerriero o da vittima sacrificale, le morti più nobili, avrebbe garantito un posto in paradiso. Dopo la morte l'anima del guerriero sarebbe andata fino alla casa del sole dove, per i quattro anni seguenti, lo avrebbe accompagnato nel suo viaggio quotidiano attraverso il cielo, lanciando frecce al sole per guidarlo nel suo celeste cammino. Dopo aver adempiuto a questo compito, le anime si sarebbero trasformate in farfalle e colibrì e avrebbero vissuto in pace in un paradisiaco giardino colmo di fiori. Lì avrebbero passato le giornate nutrendosi di nettare, cantando e raccontando storie sulle meraviglie del sempre splendente sole. Le donne che morivano durante la "battaglia" del parto avrebbero intrapreso lo stesso viaggio dei guerrieri fino a un paradiso inondato di sole. Se invece si moriva annegati o colpiti dal fulmine, il destino era simile, ma il paradiso sarebbe stato fatto d'acqua e governato dal dio della pioggia Tlaloc. Se poi si decedeva per cause naturali, come un qualsiasi essere umano, allora solo dopo la morte sarebbero incominciate le vere battaglie. L'anima avrebbe dovuto affrontare un lungo e arduo viaggio attraverso l'oltretomba, il "Mictlan", prima di raggiungere il luogo del suo riposo finale. Mictlan era un luogo di oscurità, paura e terrore, colmo di un odore nauseante di putrefazione. Questa versione azteca dell'inferno era dominata da Mictlantecuhtli, il Grande Signore della Morte e da sua moglie Mictlancihuatl. Nel museo ammirammo molte statue e altri oggetti, per lo più di ceramica, che raffiguravano le due divinità della morte. Mictlantecuhtli assumeva forme diverse, qualche volta un vero e proprio corpo umano, più spesso un corpo fatto soltanto di pezzi di scheletro. L'unica cosa che rimaneva sempre uguale era il volto, rappresentato da un cranio umano spolpato, di solito con grandi occhi sporgenti. Allo stesso modo la sua sposa aveva sempre come testa un teschio, e in molte statue ne portava Chris Morton and Ceri Louise Thomas 135
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anche uno intorno al collo, ed era incoronata con un'intera corolla di piccoli teschi.
Figura 4: Pietra intagliata raffigurante la dea azteca della luna, Coyolxauhqui, con un teschio intorno al collo e alla vita Chiesi a José se queste divinità non potevano avere qualcosa a che fare con i teschi di cristallo. Lui rispose che prima di arrivare a una conclusione del genere dovevamo ricordarci che la figura del teschio si trovava praticamente dappertutto nell'arte azteca, ed era anche associata a molte altre divinità. Uno dei nemici di Quetzalcoatl, il nero Tezcatlipoca, ovvero "Specchio Fumante", veniva anche raffigurato con un teschio al posto della testa. Come Huitzilopochtli, esso rappresentava le forze della lotta e del cambiamento e veniva ritenuto depositario di una funesta potenza oscura. Di Tezcatlipoca si diceva che avesse al posto del piede sinistro uno specchio di ossidiana nero, un magico "specchio fumante" grazie al quale Chris Morton and Ceri Louise Thomas 136
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poteva accelerare le attività degli dei e degli uomini dovunque fossero. Il fatto che venisse raffigurato con un teschio al posto del capo e che fosse capace di vedere in altre dimensioni potrebbe ugualmente implicare un legame tra questo dio e i teschi di cristallo. Ma come già abbiamo visto nel British Museum, il teschio di Tezcatlipoca era di solito raffigurato a strisce rosse e nere. Eravamo intanto arrivati di fronte a un'immensa statua alta più di 4 metri e del peso di più di IO tonnellate. Era stata scoperta all'inizio del Diciannovesimo secolo, però le autorità messicane evidentemente l'avevano ritenuta troppo impressionante e l'avevano rimessa sottoterra. All'epoca si vociferava che lo avessero fatto per non dover ammettere di non saper spiegare come gli aztechi "primitivi" e barbari avessero creato un oggetto del genere. La statua rappresentava l'antica dea Coatlicue, ovvero "quella con la gonna serpente". Coatlicue era la madre di tutte le divinità azteche, la dea della Terra, e quindi della vita e della morte. Quella statua era un'immagine veramente sconvolgente: la testa non era nemmeno raffigurata - a quanto pare il volto della dea era troppo orripilante per gli occhi mortali - e invece al suo posto si vedevano due serpenti, simbolo dei fiotti di sangue che ne sgorgavano. Anche la gonna era fatta di serpenti che con la muta della pelle stavano a significare il processo continuo di morte e rinnovamento. La dea inoltre aveva artigli a rammentare il potere distruttivo della sua natura. Intorno al collo portava una ghirlanda di mani amputate e di cuori umani, e in vita un altro teschio rivolto verso chi guardava; quest'ultimo aveva gli occhi sporgenti, forse a ricordare che la dea controllava la vita e la morte, ma anche in questo caso mi chiedevo se tale particolare non fosse un teschio di cristallo (vedi la figura 5). La cosa che più colpiva nell'immensa statua era che, sebbene Coatlicue fosse la dea della terra e quindi della vita, veniva rappresentata con gli attributi della morte. José spiegò che in tutta la cultura mesoamericana c'era sempre stata una curiosa dualità: la dea della Terra aveva il potere di creare la nuova vita, ma anche di sottrarla. Infatti è la Madre Terra che ci dà la vita, ma è sempre lei che la riprende quando moriamo. Tutto ciò faceva parte della visione azteca della vita e della morte, viste come facce inscindibili della stessa medaglia: non si può avere l'una senza prendere anche l'altra. Per i nativi dell'America Centrale non c'era ragione di temere troppo la morte o di volerne cancellare anche il solo pensiero, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 137
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come facciamo oggi nel mondo occidentale. La morte era solo il passaggio in un altro luogo, che normalmente veniva visto come qualcosa a cui aspirare.
Figura 5: Statua in pietra della dea azteca della creazione, Coatlicue, con mani mozzate, cuori strappati e teschi intorno al collo e alla vita. Questo diverso atteggiamento si riscontrava anche nella versione dell'inferno, che non era perpetuo come quello della concezione cristiana. Come il viaggio che si compie attraverso l'utero per arrivare alla vita, così il viaggio per l'oltretomba avveniva attraverso un luogo oscuro e stretto, alla fine del quale però, quando si arrivava al luogo del riposo eterno, non c'era nulla di spaventoso. Mentre osservavamo l'immensa statua di Coatlicue, meditando sulla vita e sulla morte, José disse che voleva mostrarci un'altra cosa. Ci condusse in una stanzetta appartata rispetto alla grande Sala Azteca del museo e ci fece vedere il contenuto di una vetrina. In essa era appesa una piccola collana di dodici minuscoli teschi, ricavati da qualche osso, con uno spazio vuoto per un tredicesimo. La didascalia diceva che era stato trovato nello stato di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 138
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Guerrero e risaliva all'anno 1000 a.C. (vedi foto in bianco e nero 40). José poi ci condusse verso un'altra vetrina e ci invitò a osservarne con attenzione il contenuto. Rimanemmo alquanto sorpresi nel vedere due piccolissimi teschi di cristallo. Erano alti non più di 5 centimetri e presentavano tutti e due un foro verticale. Sembravano intagliati in maniera alquanto rozza ma erano di un minerale di magnifica trasparenza. Uno recava l'etichetta "azteco", e l'altro invece "mixteco" (popolo confinante soggiogato dagli aztechi). Non erano forniti altri particolari. Eravamo stupefatti. Io esclamai: "I teschi di cristallo dunque sono proprio aztechi!" La nostra guida però ci spiegò subito che la cosa non era così semplice: nessuno in realtà sapeva cosa essi rappresentassero, o a quale uso fossero destinati, né da dove veramente fossero arrivati. Aggiunse che erano stati definiti l'uno azteco e l'altro mixteco perché questo era quanto dicevano i registri del museo. La documentazione a quanto pare risaliva alla metà dell'Ottocento circa, ma non conteneva alcuna notizia precisa sullo scavo archeologico in cui erano stati rinvenuti i reperti. La loro attribuzione però presentava parecchi problemi. Anche se si sapeva dalle prime cronache spagnole che gli aztechi e i mixtechi erano esperti nell'intagliare le pietre preziose, e sebbene queste cronache citassero esplicitamente il cristallo, si trattava a quell'epoca di un materiale molto raro in Messico. Naturalmente non si poteva escludere che i teschi grandi fossero veramente antichi, soprattutto data l'importanza che gli aztechi attribuivano a quella raffigurazione, ma il vero problema nel campo dell'archeologia mesoamericana stava nel fatto che i primi europei avevano distrutto la maggior parte delle testimonianze. Non appena gli spagnoli si erano impossessati dell'impero azteco, avevano compiuto una distruzione sistematica non soltanto della maggior parte dei suoi abitanti, ma anche di tutte le testimonianze della loro cultura - sempre nel nome del cristianesimo. Indubbiamente la pratica dei sacrifici umani convinse i conquistatori di avere tutto il diritto di imporre il cristianesimo a questa popolazione "barbarica". Ma gli indigeni si trovarono di fronte alla scelta tra conversione o massacro. Come i nazisti più di quattrocento anni dopo, i primi colonizzatori spagnoli arrivarono a istigare i bambini a spiare i propri genitori e ad andare a riferire alle nuove autorità se celebravano ancora i riti della vecchia religione.19 Quasi tutti i libri e i documenti delle epoche passate vennero bruciati, e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 139
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le opere più raffinate della cultura mesoamericana vennero ridotte in cenere in un'orgia di libri gettati alle fiamme e di "idoli" fatti a pezzi. In quest'opera di distruzione, a fianco dei soldati si trovavano i monaci francescani e domenicani. Ecco come un frate descrisse queste imprese: "Trovammo un gran numero di libri... ma siccome contenevano solo superstizioni e falsità del demonio li bruciammo tutti, cosa che fu molto dolorosa per i nativi e che diede loro grande sofferenza".20 Pochi di questi inestimabili manoscritti sfuggirono allo sterminio e di conseguenza le testimonianze preziose di un'intera civiltà vennero spazzate via. Per ironia della sorte la principale fonte di notizie sugli antichi aztechi di cui disponiamo oggi sono i resoconti degli zelanti monaci e frati che erano stati incaricati di descrivere riti, cerimonie e credenze "pagane" e "non cristiane", allo scopo di dare un quadro completo di ciò che loro speravano di sradicare. Ci fu però chi, comprendendo quale tragica perdita per l'umanità si stesse compiendo, conservò in segreto, sia pure in forma parziale e ridotta, alcune documentazioni di quella cultura che inizialmente voleva cancellare. Nonostante ciò, tutte le opere di pittura e scultura e persino di architettura degli aztechi andarono perse. Cortés ordinò che Tenochtitlan venisse rasa al suolo e fece invece costruire un'immensa cattedrale, parte della quale è ancora visibile, in cima al più grande tempio della piazza cittadina. Tutte le forme di espressione artistica vennero fatte a pezzi e bruciate. Secondo i frati l'arte e la cultura degli aztechi, i loro rotoli dipinti e le loro raffinate sculture erano "opere del Demonio, volute dal diavolo per ingannare gli indiani e per impedire che essi abbracciassero il cristianesimo".21 Gli oggetti in metallo prezioso vennero raccolti e fusi per essere inviati in patria a impinguare i forzieri dell'impero spagnolo. Gli aztechi rimasero evidentemente atterriti davanti all'avidità che gli spagnoli manifestavano per il "metallo giallo". Lo spagnolo padre Burgoa, che fu tra i primi colonizzatori, descrisse la distruzione di un certo "idolo" che era custodito in un santuario nella località detta Achiotlan: "Era fatto di un materiale di grandissimo valore... inciso con Chris Morton and Ceri Louise Thomas 140
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eccelsa abilità... La pietra era così trasparente che brillava dal suo interno con la lucentezza di una fiamma di candela. Era un gioiello molto antico e non esisteva alcuna tradizione che spiegasse l'origine della venerazione e dell'adorazione di cui era oggetto".22 Padre Burgoa riferì anche che questa pietra era stata presa dal primo missionario, padre Benito, che "l'aveva fatta ridurre in pezzetti, nonostante un altro spagnolo avesse offerto 3000 ducati per averla, poi aveva dissolto la polvere in acqua e l'aveva versata sulla terra calpestandola".23 E indubbiamente difficile immaginare come i teschi di cristallo possano essere sopravvissuti a tali devastazioni, sebbene come già ci aveva detto il dottor John Pohl dell'Università di California, "forse gli indiani, ritenendo i teschi di cristallo molto preziosi, potrebbero aver preso misure affinché non cadessero nelle mani degli spagnoli". I relativamente pochi oggetti che rimasero integri furono le monumentali statue e incisioni in pietra, come Coatlicue, che erano così grandi e di rocce eruttive così dure e resistenti che non poterono essere fatte a pezzi, bruciate o distrutte in qualsiasi altro modo. Tutto ciò che poterono fare gli spagnoli fu seppellirle. Ma a parte questi immensi monoliti di pietra, ben poco rimane dell'arte azteca. C'era tuttavia un'altra testimonianza, disse José, che ci avrebbe potuto interessare e che avrebbe potuto dimostrare l'origine azteca dei teschi di cristallo. Lo seguimmo nel vicino Museo del Tempio Mayor, situato nel centro nella piazza Zócalo, nel cuore di Città del Messico. La piazza era circondata su tutti i lati da edifici di epoca coloniale e dava un'idea dell'antica potenza spagnola. Avvicinandoci all'edificio, proprio vicino alla cattedrale ricoperta da impalcature per lavori destinati a bloccarne il graduale inabissamento nel terreno cedevole, potevamo ancora vedere le antiche fondamenta del tempio, portate solo recentemente alla luce. Quando entrammo nel museo, fummo accolti da file e file di teschi di pietra cava, una specie di riproduzione in pietra delle rastrelliere di teschi o tzompantli, rinvenute sepolte sotto la cattedrale. José proseguì fino a un'altra piccola vetrina. All'interno c'erano alcuni dei pochi pezzi di cristallo sicuramente risalenti almeno agli aztechi. Erano stati trovati negli anni Settanta durante gli scavi nel sito del Tempio Mayor. Secondo la diffusa abitudine azteca, in questo luogo le piramidi Chris Morton and Ceri Louise Thomas 141
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venivano costruite strato dopo strato, aggiungendone uno a intervalli regolari, man mano che l'impero si ingrandiva. Si ritiene che ogni aggiunta venisse fatta a distanza di 52 anni, in sintonia con i cicli dell'antico calendario. Nello strato più profondo c'era un'urna funeraria di basalto, sovrastata da una statua chac-mool che rappresenta a quanto si crede il dio Quetzalcoatl. Esattamente qui erano stati trovati quegli oggetti di cristallo vari cilindri che si ritiene fossero la "coda" di penne di Quetzalcoatl, tappi per la bocca, rocchetti per le orecchie e - la cosa forse più interessante una fila di tredici pìccole perle, sempre di cristallo, probabilmente adoperata come collana. Poiché si trovavano nello strato più profondo della piramide, questi pezzi di cristallo non possono essere posteriori al 1390 d.C. Era pratica corrente seppellire e cremare i personaggi importanti all'interno di tali urne. Colui che era stato messo in questa urna era stato bruciato totalmente, tanto che si erano salvati dalle fiamme della cremazione solo i piccoli cristalli. Gli archeologi si sono meravigliati di trovare tali oggetti, perché il cristallo era un materiale alquanto raro per gli aztechi e veniva riservato ai rappresentanti della più alta nobiltà. La spiegazione più probabile è che questi oggetti fossero di uno "scrutatore del cielo", cioè di uno degli astronomi, che rappresentavano la casta più alta della società. Il cristallo era riservato a loro perché ritenuto la materia sacra dei cieli e associato con la capacità di vedere chiaramente. Gli astronomi godevano di grande considerazione presso gli aztechi, la cui vita si basava in larga misura proprio sull'osservazione del cielo. Sebbene dal punto di vista materiale possedessero poco, "solo pietre e metalli teneri", come disse José, "si elevarono all'altezza dei cieli" e acquisirono grandi conoscenze astronomiche. Nel corso della loro originaria migrazione si erano orientati basandosi sulla stella polare, come in seguito i marinai che attraversarono l'Atlantico, e quando si stabilirono in Messico orientarono gli edifici sacri in relazione ai quattro punti cardinali. La maggior parte delle divinità erano personificazioni degli elementi naturali, senza contare che la vita quotidiana e tutti i riti e le cerimonie si svolgevano in corrispondenza dei moti dei corpi celesti. Persino la pratica del sacrificio umano si ritiene avesse significato astrologico. Per gli aztechi infatti il sole era un essere mortale, tanto che ritenevano necessario alimentarlo quasi giornalmente, se si voleva che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 142
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continuasse a brillare. Per questo mettevano il cuore della vittima sacrificale in un vaso o recipiente di offerta, lo bruciavano e lo alzavano verso il cielo. Credevano che lo spirito di un'aquila sarebbe volato giù dal cielo e avrebbe afferrato lo spirito del cuore tra gli artigli portandolo dalla Terra al cielo per alimentare il sole. Essi collegavano il sacrificio umano alle loro credenze sul calendario e sulla fine del tempo. José ci aveva già mostrato la famosa Pietra del Calendario Azteco, un'immensa lastra circolare dissepolta nel 1791 dai resti del Tempio Maggiore. Dapprima si era creduto che fosse semplicemente una pietra sacrificale decorata, poi invece si vide che racchiudeva la chiave delle credenze azteche sulla storia del mondo e sulla fine del tempo. Questa pietra presentava nel mezzo un volto umano che mostrava la lingua, raffigurazione del dio sole Tonatiuh che chiedeva offerte di sangue e sacrifici umani. Dal centro partivano dei raggi che dividevano il resto del cerchio in settori. Alcuni di questi rappresentavano le 8 parti del giorno, l'equivalente azteco delle nostre ore, mentre altri raffiguravano i mesi, che erano di circa 20 giorni. Nell'anno sacro, o tonalamatl, c'erano in tutto 13 mesi. Una di queste suddivisioni recava l'immagine di un teschio umano. I quattro cerchi esterni del calendario ciclico rappresentavano i quattro precedenti "Soli". Tali Soli consistevano nelle passate ere della Terra. Come tutti i popoli mesoamericani, infatti, gli aztechi credevano che il mondo fosse già stato creato e distrutto diverse volte, quattro per la precisione. La Pietra del Calendario Azteco, come molte altre pietre monumentali e alcuni manoscritti pervenutici, ci informa che questo antico popolo credeva di vivere nell'età del "Quinto Sole", che sarebbe la stessa in cui viviamo noi oggi. Ognuno di questi precedenti mondi, o Soli, era durato migliaia di anni, ma ciascuno si era concluso con un immenso cataclisma. Ci sono delle divergenze di vedute sulla successione dei mondi, ma la
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Figura 6: Pietra del Calendario Azteco Pietra del Calendario, che è forse la guida più affidabile, ci presenta il seguente ordine: l. La prima era, o Primo Sole era l'età dei "Giganti" che "mangiavano i nostri stessi cibi", e che forse erano i dinosauri. Gli scienziati oggi ritengono che la Terra a un certo punto venne colpita da un meteorite immenso che praticamente provocò lo sterminio dei dinosauri; nonostante si ritenga che questo sia successo circa 65 milioni di anni fa, tale meteorite creò quello che oggi viene detto il cratere di Chicxulub nel Messico meridionale. L'impatto fu talmente violento che avrebbe sollevato una nuvola immensa di polvere e detriti tale da oscurare i raggi del sole e portare un sostanziale mutamento climatico, in seguito a cui morì tutta la vita sulla Terra. Alcuni ritengono che questo meteorite sia penetrato addirittura sotto la crosta terrestre e sia scomparso nel centro del pianeta. Secondo gli aztechi la prima era terminò quando i giganti furono divorati dalle "tigri" o "ocelot", forse intendendo che furono sostituiti dai mammiferi. Sebbene alcune fonti sostengono che questo mondo venne distrutto dall'alluvione, e altri che "questo Sole finì nel freddo e nel buio a causa di un'eclisse", tutte le versioni concordano che, come per la fine di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 144
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tutti i precedenti mondi, il sole cessò di brillare, in questo caso "nell'anno conosciuto come tredici".24 2. Il secondo mondo o Secondo Sole, fu il tempo in cui "essi divennero scimmie" e vivevano sugli alberi. Chi siano questi "essi" non si sa, ma si presume trattarsi dei progenitori umani. Quasi tutte le versioni concordano nel dire che questo Secondo Sole venne spazzato via da un vento impetuoso che portò via tutto, e i detriti oscurarono il sole, e "questo Sole stesso venne spazzato via dal vento".25 Un famoso corpo di manoscritti, il Codice Vaticano-Latino (intendendo con codice un libro di geroglifici e pittografie) dice anche però che "un uomo e una donna rimasti su un picco si salvarono dalla distruzione". 3. Il terzo mondo, Terzo Sole, ebbe inizio nel giorno Una Selce dell'antico calendario e si disse che era stato governato dal dio del fuoco. Molti lo identificano con l'era durante la quale l'umanità imparò a far scaturire e usare il fuoco. Per ironia della sorte però, quasi tutte le fonti concordano nel dire che questo mondo fu distrutto da una "pioggia di fuoco". Secondo Léon-Portilla, "piovve fuoco su di essi" e "questo Sole venne consumato dal fuoco",26 forse intendendo che i raggi del sole vennero oscurati dal fumo e dalle fiamme, come probabile effetto di un'attività vulcanica - o di qualche azione degli uomini. 4. Il Quarto Sole viene spesso detto anche Tzontlilac, o il tempo dei "capelli neri". Sebbene il Codice Vaticano-Latino dica che alla fine di questo mondo gli uomini morirono di inedia dopo una pioggia di sangue e di fuoco scesa dal cielo, tutte le altre versioni concordano con la Pietra del Calendario nell'affermare che il mondo fu distrutto dall'acqua, a causa di un'immensa inondazione. Una pioggia senza fine provocò un diluvio e "gli uomini vennero trasformati in pesci". Léon-Portilla fornì un resoconto particolareggiato di ciò che aveva sentito raccontare sulla fine di questo mondo: "Essi così perirono, vennero ingoiati dalle acque e divennero pesci... l'acqua cadde per 52 anni e così finirono quegli anni... il cielo crollò su di loro e... essi perirono" e "tutte le montagne scomparvero",27 anch'esse inghiottite dalle acque che avevano inondato la Terra. Il Codice Vaticano-Latino aggiunge tuttavia che una coppia sopravvisse all'inondazione perché "protetti da un albero"... da notare le notevoli somiglianze con la storia biblica dell'Arca di Noè. 5. Il Quinto Sole ebbe inizio nell'anno Tredici Acati ed è quello in cui viviamo noi. Ma gli aztechi ritenevano che anche questo Sole sarebbe Chris Morton and Ceri Louise Thomas 145
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finito. Secondo la relazione di Léon-Portilla, "questo Quinto Sole, 4Movimento, è detto il Sole del Movimento perché si muove e segue il suo cammino".28 Nella lingua azteca però, il nahuatl, la parola ollin significa non solo "movimento" ma anche "terremoto", quindi il resoconto di LéonPortilla prosegue "... come gli antichi continuano a dire, sotto questo Sole ci saranno terremoti e carestia, e allora arriverà la nostra fine".29 Secondo il Codice Vaticano-Latino "ci sarà un movimento della Terra a causa del quale tutti periranno".30 Altre narrazioni invece fanno intendere che il cataclisma di quest'ultimo mondo sarà una combinazione delle forze distruttive della natura, della terra, dell'aria e dell'acqua, in una spaventosa esplosione di calore, seguita da una siccità insopportabile e da "fuoco dal cielo" che arrecherà buio e freddo, con cicloni di vento e pioggia torrenziale, e provocherà la coincidenza di terremoti, eruzioni e inondazioni distruttive. Di nuovo il mio pensiero corse alle immagini che Nick Nocerino aveva visto all'interno del suo teschio, nonché alle previsioni che Carole Wilson aveva raccolto dal teschio di MitchellHedges. Secondo Léon-Portilla, "il mito azteco dei Cinque Soli spiega il destino dell'uomo e la sua inevitabile fine".31 Esso riflette la convinzione degli aztechi che il nostro mondo è destinato a scomparire e che il tempo consiste in un seguito di cicli destinati a un finale annullamento. Non sembra che gli aztechi sapessero esattamente quando sarebbe arrivata la fine dell'attuale Sole. Credevano fosse già molto vecchio e quindi sarebbe presto finito. Ma pensavano anche che le loro azioni potessero avere un effetto sulla sua durata. Ritenevano un dovere cercare di prevenire la morte del sole, ecco il perché dei sacrifici umani: grazie a essi il sole continuava a splendere e a mantenere la Terra in buona salute. Gli aztechi dunque ritenevano assolutamente indispensabile il sacrificio rituale. Credevano che all'inizio di questo Quinto Sole l'unico modo per persuadere l'astro a brillare ancora consistesse nell'offrirgli il dono più prezioso: la vita stessa. José riteneva che le pratiche sacrificali degli aztechi fossero state motivate da una corruzione dell'idea del sacrificio di sé a beneficio degli altri, e della divinità. Il fondamento della pratica sacrificale era, a suo Chris Morton and Ceri Louise Thomas 146
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giudizio, dottrina di base di molte religioni del mondo e consisteva nell'offrire se stessi a Dio. I cristiani evangelici parlano oggi di "dare il cuore a Gesù" oppure di "dare il cuore a Dio". Gli aztechi avevano preso il comandamento alla lettera, offrendo il loro cuore ancora palpitante al dio del sole. Capii che i riti sanguinari degli aztechi avevano forse un senso contorto ma logico. Era comunque orribile pensare che attuassero l'idea del sacrificio fino a queste estreme conseguenze, sulla base di un'interpretazione letterale di un concetto. Rimaneva comunque difficile capire perché l'immagine di un teschio comparisse sulla misteriosa Pietra del Calendario Azteco, né c'era qualche prova che i teschi di cristallo potessero avere a che fare con la pratica del sacrificio umano e con questo strano complesso di credenze sulla fine del mondo. José spiegò che per cogliere adeguatamente il significato sia dell'immagine del teschio sia del calendario noi avremmo dovuto approfondire la cultura dei predecessori degli aztechi, cioè dei toltechi, dei teotihuàcani e dei maya. Si riteneva che gli aztechi avessero ereditato buona parte del calendario, dei riti, delle credenze e delle raffigurazioni di teschi proprio da queste civiltà. Specialmente il calendario era stato ricostruito fino ai tempi degli antichi maya, i quali tenevano un computo del tempo quanto mai preciso. Ma, come avevamo già appreso, la loro civiltà si era misteriosamente dissolta alcuni secoli prima dell'avvento degli aztechi. Le rovine delle loro città giacevano a centinaia di chilometri verso sud ed era difficile raggiungerle da Città del Messico, per cui decidemmo di andare a visitare le rovine di Tula, la grandiosa città dei toltechi e dei teotihuàcani, dove gli aztechi ritenevano che avesse avuto inizio l'attuale Sole. Il giorno seguente ci recammo in auto alle rovine di Tula. Questa città, situata in mezzo a una corona di basse montagne, risale a più di 1000 anni fa. Rimane ben poco dell'architettura originaria; il monumento più grande ancora visibile è una piramide bassa con in cima dei pilastri ricoperti da intricate incisioni raffiguranti uomini o divinità. Questo monumento è detto "il Tempio della Stella del Mattino" oppure "il Tempio degli Atlanti". Ciascuno dei suoi pilastri è orientato con precisione con i corpi celesti, e in questo luogo si riteneva che i toltechi celebrassero un rito Chris Morton and Ceri Louise Thomas 147
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sacro ogni 52 anni. Secondo l'antico calendario, un intero ciclo di anni sacri e solari durava 52 anni. Era composto da quattro periodi di 13 anni, dopo di che i 13 mesi del calendario sacro di 260 giorni tornavano alla loro posizione di partenza relativa ai 365 giorni dell'anno solare. La fine di ogni periodo di 52 anni era dunque un momento molto delicato per i toltechi, e per i loro discendenti aztechi, perché rappresentava una delle occasioni in cui il "Sole" di quell'era aveva maggiori probabilità di finire. Di conseguenza si celebravano moltissimi sacrifici umani. Inoltre ogni 52 anni i sacerdoti aztechi aspettavano il tramonto e salivano, a quanto si dice, sul tempio in cima alla "Collina della Stella", che era forse proprio questa piramide di Tula. Lì, aspettavano o la fine del mondo o la cerimonia detta "inizio dei nuovi fuochi". Rimanevano in trepidante attesa fin quando non appariva nel cielo la costellazione delle Pleiadi, segno che il sole avrebbe continuato a brillare, per cui celebravano la nascita di un nuovo ciclo del tempo accendendo i "nuovi fuochi". Questi fuochi venivano allora portati come la fiamma olimpica in tutto l'impero e la fiamma originaria rimaneva accesa per i seguenti 52 anni. Dietro il Tempio degli Atlanti c'era un muro, noto come coatepantli, o muro del serpente, che a quanto pare correva tutto intorno alla piramide. Il muro era decorato con sculture in pietra che rappresentavano una serie di rettili o serpenti con la testa costituita da un teschio umano (vedi la foto a colori 23). Ogni serpente aveva le fauci aperte nell'atto di azzannare o divorare la coda di quello che gli stava davanti. L'edificio continuava a costituire un mistero per gli archeologi. Era dedicato agli "Atlanti", ma chi fossero questi ultimi rimaneva un mistero, come pure la ragione per la quale queste incisioni murali presentavano insieme immagini di Quetzalcoatl, l'originaria divinità del Mesoamerica, e la raffigurazione del teschio. Nella tradizione, Quetzalcoatl era noto come il serpente volante o il serpente dalle penne dell'arcobaleno, ma il termine sottointendeva qualche nesso tra questa divinità, un misterioso gruppo noto come "gli Atlanti" e la rappresentazione del teschio umano. Quale? Ancora assorti in questi interrogativi senza risposta, ci mettemmo in viaggio verso le rovine della grandiosa città di Teotihuacàn. Dagli aztechi era definita il "luogo dove è nato il sole" oppure il "luogo degli uomini che conoscono la via verso gli dei" oppure il "luogo dove il cielo incontra la Chris Morton and Ceri Louise Thomas 148
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terra". Eugène Boban l'aveva visitato più o meno nello stesso periodo in cui andava vendendo i suoi teschi di cristallo. Non so per quale ragione, continuavo ad avere la sensazione che questa località potesse racchiudere qualche indizio importante per la nostra ricerca sulle origini dei teschi. Secondo la leggenda azteca, in un tempo di grande oscurità, prima dell'attuale Sole, due uomini, Tecuciztecatl e Nanahatzin, erano riusciti a far splendere l'attuale Sole celebrando il tradizionale ed estremo sacrificio, buttandosi dall'alto delle grandi piramidi nella "sacra fiamma". Volarono in alto nel cielo dove divennero due divinità: il Sole e la Luna. I resti di questa grandiosa città si rivelarono un sito archeologico di indescrivibile fascino. Circondata da basse montagne, molto più ampia di Tula, Teotihuacàn era stata costruita in proporzioni di straordinaria maestosità. Le sue rovine adesso coprivano un'area di circa dodici chilometri quadrati, al cui centro c'era il più impressionante complesso di piramidi che avessi mai ammirato. Attualmente offre la vista del più numeroso insieme di piramidi di tutte le Americhe, tre delle quali sono disposte lungo una linea retta: la similitudine con le piramidi egiziane di Giza mi colpì immediatamente. Nel momento del suo massimo splendore Teotihuacàn contava circa 200.000 abitanti e la portata della sua influenza culturale e commerciale era incalcolabile. Tracce del suo stile artistico si riconoscevano persino in città maya quali Tikal, a un migliaio di chilometri di distanza. Come dei maya, così anche dei teotihuàcani in realtà non si sa nulla, né da dove venissero né quale fu la loro storia. Incerta anche la lingua che parlavano, e l'epoca della nascita della loro immensa città. Si ritiene che la costruzione delle piramidi sia iniziata più o meno intorno all'avvento di Cristo, ma molti sostengono che sono molto più antiche. L'unica notizia sicura è che la città fu misteriosamente abbandonata più di 1000 anni fa, probabilmente tra il 500 e il 750 d.C. Teotihuacàn era stata venerata dagli aztechi che ne avevano scoperto le rovine e che avevano chiamato le grandi piramidi "Piramide del Sole", "Piramide della Luna", "Piramide di Quetzalcoatl" e il "Viale dei Defunti". Ci inerpicammo per i quasi 45 metri della Piramide della Luna, fino a toccare la cima. Ora ci trovavamo nel punto dove una volta sorgeva un tempio: la vista era semplicemente spettacolare. Davanti a noi giaceva la città disposta in bell'ordine geometrico. A sud c'era il Viale dei Defunti, perfettamente rettilineo, largo 45 metri e visibile per un tratto di oltre Chris Morton and Ceri Louise Thomas 149
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quattro chilometri, con ai lati piattaforme di pietra e piccole piramidi. (vedi la foto a colori 16). Rimane misteriosa la funzione di questo grande viale. Qualcuno ha persino ipotizzato che potesse essere una specie di antica pista di rullaggio per apparecchi extraterrestri! Ma la spiegazione forse più plausibile è che fosse un canale colmo di acqua, una specie di sismografo preistorico. Un'attenta misurazione delle "onde stazionarie" che si formano nell'acqua immobile possono denunciare la forza e la sede di terremoti in atto in altri punti del pianeta, quindi è probabile che il viale venisse usato per prevedere i fenomeni sismici nella zona circostante.32 Altrettanto ignota era la funzione delle piramidi stesse, anche se non c'è alcun dubbio sul loro valore religioso e astronomico. A est dell'immenso Viale dei Defunti si profila la massa poderosa e torreggiante della Piramide del Sole, larga alla base più di 215 metri e alta più di 60, originariamente coronata sulla sommità da un tempio. Più in là, lungo il Viale dei Defunti, si erge la Piramide di Quetzalcoad. Sebbene questa non misurasse più di 30 metri in altezza, quanto ne rimane dà l'impressione di una costruzione rimasta a metà; è tuttora contornata su tutti i lati da fondamenta che si estendono per un'area ben più grande che non la vicina grandiosa Piramide del Sole. Una delle ragioni per cui le piramidi hanno sempre messo a disagio gli archeologi è che la loro dimensione, la loro ideazione e in particolare le loro posizioni relative, coincidono quasi esattamente con quelle delle tre piramidi di Giza. La base della Piramide del Sole è praticamente identica a una di esse.33 Inoltre la Piramide di Quetzalcoatl e quella del Sole sono allineate, così che se si traccia una linea tra i loro vertici, essa risulta perfettamente parallela al Viale dei Defunti, mentre la Piramide della Luna, più piccola e in fondo alla grande arteria, è leggermente spostata a sinistra. Anche la disposizione è quasi identica a quella delle piramidi di Giza.
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Figura 7: Ricostruzione dell'antica città di Teotihuacàn con la prospettiva del Viale dei Defunti Sebbene le piramidi di Teotihuacàn siano un po' più basse delle loro sorelle egiziane, viste dall'alto la differenza più notevole tra i due complessi è data dal fatto che, mentre le egiziane si trovano a 45° rispetto all'asse centrale, quelle di Teotihuacàn sono allineate parallelamente ai lati. Inoltre, qui abbiamo un Viale dei Defunti che corre parallelo rispetto all'asse centrale, mentre in Egitto non c'è traccia di una via così importante. Nonostante ciò, se si sovrapponesse una mappa delle piramidi egiziane su una mappa, in uguale scala, di quelle di Teotihuacàn, l'area di base e il vertice delle piramidi coinciderebbero quasi perfettamente. La Piramide di Cheope sarebbe l'equivalente della Piramide di Quetzalcoatl, quella di Chefren equivarrebbe alla Piramide del Sole e la Piramide di Micerino alla Piramide della Luna (vedi la figura 8). Nessuno sa con sicurezza quale sia il significato di questa disposizione Chris Morton and Ceri Louise Thomas 151
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presumibilmente sacra; studi recenti sulle piramidi di Giza hanno rivelato che coincide con la relativa grandezza e posizione delle tre stelle che costituiscono la Cintura di Orione e fanno supporre che gli egizi abbiano voluto in qualche modo riprodurre il cielo in Terra. È altrettanto probabile dunque che anche la disposizione delle tre piramidi di Teotihuacàn abbia un qualche collegamento con le stelle e forse proprio con la costellazione di Orione, che aveva un importante ruolo nella complessa elaborazione dell'antico calendario mesoamericano. Altra somiglianza con l'Egitto è la recente scoperta che la Piramide del Sole, esattamente come la Grande Piramide di Cheope, racchiude nelle sue proporzioni un segreto codice matematico. Il rapporto matematico tra l'altezza e il perimetro della base contiene la famosa costante matematica detta pi greco (a Teotihuacàn il rapporto matematico è pari a due volte pi greco; in Egitto quattro volte). Ciò fa immaginare che gli antichi teotihuacàni sapevano come calcolare la circonferenza di un cerchio o di una sfera come la Terra, moltiplicando il suo raggio o diametro per un fattore del pi greco. Se ne deduce che, almeno 1000 anni prima degli europei, i teotihuacàni non solo sapevano che la Terra era rotonda, ma potevano anche calcolarne con precisione le dimensioni per utilizzarle in precisi calcoli scientifici.34 È ormai comunemente accettato che tutta la disposizione di Teotihuacàn rivestiva un qualche profondo significato astrologico, dato che tutta la città era costruita sulla base di un allineamento incredibilmente preciso che la collegava intimamente ai moti dei pianeti e delle stelle. La Piramide del Sole per esempio era stata così chiamata dagli aztechi proprio perché era orientata in modo tale da funzionare quasi come un immenso orologio solare e astronomico. La facciata orientale della piramide è orientata in modo da ricevere i raggi del sole pieno solo negli equinozi di primavera e d'autunno, il 20 marzo e il 22 settembre.35 Come ha di recente fatto osservare Graham Hancock nel suo libro Fingerprints of the Gods, il passaggio del sole a piombo su di essa provoca la progressiva scomparsa di un'ombra perfettamente diritta che corre lungo il pendio più basso della facciata occidentale, così che l'ombra svanisce del tutto solo e precisamente a mezzogiorno. Il passaggio dall'ombra totale all'illuminazione totale, avviene sempre in 66,6 secondi esatti.36 In tal modo gli antichi potevano controllare l'arrivo del mezzogiorno agli equinozi senza sbagliare di un secondo. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 152
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Ma non si tratta solo di allineamenti astronomici. L'intera pianta della città era progettata in armonia con l'universo quale lo conoscevano i teotihuacàni, o persino, come un recente studio avrebbe ipotizzato, come un preciso modello in scala del nostro sistema solare.37 Se la Piramide di Quetzalcoatl venisse intesa come la rappresentazione della posizione del sole, allora molte delle altre strutture disseminate lungo il Viale dei Defunti e al di là di esso potrebbero praticamente indicare la distanza precisa delle orbite di ciascuno degli altri pianeti dal sole. La Piramide del Sole per esempio si trova alla stessa distanza di Saturno e la Piramide della Luna alla distanza di Urano. Ciò ci fa pensare che i teotihuacàni oltre ad avere sui pianeti molte nozioni che noi abbiamo scoperto solo di recente, erano anche in grado di calcolare con esattezza la loro distanza dal sole.
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Figura 8 Questo particolare studio era ancora oggetto di controversie, ma l'allineamento astronomico riscuoteva un quasi generale consenso e conteneva tra l'altro la raffigurazione di un teschio. Si trattava di un immenso teschio di pietra scolpita con uno strano effetto bidimensionale: era truce e impressionante, col naso simbolizzato da una fessura e la bocca grande, dritta, la lingua in fuori e dipinta di rosso. Questa grande scultura era circondata da un cerchio in cui erano stati scolpiti dei segni che potevano raffigurare i raggi del sole, anch'essi dipinti di rosso (vedi la foto a colori 17). Si era spesso detto che si trattava semplicemente della rappresentazione del dio Sole, ma come José ci aveva già fatto notare il dio Sole di solito veniva raffigurato con un volto umano. La cosa interessante era anche il punto in cui era stata rinvenuta l'immensa scultura: alla base della facciata occidentale della Piramide del Sole, al centro, lungo il bordo del Viale dei Defunti, rivolta verso un punto particolare dell'orizzonte occidentale. La città infatti era stata disposta lungo due assi: il Viale dei Defunti e l'asse est-ovest corrispondente alla direzione in cui erano orientati il teschio e la piramide.38 Da molto si riteneva che il teschio di pietra rappresentasse il tramonto del sole, e che la sua originaria posizione guardasse verso il punto dell'orizzonte in cui l'astro tramontava nel giorno in cui transitava sopra a piombo. Data la posizione di Teotihuacàn, il sole vi passa a sud, ma in alcuni mesi estivi vi passa a nord. I giorni in cui passa esattamente sopra a picco sono il 19 maggio e il 25 settembre. Si è a lungo creduto che la Piramide del Sole fosse stata orientata appositamente in questo modo affinché, oltre a segnare gli equinozi, segnasse anche quei giorni in cui il sole passava esattamente sopra a perpendicolo. Si era sostenuto che in quei due giorni la facciata occidentale della piramide, e di conseguenza anche l'immenso teschio di pietra, guardavano precisamente verso il punto in cui tramontava il sole.39 Questa teoria però è stata di recente vagliata da archeo-astronomi quali Anthony Aveni della Colgate University.40 La sua équipe ha osservato che nei giorni in cui il sole passa esattamente a perpendicolo, le Pleiadi fanno la loro prima apparizione in anticipo sull'alba nel corso dell'anno. Hanno anche scoperto che in questi due giorni chiave dell'anno la facciata occidentale della piramide, e di conseguenza l'immensa scultura di pietra, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 154
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si allineava esattamente non con il sole al tramonto ma con il punto preciso in cui le Pleiadi scompaiono all'orizzonte. Per gli antichi teotihuacàni evidentemente c'era un nesso tra l'immagine del teschio e la costellazione delle Pleiadi. Anthony Aveni e i suoi collaboratori hanno evidenziato che anche il sole tramonta in quel punto dell'orizzonte ma solo nella sera tra il 12 e il 13 agosto.41 Lo strano è che questo è esattamente l'anniversario dell'inizio dell'ultimo Grande Ciclo dell'antico calendario mesoamericano, che a quanto si sa iniziò il 13 agosto del 3114 a.C. Per gli antichi questo era "il giorno in cui il sole era nato", quindi forse questa immensa città risaliva a quell'epoca? Un'altra teoria suggeriva che il grande Viale dei Defunti fosse stato "costruito per guardare verso il tramonto delle Pleiadi nel momento in cui [Teotihuacàn] era stata costruita".42 Ceri e io ce ne stavamo lì ad ammirare lo scenario, quando all'improvviso fui colpito dall'idea che forse tutta la disposizione di Teotihuacàn era un immenso quadrante di orologio, con al centro la Piramide del Sole. Il Viale dei Defunti, simile a una lancetta, era orientato verso il. punto dove le Pleiadi sarebbero tramontate sull'orizzonte meridionale il 12 agosto del 3114 a.C, mentre il teschio sotto la Piramide del Sole, equivalente all'altra lancetta dell'orologio, puntava verso il luogo dell'orizzonte occidentale in cui le Pleiadi tramontano oggi. Era come se la lancetta in linea con le Pleiadi si fosse man mano spostata lungo il quadrante verso il punto dell'orizzonte in cui il teschio aveva sempre guardato. Era stata dunque scoperta un'altra connessione tra l'immagine del teschio e le Pleiadi (vedi la figura 9). Mi chiesi anche se, considerando le tre piramidi di Teotihuacàn la raffigurazione delle tre stelle della Cintura di Orione, il teschio di pietra sotto la Piramide del Sole non guardasse verso un punto del cielo notturno in cui le Pleiadi si trovavano nel passato rispetto alle tre stelle di Orione. Erano state fatte altre scoperte sul luogo in cui si era trovato il teschio di pietra. Quando ci spostammo alla base della Piramide del Sole trovammo altre sorprese. Oltrepassammo la Piramide di Quetzalcoatl sotto cui erano stati di recente rinvenuti degli scheletri; si pensava fossero vittime sacrificali ed erano tutti ornati d'una collana fatta con mandibole umane. Lungo il bordo del Viale dei Defunti e intorno al basamento della Piramide del Sole constatammo che gli archeologi avevano incominciato a riportare alla luce un livello sotterraneo della città rimasto fino a quel momento Chris Morton and Ceri Louise Thomas 155
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celato. Un labirinto di corridoi sotterranei e un intreccio di grotte correvano, a quanto pare, tutt'intorno alla Piramide del Sole. Ma la scoperta più sorprendente risaliva al 1971. Immediatamente sotto il punto in cui si trovava nel passato il teschio di pietra, gli archeologi avevano rinvenuto accidentalmente una porta che conduceva sotto la Piramide del Sole. Ci dissero che 1'"entrata era stata forse il punto iniziale dell'allineamento est-ovest che tanta importanza rivestiva nella planimetria della città".43 Un tunnel alto appena un paio di metri e lungo più di novanta conduce da questo ingresso alla base della scala occidentale della piramide direttamente in una misteriosa caverna naturale, nascosta quasi sotto il centro della piramide. Come leggemmo in seguito sul National Geographic, "la caverna potrebbe essere stata il sancta sanctorum - il punto preciso in cui i teotihuacàni ritenevano che fosse nato il mondo".44
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Figura 9: Il "quadrante" di Teotihuacàn Questa misteriosa grotta naturale era "di grandi dimensioni, ampliata artificialmente fino ad assumere la forma di un quadrifoglio".45 Ciascuno dei quattro grandi vani della grotta aveva una circonferenza di 18 metri. L'esperto in archeologia mesoamericana, il dottor Karl Taube della University of California di Riverside, commentava: "i teotihuàcani dovevano aver adoperato la grotta per qualche funzione speciale perché erano state rifatte le pareti e in alcuni punti anche la copertura". 46 C'era inoltre un complesso sistema di tubi in pietra, forse un apparato di drenaggio, nonostante non ci fosse in quel luogo alcun segno di acqua. Erano rimasti solo alcuni piccoli oggetti, per lo più in frantumi, di ardesia e ossidiana intagliata, come se la caverna fosse stata saccheggiata o comunque svuotata. Mi chiesi se questo complesso di strani tubi non avesse qualcosa a che fare con un'altra misteriosa scoperta fatta a Teotihuacàn. Uno degli strati superiori della Piramide del Sole era stato in origine costruito con un materiale alquanto insolito, la mica. Nonostante fosse poi stato asportato all'inizio del Ventesimo secolo, erano rimasti ancora intatti sotto il pavimento del vicino "Tempio di Mica" due immensi pezzi di questo minerale, di 27 metri quadrati ciascuno. La cosa stupefacente era che essi, posti lì più di 1000 anni fa, erano di una qualità che, a quanto si sa oggi, esiste solo a quasi 3000 chilometri di distanza. Gli antichi teotihuàcani avrebbero dovuto trasportarlo dal lontano Brasile.47 Gli archeologi si chiesero il perché della stranezza, considerato che tale materiale non sarebbe rimasto in vista e quindi non poteva avere alcun fine decorativo. La mica attualmente è usata soprattutto nell'industria elettronica. Mi vennero in mente subito le incredibili proprietà del cristallo di quarzo di cui erano fatti i teschi. A che cosa serviva insomma la misteriosa grotta sotto la piramide? Il noto archeologo messicano Eduardo Matos Moctezuma ha scritto: "La sua posizione e il suo misterioso contenuto ci fanno pensare che sia stata uno dei punti più sacri della città, anche se non possiamo dire che cosa vi avvenisse",48 mentre secondo il National Geographic la caverna potrebbe essere stata una specie di "oracolo o luogo di convegno di culti segreti".49 Naturalmente nessuno poteva avere certezze a questo proposito, ma era Chris Morton and Ceri Louise Thomas 157
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certo che l'ingresso alla camera segreta era sorvegliato dall'immagine di un teschio orientato verso le Pleiadi. Mentre ammiravamo il luogo ancora una volta prima di andarcene, pensavo a quanto ci aveva detto José nel museo. Quando Moctezuma aveva incominciato a intravedere il futuro dell'impero azteco, aveva consultato i sacerdoti, gli indovini che sapevano tutto ciò che era "racchiuso nelle montagne". Data l'importanza che Teotihuacàn aveva per gli aztechi, potevano essere forse queste le montagne fatte dall'uomo, cioè le piramidi? Era questo il punto preciso in cui operavano gli stregoni aztechi? Era questo il luogo segreto in cui i teschi di cristallo erano stati custoditi nel passato?
13 IL TESCHIO E LA CROCE Mentre ci trovavamo ancora a Città del Messico, José ci aveva riferito di aver sentito parlare dell'esistenza di un altro teschio di cristallo nelle vicinanze. Non sapeva con sicurezza se si trattasse o meno di un oggetto antico, ma avrebbe indagato e ci avrebbe riferito. La cosa ci sembrava quanto mai strana. Non era un teschio di cristallo vero e proprio, bensì, per quanto se ne poteva dedurre, di ossidiana, una roccia vulcanica nerissima di cui gli aztechi si servivano per fabbricare i coltelli sacrificali. Nella loro mitologia questo minerale nero era associato alle forze negative di divinità quali Tezcatlipoca, che aveva uno specchio di ossidiana al posto di un piede. La faccenda ci incuriosì moltissimo. Forse il teschio, di cristallo o di ossidiana che fosse, era un simbolo del male? Avevamo ancora la mente pregna delle immagini sanguinarie suggeriteci dalla cultura azteca, delle dee che portavano al collo monili riproducenti cuori strappati e mani amputate, dei teschi umani raccolti ed esposti alla pubblica vista su speciali rastrelliere, delle file e file di teschi scolpiti nella pietra. Era possibile che gli aztechi avessero scelto il teschio come immagine per terrorizzare e soggiogare la gente? Il teschio nero era - si diceva - a Cuernavaca, centro industriale un'ottantina di chilometri a sud di Città del Messico. La notizia ci fece drizzare le orecchie perché avevamo sentito citare questa città poco tempo Chris Morton and Ceri Louise Thomas 158
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prima a Washington dal proprietario d'un negozio di cristalli; ci aveva detto di aver sentito parlare di un teschio di cristallo di fattura moderna messo in vendita in una fiera internazionale di minerali a Tucson, in Arizona, al prezzo di 100.000 dollari! A quanto sembrava era stato eseguito in un laboratorio di intaglio di Cuernavaca. Dunque, i teschi venivano intagliati ancora ai nostri giorni non solo in Germania ma anche in Messico. Il proprietario del negozio ci aveva dato il numero di telefono del laboratorio. Il suo responsabile, tale Ea Orgo, in un primo momento si dimostrò restio a darci l'indirizzo preciso del posto in cui lavorava. Prendemmo appuntamento con lui "sotto la statua di Zapata", in una piazza trafficata alla periferia della città. A presentarsi fu però un suo uomo in motorino, che ci invitò a seguirlo. Destreggiandoci tra le viuzze, arrivammo infine al laboratorio, che consisteva praticamente in una baracca. Ea, un ometto dai capelli d'argento, ci spiegò che si interessava già da molto tempo ai talismani e agli oggetti esoterici ispirati alla magia e al simbolismo. Era rimasto affascinato dal teschio di Mitchell-Hedges fin dalla prima volta che l'aveva visto nelle mani di Frank Dorland. Ea ne aveva mostrato una fotografia al suo capo intagliatore, Crisoforo, il quale aveva dichiarato che non sarebbe mai stato capace di creare un oggetto simile. Infine però aveva accettato di cimentarsi nell'impresa. Servendosi di un teschio umano come modello, Cris ed Ea si misero all'opera senza sosta per farne uno come quello di Mitchell-Hedges. Ci volle moltissimo tempo, nonostante i moderni strumenti meccanici con punte di diamante da loro impiegati, e molti pezzi si ruppero nel corso della lavorazione. Alla fine, l'unico teschio che rimase intero richiese un anno di lavoro, con due intagliatori che si dedicavano a turno diciotto ore al giorno, sette giorni alla settimana. Il teschio, quello messo in vendita alla fiera dei minerali, era di gran lunga meno bello di quello di Mitchell-Hedges: era più piccolo e si capiva benissimo che era stato lavorato con strumenti meccanici. Inoltre la qualità del cristallo importato dal Brasile non era dello stesso livello. Anche Ea si rendeva conto che questo oggetto non possedeva la bellezza e la grazia del teschio di Mitchell-Hedges, in più era stato impossibile ricavare la mandibola dallo stesso blocco di minerale; ci avevano provato, ma la mandibola si era spezzata nel corso della lavorazione e ci erano voluti ben cinque tentativi con altri pezzi di cristallo prima di riuscire a ottenere una Chris Morton and Ceri Louise Thomas 159
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mandibola intera, che comunque si era scheggiata senza apparente motivo non appena vi avevano poggiato sopra il teschio, in occasione della presentazione al pubblico. Sembrava che gli mancasse qualcosa, una qualche indefinibile qualità. Nonostante ciò, Ea sosteneva che questo manufatto, benché moderno, possedesse qualità speciali. Tuttavia non ci poteva dire nulla a proposito del teschio di ossidiana nera, per cui tornammo a Città del Messico, chiedendoci come era stato intagliato. Chi aveva scolpito l'ossidiana, e perché? Esisteva qualche nesso con la lama sacrificale degli aztechi? I teschi di cristallo potevano forse essere messi in relazione col "lato oscuro"? Non dovevamo dimenticare che alla dottoressa Jane Walsh era stato detto che il teschio in suo possesso era maledetto, mentre Nick Nocerino ci aveva riferito che durante la seconda guerra mondiale la Gestapo andava in cerca di teschi di cristallo. I nazisti inoltre avevano assunto la svastica, originario simbolo hindu del sole, e lo avevano trasformato in simbolo del male. E se pure gli aztechi avessero conferito questa stessa connotazione al teschio? Se ne servivano forse per far capire qual era il destino che attendeva coloro che si opponevano al loro impero in espansione? José ci telefonò la mattina seguente: del teschio nero non era riuscito a raccogliere nessun'altra vera e propria notizia. Se ciò dipendeva dal fatto che non esisteva o dal fatto che apparteneva a un culto o a un'organizzazione segreta, noi non saremmo mai riusciti a saperlo, ci disse. Aggiunse che il potere della Chiesa cristiana nell'America Centrale era tale che coloro che ancora praticavano riti antichi stavano ben attenti a rimanere nell'ombra per non essere tacciati di stregoneria o magia nera. Tuttavia ci rassicurò: "È troppo semplice dire che gli aztechi fabbricavano i teschi di cristallo per terrorizzare il popolo e per prepararlo al sacrificio. Può anche darsi che un teschio intagliato nell'ossidiana rappresentasse le forze del male, ma per i messicani esiste sempre un certo dualismo. Dove c'è buio si può trovare luce. Voi guardate alla cultura azteca come a una cultura barbarica, ma non esiste alcuna prova che le cose stessero così. I moderni messicani si servono dell'immagine del teschio con intenzioni diverse da quelle che si potrebbe dedurre dal tzompantli. Nel Chris Morton and Ceri Louise Thomas 160
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pensiero dei nativi dell'America Centrale c'era sempre un dualismo tra vita e morte: erano concetti che coesistevano. La morte fa parte della vita". Questo atteggiamento completamente diverso dal nostro nei confronti della morte in Messico sussiste tuttora. Le celebrazioni del "giorno dei defunti" ne sono un esempio. Ogni anno, nella notte tra il 1° e il 2 novembre, la gente festeggia coloro che li ha preceduti nella morte. Tutti si travestono da scheletro o si mettono una maschera che simula un teschio e sfilano per le strade, in una specie di sarabanda e orgia sfrenata. Ma coloro che, soprattutto nelle campagne, mantengono in vita alcune delle cerimonie religiose del passato, allestiscono un altare, talvolta decorato con veri teschi umani, e su di esso depongono fiori e frutti. Ecco che cosa diceva José: "Ai loro occhi è un approccio profondamente religioso alla morte. Trattano se stessi come vorrebbero essere trattati dagli altri dopo la morte. Credono inoltre di poter entrare in contatto con gli spiriti degli antenati e dei parenti defunti, che in quel particolare giorno si ritiene tornino in questo mondo fisico, in quella che era stata la loro casa, a parlare con i vivi. Alcuni vanno al cimitero e si siedono sulle tombe degli antenati per poter più facilmente comunicare. Non c'è però niente di sinistro o spaventoso. Il giorno dei defunti è una celebrazione che coinvolge l'intera famiglia. Anche i bambini si divertono, non solo perché mangiano i cibi preferiti, ma anche perché possono gustare i teschi di zucchero caramellato dai colori molto vivaci; quelli più grossi, talvolta a grandezza naturale, recano i nomi dei parenti defunti più amati, mentre quelli piccoli recano i nomi degli stessi bambini, per far loro presente quale sarà anche il loro destino. I bambini li mangiano e imparano a prendere confidenza con la morte, a entrare in contatto con essa, a convincersi che anch'essi un giorno scompariranno. Imparano a non avere paura, e a considerarla solo un passaggio a un'altra dimensione, dove si possono incontrare gli antenati e godere persino di una vita migliore".
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Stavo per chiedere a José se le cerimonie del giorno dei defunti potevano avere avuto origine nell'uso che dei teschi di cristallo si faceva nell'antichità, quando lui riprese: "Vi ho trovato un altro teschio... e non è di ossidiana, ma di vero e proprio cristallo". "Dov'è?" chiesi io subito. "Proprio qui, a Città del Messico," rispose lui. "Secondo i proprietari esso risale a un'epoca anteriore all'arrivo di Colombo nelle Americhe." Chris e io cominciammo a indagare e scoprimmo che quel teschio di cristallo apparteneva già da tempo a una facoltosa famiglia messicana di nome Redo. Attualmente era nelle mani di Norma Redo, la figlia minore, con la quale fissammo un appuntamento. La Redo viveva in un'elegante palazzina in una zona molto esclusiva della città, e lì, in un ampio locale inondato di luce naturale, su una credenza c'era il teschio di cristallo, seminascosto da una grande coppa colma di frutta matura. Era di misura più piccola del naturale, con lineamenti alquanto scimmieschi. Poggiava su un basamento d'oro ed era sovrastato da una grande croce-reliquario in cristallo e oro finemente cesellato (vedi la foto a colori 14) e che conferiva al teschio un aspetto bizzarro. La composizione era priva di equilibrio e di grazia, l'effetto generale risultava stravagante e barocco. In quel momento entrò Norma: una donna elegante e piacente. "Ha visto il mio teschio?" chiese. "A mio parere è molto bello." Gli andò vicino. "Appartiene alla famiglia Redo sin dagli anni Quaranta dell'altro secolo. Non so se venne acquistato o se fu donato a un mio bisavolo all'epoca in cui il governo confiscò i beni della Chiesa." Riferii a Norma che la dottoressa Jane Walsh riteneva che la maggior parte dei teschi di cristallo presenti in Messico non erano veramente messicani, ma erano stati realizzati in Europa e poi portati lì, per essere venduti a turisti danarosi e a inesperti trafficanti di antichità. Sembrava però che questo teschio con la croce-reliquario fosse pervenuto alla famiglia Redo una trentina d'anni prima che Eugène Boban iniziasse la sua attività in Messico. E questo aumentava le probabilità che fosse un pezzo originale. "Non so di che epoca sia questo teschio, ma lo ritengo antico", affermò lei. "Conosco invece la data di fabbricazione della croce." Prese il teschio e ne tolse la croce svitandola. La guardai bene: nel mezzo aveva una piccola pietra blu e Norma mostrò la data incisa, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 162
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probabilmente l'anno di fabbricazione: 1571. Quindi la croce risaliva a poco dopo l'arrivo degli spagnoli in Messico, ma non forniva alcun dato sull'epoca di lavorazione del teschio. Raccontai a Norma degli esperimenti in programma, aggiungendo che essi avrebbero potuto dimostrare se il suo teschio era un autentico pezzo antico, prodotto cioè da un'antica civiltà, o se era un "falso". "Forse è stato intagliato dopo l'arrivo di Colombo, ma io lo ritengo molto precedente", affermò lei. "Il teschio era un importante simbolo degli aztechi, oltre che degli antichi maya." Chiesi a Norma cosa pensasse dell'ipotesi che il teschio fosse un simbolo delle forze del male ai tempi dell'impero azteco. A suo giudizio era abbastanza improbabile: "Il lavoro necessario per costruire un teschio non giustificava il fine di terrorizzare il popolo... di teschi naturali ne esistevano tanti e si potevano usare quelli. Questa è un'opera d'arte. Io credo che il suo scopo fosse religioso. E che molta parte della cultura azteca sia stata male interpretata dagli europei. Certamente aveva lati negativi, ma bisogna anche vedere che cosa è avvenuto dopo, che cosa ha sofferto la gente in seguito alla colonizzazione. "Quando arrivarono, gli spagnoli capirono che questo teschio era molto prezioso per la gente messicana. Quando lo videro i cristiani, ne approfittarono per affermare la superiorità della nuova religione. Volevano dimostrare che ciò che la gente aveva prima, le sue credenze, sarebbero stale trasformate con la conoscenza del Cristo... ecco la ragione per cui vi venne aggiunta la croce; la Chiesa cristiana non distrusse il teschio ma vi mise sopra una croce per dimostrare la superiorità della nuova religione". Considerai ancora per un momento il teschio e la croce che si innalzava come una testimonianza del trionfo dei cristiani, i quali erano arrivati e avevano "vinto" la religione degli indigeni. Mi venne in mente la cattedrale nella piazza principale di Città del Messico, costruita proprio sull'originario tempio azteco. Guardai il basamento d'oro su cui poggiava il teschio: un'isoletta preziosa con minute figurine incise. Norma mi indicò Chris Morton and Ceri Louise Thomas 163
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Giovanni Battista e san Cristoforo e una scena della crocifissione in miniatura sulla parte anteriore del pezzo. "È stata una vera fortuna che i primi spagnoli non abbiano inviato questo teschio in Europa subito dopo la conquista come un cimelio, in quanto sarebbe diventato un oggetto della religione cristiana, come è successo a moltissimi altri pezzi..." Era questa una delle ragioni per cui non era facile trovare teschi di cristallo in Messico? Forse erano stati tutti spediti in Europa? Ricordai le parole dello specialista mesoamericano, il dottor John Pohl. Secondo lui gli indigeni li avevano nascosti all'arrivo degli spagnoli per evitare che i conquistatori li rubassero o li distruggessero. Essi erano necessari per guarire la gente: "Oggi sappiamo che gli indiani usavano i cristalli come oggetti terapeutici. Al tempo della conquista morivano a milioni a causa delle malattie portate dagli europei. E quanto mai logico che gli sciamani volessero mettere in salvo questi teschi: si trattava di strumenti importantissimi, mezzi di cura di primaria importanza. Volevano che rimanessero a tutti i costi nelle loro mani". Norma credeva che anche il suo teschio avesse poteri terapeutici: "Ero un tipo molto normale e razionale, con una mente in tutto scientifica, ma da quando possiedo questo teschio ho incominciato a cambiare atteggiamento. Sento che in esso c'è qualcosa di magico. Quando lo tengo in mano mi sembra di essere protetta, mi sento più attiva e più forte. Quando gli sto vicino avverto una grande sensazione di benessere, non solo fisico ma anche mentale. Mi dà l'impressione che l'ossigeno fluisca intorno al mio corpo più facilmente e che mi faccia sentire più rilassata. La limpidezza del cristallo di quarzo induce una specie di limpidezza della mente. A parere di un mio amico, questo teschio un giorno o l'altro si ritroverà insieme con tutti gli altri al fine di trasmettere all'umanità alcune informazioni, conoscenze quanto mai importanti per sapere come comportarci Chris Morton and Ceri Louise Thomas 164
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in questa nostra vita". Le dissi che stavamo cercando di raccogliere il maggior numero possibile di teschi di cristallo per gli esperimenti scientifici. Anche se lo scopo non era quello di risolvere i misteri dell'universo, tali esami avrebbero quanto meno potuto dirci se quegli oggetti erano veramente antichi. Lei fu subito d'accordo a fare esaminare anche il suo, ma a una condizione. "Mi piacerebbe esserci anch'io", affermò. Le chiesi se era pronta a sentirsi dire che il suo teschio era un falso. "Non ha molta importanza", replicò lei. "Anche se è un'imitazione o un falso, per me è un simbolo importante, sacro. Era un simbolo importantissimo per la gente di questa terra ben prima che arrivassero gli europei." Tenendolo in mano per farlo attraversare dalla luce che entrava dalle porte-finestre, continuò: "I simboli sono potenti, più potenti delle parole. Ci mettono in contatto con livelli profondi della verità che non possono essere raggiunti con le parole. Si dice che portino più vicino all'esperienza mistica. Sono segno che possiamo accedere ai regni dello spirito. Ci possono mettere in relazione con una superiore coscienza del nostro fine, aiutarci a raggiungere una maggiore spiritualità. Non è solo il fatto che il cristallo sia modellato a forma di teschio a renderlo importante, capace di rammentarci la morte e lo spirito. Anche il cristallo ha la sua parte". Avevamo già sentito dire che per molti indigeni il cristallo è sacro, che è associato all'idea della luce, e non solo in Messico ma in tutto il mondo, e che molti indigeni pensano che esso provenga dal cielo. Gli esquimesi chiamano i cristalli "pietre di luce" e li considerano luce solida caduta dall'alto. Anche gli aborigeni australiani li considerano sacri, li chiamano "pietre naturali" e raccontano che il trono del loro grande re Baiame era fatto di cristallo, i cui pezzi, staccandosi cadevano sulla Terra. Norma ci riferì:
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"Secondo una leggenda greca gli dei guardando giù dal cielo videro i guai che affliggevano la Terra. Il fratello era nemico del fratello, e dovunque c'erano odi e guerre. Gli dei ne erano profondamente rattristati e addolorati. Incominciarono a piangere; le loro lacrime traboccarono dagli occhi ma siccome prima di toccare la Terra attraversavano l'atmosfera, si trasformavano in pezzi di cristallo di quarzo. Le lacrime degli dei venivano così trasformate dai venti freddi e crudeli dell'umanità. Il cristallo era dunque noto ai greci col termine di 'ghiaccio sacro'. Secondo la loro teoria, era sceso sulla Terra come un dono degli dei, un dono che avrebbe aiutato a curare le ferite e avrebbe fatto rappacificare gli uomini. Forse i teschi di cristallo sono in qualche modo collegati a questa credenza. Penso che questo teschio sia qui per uno scopo: io ne sono la custode ma esso è qui per recare beneficio anche agli altri, non solo a me. Sento quasi come se avesse qualcosa da dirmi, anche se non so che cosa. Ho passato molto tempo vicino a lui e desidero scoprire qual è il suo fine". Le chiesi se avesse qualche idea in proposito. "No, ma mi chiedo se per caso non sia come il cristallo della leggenda greca, e cioè che possa essere qui per portare gli dei tra noi, per aiutarci a tirar fuori tutto il bene e il buono che c'è nell'umanità, per aiutarci a realizzare la pace, a portare la pace tra la gente e farla avvicinare a Dio." Era ora di andare. Il mattino dopo ci saremmo diretti verso sud, alla volta della terra dei maya.
14 I MAYA E IL TESCHIO DI CRISTALLO Volevamo a tutti i costi investigare se esisteva qualche altra prova sull'origine maya, o di qualche civiltà anche più antica, dei teschi di cristallo, come credevano Anna Mitchell-Hedges e JoAnn Parks. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 166
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Mentre Ceri e io ce ne stavamo seduti in un piccolo caffè di Città del Messico col professor José Salomez Sanchez, gli chiedemmo se quella era anche la sua opinione. Ecco la sua risposta: "È una domanda difficile. Prima di tutto si sa ben poco degli antichi maya. Di loro sappiamo molto meno che non degli aztechi, perché erano scomparsi già da tempo al momento dell'arrivo degli spagnoli intorno al 1519. Per quanto li riguarda disponiamo di pochissime testimonianze sicure e affidabili, e ancora meno sui loro predecessori. Moltissimi dati sono contraddittori. Nonostante fosse un popolo dedito all'agricoltura e possedesse ben poco in termini di strumenti tecnici e tecnologie quali li intendiamo noi, per molti altri aspetti aveva prodotto una cultura incredibilmente sofisticata. Per quasi tutta la durata del regno conobbero solo i metalli teneri, pare che non avessero strumenti di metallo né la ruota, eppure sotto diversi altri punti di vista erano molto progrediti". Per noi moderni che diamo tanta importanza alla tecnologia è difficile concepire una civiltà così progredita e sofisticata eppur priva di tecnologia. Questo, probabilmente testimonia più la nostra cieca fede nel potere della tecnologia che non i reali livelli di sviluppo di popoli antichi quali i maya. In effetti è questa apparente assenza di tecnologia che ha portato molti archeologi a supporre che gli antichi maya non fossero in grado di realizzare oggetti quali i teschi di cristallo. Certo, per uomini dell'Età della Pietra, privi di utensili di metallo, doveva essere piuttosto difficile intagliare un teschio di cristallo, ciò però non vuol dire che non fosse proprio possibile. I maya d'altronde riuscirono a dare vita a una delle civiltà più progredite della storia dell'umanità. Un'altra ragione per cui, secondo José, vari archeologi ritengono che i teschi di cristallo non siano maya, sta nel fatto che essi hanno un aspetto più realistico di altri oggetti sicuramente maya, che sono invece molto stilizzati. La maggior parte degli esperti era scettica perché, a quanto si sapeva, non era mai stato rinvenuto un teschio di cristallo in uno scavo archeologico correttamente documentato. L'esperto Karl Taube ci aveva già fatto notare che ben pochi reperti di cristallo erano stati trovati nei siti archeologici maya e che i pezzi venuti Chris Morton and Ceri Louise Thomas 167
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alla luce consistono in piccoli oggetti per buona parte risalenti all'ultimo periodo di quella civiltà. Insomma, i maya allora non avevano teschi di cristallo o li avevano accuratamente nascosti agli occhi degli spagnoli? Oppure i teschi erano stati distrutti dai conquistatori europei? JoAnn Parks era sicura che il suo teschio risaliva almeno all'antica civiltà maya, e Anna Mitchell-Hedges era convinta che il suo rivestisse grande significato per i maya. Ma che prove esistevano di queste affermazioni? Decidemmo di andare a cercarle. Le vere origini dei maya, il loro destino, e la fonte di tanta sapienza rimanevano un mistero. Cominciammo a cercare di capire da dove potessero essere giunti i maya per scoprire qualche indizio sull'origine dei teschi. L'origine dei maya è un argomento assai controverso. La maggior parte degli studiosi attualmente ne ricollega gli inizi a una civiltà precedente, quella degli olmechi, che a partire dal 1200 a.C. circa occupavano una fascia lungo la costa del Golfo del Messico. Secondo molti archeologi, in breve gli olmechi manifestarono tutti i caratteri di una società molto complessa, nonostante, a quanto pare, nessuno possa darne spiegazione. I teschi di cristallo potrebbero aver avuto qualche parte nella loro improvvisa ascesa? Ben poco si sa degli olmechi. Sembra sicuro che anch'essi costruirono nuclei urbani molto ben organizzati e dotati delle prime piramidi, di cui purtroppo oggi non rimane più niente, perché erano costruite con mattoni di fango e sono quasi totalmente sprofondate nelle paludi. Tutto ciò che rimane sono alcune immense teste di pietra scolpite, alte fino a 3 metri e del peso di 20 tonnellate (vedi foto in bianco e nero 44). Queste immense teste erano ricavate da blocchi di basalto, roccia eruttiva molto dura e resistente. Si presentano come teste di guerrieri protette da un elmo e dall'aspetto assai suggestivo. Gli olmechi ci hanno lasciato anche piccole figurine di ceramica e maschere intagliate nella giada, come pure testine scolpite. Quindi nel secondo millennio prima di Cristo una popolazione mesoamericana era in grado di scolpire maschere e teste incredibilmente realistiche, talvolta utilizzando pietre estremamente dure, ma non è detto che abbia anche prodotto teschi di cristallo. Gli archeologi sono incuriositi dal fatto che queste opere non presentino i lineamenti propri dei nativi Chris Morton and Ceri Louise Thomas 168
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americani. Le teste gigantesche hanno caratteristiche africane, le figurine hanno un aspetto decisamente orientale. Altri manufatti raffigurano uomini con barba, elemento storicamente mai riscontrato in nessuna tribù di nativi americani per pure e semplici ragioni genetiche. Altre testimonianze consistono in figure umanoidi con teste molto allungate e grandi occhi a mandorla, da alcuni ritenuti di natura extraterrestre (vedi foto in bianco e nero 38). Nonostante lo scarsissimo numero di manufatti olmechi pervenuti, normalmente si ritiene che molte abitudini, pratiche e credenze maya risalgano proprio a essi. Oggi infatti si ritiene che agli olmechi siano da attribuire le più importanti scoperte realizzate in tutto il Mesoamerica, tra cui il complesso sistema numerico e geroglifico utilizzato nel calendario maya, eccezionalmente preciso. Ma queste antichissime civiltà da dove avevano ereditato le loro conoscenze? Da società esterne, forse d'oltreatlantico o d'oltrepacifico con cui erano entrati in contatto, o da altra fonte? O erano unicamente frutto del loro ingegno? Questo è uno dei punti maggiormente dibattuti nell'archeologia riguardante l'America Centrale. La teoria più accreditata è che la popolazione nativa americana sia di origine asiatica. In un'epoca imprecisata verso la fine dell'ultima glaciazione (circa 10.000 anni prima di Cristo), quando il livello dei mari era più basso, qualche nucleo di popolazione asiatica attraversò una lingua di terra o di ghiaccio che superava l'attuale Stretto di Bering e collegava la Russia orientale all'Alaska; poi, nel corso dei millenni, continuando ad avanzare, popolò tutto il continente americano. E la prova sarebbe la somiglianza nell'aspetto fisico delle popolazioni dei due continenti e nelle antiche realizzazioni artigianali e architettoniche. Ciò che ci incuriosiva però era che in Estremo Oriente esisteva una millenaria tradizione di divinazione tramite i cristalli... potrebbe essere un nesso con l'uso che dei teschi di cristallo facevano le popolazioni dell'America Centrale? Non è tuttavia dimostrato in alcun modo un collegamento tra l'America e l'Asia. È quanto mai incerto che i due continenti fossero congiunti, e le somiglianze somatiche e culturali potrebbero essere pure coincidenze. Il fatto che i più antichi resti umani delle Americhe siano stati rinvenuti nella parte settentrionale del continente, spesso citato come prova a favore, sarebbe solo la conseguenza di una migliore conservazione dei corpi a Chris Morton and Ceri Louise Thomas 169
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causa del clima più freddo. Di teorie sulle origini dei maya e degli olmechi ne sono state elaborate in quantità, alcune più improbabili di altre. Sono stati per esempio ipotizzati collegamenti con l'Africa, con l'antico Egitto, con le tribù scomparse di Israele, o addirittura con lo stesso Cristo, per non parlare dei fenici, dei babilonesi, dei mesopotamici, dei greci e persino degli antichi hindu. Un altra ipotesi suggeriva un rapporto col continente perduto di Atlantide, o persino con esseri venuti dallo spazio. In poche parole, praticamente qualsiasi teoria sembrava possibile! Chiesi a José qual era la sua opinione; mi rispose che molti visitatori dell'America Centrale erano stati colpiti dalla somiglianza tra le piramidi mesoamericane ora in rovina e quelle dell'antico Egitto: ma questa somiglianza era sufficiente a dimostrare una relazione tra le due civiltà? La presenza di misteriosi geroglifici e la frequenza ossessiva di divinità stellari sembrava per la verità ribadire le similitudini tra queste due grandiose civiltà. Potevano essere avvenuti scambi commerciali, oppure i maya discendevano dagli antichi egizi, nonostante la grande barriera frapposta dall'Oceano Atlantico? Indubbiamente gli africani e gli egiziani delle coste erano grandi navigatori, per cui avrebbero anche potuto essersi avventurati fino all'America Centrale. Molti sono stati quindi coloro che hanno ritenuto probabili contatti tra egizi e mesoamericani, e nel 1970 Thor Heyerdahl si mise in mare per dimostrare che persino con la tecnologia dei tempi più antichi la traversata dell'Atlantico era possibile. La sua impresa fu sensazionale: sotto la sua direzione fu costruita un'imbarcazione assolutamente primitiva, la Ra II, sulla scorta dei modelli dipinti su una tomba egiziana e usando l'unico materiale a disposizione in quell'epoca, le canne di papiro. In verità la precedente imbarcazione, la Ra I, era affondata, la seconda però riuscì a percorrere 6000 chilometri e in 57 giorni approdò alle Barbados, a poche centinaia di miglia dall'America Centrale, cioè dalla terra dei maya. Questa era una prova certa che i marinai egizi avrebbero potuto in effetti compiere una traversata del genere. Il dibattito si è recentemente riacceso grazie a nuovi elementi. Nel 1996 gli archeologi ufficiali dell'Università di Manchester, in Inghilterra, nel corso di studi sulle mummie di antiche tombe egiziane, fecero una scoperta che ha dell'incredibile. Nell'effettuare alcune analisi chimiche sui cadaveri, gli scienziati guidati dalla dottoressa Rosalie David rinvennero nei capelli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 170
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e nei tessuti di alcune mummie tracce di tabacco. Anche altre analisi su mummie egiziane compiute dalla dottoressa S. Balabanova dell'Istituto di Antropologia e Genetica Umana di Monaco, misero in evidenza tracce di tabacco e, cosa ancora più strabiliante, di cocaina... Due piante che si trovavano esclusivamente nel continente americano e che si era sempre ritenuto non avessero oltrepassato l'Atlantico prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Sarà ben difficile pervenire a una dimostrazione più convincente del collegamento tra l'America e l'antico Egitto. Scoprimmo però che molti archeologi sono alquanto scettici al proposito, sulla base del fatto che l'ultima delle grandi piramidi egiziane di Giza è stata eretta presumibilmente intorno al 2500 a.C, con ogni probabilità almeno 100 anni prima dell'apparizione degli olmechi, per non parlare dei maya. Gli studiosi fanno notare anche che, mentre le piramidi egiziane hanno un vertice appuntito ed erano tutte ideate come monumenti funebri, quelle mesoamericane hanno sulla sommità una spianata su cui sorge un tempio, e ben raramente, a quanto si sa, sono state utilizzate come monumenti funebri. In tutti i casi fino a quel momento non sembrava che esistesse alcuna prova dell'uso di un qualsiasi genere di teschio di cristallo presso gli egizi. Qual è la conclusione? Nel corso degli anni un gran numero di archeologi, antropologi e personaggi d'ogni genere sono venuti alla ribalta proponendo teorie su chi fossero i maya e da dove venissero. Il che aumentava il numero delle ipotesi sulle origini dei teschi di cristallo, senza contare che il nostro tentativo di risolvere il mistero era ostacolato dal fatto che gran parte della cultura mesoamericana era stata distrutta dagli spagnoli. Come ci assicurò José tuttavia, mentre ben pochi sono gli oggetti risparmiati dai colonizzatori spagnoli, rimangono però i resti di molte delle grandi città maya: forse a questi potevamo strappare qualche indizio. Le grandiose città cerimoniali dei maya rimasero nascoste nella foresta per centinaia di anni anche dopo l'arrivo degli europei. Quando gli spagnoli giunsero nell'America Centrale, infatti, ben presto abbandonarono l'intenzione di conquistare la penisola dello Yucatàn, per puntare invece più a nord verso climi più temperati, attratti da storie di grandi tesori d'oro custoditi nelle città azteche ancora fiorenti nel Messico centrale. Molti dei grandi complessi architettonici maya sfuggirono quindi alla distruzione. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 171
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Solo nel Diciottesimo secolo, con la scoperta di Palenque, forse la più bella delle città maya, il mondo occidentale incominciò a sentir parlare della civiltà di quell'antico popolo. A quanto pare Cortés era passato a non più d'un centinaio di chilometri da Palenque, la città però venne scoperta solo del 1773, da un frate, tale Ordónez, parroco nella vicina Ciudad Real del Chiapas. Come MitchellHedges cent'anni dopo, Ordónez aveva sentito parlare d'una splendida città sepolta non si sapeva dove nel cuore della foresta. Si fece trasportare dai suoi poveri parrocchiani per un centinaio di chilometri attraverso l'intricato sottobosco e infine la trovò, semidiroccata e sepolta ai piedi di splendide colline coperte da fitta vegetazione. Lui battezzò queste placide rovine "Grande Città dei Serpenti", a causa di un simbolo che sembrava aver rivestito notevole importanza per gli originari abitanti del luogo.1 Si iniziò subito a elaborare congetture su che cosa avesse ispirato la costruzione di questa immensa metropoli dagli stupefacenti edifici: piramidi, templi, palazzi, torri. Oggi come oggi la maggior parte degli archeologi sono del parere che Palenque venne costruita dai maya della zona tra il 600 e l'800 d.C, ma Ordónez aveva le sue teorie, ispirate da un libro scritto dagli stessi maya quiché, un'importante branca dei maya. Questo libro per la verità era stato bruciato dal vescovo del Chiapas, Nunez de la Vega, nel 1691, Ordónez però era riuscito ad averne copia di una parte redatta dallo stesso vescovo prima di dare alle fiamme l'originale. Secondo Ordónez il libro dei maya diceva che Palenque era stata costruita da un popolo giunto dall'Atlantico. Erano condotti da un uomo con una lunga veste, Pacai Votan, ritenuto l'autore del testo, che aveva come simbolo il serpente. Si tratta in realtà di un simbolo molto diffuso in tutta l'America Centrale, in particolare tra i maya dello Yucatàn. Era spesso segno distintivo di Kukulcan, una delle divinità maya straordinariamente simile al grande dio azteco Quetzalcoatl, il cui nome significa "serpente piumato con i colori dell'arcobaleno". Come avviene anche per Quetzalcoatl, non si capisce se quel personaggio fosse un dio, un uomo, o un'intera genealogia di condottieri, ma viene di solito ritenuto, nella mitologia dei nativi, il fondatore della civiltà mesoamericana. Votan e i suoi uomini erano venuti, a quanto pare, da un territorio detto Valum Chivim. Erano pacifici e i locali ne accettarono la supremazia, dando loro in moglie le proprie figlie. Il libro diceva anche che Votan Chris Morton and Ceri Louise Thomas 172
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aveva fatto quattro viaggi fino alla sua terra d'origine attraverso l'Atlantico. Ordónez era dell'opinione che Pacai Votan fosse un marinaio fenicio e che Valum Chivim non fosse altro che la città fenicia di Tripoli, ora in Libano, a poca distanza dall'Egitto. La sua congettura si basava su una leggenda secondo la quale Votan aveva visitato un'imponente città, dove stavano costruendo un tempio progettato per arrivare fino al cielo, ma che avrebbe invece provocato la fine della comprensione tra gli uomini. Il vescovo Nunez riteneva che la città a cui si faceva riferimento fosse Babilonia e che il tempio in questione fosse la biblica Torre di Babele, il cui crollo era stato causato da una grande confusione di linguaggi. Se ciò corrispondesse a verità, è interessante considerare che il tempio era probabilmente una delle grandi ziggurat della Mesopotamia, specie di piramidi a gradoni con un tempio sulla sommità, in tutto simili alle grandi piramidi-tempio di Palenque.2 C'è un altro aspetto della storia, però, che presenta un particolare interesse per noi. Infatti secondo Ordónez, l'antico libro maya quiché diceva anche che nel corso del loro primo viaggio per mare fino a Palenque, Votan e i suoi uomini si fermarono alla "Dimora dei Tredici". Gli storici Gilbert e Cotterell pensarono "trattarsi forse delle Canarie e di un'altra grande isola, presumibilmente Cuba o Hispaniola".3 Ma non potrebbe invece essere questo un velato riferimento ai tredici teschi di cristallo della leggenda orale, e la loro "dimora" non potrebbe trovarsi in un qualsiasi punto tra il Vecchio Mondo e Palenque nel Messico meridionale, forse proprio a Lubaantun? Altrettanto misterioso è il fatto che, sempre secondo l'antico testo, Votan aveva nascosto un tesoro in un edificio "scuro, sotterraneo". Ci chiedemmo se fosse un teschio di cristallo. Si diceva che lo stesso vescovo lo avesse cercato in lungo e in largo per distruggerlo, ma anche se scoprì in effetti perle di pietra, caraffe di terracotta e altri manoscritti, oggetti che diede alle fiamme, il tesoro a quanto pare non riuscì a trovarlo. Poteva darsi che il vescovo avesse cercato invano perché il teschio di cristallo era già stato rimosso e nascosto a Lubaantun o in qualche altro luogo? O era ancora sepolto e doveva essere riportato alla luce, a Palenque o nelle vicinanze? Avremmo dato qualsiasi cosa per saperlo. Ci accomiatammo da José e ci dirigemmo verso l'aeroporto per prendere un aereo verso sud: volevamo vedere le rovine dell'antica civiltà maya con i nostri occhi. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 173
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Durante il volo verso Villahermosa, con destinazione Palenque, mi documentai ulteriormente con qualche altra lettura. A quanto pareva, Ordóhez aveva comandato a un capitano di artiglieria, Don Antonio del Rio, di effettuare un'ispezione ufficiale delle rovine. Nel corso del disboscamento e degli scavi da lui condotti, Don Antonio si era convinto che le Americhe erano state visitate non solo dai fenici ma anche dagli egizi, dai greci, dai romani e persino dagli antichi britanni. La sua relazione venne respinta dalla Chiesa, ma venne poi ripresa da un italiano, il dottor Paul Cabrera, il quale giunse alla conclusione che Palenque doveva essere il risultato di una visita dei cartaginesi, che vi erano giunti dal Mediterraneo precedentemente alla prima guerra punica contro Roma nel 264 a.C. La prima relazione pubblicata sosteneva quindi che i cartaginesi si erano fusi con i nativi, procreando quelli che chiamiamo olmechi, i cui discendenti in seguito fondarono Palenque.4 Solo nel 1845 trovavano per la prima volta espressione nell'opera d'un francese, l'abate Brasseur de Bourbourg, le idee che vennero poi riprese da Frederick Mitchell-Hedges. L'abate per prima cosa si era premurato di imparare il nahuatl, una delle numerose lingue delle popolazioni messicane, nonché il cakchiquel e il quiché, due delle lingue dei discendenti maya tuttora presenti nella zona. Queste conoscenze gli permisero di capire i pochi manoscritti antichi sfuggiti alle fiamme dei primi colonizzatori e che giacevano, ignorati da tutti, in monasteri e conventi. Uno di questi manoscritti, da lui trovato a Madrid e quindi poi catalogato come Codice di Madrid, rimane tuttora il più grande manoscritto maya esistente al mondo. In questo libro di geroglifici de Bourbourg trovò conferma di alcuni miti che sosteneva di aver raccolto dalla voce dei maya stessi. De Bourbourg formulò la teoria rivoluzionaria secondo cui una grande isola-continente, l'Atlantide, era esistita in un imprecisato punto dell'Oceano Atlantico, tra le sponde dell'America Centrale e quelle dell'Europa e dell'Africa (vedi la figura 10). Era sua convinzione che quella, e non il Medio Oriente come è ancor oggi ritenuto, fosse la culla della civiltà. Secondo l'abate, i maya erano i discendenti dei sopravvissuti del continente distrutto da uno o diversi cataclismi; sarebbero stati quei sopravvissuti a portare la civiltà sia nell'America Centrale sia nell'antico Egitto. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 174
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A questo punto ci chiedemmo se la "Dimora dei Tredici" non fosse per caso il continente scomparso. I teschi di cristallo potevano essere venuti dall'antica Atlantide? La cosa appariva assolutamente incredibile. Per la verità secondo la maggior parte degli archeologi l'ipotesi Atlantide è pura fantasia. Come dovevamo scoprire in seguito, tuttavia, l'idea che questa grande civiltà insulare sia effettivamente esistita non era del tutto priva di fondamento. Comunque la domanda che ci stava a cuore era se gli antichi maya possedessero o no dei teschi di cristallo. Non potevamo nemmeno lontanamente immaginare la bellezza di Palenque. Situata in mezzo a basse colline fitte di vegetazione, si rivelò un sito molto piccolo, con un palazzo, varie piramidi-templi e diversi altri edifici. Quando arrivammo, i palazzi di bianca pietra calcarea e le torreggianti piramidi erano immersi nella nebbia mattutina, mentre il verde fogliame della foresta, con le chiome degli alberi che si intrecciavano fittamente, costituiva un meraviglioso fondale alla equilibrata disposizione degli edifici sottostanti. Tucani e colibrì variopinti sfrecciavano nel sottobosco. L'impressione generale era di suprema armonia. Il palazzo, con le pareti ancora coperte di stucchi, ci mostrava un re seduto su un trono a forma di giaguaro e con in testa una corona di piume del famoso uccello quetzal. In alcuni punti era ancora visibile il colore della parete. C'erano corridoi e cortili, mentre dal palazzo si innalzava un'alta torre-osservatorio stranamente squadrata, da cui gli antichi osservavano le stelle.
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Figura 10: Carta geografica fantastica del Diciassettesimo secolo con Atlantide (il nord è basso) Nello splendente sole del mattino salimmo i gradini della piramide più alta, detta "Tempio delle Iscrizioni" per le eleganti sculture in pietra e gli affreschi multicolori che una volta ornavano le pareti del piccolo tempio sommitale. Proprio qui era stata fatta una scoperta rivelatasi uno dei maggiori ritrovamenti dell'archeologia del Nuovo Mondo. Nel 1949 l'archeologo messicano Alberto Ruz se ne stava su questo piccolo tempio, quando notò su una lastra di pietra del pavimento due fori richiusi con dei tappi. Una volta rimossi i tappi, grazie ai fori fu possibile sollevare la lastra. Sotto si vedeva una stretta scala che conduceva in basso, all'interno della piramide. Ci calammo nell'umido, freddo e oscuro cunicolo (vedi foto a colori 19). Il vano della scala era stato a suo tempo riempito di macerie e pietrisco, che Alberto Ruz e la sua squadra avevano impiegato tre anni ad asportare. Tra i detriti erano stati trovati oggetti, presumibilmente offerte, di giada, madreperla e ceramica. A metà altezza la scaletta mutava direzione, continuando a scendere. Nella seconda rampa erano sistemati gli scheletri di sei giovani e poi, alla fine di un breve corridoio, a un livello più basso della base della piramide, si ergeva una lastra verticale di pietra massiccia, che sembrava una porta. Nel momento in cui fu rimossa la lastra, la squadra di Ruz si trovò di fronte al ritrovamento più emozionante. Eravamo discesi per centinaia di scalini e ci trovavamo sotto il tempio, nel cuore della piramide, là dove Ruz scoprì un locale lungo 9 metri e alto poco meno di 7. Come potevamo vedere, le pareti di questo ambiente erano colorate di rosso scuro e decorate con figure in stucco a rilievo: uomini con lunghe vesti, che ora si ritiene raffigurino i Nove Signori della Notte della mitologia maya. La camera era una tomba reale, mai profanata. Al centro troneggiava un immenso sarcofago di pietra massiccia in cui riposavano i resti di un re maya, che oggi si ritiene fosse Pacai Signore del Sole, un re di Palenque particolarmente venerato. Decifrando i geroglifici superstiti si venne a sapere che era salito al trono a 12 anni ed era morto nel 683 d.C, all'età di 80 anni. Sembra che gli scheletri rinvenuti fuori della camera funeraria fossero quelli di servitori del re, sacrificati per accompagnare il loro signore nella Chris Morton and Ceri Louise Thomas 176
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morte, pratica seguita anche in Egitto quando moriva un faraone. Come nelle camere funerarie delle piramidi egizie, era stato creato nel corpo della piramide uno sfiatatoio noto come "psicodotto"; esso saliva dal locale funerario lungo le scale fino a raggiungere il pavimento del tempio soprastante. Si ritiene che, sempre come nelle costruzioni egizie, fosse stato costruito per consentire allo spirito del re defunto di trovare la strada verso il cielo, anche se, secondo la cosmologia maya, ciò era possibile solo dopo aver affrontato e sconfitto i Signori dell'Oltretomba.
Figura 11: Spaccato del Tempio delle Iscrizioni a Palenque, in cui si vede l'ubicazione della tomba di Pacai, con la sua lastra di copertura All'interno della tomba furono rinvenuti altri oggetti, forse offerte: due figurine in giada e due teste di stucco splendidamente modellate ed eccezionalmente realistiche. Lo scheletro del re era ornato con rocchetti di giada e madreperla per le orecchie, con collane di perle e di giada e anelli della stessa pietra, mentre due grossi pezzi di giada erano stati chiusi all'interno delle mani e un altro in bocca. Questa era un'usanza diffusa Chris Morton and Ceri Louise Thomas 177
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anche nell'antica Cina, dove, come nel Mesoamerica, la giada veniva associata alla vita eterna. Il re, e questa era la cosa più straordinaria, portava una maschera funebre di squisita fattura: il suo ritratto, con un naso molto accentuato e la fronte sfuggente, era realizzato con la giada a simulare la pelle, mentre gli occhi erano resi con madreperla bianca e pupille di ossidiana nerissima. Questa era dunque un'ulteriore dimostrazione che gli antichi maya, come gli olmechi, erano in grado di creare raffigurazioni della testa umana molto complesse e talvolta nel materiale più duro. Le teste di stucco, ritrovate in gran numero a Palenque, sono stupefacenti per l'accuratezza anatomica, né più né meno che il teschio di cristallo di Mitchell-Hedges (vedi foto in bianco a nero 43). Dedurre da ciò che i maya abbiano in effetti fabbricato anche teschi di cristallo non è prudente, in quanto lo stucco è molto morbido e può essere modellato facilmente con le mani. La maschera di giada doveva essere stata scolpita, ma era molto stilizzata e non del tutto esatta dal punto di vista anatomico. Quel che più conta, inoltre, è che quasi tutti i manufatti trovati a Palenque, come nella maggior parte dei siti maya, erano comunque intagliati nella giada e non nel cristallo. Secondo gli archeologi quest'ultimo era un minerale di grandissimo pregio per i maya. Per quanto ci riguardava dunque, nonostante gli oggetti trovati da Alberto Ruz nella tomba di Pacai fossero molto belli e per molti versi simili al teschio di cristallo che si diceva rinvenuto a Lubaantun, noi non avevamo fatto nemmeno un passo verso la soluzione del mistero. La cosa che aveva attirato maggiormente l'interesse degli archeologi era la lastra fittamente incisa che fungeva da coperchio al sarcofago di Pacai: proprio in queste incisioni, secondo molti, si trovano i più importanti indizi sulle vere origini degli antichi maya. Gettammo uno sguardo attraverso le inferriate che proteggono oggi la tomba. La splendida copertura del sarcofago di Palenque è immensa: una lastra di pietra calcarea massiccia, color rosa chiaro, del peso di 5 tonnellate e di circa 2 metri per 3 e mezzo. L'opinione oggi più accreditata è che il re Pacai progettò la lastra e la tomba negli ultimi anni del suo regno, iniziandone la costruzione intorno al 675 d.C. Senza alcun dubbio il sarcofago è stato costruito prima, e solo in seguito vi venne eretta intorno la camera mortuaria; infine furono realizzati l'edificio a piramide e il tempio sommitale. La copertura del sarcofago infatti è talmente grande che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 178
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non passerebbe attraverso la minuscola porta della camera funeraria; oggi sarebbe impossibile spostarla e portarla su per la stretta scaletta senza abbattere la piramide! Questa è una caratteristica comune anche alle tombe delle piramidi dell'antico Egitto. Il coperchio del sarcofago reca incisioni di incredibile complessità: vi vediamo la figura di un maya accovacciato in posizione quasi fetale e circondato da una quantità di elementi fantastici e figure, contornato da una banda di intricati ghirigori: da tutto il complesso spira un intenso simbolismo (vedi la figura 12). Il tracciato è di grande leggerezza e dà l'impressione che la figura centrale sia sospesa nell'aria, circondata da una tessitura di curve e volute di valore simbolico. Fin dal momento in cui venne scoperta, la lastra suscitò vivaci e spesso accanite polemiche: tanto per cominciare, chi rappresentava quella figura, e che cosa stava facendo, e che significato nascondevano tutti gli altri simboli? La scoperta di Alberto Ruz aveva dunque aperto la strada a nuove teorie sulle origini dei maya.
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Figura 12: Particolare della copertura del sarcofago di Pacai a Palenque La più controversa teoria venne avanzata dallo scrittore svizzero Erich von Dàniken nel suo famoso libro Chariots of the Gods?5 Von Dàniken raccolse elementi in tutto il mondo per sostenere l'ipotesi secondo la quale i popoli primitivi erano stati visitati in epoche remote da esseri intelligenti venuti da altri pianeti che avevano così dato inizio alla civiltà. Egli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 180
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supponeva che, tenendo conto della presenza di miliardi di stelle nell'universo, con ogni probabilità esistono in qualche luogo creature simili agli uomini, ma in un più progredito stadio di evoluzione. Tali esseri potrebbero essere stati considerati divinità dalle popolazioni primitive. Von Dàniken sosteneva che la lastra del sarcofago di Pacai conferma la sua supposizione: la figura rannicchiata al centro poteva essere solo un astronauta intento a guidare una nave spaziale al momento del decollo. "Anche un bambino oggi riconoscerebbe questo come un razzo. Sulla parte anteriore ha un corpo appuntito, poi si trasforma in un groviglio di complicati e minuti particolari simili a prese d'aria, quindi si allarga e termina in una coda da cui escono delle fiamme. L'essere accovacciato è intento a manovrare un certo numero di comandi non definibili mentre col tallone del piede sinistro sembra premere una specie di pedale. E vestito adeguatamente: pantaloncini corti con ampia cintura, un gilè con un colletto allacciato sul retro, fasce alle gambe e alle braccia... un copricapo molto elaborato... con fori e tubi e completato in alto da qualcosa che potrebbe essere un'antenna. Il nostro viaggiatore spaziale - perché infatti di ciò si tratta - non solo è piegato in avanti in atteggiamento di massima tensione, ma sta fissando attentamente una specie di quadrante. Il sedile anteriore dell'astronauta è separato tramite montanti dalla parte posteriore del veicolo, in cui sono sistemati in bell'ordine scatole, ruote, punte e spirali... Avrebbe potuto la fantasia dei primitivi creare una cosa così incredibilmente simile a un moderno astronauta nel suo razzo? Gli strani segni in basso nel disegno [del coperchio] non possono essere interpretati se non come fiamme e gas che escono da un apparecchio a reazione. "6 C'è chi ha immaginato che l'improvvisa scomparsa dei maya sia da attribuire alla loro partenza dalla Terra sulle navi di questi visitatori alieni e che lo scheletro della tomba di Pacai è praticamente quanto rimane di un extraterrestre che non riuscì a tornare da dove era venuto! Per quanto tutto ciò possa sembrare impossibile, le idee di Dàniken fecero presa sulla gente e il suo libro fu un bestseller internazionale. Dobbiamo comunque ammettere che lo scheletro trovato nella tomba era molto più alto di quello Chris Morton and Ceri Louise Thomas 181
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di altri maya. Questi uomini erano in certo senso ossessionati dall'idea degli "dei del cielo" ed erano altresì osservatori attentissimi delle stelle. Molte delle immagini visibili nella cornice della lastra di Pacai vengono ora interpretate come rappresentazioni del sole, della luna, dei pianeti e di alcune costellazioni, e d'altra parte molti edifici maya sono allineati con i pianeti e le stelle. Nessuno di questi elementi costituisce una prova sicura dell'audace teoria della discesa degli alieni avanzata da von Dàniken, o dell'ipotesi che questi viaggiatori spaziali possano aver istruito gli antichi maya mediante teschi di cristallo. Era tuttavia interessante osservare che non sembrava esserci niente che contraddicesse l'antica leggenda dei teschi di cristallo o quanto Joshua Shapiro ci aveva detto delle loro vere origini. Molti archeologi oppongono resistenza non solo a qualsiasi teoria che implichi visite di extraterrestri, ma anche alla supposizione che la cultura maya possa essere stata ispirata da elementi esterni di carattere terrestre. Credono, e forse a ragione, che questo popolo fosse perfettamente in grado di dare luogo a una civiltà molto avanzata solo con le proprie risorse. La famosa esperta Linda Schele sostiene che qualsiasi teoria su influenze esterne svii l'attenzione dai reali conseguimenti dei maya e tolga a loro e ai loro discendenti i meriti cui hanno diritto. Reagendo contro l'opinione, ormai secolare, che i maya non erano abbastanza intelligenti per dare luogo a una civiltà così progredita con le proprie forze, la studiosa giudica queste prese di posizione razziste e tali da perpetuare l'imperialismo razziale e il mito della superiorità intellettuale dell'Occidente. Le teorie di von Dàniken tuttavia hanno avuto il merito di evidenziare quanto poco in realtà sappiamo di un popolo antico come i maya, e della sua evoluzione. Qualsiasi siano le vere origini degli antichi maya, la dottoressa Linda Schele dà del grande coperchio di Palenque un'interpretazione certamente più plausibile che si basa sugli ultimi progressi nella decodificazione dei geroglifici criptici dei maya. Queste scoperte hanno portato alla certezza che questo popolo credeva in mondi o universi paralleli: l'oltretomba, o regno dei defunti, il mondo superiore, o cielo, il luogo degli dei celesti e degli antenati, e il mondo di mezzo, cioè il mondo fisico in cui viviamo. Gli antichi simbolizzavano questi diversi mondi e i collegamenti tra loro con un albero, di solito quello della ceiba, che rappresentava il sacro Chris Morton and Ceri Louise Thomas 182
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"Albero della Vita", le cui radici affondavano nell'oltretomba e i cui rami invece toccavano il cielo.7 Secondo Linda Schele, la grande lastra di copertura di Pacai ci mostra proprio il re Pacai al momento del trapasso, e ci rivela quale fosse l'atteggiamento dei maya nei confronti della morte e quale la loro fede negli altri mondi o nelle altre dimensioni. In alto a destra del coperchio del sarcofago c'è un "pezzo di cielo" a simbolizzare il tempo diurno. Nell'angolo opposto un segno rappresenta il buio e la notte. Nella parte centrale del bassorilievo si estende l'Albero della Vita, simbolizzato da una croce sovrastata dall'uccello celeste, a raffigurare regni superiori. Due serpenti dal muso squadrato formano i rami, strisciando fuori da coppe sacrificali; i serpenti sono fronteggiati da due scheletri, sempre di serpente, che emergono dall'oltretomba, le fauci spalancate e in attesa del re al momento della sua discesa nell'oltretomba dove incontrerà la morte. La Schele ritiene che questo disegno rappresenti il sole al tramonto, quando cala dietro l'orizzonte, quindi nell'oltretomba, portando con sé il sovrano defunto. A suo parere, infatti, i maya credevano che, come il sole calava sotto l'orizzonte, così il re morto avrebbe viaggiato al di sotto del nostro orizzonte terrestre fino all'oltretomba, dove, come il sole, avrebbe continuato a vivere dopo la morte. Il re dunque viene raffigurato in posizione fetale perché, pur morendo rispetto al mondo di mezzo, sta per rinascere nell'oltretomba. La storia non si chiude qua. Quel che avviene al sovrano dopo la sua discesa nell'oltretomba è rappresentato dall'architettura della tomba stessa. Il Tempio delle Iscrizioni fu costruito in modo tale che l'asse est-ovest fosse allineato con un altro edificio, il Tempio della Croce. Se si tira una linea tra le due costruzioni, prolungandola al di là del sito, essa è allineata con un particolare punto dell'orizzonte: il punto toccato dal sole in una delle posizioni più significative dell'anno solare, cioè quando è nella sua posizione più meridionale, il solstizio d'inverno. Quando l'astro scende sotto l'orizzonte, si trova perfettamente allineato col centro della tomba in cui è sepolto Pacai. Come il sole scende nel buio, così Pacai scende nelle tenebre dell'oltretomba. Come il sole risorge per compiere il suo viaggio verso nord, così Pacai risorge e va verso il nord, situandosi nel cielo settentrionale, vicino alla Stella Polare. Dunque la vicenda della morte e rinascita di un re non veniva limitata alla tomba, ma si espandeva per tutta la città di Palenque, perché l'universo intero veniva a essere impregnato del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 183
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significato simbolico del popolo maya. Man mano che la nuova scienza denominata archeoastronomia fa progressi, vengono alla luce sempre nuovi schemi di geometria religiosa. Appare sempre più evidente che l'usanza di allineare gli edifici con i corpi celesti sulla base di concezioni spirituali era diffusa tra i maya. In effetti nessun elemento dei loro schemi costruttivi sembra casuale, e anche in questo si notano somiglianze con le usanze degli antichi egizi. Altra interpretazione della lastra del sarcofago di Palenque viene proposta dagli scrittori Gilbert e Cotterell nella loro trattazione sulle profezie dei maya.8 Secondo il loro punto di rista, essa raffigura quattro grandi divinità maya. La figura al centro della lastra è la dea della guerra, Chalchuihtlicue, che tiene in mano la foglia d'un giglio, mentre gli altri simboli alludono ad altre grandi divinità: Ehecatl, dio del vento, Tonatiuh, dio del sole, e Tlaloc, dio del tuono, del fuoco celeste, del lampo e della pioggia. I due ritengono che le quattro divinità rappresentino i quattro elementi e le diverse età dell'umanità. Come gli aztechi, infatti, anche i maya ritenevano che fossero esistiti diversi "mondi" o ere prima dell'attuale, e che ciascuna fosse stata distrutta da uno degli elementi naturali. I disegni apparentemente astratti sui bordi del coperchio del sarcofago potrebbero essere segni in codice che, se interpretati potrebbero farci sapere qualcosa di più sulla mitologia maya. Secondo Gilbert e Cotterell i disegni di tutto il coperchio del sarcofago, una volta "letti" correttamente nel loro insieme, ci potrebbero presentare un sommario della storia dell'umanità, con la distruzione dei mondi precedenti, e trasmetterci il messaggio, quanto mai inquietante, di Pacai sulle devastazioni che forse ci attendono nel futuro prossimo. Ma qualsiasi sia il vero significato della lastra di Palenque e qualsiasi siano le origini dei maya, la domanda alla quale dobbiamo ancora rispondere è se esisteva una qualche prova della fabbricazione da parte dei maya di un teschio di cristallo, o della sua presenza presso di essi, quale eredità dei loro antenati, chiunque siano stati. Ritornando alla luce del sole, scendemmo dal Tempio delle Iscrizioni, e continuammo l'esplorazione di Palenque. Il Tempio delle Iscrizioni era situato in capo a una fila di tre piramidi. In quella più vicina, nel 1995 era stata rinvenuta la tomba di una donna, probabilmente una regina, forse la Chris Morton and Ceri Louise Thomas 184
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compagna di Pacai. All'altra estremità c'era una piramide-tempio che al nostro arrivo non avevamo quasi nemmeno notato; era ancora per metà ricoperta dalla vegetazione. La maggior parte dei turisti è talmente ansiosa di salire sul Tempio delle Iscrizioni, che praticamente non nota nemmeno questo tempio seminascosto, relegato in un angolo del sito come si presenta oggi ai nostri occhi. Era in cattive condizioni e non compariva nemmeno sulla cartina del luogo. Comunque valeva la pena di salirvi. Quando arrivammo in cima, ci aspettava una sorpresa: lì, alla sommità dei 52 gradini, e proprio all'ingresso del tempio, c'era il bassorilievo di un teschio in pietra di mirabile fattura, ricavato da una pietra calcarea della parete del tempio, e della misura di circa 45 centimetri di diametro (vedi la foto a colori 18). Sembrava trovarsi lì a guardia di quello che poteva essere un sacello. Ci venne subito in mente il teschio visto a Tikal e che avevamo denominato "Teschio del Destino", in quanto ci aveva introdotto alla serie dei teschi di cristallo e ci aveva spinto a iniziare la ricerca. Quello che avevamo davanti gli assomigliava, ma era molto più bello. Emergeva in bassorilievo dalla superficie della parete, in uno stile particolarmente caratteristico della lavorazione decorativa di Palenque. Il teschio di Tikal era stato scurito dalla crescita di licheni e i lineamenti stavano incominciando ad alterarsi e a sbriciolarsi; invece i lineamenti del teschio di Palenque erano molto ben conservati e visibili. Sul teschio di Tikal non era facile capire se la mandibola fosse presente o meno, mentre qui era chiaramente assente. Ambedue i teschi erano stati scolpiti in cima a una rampa di scalini che conducevano a un luogo chiuso, che aveva tutta l'aria di essere un sacello. Mentre il teschio in rovina di Tikal stava di guardia a un sacello a metà altezza d'una piramide alquanto piccola e insignificante, questo sembrava l'elemento di coronamento della piramide, situato com'era proprio all'entrata del sacello sommitale. Eravamo quanto mai curiosi di sapere perché gli archeologi si fossero disinteressati, a quanto sembrava, di questi teschi: perché non avevano colpito la loro fantasia, e perché, soprattutto alla luce di quanto era scritto nel libro di Votan, questa piramide non era stata ripulita e studiata a dovere? Quali grandi tesori poteva custodire? Forse anche un teschio di cristallo? Ben presto però comprendemmo la ragione per cui nessuno aveva compiuto scari lì: non esisteva nessuna apertura che consentisse di entrarvi. Non c'era traccia di fori richiusi in qualche pietra, come quelli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 185
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trovati da Alberto Ruz. Il sacello all'interno del tempio era perfettamente liscio e non forniva il minimo indizio su quella che poteva essere stata la sua funzione. Nella nostra ulteriore ricerca di indizi, ispezionammo le altre costruzioni di Palenque, percorrendo labirinti di corridoi sotterranei ancora intatti, tra i resti della piazza cerimoniale delimitata dagli edifici del palazzo, in mezzo a costruzioni esterne dai caratteristici archi a forma di V capovolta, su e giù per le scalinate di altre piramidi. Ma proprio come a Tikal, c'era un'unica immagine parietale di un teschio a guardia dell'ingresso di un misterioso sacello. Questi teschi ci posero molti interrogativi. Qual era il loro significato? Che cosa rappresentavano i sacelli che essi proteggevano? Quale scopo avevano? Erano luoghi di contemplazione, di devozione, di sacrifici umani? Avevano forse custodito nel passato teschi di cristallo? Le complicate incisioni e i sacelli dimostravano che i maya avevano senza dubbio un interesse speciale per i teschi. Perché? Le risposte erano sempre lontane, ma di certo nella fantasia degli antichi maya i teschi occupavano un posto importante. Un altro degli antichi manoscritti rinvenuti dall'abate Brasseur de Bourbourg si rivelò forse il più importante manoscritto esistente della mitologia maya, in quanto è l'equivalente del nostro Vecchio Testamento. Si tratta del famoso Popol Vuh, o "Libro del Consiglio", che racchiude la storia della sacra epica creazione, ovvero quella che Linda Schele definì l'"odissea aliena" dei maya quiché. Sebbene il manoscritto originale in geroglifici non esista più, il Popol Vuh era stato copiato in spagnolo nel Sedicesimo secolo. Fin dalla prima pagina si è introdotti a qualcosa di misterioso e inquietante: Il Popol Vuh, come viene chiamato, non può più essere visto... Il libro originale, scritto molto tempo fa, c'era una volta, ma adesso è occultato al ricercatore e al pensatore...9 Verso l'inizio della storia della mitica creazione, l'immagine di un teschio gioca un ruolo importante quale simbolo della conoscenza proibita. Come il biblico racconto di Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden, la narrazione maya ci presenta una giovane donna tentata dal frutto che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 186
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cresceva su un albero. Nella versione maya non si tratta di un melo ma di un albero di zucche; il frutto di quest'albero, una volta seccato e svuotato, somiglia stranamente a un teschio umano. La vicenda comincia quando i signori dell'oltretomba, le divinità della morte, sfidano a duello un altro importante dio, quello del mais, ovviamente simbolo della vita. Gli dei della morte uccidono il dio della vita e ne mettono la testa su un albero, che si riempie di zucche. Questo frutto a forma di teschio rimane un monito per tutti affinché non disturbino i grandi signori della morte, e diffida chiunque dall'avvicinarsi all'albero, ricordandoci anche in questo il racconto biblico. Però: "La figlia di nome Xquic [in realtà una delle figlie dei signori della morte] apprese che l'albero prima sterile aveva prodotto frutti. "Era curiosa e volle vederlo. Quando vide l'albero colmo di frutti disse tra sé e sé: 'Non rinuncerò a provare uno di questi frutti. Sono sicura che non morirò'. "Mentre così pensava, il teschio che era stato posato nell'inforcatura dell'albero disse: 'Vuoi veramente con tutto il tuo cuore uno di questi frutti"? "'Sì, lo voglio', rispose la ragazza".10 Il teschio sull'albero allora sputò nella mano della fanciulla, che rimase incinta. Poi le parlò di nuovo: "[Questo] è solo un segno che ti ho dato, la mia saliva, il mio sputo. Questa mia testa è spoglia, è solo osso, non ha su di sé la carne. Lo stesso avviene con la testa di un grande signore; è la carne che dà un bell'aspetto. E quando muore la gente ha paura delle sue ossa. Inoltre, suo figlio è come la sua saliva, il suo sputo, nel suo essere, che sia figlio di un signore o di un artigiano o di un oratore. Il padre non scompare, ma continua a realizzarsi".11 Forse i teschi di pietra di Tikal e di Palenque e persino quelli di cristallo sono raffigurazioni del teschio primigenio (o frutto) e quindi il frutto proibito dell'albero della conoscenza? Quel teschio certamente sapeva Chris Morton and Ceri Louise Thomas 187
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parlare, ma che cosa voleva dire tutto ciò? La storia proseguiva. La fanciulla genera due bambini, Hunahpu e Xbalanque, che sono i grandi eroi di buona parte della mitologia maya. I gemelli sfidano gli dei della morte. Compiono nell'oltretomba un epico viaggio durante il quale i signori della morte riescono a uccidere Hunahpu, a cui viene staccata la testa da un vampiro. I gemelli allora ingannano i signori della morte mettendo al posto della testa mancante un frutto fino a quando non riescono a ricuperare la testa vera. Allora i teschi di cristallo e di pietra erano forse la rappresentazione della testa mozzata di Hunahpu? Ma, ancora una volta, che senso c'era in tutto ciò? Non erano però queste le sole immagini di teschi dell'antica mitologia. Gli antichi maya credevano nell'oltretomba, un luogo di morte e di paura che si chiamava Xibalba: un luogo terribile su cui dominavano i potenti signori della morte. Xibalba è composto dalla parola xib, che vuol dire "paura" o "terrore" o "tremore di spavento". Già avevamo visto una serie di ossi incisi rinvenuti a Tikal, che illustrano il viaggio al momento del trapasso (vedi la figura 13). La metafora della vita e della morte era un viaggio lungo un fiume. Quegli ossi ci mostrano un re seduto nel mezzo di una canoa. Si regge la testa con la mano, quasi a significare la morte imminente. Gli tengono compagnia alcuni animali: un cane, un pappagallo, una scimmia-ragno e un iguana. La barca viene spinta a remi da due vecchi dei, il Rematore Razza e il Rematore Giaguaro. Il secondo paio di ossi ci fa vedere la canoa che affonda mentre il sovrano si avvia verso l'oltretomba, perché i maya ritenevano che quel luogo fosse raggiungibile o per via d'acqua o per via sotterranea. I maya credevano che quando si muore l'anima viaggia verso l'oltretomba, e che in questo viaggio affronta terribili prove. Le similitudini con l'immaginario cristiano medievale sono impressionanti, soprattutto per la descrizione dell'Inferno che troviamo nella Divina Commedia. Ambedue le credenze ci presentano un viaggio fluviale nell'oltretomba in compagnia di un cane: nella versione cristiana medievale esso ha il compito di tormentare le anime dannate, mentre nella versione maya aiuta i defunti nel viaggio. I maya però credevano, come Dante, che nell'oltretomba ci fossero nove livelli, quelli che Dante chiamò "gironi". Nella mitologia maya, se il defunto riusciva a superare i vari livelli, aveva la possibilità di ricongiungersi agli antenati, che vivevano in cielo. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 188
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L'oltretomba era anche un luogo popolato da vecchie divinità sdentate che prendevano il nome dalle cause di morte, come la vecchiaia, il sacrificio e la guerra, e l'immagine del teschio appariva spesso collegata con l'una o l'altra di queste divinità. È stata persino rinvenuta una figurina di ceramica riproducente una divinità della morte della narrazione di Popol Vuh che ha come testa un teschio, mentre un'altra curiosamente rassomiglia al teschio di pietra di Tikal (vedi la figura 14).
Figura 13: Il viaggio nell'oltretomba secondo i maya, inciso su ossa rinvenute a Tikal
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Figura 14: Divinità della Morte in veste di giocatore di palla La più nota delle divinità della morte veniva spesso chiamata Yum Cimili, ma, siccome il suo nome cambiava a seconda delle 30 e più lingue maya esistenti, ora la si indica semplicemente con il termine "Divinità A". Era il più potente dei signori della morte, spesso raffigurato con un teschio privo di mandibola. Può darsi che i teschi di pietra o di cristallo rappresentino proprio una di queste divinità della morte.
Figura 15: "Divinità A" della Morte Stranamente, in queste immagini le divinità della morte sono rappresentate con caratteristiche alquanto comiche. La "Divinità A" per esempio viene spesso dipinta con un grande ventre e arti scheletrici (vedi la figura 15). Spesso era anche chiamata Cizim, cioè il dio "Flatulento" e nell'arte maya spesso ci sono dei segni a volute che stanno proprio a indicare che emana un cattivo odore. Così, anche se le divinità della morte sono spesso rappresentate con teschi, questo motivo non era inteso come un'immagine di terrore. Erano invece guardate con una specie di affetto. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 190
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Rimanemmo molto sorpresi nel pensare che i teschi di Palenque e di Tikal, situati solennemente vicino ai sacelli in cima alle piramidi, per non parlare di quelli di cristallo, potessero rappresentare nulla di più misterioso e spaventoso che un dio comico, panciuto e flatulento! Era sempre più evidente che né l'arte dei maya né le loro narrazioni mitiche erano da prendersi alla lettera, ma andavano invece interpretate in chiave simbolica. A questo punto pensammo che a un livello più profondo la mitologia avesse lo scopo di informare gli antichi maya sulla vita e sulla morte, su quello che era il destino e su come ci si doveva di conseguenza regolare. Era colma di significati con i quali la gente poteva capire il senso della propria vita. In tutte le narrazioni erano racchiuse in codice ricche metafore dalle quali trarre un significato, e che forniscono una ricchezza e una profondità che potremmo applicare alla nostra vita attuale. Il teschio dell'albero in Popol Vuh ha, per esempio, un riposto significato simbolico: una donna viene tentata di cogliere un frutto dell'albero della vita e della conoscenza, per vivere secondo le proprie scelte. Affonda i denti nel frutto, cioè nel teschio. Il teschio dunque non è solo un simbolo di morte, ma anche di vita. Perché nonostante sia il risultato delle azioni del dio della morte, è anche quanto rimane di fisico del dio della vita. È colmo di molte potenzialità, è fonte di nuova vita e conoscenza. Ma viene mangiato. In questo senso dunque vivere vuol dire anche morire, morire alle scelte che non si possono più fare, alle possibilità non colte, come il frutto sprecato, e che non saranno mai più offerte. L'esperto maya, il dottor Karl Taube, aveva scritto: "In tutto il Mesoamerica si riteneva che senza la morte non si può avere la vita. Ogni volta che si mangia qualcosa, in realtà si uccide qualcosa per poter continuare a vivere. Se non si dà qualcosa alla Madre Terra, la vita non può più sbocciare. È come un costante dialogo tra questi due opposti. Essi non sono separati, bensì sempre interdipendenti ". Linda Schele ci aveva detto: "In quasi tutte le lingue maya e nella maggior parte delle attuali lingue mesoamericane la parola che significa 'teschio' è Chris Morton and Ceri Louise Thomas 191
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quasi identica a quella che vuol dire 'osso', e la parola 'osso' bak - è identica a quella che indica il 'seme'". Quel che è curioso è che Bak è anche il nome maya di Palenque. Palenque è il nome dato dagli spagnoli e vuol dire "palizzata". Il nome maya invece - che significa "teschio", "osso" o "seme" - ha suggerito a Linda Schele che il teschio di pietra di Palenque possa avere una funzione quanto mai banale e corrente: forse era solo un'indicazione stradale. Non voleva rammentare alla gente la sua imminente morte, né aveva alcuna misteriosa e complicata funzione; comunicava esclusivamente il nome del luogo in cui ci si trovava. Che questo teschio di così bella fattura, che guardava dalla sua elevata posizione presso il tempio, fosse solo un cartello stradale offendeva la nostra sensibilità romantica. Non c'era proprio un altro significato? In realtà in questo toponimo ci potrebbe essere più di quello che non appaia a prima vista. Le parole talvolta forniscono infatti una chiave per accedere a profondi concetti filosofici che rivelano importanti concetti culturali. La stessa lingua maya rivela un modo di considerare i teschi e le ossa molto diverso dal nostro. Per noi teschi e ossa sono un richiamo alla nostra natura mortale e alla nostra fragilità umana. Ne rifuggiamo. Per i maya invece teschi e ossa, come i semi, sono i principi che fondano la vita; essi danno forma alla nostra esistenza, così come il seme genera la pianta. La carne si forma sulle nostre ossa come le foglie crescono sulla pianta. E usando la stessa parola per tutti questi concetti i maya ci rammentano che ognuno di noi ha un ruolo attivo, un ruolo di donatore di vita. Così per i maya nel volto stesso della morte ci sono le potenzialità della vita, e il teschio era un simbolo non solo di morte ma anche di vita, rinascita, rigenerazione. Questa credenza è ancora viva oggi nei discendenti dei maya quiché, che vivono vicino al Lago Atitlàn negli altipiani del Guatemala; ogni anno mettono da parte dei semi di mais per la futura semina, e li chiamano "piccoli teschi" in quanto ogni anno, simbolicamente, si ripianta il dio del mais e si ricomincia daccapo il ciclo della rigenerazione. Il dualismo della vita e della morte, oltre a essere racchiuso nell'immagine del teschio di Popol Vuh, è anche presente nell'idea dei gemelli, una delle invenzioni mitiche più persistenti in tutto il Mesoamerica. I gemelli rappresentano un principio basilare, le due forze Chris Morton and Ceri Louise Thomas 192
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che permeano l'esistenza. È qualcosa che richiama il principio cinese di yin e yang, un dualismo di opposti, gemellati, unificati ma contrapposti, visti come un'essenza che attraversa tutte le cose. Per noi però c'era qualcosa di più nella narrazione dei gemelli di Po-poi Vuh, perché dopo aver sconfitto i signori della morte essi vanno a cercare il proprio padre, sepolto nel campo del gioco alla palla. Egli può essere riportato in vita se riesce a nominare tutte le parti del viso che aveva in precedenza; senonché lui cita solo la bocca, il naso, gli occhi... gli elementi distintivi di un teschio. I gemelli dunque lo lasciano nel campo da gioco ma promettono di onorarlo e venerarlo. In seguito vengono liberati dalla dominazione dei signori della morte, i loro spiriti possono innalzarsi per ricongiungersi con gli antenati nell'alto dei cieli e diventano il sole e la luna. I maya davano grande importanza alla memoria e alla venerazione degli antenati di cui spesso non allontanavano i resti, e che solitamente seppellivano sotto la casa. Talvolta la testa, cioè il teschio, di qualche importante antenato veniva tenuto in casa, per poter rimanere in "comunione spirituale" con esso, considerato fonte di sapienza. Se questo era quanto facevano con i teschi veri e propri, perché non pensare che facessero altrettanto anche con i teschi di cristallo? Per gli antichi maya la morte non era qualcosa di cui avere paura. Il timore andava superato tramite un intenso e profondo convincimento che vita e morte sono interdipendenti. Esse sono fondamentalmente correlate, proprio come i gemelli, come la pianta e il seme, come le congiunte ma opposte forze che permeano ogni cosa. Sapevano che morire voleva dire rinascere. Mi chiesi dunque se anche i teschi di cristallo avessero qualcosa a che fare con tutto ciò, considerando la loro trasparenza una specie di simbolo della morte vista non come una tappa finale ma come qualcosa attraverso cui passare. Ma i maya andavano oltre. Come dimostrato dal racconto dei due gemelli, essi credevano che mettendosi in relazione con gli antenati potessero trionfare sulla morte e in definitiva innalzarsi nel più alto dei cieli. Ad Anna Mitchell-Hedges avevano detto che il suo teschio di cristallo rappresentava la testa d'un antico sacerdote. Era possibile che i teschi intagliati nella pietra o nel cristallo raffigurassero antenati particolarmente venerati con cui i maya volevano rimanere in contatto? Chris Morton and Ceri Louise Thomas 193
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Indubbiamente attribuivano poteri infiniti agli antenati, specialmente a coloro che appartenevano al principio dei tempi. Questo è quanto possiamo rilevare nella descrizione che ne facevano gli autori del Popol Vuh: "Essi sapevano se ci sarebbe stata una guerra; tutto quello che vedevano per loro era chiaro. Se ci sarebbe stata morte, o carestia, o se sarebbero avvenute contese, essi lo sapevano per certo, perché c'era un posto in cui vederlo... [forse un teschio di cristallo?] "Essi vedevano e potevano subito vedere lontano, riuscivano a sapere tutto quello che avveniva nel Mondo. Quando guardavano, subito vedevano tutto intorno a loro e fissavano lo sguardo ora nell'arco del cielo e ora nella faccia rotonda della Terra. Le cose nascoste, essi le vedevano tutte, senza doversi spostare; il Mondo lo vedevano tutto in una volta... grande era la loro sapienza".12 Il brano rivela che i maya avevano la nozione della sfericità della Terra ben prima dell'Occidente. Un passo precedente dello stesso testo dice che le doti divinatorie degli antenati erano state negate ai discendenti dagli stessi dei che le avevano loro donate. Perché, secondo la leggenda, gli esseri umani primigeni vedevano troppo lontano. "Tali erano le loro doti che gli dei se ne rammaricarono, e allora gli dei respirarono sulla loro capacità di visione come sopra uno specchio, e la loro visione ne fu annebbiata, e allora poterono vedere solo le cose più vicine... "13 Questa prima sezione di Popol Vuh descrive anche l'alba dei tempi e le origini dell'umanità. Tutto ha inizio quando dodici divinità si mettono insieme e decidono di far emergere la Terra dall'acqua. Vengono fatti diversi tentativi per creare gli uomini, ma tutti falliscono fin quando gli uomini riconoscono e capiscono il loro ruolo, che è "dire il nome dei loro creatori, lodarli, sostentarli e nutrirli". La storia di Popol Vuh dunque parlava dello scopo dell'umanità. Gli dei avevano creato l'umanità per riflettere la propria gloria. Scopo degli umani Chris Morton and Ceri Louise Thomas 194
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era di dare agli dei e alle forze della natura qualcosa in segno di gratitudine per il dono della vita. Dovevano onorare gli dei e servirli con "buone abitudini", sia ricordando le proprie origini sia con la preghiera e i sacrifici. Pensavamo proprio a questo rapporto tra uomo e natura mentre andavamo verso l'antica città maya di Yaxchilàn, circa 150 chilometri a sud di Palenque. Il viaggio a Yaxchilàn fu piuttosto faticoso. Palenque si trova nel mezzo di una foresta in rapida estinzione, abbattuta purtroppo con grande efficienza dai locali e dalle aziende di disboscamento per far posto all'allevamento intensivo del bestiame. Dato che la richiesta di carni messicane è in continuo aumento, i discendenti degli antichi maya sono costretti dai ricchi latifondisti a lasciare le proprie terre, mentre la tradizionale agricoltura di sussistenza viene rimpiazzata da grandi allevamenti. La ricerca di rapidi profitti da parte dei latifondisti toglie la terra a coloro che vi risiedono, i quali come gli alberi vengono spazzati via in nome del progresso. Questi sono i fatti responsabili dei recenti disordini del Chiapas, dove i contadini si sono coalizzati contro i grandi proprietari che minacciano un sistema di vita antico di millenni. I blocchi stradali delle forze armate che abbiamo incontrato avevano lo scopo di tenere sotto controllo la situazione. Rimanemmo inorriditi quando, sfogliando una copia del National Geographic, vedemmo una foto aerea della zona in cui ci trovavamo, scattata da un satellite NASA.14 Fummo penosamente colpiti nel notare come l'abbattimento della foresta circostante fosse visibile persino dallo spazio. Esattamente a est e a sud di Palenque serpeggia il fiume Usamacinta che divide il Messico dal Guatemala. A distanza di migliaia di chilometri dalla Terra questa linea spicca chiarissima. La fotografia del satellite evidenziava il corso del fiume, e mentre la sponda del Guatemala era di un intenso color verde, quella messicana era d'uno squallido giallo: la zona guatemalteca è ancora fittamente ricoperta di alberi e vegetazione, mentre nella zona messicana si vedono solo i ceppi degli alberi abbattuti, dispersi nelle sterminate pianure erbose che si sono formate. Allargando lo sguardo sulle colline che avevano costituito uno dei più bei paesaggi del mondo, notammo solo un'infinità di ceppi e rami, i resti Chris Morton and Ceri Louise Thomas 195
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carbonizzati della foresta vergine sotto un cielo plumbeo, e qua e là un solitario albero di ceiba che si staglia, solido nonostante l'età centenaria. C'era qualcosa di funereo in questi alberi, come se fossero stati lasciati lì a piangere sulla foresta che non c'era più. Che cosa ne era stato dei rapporti che gli antichi maya sostenevano si dovessero mantenere tra gli uomini e le forze del mondo naturale? Gli antichi maya ricambiavano gli dei della Terra con offerte, riti, cerimonie e sacrifici. Credevano anche di poter instaurare più strette relazioni con gli dei tenendo viva la memoria degli antenati e rimanendo in qualche modo in contatto con loro. Gli avi, alla stessa stregua delle popolazioni primigenie, venivano considerati fonte della conoscenza necessaria per allungare lo sguardo non solo nel passato ma anche nel futuro. Così, offrendo agli dei e agli antenati qualcosa, i maya erano convinti di poter di tanto in tanto riappropriarsi dei poteri divinatori dei lontani predecessori. Sembrava che i teschi, e forse anche i teschi di cristallo, avessero qualcosa a che fare con queste pratiche.
Figura 16: Architrave 17 di Yaxchilàn in cui si vede Giaguaro Uccello in atto di forarsi il pene e la signora Balam-Ix che sì fora la lingua Come ci aveva detto la dottoressa Linda Schele, il "sangue era la materia prima della pratica religiosa maya". Che cosa si poteva offrire infatti di più Chris Morton and Ceri Louise Thomas 196
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prezioso del sangue, il liquido che rende possibile la vita? Il parallelo con la mitologia cristiana è evidente: il Cristo si era immolato offrendo il proprio sangue, e nella comunione i cristiani partecipano a tale sacrificio. Nella pratica maya dell'offerta del sangue, però, esso veniva tratto da diverse parti del corpo, dalla lingua, dai lobi delle orecchie e persino dai genitali. Questi sacrifici rituali erano esclusivi dei rappresentanti della casa reale, della casta sacerdotale e della massima nobiltà, e dovevano essere preceduti da accurati riti preparatori che contemplavano privazioni del corpo e dello spirito. Coloro che facevano il sacrificio si ritiravano dal mondo fisico con digiuni e astinenze. La capanna sudatoria, dove si svolgeva un rituale bagno di vapore, era considerata un mezzo di purificazione. Purificati e preparati, i partecipanti rimanevano in fiduciosa attesa del risultato: la visione. E proprio qui poteva entrare in gioco il teschio, collegando il veggente con gli antenati e col regno della sacra conoscenza. A Yaxchilàn è possibile vedere, in incisioni di pietra molto particolareggiate, come avveniva il prelievo del sangue. Qui erano stati trovati delle architravi di pietra finemente scolpite risalenti al 725-770 a.C. circa; molte di esse oggi si trovano al British Museum. L'Architrave 17 (vedi la figura 16) ci mostra un personaggio regale di sesso maschile, detto Giaguaro Uccello, intento a forarsi il pene con un lungo ago. Una donna riccamente addobbata, una delle sue mogli di nome Balam-Ix, è in ginocchio davanti a lui. Ci appaiono sereni, assorti. La signora Balam-Ix si sta facendo passare un filo attraverso la lingua, pratica di sacrificio cruento caratteristica delle donne. Il sangue che ne sgorgava veniva raccolto su tamponi di carta che poi erano messi in coppe e bruciati come offerte agli dei. È interessante notare che il Giaguaro Uccello ha in testa un copricapo che sembra una specie di teschio con scheletro di serpente. La maggior parte delle altre architravi presentano figure con copricapo simili, con teschio e serpente; si direbbe che questo fosse l'abbigliamento rituale di coloro che cercavano di avere una visione. Altro elemento del rito era la comparsa del serpente della visione; forse questa era una raffigurazione dello spirito. Lo spirito è rappresentato in molte religioni come principio di energia, movimento e dinamicità. Qui il serpente sta a significare questa vivace energia. Il serpente della visione lo si vede ancora meglio nell'Architrave 25 di Yaxchilàn (vedi la figura 17). L'architrave ci mostra la signora Xoc Chris Morton and Ceri Louise Thomas 197
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inginocchiata, con il rituale copricapo di teschio e scheletro di serpente, che tiene nella mano sinistra gli oggetti necessari al sacrificio di sangue. Davanti a lei vediamo l'immenso corpo sinuoso del serpente della visione, dai grandi occhi sporgenti e dalle volute di sangue che escono dalla bocca. Il serpente reca la statua di Tlaloc, il dio dell'acqua che era collegato col sacrificio e la fertilità. Ecco come viene descritto dalla guida del British Museum: "L'offerta sacrificale di sangue dà luogo a un'apparizione visionaria di Yat-Balam, antenato fondatore della dinastia di Yaxchilàn... lo spirito ancestrale emerge dalle fauci di un immenso serpente a due teste [della visione], che si inarca sopra la signora Xoc. Ora sola, essa guarda in alto l'apparizione che ha evocato. Nella mano sinistra regge una coppa per la raccolta del sangue, che contiene altri strumenti del sacrificio: una spina di razza e un bisturi di ossidiana".15
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Figura 17: Architrave 25 di Yaxchilàn in cui si vede la signora Xoc mentre contempla una visione che esce da un teschio La spiegazione però non cita quanto la signora Xoc regge in mano. O in mano, o sospeso sul polso destro, noi vediamo chiaramente un teschio umano, forse un teschio di cristallo. In realtà sembra che l'apparizione del serpente della visione, dalla cui bocca compare l'immagine del grande antenato, stesse emergendo dallo stesso teschio. Mentre non possiamo essere sicuri guardando questo disegno che il serpente non stesse anche, o invece, emergendo dalla coppa di sangue posata sul pavimento, questa architrave finemente scolpita raffigura a quanto pare un antico maya mentre ha una visione che esce da un teschio, il quale potrebbe anche Chris Morton and Ceri Louise Thomas 199
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essere di cristallo. Inoltre il fatto che esso appaia all'altezza della vita sta a significare che era nel mondo di mezzo, nella normale realtà di veglia. Eravamo al colmo dello stupore. L'idea di visioni che emergono da un teschio era certamente coerente con quanto avevamo visto o sentito in precedenza a proposito dei teschi di cristallo e cioè che sono in grado di offrire visioni a chi li guarda. L'Architrave 25 di Yaxchilàn forse era una raffigurazione della signora Xoc mentre, grazie a un teschio di cristallo, guarda in altre dimensioni.
15 IL TESCHIO E L'ANTICO CALENDARIO Sembrerebbe che nel sacrificio di sé e nell'immagine del teschio i maya volessero principalmente ottenere una visione e ricongiungersi con gli antenati, depositari della sapienza divina e della capacità di vedere tutte le cose. In un secondo tempo essi si sarebbero dedicati a forme rituali e sacrificali talvolta molto meno innocue della perforazione del pene e dell'estrazione di sangue dalla lingua, operazioni che forse contemplavano anche la presenza di un teschio. Secondo gli archeologi, in un'epoca successiva, i maya sotto il dominio dei toltechi - come d'altronde anche questi ultimi -, hanno dato maggiore rilevanza alla pratica del sacrifìcio umano. Oli studiosi non sono d'accordo su quello che poteva essere l'atteggiamento delle vittime, se cioè fossero consenzienti o riluttanti. Molti ritengono che il sacrificio supremo, usanza che ebbe inizio probabilmente come gesto volontario da parte dei primi maya, in seguito degenerò e ai sopravvissuti del periodo detto "classico" l'immolazione venne imposta con la forza dai toltechi, che li avevano soggiogati. La particolarità è che le vittime dei sacrifici, volontarie o meno, erano quasi sempre i giovani più gagliardi, quelli che avrebbero potuto dare vita a nuove robuste generazioni. Alcuni dei più noti teschi maya scolpiti nella pietra si trovano a Chichen Itzà, la più grande e famosa città maya dello Yucatàn. Qui si vedono, più spesso che in qualsiasi altro sito, immagini di teschi risalenti all'ultima fase della storia maya, quella della decadenza sotto la dominazione tolteca, durante la quale si fecero sacrifici umani su larga scala. Una di queste sculture si trova sul bordo del campo da gioco. Tutte le città Chris Morton and Ceri Louise Thomas 200
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mesoamericane erano infatti dotate di un campo, dove si svolgeva un gioco rituale con la palla, probabilmente richiamo alla lotta dei grandi gemelli eroi della leggenda narrata nel Popol Vuh. Secondo la maggior parte degli esperti, gli antichi abitanti dell'America Centrale seguivano lo svolgimento di tale gioco con partecipazione più che appassionata. È infatti opinione diffusa che a conclusione della partita i giocatori di una delle due squadre venissero decapitati, anche se non si sa se a subire questa sorte fosse la squadra vincente o quella perdente. Molti discendenti maya oggi sostengono però che questa interpretazione è frutto di propaganda contro i nativi, tesi eurocentrica e razzista, perpetuatasi dai giorni della conquista spagnola dell'America Centrale - e chissà che non siano nel giusto.
Figura 18: Intaglio in pietra di vittime sacrificali di una partita di palla nel campo da gioco di Chichen Itzà Quello che sappiamo con certezza è che sui muri che delimitano il campo da gioco di Chichen Itzà c'è un bassorilievo scolpito nella pietra che raffigura due contendenti, tra i quali si vede una palla che reca il disegno di un teschio, col sangue che fuoriesce dalla bocca (vedi la figura 18). Si presume che essa alluda al destino riservato a una delle squadre. A destra della palla-teschio c'è una figura inginocchiata, probabilmente un giocatore che è stato decapitato e dal cui collo esce il sangue sotto forma di serpenti. Sull'altro lato della palla-teschio si trova un secondo giocatore, con un coltello in una mano e la testa mozzata nell'altra. Tutti i personaggi sfoggiano un abbigliamento molto ricercato, probabilmente un costume Chris Morton and Ceri Louise Thomas 201
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rituale proprio del gioco; alcuni hanno anche dei teschi che emergono da serpenti, infilati nella cintura, detta palma. Anche questa era probabilmente un'allusione al destino riservato all'una o all'altra delle squadre. Nelle vicinanze del campo da gioco di Chichen Itzà si trova una vasta piattaforma decorata su tutti i lati da file e file di teschi scolpiti nella pietra (vedi la foto a colori 21). Come le rastrelliere di teschi usate dagli aztechi, le piattaforme di pietra erano delle tzompantli, e questa di Chichen Itzà, situata così vicino al campo da gioco, va considerata come un luogo di raccolta delle teste dei giocatori sacrificati. Non è del tutto chiaro quale fosse lo scopo di tali sacrifici. Alcuni hanno pensato che per i maya, come per gli aztechi, il sangue delle vittime sacrificali servisse ad alimentare il sole, e per la verità il momento prescelto e il senso della partita sembrano avere un nesso con le varie posizioni dell'astro. Solo in un determinato giorno infatti, i raggi del sole attraversano il cerchio di pietra in cui i giocatori dovevano invece far passare la palla-teschio. Non dobbiamo tuttavia lasciarci influenzare dalle occasionali esplosioni di brutalità per dedurne che i maya fossero un popolo di scarsa sensibilità, perché non è vero. Si ritiene infatti che fossero una popolazione pacifica e che, se i sacrifici umani venivano praticati dopo la partita a palla, dovevano avere un significato che andava al di là dell'apparenza. Non lontano dal campo di calcio e dal tzompantli di Chichen Itzà si trova un grande osservatorio astronomico a pianta rotonda, detto "Caracol" (vedi foto a colori 20). Ciò che colpisce è la grande somiglianza con i nostri attuali edifici adibiti alla stessa funzione. Ecco come lo descrive von Dàniken: "L'edificio circolare s'innalza con le sue tre terrazze ben al di sopra della foresta. All'interno c'è una scala a chiocciola che conduce alla postazione più alta. Nella cupola si aprono finestre e feritoie che guardano verso le stelle e consentono una straordinaria visione del firmamento notturno".1 A ragione von Dàniken osserva che "le postazioni nell'osservatorio di Chichen Itzà" non sono "dirette verso le stelle più luminose" o verso qualche significativa posizione del sole. Oggi infatti è opinione largamente Chris Morton and Ceri Louise Thomas 202
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condivisa che l'osservatorio era destinato in particolare a seguire il movimento del pianeta Venere. Le aperture dell'edificio puntano non solo in alto verso le stelle, ma anche verso il basso - verso il campo da gioco dunque la data della partita e il significato simbolico di quanto avveniva alle anime delle vittime sacrificali erano in relazione non solo con lo spostamento del sole, ma anche con quello delle stelle e dei pianeti, e specificatamente di Venere. Forse coloro che guardavano da lassù seguivano le anime delle vittime salire nel più alto dei cieli, come i gemelli eroi della leggenda. Non si sa se nella pratica del sacrificio umano si facesse uso di teschi di cristallo. Intanto scoprimmo un altro e forse più importante nesso: l'uso che gli antichi maya facevano del simbolismo dei teschi e il loro antico calendario. L'osservatorio di Chichen Itzà è un esempio lampante di quanto gli antichi maya fossero particolarmente edotti in astronomia, matematica e calendaristica. Del mondo avevano una visione del tutto diversa dalla nostra, e del loro posto nell'universo avevano un'idea estremamente complessa. Erano esperti indovini e veggenti, e mentre da una parte riponevano un'attenzione ossessiva per i riti, i sacrifici e la morte, nei confronti dell'osservazione delle stelle, della matematica e delle scienze calendaristiche mantenevano un atteggiamento incredibilmente scientifico. Il cosmo maya era un universo non solo di possenti e terrificanti divinità, ma anche di scrupolose misurazioni matematiche e di studi estremamente precisi per il computo del tempo, tutti basati sul moto dei pianeti e delle stelle e mirati a un unico fine: la previsione del futuro. Una delle loro più straordinarie scoperte fu quella dello "zero"; questo concetto li mise in grado di operare senza difficoltà con i grandi numeri, e con un sistema ignoto a tutti i contemporanei, senza contare le grandi civiltà precedenti, quali quella greca e quella romana. Le conoscenze matematiche dei maya erano tali che oggi si pensa siano stati loro a inventare appunto il concetto dello zero, sul quale tra l'altro noi moderni abbiamo fondato il sistema binario dei computer. Per i maya i numeri non erano solo concetti astratti utili a far di conto o misurare le quantità: a ogni numero veniva attribuita una qualità o spirito particolare, qualità che rispecchiava e celebrava i processi vitalistici che avvengono nel mondo delle entità spirituali. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 203
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Possedevano un sistema calendaristico molto più complesso e preciso del nostro, un sistema il cui primo fine era la profezia e la preveggenza. Esso indicava sì il giorno, ma anche che cosa in quel giorno sarebbe successo con incredibile precisione. Fondato sui moti dei pianeti e delle stelle, non solo preannunciava le eclissi solari e lunari a cui i maya avrebbero assistito, ma anche quelle che si sarebbero verificate in luoghi a loro invisibili, dall'altra parte della Terra. Il calendario era tanto sofisticato che consentiva agli antichi astronomi di prevedere eclissi che sarebbero avvenute ai nostri tempi... più d'un millennio dopo il tracollo della loro civiltà. Oggi si ritiene che essi furono persino in grado di profetizzare la fine della loro civiltà e il successivo arrivo degli europei nell'America Centrale. Il calendario maya copriva epoche di molto anteriori al sorgere di quella civiltà: alcuni geroglifici riportano date risalenti a 400 milioni di anni prima.2 I maya consideravano il loro calendario un'eredità dei popoli che li avevano preceduti e che sapevano tutto, cioè in poche parole degli dei. Il sistema si basava in pratica sui moti del sole, della luna e delle stelle, in particolare di Venere e delle Pleiadi. A quanto pare avevano sull'universo nozioni che i nostri astronomi stanno appena incominciando a intuire, e concetti del tempo e dello spazio che i fisici moderni solo ora stanno scoprendo. A differenza del gregoriano, che scandisce il tempo in ordine lineare o cronologico, in termini di giorni, mesi e anni prima o dopo Cristo, i maya avevano 17 diversi tipi di calendari, 17 diversi modi per individuare i giorni. Quasi tutti si riferivano a un particolare pianeta, una particolare stella o costellazione. Il giorno, così come veniva determinato in base a un particolare calendario, informava dove si trovava quel certo pianeta o quella certa stella in rapporto alla Terra. Ciascuno di essi quindi non era un semplice calendario lineare, ma aveva carattere ciclico, e tutti insieme formavano un complicato insieme di cerchi o sfere, concentriche e interconnesse, esattamente come i moti dei pianeti intorno alla Terra. Il nome di ogni giorno rivelava in quale posizione ci si trovava in ciascuno dei differenti "cicli del tempo", tanto che conoscere il giorno equivaleva a conoscere la posizione della Terra rispetto agli altri corpi celesti. Nella visione moderna del mondo, il tempo e lo spazio sono due dimensioni completamente distinte, mentre nella visione dei maya tale distinzione non esisteva. Tempo e spazio erano strettamente collegati. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 204
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Come i gemelli eroi, o come la vita e la morte, erano semplicemente aspetti diversi della stessa dimensione. Noi abbiamo una certa difficoltà ad afferrare il concetto, eppure esso ci aiuterebbe a comprendere la natura ciclica della calendaristica maya, e a capire da dove si originasse la loro convinzione di poter conoscere il futuro. Nella vita di tutti i giorni si limitavano per lo più a tre calendari fondamentali: quello solare di 365 giorni, o "anno vago", quello sacro di 260 giorni detto tzolkin, e l'altro lunghissimo detto "Conto Lungo". Il primo era probabilmente il più popolare ed è anche il più accessibile a noi, essendo simile al nostro anno solare; prendeva in considerazione l'evoluzione di circa 365 giorni che la Terra compie intorno al sole, ma era diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, e con 5 giorni in sovrappiù, ritenuti "infausti". Tutti i numeri dei giorni di questo calendario solare sono raffigurati nella pietra della grande piramide detta "El Castillo" di Chichen Itzà; essa ha tanti gradini quanti sono i giorni di un anno solare. Ognuno dei quattro lati ha 91 gradini, che in tutto fanno 364, a cui è da aggiungere il livello del tempio che sorge sulla sommità e con cui si arriva a 365. La piramide segna anche l'equinozio di primavera e di autunno, quando l'ombra di un immenso serpente, probabile raffigurazione di Kukulcan o Quetzalcoatl, si proietta sui gradini formando una sagoma ondulata. In che modo il calendario sacro di 260 giorni o tzolkin fosse connesso col calendario solare, lo si può più facilmente capire per analogia con le due ruote dentate di un ingranaggio. Questo calendario non si riferisce, a quanto pare, direttamente a un pianeta o a una stella; qualcuno ha pensato che fosse in realtà una sintesi, un'interpretazione di tutti i significati dei moti di ogni corpo celeste combinato. Questo spiegherebbe perché talvolta veniva definito "ciclo dei cicli" (vedi la figura 19).
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Figura 19: Ruote dentate a ingranaggio che mostrano i giorni e i mesi del calendario sacro di 260 giorni dei maya Scopo preciso del tzolkin era attribuire un significato a ogni giorno e dire al popolo che cosa doveva fare in ognuno di essi. Ciascuno aveva dunque un valore, poteva essere buono o cattivo, fortunato o sfortunato. La spiegazione è alquanto semplicistica, ma la configurazione dei pianeti e delle stelle in un particolare giorno rivestiva un significato che gli conferiva specifiche caratteristiche. Il giorno in cui si nasceva era colmo di significati, in quanto determinava il ruolo che ciascuno avrebbe avuto nella vita, e avrebbe deciso se sarebbe diventato un artigiano, un oratore, un sacerdote. Lo tzolkin diceva anche alla gente come sarebbe stato questo o quel giorno e dava i consigli del caso. Il calendario sacro riportava il succedersi dei riti e delle cerimonie da compiersi in ogni giorno dell'anno sacro; un momento particolarmente importante era la conclusione di ogni periodo di 52 anni, o Ruota del Calendario, che si aveva quando sia l'anno solare di 365 giorni sia quello sacro di 260 arrivavano alla fine, per ricominciare da capo. In quel giorno gli antichi maya celebravano una funzione detta "Inizio dei nuovi fuochi". Era una funzione profondamente religiosa e importante in quanto si credeva che al momento della fine di ogni Ruota del Calendario il mondo avrebbe potuto finire se non si fossero Chris Morton and Ceri Louise Thomas 206
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accesi i nuovi fuochi e se non si fossero celebrati in modo adeguato i relativi riti. Gli storici Gilbert e Cotterell hanno pensato che i teschi di cristallo forse ricoprissero un ruolo molto importante in questa cerimonia. Nella loro opera The Mayan Prophecies, avanzano l'ipotesi che le straordinarie proprietà ottiche dei teschi di cristallo fossero sfruttate per un uso importantissimo nei riti che segnavano l'inizio dei nuovi fuochi.3 Dato che il teschio di Mitchell-Hedges può, come sappiamo, provocare un incendio solo polarizzando la luce solare, l'ipotesi ci sembra plausibile. Gilbert e Cotterell credevano anche di poter affermare che le figure chacmool, come quelle di Chichen Itzà (vedi foto a colorì 31) avessero una parte in tutto ciò. Adrian Gilbert ritiene che forse, quando arrivava il giorno fatidico, il teschio di cristallo venisse situato in cima a una delle piramidi o sul ripiano predisposto sul ventre della famosa figurina chac-mool di Chichen Itzà e di altri siti simili. Quando il sole si trovava in un particolare punto a mezzogiorno, i suoi raggi colpivano la parte posteriore del teschio secondo un angolo di incidenza che poteva dare luogo a un raggio di luce; questo, uscendo dalla bocca del teschio, era talmente intenso da far incendiare un qualche oggetto e dare inizio ai nuovi fuochi. Come dei teschi di cristallo, anche delle misteriose figurine chac-mool nessuno conosce l'utilizzazione; si è spesso pensato che rappresentassero Kukulcan o Quetzalcoatl, e la maggior parte degli archeologi ritengono che servivano ad accogliere i cuori ancora palpitanti estratti nel corso delle cerimonie di sacrificio umano. Il cronista del Sedicesimo secolo Diego de Landa descrisse le cerimonie dei fuochi in maniera abbastanza dettagliata e il suo racconto potrebbe far intendere che vi fosse utilizzato un teschio di cristallo. Nel suo libro The Relacion scrive: "Essi sistemarono le bandiere in cima al tempio e ognuno pose giù nel campo i suoi 'idoli' su foglie di albero portate a questo scopo. Accendendo nuovi fuochi, quindi, incominciarono a bruciare incenso in molti punti e a fare offerte".4 I maya ritenevano che ogni giorno fosse determinato da quel certo dio o "signore del giorno" riportato sul calendario. Nella loro visione delle cose Chris Morton and Ceri Louise Thomas 207
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gli dei e i giorni non erano entità separate, tanto che la medesima parola indicava sia il dio sia il giorno. L'assenza di distinzione tra scienza, religione e matematica nella loro concezione del mondo era tale che le divinità non erano solo legate alla definizione del giorno, ma erano ciascuna anche associata a un numero. La matematica aveva un carattere così sacro che divinità, numeri, giorni, e in taluni casi anche mesi e anni, venivano considerati i diversi aspetti della stessa entità spirituale. Cercando, sia pure con notevole fatica, di adeguare la nostra mente a questi concetti, ci concentrammo sul calendario sacro di 260 giorni. Scoprimmo che l'anno divino, esattamente come l'anno sacro degli aztechi, era formato da 13 mesi di 20 giorni ciascuno. Anche in questo caso ci imbattevamo dunque nel numero sacro 13. Come i 13 teschi di cristallo, così nel mondo superiore dei maya c'erano 13 divinità che governavano i giorni, quelle che avevano il controllo del tempo. Una di queste divinità era il grande signore della morte, "Divinità A": rappresentava il numero 10 o lahun in lingua maya, che significava "distruzione, abbandono o estinzione". Ciò che più ci sorprese fu che nel calendario sacro il dio della morte e il numero 10 venivano solitamente raffigurati con un teschio umano con mandibola articolata, dunque simile in tutto e per tutto al teschio di cristallo di Mitchell-Hedges. I maya avevano in effetti almeno due diversi sistemi di numerazione, come noi abbiamo sia il sistema numerico arabo sia quello romano. Il più frequentemente usato, e probabilmente profano, era quello basato su "punto e linea". In esso lo zero era rappresentato da un segno ovale, qualcosa di simile a un piatto, che alcuni considerano una conchiglia, un seme, un uovo o persino una simbolica raffigurazione del cosmo. Come ognuno di questi concetti, esso è colmo di potenzialità. Il seme non seminato rimane tale, come un uovo non fecondato rimane solo un uovo, ma seminando l'uno o fecondando l'altro, se congiunti con l'energia di forze complementari, si trasformano, diventano vivi, capaci di riprodursi all'infinito. Pur non essendo nulla, dunque, contiene possibilità infinite. Allo stesso modo il numero zero, combinato con altri numeri, apre la porta all'infinito. I maya ritenevano che l'intervento dell'energia complementare fosse il principio di tutta la vita, il principio tramite il quale la vita venne avviata all'inizio dei tempi. Lo zero è il vuoto dal quale fu creata la totalità del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 208
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cosmo, il nulla da cui si sviluppa ogni cosa. Esso significa potenzialità infinita. Lo zero esiste in relazione a ogni numero o combinazione di numeri, da solo non è nulla, ma combinato con altri numeri dà luogo a una congiunzione simbolica che può condurre a un numero quasi infinito di potenzialità. Gli altri numeri con cui viene combinato di volta in volta contengono dunque lo spirito del nulla. Nel sistema numerico di punto e linea, gli altri numeri sono rappresentati in maniera molto semplice: l'uno era rappresentato da un punto, il due da due punti in fila, il tre da tre punti in fila, il quattro da quattro punti, il cinque da una linea, il sei da una linea con un punto sopra, il sette da una linea con due punti sopra, e così via fino al dieci, rappresentato da due linee sovrapposte, e poi ugualmente fino al venti, rappresentato dal simbolo dello zero con due punti sopra (vedi la figura 20). L'altro sistema di numerazione, ritenuto di carattere più sacro, era quello delle "teste diverse", in cui i 13 numeri che vanno da zero a 12 erano rappresentati con un geroglifico consistente in una delle 13 divinità del mondo superiore. In questo sistema per esempio la divinità dello zero, Mi, viene raffigurata con la mano sulla mandibola. La dottoressa Linda Schele ha avanzato l'ipotesi che questo disegno potrebbe alludere a una forma alquanto crudele di sacrificio, in cui veniva asportata la mandibola del sacrificato. L'assenza della mandibola in questo geroglifico indubbiamente fa intendere che lo "zero" non era in grado di parlare.
Figura 20: Sistema numerico maya "a punti e linee" Il numero per noi più interessante ai fini dell'indagine sui teschi di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 209
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cristallo era il 10, lahun, spesso raffigurato col geroglifico d'un teschio umano dotato di mandibola mobile (vedi la figura 21). Questo dio veniva ritenuto il protettore dei numeri, e inoltre, essendo uno dei 20 nomi dei giorni, compariva 13 volte in ciascun anno del calendario sacro. Sebbene il sistema delle teste diverse, profondamente sacro, comprendesse solo le teste delle 13 divinità, nomi del giorno o numeri, i maya potevano servirsene per contare ben al di là di 13, il che d'altronde era indispensabile, se non altro perché il calendario sacro era composto da mesi di 20 giorni. Tale sistema numerico dunque si basava sul numero 20, era cioè vigesimale. Come il nostro è un sistema numerico decimale, che si basa sul 10, e ripete lo stesso schema da 1 a 9 in ogni decina successiva, il loro sistema aveva uno schema da 1 a 19, che veniva poi ripetuto per ogni ventina. I maya si servivano della mandibola mobile del glifo della testa, simbolo del 10, per convertire i numeri più bassi in quelli più alti - così come noi ci serviamo dell'1 per convertire il 3 in 13 - dando luogo a un totale di 20 numeri, compreso il dio dello zero. Il teschio dunque, pur rappresentando il nulla della morte, aveva in sé delle potenzialità. Come il nostro numero 10, la mandibola poteva essere usata per trasformare le possibilità matematiche... convertire i numeri inferiori in quelli superiori. Sembra che il senso simbolico della raffigurazione di un teschio con mandibola mobile stesse nel costituire un mezzo di passaggio dall'inferiore al superiore. Come la morte, esso dava la possibilità di spostarsi da un livello inferiore di realtà quotidiana e normale di veglia, o coscienza, a un livello di coscienza più alto. I maya credevano all'esistenza di livelli superiori di pensiero e coscienza nell'universo, nel loro mondo alto, sede delle divinità. E il teschio rappresentava il mezzo tramite il quale potevano elevarsi fino a quello stadio.
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Figura 21: Sistema a "teste variabili" dei maya in cui si vede il numero 10, lahun, raffigurato come un teschio umano con mandibola mobile Vale qui la pena di ricordare che solo dopo aver simbolicamente sconfitto la morte, solo dopo aver vinto la paura della morte e dopo essersi ricongiunti con gli antenati, i grandi gemelli eroi del Popol Vuh potevano vincere i mondi inferiori della morte e ascendere alle più alte sfere del cielo. Hunahpu, infatti, si diceva avesse combattuto in particolare con la divinità dello zero. Sconfiggendo il "nulla" della morte il gemello eroe era in grado di salire al di sopra dei nove livelli dell'oltretomba e di accedere al 10 della morte, l'aspetto che racchiude il potere di trasformare i numeri o livelli inferiori di coscienza ed esistenza, nei numeri e nei livelli superiori di coscienza del mondo alto. Il simbolo di un teschio con la mandibola mobile, che rappresenta sia il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 211
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dio della morte sia il numero 10 nel sistema delle teste diverse, è anche il simbolo della possibilità di passaggio ai livelli più alti di coscienza, al di là dei comuni mondi inferiori umani. È dunque anche presumibile che permetta di vedere nel passato e nel futuro. Eravamo così giunti forse a spiegarci perché l'artigiano del teschio di Mitchell-Hedges si fosse dato la pena di intagliarlo con la mandibola articolata: era probabile un qualche nesso col numero 10 del sistema di numerazione delle teste diverse usato dal clero maya per il computo dei giorni, e un potente simbolo di trasformazione. Se si porta via la mandibola, si ha un preciso riferimento allo zero, al nulla, alla morte, ma anche a varie potenzialità. Se si aggiunge la mandibola, si ha il numero 10, che ci porta al di là dei nove livelli dell'oltretomba, dove incominciano i regni celesti. Tutto ciò poteva in qualche modo ricollegarsi alla leggenda dei teschi che sapevano cantare? La figura del teschio inoltre si riferiva forse alla storia primeva, appariva un simbolico riferimento alle altre 12 divinità della cosmogonia maya che avevano creato la Terra e agli straordinari poteri divinatori dei primi antenati. Ci chiedevamo tuttavia se i numeri maya, oltre a funzionare a livello simbolico, non avessero un nesso anche con gli eventi trascorsi. Poteva darsi che le altre teste del sistema si riferissero al passato, alla creazione dei 13 originali teschi di cristallo? I numeri delle teste diverse potevano stare a significare che esistevano altri 12 teschi di cristallo e che quello con la mandibola separata fosse il numero 10 in una serie di 13? Era chiaro che la figura di un teschio, e in particolare di uno con la mandibola mobile, era parte integrante dell'antico sistema calendaristi-co dei maya, ma questo era veramente un teschio di cristallo? E in tal caso che senso aveva? Perché i maya avevano un giorno, e anche un dio, che si chiamava "morte"? Era forse questo il giorno in cui il calendario sacro raccomandava agli antichi maya di usare un teschio di cristallo? Eravamo ormai sicuri che il calendario era così importante per gli antichi maya che in ognuna delle loro stele incise e su ciascuna delle loro splendide realizzazioni artistiche avevano lasciato complicate iscrizioni geroglifiche che fornivano la data assolutamente precisa del momento in cui si era verificato, o sarebbe successo in seguito, l'evento rappresentato. Rivolsi di nuovo la mia attenzione al disegno che mostrava la signora Xoc di Yaxchilàn intenta a osservare quella che era una Chris Morton and Ceri Louise Thomas 212
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presumibile visione emergente da qualcosa molto simile a un teschio di cristallo. La data di questo episodio era comunicata con precisione: "9.13.17.15.12.5 eb 15 mac" del calendario maya, il che corrispondeva al 28 ottobre 709 della nostra era. Ma l'originale data maya non sembra avere alcuna chiara relazione con il nome dei giorni appena esaminato. Mi resi allora conto che mi ero dimenticata di un altro elemento fondamentale della calendaristica maya: l'importantissimo Conto Lungo. Sulle iscrizioni del Conto Lungo solo gli ultimi due numeri (nel nostro caso il 5 eb e il 15 mac) si riferivano al ciclo sacro di 260 giorni e a quello solare di 260. Gli altri si riferivano a periodi molto più lunghi, anche di diverse migliaia di anni, dipendenti in pratica dal movimento del pianeta Venere. Questo Conto Lungo tuttavia è in relazione non solo col normale ciclo del pianeta Venere intorno alla Terra, che si compie in 584 giorni, ma anche col suo intero ciclo relativamente all'asse della Terra, che si compie in un periodo di migliaia di anni. I cicli del pianeta Venere intorno alla Terra, normali anni venusiani, presentano una durata fluttuante, che va da 581 a 587 giorni. Anche se le fluttuazioni di per sé rivestivano un certo interesse per i maya, loro erano molto più preoccupati delle ragioni che ne stavano all'origine e che consistevano in minimi, quasi impercettibili spostamenti nel rapporto tra il piano di rotazione del pianeta Venere e l'asse di rotazione della Terra. I nostri astronomi fino a poco tempo fa non li avevano rilevati, ma quegli antichi studiosi prestavano un'attenzione quasi ossessiva al "Grande Ciclo di Venere", cioè al rapporto tra il piano dell'asse dei regolari cicli del pianeta e l'asse di rotazione della Terra stessa. Tutte le date del calendario venivano in sostanza correlate con il Grande Ciclo, che erano in grado di riconoscere nel lontano passato precedente alla loro storia, e di predirlo con esattezza nel futuro, ben al di là dell'epoca in cui la loro civiltà subì il misterioso tracollo. Le molte date del Conto Lungo che i maya ci hanno lasciato sui loro maestosi monumenti sono state trasformate in date del calendario gregoriano da uno studioso dei maya, Eric Thompson,5 e ne è emerso un disegno incredibile. Infatti è ormai sicuro che la data iniziale di tale calendario venusiano, il giorno "zero" del Conto Lungo maya, corrisponde al 13 agosto del 3114 a.C. del calendario gregoriano. In questo giorno il luminoso pianeta Venere apparve per la prima volta sull'orizzonte della Terra, segnando la nascita del cosmo quale lo vediamo noi oggi. Quello che stupisce è che la sera precedente, il sole al tramonto dovrebbe essersi Chris Morton and Ceri Louise Thomas 213
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allineato col teschio di pietra di Teotihuacàn, quindi è logico supporre che questa fu la data in cui venne fondata la città. Altra cosa interessante a proposito dei Grandi Cicli di Venere è che anche in questo contesto non manca la raffigurazione di un teschio. L'antico manoscritto maya noto col nome di Codice Copsi mostra diversi aspetti di Venere (vedi la figura 22). Ecco la spiegazione che ne dà il dottor Karl Taube: "In queste immagini è personificato il pianeta e la sua testa viene rappresentata come un teschio dagli occhi sporgenti. Venere vi è raffigurato mentre trapassa con la lancia alcuni personaggi che rappresentano varie cose minacciate da particolari aspetti di Venere. In cima [a destra] per esempio vediamo la dea dell'acqua, Chalchiuhtlicue, mentre viene trafitta. Questo fa capire al lettore che all'acqua in un dato momento succederà qualcosa, forse ci sarà una siccità. Sotto c'è il dio del mais che è trafitto, probabile riferimento alla perdita del suo raccolto. Con questi cicli di Venere dunque gli antichi maya erano, o almeno ritenevano di essere, in grado di predire quanto sarebbe successo ogni volta che Venere 'moriva'". I maya infatti, come gli aztechi, ritenevano che il mondo fosse stato creato e distrutto varie volte. Credevano di vivere nel "Quarto Mondo" o "Quarto Sole", e che gli dei avevano creato diverse volte non solo gli esseri umani, ma anche tutti i precedenti mondi, o ere, ciascuno dominato da un diverso dio. Ma ciascuno di questi mondi era stato distrutto da un qualche cataclisma. Secondo le più antiche storie maya, il primo mondo era stato distrutto dal fuoco sceso dal cielo, probabile riferimento a un'attività vulcanica o a un meteorite, il secondo dal sole, forse una devastante siccità, e il terzo mondo dall'acqua, presumibile riferimento a inondazioni, quindi un parallelo con la narrazione biblica del diluvio universale, con la storia di Noè e dell'Arca. La cosa più interessante è che, sebbene l'esatta causa della fine di ciascun mondo vari tra un resoconto e l'altro, i maya, a differenza degli aztechi, erano in grado di indicare date molto precise del momento in cui i passati mondi erano stati distrutti, in quanto la fine di ciascuno di essi coincideva con la fine di ciascuno dei precessi Grandi Cicli di Venere. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 214
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L'inizio e la natura dell'epoca attuale è registrata nei manoscritti; la data sarebbe il 13 agosto del 3114 a.C. Tutte le date del calendario del Conto Lungo si riferiscono a questa data dello "zero" - l'ultima volta in cui il calendario venne "rimesso a zero". La maggior parte dei codici maya si riferiscono all'umanità di questa era, che è la quarta e probabilmente l'ultima, come al "popolo del mais". Prima che venissero creati gli uomini di questa era, c'era stato un periodo di immense tenebre. Gli esseri così creati, neri e bianchi, lasciarono il loro luogo d'origine, che si chiamava Tulan. Questa infatti era la notte alla fine della quale il nuovo popolo aspettava ansiosamente la prima ricomparsa del sole. Allora essi videro "Venere, la stella che era la guida e l'annunciatrice del sole, e sentendosi molto felici bruciavano l'incenso".6
Figura 22: Particolare, dell'antico Codice Copsi dei maya, in cui si vede Venere con un teschio al posto del capo, nell'atto di trapassare altre divinità con una lancia; si ritiene rappresenti la distruzione di altri mondi esistiti nel passato Le attuali conoscenze astronomiche ci dicono che il mattino del 3114 a.C. la "stella" Venere avrebbe preceduto il sole. Inoltre è stato calcolato che le Pleiadi avrebbero attraversato il meridiano del cielo notturno Chris Morton and Ceri Louise Thomas 215
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immediatamente prima dell'alba, subito prima che Venere apparisse, mostrandosi per la prima volta ad annunciare il sole nel suo ciclo del Conto Lungo di 1.366.560 giorni. Molti dunque credono che gli antichi maya dovrebbero aver visto le Pleiadi come le grandi annunciatrici di Venere; esattamente come Venere annuncia la comparsa del sole, nella nostra era, così le Pleiadi avrebbero annunciato il sorgere dell'attuale Grande Ciclo di Venere. Le Pleiadi erano strettamente connesse con la più grande divinità del cielo, nota col nome di Itzamna; costui era considerato il capo del pantheon maya e molti ritengono che fosse il prototipo di quello che poi divenne Kukulcan, o il Quetzalcoatl degli aztechi, il fondatore di tutte le civiltà dell'America Centrale. Itzamna governava i cieli e l'importantissimo asse della Terra. Ciò che è interessante in questo dio è che forse c'era un nesso tra lui e la raffigurazione di un teschio, molto probabilmente di cristallo. Trovammo un punto di contatto tra il dio dell'asse terrestre e la raffigurazione di un teschio, e subito pensammo alla "voce del teschio" che parlava tramite Carole Wilson, e che prediceva un prossimo spostamento dell'asse terrestre. Quando consultammo l'esperto mesoamericano, il dottor Karl Taube, questi ci fece vedere il dipinto che si trovava su un antico vaso maya (vedi la foto in bianco e nero 45): "Questo è Itzamna, il dio dell'asse terrestre, seduto davanti a un pacco che sembra un involto sacro aperto contenente un teschio. Può essere che molti di questi involti sacri contenessero teschi, non necessariamente veri e propri teschi umani, bensì scolpiti in materiali preziosi. È probabile che nei sacri fagotti mettessero uno di questi oggetti a forma di teschio, quale segreto pezzo del tesoro... Si suppone vi mettessero anche le ceneri di importanti antenati, sculture in giada e forse anche teschi di cristallo". Come Karl ci spiegò, i maya avevano questi "fagotti sacri", nei quali riponevano gli oggetti più venerati, quelli che ritenevano risalire all'inizio dei tempi, al primo momento della creazione, alle genti più antiche. Tali oggetti erano conservati in grande segreto. Solo alcuni eletti di nobile lignaggio avevano il permesso di vederli; costoro erano detti i "custodi Chris Morton and Ceri Louise Thomas 216
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degli dei", in quanto erano gli unici a cui erano affidati la conservazione e il trasporto. Ogni tribù si portava dietro nelle migrazioni da un luogo a un altro questi oggetti gelosamente custoditi in un involto. Si tratta di un'usanza ancor oggi praticata da alcuni discendenti maya delle alture del Guatemala, nonché dagli indiani pueblo e da quelli delle praterie nell'America Settentrionale. I pueblo chiamano questi involti "fagotti della tribù" e come i maya dei tempi andati celebrano ancora delle cerimonie dette "riti del fagotto". Come i maya, credevano che questi oggetti, o conoscenze sacre, dovessero essere estratti dall'involto nel modo giusto e dalle giuste persone, al momento opportuno. Se la cerimonia avveniva in modo improprio, o era compiuta da una persona sbagliata in un momento non opportuno, sarebbe sopravvenuta la fine del mondo. Risalendo infatti al tempo delle origini, ai primi antenati, questi oggetti da una parte erano fonte di grande e benefico potere, ma dall'altra erano anche legati alla morte. Mi chiedevo se quell'immagine di Itzamna seduto davanti a quello che poteva essere un teschio di cristallo ce lo presentasse nel momento in cui stava inserendo o stava estraendo da esso le conoscenze. Però, perché mai il dio di tutti gli dei avrebbe dovuto estrarre informazioni da qualsivoglia oggetto? Sarebbe stata molto più coerente con l'antica leggenda su tali teschi - secondo la quale essi erano depositari di grande sapienza - l'idea che inserisse informazioni in un teschio di cristallo. Quali potevano essere queste conoscenze? Avevano qualcosa a che fare col passaggio dei Grandi Cicli del tempo? Secondo i maya alla fine di ognuno dei mondi precedenti c'erano state morti e distruzioni e, come apprendemmo in seguito, la data della fine dell'attuale mondo è stata finalmente interpretata: è categorica e spaventosamente prossima. Trasposta nel nostro calendario gregoriano, si colloca in un momento immediatamente prima del tramonto del 21 dicembre 2012, tempo dell'America Centrale! Che cosa dovrebbe in realtà accadere quel giorno nessuno può dirlo con certezza, quello che è sicuro è che gli antichi maya erano in grado di predire con precisione ogni eclisse solare e lunare. Sappiamo anche dai nostri calcoli astronomici eseguiti con l'aiuto del computer che, come predetto nel calendario maya, subito prima del tramonto del 21 dicembre 2012 Venere scenderà sotto l'orizzonte occidentale e nello stesso momento sorgeranno dall'orizzonte orientale le Pleiadi. Usando un linguaggio Chris Morton and Ceri Louise Thomas 217
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simbolico, potremmo dire che assisteremo alla morte di Venere e alla nascita delle Pleiadi. Nella terminologia maya il mondo attuale, o Grande Ciclo del tempo, dominato da Venere finirà. L'era attuale, o epoca, o "Sole" che dir si voglia, finirà. Per quell'antico popolo l'incertezza era se alla fine di ogni ciclo sarebbe iniziato o meno un altro mondo. La nozione maya secondo cui i Grandi Cicli del tempo si chiudevano all'improvviso era alquanto fantasiosa, ma la loro credenza che mondi precedenti fossero stati distrutti trova oggi conferme scientifiche. Scienziati della Cambridge University, sotto la guida di Simon Conway Morris, professore di Evolutionary Palaeobiology hanno recentemente trovato la prova dallo studio di fossili che "la vita potrebbe essere nata, scomparsa e ricomparsa quattro o cinque volte fino al periodo cambriano". 7 Hanno cioè scoperto che in diverse epoche della storia la vita ha prosperato per poi essere quasi improvvisamente spazzata via. Ogni volta che è successo, è seguito un periodo di milioni di anni durante il quale sulla Terra non esisteva più nulla. Per sapere se un altro di questi periodi sia imminente, dobbiamo solo aspettare e stare a vedere. Quello che è comunque sicuro è che l'immagine del teschio era intimamente collegata alla pratica divinatoria dei maya. Tutto ciò faceva parte della sapienza segreta che si diceva racchiusa nei teschi di cristallo? Ci chiedevamo se questi ultimi non avessero per l'umanità un messaggio in qualche modo collegato alla profezia.
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Figura 23: Il cielo al tramonto in America Centrale il 21 dicembre del 2012, mostra la morte di Venere e la nascita delle Pleiadi
16 LE PERIZIE DEL BRITISH MUSEUM Una volta tornati in Gran Bretagna, Ceri e io cercammo di fare il punto Chris Morton and Ceri Louise Thomas 219
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sull'indagine relativa all'origine e al significato dei teschi di cristallo. Indubbiamente l'immagine del teschio aveva avuto una grande importanza per gli antichi maya. Era associata con l'ardente desiderio di una visione, era parte sostanziale del sistema numerico e del calendario sacro, era collegata con la divinità di Venere, con la divinità dell'asse terrestre e persino con le profezie che essi avevano elaborato sulla fine del mondo. Avevamo anche scoperto che i maya creavano non solo opere d'arte splendidamente stilizzate, come erano la maggior parte dei teschi di cristallo, ma anche opere molto realistiche, per esempio il teschio di Mitchell-Hedges. Lungi dall'essere contadini ignoranti, quell'antico popolo aveva acquisito nella matematica, nell'astronomia e nel computo del tempo, conoscenze notevoli, pari se non superiori alle nostre. Ci mancava ancora una prova inconfutabile che nella civiltà scomparsa ci fossero stati teschi di cristallo. Mentre era affiorato qualche indizio secondo il quale gli antichi maya avrebbero potuto produrre dei teschi di cristallo, altri elementi facevano sospettare che fossero opera degli aztechi o dei mixtechi del Messico centrale o degli altopiani. Si sapeva che questi popoli avevano intagliato splendidi oggetti di cristallo e avevano fatto grande uso della raffigurazione del teschio. La maggior parte degli archeologi sembrava pensare che, se i teschi di cristallo erano di antica origine mesoamericana, con buone probabilità appartenevano a una delle due ultime culture citate. Altri dubitavano addirittura che fossero di origine centroamericana, ritenendoli puri e semplici falsi moderni. Dovevamo raccogliere altre notizie. Josh Shapiro ci aveva detto che era a conoscenza di tre teschi in grandezza naturale, di proprietà della signora Joke Van Dieten, residente in Florida. Uno di questi era chiamato "il Gesuita" a causa di un supposto collegamento con i gesuiti italiani e forse persino con san Francesco d'Assisi, un altro si diceva fosse giunto dalla Russia, e secondo Joke aveva più di 1000 anni, mentre quello che più interessava Josh era un altro detto "E.T." per le fattezze decisamente non umane e per la sua supposta "origine extraterrestre". Josh comunque ammetteva di non avere alcuna testimonianza sicura sul luogo d'origine di questi teschi. Ci raccomandò di essere molto cauti, in quanto ce n'erano attualmente in circolazione diversi fabbricati di recente non solo in Germania e in Messico, come già avevamo avuto modo di scoprire noi, ma anche in Chris Morton and Ceri Louise Thomas 220
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Brasile. Nonostante non presentassero la stessa squisita fattura dei teschi di cristallo ritenuti antichi e non possedessero gli stessi "poteri paranormali", c'era chi cercava di farli passare per articoli originali. Nick Nocerino ci aveva detto che tale Damien Quinn stava importando teschi di cristallo negli Stati Uniti dal Brasile. Costui non pretendeva di farli passare per "originali", ma naturalmente non poteva rispondere di quello che avrebbero raccontato coloro che li acquistavano. Come Nick aveva sottolineato, nessuno poteva impedire che uno li comprasse, li sotterrasse, fingesse di fare uno scavo e poi andasse a dire che si trattava di manufatti antichi. Nel frattempo circolavano voci su altri teschi nell'America Meridionale. Anna Mitchell-Hedges era stata contattata da una famiglia residente in Argentina che sosteneva di possedere un teschio di cristallo identico al suo. Un altro si trovava nel nord del Perù, nelle mani della tribù campa, che viveva isolata della foresta. Secondo questa indiscrezione, il teschio era ricavato da un unico blocco di quarzo chiaro, che però conteneva delle inclusioni azzurre negli occhi e in cima al cranio. Naturalmente ripensammo alla seduta medianica di Carole Wilson, nella quale era stato predetto che ben presto sarebbe stato trovato nell'America Meridionale un teschio azzurro, ma a questo proposito non esisteva alcuna prova certa. Nel frattempo tutto doveva essere quasi pronto per le perizie nel British Museum. Speravamo che ci avrebbero dato risposte sicure. Qualcuno di questi teschi di cristallo era un vero oggetto sacro antico, con un misterioso passato, o erano tutti frutto della tecnologia moderna, fabbricati solo a scopo di lucro? Sembrava che l'unico modo per saperlo fosse esaminarli in un ambito controllato e di sottoporli a una serie di analisi scientifiche. Era esattamente questo il tipo di esami che il British Museum si stava preparando a effettuare. Sotto la guida di Jane Walsh il British Museum aveva ora programmato di raccogliere quanti più teschi di cristallo fosse possibile, insieme con il proprio e con quello della Smithsonian: sarebbero stati sottoposti a indagini nel laboratorio di ricerca del museo inglese, sotto la direzione di uno scienziato appassionato ed esperto nella datazione delle antichità, il dottor Ian Freestone. Il British Museum era particolarmente interessato a conoscere tutto sulle origini del teschio in suo possesso. Se la teoria di Jane Walsh fosse stata confermata, e se si fosse scoperto che si trattava di un'imitazione moderna, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 221
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grande sarebbe stato lo scalpore, per la presa in giro dei dirigenti del museo e del pubblico. E i teschi appartenenti a privati? Se i proprietari avessero acconsentito, anche questi avrebbero potuto essere sottoposti alle analisi, grazie alle quali si sarebbe chiarito se erano stati anch'essi vittime di trafficanti di pochi scrupoli, imbroglioni o truffatori, o se invece i loro pezzi erano genuini manufatti antichi. E mi sorprese il fatto che i proprietari fossero disposti ad affrontare il rischio di sentirsi dire che il loro teschio era solo un falso. Quando ci addentrammo nell'esame di quanto le indagini avrebbero potuto rivelare, emerse che non sarebbero state tanto decisive come avremmo desiderato. Freestone ci spiegò che i manufatti di cristallo pongono sempre alcuni problemi: innanzitutto era impossibile datare il cristallo in sé e per sé, in quanto ogni pezzo poteva essersi formato miliardi di anni prima ed essere stato intagliato in seguito. Né d'altra parte si poteva ottenere granché analizzando campioni prelevati dalla sua superficie. Come avevano scoperto gli esperti della Hewlett-Packard, il metodo migliore per individuare l'epoca in cui era stato intagliato il cristallo era rappresentato dalla ricerca dei segni lasciati dagli strumenti adoperati per l'intaglio. La tecnica consiste nello stabilire quali strumenti erano stati utilizzati, esaminando i segni lasciati sulla superficie del cristallo. Questa indagine viene detta "analisi degli strumenti" e per quanto riguarda i teschi di cristallo la si effettua prendendo calchi di varie parti di ciascun pezzo, così da non danneggiare l'originale. I calchi di silicone vengono poi cosparsi di un sottile strato di oro, che viene infine sottoposto ad analisi tramite il microscopio elettronico a scansione. Questa operazione ci avrebbe chiarito se si rilevavano tracce di segni lasciati da strumenti "moderni". Col termine "moderno" gli scienziati indicavano qualsiasi segno presumibilmente lasciato dalla mola da oreficeria. Tali mole erano entrate in uso in Europa intorno al Quattordicesimo secolo. Attualmente sono di metallo e hanno punte di diamante o di altri durissimi materiali abrasivi che rendono molto più spedito l'intaglio di gemme dure e di altri minerali come il cristallo. Naturalmente sono azionate elettricamente, ma nel passato funzionavano a mano o col piede. Infatti, spiegò Margaret Sax del British Museum, specialista in analisi degli strumenti, si sa che gli antichi sumeri, popolazione della Mesopotamia che precedette i babilonesi, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 222
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adoperavano la mola per intagliare la pietra già nel 2000 a.C. Non si ritiene invece che tale strumento fosse conosciuto dai nativi americani. Secondo Jane Walsh e gli altri specialisti del laboratorio del British, la mola da oreficeria venne introdotta nelle Americhe dopo la scoperta di Cristoforo Colombo, cioè dopo il 1492. Gli antichi olmechi conoscevano sicuramente la ruota, tanto che a Tres Zapotes, sulla costa del Golfo del Messico, all'inizio del secolo è stato rinvenuto un oggetto che risalirebbe almeno al 1200 a.C, ma pare si tratti di un giocattolo. Jane Walsh e il British Museum non erano al corrente di prove che i mesoamericani usassero la ruota per altri scopi. Come infatti fece osservare Elizabeth Carmichael, i primi cronisti spagnoli riferirono che i locali intagliavano i loro straordinari oggetti di giada, ossidiana e cristallo unicamente a mano. Naturalmente i conquistatori spagnoli potevano avere interesse a presentare i nativi come un popolo di primitivi e anzi di selvaggi, per giustificare la brutalità con cui li trattavano. Mi sembra però improbabile che questo possa valere anche per le descrizioni sulle tecniche di lavorazione delle pietre. Il British Museum era del parere che prima dell'arrivo degli europei i locali non possedessero mole e intagliassero manualmente gli oggetti. A occhio nudo di solito è impossibile scorgere la differenza tra un pezzo di cristallo intagliato a mano e uno molato, ma con il fortissimo ingrandimento del microscopio elettronico, se qualcosa è stato molato lo si rileva dai piccoli graffi paralleli sulla superficie di cristallo, mentre un oggetto intagliato a mano presenta graffi distribuiti "a caso". Gli scienziati sapevano che sotto l'ingrandimento il teschio tedesco, quello intagliato con la mola nel 1993, avrebbe presentato sulla superficie dei solchi paralleli, testimonianza sicura di una lavorazione con strumenti moderni. Hans-Jùrgen Henn, il proprietario, era ben felice che il museo se ne servisse come oggetto di riferimento sul quale valutare gli altri. Mancava però un manufatto dell'America Centrale sicuramente antico per fare i confronti e sperimentare la teoria. Si riteneva che un manufatto di questo tipo avrebbe presentato uno schema di graffi non allineati, lasciati cioè da uno strumento manuale. Per condurre l'indagine e per renderla indiscutibilmente valida era dunque indispensabile avere a disposizione un manufatto originale da usare come riferimento. Dove scovare un pezzo di certo antico e con ogni probabilità intagliato a mano, di cristallo e di sicura origine mesoamericana? Chris Morton and Ceri Louise Thomas 223
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Il problema era che blocchi di cristallo sufficientemente grandi e provenienti da siti archeologici dell'America Centrale ufficialmente documentati erano assai rari. Mentre ci dibattevamo nel problema, la possibilità di ottenere un manufatto di cristallo dal Mesoamerica sicuramente antico appariva estremamente remota. Eravamo dunque ansiosi di sapere dal dottor Freestone se era possibile ricorrere ad analisi alternative rispetto a quella della ricerca degli strumenti di lavorazione. Lui ci spiegò che in effetti si poteva: bisognava capire dal cristallo stesso il luogo della sua provenienza originale. Conoscendo questo dato, sarebbe stato forse possibile stabilire quando era stato intagliato il teschio relativo. Se si fosse scoperto che un oggetto del genere era stato ricavato da un cristallo estratto nell'America Centrale, si sarebbe potuto ragionevolmente supporre che era stato intagliato dalla popolazione indigena. Se emergeva che era stato ricavato da cristallo europeo o brasiliano si poteva con una certa sicurezza presumere che era moderno. Jane Walsh sosteneva che il teschio del British Museum era probabilmente di cristallo brasiliano e non centroamericano. Gli archeologi ritengono in genere che nell'America Centrale non era stato importato cristallo dal Brasile precedentemente all'arrivo degli europei (nonostante quanto avevamo in precedenza appreso a proposito delle massicce lastre di mica presumibilmente importate dal Brasile nell'antica città di Teotihuacàn).
33 (in alto). Frederick e Anna Mitchell-Hedges (a destra, all'età di 20 Chris Morton and Ceri Louise Thomas 224
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anni) nelle foreste dell'America Centrale fine degli anni Venti 32 (in basso). Frederick Mitchell-Hedges, Lady Richmond-Brown e il dottor Thomas Garin sulle rovine di Lubaantun (1925 circa)
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36. Il teschio di Mitchell-Hedges mentre viene sottoposto alle perizie scientifiche presso i laboratori di cristallografia della Hewlett-Packard
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37. Ipotetica "immagine olografica di un Mitchell-Hedges
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UFO"
nel teschio di cristallo di
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38. "Statuine votive 4" estratte da La Venta (costa del Golfo del Messico) tra cui si vedono figurine fittili olmeche di aspetto "alieno" (datate a "molti secoli a. C.")
39. Scultura in pietra raffigurante il dualismo vita/morte nella cultura messicana pre-azteca già nel 1500 a. C.
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41. Statuina fittile mixteca della divinità della morte mesoamericana: Mictlantecuhtli
42 (in basso). Statua azteco di Mictlancihuatl, moglie di Mictlantecuhtli e dea del mondo dei defunti Chris Morton and Ceri Louise Thomas 229
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44 (in alto). Testa gigantesca in pietra rinvenuta a La Venta sulla costa del Golfo del Messico (datata a molti secoli a.C.) 43. Testa realistica in stucco trovata a Palenque, in Messico
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45. Antico dio dell'asse terrestre, capo di tutte le divinità, Itzamna, che vediamo seduto davanti a un teschio avvolto in un sacro fagotto
46. Disegno eseguito da Richard Neave del dipartimento di arte e medicina dell'Università di Manchester
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47. Disegno eseguito da Frank J. Domingo. del dipartimento omicidi della polizia di New York
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48. Patricio Domìnguez, consigliere spirituale pueblo
50 (in basso a sinistra). Petroglifi su una parete del canyon, visti nel corso d'una riunione navajo, da cu si desume la loro credenza nelle origini extraterrestri dell'umanità e dei teschi di cristallo
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51 (in basso a destra). Leon Secatero, capo spirituale navajo Come avevamo tuttavia scoperto però, il cristallo era stato importato dal Brasile in Europa per essere intagliato nella città tedesca di Idar-Oberstein. La ricerca della provenienza del cristallo sembrava un sistema quanto mai pratico per individuare l'origine dei teschi. Come ci spiegò Freestone, c'erano varie tecniche a cui ricorrere, che consistevano nell'analisi delle bollicine, le "inclusioni", di materiali estranei rimasti intrappolati nel minerale al momento della sua formazione. Questi materiali estranei, come la "pietra verde", rimanevano spesso inclusi nel cristallo dentro piccole sacche, di cui si può analizzare la misura, la forma e il contenuto - di solito è un misto di solidi, liquidi e talvolta di aria - allo scopo di individuare la provenienza del pezzo. Ma per analizzare l'esatta composizione delle impurità, si dovrebbe danneggiare l'oggetto in esame. Il modo più moderno e sofisticato per affrontare il problema consiste in una tecnica detta "spettroscopia Raman al raggio laser", cioè nel colpire con un raggio laser le inclusioni del cristallo; dato che ogni elemento impiega un tempo diverso a scaldarsi, l'analisi tramite computer di quanto avviene all'interno dell'inclusione può servire a scoprire esattamente quali siano le sostanze chimiche presenti. Purtroppo, la spettroscopia Raman al laser presuppone strumentazioni molto costose che il British Museum non possiede e che non può nemmeno permettersi di noleggiare. L'altra alternativa possibile è detta "analisi della diffrazione a raggi X"; con questo metodo si preleva un piccolo campione da qualsiasi inclusione presente in prossimità della superficie del cristallo e lo si sottopone a un bombardamento ad alta radiazione di raggi X. Se ne ottengono radiografie Chris Morton and Ceri Louise Thomas 234
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che mostrano un particolare schema di diffrazione. Siccome ogni elemento ha una struttura atomica, o forma, diversa dagli altri, diffrange i raggi X in uno schema specifico. Lo schema di diffrazione che si ottiene, dunque, può servire a scoprire esattamente quali elementi chimici siano presenti e di conseguenza da quale ambiente proviene il cristallo. Questa tecnica a prima vista sembra quanto mai convincente, ma c'è un problema: bisogna manomettere l'oggetto in esame. Insomma, l'unico metodo per individuare il luogo di origine del cristallo, non troppo dispendioso e che non danneggiasse il cristallo, consisteva nella tecnica piuttosto incerta della "videomicroscopia", cioè nel puntare un videomicroscopio - una videocamera con annesso un microscopio verso le inclusioni e chiedere a un geologo di esprimere la sua opinione sul possibile luogo di origine del cristallo, basandosi sulla misura, sulla forma e sulle eventuali colorazioni delle sacche di inclusioni. Ci sembrò un metodo poco scientifico: un esperto poteva essere in grado di capire da dove veniva un pezzo di cristallo semplicemente osservandolo tramite un microscopio, senza effettuare un'analisi dei suoi contenuti chimici? Conferimmo dunque col professor Andrew Rankin della University of Kingston a Londra, e consulente geologo esterno del British Museum, che era stato convocato per collaborare alle analisi. Rimanemmo molto delusi nell'apprendere che quando il museo aveva espresso l'intenzione di determinare da dove provenisse il cristallo di ciascun teschio, quello che intendeva accertarne era la provenienza geologica e non geografica. In altre parole, Rankin sarebbe stato in grado di dire la sua opinione sulla temperatura e sulla pressione nelle quali più o meno ciascun pezzo di cristallo si era formato, e quali altri minerali erano presenti nell'ambiente del suo accrescimento. Però non poteva indicare con precisione se proveniva dal Brasile o dall'America Centrale. Alcuni tipi geologici di cristallo tuttavia sono più comuni in Brasile e altri nell'America Centrale, quindi lui avrebbe potuto solo "avanzare un'ipotesi" sul luogo geografico da cui il cristallo era stato estratto. Il problema stava nel fatto che esistono talvolta più somiglianze che non differenze tra cristalli di aree diverse: lo stesso tipo può essere rinvenuto in regioni geograficamente lontane, per cui non avremmo mai saputo con sicurezza da dove proveniva il blocco di minerale, e sarebbe stato impossibile ottenere un'informazione certa sulla natura dei teschi, se cioè erano manufatti antichi o moderni, col solo esame del materiale di cui erano costruiti. Tutt'al più si poteva avanzare Chris Morton and Ceri Louise Thomas 235
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un'ipotesi. Adesso avevamo davanti ai nostri occhi diversi teschi di cristallo allineati e pronti per gli esperimenti, ma da quanto avevamo sentito sembrava che le analisi non avessero grandi probabilità di offrire risposte definitive, dato che mancava l'indispensabile oggetto di riferimento. D'altra parte, effettuare prove sul cristallo medesimo probabilmente non avrebbe fornito la sicura prova geografica che cercavamo. Cominciavamo a chiederci come si potesse arrivare alla verità sui teschi, quando Jane Walsh ci fece intravedere una soluzione. Aveva scoperto l'oggetto che serviva per verificare l'analisi degli strumenti: un grande manufatto di cristallo sicuramente antico scoperto in uno scavo archeologico in Messico. L'oggetto, conosciuto come "il calice di cristallo della Tomba n° 7 di Monte Alban", era relegato in un piccolo museo del Messico centrale. Il calice, di grande interesse dal punto di vista scientifico, ci appariva sempre più affascinante man mano che raccoglievamo notizie. Il luogo del suo ritrovamento, Monte Alban, si trova nelle vicinanze della splendida città di Oaxaca sull'altopiano del Messico, a sud di quello che era stato l'impero azteco e a nord dei territori dei maya antichi. Questo centro, che si ritiene risalga almeno al 500 a.C, è situato su una piattaforma in cima al Monte Alban, che vuol dire "Montagna Bianca", e presenta caratteristiche speciali: la città venne costruita sul luogo da cui era stata asportata tutta la cima della montagna stessa. Gli archeologi ritengono che l'insediamento fu edificato dagli zapotechi che abitavano questa regione più o meno nella stessa epoca in cui gli antichi maya occupavano una zona più a sud. Ben poco si sa di loro, nonostante da Monte Alban abbiano desunto che pure quel popolo aveva una forma di scrittura geroglifica, generalmente ritenuta la più antica del Messico, ma non ancora decifrata. È anche comprovato che gli zapotechi utilizzavano una versione più antica del famoso calendario maya basato sul sistema numerico di punto e linea, di cui potrebbero anzi essere stati gli inventori. Di essi però oggi rimane poco o nulla, se si escludono alcune misteriose incisioni su pietra raffiguranti dei "danzatori". Che si tratti proprio di danzatori nessuno lo sa con certezza, ma, al pari di anteriori incisioni olmeche rinvenute sulla costa del Golfo, essi sembrano raffigurare personaggi barbuti negroidi o caucasici, ulteriore prova che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 236
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nell'America Centrale erano arrivati visitatori dall'altra sponda dell'Atlantico o da qualche altra ignota provenienza (vedi la figura 24). Si ritiene che Monte Alban venne infine abbandonata dagli zapotechi e che nell'ultimo periodo fu abitata dai mixtechi, che salirono sull'altopiano del Messico proprio subito dopo il crollo della civiltà maya e prima dell'arrivo degli aztechi. Anche dei mixtechi si sa ben poco, se non che erano abilissimi artigiani, famosi per le loro numerose figure di teschi in ceramica (vedi la sezione di tavole in bianco e nero). Gli artigiani, a quanto pare, appartenevano allo strato più alto della società, e in seguito questo popolo venne inglobato nella civiltà azteca a formare una classe di schiavi-artigiani. I mixtechi, si suppone, erano anch'essi attenti osservatori delle stelle. Una delle costruzioni più rilevanti di Monte Alban è l'osservatorio astronomico a forma di J. Probabilmente costruirono la città in una posizione tanto particolare proprio per avere il vantaggio della quota e della libera visione del cielo, allo scopo di osservare le stelle rimanendo però quasi invisibili da tutta la regione circostante. Non si sa se l'osservatorio fu costruito dagli zapotechi o dai mixtechi, ma in ogni caso si trattava di gente che aveva un grande interesse per gli astri. Il calice di cristallo era stato rinvenuto nei lontani anni Trenta da un giovane archeologo spagnolo, Alfonso Caso, nel corso di scavi tra le rovine di Monte Alban. Caso, che oggi viene considerato praticamente il fondatore della moderna archeologia messicana, scoprì, appena sotto la superficie del terreno, e tutt'intorno al sito, sotto quelli che sembravano piccoli rilievi erbosi, dozzine di piccole camere funerarie o tombe. Sono state attribuite al periodo in cui il posto era occupato dai mixtechi. Erano dipinte in rosso e racchiudevano grandi recipienti di terracotta contenenti scheletri umani rannicchiati in posizione fetale; ogni tomba conteneva inoltre piccoli manufatti, pezzetti di giada o ceramica, che erano stati messi vicino ai defunti per accompagnarli nel loro viaggio verso la nuova vita dopo la morte. I rinvenimenti più importanti si ebbero in quella che con poca fantasia venne detta la "Tomba n° 7". Nonostante misurasse solo 2 metri per 3, era colma di ogni tipo di strani e splendidi oggetti, molti d'oro massiccio. Era un vero e proprio tesoro nascosto, con gioielli di fine fattura, ceramiche squisitamente modellate e un'infinità di pietre preziose. Insieme con i resti dello scheletro del defunto non ancora identificato, Alfonso Caso trovò un Chris Morton and Ceri Louise Thomas 237
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piccolo tappo per bocca, rocchetti per le orecchie e perle di cristallo, generalmente ritenuti in Mesoamerica segni distintivi della casta degli astronomi. Il pezzo assolutamente più suggestivo era un grande splendido calice, o coppa, ricavato da un cristallo di rocca puro, chiaro e senza difetti. Il calice era rimasto nella tomba per più di 1000 anni e sembrava intagliato con una tecnica che non presentava alcun segno di mola. Se avesse recato segni di questo strumento, si sarebbe dovuto dedurre che gli archeologi non erano sino allora stati capaci di riconoscere le capacità tecniche degli antichi mesoamericani. Indipendentemente da tutto ciò, era sicuro che il pezzo era stato intagliato prima dell'arrivo degli europei, quindi venne dichiarato manufatto originale antico. Da lì a un paio di settimane dovevano aver luogo le analisi, e noi ci chiedevamo se saremmo riusciti ad avere questo oggetto di valore inestimabile nel laboratorio del British Museum in tempo utile per gli esperimenti. I musei sono noti per la loro farraginosa burocrazia, e i prestiti dall'uno all'altro sono affari di incredibile laboriosità. Avevamo pochissimo tempo a disposizione per convincere le autorità messicane a prelevare questo fragile oggetto dalla sua sede e spedirlo in aereo dall'altra parte del mondo, all'unico scopo di sottoporlo a indagini scientifiche. Se i messicani avessero rifiutato il prestito, tutte le analisi sui nostri teschi di cristallo non avrebbero avuto alcun senso.
Figura 24: Alcuni dei "danzatori" barbuti e di razza bianca rinvenuti in siti olmechi come La Verna e Monte Alban Ci fu uno scambio di affannose comunicazioni per far sì che la coppa arrivasse a Londra. Sia il British Museum sia l'Istituto Nazionale Archeologico del Messico (INAH) si impegnarono nel modo più efficiente Chris Morton and Ceri Louise Thomas 238
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per far giungere il calice in Inghilterra. Il prezioso oggetto, del valore di oltre tre milioni di dollari, fu sistemato in una cassetta appositamente costruita e trasferito per via aerea nel più grande segreto e nella massima sicurezza al di là dell'Atlantico, accompagnato dal conservatore del museo Arturo Oliveros, che giunse infine al British Museum in un furgone blindato. Il teschio del British Museum era stato tolto dalla sua teca e ripulito e ora era lì in attesa nella cassaforte del museo insieme col teschio tedesco e con quello della Smithsonian. I proprietari privati di teschi stavano arrivando. Tutto insomma era pronto per dare avvio alle perizie. Sembrava che fosse giunto il momento di scoprire la verità sui teschi di cristallo. Quello che volevamo sapere era l'epoca della loro lavorazione per sciogliere finalmente il mistero. Grazie agli esperimenti avremmo potuto capire se qualcuno di quegli oggetti era un'antichità autentica o se erano stati tutti intagliati con tecnologie europee nel corso degli ultimi 500 anni. Nel laboratorio di ricerca del museo quella mattina si respirava un'aria di ansiosa attesa. Assistemmo a uno spettacolo di indicibile bellezza: sui vecchi tavoli di legno dell'alquanto cadente laboratorio a uno a uno i teschi di cristallo vennero estratti con estrema cura dai loro contenitori. Max uscì da un beauty-case nuovo di zecca, Sha Na Ra dalla sua custodia da viaggio, il teschio della Smithsonian da una grande cassetta di legno appositamente confezionata, mentre quello di Norma era stato portato semplicemente avvolto in un fazzoletto. Il calice diede il tocco finale alla parata. Ora erano lì in ordine sparso sul tavolo, tutti ne poterono cogliere col primo colpo d'occhio le differenze di misura, stile e forma. La vista d'insieme era eccezionale: c'era il gigantesco, e da taluni definito "maledetto", teschio della Smithsonian, con i lineamenti corrucciati e il ghigno malevolo; quello del British Museum, stilizzato ma affascinante e quasi assolutamente trasparente; il teschio tedesco dalle linee morbide e dall'aspetto "hi-tech", col suo limpido cristallo grigio-argento; Max, il "guaritore", dai lineamenti nebulosi e semplificati, che si riteneva essere appartenuto a uno sciamano guatemalteco; e infine Sha Na Ra, ancora non ben ripulito, dai lineamenti primitivi e dai denti rozzamente sbozzati, che aveva donato a Nocerino tante visioni. Accanto a questi, il teschio su cui era stata avvitata la croce reliquaria e infine lo stupendo calice di cristallo, simile al Sacro Graal così come io l'immaginavo. Il personale degli altri Chris Morton and Ceri Louise Thomas 239
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settori del laboratorio di ricerca non resistette alla tentazione di assieparsi nel locale per assistere allo straordinario spettacolo offerto da quella insolita raccolta (vedi le tavole a colori 25 e 26). Gli esperimenti ebbero inizio. Margaret Sax incominciò col ripulire la superficie dei teschi e dare una bella spazzolata ai denti di Max, sotto lo sguardo vigile di JoAnn. Procedette col prendere piccoli calchi di alcune parti dei teschi. Ne seguivo i gesti mentre lavorava su Max. Il sistema consisteva nel ricavare da tutti i teschi impronte delle aree che avevano richiesto il lavoro di intaglio più accurato, cioè le zone intorno ai denti e agli occhi. La stessa operazione fu eseguita anche sulle zone più lisce, sul colmo del cranio, per confrontare le diverse parti. Questi calchi sarebbero stati passati sotto il microscopio elettronico a scansione, i cui fortissimi ingrandimenti avrebbero evidenziato qualsiasi segno degli strumenti impiegati per l'intaglio. Sebbene l'analisi degli strumenti avesse ogni probabilità di essere la prova determinante, il British Museum era anche interessato a un'analisi della provenienza geologica del cristallo. Quando Margaret Sax terminava di lavorare su un teschio, lo passava al dottor Andrew Rankin che lo osservava al videomicroscopio. Questo strumento mostrava un'immagine ingrandita delle inclusioni all'interno del cristallo. Io lo guardavo mentre esaminava il teschio con la croce reliquaria: stava desumendo tutte le informazioni possibili dal confronto visivo dei vari tipi di cristallo da cui erano stati ricavati i teschi. Avremmo dovuto aspettare due giorni per avere gli esiti. Eravamo sulle spine. Da tanto tempo ormai stavamo rincorrendo la verità dei teschi ed ecco quasi giunto il momento fatale. Che cosa avrebbero rivelato gli esperti del museo? Nick Nocerino, JoAnn Parks e Norma Redo erano venuti in Inghilterra per apprendere che i loro teschi erano dei falsi di fabbricazione moderna, o stavano per avere conferma della loro autenticità? E quelli della Smithsonian e del British? Gli esperti erano stati raggirati, o i pezzi erano autentici? Ci ritrovammo di nuovo assiepati nel laboratorio del museo per ascoltare la sentenza. Un funzionario cominciò a riferire i risultati a partire dal teschio del British. Rimanemmo alquanto delusi nell'apprendere che sui denti erano state riscontrate tracce di mola, cioè era da considerare un oggetto "post-colombiano", perché bisognava ritenerlo intagliato con una Chris Morton and Ceri Louise Thomas 240
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tecnologia europea, vuoi in Europa vuoi nell'America Centrale qualche tempo dopo l'arrivo degli europei nel 1492. Anche il teschio della Smithsonian denunciava la presenza di tracce di mola. Quanto alla provenienza del cristallo di cui erano realizzati gli oggetti in questione, relativamente a quello del British Museum l'analisi geologica sembrava supportare l'ipotesi che non fosse antico. Andrew Rankin riteneva che il cristallo fosse probabilmente di origine brasiliana; non era in grado di dire da dove provenisse il materiale impiegato per il teschio della Smithsonian, ma Jane Walsh sembrava molto soddisfatta dei risultati, che confermavano la sua idea su Eugène Boban: almeno per quanto riguardava il teschio della Smithsonian, ne era entrato in possesso verso la fine del Diciannovesimo secolo in Europa, dove il manufatto era stato intagliato in un blocco di cristallo importato dal Brasile. A questo punto dunque due teschi potevano essere considerati dei "falsi". E gli altri? Norma Redo aveva tenuto un atteggiamento alquanto distaccato per quando riguardava quello di sua proprietà. Aveva detto che, per lei, non avrebbe avuto alcuna conseguenza se fosse stato giudicato di produzione moderna. Le prove sul teschio della croce reliquaria invece sembravano dare indicazioni contraddittorie. Margaret Sax aveva trovato su di esso segni di ambedue le lavorazioni. Sembrava che i particolari dei denti fossero stati ottenuti con una mola, e così pure il punto sulla sommità del cranio in cui era stata applicata la croce. Ma il resto era stato certamente lavorato a mano e mostrava tutte quelle caratteristiche che lo potevano far identificare come "oggetto caratteristico pre-colombiano". Questo pezzo dunque sembrava essere stato lavorato a mano e presumibilmente dai mesoamericani pre-colombiani, mentre in un secondo tempo i denti erano stati ritoccati con la mola. Secondo il dottor Rankin, il teschio della croce reliquaria era stato ricavato da un blocco di cristallo abbastanza grande, come si trovano solo in Brasile; quel che stupì fu che il cristallo sembrava dello stesso tipo impiegato per il calice di cristallo di Monte Alban, che aveva senza alcun dubbio almeno 1000 anni e che con ogni probabilità era stato ricavato da un blocco di minerale dell'America Centrale. La data incisa, 1571, che si trovava sulla croce infissa nel teschio venne ritenuta autentica, per cui anche il teschio non poteva essere che di un'epoca anteriore. Dunque avevamo un teschio di cristallo realizzato nell'America Centrale, qualche tempo prima o tutt'al più immediatamente dopo la Chris Morton and Ceri Louise Thomas 241
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conquista spagnola; solo i denti erano stati ritoccati in seguito. Quali erano gli esiti delle indagini sugli altri teschi? Nick Nocerino, JoAnn e Carl Parks erano estremamente tesi. Ma il funzionario del British Museum tagliò corto annunciando: "Non posso dire nulla sugli altri due teschi". Rimanemmo senza parole. Il funzionario appariva estremamente imbarazzato e si giustificò dicendo che erano stati dati ordini tassativi di "no comment" a tutti i membri dello staff. Che cosa era avvenuto? C'era qualcosa su Max e Sha Na Ra che non poteva essere reso pubblico? Il museo aveva scoperto che questi teschi erano veramente antichi? E come erano giunti a questa certezza? Erano arrivati a scoprire informazioni così sconvolgenti da non poterle divulgare? Avevano scoperto che si trattava di opera di extraterrestri, o qualcos'altro del genere? Oppure erano palesi falsi di epoca recente e il museo non voleva esporsi a denunciarlo apertamente? Provai a fare altre domande, per sentirmi rispondere che il museo si atteneva al principio di non eseguire analisi di oggetti di proprietà privata. Era una spiegazione che non stava in piedi. Il museo ci aveva messo sei mesi per prepararsi a eseguire le perizie, e fin dall'inizio sapeva che alcuni teschi appartenevano a privati. Certamente la dottoressa Jane Walsh aveva precisato nella sua comunicazione di ricerca che sperava di avere a disposizione sia teschi di musei sia di collezionisti privati, con lo scopo di condurre esami scientifici, e di divulgarli.1 Comunque stessero le cose, il teschio con la croce reliquaria apparteneva a un "collezionista privato", l'aristocratica Norma Redo, eppure il British aveva comunicato quanto era stato desunto dalle analisi effettuate su di esso. Nick Nocerino e JoAnn Parks uscirono dal museo estremamente contrariati e si ritirarono in albergo. Ci demmo un appuntamento per commentare gli avvenimenti della giornata. Allora, all'improvviso, mi venne in mente che forse i funzionari del British Museum, dopo aver scoperto che il teschio del loro museo e quello della Smithsonian erano di fattura recente, avevano dovuto mettere in questa categoria anche gli altri due, ma erano riluttanti a darne notizia, per paura di una qualche iniziativa legale da parte dei proprietari. Parlai con i funzionari del museo e feci una proposta: se i proprietari dei teschi avessero scritto e firmato una dichiarazione con la quale si impegnavano a non mettere in discussione le Chris Morton and Ceri Louise Thomas 242
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risultanze delle analisi, sarebbero stati disposti a comunicarcele? Mi sentii rispondere che questo non avrebbe cambiato le cose. Non mi diedi per vinto e tornai a parlare con JoAnn e Nick: ambedue dichiararono che, dopo aver fatto quel viaggio, credevano di avere il diritto di sapere la verità sui pezzi di loro proprietà, anche nel caso in cui fossero stati dichiarati falsi. Parks e Nocerino stesero dunque una dichiarazione scritta. In questi documenti i proprietari dichiaravano che non avrebbero fatto controdichiarazioni sui risultati delle perizie, qualsiasi fossero, e si impegnavano a non intraprendere alcuna azione, legale o di altra specie, contro il British Museum o la BBC, quali che fossero le loro dichiarazioni e quali che fossero gli esiti che avrebbero divulgato a proposito di Max e Sha Na Ra. Le dichiarazioni scritte furono consegnate a mano al British Museum, ma i funzionari opposero un nuovo rifiuto a comunicare quanto emerso dalle perizie, aggiungendo anzi, con nostro immenso stupore, che non era stata eseguita alcuna analisi sui due teschi in questione. Eppure noi e JoAnn Parks avevamo assistito di persona al rilevamento dei calchi su Max, e Nick da parte sua aggiunse che aveva visto con i suoi occhi Sha Na Ra sottoposto all'esame del videomicroscopio. Gli scienziati di certo non avrebbero analizzato e descritto le inclusioni e non avrebbero preso i calchi per poi non analizzarne i dati emersi. Il funzionario ribadì che non potevano esternare alcun risultato perché di analisi su questi teschi non ne erano state fatte. Opposero un netto rifiuto a fornire spiegazioni. Era una cosa assolutamente assurda. Cercammo di trovarne la ragione. A me venne in mente un'unica ipotesi: ricordavo che nel corso dell'operazione dei calchi, alcuni dei proprietari dei teschi e alcuni impiegati del museo si erano messi a chiacchierare tra loro e io avevo colto qualcosa che Jane Walsh aveva detto a Nick Nocerino. Per la precisione gli aveva chiesto dove avesse preso quel teschio. Nick allora le aveva mostrato una carta geografica e le aveva spiegato che aveva trovato Sha Na Ra nel corso di una specie di ricerca archeologica metapsichica lungo il Rio Bravo. Jane Walsh gli aveva anche chiesto se era uno scavo sponsorizzato da un museo, al che lui aveva vivacemente risposto: "Neanche per sogno!" La dottoressa Walsh allora gli aveva rivolto altre domande: era uno scavo con l'approvazione ufficiale del governo? "Neanche per sogno!" aveva di nuovo risposto Nick. "In scavi di quel genere non si trova proprio niente!" Questa conversazione poteva essere la causa di tutto. Sapevo che Jane Chris Morton and Ceri Louise Thomas 243
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Walsh non aveva manifestato di gradire quelle risposte e aveva detto qualcosa a proposito della Smithsonian e del British Museum: non volevano aver niente a che fare con manufatti di scavi abusivi. Nick però le aveva spiegato che negli anni Cinquanta in Messico gli scavi privati non erano ritenuti illegali, e questa precisazione sembrava aver chiuso l'argomento. Comprensibilmente però negli ambienti archeologici gli scavi abusivi sono visti come il diavolo. Se uno scavo non è autorizzato e controllato come si deve, si fa molta fatica a ricostruire tutti i fatti relativi e il lavoro degli archeologi diventa improbo. La delicatezza dell'argomento viene rafforzata dal numero di manufatti presenti nei grandi musei del mondo e sulla cui proprietà esistono accese controversie. Com'è logico, le nazioni da cui sono stati prelevati molti pezzi, prima o dopo avanzano pretese, denunciando di essere state "depredate" dei loro tesori. I musei dunque cercano attualmente di tutelarsi da eventuali controversie del genere. La teoria degli "scavi abusivi" però non poteva spiegare il rifiuto del museo a fornire notizie su Max e Sha Na Ra. JoAnn aveva detto ai funzionari del British Museum solo quanto di Max sapeva per certo, e cioè che lo aveva ricevuto da uno sciamano buddhista tibetano, a cui era stato affidato da uno sciamano guatemalteco. Al British non aveva detto nulla sulla sua provenienza, scavo abusivo o ufficiale che fosse. Il teschio della Smithsonian e forse anche quello del British Museum potevano aver avuto origini anch'esse poco chiare, eppure li avevano sottoposti ad analisi e ne avevano comunicato i risultati. Quando cercai di sapere se il silenzio (osse da attribuire alla provenienza illegale del teschio, mi sentii rispondere che l'istituto non era obbligato a spiegare perché avesse deciso di non comunicare ciò che era emerso. Ma perché questo silenzio? Eravamo sempre più sconcertati. JoAnn Parks era convinta che il museo avesse qualcosa da nascondere, che gli scienziati avessero scoperto qualcosa che non volevano far sapere al pubblico. Di che cosa poteva trattarsi? Forse, come la Hewlett-Packard nei confronti del teschio di Mitchell-Hedges, non erano stati in grado di trovare un qualsivoglia segno di utensile, vuoi meccanico vuoi manuale? In questo caso le implicazioni sarebbero state straordinarie. Avrebbe voluto dire che questi due teschi non erano stati intagliati da esseri umani ma che erano di origine anomala, forse extraterrestre. Che questo avesse atterrito i responsabili del museo? Oppure gli scienziati avevano scoperto Chris Morton and Ceri Louise Thomas 244
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che questi due teschi di cristallo erano i depositari di antiche e importanti rivelazioni? Eventualità alquanto improbabile. Altra ipotesi era che gli esperti si fossero trovati di fronte a risultati molto più banali, che non gradivano o a cui non erano preparati, in quanto contrari alle correnti convinzioni degli archeologi. Forse avevano scoperto che i teschi erano stati fatti a mano dallo stesso tipo di cristallo e nella stessa epoca del calice di cristallo? In tal caso, perché non dirlo? Ormai i proprietari dei teschi dovevano tornarsene a casa. JoAnn e Carl erano molto rammaricati di non poter conoscere i risultati scientifici su Max. Nick si mostrava alquanto incredulo: "Il fatto è che gli archeologi e gli scienziati non vogliono rivedere le loro posizioni", disse. "Su ogni cosa hanno le loro idee e non vogliono vedersele buttare all'aria. Preferiscono che tutto vada avanti così come va. Su questi teschi c'è una quantità di altre cose che non conosceranno mai, o che non vorranno mai ammettere di sapere." Mentre rivolgevo un ultimo sguardo a Max e Sha Na Ra che venivano accuratamente riposti nei loro contenitori, mi tornò in mente l'antica leggenda secondo la quale dai teschi, quando si sarebbero ritrovati tutti insieme, non per una volontà esterna e per effettuare prove scientifiche, sarebbero uscite delle rivelazioni. La leggenda diceva anche che questa conoscenza sarebbe stata comunicata all'umanità solo nel momento in cui fosse stata abbastanza matura per recepirla, probabilmente per evitare che le rivelazioni contenute venissero usate in modo sbagliato. Forse non eravamo abbastanza maturi per ascoltare la verità sui teschi, non eravamo abbastanza "evoluti" e "progrediti"? Ripensavo a tutte le nostre speranze di ottenere responsi dagli scienziati, i quali invece non avevano voluto aprire bocca. Mi venne allora il sospetto che avevamo affrontato i quesiti posti da tutti quei teschi di cristallo nel tipico modo in cui la nostra società reagisce ai tanti misteri cui si trova di fronte: pensando che solo la scienza può darci delle risposte, il che forse non è vero. Mentre posavo di nuovo lo sguardo su Max, all'improvviso la situazione mi sembrò comica e mi venne in mente la commedia fantascientifica The Hitchhiker's Guide to the Galaxy di Douglas Adams. In questa storia, a uno dei più potenti e intelligenti computer mai inventati viene richiesto di dare una risposta sul "mistero della vita, dell'universo, e di ogni cosa". Al computer vengono forniti tutti i dati reperibili e lui ci mette anni per Chris Morton and Ceri Louise Thomas 245
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svolgere il compito richiesto. Alla fine butta fuori la sua risposta: "42!" A quel punto tutti si chiedono se per caso non hanno posto una domanda sbagliata... E noi avevamo posto la domanda giusta a proposito dei teschi di cristallo? Credevamo che le prove scientifiche ci avrebbero spiegato una volta per tutte l'origine di ogni teschio e invece ci trovavamo al punto di partenza. I proprietari se ne tornavano a casa sconcertati, e quanto a noi eravamo sbalorditi: che cosa aveva impedito al British Museum di darci le risposte a cui tanto tenevamo? Qualche tempo dopo telefonai a un famoso esperto mesoamericano, il professor Michael D. Coe della Yale University. Quando gli raccontai la storia degli esperimenti presso il British Museum, fui sorpreso dalla sua risposta. A suo dire gli scienziati su cui avevamo fatto tanto affidamento non avevano posto le domande giuste. Il professor Coe ci disse che la presenza accertata di segni di mola su un teschio di cristallo, quali quelli rinvenuti sul teschio del British Museum e della Smithsonian, non provavano affatto che essi fossero di fattura moderna. Mi spiegò che, sebbene gli archeologi avessero sempre dato per scontato che nessuna civiltà pre-colombiana possedesse mole a ruota, esistevano indizi contrari a questa opinione. Sembra infatti che siano stati trovati alcuni rocchetti di ossidiana per le orecchie, sottili come un'ostia, assolutamente circolari, tanto che potevano essere stati realizzati solo adoperando uno strumento da intaglio a ruota. Questi rocchetti per le orecchie risalivano certamente al periodo azteco-mixteco. Quindi anche i teschi del British Museum e della Smithsonian potevano non essere affatto "moderni", dopotutto. Michael aggiunse: "Coloro che siedono nei laboratori scientifici non conoscono tutti gli aspetti della civiltà su cui stanno lavorando. Noi in effetti di queste culture non sappiamo nemmeno la metà di quello che crediamo di sapere. È necessario che la gente rimetta in discussione le proprie certezze". Era sua opinione, quindi, che gli esami del British non provavano nulla. Opinione che venne confermata da altri esperti mesoamericani, come il dottor John Pohl della UCLA. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 246
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Di sicuro comunque c'era che gli scienziati ci avevano lasciato a bocca asciutta. Per ragioni politiche o di altro genere, sembrava che non avessero posto le domande giuste, quindi non potevano avere giuste risposte. Da dove riprendere le indagini? La nostra delusione era totale, dopo aver creduto a un certo punto di essere vicini alla verità sulle origini dei teschi di cristallo. Che cosa fare adesso? Non ci sembrava giusto abbandonare la nostra ricerca: non ce la sentivamo proprio. Ci doveva pur essere una risposta. Ma la domanda era: come fare a scoprirla?
17 L'IDENTIKIT La nostra speranza di sapere qualcosa grazie alle perizie del British Museum era andata delusa. A questo punto pensammo di ampliare il raggio delle nostre ricerche. Esistevano infatti altre zone che non avevamo esplorato, strade che avevamo trascurato. Ora era forse venuto il momento di prenderle in considerazione. Quando avevamo parlato la prima volta con Jane Walsh della Smithsonian, gli esperti del museo avevano ipotizzato che, se qualcuno dei teschi si fosse rivelato anatomicamente corretto, forse l'artista l'aveva intagliato prendendo a modello un certo particolare individuo. In tal caso si sarebbe potuto ricostruire il volto della persona, e se non altro le sue caratteristiche razziali avrebbero aiutato a capire dove, e forse anche quando, l'oggetto era stato intagliato. Uno dei teschi di cristallo rispondeva alla descrizione di "anatomicamente corretto": quello di Mitchell-Hedges. Sembrava proprio il più interessante, in quanto l'équipe della Hewlett-Packard non aveva trovato su di esso traccia di lavorazione con strumenti meccanici. E poi, per effettuare le indagini medico-legali, non c'era bisogno di sottoporlo ad analisi aggressive, in quanto i tecnici lavorano solo su fotografie dell'oggetto. Il risultato sarebbe stato importante; se fossero emerse caratteristiche somatiche di un soggetto di razza bianca, il teschio poteva essere stato modellato in Europa, oppure in America ma in un'epoca posteriore alla conquista europea. Nel caso invece che il volto ricostruito avesse indicato Chris Morton and Ceri Louise Thomas 247
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un individuo di altra etnia, si poteva ritenere che fosse stato fabbricato da un artigiano della stessa popolazione. Se per esempio il volto ricostruito avesse presentato lineamenti negroidi, bisognava dedurne che con tutta probabilità era stato fatto in Africa, mentre se avesse presentato lineamenti mongolici, allora probabilmente si doveva dedurne che era stato fabbricato in Asia o dai nativi americani. Mentre Ceri seguiva un altro filone di ricerca, io parlai con Richard Neave, esperto legale in ricostruzioni e simulazioni anatomiche del Department of Art and Medicine dell'Università di Manchester. Richard è uno dei più noti specialisti del Regno Unito in fatto di ricostruzioni facciali. Il suo lavoro consiste soprattutto in un'opera di consulenza alla polizia nelle indagini su omicidi o persone scomparse. In alcuni casi l'unico elemento a disposizione è rappresentato da un cadavere in decomposizione o dallo scheletro di una vittima non identificata. Il suo laboratorio era un luogo veramente eccezionale. La prima cosa che mi trovai davanti entrando fu uno scheletro in grandezza naturale appeso a un sostegno, mentre in tutto il locale, fino al soffitto, gli scaffali erano colmi di parti anatomiche. Nel mezzo della stanza era collocato quello che a prima vista sembrava un teschio infisso su un palo, con la carne in decomposizione che ne pendeva a brandelli. Fui molto sollevato nello scoprire che la "carne in decomposizione" in realtà era creta rossoscuro che Richard stava applicando su un teschio per costruire l'immagine di colui a cui era appartenuto. Inoltre gli arti che sembravano mozzati erano copie in cera estremamente realistiche. Gli esposi il nostro problema. Avevo un "teschio" da identificare, ma c'era un piccolo particolare: era di cristallo. Si mostrò subito interessato, curioso di saperne qualcosa di più. Gli spiegai che non volevo aggiungere altro per non influenzare il suo giudizio. Richard dichiarò che era abituato a questa condizione, in quanto spesso la polizia gli chiedeva di lavorare "al buio" proprio per la stessa ragione. La sua unica preoccupazione era che, se il teschio di cristallo in questione era copia di uno vero, avrebbe potuto essere troppo stilizzato o carente nella sua lavorazione perché lui fosse in grado di ricostruire con precisione l'individuo da cui era stato copiato. Era comunque pronto a fare un tentativo. La cosa migliore sarebbe stata avere a disposizione l'oggetto originale per ricavarne una ricostruzione tridimensionale in argilla. Ma, visto che ciò non era possibile, lui era in Chris Morton and Ceri Louise Thomas 248
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grado di lavorare anche basandosi solo sulle foto, prese da vari angolazioni e a uguale distanza dall'originale, che gli avevo portato. Quando gliele feci vedere, gli occhi di Richard si illuminarono. "È bellissimo e anatomicamente perfetto!" Rimase così impressionato dalla precisione del teschio che si disse disposto a ricostruirne almeno approssimativamente il volto seduta stante. La tecnica di per sé era semplice, ma presupponeva abilità e conoscenze tecniche da parte dell'artista. Dispose le fotografie in bell'ordine sotto un foglio di carta da ricalco e davanti ai miei occhi incominciò a schizzare un disegno. Mentre lavorava mi spiegava che cosa stava facendo e la sua matita si muoveva veloce sulla carta da ricalco, facendo pian piano emergere la forma del volto misterioso. Mentre lui disegnava, gli chiesi se era possibile individuare il sesso oltre che la razza della persona cui quel teschio era appartenuto. Richard fu possibilista, facendomi notare che nei teschi "veri" esistono particolari specificatamente maschili o femminili; nel nostro caso però dipendeva dall'artista: aveva o meno riprodotto i tratti distintivi? Comunque stabilì che era la copia di uno vero, anche se mancavano alcuni minimi dettagli. Evidenziò la mandibola arrotondata, le arcate sopracciliari poco accentuate, le orbite più larghe... riscontrabili in soggetti femminili. Lo osservavo affascinato mentre le sue mani si muovevano sul foglio con maestria, aggiungendo i tessuti molli: il volto del teschio di MitchellHedges stava prendendo forma sotto i miei occhi. E mentre disegnava spiegava: "È un volto col naso dalla base larga e dal profilo leggermente arcuato, zigomi alti, la bocca alquanto larga e dalle labbra carnose, una mascella forte e ben segnata, una struttura ossea piuttosto massiccia. Gli occhi sono grandi e leggermente a mandorla, ma soprattutto quello che si evidenzia è un volto non grande ma largo e arrotondato. Non è un volto europeo. Direi piuttosto che richiama le caratteristiche somatiche della popolazione indigena delle Americhe, degli indiani americani. Difficile essere precisi sulla zona. Indubbiamente non è molto diverso dalle facce delle persone che ho visto nell'America Centrale e Meridionale, nonostante non escluderei nemmeno la popolazione indiana del Nordamerica. Non posso dire niente sui Chris Morton and Ceri Louise Thomas 249
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capelli e sulle sopracciglia. Un teschio non ci può dire niente di questi particolari, per cui possiamo fare solo delle ipotesi. E naturalmente non possiamo sapere l'età. Qui non vi è nessuno dei tratti che di solito ci possono dare qualche indicazione sull'età... Questo è tutto, io non posso andare oltre, ma sono sicuro che non è il cranio di un europeo e mi pare invece che sia proprio il viso d'una donna della popolazione indigena delle Americhe". Il volto pian piano emerso era senza dubbio quello d'una donna indigena americana (vedi foto in bianco e nero 46). A questo punto dunque avevamo qualche precisa notizia scientifica sul teschio di Mitchell-Hedges, a cui si era giunti indipendentemente da quanto avevano dichiarato Anna e Frederick. Esperimenti simili erano già stati fatti in America nel 1986. Anna aveva prestato il teschio a Frank Dorland per ulteriori ricerche e questi aveva a sua volta passato un calco in gesso, insieme con alcune fotografie, a un disegnatore, il detective Frank J. Domingo che lavorava per il dipartimento di polizia di New York. Quest'ultimo aveva tracciato una ricostruzione del volto quasi identica a quella disegnata da Richard Neave (vedi foto in bianco e nero 47). La cosa interessante era che si trattava dello stesso volto che Frank Dorland sosteneva di aver visto tramite il teschio mentre si trovava in stato di meditazione profonda. Lo aveva studiato anche, nonostante non avesse avuto la possibilità di ricostruirne il volto, il dottor Clyde C. Snow dell'ufficio statale del coroner di Oklahoma City, uno dei più importanti esperti legali di tutta l'America Settentrionale. Nel caso del teschio di cristallo di Mitchell-Hedges, Snow e la sua collega Betty Pat Gatliff avevano praticamente avuto tra le mani una forma in gesso prelevata dal teschio1 e avevano osservato un particolare abbastanza insolito. In una conversazione telefonica, Snow mi spiegò che uno dei tratti più impressionanti consisteva nel fatto che, nonostante fosse di una precisione anatomica incredibile, non sembrava essere la copia di una normale donna dei nativi americani. In particolare i denti, pur essendo stati resi con uno straordinario grado di precisione e dettaglio, non appartenevano a "nessuna razza umana": i molari presentavano un disegno a X. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 250
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In tutte le razze umane i molari hanno la superficie masticatoria non liscia, ma con cuspidi tra cui corrono solchi che formano un segno +. Ebbene, nel teschio di Mitchell-Hedges, stranamente, i solchi erano diversi e formavano invece un disegno a X. Dato il livello nel complesso notevole della precisione anatomica, Snow aveva l'impressione che non poteva trattarsi di un errore dell'artigiano: non aveva senso scendere in particolari e poi fare uno "sbaglio" così grossolano. Allora il modello su cui era stata fatta la copia non era di un essere umano... o almeno di nessuna delle razze oggi presenti sul pianeta. Eravamo più sconcertati che mai. Che il teschio fosse stato modellato a somiglianza di un "alieno"? Non era possibile. Oppure era forse la prova dell'esistenza di un'antica razza oggi estinta? Improbabile, eppure questo fatto, messo insieme al rifiuto dei funzionari del British Museum di comunicarci i risultati delle perizie su Max e Sha Na Ra, sembrava l'unico dato su cui conveniva orientare le ricerche. Mentre consideravo ancora una volta il viso disegnato da Richard, mi chiedevo chi poteva essere quell'incantevole giovane donna. Anna Mitchell-Hedges aveva detto che il teschio era stato intagliato prendendo a modello la testa di un sacerdote, ma ora sembrava si dovesse piuttosto pensare a una sacerdotessa. Frank Dorland d'altronde era convinto che il volto da lui visto apparteneva a una principessa pre-maya. Comunque fosse, al di sopra di ogni dubbio, il teschio di MitchellHedges aveva le fattezze caratteristiche di un indigeno americano. Era il più bello dei teschi di cristallo, da attribuire senza dubbio alle Americhe e non - assolutamente - a laboratori d'intaglio europei. Mi chiesi se la tesi dei teschi "made in Germany" non fosse stata una forma di criptocolonialismo archeologico, col quale si voleva far intendere che i popoli dell'America Centrale non potevano essere stati capaci di produrre quei teschi, nonché un modo per negare che fossero oggetti sacri: un altro metodo, insomma, per sminuire le realizzazioni artistiche del popolo messicano? Rivolsi ancora uno sguardo alle seducenti fattezze della donna misteriosa. In quale punto delle Americhe era nata? Poteva essere maya, o anche chinook, sioux o cherokee, o di un'altra qualsiasi tribù di una delle tre Americhe. Come fare a scoprirlo?
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18 LA PRESENZA NEL CRISTALLO Mentre Chris si recava presso l'artista-medico-legale, io andavo a trovare il "professor Brainstorm" o, per essere esatti, Harry Oldfield, il quale ha condotto ricerche nel campo dei cristalli, con risultati molto controversi. È uno studioso sui generis, e mi chiedevo se sarebbe stato in grado di darmi qualche suggerimento per arrivare alla verità sui teschi. Non nutrivo grandi speranze, d'altra parte non avevo nulla da perdere. Eravamo decisi ad andare fino in fondo al mistero, in un modo o nell'altro. Nel centro di "elettrocristalloterapia" di Ruislip, nel nordovest di Londra, in una villetta bifamiliare, trovai un ambulatorio pieno di persone che giravano con una scatola legata intorno al corpo. Harry usava i cristalli caricati elettricamente per curare ammalati a cui la medicina ufficiale non dava più speranze. Ero molto scettica in proposito, ma non potevo ignorare che tutti i possessori di un teschio di cristallo sostenevano che quegli oggetti avevano il potere di guarire. Avevano forse un effetto determinante sul corpo umano? Ero d'accordo con la dottoressa Linda Schele, la quale definiva i teschi di cristallo "reliquie del Ventesimo secolo". Li paragonava a quelle reliquie di corpi di santi di cui nel medioevo si faceva commercio per le loro presunte doti terapeutiche. Senza dubbio molte di quelle reliquie erano false, ma la gente le credeva miracolose, e si sa che quando uno crede nel potere benefico di una qualsiasi cosa, spesso ne trae vantaggi. Ora però mi trovavo davanti a ricerche che contraddicevano ogni mia convinzione. Uno studio scientifico sugli eventuali effetti benefici dei cristalli era stato condotto negli Stati Uniti da C. Norman Shealy, che lo aveva descritto nel libro Miracles Do Happen.1 Shealy aveva studiato gli effetti dei cristalli sulla depressione. Selezionati 141 pazienti con depressione cronica, consegnò ad alcuni un pezzo di vetro e ad altri un pezzo di quarzo, da portare al collo. I pazienti naturalmente non sapevano che cosa fosse toccato loro. Dopo due settimane, l'85% presentava un miglioramento, con ogni probabilità un "effetto placebo". Ma sei mesi dopo solo il 28% di coloro a cui era toccato il pezzo di vetro riferivano il perdurare del miglioramento, mentre fra quelli a cui era toccato il cristallo, l'80% dichiarava di continuare a sentirne i benefici effetti. Almeno per la depressione dunque, sembrava che il cristallo avesse risultati che andavano Chris Morton and Ceri Louise Thomas 252
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al di là dell'effetto placebo. Ma che cosa pensare della teoria che i cristalli sono in grado di guarire anche malattie fisiche? Harry Oldfield sostiene di aver sperimentato i poteri terapeutici dei cristalli trattando con successo una vasta gamma di patologie, dal cancro alle malattie cardiache, all'artrite. Mi accolse con un'energica stretta di mano. Aveva l'aria d'un ragazzino, nonostante avesse superato i quaranta. Mi disse che il suo interesse per i cristalli era maturato per vie abbastanza tortuose. Harry, che era professore in una scuola media di Londra, aveva cercato in ogni modo di destare l'interesse per le scienze nei suoi studenti. Un giorno portò in classe una macchina fotografica in grado di riprendere anche l'aura: si tratta di un apparecchio che fotografa l'alone di energia elettromagnetica che avvolge il corpo umano, evidenziandola tramite colorazioni, tecnica nota come "fotografia di Kirlian", elaborata al di là della Cortina di Ferro negli anni Trenta. La filosofia orientale e la pratica medica alternativa ritengono che il corpo possieda diversi centri energetici attraverso i quali fluisce l'energia elettromagnetica, concezione respinta dalla maggior parte degli scienziati occidentali. Mi tornò in mente la teoria di Dorland, secondo cui il corpo produce un'energia misteriosa che può essere modificata dal contatto col cristallo. Questa era esattamente la teoria che stava alla base del lavoro di Harry Oldfield. Tornando a Harry e alla sua scuola, gli studenti incominciarono a osservare leggere differenze tra il campo energetico di chi stava covando un'influenza e quello di chi era in buona salute. Il professore comprese a questo punto le possibilità della fotografia di Kirlian come strumento diagnostico e ne elaborò una versione video, che chiamò PIP, cioè "poly contrast interface photography", la quale evidenziava anche gli eventuali disturbi nel campo magnetico. Tali disturbi si verificherebbero prima che compaiano i sintomi fisici di una qualche malattia. Le diverse configurazioni indicherebbero l'esatta localizzazione della patologia. Mentre in un primo momento Harry aveva lavorato in stretto contatto con la classe medica ufficiale, in un secondo tempo, quando volle passare dalla semplice diagnosi alla cura, constatò che i clinici non erano disposti a seguirlo. Fino ad allora si era limitato a diagnosticare, inviando poi i pazienti in ospedale, ma aveva l'impressione che le cure mediche convenzionali, nel caso di malattie come il cancro, erano spesso poco indicate. A suo giudizio l'approccio "taglia e brucia" era spesso troppo Chris Morton and Ceri Louise Thomas 253
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invasivo per il fisico, così cercò di elaborare una terapia più dolce. Iniziò col costruire una macchina che funzionava con le frequenze di energia naturali proprie del corpo. Lavorò molto all'invenzione, perché, capiva, mancava qualcosa. Fu un amico a suggerirgli di provare a usare i cristalli. Incominciò a sperimentarli e trovò che erano proprio il pezzo mancante. Attualmente Harry si serve dell'elettricità per stimolare i cristalli e per mandare un impulso nel corpo del paziente; sostiene che essi possono essere caricati anche a mano, ma persino il miglior terapeuta non è sempre in grado di farlo. Una volta stimolato dal cristallo di quarzo, il corpo comincia a sfruttare le proprie forze elettriche per guarire. Oldfield considera il proprio lavoro una "riequilibratura" del corpo e paragona se stesso a un accordatore che deve aggiustare un pianoforte stonato. I cristalli funzionerebbero come strumento per l'accordatura. Harry mi spiegò che l'uso terapeutico del cristallo non era una novità, in quanto si trattava di una pratica conosciuta da millenni dai nativi americani: sosteneva di aver avuto la conferma della loro convinzione, secondo la quale il cristallo non era un oggetto inanimato ma aveva dentro di sé una presenza vivente. Passò poi a descrivermi come vi si era imbattuto. Stava lavorando col videosistema per le immagini e registrava le alterazioni nel campo energetico di una paziente, quando lo sguardo gli cadde sul cristallo che la donna teneva in mano: da esso sembrò uscire una strana sostanza eterea. Invisibile a occhio nudo, era invece evidente sul video. Si muoveva sulla superficie, sembrava un serpente che strisciava fuori da un cesto. "Buon Dio! Guardate qua!" esclamò Harry, ma in quello stesso momento l'essere svanì. Lo chiama "la presenza nel cristallo", l'entità che vive all'interno del cristallo. Dopo di allora, rivide numerose volte la creatura evanescente, facendone persino varie videoregistrazioni. Non potevo crederci! Harry mi invitò a verificare con i miei occhi. Mi sedetti, lui scelse un blocco di cristallo. La presenza non c'era in tutti, mi avvertì. Io tenevo il cristallo in mano, mentre Harry metteva in funzione la cinepresa. Cominciai a fissare lo schermo su cui compariva la mia mano che reggeva il cristallo. Dopo un po', ecco presentarsi una strana forma simile a un serpente. Sebbene guardando direttamente il cristallo che avevo in mano non si vedesse nulla, sullo schermo compariva invece una forma bianca semitrasparente. Mentre, quasi paralizzata, lo fissavo, pensavo a quelle sculture degli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 254
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antichi maya che mostravano la signora Xoc tutta presa dalla visione di un serpente che usciva da un teschio. Era qualcosa del genere che lei stava guardando? Era un serpente fantasma? Questo strumento elettronico ci permetteva forse di vedere effettivamente cose che di norma potrebbero essere viste solo in uno stato alterato di coscienza? O era una qualche forma di inganno ordito con l'aiuto della cinepresa? Mossi leggermente la mano e qualsiasi fosse la cosa che stavo guardando, scomparve. "Gli piace il calore della mano umana, ma non il movimento", esclamò Oldfield tutto eccitato. Deposi il cristallo. Che ci stavo a fare io là? Ero stata plagiata o avevo veramente visto una "presenza" in un pezzo di cristallo? Harry ora stava parlando in preda all'emozione. Indubbiamente era entusiasta della scoperta. "Gli altri stanno a cercare forme di vita aliena, quando noi le abbiamo qua", disse. "Questa è una forma di vita che non rassomiglia a nessun'altra del pianeta. Non appartiene al ciclo del carbonio." Harry aveva veramente individuato una forma di vita non appartenente al ciclo del carbonio, o la sua era pura fantasia? Mentre me ne andavo, ero combattuta tra le due ipotesi. Veramente i nativi americani credevano che il cristallo fosse in certo senso vivente? Era assurdo. Il pensiero corse di nuovo a Star Johnsen-Moser e al suo contatto con la "presenza" nel teschio. Era questo l'essere che viveva nel cristallo? Non era solo fantascienza?
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Figura 25: Alcuni dei territori di antiche tribù negli Stati Uniti e nell'America Centrale
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IL POPOLO DEL TESCHIO La notte seguente alla mia visita a Harry Oldfìeld, e dopo che Chris mi aveva raccontato ciò che era emerso parlando con l'esperto legale, feci un sogno molto vivido e alquanto conturbante... Camminavo da sola in mezzo a un'immensa pianura erbosa, verso sera, mentre stava calando l'oscurità. A un certo punto, in lontananza, vidi un gruppo di indigeni americani nei loro tradizionali costumi. Se ne stavano seduti in cerchio e su di essi aleggiava un'aria di severa compostezza. Mi avvicinai, un vecchio si alzò e mi venne incontro. "Sei venuta ad aiutarci", mi disse con fare gentile. Rimasi sorpresa. "Mi spiace", risposi. "Credo che tu ti stia sbagliando." A questo punto mi svegliai. Sul momento non diedi importanza al sogno: non mi pareva avesse un particolare significato. Alcuni giorni dopo ricevemmo una telefonata da mio cugino Gerry, che vive ad Albuquerque, nel New Mexico. Sapeva delle nostre indagini sul mistero dei teschi di cristallo e, tutto eccitato, ci comunicò che sul lavoro gli era capitato di parlare con qualcuno dell'argomento che ci stava a cuore. Costui gli aveva detto di aver sentito parlare di una comunità di navajo non lontana da lì che possedeva un teschio di cristallo. Fino a quel momento la nostra indagine ci aveva messo in contatto con archeologi, possessori di teschi e scienziati: non avevamo parlato con un rappresentante dei nativi americani. Mi chiesi se non era stata una grave omissione. Se usavano i cristalli per operare delle guarigioni, come ci aveva fatto sapere Harry Oldfìeld, forse se ne servivano anche per altri scopi. La ricostruzione dell'esperto legale aveva reso visibile il probabile volto femminile che aveva ricoperto il teschio di Mitchell-Hedges. Dovevamo pensare che i teschi avevano origine nordamericana e non centroamericana come avevamo sempre creduto? Parlammo col collega di Gerry, il quale ci disse che quella notizia l'aveva sentita da un amico... che a sua volta l'aveva sentita da un amico... per cui non poteva sapere cosa ci fosse di vero. In sostanza il teschio era ritenuto un oggetto sacro da quella popolazione, che faceva di tutto per tenerlo segreto. L'unico modo per scoprire qualcosa era recarsi in New Mexico e raccogliere notizie nelle varie riserve navajo, alla caccia di un Chris Morton and Ceri Louise Thomas 257
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qualsiasi indizio sul teschio di cristallo. Il paesaggio desertico era straordinariamente suggestivo, con lunghi tratti di strada che si snodavano per chilometri e chilometri senza segno di presenza umana. La prima traccia del teschio di cristallo dei navajo la trovammo nella riserva di Monument Valley, stupefacente ambiente desertico, qua e là interrotto dalle imponenti torri delle mesas di arenaria rosso cupo che si innalzano con le loro pareti verticali e le cime piatte in tanti film western. Avevamo scambiato qualche frase con un giovane navajo gestore di un ranch di turismo equestre, il quale ci aveva consigliato di andare a parlare con Emerson, uno sciamano che abitava non lontano da lì, o col capo del ramo canoncito ban dei navajo, residenti più a sud, verso Albuquerque. Ci incontrammo con Emerson in una trattoria della brutta cittadina di Gallup, tra Monument Valley e Albuquerque. Era un tipo tarchiato e dai capelli neri, con tanto di occhiali da sole; aveva un modo di fare spiccio e meditava a lungo prima di aprire bocca. Era un guaritore, cioè uno sciamano, che esercitava nella zona di Window Rock in Arizona. Non ci seppe dire se i navajo possedevano un teschio, ma ci confermò che l'uso terapeutico del cristallo era diffuso tra i navajo degli Stati Uniti meridionali. Non avrebbe però saputo spiegarci come funzionasse il cristallo: "È difficile descrivere come vanno le cose, perché tutto avviene grazie al potere dello Spirito, e per un essere umano spiegare qualcosa che avviene grazie al potere dello Spirito... be', è una cosa che non so fare. Però funziona, funziona davvero! La nostra gente fa uso del cristallo e guarisce davvero col suo potere". La capacità di sfruttare il potere, disse Emerson, gli era stata donata da Dio, lui non faceva che "gestire il potere che il Grande Spirito" gli aveva dato. Lo sciamano utilizza il cristallo come strumento di diagnosi e anche di cura. Ci disse: "i cristalli si usano di notte, quando nel buio si possono vedere delle cose dentro". Se uno è ammalato, lui ricorre allo "spirito del cristallo" per esaminarne il corpo:
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"È come una radiografia, è un modo per riuscire a guardare dentro la persona e vedere che cosa c'è che non va. Ed è meglio, perché si può vedere tutto, a tre dimensioni e non a due, anche l'anima dell'ammalato. Non è una fotografia, non è ferma: tutto si muove. Puoi vedere anche dentro te stesso e il cristallo ti mostrerà lo spirito maligno per purificarti. Non ti so dire con precisione come funziona, però funziona!" Emerson, come Harry Oldfield, non aveva alcun dubbio sui poteri terapeutici del cristallo, ma, a differenza di Harry, lo sciamano lo utilizzava per stimolare la propria capacità percettiva, per riuscire a vedere in una maniera del tutto diversa. Ci accomiatammo da Emerson, ci dirigemmo verso la riserva canoncito e chiedemmo dov'era l'abitazione del capo. Finalmente fummo davanti al suo piccolo camper, sistemato insieme con parecchi altri sul fianco di una collina desolatamente spoglia. Il capo non era affatto come me l'ero immaginata: non l'imponente e solenne personaggio che si è abituati a vedere nei western, bensì un ometto minuto, dal volto affilato, gli zigomi alti e ben disegnati e un sorriso simpatico, amichevole, quasi malizioso (vedi la foto in bianco e nero 51). Si distinguevano chiaramente le forme del cranio che stavano sotto ai suoi delicati lineamenti, quasi che fosse lui stesso un teschio, sia pure vivo e vivace, ricoperto da un sottile strato di pelle leggermente cotta e aggrinzita dal sole e dal vento. Si chiamava Leon Secatero e preferiva essere definito piuttosto "leader spirituale" che non "capo" della sua piccola comunità di indiani canoncito. Non si dimostrò sorpreso né turbato dalla nostra visita inaspettata. Quando però gli dicemmo che stavamo cercando un teschio di cristallo di cui avevamo sentito dir qualcosa nella zona, divenne confuso e incerto su cosa rispondere. Alla fine ammise che i teschi di cristallo erano molto importanti e la sua gente li riteneva sacri, così sacri che non gli era permesso neppure di parlarne liberamente con gli estranei perché solo gli eletti potevano sapere dove si trovavano. Per tradizione non li maneggiavano in pubblico e poi non era possibile portar fuori dal suo ripostiglio - che è nel cuore delle montagne - il teschio. Solo lo sciamano che lo aveva in custodia sapeva dove fosse. Insomma, non ci avrebbe svelato nulla, ma, aggiunse, potevamo tornare Chris Morton and Ceri Louise Thomas 259
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di lì a qualche giorno... forse ci avrebbe detto qualcosa. Visto che eravamo in zona, andammo a visitare gli antichi ricoveri trogloditici degli anasazi nella Mesa Verde, dove le abitazioni erano scavate nelle rocce dei dirupi, e le più imponenti rovine della zona, quelle di Chaco Canyon, dove arrivammo dopo un faticoso tragitto di una quarantina di chilometri lungo una pista appena tracciata nel deserto e nel letto di torrenti in secca (vedi la foto in bianco e nero 49). Le impressionanti costruzioni nella pietra sono opera della popolazione anasazi di oltre 1000 anni fa, anche se non si sa con esattezza a quando risalgano le più antiche; poi furono abbandonate intorno al 1100 d.C, prima quindi dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Anasazi significa "gli antichi". Ben poco si sa di questo popolo, se non che sono forse i predecessori degli attuali pueblo e forse anche degli hopi e dei navajo della stessa regione. Si sa anche che hanno avuto scambi con gli aztechi e forse anche con i maya, residenti migliaia di chilometri più a sud. Prova ne è che gli antichi mesoamericani costruivano molti oggetti in turchese, pietra che poteva provenire solo da questa regione. Inoltre, in alcune rovine anasazi si sono scoperte penne di macao risalenti ad almeno il 1000 d.C; questo pappagallo dagli splendidi colori si trova solo nelle foreste del Messico meridionale o ancora più a sud. Secondo le ultime teorie, le popolazioni di questa zona e gli aztechi avevano un'origine comune. Il "luogo delle sette grotte" a cui si riferisce la leggenda azteca oggi si ritiene fosse presso Durango, nel Colorado meridionale. Anche gli anasazi erano eccellenti astronomi. Molti dei loro edifici e dei loro monumenti erano orientati con precisione per l'osservazione delle stelle e le divinazioni. A Chaco Canyon, per esempio, su una delle grandi pareti rocciose sono incise delle figure a spirale; grandi fessure in un dirupo vicino fanno sì che i raggi del sole vadano a colpire il centro della spirale solo nel solstizio d'estate, e due raggi di luce battono sui lati della spirale soltanto nel solstizio d'inverno... insomma tutta la configurazione rocciosa funziona da orologio naturale. Come i maya, gli anasazi credevano all'esistenza di altri mondi. Le loro "kiva" cerimoniali - edifici circolari seminterrati - venivano considerati la porta di accesso ad altre dimensioni. Da quanto si sa, gli accessi venivano aperti solo quando i pianeti formavano certe precise configurazioni nel cielo, come dimostrato da aperture esattamente orientate tutt'intorno al Chris Morton and Ceri Louise Thomas 260
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bordo della kiva. Perché questi popoli antichi fossero così interessati ai moti dei pianeti e delle stelle era una domanda che continuava a ronzarci nella testa mentre tornavamo verso l'abitazione di Leon Secatero. Quando vi arrivammo, Leon ci accolse tra i nipotini che stavano giocando lì fuori, e ci invitò a entrare. Era stato tutto preso dall'organizzazione di una riunione della tribù per il giorno seguente, ma ci disse che si era consultato con gli altri anziani e con gli spiriti; per tradizione loro non usavano parlare dei teschi, ma gli anziani navajo avevano anche accennato a un momento in cui tutti gli abitanti della Terra avrebbero "imparato a parlare la stessa lingua". Come ci spiegò Leon: "Dicevano che sarebbe venuto un tempo in cui i discendenti dei bianchi sarebbero venuti a chiedere ai nativi americani di renderli partecipi della loro scienza e della loro saggezza, e di insegnare loro come salvare la Terra dalla distruzione". Ecco perché aveva deciso di svelarci qualcosa a proposito dei teschi. I navajo erano un popolo nomade, fino al Diciassettesimo secolo fiero e indipendente; quando nella loro terra giunsero gli spagnoli, la comunità di Leon, quella dei canoncito, veniva chiamata "il popolo del teschio". In qualità di capo anziano della piccola tribù, era lui a custodire le testimonianze del suo popolo e a tenerne in vita la storia. Possedeva ancora una vecchia mappa degli antichi territori occupati all'arrivo degli invasori. Gli chiedemmo se questi territori erano di loro proprietà e lui ci rispose categoricamente: "Nella nostra tradizione non crediamo che ci sia chi possiede la terra. Non è la terra che appartiene alla gente, ma il contrario, cioè è la gente che appartiene alla terra. E il nostro popolo appartiene a questa terra, la terra del teschio". Prese e dispiegò una copia della vecchia mappa, e allora capimmo le sue parole. Vista dall'alto, la terra tradizionalmente abitata dalla tribù dei canoncito aveva la forma di un teschio di profilo, che copriva un'immensa distesa di deserto. Leon indicò un monte sulla mappa e spiegò che per la sua gente questo era "l'orecchio del teschio". Una montagna da sempre sacra per tutto il popolo navajo, il quale, come scoprimmo in seguito, la chiama "la sacra montagna di cristallo". Leon poi indicò una vasta zona di terra depressa, una specie di grande canyon, e ci disse che i suoi la chiamano "l'occhio del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 261
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teschio" o "l'occhio del Santo". Poi mostrò con la mano il suo camper e il ristretto territorio in cui è attualmente confinata la sua gente e ci svelò che quella zona era detta "la bocca del teschio" o "la bocca del Santo". Leon ci chiese però di tenere per noi tutti quei particolari, perché il suo popolo non voleva che nessuno venisse a cercare i teschi di cristallo. Ci spiegò che i bianchi avevano già carpito loro troppe cose, e la sua gente non voleva che qualcuno venisse a rubare anche gli oggetti più sacri. Comprendeva la nostra curiosità a proposito dei teschi di cristallo, ma ci scongiurò di "non andare in giro a cercarli". Meglio non occuparsene nemmeno. "Non c'è alcun bisogno che la gente veda il teschio, basta sappia che esiste e che è lì. Ti prego, accontentati di questo anche tu. Lui c'è e sta facendo quanto è suo dovere ed è custodito con cura. Prova a pensare che sia come le montagne, gli alberi, il vento e la pioggia." Aggiunse che quando i teschi di cristallo vengono chiusi nelle bacheche dei musei "perdono tutti i loro poteri". Poi ci raccontò una storia che aveva sentito dal nonno. Il suo popolo, una volta, aveva trovato uno splendido oggetto di cristallo di quarzo. Era "simile a un congegno dei nostri giorni": "Quando venne messo in funzione, emise lampi luminosi, come raggi laser, in tutte le direzioni. Nel Diciassettesimo secolo arrivarono gli spagnoli in cerca d'oro. I canoncito non possedevano oro, ma capivano che i nuovi venuti volevano qualcosa e loro volevano accontentarli... allora un giovane della tribù andò a prendere quel congegno nella grotta in cui era nascosto e lo offrì agli spagnoli, credendo che fosse questo oggetto che stavano cercando. Ma loro non sembrarono apprezzarlo, lui cercò di spiegare come funzionava e lo mise in azione... ne uscirono i raggi di luce accecanti. Gli spagnoli, atterriti, aprirono il fuoco sull'oggetto e sul ragazzo, quindi se ne andarono via sui loro cavalli, lasciando il giovane moribondo e l'oggetto ridotto in mille pezzi". Per i navajo canoncito questa fu una lezione dolorosa e crudele; seppero che i bianchi avrebbero distrutto tutte le cose che non capivano. I canoncito vennero sterminati, come milioni di altri nativi americani; quelli che non furono uccisi dagli europei morirono a causa delle malattie che i Chris Morton and Ceri Louise Thomas 262
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bianchi avevano portato. Solo il vaiolo e il colera pare ne abbiano uccisi 10 milioni tra l'America Settentrionale e quella Centrale; i pochi indigeni sopravvissuti furono sospinti in riserve sempre più esigue, con pochissime possibilità di farcela. I canoncito ban furono ridotti in condizioni praticamente intollerabili. L'esperienza li aveva resi molto diffidenti nei confronti degli stranieri. "Ma adesso", disse Leon, "è ora di portare a conoscenza di tutti le tradizioni della mia gente." Incominciò a raccontare le origini del suo popolo. Era uscito dall'occhio del teschio" emergendo dalle profonde grotte dopo un grande diluvio e ogni anno tornava sul posto per celebrare alcuni riti sacri. Con cautela Chris gli fece presente che, secondo archeologi e antropologi, tutti i nativi americani erano passati dall'Asia all'America Settentrionale su un ponte di terra, in corrispondenza dell'attuale Stretto di Bering, che fino a circa 10.000 anni fa collegava la Russia nordorientale all'Alaska. Non era dunque da lì che era venuta anche la sua gente? Leon rispose che pure a lui, a scuola, avevano dato questa versione, ma i suoi nonni gli avevano detto che non era assolutamente vero. Egli sospettava, ci confidò, che gli studiosi avessero una qualche ragione per sostenere che i popoli indigeni non appartenevano a questi territori più dei primi coloni bianchi, mentre invece il suo popolo conosceva bene la propria storia: loro si trovavano su quel continente "dall'inizio dei tempi". Gli anziani gli avevano detto che sarebbe venuto il momento in cui il suo popolo avrebbe dovuto aiutare i "discendenti dei bianchi", quindi era stato deciso che saremmo stati i benvenuti se avessimo voluto partecipare al pellegrinaggio annuale sul luogo delle origini. Mai, in precedenza, a questo rito sacro aveva partecipato qualcuno estraneo alla tribù, a parte qualche rappresentante delle tribù limitrofe di indiani apache, pueblo o hopi. L'idea ci entusiasmò moltissimo, e quindi alcuni giorni dopo tornammo all'abitazione di Leon, in tempo per il raduno. Erano presenti già una trentina di persone. Partimmo. Dopo ore e ore di sobbalzi in mezzo alla polvere, in un paesaggio aspro e spoglio come quello lunare, oltrepassammo una grande montagna dalla cima squadrata e arrivammo a un campeggio abbandonato. Chris e io montammo la tenda con l'apertura verso la fantasmagorica Chris Morton and Ceri Louise Thomas 263
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visione del deserto. Stavamo per disfare i bagagli, quando fummo avvicinati da una ragazza. "I vecchi vorrebbero sapere perché la vostra tenda è rivolta verso nord", disse sorridendoci. Ci guardammo intorno sorpresi e constatammo che tutte le altre tende guardavano in un'altra direzione. Alquanto imbarazzati, la smontammo e la rimontammo con l'apertura verso est, così da poter salutare il mattino dopo il sole nascente. Mi allontanai per fare due passi. La luce stava scomparendo al di là dei canyon e degli arbusti del paesaggio desertico, e le montagne si profilavano azzurre in lontananza... una terra immensa e suggestiva. Il paesaggio si apriva davanti a me, solitario e selvaggio fin dove arrivava lo sguardo. Incominciai a chiedermi se il fascino del teschio non stesse per caso nel fatto che era il contenitore del cervello. Era forse la fede nella supremazia della mente umana a conferire ai teschi di cristallo tanto potere? In tutta la storia occidentale l'intelletto è sempre stato valutato come il più prezioso degli aspetti fisici della vita, quasi che il corpo fosse qualcosa di meno importante. La nostra cultura aveva sempre messo la mente in cima a tutto, perciò abbiamo finito con l'accettare quel sistema di valutazione in altri campi. Siamo convinti che ogni cosa può essere separata, isolata, valutata e giudicata secondo il valore che riveste per noi. Intuii che la ricerca sulla verità dei teschi di cristallo era stata viziata da questo modo di ragionare per gerarchie e giudizi. La ragione aveva avuto la meglio su tutto. Avevamo voluto classificare e incasellare i teschi, catalogarli per antichità, misura, valore. Ci eravamo preoccupati di sapere se erano antichi o moderni, veri o falsi. Erano certo quesiti importanti, forse però non ci avrebbero consentito di conoscere meglio quegli oggetti per noi così importanti. Anzi, potrebbero averci allontanati dalla verità. Non era forse meglio cominciare a guardarli da un punto di vista diverso? In quello stesso momento il mio sguardo colse qualcosa che baluginava. Scesi con passi incerti il pendio accidentato della collina e con mia meraviglia scoprii, emergente dal terreno, un immenso blocco di cristallo; tutt'intorno, sparsi qua e là, c'erano altri pezzi di cristallo puro. Ne presi uno, pensando di portarmelo in tenda, ma venni immediatamente sopraffatta dal pensiero che forse era meglio lasciare tutto dove stava. Lo rimisi a terra e tornai all'accampamento. Fui accolta dalla calda luce arancione d'un fuoco. Su un fornello all'aperto, in un immenso paiolo, stava cuocendo uno stufato di agnello. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 264
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Aiutai le donne navajo a preparare il "pane fritto", un delizioso tipo di pane non lievitato per accompagnare lo stufato. Nella tradizionale società navajo tutte le donne rivestivano pari importanza. Come mi spiegarono, la loro cultura non si fondava sul sistema gerarchico; in quella società non c'era nessuno che venisse ritenuto migliore o peggiore: tutti erano in grado di dare un loro apporto alla comunità. Per questo, quando si riunivano, si disponevano sempre in circolo, nessuno era considerato superiore o inferiore agli altri. Le donne navajo sono spesso capi spirituali, e infatti fu una di loro che si mise in contatto con gli spiriti all'alba del giorno seguente. Sulla sessantina, vestita con la lunga tunica tradizionale, i capelli raccolti sulla nuca in una crocchia "stile navajo", si mise nel mezzo dello spazio lasciato libero tra le tende dell'accampamento. Gli altri si sedettero intorno, proteggendosi dal freddo mattutino del deserto con le caratteristiche coperte multicolori tessute a mano. La donna si sedette nel mezzo, chiuse gli occhi, cadde in trance e incominciò a parlare nella sua lingua con gli spiriti. Dagli spiriti speravo di udire parole di grande saggezza, e invece essi presero a raccomandare a tutti, chiaro e tondo, di "purificare la loro condotta"... si capiva che non approvavano il carattere "usa e getta" della vita moderna, ma preferivano le vecchie usanze, quando ognuno prendeva quanto gli era indispensabile e non buttava mai nulla. Il severo richiamo mi fece pensare a come si può trascurare il rispetto per l'ambiente senza nemmeno accorgersene, e quanto i nostri comportamenti quotidiani contribuiscano allo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali della terra. Un monito, questo, sull'importanza di soppesare le implicazioni di ogni gesto, per insignificante che possa sembrare. Quando gli spiriti ebbero finito di parlare, ci spalmammo le guance con un sottile strato di argilla bianca per far capire agli spiriti del canyon che camminavamo nella terra dei viventi e non in quella dei morti. Poi, tenendo ciascuno in mano un ramoscello, ci dirigemmo in silenzio verso il canyon sacro. Una leggera brezza spingeva le nubi all'orizzonte. In testa al corteo camminava la ragazza più giovane, seguita dai parenti anziani, l'uno dietro l'altro, e poi con lo stesso ordine venivano gli uomini. In segno di rispetto verso gli spiriti i maschi portavano una striscia intorno alla testa e le donne invece vesti lunghe e gioielli di turchese (i navajo infatti pensano che il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 265
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turchese favorisca il contatto con gli spiriti). Al pari di molte tribù dell'America Settentrionale, come gli hopi, e altre dell'America Centrale, quali i maya e gli aztechi, i navajo pensano che il mondo precedente a questo sia stato distrutto da un immane diluvio. I sopravvissuti si erano rifugiati sotto terra fin quando le acque non si erano placate, e proprio lì, dal canyon che stavamo visitando, erano tornati alla luce i primi uomini dopo il diluvio. Ogni anno facevano la processione per onorare i progenitori, e quelli che erano venuti dopo, e quelli che sarebbero venuti dopo ancora. Prima di addentrarci nel canyon, sul terreno venne sparso del polline, che per i navajo è simbolo di fertilità e di perpetuazione della vita, mentre si recitavano preghiere di ringraziamento. Il sole era alto e noi ci inoltrammo nel canyon dove antiche incisioni sulle pareti raccontavano la storia del popolo navajo. I petroglifi, così vengono chiamati, sono come le pagine di un libro antico, che narrano la storia con immagini incise sulla pietra. Tracciata sulla superficie delle rocce c'era tutta la storia della creazione, con una miriade di forme viventi, mammiferi, uccelli, insetti e persino alcune che sembravano amebe. C'erano creature a noi familiari, altre invece estinte, e altre ancora in parte umane e in parte di altra specie. Questi strani esseri dall'aspetto alieno erano coloro che i navajo ritenevano venuti dal cielo (vedi la foto in bianco e nero 50). Pensai che i petroglifi fossero la testimonianza di come la pietra sia sempre stata usata per trasmettere messaggi... infatti era stata scelta anche per i dieci comandamenti consegnati a Mosè. E anche gli hopi possiedono un insieme di istruzioni, antiche e particolareggiate seppur incomplete, incise su tavolette di pietra. Mentre osservavo le splendide incisioni sulle pareti, mi chiedevo quale messaggio avremmo lasciato noi alle future generazioni. Leon ci aveva informati che, secondo un detto del suo popolo, si deve sempre pensare alle implicazioni che ogni nostro atto può avere sulle sette generazioni future. E noi occidentali, per quante future generazioni valutiamo le influenze dei nostri comportamenti? Depositammo i ramoscelli freschi sui rami degli alberi del canyon quale offerta agli spiriti degli antenati defunti, e lì, sotto gli antichi petroglifi, vennero recitate preghiere in navajo e compiuti riti di propiziazione per la sopravvivenza dei navajo e di tutta l'umanità. Infine, mentre stavamo abbandonando il canyon in solenne silenzio, nel cielo apparve uno splendido arcobaleno. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 266
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Quando alla sera ci ritrovammo nell'accampamento, accendemmo un grande falò e ci sedemmo tutti attorno a esso, stanchi ma con lo spirito rasserenato. Il cielo era limpido e le stelle brillavano sopra di noi. Levando lo sguardo all'immensa volta stellata ci chiedevamo chi potessero essere i misteriosi personaggi incisi sulle rocce. I navajo li avevano chiamati "divinità venute dal cielo"... alieni? Ce ne stavamo seduti davanti al fuoco, quando Leon ci raggiunse e guardando le stelle disse: "Oggi, durante le preghiere, avete udito più volte pronunciare la parola navajo sohodizin... Essa sta a significare la luce riflessa dalle stelle. Vuol dire che tutta la vita, tutto il creato, viene dalle stelle. La Terra ruota nello spazio come un 'astronave. E a ruotare intorno a noi, talvolta a meno di 50 anni luce di distanza, ci sono delle supernove che potrebbero distruggerci. L'unico mezzo di controllo è rappresentato dai teschi di cristallo; essi sono parte della matrice di cristallo che collega noi che stiamo sulla Terra col resto dell'universo". Aggiunse che i teschi di cristallo originari erano stati fatti "dai santi". Più tardi, però, altri teschi erano stati prodotti dagli uomini. Questi teschi di cristallo, disse, erano stati "modellati usando capelli umani". La gente aveva usato i propri capelli per sgrossarli e lucidarli, anno dopo anno. Per il suo popolo i capelli sono sacri: "... sono come l'antenna che ci collega all'anima, perché contengono informazioni. Tutta la nostra vita è registrala nei capelli, quindi se li usiamo per lucidare un teschio di cristallo, l'informazione passa al teschio, il quale allora arriva a contenere tutto il sapere di coloro che l'hanno foggiato e lucidato". Secondo la concezione navajo i teschi fatti dai santi erano "un modello, un prototipo dell'intera umanità"... "contenevano l'essenza dell'umanità, come un programma". Leon aggiunse che "per tutte le cose c'è un programma, c'è un altro livello sul quale esistono tutte le cose, invisibili però a occhio nudo". Ma è su "questo livello che tutte le cose furono inizialmente create". Quest'altra dimensione contiene tutte le "dimensioni e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 267
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definizioni di ogni cosa, per tutte le specie, compresa quella umana": "In questa dimensione è racchiusa l'informazione intrinsecamente collegata a tutte le specie. Ogni specie animale ha un prototipo in questa dimensione che contiene le informazioni relative alle sue caratteristiche fisiche e materiali. I biologi hanno chiamato i processi che avvengono in questa dimensione invisibile 'campi'. Ogni specie animale ha un campo di informazione che non è visibile, ma nondimeno è indispensabile per ogni forma vivente. I teschi di cristallo sono come questo campo di cui parlano i biologi, ma dotati di forma fisica". I teschi dunque rappresentano non solo il modello dell'informazione mentale, materiale e fisica necessaria all'umanità, ma anche quello ideale. Secondo Leon: "I teschi sono come una mappa del nostro potenziale umano. Essi definiscono i nostri limiti, definiscono che cosa siamo e che cosa possiamo diventare. Contengono il vero paradigma delle capacità umane. Fin quando i teschi rimangono dove sono, l'umanità continuerà a camminare sulla Terra. Essi esistono per aiutare l'umanità a imboccare il giusto cammino, per far sì che, le montagne rimangano intatte... che i continenti rimangano dove sono attualmente. Se i teschi di cristallo subiranno dei cambiamenti, anche l'umanità li subirà. Questi sacri oggetti ci sono vicini, in parallelo con noi e con la nostra evoluzione umana; contengono il complesso di istruzioni fondamentali per l'umanità. I teschi di cristallo, come noi, esistono nella mente del Grande Spirito, quello che voi chiamate 'Dio'. Noi, come i teschi di cristallo, fummo creati un giorno nella mente di questi esseri di un'altra dimensione. I teschi di cristallo sono ciò che essi usavano come modello per portarci in questa forma fisica e materiale. Così siamo tutti legati a questo originario atto di creazione, che ci piaccia o no". Dissi a Leon che non ero sicura di aver capito le sue parole. A me era stato insegnato che l'evoluzione umana è il risultato del nostro DNA e del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 268
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processo evolutivo. Ma lui ribatté con gentilezza:, "Capirai... Non voglio dire che il DNA e l'evoluzione non abbiano un ruolo. Voi occidentali non avete ancora visto il quadro in tutta la sua ampiezza, ma esso si paleserà col tempo. I teschi sono cose diverse tutte insieme. Funzionano in modo tanto misterioso quanto essenziale al nostro benessere. Hai mai sentito parlare del richiamo della natura? E quella voce che odono solo gli animali. È la voce potente che li riporta al loro primigenio modo di essere. Ecco, questa è la voce dei teschi di cristallo. Noi viviamo in un oceano di suoni e vibrazioni: il suono ci avvolge, ma è attraverso questo immenso oceano che può trasmettersi la voce dei teschi di cristallo. Il suono che essi emettono non è percepibile dall'orecchio umano. Lo possiamo sentire solo col nostro 'orecchio interiore'. Senza questo suono nulla potrebbe vivere, poiché è esso che anima tutto... Lo produce una foglia che si schiude in primavera, è quello che si produce al momento del concepimento. È lo stesso che si produsse quando la Terra nacque e quando a noi venne data la forma umana. E il suono stesso, meraviglioso, della creazione, che è anche dentro di noi. "Se ci pensi, siamo tutti fatti di suono. Ogni cosa non è che vibrazione che si muove e cambia di continuo... la nostra intelligenza, la nostra conoscenza è vibrazione. Il cristallo è una vibrazione di un particolare tipo che canta al nostro spirito. Giunge attraverso il silenzio, e lo vediamo con il cuore. E per questo che i teschi talvolta vengono detti 'cantanti'. Il loro canto è la gioia della creazione, la meraviglia dell'esistenza... ci ricordano che siamo venuti alla luce, che siamo parte del miracolo della creazione. Questo suono può aiutarci a imboccare il retto cammino attraverso lo spazio e il tempo. "Ogni essere umano ha un collegamento con i teschi di cristallo, perché il suono impercepibile della creazione vibrando dal teschio di cristallo al tuo cranio, è già penetrato nei tuoi pensieri. È parte di una forza invisibile che sostiene la tua vita. È una vibrazione insita in ogni cosa. E una nota che sempre ci accompagna. È il dono della creazione che ha reso visibile la nostra forma umana e ha donato a tutti il sapere, le capacità, i Chris Morton and Ceri Louise Thomas 269
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talenti. Ci ha dato la vita, per goderne. Il teschio di cristallo emette un certo tono così che tu possa cogliere la tua consonanza col suono della creazione. La saggezza dei teschi può essere utilizzata quando ti apri a questo mistero e accogli in te il suono". Non ero certa di aver capito tutto, ma ero commossa dalla poesia delle sue parole. Era un modo completamente diverso di guardare il mondo. Mentre fissavo le braci morenti del fuoco, la mente andò ai teschi di cristallo che esisterebbero per rammentarci la meraviglia e la bellezza della creazione. Sembrava una cosa chiara e quanto mai suggestiva. Ripensai a tutte le ricerche condotte per i teschi di cristallo; eravamo ossessionati dall'idea di arrivare a una spiegazione "razionale" e scientifica. Determinati a incasellare i teschi in un contesto archeologico, li avevamo considerati solo in termini di datazione, di strumenti usati per foggiarli, di provenienza. Ma la loro importanza, il loro significato, anelava al di là di qualsiasi cosa che potesse essere normalmente analizzata in un laboratorio. Come la ricerca della verità sui teschi era stata viziata dalla nostra impostazione scientifica, non era forse vero che tutta la nostra visione del mondo era stata viziata dal modo occidentale "razionale" di guardare le cose, dal modo di vedere la creazione come un puro e semplice assemblaggio di oggetti e processi biologici, chimici, meccanici e solo meramente fisici? Non avevamo forse in un certo senso tolto alla creazione la sua poesia, il suo mistero e la sua bellezza? Mi balenò il pensiero che non avevamo fatto altro che allontanarci dai misteri della vita stessa. Chris chiese a Leon se poteva spiegarci ancora qualcosa su quanto aveva detto prima a proposito dell'umanità creata da "esseri venuti da altre dimensioni", ma lui rispose semplicemente: "Non è ancora giunto per voi il momento di sapere di più. Quando sarà opportuno, scoprirete altre cose". La mattina seguente pioveva, con grande soddisfazione di Leon: se dopo i riti veniva un acquazzone, era conferma che le cerimonie erano state eseguite correttamente. Non bisognava infatti dimenticare che ci trovavamo in un deserto, dove l'acqua è un bene prezioso. Patricio Domìnguez, arrivato all'alba, ci diede un passaggio sul suo pickup. Aveva poco più di quarant'anni, i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo e calzava dei sandali (vedi fotografia in bianco e nero 48). Patricio si rivelò un personaggio straordinario: si autodefiniva "consigliere Chris Morton and Ceri Louise Thomas 270
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spirituale" della sua gente, ma faceva anche il tecnico elettronico. Apparteneva alla tribù pueblo, termine spagnolo che significa semplicemente "popolo". Era un discendente diretto degli ultimi superstiti di tre differenti tribù dette tiwa, piro e manso che risiedevano nella zona, oggi vicino al confine tra Stati Uniti e Messico, fin quando non furono sterminate dagli spagnoli durante la rivolta dei pueblo, circa 200 anni fa. Patricio viveva con la moglie e la famiglia in una riserva vicino ad Albuquerque ma, per dirla con le sue parole, aveva "un piede in un mondo e un piede nell'altro": uno nel mondo indigeno, cioè, perché passava circa metà del tempo nella pratica e nello studio delle tradizioni dei nativi, e l'altro ben saldo nel mondo moderno, grazie al suo lavoro di tecnico elettronico, esperto nella progettazione, manutenzione e riparazione di computer, televisori e altri strumenti elettronici. Era un tipo molto informato su tutto, di gradevole compagnia, dotato di un notevole senso dell'umorismo. Si autodefiniva un "ponte tra due culture" o, in tono scherzoso, un "tecnosciamano". Nonostante Patricio sostenesse che i pueblo non possedevano teschi di cristallo, conosceva piuttosto bene l'argomento. Gli era nota la leggenda dei 13 teschi antichi che un giorno si sarebbero ritrovati per trasmettere la loro sapienza. Spiegò che i teschi di cristallo contengono tutto il sapere in uno spazio così ridotto perché sono come cellule umane, o microchip di computer, tanto da poter essere considerati "biblioteche viventi". Era anche al corrente del fatto che alcuni scienziati stavano studiando il modo per estrarre le informazioni dai teschi. Disse che in essi c'erano immense prospettive di conoscenza e che avevano una banca di memoria permanente costruita a livello molecolare: "Provate a pensare a quante molecole contiene il più piccolo pezzo di cristallo e incomincerete a farvi un'idea. Pensate alle particelle di polvere che si vedono in un fascio di luce... normalmente non ci facciamo caso. Nella luce normale sembra che non ci sia nulla, ma appena apri la porta e fai entrare un fascio di luce, se ne notano milioni e milioni sospese nell'aria. Immaginate uno scenario del genere all'interno dei teschi di cristallo... noi non vediamo nulla, se ci limitiamo a guardare normalmente, ma se solo apriamo la porta della mente e facciamo entrare un fascio di luce mentale... ecco pensate a Chris Morton and Ceri Louise Thomas 271
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ognuna di queste piccole particelle contenute all'interno del teschio come a un minuto pezzo di conoscenza e che quelle, particelle, riempiono tutto lo spazio come le stelle in una notte chiara. Così stanno le cose all'interno dei teschi. "E non basta, perché i teschi di cristallo hanno molti aspetti. Dovete convincervi che in realtà sono contenitori viventi di conoscenza. Nonostante siano di cristallo, hanno consapevolezza, sensibilità, e sono stati fabbricati in un modo molto particolare, cioè con le forze psichiche. Noi crediamo che i cristalli siano materia inerte, mentre invece sono una specie di plasma vivente, in relazione diretta con i nostri pensieri e fors'anche con la mente di Dio. C'è in realtà in essi qualcosa che ha a che fare col modo in cui furono creati. Gli originali teschi di cristallo non furono modellati con ceselli o con sabbia, come taluni credono, piuttosto per 'fusione' grazie a forze psichiche, così che oggi essi possono dare forma e confini ai pensieri e ai processi mentali degli esseri umani. Furono modellati dalla consapevolezza di quegli esseri primordiali, che li foggiarono tramite le loro particolari potenzialità psichiche". Pigiata fra i due uomini sul sedile del pick-up pensai se effettivamente stavo parlando con qualcuno che aveva un "piede ben saldo nel mondo moderno". Mi ero aspettata di sentire da Patricio, a proposito dei teschi di cristallo, una spiegazione più razionale di quella fornita da Leon. Gli chiesi: "E tu allora sei del parere che i teschi, e anzi tutti noi esseri umani fummo creati 'nella mente di esseri di un'altra dimensione', come ci spiegava ieri sera Leon?" Ammisi che mi riusciva difficile credere all'esistenza di altre dimensioni non fisiche, e ancor meno a esseri che, provenendo da esse, abbiano avuto una qualche parte nelle origini della stessa razza umana. Patricio rispose senza scomporsi: "Perché no? Se ci pensi bene, nella nostra mente abbiamo creato esseri che poi hanno preso forma in un'altra dimensione, completamente diversa dalla nostra. Secondo te, cosa sono i virus dei computer? Non mi dirai che non esistono. Non li possiamo vedere né toccare, eppure i loro effetti sono reali. Il fatto che non Chris Morton and Ceri Louise Thomas 272
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esistano nel nostro mondo ma nella realtà parallela di quello elettronico del computer non impedisce che rechino scompiglio e disastri nel mondo reale e fisico. Esistono in una realtà completamente esterna alla nostra, nel mondo virtuale del computer, eppure come sono stati creati? Dalla nostra mente, in origine. Tutta la realtà virtuale informatica è stata inventata e creata dagli scienziati, dal lavorio della mente umana nel nostro mondo fisico. "Naturalmente anche il mondo virtuale dei computer ha un'interfaccia col nostro mondo fisico reale, sotto forma di hardware. Senza l'hardware il software dei programmi del computer e dei virus cesserebbe semplicemente di esistere. Possiamo considerare i teschi di cristallo come l'hardware. Senza l'hardware della creazione originaria dei teschi di cristallo, noi, come software, non saremmo mai venuti alla luce. E senza la continua opportuna manutenzione e buona volontà dei nostri creatori, noi, come i virus dei computer in un mondo virtuale che non viene più adeguatamente curato, o non viene alimentato, cesseremmo semplicemente di esistere". Mi rifiutavo di prendere per buone queste nuove idee. L'unica cosa evidente era che i nativi americani avevano un modo di vedere del tutto diverso dal nostro, "normale" e occidentale. Spiegai a Patricio che facevo fatica a capire l'approccio alla realtà dei nativi americani. Lui mi garantì che, nonostante certe differenze fondamentali tra la visione loro e quella nostra, le scoperte dei fisici sembravano ormai avvicinarsi alla visione che hanno sempre avuto i nativi americani della realtà. Mi fece notare che la maggior parte degli studiosi rifiuta ormai la concezione propria dell'Occidente, e cioè che gli oggetti sono solo materia, in favore d'una concezione che vede gli atomi parte di un immenso oceano di energia. Disse che essi probabilmente potrebbero anche accettare l'idea che i teschi di cristallo sono fatti di vibrazioni, o di onde di energia capace di comunicare con gli esseri umani. Scherzando, aggiunse: "Quei tipi là ci stanno così vicini che fra poco busseranno alla nostra porta di servizio". Eravamo arrivati. Io ero più confusa che mai. Patricio, notandolo, ci invitò ad andare da lui il giorno seguente. Avrebbe tentato di spiegarcelo. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 273
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20 LA CONOSCENZA Quando il pomeriggio seguente entrammo nell'ufficio di Patricio, credemmo di aver messo piede nel laboratorio di uno scienziato folle. Quadri elettrici, pezzi di apparecchiature elettroniche e svariati grafici ricoprivano quasi interamente le pareti. Lui ci venne incontro e ci fece subito accomodare offrendoci una tazza di caffè. Poi passò a erudirci con molta pazienza sul nostro "normale" modo occidentale di considerare il mondo, e quello degli indigeni. Spiegò che noi occidentali guardiamo il mondo, e anzi tutto l'universo, come un insieme di pezzi, che funzionerebbero come le varie parti di una macchina. Questi pezzi, siano essi pianeti o individui, li consideriamo sostanzialmente indipendenti l'uno dall'altro e collegati solo fisicamente, sia pure chimicamente o elettricamente, entro gli stretti limiti del tempo e dello spazio. Per noi ogni cosa esiste solo nelle dimensioni fisiche che possiamo vedere, oppure registrare tramite strumenti tecnici. Siccome noi vediamo tutte le cose ciascuna a sé stante relativamente al tempo e allo spazio, un avvenimento che si verifichi per esempio in un particolare luogo e in un particolare momento del passato, per noi esiste solo in quel momento e in quel luogo. Non può avere alcuna influenza su qualsiasi cosa sia successa prima, ma solo su quelle successe dopo di allora, grazie alla vicinanza fisica nel tempo e nello spazio. Disse: "Prendete per esempio il caso di una formica schiacciata sotto i piedi di un contadino in quel dato punto della terra, diciamo l'America Centrale, 4000 anni fa. Secondo la nostra mentalità occidentale, l'evento non avrebbe alcun effetto su qualsiasi altra cosa sia avvenuta prima, e ne avrebbe uno assolutamente minimo su quanto è avvenuto dopo. La formica morirebbe, il contadino non se ne accorgerebbe nemmeno, e l'effetto sul suolo consisterebbe in un milligrammo di materia morta che col tempo si decomporrebbe e si trasformerebbe in una piccolissima particella di humus. Al di là di questo, nello spazio e nel tempo, le conseguenze di questo evento sarebbero così trascurabili, così Chris Morton and Ceri Louise Thomas 274
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insignificanti che tanto varrebbe ignorarle". Nella concezione dei nativi americani, invece, tutto è sacro, che si tratti di entità organiche o inorganiche. Ogni cosa esistente, grande o piccola, fa parte di un tutto, della sacra essenza della vita. Niente è a sé stante, tutto fa parte del creato. Anche se cose singole possono avere un'esistenza materiale che, secondo il nostro modo di vedere il tempo e lo spazio, appaiono indipendenti, gli stessi concetti di dimensione fisica, temporale e spaziale distaccate, sono un'illusione: "A noi piace pensarci ciascuno indipendente dall'altro e dal resto del mondo... le cose non stanno così. La nostra esistenza fisica è solo uno dei livelli di una più vasta realtà, che ha molti strati, molte dimensioni e molte vìe tramite le quali tutto è collegato, tramite le quali ogni cosa è parte essenziale di un immenso tutto. Ciò che effettivamente esiste è parte del sacro atto della creazione. Ogni cosa che noi percepiamo nella realtà come elemento isolato nel proprio tempo e spazio - noi stessi inclusi fa in effetti parte del sacro atto della creazione stessa". Patricio disse che si tratta di qualcosa che noi non siamo in grado di vedere normalmente, perché siamo ristretti nei limiti del mondo fisico dei cinque sensi, eppure è solo uno dei molti mondi, una delle molte dimensioni, uno dei molti fili tramite cui tutte le cose sono collegate. "Secondo la filosofia dei nativi americani, il tempo e lo spazio non sono entità veramente separate. Appaiono tali a causa della lente tramite la quale percepiamo le cose, lente a cui diamo il nome di mondo fisico o materiale. In un certo senso, i teschi di cristallo sono un altro tipo di lente che ci consente di vedere l'intera meraviglia della creazione. Tutte le cose hanno una specie di coscienza e di memoria, e sono collegate, se non sul piano fisico, almeno su quello non fisico. Quindi, nella concezione dei nativi americani le cose non esistono in un particolare luogo e tempo, non esìstono solo in un'unica dimensione fisica. Ci sono altri livelli di realtà, altre dimensioni, in cui qualcosa che esista o un evento che accada può in effetti Chris Morton and Ceri Louise Thomas 275
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avere un misterioso ma indubbio effetto su altre cose e altri, eventi. Molto lontani nel tempo e nello spazio, o che stanno succedendo in quelle altre dimensioni immateriali e dunque invisibili. E comunque gli effetti che possono avere sul nostro mondo fisico non obbediscono necessariamente alle normali leggi della nostra dimensione fìsica, quindi non sono comprese dalle leggi fisiche del Ventesimo secolo. In questo senso, nel mondo, nell'universo, nella creazione, c'è molto di più di quanto cogliamo con l'occhio, e noi comuni individui fisici, poveri mortali, spesso non abbiamo modo di percepire, e tanto meno di comprendere, quello che avviene in questi 'altri mondi' o 'dimensioni dello spirito'." Ritornò all'esempio della formica schiacciata sotto il piede: "Nella visione dei nativi americani questo fatto, apparentemente insignificante, lontanissimo da noi nel tempo e nello spazio, può ancora avere un qualche misterioso ma innegabile effetto che va ben al di là degli effetti minimi dell'evento stesso. Anche se non riusciamo a percepirli facilmente, gli avvenimenti che succedono in altri mondi o dimensioni del mondo spirituale, possono in realtà avere qualcosa a che fare con la ragione per cui la formica a suo tempo venne calpestata, e gli effetti del suo infortunio possono avere influenzato eventi in quegli altri mondi che non riusciamo a percepire ma che possono ugualmente avere un certo impatto oggi su di noi. L'esempio della formica forse non è calzante... insomma io voglio dire che gli effetti quasi trascurabili di questo evento minimo, che possiamo percepire come avvenuto nel nostro normale mondo fisico e materiale, non sono gli unici che quel fatto può aver avuto e può ancora avere in altre dimensioni della realtà, sugli altri livelli della creazione. "Se anche per caso siamo lontani da un evento per la banale meccanica del tempo e dello spazio, non significa che qualcosa avvenuto in uno spazio lontano e in un tempo passato, o che può avvenire in un tempo lontano e in un luogo futuro, sia senza effetti per noi oggi solo perché non percepiamo nessuna delle sue Chris Morton and Ceri Louise Thomas 276
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dirette influenze fisiche. Tutti gli elementi della creazione comportano conseguenze, per quanto impercettibilmente piccole, su tutti gli altri elementi del creato. Noi siamo parte del tutto. Tutti abbiamo collegamenti, molti dei quali tramite dimensioni che non ancora comprendiamo, così le parti dell'universo o della creazione sono in un certo senso collegate le une alle altre. Almeno in questi limiti, ogni cosa è viva. Il teschio di cristallo può aiutarci a capirlo meglio". Mentre mi sforzavo di seguire questi ragionamenti, constatai che la filosofia dei nativi americani, al primo impatto, sembra priva di significato dal punto di vista occidentale. Noi siamo portati a credere che la nostra particolare concezione del mondo sia l'unica. Questa è probabilmente una delle ragioni per cui il mondo occidentale si è tanto accanito nel reprimere o annientare la mentalità dei nativi. La loro visione, diversa dalla nostra, è stata percepita come una diretta minaccia al sistema, quindi doveva essere eliminata. Il processo ebbe inizio col massacro degli indigeni 500 anni fa, subito dopo l'arrivo degli europei, che li misero di fronte alla scelta tra la conversione al Cristianesimo e alla mentalità occidentale da una parte, e la morte dall'altra. I massacri si protrassero con le Guerre Indiane negli Stati Uniti alla fine del Diciannovesimo secolo, ma sembrano rinnovarsi in alcune parti dell'America Centrale e Meridionale persino ai nostri giorni. Avevamo già appreso che, se è pur vero che molti morirono a causa delle malattie giunte sul continente con i conquistatori, tanti altri invece vennero - e succede ancora - uccisi con le armi o con malattie introdotte col preciso scopo di eliminarli. Leon ci aveva detto che negli Stati Uniti, la grande patria della libertà, molte pratiche e cerimonie religiose dei nativi sono state proibite per legge persino recentemente, nel 1978. Patricio avanzò l'idea che la tradizionale concezione occidentale del mondo - scientifica, meccanicistica, materialistica, strettamente fìsica - ora stava incominciando a mostrarsi meno sicura di sé: recenti scoperte scientifiche, infatti, in particolare nella fisica quantistica, avevano iniziato a porre domande fondamentali su come in realtà funzioni l'universo, domande che non possono essere praticamente spiegate dalle leggi tradizionali della meccanica classica e relativistica, definita prima da Sir Isaac Newton e dopo da Albert Einstein. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 277
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Patricio aveva ritenuto opportuno indagare ulteriormente in questo settore e, come ci spiegò, molte scoperte in campo scientifico non possono essere chiarite secondo le attuali leggi del tempo cronologico, né secondo la nostra corrente assunzione che le parti sono in certo senso staccate dal tutto; altre scoperte invece mettono in dubbio la comune certezza che gli oggetti inanimati non hanno relazioni di carattere non-fisico tra loro e non possiedono alcuna autocoscienza o coscienza della situazione a cui partecipano. Fino a non molto tempo fa gli scienziati si sono affannati a spiegare il mondo a livello di particelle più grandi dell'atomo. I fisici quantistici invece si sono concentrati sullo studio del funzionamento del mondo a livello subatomico. È qui che le leggi fisiche tradizionali occidentali non sono in grado di spiegare cosa avviene. In realtà sembra che le recenti osservazioni condotte dai fisici quantistici siano più facilmente dimostrabili basandosi sulla filosofia degli indigeni americani che non sulla tradizionale teoria newtoniana. Una della prime incrinature nella concezione occidentale - ci spiegò Patricio - si manifestò per caso nel corso di esperimenti nella moderna tecnologia dell'immagine olografica; una delle immagini faticosamente realizzate cadde accidentalmente a terra, andando in mille pezzi. Dapprima i ricercatori si rammaricarono per aver rotto un oggetto che era costato anni di lavoro e un non indifferente investimento di denaro. Solo più tardi si resero conto dell'interessante conseguenza. L'immagine olografica è un'immagine tridimensionale, una specie di messaggio cifrato immesso in un particolare tipo di vetro, ed è singolare, in quanto - sebbene sia incisa su una superficie bidimensionale - all'occhio umano che la osservi dal giusto angolo visuale e in luce laser, appare tridimensionale. Per ironia della sorte, o per lo zampino del fato, una delle prime immagini riprodotte con tale sistema rappresentava proprio un teschio umano... Forse non è solo per puro caso che molti hanno l'impressione di vedere immagini olografiche tridimensionali all'interno dei teschi di cristallo. Un'immagine olografica funziona grazie a un raggio laser, o luce "unidirezionale" invece che a luce normale, cioè "multidirezionale". In un raggio di laser i "fotoni", o singole particelle di luce, si muovono nella stessa direzione, anziché diffondersi e rimbalzare sulle cose in tutte le Chris Morton and Ceri Louise Thomas 278
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direzioni, come fanno normalmente. Nelle foto comuni le particelle di luce multidirezionale passano attraverso la lente da tutti gli angoli e vengono concentrate sulla carta fotografica, che essendo rivestita di sostanze chimiche sensibili alla luce si modifica in tonalità o colori diversi. Nella tecnica olografica invece, l'oggetto ripreso o "olografato" viene tenuto in totale oscurità e colpito con un raggio laser. Il raggio laser viene sdoppiato, così che una metà viene riflessa dall'oggetto e l'altra da uno specchio. I fotoni sono riflessi per metà dalle forme dell'oggetto e per metà dalla superficie assolutamente piatta dello specchio, finché poi tutte le particelle tornano indietro insieme nel momento in cui colpiscono la lastra di vetro olografica, sensibile alle particelle di luce. Le molecole all'interno del vetro di conseguenza si modificano di tono e colore e l'immagine che ne risulta, quando viene illuminata da un raggio laser "intero", è tridimensionale. Gli scienziati scoprirono ciò che avviene quando una lastra di vetro olografica si spezza: invece di dividersi in pezzi che dovrebbero essere ricomposti come un puzzle per restituire l'immagine completa, ciascuna delle "tessere", per quanto piccola, ci fa vedere tutta l'immagine.1 Secondo le tradizionali leggi della fisica, ciò non è possibile. Perché avvenga, ogni singola molecola del pezzetto di vetro dovrebbe aver cambiato l'aspetto senza ragione fisica diretta. Il fenomeno può far pensare che a un livello più profondo e forse non fisico anche le normali, non viventi, inorganiche molecole di un pezzo di vetro, in qualche modo "conoscono" la loro parte, hanno una certa forma di consapevolezza, una sensazione della propria condizione e di come questa è parte dell'intero. Questo implica anche che ci deve essere un qualche tipo di "memoria" collettiva e un sistema di comunicazione tra le molecole del vetro... altrimenti come potrebbero le singole molecole sapere in che modo raggrupparsi? Ci sono in realtà molti altri esempi in natura in cui le piccole parti di un sistema sembrano contenere il tutto, o almeno contengono le informazioni essenziali e vitali sul tutto. In molti casi l'informazione contenuta in ogni parte è necessaria, vuoi per creare vuoi per cambiare in maniera sostanziale l'intero. Un esempio è quello dato dall'informazione genetica. All'interno di ogni cellula del corpo umano, o di una pianta o di un animale, ci sono molecole di DNA che contengono lo schema, il progetto o la forma dell'intero. Questa informazione genetica in un certo senso comunica a ciascuna piccola Chris Morton and Ceri Louise Thomas 279
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cellula vivente l'informazione su quello che deve diventare, in che forma deve crescere... Ogni cellula vivente è potenzialmente capace di trasformarsi in qualsiasi cosa, ma essa deve capire qual è il suo posto nell'intero per diventarne una giusta componente. Questo è quanto probabilmente sta alla base della formazione di un cancro o di crescite anomale nel corpo. Le cellule del cancro hanno "dimenticato" il loro scopo e non sanno più che cosa devono diventare. Contengono, a quanto pare, le informazioni genetiche necessarie, ma per chissà quale ragione non le mettono in atto, non le applicano, non le capiscono. In sé e per sé non sono dannose, ma siccome non si comportano come parte del tutto, finiscono con l'interferire con altre parti del corpo. Leon Secatero aveva già fatto un paragone fra il DNA umano e il teschio di cristallo: "I teschi di cristallo, come il DNA, sono un insieme di comandi, un progetto o uno schema, per il ruolo che l'umanità deve ricoprire nell'universo... e non solo per il nostro corpo, ma anche per noi, nella nostra totalità. Come il DNA all'interno di ogni cellula, all'interno di ognuno di noi giace l'informazione sul complesso del creato: i teschi di cristallo - 'specchi della nostra anima' - ci possono aiutare a trovarla e ci insegnano a diventare veri esseri umani. Alla stessa stregua delle singole cellule del corpo umano, che hanno la possibilità fisica di diventare qualsiasi cosa vogliano, anche noi, a livello meno fisico, in qualità di individui abbiamo la possibilità di diventare qualsiasi cosa vogliamo. Ma esattamente come le cellule fisiche del corpo umano, abbiamo bisogno di ricevere e capire le informazioni sul tutto, allo scopo di 'diventare' una porzione sana del medesimo... I teschi di cristallo ci danno le informazioni sul luogo da cui siamo venuti e su come dobbiamo trasformarci, ci indicano la strada da seguire e ci danno l'intera immagine di quello che possiamo diventare. Come le cellule del cancro, possiamo decidere di ignorare il messaggio e crescere nel luogo e nel momento sbagliato rispetto al tutto. Ma i teschi di cristallo sono in grado di farci capire che cosa dobbiamo diventare a ogni livello, sia fisico che spirituale, allo scopo di sapere come crescere a vantaggio dell'universo". Chris Morton and Ceri Louise Thomas 280
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Gli scienziati hanno cercato di spiegare, secondo i vecchi schemi, come fanno le singole cellule del corpo a sapere che cosa devono diventare, analizzando solo i "mattoncini" dell'informazione contenuti nel DNA. Questo modo meccanicistico di guardare alle cose ha permesso di chiarire almeno in quale modo l'informazione genetica venga passata dal genitore al figlio e come, quando una singola cellula del corpo si divide nel corso della crescita, la stessa identica informazione genetica sull'individuo intero venga passata alla cellula appena formata. Però gli scienziati tradizionali non sono riusciti a spiegare come fa una singola cellula del corpo umano a "sapere" dove si trova nell'ambito dell'intero. Secondo Patricio: "... gli scienziati non sono stati in grado di spiegare come noi umani ci inseriamo nel complesso della creazione. Ci hanno fornito il loro modello dell'unir verso: una serie di 'cose' puramente fisiche, inanimate e nettamente indipendenti, che hanno tra loro solo un legame meccanico. Come per le diverse partì di una macchina, il comportamento di tutte le cose è determinato totalmente dalle leggi fondamentali della fisica e della chimica scoperte già da tempo e tutte strettamente inserite nei confini dello spazio e del tempo. Eppure nel profondo del cuore io credo che ciascuno di noi sa che questo non è tutto". Era quanto stavo incominciando a pensare anch'io. È comunque opportuno sapere che i fisici hanno di recente messo in discussione l'idea che tutte le cose sono fatte a loro volta solo di "cose" più piccole prive di memoria propria, coscienza e finalità. Tale controversia ha avuto inizio qualche tempo fa con quella che è stata definita nel gergo scientifico la disputa dell'"onda-particella". Gli scienziati hanno finora ritenuto che tutte le cose sono fatte di parti man mano più piccole, come per esempio le particelle, che hanno tra di loro un rapporto fisico, materiale o meccanico. Ben presto però osservarono che alcuni fenomeni non potevano essere spiegati in questo modo... la radio, per esempio. Un messaggio radio da Londra a New York non potrebbe essere dovuto ad alcuna particella fisica che veramente Chris Morton and Ceri Louise Thomas 281
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compie quel trasferimento all'istante, mentre potrebbe essere spiegato come un'"onda" di energia o informazione che attraversa l'Atlantico. Noi ora sappiamo solo che a Londra alcune particelle vengono "stimolate" elettronicamente, così da muoversi e vibrare a una particolare frequenza contro le particelle vicine. Il fatto si ripete e si espande come le increspature di uno stagno, con la conseguenza che le vibrazioni elettromagnetiche vengono avvertite dall'altra parte dell'Atlantico. L'interessante era che Secatero aveva in effetti paragonato il funzionamento dei cristalli al modo in cui funzionano le onde radio. Secondo lui, essi trasmettono il loro "impercettibile suono della creazione" praticamente nella stessa maniera: questo spiega come, dovunque ci troviamo nel mondo, siamo in grado di ricevere il loro messaggio. Non è necessario essere fisicamente vicini per captarlo. Fino a poco tempo fa, i fisici tradizionali riconoscevano solo due concetti di base: le particelle di materia da una parte e le onde di energia dall'altra. Tali concetti, a loro giudizio, potevano spiegare il funzionamento di tutto l'universo. Gli effetti di ambedue venivano giudicati assolutamente prevedibili e osservabili, e determinati unicamente da processi fisici meccanici. Ma ci sono sempre stati fenomeni che non possono rientrare in questo schema... la luce per esempio. La luce talvolta si comporta come se fosse fatta da particelle di materia distinte e separate (non può attraversare oggetti che le si frappongano). Eppure in altri casi si comporta come se fosse un'"onda" di energia o informazione, senza alcuna sostanza sua propria (attraversa oggetti fisici, purché siano trasparenti). Un esperimento famoso, "dell'interferenza del fotone singolo", stabilisce che singole particelle di luce, i fotoni, non solo si comportano come onde e come particelle singole allo stesso tempo, ma possono anche comunicare tra loro superando i limiti nel tempo e attraverso lo spazio.2 La luce però era considerata una delle poche eccezioni alla legge, fino a che non si incominciarono a studiare più nel dettaglio le particelle subatomiche. A livello subatomico la tradizionale distinzione tra onda e particella sparisce. Le cose non possono essere spiegate come una cosa o l'altra, ma possono essere viste come ambedue queste cose. In un certo senso, la materia è energia, e l'energia è materia, le "cose" sono anche "onde di informazione", quindi in effetti l'"informazione" o "energia" è l'essenza di tutte le "cose". A livello subatomico almeno, questi concetti non sono distinti. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 282
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Secondo il professor David Deutsch della Oxford University la ragione per cui le singole particelle si comportano come se fossero parte di un'onda di energia o informazione sta in realtà nell'esistenza degli "universi paralleli": "Noi non vediamo in realtà particelle e onde allo stesso tempo. I risultati dell'esperimento dell'interferenza del fotone singolo sono dovuti all'influenza di particelle che esìstono in mondi paralleli. I fotoni del nostro esperimento in realtà interagiscono con altri fotoni di altri universi che noi non possiamo vedere3... In effetti, le leggi classiche della fisica non sono vere. Le leggi della meccanica quantistica sono solo una fedele descrizione della natura".4 L'essenza della meccanica quantistica è il principio dell'"indeterminazione". Tutto è fatto da particelle "incerte", di posizione "incerta". Come i fisici spesso dicono: "Una singola particella, in qualsiasi momento ha molte probabilità di essere in un posto e anche in un altro". La faccenda mi ha sempre colpito, in fondo è una specie di ammissione che, in realtà, non si sa come veramente stiano le cose. Il professor Deutsch spiega: "La meccanica quantistica è fondamentalmente una teorìa di molti universi paralleli. Alcuni di questi universi sono molto simili al nostro e altri molto differenti. Gli universi vicini differiscono dal nostro per esempio per un unico fotone, mentre altri, distanti, sono completamente differenti dal nostro". 5 In un certo senso, ogni universo ha uguale possibilità di realizzarsi fisicamente, ma quello che noi vediamo è solo una delle miriadi di possibili universi. Secondo Deutsch, "ogni particella esiste nel suo particolare distinto universo, ma questi universi interferiscono tra loro per dar luogo allo schema di universo che possiamo in effetti vedere o percepire... La realtà non consiste in un unico universo".6 Siamo comunque limitati a una sola delle sue dimensioni. Il parallelo con la concezione dei nativi americani e con le idee che abbiamo sentito esprimere dai possessori dei teschi di cristallo e da coloro Chris Morton and Ceri Louise Thomas 283
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che entrano in contatto medianico con loro, era sorprendente. Secondo gli indigeni dell'America noi abitiamo una dimensione della realtà, anche se esistono altre dimensioni non fisiche. Credono anche che tutte le cose possono esistere sia in uno spazio sia in un tempo fisico, come una particella, e avere contemporaneamente influenza altrove, come un'onda. Secondo tale concezione la presenza dei teschi di cristallo può essere avvertita dovunque simultaneamente ed essi possono farci comunicare con gli altri livelli di realtà che i fisici moderni stanno appena incominciando a scoprire. In definitiva, quindi, ci stavamo avvicinando alla conclusione che la visione del funzionamento dell'universo degli indiani americani è ben più avanzata di quella dei fisici. I primi per esempio credono sia possibile comunicare a un qualche livello con oggetti fisici inanimati, tipo i teschi di cristallo, altre entità viventi e no. Credono anche che tali comunicazioni possano aprire la porta agli altri mondi spirituali, o "dimensioni parallele" che vengono oggi adombrate dagli studiosi, e ci possono letteralmente mettere in grado di trascendere i limiti dello spazio e del tempo. Anche in questo caso, recenti esperimenti a livello subatomico fanno pensare che le cose potrebbero proprio stare così. Un recente esperimento di fisica quantistica dimostra che, per esempio, potrebbe essere possibile per la mente umana comunicare direttamente con oggetti inanimati, almeno a livello di particelle subatomiche. È stato effettuato nel 1989 da Wayne Itano e dai suoi colleghi nel National Institute of Standards and Technology, a Boulder, nel Colorado, ed è stato riferito dal dottor Fred Alan Wolf nel suo libro The Dreaming Universe.7 In tale esperimento gli scienziati tennero sotto osservazione qualcosa come 5.000 atomi di berillio chiusi in un campo magnetico e poi esposti a radio onde di energia. Per farci capire come, Fred Alan Wolf ricorre all'analogia di chi sta a guardare una pentola piena d'acqua in attesa che si metta a bollire. La prova, in poche parole, confermò il vecchio detto secondo cui "pentola guardata non bolle mai". Quanto più spesso gli scienziati controllavano l'esperimento, tanto più lentamente gli atomi di berillio si mettevano a "bollire". L'effetto non poteva essere spiegato dal fatto che veniva "guardato" - azione in realtà consistente in un controllo laser - in quanto in tal modo si apportava altra energia al sistema, cosa che avrebbe dovuto eventualmente scaldare e non raffreddare gli atomi. Secondo Wolf, il fenomeno dipendeva dall'"effetto osservatore". Questo effetto dice che "quanto più si osserva un Chris Morton and Ceri Louise Thomas 284
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sistema di quantistica in un particolare stato, tanto più è probabile che esso rimanga a quello stato". Il principio oggi è ampiamente riconosciuto nell'ambito della ricerca in meccanica quantistica. Secondo Wolf, tutto dipende dalla volontà dell'osservatore. Affinché l'oggetto rimanga al suo stato iniziale, l'osservatore deve avere la volontà di vederlo rimanere in quello stato. Se invece l'osservatore vuole che la pentola bolla, essa bollirà.8 Anche se Wolf fa notare l'importanza di capire che "volontà" non equivale né a "intenzione" né ad "aspettativa", nel senso che ci deve essere anche una vera e propria azione, quello che contava per noi era la dimostrazione sperimentale grazie alla quale la mente umana può avere un effetto diretto sul comportamento delle particelle subatomiche o "sistemi di quanti". E qualche tipo di interazione o comunicazione è possibile tra gli oggetti inanimati e la mente umana. I nostri pensieri possono agire sulle cose che ci circondano in un modo che non può essere spiegato con le leggi tradizionali della fisica. Si direbbe che gli stessi atomi sono in un certo senso "consapevoli" di essere osservati e mutano di conseguenza la loro condizione o il loro comportamento. Questo fenomeno fa intendere che pure le particelle subatomiche hanno un certo tipo di coscienza o senso di consapevolezza di ciò che sta accadendo intorno a esse. Questo è quello che i nativi americani chiamano "il pensiero delle molecole", e sembra che tale consapevolezza si trasformi in un certo genere di relazione tra esse e l'atteggiamento mentale degli uomini. In effetti, se noi consideriamo i teschi di cristallo "sistemi quantistici" (cioè particelle di materia e contemporaneamente onde di energia, ovvero particelle che esistono in differenti universi paralleli), l'idea che essi possano in qualche modo interagire o comunicare con la mente umana e influire sulla nostra consapevolezza, inizia a essere qualcosa di molto più accettabile. Dopotutto, se è stato dimostrato che il funzionamento della mente umana può agire sul comportamento e la condizione di oggetti inanimati, o particelle atomiche come gli atomi di berillio, perché non dovrebbe essere possibile anche il contrario? I possessori dei teschi di cristallo e i nativi americani però dicono che la faccenda non consiste solo in questo. Ritengono infatti che la comunicazione tra la mente umana e i teschi di cristallo non solo è Chris Morton and Ceri Louise Thomas 285
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possibile, ma ci può consentire di uscire dai confini della dimensione puramente fisica, e trascendere i limiti del tempo e dello spazio. Così, con l'aiuto dei teschi di cristallo noi possiamo entrare in contatto non solo col passato ma anche col futuro. Ancora una volta i più recenti esperimenti di fìsica quantistica ci fanno intendere che ciò potrebbe essere vero. L'idea di comunicare attraverso il tempo in tutta la sua estensione può dimostrarsi qualcosa di più che fantascienza. La teoria della relatività di Einstein dichiara che nulla nell'universo può viaggiare più veloce della luce. La ragione sta nel fatto che, se ciò avvenisse, sarebbe lo stesso che viaggiare all'indietro nel tempo. Il tempo infatti, come qualsiasi altra cosa, è relativo: in questo caso sarebbe relativo alla vostra velocità, o alla velocità con cui vi spostate nello spazio. Quanto più velocemente vi spostate nello spazio, tanto più lentamente vi spostate nel tempo. In realtà molti fisici oggi considerano lo spazio e il tempo aspetti diversi della stessa dimensione, quello che essi definiscono un "continuum spazio-tempo". Questo è esattamente ciò che credevano gli antichi maya. È interessante notare che è lo stesso concetto che - per bocca di Carole Wilson - abbiamo sentito enunciare dalla "voce del teschio". I fisici hanno concluso che tempo e spazio sono correlati perché, spostandosi con sufficiente velocità nello spazio, è praticamente possibile "dilatare" il tempo. Anche se a prima vista sembra assurdo, in realtà è stato dimostrato varie volte in un famoso esperimento basato, forse più che per pura coincidenza, su un pezzo di cristallo di quarzo. Einstein diceva che, siccome nell'universo non c'è nulla in grado di viaggiare a una velocità superiore a quella della luce, se ci si potesse spostare alla velocità della luce il tempo sembrerebbe fermo. Si cita spesso l'esempio di un astronauta che viaggia nell'universo alla stessa velocità della luce: secondo la legge della luce, potrebbe viaggiare in un tempo che sulla Terra corrisponderebbe a diversi anni, ma al ritorno sulla Terra non sarebbe affatto invecchiato, e l'orologio spaziale praticamente non sarebbe affatto avanzato. Naturalmente non è stato possibile mettere in pratica la teoria di Einstein in questa forma, ma solo in misura più banale. Nel 1971 gli scienziati della Hewlett-Packard portarono due orologi atomici, basati sulle precise oscillazioni di un cristallo di quarzo, allo zero.9 Uno rimase nel laboratorio, mentre l'altro venne mandato intorno alla Terra su un aereo a reazione. Naturalmente la velocità a cui viaggia l'aereo non è nemmeno vicina a Chris Morton and Ceri Louise Thomas 286
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quella della luce, ma nel 1971 era il massimo raggiungibile. Il principio era verificare se ci sarebbe stata qualche differenza nel tempo segnato dai due orologi, di per sé assolutamente precisi. Che si creda o no, tornato a terra, l'orologio che aveva volato per molte ore a una velocità che toccava i 965 chilometri all'ora, segnava un tempo inferiore rispetto all'altro. La differenza era minima, non più che una frazione di secondo, ma ciò coincideva con le previsioni matematiche di Einstein. L'esperimento è stato ripetuto molte volte dopo di allora e con molte varianti, e i risultati hanno sempre coinciso con il principio che se si moltiplicasse questo effetto fino ad arrivare alla velocità della luce, il tempo praticamente rimarrebbe fermo. Analogamente, la teoria di Einstein dice che, se ci si spostasse a una velocità superiore a quella della luce, il tempo retrocederebbe. In altre parole, si viaggerebbe a ritroso nel tempo. Finora non è stato possibile all'uomo mettere in pratica questa teoria... ma ci hanno provato con le particelle subatomiche. Nel 1995 il professor Gùnter Nimtz ha condotto un esperimento subatomico all'Università di Colonia in Germania10 che consisteva nello sdoppiamento di un segnale a microonde contenente un messaggio. Una metà del segnale è stata inviata nell'aria, viaggiando, come i segnali a microonde, alla stessa velocità della luce. Questo segnale arrivò a destinazione praticamente nello stesso momento in cui era stato inviato, come i normali segnali a microonde. Ma per l'altra metà del segnale, Nimtz constatò qualcosa di diverso. Mise sulla sua traiettoria quella che è detta una "barriera quantistica", il cui scopo era di impedire la trasmissione di particelle subatomiche, compresi i segnali a microonde. L'idea era di bloccare la trasmissione del segnale lungo la traiettoria. Accadde invece il contrario. In pratica, il segnale a microonde inviato attraverso la barriera quantistica viaggiò a una velocità di 4,7 volte la velocità della luce e venne ricevuto prima di essere stato inviato. Sebbene su una così breve distanza l'effetto era infinitesimale, non più che una frazione di secondo, il risultato era sensazionale. Come sottolineò Nimtz, se si potesse costituire una barriera quantistica che si estenda per tutto l'universo, qualsiasi messaggio venisse trasmesso viaggerebbe più veloce della luce e potrebbe in pratica viaggiare a ritroso nel tempo. Arriverebbe dall'altra parte del mondo prima di essere stato inviato! Ciò sarebbe dovuto al "tunnelling dei quanti": le particelle subatomiche Chris Morton and Ceri Louise Thomas 287
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vaganti possono in realtà passare attraverso una barriera quantistica, così da uscire dal "tunnel del tempo" prima ancora di esserci entrate. In poche parole la posizione precisa di una particella quantistica "incerta" viene determinata sia dalla sua posizione futura sia da quella passata. Esistono cioè "onde immaginarie di probabilità" circa l'esatta posizione di qualsiasi particella, o più precisamente di un "sistema quantistico", che viaggiano all'indietro nel tempo come in avanti. Il presente dunque sarebbe determinato dal futuro quanto dal passato. Questo concetto non risulterebbe affatto estraneo agli antichi mesoamericani, e neppure a molti degli indigeni americani moderni. Gli antichi maya e molte altre tribù americane del passato vedevano il tempo come un cerchio, e i loro discendenti hanno continuato a lungo a credere che il tempo sia di natura ciclica e non consista in una linea retta che va dal passato al futuro, come pensiamo noi occidentali. Essi dunque credono che sia possibile lo scambio di comunicazione attraverso o al di là del tempo. Ora come ora l'idea che tramite i teschi di cristallo potessimo captare messaggi dal futuro come dal passato cominciava ad apparire un po' meno fantascientifica. Ma come potrebbero i teschi di cristallo essere coinvolti nell'invio di informazioni attraverso il tempo e lo spazio? Lo stesso Nick Nocerino credeva che in qualche maniera entrasse in gioco la composizione stessa della Terra, che è in gran parte fatta di quarzo. Egli aveva accennato all'esistenza di un certo tipo di entità vivente, forse una forma di cristallo di quarzo, sepolto in profondità, al centro della Terra. Anche questa idea sembrava che non venisse più decisamente respinta dall'ambiente scientifico. Dato che non è stato possibile penetrare sotto la crosta terrestre per più di 12 chilometri, non si sa con sicurezza di che cosa sia fatto il centro. Da quanto si può rilevare tramite l'osservazione dell'attività vulcanica, è sicuro che sotto la crosta superficiale esiste uno strato di rocce fuse che emergono sotto forma di lava nel corso delle eruzioni. A lungo si era creduto che, a causa dell'immane calore e pressione esercitata dal peso della roccia terrestre, questo materiale liquido fosse presente fino al centro della Terra, diventando sempre più caldo e liquido con l'aumentare della profondità. Nel 1996 però, anche questa convinzione ha subito un duro colpo. Due geologi francesi hanno condotto un esperimento nel quale simulavano le condizioni di intenso calore e pressione presenti al centro Chris Morton and Ceri Louise Thomas 288
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del globo terrestre.11 Poirier e Le Mouel compressero del materiale lavico tra due morse rivestite di diamante e lo portarono, tramite il laser, ai 5.000 gradi centigradi che si ritiene siano la temperatura del centro della Terra. Ne emerse uno scontro tra la forza della pressione e quella della temperatura. La sottile crosta superficiale si solidificò, proprio come la crosta terrestre, e a causa della temperatura lo strato immediatamente sottostante divenne liquido, come la lava o il mantello immediatamente sottostante la crosta della terra. Ma proprio al centro di questa massa in ebollizione il materiale si solidificò in una struttura cristallina. A questo punto si poteva dedurre che la lava che costituisce l'interno della Terra fosse un misto di ferro e silicio, e siccome la temperatura del componente ferroso ebbe la meglio sulla pressione, questo si fuse e "salì a galla" fino alla zona più esterna del nucleo. Per il silicio invece, fu la pressione a prevalere, ed esso si solidificò dando luogo nel centro a un cristallo durissimo e massiccio. Recenti studi sismologici hanno portato altri scienziati a conclusioni analoghe. Lars Stixrude dell'Università di Gottinga e Ronald Cohen della Carnegie Institution si sono concentrati sulla considerazione, fatta negli ultimi 10 anni, che le onde sismiche in tutto il mondo si sono rivelate anisotrope, esattamente come i cristalli di quarzo. Sono arrivati a concludere che le temperature alte e sufficientemente costanti, insieme con la bassa gravità nel centro della Terra, sono le condizioni ideali per la formazione dei cristalli. Nel 1995 pubblicarono la loro teoria, secondo cui il nucleo centrale della Terra consiste praticamente in un immenso e massiccio cristallo del diametro di circa 1200 chilometri!12 Prendendo per vera questa affermazione, Patricio disse: "Ciò significa che la Terra possiede le proprietà necessarie per captare le onde radio, le microonde e altre informazioni elettroniche da tutto l'universo, tra cui anche quelle che possono viaggiare a ritroso nel tempo. In un certo senso potremmo ritenere che sia in pratica un grande ricevitore radar, capace di captare messaggi sia dal passato che dal futuro". I nativi americani comunque hanno sempre ritenuto che i cristalli di quarzo facciano parte di una griglia di energia che sta intorno al pianeta e che mette in collegamento tra di loro tutte le cose. Pensano che questa Chris Morton and Ceri Louise Thomas 289
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griglia, spesso detta "tela di Nonno Ragno", sia indispensabile per mantenere il naturale equilibrio della Terra. Come ipotizzò Patricio, questo avrebbe anche un suo ruolo nelle comunicazioni? 1 fisici hanno recentemente scoperto quelle che chiamano "superstringhe", immensa struttura tipo ragnatela che pare colleghi tutte le cose dell'universo tra loro a un livello per noi ignoto. Si ritiene che, collegando tutta l'energia e tutta la materia, queste connessioni subatomiche di misura infinitesimale diano consistenza al tutto. Dopo aver udito le parole di Patricio ci chiedevamo se la "griglia di energia" fosse la stessa cosa della "tela di Nonno Ragno". C'eravamo anche imbattuti in un recente studio scientifico13 secondo cui l'universo potrebbe consistere in un'immensa matrice di cristallo. Un'équipe formata da scienziati provenienti da Germania, Russia, Estonia, Spagna e Stati Uniti ha presentato una teoria secondo la quale esiste un vero e proprio favo di cristallo formato da vuoti e da galassie, con galassie ammassate in una perfetta struttura tridimensionale a reticolo, schema che si ripete ogni 391 milioni di anni luce, esattamente come la struttura di base (naturalmente in misura molto ridotta) propria di un blocco di cristallo di quarzo. Avevamo anche sentito dire che di recente alcuni scienziati avevano scoperto un "suono non percettibile". Si tratta del rumore di fondo a basso livello della radiazione, un leggerissimo impulso di energia radiante che si ritiene rimanga costante dovunque ci si trovi nell'universo. Ci chiedevamo se questo poteva essere il misterioso "impercettibile suono della creazione" che Leon ci aveva detto avremmo potuto ascoltare grazie ai teschi di cristallo. Rivolgemmo l'interrogativo a Patricio, che però ci invitò a essere molto cauti: "Non dovete fare gli stessi errori dei fisici. Costoro stanno apprendendo alcune cose sulla 'conoscenza', in realtà non la capiscono! Insistono nel sentire solo ciò che vogliono, senza cogliere il punto principale. I teschi esistono per farci mutare il tipo di consapevolezza, per insegnarci che il mondo, anzi, tutto l'universo, è un'entità spirituale vivente, dotata di respiro. Tutto ha un'anima, il mondo non è una congerie di 'superstringhe' che esistono perché noi le manipoliamo e le controlliamo. L'universo Chris Morton and Ceri Louise Thomas 290
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è un essere vivente sacro. E noi facciamo parte di questa creatura, parte di questa essenza, siamo una componente importante di questo insieme vivente e sacro. Dobbiamo imparare a rispettare tutte le cose, sia quelle viventi sia quelle che ci sembrano non viventi. Poiché presto arriverà il momento in cui noi potremo realizzare le nostre finalità superiori e occupare il giusto posto nella superiore consapevolezza di tutte le cose". Consideravo la grande differenza della visione del mondo che hanno i nativi americani e delle implicazioni relative al nostro modo di vedere. E se in Occidente ci accorgessimo di aver sbagliato tutto e che la ragione sta dalla parte dei custodi dei teschi di cristallo, dalla parte degli indigeni, degli antichi popoli dell'America e di altre tribù a suo tempo decimate? Patricio interruppe il filo dei miei pensieri. "Vi confiderò un segreto", disse. "Sono stato invitato a presenziare a un raduno di anziani e custodi della sapienza che si terrà in Guatemala tra qualche settimana." Il raduno, ci spiegò, era stato convocato perché si compissero le antiche profezie. "Discuteranno sulla conoscenza dei teschi di cristallo, sul calendario antico e sulle altre importanti profezie per i tempi futuri." Il raduno era stato previsto dagli antichi maya, disse, nel loro sacro calendario divinatorio, profezia che condividevano con altre tribù americane, come gli hopi del Nord, gli almara e i kalaway, discendenti degli antichi inca del Perù. Patricio ci svelò di conoscere in particolare la profezia degli hopi, secondo la quale, quando fosse giunto il tempo opportuno, il "Popolo del Centro" riunirà l'Aquila del Nord e il Condor del Sud, e tutti i popoli "diventeranno uno come le dita di una mano". Cioè i maya dell'America Centrale avrebbero chiamato a raccolta i popoli dell'America Settentrionale e dell'America Meridionale per "prepararsi a ricevere la conoscenza che sarebbe stata riportata alla luce alla fine del tempo". Tale conoscenza, aggiunse con grande disinvoltura, era strettamente legata ai teschi di cristallo: "I maya vengono ritenuti da molte delle altre tribù non solo i 'padroni dei cristalli' ma anche i 'signori del tempo'. Erano incaricati non solo di preservare la conoscenza dei teschi di cristallo, ma di essere anche i 'signori dei giorni', i 'signori del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 291
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giorno' ovvero i 'signori del tempo'. Dovevano custodire i teschi di cristallo, fare il computo dei giorni e convocare tutte le tribù. Era loro compito, assegnato molte migliaia di anni prima, registrare il passare dei giorni e informare le altre tribù quando fosse giunto il tempo stabilito... E ora si sta avvicinando il tempo in cui è giusto che la conoscenza dei teschi venga rivelata a tutto il mondo. La gente deve riunirsi e prepararsi, perché la rivelazione della conoscenza deve avvenire adesso. Per questo è convocato il raduno". Secondo Patricio, un'adunanza di tutte le tribù non avveniva da molti millenni, "5.126 anni per la precisione". Gran parte della conoscenza che sarebbe stata oggetto delle loro discussioni era rimasta segreta per più di 500 anni: custodita dai pochi sopravvissuti dell'antica civiltà maya che avevano tenuto viva la "sacra fiamma" della conoscenza in segreto, per paura di venir perseguitati e di perdere definitivamente l'antico sapere e le antiche usanze. Morivamo dalla voglia di conoscere altri particolari. Patricio ci informò che il raduno era stato convocato da Don Alejandro Cirilo Oxlaj Peres, sacerdote maya quasi settantenne e diretto discendente dell'antica classe sacerdotale maya; era indovino e sciamano e viveva in uno sperduto villaggio dell'altopiano guatemalteco, membro di una di quelle antiche dinastie di "signori del giorno" maya che si era tramandata di generazione in generazione la conoscenza. Don Alejandro ci aveva messo sei anni a organizzare il raduno, girando in lungo e in largo l'America per andare a visitare coloro che vi dovevano partecipare. Prima ancora di lasciare il proprio paese per andare a trovare queste persone, le aveva già localizzate "per via paranormale" nei sogni, nel corso di "visioni oniriche" o di contatti con altre dimensioni del mondo dei sogni. Anche Patricio era stato individuato in questo modo. Non sapeva niente del raduno fino a pochi mesi prima. Ma un giorno si era trovato sulla soglia di casa un ometto: Don Alejandro. Patricio non l'aveva mai visto, non aveva mai sentito parlare di lui, e ora l'anziano maya era là che lo stava mettendo al corrente del raduno, spiegandogli quanto fosse importante che lui vi partecipasse; Patricio era stato nominato anche coordinatore di tutta la delegazione dell'America Settentrionale. Patricio aggiunse che, se volevamo sapere ancora qualcosa a proposito Chris Morton and Ceri Louise Thomas 292
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dei teschi di cristallo, ci conveniva partecipare alla riunione in Guatemala; lui però avrebbe dovuto parlarne prima con gli anziani perché ci concedessero il permesso.
21 LO SPIRITO DEI TESCHI In attesa di aver notizie da Patricio, attraversammo il deserto del New Mexico fino a Santa Fe. Stavamo andando a trovare Jamie Sams, la nota scrittrice nativa americana che viveva da quelle parti. Jamie era un misto di cherokee e seneca, sangue scozzese e francese. Aveva passato buona parte della sua vita in Messico come discepola di uno sciamano che era "un miscuglio di maya, azteco e yaqui", e presso due matriarche della tribù kiowa. Avevamo preso contatto con lei su indicazione di una nostra amica che aveva fondato il Native American Tribal Traditions Trust, autrice di numerosi libri sulla filosofia e spiritualità dei nativi americani, tra cui The Thirteen Originai Clan Mothers,1 in cui si trovavano dei riferimenti ai 13 teschi di cristallo. Quando avevo preso contatto con Jamie, le avevo raccontato la negativa esperienza col British Museum, dicendole che stavamo cercando di trovare sull'argomento altre notizie da altre fonti. Jamie rispose che, sebbene nel suo libro avesse citato i teschi di cristallo, si era limitata a rivelare quanto le era stato permesso. I suoi maestri però le avevano detto che verso la fine del secolo sarebbe giunto il momento in cui gli insegnamenti a lei impartiti avrebbero potuto essere divulgati, e che sarebbero arrivate due persone d'oltremare che cercavano di sapere qualcosa sui teschi: costoro avrebbero dovuto essere edotti sugli insegnamenti ricevuti dalle due matriarche. Ecco perché ci aveva invitati. Jamie viveva in una tipica casa di stile pueblo; era una persona dotata di senso pratico e di una risata sonora. Le riferimmo qualcosa di quanto avevamo appreso da Leon, Emerson e Patricio, e lei ci spiegò che gli insegnamenti dei nativi americani facevano considerare il mondo in maniera completamente diversa dalla nostra; ci imponevano di guardare tutte le cose in modo nuovo e talvolta singolare. Avremmo dovuto mettere da parte tutto ciò che ci era familiare per tuffarci nell'ignoto. "Questo territorio dapprima vi sembrerà strano", ci avvertì, "e probabilmente Chris Morton and Ceri Louise Thomas 293
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scoprirete che alcune cose che date per scontate non lo sono affatto." Le spiegammo il risultato delle perizie del British Museum e dei tentativi per cercare di arrivare alla verità sui teschi. Jamie osservò: "Il problema è che voi volete mettere un'etichetta sui teschi di cristallo, e invece scoprirete che non c'è alcuna etichetta". Aveva ragione: io volevo una categoria precisa in cui inserire i teschi. Ancora mi allettava l'idea di riuscire a spiegarli, a descriverli. Fino a quel momento però non era stato possibile. Jamie proseguì: "Non si può dare una spiegazione univoca dei teschi di cristallo: essi funzionano, operano ed esistono a livelli diversi nello stesso tempo. Ci sono infatti molti modi per guardarli e capirli. Appartengono a molte dimensioni. Per comprenderli bisogna mettere da parte la convinzione che esista un'unica verità, un 'unica risposta, un'unica spiegazione. I concetti non devono essere riassunti ma ampliati, bisogna incominciare a guardare i teschi in maniera nuova, diversa... Noi definiamo questo concetto 'filosofia vivente'. Potete chiamarla religione, ma è molto di più che l'andare in chiesa una volta la settimana o recitare le preghiere. Il mondo occidentale è stato sedotto dal perseguimento di ciò che voi chiamate fatti e conoscenze 'obiettivi'. Eppure la conoscenza obiettiva è fruito solo della mente, è stata separata dal cuore. Se non ci si collega con il cuore, i fatti' possono essere manipolati e usati in modo improprio. Per noi la conoscenza non è qualcosa che si ottiene solo con la mente, leggendo un libro o dando retta a un insegnante... viene da ciò che si sperimenta direttamente. Le verità che noi apprendiamo non sono fatti 'obiettivi' ma ci giungono dalla ricca esperienza della vita, perché le verità sono ciò che noi conosciamo con il nostro cuore e con la nostra mente". Il giorno seguente Jamie propose di uscire in campagna: avremmo compreso meglio i teschi. Filavamo in macchina lungo l'autostrada verso il Colorado e lei nel frattempo ci spiegava una delle caratteristiche dei teschi di cristallo: potevano insegnare a trasformarsi. Rappresentavano il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 294
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mutamento positivo che si può verificare a livello fisico, emotivo e spirituale. A un certo punto Jamie ci chiese di fermarci: voleva farci vedere una cosa. Era una chiesetta di arenaria, detta santuario di Chimayo, che i pueblo erano stati costretti a costruire su quello che era un loro luogo sacro, da un facoltoso possidente terriero spagnolo nel 1816. All'interno c'era uno splendido altare decorato con i sontuosi colori caratteristici degli indiani. Mentre guardavo l'altare, la mia attenzione fu colpita dalla croce di legno massiccio che lo dominava. Jamie disse: "Quando avete incominciato a fare ricerche sui teschi di cristallo, avete deciso di affidarvi alla scienza. Volevate che il British Museum vi dicesse quali teschi erano autentici e quali falsi. Alla fin fine, vedete, è una questione senza importanza... anche sapere che il pezzo di legno sull'altare sia o meno un frammento della vera croce è mia questione senza importanza... È un simbolo. Questo è ciò che conta. Il cristallo di quarzo, a differenza della croce, possiede particolari e insolite qualità che possono letteralmente metterci in contatto con il funzionamento del mondo dello spirito. C'è solo una sottile membrana che separa questo nostro mondo fisico da quello degli spiriti. Il fatto che quei teschi siano fatti di cristallo di quarzo è simbolo della trasparenza della membrana che esiste tra i due mondi, il fisico e lo spirituale. "Gli indigeni di ogni parte del mondo hanno sempre ritenuto che il cristallo di quarzo costituisca una porta di accesso alla dimensione spirituale. Come i miei maestri, e gli sciamani o 'medium', alcune persone sono capaci di servirsi dei teschi di cristallo per entrare in altre dimensioni, per passare dal mondo fisico a quello non-fisico e per trovare risposte o apportare mutamenti o compiere guarigioni che possono influire anche su noi. In un certo senso sono in grado di piegare le comuni leggi fisiche di questo mondo tridimensionale e fisico che noi chiamiamo realtà. Quel mondo è praticamente 'reale' quanto questo, nonostante la maggior parte della gente non se ne renda conto; ma si muove parallelamente al nostro comune mondo fisico e tridimensionale, solo che là tutte le cose che sono successe e che succederanno procedono insieme, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 295
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simultaneamente. Ecco cosa intendiamo noi nativi americani quando diciamo che gli antenati camminano ancora con noi in questo mondo. Esistono certi luoghi, per esempio in Guatemala, in cui la membrana che divide i mondi è estremamente sottile, dove il mondo visibile e quello invisibile quasi si scontrano. Di solito possiamo percepire solo gli eventi e le cose come se avvenissero in un particolare tempo e in un particolare luogo, all'interno dei soliti stretti limiti del nostro mondo fisico. Ma in quell'altro mondo, in quella realtà non-fisica del mondo spirituale, in quello che gli aborigeni chiamano 'luogo delle visioni', si trovano in realtà molte risposte e soluzioni ai problemi di questo mondo fisico". Chiesi a Jamie se allora la cosa più importante relativamente ai teschi fosse la possibilità di accesso ad altri regni. Lei rispose che questa era solo una delle qualità. Mentre guardavamo la croce, Jamie disse che il teschio di cristallo aveva anche una funzione simile a quella della croce cristiana. Avevo sempre immaginato la croce come un'immagine negativa associata alla morte, mentre la nostra amica la pensava in un altro modo: "È simbolo della trasformazione che la sofferenza può subire nelle circostanze più penose per l'animo umano. Dalla sofferenza scaturiscono amore e compassione. Dentro i nostri cuori abbiamo la capacità di trasformare il buio in luce, di trascendere, di spostarci al di là dei confini del nostro comune essere egoistico per arrivare al nostro essere definitivo. La croce è il simbolo della fede cristiana nell'immortalità, proprio come i teschi di cristallo sono il simbolo dell'immortalità dello spirito umano. I teschi rappresentano la fede dei nativi americani nella forza intangibile che tutte le religioni chiamano Dio, Creatore, Autore, e che noi chiamiamo Grande Mistero oppure Grande Spirito. "Se avete paura della croce, allora vi state staccando dal potere che essa offre in quanto simbolo. Lo stesso avviene per chi percepisce l'immagine del teschio come un'immagine di morte e ne rimane atterrito. Tutto questo dipende dal modo in cui le persone vedono se stesse in qualità di individui indipendenti... Chris Morton and Ceri Louise Thomas 296
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hanno messo distanza tra sé e la morte, e non si accorgono che è parte essenziale della vita. Quando ne sono tagliate fuori, rimangono tagliate fuori dalla possibilità di apprezzare veramente la vita che si ha solo quando si è consapevoli della morte. Esattamente come la croce, il teschio di cristallo è un simbolo di trasformazione. È un'immagine trasparente della morte. Ci fa intendere che la morte non è un luogo di oscurità e tristezza, ma un luogo di chiarezza e illuminazione cristalline. Noi non moriamo, ci trasformiamo. Sebbene il nostro corpo fisico cessi di esistere, il nostro corpo spirituale continua a vivere. È eterno. Il teschio di cristallo ci mostra che la morte non è la fine, non è una cosa definitiva, ma possiamo vedere attraverso di essa, come attraverso il cristallo. Morire è andare al di là della fisicità, in un diverso modo di essere. È un nuovo inizio, perché nascita e morte sono ambedue parti di un continuum, parte di un perpetuo ciclo di rinnovamento e rinascita. I teschi di cristallo simbolizzano la trasformazione a molti livelli. Poiché il teschio non è solo un simbolo della trasformazione che possiamo esperire nella morte fisica, bensì anche della trasformazione a cui possiamo accedere nella vita. Se riusciamo a capire che morire fisicamente non vuol dire la fine, allora possiamo vedere che tutte le altre 'fini' che temiamo sono invece le rinascite. La paura della morte ci fa desiderare di attaccarci alle cose per cercarvi la sicurezza. Noi vogliamo che tutto rimanga come è, anche quando le abitudini non ci apportano alcun bene. La paura del cambiamento è alla radice del terrore della morte. Quando non temiamo più la morte siamo in grado di vedere che tutti i cambiamenti della vita sono parte del ciclo costante di morte e rinascita. In ogni momento, quando qualcosa in noi muore, qualche altra cosa forse è rinata". Pensavo a quanto ci avesse deluso la scienza. Non era significativo che le nostre idee dovessero "morire" per farne "nascere" delle nuove? Dovevamo acquisire un nuovo modo di guardare al mondo - non solo come individui ma come cultura in generale? Mentre da una parte riconoscevo i molti vantaggi che la scienza aveva offerto all'umanità, incominciai anche a rendermi conto che essa forniva un quadro parziale, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 297
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una finestra molto piccola sulla vita. Dovevamo imparare a liberarci di quanto non serviva più, a lasciarlo "morire" per far posto a una nuova consapevolezza, a una nuova comprensione. "Date un'occhiata a questa Stanza dei Miracoli", ci invitò. Oltrepassai una porticina che si apriva nel fondo della chiesa. Alla luce tremolante delle candele erano esposte centinaia di fotografie, piccoli oggetti, amuleti e persino un paio di vecchie stampelle. C'erano anche lettere, molte ingiallite dal tempo: erano testimonianze di grazie ricevute. Osservai una vecchia coppia che se ne stava in preghiera, inginocchiata; sul pavimento si apriva una buca attraverso cui si vedeva la sabbia. Quando ebbero finito di pregare, la donna prese una manciata di sabbia e la mise in borsa. Si sarebbe detto che la cosa più importante non fosse l'altare, nonostante l'aspetto suggestivo, quanto quella piccola stanzetta: qui infatti c'era la "sabbia miracolosa". Mi chinai, ne presi una manciata e la feci scorrere tra le dita. Erano migliaia di piccolissimi granelli di cristallo di quarzo. Come i teschi di cristallo venivano ritenuti capaci di guarire, lo stesso si pensava di questi frammenti. I piccolissimi granelli di cristallo sembravano quasi scaturire dalle fondamenta della chiesa. Domandai a Jamie se credeva nel potere terapeutico del cristallo di quarzo. Mi rispose che, secondo quanto le avevano detto i suoi maestri, il nostro pianeta era formato per il 40 per cento di cristallo di quarzo e il potere terapeutico di questo minerale consisteva nel fatto che poteva rimettere la mente e il corpo in armonia con la Terra. Nel lasciare il piccolo santuario Jamie spiegò che la terra su cui esso era stato costruito aveva un significato particolarmente sacro per il popolo che viveva in questo territorio migliaia di anni fa. Era abitudine dei primi colonizzatori cristiani edificare chiese esattamente sui luoghi sacri degli indigeni. Ma prima che fosse costruito il santuario di Chimayo, la gente comunicava direttamente con lo spirito del luogo. "Il guaio è che la Chiesa ha un'esperienza spirituale mediata. È il prete che rappresenta l'anello di contatto con Dio, quello che noi chiamiamo Grande Mistero. Prima dei preti, il nostro collegamento era diretto. Quando arrivò il Cristianesimo fummo costretti a passare attraverso la Chiesa, attraverso i preti che divennero le autorità per tutto quanto riguardava Dio, e gli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 298
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esperti per quanto riguardava lo spirito. Solo loro sapevano ogni cosa. Solo loro venivano visti come i depositari ufficiali della parola di Dio. Ora dirigono e controllano il nostro contatto con lo spirituale. E intanto molta gente ha perso il diretto contatto con il Grande Mistero. Col passare del tempo la semplice naturale familiarità con lo Spirito è stata sperimentata da un numero sempre più ristretto di persone. Quando ci stacchiamo da Dio o dal Grande Mistero, perdiamo la coscienza del soccorrevole rapporto con lo Spirito, che ha il potere di trasformare e arricchire la nostra esistenza. Eppure senza questo collegamento essenziale nella nostra vita, ci impoveriamo al di là dell'immaginabile. Molti problemi che ora la nostra società deve affrontare sono conseguenza diretta dei tanti modi in cui ci siamo distaccati, in cui abbiamo tagliato i legami non solo in senso spirituale, ma anche con gli altri esseri viventi. La gente crede di essere indipendente da ciò che la circonda; non riesce a cogliere i nessi tra sé e gli altri. Questa distinzione è un'illusione e in questa illusione risiede la ragione della sofferenza e del dolore dell'umanità. "Essere indipendenti è la più grande illusione. Come i maya, anche i cherokee e i seneca chiamano questo il 'Quarto Mondo'... è il 'Quarto Mondo dell'Individualismo'. Noi viviamo in un momento storico che è una lezione delle molte diverse forme che può assumere l'individualismo. Da 65.000 anni stiamo vivendo in questo ciclo. E in questo periodo che ognuno ha voluto imporsi agli altri... e tutto è avvenuto tramite la conquista, leggi e regolamenti, il sistema delle classi, governi e religioni. Tutti i tipi di individualismo sono nati in questo periodo. Le profezie del mio popolo hanno sempre annunciato che in questa epoca la gente avrebbe guardato a sé come a individui separati, non solo l'uno dall'altro ma anche dalla Terra. Hanno detto che avremmo visto un sempre maggiore desiderio di dominare sui propri simili e su tutto il mondo naturale. L'individualismo è adesso il massimo principio organizzatore tramite il quale la gente intende il mondo e tramite il quale vive la propria vita. Oggi noi pensiamo in termini di 'io' e gli 'altri', pensiamo solo in termini di 'noi' e 'loro'. Ogni essere e ogni cosa la vediamo come separata da noi. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 299
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Quando guardiamo così gli altri, non percepiamo più il nesso tra noi e i nostri simili e tutte le creature viventi. Così, siccome vediamo tutti e tutto indipendenti, in certo senso 'altri' da noi, incominciamo a trattare il prossimo e tutte le cose in maniera meno benevola di come tratteremmo noi stessi. "Mentre da una parte è giusto dare importanza all'individualità e all'unicità, dall'altra non dovrebbe diventare uno schema mentale che ci separa dagli altri, che ci fa pensare di essere migliori degli altri. E questo attuale modo di pensare che la nostra gente definisce 'mentalità dell'individualismo'." Mi ricordai allora i commenti suH'"individualismo" che avevamo già udito da Carole Wilson quando era entrata in trance col teschio di Mitchell-Hedges. Ora ci trovavamo davanti al paesaggio del New Mexico spazzato dal vento; le cime delle Montagne Rocciose erano visibili in lontananza. Eravamo arrivati al piccolo appezzamento di terreno di Jamie; in passato era stata un'area coltivata, ormai però era del tutto abbandonata ed era diventata un rifugio per uccelli e animali, per il lupo e la volpe. L'unica traccia umana era la tenda di foggia indiana che Jamie vi aveva piazzato per le cerimonie. Salimmo lungo la collina, fino a un luogo in cui sulla terra morbida erano ancora visibili le impronte di un lupo. L'aria era fresca e frizzante. Due cornacchie volavano sopra di noi planando e giocando con le correnti. "E dove ci porterà questa mentalità dell'individualismo?" chiesi. "Giusta domanda. La mentalità dell'individualismo ha recato con sé tutte le possibili forme di oppressione, conquista, classismo... Ora sta portando persino a una rottura delle famiglie e delle comunità. La mentalità dell'individualismo infatti rifiuta di riconoscere i legami tra la gente, di riconoscere che siamo fratelli e sorelle, che siamo tutti uguali e apparteniamo tutti alla stessa stirpe. È stata causa di eccidi, ha portato l'Inquisizione spagnola, l'Olocausto nazista e il quasi totale genocidio della popolazione indigena di questa terra. Invece siamo tutti della stessa razza, la razza umana. Una delle conseguenze della mentalità individualistica è stata che la gente ha finito col Chris Morton and Ceri Louise Thomas 300
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considerare il mondo naturale come qualche cosa che sta al di là, distaccata da sé; ha perso il contatto con la terra, dimenticando che è un essere vivente e che, se godiamo della vita, lo dobbiamo a lei." Mentre scendevamo verso il torrente che serpeggiava nella prateria umida, ripensai alle leggende che avevo udito. C'era il mito azteco secondo cui la Terra era una donna trucidata da un mostro. Dal suo corpo scaturirono i fiumi, che sono il suo sangue, l'erba, che è la sua pelle, gli alberi, che sono i suoi capelli. I cherokee parlano della Terra come di una donna feconda i cui seni danno grano, piselli e zucche e le cui lacrime divennero fiumi di acqua pura. I kogi dell'America Meridionale hanno un mito simile: è la Madre Terra che ci dà la vita, che ci nutre e che ci fornisce cibo, vestiario e riparo. Jamie continuò: "È necessario ricordare che tutte le cose viventi hanno un'unica genitrice, la Madre Terra. Siamo tutti legati a lei e tra noi. I teschi di cristallo esistono per risvegliare il nostro senso di interconnessione con tutta la vita". Camminavamo lungo il bordo del torrente; io ammiravo le montagne e le pianure lontane. La nostra saggia amica disse: "Ci è stato insegnato dall'uomo bianco che Dio è lontano da noi, che deve essere venerato nella chiesa, che il contatto con Lui non è possibile se non attraverso la Sua religione istituzionalizzata, attraverso i preti. Eppure per il mio popolo la religione è questa: questo luogo meraviglioso dove noi siamo adesso... questa è la nostra chiesa. Dio è colui che noi chiamiamo Grande Mistero. Egli è tutt'intorno a noi, in ogni albero, in ogni foglia, montagna e nuvola". Raccolse un ciottolo dal torrente e me lo porse. "Questa pietra ha in sé uno spirito. È animata della stessa coscienza del Creatore. È vivente. Lo spirito può essere visto in ogni cosa, in ogni uccello che canta, in ogni animale, in ogni Chris Morton and Ceri Louise Thomas 301
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bambino che ride. Il Grande Mistero è infatti anche dentro di noi. Non c'è separazione, noi siamo tutt'uno con la creazione, siamo tutt'uno con Dio. Questo è uno dei primi insegnamenti dei teschi di cristallo." Jamie tornò indietro, io però dovevo rimanere ancora qualche momento in quel posto. Mi sedetti vicino al torrente e guardai il piccolo ciottolo grigio che avevo in mano. Prima di allora le pietre non erano mai state parte della mia consapevolezza; mi erano sempre sembrate irrilevanti. Solo grazie ai teschi di cristallo avevo rivolto la mia attenzione verso quel materiale. Non avevo mai pensato che le pietre avessero un significato. Eppure l'idea che quel piccolo oggetto inanimato potesse essere in certo senso vivo, e avere un suo spirito, mi riempiva di meraviglia. Ebbi un'intuizione della vitalità di tutto quanto mi circondava. Mi resi conto che c'era una consapevolezza, un'esperienza del miracolo dell'esistere evidente negli alberi, nelle piante, in ogni pietra. Era una coscienza molto diversa da quella che sperimentavo solitamente, ma significativa. Ero commossa dagli insegnamenti di Jamie. Capii che sentire la consapevolezza di tutto ciò che ci circonda equivale a entrare in una più profonda connessione e, di conseguenza, capire in modo più ricco e profondo cosa significa essere vivi. Jamie aveva detto che questo era uno dei messaggi dei teschi di cristallo. Più tardi, mentre tornavamo in auto in città, pensavo a come sia facile perdere il contatto con il messaggio, come sia facile sentirsi distaccati dal mondo naturale quando ci troviamo in mezzo a edifici brutti, a strade sporche... Mi chiesi quanti di noi hanno mai raccolto un sasso per contemplarne l'intelligenza e la forma, quanti hanno ragionato sulla forza di vita che contiene. L'affannosa vita quotidiana fa sì che i momenti di contatto con la natura siano estremamente rari. Jamie disse che secondo gli hopi l'umanità esiste per rimandare al mondo l'immagine della sua bellezza; ogni volta che godiamo della bellezza di un fiore o della maestosità di un albero questi esseri viventi diventano ancora più belli. Sembrava semplice, eppure quanti di noi vivono così oggi, sperimentando questa splendida e semplice filosofia dell'ammirazione, una filosofia che può servire sia al mondo naturale sia ai rapporti tra gli uomini? Incominciai a chiedermi se ammiriamo abbastanza gli animali. Si sa che Chris Morton and Ceri Louise Thomas 302
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negli ultimi cento anni si sono estinte più specie di animali che non nei precedenti diecimila, cioè dalla fine dell'ultima Era Glaciale. E allora tutta la nostra considerazione verso le creature si esprimeva solo nella loro distruzione? Ricordai le parole di un nativo americano: "Solo dopo che l'ultimo albero sarà stato tagliato, solo dopo che l'ultimo fiume sarà stato inquinato, dopo che l'ultimo pesce sarà stato pescato, solo allora ci renderemo conto che i soldi non ci servono come nutrimento". Forse questo era quanto dovevamo aspettarci dal nostro attuale modo di guardare il mondo con la sempre più diffusa "mentalità dell'individualismo". Forse era proprio l'abitudine a considerare le altre creature del mondo distaccate da noi che le avrebbe portate alla morte. Il capo Seattle dei nativi americani aveva anche detto più di cento anni fa: "Se gli animali cessassero di esistere, l'uomo morirebbe per una grande solitudine spirituale". Era ciò, mi chiedevo, a cui ci stava conducendo la mentalità individualistica? A una morte dovuta al nostro modo di pensare e di agire nel mondo, o forse a una morte causata semplicemente dal desiderio di indipendenza dal mondo naturale? Quanto più ragionavo sull'idea dell'individualismo, tanto più potevo vedere come questa permeasse tutti gli aspetti dell'esistenza. In tanti ci siamo lasciati alle spalle le forze e i cicli naturali. Forse abbiamo perso la consapevolezza del mondo naturale, ci siamo distaccati dall'interezza insita in noi, ma facciamo di tutto per compensare il distacco, il senso di solitudine. Per sentirci interi cerchiamo amicizie, lavoro e denaro, nella speranza di riempire i vuoti. Eppure, anche quando abbiamo ottenuto ciò che credevamo di desiderare, non è mai abbastanza. Forse la nostra ricerca sui teschi di cristallo ci avrebbe fatto sentire più appagati? Nel corso delle indagini ci eravamo resi conto che indubbiamente nella vita "normale" c'erano alcune gravi limitazioni. Forse ciò che mancava era la conoscenza della nostra natura spirituale e del nostro collegamento con tutte le altre cose. Arrivati a casa di Jamie, la nostra amica ci lasciò con queste ultime parole: "I teschi di cristallo si riuniranno quando anche la famiglia umana lo farà, quando ci troveremo insieme mettendo da parte ostilità, atteggiamenti di difesa e di diffidenza, quando ci ritroveremo insieme con i cuori all'unisono. Questo è possibile. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 303
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Guardate come spesso accada che qualcuno si lanci a salvare qualcuno in pericolo di vita, senza pensare alla propria sicurezza. Ognuno ha in sé questa qualità: si trova in una zona in cui l'io viene accantonato, dove l'io si ritira e si pone nello stesso luogo in cui si trova il vero amore, la nostra vera natura di amore e di solidarietà. Dobbiamo fare appello a questa vera natura, adesso. È tempo di guardarci nel profondo e trovare quell'impulso, quella generosità di spirito, quella profonda attenzione per il prossimo e riportarli alla luce. "Ricordate che uno degli insegnamenti più importanti dei teschi di cristallo è che siamo tutti esseri spirituali in corpi fisici. Essi ci dimostrano che il nostro mondo fisico non è effettivamente distaccato dalle dimensioni del mondo spirituale... infatti ci possono dare accesso a quelle altre dimensioni del mondo degli spiriti, dove possiamo incominciare a distinguere il nostro collegamento con tutte le altre cose. I teschi di cristallo ci dimostrano che dobbiamo risvegliarci alla conoscenza, diventare di nuovo sensìbili al rapporto tra noi e la Madre Terra che ci sostenta, e che dobbiamo incominciare a ricostituire e rispettare questi legami della nostra esistenza".
22 I SIGNORI DEI GIORNI Il giorno seguente telefonammo a Patricio Domìnguez per sapere se aveva ottenuto il permesso di farci partecipare al grande raduno in Guatemala; ormai mancavano solo due settimane. Ci rispose che non ne era ancora sicuro, ma che aveva parlato con un sacerdote - sciamano o "signore dei giorni" - maya, Hunbatz Men. Costui, che viveva nella penisola dello Yucatàn, presso Chichen Itzà nel Messico meridionale, apparteneva a una delle famiglie cui era stato affidato il compito di custodire le informazioni sacre al momento dell'arrivo degli spagnoli nell'America Centrale, insieme con la responsabilità di tenerle segrete affinché non se ne facesse un uso improprio o non venissero distrutte. Hunbatz Men era disposto a parlare con noi, purché andassimo a trovarlo in Messico nei giorni seguenti. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 304
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Nonostante fossimo a ben 1600 chilometri di distanza, ci sembrò un'occasione da non perdere, quindi prenotammo i posti in aereo e pochi giorni dopo ci trovammo sulle antiche rovine maya di Tulum, sulla costa caraibica del Messico, dove ci eravamo dati appuntamento con Hunbatz. Tulum era splendida. Antichi templi e piramidi si stavano sgretolando per finire nel mare di limpido azzurro (vedi la foto a colori 22). Incontrammo Hunbatz Men all'ingresso dell'area archeologica, tutto vestito di bianco secondo la tradizione maya, con una piccola fusciacca rossa in vita. Era un ometto basso e rotondo, con capelli ispidi e grigi; aveva il viso largo, dai lineamenti accentuati, la fronte alta, il naso leggermente arcuato, le narici molto grandi, le labbra tumide: sembrava quasi una versione maschile del viso ricostruito sul teschio di Mitchell-Hedges. Mi vennero in mente anche le antiche teste scolpite nella pietra dagli olmechi, ritrovate sotto terra lungo la costa del Golfo. La voce dell'ometto era tranquilla e ferma, con note morbide e suadenti. Ci spiegò che non conosceva nemmeno lo spagnolo e che aveva difficoltà a farsi capire in inglese. Ci disse che più di cinquecento anni fa la sua famiglia aveva ricevuto l'incarico di conservare una piccola parte dell'antica tradizione di saggezza e che lui era l'attuale erede della stirpe, "sebbene ora, visto che il tempo è giunto, posso incominciare a farvi partecipi di questi segreti". Proseguì: "Gli occhi della civiltà moderna vedono solo un piccolo lasso di tempo. Per la mentalità occidentale cinquecento anni sembrano tanti, mentre cinquecento anni agli occhi dei maya non sono nulla. È scritto nel tempo e nella memoria dei popoli indiani che il nostro sole tornerà a sorgere. I miei antenati, gli itzas [un gruppo di maya stanziati nello Yucatàn] fecero una profezia, e cioè che la sapienza dei maya sarebbe tornata sulla terra. "È stato profetizzato che noi ricostituiremo la nostra cultura con le sue arti, la sua scienza, la sua matematica e la sua religione, perché tutto ciò si fonda sulla sapienza cosmica, la sapienza che abbiamo ricevuto dagli antenati. La sapienza maya tornerà alla luce del sole. Oggi stiamo già incominciando a vedere come effettivamente si stia manifestando. Ben presto terremo il primo raduno in Guatemala, avvenimento che fa parte Chris Morton and Ceri Louise Thomas 305
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delle nostre profezie, secondo le quali la gente è sul punto di capire la civiltà maya. "L'umanità odierna si trova in una situazione di grande pericolo. La cultura attuale che gli europei ci portano non è infatti la migliore. E noi possiamo vederlo dalle cose cattive che sono nella cultura corrente. Oggi non c'è rispetto per il vento, le nubi, i fiori... non abbiamo rispetto per l'umanità. E per questa ragione che noi adesso ci riuniamo ancora e iniziamo di nuovo a parlare. Perché i maya avevano capito la cultura cosmica nella quale viveva il rispetto per tutto ciò che esiste". Stavo per chiedere a Hunbatz cosa sapesse dei teschi di cristallo; lui andò avanti a parlare: "La profezia degli itzas è che stanno per tornare, con la loro sapienza, perché si tratta di una sapienza cosmica. Ora noi stiamo incominciando a celebrare i nostri riti, e nel futuro ne faremo di più perché stiamo tornando a manifestarci... la gente verrà per essere istruita e cercare di capire la cultura cosmica del popolo maya. I teschi verranno ad aiutarci perché ciò fa parte delle profezie. Questo fa parte di ciò di cui la gente ha bisogno, e i teschi verranno per essere rimessi nell'antico luogo. Ben presto i maya li rimetteranno a posto... perché devono tornare nel loro posto originario, devono tornare in cima alle piramidi. "E i sacerdoti maya torneranno a pregare e a operare con quel cristallo, perché soltanto così sarà possibile creare l'energia positiva per lavorare dal centro sacro. Allora quell'energia si diffonderà agli altri centri sacri, e ancora dopo in tutto il mondo. I tedeschi devono tornare ai loro posti originari, perché così sarà più facile il lavoro per tutta l'umanità. Fa parte della profezia che la gente abbia i teschi in luoghi diversi, ben presto però li riporteranno ai luoghi sacri, queste piramidi dove finalmente stanno per ricomparire". Ero perplessa e mi chiedevo che cosa volesse dire con "il lavoro per tutta l'umanità", e che cosa significasse "stanno per ricomparire"... a chi si riferiva: ad altri teschi di cristallo, a degli antenati maya? Hunbatz Chris Morton and Ceri Louise Thomas 306
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proseguì: "Fa parte della profezia che deve avverarsi, fa parte della profezia del popolo maya... gli itzas che ora vivono in Messico e gli altri maya che vìvono in molte diverse regioni. "E con i teschi adesso tutto sarà facile, il grande cambiamento per tutta l'umanità... il grande cambiamento della conoscenza, la conoscenza dell'Era della Luce. Noi avremo bisogno di tutti e io prego Hunab Ku [l'antica divinità della creazione che, secondo i maya, sta nel centro dell'universo]. Ora è venuto il tempo e io prego Hunab Ku che accada quello che deve accadere". Ascoltavamo affascinati le sue parole, ma avevo un grande desiderio di sentire ancora qualcosa sui teschi. Gli chiesi di spiegarci meglio da dove venissero e quale fosse il loro vero significato. Hunbatz rispose: "Molto tempo fa nella terra dei maya, Itzamna ci diede la sapienza e le istruzioni per capire i teschi, l'istruzione necessaria per operare con essi e ci mostrò come farlo nei luoghi sacri quali Tulum e Chichen Itzà e in molti altri luoghi nella terra dei maya. Perché il teschio di cristallo tra i maya ha un rapporto sacro con Dio, perché per i maya il nome di Dio è Hunab Ku. Noi crediamo che il nostro teschio sia in qualche modo collegato con le sacre proporzioni dateci da Hunab Ku. Perché noi abbiamo bisogno di capire che tutte le proporzioni del nostro viso nella testa e nel corpo hanno qualche collegamento con le sacre proporzioni di Dio. Il teschio di cristallo tra i maya ha il nome di lembal e significa 'luce', 'sapienza' e ha qualcosa a che fare con il nostro sacro nesso con Dio. In molti luoghi, in molti centri sacri noi abbiamo operato con i teschi per migliaia di anni. E Itzamna ci diede le istruzioni e le indicazioni su come lavorare ancora di più sui teschi per conto nostro, perché verrà un giorno in cui dovremo avere i teschi non solo nei centri sacri dei maya ma in molti altri centri sacri di tutto il mondo. Perché ora, come è stato divinato, il resto dell'umanità incomincia a interessarsi ai teschi. "Secondo la profezia, tutta l'altra umanità ha iniziato a portar via i teschi dai nostri centri sacri e quindi essi hanno dormito a Chris Morton and Ceri Louise Thomas 307
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lungo. Ma ora è tempo che ce li rimandino indietro perché ne abbiamo bisogno per attivare ogni centro sacro in tutte le terre dei maya. Perché ora è necessario che l'umanità si risvegli. Abbiamo di nuovo bisogno dei teschi, per rimetterli sulle nostre piramidi sacre... poi verrà il resto. I teschi di cristallo incominceranno di nuovo a dare lembal, stanno incominciando a ridare la luce, la sapienza all'umanità. Allora l'umanità ricomincerà a svegliarsi e non solo nella terra dei maya, ma in molti luoghi di tutto il mondo... anche a Stonehenge. Noi dobbiamo rimettere il teschio di cristallo là. Perché ora sta per ricominciare la giusta energia, la giusta energia per tutti questi luoghi, perché Itzamna ci fa vedere come dobbiamo modulare quella parte dell'energia della creazione". Gli chiesi di nuovo se ci poteva spiegare da dove erano venuti in origine i teschi di cristallo. Mi rispose in termini alquanto esoterici: "Noi maya sappiamo che veniamo dalla Terra, ma capiamo anche che parte di noi appartiene al cielo, al cosmo, a qualche altra legge al di fuori di questa splendida dimensione. Noi maya infatti comprendiamo che nello stesso tempo noi siamo della terra ma in cielo abbiamo una famìglia più grande. E la parola che usiamo per indicarla è mishule. Mishule significa i nostri fratelli e le nostre sorelle al di fuori di questa splendida Terra. "Molto tempo fa noi maya eravamo in comunicazione con ogni altra razza del mondo e al di fuori del mondo. È per questo che noi maya ci identifichiamo con la gente dell'aria. Questa è la ragione per cui abbiamo tanti simboli, molti dei quali sono di qualcosa che esiste nell'aria, come quello di Kukulcan o di Quetzalcoatl, il simbolo del serpente volante. "Ne abbiamo che spiegano il cosmo, pochi, ma quei pochi di solito costituiscono una combinazione: sono una combinazione di un simbolo della Terra e di un altro dell'aria o del cielo. Per questo noi sappiamo che ogni cambiamento nella Madre Terra avviene a causa di altri cambiamenti che stanno avvenendo lassù, e che sono collegati... un cambiamento avviene anche lassù e poi scende qui. Ecco perché noi maya abbiamo più rispetto per tutte Chris Morton and Ceri Louise Thomas 308
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le manifestazioni della vita, non ha nessuna importanza infatti da dove venne ciascuna... siamo tutti una famiglia. Ed è per questo che talvolta dobbiamo pregare per i mishule, i nostri fratelli e sorelle lassù [e indicò il cielo], perché sappiamo che loro talvolta pregano per noi, e questa è la bella amicizia che noi avevamo molto molto tempo fa con tutte le manifestazioni della vita". Ero perplessa su che cosa intendesse dire Hunbatz con "i nostri fratelli e le nostre sorelle al di fuori di questa splendida Terra", ma non volle aggiungere altro. Gli chiesi se ci poteva spiegare qualcosa sui teschi e sull'antico calendario maya. Lui rispose che il calendario era stato tramandato dai più antichi progenitori "per farci capire quando avvengono gli eventi cosmici dell'universo": "Per la civiltà maya, per noi, ogni corpo celeste ha qualcosa da insegnarci. Come il sole - le quattro posizioni del sole, nei due equinozi e nei due solstizi - ha qualcosa da insegnarci. Come la ragione per cui tutto ciò avviene. Dobbiamo capire che cosa sono i cambiamenti che fanno muovere il sole e la Madre Terra ogni volta che abbiamo i due solstizi e i due equinozi. "Anche nostra sorella luna ha importanti istruzioni da darci. Dobbiamo capire ciascuna delle quattro fasi lunari e ciascuna delle sue quattro facce. Ogni faccia, come la luna piena, ha qualcosa che può influire sull'aria e allo stesso tempo ha un'influenza sugli uomini. Poi ci sono gli altri pianeti - Venere, Marte, le costellazioni - ciascuno dei quali ha qualche cosa da dirci, qualcosa da insegnarci. Questa è una delle ragioni per cui noi maya abbiamo creato 17 calendari: per riuscire a sapere di più sul cielo e sui movimenti che avvengono nei cieli. Il nostro calendario maya è cosmico e ha uno scopo, un significato... è per misurare qualcuno dei grandi corpi celesti e questa è una delle grandi differenze. Il calendario e l'astronomia maya hanno anch'essi qualcosa a che fare con la mente originale di Hunab Ku, qualcosa a che fare con l'originale forza dell'energia cosmica. "Uno dei grandi calendari dei maya equivale a circa 26.000 dei vostri anni solari. E quel calendario indica quando la Madre Chris Morton and Ceri Louise Thomas 309
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Terra sta per avere uno dei suoi grandi mutamenti. Perché questa Terra fu molte volte sommersa dall'acqua. E ciò succederà di nuovo, fa parte del naturale ciclo dell'universo. "La Terra ha il suo ciclo naturale, esattamente come un essere umano. Il ciclo dell'uomo, da quando nasciamo a quando moriamo, equivale per natura a 100 anni, ossia 2 Baktun. Nessun uomo può nascere, crescere vivere, maturare e morire naturalmente in un solo anno, né può vivere molto al di là del tempo dato per natura. L'uomo deve percorrere tutto il ciclo. E il processo di sviluppo della Madre Terra è simile, ma è un ciclo più lungo e fissato con la massima precisione. Noi capiamo, e voi dovete capire, il funzionamento dei processi della Terra. Noi maya sappiamo che questo processo di mutamento nella Madre Terra è di circa 26.000 dei vostri anni, 26.000 dei giri della nostra Terra intorno al nostro amico sole. "Ma uno dei maggiori problemi di oggi è che il mondo moderno ritiene di essere indipendente dal processo. Questa pericolosa situazione in cui ci troviamo fa sì che la gente non capisca che la Madre Terra è vicina a un immenso mutamento. La gente oggi fa cose sbagliate che accelerano il processo... sta sperimentando le bombe atomiche, creando una gran quantità di inquinamento nel cielo, tagliando tutti gli alberi, tirando fuori il petrolio dalla Madre Terra. E questo è un immenso errore, perché dappertutto oggi c'è ignoranza, specialmente nei paesi più ricchi. Così ora la gente sta contribuendo ad accelerare il processo del naturale mutamento della Madre Terra e non si rende conto di che cosa sta facendo. "E noi maya stiamo incominciando a fare un certo lavoro per dare a tutti i popoli queste informazioni. Perché le informazioni che vengono dai teschi possono aiutare gli esseri umani a svegliarsi e a iniziare a vedere gli errori che stanno facendo sulla Madre Terra. Ora noi abbiamo bisogno di più rispetto per la Madre Terra, perché con il rispetto incominciamo a capire il processo della Madre Terra, i normali cambiamenti della Madre Terra. "E abbiamo bisogno dei teschi perché l'umanità ora deve svegliarsi. Perché se non lo fa, ucciderà la Madre Terra e non ci Chris Morton and Ceri Louise Thomas 310
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sarà un altro luogo in cui vivere. Questo è l'unico posto a nostra disposizione per sostentarci. Eppure in America e in Gran Bretagna si stanno distruggendo i boschi... come nel lontano Brasile. Ma anche se il Brasile è lontanissimo dagli Stati Uniti, ciò non vuol dire che i cambiamenti terrestri che noi acceleriamo non avranno effetti anche sugli Stati Uniti. E siccome stanno uccidendo gli alberi in Brasile ora anche gli alberi della terra maya stanno cominciando a morire. Perché tutti gli alberi del mondo possono comunicare tra loro. Noi maya diciamo: non uccidere nessun albero, perché se uccidi un albero, uccidi la tua famiglia. Quando uccidi un albero è come se ammazzassi tuo fratello o tua sorella. In questo modo noi maya crediamo negli alberi. Ma essi sono solo una parte della Madre. Gli alberi sono, per i maya, la pelle di nostra madre, e il petrolio è il suo sangue, e i fiumi sono il suo sudore, la sua traspirazione. Ma gli errori oggi stanno accelerando la sua vita e questo non va bene... perché sta arrivando il grande cambiamento". In quel momento mi ricordai con grande apprensione che la predizione del calendario maya per l'attuale Grande Ciclo del tempo cadrà il 21 dicembre 2012. Ma ero anche impaziente di sapere da dove erano venuti i teschi di cristallo, per cui lo domandai di nuovo a Hunbatz. "I miei antenati, gli itzas maya, essi portarono con sé i teschi di cristallo, costruirono molti dei grandi centri sacri, come a Chichen Itzà, e qua a Tulum, Cobà e nel Petén. Siamo venuti a conoscere i teschi tramite gli insegnamenti degli itzas, i maya hanno appreso tutto sui teschi dagli itzas, ed essi divennero noti come i grandi itzas maya, ed essi spiegarono a noi tutto sui teschi." "Ma", chiesi, "da dove sono venuti gli itzas?" "I miei antenati, gli itzas, vennero da Atlantide, e sono stati loro che ci diedero la conoscenza per capire i teschi, ci dissero di Itzamna e del funzionamento dell'universo. Voi dite 'Atlantide', ma i maya dicono Atlantiha. Gli itzas ci parlarono del posto da Chris Morton and Ceri Louise Thomas 311
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cui venivano e ci spiegarono che in quel posto, il posto dell'acqua, mangiavano la conoscenza, la conoscenza delle pietre, la conoscenza che essi avevano dei cristalli, la conoscenza che portarono con sé nei teschi di cristallo. E in quel luogo, ci dissero, c'era più informazione sui cristalli e più conoscenza sui teschi. Essi hanno dentro di loro, nei teschi di cristallo, accesso a quei luoghi. Così noi crediamo che molti altri teschi di cristallo esistono in quel luogo, il luogo che voi chiamate Atlantide. Ma come vi ho spiegato all'inizio, i teschi di cristallo devono stare in ogni centro sacro, perché sono parte essenziale di questi centri sacri e una parte importante di queste piramidi. Gli itzas ci hanno spiegato che esistono molti altri teschi di cristallo, come quelli che esistono nella terra dei maya su tutta la Madre Terra." Dunque, a sentire questo diretto discendente degli antichi maya, i teschi di cristallo erano venuti da Atlantide. Ma arrivati a questo punto Hunbatz spiegò che ce ne dovevamo andare perché non aveva più nulla da dirci "per il momento".
23 LA CIVILTÀ SCOMPARSA Camminavamo lungo il bianco litorale sabbioso presso Tulum, ammirando le prime stelle che si affacciavano nel cielo notturno, le onde che si frangevano sulla spiaggia. Mentre facevamo scorrere lo sguardo sulle azzurre acque del Golfo del Messico, io fantasticavo su Atlantide, la mitica isola-paradiso che da secoli ammiccava nella fantasia degli uomini come un gioiello perso da tempo immemorabile. Forse c'era qualche filo che legava i teschi di cristallo a quel regno scomparso, come aveva fatto pensare la controversa scoperta dei MitchellHedges nei lontani anni Venti. Frederick Mitchell-Hedges aveva dedicato buona parte della sua vita al tentativo di dimostrare che Atlantide era veramente esistita. Era convinto che fosse situata nell'Oceano Atlantico, esattamente al largo di questa costa, e che fosse stata la culla di tutta la civiltà. Riteneva che il suo teschio di cristallo provenisse proprio da quella straordinaria cultura. Anche l'abate Brasseur de Bourbourg ben prima di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 312
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lui, nel Diciassettesimo secolo, aveva nutrito la certezza che proprio da lì erano venuti i maya. La scienza convenzionale aveva sempre visto in Atlantide solo un mito. Eppure Hunbatz Men ora ci aveva detto che, secondo la tradizione orale del suo popolo, i più antichi progenitori dei maya erano venuti da lì, portando con sé i teschi di cristallo. Mi ricordai del colloquio con una nativa americana, ancora agli inizi del nostro viaggio: Paula Gunn-Allen, insegnante di inglese alla University of California di Los Angeles, una delle più note esperte in letterature e mitologie degli indigeni. Di origine mista, pueblo laguna e sioux, è scrittrice, poetessa e mistica "a seconda del cappello che mi metto", per dirla con le sue parole. Intelligenza acuta, spiccato senso dell'umorismo, grande indipendenza di giudizio infatti, visto che pur appartenendo al mondo accademico, prende sul serio l'ipotesi di Atlantide. La professoressa Gunn-Allen ci ha riferito che Atlantide aveva sempre fatto parte della storia orale dei nativi. Esattamente come i maya, i pueblo laguna hanno molte leggende su questa civiltà scomparsa, come anche i Seneca e diverse altre tribù, tra cui i cherokee. Come ci fece notare, i più antichi documenti scritti dell'Occidente risalgono a Roma, alla Grecia, all'Egitto e alla Mesopotamia, mentre le tradizioni orali di molti popoli nativi risalgono a epoche molto anteriori. Le leggende delle popolazioni seneca, per esempio, parlano di "storie da raccontare ai 'figli della Terra' a proposito dei mondi esistiti prima che si incominciassero a redigere storie degli 'esseri a due gambe'". Esistono inoltre notevoli affinità tra le mitologie dei vari continenti. I tratti principali della storia di Atlantide, per esempio, si rinvengono nell'America Meridionale, ma anche negli scritti degli antichi sumeri e mesopotamici, vissuti in quello che è oggi il Medio Oriente. I primi riferimenti scritti relativi ad Atlantide si trovano proprio in Europa, nell'opera del grande filosofo greco Platone, vissuto intorno al 350 a.C. Nel suo Timeo, Platone dice che Solone, il grande legislatore di Atene, durante un suo viaggio in Egitto, in una località detta Sais, aveva conosciuto un sacerdote; costui gli aveva raccontato che, in confronto agli egizi, i greci avevano ben scarse nozioni sui grandi avvenimenti storici che pure avevano dato un'impronta alla loro cultura. Continuava poi spiegando che era esistito un grande continente in mezzo all'Atlantico, al di là delle "colonne d'Ercole"... Chris Morton and Ceri Louise Thomas 313
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"... e i navigatori allora poterono passare da quella alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente opposto, che costeggiava quel vero mare".1 L'incredibile testimonianza dà per scontato che gli egizi conoscessero l'esistenza del continente americano, indipendentemente dal fatto che fosse esistita o meno la civiltà atlantidea a cui il passo si riferisce. Platone spiega quanto grandiosa fosse quella civiltà la cui "grande e mirabile potenza reale" era arrivata a estendere il proprio dominio alla Libia, all'Egitto e all'Europa fino alla Tirrenia (Toscana)2... per non parlare di "molt'altre isole e gran parte del continente (americano?)". E voleva estendersi ancora verso est; ma si ritrovò a combattere contro la civiltà greca e all'improvviso la guerra cessò: "Ma nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte tremenda, tutti i vostri guerrieri [gli ateniesi] sprofondarono insieme dentro la terra, e similmente scomparve l'isola Atlantide assorbita dal mare; perciò ancora quel mare è impraticabile e inesplorabile, essendo d'impedimento i grandi bassifondi di fango che formò l'isola nell'inabissarsi".3 Alcuni archeologi hanno pensato che Platone si riferisse in realtà alla civiltà minoica, fiorita su quella che è oggi l'isola greca di Creta. L'isola fu investita infatti da una immensa ondata verso il 1400 a.C, provocata dall'eruzione nella vicina isola di Santorini, ma si trova nel mezzo del mar Mediterraneo e non nell'Atlantico "innanzi a quella bocca, che si chiama, come voi dite, colonne d'Ercole". Nel Crizia Platone precisa che da quegli eventi erano trascorsi 9.000 anni; in tal caso avrebbero dovuto aver luogo al più tardi intorno al 9500 a.C, ben prima delle date comunemente accettate per l'inizio della civiltà egizia o greca, per non parlare di quella minoica di Creta. Anche l'Egitto antico pare non abbia assunto il valore di vera e propria civiltà prima del 3.000 o 4.000 a.C. La posizione della leggendaria Atlantide dunque rimane un mistero.
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Esiste però un'altra testimonianza a favore dell'esistenza di Atlantide, o comunque di un continente nell'Oceano Atlantico tra l'Europa e le Americhe. Sono state trovate varie carte geografiche antiche che non solo riportano l'attuale configurazione delle coste americane e di quelle africane ed europee, ma anche un continente tra le prime e le seconde.4 La più nota di queste carte, detta mappa di Piri Reis, venne rinvenuta nel 1929 nella Biblioteca Imperiale di Costantinopoli, l'attuale Istanbul, ed è da attribuirsi al massimo al 1513 d.C, sebbene le scritte che l'accompagnano dichiarino che fu compilata sulla base di varie mappe di epoca anteriore, alcune delle quali risalenti "al quarto secolo a.C. o anche prima".5 Tali mappe, a quanto pare, facevano riferimento a "fonti ancora anteriori", probabilmente risalenti alla "più remota antichità". Secondo il professor Hapgood del Keene College, nel New Hampshire, che studiò la carta originale, c'era "prova irrefutabile che di tutta la Terra erano state tracciate carte geografiche prima del 4000 a.C da una civiltà ancora oggi ignota in quanto mai identificata, che aveva raggiunto un alto livello di progresso tecnologico" e le cui "documentate" nozioni erano state trasmesse da una popolazione all'altra nel corso degli anni.6 Da chi erano state disegnate quelle carte? Quale era la "civiltà ancora ignota e mai identificata che aveva raggiunto un alto livello di progresso tecnologico"? Forse i leggendari atlantidi che dalla loro terra disegnavano carte geografiche "documentate" e "generali"? La cosa sorprendente nella mappa di Piri Reis, che riproduce la costa di un continente nell'Atlantico meridionale, è che secondo recenti studi potrebbe coincidere con la "topografia subglaciale" dell'attuale Antartide,7 anche se compare migliaia di miglia a nord rispetto a quest'ultima e priva di ghiacci. Dato che tutta l'Antartide e i mari che la circondano sono coperti da ghiacci quasi dovunque spessi più di millecinquecento metri, e che il continente venne scoperto ufficialmente solo nel 1818, ci si trova di fronte a un vero e proprio rebus. Alcuni studiosi, come Hapgood, hanno cercato di dimostrare che quanto riportato dalla mappa di Piri Reis è veramente l'Antartide, ma che, dal momento in cui essa venne tracciata, il continente si è spostato di migliaia di miglia verso sud a causa di un immenso slittamento della crosta terrestre. Un'altra spiegazione è che i disegnatori della mappa intendevano raffigurare l'Antartide, ma commisero un errore sulla sua dislocazione; ciò però non spiegherebbe per quale ragione il continente sia presentato Chris Morton and Ceri Louise Thomas 315
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completamente sgombro dai ghiacci, a meno che le temperature nell'epoca precedente al 4000 a.C. non fossero decisamente più alte delle attuali. Per la verità Greenpeace ha fatto passare un'imbarcazione in navigazione lungo un nuovo canale di mare apertosi nel ghiaccio antartico quale conseguenza del riscaldamento della terra: che qualcosa del genere fosse avvenuto anche in epoche remote? Altra e più plausibile spiegazione è però che la terra raffigurata non sia affatto l'Antartide, ma un continente poi scomparso. Comunque stiano le cose, la terra misteriosa ospitava esseri umani, quindi avrebbe potuto essere la leggendaria Atlantide. La sua posizione tuttavia non corrisponderebbe alla descrizione di Platone, che la poneva subito al di là delle Colonne d'Ercole. In genere si ritiene che si trovasse nel mezzo dell'Atlantico settentrionale e non di quello meridionale. Il problema naturalmente di tutti gli archeologi del passato non consisteva nell'assenza di testimonianze scritte ma nell'apparente mancanza di qualsiasi riscontro fisico preciso e probante. Se questa civiltà è esistita ed è poi sprofondata intorno al 10.000 a.C, perché non ne rimane alcuna testimonianza fisica? C'è infatti da dire che la zona centrale dell'Atlantico è tra i punti più profondi di tutti gli oceani. Nella sua opera Il segreto di Atlantide,8 lo scrittore tedesco Otto Muck ha cercato di rispondere alla domanda. Muck fa notare che la costa orientale dell'America meridionale e la costa occidentale dell'Africa si incastrerebbero l'una nell'altra come due pezzi di un puzzle e in armonia con l'ormai largamente accettata teoria della tettonica a placche. Le coste dell'America Settentrionale e Centrale invece non si adatterebbero affatto a quelle dell'Europa. È evidente che in questo punto sembra mancare un pezzo. Muck avanza l'ipotesi che il pezzo mancante fosse proprio Atlantide, inabissatasi nelle acque dell'oceano. La maggior parte dei geologi obietterebbe che il distacco delle placche continentali americane dalle placche dell'Africa e dell'Europa avvenne non negli ultimi 12.000 anni, ma diversi milioni di anni fa. Muck tuttavia ha una risposta anche a questo: fa notare che nell'ultima Era Glaciale i ghiacciai erano avanzati verso sud fino a dove oggi si trova Londra, il che non sarebbe avvenuto se a contrastarli ci fosse stata quella che oggi è la Corrente del Golfo con le sue miti temperature che attraversano tutto l'Atlantico. Nell'ultima Era Glaciale dunque ci doveva essere qualcosa che la bloccava, e secondo Muck questo qualcosa non era altro che Atlantide, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 316
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oggi giacente sul fondo dell'oceano a causa della caduta sul continente di un asteroide, che provocò l'attuale profonda fossa nel mezzo dell'Oceano Atlantico. Vera o no, la teoria si adatterebbe ben più di altre alla descrizione di Platone. Eppure, forse Atlantide non stava nel mezzo dell'Atlantico, né a nord né a sud, quanto piuttosto in prossimità delle coste europee o di quelle americane. Alcuni scrittori hanno trovato dei collegamenti tra i mesoamericani e Atlantide. Nel Diciannovesimo secolo l'americano Ignatius Donnelly nella sua opera Atlantis the Ante-diluvian World9 portava prove indiziarie di un collegamento tra Atlantide e l'America Centrale analizzando le somiglianze tra vocaboli e forme linguistiche: "Secondo le tradizioni dei fenici, i Giardini delle Esperidi erano in un lontano occidente. In questi giardini viveva Atlante. Atlante, come abbiamo visto, era re di Atlantide... era descritto nella mitologia greca come 'un gigante immenso, che stava sui confini occidentali della Terra e reggeva il cielo sulle spalle, in una terra dell'ovest dove il sole continuava a brillare dopo che era tramontato in Grecia'... E ora attenzione! Una montagna dell'Atlante' in Africa; sulla costa dell'America una città 'Atlan'; gli 'Atlanti' lungo la riva settentrionale e occidentale dell'Africa; e il popolo 'azteco' della Aztlan nell'America Centrale; tra i due un oceano detto Atlantico'; una divinità mitologica, 'Atlante', regge il mondo sulle spalle e una tradizione antichissima parla di un'isola detta 'Atlantide'".10 Mi ricordai allora dell'edificio degli Atlanti nella città pre-azteca di Tula, presso Città del Messico, delle sue pareti decorate con teschi scolpiti nella pietra. Avevamo anche appreso che i maya dell'altopiano guatemalteco chiamavano Atitlàn il loro grande lago. E se, come sosteneva Hunbatz Men, Atlantide si trovava veramente in prossimità delle coste dell'America Centrale? C'è un complesso di isole in quello che oggi è il Mar Caraibico. Già Frederick Mitchell-Hedges aveva individuato le Bay Islands al largo delle coste del Belize e dell'Honduras come possibili avamposti dell'antica civiltà atlantidea e alcuni, come Chris Morton and Ceri Louise Thomas 317
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Gilbert e Cotterell, avevano immaginato che le Isole Caraibiche nel passato erano le vette, le montagne e gli altopiani di una ben più grande terraferma o di una serie di più grandi isole. Indubbiamente molte di queste isole, come gran parte della costa orientale dell'America centrale, sono oggi circondate da acque molto basse, soprattutto in quella che è detta la piattaforma continentale della Grande Bahama, a nord di Cuba (vedi figura 26).
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Figura 26: Zona di fondali bassi lungo le coste dell'America Centrale e dei Caraibi, dove alcuni suppongono si trovasse Atlantide Gilbert e Cotterell hanno fatto notare che la data indicata da Platone relativamente al grande cataclisma atlantideo, circa il 9500 a.C, sembra coincidere con la data che normalmente si presume segni la fine dell'ultima Era Glaciale.11 È anche universalmente accettata l'idea che durante l'ultima Era Glaciale le calotte polari erano molto più grandi, e quindi il livello dei mari molto più basso. Buona parte delle acque probabilmente si erano trasformate in ghiaccio che era andato a formare ghiacciai e calotte polari, così che le isole e le masse continentali emergevano dal mare con superfici molto più ampie di quelle attuali. Alla fine dell'ultima Era Glaciale le calotte e i ghiacciai presero a sciogliersi, facendo innalzare il livello dei mari. Le principali città della civiltà atlantidea probabilmente erano situate lungo la costa e furono di conseguenza le prime a scomparire sott'acqua. Secondo un'ipotesi, i sopravvissuti di Atlantide riuscirono a mettersi in salvo per mare rifugiandosi sulla terraferma dell'America Centrale, più grande e più elevata, portando con sé cultura, usi e credenze, oltre che, come Hunbatz aveva detto, i teschi di cristallo. Stabilitosi in Mesoamerica, questo manipolo potrebbe essersi fuso con gli olmechi, i maya e forse anche i teotihuacàni, i toltechi e persino gli aztechi. Gli antichi maya dunque, e forse anche altre tribù mesoamericane, secondo certuni potrebbero aver avuto le loro origini in Atlantide, proprio come sostenuto da Hunbatz. Secondo quanto ci aveva detto Paula Gunn-Allen, non si poteva negare che in tutte le Americhe esistessero miti e leggende ben radicati che parlavano di "uomini saggi" o genti giunte dal mare orientale, che avevano portato e diffuso la civiltà. Molte tribù sudamericane, tra cui gli antichi inca peruviani, narravano di un personaggio leggendario, "Viracocha", che era arrivato dal mare orientale a seguito di una rovinosa inondazione. Ricco di conoscenze e di sapienza, presentava molti elementi di rassomiglianza con la figura maya di Kukulcan e con l'azteco Quetzalcoatl, il grande "serpente piumato dai colori dell'arcobaleno". Sebbene in molte versioni maya e azteche di questa storia il grande maestro era venuto dai cieli, quasi tutte le versioni concordavano nel dire che il personaggio leggendario e i suoi compagni, dopo aver trasmesso la loro sapienza e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 319
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dopo aver fondato grandiose civiltà, si rimisero in mare per tornare verso oriente. Queste nobili divinità della cultura mesoamericana erano esseri di "luce", sapere e conoscenza, pari a esseri divini o comunque superiori. Mi chiesi se non erano forse originari di Atlantide, giunti nelle Americhe prima o subito dopo il tracollo della loro grandiosa civiltà. Ma questi viaggiatori avevano portato con sé dei teschi di cristallo? La professoressa Gunn-Allen credeva, basandosi sull'esperienza personale fatta con un teschio di cristallo, che questi oggetti provenissero da Atlantide. Ci riferì di aver ricevuto notizie per via medianica dal teschio di Mitchell-Hedges nella casa di Anna, in Ontario nel 1987. Come Carole Wilson, Paula Gunn-Allen ritiene che, cadendo in trance, sia riuscita a comunicare con la "mente" del teschio e a "riferire" le sue parole. Aggiunse: "Quando si parla di channelling non si sa mai se si sta inventando o se si sta riferendo con fedeltà e precisione", però ci raccontò ugualmente la sua esperienza: "Mi misi in contatto medianico con il teschio, che mi disse di chiamarsi 'Gentian': è il nome di un fiore, una pianta medicinale che cresce nelle fredde regioni alpine dell'Europa occidentale". Non mi stupii più di tanto: anch'io avevo avvertito non so che qualità "glaciale" nel teschio di Mitchell-Hedges. Come dovevo scoprire qualche tempo dopo questa pianta è una delle specie minacciate, a causa del ritiro dei ghiacciai, dovuto al riscaldamento terrestre. Secondo Paula Gunn-Allen, Gentian è da ritenersi di genere femminile: "I teschi sono tutti appartenuti a esseri femminili. Rappresentano la saggezza femminile. Con 'saggezza femminile' non intendo qualcosa che. non appartenga anche agli uomini, ma parlo di qualità che si sono sviluppate per tradizione in maniera più spiccata nelle donne, cioè il senso dell'intuizione, il modo meno gerarchico e competitivo di pensare e comportarsi". A suo giudizio l'interesse per i teschi si sta facendo sempre più vivo perché questa è un'epoca in cui stiamo tornando a una forma di società basata in modo preminente sul femminile. Per dirla con le sue parole: "E Chris Morton and Ceri Louise Thomas 320
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un tempo di ritorno alle matriarche. È la fine del patriarcato". Ci riferì poi quanto aveva appreso sul modo in cui i teschi di cristallo erano nati: "I teschi di cristallo furono foggiati dalle donne. Dico donne ma non penso che fossero esseri umani, bensì qualche altro tipo di forma vivente. [Gentian] mi disse che vissero moltissimo tempo, centinaia di anni e che giunsero da un luogo poi inabissatosi, in quella che la gente oggi chiama Atlantide. Li vidi procedere attraverso questo vasto spazio assolutamente spoglio... la mia impressione era che fosse il fondo dell'oceano. Certamente non era la Terra quale noi la conosciamo. Infine giunsero su un luogo scosceso, e si trovarono nella Penisola dello Yucatàn, in Messico, che come voi sapete non è lontana dal luogo in cui Mitchell-Hedges trovò il teschio negli anni Venti. "Quella gente aveva sviluppato discipline di altìssimo livello... sapeva tutto sul moto, sul corpo e sull'autocontrollo. Con la disciplina potevano colmare il corpo di conoscenza e saggezza, poi si astraevano da se stessi, dalla loro coscienza, dai loro corpi, e lentamente si verificava il processo di pietrificazione... diventavano dunque come pietre, come rocce. Lasciavano nelle loro ossa ogni più minuta particella di conoscenza cosmica diffusa in tutto l'universo, non solo nella nostra galassia ma in molte altre, e tramite molte griglie temporali, inclusa quella in cui noi viviamo oggi". Gunn-Allen non sapeva con certezza quanti fossero i teschi che erano stati fabbricati con questo sistema, però era sicura che i loro creatori avevano lasciato qualcosa, i loro corpi e i loro teschi di cristallo, in una grotta sotto le montagne, a occidente della costa di quello che è l'attuale Belize. Riteneva che i teschi fossero "strumenti di comunicazione": "Sono ricetrasmettitori. Danno la possibilità di parlare con altre regioni della galassia. Li possiamo considerare telefoni tramite i quali ci si può mettere in contatto con la Centrale Galattica e rimanere così in comunicazione con altre zone della coscienza, delle civiltà in un certo senso, che sono al di là del Chris Morton and Ceri Louise Thomas 321
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nostro piccolissimo mondo attuale". Questa conoscenza dei più vasti collegamenti cosmici tra la Terra e altri pianeti era "appartenuta a popolazioni indigene dell'Africa, del Tibet, della Siberia", secondo Paula Gunn-Allen, ma era rimasta inaccessibile al mondo occidentale per migliaia di anni. Che una profonda sapienza del passato fosse rimasta a noi preclusa era un'idea in cui già ci eravamo imbattuti in occasione del nostro incontro con la sensitiva Carole Wilson e avevamo udito "la voce del teschio" che parlava di Atlantide e delle grandi scoperte che sarebbero state fatte su di essa. La notizia di cui Carole Wilson era stata mediatrice era che il teschio aveva fatto parte nel passato del "grande cristallo di Atlantide". Secondo la "voce del teschio" "le menti di molti" sono conservate dentro di esso e queste menti vi sono state "chiuse durante il crollo di Atlantide". Ecco come si spiegò Carole: "Era avvenuto che quelle creature vìventi avevano posto l'essenza delle loro idee nel cristallo. Sapevano che la loro patria sarebbe stata ben presto distrutta e volevano mettere in salvo la loro sapienza affinché venisse utilizzata nel futuro. All'inizio pensarono di nascondere le informazioni in un solo luogo, poi decisero che era troppo rischioso e che era invece meglio suddividerle tra diversi contenitori". Secondo Carole i teschi di cristallo sono una forma di memoria di quanto è stato dimenticato, e che ora è diventata di eccezionale importanza. Ci spronò soprattutto a ricordare alcune altre cose rivelate dal teschio: "A causa dei cataclismi avvenuti su quel pianeta dovete attingere ai vostri ricordi della reincarnazione per guarire, consigliare, guidare e amare un mondo divenuto folle". Carole ritiene che alcuni di questi "ricordi della reincarnazione" si riferiscono ad Atlantide e che ora noi dobbiamo sapere che cosa è veramente accaduto, affinché non si riproduca una catastrofe del genere. Carole ci aveva raccomandato di leggere quanto aveva scritto Edgar Cayce, uno dei più famosi sensitivi del mondo, il quale aveva raccolto e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 322
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trasmesso messaggi da Atlantide. Cayce (1877-1945) faceva il fotografo ma era stato soprannominato il "Profeta Dormiente". Aveva scoperto per caso di essere in grado di diagnosticare malattie e di prescrivere adeguati rimedi mentre era in stato di trance, oltre a trasmettere messaggi provenienti dal passato e dal futuro. Secondo Cayce, Atlantide era esistita ed era stata poi sommersa e distrutta dalle acque nel corso di un immane cataclisma ambientale. Descrisse con queste parole la diaspora dei suoi pochi sopravvissuti: "Allora, insieme con quanto era rimasto della civiltà di Atlantide, Iltar, con un gruppo di seguaci che erano della casa di Atlan, i seguaci del culto dell'UNO, una decina di individui, lasciò quella terra di Poseida e si mosse verso ovest, portandosi in quella che poi sarebbe stata una parte dello Yucatàn. Li diede inizio, con l'aiuto delle popolazioni del luogo, allo sviluppo di una civiltà molto simile a quella che prima era nella terra atlanti-dea..."12 Che questo gruppo fosse quello degli itzas a cui aveva fatto cenno Hunbatz, condotti forse dal grande Itzamna, che contribuì a fondare la civiltà maya nella penisola dello Yucatàn? Secondo Cayce, i sopravvissuti portavano testimonianze della loro precedente storia, che poi sarebbero state rinvenute in tre luoghi: "Le testimonianze... sono conservate in tre luoghi sulla Terra qual è oggi: nella zona sommersa di Atlantide, ovvero Poseida, dove parte dei templi potranno essere scoperti sotto il limo dei secoli di acqua marina - vicino a quella che è ora detta Bimini al largo della costa della Florida".13 Avevamo già sentito citare Bimini dalla voce del teschio. La predizione di Cayce era del 28 giugno 1940 e i templi al largo della costa di Bimini sarebbero stati scoperti nel 1968-69, ma non si afferrò subito forse la portata della scoperta. Rimasi stupita nell'apprendere che fu precisamente in questa area, in una zona ristretta detta Triangolo delle Bermude che nel 1968 un gruppo di sommozzatori guidati dal dottor Manson Valentine scoprì, ad appena 6-9 Chris Morton and Ceri Louise Thomas 323
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metri sotto il pelo dell'acqua, qualcosa di cui fino a quel momento non si era sospettata la presenza:14 massicci blocchi di pietra, larghi anche quattro metri e mezzo e del peso di circa venticinque tonnellate l'uno. Nonostante sia ancora irrisolta la questione se si tratti di formazioni naturali o meno, sta di fatto che questi blocchi sono tutti della stessa identica grandezza. Alcuni sembrano arrotondati dall'azione delle acque, ma in origine avevano una forma di cubo perfetto, ed erano disposti a quanto pare intorno all'isoletta, quasi a costituirvi una poderosa barriera contro l'erosione delle onde. Cayce disse anche che un'ulteriore prova di Atlantide sarebbe stata trovata "nelle testimonianze" dei templi egizi... nonché in quelle presenti nell'attuale Yucatàn, in America, dove si trovano tali pietre (di cui si sa così poco).15 Mi domandai se "tali pietre" non fossero dei teschi di cristallo, forse alcuni tuttora nascosti in qualche punto della penisola. E che dire delle testimonianze dell'antico Egitto? Parlammo in seguito con una sensitiva inglese, Ann Walker, che aveva effettuato qualche tempo prima una ricognizione in Egitto proprio alla ricerca di tali testimonianze. Nel suo libro The Stone of the Plough,16 avanza l'ipotesi che l'antico Egitto, al pari delle antiche culture mesoamericane, fosse frutto della civiltà atlantidea, ai cui rappresentanti sono da attribuire la progettazione e la realizzazione delle piramidi in ambedue i continenti. Stando agli studi archeologici, la civiltà egizia, come quella degli olmechi e poi dei maya e degli aztechi, lungi dallo svilupparsi a gradi e per tentativi come è normale in qualsiasi storia umana, emerse quasi all'improvviso nella forma più perfetta. In Mesopotamia d'altronde, tra i sumeri che produssero in Medio Oriente una civiltà ritenuta immediatamente precedente a quella egizia, esisteva la leggenda di "esseri sapienti" emersi dal mare in una remota preistoria. Queste eccezionali creature anfibie, specie di uomini-pesce, "dotati di intelletto", avevano fornito tutte le cognizioni necessarie per fondare la loro civiltà. Si trattava forse di quegli atlantidi che, secondo Ann Walker, avevano diffuso la civiltà nel Medio Oriente e in Egitto? Ann ritiene che questi propagatori di civiltà in tutto il mondo erano anche i detentori delle testimonianze di Atlantide, tra cui uno o più teschi di cristallo. Per ispirazione del suo "spirito guida" crede di sapere con esattezza dove sono custodite tali testimonianze. Esattamente come Cayce, suppone si trovino in una "Sala delle Testimonianze", sepolta sotto le Chris Morton and Ceri Louise Thomas 324
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zampe della Sfinge. Strano a dirsi, è proprio di questi ultimi tempi la notizia che il governo egiziano ha disposto l'effettuazione di scavi in quel punto preciso. Secondo Ann i lavori porteranno alla luce un teschio di cristallo, che fornirà la prova inconfutabile del ruolo fondamentale ricoperto da questi oggetti nell'evoluzione dei destini umani anche in Occidente. Per sapere se è nel giusto, non ci resta che aspettare e stare a vedere. Ma se Atlantide è veramente esistita, che cosa ne ha determinato il tracollo? Secondo le rivelazioni di cui Cayce è stato portavoce, "il suolo si aprì perché vennero disattese le leggi divine per la salvaguardia della natura e della Terra".17 E a quanto pare in questo frangente un ruolo fondamentale fu ricoperto dal cristallo, se non proprio dai teschi di cristallo. Secondo il Profeta Dormiente l'impiego originale che gli atlantidi facevano del cristallo era di natura strettamente sacra: "Nella terra di Atlantide... nella casa di una sacerdotessa principessa di sangue reale - [si trovava] uno che era responsabile di quella pietra su cui brillava la luce del cielo, per il benessere dell'uomo - che portava le divinazioni alla gente sulle relazioni con le forze divine affinché potessero trovare la loro espressione".18 Sebbene Cayce non facesse precisa menzione di teschi di cristallo, io ovviamente mi chiedevo se l'espressione "quella pietra" non fosse un velato riferimento a tali oggetti. Procedendo nella lettura, apparve evidente che, sagomata o meno che fosse a forma di teschio, doveva ricoprire un ruolo importantissimo in Atlantide. Secondo Cayce infatti gli atlantidi si servivano del cristallo come di uno strumento di comunicazione divina, esattamente allo stesso modo in cui Hunbatz descriveva la funzione dei teschi di cristallo, ma in un secondo tempo il potere dei cristalli venne usato in modo scorretto. "Creati in origine come mezzo di comunicazione spirituale tra il finito e l'infinito, gli immensi cristalli riflettenti vennero detti all'inizio Pietra di Tuaoi. [Ma] in seguito essendosi il loro impiego perfezionato nei secoli, si ampliò fino a diventare un Chris Morton and Ceri Louise Thomas 325
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mezzo di potere e di energia che si irradiava sulla terra senza fili. Fu dunque detta Pietra Focaia o Grandi Cristalli. "19 Cayce descrisse una popolazione che aveva imparato a manipolare l'ambiente imbrigliando la potenza del cristallo. In una narrazione che sembra uscire da un libro di fantascienza ecco come descrive questi "Grandi Cristalli": "Situata nel Tempio del Sole in Poseida, la Pietra Focaia era la centrale di alimentazione elettrica del paese... sulla pietra c'era una cupola che poteva essere scoperchiata per ricevere la luce solare. La concentrazione e l'intensificazione dei raggi del sole filtrati da molti prismi era di eccezionale potenza... poteva venir reintegrata e trasmessa per tutta la Terra in raggi invisibili simili alle onde radio. La sua energia veniva usata per alimentare le navi sul mare, gli aerei e persino i veicoli privati... Metropoli e città ricevevano energia dalla stessa sorgente".20 Tutto era molto simile a quanto ci aveva detto Carole Wilson sulle "intelligenze evolute". La società che Cayce descriveva sembrava avere qualche interessante somiglianza con la nostra: le sue affermazioni andavano di pari passo con quelle della Gunn-Allen a proposito di come gli atlantidi erano riusciti a intervenire sulla durata della vita umana e sull'efficienza dei loro organismi: "Il corpo umano poteva venire ringiovanito tramite il moderato impiego dei raggi provenienti dai cristalli, e l'uomo riusciva a ringiovanire".21 Secondo Cayce però, fu proprio sfruttando in modo scorretto il cristallo di quarzo che gli atlantidi gettarono i semi della propria rovina: "Tuttavia, a causa di una corruzione, la Pietra Focaia [o cristallo] poteva essere, e in effetti fu, impiegata per utilizzazioni negative [il che] contribuì a provocare la seconda catastrofe. I raggi si unirono ad altre forze elettriche fino a dar luogo a molte combustioni nel profondo della Terra, ed eruzioni vulcaniche Chris Morton and Ceri Louise Thomas 326
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vennero stimolate dalle potenti riserve di energia della natura".22 Aggiungeva poi: "La prima esplosione della Terra [avvenne] quando furono adoperate quelle forze che ora si stanno riscoprendo... che possono essere usate utilmente nelle comunicazioni, nei trasporti, ecc., oppure essere trasformate in forze distruttive".23 Cayce scriveva tutto ciò negli anni Quaranta, quando l'impiego positivo del cristallo era stato sfruttato specialmente a fini bellici. Oggi però il quarzo lo si trova in quasi tutti gli strumenti elettrici, e io mi chiedevo se gli atlantidi non avessero fatto uso di tecnologie del cristallo ancora più evolute, quelle appunto così diffuse ai nostri giorni. La leggenda della tribù seneca narra di come Atlantide venne distrutta a causa dell'utilizzo indiscriminato del cristallo di quarzo. Nella sua opera Other Council Fires Were Here Before Ours,24 la grande vegliarda Seneca Twylah Nitsch sostiene che Atlantide faceva parte in origine di un immenso continente noto come "Isola della Tartaruga" che comprendeva tutte le terre precedentemente al loro distacco, a quel processo cioè che gli scienziati chiamano deriva dei continenti. Questo processo si ritiene avvenga molto lentamente, nel corso di milioni di anni, ma la leggenda lascerebbe intendere che potrebbe verificarsi anche in modo molto più violento, e che fu proprio nel corso di uno di questi immensi "mutamenti della terra" che venne annientata Atlantide. Secondo i seneca, ai tempi dell'Isola della Tartaruga, le cinque razze umane vivevano tutte sullo stesso continente, ciascuna in una sua zona distinta. La razza bianca nota come quella dei "gagan" occupava Atlantide, nel nord-est della Terra. Era una razza privilegiata, dotata di grandi capacità: "Meraviglie... sortivano dalle [loro] splendide menti. Scoprirono rimedi per tutte le malattie degli uomini e trovarono come riportare i loro corpi fisici al benessere usando i colori della luce dell'Avo Sole".25 Con un parallelismo impressionante con quanto avviene oggi, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 327
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"costruirono meravigliose invenzioni, che chiamarono macchine, a cui far fare tutti i lavori pesanti. Noi demmo a questi oggetti il nome di Coloro che Facilitano il Lavoro degli Esseri a due gambe".26 Inizialmente ciò avvenne in un modo che non arrecava danno alla Terra. Non c'erano né strade né miniere. Ma col passare del tempo, le cose cominciarono a mutare. Non avendo condiviso le loro scoperte di medicina con le altre quattro razze, i gagan incominciarono a vivere più degli altri, il che li fece sentire anche superiori. E fu allora che decisero di schiavizzare le altre razze. La nuova scienza medica dei gagan era bianca e di conseguenza il colore bianco assunse una serie di nuove valenze. I gagan credevano che quel colore fosse simbolo di forza e pulizia, che qualsiasi cosa non bianca e pura fosse negativa. Ben presto la loro paura della sporcizia, della polvere, della terra e della sabbia cominciò a intaccare il loro senso di appartenenza alla Madre Terra. Si trasferirono in insediamenti residenziali bianchi, fatti di marmo e di cristallo, e crearono piante e alberi che non cambiavano le foglie o i fiori. I gagan vennero chiamati Aga Oheda, o "Coloro che temono lo Sporco" dagli appartenenti alle altre razze, che erano ammessi nelle loro città solo come servitori, cantanti o ballerini per intrattenerli durante le feste. I Gagan, per preservarsi dalla sporcizia, ricoprirono la superficie della Terra con una sostanza bianca, detta "Neve Dura Come la Pietra", che distruggeva piante e animali. Nello stesso tempo, Coloro che temono lo Sporco sperimentarono le proprietà dei cristalli: "Gli sciamani di Coloro che temono lo Sporco trovarono un sistema per fondere... il cristallo... e per mescolarlo, una volta fuso, con minerali metalliferi che trovavano nella Madre Terra. [Il 'Popolo del Cristallo'] venne fuso e poi trucidato, allo scopo di consentire alla tribù di Coloro che temono lo Sporco di riuscire a imbrigliare le forze naturali della Madre Terra".27 Estraendo i metalli dalla Terra crearono immense cavità: non c'era misura nella frenesia con cui si sfruttavano le risorse dell'Isola della Tartaruga, senza preoccuparsi di reintegrarle. Fui di nuovo colpita da alcune somiglianze con quanto sta avvenendo oggi. Non stiamo anche noi saccheggiando e depauperando la Terra? Non stiamo anche noi ricoprendo Chris Morton and Ceri Louise Thomas 328
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il pianeta col biancore dell'asfalto, con strade che divorano sempre più ampie fette di territorio? Mi chiesi se questa leggenda si riferisse veramente al passato o non anticipasse piuttosto il mondo presente e il nostro futuro prossimo. Infine, la Madre Terra guardò con grande tristezza al destino che attendeva i suoi figli: Gli Esseri a due gambe che sono miei figli hanno sempre avuto il dono della libera volontà. Fu una scelta che essi fecero, quella di tagliare le radici che trasmettevano loro ciò che per diritto di eredità gli spettava. Le acque dell'inondazione purificheranno il peccato oggi commesso, ma le conseguenze della loro distruzione vandalica si faranno sentire nei mondi a venire e passeranno in eredità alle future generazioni".28 Dunque, secondo la leggenda seneca, e come è detto nel Calendario maya, il Terzo Mondo dell'Acqua venne distrutto dal diluvio. I laghi che noi vediamo oggi sono ciò che ne rimane. La narrazione termina con la seguente affermazione: "L'inondazione si ripeterà sull'Isola della Tartaruga ogni qualvolta verranno spezzati dagli Esseri a due gambe i sacri legami della vita e dell'uguaglianza. Ora è tempo di chiamare a raccolta le Pietre Guaritrici, perché sono le Custodi della Testimonianza della vera storia del nostro comune viaggio. Là in alto sulla Montagna Sacra, il vero del mondo futuro sarà rivelato ai Fedeli tramite le testimonianze del Popolo della Pietra ".29 Di nuovo mi chiesi se le "pietre guaritrici" indicassero i teschi di cristallo, che hanno custodito le testimonianze non solo di Atlantide, ma anche dei mondi precedenti. Forse queste "pietre guaritrici" sono qui per rammentarci i tremendi avvenimenti del passato, affinché possiamo veramente imparare dagli errori di un tempo ed evitare che catastrofi simili si ripetano? Se "il diluvio si ripeterà... ogni qualvolta saranno spezzati i sacri legami della vita e dell'uguaglianza", allora potrebbe esserci qualcosa di vero nell'antico calendario maya e nelle parole di Hunbatz Men a proposito delle possibilità che il nostro mondo sia proprio sul punto di Chris Morton and Ceri Louise Thomas 329
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finire? Eravamo rimasti molto stupiti nell'udire da Hunbatz e da altre fonti che Atlantide era veramente esistita e che almeno alcuni dei teschi di cristallo potevano provenire proprio da là, eppure tutto ciò era nulla in confronto a quanto stavamo per apprendere al nostro rientro negli Stati Uniti.
24 I PROGENITORI Il giorno seguente prendemmo un aereo per recarci in Arizona dove dovevamo incontrarci con Harley Cervo Veloce, uno sciamano meticcio di sangue cherokee. Ci avevano detto che era depositario di importanti conoscenze e informazioni sui teschi di cristallo: uno dei pochi che sapessero a fondo tutta la leggenda, al di là di quanto narrava la tradizione dei nativi americani. Egli sosteneva che i teschi di cristallo appartenevano alla storia della Terra: elementi di una misteriosa eredità di tutti i terrestri, tenuta finora celata, ma Harley sembrava adesso disposto a "comunicare a tutti i Figli della Terra" la "vera storia degli esseri umani". Sapevamo ben poco di lui, se non che godeva di una popolarità piuttosto discussa nell'ambito della comunità indigena. Questo era dovuto - da quanto avevamo sentito - alla sua estremamente controversa decisione di rendere di pubblico dominio la storia e gli insegnamenti segreti del suo popolo, che fino a quel momento non erano mai stati divulgati fuori delle sedi di studio degli indigeni. Ciò che Harley era disposto ora a farci conoscere era materiale solitamente riservato a quei membri cherokee e di altre tribù indigene che si erano sottoposti all'iniziazione sciamanica, a coloro che rispettavano le tradizioni degli antenati, che "percorrevano la sacra via della vera conoscenza" e vivevano in armonia con gli autentici dettami dei più antichi progenitori. Ci era stato detto che la rivelazione della conoscenza sacra aveva costituito per lungo tempo un argomento di aspro dibattito tra i nativi, molti dei quali ritengono di essere stati già ampiamente depredati dagli europei, tanto che ora vorrebbero privarli delle ultime vestigia delle tradizioni sacre. Fummo messi sull'avviso: alcune di queste rivelazioni non erano adatte ai timorosi, bensì solo a coloro che erano pronti a recepire, ad accettare Chris Morton and Ceri Louise Thomas 330
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informazioni che di primo acchito potevano sembrare assurde e problematiche. Ci spiegarono che gli insegnamenti che stavamo per sentire potevano impressionare chi non era veramente pronto ad ascoltare. La storia dei cherokee e di altre popolazioni indigene, che essi consideravano la versione autentica della storia, conteneva notizie che avrebbero potuto sconvolgere chi non conosceva la visione del mondo dei nativi, o chi non era pronto ad accettare un rivoluzionamento della storia come ci era stata trasmessa finora. I "veri insegnamenti" infatti contenevano concetti forse mai nemmeno immaginati, idee che potevano suonare semplicemente inverosimili o estranee a qualsiasi esperienza, mai affacciatesi prima alla nostra coscienza. Per recepirle in modo adeguato avremmo dovuto mettere da parte il consueto, il noto e l'ovvio e fare invece un tuffo nell'ignoto, addentrarci in un territorio vergine, dove avremmo anche potuto scoprire che molte delle cose che accettavamo come ovvie erano diverse da come apparivano. Tutto ciò ci fu comunicato dagli assistenti di Harley, in quanto il maestro non si era mai nemmeno fatto sentire di persona nel corso delle nostre telefonate. Ci era stato detto che, se veramente volevamo avere delle rivelazioni sui teschi di cristallo, dovevamo andare a incontrarlo, per partecipare a qualche sua "seduta di iniziazione e terapia" in un quartiere residenziale alla periferia di Phoenix, in Arizona. Chissà che tipo era Harley Cervo Veloce, chissà che cosa ci avrebbe raccontato. Lo sciamano si era dichiarato disposto a farsi intervistare e riprendere. Chris e io pensavamo a qualcosa di molto suggestivo... l'indiano cherokee depositario di tanta saggezza sullo sfondo di uno splendido paesaggio desertico. Giunti finalmente alla residenza di Harley, la prima sorpresa fu quella di trovarci davanti a un basso edificio di cemento, che sembrava la sede di una clinica di lusso. All'interno fummo accolti in modo alquanto formale da Jan, un'assistente di Harley intorno ai quarantacinque anni, la quale ci fece subito accomodare in un lussuoso ufficio per discutere il piano del documentario. Eravamo impazienti di trovarci davanti al personaggio. Fummo condotti ad aspettarlo in un ampio salone, una specie di palestra; sul pavimento una morbida moquette e pareti tappezzate di attestati e fotografie, da cui venni a sapere che Harley Cervo Veloce era membro del locale club di tiro a segno e di quello di karate. Jan ci stava indicando Chris Morton and Ceri Louise Thomas 331
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l'"Arca": nel centro del locale, su un telo rosa shocking, in mezzo a un vistoso apparato di pietre e cristalli, c'era un teschio di cristallo a grandezza naturale, piuttosto rozzo e dalla forma più allungata di tutti quelli visti fino ad allora. Da esso si diramavano quattro file di oggetti, quasi a simbolizzare i quattro sacri punti cardinali. Si trattava di un'accozzaglia di manufatti, ceramiche e sculture di stile mesoamericano che ricordavano la paccottiglia per turisti in mostra in tutti i siti archeologici messicani, anche se non potevo escludere che in questo caso si trattasse di autentici pezzi antichi. Dal teschio di cristallo usciva un filo elettrico, e quando Jan girò un interruttore, la composizione si illuminò, assumendo un aspetto alquanto dozzinale. "È un teschio di fattura moderna, vero?" chiesi. "Sì, Harley ha scoperto un bravissimo intagliatore in Brasile, nella provincia di Minas Gerais, da dove proviene un tipo di cristallo molto pregiato", fu la risposta di Jan. Venimmo a sapere che Harley aveva avuto il cristallo da Damien Quinn, di cui già ci aveva parlato Nick Nocerino. Alzai lo sguardo e mi accorsi che intanto era entrato Harley. "Salve!" esclamò, tendendo la mano ed esibendo un largo sorriso. Puro accento texano. Mi stupii nel vedere un uomo dagli occhi azzurri, la carnagione chiara, i ricci capelli grigi; era vestito da cow-boy, compreso il laccio al posto della cravatta, il classico cappello a tesa larga e gli stivali. Dimostrava sui settant'anni, era alto più d'un metro e ottanta e tradiva origini decisamente europee. Che cosa poteva esserci in lui dei nativi americani? Il termine "meticcio" si riferiva alla sua "parte di cherokee", ma per il resto Harley era irlandese, come denunciava anche il cognome: Reagan, il nonno infatti era venuto dall'Irlanda e si era sposato con una cherokee, la quale aveva raccontato ad Harley, quando era bambino, la storia che ora lui stava per narrare a noi. Cervo Veloce si mise a sedere, si accese una sigaretta e incominciò a sciorinarci i suoi ricordi di quando faceva la controfigura a Hollywood. Giunse la bella e giovane consorte, e in breve la sala si riempì dei suoi collaboratori, venuti lì ad assistere all'intervista. Finalmente cominciò a raccontarci la "vera storia" dei teschi di cristallo, parlando con tale precipitazione che ci era difficile seguirlo.
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"Io sono l'heyoehkah o capo guerriero del consiglio di anziani della Società dei Capelli Intrecciati. Sto dunque parlando a suo nome, in qualità di membro dei Capelli Intrecciati e del consiglio degli anziani. Ora vorrei raccontarvi quello che dice la leggenda dei teschi di cristallo, quelli che noi chiamiamo 'teschi cantanti', e dell'Arca di Osiriaconwiya. La leggenda incomincia così come la raccontano i Capelli Intrecciati, perché sono loro che raccontano le storie." Secondo i cherokee, i Capelli Intrecciati sono coloro che impersonano la tradizione dei cantastorie, vecchia di migliaia di anni. "I Capelli Intrecciati raccolgono i membri di più di 400 diverse tribù rappresentanti l'America Settentrionale, Centrale e Meridionale. Si tratta di uomini e donne che continuano a viaggiare dall'estremità dell'America Meridionale alle più lontane terre dell'America Settentrionale per trasmettere i sacri insegnamenti. Molto tempo fa l'America Settentrionale, Centrale e Meridionale, la Nuova Zelanda e l'Australia costituivano un unico continente che il nostro popolo chiamava 'Isola della Tartaruga'. Gli anziani dei Capelli Intrecciati dicono che all'inizio dei tempi esistevano 12 mondi popolati da esseri umani: erano pianeti che giravano intorno ad altrettanti soli, e i progenitori si riunivano su un pianeta chiamato Osiriaconwiya, in realtà il quarto pianeta della costellazione del Cane Maggiore, cioè Sirio. Ha due soli e due lune, e i progenitori si riunivano su di esso per discutere lo stato del "pianeta dei figli", cioè questo su cui stiamo noi. Questa è l'Ava Terra, detta Eheytoma nella nostra lingua, ma anche "pianeta dei figli", perché è il meno evoluto di tutti i pianeti abitati da esseri umani. Apparteniamo dunque a una famiglia di 12 pianeti. "Ognuno degli altri pianeti prese tutto il sapere e lo racchiuse in quello che con termine moderno chiameremmo un computer per immagini olografiche, o teschio di cristallo. Si tratta di teschi di cristallo di purezza e perfezione assolute: hanno la mandibola articolata, esattamente come noi, e vengono detti 'teschi cantanti' e l'insieme veniva detto 'Arca di Osiriaconiuiya'. Ogni teschio Chris Morton and Ceri Louise Thomas 333
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rappresenta la sapienza di un pianeta. Il concetto è chiaro se si pensa ai nostri moderni computer, che racchiudono un'immensa quantità di dati a cui si può avere accesso. Tutti i teschi di cristallo hanno in sé un'immensa quantità di informazioni a cui si può accedere solo conoscendone il sistema. "I nostri antenati cosmici presero l'Arca e vi inserirono con un codice tutte le conoscenze dei 12 mondi abitati da esseri umani, detti i 'sacri 12' pianeti o 'Ave Terre'. Poi li portarono qua e presero a operare con loro per impartire gli insegnamenti ai figli dell'Ava Terra. I progenitori cosmici conoscevano il sistema per venire e andare dall'Ava Terra su cui abitavano gli 'esseri a due gambe'. E questo fu infatti il dono di maggiore valore fatto ai figli di questa Terra, perché fu il dono della conoscenza. Questo fu il dono più grande, perché si trattava dell'inizio di ogni sviluppo, il fondamento da cui muovere il primo passo per maturare e prosperare. "Ecco come andarono le cose, e fu un periodo di immenso progresso. I progenitori degli altri pianeti istruirono i figli di questa Terra e impartirono loro gli 'insegnamenti dei sacri scudi'. 1 progenitori scoprirono il sistema per comunicare dai loro pianeti con le creature di questa Terra tramite due immense cupole, una rossa e l'altra blu, collocate in fondo all'oceano. Aiutarono il popolo della Terra a fondare quattro grandi civiltà: Lemuria, Mu, Mieyhun e Atlantide. Si servirono della conoscenza dei teschi per dare avvio alle grandi scuole del mistero, alle scuole della sapienza arcana, e alle società segrete della medicina. Queste informazioni giunsero circa 750.000 anni fa e incominciarono a essere diffuse sull'Ava Terra tra i 250 e i 300.000 anni fa. Per divulgare insegnamenti vennero foggiati stilla Terra altri teschi, che però, pur essendo di grandezza naturale, non hanno mandibole articolate. Esistono molti altri teschi detti 'parlanti' per distinguerli dai 'teschi cantanti' dell'Arca più grande, che rappresentano il sapere di tutti e 12 i mondi oltre che del nostro." La Società dei Capelli Intrecciati, come ci spiegò Harley, era una delle società segrete di medicina sciamanica. A quanto sembrava, dunque, la Chris Morton and Ceri Louise Thomas 334
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leggenda dei teschi di cristallo era passata di generazione in generazione, ma dovette essere tenuta nascosta agli estranei, soprattutto in considerazione della violenza e della brutalità di cui i nativi erano stati vittime. Ma lo scopo della società era sempre stato quello di preservare tale saggezza. "I teschi venivano tenuti dentro a una piramide in una formazione di grandissima potenza detta Arca. L'Arca conteneva 12 teschi, ciascuno proveniente da uno dei sacri pianeti, tutti sistemati in cerchio, e un tredicesimo teschio, il più grande, situato al centro. Quest'ultimo rappresenta la consapevolezza collettiva di tutti i mondi: contiene tutta la sapienza di tutti i sacri pianeti. Coloro che viaggiando portarono l'Arca dei teschi cantanti, furono poi detti 'olmechi' i quali in seguito migrarono e trasmisero la loro tradizione ai maya, quindi agli aztechi e infine a quelli che oggi sono detti Capelli Intrecciati." Cervo Veloce aggiunse che l'Arca era stata tenuta nascosta dagli olmechi in un certo punto della costa del Golfo... forse qui c'era la spiegazione di alcuni dei misteriosi riferimenti in cui ci eravamo imbattuti nel nostro giro nell'America Centrale - la "Dimora dei Tredici" di cui aveva parlato l'abate Brasseur di Bourbourg, e che i misteriosi fondatori di Palenque avevano visitato mentre si trovavano nell'America Centrale. Disse anche che i maya avevano custodito l'Arca e che "gli aztechi avevano custodito l'Arca e preservato i teschi in un luogo detto Teotihuacàn". Mentre lui parlava, io riandavo con la mente al misterioso sito fuori Città del Messico, dove sorgevano le immense piramidi sotto cui si trovava un grande locale sotterraneo, guardato da un immenso teschio di pietra scolpita, la città che gli aztechi chiamavano "il luogo in cui gli dei erano giunti sulla terra" e dove credevano persino che fosse nato il sole. Questo popolo aveva sempre assimilato il sole alla conoscenza, forse un velato riferimento alla nascita della conoscenza, la nascita dell'illuminazione e della potenza che lì era avvenuta, grazie ai teschi di cristallo. Mi chiesi ancora una volta se si trattava della profonda conoscenza profetica conferita agli aztechi dai teschi di cristallo, che aveva consentito loro di passare in meno di duecento anni dallo stadio di popolo nomade a quello di massimo impero pre-colombiano. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 335
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Secondo Harley Cervo Veloce tutti i teschi di cristallo devono rimanere nelle mani di coloro che sanno utilizzarne il loro potere senza tralignare. A suo dire il tramonto degli aztechi fu conseguenza proprio del cattivo uso del potere dei teschi di cristallo, infatti fu necessario separarli: "Gli aztechi si servirono della potenza dei teschi per soggiogare i loro simili, per utilizzare il proprio potere in modo negativo e per insuperbirsi nella grandezza. Stavano diventando una forza troppo arrogante e distruttiva, era necessario fermarli. L'unica forza in grado di farlo fu l'Impero Spagnolo. L'Arca era ancora a Teotihuacàn quando Cortés conquistò le Americhe". Secondo la leggenda narrata ad Harley, "i sacerdoti giunti al seguito di Cortés sentirono parlare dell'Arca dei teschi di cristallo", e pensarono bene di darne notizia al Papa romano. "E il Papa cattolico allora comandò: 'Dobbiamo appropriarci di questo sapere'. Ambiva alla conquista dei teschi più che alla conquista dell'oro e di tutte le altre ricchezze dell'impero. E sebbene a quell'epoca l'Arca fosse nascosta sotto terra, i soldati spagnoli riuscirono a trovarla con l'aiuto di un traditore. Proprio mentre gli spagnoli stavano per impadronirsi dei teschi di cristallo tuttavìa, i sacerdoti-giaguaro e i guerrieri-aquila li presero e fuggirono con essi. Alcuni vennero portati in quelli che erano gli antichi territori maya, altri nell'America Meridionale, e altri andarono dispersi per il mondo. I teschi dunque furono divisi l'uno dall'altro per la prima volta nella storia dell'Ava Terra." I teschi, a quanto ci disse Harley, devono rimanere separati finché non cessi il pericolo che si faccia cattivo uso della loro potenza congiunta... purtroppo la razza umana non si è ancora evoluta abbastanza per sottrarsi a tale pericolo. Ecco le sue parole: "I teschi devono rimanere separati, errare, vagare ciascuno per suo conto, finché non impareremo a condividere ricchezze e conoscenze, tecniche e medicine, e ad aver cura l'uno dell'altro, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 336
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vivendo in pace e in armonia con l'Ava Terra. Tutte cose che, come ben sapete, oggi ancora non esìstono sul nostro pianeta, dunque è bene che i teschi stiano uno qua e uno là, sparsi per la Terra. Ma la leggenda dice che essi torneranno nella loro famiglia, solo quando questa famiglia avrà la ferma intenzione di crescere e maturare e riunirsi con la famiglia dei pianeti, nella pace. Questa dunque è la leggenda come mi è stata trasmessa dalla mia maestra, e a lei dai suoi maestri, dai tempi dei tempi, e con le modalità dei Capelli Intrecciati". Harley Cervo Veloce concluse il suo straordinario racconto. Avevamo finalmente ascoltato per intero la leggenda dei teschi di cristallo. Al momento di salutarci, ci rammentò di nuovo che questa era la sapienza sacra degli indigeni americani e aggiunse che, sebbene la leggenda fosse rimasta occultata per molti anni, ora si stava velocemente avvicinando il tempo in cui tale sacra sapienza doveva essere rivelata, e la conoscenza dei teschi di cristallo doveva essere diffusa in tutto il mondo. Ammutoliti dallo stupore, eravamo diretti all'aeroporto. Dissi a Chris: "I teschi di cristallo dunque furono portati qua dagli extraterrestri". "Non è possibile", rispose lui. "Altrimenti dovremmo credere che furono una specie di dono, dei giocattoli regalati ai 'figli della Terra' dagli alieni. Quel tipo si è divertito a prendersi gioco di noi." Dovevo convenire che nulla di quanto avevamo sentito rientrava in una "normale" visione del mondo, o in una qualsiasi convenzionale conoscenza della storia umana. E Chris rincarò la dose: "Per me, non è neppure un indigeno". Effettivamente Harley Cervo Veloce era ben lontano da qualsiasi immagine ci si potesse fare di un vecchio saggio sciamano, anzi, aveva l'aria del classico americanissimo uomo del West, con tanto di pistola. Tutta la messa in scena, insomma, sapeva di una presa in giro. Dovevamo riprenderci da questo insolito incontro prima di affrontare il lungo trasferimento per tornare da Jamie Sams. A un certo punto mi resi conto che, intenta com'ero a osservare le stranezze di Harley Cervo Veloce, quasi non ero riuscita a cogliere il senso delle sue parole, eppure anche Chris dovette convenire che molte delle cose dette a proposito degli antichi mesoamericani sembravano spiegare alcuni enigmi di fronte a cui Chris Morton and Ceri Louise Thomas 337
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ci eravamo trovati nei nostri spostamenti nell'America Centrale. Rammentai a Chris la tradizione dei nativi secondo la quale spesso i grandi insegnamenti giungono tramite uno scherzo o un "coyote", una specie di pagliaccio che se ne va in giro con qualche strano berretto in testa. Buffoni del genere sono figure frequenti nelle culture tribali e compaiono in molte narrazioni mitologiche. Chissà, forse Harley Cervo Veloce era uno di loro! Quel buffone dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri, la pistola e la sigaretta in bocca, aveva indubbiamente sconvolto ogni nostra aspettativa o idea tradizionale. E ora che cosa dovevamo fare? Rifiutare in blocco le sue rivelazioni o prenderle alla lettera? Dovevamo credere solo a ciò che ci avevano detto le fonti di informazioni "serie" e autorevoli? Dopotutto avevamo scoperto che gli accademici sono estremamente preoccupati della loro reputazione. Gli esperti e le istituzioni ufficiali si erano mostrati poco propensi a investigare su qualcosa che potesse mettere a repentaglio i fondamenti generalmente accettati della storia. Quale altra poteva essere la ragione per cui il British Museum non aveva voluto rivelare i risultati delle perizie sui teschi di cristallo? Se le parole di Harley Cervo Veloce erano vere, i teschi erano stati foggiati con un sistema che noi moderni non potevamo nemmeno immaginare. Forse gli esperti del British Museum erano rimasti intimoriti da quanto avevano scoperto. Forse si trattava di qualcosa che poteva minacciare i fondamenti della loro visione del mondo. Avevamo contato quasi solamente sulla scienza ufficiale e ci eravamo imbattuti nella constatazione che l'approccio accademico tradizionale non era riuscito praticamente a darci le risposte che cercavamo. E ora, stranamente, mi sentivo rassicurata dal fatto che Harley Cervo Veloce non aveva una reputazione da difendere, non era un accademico che rischiava di mettere in gioco il buon nome della propria istituzione. Persino nell'ambito della comunità indigena passava per un outsider. Sapevo benissimo che gli archeologi ufficiali sarebbero rimasti scandalizzati da quanto lui ci aveva detto, e io stessa, devo ammetterlo, nutrivo gravi riserve a suo riguardo. Eppure, l'evenienza che i teschi di cristallo potessero essere opera di extraterrestri era quanto mai intrigante. Non potevamo rifiutarla. L'importante in questa faccenda è rimanere aperti a qualsiasi ipotesi. La teoria di Harley Cervo Veloce d'altronde spiegava come mai non si trovavano segni di strumenti sul teschio di Mitchell-Hedges, per esempio, e perché il British Museum si era rifiutato Chris Morton and Ceri Louise Thomas 338
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di esprimere la propria opinione su Max e Sha Na Ra, come pure su altre peculiarità che avevamo scoperto nel corso delle nostre indagini in giro per l'America Centrale. Nel rimetterci in strada verso la casa di Jamie Sams mi chiedevo se, per caso, anche lei non avesse sentito parlare di extraterrestri a proposito dei teschi di cristallo. Da Jamie avevo appreso che a suo giudizio i teschi di cristallo erano stati fabbricati da "coloro che avevano voluto trasformare la loro saggezza in cristallo affinché non andasse persa e rimanesse invece per sempre custodita in quelle specie di biblioteche di roccia". Aveva aggiunto che i teschi erano stati foggiati usando "solo il potere della luce, del suono e del pensiero", forse un qualche tipo di tecnologia molto avanzata, la tecnologia degli extraterrestri, per esempio? Jamie aveva anche detto che i teschi erano "un complesso di documentazioni riguardanti i nessi esistenti tra la Madre Terra e gli altri corpi celesti del nostro sistema solare, galassia e universo". Al momento queste parole mi avevano fatto pensare alla possibilità di qualche origine divina. Lei tuttavia era stata piuttosto evasiva al proposito. Quando ne avevamo parlato la prima volta per telefono si era rifiutata di svelarmi altro perché "non era ancora giunto il tempo". E adesso era il momento opportuno? Quando arrivammo a casa di Jamie pensavo ancora a Cervo Veloce... Le sue parole riportavano antiche verità o lui si era preso gioco di noi raccontandoci storielle fantastiche? Sedevamo intorno al vecchio tavolo della cucina. Io mi sentivo a disagio. Bruciavo dalla voglia di chiedere a Jamie se a suo parere i teschi di cristallo avessero un'origine extraterrestre, ma non osavo per paura della sua reazione: non era certo un banale argomento di conversazione! Mi chiedevo se Jamie si sarebbe messa a ridere per il solo fatto che potessi pensarlo. Ma spesso è proprio quando si è in queste condizioni che vengono gli insegnamenti più importanti e le risposte alle domande più serie. La presi alla larga chiedendole se aveva mai sentito dire che gli aztechi custodivano dei teschi di cristallo come ci aveva detto Harley. "Per quanto ne so, sì, ma non avevano la minima idea di quello che avevano sotto mano", rispose. E chi altri custodiva dei teschi di cristallo? Lei mi spiegò:
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"Gli abitanti dell'Isola della Tartaruga hanno vigilato a lungo sui teschi di cristallo e ne hanno avuto molta cura. I teschi erano conservati in una capanna, una costruzione ovale, di pietra e di rami, per metà sopra e per metà sotto il livello del terreno. Questo luogo rappresentava il punto d'incontro del cielo con la Terra, e del mondo dello spirito con quello fisico dei comuni mortali. Secondo i miei maestri, al suo interno erano sempre tenuti accesi due fuochi, uno che rappresentava il mondo fisico e l'altro quello spirituale. Il fuoco è il simbolo dell'illuminazione, che arriva quando i vapori della confusione si dissolvono dalla nostra mente. Il fuoco trasforma tutto ciò che tocca, brucia e consuma ciò che è morto, creando luce e calore. È una metafora della trasformazione che l'umanità deve affrontare superando le limitazioni e i pensieri negativi, i dubbi e le paure. Il teschio veniva messo al di sopra dei fuochi, con la luce che lo colpiva dal basso e dava all'Arca tutti i colori dell'arcobaleno, che allora si diffondevano intorno e sopra. Era come un microcosmo della Terra, dove l'aurora boreale si innalza sopra al Polo Nord: allo stesso modo l'arcobaleno si formava sopra al teschio, ma anche dentro e intorno al teschio. L'arcobaleno ne è parte integrante". "I nativi americani allora avevano dei teschi di cristallo che custodivano in una capanna, ma li avevano foggiati loro stessi?" Jamie se ne stava seduta in silenzio e così rimase per alcuni istanti come se la mia domanda avesse interrotto il filo del suo discorso. Volse lo sguardo lontano, verso la luna, prima di rispondere con voce pacata: "Fin dall'arrivo degli europei il mio popolo ha osservato i bianchì e le loro usanze. Siamo stati costretti a vivere secondo le loro abitudini e a fare nostre le loro credenze. Abbiamo osservato tutto senza fiatare, senza manifestare il nostro pensiero. Ci hanno raccontato di Dio e della Chiesa, del corso della civiltà umana e del progresso. A scuola ci hanno insegnato l'individualismo e la sopraffazione della Terra da parte dell'uomo. Tutto ciò era lontano dalla nostra cultura, ma abbiamo ascoltato in silenzio. Abbiamo infatti imparato che sfidare la società dominante era lo stesso che rischiare la morte. Ora però sappiamo che è giunto il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 340
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tempo. Troppo a lungo abbiamo taciuto, ora è il momento di far sentire la nostra voce... di mettere fine al distacco tra gli uomini e di partecipare tutti della verità che è nei nostri cuori. "La visione che del mondo si sono formati i vostri scienziati e intellettuali è una visione molto limitata dell'umanità e della sua storia. Da questa ristretta prospettiva non c'è archeologo che possa spiegare la stupefacente verità dei teschi di cristallo. Nessuno di loro può nemmeno tentare di spiegare le piramidi di Teotihuacàn, o quelle egiziane, o gli immensi blocchi di pietra usati dagli inca in Perù. Non possono dare risposta alla domanda di come abbiamo fatto noi comuni mortali a spostare pietre di quelle dimensioni. Non sono in grado di spiegare come il nostro popolo sia riuscito a raggiungere la straordinaria precisione tecnica necessaria a edificare questi centri nell'antichità più remota. Nessuno è riuscito a spiegare come sia successo, e perché la piramide più antica è anche la più bella e la meglio costruita, né perché gli egizi o gli olmechi, i maya o gli aztechi si siano potuti trasformare all'improvviso da semplici uomini di tribù in grandi costruttori. "Temo che questa visione così ristretta non possa nemmeno incominciare a penetrare nelle nostre verità, ma sarò io a comunicarlo, perché lo Spirito mi ha sollecitato a farlo. Quelle che vi confiderò sono rivelazioni rimaste nascoste agli occhi degli europei fin dal primo momento che sono arrivati sull'Isola della Tartaruga, ma ora è arrivato il tempo e noi parleremo". E fu allora che Jamie, con mia grande sorpresa, rispose alla domanda che non avevo nemmeno osato rivolgerle. "Sappiate che sono stati gli extraterrestri a portare i teschi di cristallo, ma noi li chiamiamo 'dei del cielo' o 'uomini del cielo'. Costoro sono giunti per la prima volta sulla Terra alla fine del Terzo Mondo dell'Acqua. Questo Mondo risale a molto, molto tempo fa, prima della formazione dei continenti, quando tutta la massa terrestre del pianeta formava un unico continente detto Isola della Tartaruga. "Gli dei del cielo sono ritornati in visita qui da noi diverse volte Chris Morton and Ceri Louise Thomas 341
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dopo quel momento. Spesso si rivelarono grandi maestri e si diede loro il nome di Quetzalcoatl nell'America Centrale e Viracocha in quella Meridionale. Spesso sono giunti in momenti in cui l'umanità era in guerra o in cui viveva nel disordine o nella miseria. Arrivarono come salvatori, maestri e guaritori, e cercarono di insegnare all'umanità come vivere in pace. Furono gli dei del cielo ad aiutare la gente primitiva a creare le meraviglie del mondo antico, ma non solo quelle. L'umanità, grazie al contatto con questi esseri di altri pianeti della nostra galassia, si trasformò; essi infatti ebbero un ruolo importantissimo nello sviluppo umano, molto più decisivo di quanto voi non possiate aver mai immaginato. Ma quello che vi sto dicendo ci riporta alle nostre radici. Ci riporta proprio ai nostri più remoti progenitori. Vi racconterò la vera storia della creazione, così come io l'appresi dai miei antenati. All'inizio sulla Terra c'era la pace. Coloro che vivevano a quei tempi non appartenevano alla specie Homo sapiens come noi, ma alla specie detta di Neandertal, che noi invece chiamiamo 'uomini della Terra'. Ci fu un'età dell'oro in cui uomini e animali si intendevano e vivevano in armonia. Esistono molte leggende su quest'antichissima età dell'oro. Nel vostro Antico Testamento si parla per esempio del Giardino dell'Eden e attualmente, se volete, ne potete avere la prova scientifica, in quanto persino i vostri scienziati hanno scoperto che i nostri progenitori non erano carnivori aggressivi come sostenevate fino a non molto tempo fa. Di recente gli scienziati della John Hopkins University hanno esaminato i molari dei teschi preistorici e hanno scoperto che essi erano quasi esclusivamente vegetariani, che quindi non uccidevano gli animali. "Il problema nacque quando la popolazione della Terra iniziò a evolversi e svilupparsi, e il cranio diveniva sempre più voluminoso man mano che aumentava la massa cerebrale. Questo succedeva perché il cervello immagazzinava tutte le memorie genetiche che aumentavano a ogni generazione, e man mano che la memoria si accresceva, anche la testa si ingrandiva. E ingrandendosi il capo, le donne ebbero sempre maggiori difficoltà nel partorire. Col passare del tempo furono sempre più Chris Morton and Ceri Louise Thomas 342
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numerose le morti da parto, che finirono col minacciare la sopravvivenza di tutta la specie. "Ora certo voi avete sentito parlare di quell'anello mancante' nella nostra storia evolutiva, di cui parlano gli scienziati senza poterne dare spiegazione; è questo improvviso immenso balzo in avanti nell'evoluzione umana, che loro non sono stati finora in grado di spiegare. Perché è avvenuto, come è avvenuto questo incredibilmente repentino e straordinario balzo? Ed è nel momento in cui la popolazione terrestre entrò in crisi che gli dei del cielo, quelli che voi chiamate extraterrestri, giunsero dal cielo, dalle Pleiadi, da Orione, da Sirio... vennero per cercare una nuova dimora qui sulla Terra, su questo splendido pianeta verdazzurro. "Gli dei del cielo dunque arrivarono, portando in dono i teschi di cristallo alla gente della Terra. Perché questi teschi di cristallo contenevano tutta la sapienza dei popoli degli altri pianeti, avevano in sé tutta la loro cultura, le scienze matematiche e quelle, naturali, l'astronomia e la filosofia, e anche le loro speranze e i loro sogni. Tutto ciò che loro erano, era contenuto in quei teschi. Si può dire che si trattava di veri e propri doni! "Ma i teschi avevano anche un'altra funzione. I ricordi che noi stavamo immagazzinando nel nostro cervello vennero trasferiti nel DNA. Non era il caso che il cranio si ingrandisse ulteriormente. I teschi di cristallo erano una rappresentazione della nuova forma in cui ci eravamo mutati, il programma dell'umanità. Anche questo è adombrato nel libro della Genesi, dove si dice che 'i figli degli dei videro le figlie dell'uomo e le trovarono belle'. Quando gli extraterrestri giunsero, capite, sapevano che non avrebbero potuto vivere a lungo in questa atmosfera. Esattamente come il popolo della Terra, anche gli dei del cielo rischiavano di estinguersi. Ci fu così un interscambio. La popolazione venuta dal cielo', extraterrestre, congiunse i propri geni con quelli dei terrestri, per consentire ad ambedue le specie di sopravvivere, ma in una forma nuova, diversa dalla precedente. "Sebbene vi sembri incredibile, sì tratta di una cosa che anche noi oggi possiamo fare; ben presto infatti saremo in grado di prendere un'unica cellula da un essere vìvente e crearne una Chris Morton and Ceri Louise Thomas 343
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replica esatta, e comunque siamo già in grado di combinare i geni di due esseri viventi per creare una specie del tutto nuova. Gli esseri umani dunque si trovano ora pressappoco allo stesso stadio dei nostri progenitori extraterrestri. Nonostante abbiamo molta strada da fare in molti campi, soprattutto nel rispetto verso la nostra Madre Terra e nella comprensione della misura in cui siamo tutti collegati tra di noi, già possediamo il tremendo potere di creare specie completamente nuove. Ma i nostri antenati celesti si trovavano a questo stadio moltissimo tempo fa, quando crearono una specie del tutto nuova, una forma di vita assolutamente diversa da quelle precedenti. La specie che essi crearono fu l'Homo sapiens, cioè gli esseri umani, come noi ci definiamo, perché solo in questo modo ambedue le specie, quella degli extraterrestri e quella dei preumani, poterono continuare a vivere, e infatti essi diedero luogo a un'unica vita sulla Terra. "Quanto ai teschi di cristallo, sono la raffigurazione di questa nuova forma venuta alla luce. Erano i programmi originari dell'umanità, è questo uno dei molti tipi di informazioni sulle, origini e sui destini contenuti in essi. È per questo che in tutto il mondo - e non solo nelle Americhe - esistono popolazioni che parlano di origini stellari e di antichi dei del cielo. I maya, i sioux, i cherokee... tutti sostengono di essere nati nelle stelle. In Africa esiste una tribù, quella dei dogon, che ritiene che i suoi progenitori giunsero da Sirio, da essi definito un sistema di stella, doppia. Nessuno ci credeva fin quando non si ebbero telescopi abbastanza potenti da scoprire che Sirio era effettivamente costituita da due stelle. Ultimamente abbiamo scoperto altri pianeti intorno alle stelle, e ben presto avremo prova di altre forme di vita che abitano su altri pianeti, anche nella nostra stessa galassia. "Altri dicono che noi proveniamo dalla Terra. Anche questo è giusto in quanto noi possediamo due linee di discendenza e di memoria genetica. Il DNA infatti ha due filamenti: uno di essi in origine conteneva le memorie dei progenitori della Terra, l'altro quelle dei progenitori celesti. Gli scienziati sono sul punto di scoprirlo. "E una delle ragioni per cui i teschi venivano ricavati dal Chris Morton and Ceri Louise Thomas 344
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quarzo sta proprio nel fatto che il silicio venne introdotto nella nostra struttura genetica dagli dei del cielo. Eravamo una forma di vita interamente basata sul carbonio, ma ora nel nostro sangue c'è anche il silicio. Dentro di noi, dunque, c'è una parte di tutta la matrice cristallina che ci collega col resto della galassia. I popoli indigeni hanno sempre saputo che la Terra, il sole e gli altri pianeti sono collegati da un'immensa rete di struttura cristallina, una rete fatta di suono e colore. Tutto l'universo ha una sua struttura e un suo ordine, ed è collegato tramite questa rete con la Madre Terra. Anche questa è una cosa che gli scienziati sono sul punto di scoprire. È per questo che i teschi di cristallo esercitano tanto fascino sulla gente, perché stimolano l'intima consapevolezza, quella che ci dice che siamo una struttura di carbonio e di silicio. Guardiamo i teschi e ci ricordiamo della struttura di silicio che si trova nei nostri tessuti, nel nostro stesso essere, e che ci ricollega al resto dell'universo. "Il nostro popolo dice: 'Ricorda la tua origine, ricorda chi sei e da dove vieni'. Si tratta di un messaggio di pace per tutta l'umanità. I teschi di cristallo sono qui per ricordarci le nostre comuni origini. Ecco l'eredità ricevuta da tutti i popoli della Terra. Siamo collegati da un comune fondamento, neri, bianchi, gialli, rossi e bruni, tutti i popoli di questa Terra sono assimilati da una stessa origine, dall'unione del cielo con la Terra, dagli elementi visibili e invisibili della creazione". Rimasi ammutolita. Già avevo trovato molto difficile accettare l'idea che i teschi di cristallo potessero essere stati portati dagli extraterrestri, adesso mi si diceva che io stessa ero in parte un'aliena... assurdo! Follia pura e semplice! Era proprio un sovvertimento di quanto avevo sempre saputo sulle origini dell'uomo. Uno scherzo! Jamie si accorse della mia perplessità, e riprese: "Non pretendo che vi convinciate subito. Arriverete a capirlo ben presto. È già molto che quanto vi ho detto vi faccia capire che la nostra storia non è quella che abbiamo sin qui creduto e che altre verità emergeranno pian piano. Quando vi renderete conto che la storia del pianeta e le vostre origini non sono quelle Chris Morton and Ceri Louise Thomas 345
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che ci sono sempre stale raccontate, sarete costretti a pensare di più al passato dell'umanità e al vostro personale, e vedrete che in base a ciò si prospetteranno molte altre possibilità. Una volta che vi porrete in una disposizione di maggiore apertura a queste nozioni, vedrete che il vostro posto nel mondo potrebbe non essere quello che avete sempre creduto e da ciò si apriranno altre possibilità, non solo per quanto riguarda il passato, ma anche per quanto riguarda il presente e il futuro, perché se il nostro passato è diverso da quanto ci è sempre stato detto, forse anche il futuro può e deve essere molto diverso da quello che oggi può sembrare sicuro e inevitabile. E questo è quello che conta di più al mondo". In verità nessuno, nemmeno tra i cosiddetti esperti, scienziati, archeologi, antropologi, sa con sicurezza quale sia stata la vera storia dell'umanità. Forse la nozione basilare inserita nei teschi era che le nostre origini risiedono nelle stelle. Mi chiesi se questa era la rivelazione che secondo la leggenda noi saremmo arrivati un giorno o l'altro a conoscere, e, in tal caso, se ora era giunto il momento di ascoltarla. Perché è importante venire a conoscerla proprio ora? Era forse indispensabile, come Jamie aveva detto, che sapessimo veramente chi siamo e da dove veniamo? Era un monito a ricordare che l'umanità è unita da una comune origine, e che siamo tutti - come dice Jamie - sia "diversi" sia "uguali", sia di questo mondo sia di un altro, e che, indipendentemente da razza, colore o religione, partecipiamo di una stessa discendenza? Quello che ci eravamo proposti all'inizio era di scoprire ulteriori elementi sui teschi di cristallo, ma nel corso dell'operazione stavamo arrivando a scoprire una versione del tutto nuova della storia umana, in contrasto con quanto avevamo finora ritenuto vero. Ma cose note, cose che per tutta la vita avevamo ritenute certe, ora venivano messe in dubbio e ci trovavamo a dover riesaminare le nostre sicurezze. Forse era giunto il tempo di rivedere tutte le comode spiegazioni con le quali credevamo di aver capito come vive la Terra e qual è il nostro posto. Esisteva un'altra "verità" rimasta sinora celata, un'altra versione della storia umana, ugualmente possibile e forse più vera?
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IL RADUNO La mattina seguente Patricio ci telefonò per avvisarci che potevamo partecipare al raduno in Guatemala. Mancavano pochi giorni all'apertura, quindi dovevamo metterci subito in viaggio. Jamie si offrì di accompagnarci all'aeroporto. Mentre guidava, ci espose il pensiero dei suoi maestri, secondo cui ora gli eventi si sarebbero susseguiti con estrema rapidità: "Il prossimo sarà il 'Tempo dell'Accelerazione', secondo la nostra tradizione, che è previsto per la fine del Quarto Mondo dell'Individualismo e sarà seguito dal Quinto Mondo della Pace e dell'Illuminazione. Ora stiamo entrando nel Tempo dell'Accelerazione. Per questo ho potuto dirvi tutto sui teschi di cristallo e sul loro rapporto con le nostre origini. Solo dopo che la conoscenza e la sapienza dei teschi di cristallo si saranno fatte strada nel cuore di tutti, incomincerà il Quinto Mondo dell'Illuminazione". Era anche stato detto che nel Tempo dell'Accelerazione la razza umana si sarebbe lasciata prendere sempre più dalle cose fisiche e materiali, in particolare da quegli elementi del mondo fisico che crediamo di dominare. Era stato profetizzato che saremmo diventati sempre più dipendenti dalle tecnologie materiali, in quanto, a causa della "mentalità dell'individualismo", ci saremmo fatti la convinzione che le risposte stavano tutte nel mondo esterno. Le considerazioni di Jamie mi fecero all'improvviso tornare in mente le parole di Leon Secatero. Le profezie del suo popolo parlavano anche di un tempo in cui lo sviluppo tecnico si sarebbe impossessato della nostra vita, in cui i progressi tecnologici e lo sviluppo materiale avrebbero assunto un ritmo sempre più veloce, troppo veloce per poter essere positivo. Leon aveva tracciato nell'aria con la mano una specie di parabola, per meglio spiegare il suo pensiero. Disse che, a suo giudizio, questo tempo era ormai imminente, infatti già potevamo constatare come le tecnologie stavano progredendo in maniera tale che noi non saremmo stati in grado di adeguarci. Portò come esempi Internet e i progressi dell'informatica, la rapida ascesa delle comunicazioni aeree e terrestri, e ora anche gli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 347
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esperimenti con la struttura genetica umana e quella delle piante e degli animali. Disse che sul fronte fisico e materiale stiamo avanzando a velocità supersonica, mentre per quanto riguarda l'evoluzione morale e spirituale, siamo tremendamente arretrati. Aggiunse che i progressi tecnologici non erano in sé e per sé un fatto negativo, ma che noi non sapevamo utilizzare le tecnologie per finalità migliori. Disse anche che il nostro progresso tecnologico dovrebbe evolversi in un contesto positivo, in una visione del mondo che rispetti tutta la vita e non saccheggi la terra senza dare nulla in cambio: "La tecnologia deve avere come contraltare il riguardo verso la terra e l'amore e il rispetto per tutte le cose." Purtroppo ciò non stava avvenendo, perché tecnologia e scienza avanzavano senza tener conto assolutamente dei valori alla base della vita stessa. Leon ci mise sull'avviso che, se tutto avesse continuato ad andare in quel modo, ci sarebbe stato un ritorno della schiavitù, nella quale gli schiavi saremmo stati tutti noi. Saremmo diventati in definitiva "schiavi delle nostre macchine". L'umanità aveva già iniziato a servirsi della tecnologia per creare una forma di vita completamente nuova, e noi avevamo preso ad alimentare questa creatura aumentandone il potenziale, consentendole di avere già una propria vita indipendente. Una volta immesso questo potenziale nel mondo, non avremmo più potuto controllarne gli effetti. Ci spiegò che era come dare una spinta a un masso dalla cima di una montagna: una volta in moto, avrebbe inesorabilmente proseguito nella corsa. Sappiamo che da qualche parte deve fermarsi, ma non possiamo prevedere dove con esattezza. Disse che questa nuova "forza vivente", questa nuova creatura emersa dalla tecnologia, opera delle nostre stesse mani, si sarebbe trasformata nella nostra padrona. Avrebbe vissuto e si sarebbe nutrita di noi stessi, le avremmo dato la nostra stessa carne. Quando arrivammo all'aeroporto, mi resi conto che forse avevo capito quello che Leon aveva voluto dire. Mi guardai in giro: c'era chi, in macchina, procedeva con una mano sul volante mentre con l'altra teneva un telefonino all'orecchio; all'interno del terminal c'era una quantità di gente china sui computer, intenta a comporre sulla tastiera numeri e dati di carte di credito per servire i nuovi padroni elettronici. Il mondo sembrava impazzito, asservito alle esigenze della tecnologia: quella che, per colmo di ironia, era uscita dalle nostre stesse mani. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 348
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La nostra destinazione era il Guatemala. La data del raduno era prossima ed eravamo quanto mai ansiosi di scoprire che cosa ci aspettava. I sacerdoti maya e altri anziani indigeni avrebbero discusso i sacri insegnamenti e la sapienza antica, rimasta segreta per centinaia di anni. Che cosa avremmo appreso da loro? Nell'emozione per essere stati ammessi all'adunanza però, non avevamo ben valutato dove eravamo diretti. Solo quando fummo seduti in aereo, con destinazione Città del Guatemala, ci rendemmo conto veramente che non avremmo seguito i consueti itinerari turistici, ma ci saremmo avventurati nelle regioni a rischio di uno dei paesi più turbolenti del mondo. Da trent'anni infatti infuriava in Guatemala una lotta tra la dittatura militare appoggiata dagli USA e la popolazione indigena. Negli anni Sessanta la United Fruit Company aveva chiesto l'appoggio della CIA al non legittimato governo guatemalteco, mediante l'invio di denaro, forniture e addestramento militari, al fine di sedare i tumulti dei contadini a cui venivano confiscate le terre; il paese era stato il teatro di infiniti massacri di una popolazione inerme e della "scomparsa" di "sovversivi", tra cui ignari turisti stranieri che si trovavano casualmente sul posto. Ora saremmo andati in una delle zone più remote di un paese tanto insicuro, in compagnia di persone praticamente sconosciute e delle quali pochissime conoscevano l'inglese, ed eravamo armati solo d'un registratore, di una cinepresa amatoriale e di un treppiedi portatile. L'aereo ci depositò a Città del Guatemala. Era la sera delle elezioni, le vie erano affollate, l'atmosfera tesa, dappertutto c'erano soldati con le armi puntate. Tirammo un respiro di sollievo quando il taxi ci lasciò, sani e salvi, all'albergo. Ci infilammo subito a letto, dove ci addormentammo all'istante, morti di stanchezza. Fummo bruscamente destati dal crepitio di armi da fuoco. Non finiva più. I nostri peggiori timori trovavano così immediata conferma. Eravamo stati dei pazzi a buttarci in quell'avventura! La mattina dopo, scendemmo cautamente da basso e trovammo Patricio Domìnguez intento a sorbire tranquillamente il suo caffè nell'atmosfera ovattata della hall. Si dimostrò assai divertito quando gli chiedemmo come faceva a essere così sereno in una situazione tanto allarmante, ma lui ci spiegò che il frastuono da noi udito la sera prima era una semplice esplosione di fuochi d'artificio per festeggiare la fine del primo turno delle nuove elezioni democratiche. Decidemmo di accantonare i nostri timori e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 349
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di fare uno sforzo per adeguarci alla situazione. La cerimonia d'apertura del raduno era fissata per la mattina seguente a Tikal, e mentre ripercorrevamo la strada per l'aeroporto, diretti a Flores, l'aeroporto più vicino a Tikal, la nostra guida ci diede qualche altro ragguaglio. Patricio ci aveva già detto che i maya erano definiti i "signori del tempo" e che il loro antico calendario era un mezzo per segnalare e predire "gli eventi del tempo". Ora aggiunse che venivano spesso definiti anche come i "fabbricanti del tempo" o "creatori del tempo", perché ritenuti responsabili della creazione delle condizioni necessarie all'avvento della nuova era. Essi davano a ciascun nuovo ciclo il senso di continuità, la struttura e l'essenza necessarie a mantenerlo per il prossimo ciclo di 5.126 anni. Toccava a loro garantire che la conoscenza dei Grandi Cicli fosse diffusa per tutte le tribù, le quali dovevano riunirsi e rendere tutti partecipi della conoscenza e della sapienza necessarie all'avvento di una nuova era al momento opportuno. L'incontro di tutte le genti delle Americhe era stato preannunziato dalle profezie non solo dei maya ma anche di diverse altre tribù indigene, quali i kalaway dell'America Meridionale, gli hopi e altre sei nazioni del nord. Questo ora stava avvenendo perché, secondo il calendario maya, l'attuale Grande Ciclo del tempo deve concludersi il 21 dicembre 2012, epoca per la quale è previsto l'inizio di una nuova era. Ecco come si espresse Patricio: "I maya ci hanno radunati perché abbiamo ormai pochi anni a disposizione; ci hanno chiamato a raccolta perché tutti conosciamo le nozioni necessarie ad avviare il nuovo ciclo. E stato detto che tutti i popoli esistenti all'inizio dell'attuale ciclo devono tornare a riunirsi alla sua fine affinché venga scambiata quella parte di sapere che possiede ciascuno d'essi". Ci spiegò che il momento in cui ci troviamo è cosmologicamente importantissimo, perché è il passaggio dalla vecchia alla nuova era. A quanto pare il transito dal vecchio al nuovo mondo dà luogo a un momento di instabilità, e anche se una nuova era sta per sorgere, non si sa con precisione quale forma assumerà e se sarà in grado di consentire la vita umana. Secondo lui, una prova inconfutabile del momento di transizione sarà il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 350
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fatto che cominceranno a verificarsi mutamenti ambientali, gli andamenti atmosferici saranno stravolti e le temperature raggiungeranno livelli estremi. Cambieranno pure gli attuali schemi delle precipitazioni, col passaggio delle aree secche a umide e viceversa. In questo dovrà leggersi il chiaro segno che si deve entrare in azione. Patricio proseguì: "Altri chiamano l'epoca in cui ci stiamo addentrando il 'Tempo dell'Accelerazione'. Prenderne atto vuol dire riconoscere che siamo in un periodo di transizione. Ma il tempo non è qualcosa di indipendente da noi, dal nostro pensiero e dalle nostre azioni, dal nostro modo di comportarci su questa Terra. In questo momento di passaggio dobbiamo tutti compiere delle scelte difficili e prendere importanti decisioni. "L'umanità ha davanti a sé una scelta. È come trovarsi a un bivio. Nel corso della recente storia umana abbiamo imboccato direzioni sbagliate e abbiamo perso la strada. Ora però ci troviamo davanti alla scelta finale. Ogni scelta comporta conseguenze diverse. Possiamo scegliere di continuare sulla vecchia via o di cambiare. Possiamo imboccare una direzione nuova modificando la consapevolezza del ruolo che ricopriamo su questa Terra... altrimenti le conseguenze saranno molto gravi. La maggior parte della gente non si rende conto che abbiamo a disposizione solo fino al 2012 per imboccare la retta via. "Coloro che parteciperanno a questo raduno si impegneranno affinché l'umanità scelga la via giusta e affinché alla fine di questo periodo di transizione giunga la nuova era che auspichiamo: una nuova era per tutta la popolazione della Terra. Se prendiamo la via giusta, la fine di questo Mondo dell'Individualismo condurrà alla nascita di un mondo di cooperazione e di pace. Questo è il nostro intento". Secondo Patricio il primo passo per poi riunire tutti i teschi di cristallo era rappresentato proprio da quell'incontro. Era importantissimo che la gente si riunisse per prepararsi alla conoscenza che sarebbe stata impartita. Perché, come dice la leggenda, tale conoscenza potrebbe essere mal utilizzata. E, secondo Patricio, è stato proprio il cattivo utilizzo o l'errata Chris Morton and Ceri Louise Thomas 351
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interpretazione a portare al disastro civiltà precedenti come quella di Atlantide. Ecco le sue parole: "C'è un tempo cosmologico per ogni cosa. C'è un tempo predestinato in cui i teschi di cristallo devono tornare insieme, conosciuto dai maya, i signori del giorno. Ma se la conoscenza sia adoperata per il bene dell'umanità o per la sua definitiva distruzione sarà determinato dal fatto che l'umanità sia preparata. "E questo dipenderà da raduni come l'attuale. Se l'umanità, come dovrebbe, cambia e incomincia a comportarsi bene verso la Madre Terra, allora la conoscenza che emanerà dai teschi di cristallo andrà a beneficio di tutti". La speranza era, aggiunse, che l'influenza del raduno e la conoscenza che noi e altri avremmo ricevuto in quell'occasione si sarebbero diffuse nelle Americhe e in seguito nel mondo intero. Si augurava anche che le successive adunate in programma sarebbero state sufficienti a preparare la razza umana alla conoscenza comunicata intanto dai teschi. Dopo aver udito tutto ciò, arrivando a Tikal eravamo in uno stato di grande aspettativa. La mattina seguente, prima dell'alba, ci avviammo lungo le piste che attraversando la foresta portavano alle rovine del sito, dove avrebbe avuto inizio il raduno. Il posto ci apparve familiare: era lo stesso in cui eravamo stati l'anno prima, quando avevamo sentito parlare per la prima volta della leggenda dei teschi di cristallo. Giunti nella Grande Piazza, contro ogni previsione la trovammo deserta. Stava per sorgere il sole, ma comparve solo un gruppetto di turisti dall'aria spaesata. Incominciammo a chiederci se mai ci sarebbe stata un'adunata, e se davvero si sarebbe trattato di quella generale di tutte le tribù annunciata dalla profezia. Patricio cercò di rassicurarci: "Ricordate che il momento in cui tutto doveva succedere è già passato, quindi è inutile avere fretta. Mettiamoci in testa che un Chris Morton and Ceri Louise Thomas 352
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particolare evento non deve avvenire per forza in un particolare momento, perché abbiamo deciso che è quello giusto. Noi siamo solo parte della storia. L'evento può anche presentarsi prima di quando vogliamo. Qualsiasi cerimonia veramente sacra, come qualsiasi altro evento, ha una sua modalità per radunare la gente nel momento giusto". Girammo qua e là senza scopo, fin quando, annoiati dall'attesa, ci mettemmo a scattare foto per tutto il sito archeologico. A un certo punto ci trovammo davanti a quel teschio di pietra che nella precedente visita avevamo scoperto a qualche centinaio di metri dalla Grande Piazza, e che ora si trovava sul limite di quello che sembrava un campo da gioco. Stavamo esaminando ancora una volta questo antico teschio ricoperto di muschio, quando sentimmo una melodiosa musica giungere sino a noi tra gli alberi. Stava finalmente succedendo qualcosa, ma non sapevamo ancora di che si trattasse. Il suono proveniva, a quanto sembrava, dalla Grande Piazza, verso cui ci affrettammo. Man mano che ci avvicinavamo, ci rendemmo conto che si trattava del sonoro richiamo di un buccino, su due sole note, una alta e una bassa; quando fummo più vicino, udimmo anche il rullare di tamburi, simili al battito del cuore, insieme con le squillanti note degli strumenti a fiato. Finalmente sbucammo nella radura e fummo accolti dalla più straordinaria delle visioni: là, alla base dei gradini che conducevano sulla Grande Piramide delle Maschere, si erano radunate diverse centinaia di indigeni che ora stavano pregando in ginocchio, mentre alcuni suonavano vari strumenti o percuotevano i tamburi. Il loro abbigliamento era bellissimo e vario: si capiva che appartenevano a tribù diverse e nelle loro vesti c'erano tutti i colori dell'arcobaleno. Si vedevano donne anziane avvolte in scialli dai colori sgargianti, giovanotti con completi d'un bianco abbagliante e una fusciacca rossa alla vita, ragazze con indumenti di pelle di daino e anziani che indossavano solo un perizoma e un copricapo di penne multicolori. Ma c'era anche chi indossava jeans, T-shirt e scarpe da tennis. Nel centro stava un uomo piccolo e avanti negli anni, con indosso pelli di giaguaro e un copricapo di penne; intorno a lui nuvole di incenso di copale si addensavano volteggiando e scintillando nel sole, mentre il profumo muschioso e dolciastro si diffondeva nell'aria della foresta. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 353
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Il vegliardo al centro della folla era Don Alejandro Cirilo Oxlaj Peres (vedi foto a colori 27). Si inginocchiò e baciò i gradini della piramide, quindi tutti i presenti si volsero e in processione si diressero verso l'altro lato della piazza, accompagnati dal ritmo dei tamburi e dall'ondeggiare delle penne. La piccola folla si raccolse alla base dei gradini della Grande Piramide del Giaguaro. Sempre condotti dal vecchio, si chinarono e baciarono il terreno, incominciando poi a salire i 52 gradini che li avrebbero portati al tempio sulla sommità dell'edificio. Mi unii al gruppo e man mano che il respiro mi diventava più affannoso e il battito cardiaco più accelerato, ebbi una delle esperienze più straordinarie della mia vita, quasi un flashback. Mentre il gruppo raggiungeva la sommità della scalinata e tutti si voltavano per guardare il Grande Tempio della Piramide delle Maschere al di là della piazza, mi accorsi che ero già stato lassù, più di un anno prima, quando me ne ero rimasto in contemplazione davanti al sole sulle antiche rovine e avevo avuto la visione di me stesso circondato proprio da gente come questa, addobbata con questi stessi costumi multicolori e intenta a celebrare questo stesso rito, come certo era avvenuto chissà quante volte in passato. In ambedue le occasioni avevo avuto l'impressione di vivere nello stesso momento il passato, il presente e il futuro. Mi sentivo connesso con tutto quanto mi circondava, sia fisicamente nello spazio sia "intorno" a me nel tempo. Il tempo sembrava essersi fermato. Fu allora che Don Alejandro parlò, esprimendosi in uno stentato spagnolo che dovetti farmi tradurre: "Ci troviamo qui per destino. Per destino stanno ora ritornando gli antenati. Questo è il tempo che, come scritto nelle profezie, si deve compiere. Proprio per questo sono qui con voi. Noi siamo i messaggeri, ma non i primi. I primi messaggeri sono i teschi di cristallo, i genitori della scienza. Come dice il Balam, i profeti maya vennero e dissero: 'Siamo quelli di ieri, siamo quelli di oggi e saremo quelli di domani'. "In passato la gente non sapeva governarsi e così il nostro creatore inviò quattro profeti, i 'Mia'. I profeti arrivarono molto tempo fa e scrissero le grandi leggi e insegnarono le grandi scienze che sono dette la 'luce maya'. Erano i quattro signori che compirono una missione e lasciarono questi contenitori qui sulla Chris Morton and Ceri Louise Thomas 354
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Madre Terra. Quando divennero vecchi erano dei grandi saggi e dissero: 'Stiamo per tornare là da dove siamo venuti, ora che il nostro tempo è scaduto e la nostra luce si sta esaurendo', ma prima di andarsene dissero: 'Figlioli, non perdete la memoria di noi. Noi vi abbiamo lasciato il retto giudizio e il sacro consiglio. Vi abbiamo lasciato la sacra sapienza. Un giorno torneremo e completeremo la nostra missione'. "Allora i figli chiesero: 'Da dove siete venuti e dove state andando?' "Ed essi risposero: 'Stiamo andando là, figlioli, dove si trova quella manciata di stelle', e prima di andarsene, aggiunsero: 'Voi dovete ricoprire la Terra. Dovete ricoprirla di amore, amarvi l'un l'altro e amare ogni cosa, così che quando noi torneremo potremo vivere insieme in armonia come i colori dell'arcobaleno, come le dita di una mano'. "Si avvolsero nei loro scialli e intonarono un canto. Da quel momento fu silenzio ed essi si addormentarono. La gente intorno disse: 'Lasciate dormire i nostri avi'. Ma molte ore passarono e loro non si rialzavano. Le gente vide un raggio di luce, e raggiunse il luogo dove aveva lasciato gli avi, che però erano già scomparsi: erano saliti al cielo su un raggio di luce, ma avevano lasciato un segno della loro esistenza. Avevano lasciato le loro sagge parole e la sacra sapienza avvolta in un fagotto. E la saggezza venne messa al sicuro, finché arrivarono gli spagnoli e ci rubarono il sacro fagotto insieme con tutte le altre cose che avevamo. "La profezia dice che i nostri anziani torneranno. La profezia dice che ora è il tempo del risveglio. Questo è il vostro compito oggi... risvegliarvi. La Valle dei Nove Inferni è passata e ora è arrivato il Tempo dell'Ammonimento. È il tempo di prepararsi per l'Età dei Tredici Cieli. Il tempo dei 12 Baktun e dei 13 Ahau si sta velocemente approssimando, ed essi saranno qui tra di voi a difendere la Madre Terra. La profezia dice: 'Venga l'alba. La gente, tutte le creature, abbiano la pace, ognuno viva felicemente', perché l'amore non deve esistere solo tra gli esseri umani, ma anche tra loro e tutte le cose viventi. Essi dissero: 'Siamo i figli del sole, i figli del tempo, e i viaggiatori dello spazio. Si innalzino tutti i canti, si sveglino tutti i danzatori. Tutta Chris Morton and Ceri Louise Thomas 355
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la gente, tutte le cose possano vivere in pace. Perché voi siete le valli, le montagne, gli alberi, la stessa aria che respirate'. "Quindi, miei fratelli e sorelle, non sono qui per darvi oro. Non sono qui per darvi un tesoro. Sono qui per darvi queste parole che non sono mie. Queste sono le parole dei nostri avi e delle nostre ave, i viaggiatori del tempo, i nostri predecessori venuti dalle stelle. Noi siamo tutti un solo corpo. Noi mangiamo cibo: cibo giallo, cibo nero, perché questi sono i colori delle nostre madri e dei nostri padri nei cieli. Noi siamo un solo corpo, come i colori dell'arcobaleno, siamo tutti nutriti dall'aria, nutriti dalla pioggia, nutriti dall'Avo Sole. Uomini, animali della Terra e del cielo, siamo tutti una stessa cosa. "Ora è il momento del ritorno degli avi e delle ave. Ora è il momento del ritorno degli antenati. Ora è il tempo del ritorno dei sapienti. E i sapienti siete tutti voi. Ora è il tempo di andare per il mondo e di diffondere la luce. La sacra fiamma è stata tenuta accesa a questo scopo e ora si avvicina il tempo in cui dovrete amare tutte le cose, amare un mondo impazzito e costituire un equilìbrio tra il cielo e la Terra. Poiché il Tempo dell'Ammonimento sta per passare e i Guerrieri dell'Arcobaleno stanno ora incominciando a nascere. La Valle delle Lacrime, i Nove Inferni, tutto è passato e ora è il tempo di prepararsi ai Tredici Cieli. Gli antenati stanno tornando, miei fratelli e sorelle, e noi non aspetteremo a lungo. Ora è il momento in cui si compiranno le profezie. "Tutti si destino. Tutti si destino. Non ci sarà nessuno, nemmeno un gruppo o due, che rimarrà isolato". Don Alejandro alzò le braccia verso il cielo, poi le abbassò verso terra. Tutti i presenti cominciarono a salmodiare su due sole note, una alta e una bassa. Poi si fecero avanti a prendere la parola anche i rappresentanti di altre tribù (purtroppo non riuscimmo a tradurre tutto). Ogni discorso era accompagnato dalla melodia tenue di un canto dolcissimo, mentre c'erano candele accese e l'incenso di copale bruciava, diffondendosi nell'aria. Quando la cerimonia si stava avviando alla fine, il gruppo rivolse un solenne saluto alle "quattro direzioni", cioè i punti cardinali. Tutti si voltarono successivamente verso le quattro direzioni, alzando le braccia, e Chris Morton and Ceri Louise Thomas 356
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ogni volta si levò un possente suono basso di buccino. Il gruppo incominciò a scendere dalla piramide, poi si dispose in cerchio nella piazza e salutò le piramidi che si trovavano su ogni lato. Feci scorrere lo sguardo su tutti i volti che vedevo. Erano venuti dal nord del Canada, dalle pianure degli Stati Uniti, dai deserti del New Mexico, dalle foreste del Brasile, dell'Ecuador e del Perù. Pensavo a quanto aveva detto Jamie Sams, e cioè che i teschi di cristallo "contengono i sistemi di conoscenza della Madre Terra". Mi venne in mente che anche ognuno dei presenti impersonava quel sistema. La loro esperienza, vissuta sotto il cielo del deserto o sotto la volta della foresta, rappresentava la tradizione mai interrotta dello stretto rapporto con l'ambiente naturale e la sapienza della vita vissuta armoniosamente in esso, quella consapevolezza che noi occidentali abbiamo perso. Avevamo rincorso il sapere fuori di noi, ci eravamo rivolti ai teschi di cristallo, ma ora appariva chiaro che esistono infinite possibilità, mai esplorate, all'interno di noi stessi. Quel potenziale era rappresentato non solo dai presenti ma da tutti gli esseri, ciascuno diverso e diversamente conformato dal suo ambiente, dal suo background e dalla sua cultura, ciascuno unico, con una sua personale verità, ma tutti convinti di essere parte di una più vasta verità, parte di questa straordinaria e molteplice famiglia umana. Quando la cerimonia si concluse, chiedemmo a Don Alejandro che ci precisasse alcuni punti del suo discorso. Ci sedemmo accanto a lui, in cima ai gradini della piramide più alta della città, la Piramide del Mondo Perduto, la più vicina alla testa di pietra in cui ci eravamo imbattuti casualmente la volta precedente, proprio nell'ora in cui la luce del giorno diventava tutta d'oro. Incominciò col dirci che Don Alejandro Cirilo Oxlaj Peres non era il suo vero nome, ma quello spagnolo. Il suo nome maya era Job Keme, o Job Cizin, che significa "Morte della Vita". I nomi dei maya venivano dati in base al giorno di nascita; il suo corrispondeva al 2 febbraio 1929 del nostro calendario. Disse che tutti i nati di quel giorno erano dotati della capacità di comunicare con il mondo dei vivi e quello dei morti. Gli antenati di Don Alejandro erano tutti sciamani almeno da sette generazioni, e ora egli era l'alto sacerdote del Consiglio degli Anziani maya quiché, che rappresenta ventuno gruppi maya. Il suo compito era Chris Morton and Ceri Louise Thomas 357
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diagnosticare le malattie e interpretare le visioni dei sogni, e inoltre era il capo dei "signori del giorno" ovvero "signori della saggezza" del sacro calendario. Eravamo curiosi di sapere qualcosa di più sul luogo di provenienza dei teschi di cristallo e sui quattro profeti che erano ritornati alle stelle. Chiesi quindi a Don Alejandro a che epoca risalivano i teschi e come erano stati foggiati. Rispose che nessuno sapeva veramente di che epoca fossero né come fossero stati realizzati; aggiunse che dobbiamo solo convincerci che non erano opera dei terrestri ma di esseri di un'altra dimensione, di un altro pianeta, giunti dalle stelle. Questi esseri, i quattro profeti della leggenda maya, erano giunti dalle Pleiadi molto tempo fa: "Molte migliaia di anni fa, all'inizio dell'era attuale, vennero e lasciarono i teschi di cristallo. Portarono questa sapienza per darci aiuto in un frangente molto grave, nel Tempo dell'Ammonimento che cade tra un'era e l'altra, tra il vecchio e il nuovo mondo. I teschi contengono grande sapiente saggezza che ci è di aiuto nel tempo che si sta approssimando". Ma perché lo farebbero? Don Alejandro rispose che dobbiamo tenere ben presente che siamo tutti "interconnessi": "Non dobbiamo stare divisi, perché siamo tutti lo stesso corpo, dobbiamo procedere insieme, senza distinzione di colore, classe o fede, uniti come i colori dell'arcobaleno. Dobbiamo renderci conto che siamo tutti fratelli e sorelle. Dobbiamo rispettare e apprezzare questa Madre Terra e il nostro Padre nel cielo. L'Avo Sole e l'Ava Luna, e tutti gli altri pianeti nello spazio. Siamo tutti figli del Padre. Questo è il messaggio che vi porto. Ma queste che dico non sono parole mie, sono le parole del popolo maya e le parole dei teschi. 1 teschi sono messaggeri del popolo maya, quindi non sono io che vi parlo. I teschi parlano a tutti noi, e parlano l'inglese e lo spagnolo meglio di me. Il messaggio del popolo maya è che ora è il tempo del compimento delle profezie". Spiegò che c'erano più di 13 teschi di cristallo. I maya in origine ne Chris Morton and Ceri Louise Thomas 358
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avevano 13, ma molti altri erano stati lasciati presso altre popolazioni nel mondo. Secondo gli insegnamenti originari trasmessi per mezzo del consiglio, ne esistevano 52 in vari centri sacri sparsi per il mondo, comprese molte altre tribù native americane e persino alcune tibetane e degli aborigeni australiani. Disse che solo i Padri sapevano perché erano 52, numero che, come il 13, era molto sacro per il suo popolo e aveva un ruolo molto importante nel calendario maya. Aggiunse che i teschi avevano aiutato nel passato gli indigeni a mantenere vive le loro tradizioni e le loro culture in contingenze molto difficili, e continuavano a fare lo stesso anche oggi. Chiesi a Don Alejandro se lui o qualcuno dei suoi colleghi possedevano un teschio di cristallo. Dichiarò che non poteva rispondere a questa domanda, ma che ci avrebbe raccontato una cosa avvenuta nel passato. Negli anni Cinquanta alcuni del suo popolo avevano mostrato il teschio di cristallo della loro tribù a un prete cattolico nel villaggio di Santiago, sulle montagne guatemalteche, presso il Lago Atitlàn. Il prete aveva sentenziato che il teschio era opera del demonio e lo aveva distrutto. "Come questo teschio del popolo maya, anche altri teschi sono stati distrutti", disse con tono desolato. Nel corso del raduno, diverse persone ci dissero che Don Alejandro e il Consiglio degli Anziani avevano almeno un teschio, custodito in una grotta "nelle montagne" e consultato solo in massima segretezza. Ci venne precisato che i teschi di cristallo sono considerati così sacri da tutti, che nessuno confiderebbe mai dove si trovano, a causa delle ruberie e delle violenze subite nel passato. Era loro esplicito desiderio che noi non facessimo nulla che incoraggiasse altri ad andare a cercare i teschi. Chiedemmo dunque maggiori dettagli a Don Alejandro, il quale spiegò che i teschi di cristallo venivano considerati oggetti di immenso valore, "talismani" intorno a cui raccogliere la gente. In origine venivano conservati nei templi in cima alle grandi piramidi e la gente li chiamava i "padri della scienza", oppure i "padri della saggezza". Essi erano stati custoditi dai maya, ma "purtroppo gli esploratori e antropologi cristiani, quando rinvennero i teschi nelle grandi piramidi, pensarono che fossero degli idoli". Alcuni li attribuirono persino al demonio... "Essi dunque presero tutti i tesori e le proprietà del popolo maya e le vendettero negli Stati Uniti e altrove. Non solo il nostro Chris Morton and Ceri Louise Thomas 359
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popolo subì saccheggi e torture, ma anche la nobile scienza maya andò persa per l'umanità. Nel Tempo dei Nove Inferni persino questa venne venduta. Ma per il Consìglio degli Anziani i teschi sono i procreatori della scienza, sono i primi messaggeri dell'amore e della pace in tutto il mondo. Qualsiasi cosa vogliate sapere sull'astronomia, la potete trovare interrogando i teschi, così come da essi si può apprendere qualsiasi altra dottrina l'archeologia, l'antropologia e l'ecologia." Tutto ciò naturalmente concordava con la leggenda così come l'avevamo sentita narrare fin dall'inizio e con quanto ci avevano detto i nativi americani, ma rimaneva un mistero come mai Don Alejandro avesse citato proprio le dottrine che più ci interessavano. Aggiunse: "Tutto il sapere e la saggezza dell'universo sono contenuti in questi teschi. Essi hanno grandi poteri, compreso quello della telepatia e della cura delle malattie, non escluse quelle psicologiche". Tuttavia, precisò, questo sapere non è utilizzabile da parte di chiunque in qualsiasi momento. Non viene trasmesso a coloro che non abbiano sufficiente preparazione, bensì solo per giusti motivi e al momento opportuno. "Questa conoscenza la si apprende per via subconscia. I teschi forniscono rivelazioni sia che ci si trovi vicino a loro sia che ci si trovi lontano. La rivelazione la trasmettono per via mentale. Si può pensare ai teschi nelle ore di meditazione o nel sonno, ma lo spirito e l'anima viaggiano nello spazio e captano ciò che sta lassù. Se si chiedono ai teschi le cose di cui i maestri hanno parlato, ecco che il giorno dopo vi giungerà nella mente quanto è stato detto: è così che ciascuno arricchisce il suo sapere. È per questo che ora il popolo maya vuole parlare. Noi riceviamo istruzioni tramite sogni, rivelazioni e visioni cosmiche. Questa è una cosa che pochissimi afferrano. Ne ho parlato con moltissime persone, esse non sanno che cosa sia un sogno, una rivelazione, una visione cosmica, non comprendono il cosmo, anche se dicono di essere i figli della scienza. "Ma si danno due casi. Se tramite i teschi volete solo diventare importanti e non avete alcun interesse per la difesa del pianeta, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 360
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se volete interrogarli solo per il vostro personale profitto, sprecherete l'energia del cervello senza costrutto. I teschi non vi parleranno e non vi faranno diventare grandi, ma se venite con la fede, sia pure solo nell'intimo del vostro pensiero, e se interrogate la sacra sapienza per dare aiuto e benessere a questo pianeta, e se siete interessati alla sacra conoscenza che possiedono, allora tutto andrà bene, perché sarà determinato dal cuore e dalla fede. Nessuno diventerà grande grazie ai teschi, a meno che il suo scopo non sia quello di arrecare sollievo. I teschi trasmetteranno la sapienza solo se essa verrà usata per il benessere della Madre Terra e non per il profitto personale del singolo. "Il tempo in cui questa sapienza diventerà più ampiamente utilizzabile si sta avvicinando in fretta. La profezia dice che il Tempo dei Tredici Cieli sarà presto vicino. I profeti maya predissero il Tempo dei Nove Inferni. Annunciarono un lungo periodo di tenebre e per circa 500 anni siamo vissuti nella Valle delle Lacrime. Quando gli spagnoli arrivarono e per prima cosa si scatenarono nella caccia all'oro, ci furono immani massacri." Spiegò che in quell'epoca molti dei loro antenati vennero trucidati a Rio Xequijel, vicino a Quetzaltenango, e che il fiume oggi è detto Rio Se Tino de Sangre, testimonianza che le acque divennero rosse per il sangue versato. "Essi ora sono arrivati alla ricerca dell"oro nero', il petrolio, il metano e i minerali della nostra Madre Terra. E si sono ripetute le carneficine: oggi massacrano tutto il creato inquinando l'ambiente, i fiumi e i ruscelli. Essi uccidono tutti gli esseri umani e tutte le creature terrestri, mammiferi, insetti, uccelli e alberi. Ma i profeti dissero che i Nove Inferni sarebbero finiti tra il kin del Conto Lungo 1863022 e quello dell'1863023, tra i giorni che per voi sono il 16 e il 17 agosto 1987, che sarebbe giunto il Tempo dell'Ammonimento, e che adesso è ora di prepararsi per i Tredici Cieli. Questi ultimi incominceranno dopo il tramonto del 21 dicembre dell'anno 2012. Il giorno seguente a questo nel calendario del Conto Lungo è indicato col numero 13.0.0.0.0. Questo numero nel nostro calendario sacro rappresenta una Chris Morton and Ceri Louise Thomas 361
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nuova forma di comprensione, una nuova forma di governo, un nuovo modo di comprenderci vicendevolmente così che non ci guarderemo più l'un l'altro con indifferenza o diffidenza su questa Terra. "Tale data rappresenta l'inizio dei Tredici Cieli, la data in cui avrà inizio il nuovo mondo, e sarà il principio di un nuovo periodo di 13 Baktun. Questo è quanto è scritto nel libro del Chilam Balam. E, come preannunciato, i teschi hanno lo scopo di prepararci a quel tempo. I teschi torneranno per il Tempo dell'Ammonimento come detto dalla grande leggenda, perché ora è tempo che quanto è stato scritto si compia. "Il Consiglio degli Anziani dunque si sta riunendo, guidato dalle profezie e dalla saggezza dei teschi, perché ora è venuto il momento di risvegliare il mondo, è tempo che la gente sì raduni. Il Consiglio ora si è portato alla luce del sole, ma per 500 anni siamo rimasti nell'ombra. Quando gli spagnoli arrivarono noi ci ritirammo sulle montagne e decidemmo di rimanere in silenzio per 500 anni. Questo avvenne nella triste epoca del dolore che chiamiano i Nove Inferni. Solo noi sapevamo che cosa sarebbe successo e quando. Ora siamo usciti alla luce e il governo non ci ucciderà perché così dicono le profezie. Ora essi capiranno che noi siamo venuti nella pace. È ora che i governi e tutti i popoli costruiscano la pace. Noi siamo senza terra, senza casa, senza ospedali e senza scuole, ma abbiamo la saggezza di cui il mondo ha oggi bisogno. Forse che non avevamo previsto, quando più di vent'anni fa aprimmo il fagotto, il buco in quello che voi chiamate lo 'strato di ozono'? Eppure allora nessuno ci diede ascolto. Non era nelle profezie che il mondo ci desse ascolto, ma ora il calendario dice che dovete comunicare al resto dell'umanità le vostre conoscenze, perché sta per arrivare il Tempo del Risveglio. I teschi ora sono qui per ridestare la nostra coscienza, per insegnarci ad amare tutto e tutti. Nel calendario è scritto che ora il mondo ci darà ascolto, che darà ascolto al battito del cuore della Madre Terra. "I teschi ci hanno consegnato un messaggio per tutta l'umanità. Il messaggio è un invito a non inquinare la nostra Madre, a non essere ostili, a non farci del male l'un l'altro. I teschi ci dicono Chris Morton and Ceri Louise Thomas 362
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che dobbiamo venerare il nostro Creatore, che dobbiamo amare noi stessi. Dobbiamo apprezzare la nostra Madre Terra, i nostri fratelli e le nostre sorelle, gli animali, gli alberi, non inquinare laghi, fiumi e oceani, così che questo pianeta possa essere nuovamente popolato e noi possiamo ancora una volta respirare. "Non dobbiamo diventare i padroni del palazzo, non dobbiamo diventare i padroni di questa Terra, perché nessuno deve possederla. Essa è nostra madre e nostro padre, e noi siamo tutti fratelli e sorelle delle pietre, delle piante, degli animali, del vento, della pioggia. Non dobbiamo sentirci separati, perché formiamo un unico corpo. Siamo tutti esseri viventi e dobbiamo avere tutti la stessa consapevolezza." Mentre Don Alejandro parlava, avvenne una cosa eccezionale. A un certo punto, in un momento di bellezza e di magia, uno sciame di libellule arrivò da non si sa dove. Incominciarono a volteggiargli intorno saettando qua e là, riflettendo sulle loro delicate ali gli ultimi raggi del crepuscolo. I loro rapidi movimenti sembravano essere in sintonia col ritmo delle sue parole, quasi danzassero o partecipassero a quanto egli andava dicendo. Ignorarono tutti noi, che ce ne stavamo seduti sui gradini della piramide, fondendosi invece con Don Alejandro, come se fossero parte di lui stesso, creandogli intorno un nembo di ali dorate. Apprendemmo in seguito che i maya considerano le libellule una delle personificazioni di Kukulcan o Quetzalcoatl, il cui spirito, a quanto si dice, è connesso col compimento delle profezie del calendario. Non appena Don Alejandro aprì bocca per riprendere a parlare, le libellule sparirono con la stessa rapidità con cui erano comparse. "Dobbiamo mettere fine all'inquinamento, anche a quello che viene dai pensieri negativi e dalla paura, perché anche solo quando pensiamo con negatività, quando abbiamo paura e pensiamo solo a noi, quando non amiamo, inquiniamo il pianeta e l'aria che respiriamo. Arrechiamo danno ai Tredici Cieli e al prossimo Grande Ciclo del Tempo. I teschi ci portano il messaggio che la Terra non è una nostra proprietà e che non abbiamo il diritto di maltrattarla e distruggerla. Anche i capi più potenti ben presto capiranno che il potere non è un loro diritto. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 363
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Nessuno di loro deve avere il potere. Il potere è dei figli governati dal Padre. Dovere della gente è rispettare il loro governo, ma è dovere del governo rispettare tutti i figli della Terra. I nostri capi devono convincersi che loro compito è solo amministrare, che il potere non spetta a loro. Devono prendersi cura dei figli e non distruggerli. Questa terra è nostra solo fin quando viviamo, quando moriamo la passiamo ai figli. Se continuiamo sulla strada attuale, essi rimarranno senza dimora. "I teschi ci dicono che dobbiamo prendere un'altra via ed è scritto che sono i popoli indigeni che mostreranno il nuovo cammino, il modo in cui governare affinché regni la pace. I popoli indigeni sono capaci di mostrare come si governa il mondo nella pace e nell'armonia con tutte le creature viventi. Sta scritto nelle profezie che la gente reclamerà i suoi diritti naturali, che i guerrieri dell'arcobaleno torneranno. Dobbiamo tutti vivere nell'eguaglianza e nell'amicizia tra noi e tra noi e gli esseri viventi sulla Madre Terra. I teschi ci fanno capire che noi possiamo avere abbastanza cibo, abbastanza ricchezza e vivere nel benessere insieme con tutte le altre creature della Terra. "Voi occidentali ci avete portato una scienza straordinaria, ma noi abbiamo un'altra scienza, di cui avete oggi bisogno voi. Noi abbiamo una predisposizione naturale ad apprendere le cose dai teschi. Questi ci danno un'idea di come le cose potrebbero essere, ci fanno capire che esiste una legge giusta e naturale. Ben presto capirete che la tecnologia è distruttiva se non è accompagnata dal pensiero del Creatore, mentre il sapere e il pensiero del Creatore non conoscono limiti. I teschi ci mostrano la potenza della creazione che abbiamo dentro di noi; ci mostrano la correlazione tra le anime di noi tutti. Siamo tutti legati gli uni agli altri e tutti usciti dalla stessa origine. Non possiamo più vivere distaccati gli uni dagli altri su questa Terra. Dobbiamo camminare insieme, senza distinzione di colore, razza o credo. Dobbiamo camminare insieme con le altre creature per il benessere di tutti." Don Alejandro ci invitò a diffondere il messaggio a tutta l'umanità perché sta arrivando l'ora in cui dobbiamo risvegliarci: Chris Morton and Ceri Louise Thomas 364
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"Ascoltate il vostro cuore. La Madre Terra vi chiama. Chiama ciascuno di noi tramite i teschi: ci chiama perché guariamo lei e di conseguenza noi stessi. Ora è tempo di incominciare ad ascoltare la Madre Terra e a cambiare il nostro modo di pensare, di vivere e di essere, prima che sia troppo tardi. "Abbiamo bisogno di tutti i popoli, di tutte le culture, di tutte le religioni, di tutte le nature. Dobbiamo smetterla di uccidere i nostri fratelli e le nostre sorelle, su questo pianeta prima che sia troppo tardi. Se continuiamo a comportarci come ci stiamo comportando, tutto l'attuale schema del tempo cesserà, nel 2012 calerà l'oscurità e sorgerà un nuovo giorno. Siccome la Madre Terra muore, questa sarà anche la nostra morte. "Nulla in questo mondo, nulla nell'universo è eterno, tutto ha una fine, un limite di tempo. La vita dell'uomo ha un suo limite. Solo noi esseri umani viviamo così a lungo. In un certo momento tutti dobbiamo morire. Lo stesso vale per le civiltà: esse nascono dal nulla, vìvono, prosperano, ma poi devono comunque morire. Potete vedere i resti di queste civiltà su tutta la terra, dovunque guardiate sono rimasti i loro scheletri". A meravigliarci fu quanto aggiunse e cioè che questo vale anche per la specie umana, che ha anch'essa un tempo ben definito. Disse che quando una specie cessa di vivere in armonia con la natura, il suo tempo sulla terra è prossimo alla fine. "Questa è la legge divina e naturale." Mentre Don Alejandro pronunciava queste ultime parole, il sole stava lentamente scomparendo dietro il lontano orizzonte. Pian piano ci riportammo verso la città in rovina. Avvertivo un senso di mestizia nel ripensare a quanto avevo sentito. Fin dal momento in cui eravamo entrati in contatto con i teschi, il mio pensiero si era soffermato più del solito sul significato della morte, ma non mi era mai passata per la testa l'ipotesi della morte dell'umanità, mai ero stata sfiorata dall'idea che, dopo la nostra morte, potesse cessare anche tutta la vita sulla Terra. Il pensiero della fine della specie umana era insopportabile, non riuscivo quasi a concepirlo. Eppure, se ogni cosa faceva parte di un ciclo di morte e rinascita, allora Don Alejandro aveva certamente ragione: un giorno o l'altro anche l'umanità sarebbe finita. A Chris Morton and Ceri Louise Thomas 365
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colpirmi furono i suoi commenti sulla "legge divina e naturale" che a un certo momento sarebbe intervenuta se avessimo perso la nostra sintonia con la natura. Ma questa non era una cosa che si stava già verificando? Più tardi quella stessa sera, sulla terrazza del nostro albergo, Ruben, un anziano della tribù sioux lakota, ritornò sull'argomento: "Molti di coloro che vivono nelle città non sono in grado di vedere quello che sta succedendo sulla Terra. Sono coloro che passano la loro vita legati alla natura che possono accorgersi dei cambiamenti in atto. Ciò che sta succedendo è che l'uomo bianco ha intrapreso una guerra contro la natura. Il mondo naturale è diventato il suo nemico, si direbbe. Inquinamento e veleni sono le armi che stanno distruggendo intere specie di animali e di piante. Coloro che sono qui riuniti, questa distruzione ce l'hanno quotidianamente sotto gli occhi, ma per molti altri questa è una guerra che si svolge in un paese remoto: una cosa deplorevole, ma che non lì tocca, e invece ben presto li toccherà". Patricio aggiunse: "Noi come specie ci troviamo a un bivio: se facciamo la scelta giusta, tutto andrà per il meglio, ma se sbagliamo ci saranno conseguenze disastrose. È per questo che esiste il perìodo di transizione, perché in esso si deve decidere sulla strada da intraprendere. "Se l'umanità preferisce andare avanti come sta facendo oggi, e non si decide subito a cambiare rotta, allora la Terra incomincerà a patire e a morire. Questo è anzi quello che sta già succedendo. La gente sta già constatando i mutamenti climatici, e i 'cambiamenti della Terra' profetizzati sono davanti ai nostri occhi. Ciò che accadrà se non cambiamo rotta, sarà che il sovvertimento del clima sarà sempre più accentuato. Questo potrebbe essere la conseguenza diretta della razzia delle riserve naturali della Terra, dalla quale discende quello che gli scienziati definiscono 'riscaldamento globale'. Si verificheranno inondazioni e siccità e l'economia globale subirà un collasso, ci Chris Morton and Ceri Louise Thomas 366
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saranno carestie, terremoti e cataclismi immani. Si potrà dire che noi come specie siamo diventati vittime della nostra stessa avidità. Se la cupidigia per i beni materiali continuerà senza remissione, alla fine sarà essa a perderci". Chiedemmo a Patricio come faceva a sapere queste cose. "Sono le profezie a dirlo", rispose. Ci spiegò che le profezie a suo giudizio più circostanziate erano quelle tramandate dagli hopi, detti i "signori della sapienza", così come i maya sono detti i "signori del tempo". Allo stesso modo dei maya, gli hopi credono che il mondo sia stato creato e distrutto diverse volte nel passato. Gli hopi avevano anche una profezia secondo la quale "una zucca di ceneri sarà riversata sulla terra". Ebbene, la zucca ha la stessa forma del fungo delle esplosioni nucleari, e si pensa che questa profezia si riferisse proprio al lancio della prima bomba atomica su Hiroshima nel 1945. Era stato anche detto che in seguito la Terra si sarebbe ammalata e che essi sarebbero "andati in visita presso il fratello bianco nella Casa di Mica che sorgerà nell'est del continente". Questa profezia in particolare si avverò nel 1991 quando gli anziani degli hopi si recarono nel palazzo delle Nazioni Unite a New York per chiedere che si mettesse fine alla distruzione della Madre Terra. Il palazzo delle Nazioni Unite è "nell'est del continente", ed è in effetti rivestito di mica. Gli hopi avevano un'altra profezia secondo cui a un dato momento i maya avrebbero chiamato a raccolta le tribù dell'America Settentrionale e Meridionale proprio in questo raduno. "Dopo di che", aggiunse Patricio, "se l'umanità fa le scelte giuste, il popolo indigeno condurrà il mondo secondo sistemi di vita diversi, nuovamente in armonia con la natura." "Le cose potrebbero cambiare", osservai io. "Sta a ciascuno di noi e a noi tutti insieme", confermò Patricio. Come Patricio disse, alle varie tribù erano state consegnate sezioni diverse degli "insegnamenti originali", per cui uno degli scopi del raduno era di conoscere l'intero complesso delle profezie ereditate da tutte le tribù. La mattina seguente sentimmo gli anziani dell'America Meridionale raccontare come la loro terra stia diventando l'ultima frontiera del colonialismo, col progressivo avanzare delle industrie petrolchimiche e degli allevamenti di bestiame che stanno accelerando la distruzione di quanto rimane della foresta pluviale. Fummo informati dello scempio degli Chris Morton and Ceri Louise Thomas 367
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animali e delle foreste. Un membro della tribù kalaway, stanziata nell'Amazzonia, si fece avanti e disse che una delle profezie della sua tribù prevedeva che, quando gli uccelli sarebbero caduti dal cielo, allora tutto il mondo avrebbe avuto bisogno del loro popolo. Ebbene, questo era quanto stava accadendo, ormai; una certa specie di uccelli, "quella che vola più in alto sulla foresta", aveva incominciato a cadere letteralmente dal cielo, e questo nonostante che i kalaway vivessero a centinaia di chilometri da qualsiasi centro urbano. Mentre ascoltavo la storia degli uccelli che cadevano dal cielo, uccisi dall'inquinamento, mi ricordai che i minatori avevano l'abitudine di portarsi dei canarini nelle miniere di carbone. La sensibilità degli uccelli all'anidride carbonica li condannava a morte, e faceva capire ai minatori che era meglio abbandonare il pozzo. La morte degli uccelli della foresta dunque poteva suonare come un avvertimento per noi tutti. Salimmo sui vecchi autobus che nei successivi giorni sarebbero stati la nostra casa. Mentre facevamo questo epico viaggio di centinaia di chilometri lungo piste accidentate, lasciandoci infine alle spalle le foreste umide della pianura per arrampicarci sulle montagne guatemalteche, chiedemmo a Patricio di raccontarci ancora qualcosa su quanto i teschi di cristallo avevano rivelato a proposito del passaggio a una nuova era. Ci spiegò che il momento del passaggio è sempre molto delicato e irto di pericoli che potrebbero ostacolare la nascita del nuovo mondo: "Sta agli uomini creare il tempo nuovo, e per questo è necessario un nuovo genere di conoscenza. Secondo il sacro calendario maya un nuovo tipo di consapevolezza sarà indispensabile per consentire al pianeta di vivere nel prossimo Grande Ciclo per i prossimi 13 Baktun, per i prossimi 5.126 anni. Ed è qui che intervengono i teschi di cristallo. Essi possono ridestare la consapevolezza necessaria". Volevo sapere ancora qualcosa su questo consapevolezza", ed ecco come si espresse Patricio:
"nuovo
tipo
di
"La definiamo 'nuova', ma in realtà è una consapevolezza molto antica. La gente sarà di nuovo sensibile ai rapporti che esistono tra noi e la Terra, si ridesterà alla verità che, se la Terra muore, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 368
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anche noi moriamo. Ma riguarda anche il modo in cui ci poniamo gli uni nei confronti degli altri. "Ben presto, come i sacerdoti maya hanno predetto, verrà un momento in cui l'umanità sarà pronta a ricevere la conoscenza che sarà rivelata dai teschi di cristallo. Ma quel tempo non è ancora giunto. I maya sanno quando verrà il momento giusto per la riunione dei teschi. È un tempo determinato esattamente sulla base del loro antico calendario, ma la riunione avverrà solo dopo che il lavoro iniziale sarà stato compiuto e dopo che tutta la gente si sarà adeguatamente preparata. Quando arriverà il tempo, allora tutti gli antichi teschi che noi conosciamo, insieme con quelli che non sono mai venuti alla luce, saranno radunati e ritorneranno nella loro sede originaria, qui nell'America Centrale, e verrà diffusa la loro sapienza. "Vedete, i teschi di cristallo sono depositari di tutta la conoscenza e ogni teschio contiene una speciale particolare area di informazione - come una biblioteca vivente. La gente che nel futuro saprà 'leggere' i teschi di cristallo sarà in grado di estrarre da essi, una volta che li avranno riuniti, tutto il sapere. Ma non sarà un problema, perché avendo una loro capacità raziocinante, essi non solo conoscono il sapere che è stato immesso in ciascuno di loro, ma sanno anche dove si trovano tutti gli altri teschi. "Quando arriverà il momento giusto dunque, tutta questa grande sapienza sarà restituita alla specie umana perché diventi parte integrante dell'umanità che per un certo tempo ne è rimasta priva, perché durante il periodo di passaggio la specie umana non era praticamente in grado di accedere a questa sapienza e di metterla in atto. Nel periodo che i maya definiscono i Nove Inferni, il livello della consapevolezza umana, il carattere morale in certo senso, non era sufficiente a gestire questo tipo di conoscenza e informazione avanzata. È per questo che gli esseri che in origine portarono in dono tale conoscenza la immagazzinarono nei teschi. Essi erano in grado di vedere nel futuro e capirono che un "epoca oscura' sarebbe arrivata, e che nel suo corso questa conoscenza doveva rimanere celata. Essi avrebbero potuto scriverla su tavole di pietra, ma in questo modo chiunque avrebbe potuto impossessarsene. La immisero invece in Chris Morton and Ceri Louise Thomas 369
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questa particolare forma di teschi di cristallo, così che l'informazione potesse essere riacquisita solo al momento giusto e non prima, perché altrimenti avrebbe potuto essere usata scorrettamente. "Naturalmente il sapere che emergerà dai teschi è del tutto inimmaginabile in base alla nostra attuale mentalità, ma che venga alla luce in un dato momento è sicuro. È scritto nelle profezie. Ma che gli esseri umani usino tale conoscenza per il loro bene o per il loro annientamento è proprio la cosa di cui ci preoccupiamo con le nostre iniziative e i raduni di questo genere. "È meraviglioso quello che sta ora accadendo e io spero che le nostre iniziative si dimostrino in grado di dare il benessere all'umanità. Abbiamo fatto molti errori nel passato, e ne stiamo ancora facendo, ma il futuro dipende dalla capacità di migliorare la nostra coscienza e la nostra consapevolezza per prepararci al nuovo sapere che sta per emergere, a compimento delle profezie". Nei giorni seguenti visitammo vari siti antichi, tra cui le sacre rovine di Saq Ulew vicino a Huehuetenango, che sono state "restaurate" dalla United Fruit Company con uno strato di asfalto! Poi, dopo una notte insonne in autobus, verso mezzogiorno arrivammo a Quetzaltenango, una grande città sull'altopiano guatemalteco. Mentre il nostro autobus si arrampicava su un'altura da cui si vedeva la città, rimanemmo sorpresi nel vedere che la strada era ostruita da veicoli blindati, carri armati e autocarri per il trasporto di militari in assetto di guerra, che stavano facendo un'esercitazione. Patricio ci informò che questa era una delle città teatro, di recente, di massacri di indigeni da parte delle forze governative. Ciò spiegava perché questa zona era stata scelta per la cerimonia a cui avremmo ben presto assistito: una cerimonia per la pace, con l'erezione di una stele decorata di antichi geroglifici, per celebrare l'inizio di una nuova era. Questa pietra avrebbe segnato l'inizio del Tempo dell'Ammonimento e del Tempo del Risveglio ormai prossimi. Ci unimmo a diverse centinaia di componenti di varie tribù, che avevano fatto il viaggio contemporaneamente a noi da Tikal, mentre si disponevano in un largo cerchio intorno alla stele adagiata sulla cima di una collina con pochi alberi. Don Alejandro dirigeva la cerimonia addobbato delle sue pelli di giaguaro cerimoniali. Era assistito da altri anziani maya e da Chris Morton and Ceri Louise Thomas 370
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rappresentanti di diverse altre tribù che recitavano preghiere e lodi (vedi foto a colori 28). Dopo che ciascuno ebbe tenuto un discorso, la stele venne innalzata con infinita precauzione, mentre si accendeva solennemente un fuoco nel centro del cerchio, sotto la pietra appena eretta. Si trattava di una cerimonia per celebrare anche "l'inizio dei nuovi fuochi". Per il falò usarono foglie secche e bruciarono molto incenso. Ci fu spiegato che durante questa cerimonia i discendenti maya rivivevano ritualmente il momento in cui i loro antenati aspettavano la nascita del sole. Simbolizzava il ciclo della vita, della morte, della rinascita e della trasformazione. Le foglie dicevano tutto: erano morte ma bruciando davano nuova vita, venivano trasformate e fornivano la luce e il calore per il nuovo fuoco. Mentre ce ne stavamo intorno al falò ardente, molti maya si fecero avanti portando i sacri fagotti. Uno alla volta tennero il fagotto nel fumo che volteggiava e incominciarono a farlo ondeggiare sulle fiamme. Era impossibile dire che cosa ci fosse dentro, ma erano tutti accuratamente avvolti in molti strati di stoffa o pelle. All'improvviso notammo tanti fucili puntati su di noi. Intorno al cerchio di persone pacifiche, armate solo di penne multicolori e di tamburi, se ne stava formando un altro di persone armate, un vero e proprio esercito. Dovunque ci volgessimo, vedevamo soldati con fucili e dietro di loro veicoli blindati e persino vecchi carri armati, con i cannoni puntati contro di noi. Non riuscivamo a credere ai nostri occhi. La visione da incubo della terribile carneficina che avevamo immaginato la notte del nostro arrivo sembrò materializzarsi, e questa volta ci trovavamo proprio in mezzo. Il governo aveva naturalmente deciso che questa era una riunione sediziosa e che bisognava scioglierla ricorrendo ai suoi sistemi: la minaccia delle armi. Due bianchi si staccarono dalla fila dei soldati e si diressero verso la piccola figura di Don Alejandro. Uno di essi indossava un'uniforme da ufficiale, l'altro un completo e un soprabito eleganti; sembravano alquanto imbarazzati. L'uno era il capo dell'esercito, l'altro il vicepresidente guatemalteco. Scese il silenzio. Sembrava di toccare con mano la tensione. Tutti gli occhi erano puntati su Don Alejandro. Egli spalancò le braccia e disse:
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"Dimentichiamo l'egoismo e il rancore che ci hanno separati e sterminati. Sta arrivando una nuova era di risveglio. Io auspico un tempo in cui possiamo camminare insieme come fratelli e sorelle. Le profezie dicono che verrà ancora un tempo in cui la gente tornerà a stare insieme e ad amarsi. Quel tempo è ora". Con queste parole avanzò di qualche passo e abbracciò il capo militare. L'atmosfera era elettrica. Fu un momento grandioso. Questo era lo stesso esercito che aveva compiuto il genocidio sistematico della popolazione indigena. Dopo aver abbracciato il militare, Don Alejandro si spostò davanti al vicepresidente e aprì le braccia per stringere anche lui. Gli altri anziani si volsero e abbracciarono e strinsero la mano ai soldati che ci avevano circondato. Capii allora che stavamo assistendo a un momento storico, importantissimo. Infatti i 13 giorni del raduno si dimostrarono una delle più grandi esperienze della nostra vita. Rimanemmo affascinati dall'atmosfera magica dei fatti, dalla bellezza assoluta del paesaggio, dalla forza, purezza e affabilità della gente che conoscemmo. Gli avvenimenti a cui assistemmo e le parole di saggezza che ascoltammo ci colpirono profondamente. Incominciarono a suonare i pifferi, seguiti dai tamburi, mentre tutti si abbracciavano, si davano strette di mano, sorridendo e ridendo. In seguito ci dissero che i due funzionari e l'esercito erano sul posto perché ufficialmente invitati alla cerimonia. Dopo ci disponemmo tutti in piedi davanti alla stele. La foresta brulicava di gente, l'atmosfera era quanto mai gioiosa. Ma io ancora non riuscivo a capire come avesse fatto Don Alejandro a stringere tra le braccia proprio coloro che avevano causato tante sofferenze ai maya. Eravamo stati testimoni della scena dei suoi compatrioti che abbracciavano quegli stessi che forse avevano ucciso i loro amici e parenti. Io non ne sarei stata capace, e sapevo che Chris la pensava come me. Come potevano costoro comportarsi con tanta indulgenza e benevolenza? Il nostro passo successivo fu l'incontro con Hunbatz Men, uno degli anziani che avevano abbracciato i militari. Gli chiesi come avesse potuto farlo. Hunbatz spiegò che la nostra era una reazione di paura, sentimento che è di ostacolo alla pace. Disse che i teschi di cristallo avevano in tutto Chris Morton and Ceri Louise Thomas 372
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ciò il loro ruolo: "I teschi di cristallo ci insegnano ad allargare la nostra consapevolezza, a diventare più coscienti di quanto ci circonda. Man mano che la consapevolezza si amplia, si potenzia il senso di noi stessi e degli altri. Il senso dei rapporti con gli altri diventa più forte. Si incomincia a vedere il collegamento tra gli uomini, e questo facilita lo sviluppo della comprensione. Se uno crede di non potercela fare, vuol dire che egli permette al suo odio, al suo dolore o alla sua paura di tenerlo prigioniero. I sentimenti di paura, odio o dolore impediscono di vedere negli altri l'umanità, la vitalità, lo spirito che è in tutti noi. "I teschi ci dimostrano che ogni essere vivente ha dentro di sé uno spirito e ciascuno è un riflesso del grande spirito che è in tutti noi. Noi maya diciamo: 'Tu sei un altro me stesso'. Tutti coloro che incontriamo sono altri noi stessi. Così si impara a trattare gli altri con amore e rispetto. "Ricordate i teschi di cristallo. Ricordate quello che avete visto in Guatemala, e sappiate che tutti noi siamo capaci di tanta grandezza, della comprensione amorosa per tutta la gente e per tutte le cose. Provatelo anche voi, portatevi a un livello superiore, liberatevi dai dubbi, dalle paure, dalle sofferenze e dai rancori. Siate la fiamma della candela o il divino ardore del sole, fate partecipi gli altri della vostra luce e del vostro calore. La comprensione è ciò che avete visto qua. È un bene comune, è di tutti. Come i teschi, l'amore è un dono fatto al mondo. Portatelo sempre nel vostro cuore, perché ben presto queste qualità saranno più necessarie che mai". La sera dello stesso giorno arrivammo al Lago Atitlàn, situato sotto le imponenti cime dei vulcani. Secondo Hunbatz questo era stato nel passato un antico centro di cultura dove i maya venivano per studiare l'astronomia. La mattina seguente, alla prima colazione, incontrammo Patricio. Era estremamente soddisfatto di come si stavano svolgendo le varie cerimonie. Ci disse che visitare gli antichi luoghi sacri e celebrare i riti tradizionali era un modo per rianimarli, così che si potessero diffondere in tutto il mondo le energie necessarie. Questo era quanto infatti si stava verificando. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 373
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Aggiunse che se noi avessimo indirizzato correttamente la nostra consapevolezza all'inizio della nuova era, avremmo visto sorgere nuove scienze, nuove terapie, la fine di alcune malattie e di molti problemi che oggi ci affliggono. Aggiunse: "Le profezie dicono che alla fine di questo ciclo, e immediatamente prima dell'inizio del prossimo, tornerà la sapienza antica e nasceranno uomini dotati di poteri speciali. In quel momento incominceranno a comparire nel mondo delle capacità eccezionali. Ma la responsabilità della nuova era non è solo la responsabilità di coloro che hanno speciali doti psichiche, ma di tutti. Ciascuno ha un ruolo attivo da recitare nel garantire che si scelga la via giusta". Patricio ci informò che il raduno aveva lo scopo non solo di favorire il ritorno della sapienza degli antenati, ma anche il ritorno degli antenati stessi: "Le nostre preghiere e cerimonie sono proprio destinate a questo. Stiamo richiamando nel mondo entità specifiche ed esseri specifici che hanno la capacità di operare anche nel mondo spirituale. Tutto quello che dobbiamo fare è rammentare agli spiriti degli antenati che devono tornare su questa Terra, ricordare loro che questo è il momento di ritornare qua. Li abbiamo invocati a lungo e ora li invochiamo di nuovo. Potete incominciare a vederli ora e più ancora nel futuro, man mano che nascono in questo mondo fisico per perfezionare il lavoro che è loro compito svolgere mentre qui sulla Terra stiamo per entrare nella nuova era". Durante il raduno ascoltammo i rappresentanti di varie tribù che parlavano degli antenati e del loro preannunciato ritorno. Alla fine di una delle cerimonie, un membro della tribù achuar dell'America Meridionale si fece avanti per dire che il suo popolo aveva una storia delle origini simile a quella dei maya. Nella loro versione, quando per gli antenati giunse il tempo di andarsene, essi si lasciarono trasportare dal fiume fino a raggiungere il cielo, verso il quale ascesero per andare su Orione e sulle Chris Morton and Ceri Louise Thomas 374
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Pleiadi. Questa è la ragione per cui gli achuar studiarono i moti dei pianeti per organizzare sulla loro base il calendario, ancora oggi in uso nella vita quotidiana, mentre sono in attesa del profetizzato ritorno degli antenati. Anche un membro della tribù yaki del deserto del Messico Settentrionale uscì dalla folla e disse che gli antenati avevano già incominciato a tornare, come annunciato dalle profezie. Narrò che un giorno se ne andava solo per il deserto quando atterrò un "aereo dal cielo". Fu preso a bordo di quella "nave spaziale" perché potesse vedere come la Terra stava incominciando a morire. Una storia del genere potevamo aspettarcela da un occidentale appassionato di fantascienza, ossessionato dai rapimenti da parte degli alieni, ma non certo da un anziano d'una tribù che viveva isolata nel deserto! Ci ricordammo allora di quanto già avevamo sentito a Città del Messico, dove gli avvistamenti di UFO, che i messicani chiamano Ovnis, sono all'ordine del giorno. Si direbbe infatti che la maggior parte della popolazione del luogo abbia vissuto un'esperienza del genere. Negli ultimi anni i giornali messicani hanno riportato continuamente notizie di avvistamenti da parte di intere folle. In un nostro precedente viaggio nella capitale messicana eravamo andati a trovare una professoressa di geologia dell'Università Nazionale per chiederle la sua opinione sulla provenienza dei teschi di cristallo. Sebbene ci abbia pregato di non citare il suo nome, persino questa nota personalità accademica ammise di aver visto un UFO su Città del Messico e di non poter scartare l'ipotesi di un collegamento con i teschi di cristallo. Durante un'altra cerimonia, un membro dei sioux lakota del nord degli Stati Uniti ci disse che una leggenda della loro tribù prevedeva che all'alba della nuova era sulla Terra, quando la pace e l'armonia si sarebbero finalmente diffuse tra tutti i popoli e tutte le creature, il Grande Spirito avrebbe mandato al suo popolo un messaggio sotto forma di un vitello di bufalo bianco. Il gene recessivo che può produrre un bufalo del genere è scomparso, per quanto si sa, molti secoli fa, nel corso di un periodo di cacce spietate. Ma, così si raccontava, recentemente un bufalo bianco era nato in una fattoria presso Chicago, quasi a conferma della profezia. La cerimonia finale si svolse all'alba, sotto uno dei maestosi vulcani che si innalzano dalle placide sponde azzurre del Lago Atitlàn. Le stelle stavano incominciando a impallidire mentre ci mettevamo in cammino verso il luogo della cerimonia. Lontano, i vulcani si stagliavano contro il Chris Morton and Ceri Louise Thomas 375
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cielo, con le loro millenarie cime simili a piramidi. Don Alejandro conduceva la marcia, attorniato dai membri del Consiglio degli Anziani maya quiché e dai rappresentanti di diverse tribù. Nei loro abbigliamenti sembravano riflessi tutti i colori dell'arcobaleno. I seneca dell'America Settentrionale erano rappresentati da Jimmy Lupo Solare, i pueblo da Patricio Domìnguez e da un certo Aquila della Nuvola, i sioux lakota da Ruben, mentre Hunbatz rappresentava i maya yucatechi, e vari altri rappresentavano gli americani del sud, almara, kalaway e achuar, tanto per nominarne alcuni. Mentre il sole si levava, tutta la compagnia rivolse un saluto ai quattro punti cardinali, quindi Don Alejandro incominciò a parlare. Disse che la cerimonia al sole aveva lo scopo di "far sì che il sole sorgesse anche nel cuore della gente, perché tutti si possa imparare a vivere insieme su questa Terra in pace e in armonia tra di noi e con tutte le altre creature." Patricio citò una profezia che ci avrebbe fatto una profonda impressione. Parlò sia della leggenda dei teschi di cristallo sia di quella dei Guerrieri dell'Arcobaleno. Anche se la leggenda dei teschi era più diffusa presso i maya dell'America Centrale, e la leggenda dei Guerrieri dell'Arcobaleno presso gli indiani cree dell'America Settentrionale, ambedue erano presenti in un modo o nell'altro presso molte altre tribù e formavano a quanto sembrava una parte degli insegnamenti fondamentali tramandati dai più remoti abitatori di questa antica terra. La leggenda era la seguente: "Gli antenati narravano che esseri dalla pelle chiara sarebbero giunti dal mare orientale su grandi canoe mosse da immense ali bianche, simili a giganteschi uccelli. Le persone scese da queste grandi imbarcazioni sarebbero state anch'esse simili a uccelli, ma avrebbero avuto i piedi di due diverse forme: uno di colomba, l'altro di aquila. Il piede di colomba rappresenterebbe una nuova splendida religione di amore e gentilezza, mentre quello di aquila rappresenterebbe l'avidità per le ricchezze materiali, l'arroganza tecnologica e la perizia guerriera. "Per molti anni il piede artigliato dell'aquila avrebbe dominato perché, sebbene questo nuovo popolo avesse parlato molto della nuova religione, non tutti i visi pallidi vivevano secondo i suoi dettami; avrebbero invece artigliato i pellerossa col loro piede di aquila, uccidendoli, sfruttandoli e infine riducendoli in schiavitù. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 376
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"Dopo aver offerto una certa resistenza a questa sopraffazione, gli indiani avrebbero perso il coraggio, finendo per lasciarsi sospingere come un gregge e segregare in territori angusti per molti molti anni. Poi però sarebbe venuto il tempo in cui la Terra si sarebbe ammalata a causa dell'avidità senza freni della nuova civiltà... liquidi e metalli mortiferi, aria irrespirabile per fumi e ceneri, e persino la pioggia, anziché, purificare la Tetra, avrebbe riversato gocce avvelenate di piombo. Gli uccelli sarebbero caduti dal cielo, i pesci sarebbero venuti a galla col ventre per aria e tutte le foreste avrebbero incominciato a morire. "Quando queste previsioni avessero cominciato ad avverarsi, il popolo indiano si sarebbe trovato al colmo della miseria, ma in seguito dall'Oriente sarebbe giunta una nuova luce e gli indiani avrebbero incominciato a ritrovare la forza, l'orgoglio e la saggezza. La leggenda continuava dicendo che essi avrebbero avuto dalla loro molti fratelli e sorelle visi pallidi: le reincarnazioni degli indiani uccisi o ridotti schiavi dai primi colonizzatori bianchi. Si diceva che le anime di costoro sarebbero tornate in corpi di tutti i colori, rossi, bianchi, gialli e neri. Insieme e, uniti, come i colorì dell'arcobaleno, costoro avrebbero insegnato a tutte le genti del mondo come amare e rispettare la Madre Terra, della cui sostanza siamo fatti anche noi umani. "Sotto il simbolo dell'arcobaleno, tutte le razze e tutte le religioni del mondo si sarebbero unite per diffondere la grande saggezza della vita nell'armonia tra gli esseri umani e di questi con tutto il creato. Coloro che insegnavano questo credo sarebbero stati chiamati i 'Guerrieri dell'Arcobaleno'. Pur essendo guerrieri, avrebbero contenuto in sé gli spiriti degli antenati, avrebbero portato la luce della conoscenza nella mente e l'amore nel cuore. Non avrebbero fatto del male a nessun essere vivente. La leggenda terminava affermando che, dopo una grande battaglia, grazie alla sola forza della pace, questi Guerrieri dell'Arcobaleno avrebbero finalmente troncato l'opera di distruzione e dissacrazione della Madre. Terra e che la pace e l'abbondanza avrebbero regnato per una lunga felice e pacifica età dell'oro qui sulla Terra".
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Eravamo molto commossi, tanto più quando Patricio ci disse che la leggenda era importante quanto quella dei teschi di cristallo. Queste due leggende "avevano una comune origine nella sapienza tramandata dagli antenati per il bene di tutta l'umanità". Era importante che la leggenda dei Guerrieri dell'Arcobaleno si avverasse prima che dai teschi di cristallo provenisse qualche importante conoscenza o informazione, perché solo allora queste avrebbero potuto essere impiegate a beneficio di tutto il creato. Don Alejandro chiuse la cerimonia finale con un breve messaggio a tutti i convenuti affinché non dimenticassero queste antiche profezie. Disse che "ormai non era solo importante, ma assolutamente ritale" che tutti i presenti portassero con sé quanto avevano appreso nel corso del raduno, perché era tempo di diffondere questi antichi insegnamenti per tutta la Terra. Quando ci avvicinammo a Don Alejandro per salutare lui e gli altri anziani prima di salire sull'autobus che ci avrebbe ricondotto a Città del Guatemala, egli ci rivolse alcune personali parole di addio. Disse anche: "Ora avete le chiavi per il futuro, e ne farete un libro, così che tutto il mondo possa venire a conoscerle". A quell'epoca non ci era nemmeno passato per la testa di scrivere un libro, eppure lui pronunciò proprio queste parole. Mentre la lunga fila di vecchi autobus si mosse per l'ultimo viaggio insieme, uno splendido arcobaleno, nitido e completo, apparve all'improvviso, alzandosi sopra la valle davanti a noi, quasi a illuminarci la strada. Gettammo uno sguardo stupito a Patricio, che ci rispose solo con una strizzatina d'occhi.
IL FUTURO Al ritorno dall'America Centrale, meditammo a lungo su quanto avevamo appreso a proposito dei teschi di cristallo. La ricerca della verità su di essi ci aveva aperto nuove prospettive di conoscenza, nuovi orizzonti e territori. I teschi avevano gettato dei dubbi su tutto ciò che credevamo di sapere sul mondo a tutti i livelli. La materia prima del cristallo ci aveva instillato incertezze su quanto ci Chris Morton and Ceri Louise Thomas 378
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era stato insegnato a proposito del mondo fisico. I teschi ci avevano fatto osservare i rapporti tra noi stessi e tutto ciò che ci circonda, suggerendoci che qualsiasi cosa ha uno spirito e una vitalità, e che persino gli oggetti "inanimati" sono vivi e mutevoli. I teschi di cristallo ci hanno invitato a esplorare il nostro schema logico, per scoprire che esso è solo uno dei modi di percepire il mondo, e hanno anche messo in dubbio la nostra corrente nozione di realtà, suggerendoci che regni invisibili e misteriosi interagiscono col nostro. I teschi ci hanno condotto a conoscere anziani nativi americani, secondo i quali i teschi di cristallo in origine erano in Atlantide, dove li avevano portati esseri giunti da un altro pianeta o da un'altra dimensione, i quali un giorno sarebbero ritornati. Gli anziani indigeni parlarono dei nostri progenitori extraterrestri e della distruzione dei mondi precedenti. Questa sapienza era una sfida contro tutto ciò che noi sapevamo sulla storia della nostra civiltà, e ci offrì una prospettiva incredibilmente diversa delle nostre origini e del nostro destino di uomini. Arrivando a casa dopo aver partecipato al raduno in Guatemala, vedevamo in modo del tutto nuovo quanto ci era familiare. Era come se fossimo usciti per un attimo dalla nostra società e ora potessimo guardarla con una chiarezza mai sperimentata prima. Fummo colpiti come se la guardassimo per la prima volta. Ciò che noi potevamo vedere ora era qualcosa che molti altri avevano già da tempo capito. La nostra cultura non sa più dove sta andando. La scienza, la tecnologia e la nostra convenzionale idea di "progresso" sembra non siano più in grado di darci direttive su come regolarci. La civiltà occidentale non è in grado di tenere le sue posizioni; proprio ora la nostra cultura rifiuta questa ipotesi. È più facile far finta di non vedere il problema, nel breve termine. A uno sguardo superficiale, sembra che tutto vada benissimo; viaggiamo in macchina, voliamo con gli aerei, abbiamo un'infinita scelta di prodotti e la pubblicità con le sue luci ci incita a comprare e comprare, eppure in ogni istante c'è una specie di pianta o di animale che scompare dalla Terra. La nostra ricerca individuale e collettiva della sola ricchezza materiale è in definitiva suicida, in quanto il nostro stesso stile di vita sta praticamente distruggendo l'ecosistema della Terra. I teschi di cristallo ci spingono a chiederci che tipo di mondo stiamo creando per i nostri figli e i figli dei nostri figli. Che cosa succederà quando il mondo sarà più caldo e più inquinato? Avremo ancora aria da Chris Morton and Ceri Louise Thomas 379
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respirare? Avremo ancora cibo per nutrirci? Quali sono le nostre probabilità di una vita accettabile? Che i teschi siano antichi o moderni, che noi, come i nativi americani, crediamo che furono portati sulla Terra da extraterrestri per soccorrere l'umanità in un frangente estremamente grave, e che crediamo o no, come i maya, che l'ultimo Grande Ciclo finirà precisamente il 21 dicembre 2012, il fatto è che, se continuiamo a comportarci come stiamo facendo, il mondo, o almeno l'umanità nella forma in cui è oggi, ben presto vedrà la sua fine. Tuttavia abbiamo davanti a noi la possibilità di una scelta: non è troppo tardi, però dobbiamo agire subito. I teschi ci dimostrano che dobbiamo evolvere un tipo di vita in equilibrio con la Terra e con le forze naturali dell'universo. Ogni giorno, quando ci rechiamo al lavoro, dobbiamo prendere in considerazione le conseguenze di ogni nostro gesto. Ogni cosa che facciamo ha il suo peso, anche il modo di pensare può avere un effetto, perché come disse Don Alejandro, "l'inquinamento che è fuori è anche un inquinamento che è dentro". Dobbiamo riuscire a liberarci dalla fatica e dall'ansia della vita moderna che inquinano la nostra mente e ci privano della nostra vera natura e delle ricchezze del mondo naturale. Noi siamo, tutti e ciascuno, molto più forti di quanto non crediamo, dobbiamo prender atto della nostra potenzialità e usarla con responsabilità per creare un mondo migliore, un mondo dove non ci siano fame, povertà e disperazione, un mondo che non premi la materia al di sopra dello spirito, un mondo che veda tutta l'umanità inserita nel Cerchio della Vita. I teschi di cristallo ci incitano a destarci; essi sono un modo per ricordare il passato e creare il futuro. Essi ci rendono consapevoli della vita che è nell'universo in cui viviamo, negli alberi e nelle piante, e persino nelle rocce e nelle pietre. Essi ci rammentano il dono della vita che la Terra ha elargito a tutti i suoi figli. Siamo parte del grande mistero del creato. Come dicono i cherokee, noi abbiamo tutti i colori dell'umanità nel nostro corpo: il bianco nelle ossa, il giallo nel midollo, il nero nelle pupille. La stessa morbida pelle copre le nostre ossa, lo stesso caldo sangue scorre nelle nostre vene, lo stesso battito pulsa nei nostri cuori. Qualsiasi sia la nostra età, la nostra razza e il nostro ambiente, siamo tutti esseri vivi, e abbiamo tutti una testa che contiene un cranio. Soprattutto però, i teschi di cristallo ci rammentano che siamo esseri Chris Morton and Ceri Louise Thomas 380
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spirituali in corpi fisici e che siamo intimamente interconnessi con tutto il resto. I teschi di cristallo ci dimostrano che noi dobbiamo onorare lo spirito che è dentro di noi e quello che è in ogni cosa che ci circonda. Solo allora riusciremo a trovare la pace dentro noi stessi e a celebrare il legame con i nostri simili. Da qualsiasi parte siano venuti i teschi di cristallo, essi contengono un messaggio: siamo ancora in tempo per recuperare il posto giusto nell'universo, siamo ancora in tempo per salvarci e salvare il pianeta prima che sia troppo tardi. Forse noi non daremo ascolto a questo messaggio, e in tal caso il nostro tempo finirà e la specie umana si ridurrà a nulla più che un teschio. Oppure daremo ascolto al messaggio e faremo sì che il divino si manifesti per nostro mezzo e l'umanità diventi allora il luogo in cui il cielo incontra la Terra.
NOTE 2. La scoperta 1 F.A. Mitchell-Hedges, Danger, My Ally, Elek Books Ltd, London, 1954; Little, Brown & Co., Boston, 1955; ripubblicato da Mitchell-Hedges & Honey, St Catharines, Ontario, 1995 2 Ibid., p. 183 8 Ibid. 4 Ibid. 5 Ibid., p. 243 6 Ibid. 7 Frank Dorland, Holy Ice, Galde Press Inc., St Paul, Minn., 1992, p. 4 8 Ibid., pp. 27-8 9 Sibley S. Morrill, Ambrose Bierce, F.A. Mitchell-Hedges and the Crystal Skull, Cadleon Press, London, 1972, p. 13 10 Ibid. 11 Ibid. 12 Ibid. 4. Il mistero 1 Adrian Gilbert and Maurice Cotterell, The Mayan Prophecies, Element Books, Shaftesbury, 1995, p. 199 2 Citato in F.A. Mitchell-Hedges, Danger, My Ally, Elek Books Ltd, London, 1954; Little, Brown & Co., Boston, 1955; ripubblicato da Chris Morton and Ceri Louise Thomas 381
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Mitchell-Hedges & Honey, St Catharines, Ontario, 1995, p. 9 3 Ibid., sezione foto 4 Ibid., p. 243 5 Ibid. 6 Ibid., p. 247 7 Sibley S. Morrill, Ambrose Bierce, F.A. Mitchell-Hedges and the Crystal Skull, Cadleon Press, London, 1972 8 Ibid., pp. 28-9 9 Citato in Simon Welfare and John Fairley, Arthur C. Clarke's Mysterious World, Book Club Associates, London, 1981, p. 53 10 G. M. Morant, "A morphological comparison of two crystal skulls," Man XXXVI, 142-78 (July 1936), 105-7; Adrian Digby, "Comments on morphological comparison of two crystal skulls", ibid., 107-9 317 11 Digby, p. 108 12 Joe Nickell and John F. Fisher, "Crystal Skull of Death", in Fate, July 1984 (Part 1) pp. 48-54 13 Citato in Welfare and Fairley, op. cit., p. 53 14 Mitchell-Hedges, op. cit., p. 174 15 Citato ibid., sezione foto 16 Welfare and Fairley, op. cit., p. 53; con ulteriori dettagli da Nickell and Fisher, op. cit., e August 1984 (Part 2), pp. 81-7 5. Gli esperti 1 "History or hokum?", in Measure, February 1971, p. 10 2 F.A. Mitchell-Hedges, Danger, My Ally, Elek Books Ltd, London, 1954; Little, Brown & Co., Boston, 1955; ripubblicato da Mitchell-Hedges & Honey, St Catharines, Ontario, 1995, p. 243 3 Adrian Digby, "Comments on the morphological comparison of two crystal skulls", in Man XXXVI, 142-78 (July 1936) p. 108 6. Il computer preistorico 1 Joseph Alioto, "Introduction" a Frank Dorland, Holy Ice: A bridge to the subconscious, Calde Press Inc., St Paul, Minn., 1992, p. xii 2 Al momento di andare in stampa, la ricerca del professor Bridley non è stata ancora pubblicata. 3 Dorland, op. cit., p. 17 Chris Morton and Ceri Louise Thomas 382
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4 5 6 7 8 9
Ibid., p. 115 Ibid., p. 115 Ibid., p. 134 Ibid., pp. 134-5 Ibid., p. 117 Ibid., p. 104 10 Ibid., p. 112
7. Il teschio parlante 1 Brian Hadley-James, ed., The, Skull speaks through Carole Davis, AMHREA Publishing, Ontario, 1985 2 Lou Bergeron, "When North flies South", in New Sdentist 2023, 30 March 1996, pp. 24-8, e "Quakes shift North Pole", in Guardian, 21 March 1997, p. 9 8. La maledizione del teschio 1 Jane MacLaren Walsh, "Crystal skulls and other problems or 'Don't look it in the eye'" in Exhibiting Dikmmas: Issues of representation at the Smithsonian, Amy Henderson and Adrienne L. Kaeppler, eds, Smithsonian Institution Press, Washington, DC, 1997 2 Ibid., p. 134 9. Le guarigioni 1 Star citò J. J. Hurtak, The Keys of Enoch, Academy for Future Science, California, 1977 11. L'affare Boban 1 Sandra Bowen, F.R. "Nick" Nocerino and Joshua Shapiro, Mysteries of the Crystal Skulls Revealed, J & S Aquarian Networking, 1988 2 Citato in Jane MacLaren Walsh, "Crystal skulls and other problems or 'Don't look it in the eye'" in Exhibiting Dikmmas: Issues of representation at the Smithsonian, Amy Henderson and Adrienne L. Kaeppler, eds, Smithsonian Institution Press, Washington, DC, 1997, pp. 123 e 125 3 Ibid., p. 129 4 Ibid. 5 Citato ibid., p. 127 6 Ibid., p. 129 7 George Frederick Kunz, The Precious Stones of Mexico, Imprenta y Chris Morton and Ceri Louise Thomas 383
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Fototipia de la Secretaria de Fomento, Mexico, 1907, citato ibid., p. 121 8 Ibid. 9 Ibid., p. 131 10 Citato ibid., p. 127 11 Ibid. 12 Ibid., p. 133 12. Gli aztechi e il teschio di cristallo 1 De Sahagùn, A History of Ancient Mexico, citato in Miguel LéonPortilla, Aztec Image of Self & Society, University of Utah Press, 1992, p. 200 2 Ibid., p. 29 3 Diego Duràn, The History of the Indies of New Spain, 1581, citato in Serge Gruzinski, The Aztecs: Rise and Fall of an Empire, Thames & Hudson, 1992, pp. 19 e 21 4 Ibid., p.76 5 Gruzinski, p. 60 6 De Sahagùn, citato ibid., p. 74 7 Gruzinski, p. 75 8 Duràn, citato ibid., pp. 162-3 9 Michael D. Coe, Mexico, Thames & Hudson, p. 176 10 Duràn, citato in Gruzinski, op. cit., pp. 163-4 11 Ibid. 12 Ibid., pp. 76 e 82 13 Bernal Dìaz, citato in Coe, op. cit., p. 158 14 Warwick Bray, Everyday Life of the Aztecs, B. T. Batsford Ltd, London, 1968 15 Gruzinski, op. cit., p. 40 16 Fra' Diego de Landa, Yucatan before and after the Conquest, trad. William Gates, Producción Editorial Dante, Merida, Mexico, 1990, citato in Graham Hancock, Fingerprints of the Gods, Mandarin, 1995, p. 105 17 Ibid. 18 Citato in Coe, op. cit., p. 168 19 Gruzinski, op. cit., p. 97 20 Fra' Diego de Landa, op. cit., citato in Hancock, op. cit., p. 121 21 Ibid. 22 Padre Burgoa, citato in Lewis Spence, The Magic and Mystery of Chris Morton and Ceri Louise Thomas 384
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Mexico, Rider, London, 1922, pp. 228-9 23 Ibid. 24 Citato in Miguel Léon-Portilla, Aztec Thought and Culture, University of Oklahoma Press, 1963; anche in Gruzinski, op. cit., pp. 130-1 25 Ibid. 26 Ibid. 27 Ibid., p. 132 28 Ibid., pp. 132-3 29 Ibid., p. 133 30 Adela Fernandez, Pre-hispanic Gods of Mexico, Panorama Editorial, Mexico, 1992, citato in Hancock, op. cit., p. 108 31 Citato in Gruzinski, op. cit, p. 130 32 Hancock, op. cit., pp. 185 e 187 33 George E. Stuart, "The timeless vision of Teotihuacan", in National Geographic 188, n° 6, December 1995, p. 22 34 Hancock, op. cit., pp. 191-5 35 Stuart, op. cit., p. 30 36 Hancock, op. cit., p. 190 37 Citato ibid., pp. 180-1 38 Stuart, op. cit., pp. 12 e 15 39 Mexico: Rough guide, Harrap-Columbus, London, 1989, p. 217; citato in Hancock, op. cit., pp. 189-90 40 Stuart, op. cit, p. 15 41 Ibid. 42 Nigel Davis, The Ancient Kindoms of Mexico, Penguin, London, 1990, p. 67, citato in Hancock, op. cit, p. 178 43 Stuart, op. cit, p. 22 44 Ibid. 45 Hancock, op. cit, p. 195 46 Citato in Stuart, op. cit, p. 22 47 Hancock, op. cit, pp. 188-9 48 Citato in Stuart, op. cit, p. 22 49 Ibid. 14. I maya e il teschio di cristallo 1 Adrian G. Gilbert and Maurice M. Cotterell, The Mayan Prophecies, Chris Morton and Ceri Louise Thomas 385
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Element Books, Shaftesbury, 1995, pp. 17-18 2 Ibid., p. 19 3 Ibid., p. 145 4 Ibid., p. 19 5 Erich von Dàniken, Chariots of the Gods? Souvenir Press, 1968 6 Ibid., p. 122 7 Linda Schele and Mary Ellen Miller, The Blood of Kings: Dynasty and Ritual in Mayan Art, Thames & Hudson, London, 1992, pp. 268-9 8 Gilbert and Cotterell, op. cit, pp. 72-6 9 Popol Vuh, citato ibid., p. 76 10 Popol Vuh, trad. Albertina Saravia E., Editorial Piedra Santa, 1977, p. 43. Nella traduzione di Dennis Tedlock, Simon e Schuster, 1985, il cranio è detto osso. 11 Popol Vuh citato in Karl Taube, Aztec and Maya Myths, British Museum Press, London, 1993, p. 57 12 Citato in Gilbert and Cotterell, op. cit, p. 87 13 Ibid., p. 148 14 Wilbert E. Garrett, "La Ruta Maya", in National Geographic, October 1989 15 Colin McEwan, Ancient Mexico in the British Museum, British Museum Press, 1994, p. 45 15. Il teschio e l'antico calendario 1 Erich von Dàniken, Chariots of the Gods? Souvenir Press, 1968, pp. 123-4 2 José Arguilles, The Mayan Factor: Path beyond Technology, Bear & Co., Santa Fe, New Mexico, 1987, p. 19 3 Adrian G. Gilbert and Maurice M. Cotterell, The Mayan Prophecies, Element Books, 1995, pp. 141-2 4 Diego de Landa, The Relacion, citato ibid., p. 132 5 J. Eric S. Thompson, The Rise and Fall of the Maya Civilization, The University of Oklahoma Press, 1954; Pimlico, 1993 6 Popol Vuh, trad. Albertina Saravia E., Editorial Piedra Santa, 1977, p. 120 7 Citato in Guardian Online, 19 December 1996 16. Le perizie del British Museum Chris Morton and Ceri Louise Thomas 386
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1 Jane MacLaren Walsh, "Crystal Skulls and other problems or 'Don't look it in the eye'" in Exhibiting Dilemmas: Issues of represantation at the Smithsonian, Amy Henderson and Adrienne Kaeppler, eds, Smithsonian Institution Press, Washington, DC, 1997, p. 134 17. L'identikit 1 Frank Dorland, Holy Ice, Galde Press Inc., St Paul, Minn., 1992, p. 44 18. La presenza nel cristallo 1 C. Norman Shealy, Miracles Do Happen, Element Books, 1988 20. La conoscenza 1 Stanislav Grof, MD, The Holotropic Minti, HarperSanFrancisco, 1993, pp. 7-10 2 Ibid. 3 David Deutsch citato in Time Lords, BBC Horizon Programme, trasmesso il 2 Dicembre 1996 4 Ibid. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 Fred Alan Wolf, The Dreaming Universe, Simon and Schuster, 1994, pp. 238-40 8 Ibid., p. 240 9 Time Lord, op. cit. 10 Ibid. 11 Le Point 1256, 12 October 1996 12 New Sdentist, 9 December 1995 13 "Universe may be honeycombe of huge voids", in Guardian, February 1996 21. Lo spirito dei teschi 1 Jamie Sams, The HarperSanFrancisco, 1994
Thirteen
Original
Clan
Mothers,
23. La civiltà scomparsa 1 Platone, Dialoghi, Einaudi, Torino 1970 Platone, Opere, Laterza, Bari, 1966 2 Ibid. 3 Ibid. Chris Morton and Ceri Louise Thomas 387
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4 Graham Hancock, Fingerprints of the Gods, Mandarin, 1995, p. 5 5 Ibid., pp. 5 e 9 6 Ibid. 7 Ibid., p. 13 8 Otto Muck, The Secret of Atlantis, Collins, 1976 9 Ignatius Donnelly, Atlantis the Ante-diluvian World, Sidgwick & Jackson, 1950 10 Ibid., pp. 132-37 11 Adrian Gilbert and Maurice Cotterell, The Mayan Prophecies, Element Books, Shaftesbury, 1995 12 Edgar Cayce on Atlantis, Warner Books, 1968, p. 114 13 Atlantis: Fact or Fiction? Association for Research and Enlightenment Press, Virginia Beach, VA, 1962, p. 24 14 Lost Cities of North and Central America, Adventures Unimited Press, Stelle, I11., 1992 15 Atlantis: Fact of Fiction? op. cit., p. 24 16 Ann Walker, The Stone of the Plough, Element Books, Shaftesbury, 1997 17 Atlantis: Fact of Fiction? op. cit., p. 27 18 Ibid., p. 15 19 Citato in Murry Hope, Atlantis: Myth or Reality? Arkana, 1991, p. 298 20 Ibid. 21 Ibid. 22 Ibid., pp. 298-99 23 Atlantis: Fact or Fiction? op. cit., p. 17 24 Jamie Sams and Twylah Nitsch, Other Council Fires Were Here Before Ours, HarperSanFrancisco, 1991 25 Ibid., pp. 68-9 26 Ibid., p. 69 27 Ibid., pp. 72-3 28 Ibid., pp. 76-8 29 Ibid., p. 78
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