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IRIS JOHANSEN UNA PASSIONE PERICOLOSA (Final Target, 2001) A Linda Howard, Catherine Coulter, Kay Hooper e Fayrene Preston, scrittori eccellenti e amici fantastici. Grazie per questi anni meravigliosi. Prologo Settembre, Vasaro, Francia Cavallo Alato. Corri dal Cavallo Alato. C'era sangue dappertutto. Stava venendo verso di lei. Cassie gridò e scappò dalla camera da letto. «Torna qui!» L'uomo con il passamontagna la rincorse. Cassie si precipitò lungo il corridoio, e poi giù per le scale, con la svolazzante camicia da notte bianca, il respiro affannoso, i singhiozzi. Doveva raggiungere il Cavallo Alato. Solo se ci fosse riuscita sarebbe stata salva. «Fermate quella bambina, maledizione!» Adesso l'uomo si stava sporgendo dalla ringhiera. Aveva sparato a Pauley nella camera da letto della bambina, quando lui le si era parato davanti per difenderla. Stava gridando ai tre uomini mascherati nell'atrio sottostante. Altro sangue. Altri corpi stesi a terra... Cassie si fermò terrorizzata, a pochi gradini dal fondo. Papà... Ma mamma e papà non erano lì. Erano a Parigi. Era sola in casa con Jeanne, la sua istitutrice, e gli uomini della sicurezza. Ma dov'era Jeanne? «Vieni, piccola.» Eccola lì, in piedi sulla soglia dello studio. Anche il Cavallo Alato era nello studio. Se solo fosse riuscita ad andare da lui, tutto sarebbe finito. Jeanne sorrise. «Vieni, Cassie.» Non vedeva che c'erano in mezzo quei tre uomini? Ma forse sarebbe riuscita a passargli davanti. Lo studio era a sinistra delle scale. Scavalcò la ringhiera e planò a terra, correndo. «Brava.» Jeanne la trascinò nella stanza e chiuse la porta a chiave.
Cassie si buttò tra le sue braccia. «Ha sparato a Pauley. Mi sono svegliata, e lui stava accanto al mio letto e... Pauley sanguinava...» «Lo so, Cassie. Dev'essere stato terribile per te. Ma ci sono io, adesso.» La bambina l'abbracciò forte, in preda al panico. «Sono in anticamera. Butteranno giù la porta. Ci spareranno.» «No, non lo faranno. Non è forse vero che ti proteggo sempre?» La respinse dolcemente. Indicò con il capo il Cavallo Alato, sul piedistallo nell'angolo. «Adesso va' dal tuo amico, mentre io penso al da farsi.» «Ho paura. Abbatteranno la porta e...» «Smettila di piangere.» Si girò. «Fidati di me.» Ma lei non ci riusciva. Certo, si fidava di Jeanne, ma loro sarebbero entrati lo stesso. Niente poteva fermarli. Il Cavallo Alato. Attraversò di corsa la stanza e alzò lo sguardo verso di lui. Avevano bisogno di magia, e tutti dicevano che quella statua era magica. Cassie lo sapeva. Lo sentiva quando gli era vicina. Anche se questa non era la statua originale, papà aveva detto che l'ologramma era identico. E quindi doveva possedere abbastanza magia da salvarle. «Aiutaci», sussurrò. «Ti prego. Ci faranno del male.» Pegaso la fissava con gli scintillanti occhi di smeraldo, che sembravano sapere ogni cosa. Sarebbe andato tutto bene. Il calore che la confortava sempre, quand'era con lui, stava gradatamente allontanando il freddo. Con lei, ora, c'erano Jeanne e il Cavallo Alato. Non le sarebbe capitato niente di brutto. Sarebbero state salve, adesso che... Bussarono. Si girò di scatto, e realizzò sconvolta che Jeanne si stava dirigendo verso la porta. «No.» «Zitta.» Corse verso di lei. «No, Jeanne. Ti...» La donna la spinse da parte e aprì. Era lui, l'uomo mascherato. «Ti avevo detto...» «Era ora», disse Jeanne. «Dove diavolo sei stato, Edward?» «A completare l'opera. Questo posto brulica di agenti della sicurezza. Sapevo che era al sicuro con te, così ho finito quel che dovevo fare.» Entrò nello studio. «L'elicottero sarà qui a momenti. Adesso posso occuparmi della bambina.» «Prendila allora. E falla finita.» Jeanne incrociò le braccia sul petto.
«Questa notte mi ha lasciato un cattivo sapore in bocca.» «Perché sei un'anima delicata. Ma non troppo delicata da accettare il denaro e filartela.» Guardò Cassie. «Vieni», le disse. «Ci sono posti in cui dobbiamo andare, e persone che dobbiamo vedere.» «Jeanne?» Si scostò dall'uomo. «Aiutami...» «Va' con lui. Non ti farà del male, purché tu faccia la brava.» Aveva una voce dura, niente a che vedere con la sua solita voce. Quest'uomo aveva sparato a Pauley e l'aveva lasciato sul tappeto della sua stanza, con il sangue che gli sgorgava dal petto. Come poteva Jeanne sostenere che non le avrebbe fatto del male? Come poteva dirle di andare con lui? Perché la stava guardando a quel modo? «Papà», piagnucolò. «Papà.» Gli occhi verdi dell'uomo brillavano attraverso le fessure del passamontagna, mentre veniva verso di lei. «Papà non è qui. Non c'è nessuno qui che possa prendersi cura di te, quindi non crearmi problemi.» Lei continuò a indietreggiare. «Jeanne?» «Smettila», le disse bruscamente la donna. «Non posso aiutarti. Non voglio aiutarti. Va' con lui.» Cassie sentì il marmo freddo del piedistallo del Cavallo Alato sfiorarle la schiena, e d'un tratto fu invasa da un'ondata di speranza. «No, non ci vado. Non puoi costringermi ad andare. Lui non te lo permetterà.» «Lui chi?» «Va matta per quella statua scadente», spiegò Jeanne. «È convinta che possa fare miracoli.» «Scadente?» La guardò. «Stai bestemmiando, Jeanne. È magnifica. Hai la minima idea di quanto vale?» «L'unica cosa che mi interessa è il denaro che quella cosa potrebbe procurarci.» «Ma non è in carne e ossa, al contrario di Cassie. Su, va' a prenderla.» «Vacci tu.» «Senti, se vuoi salire su quell'elicottero devi guadagnarti il passaggio.» «Me lo sono già guadagnato. Non ci saresti mai riuscito se io non avessi organizzato tutto e non ti avessi aperto...» Incontrò il suo sguardo. «Oh, va bene.» Attraversò la stanza. «Vieni, Cassie. Non puoi metterti contro di noi. Finiresti solo con il farti del male.» Portami via, pregò Cassie. Portami via. Portami via. Jeanne le posò una mano sulla spalla. Portami via.
«Non vorrai che ti spari come ha fatto con Pauley, vero? Perché ne sarebbe capace. Ti conviene obbedirgli, altrimenti...» «Sembra che non ti creda», disse l'uomo in tono sommesso. «Forse ha bisogno di vedere qualcos'altro.» «Che cosa vuoi...» La testa di Jeanne esplose. Cassie lanciò un urlo, mentre la materia cerebrale le schizzava sul petto. Si accovacciò sul pavimento, lo sguardo sulla faccia sfigurata della sua istitutrice. Portami via. «Smettila di gridare.» Portami via. «Alzati.» Allungò una mano e la tirò in piedi. «Non dovrebbe importarti così tanto se l'ho eliminata. Ha insultato il tuo amico, il Cavallo Alato e si è comportata da Giuda. E quando si è Giuda una volta, lo si è per sempre. Sai cos'è un Giuda, bambina?» Portami via. Portami via. Portami via. Stava succedendo. L'uomo stava sbiadendo, come se fosse in fondo a un lungo tunnel. «Ma a te non lo farò, se non mi creerai problemi. Fa' quel che ti dico e andrà... Merda!» Spari. La lasciò andare e si precipitò in anticamera. Lei si afflosciò di nuovo sul pavimento accanto a Jeanne. Sangue. Morte. Giuda. Non aveva più paura. Se ne stava andando. C'era lei nel tunnel, adesso, e il buio non la spaventava. Finché fosse restata lì, niente avrebbe potuto sfiorarla. Sarebbe stata al sicuro. Stava sprofondando sempre di più nell'oscurità. «Cassie?» Un uomo si stava inginocchiando davanti a lei. Niente maschera. Occhi scuri, come quelli di suo padre. «Sono Michael Travis. I cattivi se ne sono andati. Sei al sicuro adesso. Ora ti toccherò, per controllare se non sei ferita. Va bene?» Non rispose. Non doveva più avere paura. Aveva fatto andar via i mostri. Presto se ne sarebbe andato anche lui, ma quel che accadeva fuori dal tunnel non aveva più importanza. Sentì le sue mani su braccia e gambe, poi più niente. «Su, piccola.» Strinse le labbra mentre guardava Jeanne. «Andiamocene
da qui. Ti porto in cucina a ripulirti un po', mentre aspettiamo mamma e papà.» La prese in braccio, e si diresse verso la porta. «So che è difficile crederlo, ma andrà tutto bene.» Non era difficile, invece. Non adesso, almeno. Nel tunnel tutto era buio e lei non aveva paura del buio. Mentre raggiungevano la soglia, si girò a guardare il Cavallo Alato. Gli occhi di smeraldo la fissarono attraverso la stanza. Strano. Sembravano feroci e crudeli, come quelli del drago sul libro che le aveva regalato papà. Ma il suo Cavallo Alato non era mai crudele. E nient'altro era più crudele, ora. Non qui. Non adesso. Per esserne certa, sprofondò sempre più giù, nell'oscurità del tunnel. 1 Maggio, Cambridge, Massachusetts «Mi dispiace farti questo proprio durante gli esami, Melissa.» La voce di Karen Novak era esitante. «Se ci fosse un altro modo...» «Tu vuoi che me ne vada.» Non era una sorpresa. Melissa sapeva che sarebbe successo. «Solo finché questo tuo problema non sarà sotto controllo. Ti abbiamo trovato un monolocale a un isolato da qui. Puoi trasferiti subito.» Melissa si girò verso l'altra compagna di camera. «Wendy?» Wendy Sendle annuì mestamente. «Pensiamo che starai meglio in un appartamento da sola.» «E voi starete sicuramente meglio senza di me.» Alzò una mano, mentre Wendy apriva la bocca per protestare, e disse gentilmente: «D'accordo. Capisco. E non ce l'ho con voi. Raccolgo le mie cose e me ne vado entro stasera». «Non c'è nessuna fretta. Anche domani andrà...» Wendy si interruppe mentre Karen le lanciava un'occhiataccia. «Ti aiuteremo a preparare i bagagli.» Melissa sapeva che non volevano rischiare di passare un'altra notte assieme a lei. «Grazie.» Cercò di sorridere. «Adesso smettetela di sentirvi in colpa. Siamo amiche da anni. Questo non cambierà niente.» «Lo spero», disse Karen. «Sai che ti vogliamo bene. Abbiamo resistito finché abbiamo potuto.» «Lo so. Siete state molto pazienti.» Avrebbe dovuto andarsene da setti-
mane, ma si era sentita al sicuro lì. «Vado in bagno a radunare la mie cose.» «Melissa, hai mai pensato di tornare a Juniper?» Wendy si inumidì le labbra. «Forse tua sorella potrebbe aiutarti.» «Ci penserò. Ma in questo momento Jessica è molto occupata con il nuovo lavoro.» «Siete molto unite. Se sapesse, credo che accantonerebbe il suo progetto, almeno per un po'.» «È difficile. Ma non preoccupatevi, me la caverò.» Chiuse la porta del bagno dietro di sé e vi si appoggiò contro, il cuore che le batteva forte. Calma. Stanotte sarebbe stata sola. Forse non sarebbe successo. Forse sarebbe sparito. Ma nelle ultime settimane le cose non erano andate esattamente così. Tutto era iniziato in modo confuso e lontano, appena percettibile nella turbinante oscurità. Ma ultimamente si stava avvicinando. Sapeva che presto sarebbe stata in grado di vederlo chiaramente. Oh, Dio, fa che lei non lo veda. Juniper, Virginia «Cassie ha avuto un altro incubo», disse Teresa Delgado, sulla soglia della camera da letto di Jessica. «Un brutto incubo.» «Sono tutti brutti.» Jessica Riley si sfregò gli occhi, prima di mettersi a sedere e prendere la vestaglia. «Non l'avrai lasciata sola?» «C'è altra gente qui attorno che conosce il mestiere oltre a te. C'è Rachel con lei.» Fece una smorfia. «Ma Cassie potrebbe anche restare sola. Si è tutta raggomitolata, con la faccia girata verso il muro. Ho cercato di confortarla, ma si sta comportando come se non mi sentisse. Sorda come una campana.» «Non è sorda.» Jessica le passò accanto e si avviò lungo il corridoio. «È consapevole di tutto quel che accade intorno a lei. Solo che lo respinge. L'unico momento in cui è vulnerabile e lascia filtrare qualcosa è quando dorme.» «Allora forse dovresti intervenire durante il sonno. Con l'ipnotismo, o qualcosa del genere», suggerì Teresa. «Non te la stai cavando troppo bene, quando è cosciente.» «Dammi tregua. È solo un mese che sta con me. Abbiamo appena incominciato a conoscerci», ribatté Jessica. Ma Teresa aveva ragione: non c'era
stato nessun progresso evidente. La bambina si era chiusa in una prigione di silenzio dal giorno dell'incidente avvenuto a Vasaro, otto mesi prima. A quest'ora, la situazione avrebbe già dovuto sbloccarsi, pensò, ma poi cercò di accantonare i dubbi. Era soltanto stanca. Gesù, una bambina in stato catatonico da otto mesi non era paragonabile a nessuno degli altri casi che le erano capitati tra le mani. Ma era difficile farsene una ragione, quando la sua paziente aveva solo sette anni e avrebbe dovuto correre, giocare, vivere una vita nel pieno delle sue possibilità. «Ed è meglio che faccia i primi passi da sola. Non voglio forzarla.» «Sei tu il medico», osservò Teresa. «Ma se un'umile infermiera può offrire un consiglio, direi...» «Umile?» Jessica sorrise. «Come ti è venuto? Non hai mai smesso di dirmi quel che dovevo fare dal mio primo anno di internato.» «Ne avevi bisogno. Ero lì da più di trent'anni, era mio dovere schiarirti le idee. Eri uno di quei dottori fanatici che non sanno mai quando staccare. Non lo sai nemmeno ora. Dovresti lasciar stare noi, con la bambina, almeno per una notte, per farti otto ore di sonno filate.» «Deve sapere che sono qui.» Si strinse nelle spalle. «E non potrei comunque dormire molto di più. Viene a trovarla suo padre. Ha detto che sarà qui verso le tre del mattino.» «Il grand'uomo viene a farci visita?» «No, il padre di Cassie viene a trovare sua figlia.» Molta gente considerava Jonathan Andreas come uno dei presidenti più popolari che avessero avuto gli Stati Uniti, ma Jessica non pensava a lui in quelle vesti. Da quando l'aveva incontrato un mese prima, per lei era soltanto un padre che era terribilmente preoccupato per sua figlia. «E dovresti saperlo. L'hai visto con lei. È solo un uomo, con un problema più grande di lui.» «Così tieni la tua vita in sospeso e gli concedi di usare la tua casa di famiglia come centro di cure per la figlia. Qui sembra di essere in un campo di addestramento. Non puoi neanche fare una passeggiata senza essere seguita da qualche agente della sicurezza.» «È stata una mia idea. Il presidente voleva tenerla nascosta ai media, e questo posto gode di una certa privacy ed è facile da difendere. Cassie deve essere protetta. Guarda che cos'è successo a Vasaro.» «E se accadesse la stessa cosa qui?» «Impossibile. Il presidente mi ha garantito che la sicurezza è infallibile.» «E tu gli credi?» «Certo.» Andreas le ispirava fiducia. «E poi, ama sua figlia. È tormenta-
to dai sensi di colpa, da allora. Non rischierebbe mai un'altra tragedia.» «Sei molto generosa. Ho notato che ha dei modi piuttosto bruschi con te.» «Non importa. Credo che ne abbia fin sopra i capelli degli psichiatri. E poi, una famiglia prova un certo risentimento quando è costretta ad affidare un figlio a un estraneo. Risolveremo il problema.» Fece un cenno con il capo a Larry Fike, l'agente della sicurezza appostato davanti alla porta di Cassie. «Salve, Larry. Le hanno detto che ci farà visita il presidente?» Annuì. «Poveretto, non è la notte giusta.» «No.» Anche se le notti giuste, per Cassie Andreas, erano molto rare. «Ma deve venire quando può allontanarsi senza destare sospetti. Non vogliamo che ci piombino addosso i reporter.» «Certo, o finiremmo con il soffrire tutti di incubi.» Le aprì la porta. «La bambina ha urlato parecchio. Se non fosse già successo, sarei corso dentro con una pistola spianata. L'avverto quando il presidente raggiunge i cancelli.» «Grazie, Larry.» «Hai bisogno di me?» chiese Teresa. Scosse la testa. «Va' a preparare un po' di caffè per il presidente. Potrebbe averne bisogno.» Fece un cenno all'infermiera seduta nella poltrona. «Grazie, Rachel. Qualcosa che dovrei sapere?» «Può giudicare da sé.» La giovane donna si alzò. «Non ha mosso un capello da quando Teresa ha lasciato la stanza.» Sorrise a Cassie. «Ci vediamo più tardi, piccola.» Jessica sedette e si appoggiò allo schienale della poltrona. Non parlò subito, per lasciarle il tempo di abituarsi alla sua presenza. Il colore del viso era buono, ma i muscoli erano serrati. Assicurarsi che mangiasse abbastanza era già arduo; se fosse peggiorata, avrebbero dovuto nutrirla con la flebo. Com'era diversa questa Cassie da quella delle fotografie scattate prima di Vasaro. Allora era stata la cocca della Casa Bianca, con i suoi lunghi e lucidi capelli castani e il suo sorriso luminoso. Piena di vitalità. La bambina simbolo dell'America... Quando imparerai, si disse, a non prendertela tanto? Le sue stimate colleghe non perdevano mai l'occasione di farle notare che l'emotività del medico non giova al paziente. Al diavolo! L'amore poteva aiutare molto, purché non ci si lasciasse accecare e ostacolare. «Un brutto sogno? Ti andrebbe di parlarmene?»
Nessuna risposta. Non che se ne fosse aspettata una, ma concedeva sempre a Cassie un'opportunità. Un giorno sarebbe potuto avvenire un miracolo, e la bambina avrebbe magari provato il desiderio di uscire dall'oscurità per rispondere a una delle sue tante domande. «Era su Vasaro?» Silenzio. Probabilmente era su quell'argomento. Terrore, morte e tradimento erano alla base di quegli incubi. Ma qual era stato l'elemento catalizzatore che l'aveva spinta ad allontanarsi? L'istitutrice che aveva amato, di cui si era fidata e che era stata pronta a consegnarla ai killer? L'uccisione dell'agente della sicurezza e dell'istitutrice? Una serie di concause, senza dubbio. «Papà viene a trovarti. Vuoi che ti spazzoli i capelli?» Silenzio. «Non importa. Sei molto carina lo stesso. Se non ti dispiace, siederò qui finché non arriva lui e chiacchiereremo un po'.» Sorrise. «Be', chiacchiererò io. Sembra che tu ci abbia rinunciato, per un po'. Non importa. Ti rifarai quando deciderai di tornare tra noi. Mia sorella, Mellie, non smette mai di parlare, ed è rimasta chiusa per sei anni come un riccio. Spero che tu non ritenga necessario restare lontana per tanto tempo. Mellie è molto più felice adesso.» Che i muscoli tesi di Cassie si fossero un po' rilassati? «Sei nella sua stanza, adesso. Le piace molto il giallo, e ho dovuto dissuaderla dal scegliere una tonalità limone in favore di una tappezzeria più vicina al beige. A Mellie piacciono molto i colori accesi, ma è lo stesso una stanza allegra, non ti pare?» Ancora silenzio. Ma Jessica sperava che, ovunque fosse, Cassie la stesse ascoltando. «Mellie è ad Harvard adesso, e studia per diventare dottore, come me. Mi manca molto.» S'interruppe. «Come tu manchi al tuo papà e alla tua mamma. Mellie mi telefona ogni settimana e chiacchieriamo, e questo aiuta. Scommetto che al tuo papà piacerebbe che tu gli parlassi stasera.» Silenzio. «Ma sarà lo stesso contento di essere con te, che tu gli voglia parlare o meno. Ti vuole bene. Ricordi come ti faceva giocare? Sì, so che te lo ricordi. Tu ti ricordi tutto, le cose brutte e quelle belle. E quelle brutte non ti colpiscono più, lì dove sei ora, non è vero? Ma ti feriscono ancora quando ti addormenti. Se tu tornassi tra noi quei sogni smetterebbero, Cassie. Ci vorrebbe un po', ma poi ti lascerebbero in pace.» Cassie stava cominciando a irrigidirsi di nuovo. «Nessuno ti costringerà a tornare finché non lo vorrai tu. Un giorno ti
sentirai pronta e io sarò qui per aiutarti. So come fare, Cassie», aggiunse dolcemente. «Mellie e io abbiamo percorso la stessa strada. Mi chiedo dove sei. Quando mia sorella è ritornata, ha detto che era come trovarsi in una fitta foresta buia, con tanti alberi sopra la testa. Ma altri bambini che sono stati via dicono di essere andati in una confortevole caverna. È lì che sei andata?» Nessuna risposta. «Oh, be', me lo dirai quando torni. Sono un po' stanca, ti dispiace se mi riposo un po', finché non arriva il tuo papà?» Era stanca di fare domande. Rispondimi almeno una volta, tesoro. Chiuse gli occhi. «Se vuoi dormire, fa' pure. Sono qui. Ti sveglierò se arriveranno i brutti sogni.» Parigi Scintillanti occhi smeraldo, denti pronti ad azzannare! Edward balzò a sedere nel letto, il cuore che gli batteva forte. Era sudato fradicio. Soltanto un sogno. Ridicolo sentirsi così sconvolti solo perché aveva sognato la statua. Colpa dell'umiliazione che aveva subito a Vasaro. Non era stata colpa sua. Il piano era perfetto. Se non fosse stato per Michael Travis, avrebbe avuto la bambina. Come aveva saputo, quel bastardo, dell'incursione? Doveva esserci stata una soffiata. Avrebbe scoperto chi era stato, poi avrebbe trovato Michael e gli avrebbe fatto saltare le cervella. Ormai completamente sveglio, decise di andare nella stanza. Il solo pensiero bastava a tranquillizzarlo. Si alzò e scese al pianterreno. La porta riccamente scolpita brillava nella tenue luce. Una volta dentro, sarebbe stato in grado di relegare il piccolo fallimento di Vasaro in fondo sua alla mente, nel posto che gli spettava. Avrebbe perseverato e ottenuto presto quel che voleva. Questo era fuori discussione. Compresa la morte di Michael Travis. Georgetown «Dove diavolo è Michael Travis?» domandò Andreas quando Ben Danley salì sulla limousine. «Sono otto mesi. Quanto ci impiega la CIA a tro-
vare un uomo?» «Ci siamo quasi.» Danley affondò nel sedile di fronte ad Andreas. «L'abbiamo rintracciato ad Amsterdam. Lei non capisce, signor presidente. Si infiltra nella malavita fin da quando è nato. Suo padre era un ladro e un contrabbandiere, lui è cresciuto in giro per tutta l'Europa e l'Asia. Ha contatti che...» «Me l'ha già detto.» Andreas non voleva sentirselo ripetere. Voleva Travis, nient'altro. «Sto solo cercando di spiegare che si muove in un circuito dove non rimangono molte tracce. Ma pensiamo di individuarlo entro due giorni.» S'interruppe. «Non ci ha detto che cosa fare una volta che lo troviamo, signore.» Andreas si girò a guardarlo. «Vuole che abbia... un incidente, signor presidente?» Lui sorrise, beffardo. «Ormai, Danley, dovrebbe sapere che la CIA non fa più azioni punitive. Avete ripulito la vostra immagine.» «Non ho detto che l'avremmo fatto noi», ribatté Danley. «Ho solo chiesto se è quello che vorrebbe.» «Molto prudente.» «È una domanda naturale. Se Travis è l'uomo dietro Vasaro, posso capire perché...» «Non c'era lui dietro Vasaro. E non voglio che gli venga torto un capello», lo interruppe Andreas. «Lei non sa niente di quel che è successo a Vasaro.» «Scusi, signore, ma naturalmente Keller della sicurezza ci ha messo al corrente, visto che l'attentato è avvenuto fuori dagli Stati Uniti.» «Non è stato Travis.» «Allora perché lo stiamo cercando da otto mesi?» «Perché ve l'ho detto io.» Guardò il buio fuori dal finestrino. «E volevo che lei avesse una ragione valida per trovarlo. Che cosa le ha detto Keller?» «Che hanno attentato alla sua vita e che l'istitutrice e sei uomini sono stati uccisi, altri tre feriti. Fortunatamente, lei e la first lady eravate a Parigi.» «Fortunatamente?» Il suo tono era sarcastico. «Si rende conto che mia figlia non ha più detto una parola da quella notte? E che mia moglie è stata sull'orlo di un esaurimento nervoso dopo essersi occupata per sei mesi di una bambina che la guardava come se fosse un'estranea?»
«Mi dispiace. Volevo soltanto dire...» «So che cosa voleva dire.» Andreas chiuse gli occhi. «Non avrei dovuto reagire così. Sono molto teso ultimamente.» «Ma ho sentito che Cassie sta molto meglio e tornerà presto a casa.» «Questa è la dichiarazione rilasciata alla stampa per tenere lontano i reporter. È tale e quale a quando l'abbiamo ricondotta a casa da Vasaro. Abbiamo provato quattro psichiatri diversi, ma non hanno concluso niente.» «Forse ci vuole ancora un po' di tempo...» «Voglio che stia bene adesso.» Aprì gli occhi. «E voglio che sia al sicuro. Trovi Travis.» «Keller e i suoi uomini la proteggeranno. Sanno che ne risponderanno personalmente.» «Non ci sono riusciti a Vasaro. Se non fosse comparso Travis sarebbe morta, oppure l'avrebbero presa in ostaggio.» «Che cosa?» «Travis e la sua squadra sono entrati qualche minuto dopo che Vasaro era stata invasa. Hanno ucciso tre degli aggressori, uno è fuggito. Travis mi ha telefonato a Parigi e mi ha informato di quel che era accaduto.» «Ha salvato sua figlia?» Andreas annuì. «È rimasto con lei finché non siamo arrivati noi. Lo stava aspettando un elicottero, ed è scivolato via nella confusione seguita al nostro arrivo.» Danley si lasciò sfuggire un fischio. «E Keller ci ha fatto una figuraccia.» «Non poteva arrestarlo. Travis era l'eroe del momento... questo era ciò che pensavamo.» «Non ha pensato che l'operazione di soccorso potesse far parte di un piano?» «No, uno degli uomini della sicurezza feriti ha dichiarato che Travis non faceva parte del gruppo degli aggressori, e che ha salvato Cassie.» «Ma lei non lo sta cercando per dargli una medaglia.» «Gli ho chiesto come fosse venuto a sapere dell'attentato, e lui ha risposto che, tra le tante attività, tratta informazioni.» «Questo è vero. Ne ha barattate diverse con noi, nel corso degli anni. Ma se voleva interferire, perché non si è limitato a chiamare gli uomini della sicurezza e ad avvertirli?» «Anch'io gliel'ho chiesto. Ha detto che l'ha scoperto troppo tardi, e che
l'attacco era già in atto.» «Puzza.» «Aveva appena salvato mia figlia. Non era il momento di fargli il terzo grado. Pensavamo di avere molto tempo. E capimmo subito che c'era qualcosa che non andava in Cassie. È stata la nostra priorità. Lo è ancora.» Strinse le labbra. «Travis mi ha detto che forse non ero io il bersaglio. Può darsi che volessero Cassie.» «Che cosa?» «Quale modo migliore per piegare la volontà di un padre che minacciarne la figlia?» «Ha fatto dei nomi?» «Se ne avesse fatti, non pensa che glieli avrei passati? Ha detto che non ne aveva. Tutto quello che sapeva era che ci sarebbe stato un attacco a Vasaro.» «Crede che stesse mentendo?» «Come faccio a saperlo? Ma se è così bravo a raccogliere informazioni, allora potrebbe scoprire chi c'era dietro l'attacco. Si direbbe che lei non stia svolgendo il suo lavoro.» «I tre uomini morti avevano affiliazioni terroristiche.» «Ma erano anche noti come mercenari. Non ha trovato nessuna traccia valida.» «Ci stiamo lavorando.» «Allora lavorate più sodo. E portatemi Travis.» Si rivolse all'autista. «Si fermi, George.» La limousine accostò, lui si chinò in avanti e aprì la portiera. «La farò chiamare e passare a prendere da George. Voglio qualcosa di concreto entro le prossime ventiquattr'ore.» Danley scese dall'auto. «Farò del mio meglio, signor presidente.» «Più del suo meglio.» Sbatté la portiera e si appoggiò allo schienale. Dio, sperava di aver acceso una miccia sotto il sedere di Danley. C'era qualcosa di sporco, se occorreva tutto questo tempo per rintracciare un uomo. «Juniper, signor presidente?» chiese George. «Sì.» Che lo conducesse nella serena bellezza di quella vecchia casa e lo lasciasse sedere accanto a Cassie. Lei esisteva, ma in un mondo in cui lui non avrebbe mai potuto entrare. Cassie, che sembrava dissolversi ogni giorno di più. Sbatté rapidamente le palpebre, mentre sentiva le lacrime bruciargli negli occhi. Jessica Riley aveva detto che Cassie non era peggiorata, ma Dio solo sapeva come poteva affermarlo.
Forse poteva, però. Forse trattare con bambini come Cassie aveva sviluppato in lei un sesto senso. Era stata sua moglie, Chelsea, che l'aveva spinto a rivolgersi a Jessica Riley. Aveva letto un libro scritto da Jessica sul suo lavoro sulla sorella minore, Melissa, che si era trovata in uno stato simile a quello di Cassie per più di sei anni. Adesso Melissa frequentava l'università di Harvard, all'apparenza completamente ristabilita. Aveva preso informazioni su Jessica e scoperto che aveva ottime qualifiche, ma i suoi trattamenti a volte erano poco ortodossi e discutibili. Forse, loro avevano bisogno proprio di questo. Non aveva fiducia negli psichiatri, ma era disposto a qualunque cosa, se questo fosse servito a far ritornare Cassie da loro. E a proteggerla. Ma per garantirle questa sicurezza gli servivano delle informazioni. Informazioni che forse avrebbe potuto fornirgli Michael Travis. Ma dove diavolo era, Travis? 2 Amsterdam Che lo stessero seguendo? Quando scorse l'indistinta figura nell'oscurità, dietro di lui, Travis sussultò. Tagliò per Kerkstraat, in direzione di Leidsestraat, attraversò un vicolo e poi fece di corsa due isolati a nord. Era senza fiato. Si infilò in una rientranza e rimase in attesa. Nessuno. Si avviò a passo spedito lungo la strada. Dieci minuti dopo stava salendo le scale del suo appartamento. Controllò la porta per accertarsi che non ci fossero ordigni esplosivi, poi la spalancò. Buio. Lui lasciava sempre le luci accese. Si voltò di scatto e si precipitò verso le scale. «È questo il modo di accogliere un vecchio amico?» Sean Galen si stava sporgendo dalla ringhiera. «Si direbbe che non avessi voglia di vedermi.» «Hai spento le luci, cazzo.» Travis incominciò a risalire. «Mi stavo riposando gli occhi. Ho avuto una giornataccia.» Sorrise. «E poi, volevo vedere se avevi i riflessi pronti. Sei un po' nervoso.»
«Un po'.» Seguì Galen nell'appartamento e chiuse la porta. «Che cosa stai facendo ad Amsterdam? Credevo fossi tornato in California.» «Stavo per andarmene da Parigi quando mi sono imbattuto in una piccola informazione. Dato che dopo Vasaro sei sparito senza lasciare traccia, mi ci è voluta quasi una settimana per rintracciarti.» Il suo sorriso svanì. «Hai del sangue sulla tempia.» «Sì?» Andò in bagno e si lavò la faccia. «Solo un graffio.» «Lasciato magari da un proiettile che ti è passato troppo vicino?» Non rispose. Si tamponava la faccia con una salvietta. «Come mi hai trovato?» «Non preoccuparti, nessun altro sa di questo posto... almeno per ora. Ma non ci sarei mai arrivato se non mi fosse venuto in aiuto il tuo vecchio amico, van der Beck. Mio Dio, ti sei cacciato in un bel guaio, Michael.» «Qualcosa di immensamente redditizio, però, anche se da trattare con cautela.» «So che ti stanno dando la caccia sia i russi sia i sudafricani.» «Vero. Ma c'è sempre la possibilità che, nel tentativo di beccare me, siano di intralcio gli uni agli altri.» «Non ci conterei molto. Corri troppi rischi.» «Senti chi parla. È questo che sei venuto a dirmi?» «La CIA sa che ti trovi ad Amsterdam.» Travis si irrigidì. «Ah, è così?» «Ti avevo detto di lasciare la bambina e andartene da Vasaro prima che Andreas ritornasse.» «Era solo una delle possibilità.» «Né più né meno di quella di non andare a Vasaro.» «Si può sempre avere bisogno di un favore dal presidente.» «Cazzate. Sapevi che sarebbero stati guai.» «Ma sei arrivato tu.» «Te lo dovevo. Te lo devo tuttora. Hai avuto il buon gusto di salvarmi la pelle, quella volta a Roma, e io ci tengo molto alla mia pelle. Ma non ho fatto pappa e ciccia con Andreas. Siamo stati fortunati a cavarti d'impaccio. Quel posto brulicava di agenti della sicurezza e della polizia francese, e nessuno di loro era particolarmente entusiasta di aver fatto fiasco.» «Ma mi hai salvato.» «E allora ti sei precipitato a Mosca nella bocca del leone.» Travis sorrise. «Ma ha denti così luminosi e scintillanti.» «Credo che tu abbia voglia di morire presto.»
«No, preferisco vivere, ma la vita che voglio io, esattamente come la voglio io. Sarà un bel colpetto, Galen», aggiunse. «E non mi dispiacerebbe dividerlo con te.» Galen inarcò le sopracciglia. «E che cosa dovrei fare?» «Niente che tu non abbia già fatto. Van der Beck si sta occupando delle trattative. Vorrei solo dividere il malloppo con te. Sei sempre stato un buon amico.» «Altroché.» Scosse la testa. «Non voglio fare la parte dello scroccone, ma non mi va neanche più di continuare a camminare sulla fune.» «Neanche a me.» «Figurati! Tu non conosci nessun'altra vita.» «Voglio imparare.» Galen si strinse nelle spalle. «Allora vattene da Amsterdam.» «Proprio quello che pensavo.» «Hai bisogno di aiuto? Potrei organizzare la faccenda.» Non sarebbe stata una cattiva idea. Oltre alla sua attività di mediatore, Galen era imbattibile nell'infilarsi e poi tirarsi fuori dalle situazioni più complicate. Travis rifletté per un momento, poi scosse la testa. «No.» «Come vuoi. Qualcos'altro?» «Sì. Chi è a capo della squadra della CIA?» «Un pezzo grosso. Ben Danley.» «Che cosa sai di lui?» «Non molto. Perché?» «Sto cercando un modo per andarmene.» «Tenta dall'aeroporto più vicino.» Galen socchiuse gli occhi. «Vedo le rotelline girare. Che cosa stai tramando?» «Fammi un favore. Manda qui la CIA.» «Come?» «Accertati che la CIA scopra dove sono. Non ho molto tempo. Voglio che piombino qui entro le prossime ore.» «Che cosa hai in mente?» «Mi stavo chiedendo come potrei andarmene da Amsterdam. Non è una fortuna che Andreas mi voglia a Washington?» «O che possa volerti morto.» Travis scosse la testa. «Non credo. Se ci fosse una 'sanzione' l'avrei saputo. Concedimi due ore per sistemare le cose, poi mandami a prendere.» «Non posso dissuaderti?» «È il modo migliore.»
«Come vuoi.» Galen si girò, ma si fermò sulla porta. «Come hai saputo dell'attacco a Vasaro?» «Ho le mie fonti.» «Maledettamente buone. A me non è arrivato neanche un bisbiglio.» «Credi che ne fossi informato perché facevo parte del complotto?» «L'ho pensato.» «Una supposizione molto logica per un uomo con una natura cinica come la tua. Ma perché prendermi il disturbo di fare il doppio gioco, allora?» «E come faccio a saperlo? Non ho mai incontrato nessuno capace di macchinazioni più complicate.» Attese. «Tanto non me lo dirai.» «Di solito non mi servo dei bambini, per i miei piani.» «Ma non stai dicendo di non averlo fatto questa volta.» Aprì la porta. «È stato un gioco molto sporco quello di Vasaro. Non mi piacerebbe pensare che mi hai attirato in qualcosa di sporco. Dimmi chi è stata la tua fonte.» «Mi conosci. Siamo amici da sette anni. Se questo non ti basta, libero di pensare quello che vuoi.» Galen imprecò a bassa voce. «Maledizione. Dammi qualcosa.» «Non ricorro a scuse o a spiegazioni. Prendimi come sono, o lasciami perdere.» «Perché dovrei crederti ciecamente?» Travis non rispose. Galen sospirò. «Sei un amico impegnativo, Michael. Non credo che facessi parte del complotto di Vasaro, ma la CIA potrebbe pensarla diversamente. Spero tu sappia quello che stai facendo.» Lo sperava anche lui, pensò Travis, mentre la porta si chiudeva dietro a Galen. La situazione lì era molto rischiosa, e non sapeva per quanto tempo avrebbe dovuto ancora scappare. Aveva bisogno di un porto sicuro, mentre negoziava un modo per rimanere vivo e uscirne con tutte le biglie in gioco. Soprattutto, evitando che finissero nelle mani della CIA. Avrebbe dovuto fare in fretta una chiacchierata, e manovrare le cose ancora più in fretta per trovarsi in condizione di poter trattare con Andreas. Che cosa c'era di nuovo, dopotutto? Era quello che faceva da tutta la vita: ingannare, manipolare, agire scaltramente, e mantenersi in equilibrio sulla fune di cui Galen non voleva più sentir parlare. Non era più tanto sicuro di volerne sentir parlare nemmeno lui. Dio, se era stanco. Doveva darsi una mossa. L'adrenalina sarebbe salita di colpo, una volta che gli uomini della CIA avessero varcato quella soglia. Pensò alla sfida. Non capitava tutti i giorni di doversi misurare con il leader del mondo libe-
ro. Juniper L'infermiera che aprì la porta era di mezza età e aveva capelli rossi spruzzati di grigio. «C'è la dottoressa Riley con sua figlia, signor presidente. Temo che stia passando una brutta notte.» «Brutta come?» «Incubi.» Sapeva degli incubi, e del regresso quasi catatonico che seguiva. «Vado subito da lei, Teresa. Può far preparare un po' di caffè per il mio autista e per gli uomini della sicurezza sull'altra macchina?» «Già fatto. Devo portargliene di sopra una tazza?» «Grazie.» Stava salendo i gradini di quercia che portavano al secondo piano. La casa aveva il sapore dei secoli passati e possedeva lo stesso raffinato calore della sua abitazione di Charleston. Se Cassie fosse tornata, questo posto le avrebbe probabilmente ricordato tutti i weekend che aveva trascorso lì. Se? Sarebbe tornata. Non poteva tollerare nessun'altra alternativa. Aprì la porta della camera senza bussare. «Come sta?» Jessica Riley alzò lo sguardo. «Bene. Ha passato un brutto momento, ma si è ripresa e adesso riposa. Vero, Cassie?» Si avvicinò al letto. «Dio, sembra...» «Sta riposando», lo interruppe Jessica, alzandosi in piedi. «E penso che la lasceremo riposare, mentre noi andiamo a berci una tazza di caffè.» Si girò verso la bambina. «Torniamo subito, Cassie.» «Non voglio...» «Andiamo a prendere una tazza di caffè.» La voce di Jessica era determinata. «Adesso.» Incontrò il suo sguardo, poi girò sui tacchi e la seguì fuori dalla stanza. «Ebbene?» «Ne abbiamo già parlato. Non è sorda e non è in coma, quindi non si comporti come se lo fosse.» «Ma giace lì, come se fosse morta. Non parla e non risponde, e lei dice che...» «Se l'accetta così com'è, servirà a incoraggiarla. Non le permetterò di rendere il mio lavoro ancora più difficile comportandosi...» «Non me lo permetterà? Chi diavolo crede di essere?»
«Il medico di sua figlia. Chi diavolo crede di essere lei?» Si interruppe e abbozzò un sorriso. «Il presidente degli Stati Uniti?» La rabbia svanì di colpo. «Così si dice, ma evidentemente questo non la impressiona.» «Mi impressiona sì. È stato un buon presidente. Ma questo non significa che ne sappia più di me sulle condizioni di sua figlia. Se vuole che me ne occupi, devo avere carta bianca.» La fissò pensieroso. Era piuttosto bassa, e i corti capelli biondi e ricciuti e la carnagione luminosa la facevano sembrare più giovane dei suoi trentadue anni. Ma c'era intelligenza in quegli occhi marroni, e un'audacia incisiva nei suoi modi, che non aveva nulla di infantile. «Non sono abituato a restare dietro le quinte, dottoressa Riley.» Sorrise, l'aggressività era sparita. «Lo so. È molto difficile per lei. Ma dovrà accettarlo.» «Come faccio a sapere che ha ragione? Come fa, lei, a sapere di avere ragione?» «Non lo so. Possiamo studiare, immaginare, indovinare, ma la mente resta un mistero per noi. Tuttavia, ci sono passata molte volte e ho più probabilità di lei di imbattermi nella risposta giusta.» «Pensa che sia cosciente?» Annuì. «Più che cosciente. Ho scoperto che in casi come questo i sensi si affinano. È come se, respingendo il mondo esteriore e concentrandosi su quello interiore, si entrasse in contatto con un potere altrimenti inibito.» «Gli altri dottori non hanno mai sostenuto nulla del genere.» «Io posso dirle solo quello che ho sperimentato.» «Con sua sorella?» «Con Mellie e con altri.» Si fregò la tempia. «Sapeva che ero piuttosto anticonformista, quando mi ha assunta. Posso solo cercare di fare del mio meglio basandomi su quello che ho imparato. Se questo non le va bene, mi licenzi. Ma non cerchi di assumere il controllo della situazione. Il conflitto servirebbe solo a far rinchiudere ancora di più Cassie, e ad allontanarla sempre di più da noi.» Tacque per un momento, poi disse burbero: «Non... non intendevo andare contro le sue istruzioni. Non ha idea di com'è diversa ora. Non ho mai conosciuto una bambina più forte della mia Cassie. È l'ultima persona da cui ci si sarebbe aspettati una simile reazione. Non c'era niente di fragile in lei. È sempre stata combattiva. Quando l'ho vista raggomitolata a quel modo, ho provato una tale rabbia che...»
«Lo so. E non si fida fino in fondo di me», aggiunse. «Non mi fido di nessuno, quando si tratta di Cassie. Sono suo padre e dovrei essere io ad aiutarla, non uno...» «Uno strizzacervelli?» Annuì. «Ne convengo. Ma a volte non funziona così. A volte respingono completamente i famigliari. Così deve intervenire lo psichiatra. Allora, vuole che lavoriamo insieme, o preferisce trovare qualcun altro?» «Si direbbe che voglia assumersene la tutela esclusiva.» «No, ma non mi metta i bastoni tra le ruote.» «E faccia come dico io.» «Appunto.» Rifletté qualche istante. «E va bene. Vedremo come se la cava, come comandante in capo.» «Vuol dire che se non mi rivelerò all'altezza mi licenzierà su due piedi?» «Esattamente. Adesso, se non c'è altro, vado a sedermi con mia figlia.» «Be', qualcos'altro c'è, in effetti. Ho bisogno di informazioni più approfondite.» «Che genere di informazioni?» «Su Vasaro.» «Le abbiamo già raccontato quel che è successo.» «Prima dell'attacco, a sua figlia piaceva quel posto?» «L'adorava. Chi non lo farebbe? Si coltivano fiori per l'industria del profumo, e a quale bambino non piace la vita in una fattoria? Acri di terreno coltivati a lavanda e gigli, lontano dalle restrizioni di Washington.» «C'era già stata prima di allora?» Andreas annuì. «Spesso. Caitlin Vasaro è la sua madrina, e sono molto legate. Permette a Cassie di lavorare nei campi e di raccogliere i fiori per le essenze.» Serrò le labbra. «È un peccato che Cassie non possa più tornarci.» «Perché?» «Se l'avesse vista quella sera, capirebbe perché. Era coperta di sangue. Il trauma l'ha ridotta così com'è ora. Se riusciremo a farla ritornare indietro quando riusciremo a farlo - non le permetterò di rimetterci piede.» «Capisco.» La fissò in volto. «Perché voleva saperne di più su quel posto?» «Come ha detto, è stata quella notte a renderla com'è ora, ed è successo a Vasaro. Devo sapere tutto quel che posso su entrambi. Lei era lì perché doveva prestare la statua a Caitlin Vasaro per pubblicizzare il suo nuovo
profumo, vero?» «In realtà stavo prestando il Cavallo Alato al Museo d'Andreas per qualche mese. Ecco perché mia moglie e io eravamo a Parigi quella sera. Pensavamo che la pubblicità che circondava il gesto avrebbe ricordato a tutti il primo profumo di Caitlin; lo aveva chiamato Cavallo Alato, appunto.» «Il Cavallo Alato non era a Vasaro?» «No, era stato spedito al museo.» Fece una smorfia. «Cassie ne fu così delusa che fummo costretti a servirci dell'ologramma che Caitlin aveva comprato anni addietro. È un bel pezzo, e ha pienamente soddisfatto Cassie. Ma perché è così curiosa riguardo a quella statua?» «Ho sfogliato l'album di famiglia che mi ha mandato e ho scelto alcune fotografie per valutare le possibili reazioni di Cassie. Credo che ne abbia avuta una davanti a una fotografia di lei con il Cavallo Alato, nella biblioteca di casa vostra a Charleston.» Si irrigidì. «Che genere di reazione? Che cosa ha fatto?» «Niente di fisico. Nulla di tangibile.» Il suo entusiasmo svanì. «Allora come fa a sapere che ha reagito?» «È stata solo... una sensazione.» «Pensa che fosse spaventata?» «Non ne sono sicura. Aveva paura della statua?» «Non prima di quella sera. Il Cavallo Alato appartiene alla mia famiglia dal tredicesimo secolo. È cresciuta con quella statua, e niente la rendeva più felice che poter giocare nella stessa stanza.» «Doveva sembrarle magica. Un Pegaso dorato nei sogni di tutti i bambini. L'immagine stessa di un cavallo che vola tra le nuvole...» «Le piaceva inventare storie su di lui.» «Che genere di storie?» «Oh, avventure. Come volare via con Pegaso e liberare principi dai draghi, cose del genere.» «Deve avere un'immaginazione vivace.» «Sì. Era molto intelligente.» «È molto intelligente.» «Sì, è questo che volevo dire.» Aprì la porta. «Farò tutto quel che mi dirà di fare, finché non deciderò che la cosa non funziona. Come vuole che la tratti?» «Le parli. Le faccia domande. Le faccia capire che le vuole bene.» «Ha detto che respinge i famigliari.» «Non ha mai fatto male a nessuno sapere che l'amore sta aspettando. Ma
non le mostri che è sconvolto se non reagisce. Servirebbe solo a farla regredire.» «Questo è un grande ordine.» «E lei è un grande uomo.» S'interruppe. «Le porterò una tazza di caffè. Per quanto tempo può trattenersi?» «Due ore.» Sedette nella poltrona accanto al letto di Cassie e, guardandola, si sentì stringere il cuore. Torna da me, tesoro. «Devo essere alla Casa Bianca per le sette.» Prese la mano di Cassie e la sua voce si abbassò. «Ma è abbastanza per raccontarti tutto quello che sta succedendo, Cassie. Mi manchi. Tua sorella, Marisa, ha telefonato da Santiago e mi ha detto di ricordarti che le hai promesso di andare ad aiutarla ad addestrare il nuovo delfino. Non vede l'ora di mostrarti quello che stanno facendo adesso. Tua madre ti abbraccia. Sai che sarebbe qui se il medico non le avesse ordinato di restare a letto. Ricordi che avrai un fratellino il mese prossimo? Si sta rivelando un po' agitato e il dottore non vuole che venga al mondo troppo presto. È un bambino forte che vuole affermare il suo posto in famiglia. Mi ricorda te e il modo...» Dovette interrompersi per rinfrancare la voce. «La mamma dice che ha davvero bisogno di te. Vuole decidere con te i nomi per il fratellino. Così pensaci e magari la prossima volta che vengo a trovarti potrai darmi qualche consiglio. Sono stati da noi degli acrobati del Cirque du Soleil due sere fa. Ricordi quando ti abbiamo portata a vedere...» Jessica osservava Andreas dalla soglia e aveva un nodo in gola. Cielo, come voleva bene alla sua bambina! Aveva fatto dei progressi con lui stasera, ma sapeva che avrebbe dovuto scorrere ancora molta acqua sotto i ponti prima che si fidasse completamente di lei. Chi poteva biasimarlo? Se Cassie fosse stata sua figlia, avrebbe reagito allo stesso modo. E, in un certo senso, Cassie era sua figlia. Erano tutti suoi figli, almeno finché non ritornavano indietro e doveva rinunciare a loro. Udivano la sua voce e, se era fortunata, arrivava anche il momento in cui riusciva a persuaderli a tornare. Ma a volte la persuasione non bastava. A volte era necessario inserire un elemento diverso, per favorire il processo di guarigione. Era un ostacolo che non voleva ancora affrontare, quand'era a malapena riuscita a conquistarsi la fiducia di Andreas. Poteva immaginare la sua esplosione d'ira se avesse dovuto dirgli che, forse, sarebbe stato necessario ricondurre Cassie a Vasaro.
«Ce l'abbiamo, signore», disse Danley. «L'abbiamo trovato in un appartamento sul fiume Amstel.» «Non gli avrete fatto del male?» «Ci aveva dato ordini precisi. In verità, si è mostrato molto docile. Non ci ha creato nessun problema.» Docile non era la parola che avrebbe usato per l'uomo che aveva incontrato a Vasaro, pensò Andreas. Michael Travis era stato tranquillo e rispettoso, ma anche molto diffidente. Andreas aveva avuto l'impressione che fosse una forza di cui era meglio tener conto. «Molto insolito.» «Sapeva di essere in difficoltà. Vuole che lo conduca a Langley?» «No, al Dipartimento della Giustizia. Nessuno deve sapere di lui. Domani a mezzanotte userò il tunnel della Casa Bianca. Fatemelo trovare lì.» «Sì, signor presidente.» Una pausa. «Ci ha chiesto di darle un messaggio. Ha detto che se vuole la sua collaborazione, si aspetta collaborazione in cambio.» «Di che genere?» «Vuole che gli mandi l'Air Force One», rispose Danley. «Sembra che quel bastardo non abbia capito che è lui a trovarsi in una situazione difficile.» Air Force One. Perché Travis voleva quella concessione? Arroganza? Per stabilire una posizione di forza? L'aveva giudicato troppo in gamba per permettere che presunzione e arroganza muovessero le sue azioni, e dal messaggio trapelava che non era contrario a lavorare con lui. Che recitasse pure quella commediola. Forse serviva a rassicurarlo. «Dov'è l'aereo?» «D.C. è pronto al decollo.» «Allora dica al pilota di andare a prendere Travis e di condurlo qui.» «Non è necessario, signore. Con il dovuto rispetto, non dovrebbe cedere a quel bastardo.» «'Quel bastardo' ha salvato la vita di mia figlia. Non sappiamo se era coinvolto altrimenti. Mandi quell'aereo.» 3 Parigi «Non l'hai ancora trovato?» chiese Edward Deschamps. «Sono quasi otto mesi. Che razza di cretino sei, Provlif?»
La mano di Provlif serrò il ricevitore e immaginò che fosse la gola di Deschamps. Pazienza. Finora era stato pagato bene, e nessuno sapeva meglio di lui come potesse essere micidiale Deschamps, quando qualcuno gli si metteva contro. «Ho una buona pista. Ha un contattò ad Amsterdam. Un certo Jan van der Beck.» «Perché non l'hai detto prima?» «Volevi informazioni sicure. Ho dovuto scavare in profondità per trovare quel nome. Erano soci, una volta, ma sono anni che Travis lavora per conto suo.» «E che cos'hai scoperto su Cassie Andreas?» Silenzio. «Niente?» «Ci siamo concentrati su Travis, naturalmente.» «Maledizione, te l'ho detto, ho bisogno di sapere dov'è.» «Non starai pensando di organizzare un nuovo attentato? Sarebbe folle.» «Non sono affari tuoi, Provlif. Il tuo compito è trovarla.» «Non è una bambina qualsiasi. Il presidente ha creato attorno a lei una cintura di sicurezza. Eravamo riusciti a rintracciarla in una clinica del Connecticut, ma lui l'ha trasferita altrove più di un mese fa. Stiamo ancora cercando di scoprire chi la cura adesso e dove...» «Sapere dove si trovava un mese fa non mi è di nessun aiuto. Devo sapere dov'è adesso.» «Tre dei miei uomini ci stanno lavorando.» «Prendine altri, allora.» «Avrò bisogno di più soldi.» Doveva muoversi con molta cautela, pensò Provlif. Deschamps era uno degli uomini più razionali che avesse conosciuto, ma questo non significava che fosse sempre padrone di sé. L'aveva visto esplodere in più di un'occasione. E correva voce che, da quando era ossessionato dall'idea di rintracciare Travis, fosse diventato ancora più umorale. «Avrai quello che chiedi», disse sommessamente Deschamps. «Parto subito per Amsterdam.» «No. Prendi un aereo per Washington, e trova Cassie Andreas. Andrò io stesso ad Amsterdam, e mi metterò sulle tracce di Jan van der Beck.» «Potrebbe non essere così semplice...» «Provlif, dovresti ricordare che quando ho cominciato a lavorare in questo campo ero noto per saper ritrovare la gente.» Oh, sì, Provlif se ne ricordava bene. Trovarla e sbarazzarsene alla svelta.
«Non intendevo mancare di rispetto, Edward.» «Allora prendi un aereo e trova la bambina.» Maledetto figlio di puttana. Deschamps riagganciò e si diresse verso l'armadio. Buttò una valigia sul letto, e cominciò a riempirla di vestiti. Che idiota. Come osava Provlif seccarlo con delle questioni di denaro? Possibile che avesse una mente così ristretta? Malgrado i dubbi di Provlif, il piano era valido, e avrebbe funzionato ancora. Ma doveva avere Cassie Andreas. Era di primaria importanza nello schema delle cose. Così come Jan van der Beck era la chiave per trovare Michael Travis. Chiuse rumorosamente la valigia. Entro un'ora sarebbe stato in volo per Amsterdam. No, un momento. Prima sarebbe andato nella stanza. Poi sarebbe stato pronto per Amsterdam. «Voglio venire a trovarti», disse Melissa appena Jessica alzò il telefono il pomeriggio successivo. «Va bene?» «Credevo stessi preparandoti per gli esami.» «Posso farlo a casa.» «Mi hai sempre detto che studi meglio nel tuo appartamento. A proposito, come stanno le tue compagne?» «Bene. Ho deciso che avevo bisogno di maggiore privacy, così mi sono trasferita in un monolocale.» «Ma credevo che ti piacesse abitare con Wendy e Karen.» «È così. Le vedo lo stesso ogni giorno. Probabilmente sto attraversando un periodo difficile.» S'interruppe. «Voglio tornare a casa.» «Qualcosa non va?» «Solo perché voglio venire da te? Sei mia sorella, non ti pare? Ogni tanto ho voglia di vedere quella tua faccia da bambina.» «Che cosa c'è?» «Posso venire o no?» «Ti ho spiegato come stanno andando le cose qui. Se vieni, non potrai fare altro che studiare. E ho dato la tua camera a Cassie.» «Non importa. Prenderò la camera azzurra, anche se è un colore maledettamente noioso. Magari nel mio tempo libero la dipingerò di arancione.»
«Non osare farlo.» «Scherzavo.» «Quando sarai qui?» «Non posso andarmene prima del fine settimana. Fra quattro giorni... tempo sufficiente per farmi avere un'autorizzazione dagli agenti della sicurezza che sono lì.» S'interruppe. «Sono ancora lì, vero?» Jessica si irrigidì. «Certo che sì.» «Bene.» «Non la penserai così, quando incominceranno a seguirti dappertutto.» «Sopravviverò. Ci vediamo sabato mattina.» «Mellie.» «Devo andare adesso.» «Che cosa c'è?» «Mi manchi.» Jessica si inumidì le labbra. «Sono i sogni?» «Ci vediamo sabato.» Riagganciò. Jessica posò lentamente il ricevitore. Forse andava tutto bene. Mellie era completamente guarita. Non correva il rischio di una ricaduta. Così smettila di preoccuparti. E poi, se qualcosa non fosse andata per il verso giusto, adesso era in grado di affrontarla. A meno che non fossero i sogni. Come diavolo avrebbe fatto ad affrontare i sogni? Dipartimento della Giustizia Michael Travis stava leggendo quando Andreas entrò nell'ufficio. «Questi testi legali sono una materia molto arida», osservò Travis. «Non c'è da meravigliarsi che buona parte degli avvocati lasci molto a desiderare. Le loro menti devono essersi atrofizzate a scuola.» Andreas si diresse verso la scrivania e sedette nella poltrona. «Ha fatto buon viaggio, Travis?» «Eccellente. Grazie.» Sorrise. «Quant'è costato ai contribuenti?» «Neanche un centesimo. Ho pagato di tasca mia.» «Molto etico. Ma come mi aspettavo da lei. È uno di quei rari fenomeni vecchio stile, un uomo d'onore. Tuttavia avrebbe potuto addebitarlo al governo. La sua vita non è preziosa soltanto per lei e per la sua famiglia, è essenziale anche per il buon andamento del paese.» «Ne sono perfettamente consapevole. Ma non c'era bisogno che le man-
dassi l'Air Force One. Avrei potuto farla accompagnare da Danley con un volo di linea.» «Ma non ha voluto contrariarmi, anche se la richiesta era irragionevole. Non voleva iniziare le trattative con il piede sbagliato.» «Trattative?» Andreas scosse la testa. «Io non devo negoziare con lei. Potrei farla accusare di complicità nel tentato assassinio del presidente e sbatterla in galera.» «Ma non lo farà. Come ho detto, lei è un uomo d'onore. Non punirebbe l'uomo che ha salvato sua figlia.» «Lo farei se pensassi che questo potrebbe costituire una minaccia per lei in futuro. Come faceva a sapere dell'attacco?» «Gliel'ho detto, ho le mie fonti.» «Chi sono?» «Perché Danley e i suoi uomini gli piombino addosso come uno sciame di locuste? Le fonti devono essere protette. È così che mi guadagno da vivere.» «Tra le altre nefande imprese, ho sentito.» «Vero. Ci sguazzo, io, nelle imprese nefande. Ma stiamo discutendo solo della mia abilità di acquisire informazioni, no?» Si chinò in avanti. «Lei vuole sapere chi c'era dietro Vasaro.» «E lo scoprirò.» «Non da me. Non ora. Le ho detto la verità. Non sapevo niente dell'attacco, se non che sarebbe avvenuto.» Andreas lo studiò. Travis lo stava fissando audacemente e si era espresso con apparente candore. Ma un uomo che si guadagnava da vivere con l'astuzia doveva aver acquisito determinate abilità ed essere maestro nell'arte dell'inganno. Però, accidenti, l'istinto gli suggeriva che Travis stava dicendo la verità. Fu pervaso da un senso di delusione. «Vorrebbe che le mentissi», disse Travis. «Mi dispiace.» «Non è detto che non lo stia facendo.» «Sì, sono molto bravo in questo.» Travis sorrise. «Ma lei non sarebbe arrivato dov'è se non facesse affidamento sulla sua capacità di giudizio.» Andreas annuì. «Forse prima non sapeva nulla della persona dietro a Vasaro, ma avrebbe potuto anche scoprire qualcosa quella notte.» «Sono stato occupato, e non era sulla lista delle mie priorità.» «Ma è sulla mia.» «Lo so. Ed è per questo che sono qui.» «È qui perché ho detto a Danley di prenderla al lazo.»
Travis sorrise. In realtà era molto sottomesso. Andreas aveva pensato che fosse una descrizione insolita, allora, e guardando Travis, adesso, la trovava ancora più sbagliata. L'uomo era perfettamente a suo agio, ma come se fosse all'erta, vigile. «Danley è un uomo in gamba», osservò Travis. «Avrebbe potuto rintracciarmi fra una settimana o due. Ma ho deciso che sarebbe stato più vantaggioso per entrambi sveltire le cose.» «Perché?» «Avevo bisogno di uscire di scena per un po'. E lei ha bisogno di maggiori informazioni.» «Che mi ha detto di non avere.» «Non ancora. Il che non significa che non possa ottenerne, se ci lavoro un po'. Ci vorrà solo del tempo.» Andreas si irrigidì. «Quanto?» Travis scrollò le spalle. «Quello che ci vorrà. Non vedo cos'abbia da perdere. Danley non ha scoperto niente finora, no?» «E lei che cosa ci guadagna?» «Protezione. La mia posizione al momento è molto precaria. Ho bisogno di stare in un posto che mi garantisca assoluta sicurezza, almeno per un mese.» «Da che cosa la sto proteggendo?» «Dalle conseguenze di una delle mie 'nefande imprese'.» «Sarebbe?» «Vuole che scopra chi ha attaccato Vasaro?» «Potrei chiedere a Danley di indagare su quello che stava facendo.» «Buona fortuna.» Andreas rimase silenzioso, a riflettere. «Si rende conto che se la faccio circondare da uomini per proteggerla fungeranno anche da guardie? Naturalmente, mi assicurerei che sappiano che è sospettato. Non ci penserei due volte a schiacciarla come uno scarafaggio, se scoprissi che ha avuto qualcosa a che fare con Vasaro.» «Capisco.» «Bene.» «È d'accordo?» «Oh, sì.» Andreas sorrise. «Conosco il posto... la portineria di una vecchia villa in Virginia, dove c'è molta sicurezza. E se un bastardo tentasse di fare qualche mossa falsa, lei sarebbe il primo a trovarsi con la gola taglia-
ta.» «Davvero? Ma mi chiedo perché dovrebbero attaccare...» I suoi occhi si strinsero. «Cassie. Allora è lì che l'ha nascosta. Credo che dovrei sentirmi onorato, se si fida abbastanza di me da mandarmi lì.» «Non mi fido di lei. Non so che cosa stia combinando. Ma le ha salvato la vita e non credo che le farebbe del male. Quando mi ha consegnato mia figlia a Vasaro, ho provato una strana sensazione nei suoi confronti. Dopo tutto quello che aveva passato, Cassie non aveva paura di lei. Può essere un maledetto bastardo, ma ha rischiato la vita per proteggerla. E credo che lo rifarebbe.» S'interruppe. «Se mi sta mentendo su qualcos'altro, sarà...» «... il primo a trovarsi con la gola tagliata», concluse Travis. «Lo terrò a mente. Quando parto?» «Domani notte. Più o meno a quest'ora. Danley le troverà un albergo.» Andreas spinse indietro la sedia e si alzò in piedi. «La condurrò con me quando andrò a trovare Cassie.» «Come sta?» «Male.» Serrò le labbra, quasi in una smorfia. «Così male che il mio cosiddetto senso dell'onore non mi impedirebbe di bruciare sul rogo quei bastardi, se riuscissi a trovarli. Dirò a Danley che è pronto ad andare.» «Non ancora.» Tirò fuori il cellulare. «Devo fare alcune telefonate.» «Può farle in albergo.» Scosse la testa. «Sono sicuro che in questa stanza non ci sono microspie, e ho bisogno di questo genere di privacy.» Sorrise. «E poi, non mi ha ancora detto dove intende condurmi. Devono esserci migliaia di vecchie ville, in Virginia.» «Infatti. Chi intende chiamare?» «Un amico. Non mi piace l'idea di sparire dalla circolazione senza che nessuno sappia che lei ne è responsabile. Sento il bisogno di una piccola assicurazione.» «Ma ha detto che sono un uomo d'onore.» «Potrei essermi sbagliato. Dica a Danley che non ci impiegherò più di cinque minuti.» «Chiami pure chi vuole.» Andreas si avviò alla porta. «Mi accerterò che non ci seguano domani sera, Travis.» «Sarei stupido a tentare qualcosa del genere, non le pare?» Incominciò a comporre il numero. «Solo una piccola assicurazione. Buona notte, signor presidente.»
«Jessica!» Melissa balzò a sedere nel letto, il cuore che le batteva forte. Le doleva la mascella e capì che doveva aver gridato. Oh, Dio. Oh, Dio. La maglietta con cui dormiva era inzuppata di sudore, ma lei era gelata. Buttò le gambe giù dal letto e si prese la testa tra le mani. Non appena avesse smesso di tremare, avrebbe telefonato a Jessica e tutto sarebbe andato a posto. No, non poteva continuare a correre da lei. Doveva essere forte. Occhi smeraldo che fissavano la pozza di sangue sul pavimento. Si alzò di scatto, andò in bagno, e bevve un bicchiere d'acqua in quattro sorsate. Dopo essersi avvolta nell'accappatoio, accese tutte le luci dell'appartamento, poi si rannicchiò nella poltrona consunta accanto alla finestra. Andrà tutto bene. Aveva ancora freddo, ma il battito del cuore si stava normalizzando. Poteva farcela. Solo altre tre notti, prima di essere di nuovo a casa. Con Jessica. Una pozza di sangue sul pavimento... Non gridare. Non gridare. Occhi smeraldo... Non gridare. «Bella casa.» Mentre superavano i cancelli, Travis studiò l'edificio colonnato di mattoni, situato a una certa distanza dalla strada. «Echi di Tara.» «Che cosa ne sa lei di Tara?» chiese Andreas. «Dal rapporto che mi ha dato Danley su di lei, non ha mai trascorso molto tempo negli Stati Uniti.» «Mio padre si è sempre considerato americano anche se ha scelto di vivere all'estero. Trovava molto più semplice trattare i suoi affari fuori da questo paese.» «Contrabbando?» Travis sorrise. «Non sia grossolano. Era un romantico. Fino al giorno della sua morte si è sempre ritenuto un pirata.» «Ma lei non si è mai considerato altro che un criminale.» «Ha scelto la sua 'carriera' da giovane, amava l'eccitazione. Io sono cresciuto consapevole di quale fosse il punto debole del gioco.» «Non dell'eccitazione?» «Oh, sì. Dopotutto, sono figlio di mio padre.» Il suo sguardo era sulla villa. «È lì che si trova Cassie? Chi si sta prendendo cura di lei?»
«Due infermiere e la dottoressa Jessica Riley.» «Ma nessun progresso?» «Non ancora.» Andreas si girò a guardarlo. «Le importa?» «È così strano? Diciamo che nutro un interesse personale. Non mi piace lasciare un lavoro a metà.» «Stia lontano da mia figlia. Non voglio che le venga ricordato alcunché di quella notte.» «Se qualcuno le facesse ricordare, non avrebbe bisogno di un medico.» «Mi ha sentito.» La limousine si fermò davanti alla portineria. «Stia lontano da Cassie. Informerò la dottoressa Riley a proposito di chi è lei e che cosa fa qui. E le darò l'ordine di non farla avvicinare a mia figlia.» Travis alzò le mani. «Come vuole. Mi accontenterò di restare nel mio piccolo mondo.» Scese dalla limousine. «Un'ultima cosa. So che è allettante far intercettare le mie telefonate, ma la considererei una violazione del nostro patto. Inoltre, telefonerò a un'unica persona. Jan van der Beck ad Amsterdam. Farà da intermediario con tutte le mie fonti, e se mi dirà che la sua gente si sta comportando in maniera un po' intrusiva, il nostro accordo salta.» «Perché mi sta parlando di van der Beck?» «Crede che lo stia tradendo?» Scosse la testa. «Mi sto solo assicurando che sia protetto.» Andreas fece una pausa. «Il suo telefono non verrà intercettato.» «Grazie. Allora mi manterrò in contatto.» «No, sarò io a non perderla d'occhio.» Andreas fece cenno all'autista di proseguire. «Può scommetterci.» Travis osservò la macchina procedere lungo il curvo viale d'accesso. All'ultimo piano della villa le luci erano accese. La stanza di Cassie? Non erano affari suoi. Si girò e aprì la porta della portineria. Purché si mantenesse lontano da Cassie e fosse in grado di fornire qualche informazione ad Andreas, gli sarebbe stato concesso di restare lì al sicuro. Questo era tutto ciò che importava. La portineria consisteva di un soggiorno, una cucina e una camera da letto, ed era ben arredata. Trascorse i primi trenta minuti a controllare che non ci fossero microspie: ne trovò cinque. C'erano mezzi di sorveglianza più sofisticati, ma richiedevano una quantità di apparecchiature, e dubitava che gli agenti della sicurezza vi sarebbero ricorsi, una volta scoperto che le microspie erano state distrutte. Il vero vantaggio della sorveglianza consisteva proprio nel fatto che il soggetto non sapesse di essere intercettato.
Compì un ultimo controllo tra i libri sugli scaffali, a destra e a sinistra del camino, e trovò altre due cimici. Sorrise, constatando che una era stata infilata dietro un libro di Jessica Riley. Non molto intelligente come mossa. Un libro scritto dalla proprietaria di Juniper avrebbe attirato automaticamente l'attenzione. Sedette in una poltrona, tirò fuori il cellulare e chiamò van der Beck. «Sono sistemato. È tutto organizzato?» «A posto.» «Allora inizia le trattative.» «Sei al sicuro?» «Smettila di fare la chioccia, Jan. Sei tu che hai a che fare con i cattivi. Io sono circondato dal fior fiore d'America.» «E questo dovrebbe farmi sentire meglio?» «Sono al sicuro, Jan.» «Cerca di restarci.» «Ti telefono domani.» Riagganciò e si appoggiò allo schienale. Era tutto sotto controllo. Aveva fatto del suo meglio. Sarebbe bastato? Se non altro aveva Jan, che conduceva le trattative ad Amsterdam. Poteva contare le persone di cui si fidava sulle dita di una mano. Da quanto tempo non accettava più nessuno in base alle apparenze? Da quando aveva avuto lui l'età di Cassie. Allora non aveva ancora imparato che cinismo e avidità potevano accecare un uomo in modo totale. Durante quei giorni, quando Jan e suo padre lo conducevano con sé nei loro viaggi ad Algeri, la sua vita era stata piena di eccitazione. Si avvicinò alla finestra e alzò lo sguardo verso la stanza illuminata della villa. Davanti agli occhi gli passò il fugace ricordo della faccia di Cassie quella notte a Vasaro. Anche lei non avrebbe più accettato niente fidandosi delle apparenze. Era stata strappata alla sua infanzia. Il problema non lo riguardava. Era seguita da esperti, da questa dottoressa Riley. Era tormentato dall'assillante sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto, ma questa non era una ragione sufficiente per mettere a repentaglio la sua posizione. Girò le spalle alla finestra. Avrebbe fatto una doccia e sarebbe andato a letto. Si fermò sulla soglia della camera, si riavvicinò alla libreria e tirò fuori il volume di Jessica Riley. Non significava niente. Leggeva spesso per addormentarsi. E poi, si guadagnava da vivere trattando informazioni: non gli avrebbe nuociuto sapere tutto sulla propria situazione.
Non aveva niente a che fare con Cassie Andreas. 4 «Ha capito?» domandò Andreas. «È stato più che chiaro», rispose Jessica mentre lo accompagnava fuori. «Nessun contatto con il signore della portineria.» «Non credo che lo considererebbe un signore.» «A suo dire, ha salvato la vita di Cassie. È qualcosa che non si dimentica facilmente.» «Una singola azione non cancella l'instabilità emotiva.» «Sono abituata a far fronte a certe cose. È così che mi guadagno da vivere.» «Be', allora sappia che non ha motivo di trattare con questa persona. Ignori Travis. Non resterà qui a lungo. Ha già abbastanza da fare.» Guardò verso la finestra di Cassie. «Nessun incubo stasera. È un bene, non è vero?» «È sempre un bene. La dilaniano ogni volta.» Gli incubi di Cassie diventavano sempre più violenti, e la bambina si ritirava ancor di più in se stessa. Ma Jessica non voleva parlarne con suo padre. Nutriva già poche speranze. «Verrà domani sera?» Scosse la testa. «Devo andare in Giappone. Starò via circa due settimane, ma mia moglie le telefonerà tutti i giorni per avere notizie. Sa come mettersi in contatto con me.» Jessica osservò la macchina percorrere lentamente il viale prima di posare lo sguardo sulla portineria. La luce della camera da letto sul retro della casa era accesa. Evidentemente, l'instabile signor Travis era ancora sveglio. Il suo arrivo rappresentava un'opportunità interessante. Interessante e, forse, promettente. Chissà, Michael Travis avrebbe potuto essere utile. Dio..., si sarebbe servita di chiunque e di qualunque cosa per impedire a Cassie di sprofondare ulteriormente nelle tenebre. «Eccomi.» Melissa fece i gradini a due a due per stringere Jessica in un forte abbraccio. «Non hai steso il tappeto rosso?» «No, ma sono lo stesso contenta di vederti. Fatto buon viaggio?» «Finché non sono arrivata al cancello.» Indietreggiò e guardò Jessica. «Ti sei rimpicciolita? Sono troppo grande per essere cresciuta di due cen-
timetri.» «Sei abbastanza antipatica da averlo fatto. Perché non sono stata io quella che ha preso da papà?» «Mi torna utile sul campo di basket. Ma tu sei più il tipo bellezza provocante... Chi è quello?» Melissa aveva scorto l'uomo che correva in fondo al viale. «Il nostro ospite. Alloggia nella portineria. Corre tutte le mattine.» «Davvero?» Melissa lo guardò ammirata. «Non me ne avevi parlato. Un tipo sexy.» Era sexy? Jessica l'aveva studiato. Michael Travis non era bello. Aveva un corpo importante - alto, snello e muscoloso - ma i suoi lineamenti erano irregolari. Il naso troppo grande, la bocca troppo larga e gli occhi scuri troppo infossati. Ma sapeva perché Melissa aveva fatto quel commento. Trasmetteva un'energia quasi elettrica, ed era difficile non guardarlo. La prima volta che Jessica l'aveva visto, due giorni prima, aveva provato... che cosa? Sorpresa? Melissa sorrise. «Lo pensi anche tu.» «È troppo vecchio per te. Avrà più o meno trentacinque anni.» «Non farmi ridere, io ne ho ventisei. Continui a considerarmi una bambina. Potrei anche andare a fargli visita.» Guardò furtivamente Jessica. «A meno che non interessi a te.» «Non ho neanche scambiato una parola con lui.» «Allora sei rimasta troppo con i bambini.» «Il presidente ha detto che è off limits.» «Magnifico. Il frutto proibito è sempre il migliore.» «Non hai chiesto perché alloggia nella portineria.» «Credevo che non volessi avere il tuo gigolo in casa con la bambina. La portineria è più appartata.» «Mellie!» Ridacchiò. «Non prendertela così!» Alzò la valigia e la trasportò in casa. «La porto in quell'odiosa stanza azzurra. Metti su un po' di caffè, ti va? Ne ho bisogno dopo quello che mi è toccato sopportare al cancello. Mi aspettavo che mi sottoponessero a una perquisizione personale. Be', se ci fosse stato il tuo ragazzo al cancello...» Prima che Jessica potesse rispondere, stava già salendo di corsa le scale. Mentre si dirigeva in cucina Jessica provò un'ondata di sollievo. Melissa sembrava perfettamente in sé. Nessuna tensione evidente. Ottimo umore. Il solito atteggiamento tra il serio e il faceto. Semmai, sembrava più vivace
del solito. Praticamente, sprizzava scintille. «Vuoi che prepari dei panini?» Melissa entrò in cucina. «Ho fame.» «Ci sono prosciutto e formaggio in frigorifero.» Versò il caffè in due tazze. «Li preparo io.» «No, ho bisogno di muovermi. Sono piena di energia.» Melissa era sempre piena di energia, pensò Jessica. Si muoveva, parlava, rideva in continuazione. Una volta le aveva detto che doveva rifarsi per gli anni perduti, e Jessica ci credeva. Non aveva mai visto nessuno più attivo di lei. A eccezione dell'uomo nella portineria. Strano che le fosse venuto in mente quel paragone. Non erano affatto simili. Melissa possedeva la bellezza appariscente della madre. Zigomi alti, lucidi capelli castani e occhi azzurri, leggermente a mandorla. L'unica somiglianza con Travis stava nei loro alti corpi atletici, e in quella specie di febbricitante energia. Febbricitante. No, Michael Travis non era febbricitante: ogni suo movimento sembrava controllato e premeditato. Quella parola non si addiceva alla solita Melissa. Ma oggi c'era un'inquietudine strana in lei, qualcosa di febbrile. «Che cosa stai guardando?» Melissa si era girata a osservarla. «Ho una macchia in faccia?» «Non lo so. Ce l'hai?» «Oh, sciocchezze. Tu sei in vena di analizzarmi.» Posò il panino davanti a Jessica e le sedette di fronte. «Sto bene. Volevo semplicemente vederti. È così sorprendente?» «No, se è la verità.» «Perché non dovrebbe esserlo? Come sta la bambina?» «Non bene. Gli incubi stanno peggiorando.» Era chiaro che Melissa non si sarebbe confidata con lei. Avrebbe dovuto fare marcia indietro e riprovarci in un altro momento. «Sono preoccupata per lei.» «E fai bene.» Jessica si irrigidì. «Perché?» «Lo sai. Ci sono passata anch'io. E ti ho raccontato quanto sono stata vicina a non ritornare. Gli incubi mi trascinavano sempre più giù, finché...» «Ma tu sei ritornata.» «Sei stata tu a trascinarmi indietro. Mi hai trattenuta finché non ho mosso il primo passo. C'erano volte in cui ti odiavo per questo. Non mi rendevo conto di come ti sacrificassi e ti adoperassi per guarirmi.» Sorrise, rag-
giante. «Ti ho mai detto come ti voglio bene, Jessica?» «Zitta. Avresti fatto lo stesso per me.» «Farei qualunque cosa per te», ribatté tranquillamente. «Offrimene la possibilità.» «Okay.» Si alzò in piedi. «Lava i piatti mentre io vado a dare un'occhiata a Cassie.» «Ti ho messa in imbarazzo.» Finì il suo caffè. «Scusa. Dovevo dirlo. Troppa gente trascorre la vita senza riuscire a esprimersi a parole. Quando sono tornata, avrei voluto dire a tutti di non dare mai niente per scontato, perché anche loro avrebbero potuto andarsene da un momento all'altro, per non ritornare mai più.» «Ma non l'hai fatto.» «Non me l'avresti permesso. Ti andava bene di essere quella che ama e si rende utile, ma non avresti mai voluto che io...» Si strinse nelle spalle. «Non importa. Mi ci è voluto un po' per trovare il coraggio di affrontarti.» «E adesso ce l'hai?» «Lo spero.» Prese il piatto e si avvicinò al lavandino. «Va' a dare un'occhiata alla bambina.» «Perché quest'improvviso sfogo?» «Era ora.» Infilò i piatti nella lavastoviglie. «Credi che il divieto del presidente di frequentare quel tipo nella portineria riguardi anche me?» «Sì, credo di sì.» «Peccato.» Jessica sorrideva mentre saliva al piano superiore. Era difficile non farlo quando c'era attorno Mellie. La sua gioia di vivere era quasi palpabile. Era un piacere trovarsi nella stessa stanza, sullo stesso pianeta con lei. Il suo sorriso svanì quando raggiunse la stanza di Cassie. Torna indietro, tesoro. Guarda quanta gioia può dare la vita. L'urlo fendette il buio come una lama di coltello. Jessica lo stava aspettando. Gli incubi si erano susseguiti a raffica nelle ultime tre notti. «Va tutto bene, Cassie.» Attirò a sé la bambina. «Sono qui. Sei al sicuro.» Ma lei continuò a gridare. «Svegliati, piccola.» E non smise di gridare. Oh, Dio.
«Cassie.» Ancora e ancora. «Devo preparare un sedativo?» chiese Teresa. A Jessica non piaceva ricorrere ai sedativi. Lo aveva fatto con Mellie, che poi le aveva detto come, a volte, l'avevano bloccata nell'incubo, facendola stare anche peggio. Se Jessica avesse incrementato il trauma, Cassie avrebbe potuto isolarsi maggiormente. «Non ancora.» «Cassie.» La cullò avanti e indietro. «Svegliati.» Cinque minuti dopo la bambina stava ancora urlando. Poi, d'un tratto, si afflosciò su se stessa. Jessica era atterrita. Giaceva immobile, ma gli occhi erano aperti. «Cassie?» Controllò il cuore e i segni vitali. Polso rapido, ma non in pericolo... non questa volta. Che cosa stava pensando? Quello che era appena accaduto lasciava presagire il peggio. «Credevo che l'avessimo perduta», sussurrò Teresa. Si riferiva alla sua mente o alla sua vita? Jessica aveva temuto per entrambe. «Devi fare qualcosa», disse Teresa. «Lo so.» Trascorse mezz'ora. Cassie riprese progressivamente colore. «Va' a prendere un po' d'aria», disse Teresa. «Sei più pallida della bambina. Me ne occupo io.» «Solo per qualche minuto.» Jessica si alzò e si stirò per allentare la tensione. «Chiamami se c'è qualche cambiamento.» Si fermò nel corridoio e si appoggiò alla porta. «Va tutto bene?» chiese Larry Fike. «Mi ha fatto morire di paura.» «Anche a me. Ma adesso sta riposando.» «Tutte quelle grida e quei singhiozzi...» Annuì e si avviò lungo il corridoio. Singhiozzi? Cassie non aveva singhiozzato. Ma, ora che ci pensava meglio, c'erano anche i singhiozzi, bassi, discontinui, appena udibili. Riusciva a sentirli, solo che non provenivano dalla stanza di Cassie. La stanza azzurra. Si avvicinò lentamente alla porta. «Mellie?»
Nessuna risposta. Bussò e aprì. «Mellie, stai...» «Sto bene. Va' pure.» «Neanche per sogno.» Nell'oscurità, distingueva la sagoma di Melissa nel grande letto. «Che cosa c'è?» «Niente? Sono arrabbiata perché non mi lasci andare da quell'uomo nella portineria.» «Se è così importante per te, te lo servirò su un piatto d'argento.» Attraversò la stanza e sedette sul letto. «Adesso non hai scuse: dimmi la verità.» «Detesto questa stupida stanza azzurra.» «Mellie.» Si buttò tra le braccia di Jessica. «Stiamo soffrendo tanto», sussurrò. «Per poco non morivamo, Jessica.» «Cosa?» «Continuano a inseguirci e non riusciamo ad allontanarci. E c'è tanto sangue... Dobbiamo sprofondare sempre di più nel tunnel, ma non riusciamo lo stesso a seminarli. C'è un solo modo per farlo.» Jessica si irrigidì. «Mellie. Di che cosa stai parlando?» «Di quello che non vuoi sentire. Moriremo, Jessica. Non possiamo continuare, non possiamo fuggire in nessun altro modo...» «Mellie, taci, mi stai spaventando a morte.» Allungò la mano e accese la lampada. «Stai dicendo cose folli.» Melissa non alzò la testa. «Stavi solo sognando, vero?» «Sì... stavamo sognando.» «Perché continui a ripetere stavamo?» «Credo che tu lo sappia.» Si mise a sedere e scostò i capelli dagli occhi. Cercò di sorridere, ma le sue labbra tremarono. «Dopotutto, è già successo.» Jessica si inumidì le labbra. «Cassie?» «È una bambina molto forte. Non ha avuto difficoltà ad attirarmi nel tunnel con lei. Non come Donny Benjamin. Ci ha provato, ma sono riuscita a rimanere fuori dalla sua piccola caverna, anche se era terribilmente solo e volevo entrare a tenergli compagnia.» Inspirò profondamente. «Se fossi entrata, magari non sarebbe mai più tornato. Ma l'ha fatto. Sei stata tu. Come hai fatto tornare me.» S'interruppe. «Solo che hai riportato qualcos'altro con me, non è vero?» «Credi di aver collegato la tua mente a quella di Cassie?»
«Ne sono certa.» Si asciugò le guance bagnate con il dorso della mano. «Tu non vuoi crederci, come non volevi credere alla faccenda di Donny. Ti spaventa.» «Accidenti, sì. Tu non hai paura?» «Non sempre. Stanotte ne ho avuta. Voglio vivere, io.» «E Cassie no?» «Quando gli incubi si susseguono ha paura, è confusa, e vuole soltanto andarsene. Esiste un unico posto più sicuro e più lontano del suo tunnel.» «Mellie.» «Mi dispiace. So che ti sconvolge.» Scese dal letto e si diresse verso il bagno. «Vado a lavarmi la faccia. Poi, magari, scendiamo, prendiamo un bicchiere di limonata, andiamo a sederci sotto il portico e dimentichiamo tutto. Ti va?» Come poteva dimenticare? pensò Jessica. Mentre stava trattando Donny Benjamin, era stata capace di accantonare l'idea che Melissa fosse in grado di collegare la propria mente con quella del bambino. L'aveva attribuito all'immaginazione e al fatto che Melissa era ritornata in sé da poco. Dopotutto, Jessica aveva parlato con Melissa di Donny e dei suoi progressi. Come aveva discusso di Cassie con lei. Ma i sogni di Donny non erano permeati di terrore e dolore. Melissa aveva parlato con calma e simpatia del ragazzino e poi aveva fatto marcia indietro quando aveva visto lo stupore e l'angoscia di Jessica. «Smettila di tormentarti», disse Melissa quando uscì dal bagno. «Non è per questo che sono tornata a casa. Se non fossi piombata nel mio sancta sanctorum e non mi avessi sorpresa in un momento di debolezza, non avresti mai dovuto affrontare le mie piccole allucinazioni.» «Ma tu non pensi che siano allucinazioni.» «Certo che lo penso. Se fossero qualcos'altro, ti verrebbe un esaurimento nervoso. Dopo sei anni nel paese dei sogni, sarebbe un po' strano, se non soffrissi almeno di qualche allucinazione.» «Stai mentendo.» «Può darsi.» Si diresse alla porta. «Ma non sul mio desiderio di un bicchiere di limonata. Vieni?» «Una bella notte. Mi piace. Ricordo che lo facevamo da bambine.» Il dondolo si muoveva lentamente. «Siedi spesso qui fuori, Jessica?» «Non ne ho il tempo.» Jessica sorseggiò la limonata. «Se non lavoro con un particolare paziente, vado alla clinica per bambini autistici.»
«Me lo hai detto. Be', molto deprimente. Paragonati al lavoro con gli autistici, i sei anni che hai trascorso con me devono esserti sembrati una festicciola.» «Ci sono delle similarità nel trattamento di questi casi, e abbiamo fatto progressi.» «E tu passi la tua vita a cercarli.» Melissa rimase silenziosa per un momento. «Sono stata io? È stata colpa mia?» «Colpa tua? Non so di che cosa stai parlando.» «Ricordo com'eri quand'ero piccola, prima che mamma e papà morissero.» Sorrise. «Miss Popolarità, una ragazza ponpon. Amica di tutti. E con una salutare dose d'egoismo.» «Ero giovane.» «Sei ancora giovane, e non c'è niente di sbagliato nell'egoismo. Però credo che tu te ne sia dimenticata.» Sorseggiò la limonata. «E probabilmente io ho qualche responsabilità, in questo. Ti hanno accollato la cura di uno zombie e sei diventata santa Jessica.» «Non essere sciocca. È stata colpa tua se ti trovavi in quella macchina con mamma e papà, quando sono morti? La vita è affidata al caso: dobbiamo affrontarla e scegliere la nostra strada.» Melissa alzò il bicchiere. «Come ho detto, santa Jessica. Al tuo posto, avrei scalciato e urlato e ti avrei sbattuto in una casa di cura.» «No, non è vero. Ti piace fare la dura. Ma avresti fatto esattamente la stessa cosa.» «Mio Dio, vuoi dire che sarei diventata santa Melissa?» Scosse la testa. «No, non ha lo stesso suono.» «Be', hai deciso di studiare medicina. Non è esattamente la carriera più egoistica che potessi scegliere.» «Credi che stia seguendo le tue orme?» «Credo che tu sia più generosa e altruista di quello che vuoi ammettere.» «Hai mai pensato che potrei aver scelto medicina perché sto cercando delle risposte?» «È per questo che studiamo, tutti.» «No. Io voglio le mie risposte. Voglio sapere perché mi sono ritirata dal mondo per sei anni.» Abbassò lo sguardo sul bicchiere. «E voglio sapere di Donny Benjamin.» «Mellie, eri in uno stato di estrema tensione, e la tua immaginazione lavorava senza sosta.» «Non accetti l'idea che la tua sorellina sia un tipo stravagante.»
«Non lo sei. Se avessi pensato di essere dotata di poteri paranormali, avresti scelto parapsicologia.» «Oh, ho letto abbastanza libri sulla percezione extrasensoriale da riempire una biblioteca. Ma non cercavo lì le mie risposte. Credimi, preferirei scoprire una semplice ragione fisica per quello che mi sta succedendo.» «Hai ragione. Donny Benjamin è stato un incidente isolato e perfettamente spiegabile.» «E Cassie?» «Stessa spiegazione. Ho discusso entrambi i casi con te e tu sei facilmente suggestionabile in quell'area.» «Nell'area del mondo dei sogni?» «Chiamala come vuoi. È perfettamente ragionevole che tu...» «Smettila.» Melissa stava ridendo. «L'unica cosa di cui mi rendo conto è che quel che mi è successo non ha niente a che fare con la ragione. È fantastico che tu cerchi delle scuse per tenermi lontano dal manicomio, ma io sono quello che sono.» «E cioè?» «Una svitata.» Alzò la mano per interrompere le proteste di Jessica. «Una graziosa svitata, intelligente e carismatica. Ma decisamente svitata. E smettila di guardarmi come se volessi mettermi a letto e accarezzarmi la fronte che scotta. So che hai scritto quel fantastico libro su di me, e su come abbiamo lottato per tornare alla normalità, ma hai sbagliato. Almeno in un punto. Non sono normale.» «Certo che lo sei.» «Non so neanche che cosa sia, la normalità. Non molte persone che conosco sono completamente normali. Anche tu non lo sei, tu sei santa Jessica.» Si alzò in piedi. «Vado a letto. Ti ho spaventata abbastanza per stasera.» «Sì, è vero.» «Ma stai già cercando di trovare una soluzione. O dovrei dire una cura?» «Perché non mi hai mai parlato così? Perché stasera?» «Stavo per sgattaiolare via di nuovo, perché ti voglio bene e voglio che mi rispetti. Ma pensavo a Cassie, mentre sedevo qui. Può darsi che sia egoista, ma non posso nascondere quello che sono, se questo significa far morire Cassie.» Incontrò pacatamente lo sguardo di sua sorella. «La prossima volta sarà peggio. Devi trovare un modo per interrompere il flusso. Introdurre qualcosa di nuovo. Qualunque cosa, pur di strapparla al sogno.» «Come diavolo posso...»
«Non lo so. Sei tu lo strizzacervelli.» Si diresse verso la porta. «Ma fallo.» «Mellie.» Si girò e la fissò. «È per questo che sei tornata a casa? Facevi sogni su Cassie?» «No.» Distolse lo sguardo e aprì la porta. «Non facevo sogni su... con Cassie, non prima di stasera.» «Avresti dovuto restare via di più», disse Teresa quando Jessica entrò nella stanza. «Ne avevi bisogno.» «Come sta?» «Come prima.» Teresa si alzò in piedi. «Scendo a bere una tazza di caffè, poi torno e ti mando a letto. Cominci ad assomigliare a uno dei tuoi pazienti.» «Sono a posto.» Era una bugia. Non si sentiva affatto bene. Era sfinita e così spaventata che aveva mal di stomaco. Non sapeva se lo era più per Cassie o per Melissa. La bambina era persa, ma sua sorella, che aveva giudicato completamente guarita, avrebbe potuto precipitare vertiginosamente in una nuova voragine. Eppure Melissa era stata più che coerente. Ma quanti pazienti aveva trattato, che erano sembrati assolutamente sani di mente se non quando erano al centro di un episodio? Melissa era sana. Era solo... Cosa? Si appoggiò alla poltrona con un sospiro. Non aveva bisogno di quest'ulteriore preoccupazione. Che fosse avvenuto un congiungimento mentale era assolutamente inaccettabile. Offendeva la logica. Qualunque cosa fosse successa quella sera era semplice come la premessa che aveva offerto a Melissa. Coprì la mano di Cassie con la sua. «Devi tornare presto indietro. Gli incubi ti stanno facendo male. Pensavo che potessimo aspettare, ma è... Esci dal tunnel, bambina. Sarai molto più felice, te lo prometto. Vedrai la tua mamma e il tuo papà, e loro saranno...» Tunnel? Da dove era uscita quella parola? Si irrigidì. Melissa aveva detto che Cassie era in un tunnel. Sarebbe stato più ragionevole per lei vedere Cassie nella foresta mentale dove aveva trascorso quei sei anni. Ma non si era espressa così. È una bambina molto forte. Non ha avuto difficoltà ad attirarmi nel tun-
nel con lei. Un brivido la percorse. L'immaginazione di Melissa o forse?... Non doveva credere a una cosa così bizzarra. Doveva usare la ragione quando trattava con Cassie... e Melissa. Non sapeva se il fragile corpo di Cassie avrebbe sopportato un'altra notte come quella. La prossima volta sarà peggio. Devi trovare un modo per interrompere il flusso. Dio mio. 5 «Karlstadt non tratterà che con te», annunciò van der Beck, non appena Travis ebbe alzato il telefono. «Vuole vedere la merce.» «Gli hai mostrato il campione?» «Dice che una goccia di pioggia non fa un oceano.» «Più poetico di quanto mi aspettassi.» «Ti vuole qui.» «Riferiscigli che rispetto i suoi desideri, ma è possibile annegare in un oceano e non voglio correre il rischio finché non mi verrà fatta un'offerta allettante.» «E che cosa intendi per 'allettante'?» «Venticinque milioni: suona piuttosto bene.» Van der Beck grugnì. «Stai sognando, Michael.» «No, pagheranno. È un prezzo conveniente. Provaci.» Cambiò argomento. «Hai preso contatto con qualcuno che ha informazioni sull'attacco a Vasaro?» «Farò una visita a Henri Claron, a Lione. Ho sentito che potrebbe sapere qualcosa. Ma è da un po' che sta abbottonato, e sai che Henri lo è di rado.» «Anzi, al contrario.» «Ho scoperto qualcosa di interessante. La moglie di Henri, Danielle, è cresciuta nello stesso paese di Jeanne Beaujolis, l'istitutrice di Cassie Andreas.» «Sì, interessante.» «Ma, come ho detto, di questi tempi Henri non è molto affabile.» «Spaventato?» «Ho offerto una somma considerevole. Deve trattarsi di qualcosa di grosso, se lo spaventa al punto da fargli rinunciare a tutti quei soldi. Ti farò sapere.» Riagganciò.
Accidenti. Travis rinfilò il telefono in tasca e si diresse irrequieto alla finestra. Non era esattamente il progresso in cui aveva sperato. Era lì da più di una settimana, e si trovava ancora al punto di partenza. In ogni caso, era meglio che trovarsi rinchiuso in una bara sottoterra. Non ci era abituato. Riusciva a restare al computer o a leggere solo per un certo numero di ore. L'unico libro che aveva trovato realmente avvincente era quello di Jessica Riley. Era intrigante frugare nel passato e nelle menti di questa dottoressa e di sua sorella, Melissa. Rendeva più interessanti le loro fugaci apparizioni che riusciva a cogliere nella proprietà. Gli sembrava di conoscerle intimamente come conosceva solo poche persone. La maggior parte della gente non apriva la propria mente né svelava i propri sentimenti, nemmeno agli amici più cari, ma Jessica aveva scritto con una chiarezza che era commovente. La storia della sua battaglia per aiutare la sorella a superare il trauma, quando i loro genitori erano morti carbonizzati davanti agli occhi della bambina, non mostrava tracce di presunzione. Solo un affetto infinito, in ogni parola. Attraverso la pioggia, riusciva a distinguere le luci nella camera da letto al piano superiore della grande casa: erano di nuovo accese. Era la terza volta, quella settimana. Per Cassie non stava andando bene. Povera bambina. E povera Jessica Riley. Se poteva leggere tra le righe del libro, probabilmente stava soffrendo quasi quanto la sua paziente. Ma non erano affari suoi. Quante volte se l'era ripetuto, da quando era arrivato a Juniper? Era portato a tracciare simili ipotesi per semplice noia, e raramente fare congetture gli bastava. Gli piaceva avere il controllo della situazione. Se non fosse stato attento, avrebbe abbandonato la sua bella e sicura posizione di osservatore e si sarebbe tuffato in quel problema, cercando di risolverlo. Era chiaro che aveva bisogno di ritornare alla sua vita e dimenticare Cassie Andreas, e le persone che le stavano attorno. Cassie urlò di nuovo. «No, piccola, no.» Jessica la cullò avanti e indietro. «Ti prego. Svegliati. Non puoi continuare così...» La bocca della bambina si aprì e gridò. Più e più volte. Polso accelerato. Volto sudato. «Ipodermica?» chiese Teresa. «Le ho fatto un'iniezione, durante l'ultima crisi, ma non è servito a niente. Troppi farmaci potrebbero ucciderla.
Qual era il rimedio giusto? si chiese freneticamente. La crisi durava da venti minuti. Era il peggior attacco che Cassie avesse avuto finora, e non poteva permettere che la bambina... «Prenditi cura di lei», disse a Teresa. Balzò in piedi e uscì correndo dalla stanza, passò accanto all'agente di guardia e percorse il corridoio. Spalancò la porta di Melissa. «Cassie sta male. Non so che cosa tu possa fare, ma se c'è una possibilità di...» Melissa non rispose. Jessica accese la lampada. Sua sorella giaceva sul letto con gli occhi spalancati. «Mellie?» Polso accelerato. Volto sudato. «Merda.» Lacrime stavano scorrendo sulle guance di Jessica mentre usciva di corsa dalla stanza. Che cosa diavolo poteva fare? Era tutto assurdo. Niente aveva più senso. Non c'era alcuna ragione perché quella deliziosa bambina dovesse morire. E Melissa. Oh, Dio, Melissa. Cielo, che cosa poteva fare? Non c'era niente... Devi trovare un modo per interrompere il flusso. Inserire un elemento nuovo. Scese le scale di corsa e uscì sotto la pioggia. Interrompi il flusso. Trova qualcosa di nuovo. Sapeva dove trovare un elemento nuovo. L'aveva saputo fin dalla notte in cui Andreas le aveva proibito di avere qualcosa a che fare con Michael Travis. Al diavolo! Non poteva restare lì senza intervenire. Bussò all'uscio della portineria. «Apra, maledizione.» Travis aprì. «Che cosa diamine...» «Venga.» Lo afferrò per il braccio. «Ho bisogno di lei. Subito.» «Che cosa è successo?» «Non faccia domande. Venga e basta.» Lo trascinò fuori. «Sono Jessica Riley e...» «So chi è. Non so che cosa stia facendo qui.» «Glielo spiego dopo. Venga con me.» «D'accordo.» Fece di corsa il viale accanto a lei. «La bambina?» «Sì. Temo che potrebbe morire.» Jessica cercò di non lasciar trapelare il
nervosismo dalla voce. «Sta avendo un incubo e non riesco a svegliarla.» Raggiunsero la villa. Lo trascinò nell'ingresso. «Deve aiutarmi.» «Non sono un medico.» «Non discuta. Faccia quello che le dico.» Salendo le scale, sentì le sue grida. Poi fu pervasa da un senso di sollievo. Se gridava, voleva dire che era ancora viva. Larry Fike la accolse in cima alle scale, lo sguardo su Travis. «Non può entrare, dottoressa Riley. Ho ricevuto degli ordini.» «Entrerà», ribatté ferocemente lei. «Può perquisirlo. Può entrare nella stanza e rimanere accanto a lui. Ma entrerà. Ho bisogno del suo aiuto.» «Gli ordini sono di non farlo entrare.» «Spiegherà al presidente anche perché mi ha impedito di fare quel che potevo per salvare la vita di sua figlia?» «Ho ricevuto degli...» S'interruppe, lo sguardo sulla porta di Cassie. «Braccia e gambe divaricate e mani sul muro, Travis.» Lei osservò impaziente Fike che perquisiva Travis. «Presto. Per favore, sta...» Fike fece cenno a Travis di entrare nella stanza, ma lo seguì. Jessica volò verso il letto. «Come sta, Teresa?» «Forse un po' peggio.» Guardò Travis. «Che cosa ci fa qui?» «È quello che vorrei sapere anch'io», disse Travis. «Che cosa ci faccio qui?» «Non lo so. Dovevo fare qualcosa...» Cassie urlò di nuovo. Travis sussultò, poi mosse un passo avanti. «Non può impedirlo? Le farà male gri...» «Se avessi potuto, non avrei chiesto il suo aiuto.» Inspirò profondamente e cercò di riflettere. «È nel pieno di un incubo, e non riesco a farla tornare in se. Credo si tratti di Vasaro, sta cercando di allontanarsi da qualcosa. Ma non riesce a sfuggirgli, e così l'incubo continua. Dobbiamo fare qualcosa per interrompere questo flusso.» «Io?» «Lei le ha salvato la vita a Vasaro. Può darsi che debba farlo di nuovo stasera.» «Sta così male?» «Non lo so. Ma l'incubo deve finire.» «Ha ragione.» Travis sedette sul letto. Prese le mani di Cassie tra le sue. Rimase silenzioso per un istante, poi disse: «Sei al sicuro, Cassie. Sono
qui. È finita. Ricordi? Dobbiamo andare in cucina, e aspettare mamma e papà». Cassie continuò a gridare. «Sei in salvo. Sono qui. Se n'è andato. Se ne sono andati tutti.» Ancora grida. «Ascoltami, Cassie.» La sua voce era bassa, pressante. Il suo sguardo era fisso sul viso della bambina. Jessica riusciva quasi a percepire la sua volontà, che lottava con il terrore della piccola. «È finita. Sei salva. Se n'è andato.» Il grido di Cassie si interruppe. «Nessuno può farti del male. Non può più fare del male a nessuno. Sei al sicuro.» Cassie lo stava fissando. «Se n'è andato. Se ne sono andati tutti. Sei salva.» Inspirò. Passarono dei minuti. Infine, chiuse gli occhi. Grazie, Signore. Jessica mosse un passo avanti e sentì il polso di Cassie. Si stava regolarizzando. «Ha funzionato?» chiese Travis. «Per ora. È profondamente addormentata.» «Succederà di nuovo?» «Improbabile. Non ne ha mai avuti due in una notte.» Si girò verso Teresa. «Per favore, tienila d'occhio.» «Certo.» Teresa fissò Travis. «Meglio che lui rimanga nei paraggi.» Jessica annuì stancamente. «Torno presto.» Mellie. Doveva andare a controllarla. Uscì dalla stanza e si precipitò lungo il corridoio fino alla camera azzurra. «Mellie?» Nessuna risposta. Si avvicinò al letto. Anche lei sembrava profondamente addormentata. Le sentì il polso. Quasi normale. Le palpebre di Melissa si schiusero lentamente. «Un brutto... momento. Per poco... non ci perdevi.» «Come ti senti?» «Come se fossimo state investite... da un camion.» Stava guardando oltre la spalla di Jessica. «Grazie...» Jessica girò la testa e vide Michael Travis a pochi passi di distanza da loro.
«Per che cosa?» chiese lui. «Più tardi... ho sonno...» Le sue palpebre si richiusero. «Grazie...» «Buona idea. Dormi.» Jessica tirò su il lenzuolo attorno alle spalle di sua sorella. «Torno fra qualche ora.» «Non... è... necessario. Stiamo... bene.» «Lo farò lo stesso.» Jessica fece cenno a Travis di seguirla. «Buona notte, Mellie.» Melissa non rispose. Si era già addormentata. Nel corridoio Jessica si girò verso Travis. «Perché mi ha seguita?» «Cos'altro potevo fare? Non aveva più bisogno di me con la bambina, e quell'agente della sicurezza non smetteva di fissarmi.» «Non aveva il diritto di piombare in camera di mia sorella.» Si strinse nelle spalle. «Ha lasciato la porta aperta, e quando ho visto che le controllava il polso ho pensato che potesse aver bisogno di me.» «Non avevo bisogno di lei. Mellie... era semplicemente... stanca.» «Sicura?» «Grazie, va tutto bene adesso. Può andare.» Lui scosse il capo. «Sono bagnato fradicio e non uscirò con questo temporale finché non mi sarò asciugato e non avrò bevuto una tazza di caffè caldo.» Incominciò a scendere le scale. «Vuole indicarmi la cucina? Non occorre che venga con me. Sono abituato ad arrangiarmi.» Lo sapeva. I suoi modi era disinvolti come fosse a casa sua. Ma era vero anche che era bagnato fradicio. Era stata così sconvolta che non l'aveva neppure notato. «Mi dispiace.» Si precipitò lungo le scale. «Ha freddo? Dovevo lasciarle il tempo di prendere un ombrello, ma avevo la mente altrove.» «Non credo che si sia neanche resa conto che stava piovendo.» La seguì in cucina. «E lei è bagnata quanto me. O non si è accorta neppure di questo?» No, non se ne era accorta. «Andrò a prendere un paio di salviette dopo aver messo su il caffè.» «Ci vado io. Mi dica dove sono.» «L'armadio nel guardaroba, in fondo al corridoio a sinistra.» «Bene.» Jessica versò il caffè nelle tazze e le posò sul tavolo. Travis era ritornato. «Bella casa.» Le porse una grande salvietta bianca e cominciò ad asciugarsi i capelli con quella che aveva in mano. «Non capita spesso di vedere armadi antichi in un guardaroba. È come vivere in un altro secolo.»
«A volte.» Si asciugò la faccia e il collo, prima di passare ai capelli. «Soprattutto quando manca la corrente.» Posò la salvietta. «Prende latte o zucchero?» Travis scosse la testa. «Manca spesso la corrente?» «No, i miei genitori hanno rifatto l'impianto elettrico quand'ero bambina. Ma capitano lo stesso i momenti di crisi. Il presidente ha detto che lei ha vissuto in Europa: deve averne viste parecchie di vecchie case.» «Solo nei bassifondi.» Sedette e strinse la tazza tra le mani. «Le case in cui sono cresciuto cadevano a pezzi prima di diventare punti di riferimento storici. Da adulto, ho sempre preferito case moderne, con tutti i comfort, perché mi muovevo in fretta e con difficoltà.» I suoi occhi scintillarono. «E non avevo tempo per riparare impianti elettrici.» «Chi ce l'ha? È una scelta che fai.» Sedette di fronte a lui. «Devo ringraziarla, per avermi aiutato con Cassie. So che devo esserle sembrata una pazza quando sono venuta a bussare alla sua porta.» «È stato decisamente inaspettato.» «Ma mi ha seguita lo stesso. Le sarò per sempre grata. Ero terrorizzata.» «L'ho capito.» Sorseggiò il caffè. «Mi parli di Cassie.» «Tutti al mondo sanno che soffre di una sindrome da stress postraumatico.» «Ma nessuno sa degli incubi. Ne parla?» «Non parla affatto.» «Allora come fa a sapere che sta sognando di Vasaro?» Abbassò lo sguardo sulla tazza. «È logico, non le pare?» «Sì.» «E lei è riuscito a strapparla dall'incubo perché era a Vasaro.» «Anche questo è logico. Perché pensava che avrebbe reagito con me?» «Era un elemento nuovo. Ha scombussolato la struttura del sogno. Quando il presidente mi ha parlato di lei, ho subito pensato che avrebbe potuto essermi d'aiuto.» Sorrise, beffardo. «Sono contento che sia andata così. Tuttavia, non credo che Andreas ammetterebbe che ero il candidato giusto per questo lavoro.» «È l'unico candidato che Cassie accetterà. E lui è disposto ad acconsentire a tutto, pur di aiutare sua figlia.» «Allora, se pensa di servirsi nuovamente di me, meglio andare al telefono e dirglielo. Sono pronto a scommettere che i ragazzi della sicurezza faranno rapporto.»
«Cosa?» «Lo chiami, e gli dica che ha bisogno di me. Non può essere più testardo di quell'agente che lei ha affrontato per lasciarmi entrare in camera di Cassie.» Era così stanca e intirizzita che non aveva più pensato a quell'episodio. Ma, evidentemente, Michael Travis stava già considerando il passo successivo. «Può darsi che non abbia più bisogno di lei.» «Vuole correre questo rischio?» No, non voleva. «Potrebbe non funzionare una seconda volta.» «Magari potrebbe.» Il suo sguardo si posò sul volto di lui. «Perché è così desideroso di aiutarmi?» «Lei cosa pensa? Il mio spirito gentile e generoso?» «Non so niente di lei, a eccezione di quello che mi ha detto Andreas.» «Dovrebbe bastarle. Anche se potrebbe essere un po' ingiusto, visto che io da quando sono arrivato a Juniper ho potuto studiarla con attenzione.» «Come?» Ridacchiò. «Non si preoccupi. Non sono un guardone. Ho letto il suo libro. È stato molto rivelatore.» «Oh...» «Non avevo altro da fare. È stata una settimana molto noiosa. E questa è la cosa più eccitante che mi sia capitata da quando ho lasciato Amsterdam.» «Sembra persino contento. Mi fa piacere che quel che è successo a Cassie sia stato per lei motivo di distrazione.» «Distrazione? No, ma devo ammettere che aiutare la bambina mi ha provocato una scarica di adrenalina. Mi dispiace se questo la offende, ma è la natura della particolare bestia che io sono. Lei mi vorrebbe forse profondo e altruista, come evidentemente è lei, ma non troverà in me queste qualità. Non sono il tipo che si lascia coinvolgere.» «Allora perché mi sta offrendo il suo aiuto?» «Mi piace sconvolgere lo status quo. Mi interessa cambiare quello che la maggior parte della gente pensa che sia inciso nella pietra.» «Molto... distaccato.» «Freddo, vorrà dire.» Sorrise. «Non sono freddo, dottoressa Riley. E cambiare lo status quo non sempre è un male. Non ha avuto nulla da ridire quando l'ho fatto con Cassie.» No. E non era stato freddo quando aveva parlato alla bambina. La sua
passione e la sua energia avevano strappato Cassie da quel tenibile incubo. «Molte cose non sono bianche o nere.» Stava cercando di decifrare la sua espressione. «Prometto che non farò del male alla sua Cassie.» «Non è mia.» «No?» Aveva già decifrato troppo. «Voglio che stia bene.» «E, contrariamente a me, si lascia coinvolgere.» «Capita, per lo più.» Jessica lo studiò. Forza. Intelligenza. Una punta di avventatezza. Cos'altro c'era dietro quella faccia? «Perché vuole aiutare Cassie? Non è solo noia.» Ridacchiò. «È stata lei ad attirarmi nel gioco come una pedina. Ho dimenticato di dirle che mi appassiona assumere il controllo delle situazioni.» Si irrigidì. «Sono io che ho il controllo di Cassie. Nessun altro.» «Cassie ha il controllo di Cassie.» Il suo sorriso svanì. «Lei ha bisogno di me, ma non mi userà come una pedina.» «Non poteva starsene in disparte e lasciar morire quella bambina.» «Non può dirlo. Sono un'incognita per lei. Potrei essere tutto. Vuole correre il rischio?» Sapeva che non poteva, maledizione. Travis scosse la testa. «Non ho fretta. All'inizio sarò umilmente al suo servizio. Ma voglio che le cose siano chiare.» Lei ci pensò su, poi annuì bruscamente. «Bene.» Finì il suo caffè e si alzò in piedi. «Adesso torno alla portineria e lei telefoni ad Andreas. D'accordo?» «Ci penserò.» «Faccia come vuole. Sarà più dura se lo chiamerà dopo che l'avrà saputo dalle guardie.» Accennò un saluto e si diresse alla porta. «Ci vediamo.» Lei rimase a lungo seduta. Non era abituata a prendere ordini, e il suggerimento di Travis era stato pericolosamente vicino a un ordine. Probabilmente era stato sincero, quando le aveva detto che gli piaceva assumere il controllo delle situazioni. Non l'avrebbe avuto. Non aveva intenzione di cederglielo, neanche di un centimetro, per quel che riguardava le cure a Cassie. Da quando si era seduto sul letto della bambina, aveva notato un cambiamento in lui. La sfida lo aveva elettrizzato, ogni cellula nel suo corpo aveva assunto forza. Avrebbe potuto aver bisogno della sua determinazione, questo sì, ma non della sua volontà di dominio.
Tuttavia, per quanto le costasse ammetterlo, Travis aveva avuto ragione a suggerirle di telefonare ad Andreas. Era stata tentata di ignorare il suo suggerimento solo perché era partito da lui, ma sarebbe stato controproducente. Telefona ad Andreas, falla finita, poi siediti, e rifletti su come potresti servirti di Michael Travis. Stava ancora piovendo, ma Travis non sentiva quasi le gocce, mentre tornava di corsa alla portineria. Era ancora carico di energia dopo la battaglia con Cassie... e con Jessica Riley. Affascinante. La lotta per strappare Cassie al suo incubo e poi l'interessante interscambio a cui aveva assistito tra Jessica e sua sorella, Melissa. Pezzi di un puzzle stavano venendo alla luce. Lo trovava intrigante. E pericoloso. Forse non era vero che ne aveva abbastanza di stare in equilibrio su una fune. 6 Andreas la ascoltò. Poi fece una pausa di silenzio. Quando si decise a parlare la sua voce era rauca. «Pensa che avrebbe potuto morire?» «Non avrei fatto venire Travis a casa, se non avessi pensato che era possibile.» «Cristo.» Un altro silenzio. «Che cosa diavolo le sta succedendo?» «È quello che sto cercando di scoprire.» «Vorrei essere con lei. Detesto trovarmi a migliaia di chilometri di distanza.» «Non potrebbe aiutarla, signore.» «Ma Travis l'ha fatto.» «Non credo ci sia alcun dubbio sul fatto che le ha salvato la vita.» Si interruppe. «Potrei ancora aver bisogno di lui.» «Non volevo che le stesse vicino. Pensavo che avrebbe peggiorato i suoi incubi.» «Non possono peggiorare.» Altra pausa. «Allora lo usi. Usi chiunque o qualunque cosa le possa servire. Gli farò sapere che deve mettersi a sua disposizione.» A Travis sarebbe piaciuto. «Grazie, signore. Sono sicura che questo ci
sarà di aiuto.» «Si sta aggravando.» La sua voce era incrinata. «Perché non possiamo fare qualcosa? Perché stiamo solo perdendo tempo mentre lei...» Non riusciva a sopportare il dolore racchiuso nelle sue parole. «So quello che prova. Mi chiedo... se prenderebbe in considerazione la possibilità di ricondurla a Vasaro.» «No! Assolutamente no. Posso anche essere disperato, ma non sono pazzo.» «Pensavo che forse...» «No.» Sospirò. Non che si fosse illusa che lui avrebbe accettato l'idea, ma almeno ci aveva provato. Era una soluzione radicale, perfino pericolosa, ma lei era disperata quanto Andreas. «Vorrei che ci riflettesse.» «Prenderei prima in considerazione la possibilità di trovare un nuovo medico per mia figlia.» Disse qualcosa a qualcuno, poi ritornò in linea. «Devo andare. C'è un maledetto ricevimento a palazzo reale. Voglio sentire notizie migliori, la prossima volta che mi telefona o tornerò a casa e troverò qualcun altro che possa aiutare Cassie.» Riagganciò. La minaccia non sconvolse Jessica. Sapeva che era angosciato per una situazione all'apparenza disperata. Se avesse creduto che qualcun altro poteva fare un lavoro migliore con Cassie, l'avrebbe assunto lei stessa. Ma aveva ragione... ultimamente avevano solo perso tempo, cercando di mantenere lo status quo. Adoro sconvolgere lo status quo. Forse attirare maggiormente Travis nell'equazione avrebbe potuto essere un buon passo. O forse no. In ogni modo, Cassie non poteva andare avanti così. E toccava a lei esplorare ogni possibilità per richiamarla indietro. Cominciò a salire stancamente le scale. Era ora di andare a controllare Cassie e dormire un po'. Si fermò davanti alla porta della camera azzurra. Ogni possibilità. Melissa. Melissa era sfinita quanto Cassie. Forse perché aveva vissuto la sua stessa esperienza? L'idea era azzardata, stravagante, allarmante: una completa violazione della logica. Ogni possibilità.
Non ora. Doveva concedersi tempo, per abituarsi all'idea. Domani... «Cos'è questo delizioso profumino?» chiese Melissa entrando in cucina. «Cielo, ho fame.» «Huevos rancheros.» Jessica si girò a guardarla. «Ma hai rovinato tutto. Volevo portarti la colazione in camera.» «Sai che non sopporto di rimanere a letto.» Si avvicinò al frigorifero e tirò fuori il cartone del succo d'arancia. «Come sta Cassie?» Jessica posò due salsicce sul piatto con le uova. «Dimmelo tu.» Il sorriso di Melissa svanì. «Non ne ho idea. E se azzardassi un'ipotesi, non mi crederesti.» «Non so che cosa credere.» Versò il succo e sedette al tavolo. «Mangia.» «Non devi dirmelo due volte.» Melissa sedette e si buttò sul cibo. «Magnifico. Domani preparerò la colazione io.» «Ma tu non cucini.» «Certo che cucino. Ho imparato a fare molte cose da quando vado all'università. Vivere da soli aiuta.» Bevve un sorso di succo d'arancia. «Avrei imparato prima, ma sembrava che a te piacesse assumerti tutte le responsabilità e occuparti di me.» «È solo che sono abituata a...» «Lo so.» Melissa sorrise. «E io sarò sempre la sorellina che si è perduta nel bosco. Per me va bene, purché ti renda felice.» Jessica provò un brivido. Il tono di Melissa era quasi indulgente. «Non è mai stato nelle mie intenzioni trattarti...» «Mi tratti benissimo.» Inghiottì un altro boccone. «E hai preparato una fantastica colazione. Dimmi, come sta Cassie?» «Bene. Non bene come te, ma bene come potrebbe stare lei in questi giorni.» Si appoggiò alla sedia e guardò Melissa. «Ho pensato che avreste potuto morire entrambe ieri notte.» «Lo so. So che eri spaventata quando sei entrata nella mia stanza la prima volta, ma non potevo fare niente per aiutarti. Ero molto debole.» «Aiutarmi? Eri tu che dovevi...» Trasse un profondo sospiro. «Che cosa ti è successo ieri notte?» «Che cosa vuoi sentirti dire? Se hai bisogno di bugie, ti dirò bugie. Non credo che tu sia pronta per la verità.» «Devo essere pronta, invece. Non so se ricordi, ma sono venuta a chiederti aiuto.»
«Ricordo solo che eri spaventata. Ero, per così dire, coinvolta, in quel momento.» Spostò lo sguardo sulla faccia di Jessica. «Ma se sei venuta da me, devi avermi creduta almeno in parte.» «Non so che cosa credere. Ma una volta Andreas mi ha detto che chiederebbe aiuto anche a un volteggiante derviscio se ciò servisse a far stare bene sua figlia. E io farei lo stesso pur di mantenerla in vita.» «Non sono un volteggiante derviscio, e non so neanche che cosa posso fare. Speravo di avere più controllo sulla situazione, ma è stato come essere risucchiati in un tornado. Mi ha trasportata con sé.» Rabbrividì. «Se Travis non fosse venuto...» «Sapevi che era lì?» «Come potevo non saperlo? Era forte come Cassie. Si è messo tra lei e i mostri.» «Mostri?» «Li vede come mostri. Hanno occhi, ma non facce.» «Gli aggressori di Vasaro indossavano passamontagna.» Melissa annuì. «Questo spiega tutto.» «Raccontami com'è.» «Terrore. Dolore. Siamo in un lungo tunnel buio e siamo felici di essere lì, ma i mostri hanno individuato un modo per entrare. Ci stanno dando la caccia, e sappiamo che ci raggiungeranno se non troviamo...» «Cosa?» «Non lo so. Il suo pensiero è ingarbugliato dalla paura. Qualunque cosa stia cercando, non riesce a scovarla. E c'è solo un altro modo per sfuggirli.» «Certo che c'è. Può tornare da noi.» «Non la vediamo come un'alternativa.» «Per metà del tempo dici lei e per l'altra metà dici noi. Non sei più in contatto con lei, vero?» Melissa scosse la testa. «Ma il legame era molto forte, e anche il ricordo. Cercherò di non... Mi stai guardando come se fossi pazza.» «Perché dovrei accusarti di essere pazza? Sono io il dottore, e sto accettando tutto questo come se fosse perfettamente normale.» «No, non è vero. Stai accettando tutto con beneficio d'inventario, cercando una spiegazione ragionevole. Non è nella tua natura agire diversamente.» Sorrise. «Giusto?» «Ti voglio bene.» Jessica allungò la mano e la posò sopra quella di Melissa. «Mi spaventa che tu possa...»
«L'unica cosa che dovrebbe spaventarti è non riuscire a interrompere quello che sta succedendo a Cassie... e a me. Non sono pazza. Sto solo cavalcando quel tornado, sperando che qualcosa lo faccia deviare.» Strinse la mano della sorella. «Verso la fine, dopo che Travis era venuto, mi sentivo più forte e ho cominciato a pensare invece di provare sensazioni. Forse se riuscissi ad avere un certo controllo sarei in grado di fermare il tornado.» «Dio, lo spero proprio.» «Ma devo avere Michael Travis, Jessica. Non sono abbastanza forte per lottare da sola per Cassie. Lui deve mettersi tra noi.» «Ti esprimi come se fosse una specie di medium.» «Non so perché è in grado di aiutare Cassie. L'hai portato da lei perché ti avevo detto di trovare qualcosa per interrompere il flusso. Ha funzionato. Lui ha funzionato. Può darsi che in seguito se ne possa fare a meno, ma non ora. Coinvolgilo, Jessica.» «Oh, l'ho coinvolto. Non è stato difficile. Trova la situazione molto interessante ed è annoiato al momento.» Fece una smorfia. «Ma non sarà facile manovrarlo.» «Lo immagino.» Si alzò in piedi. «Vado a fare una corsa prima di mettermi a studiare.» Le diede un bacio in fronte. «Povera Jessica. So che è dura per te. Ma andrà tutto a posto.» Melissa la stava trattando come se fosse una bambina. Be', in effetti si sentiva confusa come una bambina. Tutto quel che aveva detto Melissa esulava dal terreno delle sue convinzioni, ma non le restava altra alternativa che seguirla. «Ancora una domanda. Che cosa ti sarebbe successo, se non avessi portato qui Travis ieri notte?» Non parlò per un momento. «Non lo so. Non sono sicura di come funziona. Ma non credo che sarei riuscita a liberarmi, alla fine.» «Alla fine?» Si diresse in fretta verso la porta. «Se Cassie fosse morta, mi avrebbe condotta con sé.» Melissa bussò all'uscio della portineria. «Il sole splende e nel mondo tutto va a gonfie vele. Esca a correre, Michael Travis.» Travis aprì la porta. «Scusi?» «Nel caso non riconosca in me la ragazza mal ridotta che ha visto in camera mia ieri sera, sono Melissa Riley.» «Oh, l'ho riconosciuta.»
«Allora, vada a cambiarsi e venga a correre con me. Di solito corre verso quest'ora, non è così?» «Sì.» «La aspetto.» Entrò in casa e si lasciò cadere sul divano. «Mica male come posto. Io e Jessica venivamo qui a giocare da piccole. Si sbrighi, d'accordo? Devo tornare a studiare.» Sorrise. «Cercherò di non farla attendere troppo.» Sparì nella camera da letto. Mellie si guardò attorno. Computer aperto sul tavolo da pranzo, libri accatastati sul tavolino. Ma, a parte questo, era tutto in ordine. Esattamente come si era aspettata. Tutto sotto controllo. Si chinò in avanti e scorse i titoli dei libri. Sorrise. Brillante. Molto brillante. Si avvicinò alla finestra e guardò verso la villa. Quante volte era rimasto lì a fissare la stanza illuminata di Cassie? «Pronto.» Uscì dalla camera da letto indossando pantaloncini da jogging e una maglietta della Oxford University. «A meno che non abbia cambiato idea, signorina Riley.» Non sapeva che cosa pensare di lei, ed era un bene. Questo la poneva un gradino più sopra. «Affatto. E chiamami Melissa, o Mellie, come fa Jessica.» Balzò in piedi e trotterellò fuori. Il sole la colpì piacevolmente in viso; si fermò e chiuse gli occhi. «Non è una bella giornata? E l'odore dell'erba... Mi piacciono le mattinate dopo la pioggia. Mi riempiono... di gioia.» Aprì gli occhi e fece i gradini di corsa. «Vediamo chi arriva prima al laghetto dietro la casa.» Lo precedette di quattro metri. Si appoggiò al salice e cercò di riprendere fiato. Gli si rivolse dandogli del tu. «Mi hai lasciato vincere?» «Che cosa te lo fa pensare?» rispose Travis, dandole anche lui del tu. «Sei in buona forma, e poi ti ho visto correre.» «Sei in forma anche tu.» Rise. «Da un altro uomo, l'avrei presa come un'avance.» «Perché non da me?» «Perché tu non sei interessato al sesso, in questo momento. Ti stai solo chiedendo che cosa diavolo sto combinando.» «Lo scoprirò?» Annuì. «Quando avrò ripreso fiato.» Si lasciò cadere per terra. «Tu che cosa pensi?» «Dovrei parlare io, finché non hai ripreso fiato?»
«Buona idea.» «Vediamo.» Si lasciò cadere poco distante da lei. «È difficile esprimere giudizi, visto che non ci siamo mai incontrati prima d'ora. Da quello che ho potuto osservare da lontano, tu e tua sorella sembrate molto affiatate. Ti ha mandato con un messaggio?» «Jessica consegna personalmente i suoi messaggi. E io i miei.» «E qual è il tuo messaggio?» Lo fissò dritto negli occhi. «Non sognarti di fare del male a mia sorella.» «Non ne ho la minima intenzione.» «Ti credo. Ma non sempre l'azione segue l'intenzione. Questa può essere sviata quando subentrano interessi personali. Non ti importa niente di Jessica. E dubito che ti importi di Cassie. È difficile dirlo.» «Sì? Ma dovresti sapere che l'ho aiutata ieri notte.» «Nessuno lo sa meglio di me.» Fece una pausa. «Come immagino che tu sappia.» La fissò con sguardo interrogativo. «Avevi tre libri di parapsicologia, aperti sul tavolo. Uno l'ho lasciato io, una delle altre volte che sono tornata a casa. L'ho letto proprio qui in portineria perché non volevo che Jessica lo trovasse in giro. Però non ho mai letto gli altri due. Dove li hai trovati a quell'ora della notte?» «Ho mandato uno degli agenti della sicurezza in una libreria aperta ventiquattr'ore su ventiquattro. Sono molto gentili purché io non lasci la villa. Ho trascorso diverse ore a sfogliarli.» Sorrise. «E visto che non ho dormito, non sarei andato a fare la mia solita corsa mattutina.» «Dovrei sentirmi in colpa?» «Figurati! Hai già abbastanza problemi.» Lo fissò in volto. «Allora immagino che tu abbia trovato quel che cercavi, in quei libri.» «Ho sentito quello che hai detto a tua sorella ieri sera. È bastato a stuzzicare il mio interesse. Così, ho consultato Internet... e poi mi sono buttato sui libri.» «E hai scoperto che sono svitata.» «Ma non sei l'unica. E neanche la prima.» «Come?» «Credi di essere l'unico caso che è ritornato indietro con un po' di bagaglio appresso? Il professor Hans Dedrick ha scoperto quattro casi simili al tuo. Uno in Grecia, uno in Svizzera, e due in Cina.» «Dedrick?»
«Il trauma, la memoria, e la via del ritorno. È stato scritto nel 1999. Non l'hai letto?» Scosse la testa, stupita. «E pensare che ho setacciato le biblioteche alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa...» «È stato pubblicato da un'università in Gran Bretagna. Come vedi, sono un esperto nel trovare informazioni. Te lo presto, se vuoi.» «Me ne procurerò una copia appena torno a scuola. Jessica ti ha detto qualcosa su di me?» «Neanche una parola. È naturale che sia molto protettiva. Ha trascorso molti anni a prendersi cura di te. Il tuo talento è piuttosto 'insolito', e non vuole che tu venga fraintesa.» Caspita, era in gamba. Aveva osservato, ascoltato e messo insieme i pezzi del puzzle delle loro vite e del loro rapporto. «E tu capisci?» «Vuoi dire se ci credo? Forse. Ho trascorso molti anni della mia infanzia in oriente, e ho visto accadere strane cose. Non mi mette certamente a disagio.» Melissa lo studiò. «No, ti interessa. Jessica mi ha detto che tratti informazioni, e capisco come tu possa essere bravo in quello che fai. Raccogli, approfondisci, analizzi... Lo trovi eccitante, vero?» «Sì. Dato che per mia disgrazia sono infinitamente curioso, è senza dubbio una passione.» «E occuparti di Cassie serve a sollevarti dalla noia per qualche settimana?» «Non sono così insensibile. Non mi servirei di quella bambina solo per alleviare la monotonia delle mie giornate. Io aiuto lei, lei aiuta me.» Rise. «Sebbene, finché non sei apparsa tu sulla scena, non mi fossi reso conto di come potrebbero essere intriganti le prossime settimane. Quando ti sei accorta di possedere questo talento? Tua sorella non ne parla nel suo libro.» «Non lo sapeva. Era così felice di avermi ricondotta indietro, che non volevo rovinarle la festa. Non gliel'avrei detto, se non ci fossimo imbattute in questo problema con Cassie. Lei non è come te. Questa cosa la mette terribilmente a disagio.» «Capisco. Mi ha dato l'impressione di essere una donna molto razionale e pragmatica.» «È stata costretta, a essere pragmatica. Non che non sia dotata di umorismo, ma non ha avuto molte possibilità per...» «Va bene, d'accordo. Non intendevo criticarla. Mi sembra una donna molto altruista.» Cambiò argomento. «Non mi hai risposto. Quando ti sei
accorta che stavi trasmettendo su una lunghezza d'onda diversa?» «All'incirca cinque mesi dopo essere tornata. Mi ha spaventato a morte.» Si alzò in piedi. «Adesso, tieni a freno la tua curiosità. Non saprai altro da me.» «Non si può mai dire. Non ho ancora incominciato.» Si alzò anche lui. «Ma mettiamo le cose in chiaro. Mi stai ammonendo di tenermi lontano da tua sorella e da Cassie?» «Come ti è venuta quest'idea? Cassie ha bisogno di te.» «E tu, tu hai bisogno di me, Melissa?» chiese dolcemente. «Sì, ma ci sto lavorando.» Si chinò e riallacciò la scarpa sinistra. «Così non abituarti all'idea. Sarai rimpiazzato.» Si raddrizzò. «Jessica è l'essere umano più buono sulla faccia della terra. Non voglio che le si faccia del male.» Alzò una mano, impedendogli di parlare. «Non mi importa che tu non intenda fargliene. Al momento, la cosa più importante nella sua vita è far stare bene Cassie. Se la bambina morisse, ne resterebbe sconvolta. Quindi tu devi fare in modo che non muoia. Non ci pianterai in asso se vedrai qualcosa di più interessante all'orizzonte. Resterai finché Cassie non sarà in via di guarigione, anche se ci volessero anni.» «Hai finito di dirmi quello che devo fare?» «No. Devi promettermi di proteggere Jessica. Il presidente ti ha piazzato qui perché avevi bisogno di stare in un posto sicuro. Non voglio che i casini che ti circondano si ripercuotano su di lei.» «È tutto?» «Per ora.» «Bene. Allora vediamo chi arriva prima alla portineria.» Si voltò. «E questa volta non vincerai, Melissa.» Non le aveva promesso niente, ma lei non ci aveva fatto conto. Bastava sapesse quello che lei si aspettava da lui. «Non mi importa.» Prese a seguirlo. «Ci lavorerò.» Ci lavorerò. Travis stava sulla soglia e osservava Melissa correre lungo il viale. Quell'unica frase bastava a riassumere Melissa Riley. Coraggio nell'avversità e determinazione a fare a modo suo, indipendentemente dal prezzo da pagare. Ma forse quella frase non racchiudeva la sua intera personalità. Non aveva mai visto nessuno altrettanto vitale. Nel suo libro, Jessica aveva parlato dei primi mesi dopo il ritorno di Melissa. Non solo sua sorella aveva mostrato un'intelligenza superiore, ma aveva anche un'insaziabile sete
di vivere, cosa che Jessica aveva attribuito al desiderio di recuperare il tempo perduto. Si aspettava un calo, dopo qualche anno. Gli anni erano passati, ma aveva idea che Jessica si fosse sbagliata. Melissa Riley era un fuoco d'artificio, e più complessa di quanto loro potessero immaginare. Jessica aveva negoziato e trattato con lui in modo ragionevole e maturo. Melissa non aveva cercato di negoziare. Aveva analizzato il suo carattere e gettato la sfida... e una minaccia. Come l'aveva inquadrato bene durante quel breve incontro. Interessante... «Che cosa stavi facendo con Travis, giù vicino al lago?» La voce di Jessica era carica di disapprovazione. «Non è stata una buona idea, Mellie.» «Non è più off limits.» Melissa si girò e sorrise mentre cominciava a salire le scale. «Ed è più interessante di quanto abbia inizialmente pensato. È molto intelligente, e l'intelligenza è megasexy.» «Il presidente può aver detto che non è off limits, ma io no. Per carità, è un criminale.» «E tu invece vuoi che trovi un avvocato, un medico o magari un esperto di computer. Che ne diresti di un banchiere?» «Non male.» Melissa sorrise. «Va bene, me ne cercherò uno nell'istante stesso in cui tornerò a scuola.» «Non sto scherzando, Mellie.» «Lo so. Pensi che abbia bisogno di un'influenza stabilizzante. Probabilmente hai ragione. Smettila di preoccuparti. Non gli ho chiesto di venire a letto con me. Abbiamo solo fatto una corsa insieme.» «Non pensavo che... non ti chiederei di dirmi...» «Ma te lo direi lo stesso.» Il suo sorriso svanì. «Non farei mai niente che ti causasse preoccupazione. Se non vuoi che vada a correre con Travis, la cosa finisce qui.» «E mi giudicherai una maledetta rompiscatole.» «Quello che penso è che mi vuoi bene e ti preoccupi per me. E non andare a correre con lui non è una grossa rinuncia. La nostra corsa non avrebbe potuto essere più occasionale.» «Non mi è apparsa occasionale. Piuttosto, molto intensa.» E lo era stata. Durante i pochi minuti che avevano corso insieme, Melissa era stata consapevole di uno strano senso di intimità. E mentre chiacchieravano presso il lago, aveva quasi sentito le scintille, la corrente che
c'era sotto ogni parola. Era stato... eccitante. Lui lo era stato. Be', il pericolo è sempre eccitante, ma Travis poteva trasformarsi in un nemico da un momento all'altro. E allora? Giocare con il nemico poteva essere stimolante. Ma forse non era la scelta migliore da farsi, in simili circostanze. Riprese a salire le scale. «No, quello che fa per me è sicuramente il banchiere, Jessica.» Amsterdam «Sta succedendo qualcosa di molto interessante», disse Provlif a Deschamps per telefono. «Hai trovato Cassie Andreas?» «No, ma mentre il mio contatto alla CIA stava fiutando un po' in giro con l'intento di localizzarla, si è imbattuto in un'altra informazione. Andreas ha mandato in gran segreto l'Air Force One ad Amsterdam, qualche settimana fa.» «Con sua figlia?» «No, hanno riportato indietro qualcuno. Hanno prelevato e condotto Michael Travis all'Andrews Air Force Base.» «Travis?» Deschamps era stupito. Non corrispondeva all'informazione che aveva ricevuto. «Catturato dalla CIA?» «L'hanno prelevato e consegnato al presidente. Sono partiti insieme per destinazione ignota.» «Sei sicuro?» «La mia fonte nella CIA è più che attendibile.» «Allora perché non ti possono dire dov'è la bambina?» «La CIA e la sicurezza raramente si scambiano confidenze.» «Trovali.» «Farò del mio meglio. Come sai, mi sono concentrato sulla ricerca di Cassie Andreas solo da quando mi hai detto che era quel che volevi da me.» «Volevo facessi quello che era necessario. Recupera la bambina. E trova Travis.» Una pausa. «Devo ucciderlo?» «No. Voglio farlo con le mie mani. E poi, si rivelerà più prezioso da vivo, almeno per un po'.» Riagganciò. Travis e Andreas. Travis non era trattenuto contro la sua volontà. Che
cosa diavolo stava succedendo? Da quando era lì, si era imbattuto in interessanti e fruttuose possibilità, del tutto inaspettate. Ma adesso, il quadro stava diventando più enigmatico. Anche più promettente? Era sempre stato convinto che un uomo intelligente era quello che lasciava vincere il premio agli altri e poi glielo strappava di mano. Travis si stava muovendo. Stava manipolando, e ovviamente lavorando, a gran velocità con Andreas... Un regalo per me, Travis? 7 «Venga qui», disse Jessica quando Travis alzò il telefono, due sere dopo. «Subito.» «Arrivo.» Lo stava aspettando sul portico. «Da quanto dura?» chiese. «Quindici minuti.» «Perché non mi ha chiamato prima?» «Volevo darle la possibilità di uscirne da sola.» La seguì in casa. «Ed eliminare la necessità dei miei servigi.» «Naturalmente.» «Capisco. Ma quel ritardo di quindici minuti potrebbe non essere stato salutare per Cassie.» «E lei lo è, salutare?» «Sono l'unica alternativa che ha.» Salirono le scale, e Travis fece un cenno a Fike, mentre raggiungevano la camera di Cassie. «Buona sera. Stessa prassi?» «Spiacente.» «Non mi aspettavo nulla di diverso.» Si appoggiò al muro, mentre Fike lo perquisiva. «Di questo passo, diventeremo amici intimi.» Aprì la porta. «Grida così da quando ha incominciato?» Fike annuì. «Povera bambina. Non ho mai sentito niente di simile prima d'ora. A volte, mi spaventa a morte.» «La smetta di chiacchierare e vada ad aiutarla, Travis», tagliò corto Jessica. «Se può.» Travis sedette sul letto. «Farò del mio meglio.» Prese le mani di Cassie tra le sue. «Ascoltami, Cassie. Sono Michael. Sono qui e niente potrà farti del male. Non sei costretta a scappare.»
Cassie continuò a urlare. «Li ho già fermati. Posso farlo di nuovo. Permettimi di aiutarti e troveremo un modo...» Ti ringrazio, Signore. Michael era lì, nell'oscurità del tunnel. Melissa non poteva vederlo, ma riusciva a sentirlo. Il che significava che anche Cassie ci riusciva. Forse lei poteva anche vederlo. Melissa era così spaventata, non era certa di nulla. I mostri. Gesù, i mostri. Ci raggiungeranno e ci faranno saltare le cervella. Corri. Corri. Corri. Trovalo. Corri. Trovalo, prima che si avvicinino a sufficienza da... Corri. Facevano fatica a respirare. I loro cuori stavano per scoppiare. No, rallenta. Michael era lì. I mostri non potevano toccarle, finché lui stava in mezzo a loro. Che cosa stava dicendo? Non aveva importanza. Era lì. La presa di Cassie su Melissa si stava allentando. Stava fluttuando libera... Poteva sentire tutta la sua disperazione. «Torna indietro. Mi manchi», le diceva la bambina. Il richiamo era allettante come la canzone di una sirena. Non arrenderti. Resta libera. «Fai parte di me», disse Cassie. «No.» «Sono sola.» «Allora torna con me.» Sentì il brivido di paura della bambina. «Brutto.» «Non più.» «Sola. Sicura adesso. Niente mostri. Insieme lo troveremo. Torna indie-
tro.» Anche Melissa era sola. Perché non restare e lasciarsi... Si stava avvicinando a Cassie. Compì un terribile sforzo e si liberò. «No, me ne vado. Addio, Cassie.» «Sola...» «Melissa.» Aprì gli occhi e vide la faccia di Jessica sopra la sua. Era così stanca che riusciva a parlare a stento. «Ciao. Sta... bene?» Jessica annuì. «Sta dormendo?» «Non ancora. Ma dormirà presto. L'incubo è finito.» Allungò la mano e prese quella di Jessica. «Non essere così preoccupata. Stiamo bene entrambe. Dov'è Travis?» «Fuori in corridoio.» Fece una pausa. «Ha... aiutato?» «So che vorresti che dicessi di no, ma non ce l'avremmo fatta senza di lui.» I suoi occhi si chiusero. «E non devi lasciarlo fuori in corridoio. Sa... di me.» Jessica si irrigidì. «Che cosa sa?» «Che sono strana.» «Gliel'hai detto?» «L'ha immaginato da sé. Ma non ne è impressionato più di tanto. Non come te. Povera Jessica...» «Povera Mellie.» «No, sto imparando... Non è come pensavo. È qualcosa di più, con Cassie. Provavo la strana sensazione che nascondesse qualcosa.» «Cosa?» «Non lo so, ma la situazione potrebbe non essere come l'immaginavo. Ed è così sola, Jessica. Mi dispiace che sia tanto sola.» «Hai detto che anche Donny lo era.» «Non come lei.» «Non eri sola quand'eri nella tua foresta?» «No, avevo te. Sapevo che c'eri. Forse non eri visibile, ma non mi hai mai lasciata.» «Anche Cassie ha delle persone che le vogliono bene.» «Ma ha paura a lasciarle avvicinare. Teme che, se lascerà entrare qualcuno nel tunnel, entreranno anche i mostri.» La sua presa si fece più salda. «I mostri sono terribili, creature terribili. Non possiamo lasciarli entrare.» «Cassie non può lasciarli entrare.»
Melissa cercò di sorridere. «L'ho rifatto? I mostri mi spaventano come spaventano lei, e questo mi respinge indietro.» «Dobbiamo persuadere Cassie a lasciarci entrare per poterla ricondurre tra noi.» Melissa annuì. «È solo che...» «I mostri?» «Pensa al tuo peggiore incubo infantile, moltiplicalo per centinaia di volte e capirai quello che prova Cassie.» Chiuse gli occhi. «Buona notte, Jessica. Non ho più voglia di parlare. Va' a discuterne con Travis. Starà probabilmente origliando alla porta. Ci vediamo domattina.» Sentì un risolino provenire dall'altra parte dell'uscio e disse: «Buona notte, Travis. Te la sei cavata molto bene stasera». «Origliare è terribilmente maleducato», gli disse Jessica. «Ma a lei non ha dato fastidio.» «A me sì. Se l'avessi voluta nella stanza, l'avrei invitata a entrare.» «Se nel mio genere di lavoro aspettassi gli inviti, sarei un mendicante. Non si raccolgono informazioni tenendosi educatamente in disparte. Volevo sapere che cosa stava succedendo con Melissa, così ho ascoltato.» La prese per il gomito. «Su. Ti preparo un po' di caffè.» Era passato dal lei al tu anche con Jessica. «Non mi va.» Si morse il labbro. «Voglio parlare di Mellie. Sono sicura che quello che sta accadendo è solo temporaneo. Non è realmente...» «Vuoi che ti prometta che non mi rivolgerò al manicomio locale per dirgli che portino una camicia di forza per tua sorella?» «Non c'è niente di sbagliato in lei.» «È quello che penso io.» La guardò. «E tu?» «Anch'io, naturalmente.» Si massaggiò le tempie. «Non la sto prendendo molto bene. Questa storia del paranormale non rientra nel mio ramo.» «Allora lascia che me la sbrighi io.» «Neanche per sogno. Mellie è mia sorella. Tutto quel che voglio da te è che tu non le faccia del male.» «Questo mi suona familiare», mormorò. «Voi due non siete così diverse come pensavo. Nessuna paura. Non userò niente di quel che sento in questa casa per ritorcerlo contro Melissa.» Lei lo guardò, insospettita. «Perché dovrei? Non significa niente per me.» Jessica annuì lentamente. «Appunto, nessuno di noi significa qualcosa
per te.» «Non posso permettere che accada.» Sorrise. «Ma questo non vuol dire che non vi ammiri entrambe. Credo, anzi, che incominciate a piacermi.» «Straordinario.» «Sì, lo è. E quindi: posso prepararti un po' di caffè? Farebbe bene a tutti e due. E dato che starò nei paraggi, che ne diresti di dichiarare un armistizio?» Lo fissò senza parlare. I suoi principi erano discutibili ed era diverso da chiunque avesse mai conosciuto. C'era una schietta onestà in lui, che trovava stranamente confortante. «Si dichiarano armistizi solo quando c'è una guerra. Se continuerai ad aiutare Cassie, non ce ne sarà bisogno.» Cominciò a scendere le scale. «Una tazza di caffè.» Dormi, disse Melissa a se stessa. Tutto andava bene, adesso. Cassie si era addormentata. Era andata meglio dell'ultima volta. Dopo che era venuto Travis, era riuscita a sganciarsi da Cassie e a osservarla con un po' di distacco. Non molto, ma si sarebbe aggrappata a qualsiasi cosa. E Cassie era stata costretta a riconoscere Melissa come un'entità separata, il che era un grosso progresso. Tuttavia, l'impressione che qualcosa non funzionasse, che non fosse come sembrava essere, la turbava ancora. Che cosa stava cercando Cassie? Insieme lo troveremo. Avrebbe dovuto chiederle che cosa avrebbero dovuto trovare. L'opportunità le era scivolata di mano, perché era stata dura andarsene. La prossima volta... «Posso entrare?» chiese Travis dalla soglia. «Se sei troppo stanca, me ne vado.» «Lo sono.» Accese la lampada. «Ma probabilmente sono anche troppo tesa per dormire. Entra. Siediti, Travis, e dimmi che cosa vuoi da me.» Sorrise. «Forse non voglio niente. Forse questa è solo una visita di cortesia.» Sedette nella poltrona accanto al letto. «Dopotutto, abbiamo condiviso un'esperienza piuttosto unica stasera.» «E così, saresti scivolato qui furtivamente, dopo aver lasciato Jessica, solo per socializzare.» «Mi fai passare per una specie di ladro acrobata.» «Lo sei mai stato?» Non rispose. «È vero che Jessica non sa che sono qui. Non volevo tur-
barla. È sempre molto protettiva nei tuoi confronti.» «Allora, perché sei qui?» «Pensavo che dovessimo conoscerci.» Ridacchiò. «No, non in senso carnale. Non ho intenzione di approfittare di te mentre sei...» «Sfinita e KO?» «Mio Dio, che immagine spaventosa!» «È come mi sento ora. Cassie non è un problema facile.» Spinse un secondo cuscino dietro la testa. «Okay, non vuoi scoparmi. E dubito che mi racconterai qualcosa di te. Quindi la conoscenza riguarda solo me. Giusto?» «Giusto.» «Perché?» «Abbiamo già stabilito che sono curioso.» La vedeva, quella curiosità, sulla sua faccia. La sua espressione era vigile, attenta. «Non hai scoperto abbastanza su di me nel libro di Jessica?» «Dal suo punto di vista. Ma l'informazione può sempre essere tendenziosa.» «Jessica è assolutamente onesta.» «Sì, ma non sempre vediamo le cose allo stesso modo. Non ti capita mai di voler esprimere il tuo punto di vista?» Forse avrebbe dovuto dirgli di andarsene. Non erano affari suoi. Ma, d'un tratto, si rese conto che non voleva mandarlo via. «Che cosa vuoi sapere?» «E tu che cosa vuoi dirmi?» «Senti, piantala con le cazzate. La mia materia principale è psicologia.» Rise. «Scusa. Sei cresciuta qui a Juniper?» Annuì. «È un posto magnifico dove crescere per un bambino. Ero la cocca della famiglia e i miei genitori e Jessica mi hanno viziata in maniera indegna. Lei era il mio idolo, mentre per lei io ero una vera rottura di palle.» Distolse lo sguardo. «Poi, dopo l'incidente, sono diventata un'ossessione.» «Non ti sto chiedendo di parlarmi dell'incidente.» «Ma l'incidente è la linea di demarcazione. È come guardare le fotografie prima e dopo. Posso parlartene invece. Jessica dice che mi fa bene farlo. Teme che, se lo rimuovo, potrei scoppiare, o anche peggio.» «Quanti anni avevi?» «Quattordici. Io e i miei genitori stavamo tornando a casa da uno dei ristoranti preferiti di papà, a Georgetown. Ero sul sedile posteriore.» Fece
una pausa. «Una macchina ci ha spinti fuori strada e siamo finiti giù da una scarpata. C'è stata un'esplosione. Non sono riuscita ad aprire la portiera. Sapevo che mio padre era morto, ma mia madre stava gridando sul sedile anteriore. Era in fiamme. E l'odore di carne bruciata...» «Basta così.» «Alla fine sono riuscita a scendere. Ho aperto la portiera anteriore e l'ho tirata fuori, cercando di spegnere il fuoco. Ma non ci riuscivo, e lei continuava a gridare...» Deglutì. «E alla fine ha smesso.» «E allora ti sei ritirata nella tua foresta.» «Sì, mi sembrava la cosa migliore, in quel momento.» Trasse un profondo sospiro. «Sono stata una sporca egoista. Avrei dovuto restare per Jessica invece di diventare un fardello.» «Direi che ne avevi motivo.» Le strinse la mano. «E sono sicuro che Jessica lo può capire.» Non si era resa conto che le aveva preso la mano. Avrebbe dovuto ritrarla. Al diavolo! Non voleva farlo. La sua stretta era calda e forte e le trasmetteva un senso di sicurezza. Strano che uno sconosciuto potesse farle provare sensazioni così forti. «In ogni modo, quando sono tornata ho cercato di sganciarmi da Jessica. Sono andata al liceo, ho preso lezioni private, e poi mi sono iscritta all'università.» «Forse avresti fatto meglio a viaggiare e a divertirti per un po'.» «È quello che ho fatto. Ho corso, ho giocato a tennis, ho imparato a pilotare un aereo. Mi sono fatta buoni amici.» Sorrise. «Me la sono sempre spassata. Ecco che cos'è, apparentemente, la vita. Spassarsela. Ma Jessica aveva bisogno di sapere che ero una persona solida ed equilibrata. Non puoi immaginare com'è sconcertata per Cassie.» Incontrò i suoi occhi. «Allora, pensi di conoscermi abbastanza bene adesso, Travis?» Scosse la testa. «Ho idea di aver soltanto scalfito la superficie.» Le lasciò la mano e si alzò. «Ma è stato utile. Non pensavo che saresti stata così franca con me.» «Essere enigmatici è troppo complicato. Lascio volentieri a te questa parte.» Si sdraiò di nuovo. «Adesso spegni la luce e lasciami dormire.» «Buona notte, Melissa.» Spense la lampada e si diresse alla porta. «Travis.» «Sì.» «Perché sei tornato?» «Tu cosa ne pensi?»
«Credi che fare il padre confessore possa avvicinarci di più e indurmi ad avere fiducia in te?» «Mi vedi così machiavellico?» «Se fossi schietto con me come lo sono stata io, lo scoprirei.» «Be', hai scartato una delle ragioni più importanti.» «E quale?» «Non ho mai detto di non volerti scopare. Ho solo detto che non era mia intenzione.» Scoppiò a ridere. «E poi dici che non sei machiavellico. Vattene, Travis.» Lui era uscito, e lei stava ancora sorridendo. Era assolutamente impossibile... e troppo eccitante. Sentiva il sangue formicolare attraverso il suo corpo, la mente ronzare ed era sveglissima. Forse era venuto a trovarla soltanto perché, per qualche strana ragione, aveva voluto dissipare i suoi sospetti. Ma non era da escludere che avesse voluto schiudere la porta a un incontro sessuale. La sua ultima osservazione era stata provocatoria, oltre che divertente, e se lei avesse risposto in modo diverso forse avrebbe fatto dietrofront. L'idea era troppo intrigante. Che genere di amante sarebbe stato Travis? Respinse il pensiero anche se sentiva che il suo corpo era pronto. Si era già ripromessa di non far preoccupare Jessica, e non avrebbe agito alle sue spalle. Concentrati su come ti sei sentita sicura mentre ti stringeva la mano, disse a se stessa. Questo è un dolce pensiero platonico. Se Travis voleva fare l'amicone, benissimo. Era il sesso che disturbava la sua mente, oltre che i suoi sensi, e in quel momento aveva già abbastanza motivi di disturbo nella sua vita. Travis uscì tranquillamente dalla villa e scese i gradini del portico. Era stata una serata affascinante, soprattutto il tempo trascorso con Melissa Riley. Aveva pensato che la visita fosse stata programmata, ma si sbagliava. Era stata dettata dall'impulso, e lui non era un uomo impulsivo. Curiosità? Sì, era curioso, ed era stato ricompensato più di quanto si fosse aspettato. Melissa era probabilmente la persona più schietta e aperta che avesse mai incontrato. E la sua risata piena era stata sensuale come una mano che lo accarezza-
va. Una volta Jan aveva detto che un uomo dovrebbe ascoltare la risata di una donna per determinare quanto sarebbe stata brava a letto. Ebbene, lui non avrebbe probabilmente mai saputo com'era brava a letto Melissa Riley. Dato che sua sorella era così protettiva, sarebbe stato sconsigliabile muoversi in quella direzione. Ma per alcune cose valeva la pena di rischiare. Lascia perdere. Una volta aveva mentalmente paragonato Melissa Riley a un fuoco d'artificio, e non era il caso che innescasse più razzi di quanti ne aveva già innescati. La situazione era sufficientemente esplosiva. 8 «Karlstadt dice che ti darà venti milioni», asserì Jan van der Beck. «Non un dollaro in più.» «Se arriva a venti, arriverà anche a venticinque. Continua a giocare al rialzo.» «È semplice a dirsi, ma Karlstadt non si lascia convincere facilmente.» «Così ti guadagnerai il tuo trenta per cento.» «La sua cricca non esiterà a condurmi in un luogo appartato per cercare di farmi sputare dove sei.» «Non è una fortuna che tu non lo sappia?» «Per te, sarà una fortuna.» «Che cosa hai scoperto su Henri Claron?» «Niente di definito. Ma ci sto ancora lavorando.» «Sa qualcosa?» «Oh, sì. Henri non è un buon attore, ed è spaventato. Quasi quanto sua moglie. Continuava a guardarmi come se fossi il suo aguzzino.» «Se è così nervoso, mi sorprende che non sia stato eliminato.» «Potrebbe aver stipulato un'assicurazione.» Cambiò argomento. «Karlstadt si sta facendo molto nervoso. Ha saputo dei russi, e pensa che tu stia trattando anche con loro.» «Un po' di preoccupazione non ha mai fatto male a nessuno.» «Sì, invece, e questa volta potrei andarci di mezzo io.» «Ti prometto che non ti pianterò in asso.» «Se arriva a venticinque milioni chiudi la trattativa, e in fretta.» «Allora lavorami Henri Claron.» «Che cosa hanno a che fare l'uno con l'altro?»
«Tutto. Tutto deve quadrare alla perfezione per indurmi a tornare ad Amsterdam. Su, Jan, puoi farlo.» «Sto trattando con Karlstadt. Non ho tempo. Forse posso trovare qualcun altro per spremere Henri.» Sospirò. «Farò del mio meglio, Michael.» «Un'altra cosa. Puoi dare un'occhiata al Cavallo Alato?» «Cosa? Io non ti aiuterò a rubare la statua, Michael.» «Non voglio rubarla. Voglio solo sapere qualcosa sulla sicurezza, e se verrà mandata in giro per qualche mostra.» «Mi sembra molto sospetto. Scordatelo. Ho già un sacco di cose da fare.» «Be', più avanti, allora.» Travis mise via il telefonino e si avvicinò alla finestra. Karlstadt non era il solo a essere nervoso. Non aveva mai sentito Jan così turbato, e l'olandese non era tipo da perdere facilmente la calma senza motivo. Forse non avrebbe dovuto nominare il Cavallo Alato. Aveva però pensato che, visto che aveva trovato Cassie ai piedi della statua, era una strada che forse valeva la pena di seguire. Di solito, Jan avrebbe acconsentito, borbottando magari un po', ma il suo rifiuto adesso era stato netto. Ovvio, quindi, che era molto preoccupato. C'era ancora tempo, però. Finché contrattavano, Jan era salvo. Karlstadt sarebbe stato pericoloso solo quando fosse stato concluso l'accordo. A quel punto Travis avrebbe dovuto muoversi con la rapidità del lampo, per evitare che Karlstadt sospettasse un trucco. Nessuna luce accesa in camera di Cassie, quella sera. Era già stato lì per tre notti, quella settimana. Jessica l'aveva chiamato ogni volta che era iniziato un episodio di crisi, ed erano riusciti a ridurre la durata dell'ultimo a meno di quindici minuti. Che cosa sarebbe successo a Cassie Andreas quando lui se ne fosse andato? E come diavolo avrebbe fatto ad andarsene da lì, se non otteneva l'informazione su Vasaro da Henri Claron? Andreas non avrebbe neppure preso in considerazione la possibilità di lasciarlo andare. Aveva fatto dei piani ben precisi prima di arrivare lì, ma era ora di metterli a punto. Non voleva andarsene con Cassie sulla coscienza. Ma l'avrebbe fatto, se fosse stato costretto a scegliere? Non doveva arrivare a quel punto. Bisognava trovare un modo per riportare la bambina alla normalità e il problema si sarebbe risolto. Andreas avrebbe anche potuto sentirsi grato, avrebbe forse dimenticato di cercare i responsabili dell'attacco a Vasaro. La migliore di tutte le soluzioni, se...
Suonò il telefono. «Vieni subito», disse laconicamente Jessica. «È incominciato.» Guardò verso la casa. Era stato così assorto, che non aveva notato che si erano accese le luci. «Okay.» «Non lasciarmi», pregava Cassie. «I mostri non rimangono più per tanto tempo, Melissa.» «Non si farebbero neanche vedere, se tu ritornassi e permettessi a Jessica di aiutarti.» «Ho paura. È meglio stare qui.» «No, non è vero. È bellissimo fuori. Ricordi? Ti mostrerò tante belle cose.» «Ho paura. È bello qui. Potrei fartelo vedere... ma non riesco a trovarlo.» «Che cosa non riesci a trovare?» L'agitazione di Cassie stava aumentando. «Non riesco a trovarlo. È qui, ma non riesco a trovarlo.» «Che cosa?» «Dovrebbe essere qui.» Melissa temeva che, insistendo, avrebbe potuto far ripiombare Cassie nell'incubo. Era in grado di immedesimarsi nella bambina e scoprire quello che stava pensando? Rischioso. Le ultime volte era stato più facile separarsi da lei, ma non sapeva quel che sarebbe successo se avesse dato a Cassie quel che voleva. Oh, accidenti! Si avvicinò un po' di più, poi ancora un po' di più. Sentiva l'agitazione di Cassie, come immense ondate. Più vicino. Trovalo. Trova cosa? Un pensiero si staccò dagli altri e sfiorò Melissa. Oh, Dio. «No!» Si liberò in preda al panico, e salì vertiginosamente a spirale attraverso l'oscurità. Vattene. Vattene. Vattene. «Torna. Mi sento sola...» Melissa sentiva il cuore uscirle dal petto. Svegliati. Controllati. Jessica e Travis sarebbero presto entrati per sapere se c'era qualcosa che poteva rac-
contare. Mentire. Doveva mentire. Non poteva parlare di quell'obbrobrio. Respira a fondo e cerca di calmarti. Digli che è andato tutto bene. Lei e Cassie si stavano avvicinando anche quand'erano separate. Con il tempo sperava di riuscire a persuadere Cassie a tornare. Sarebbero stati lieti di sentirselo dire, così lieti che magari avrebbero scambiato la sua angoscia per normale stanchezza. Se no, avrebbe dovuto mentire. Travis apparve all'ingresso della villa alle quattro del pomeriggio successivo. «Dobbiamo parlare», disse a Jessica. «Dov'è Melissa?» «In camera sua a studiare. Che cosa c'è?» «Stiamo sprecando tempo. Dobbiamo trovare un modo per far tornare Cassie da noi.» «Che cosa pensi che abbiamo fatto finora?» «Non ci stiamo muovendo abbastanza in fretta.» Si diresse verso il fondo delle scale e gridò: «Melissa!» «Hai idea di come studia poco da quando è arrivata qui?» «È abbastanza intelligente per recuperare. Accidenti, è abbastanza sveglia per dare dei punti a tutti noi.» Cominciò a salire le scale. «Non mi ha sentito. Avevo dimenticato quelle solide porte di quercia. Su. Andiamo da lei.» «E perché, poi?» Lo seguì. «Stiamo facendo progressi. Hai sentito Mellie ieri sera.» «Sì, sprizzava entusiasmo.» Bussò alla porta della camera azzurra. «Guarda come sono educato.» Melissa aprì. «Sto studiando.» «Più tardi.» Entrò e sedette in una poltrona. «Ti dispiacerebbe andare a prendere tutta la roba che Andreas ha mandato qui con Cassie, Jessica? «Mi sorprende che tu l'abbia espresso sotto forma di richiesta. Ma ti sei dimenticato di dire per favore.» Jessica uscì dalla stanza. «A Jessica non piacciono gli ordini.» Melissa sedette sul letto e incrociò le gambe. «Sei fortunato che ti obbedisca. Che cosa hai in mente, Travis?» «Cassie. Dobbiamo fare un po' di brainstorming. Stiamo procedendo troppo lentamente.» Posò lo sguardo sul suo viso. «Che cosa sta succedendo?» «Non vuoi che Cassie si riprenda il più presto possibile?» «Che cosa sta succedendo?»
Sorrise. «Diciamo che non posso aspettare per anni che Cassie torni da noi, e tu mi hai detto che dovevo restare finché non si riprendeva.» «Ti sta succedendo qualcosa.» «Anche a te. Ieri notte era chiaro che stavi nascondendo qualcosa.» Si irrigidì. «Jessica non se n'è accorta.» «Perché vuole crederti. Vuoi parlarmene?» Non rispose. «Allora non farmi il terzo grado, Melissa.» «Eccoli.» Jessica portò quattro album di fotografie e diversi taccuini. «Ma li ho già passati tutti in rassegna.» «Non ho intenzione di ripercorrere lo stesso cammino.» Stava sfogliando un album. «Dimmi, che cos'hai fatto con questi?» «Non molto. Ho scelto alcune fotografie per mostrargliele e studiare le sue reazioni.» «Risultato?» «Niente, con nessun membro della famiglia. Una fotografia...» Girò le pagine finché la non trovò. «Cassie e la statua del Cavallo Alato. Ho avuto l'impressione che ci sia stato un... fremito.» «L'ho trovata con il Cavallo Alato, a Vasaro. È l'unica fotografia che ha riconosciuto?» «Non saprei. È l'unica per cui ho avvertito...» Si strinse desolata nelle spalle. «È difficile da spiegare.» «Allora potresti esserti sbagliata», osservò Melissa. «Come si può parlare di quel che prova Cassie? Un muscolo ha sussultato, o c'è stato un cambiamento d'espressione?» «Può darsi. Un po'. È stata solo... un'impressione.» «Allora potrebbe non essere vero.» Allungò una mano e girò la pagina. «Quali altre fotografie le hai mostrato?» Travis ritornò sulla pagina precedente. «Concentriamoci sulla fotografia del Cavallo Alato per un po', va bene?» Melissa strinse le labbra. «Perché? È solo una statua.» «Ma anche una notevole opera d'arte. È considerata uno dei tesori più preziosi del mondo. La famiglia Andreas sostiene che, da riferimenti storici, risulta che la statua è stata nelle mani di Alessandro Magno durante la prima campagna di Persia, poi è appartenuta a Carlomagno e, nel corso dei secoli, è passata a diverse famose figure storiche. Esistono leggende secondo le quali uomini e nazioni si sono sollevati e sono caduti a causa della presenza della statua sulla scena.»
«Idiozie.» «Per lo più le leggende lo sono.» Sorrise. «Ma questo non gli impedisce di essere affascinanti, e sono sicuro che hanno contribuito ad accrescere il valore della statua. La nostra cultura si lascia sedurre dalle favole.» «Io no. Dove vuoi arrivare?» «Non lo so, di preciso. So solo che Cassie deve essere corsa fuori dalla sua camera da letto per andare dritta dal Cavallo Alato, quella notte.» «Questo è ridicolo.» Melissa si alzò dal letto. «Tutti sanno che è corsa dalla sua istitutrice.» Incrociò le braccia sul petto e lo guardò truce. «È stupido pensare che sia corsa da un oggetto inanimato, in un momento del genere.» «Non ne sono sicura.» Jessica corrugò la fronte. «Suo padre ha detto che le era molto affezionata. Inventava storie sulla statua e giocava nella biblioteca dove lui la teneva.» «È stupido», ripeté furiosa Melissa. «La statua non ha niente a che fare con tutto questo.» «Come fai a saperlo?» Travis la guardò con espressione interrogativa. «Te l'ha confidato in uno dei suoi incubi?» «Mi sto solo comportando in maniera logica. Sembra che nessuno di voi capisca il significato del...» Si diresse verso il bagno. «Scusatemi.» Jessica sbatté le palpebre, mentre la porta si chiudeva dietro la sorella. «Be', nessuno può sostenere che Melissa non abbia opinioni precise.» «Hai mai discusso del Cavallo Alato con lei?» «Solo occasionalmente. Certo le ho parlato delle circostanze del trauma di Cassie.» Scosse la testa. «Sono sicura che non intendeva perdere la pazienza. È molto stressata ultimamente, e non voleva smettere di studiare.» «Non mi ha minimamente offeso.» Si appoggiò all'indietro. «Hai mai preso in considerazione l'idea di tornare a Vasaro, e ricreare la scena lì?» «No, se esiste un altro modo. Troppo traumatico. La cura potrebbe rivelarsi peggiore della malattia.» «Ma ci hai pensato?» «Le ho pensate tutte. Ma anche se volessi riportare Cassie a Vasaro, suo padre non lo permetterebbe mai.» «E questo potrebbe rappresentare un problema.» Rifletté un momento. «Che cosa mi dici del Cavallo Alato? Fa parte del quadro.» «Andreas l'ha prestato al Museo d'Andreas, a Parigi.» «Sto cercando di sapere se la statua verrà trasferita altrove, in un futuro prossimo.»
«Stai facendo questo?» Lo guardò, sorpresa. «Allora pensi che ci sia una relazione.» «Non lo so. Mi sto aggrappando a qualsiasi cosa, ma se potessimo condurla a Parigi, e fare in modo che...» «Il presidente non le permetterà di andare da nessuna parte finché non saranno stati presi i responsabili dell'attacco a Vasaro.» Lo fissò significativamente. «Non è compito tuo questo?» «Ci sto lavorando.» Sorrise, ricordando che quelle erano le parole che aveva usato Melissa. «Forse potremmo chiedere a Melissa di affrontare l'argomento del Cavallo Alato durante il prossimo incontro con Cassie.» «Dopo quella reazione?» «Persuadila.» Si alzò in piedi. «L'orologio fa tic tac. Se non ci sarà presto una svolta, potremmo essere costretti a un'azione radicale.» «Radicale? Le cose stanno andando bene. Non ho intenzione di buttare tutto all'aria.» Le lanciò un'occhiata seria. «Ti conviene farlo, Jessica.» Stava per vomitare. No, poteva fermarlo, si disse Melissa. Non che non fosse mai accaduto prima. Cerca di non pensarci e fa' le solite cose. Si chinò sul lavandino e si spruzzò la faccia di acqua fredda. Ma non era accaduto prima. Non così, perlomeno. I sogni erano sogni. Questa era realtà. Maledetto. Avrebbe dovuto sapere che Travis avrebbe scavato e indagato, finché non fosse riuscito a trovare una pista. Ma non ne avrebbe cavato niente. L'avrebbe fermato, gli avrebbe impedito di andare oltre. Occhi smeraldo che fissavano... Gesù... Corse alla toilette e vomitò. «Sei pallida.» Jessica osservava Melissa scendere le scale. «Stai bene?» «Sì.» Melissa sorrise. «Probabilmente ho studiato troppo. Sono rimasta rinchiusa in quella stanza tutto il giorno. Se vuoi fare qualcosa per me, prendimi una limonata e vieni a farmi compagnia sotto il portico. Ho bisogno di un po' d'aria, prima di rimettermi a sgobbare.» «Ne bevo volentieri un bicchiere anch'io.» Si diresse verso la cucina. «Esci. Ti raggiungo fra un minuto.» Melissa sedette sul dondolo e lo fece muovere dolcemente. Era una cal-
da notte afosa, sentiva le rane gracidare nello stagno dietro casa. Suoni estivi. Suoni di vita. Bellissimi... «Stai sognando a occhi aperti?» Jessica le porse il bicchiere e sedette accanto a lei. «Hai un aspetto migliore.» Melissa rise. «Non sono sicura che sia un complimento. È buio qui fuori.» «C'è la luna.» Melissa alzò gli occhi verso il cielo. «Sì, c'è.» Silenzio. «Mellie, perché ti sei spazientita prima?» chiese Jessica, esitante. «Mi aspettavo che me lo chiedessi. Ti sei preoccupata, vero? Hai pensato che mi stessi comportando in maniera irrazionale, e considerando il fatto che non sei sicura di quanto io sia equilibrata, è...» «Questo non è vero. So che non c'è niente di sbagliato in te. Mi sono semplicemente chiesta perché ti sei tanto arrabbiata.» «Immagino che avrai fornito a Travis ogni genere di scuse, per il mio scivolone.» «Ovvio. Forse un paio potrebbero anche essere azzeccate.» Sorseggiò la limonata. «Non ci sono mai stati segreti fra noi. Parlami, Mellie.» Non era vero. Ce n'erano stati molti, invece, da quando era ritornata da quell'altro mondo, ma era contenta che Jessica non fosse mai stata consapevole di quella mancanza di fiducia. «Non mi crederesti se ti dicessi che ero realmente...» Scosse la testa. «E va bene, non voglio che Travis si interessi troppo al Cavallo Alato.» «Perché no?» «È come un rullo compressore. Quando si mette in testa qualcosa, nulla lo può fermare.» «Questo non è sempre negativo.» «Può darsi. A volte la gente viene trasportata in posti dove non dovrebbe essere. Basta una spinta, e le cose cominciano a cadere... come le tessere del domino.» «E che cos'ha a che fare, tutto questo, con il Cavallo Alato?» «È ciò che sta cercando di scoprire Cassie nel tunnel.» Jessica si irrigidì. «Ne sei sicura?» «Oh, sì.» «È un dato positivo. Possiamo costruire su questo. Forse l'idea di Travis di servirsi del Cavallo Alato non è così sbagliata, se riusciamo a escogitare un modo per...»
«No.» Melissa cercò di moderare l'asprezza del suo tono. «Tu non capisci. Non è... è una brutta... sensazione. Approfondire potrebbe nuocere a Cassie.» «È spaventata?» «Perché aprire quel vaso di Pandora?» rispose sibillina. «So che sei preoccupata per la bambina, ma non capisci tutti i risvolti psicologici della sua condizione. Dovrai fidarti di me, per riuscire a districare la matassa.» «Dimentica la statua.» «Non riesco a dimenticare nulla di quello che potrebbe aiutare Cassie. Neanche tu devi, Mellie. Dobbiamo lavorare insieme.» «Ma se non credi nemmeno a quello che ti dico sugli incubi di Cassie.» «Ho qualche problema al riguardo, lo ammetto. Ma credo a quello che mi dici a proposito del Cavallo Alato, perché quando le ho mostrato la fotografia, ha...» «Hai detto che non hai notato una vera reazione.» Sorrise in modo beffardo. «Che cosa sei diventata? Una specie di spettro come me?» «Non è vero. Non ti ho mai considerata uno spettro.» S'interruppe. «Il Cavallo Alato è l'unica pista che abbiamo. Dobbiamo seguirla, Mellie. Voglio che tu mi prometta che non cambierai argomento se Cassie lo toccherà.» Melissa non rispose. «Ti prego.» Jessica sospirò. «Dobbiamo aiutare questa bambina, e non so da che parte incominciare.» Che differenza faceva? pensò stancamente Melissa. Le tessere del domino stavano cadendo, e lei non poteva fermarle fingendo che non esistessero. «Non incoraggerò l'argomento, ma non lo respingerò. Ti basta?» «Mi basta.» Jessica si chinò in avanti e le baciò la guancia. «Grazie.» Si raddrizzò. «Adesso passo a controllare Cassie, e poi vado a letto. Vieni dentro?» «Fra poco.» «Non studiare fino a tardi.» «No.» Si appoggiò al dondolo. «Buona notte.» «Speriamo che sia così, per entrambe.» Jessica entrò in casa. La conversazione era stata un fiasco completo, pensò Melissa disperata. Aveva sperato che, introducendo l'elemento minaccia, Jessica abbandonasse l'idea del Cavallo Alato. Non aveva tenuto nel debito conto l'ossessione di Jessica di riportare indietro Cassie. Se Melissa non avesse toccato l'ar-
gomento, forse l'interesse di Jessica non sarebbe stato così stuzzicato. O forse non avrebbe avuto importanza. Destino? Al diavolo il destino. Quello era un pensiero disfattista. Travis non si basava certamente su un capriccio, per dare forma al suo destino. Stava già cercando di trovare un modo per ottenere la torta e mangiarsela. Adesso, a causa della sua goffaggine, poteva aver attirato Jessica nel campo di Travis. In cuor suo Jessica avrebbe sempre considerato Melissa come la bambina dipendente che era stata in tutti quegli anni. Nella portineria le luci erano accese. Restavano spesso accese per buona parte della notte. Negli ultimi giorni aveva imparato che Travis raramente dormiva più di quattro ore per notte e che era un gran lettore. Che stesse leggendo i libri che gli erano stati consegnati il pomeriggio prima? Insaziabile curiosità e sete di conoscenza potevano essere qualità pericolose in un nemico. Era la prima volta che ammetteva con se stessa che Travis poteva essere un avversario. Aveva diffidato di lui, ma non aveva mai pensato che potesse metterla di fronte a una sfida che non era in grado di affrontare. In uno strano modo, aveva sentito una sorta di legame con lui. Pazzesco. Era probabilmente un'estensione della fiducia che Cassie nutriva per quell'uomo. Ma le erano piaciute le loro argute dispute, e aveva ammirato la sua acutezza e la sua capacità di intuizione. Adesso non le ammirava. Il suo intuito veniva usato troppo vicino a casa. Aveva strappato dalle tenebre e portato alla luce il Cavallo Alato. Poteva affrontarlo. Respingi il panico. Se non fosse stata abbastanza forte si sarebbe concentrata, avrebbe imparato, e sviluppato le sue capacità. Sperava solo di avere abbastanza tempo. 9 Lione «Non aprire», disse Danielle Claron. Il campanello suonò di nuovo. Henri si diresse alla porta. «Non essere sciocco», insistette lei. «È se fosse van der Beck? Sarei sciocco a non aprire. Ne abbiamo già discusso, Danielle. Dobbiamo lasciare Lione, e non ho intenzione di andarmene povero.» «Preferiresti andartene in una bara?»
«Non mi sono sempre preso cura di te? In questi ultimi dieci anni non ti è mai mancato il cibo sulla tavola, ma adesso abbiamo l'occasione di vivere come meritiamo.» «Sono io che ti ho offerto quest'opportunità. E ti sto dicendo che non dovresti...» Il campanello suonò di nuovo. «E va bene, apri. Ma sta' attento.» Danielle si inumidì le labbra. «Non avremmo mai dovuto lasciarci coinvolgere. Non avevamo bisogno di altro denaro.» «Non ti sei mai lamentata, prima. Questo affare non è diverso dagli altri, solo più grosso. Adesso lasciami contrattare.» Lei si avviò verso la camera da letto. «Credimi, non ho alcun desiderio di restare qui.» «Bene. Sei troppo trasparente. Ho visto van der Beck osservarti quando era...» D'un tratto si tese, mentre guardava attraverso lo spioncino. Non era van der Beck. Era uno sconosciuto, alto, biondo, massiccio, sulla trentina. «Sì?» «Monsieur Claron?» L'uomo sorrise. «Il mio nome è Jacques Lebrett. Sono stato mandato da Jan van der Beck. Ho qualcosa per lei.» «Perché non è venuto di persona?» «È molto occupato. Credo l'abbia informata che forse avrebbe mandato qualcun altro.» Van der Beck aveva accennato a quella possibilità, in effetti, ma Claron era lo stesso a disagio. «Dica a van der Beck che se vuole avere la...» «Sta conducendo delle trattative molto delicate.» Lebrett aprì la sua cartella e la alzò perché fosse visibile attraverso lo spioncino. «Ma non è così occupato da non farle avere i fondi richiesti per la sua informazione.» Denaro. Pacchetti e pacchetti di franchi. Non ne aveva mai visti tanti. «Possiamo parlare, Monsieur Claron?» Tanto denaro... Henri girò la chiave e aprì la porta. «Entri.» «Grazie.» L'uomo sorrise. «Sono sicuro che troveremo un accordo.» La moglie era riuscita a scappare. Poco male. Edward Deschamps aveva messo fuori uso la macchina nel viale, e la casa distava alcuni chilometri dalla strada. Henri Claron era morto troppo facilmente, ma rintracciare sua moglie sarebbe stata una sfida. Era stata necessaria quest'uccisione. Da troppo tempo stava dando la
caccia a Travis, e la cosa lo rendeva nervoso. Quando la necessità di togliere di mezzo i Claron si era resa evidente, aveva colto l'occasione al volo. Deschamps lavò il coltello insanguinato, pulì via con cura le sue impronte dal lavandino, poi fece un giro della casa. Non che queste precauzioni servissero molto. Le perizie medico-legali gli rendevano difficile fare il suo lavoro, oggigiorno. Ma lui lo faceva come gli era stato insegnato da ragazzo. Non era facile scrollarsi di dosso le abitudini. Uscì dalla casa ed esaminò il cortile e i boschi circostanti. Da che parte si sarebbe diretta? Attraverso i campi che portavano all'autostrada? No, i boschi. Doveva aver pensato di potersi nascondere tra gli alberi. Ma l'avrebbe trovata. Questo era il suo campo. Era sicuro che Claron avrebbe aperto la porta. Il denaro era sempre la chiave giusta. Alcuni bigliettoni, autentici solo nella parte superiore, e quell'uomo aveva pensato di essere ricco. Che stupido! Scese i gradini che portavano nel cortile della fattoria, e accese con l'accendino la candela che aveva portato con sé. La gettò sulle assi del portico imbevute di benzina. Il rogo avvolse la casa in pochi minuti. «Henri Claron è morto», disse van der Beck. «Cosa?» La mano di Travis strinse il ricevitore. «Come?» «La sua casa è stata distrutta dalle fiamme, ma la polizia ritiene che fosse morto già prima che divampasse l'incendio. Non hanno ancora trovato la moglie.» «È fuggita?» «Forse. Ma se l'ha fatto, si è scavata la fossa con le sue mani.» «Se è viva, devo sapere dove si trova. Hai detto che era nervosa come il marito. C'è una buona probabilità che sapesse quel che sapeva lui. O forse di più.» «Credi che rischierà di farsi tagliare la gola, dopo quel che è successo a Henri?» «Talvolta paura o vendetta sono uno stimolo più efficace del denaro. Cerca di trovarla, Jan.» «Ho già cominciato.» Fece una pausa. «Ieri ho individuato due microspie nel mio appartamento. Non c'erano tre giorni fa, quando ho effettuato l'ultimo controllo.» Travis si irrigidì. «Karlstadt?»
«Forse. O magari la CIA. Ma le microspie erano cinesi. Non sembrava un lavoretto della CIA.» A Travis la cosa non andava. Gli eventi stavano prendendo una brutta piega, e la pressione cui era sottoposto stava aumentando. «E che mi dici dei negoziati con Karlstadt?» «È arrivato a ventitré. Che ne diresti di accettare?» «Devo pensarci.» «Bene. Ho un brutto presentimento, riguardo a questa vicenda di Claron. Trovo curioso che sia stato assassinato prima che potessi portare a termine la nostra transazione. Mi chiedo se non ci sia un'incognita, in tutto questo, e più vicina di quanto mi faccia piacere pensare.» Tacque un altro istante. «E credo che qualcuno mi stia seguendo.» «CIA?» «Oh, anche loro. Due uomini, Porsche verde. Li ho individuati tre giorni dopo che sei partito da Amsterdam. Ma ho il sospetto che dietro ci sia qualcun altro.» «Hai visto qualcuno?» «No, ma sento quello strano pizzicore alla nuca.» «Una prova inconfutabile.» «Sufficiente, almeno per me. Come sai, mi ha salvato la vita parecchie volte. C'è troppa tensione. Credo che prenderò la mia parte e andrò a farmi una lunga, lunga crociera. Chiamami quando hai deciso. Ciao, Michael.» «Aspetta.» Ventitré milioni erano una cifra sufficiente, e non gli piaceva il modo in cui si stavano mettendo le cose per Jan. «Accetta l'offerta.» «Bene.» Jan tirò un sospiro di sollievo. «Karlstadt vorrà effettuare subito la consegna.» «Tienilo a bada.» «È come cercare di tenere a bada un cobra che sta per addentrare la preda. Detesta discutere per...» «Non abbiamo scelta. Qui ho qualche problema.» «Quattro giorni al massimo. Ti avverto, Karlstadt esploderà.» «Ti telefono.» Jan scoppiò a ridere. «Non credevo che ti saresti arreso a Karlstadt. Ti stai ammorbidendo, Michael?» «Può darsi. Non fai che ripetermi che è un osso duro.» «Oh, non credo che tu abbia paura di lui. Penso piuttosto che tu sia preoccupato per me. Approvo.» «Perché dovrei esserlo? Tu hai il tuo magico pizzicore alla nuca che ti
protegge.» Riagganciò. Quattro giorni. Come diavolo avrebbe fatto a trovare un modo per andarsene da lì in quattro giorni? Le barriere erano insormontabili. Cassie. Andreas. La sicurezza. E Jessica e Melissa Riley. Le due donne avrebbero potuto rivelarsi l'ostacolo principale. Be', gli ostacoli erano fatti per essere superati. Un'idea gli era già balenata per la mente, ma stava cercando di trovare un'altra soluzione. Era sporca. Molto sporca. Ma anche la situazione ad Amsterdam era brutta, e quella era la sua vera vita, non questa pausa a Juniper. Jan non era uno sprovveduto, e se pensava che ci fosse un pericolo, allora la minaccia esisteva veramente. La sua vita poteva essere a rischio. Toccava a Travis agguantare il denaro e mettere in salvo entrambi dai russi e da Karlstadt, e questo era appunto quel che doveva fare. Jan l'aveva accusato di essersi ammorbidito. Ironia della sorte. Avrebbe cambiato idea, se avesse saputo come Travis stava progettando di andarsene da lì. Sporca... Il sole stava tramontando quando Jessica aprì la porta a Travis. «Posso parlarti?» chiese lui. Lo guardò stupita. «Entra. Qualcosa non va?» «Niente che non possa essere risolto. Preferirei non entrare in casa. Perché non facciamo una passeggiata fino al lago?» «Devo tornare da Cassie. Stavo facendo soltanto la mia pausa per il pranzo.» «Cercherò di non impiegarci troppo.» Lei esitò. «Ti concedo quindici minuti.» Lo seguì lungo i gradini. «Anch'io volevo parlarti. Ho fatto una chiacchierata con Mellie, ieri sera. Mi ha detto che il Cavallo Alato era ciò che Cassie stava cercando nel tunnel. Ma lei sembra convinta che Cassie non approderà a niente di buono seguendo questa pista.» «E tu cosa ne pensi?» «Che ci dobbiamo aggrappare a qualsiasi cosa per aiutarla. Ho fatto promettere a Mellie che non cercherà di distogliere l'attenzione di Cassie dalla statua.»
«Immagino che non ne sia stata troppo felice», mormorò lui. «Ma ha acconsentito.» Lo guardò. «Non sembri sorpreso.» «Credo sapessimo entrambi che la reazione di tua sorella era stata un po' eccessiva.» «Allora perché non hai indagato?» «Perché avrei dovuto? Sapevo che l'avresti fatto tu e ti saresti risentita se l'avessi accusata di qualcosa.» «Sì, sarebbe andata così.» Si fermò. Erano arrivati al lago. «Non intendeva fare nulla di male. Cercava solo di proteggere Cassie.» «E questo preoccupa anche te.» «Naturalmente.» «Devi amare molto tua sorella...» «Non è un segreto.» «E non vorresti che le accadesse niente di brutto.» Si irrigidì. «Mio Dio, stai minacciando Mellie?» «Sì, credo di sì.» Si girò a guardarla. «Devo andarmene al più presto da qui. Devo tornare ad Amsterdam. Ma vorrei condurre te, Melissa e Cassie con me. È l'unico modo che ho per andarmene con la coscienza a posto.» Storse le labbra. «E ammetto che, con il tuo consenso, filarsela sarebbe più facile.» Jessica si sentì cogliere dal panico. «Tu non puoi andartene.» «Non ho scelta.» «Eccome se ce l'hai. Andreas non te lo permetterà.» «Devo, Jessica.» «Cassie morirà.» «Non se verrà con me.» «E Mellie.» «Sta diventando più forte. Potrebbe sopravvivere, anche se Cassie non ci riuscisse.» «Maledetto bastardo.» Si portò la mano tremante alle labbra. «È pazzesco. Per l'amor del cielo, stai parlando di rapire Cassie. Ti troveranno, ti rinchiuderanno, e butteranno via la chiave.» «No, se troveremo il modo di guarirla.» «Troveremo? Credi che io abbia intenzione di lasciarmi coinvolgere in questa follia criminosa?» «Hai un'alternativa? Sei molto legata sia a Cassie sia a Melissa. Non vorrai che gli succeda qualcosa.» «Non gli succederà niente.» Lo guardò truce. «Resterai, e continueremo
nel modo in cui abbiamo incominciato.» «Non è così facile come pensi.» «Che cosa vuoi dire?» «Che se Cassie avrà un incubo non verrò ad aiutarla.» «Che cosa?» Lo fissò, incredula. «Non puoi farlo.» Scosse la testa. «Puoi essere un bastardo, ma non puoi rifiutarti di aiutare Cassie quando soffre.» «È una responsabilità tua. Ti ho già detto che sono disposto ad aiutarla... ma alle mie condizioni. «Stai bluffando. Non sei così insensibile.» «Quando devo, so esserlo più di quanto tu possa immaginare.» La fissò dritto negli occhi. «Tu credi che stia bluffando, Jessica?» Oh Dio, temeva proprio di no. La sua faccia era priva di espressione, ma i suoi occhi... Aveva imparato a conoscerlo, nelle ultime settimane; non sarebbe stato capace di lasciar sprofondare Cassie in un incubo senza aiutarla. «Stai bluffando», ripeté. «Mi dispiace. Speravo di facilitare le cose a tutti quanti. Non ne parlerei con Melissa. Servirebbe solo ad agitarla. Dopotutto, sei tu che stai lanciando i dadi, anche per il suo bene.» «Farò come più mi aggrada.» «No, farai quel che è meglio per le persone che ami. È su questo che sto contando.» Strinse le mani a pugno mentre lo osservava allontanarsi. Maledetto. Maledetto. Stava bluffando. Non poteva che essere così. La notte successiva si accesero le luci nella camera di Cassie. Il telefono nella portineria squillò. «Vieni», disse Jessica. «Incubo?» «Sì.» Riagganciò. Non richiamare. Non andare alla villa. Non pensare alla bambina. Tornò alla finestra. E attese.
Trenta minuti dopo vide Jessica correre lungo il viale. Aprì la porta e l'aspettò. «Maledetto bastardo.» Lacrime le rigavano le guance. «Bastardo.» Lo afferrò per il braccio. «Vieni con me.» «No.» «Devi venire...» «Non devo fare un bel niente. Faccio quello che ho scelto di fare.» «Farò venire qui Fike per trascinarti a casa.» «E io resterò seduto nella poltrona accanto al suo letto e non dirò una parola.» «Non può essere...» Lo fissò, incredula. «Può essere. Mio Dio, lascerai che Mellie e Cassie...» Si volse e rifece il viale di corsa fino a casa. Mio Dio, si sentiva male. Non cedere. Sei arrivato fin qui. Se stasera cedi, dovrai farlo anche domani e dopodomani. Cinque minuti. Dieci minuti. Il telefono suonò. «Va bene, bastardo.» La voce di Jessica era scossa. «Farò tutto quel che vuoi. Ma vieni qui subito.» Era stato anche peggio di quanto avesse immaginato. «Che cosa è successo, Jessica?» La voce di Melissa era fievole. «È durato così tanto...» Jessica non rispose, mentre le sentiva il polso. «Come ti senti?» «A pezzi. Non è venuto... Ci ha impiegato tanto...» «Il battito è ancora un po' irregolare, ma si sta normalizzando.» Tirò la coperta attorno alle spalle di Melissa. «E anche Cassie sta bene.» «Non è vero. Si è abituata a dipendere da lui. Ho cercato di parlarle, ma non mi ha... accettata. Quando sono parte di lei, sono parte del terrore... non della salvezza.» Fece una pausa. «È lui... che identifica come salvatore.» «Bel salvatore!» Scostò i capelli dalla fronte di Melissa. «Posso stare tranquilla se ti lascio e torno da Cassie?» «Certo. Dov'era, Jessica?» «È arrivato con un po' di ritardo.» «Male...» I suoi occhi si chiusero. «Molto male. Eravamo così spaventate. Non avrebbe dovuto farlo.»
«È stato riprovevole.» Jessica si diresse alla porta. «Ma non accadrà più. Non ci saranno ritardi la prossima volta.» «Meglio. Non... riuscivamo più a respirare, e ci faceva male il cuore...» «Non accadrà più», ripeté Jessica, e chiuse la porta dietro di sé. Maledetto figlio di un cane! Sbatté le palpebre per mandare indietro le lacrime e si avviò lungo il corridoio verso la camera di Cassie. Fike si staccò dal muro. «Accidenti, speravo che la bambina stesse meglio. Non l'ho mai sentita gridare così.» «Adesso è tranquilla.» «Il signor Travis è ancora lì con lei. Di solito è di aiuto in questi frangenti.» «Di solito.» «Mi ha detto che questa volta l'aveva quasi persa. Incrocio le dita perché si riprenda.» «Grazie, Larry. Sono sicura che sarà così.» Aprì la porta ed entrò nella stanza. Travis era seduto sul letto di Cassie, e alzò lo sguardo verso di lei. «Come sta Melissa?» «Come pensi che stia?» Strinse le mani di Cassie. «Buona notte, tesoro. Ci vediamo presto.» Si alzò e si spostò per non farsi sentire da Cassie. «Melissa è probabilmente stanca e molto debole. Sbaglio?» Le sue mani si strinsero a pugno. «Avresti potuto ucciderle.» «Ma tu non me l'avresti permesso.» «È su questo che facevi conto. Sul fatto che avrei ceduto per impedire loro di soffrire, e magari di morire. Come hai potuto?» «Necessità.» «Bella risposta!» «Pensala come vuoi. Abbiamo tutti i nostri problemi.» «Allora perché ti sei immischiato nei nostri?» «Mi hai invitato tu. Puoi onestamente dire di non aver apprezzato il mio aiuto? Quando non sono venuto, stasera, non ho fatto altro che lasciar tornare le cose esattamente com'erano.» «Perché potessi fare a modo tuo.» «Già.» La guardò dritto negli occhi. «Spero che tu non mi costringa a rifarlo. Perché lo rifarò, Jessica.» «So che ne saresti capace.» Incrociò le braccia sul petto, per impedirsi di tremare. «E non appena troverò il modo di fare a meno del tuo aiuto, ti
scaricherò senza pensarci. Spero che ti sbattano in galera per i prossimi cent'anni.» «Faresti meglio ad accertarti che Cassie sia guarita, prima. Credo che sia meglio per te avermi a portata di mano. Hai detto qualcosa a Melissa?» «No, solo che non succederà più. Ma non sarà soddisfatta della mia risposta, una volta che si sentirà meglio.» «Allora dovrai tenerla all'oscuro di tutto. Melissa è perfettamente in grado di mettermi il bastone tra le ruote, e questo sarebbe un danno per tutti noi.» «Non le mentirò.» «Preferisci lasciarla qui, dove non puoi tenerla d'occhio? Non so se riuscirebbe a entrare in contatto con Cassie a distanza, ma non vorrei correre il rischio di non poterla monitorare.» S'interruppe. «Ma forse tu sì.» «Stronzo!» «Non credo.» Si avviò alla porta. «Ti conviene affrontare la cosa nel modo giusto.» «Aspetta.» Si girò a guardarla. «Tutto questo ha un prezzo, anche per te. Collaborerò, ma voglio che tu mi prometta che, se ce ne andremo da qui, non ci pianterai in asso ad Amsterdam.» «Ti ho già detto che non lo farò.» «E poi voglio che tu prenda accordi per condurre Cassie dal Cavallo Alato, e ti assicuri che possa trascorrere un po' di tempo con lui.» «Questo non sarà facile. E perché dovrei? Ho già vinto, Jessica.» «Perché ce lo devi, bastardo.» Rimase zitto per un momento. «Un punto a tuo favore. Va bene, te lo prometto. Sappi, però, che se ci sorprendessero al museo potrebbero spararmi o mandarmi in galera. In entrambi i casi, le cose si metterebbero male per tutti.» «Ne varrebbe quasi la pena.» Scosse la testa. «Non dici sul serio.» Aveva ragione. Non avrebbe sacrificato Cassie e Melissa per punire Travis. Lo guardò disperata. «È tutto così folle. Non puoi andartene da qui.» «Sì che posso. Ma non ti piacerà il modo in cui lo farò.» Si irrigidì. «Che cosa vuoi dire?» «Se te lo dico, ti metterai a discutere e ti preoccuperai, finché non succe-
derà.» «Hai intenzione di uccidere qualcuno?» «No, se non cercheranno di uccidere me. Ti metterò al corrente del piano quando staremo per muoverci.» Uscì dalla stanza. Cielo, in che guaio si stava cacciando? Se non gli avessero sparato, sarebbero stati inseguiti come criminali. Sarebbero stati criminali, e non pensava che Jonathan Andreas si sarebbe mostrato indulgente, là dove era coinvolta sua figlia. E se la fuga non fosse riuscita, sarebbe stato tutto vano. Sarebbe finita in prigione e Cassie e Melissa avrebbero potuto morire. Alla fin fine, doveva fare in modo che tutto filasse come aveva previsto Travis. La posta in gioco era troppo alta. Chissà se lui avrebbe mantenuto la sua promessa di aiutare Cassie... Sperava solo che nessuno ci rimettesse le penne. 10 Il telefono nella portineria squillò alle 12.17 di due notti dopo. «Un altro incubo. Vieni subito», disse Jessica. «E niente scherzi stanotte, Travis.» «Gli scherzi sono finiti. Ti raggiungo immediatamente.» Due minuti dopo Travis percorreva il corridoio. Larry Fike era preoccupato. «Si direbbe di nuovo una brutta nottata. Buona fortuna.» Travis annuì, cupo. «Ne avremo bisogno.» Il grido di Cassie fendette l'aria non appena aprì la porta della stanza. «Da quanto dura?» chiese Travis, avvicinandosi al letto. «Dieci minuti», rispose Jessica. «Per fortuna sei venuto subito.» Prese le mani di Cassie. «Vieni qui, Jessica.» Lei si avvicinò. «Che cosa c'è?» chiese. Non la guardò. Ma disse sottovoce: «Trova una scusa per mandare via Teresa». Lo fissò, sbalordita. «Subito.» Si girò verso Teresa, che era in piedi vicino alla porta. «Va' a prendermi una siringa nell'armadietto dei medicinali al pianterreno.» «Credi che ne avrai bisogno?» «Spero di no. Ma voglio essere preparata. Va' a prenderla.» Teresa corse fuori dalla stanza.
«Quanto ci impiegherà?» chiese Travis. «Non lo so. L'ultima volta che ho guardato, non ce n'erano in quell'armadietto. Si guarderà un po' in giro, poi andrà a prenderne una al terzo piano.» Cassie gridò. «Fa' qualcosa. Parlale.» Travis lasciò le mani della bambina e si alzò. «Che cosa stai facendo? Parlale.» «Ce ne andiamo, Jessica.» Si irrigidì. «Non prima che tu ti sia preso cura di lei.» Aprì la giacca, tirò fuori il suo laptop e lo infilò nella borsa di Jessica. Cassie gridò di nuovo. «Parlale. Non vedi che sta soffrendo? Sta gridando, maledizione.» Con una strana calma, Travis disse: «Deve farlo, Jessica». «Che cosa?» «Gridare. Non posso aiutarla.» «È per caso un gioco di potere? Ti ho detto che avevi vinto.» Chiuse la borsa. «No, non lo è.» «Sta male. E anche Mellie.» «Corri in corridoio e di' a Fike che abbiamo un'emergenza. La crisi è troppo brutta e tu vuoi un'ambulanza per trasportarla all'ospedale. Dagli questo.» Le porse un pezzo di carta. «È il numero del Pronto Soccorso del Shenandoah General, l'ospedale più vicino.» «Non puoi fare questo a Cassie.» «E di' a Fike di informare il presidente.» «Parlale.» «Non ancora. Prima la infili nell'ambulanza, e prima potrò aiutarla.» Le diede una spinta. «Va' da Fike.» «Maledetto.» Si precipitò nel corridoio singhiozzando. Un altro urlo di Cassie. Conteneva tutta l'angoscia e la paura che poteva provare un bambino. E Travis avrebbe potuto impedirlo. Dio, come avrebbe voluto farlo. Si avvicinò alla finestra e fissò il cancello di ferro attraverso il quale sarebbe arrivata l'ambulanza. Stava avvolgendo Cassie in una coperta quando Jessica rientrò nella stanza. «E Fike?» le chiese. «Ha chiamato l'ospedale. Sta parlando con Andreas adesso. L'ambulanza
dovrebbe essere qui fra dieci minuti.» «Va' a prendere tua sorella e caricala sull'ambulanza.» «E secondo te, come dovrei fare a rimetterla in piedi? Probabilmente si trova nello stesso stato di Cassie.» «Questo è un tuo problema.» Sollevò la bambina. «Ho già il mio bel daffare.» «Non funzionerà. Può darsi che tu riesca a uscire dai cancelli, ma ci saranno uomini della sicurezza all'ospedale.» «Funzionerà, invece», disse lui, passandole accanto. «Porta giù Melissa.» Fike era fuori in corridoio. «Posso aiutare?» Cassie urlò di nuovo e lui trasalì. «Cristo, quella povera bambina.» Travis annuì. «Può accertarsi che ci sia un servizio di sicurezza, all'ospedale.» Si avviò lungo il corridoio. «E una macchina dei suoi uomini che seguano l'ambulanza.» «Dell'ospedale ci siamo già occupati.» Fike lo precedette, scendendo di corsa le scale. «Ma può scommettere che sarò sulla macchina che seguirà la bambina.» «Bene.» «Che cosa stai cercando di fare?» mormorò Jessica, sbalordita. «In questo modo penseranno che siamo una squadra.» Sentì l'urlo lontano di una sirena. «Ecco l'ambulanza. Porta giù Melissa.» Cassie stava per essere sistemata sull'ambulanza mentre Jessica aiutava Melissa a scendere la scala anteriore. «Dio mio», mormorò Fike quando vide la faccia sconvolta e rigata di lacrime di Melissa. «Che cos'ha...» «Sa quanto sono affiatate, lei e Cassie.» Jessica spinse la sorella sull'ambulanza. «Vuole andare all'ospedale con lei.» Montò sull'ambulanza e si voltò verso Teresa. «Ti telefono dal Pronto Soccorso.» Il paramedico chiuse rumorosamente la portiera e girò attorno al veicolo per andare a sedersi davanti. L'ambulanza percorreva il viale all'impazzata, con le sirene spiegate, seguita dall'auto degli agenti della sicurezza. Jessica si rivolse a Travis. «Adesso aiutala», disse furiosa. Travis si inginocchiò accanto a Cassie, prese le mani di lei tra le sue e cominciò a parlarle. Dopo cinque minuti la bambina era più calma, e Jessica sentì che la tensione la abbandonava. Qualunque cosa fosse capitata loro, Cassie e Melis-
sa si stavano rilassando. Travis controllò l'orologio. Si alzò e guardò fuori dal finestrino posteriore, verso la macchina che li seguiva. «Troppo vicino», borbottò. Improvvisamente, l'ambulanza prese velocità. Jessica cadde a terra, mentre il veicolo imboccava sgommando una curva a gomito. Scarpata da una parte. Versante scosceso dall'altra. Travis guardò di nuovo fuori dal finestrino. Almeno duecento metri li separavano dalla macchina, ora. L'ambulanza cominciò a salire velocemente la collina; davanti a loro si delineò un boschetto. «Forza, forza», mormorò. «Adesso.» La strada alle loro spalle esplose. Cinquanta metri di cemento volarono in aria. La macchina di scorta sterzò per evitare la voragine che si era formata nell'asfalto, e finì fuori strada, giù dalla scarpata. L'ambulanza si inoltrò tra gli alberi. «Tieni stretta tua sorella.» Travis tratteneva Cassie mentre l'ambulanza sobbalzava sul terreno accidentato. Jessica afferrò Melissa. Il veicolo si fermò stridendo, e la portiera posteriore si aprì. «Cominciavo a essere in pensiero», disse Travis, raddrizzandosi. «Viaggiavamo troppo vicini, Galen.» «Mi dispiace. Non è stato facile sistemare quelle cariche e deviare il traffico. Non sono abituato a dovermi preoccupare di possibili vittime innocenti.» Un uomo in jeans e maglietta armeggiava per tirare giù la barella dall'ambulanza. «È questa la bambina che potrebbe farmi perdere la testa?» «Puoi scommetterci, se non decolliamo fra due minuti.» Saltò giù anche lui dal veicolo, e aiutò Melissa a scendere. «Quegli agenti della sicurezza sono in gamba. Credo che abbiamo quattro minuti di vantaggio.» Gli occhi di Galen erano su Melissa. «E lei che cos'ha?» «È una lunga storia. Occupati di Cassie.» Sollevò Melissa e la trasportò fino all'elicottero. «Vieni, Jessica.» Per quanto stordita dalla rapidità degli eventi, Jessica ubbidì. L'autista dell'ambulanza e il paramedico stavano già salendo sul velivolo. L'uomo che Travis aveva chiamato Galen adagiò delicatamente Cassie e spinse dentro Jessica. Poi fece un cenno con il braccio al pilota. «Via.» L'elicottero si alzò in volo sopra gli alberi proprio mentre la macchina degli agenti della sicurezza raggiungeva la radura. Jessica vide con orrore che Fike saltava a terra ed estraeva la pistola.
«Non preoccuparti», disse Travis. «Nessuno sparerà, quando sapranno che a bordo c'è la figlia del presidente.» Aveva ragione. Non partì un colpo. Pochi secondi dopo erano fuori portata. Cassie gridò e Galen ebbe un sussulto. «Merda.» «È piombata di nuovo nell'incubo. Non ho avuto il tempo di tirarla fuori completamente.» Travis si avvicinò a Cassie. «Quanto ci resta prima di atterrare?» «Dieci minuti. Dovremo prendere un aereo.» Cassie gridò di nuovo e Galen non riuscì a controllare la sua espressione di disappunto. «Fa' qualcosa. Sembra che stia molto male.» Travis cominciò a parlare a Cassie. Jessica strinse Mellie tra le braccia e lo osservò. Dolcezza. Forza. Determinazione. Come poteva cambiare così, da un momento all'altro? Avrebbe voluto ucciderlo, in camera di Cassie. E voleva ucciderlo anche adesso. Se la stava prendendo troppo comoda. «Le sorprese, a quanto pare, non finiscono mai.» Anche Galen fissava Travis. «Sta entrando in contatto con lei. Qual è il suo segreto?» «Il suo vantaggio sta nel fatto che era presente a Vasaro.» Galen annuì. «Già. Ricordo quand'è uscito da quello studio con lei. Gli ho detto che dovevamo andarcene, ma lui non voleva lasciarla. Ho faticato molto a trascinarlo via, dopo.» «Si trovava a Vasaro anche lei quella sera?» «Certo.» Sorrise in modo enigmatico. «Qualcuno le avrà riferito che l'eroe della situazione è stato Travis, ma potrei non essere d'accordo. Sono solo troppo modesto per rimanere a ricevere gli applausi.» Il sorriso sparì. «Non si preoccupi, non correrà nessun rischio. Ho pianificato tutto.» «E perché dovrei? Non sono nemmeno stata informata di quel che sarebbe successo stasera. Come faceva a sapere che avremmo chiamato un'ambulanza?» «Quando Travis ha saputo che Andreas l'avrebbe nascosto da qualche parte, mi ha telefonato e ha detto di tenermi pronto ad allestire un furgone.» Lei corrugò la fronte, confusa. «Per intercettare la chiamata all'ospedale?» «Oh, questo è venuto dopo. Prima voleva che rintracciassi la sua posizione a Juniper dal segnale telefonico. E non era sicuro che gli uomini della sicurezza avrebbero obbedito all'ordine del presidente di non ascoltare le
sue telefonate. I miei uomini avevano l'ordine di interrompere ogni tanto le comunicazioni, quando lui diceva una parola in codice a van der Beck. Non sempre, naturalmente, o quelli della sicurezza avrebbero mangiato la foglia.» «Chi è van der Beck?» «Non importa, probabilmente sto parlando troppo.» «Credo anch'io. E tutta questa tecnologia non servirà a niente.» Scosse la testa. «Andreas ci metterà alle calcagna l'intero corpo di polizia del paese.» «Ammetto che è una grossa sfida.» Lo guardò, disorientata. «E va bene, glielo concedo, forse un po' più grossa di quelle che affronto io tutti i giorni.» Si strinse nelle spalle. «Ma Travis ha promesso che andrà tutto liscio,» «Fare andare liscio cosa? Il rapimento della figlia del presidente?» Di nuovo quella smorfia: una specie di ghigno. «Non me lo ricordi», riprese. «Finché muovo un passo alla volta, riesco a stargli dietro. Ma quando mi ha parlato del suo piano, all'inizio avrei voluto torcergli il collo. L'ultima volta che l'ho incontrato gli avevo detto che non volevo più vivere in maniera spericolata.» «Però è quel che sta facendo. E tutto questo per lui. Perché?» «Sono in debito.» Si strinse nelle spalle. «Ma nonostante questo, se si fosse trattato di un lavoro qualsiasi gli avrei detto di trovarsi qualcun altro. Questa cosa, invece, significa molto per lui.» «Denaro?» «Certamente. Ma c'è in gioco dell'altro.» Poi aggiunse: «E poi, mi piace. Dio solo sa perché. Non è un tipo che piace a tutti. Si devono abbattere troppi muri, per arrivare fino a lui». «Se fosse così, non mi preoccuperei.» Distolse lo sguardo da Travis. «A che aeroporto siamo diretti?» «Un aeroporto privato a nord di Baltimora. Ci trasferiremo sul jet, e domattina saremo ad Anversa. Da lì raggiungeremo Amsterdam, in macchina.» Fece una pausa. «Gli ho detto che sarà il primo posto dove lo cercheranno. Ha risposto che non poteva fare diversamente.» Jessica scrollò la testa, con aria sarcastica. «La fa facile lei. Si esprime come se svolazzare di qua e di là per il mondo fosse la cosa più semplice. Non ho nemmeno il passaporto con me.» «Ho io tutto quello che le servirà. Fa parte del servizio. Naturalmente, dovrà abituarsi ad avere un nuovo nome. Mi pare Mary, o Marilyn... o
qualcosa del genere. Ma non dovrà usarlo spesso. Noi aggiriamo, per così dire, gli uffici del controllo per l'immigrazione. Un gioco da ragazzi.» Documenti falsi. Ingresso illegale. Un gioco da ragazzi. La sicumera con cui quell'uomo parlava la indusse a pensare che, per lui, l'attività criminale fosse un'attività come un'altra. Ma davanti a lei si stavano spalancando le porte di un mondo nuovo e spaventoso. «Mi è difficile crederle.» «I fatti mi daranno ragione.» Il suo sguardo si posò su Melissa. «Sembra che stia meglio. Ha ripreso colore. Merito dei medicinali?» «No.» «Malata?» «No.» Strinse più forte le spalle della sorella. «Si rimetterà.» Melissa si svegliò mentre la stavano tirando fuori dall'elicottero. «Jessica...» Si guardò attorno, spaesata. «Che cosa diavolo?...» «Va tutto bene, non preoccuparti.» «No, non è vero. Non c'è niente che sia andato bene, stanotte. Rotto. Tutto rotto...» «Puoi camminare?» «Ci proverò... piano, però. Sono confusa... e le mie ginocchia sembrano fatte di gomma.» «Così piano non è possibile.» Galen la prese in braccio e si diresse di corsa verso un piccolo jet privato. «Aggrappati a me.» Melissa lo guardò torva. «Chi è lei?» «Sean Galen.» «Tranquilla, Mellie.» Jessica stava correndo accanto a lui. «Ti spiegherò tutto più tardi.» «Sarà meglio per te.» I suoi occhi si richiusero. «Sono troppo stanca per pensare adesso. Dov'è Travis?» «Con Cassie.» «Bene.» I suoi occhi si spalancarono di colpo, lo sguardo fisso su Galen. «No! Non farlo! Non...» I suoi occhi si richiusero. «Non permetterglielo, Jessica...» Si era addormentata. Galen salì di corsa la scaletta del jet e depositò Melissa su un divano di pelle. Indicò la tenda che divideva l'aereo in due scompartimenti. «Travis è davanti, con la bambina. Si sieda e allacci le cinture.» Si diresse verso la cabina di pilotaggio. «Ce ne andiamo.»
«Aspetti un momento.» Si voltò verso Jessica. «Chiamo Andreas.» Lui si irrigidì. «Meglio che ne parli con Travis, prima.» «Non m'importa di quello che dice Travis. Telefono ad Andreas e gli dico che Cassie sta bene. Non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di fare la spia», aggiunse seccamente. «Non le crederà. Sia breve, comunque. Lo dico io a Travis.» E sparì dietro la tenda. Jessica inspirò profondamente e compose il numero di Andreas. «Puttana.» «Capisco che lo pensi.» «Quanto denaro le hanno dato per convincerla a portare via mia figlia?» «Non si tratta di denaro. Mi hanno costretta. Avevo paura per Cassie, non avevo scelta.» «Ha detto che stava migliorando.» «Stava, ma si è trattato di un miglioramento temporaneo e...» Travis era in piedi vicino alla tenda. Le fece cenno di tagliare corto. «Devo andare. Volevo solo dirle che nessuno intende fare del male a sua figlia.» «Che cosa vuole da me?» «Niente.» «Voglio parlare con Travis. Mi passi quel bastardo.» «Devo riagganciare.» «Gli dica che se tocca mia figlia con un dito lo troverò e lo crocifiggerò. E questo vale anche per lei.» «Al suo posto proverei gli stessi sentimenti. È giusto così. Ma Cassie è al sicuro e faremo in modo che continui a esserlo.» Riagganciò e guardò Travis. «Dovevo farlo. Non potevo lasciargli passare quell'inferno.» «Non discuto. Volevo solo essere certo che tu interrompessi la telefonata prima che venisse rintracciata.» Si girò di nuovo. «Allaccia la cintura.» Tokyo Andreas si girò verso Keller. «Ha individuato la posizione?» L'agente della sicurezza scosse la testa. «Ha riagganciato troppo presto. Se avessimo avuto trenta secondi di più...» La mano di Andreas si serrò a pugno, finché le nocche non divennero
bianche. «A che cosa serve tutta questa tecnologia da guerre stellari se non riuscite nemmeno a rintracciare qualcuno? Se non riuscite a trovare una bambina che...» Dovette fermarsi, per tenere a freno la propria emozione. «Mi ha assicurato che sarebbe stata al sicuro, a Juniper. Trovi la mia Cassie, maledizione.» «Sì, signore, ho già informato Danley.» «Hanno rintracciato il contatto di Travis ad Amsterdam?» Scosse la testa. «Sono piombati nell'appartamento di van der Beck cinque minuti dopo aver saputo quello che aveva fatto Travis. Ma se l'era già filata.» «Allora dica a Danley di scoprire dove si trova.» «Danley salirà su un aereo a Washington fra venti minuti. Dobbiamo avvertire i media del rapimento?» «Dio, no. Se il mondo intero venisse a sapere che Cassie si trova là fuori, e in posizione così vulnerabile, potrebbe diventare bersaglio di altri gruppi. E come diavolo facciamo a essere sicuri che Travis non richiamerà con una richiesta? Ho parlato solo con quella maledetta strizzacervelli. Non siamo certi di niente, e finché non lo saremo faccia in modo che nessuno sappia della sparizione di Cassie. La trovi.» «Se Travis è diretto ad Amsterdam, c'è una buona probabilità che avremo bisogno di aiuto internazionale.» «Faccia circolare le fotografie di Travis e Jessica Riley in ogni dipartimento di polizia d'Europa. Gli dica che il governo degli Stati Uniti sarà molto grato per la loro collaborazione nella cattura. Si inventi qualcosa. Li chiami... terroristi, o quel che le pare. Ma non faccia il nome di Cassie.» «Sì, signor presidente.» «Torno a Washington. Trovi una scusa e chiami il vicepresidente, perché mi sostituisca. Dica che ho l'influenza.» «Sì, signore.» «E, Keller...» «Sì, signore?» «Si accerti che anche mia moglie non venga a saperlo.» La sua voce era scossa. «Finché non riporterà indietro mia figlia, lei deve credere che Cassie è sana e salva a Juniper.» 11 Quando Melissa si risvegliò stavano sorvolando l'Atlantico.
Oscillazione. Vibrazione di motori. Un aereo... Aereo? Jessica. Dov'era Jessica? Si raddrizzò di scatto. «Ssh. Va tutto bene.» Jessica le fu subito accanto. «È tutto okay, Mellie.» «Non credo.» Si mise lentamente a sedere. «Ho idea che non vada bene per niente. Dov'è Cassie?» «Sta dormendo, nella parte anteriore dell'aereo. C'è Travis con lei. Io volevo stare con te.» «Sta bene?» Si sforzò di ricordare. «Ho visto un'ambulanza...» «Ha organizzato tutto Travis.» «Anche l'aereo?» «Travis, e il suo amico Sean Galen.» «Dove siamo diretti?» «Amsterdam. Via Anversa.» «Amster...» Melissa sospirò, poi disse molto lentamente: «Credo che tu abbia alcune cose da spiegarmi. Mi sono addormentata a Juniper e mi risveglio su un volo per Amsterdam?» «Ti andrebbe una tazza di caffè?» «No, voglio conoscere ogni singolo particolare del piano di cui, ovviamente, non sono stata messa al corrente.» Jessica cercò di prendere tempo. «Pensavo che ti avrebbe fatto bene un po' di caffeina, prima che ti erudissi in materia.» Nei minuti successivi spiegò alla sorella il dilemma di fronte al quale l'aveva posta Travis. Melissa cominciò a imprecare. «Non riesco a crederci. Ti ho chiesto che problema c'era, l'altra notte, e tu mi hai mentito.» «Non esattamente. Semplicemente, non ti ho detto tutto... E va bene, ti ho mentito.» «Perché?» «Dipendeva da me acconsentire o meno alla richiesta di Travis. Coinvolgerti avrebbe complicato le cose.» «Dipendeva da te? Ci sono dentro anch'io. Credo che avrei dovuto avere il diritto di dire la mia.» «Cassie è una mia paziente.» «Continui a considerare anche me come una paziente. Il che ti permette di avere il controllo della situazione, giusto? Bene: io non sono una paziente, e non mi farò trattare come tale. Non sono malata, o fuori di zucca, se preferisci, e sono in grado di dire quello che penso.»
«Non mi sembrava che, stanotte, stessi dicendo quello che pensavi.» «Questo è un colpo basso.» «Te lo sei meritata. Puoi anche non considerarti una mia paziente, ma finché sarai in contatto con Cassie sei in pericolo quanto lei. Credi che permetterò che ti accada qualcosa di brutto solo perché ho paura di ferire i tuoi sentimenti?» Melissa la fissò per un istante, poi disse riluttante: «Maledizione, avresti potuto darmi ragione almeno questa volta, santa Jessica. Sono piena di legittima indignazione, e tu mi tagli l'erba sotto i piedi.» Scosse la testa. «Avresti dovuto mettermi al corrente. Insieme avremmo potuto trovare un modo per fermare Travis. Il suo piano è assolutamente pazzesco.» «Credi che non lo sappia? Non avevo un'altra via d'uscita. Abbiamo bisogno di lui.» Non poteva discutere, su questo. Melissa si sentì frustrata. «Perché Amsterdam?» «Travis ha degli affari, lì.» Esitò. «Non te l'ho ancora detto, ma mi sono fatta promettere... il Cavallo Alato.» Melissa si irrigidì. «Che cosa?» «L'ho costretto a giurarmi che avrebbe trovato un modo per far riunire Cassie alla statua.» «No.» «Sì.» Abbassò lo sguardo sulle mani di Melissa, strette attorno alla coperta. «Sapevo che questo ti avrebbe sconvolta, ma ti sbagli. Credo che sia un'opportunità per aiutarla. Non sono sicura che Travis manterrà la sua promessa, ma cercherò di farlo stare ai patti. Non affronterò tutta questa follia senza ricavarne qualcosa.» Melissa sentì i muscoli dello stomaco aggrovigliarsi. «Cristo, come posso convincerti che stai commettendo un errore?» bisbigliò a denti stretti. «Non puoi. La paziente è mia. Mia la decisione.» Jessica le strinse la mano. «Temo che questa volta dovrai semplicemente adeguarti.» Si alzò in piedi. «Vado a preparare caffè e panini. Se vuoi toglierti quella camicia da notte, c'è un cambio d'abiti e uno spazzolino da denti nel bagno. Sono in una piccola borsa con sopra il tuo nome.» Si avviò lungo lo stretto corridoio, verso il fondo dell'aereo. «Sembra che Galen abbia provveduto proprio a tutto.» Galen. Melissa ricordò l'uomo che l'aveva trasportata fino al jet. Capelli scuri, occhi scuri, svelto, forte... E pericoloso, molto pericoloso.
Lo stesso tipo di vibrazioni che aveva provato con Travis. Ma forse lui era più pericoloso di Galen. Certamente più pericoloso per lei, visto che aveva promesso a Jessica il Cavallo Alato. Doveva parlargli, dirgli di dimenticarsi di quella maledetta statua. Occhi smeraldo... Non ora. Blocca quel ricordo. Sconvolta e tremante, cercò di controllarsi. Avrebbe dovuto avere la mente sgombra, una volta che si fosse trovata di nuovo a quattr'occhi con Travis. Gesù, il Cavallo Alato. Come se questa situazione non fosse stata già abbastanza ingarbugliata... Si alzò per andare in bagno. «Ho bisogno di parlarti.» Travis alzò lo sguardo dal taccuino. «Come ti senti, Melissa?» «Furiosa.» Guardò Cassie. I suoi occhi erano chiusi. Probabilmente stava dormendo. Meglio non correre rischi, però. «Dobbiamo parlare. Ma in privato.» «Non mi sorprende.» Si alzò e si spostò in corridoio. «Possiamo tenerla d'occhio anche da qui.» «La tua preoccupazione per lei è commovente, considerando quello che le stai facendo passare.» «Non sono riuscito a trovare un altro modo. So che dev'essere stata dura per lei... e per te.» «Tu non sai un bel niente.» La sua voce era scossa. «Ci fidavamo di te, ma tu non c'eri. E come se questo non fosse già abbastanza grave, hai costretto Jessica a fare un passo falso. Se non finirà in galera, perderà come minimo la licenza a esercitare la sua professione. Potrei ucciderti per questo.» «Farò in modo che non succeda.» «E Cassie? Jessica mi ha detto che le hai promesso il Cavallo Alato. Non puoi. Il Cavallo Alato ci procurerà soltanto guai.» «Se Cassie teme di vedere la statua, forse sarebbe meglio che affrontasse le sue paure.» «Le farà solo male.» Studiò la sua espressione. «Se Cassie sta cercando la statua, è impossibile che nutra cattivi sentimenti nei suoi confronti, non credi?» Non rispose. «Qualora si trovi al museo d'Andreas, come farai a impadronirtene? Sarà ben custodita.» Si strinse nelle spalle. «Ma perché mi
preoccupo tanto? Non sarai in grado di mantenere la tua promessa. Ci beccheranno prima. Ad Amsterdam.» «Sarebbe auspicabile, per te?» «Sì. Perché stiamo andando proprio ad Amsterdam, tra l'altro? Non è il primo posto in cui ti cercheranno?» «Sì. Ma ho degli affari importanti, lì. Devo vedere un amico.» «Tu hai un amico? Si vede che non ti conosce da molto.» «Da tutta la vita. Lui e mio padre erano soci. Lo ha aiutato ad allevarmi.» Sorrise. «Dice che gli piaccio, ma immagino che non voglia semplicemente ammettere che ha fatto un cattivo lavoro con me.» «Più che probabile.» Lo guardò dritto negli occhi. «Non te la lascerò passare liscia questa, Travis. Non dipenderò dalle decisioni di un bastardo come te, e non permetterò che lo faccia neanche Cassie. E quando scoprirò un modo per tirarmi fuori da questo casino, chiamerò Andreas e ti farò catturare così in fretta che non avrai neanche il tempo di girare la testa.» «Sarò anche un bastardo, ma non vi sto abbandonando. Avrei anche potuto piantarvi in asso e filarmela con l'elicottero. Avrei avuto un motivo in meno per sentirmi braccato.» «Mi sorprende che tu non l'abbia fatto.» «Ho promesso una cosa a Jessica.» Aggrottò le sopracciglia. «Sei libera di non credermi, ma non mi darei pace se a quella bambina dovesse succedere qualcosa.» «Indovinato: non ti credo.» Melissa si scostò da lui. Al diavolo la calma e la persuasione. Non avrebbe dovuto perdere il controllo. Avrebbe potuto tentare di fargli cambiare idea. Devo fare quello che gli ho detto che avrei fatto. E trovare un modo per uscirne indenne. Ma Cassie era il legame che li tratteneva. Recidere quel legame avrebbe consentito a ognuno di loro di andare per la propria strada. Ma come? Aveva fatto un piccolo progresso, separando se stessa da Cassie durante gli ultimi quattro incubi, ma era molto lento. Non se ne era preoccupata, perché aveva pensato di avere tempo. E invece il suo tempo si stava esaurendo. Dopo l'arrivo ad Amsterdam, quanto ci avrebbe impiegato Travis a concentrare la sua attenzione sul Cavallo Alato? Non avrebbe potuto fare niente riguardo alla statua, ma, maledizione, non avrebbe neanche dovuto essere in grado di farle allontanare da Juniper. Le probabilità erano state tutte a suo sfavore. Eppure ci era riuscito.
«Be', hai finito di sfogare la tua rabbia contro il mio povero amico?» Melissa si girò verso quella voce, tesa come una fune. Era più alto di quel che ricordava, ma gli occhi, quelli se li ricordava bene. «Sean Galen.» «Ho quest'onore. Sono lusingato che ti sia accorta della mia brillante persona. Avrei dovuto sapere che, anche nel torpore più profondo della droga, posso risultare una persona indimenticabile.» «Chi ha detto che ero drogata? Jessica?» «No, ma i segni erano evidenti.» «Non ero drogata.» Sedette sul divano. «E questo depone a sfavore della tua capacità di saper leggere i segni, non ti pare? Come facevi a sapere che stavo discutendo con Travis? Non ti ho visto.» «Ero nella cabina di pilotaggio, ma ho aperto la porta proprio mentre lo stavi aggredendo. E dato che la mia discrezione è leggendaria, non mi sono mosso finché non ti sei allontanata. Posso portarti una tazza di caffè dalla cucina di bordo?» «No, voglio riposare.» «Mi sembri abbastanza riposata, adesso.» «Abbiamo già stabilito che vali poco, nel leggere i segni.» «Visto che non posso ammettere di aver sbagliato, sarà meglio che riconosca che stai cercando di liberarti di me.» «Sì, sarà meglio.» Inclinò la testa di lato. «E perché poi? La gente è disposta a fare la coda, per godere della mia compagnia.» «Prima che gli spari alle spalle?» Il sorriso che aveva sempre stampato sulla faccia svanì. «Via, è assurdo. Credevo che iniziassimo ad andare d'amore e d'accordo. Perché l'hai detto?» Distolse lo sguardo. «Sei amico di Travis. Jessica ha detto che eri a Vasaro, e l'hai aiutato nella fuga da Juniper. Due più due fa quattro.» Si appoggiò al divano. «Se non ti dispiace, vorrei veramente riposare.» «Me ne vado.» Si accucciò accanto a lei. «Solo una domanda.» «Non dovresti avere domande. Sono sicura che hai ascoltato l'intera conversazione con Travis, mentre stavi praticando la tua leggendaria discrezione.» «Sì, è stato molto istruttivo. Intendevo interrogare Travis sui particolari più tardi. Ma questa domanda non ha niente a che fare con lui.» La guardò in viso. «Mentre ti stavo trasportando sull'aereo, hai alzato gli occhi su di me e hai detto: 'Non farlo. Non permetterglielo, Jessica.' A che cosa ti rife-
rivi?» «Come faccio a saperlo? Ero fuori di me.» Intimidiscilo. «Dopotutto, non puoi aspettarti che una persona drogata parli in modo coerente.» «Touché.» Si alzò. «Ben mi sta! Mai rivolgere a un estraneo domande intime.» «Questa non era una domanda intima.» «No?» Sorrise. «Lo sembrava, però. Ma non importa, ci torneremo su più tardi.» Melissa lo osservò allontanarsi. La sua prima impressione era stata corretta. Galen era un uomo molto pericoloso. Meno aveva a che fare con lui meglio era. Dimenticatene. Pensa a Cassie invece. Taglia il legame. Come? Doveva esserci un modo per strappare il controllo di quegli incubi a Cassie. La bambina era forte, ma la sua solitudine era spaventosamente evidente ogni volta... Mio Dio. Perché affrontare Cassie nel momento peggiore? Forse, avrebbe potuto non aspettare di essere trascinata negli incubi; avrebbe potuto cercare di invadere un sogno più tranquillo, o uno stato di sonno. Era una follia. Non aveva mai fatto nulla del genere, prima, e quella prospettiva la spaventava. Non era affatto sicura che la cosa sarebbe stata possibile. Ma se Cassie poteva strappare Melissa dal sonno profondo e trascinarla nel suo tunnel, perché lei non avrebbe potuto andarci da sola? Forse perché c'erano regole, circa questo genere di cosa? In ogni caso, le regole erano fatte per essere infrante. Adesso. Il momento era perfetto, visto che Cassie stava dormendo. Melissa chiuse gli occhi. Da dove doveva cominciare? Concentrazione... Amsterdam «Voglio la consegna in mattinata, van der Beck.» Karlstadt guardò verso il canale. «E niente imbrogli.» «Godo di un'ottima reputazione. Sa perfettamente che non sono mai stato accusato di aver tradito un cliente.» «Non mi piace la sua idea di far avvenire lo scambio ai giardini. Cielo,
c'è perfino un parco giochi in quel posto. Ci sarà troppa gente in giro. Vengo a casa sua domattina alle nove.» «A Travis piace l'idea che ci sia in giro gente, invece. È più facile perdersi tra la folla. O nel parco, o da nessun'altra parte. Le ho spiegato come si svolgeranno le cose, e così sarà.» Le labbra di Karlstadt si assottigliarono. «Allora sarà meglio che lei non sparisca finché non avrò fatto verificare la merce.» «Sono sicuro che ci farà pedinare finché non lo avrà fatto.» S'interruppe. «Oh, dimenticavo di dirle che riceverà soltanto la metà domani? Il saldo le sarà spedito a Johannesburg.» «Che cosa?» «Solo una precauzione. Naturalmente, trasferirà metà del denaro stasera sul numero di conto svizzero che le ho dato. Aspetteremo l'altra metà domani nel parco.» «E che cosa succederebbe se decideste di intascare la prima metà e lasciarmi nelle peste?» «È un rischio che deve correre. Ma sappiamo entrambi che Travis non è mai venuto meno alla parola data, e non è così sprovveduto da cercare di imbrogliare proprio lei. Sa che non rinuncerebbe a cercarlo, e apprezza troppo i piaceri della civiltà per volersi nascondere in un paese del terzo mondo. L'unica domanda che deve farsi è: Travis ha la merce?» Sorrise. «E sono sicuro che quel tipo di informazione ha già avuto modo di verificarla.» «Ha la merce.» Il tono di voce di Karlstadt era stato brusco. «Altrimenti i russi non gli darebbero la caccia.» «Non si ritiene fortunato a trattare con Travis, invece che con quegli irragionevoli russi?» Si girò. «Ci vediamo domattina, signor Karlstadt, controllerò il conto svizzero stasera.» «Van der Beck.» «Sì?» «Ho sentito voci inquietanti sul suo signor Travis, nelle ultime ore. Voci su un coinvolgimento della sicurezza degli Stati Uniti e della CIA.» Le aveva sentite anche lui, ma aveva sperato che Karlstadt non fosse stato così addentro alla faccenda. «Sono certo che si tratta di notizie infondate.» «Non mi interessa quello che ha fatto Travis per irritare gli americani. Voglio che sappia, però, che la cosa non deve interferire con il nostro accordo. Lo troverei molto seccante.»
«Travis non permetterà che accada.» Fece una pausa. «Buona notte, signor Karlstadt.» Si allontanò rapidamente dal ponte, lungo la strada. Sentiva lo sguardo di Karlstadt su di sé, ma non si girò. A Karlstadt piacevano i suoi giochetti intimidatori, e sarebbe stato molto contento di sapere che van der Beck si sentiva a disagio. Ma non c'erano dubbi sul fatto che lo fosse. Troppi nodi non tornavano al pettine, in questo affare che gli aveva accollato Travis. Poteva tenere a bada Karlstadt, ma la faccenda di Henri Claron lo rendeva nervoso. Non aveva più l'età per questo genere di cose. Alzò lo sguardo verso il cielo. Travis doveva essere ormai prossimo all'arrivo, e presto avrebbe potuto passare la patata bollente a lui. Travis era giovane e astuto, come lo era stato van der Beck quando lavorava con suo padre. Dio, sembrava un secolo fa. Ancora qualche ora... «Sei qui.» Melissa sentiva la gioia e l'eccitazione di Cassie avvilupparla nella turbinante oscurità. «Si direbbe di sì. Anche se ci ho impiegato parecchio ad arrivare. Ci vuole un po', a trovare la strada.» «Hai intenzione di restare?» «No, sono solo in visita.» «Oh.» Delusione. «Mi sento sola.» «Ne abbiamo già parlato. Non devi sentirti sola.» «Non mi sentirò sola, se resti.» Una pausa. «Non siamo... insieme. Dobbiamo essere insieme.» «No, non dobbiamo. Siamo amiche, e possiamo restare separate ed essere lo stesso amiche.» «Meglio insieme.» Melissa sentiva lo sforzo che stava compiendo la bambina per attirarla più vicino, per assorbirla. Gesù, era forte. «Smettila o dovrò andarmene.» «Te ne andrai lo stesso.» Disappunto. «Me l'hai detto tu.» «Ma tornerò, se non lo renderai spiacevole.» «Insieme non è spiacevole.» Ma lo sforzo di congiungersi declinò e svanì. «Per me lo è. Voglio essere tua amica, come tua mamma e tuo papà.» «Andati.» «Non se ne sono andati.» «Non possono entrare nel tunnel.»
«Ma tu puoi uscirne.» «Andati.» Melissa sentiva crescere il panico di Cassie, come il frullio d'ali di un uccello catturato. «Non possono entrare.» E Cassie non voleva saperne di uscire. Ma poteva abituarsi all'idea. Jessica pensava che quelle costanti sollecitazioni potevano essere d'aiuto e se ne serviva durante la terapia. «Insieme.» Lo strattone da parte di Cassie fu più forte. Occorsero diversi, estenuanti minuti perché Melissa riuscisse a respingerla. Quando riuscì infine a liberarsi, si sentì priva di energia. «Ecco. Ti avevo avvertita. Addio, Cassie.» «No.» Dolore. Panico. «Resta. Non lo rifaremo.» «Forse mi tratterrò ancora per un po'. Ma è noioso in questo tunnel. Niente alberi, niente laghi. Niente di bello...» «Sicuro.» «Noioso.» «No, se troviamo il Cavallo Alato. Lui renderà tutto... Che cosa c'è? Sei spaventata.» Panico. «Stanno per arrivare i mostri?» «No.» Melissa cercò di respingere la paura. «Niente mostri. E non abbiamo bisogno del Cavallo Alato. Vuoi che ti parli di casa mia, di Juniper? Hai visto soltanto una stanza, ma c'è molto di più. C'è un laghetto e salici e una pergola dove si arrampica una clematide violetta...» «Mellie.» Jessica la stava scuotendo; Melissa se ne rese conto nel dormiveglia. «Svegliati. Atterriamo fra pochi minuti.» Si svegliò di soprassalto. Si raddrizzò e aprì gli occhi. «Amsterdam?» «No, Anversa. Un piccolo aeroporto in una zona boschiva e isolata che, a detta di Galen, viene usato dai trafficanti di droga.» «Magnifico. Proprio il genere di persone con cui volevo fare comunella.» «Ha preso accordi perché ci aspetti un furgone che ci trasferirà ad Amsterdam.» Jessica la studiava con la fronte aggrottata. «Stavi dormendo così profondamente. Ho avuto difficoltà a svegliarti.» Non la sorprese. Si era sentita svuotata, quando era riuscita ad abbandonare Cassie. E provava ancora un grande senso di spossatezza. «È stata una notte pesante.» Si alzò e si diresse in bagno. Perché non aveva detto a Jessica che aveva raggiunto Cassie? Aveva sempre detestato nasconderle le cose, ma ultimamente sembrava che non sapesse fare altro. Più tardi, magari. Non aveva realmente concluso niente, e Jessica era già sufficiente-
mente preoccupata che Melissa fosse coinvolta negli incubi di Cassie. Melissa riusciva a immaginare la sua reazione, se le avesse parlato della sua casuale visita a Cassie in un normale stato di sonno. Casuale? Avrebbe dovuto prepararsi al «casuale». Solo controllare il legame con Cassie aveva richiesto uno sforzo immane. Quando uscì dal bagno Travis e Sean Galen la stavano aspettando. «Siediti», disse Travis. «Stiamo per atterrare.» «Dov'è Jessica?» Sedette e allacciò la cintura. «Davanti, con Cassie. Voleva essere lì, nel caso la bambina si svegliasse e mostrasse segni d'ansietà.» Come se Jessica avesse potuto percepire l'ansietà di Cassie, pensò mestamente. L'unica cosa per cui Melissa nutriva una sensazione viscerale era il Cavallo Alato. Per sua sorella, era come lavorare alla cieca. «Okay, allora dimmi come intendi risolvere la cosa, Travis. Immagino che tu abbia un piano, per evitare che ci sparino a vista.» «No, questi particolari li ho affidati a Galen. Se ti spareranno, dovrai prendertela con lui.» «Altroché.» Si appoggiò allo schienale. «Galen?» «Ho predisposto le cose in modo che voi tre restiate nascoste in una piccola fattoria fuori Amsterdam. Ho contattato alcuni dei ragazzi con cui lavoro quando sono in Olanda. Ci incontreranno all'aeroporto, e loro fungeranno da scorta. Noi resteremo alla fattoria e vi proteggeremo, mentre Travis va a sbrigare i suoi affari.» «Quanto ci impiegherai, Travis?» «Se ci vorranno più di otto ore, allora saremo tutti nei guai. La CIA non perderà tempo. Non resterei sorpreso se fossero già appostati fuori da ogni aeroporto d'Olanda.» «Nuovi guai», lo corresse Melissa. «E poi, che cosa succederà?» «Vedrò quel che posso fare per sottrarre il Cavallo Alato al museo d'Andreas.» «Impossibile.» «Galen?» chiese Travis. «Difficile», mormorò Galen. «Ci vorranno soldi. Molti soldi. Vuoi realmente rubarlo?» «Voglio solo prenderlo in prestito. Ho bisogno di almeno mezza giornata per offrire a Cassie la possibilità di reagire alla presenza della statua.» «Scordatelo. Non funzionerà», disse Melissa, con voce piatta. «Sono consapevole di quello che provi.» Travis la scrutò. «Anche se non
riesco a capire perché.» «Te l'ho detto perché.» Sorrise. «E io non riesco a capirlo. Ma sono sicuro che alla fine lo capirò.» 12 ore 5.20 La fattoria in pietra sorgeva a qualche chilometro dalla strada principale ed era circondata da alberi. L'interno consisteva in un'immensa cucina, una stanza da bagno, e due piccole camere da letto, arredate spartanamente ma pulitissime. «Metti Cassie nella prima camera», disse Jessica. «Dopo averla sistemata, dovrò prepararle qualcosa da mangiare.» «Ci penso io.» Melissa si diresse verso la cucina. Travis depose Cassie sul letto e la guardò. Come al solito, non si poteva stabilire con certezza se stesse dormendo o fosse sveglia. «Salve», disse dolcemente. «Tutto questo deve sembrarti spaventoso, ma funzionerà. Te lo prometto.» «Non fare promesse che non sarai in grado di mantenere.» Jessica era tornata dal bagno con un catino e una salvietta. «Soprattutto quando non sono al primo posto nelle tue priorità.» «Rispetterò l'impegno.» Cristo, sperava davvero di riuscirci! Quando tornò in cucina, Galen stava entrando dalla porta d'ingresso. «Siamo al sicuro?» chiese. «Così pare. Un paio dei miei ragazzi stanno perlustrando l'area per accertarsene, e non siamo stati seguiti dall'aeroporto.» Sedette al tavolo. «Se fossi in te mi atterrei al limite di otto ore. Scotti troppo per startene tranquillo in un posto troppo a lungo. Devi spostarti continuamente.» «È quello che sto facendo.» Compose il numero di Jan van der Beck, mentre si dirigeva verso la macchina a noleggio che gli uomini di Galen avevano portato all'aeroporto. «Sto per recarmi al parco», disse quando Jan alzò il telefono. «Nessun problema?» «No, ho lasciato l'appartamento nel minuto stesso in cui Galen mi ha informato che la tua partenza era imminente e sono andato nell'appartamento nuovo. Ma tu sei nei guai. Perfino Karlstadt ne è al corrente. È corsa voce
che ti sei appropriato di un carico che non dovresti avere. Che cosa hai combinato, Michael?» «La faccenda si è complicata.» «Ricordo che lo dicevi da bambino. E io ti ripetevo sempre che eri tu a complicarla. Semplificare, Travis. Semplificare.» Certo, Juniper aveva maledettamente contribuito a complicare la situazione, pensò mestamente Travis. Jessica lo aveva condotto da Cassie, ma lui non avrebbe dovuto tuffarsi a capofitto nel problema. «Il trasferimento sul conto svizzero?» «Fatto. Ho detto a Karlstadt che solo una parte della merce sarebbe stata consegnata stamattina e che il resto gli sarebbe stato mandato a Johannesburg. Nel caso decidesse di tagliarci la gola al parco.» «Bravo.» «Certo. Non vedo l'ora di fare la mia crociera, e la morte sarebbe di impedimento. Ti andrebbe di venire con me? Come ai vecchi tempi.» «Potrei raggiungerti più avanti. Sarò occupato, per un po'.» Van der Beck trasse un sospiro. «Credo di sapere come. Ricorda, Travis, semplificare.» Ridacchiò. «Farò del mio meglio. Comincia a preparare i bagagli. Ci incontriamo nel parco, alle otto al più tardi.» Riagganciò. «Come sta?» chiese Melissa a Jessica quando uscì dalla camera da letto. «Nessun cambiamento.» Jessica sedette sulla sedia di fronte a Galen. «Non credo che il viaggio le abbia nuociuto.» Si massaggiò stancamente la tempia. «Ma sono confusa. A volte ho l'impressione di non fare alcun bene a questi ragazzi. Come potrei, se non riesco neanche...» «Sciocchezze.» Melissa posò una ciotola di zuppa davanti alla sorella. «Sei solo stanca. Ma tu hai fatto del bene. Mi ha riportata indietro, non ti pare? E che dire di Donny ed Eliza Whitcomb, Pat Bellings e Darren Jenk...» «Sì, sì, va bene, okay», Jessica la interruppe e alzò la mano. «Ho capito. Sono magnifica.» «Ti stai commiserando.» Esitò. «Mi chiedevo però se non sei un po' troppo paziente con Cassie.» «Che cosa vuoi dire?» «Lei non è come gli altri bambini che hai curato. È così forte... Forse deve trovare qualcuno che le tenga testa.» «Anche tu eri molto forte.» Jessica aggrottò la fronte, turbata. «Credi
che sia stata troppo paziente con te?» «No, no naturalmente. Hai fatto tutto nel migliore dei modi. Mi stavo solo domandando... Ricordi? Ti ho detto che sospettavo che nascondesse qualcosa. Non pensi che si stia servendo dei mostri come scusa per rimanere nel tunnel?» «È una fantasia piuttosto complicata. Ha solo sette anni, Mellie.» «Mi hai detto che suo padre ti ha raccontato che la sua fantasia corre a briglia sciolta. Collegala a una volontà di ferro, e potresti... Oh, non so. Pensaci, però. Adesso mangia quella zuppa, prima di tornare da Cassie.» Guardò Galen. «Ne vuoi una ciotola anche tu?» Scosse la testa e si alzò in piedi. «Vado a dare un'occhiata in giro e a fare qualche telefonata. Non appena Travis avrà concluso il suo piccolo affare con van der Beck, mi salterà addosso perché trovi il modo per avere accesso al Cavallo Alato. Preferisco portarmi avanti.» «Bene.» Jessica cominciò a mangiare. «È l'unica cosa positiva che vedo in tutto questo disastro. Voglio avere la possibilità di aiutare Cassie prima che piombino su di noi e ci sbattano davanti a un plotone d'esecuzione.» «Non sia così pessimista.» Galen sorrise. «Se Travis non disponesse del mio prezioso aiuto, avrebbe ragione di preoccuparsi, ma ho fama di avere poteri miracolosi.» «Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un miracolo», mormorò Jessica, mentre lui lasciava la stanza. «No, dobbiamo venire a patti con Andreas e porre fine a questa follia», disse Melissa. «Potrebbe costringere Travis ad aiutare Cassie.» Jessica scosse la testa. «Ti ho raccontato cos'è successo, quando l'ho costretto a giocare a carte scoperte. Non metterò di nuovo a repentaglio la tua vita, o quella di Cassie.» «Bastardo.» Rimase silenziosa per un momento. «Ma non devi preoccuparti per me. Credo di avere in pugno la situazione.» «C'è sempre Cassie.» Le sue labbra si serrarono. «E non rischierai.» «Non lo faresti neanche tu.» «Come no. A volte si è costretti a fare cose che non si vorrebbero fare.» Si diresse verso la porta. «Finisci quella zuppa. Vado a parlare con Galen. Spero che le sue telefonate non abbiano dato esito positivo.» Galen stava appoggiato a un albero, a qualche metro dal portico. Quando lei uscì di casa spense il telefonino. «Ti stavo aspettando.» «Perché?»
«Non sei il tipo che se ne sta seduta quando hai qualcosa che ti frulla per la testa.» «Come fai a saperlo?» «La mia infallibile intuizione. Che in questo momento mi dice che vorresti torchiarmi per sapere come procedono le cose.» «Considerati sotto torchio.» «Promette bene. Se Travis ritorna con i soldi. Un milione di dollari non sono da buttare.» «Per il Cavallo Alato?» «Direi proprio di no. Per il privilegio di trascorrere quattro ore in privato con la statua.» «Un milione di dollari per così poco? Non accetterà mai.» «È quello che speri tu.» «Non aiuterebbe Cassie.» «Lo choc potrebbe servirle.» «Non sarà così.» Serrò le mani a pugno. «E non voglio che accada. Non fare a Travis la proposta.» «Scusa?» «Non so quanto ti pagherà, ma io pagherò di più.» «Hai tanti soldi?» «I miei genitori mi hanno lasciato una buona eredità. Dispongo di un fondo fiduciario.» «E lo useresti per corrompere me?» «Ti pagherò qualsiasi prezzo, se dimenticherai il Cavallo Alato. Se non avrò abbastanza soldi, li troverò.» Scosse la testa. «Se non vuoi soldi, fissa tu il compenso. Sono disposta a fare qualunque cosa.» Inclinò la testa di lato. «Mi stai offrendo favori sessuali?» «Lo farei, se pensassi che potrebbe servire. Ma non sei attratto da me. Siamo troppo simili.» «Davvero?» «Sì. E lo sai anche tu. Sarebbe come fare l'amore con tua sorella.» Rise. «E io non sono decisamente un tipo da incesto.» Melissa cercò di nascondere la disperazione che aveva nella voce. «Dimmi che cosa vuoi e te la darò. Non sono stupida, e ho un'ottima motivazione. Si possono ottenere molte cose, con una premessa del genere.» Il sorriso di Galen svanì. «Se siamo così simili, allora dovresti sapere
che non tradirei un amico. Ho principi antiquati.» Sapeva che le possibilità di convincerlo sarebbero state scarse, ma ci aveva provato. «Dicevo sul serio, farei qualunque cosa. Pensaci. Dev'esserci pure qualcosa che desideri, e che nessuno può darti. Non capita spesso di ricevere un'offerta come questa.» «È difficile non prenderla in considerazione.» La guardò in viso. «Vedo che dovrò tenerti d'occhio. Sei troppo determinata. Potresti anche decidere di telefonare ad Andreas.» Gesù, era sveglio, il ragazzo. «Se hai parlato con Travis, sai che non è un'opzione possibile.» «Non ne sono così sicuro...» Si strinse nelle spalle. «Torna dentro. Non voglio correre il rischio che ti veda qualcuno. La gente ricorda le belle donne. Devo andare a dare un'occhiata nei boschi con i miei ragazzi.» Soffocò la disperazione, osservandolo mentre si allontanava. Era stata un'idea azzardata. Non aveva funzionato. Avrebbe dovuto escogitare qualcos'altro, prima del ritorno di Travis. Ammesso che tornasse. L'impressione che aveva avuto era che «l'affare» di cui si stava occupando non fosse esattamente regolare. La sua vita non era mai stata regolare, non c'era ragione di aspettarsi che cambiasse proprio ora. Era possibile che non tornasse affatto. Avrebbe potuto restare ucciso, o fuggire. Chi poteva escludere che, se la sua vita fosse stata in pericolo, non le avrebbe abbandonate? Ma no, non l'avrebbe fatto. Per quanto infastidita e intimorita, sapeva che Travis avrebbe mantenuto la promessa fatta a Jessica. Le tessere del domino stavano cadendo più in fretta, e le sembrava di non riuscire a fermarle. Sta' lontano, Travis. Non tornare. Ti prego, non tornare. «Finalmente.» Jan van der Beck abbracciò calorosamente Travis. «Era ora che tornassi a riprendere in mano le redini. Sono troppo vecchio per questo.» Travis rise, ricambiando l'abbraccio. Poi fece un passo indietro. «Non eri troppo vecchio per correre dietro a quella graziosa contessa italiana, sei mesi fa. Verrà con te in crociera?» «È possibile. Ha una figlia, nel caso tu sia interessato. E so che ha anche un minimo di cervello. Sebbene non abbia mai capito perché questo rappresenti un requisito così importante per te. La stupidità è molto più rilas-
sante.» Si avviò verso il parco giochi, a poca distanza da loro. «Dov'è la merce?» «Nella tasca della mia giacca.» Si mise al passo con Jan. «Non ti hanno seguito?» «È lo studente che interroga il maestro, adesso? Non vengo mai seguito, quando non lo voglio.» Guardò Travis, i cui occhi stavano perlustrando gli alberi circostanti. «Non mi credi. Sono offeso.» «Scusa. È un'abitudine. Ho dovuto essere piuttosto cauto negli ultimi mesi.» «E anche adesso, evidentemente. I baffi finti non ti si addicono.» «Pensavo che non avrebbero guastato. Una delle fonti di Galen gli ha detto che hanno ordinato di far circolare la mia fotografia tra la polizia di Amsterdam. Speriamo che non ne siano ancora in possesso.» «Be', non si aspetteranno che tu stia passeggiando in un posto pubblico come questo.» Rifletté un momento. «Forse.» «Grazie per essere così confortante. È quella la cabina telefonica dove dovremmo lasciare il pacchetto per Karlstadt?» Jan annuì. «Ma solo quando saremo sicuri che il denaro è nel cestino dei rifiuti.» «Quale cestino dei rifiuti?» «Quello rosso, vicino al cancello principale.» Sorrise. «Quello che è stato discretamente monitorato dall'uomo con la barba vicino alla bancarella dello zucchero filato. Ti ho detto che Karlstadt sarebbe stato ansioso.» Travis guardò la persona che Jan aveva indicato. Prestante, capelli biondi, faccia piena, barba. Mentre lo fissava, l'uomo piegò distrattamente il giornale e si avvicinò alla panchina accanto al cancello. Corrugò la fronte. «C'è qualcosa di familiare in lui.» «Come puoi dirlo, con quel cespuglio sulla faccia? Dev'essere finta almeno quanto i tuoi baffi.» «Non lo so. C'è... qualcosa.» Si strinse nelle spalle. «Può darsi che mi sia imbattuto in lui, prima che diventasse un sicario.» «Può darsi. Sei preoccupato al punto da volertene andare?» Preoccupato? Sì, era sempre preoccupato, quando appariva sulla scena un elemento inaspettato. Ma familiarità non significava riconoscimento... «Credo di no.» «Bene», disse Jan. «Voglio portare a termine il lavoro. Non credo che l'uomo di Karlstadt cercherà di fermarci, se ci vedrà effettuare lo scambio. E Karlstadt sa che trattieni metà della merce.»
«Diamoci un taglio, e parti per la tua crociera.» Attese che la folla intorno all'ingresso del parco giochi si fosse diradata prima di avviarsi verso il bidone dei rifiuti rosso, tenendo d'occhio l'uomo accanto alla bancarella. «Un sacchetto della spesa?» «Esatto. De Bijenkorf.» Il sacchetto era premuto contro un lato del bidone, la parte superiore piena di giornali. Finora, tutto bene. Mentre Jan lo copriva, lo ritirò e si avviò frettolosamente verso la cabina telefonica. «Vieni, Jan. Riesco praticamente a vederti salire la rampa di accesso alla nave. Ce l'hai fat...» Uno schiocco. Silenziatore. Merda. Si buttò a terra mentre afferrava la pistola. «Giù, Jan.» «Troppo... tardi.» Jan stava cadendo. «La mia... gamba. Scappa, Michael.» L'uomo biondo stava correndo verso di loro con una pistola spianata. Un altro colpo. Il proiettile sibilò accanto all'orecchio di Travis, mentre rotolava sul prato. Sparò a sua volta. L'uomo biondo vacillò, del sangue gli sgorgava dalla spalla. Ma era quasi addosso a Jan. L'afferrò per la camicia, tirandolo in ginocchio, poi gli premette la pistola alla tempia. «Butta la pistola e tirami i soldi, Travis.» «Va' a farti fottere. Lascialo andare, o ti ritroverai con un proiettile nel cervello prima di poter premere il grilletto.» «Fa' come dico, e non lo ucciderò. In realtà, sono grato a van der Beck. È stato molto utile. Dammi i soldi e lo lascerò vivere.» Il suo dito si tese sul grilletto. «Anche se mi hai causato un'infinità di guai, ti lascerò vivere ancora per un po'. Mi servi ancora.» «Stai mentendo. Non lo farai. Ci sono testimoni dappertutto.» «Non mi piacciono i testimoni, ma farò un'eccezione. Guarda la mia faccia.» Quel gelido figlio di puttana l'avrebbe ucciso. Gli tirò la borsa della spesa. «Metto giù la pistola. Adesso allontanati da lui.» «Molto saggio.» Si girò a guardare mentre sentiva trambusto al cancello. Alcune guardie stavano correndo verso di loro. Sorrise. «Non importa. Mi piacerebbe dilungarmi un po', ma sembra che stiamo per essere interrotti. La prossima volta.» Sparò alla testa di Jan.
«No!» Travis si sentì pervadere da un dolore immenso, mentre il sangue e il cervello di Jan schizzavano sull'erba. «Jan!» Morto. E l'uomo che l'aveva ucciso stava percorrendo velocemente il sentiero, in direzione della strada. Travis afferrò la pistola, balzò in piedi e lo rincorse. Sentiva le grida degli agenti che lo inseguivano. Un altro sparo. Questo non attutito dal silenziatore. Da dove arrivava? Non aveva importanza. Quel che importava era raggiungere quel maledetto bastardo che stava correndo davanti a lui e ucciderlo. Un dolore pungente. Qualcosa di caldo e umido che gli colava lungo il fianco. Continua a correre. L'uomo aveva raggiunto la strada e si stava infilando in una piccola Volvo. Travis alzò la pistola, ma non riuscì a centrare la Volvo che si stava staccando dal marciapiede. Andato. La rabbia lo invase, mentre osservava la macchina svoltare l'angolo facendo stridere le ruote. Grida dietro a Travis. Un altro sparo. Vattene. Troverai quel figlio di puttana più tardi. Attraversò di corsa la strada, percorse il vicolo, e girò l'angolo. La sua auto era parcheggiata a quattro isolati da lì. Raggiungila. Torna alla fattoria. Le ondate di dolore si susseguivano, sempre più intense. Assassino. La testa di Jan che esplodeva. Non pensarci per ora. Torna alla fattoria. Jan... 13 «Portami il kit del pronto soccorso, Melissa.» Galeri spalancò la porta e aiutò Travis a entrare in cucina. «Questo stupido si è fatto sparare. Sapevo che dovevo andare con lui.» «Sparare?» Melissa sentì il cuore sobbalzarle in petto. «È grave?»
«Una ferita da proiettile non è mai una bella cosa.» Galen fece sedere cautamente Travis in una poltrona. «Gli ha solo sfiorato le costole, ma ha perso molto sangue.» «Chi è stato?» Travis scosse la testa. «Non ne sono sicuro. Devo pensarci. Medicami e dammi qualcosa per schiarirmi le idee.» «CIA?» «Questo non aveva niente a che fare con Cassie.» «Come fai a saperlo se...» «Medicalo, prima di interrogarlo», le disse Galen. «E poi dicono che le donne dovrebbero essere il gentil sesso.» «Taci. Va in camera da letto e prendi la borsa del pronto soccorso di Jessica, ma non svegliarla. Si è appena addormentata.» «È un medico. Forse dovremmo...» «Posso occuparmene io. Non voglio che venga disturbata.» «Per carità», mormorò Travis sarcastico. «Non disturbiamola, no.» «Le hai già reso la vita abbastanza difficile, Travis.» Si avvicinò al lavandino e riempì una bacinella d'acqua. «Togliti la camicia.» Vide che era in difficoltà, e a denti stretti disse: «Lascia perdere. Sembra che tu stia per svenire. Ti aiuto io.» Posò la bacinella sul tavolo e gli sfilò cautamente la camicia. «Ne deduco che il tuo 'affare' non è andato bene come speravi.» «Puoi ben dirlo. Vuoi sbrigarti?» «Lo sto facendo. Credi che mi diverta a prendermi cura di te?» «Ecco.» Galen posò una borsa di pelle sul tavolo e l'aprì. «Posso dare una mano? Sono piuttosto bravo anch'io, nel prestare i primi soccorsi.» «Lo immagino.» Melissa pulì abilmente la lunga, frastagliata escoriazione. «Tutte quelle ferite di guerra...» «Che cosa?» «Niente. Passami quell'antisettico.» Guardò Travis in faccia. «Brucerà.» Non attese la sua risposta, ma versò il disinfettante sulla ferita aperta. Non ebbe alcuna reazione, se non una lieve smorfia. «Un vero macho.» «Sì, certo.» Travis guardò Galen. «Va' al telefono e trovaci un altro posto dove stare. Non mi hanno seguito fin qui, ma dobbiamo assicurarci che l'uomo che ha ucciso Jan non...» «Jan è morto?» lo interruppe Galen. «Oh, Dio, mi dispiace, Travis.» «Anche a me.» Travis guardò Melissa. «Hai finito con me?» La ragazza terminò di medicare la ferita. «Così dovrebbe bastare.» Gli diede tre aspirine. «Non sei capace di provare dolore nemmeno per qualcosa di più gra-
ve.» «Oh, sì che provo dolore.» Mellie capì che non stava parlando di dolore fisico. Soffocò un impeto di simpatia. «Se hai la testa incasinata, non dipende da quella ferita.» Travis ingollò l'aspirina e disse a Galen: «Sapeva della consegna. O era un uomo di Karlstadt, oppure qualcuno che aveva accesso all'informazione. Ha detto che Jan gli era stato utile. Jan aveva trovato due microspie nel suo appartamento, la settimana prima. Pensavo che potesse essere la CIA, ma...» Scosse la testa. «Potrebbe essere stato un cane sciolto, ma i conti non tornano lo stesso. Devo riflettere. Leviamo le tende, però.» «Parigi?» Travis alzò le spalle. «Perché no?» «Bene.» Galen si alzò in piedi e tirò fuori il telefono. Esitò. «Mi dispiace davvero molto. So che era come un fratello per te.» Uscì dalla casa. Melissa udì a malapena le ultime parole. «Parigi? Perché Parigi?» «Lo sai perché», rispose stancamente Travis. «Ho fatto una promessa e intendo mantenerla.» Lei chiuse gli occhi. «Merda.» «Sono d'accordo con te.» Infilò la camicia. «So che speravi che abbandonassi l'idea per via della...» s'interruppe, «morte di Jan.» Gli faceva male dirlo. E lei sentì il suo dolore. Ma non voleva sentirlo, maledizione. Aprì gli occhi e lo guardò. «Non posso farci niente se il tuo amico è morto. Doveva essere pazzo, o non avrebbe rischiato la vita con te. Avresti dovuto imparare la lezione, ma non è così. Stai andando avanti alla cieca, senza curarti di quelli che ferisci.» «Non farò del male a nessuno.» «Vallo a dire al tuo amico Jan.» Trasalì. «Tu sei il tipo che si sarebbe divertita a praticare la medicina ai vecchi tempi, prima che scoprissero l'anestesia.» Finì di abbottonarsi la camicia. «Adesso, se non ti dispiace, credo che uscirò per raggiungere Galen. Ho bisogno di un po' d'aria.» Melissa lo osservò allontanarsi, stringendo i pugni. Gli aveva causato dolore, ma non gli avrebbe rivelato il rimorso che provava. Travis era abbastanza duro da sopportare quasi tutto, e doveva diventarlo anche lei. Riportò la borsa di Jessica in camera da letto e la posò sulla poltrona accanto al tavolino da notte. Jessica era rannicchiata sul letto vicino a Cassie. Rimase a guardare la bambina disturbata e sua sorella, disposta a rinunciare a tutto pur di proteggere la sua paziente. Stavano entrambe dormendo
profondamente, e provò un improvviso senso di protezione verso di loro. Strano. Jessica era sempre stata la più protettiva, la rete di sicurezza in un mondo insicuro. Ma non ora. Jessica si trovava al di fuori della sua sfera di competenza. Accidenti, forse anche Melissa lo era, ma non poteva permettere che ciò avesse importanza. Doveva tuffarsi, cercare di mantenere tutti a galla e sperare che non affogassero. Si avvicinò all'altro comodino, aprì la borsetta di Jessica e cominciò a frugare. «Stai bene?» chiese Galen avvicinandosi a Travis. «Non dovresti riposare?» «Per una stupida ferita? Ricordo di aver sentito raccontare che una volta, in Tanzania, percorresti cinque chilometri a piedi con un machete infilato in una gamba.» «Sì, ma non tutti sono superman come me.» Guardò l'orologio. «Hai quarantacinque minuti, prima che vengano a prenderci. Torna in casa e riposati un po'.» «È più riposante qui.» Galen annuì. «Capisco. Vuole impedirti di rintracciare il Cavallo Alato.» «Dovrà abituarsi all'idea.» Travis si appoggiò allo stipite della porta. «Sei riuscito a trovarlo?» «Ho fatto contattare da un mio uomo Paul Guilliame, il vice direttore del museo. È noto per accettare volentieri bustarelle.» «Il Cavallo Alato è un po' diverso.» «Ma il carattere debole di Guilliame dovrebbe tornarci utile, se i soldi e il modo di presentargli le cose saranno giusti.» Sorrise. «E il mio modo di presentargliele è sempre giusto.» «C'è qualcos'altro che devi fare per me.» Galen lo guardò con aria interrogativa. «Credo di conoscere l'uomo che ha ucciso Jan. Lui mi conosceva di certo. Voleva uccidere me, non Jan.» «Hai riconosciuto la sua faccia?» Scosse la testa. «Gli occhi mi erano vagamente familiari. Verdi, leggermente a mandorla... ma aveva una barba finta.» «Allora cosa vuoi da me?» «Che trovi qualcuno che si intrufoli nei computer dell'Interpol per me.
Ho bisogno di vedere le foto segnaletiche.» «A meno che tu non sappia da dove incominciare, potrebbero volerci i prossimi cinquant'anni per passare in rassegna tanti dossier.» Travis lo sapeva, ma doveva pur incominciare da qualche parte. «E va bene, ci impiegherò cinquant'anni. Trovami l'hacker.» Galen annuì. «Non posso prometterti di trovarlo per quando arriviamo a Parigi, ma qualcuno troverò.» «Bene.» No, non andava affatto bene. In quel momento non riusciva a vedere niente di positivo. Jan... «Vuoi parlarne?» chiese dolcemente Galen. «A volte aiuta.» Travis scosse la testa. «È morto.» Storse le labbra. «Non c'è niente da dire.» «Non è stata colpa tua. Jan era nel giro da molto tempo. Sapeva quel che stava facendo.» «Lo so.» «Ma tu sei vivo e il tuo amico è morto.» Galen si strinse nelle spalle. «È dura. Ma affrontala.» «Lo sto facendo. Tu pensa a procurami l'hacker.» «Considerala cosa fatta. Ho in mente un uomo che potrebbe essere in grado di aiutarti. Stuart Thomas. Un tipo strano, ma non c'è niente che non sappia in fatto di computer.» Suonò il telefono e rispose. Ascoltò per un momento e riagganciò. «Credo che Guilliame abbia abboccato. Tirerà fuori la statua dalla bacheca e la porterà in una stanza sul retro, con il pretesto di farla pulire. Dice che dovranno esserci guardie alla porta, o desterà sospetti. Ne conosce un paio che sono disposte a guardare dall'altra parte, dietro compenso.» «E quanto vuole?» «È salito. Due milioni. Un bel po', per quattro ore con una maledetta statua. Ma posso contrattare.» «Non c'è tempo.» «Hai i soldi?» «Ho qualcosa con cui barattare.» «Che vale due milioni?» «Credo che Guilliame acconsentirà. Karlstadt l'ha fatto.» «Userai la merce che hai promesso a Karlstadt?» Si lasciò sfuggire un fischio. «Potrebbe essere pericoloso.» «Me ne preoccuperò dopo.» «Può darsi che tu debba preoccupartene prima.»
«Che vada a farsi fottere. Potrebbe essere stato Karlstadt a far uccidere Jan.» «Ma non ne sei sicuro.» «No, non sono sicuro di niente in questo momento.» Incontrò lo sguardo di Galen e ripeté: «Che vada a farsi fottere». «Lungi da me il voler interferire con un uomo che brama la vendetta. Ho scoperto che la ragione di solito finisce fuori dalla finestra.» Si girò. «Dovremmo essere a Parigi per mezzanotte.» «Assumi altri uomini», disse Deschamps non appena Provlif alzò il telefono. «E non parlarmi di soldi. Ho tutti i soldi che vuoi. Adesso trova Cassie Andreas.» «Potrebbe non essere qui.» «Cosa?» «Il mio contatto alla CIA dice che corre voce che sia stata prelevata dal tuo vecchio amico Travis.» Si lanciò nella spiegazione. Quando Provlif ebbe finito, Deschamps rimase silenzioso per un momento. «Molto improbabile.» «Il presidente è tornato a Washington dal Giappone, sostenendo di essere malato. Ma è sano come un pesce.» Più Deschamps ci pensava, e più era propenso a credere alle voci. Travis non aveva mai nominato la bambina, nelle sue conversazioni con van der Beck, ma Andreas poteva essersi fidato abbastanza di lui da chiedergli di aiutare la figlia. E Travis era abbastanza dritto da essere riuscito a pianificare la fuga. L'eccitazione cominciò a pervaderlo. Il cerchio si stava chiudendo. Travis, e adesso forse la bambina. «Deschamps?» «Potrebbe essere vero.» «Perché avrebbe preso la bambina?» Per la stessa ragione per cui la voleva Edward? Era possibile. Forse l'interferenza di Travis a Vasaro era stata soltanto un inganno per coprire una mossa. «Voglio il numero di telefono di Travis.» «Sto cercando di procurarmelo.» «Cerca meglio. Sai benissimo che la CIA ne è in possesso, se Travis era in questo posto in Virginia.» «Ti ho detto che non sono stati in grado di intercettare le sue telefonate.» «Non voglio intercettarle. Ma può darsi che voglia parlare con lui.»
«Ci lavorerò.» «Forza. Poi sali su un aereo e torna qui. Potrei aver bisogno di te.» Riagganciò e si appoggiò allo schienale della poltrona. Voleva quel numero di telefono. Provava lo strano bisogno di mettersi in contatto con Travis. Non era mai successo prima con nessuno dei suoi bersagli, ma con Travis era diverso. L'aveva umiliato, e sottrargli il denaro non era stato sufficiente. Ora, questa nuova informazione mostrava come Travis rappresentasse un altro pericolo. Non era solo una minaccia, era una competizione. Sì, voleva assaporare quest'uccisione, giocare con Travis, mostrargli che sarebbe stato sempre un passo più avanti di lui. Quale sarebbe stata la prossima mossa? Se Travis scottava, come pensava Provlif, sarebbe rimasto nascosto. Ma Edward aveva ucciso il suo amico, e quell'uomo era abbastanza sentimentale da volersi vendicare. Prima, però, avrebbe dovuto identificare e poi localizzare Edward. E l'unica pista da cui sarebbe potuto partire era la morte di Henri Claron. Probabile che decidesse di seguirla. Lione? Forse. O forse no. Travis era stato derubato del denaro che si aspettava, e tenere nascosta Cassie Andreas poteva essere un'impresa costosa. Forse avrebbe deciso che era necessario proseguire verso il suo obiettivo principale. Edward avrebbe dovuto controllare tutto quel che aveva saputo su Travis, e poi seguire il suo istinto... Parigi Il modesto appartamento si trovava alla periferia della città vicino a un piccolo parco molto verde. Era anche a quattro isolati dal museo d'Andreas. «Carino.» Galen posò le valigie nel soggiorno e si guardò attorno. «Un po' vecchiotto, ma molto confortevole. Forse un po' troppo blu. Che sarà anche un colore primario, ma io l'ho sempre trovato deprimente.» «Va bene così. Non resteremo abbastanza a lungo per deprimerci.» Travis trasportò Cassie in camera e la adagiò sul letto. Poi si rivolse a Jessica. «Non ha più sofferto di incubi da quando abbiamo lasciato Juniper. È positivo, no?» «Vuoi che ti dica che il rapimento è una buona terapia?» chiese sarcasti-
ca. «Non lo farò, Travis.» «Be', non le ha nuociuto.» «Per ora.» Melissa entrò nella stanza, posò una valigia e la borsa di Jessica accanto al calorifero sotto la finestra. Poi andò nella stanza da bagno adiacente e sbatté la porta. Jessica fece una smorfia. «Ha ragione, sai. Ignoro che effetto avrà su Cassie tutto questo, sul lungo periodo.» «Non posso fare diversamente.» Cercò di mantenere un tono di voce normale. «Sto facendo del mio meglio.» Tornò nel soggiorno e vide Galen dirigersi verso la porta d'ingresso. «Dov'è Stuart Thomas?» «Nell'appartamento dall'altra parte del corridoio. Ama la sua privacy. Credimi, se lo conoscessi bene non lo vorresti troppo vicino. Quando è coinvolto in un progetto, pensa che cose come fare una doccia o lavarsi i denti siano una perdita di tempo.» «Ed è coinvolto, in questo progetto?» «Su scala ridotta. Se gli avessi chiesto di intrufolarsi nei dossier topsecret del Pentagono, sarebbe stato più interessante per lui.» Aprì la porta. «Vado a controllare.» «Vengo con te.» «No. Sei troppo teso, e non voglio che Stuart si agiti. E poi, è mezzanotte passata. Dormi un po'. Puoi vederlo domattina.» «Non ho bisogno...» S'interruppe, incontrando lo sguardo fermo di Galen. Non sarebbe servito. Galen aveva deciso, e non avrebbe cambiato idea. «Svegliami, se Thomas fa qualche progresso.» «Domattina.» La porta si richiuse alle sue spalle. Al diavolo Galen. E grazie a Dio per Galen. «Quando pensi di condurre Cassie dal Cavallo Alato?» Melissa stava dall'altra parte della stanza. «Fra due notti, dopo la chiusura del museo. Se tutto va bene.» «Non andrà bene.» Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Ma non mi ascolterai, vero?» «Non posso.» «Sei ferito. Perché non aspetti di stare meglio?» «Come hai detto, questo è solo un graffio. Non valeva neanche la pena di medicarlo. Non ho ragione?» Rimase zitta un istante. «Sì. Vorrei che avesse ucciso te, invece del tuo amico.»
«Be', non hai avuto fortuna.» «Potremmo non averne, nessuno di noi.» Fece una pausa. «Voglio che mi procuri una pistola.» Si irrigidì. «Perché?» «Voglio essere in grado di difendermi. Non ho intenzione di dipendere da te.» Sorrise in maniera sarcastica. «Non preoccuparti. Non sto meditando di spararti, anche se ne avrei una gran voglia.» «Sai usare una pistola?» «Un po' di tempo fa ci sono stati stupri e aggressioni al campus, e le mie compagne di camera e io eravamo un po' nervose. Così abbiamo seguito corsi di autodifesa, e io ho comprato una Smith and Wesson 38 per l'appartamento.» «Okay, dirò a Galen di procurartene una domattina.» «Bene.» Fece per tornare in camera sua, ma si fermò e si girò a guardarlo. Travis fu colpito dalla sua espressione disperata. «Non voglio vederti morto. Nessuno deve più morire. La vita è un dono troppo prezioso. Bisognerebbe fare tesoro di ogni minuto e...» «Credi che Cassie si stia godendo la vita? Jessica sta facendo quel che può per rendergliela migliore.» Scosse stancamente la testa. «E anch'io, credo.» «Jessica non capisce. Tu non capisci.» La sua voce era piena di disperazione. «Non posso permetterti di farlo.» Travis fissò pensieroso la porta, dopo che lei l'ebbe chiusa dietro di sé. L'intensità dei sentimenti di Melissa stava aumentando, e questo poteva essere pericoloso. Gesù, non era certo ciò di cui aveva bisogno. Tutto quel che voleva era mantenere la promessa fatta a Jessica. E trovare il killer di Jan. Pensa all'uomo nel parco. Rivivi ogni momento da quando l'hai visto. Aveva detto a Jan che c'era qualcosa di familiare in lui. Ma cosa? Occhi verdi... Ma non era stato abbastanza vicino per vedergli gli occhi, quando aveva fatto quell'osservazione a Jan. Sedette sul divano. Rifletti. Rivivilo. Fa' un collegamento. Washington D.C. «Danley pensa di aver localizzato Travis, signor presidente», disse Keller. «Be', non proprio localizzato, ma ieri c'è stato un incidente nel parco, ad Amsterdam. Jan van der Beck è stato assassinato.»
«Da Travis?» «No, l'aggressore è fuggito con Travis alle calcagna. Pensiamo che Travis sia rimasto ferito.» «Bene», fece Andreas. «Vorrei che quel bastardo finisse infilzato su uno spiedo.» «Non prima di aver ritrovato sua figlia», osservò Keller. «Poi saremo lieti di soddisfare la sua richiesta, signor presidente. Danley crede di aver individuato anche la società di Anversa che ha noleggiato il furgone per trasportare sua figlia. Il momento coincide. Ci stiamo avvicinando, signore.» «Non abbastanza. Vado ad Amsterdam.» «Questo non sarebbe saggio.» «Faccia preparare l'Air Force One. Quell'aereo è stato costruito perché il presidente potesse dirigere il paese da lì, durante un'emergenza. Lo testerò. Poi faccia dire dal medico che ho avuto una ricaduta e non posso lasciare la mia stanza. Farò un'apparizione al balcone perché tutti sappiano che non sto morendo.» «E la first lady?» Chelsea. Si era insospettita fin dal momento in cui lui era sceso dall'aereo proveniente da Tokio. Lo conosceva bene, erano troppo affiatati perché un inganno reggesse a lungo. Dio, non voleva dirle di Cassie. Ma non poteva non dirglielo, se partiva per Amsterdam. Si alzò. «Vado a parlarle. Partiamo fra un'ora, Keller.» «Sì, signor presidente.» Qualche minuto dopo, Andreas stava aprendo la porta della loro suite privata. Chelsea era sul letto, e stava lavorando al computer. «E questo lo chiami 'riposare'?» «Sono sdraiata, non ti pare?» Gli rivolse quel radioso sorriso che per primo aveva catturato la sua attenzione tanti anni fa. Era più bella adesso di quanto non fosse stata quel giorno. Il suo amore, la sua compagna, la sua miglior amica... Entrò nella stanza. «Devo parlarti, Chelsea.» 14 «Un gioco da ragazzi», disse Stuart Thomas. Si alzò e indicò lo schermo del computer. «Ecco, signor Travis. È tutto suo.»
La maglietta di Thomas era macchiata di sudore e puzzava come Galen gli aveva predetto, notò Travis. L'idea di lavorare a stretto contatto con quell'uomo non era il massimo. «Perché non va a mangiare un boccone? L'avverto se ho bisogno di lei.» «Non lo troverà limitandosi a curiosare. Che cosa dovrebbe aver fatto?» «Omicidio.» «Che genere di omicidio? Crimine passionale, violazione di domicilio, eutanasia? Deve restringere il campo, se vuole ottenere dei risultati.» «Lasci che ci lavori.» Thomas esitò. «Mi darà lo stesso i miei soldi? Di solito vengo pagato metà in anticipo e metà quando mi si dice che non si ha più bisogno di me. Ho rinunciato al primo pagamento, perché Galen è un buon amico, ma avrei dovuto...» «Quanto?» «Cinquemila.» «Aspetti qui.» Lasciò Thomas e tornò nell'appartamento, dall'altra parte del corridoio. «Complicazioni?» Galen si alzò dalla sedia. «Più un inconveniente. Thomas vuole essere pagato e io ho un problema di contanti. Cinquemila?» Galen scosse la testa. «Posso procurarteli entro stasera.» «Li vuole adesso. Non importa.» Si avvicinò alla sacca da viaggio e prese il suo laptop, poi aprì il disk drive e tirò fuori un sacchettino. «Dovrai servirti delle tue doti comunicative e convincerlo ad accettare merce, invece di contanti.» Versò metà del contenuto del sacchetto sul tavolino. «Accidenti», mormorò Galen. «Diamanti?» Travis passò in rassegna le pietre. «Anche la più piccola di queste gemme gli frutterà più di cinquemila dollari.» Galen stava fissando il mucchietto. «E le hai fatte entrare clandestinamente nel computer?» «Mi è sembrato un buon posto, dato che non sarei stato perquisito dalla sicurezza dell'aeroporto.» «Ecco perché hai voluto uno strappo sull'Air Force One.» Annuì. «Non volevo rischiare di perderle alla dogana, dopo tutto quello che avevo affrontato per averle.» «Andreas non sarà contento che tu abbia usato il suo aereo per i tuoi scopi personali.» «In questa fase del gioco, ammetterebbe che il contrabbando è il minore
dei miei peccati.» Scelse una delle pietre. «Non sono un esperto, ma direi che questa è di ottima qualità.» «La migliore.» «È così che intendi pagare il direttore del museo?» Melissa era entrata nella stanza, lo sguardo sui diamanti che scintillavano sul tavolino. «Sono rubati, non è vero?» «Si può anche dire così.» «Ed è per questo che il tuo amico è morto?» «Si può dire anche questo.» Porse il primo diamante che aveva scelto a Galen. «Dì a Thomas che sono in vena di generosità. Qualsiasi esperto a Parigi gli dirà che la pietra vale il doppio della cifra che ha chiesto.» «Puoi scommettere che si precipiterà alla Borsa Diamanti per saperlo.» «Nessun problema. Supererà qualsiasi test a cui venga sottoposta.» Divise in due il mucchietto e ne diede una metà a Galen. «Per Guilliame. Sono sicuro che vorrà controllare la merce prima di stasera.» «Questo deve valere più del prezzo che ha chiesto, Travis.» «Dalli a Guilliame e chiudiamo l'incidente.» Rimise il resto dei diamanti nel sacchettino e lo rinfilò nella sacca. «Ma voglio una garanzia per queste quattro ore, o gli strapperò il cuore.» «Sei un vero gentiluomo, Travis», osservò Melissa. «Non sono stato allevato da gentiluomo in una piantagione del sud. Mi è stato insegnato a farmi strada con lo zucchero, ma sempre con il coltello pronto.» Incontrò il suo sguardo. «Dovresti apprezzarlo. Sei molto brava con il coltello, Melissa.» «Sto migliorando.» «Credo che andrò a sbrigare il mio lavoretto», disse Galen. «L'atmosfera qui dentro sta diventando un po' troppo tesa per i miei gusti. Ti farò sapere se ci sono problemi, Travis.» «Bene.» Il suo sguardo non si staccò da Melissa. «Ne ho già abbastanza così.» «Te lo riconosco.» «Non c'è da meravigliarsi che tu sia riuscito a portarci a spasso per l'Europa con tanta disinvoltura», osservò Melissa dopo che Galen se ne fu andato. «Il denaro può aprire molte porte, non è vero?» «Le porte del museo d'Andreas, perlomeno.» «E se dicessi a Jessica che stai usando denaro rubato, per aiutare Cassie?» «Sappiamo entrambi che per lei non farebbe differenza. Troverebbe un
modo per giustificarlo, se servisse a salvare la vita della bambina.» Sorrise. «Ma la faresti preoccupare e stare male. Così non glielo dirai, non è vero?» Non rispose. «Ci hai provato, Melissa.» Si alzò. «Adesso devo tornare alla porta accanto, a sbrigare un lavoretto. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi.» Jessica entrò in cucina dieci minuti dopo. «Dov'è Travis?» chiese. «Alla porta accanto.» Melissa si sforzò di sorridere. «Ho appena preparato del tè freddo. Ne vuoi un po'?» «Grazie.» «Come sta Cassie?» «Sempre uguale.» Sedette al tavolo e si massaggiò le tempie. «Gesù, spero che questa faccenda del Cavallo Alato dia esito positivo.» «Se hai dei dubbi, non dovresti farlo.» Melissa posò il bicchiere davanti alla sorella. «Stiamo facendo progressi. Lo so. Se mi permettessi di essere un po' più dura con lei, potremmo anche accelerare le cose.» «Può darsi che tu lo sappia, ma io no. Cerco di seguirti, ma non credo del tutto a questa storia del contatto psichico. Va contro il mio istinto e la mia formazione.» «Lo so. È proprio questo il problema.» Melissa cadde d'un tratto in ginocchio davanti a sua sorella e le affondò la testa nel grembo. «Cerca di credermi, Jessica.» La sua voce era smorzata. «Ti voglio bene e voglio soltanto il meglio. È quello che ho sempre voluto per te. Ti ho tolto molto, lascia che provi a ridarti qualcosa.» Le sue braccia si strinsero attorno alla vita della sorella. «Lascia che ti aiuti. Dammi retta. Ti prego.» «Mellie?» Jessica alzò il mento di Melissa e la guardò in viso. Le toccò la guancia bagnata. «Stai piangendo...» Le sue labbra tremarono. «Ulteriore riprova della mia instabilità emotiva, vero?» «Non è vero.» Afferrò Melissa per le spalle e la scosse leggermente. «E non mi hai tolto niente che non fossi disposta a dare. Tutti abbiamo una strada da percorrere, nella vita. Non ti rendi conto che mi hai aiutato a trovare la mia? Non ho mai rimpianto un minuto degli anni che ho trascorso con te.» «Io sì.» «Allora smetti. E per carità, smettila di piangere. Mi stai soffocando.» «Scusa.» Posò di nuovo la testa in grembo a Jessica. «Rispondi a una
domanda. Se giuro sul mio amore per te che ho ragione riguardo al Cavallo Alato, che è pericoloso per Cassie, mi crederai?» Silenzio. «Oh, Gesù.» «Sono troppo attaccata alla realtà, Mellie. So che credi di avere ragione, ma la mia mente cerca automaticamente una spiegazione logica per tutto quel che è successo. E la ragione mi dice che esporre Cassie a un'influenza che è sempre stata benigna potrebbe schiudere una porta.» «È un rischio, un rischio terribile.» «Ma un rischio che vale la pena di correre.» Si interruppe. «Devo farlo, Mellie.» «Questa è la tua ultima parola?» «Sì. Ma se non sei d'accordo, non sei costretta a venire con noi.» «Eccome se ci verrò.» Melissa si raddrizzò e si asciugò gli occhi. «Dove vai tu, vengo anch'io.» Si alzò in piedi. «Bevi il tuo tè. Vado a lavarmi la faccia, e poi ti preparo qualcosa da mangiare.» ore 14.45 Non stava combinando niente. Travis si appoggiò alla sedia e si sfregò gli occhi. Passare in rassegna i dossier sullo schermo del computer si stava rivelando stancante, oltre che frustrante. Aveva saputo fin dall'inizio che le chance sarebbero state scarse, ma aveva sperato di imbattersi in qualcosa che potesse innescare un ricordo... Qualcosa che facesse clic, un flash di... Niente. Occhi verdi, leggermente a mandorla. Capelli biondi, ma potevano anche essere tinti. Una barba che nascondeva i lineamenti come una maschera. Maschera... Si raddrizzò lentamente. Maschera. Non aveva riconosciuto la faccia dell'uomo. Non aveva pensato che l'uomo gli era familiare, fino al momento in cui non l'aveva visto spostarsi dalla bancarella dei dolciumi alla panchina. Maschera. «Cristo.»
«C'è riuscito?» «Calma. Ci vuole tempo.» Thomas non staccò lo sguardo dallo schermo. «Ci sto lavorando solo da un paio d'ore.» «Aveva detto che sarebbe stato più facile se fossi riuscito a restringere il campo», disse Travis. «E io l'ho fatto.» «Un metro e ottanta, o ottantadue, età tra i trentacinque e i quarant'anni, colorito nordico, arma preferita una nove millimetri.» Passò in rassegna altri dossier. «E un background da terrorista», aggiunse Travis. «Questa è la chiave. Se me l'avesse detto prima, avrei potuto essere... «Non lo sapevo, prima. Quanto ci vuole? Non possono essercene molti che corrispondono a questo profilo.» «Resterebbe sorpreso. È un mondo violento, quello in cui viviamo.» Passò un'altra ora. «Bingo!» Thomas si chinò in avanti. «Dia un'occhiata. Questo può essere il suo uomo.» Età trent'anni, ma il dossier risaliva a dieci anni prima. Sbarbato, capelli castano chiaro, un po' stempiato, ma gli occhi erano quelli. Verdi. Leggermente a mandorla. Sì. «Lo stampi.» Thomas premette il bottone. «Brutta storia.» Lesse i precedenti. «Incendio doloso, furto, omicidio... IRA, Figli italiani della Libertà, skinhead nazisti. Non sembra sposato a una sola causa...» «Non è così insolito. I mercenari vanno dove ci sono i soldi.» Sfilò la fotografia dell'uomo dalla stampante. «Pensavo che potesse avere affiliazioni terroristiche, dato che due di quelli che sono morti a Vasaro le avevano.» «Vasaro?» «Non importa.» Afferrò una matita e cominciò a tratteggiare una barba. Non c'erano dubbi. «È lui?» chiese Thomas. «Ce l'ho fatta?» «Sì.» Spinse indietro la sedia. «È un genio, Thomas.» «Il genio dovrebbe essere ricompensato.» Thomas sorrise scaltramente. «Non pensa che meriti una ricompensa? Magari un altro di quei bei gingilli?» «Non sia avido», disse Travis con aria assente, mentre fissava la fotografia. «Può procurarmi un background e un profilo psicologico?» «Probabilmente la CIA ne possiede uno. Mi conceda trenta minuti.»
Ne occorsero quarantacinque, prima che premesse il bottone della stampante e porgesse due pagine a Travis. «Ecco fatto.» «Grazie.» Si diresse alla porta. Edward James Deschamps. Beccato. 15 ore 16.15 «Edward Deschamps.» Galen alzò lo sguardo dal foglio. «Sei sicuro?» Travis annuì. «Sicuro come posso esserlo senza averlo rivisto.» «E credi che sia il capo della squadra di Vasaro?» «I conti tornano! Mi conosceva, e io l'avevo intralciato qualche volta, in passato. Mi era familiare, ma non ho riconosciuto la sua faccia. Devo aver ricordato il modo in cui si muoveva.» «Ero fuori in cortile, non ho avuto modo di vederlo. Come si muoveva?» «In un modo molto particolare. Veloce, elastico. Come un tennista.» «Karlstadt non ha niente a che fare con l'assassino di Jan?» Travis scosse la testa. «Improbabile. Vasaro è stato prima che io restassi coinvolto con Karlstadt e i diamanti. E poi, Deschamps voleva i soldi, e non i diamanti. Quelli erano la priorità di Karlstadt.» «Vuol dire che adesso sei tenuto d'occhio dai russi, da Deschamps e da Karlstadt?» «Hai dimenticato la CIA e gli uomini della sicurezza», disse Melissa dall'angolo, dov'era rannicchiata in una poltrona. «Lo trovo molto incoraggiante. Con queste premesse, qualcuno finirà con il beccarti.» «Tu ci speri», disse Travis. «Ma forse, se dici a tua sorella che Deschamps è ritornato sulla scena potrebbe cambiare idea circa il Cavallo Alato. Potrebbe pensare che il gioco non vale la candela.» «Glielo dirò.» Si alzò in piedi. «Ma non cambierà idea, a meno che non ci sia un pericolo diretto per Cassie.» «Ti sei rassegnata, finalmente?» «No, accidenti», rispose con veemenza. «Ho accettato solo il primo passo. Questo non significa che non mi opporrò a ogni passo successivo.» «Sono sicuro che lo farai. Intendi venire con noi?» «Speravi che non lo facessi? Mi dispiace, ma non intendo rinunciare.» Galen stava aggrottando la fronte, mentre osservava la fotografia
dell'uomo. «Credo di essermi imbattuto in lui una volta. Da qualche parte in Portogallo. Possibile?» «Non apparteneva a nessun gruppo portoghese, ma questo non significa che non abbia operato anche lì.» Travis stava leggendo il suo profilo. «È un cittadino statunitense, ma è rimbalzato in tutta Europa. Pare che sia un gourmet. Veste in maniera vistosa... si fa fare i vestiti a Roma.» Tralasciò qualche riga. «Sua madre ha divorziato da suo padre e ha condotto Edward a Parigi quando aveva sei anni. Ha sposato Jean Detoile, il proprietario di una galleria d'arte. Detoile aveva soldi, e ha messo il bambino in un collegio privato. Ottimi voti dapprima, quoziente di intelligenza molto alto. Poi, a dodici anni, il patrigno lo accusa di furto e lo consegna alla polizia. È stato in un carcere minorile per due anni.» Scorse il resto della pagina. «Quando è uscito, ha cominciato a lavorare per le strade: droga, truffe all'americana, furti. Ma evidentemente, questo non pagava abbastanza, perché è diventato un killer a vent'anni. Si è specializzato in dispositivi di sorveglianza.» Alzò lo sguardo. «Questo spiegherebbe anche la presenza delle microspie nell'appartamento di Jan.» Abbassò nuovamente lo sguardo sul rapporto. «Poi è entrato nelle fila del terrorismo. Ha lavorato con un certo numero di gruppi e ne ha formato uno suo. Non è durato molto. Era essenzialmente un solitario, e la squadra si è sciolta.» «E i genitori?» «Sua madre è morta quando era in carcere. Il suo patrigno è stato assassinato quattro anni dopo la scarcerazione di Deschamps.» «Da Deschamps?» «Probabile. Non è mai stato provato. Non è stata trovata nessuna traccia di colpevolezza. Ma è stata una morte estremamente cruenta.» Si interruppe. «È interessante che non abbia ucciso il patrigno subito dopo il rilascio. Ha aspettato, si è preparato e poi si è mosso. Uno spietato figlio di puttana.» «Uno che sa il fatto suo, evidentemente.» «Non abbastanza. L'unica ragione che aveva per uccidere Jan era ferire me.» Poi, più piano, aggiunse: «E quest'errore gli costerà caro». «E ne godrai», intervenne Melissa. «Senza dubbio. Vuoi sapere qualcos'altro su Deschamps? Credo penseresti che ne esco bene al confronto.» Si diresse verso la camera da letto. «Ci vorrebbe un serial killer di massa per farti apparire migliore ai miei occhi.»
Travis si rivolse a Galen, mentre la porta si chiudeva dietro di lei. «Hai abbastanza informazioni per trovarlo?» «Se fosse così, la CIA o l'Interpol l'avrebbe catturato molto tempo fa.» Sottrasse il rapporto a Travis e lo sbirciò. «È stato pizzicato tre volte a Parigi, in periodi diversi della sua carriera. Ovviamente gli piace, qui. È un posto da cui cominciare. Drizzerò subito le antenne. Ma aspetta e spera!» ore 24.35 «È quasi ora di andare, bambina», sussurrò Jessica. Avvolse la leggera coperta intorno a Cassie. «Sarà eccitante. Rivedrai un tuo vecchio amico.» Si rivolse a Melissa. «Travis ha detto che lasceremo Parigi subito dopo essere andati al museo. Vuole che sia già tutto sul furgone. Puoi accertarti che abbia sgombrato il bagno mentre preparo una tazza di caffè?» Fece una smorfia. «Anche se non capisco perché sento il bisogno di caffeina, quando sono già così nervosa.» Melissa scosse la testa. «Tu non sei mai nervosa.» «Stasera lo sono.» Jessica andò nel soggiorno, dove aspettavano Travis e Galen. «È quasi ora?» Travis annuì. «Come sta la piccola?» «Sveglia.» «Mantienila in questo stato. Altrimenti il suo sonnellino ci costerà caro. Dov'è Melissa?» «Sta preparando i bagagli.» Andò in cucina e versò una tazza di caffè. «Dove andiamo?» «Se la cosa funziona, sistemerò te e Melissa da qualche parte al sicuro, e ti lascerò trattare le condizioni con Andreas.» «E quale sarebbe questo posto sicuro?» «Che ne diresti della Riviera?» chiese Galen. «Non lo so, non ci sono mai stata. Ma non mi sembra il posto giusto per nascondersi.» «Il che, solitamente, ne fa il posto migliore.» «Avremo comunque i giorni contati. Non so perché Andreas non ci abbia ancora raggiunti.» «Ci siamo mossi in fretta, e abbiamo avuto Galen.» «Quali saranno le tue condizioni?» Travis scosse la testa. «Andreas non sarà incline a venire a patti con me.»
«Tutto fatto.» Melissa uscì dalla camera stringendo la sacca. «Andiamo e facciamola finita.» Povera Mellie. Era così pallida e tesa, che Jessica si sentiva male per lei. «Porto il furgone sul retro e mi accerto che non ci sia in giro nessuno.» Galen si diresse alla porta. «Se non telefono, porta giù Cassie fra cinque minuti.» Jessica porse a Melissa la tazza di caffè. «Bevilo. Hai un bruttissimo aspetto.» «Non ne ho bisogno.» «Bevilo, Mellie.» Melissa abbozzò un sorriso. «Sì, signora.» Bevve qualche sorso e le restituì la tazza. «Soddisfatta, santa Jessica?» «Sì.» Si rivolse a Travis. «Come facciamo a far entrare Cassie nel museo senza essere visti? Portarla in giro attirerà certamente l'attenzione.» «Parcheggeremo il furgone nel vicolo ed entreremo dall'ingresso posteriore. Galen dice che la sala manufatti è in fondo all'atrio.» «Le guardie?» «Due, e sono state corrotte. Una all'ingresso sul retro e una alla porta della sala. Nella stanza c'è una porta che conduce a un'area di deposito, nel seminterrato. Galen metterà uno dei suoi uomini a quella porta, nel caso sia necessario.» «Cristo, spero che vada tutto liscio.» «Jessica...» Jessica si girò verso Melissa. Gli occhi di sua sorella erano vitrei e mosse un passo incerto verso di lei. «Jessica...» «Sorreggila, Travis», disse Jessica. Travis scattò in avanti, mentre le ginocchia di Melissa si piegavano e incominciava a cadere. Melissa guardò la faccia di Jessica, terrorizzata. «No... Jessica.» «Shhh.» Jessica sprimacciò il cuscino sul divano. «Non preoccuparti, Mellie.» «Cielo. Non sai cosa...» Poi crollò tra le braccia di Travis, perdendo conoscenza. «Che cosa diavolo le è successo?» mormorò Travis. «Un sedativo nel caffè», gli spiegò Jessica. «Mettila sul divano.» «L'hai drogata? E perché?» «Sarebbe stata troppo dura per lei. Hai visto com'era sconvolta per il Cavallo Alato? Quando si sveglierà, sarà già tutto finito.» Le posò sopra
una coperta. «Infine, c'era la possibilità che interferisse. Cassie merita questa chance.» Travis fischiò. «Tu sì che sei una dura!» «Lo sapevi anche tu che avrebbe potuto rappresentare un problema. Vuoi farmi credere che non eri tentato di fare qualcosa del genere?» «In effetti.» Guardò Melissa. «Ma non ho potuto.» «Perché no?» «Mi sembrava un gioco sporco. Una combattente come lei merita un degno avversario.» Scostò i capelli dalla fronte di Melissa. «Mi è simpatica, quando non mi colpisce con le sue frecce avvelenate. Ho deciso che preferivo avere il problema che la soluzione.» «E io ho deciso di non correre il rischio, e proteggere sia Mellie sia Cassie.» Jessica guardò l'orologio. «È ora di portare giù Cassie.» «Per quanto tempo dormirà Melissa?» Si girò verso la camera da letto. «Ha bevuto solo un paio di sorsi.» «Le ho somministrato una dose massiccia. Quattro o cinque ore.» Sfiorò la guancia di Melissa con un bacio e sussurrò: «È per il tuo bene. Buona notte, Mellie.» ore 12.45 Paul Guilliame era un uomo sulla cinquantina, snello, elegante, bruno. Era anche estremamente nervoso. «Entrate. Entrate.» Fece un cenno alla guardia fuori dalla sala manufatti e indicò loro di entrare. «Devo essere pazzo ad aver accettato. Quattro ore. Non di più.» «Non sfideremo la sorte. Trovi una sedia per la signora», disse Galen. «E poi vada a prendere un drink per distendersi i nervi.» «Non ho intenzione di andarmene da qui», rispose Guilliame. «E che cosa ci fa qui quella bambina? Non mi ha mai parlato di...» «L'orologio cammina. Se vuole che ce ne andiamo, ci lasci soli e non interferisca», disse Travis. «Dov'è il Cavallo Alato?» «Sul tavolo da lavoro, di fronte ai sarcofaghi.» Lo sguardo di Jessica si era già posato sulla statua. «Mio Dio», mormorò. «Ho visto delle fotografie, ma vederlo dal vivo è tutta un'altra cosa. È magnifico.» «Dove vuole che metta la sedia?» Guilliame ne stava trasportando una attraverso la stanza.
«A qualche metro dalla statua», rispose Jessica. Posò la sedia dove gli era stato indicato e si affrettò a uscire dalla sala. Jessica sedette e tese le braccia. «Posami Cassie in grembo, Travis.» «Posso tenerla io.» «No.» «Si fida di me.» «Ma sono io quella che ha cercato di persuaderla a tornare indietro. Tu sei stato solo un elemento di transizione. Voglio che realizzi che è tutto diverso ora.» Travis adagiò la bambina in grembo a Jessica, di fronte al Cavallo Alato. «E adesso?» «Aspettiamo.» Strinse Cassie a sé. «Apri gli occhi, tesoro. È qui. È così bello che mi lascia quasi senza fiato. Capisco perché lo ami tanto. Ti prego, apri gli occhi...» «È qui!» Il grido gioioso di Cassie irruppe nella foschia che circondava Melissa. «L'ho trovato. Lei continua a ripetermi che devo aprire gli occhi per vederlo, ma so che è qui. Vieni e lo vedremo insieme.» Oscurità. Foschia. Letargia. «Possiamo stare qui. Veglierà su di noi. Lei vuole che esca, ma non siamo obbligate a farlo. Sprofonderemo più giù. Lui mi ha portato via una volta. Può rifarlo. E verrà con noi. So che verrà.» Melissa avrebbe dovuto dire qualcosa. Ma non riusciva a pensare. Perché non riusciva a pensare? La nebbia era fitta e densa come melassa. «Di che cosa stai parlando?» «Del Cavallo Alato, sciocca.» La paura fece sobbalzare Melissa, dissipando la nebbia. «Cosa?» «Te l'ho detto. È qui. L'ho trovato.» Il suo cuore cominciò a battere come un martello pneumatico. «Dove?» «Jessica mi ha portato da lui.» Jessica. Il caffè. No! «Melissa, vieni. L'ho trovato, ma non voglio lasciarti qui. Vieni con me.» Doveva aprire gli occhi. «Melissa.» «Non andare con lui, Cassie.»
Apri gli occhi. Apri gli occhi. Apri gli occhi. Le palpebre pesanti si sollevarono. Tende blu. L'appartamento. Sfocato. Era tutto sfocato. Mettiti a sedere. Muoviti. Troppo difficile. Muoviti. Le occorsero cinque minuti per mettersi a sedere, e altri cinque per alzarsi in piedi. Una cosa alla volta. Va' alla porta. E se non ci fosse riuscita? Doveva fermare Jessica. «Melissa, dove sei?» «Sto venendo. Aspettami.» Frugò nella tasca dei pantaloni alla ricerca del numero che aveva copiato dalla rubrica telefonica di Jessica. Adesso va' al telefono. Gesù, non riusciva a vedere le cifre. Fece tre tentativi, prima di comporre il numero correttamente. «Pronto», disse Andreas. «Cassie... Jessica. Museo d'Andreas.» «Cosa? Chi parla?» «Melissa. Subito. Ci vada subito.» Riagganciò. Avrebbero potuto non arrivare in tempo. O magari non andarci affatto. Prendi la borsetta; c'era la pistola che le aveva dato Galen. Scendi in strada. Il museo era solo a quattro isolati da lì. Poteva farcela. Un passo alla volta. «Melissa, sto per aprire gli occhi. Devo vederlo di nuovo. È così bello.» Il panico si impadronì di Melissa. Se Cassie vedeva quegli occhi color smeraldo, li avrebbe visti anche Melissa. Non sapeva se avrebbe fatto differenza, ma non poteva correre il rischio. «No. Non aprire gli occhi. Aspettami.» «Ci provo. Sbrigati.» Un isolato. Non poteva farcela. Troppo stanca. «Non posso più aspettare, Melissa.» «Sì che puoi. Puoi fare tutto quel che vuoi.» Due isolati. Sbandò e finì contro il muro di mattoni dell'edificio accanto a lei. Raddrizzati. Prosegui. «Sto aprendo gli occhi.»
«No!» «Devo farlo.» E allora, Melissa lo vide. Occhi smeraldo che fissavano il mondo con antica saggezza. La statua era posata su un malridotto tavolo da lavoro, in un 'immensa stanza ingombra. Una passerella. Quadri. Travis era su un lato del tavolo, accanto a un sarcofago egizio. «Te l'avevo detto.» L'eccitazione di Cassie turbinava intorno a entrambe come una nuvola di elettricità statica. «È qui. È qui.» Un altro isolato. Il museo era proprio davanti a lei. Gli occhi smeraldo, ma nessuna pozza di sangue. Poteva essere diverso. Doveva essere diverso. Svoltò nel vicolo. «Jessica è felice. Crede che perché ho aperto gli occhi stia per ritornare. Mi sta parlando, mi sta dicendo che il Cavallo Alato vorrebbe che lo facessi.» «Ha ragione, Cassie.» «Come lo sai? Mi ha portato via lui. È sicuro qui.» «Ma non puoi vedere il Cavallo Alato come stai facendo ora.» Che avesse senso? Era così spaventata, non riusciva a pensare. Tutto quel che riusciva a vedere erano quegli occhi color smeraldo. Ma nessuna pozza di sangue. Nessuna pozza di sangue. Ti prego, fa che non ci sia nessuna pozza di sangue. Stava salendo le scale della porta sul retro, aggrappandosi alla ringhiera. Che impresa! Che fatica arrivare in cima! Si appoggiò alla porta per riprendersi. Un altro minuto ancora, e sarebbe stata nel salone. Ce l'aveva fatta, e non era successo niente. Non era neanche stata fermata dalle guardie. Le guardie. Dov'erano le guardie? Aprì la porta. Sangue. Occhi che la fissavano. Due corpi. Le guardie. «Perché non mi parli, Melissa?» «Chiudi gli occhi, Cassie.» Stava barcollando lungo il corridoio. Gesù, un altro corpo accanto alla porta che dava sulla sala manufatti. Un uomo vestito di blu, non una guardia. Guilliame? «Dammi retta, adesso voglio che chiudi gli occhi.»
«Perché? Allora non potrò più vedere... Cos'è stato quel rumore? «Quale rumore?» «Uno sparo. L'ho già sentito.» Melissa sentì il panico nella sua voce. «Michael sta correndo giù verso l'altra porta. Mi sta lasciando.» «Chiudi gli occhi.» «Il Cavallo Alato. Non posso restare qui. Deve portarmi via.» Terrore. «Sto cadendo, Melissa.» «Perché stai cadendo? Sei ferita?» «Non lo so. Sono sul pavimento. Sto chiudendo gli occhi. Sto andando via...» «Perché sei sul pavimento?» Spalancò la porta. «Che cosa sta succede...» E poi lo vide. Gli occhi smeraldo che guardavano in giù. La pozza di sangue che si allargava sul pavimento, fino a toccare la scarpa della bambina. Un grido dopo l'altro si sprigionò dalla gola di Melissa. Non sapeva com'era arrivata in mezzo alla stanza, ma stava cadendo in ginocchio. Ferma il sangue. Doveva fermare il sangue che sgorgava dal petto di Jessica. «Mellie?» Jessica la stava guardando. «Aiuta... Cassie.» «Cassie sta bene.» Le stava premendo le mani sulla ferita. «Starai bene anche tu.» «Era quasi... tornata. Lo so. Sono... sono stata io, vero?» «Certo che sei stata tu.» Oh, Dio. Quanto sangue. «Adesso smettila di parlare.» «È bello...» Jessica stava guardando il Cavallo Alato. «Capisco perché Cassie...» Un sottile rivolo di sangue colò da un angolo della bocca di Jessica. «Bello...» Poi si accasciò di lato. «No!» 16 «È inutile, Deschamps se n'è andato», disse Galen a Travis, fuori dal museo. «Ed è meglio che ce la filiamo anche noi. Le sirene sembrano vicine. Deve essere stato questo che ha spaventato il bastardo.» «Quello stronzo! Conosceva questo posto come il palmo della sua mano.
Sapeva esattamente dove stava andando, quando è saltato giù da quella passerella. Come ha fatto a passare davanti alle guardie?» «È quello che vorrei sapere», disse cupo Galen. «Lo scoprirò, mentre tu ti occupi di Cassie e Jessica. Due minuti e siamo fuori di qui.» Travis corse di nuovo nel museo e si fermò scivolando nella sala manufatti. «Oh, merda.» «Non si sveglia.» Melissa alzò la testa, la bocca sporca del sangue di Jessica. «Non riesco a farla respirare.» Coprì di nuovo la bocca della sorella con la sua. «Melissa.» Si inginocchiò, e posò le dita sulla gola di Jessica. «Non serve. Se n'è andata.» «Non dire così.» Soffiò freneticamente nella bocca di Jessica. «Non la lascerò morire.» Controllò Cassie. Nessuna ferita. La bambina non era stata colpita. Quando aveva inseguito Deschamps non si era reso conto che una di loro era stata colpita. Aveva guardato Jessica, ma sedeva eretta sulla sedia, con la bambina in braccio. Le sirene ora erano più forti. «Melissa, dobbiamo andarcene da qui.» Lo ignorò. «Fuori.» Galen era accanto a loro e prese velocemente in braccio Cassie. Guardò Jessica. «Morta?» «Sì.» «No», disse Melissa contemporaneamente. Galen annuì. «Morta. Ho chiuso le porte. Trasporto fuori Cassie attraverso il seminterrato.» Trasportò la bambina verso la scala. «Se non ci muoviamo finiremo tutti in galera. Entrambe le guardie sono morte, e anche Guilliame. Il mio uomo, Cardeau, è stato ucciso. L'ho trovato dietro alcune casse nel seminterrato. O porti via Melissa da qui o la lasci.» «Verrà.» Travis staccò Melissa da sua sorella. «Andiamo, Melissa. Non puoi aiutarla.» «Sì che posso, invece. Posso fermare tutto questo.» «Melissa, stai mentendo a te stessa. Jessica è morta, e morirai anche tu o finirai in prigione se non vieni con me. Allora non saremo mai in grado di punire l'uomo che ha fatto questo. Credi sia giusto permetterlo?» Lo fissò con sguardo vacuo. «Travis!» gridò Galen. «Stiamo venendo.» Melissa sussurrò: «Morta?»
Travis annuì. La tirò in piedi. «Vieni, Cassie avrà bisogno di te.» «Ha detto: 'Aiuta Cassie'.» «Appunto.» La spinse verso le scale. «Ma non puoi farlo se non usciamo di qui.» «Morta.» Si fermò all'improvviso e si girò a guardarla. «Oh, Dio, è proprio vero.» Rabbrividì. «Vorrei che fosse solo un altro di quegli orribili incubi.» C'era un mondo di dolore nella sua voce. «Vieni, Melissa.» Il suo sguardo si posò lentamente sulla statua. «Prendilo.» «Cosa?» «Prendilo.» «No.» «Non me ne vado senza di lui. Prendilo.» Le sirene erano lì fuori. Non rimaneva molto tempo. «Non sei lucida. Vieni, Melissa.» Lo respinse e si diresse verso il Cavallo Alato. «Gesù.» Lui attraversò di corsa la stanza, afferrò la statua, poi la prese per il braccio e la trascinò dietro di sé. «Sbrigati, maledizione. Butteranno giù la porta da un momento all'altro.» «Sta bene?» Galen guardò il riflesso di Melissa nello specchietto retrovisore, mentre la macchina imboccava la A6. «Sembra una sonnambula.» «È una sonnambula. Con la quantità di sedativi che Jessica le ha somministrato, dovrebbe dormire profondamente. Non avrebbe dovuto essere in grado di lasciare l'appartamento. Non so che cosa la spinga.» «Sì, che lo sai.» «Forse», disse stancamente. Tirò fuori il fazzoletto e pulì via il sangue dalle labbra di Melissa. «Il corpo può fare cose straordinarie, quando la volontà è abbastanza forte.» «Perché diamine hai preso il Cavallo Alato? Non credi che avessimo già abbastanza guai?» «Non se ne voleva andare senza.» Si strinse nelle spalle. «E cos'è una...» «Goccia in un mare?» concluse Galen. «La polizia francese considererà questo furto come un insulto al loro orgoglio. Avevano promesso ad Andreas la massima sicurezza, per quel che riguardava la statua. Potremmo toglierceli di dosso se trovassimo il modo di restituirgliela.» «No», disse Melissa. I due uomini la guardarono. Era la prima parola che pronunciava da
quando avevano lasciato il museo. «Dobbiamo tenerla.» «Ne parleremo più tardi», fece Travis. «Dobbiamo tenerla», ripeté. «È pericoloso. Hai visto come la polizia è piombata su quel museo. Come facevano a sapere che eravamo lì? Dev'esserci stata una soffiata.» «Ho chiamato io Andreas», dichiarò Melissa. Galen cominciò a imprecare. «Lo sapevo. Sapevo che l'avrebbe fatto.» «Sta' calmo, Galen. È un bene che l'abbia fatto. Deschamps era sistemato su quella passerella in modo da eliminarci tutti. Sono state le sirene a spaventarlo.» «Non in tempo», sussurrò Melissa. «No, non in tempo per Jessica», ammise dolcemente Travis. «Ma hanno salvato gli altri. Noi.» «Non mi importa di noi.» «Neanche di Cassie?» Chiuse gli occhi. «Aiuta... Cassie.» «Sta bene. O meglio: non è diversa da com'era prima.» «Aiuta... Cassie.» «L'aiuteremo, Melissa.» Travis attirò la testa della ragazza sulla sua spalla. «Adesso cerca di riposare. Ti sveglierò quando saremo al cottage.» «Aiuta, Cas...» Si addormentò. La finestra dotata di persiane incorniciava un cielo al tramonto, rosso e lavanda. Bello... «Bevi un po' d'acqua.» Travis la aiutò a portare il bicchiere alle labbra. «Sei rimasta lontano a lungo. Devi avere sete.» Era così. La sua bocca era asciutta. Bevve mezzo bicchiere. «Lontano? Cosa vuoi...» Jessica. Fu pervasa da un'ondata di dolore. Incandescente. «Mio Dio.» Travis afferrò il bicchiere un attimo prima che le sfuggisse di mano e la prese tra le braccia. «Lo so. Lo so. Mi dispiace, Melissa.» La sua voce era smorzata, mentre la cullava avanti e indietro. «Cristo, mi dispiace tanto.» «Essere dispiaciuto non serve a niente. È morta.» Affondò la faccia nella sua spalla. «Non ho potuto aiutarla. Non ho potuto impedirlo.» «Nessuno poteva farlo. Anche se l'avessimo portata all'ospedale, la ferita
sarebbe stata lo stesso fatale.» «Non ho potuto evitarlo. Avrei dovuto essere più intelligente. Avrei dovuto rendermi conto che avrebbe cercato di impedirmi di venire.» «Ha sorpreso anche me. E se fossi venuta, a quest'ora potresti essere morta anche tu.» «No, avrei trovato un modo per proteggerla. Sapevo che sarebbe successo. L'avrei impedito.» Lo sentì irrigidirsi contro di lei. «Che cosa?» «Lasciami andare.» Lo respinse, e posò i piedi per terra. «Devo uscire di qui.» «Certo, ti farà bene stare sola.» L'aiutò ad alzarsi. «E per un paio di chilometri la spiaggia è deserta. Ma non allontanarti. D'accordo?» Non rispose. Stava correndo fuori dalla camera da letto, fuori dal cottage, i piedi che affondavano nella sabbia morbida. La sua ombra filiforme correva sulla spiaggia, davanti a lei, verso le dune lontane. Jessica. Scivolò dall'altra parte della duna e si rannicchiò su se stessa. Jessica. Sorella, madre, amica, salvatrice. Gesù, perché proprio lei? Ondeggiò avanti e indietro, mentre il dolore la divorava. E alla fine, arrivarono le lacrime. Penosi singhiozzi le squassarono il corpo. Jessica... «Dev'essere dura per lei.» Lo sguardo di Galen seguì quello di Travis fin dove Melissa sedeva sulla spiaggia, fissando il mare. «Erano molto legate?» «Le hai viste insieme. Che cosa pensi?» «Penso che a volte la vita fa schifo.» «Come adesso. Sta andando tutto a rotoli, e andrà anche peggio.» S'interruppe. «Potresti tirartene fuori. Non ti biasimerei. Hai fatto più di quanto ti ho chiesto.» «Ma sono un uomo d'azione. Per cui resto.» «Non ho bisogno...» «Taci, Travis. Non si tratta soltanto di te. Quel figlio di puttana ha ucciso uno dei miei uomini, ieri sera. Credi che voglia tirarmi indietro prima di essermi vendicato?»
«È mio, Galen.» «Ne discuteremo quando lo prenderemo.» Guardò di nuovo Melissa. «Ma è lei che faremmo meglio a tenere d'occhio. Una volta superato lo choc iniziale, diventerà dura come l'acciaio.» Fissando quella fragile figura solitaria stagliata contro il cielo, era difficile per Travis crederlo. «Potresti sbagliarti.» Scosse la testa. «Una volta mi ha detto che eravamo molto simili. Fratello e sorella. Credo che avesse ragione.» Si girò per rientrare. «Visto che stai tenendo d'occhio tu Melissa, vado dentro a controllare Cassie. Sono bravo come baby-sitter. Ti ho mai detto che una volta ho fatto da babysitter a un lupo?» «No, ma non mi sorprenderebbe.» La voce di Travis era lontana mentre osservava Melissa. Tanto dolore e sofferenza. Tanta solitudine. Avrebbe voluto andare da lei e stringerla tra le braccia e cercare di alleviare... Non ancora. Dovevi affrontare il dolore da solo prima di poter accettare conforto. Accidenti, forse non sarebbe stata in grado di accettare consolazione da lui, neanche se avesse aspettato dei secoli. Dopotutto, lui era il responsabile principale di quanto era successo al museo. E perché diamine voleva aiutarla? Il suo modus operandi imponeva di essere emotivamente distaccati. Ma dal primo momento che era apparsa alla sua soglia, Melissa aveva fatto in modo di... coinvolgerlo. Aveva suscitato interesse, rabbia, desiderio, divertimento e ammirazione, e adesso stava toccando qualcosa di più profondo. Pietà? Che differenza faceva? L'autoanalisi era una cazzata. Si lasciò cadere sul gradino davanti alla porta. Non pensarci. Guarda e aspetta, e magari piangi un po' per conto tuo. «Sei qui fuori da un bel po' di tempo», disse la voce di Travis alle sue spalle. «Non credi che faresti meglio a rientrare? Sono quasi le tre del mattino e sta aumentando il vento, Melissa.» «Non voglio. Non ho freddo.» Era una bugia. Era gelata, ma non per il vento. «Devo pensare ad alcune cose.» «Jessica.» «No, ho pensato fino adesso a Jessica. Fa troppo... male. Le volevo bene...» «Lo so.»
«Non puoi sapere. Era tutto per me. Mi ha strappata dal buio e mi ha insegnato a vivere di nuovo.» Si teneva la testa fra le mani. «Rideva sempre, quando la chiamavo santa Jessica, ma c'era un fondo di verità. Era così maledettamente... buona.» Le lacrime stavano ricominciando a uscire e lei se le asciugò. «Visto, non riesco a pensare a lei senza piangere. Devo smetterla se voglio fare chiarezza nella mia testa.» «Ho quasi voglia di piangere anch'io», disse Travis. «Non l'ho conosciuta molto, ma mi è bastato per capire che brava persona fosse.» «Stai cercando di essere gentile con me.» Non lo guardò. «Ma io non sono stata gentile, quando il tuo amico è stato ucciso. Non riuscivo a essere carina con te. Eri tu che avevi spinto Jessica verso il Cavallo Alato.» «E l'ho spinta dritta nella trappola. Immagino che mi consideri colpevole per la sua morte...» Scosse la testa. «Non più di quanto consideri colpevole me stessa. È stata lei a farti promettere di riunire Cassie alla statua. Era come essere su un treno sfuggito al controllo. Sapevo quel che sarebbe successo, ma non c'era niente che potessi fare.» Distolse lo sguardo. «Sapevi... quel che sarebbe successo?» «L'ho sognato per settimane. Ecco perché sono tornata a Juniper. Era sempre lo stesso sogno. Il Cavallo Alato che fissava una pozza di sangue e Jessica che giaceva morta sul pavimento.» «Non gliel'hai detto?» «Jessica non ha mai creduto veramente a ciò che non poteva vedere o toccare. Non mi avrebbe ascoltata. Ma ha dovuto farlo, quando sono entrata in contatto con Cassie. Pensavo che se l'avessi convinta che il Cavallo Alato rappresentava una minaccia per Cassie, Jessica se ne sarebbe magari tenuta lontana.» Si morse le labbra. «E poi tu le hai offerto la statua su un piatto d'argento. Avrei voluto ucciderti.» «Allora ce l'hai con me.» Scosse stancamente il capo. «Penso di non aver mai realmente creduto di poter impedire al treno di andare verso la sua destinazione, ma dovevo almeno provarci. Speravo solo di evitare il disastro all'ultimo minuto. Se esiste un Dio, non avrebbe senso che mi facesse fare questi sogni, per poi sottrarmi il potere di impedire che si avverino, non ti pare?» «Avevi già fatto sogni simili? Non su Jessica, su altra gente?» «Due volte. La prima fu subito dopo l'inizio del college. Un bambino che abitava vicino al nostro appartamento a Cambridge. Jimmy Watson. Capelli castani, un dolce sorriso... continuavo a sognare che attraversava la
strada e veniva investito da un camion. Mi svegliavo gridando. Credevo di essere pazza.» Si interruppe. «Poi successe. Corse nel traffico per recuperare un giocattolo e venne investito.» «Ucciso?» «No, ma riportò gravi lesioni interne. Rimase all'ospedale per settimane. Andavo a trovare sua madre. Anche lei deve aver pensato che fossi pazza. Fu molto rassicurante, e mi disse che non avevo niente a che fare con l'incidente di Jimmy.» «Non le credesti?» «Nel mio sogno era sempre un furgone da fiorista giallo e nero. Fu investito da un furgone del Bendix Florist. Dove sta la differenza?» «E il secondo caso?» «Un vecchio che lavorava al college come custode. Era un sogno ricorrente, in cui l'uomo scivolava nella piscina e picchiava la testa. Vedevo il sangue nell'acqua.» «E che cosa facesti?» «Andai da lui e glielo dissi. Era un brav'uomo, ma non mi credette. Mi accarezzò la spalla e disse che i giovani guardavano troppa TV. Gli chiesi di condurre almeno qualcuno con lui, quando puliva gli spogliatoi e l'area della piscina. Mi promise che l'avrebbe fatto.» «Ma non lo fece.» Emise un sospiro angosciato. «Come l'hai indovinato?» «È la natura umana. Non credendoti, ha tirato dritto per la sua strada. È andata come avevi sognato?» «È annegato. Non avrebbe dovuto accadere. Forse, se avessi insistito...» Scosse la testa. «O forse no. Forse questo è un grande gioco cosmico. Mostrare a qualcuno il futuro e non consentirgli di cambiarlo.» Si girò verso Travis, e chiese con voce tremante: «Non sarebbe buffo?» «No, e non credo che tu ci abbia provato veramente. La prima volta non ci hai creduto nemmeno tu. La seconda volta non è stata colpa tua se l'uomo era troppo attaccato alle sue abitudini per preoccuparsi.» «E Jessica?» «Ti ha dato un sonnifero. Avresti potuto evitare quel che è successo, se fossi stata in te.» Si girò a guardarla. «Se poi vuoi pensare che dipenda tutto dal destino, e che non può essere cambiato, fa' pure. È molto più semplice. Voltati, e tira diritto.» «Semplice? Non sai quel che stai dicendo. Non c'è niente di semplice nel...» Lo fissò. «Stai accettando tutto questo troppo facilmente.»
«Una volta ti dissi che non era un problema, per me, accettare il fatto che alcune persone potessero possedere talenti un po' fuori dalla norma.» «Mettermi in contatto con Cassie è un talento un po' fuori dalla norma. E sognare di avvenimenti futuri è un altro fatto abbastanza anomalo.» «Non ero impreparato. Non è così inaudito in vittime che si sono riavute da traumi. Dedrick ha nominato due casi di autentica preveggenza. Una volta in un ragazzo greco di Atene, e un'altra volta in Cina. Sembra che, abbattute le barriere, tutto sia possibile.» «Di nuovo Dedrick. Vorrei aver messo le mani sul libro mentre stavo passando l'inferno con Jimmy.» «Anch'io avrei voluto. Ti avrebbe aiutato.» Rimase silenziosa per un momento. «Stai cercando di rendermi la vita meno dura, adesso. Perché? Non siamo mai stati amici per la pelle.» «Forse biasimo me stesso, anche se non lo fai tu. Sono stato colto di sorpresa da Deschamps. Dopo il furto e la morte di Jan, non mi aspettavo che accadesse questo. Non ho fatto nessun collegamento. A parte la mia testa servita su un piatto d'argento, pensavo avesse ottenuto quel che voleva.» «Voleva il Cavallo Alato?» «Era sulla passerella, per cui doveva conoscere la disposizione del museo. Forse stava progettando di rubare lui stesso la statua. Deve aver svolto anticipatamente un lavoro minuzioso.» «Ci ha seguiti da Amsterdam?» «Credo sapesse che avremmo cercato di raggiungere il Cavallo Alato. Ci stava aspettando al varco.» «E come può averlo saputo?» «Il telefono di Jan era controllato da tempo. Sarà stato Deschamps.» «E voleva così strenuamente il Cavallo Alato da correre il rischio. Perché?» «Potrebbero esserci molte spiegazioni. È un mercenario. Tutta la sua carriera è stata spesa in funzione del denaro.» «Hai detto che ti ha già sottratto milioni.» «I milioni non sono più così importanti. Si possono fare con la droga. Il tuo vicino li può fare smerciando ecstasy. Ma il Cavallo Alato non ha prezzo. Per un uomo come Deschamps, avrebbe potuto essere il coronamento supremo.» Si strinse nelle spalle. «O potrebbe trattarsi di qualcosa di completamente diverso. Chi sa cosa è importante per lui?» «Deve essere il Cavallo Alato, o non sarebbe stato al museo. Ma non l'avrà. Dov'è? Dove l'hai messo?»
«Nell'armadio a muro, in una vecchia cassa che abbiamo trovato nel capannone. Ci ricorderà in continuazione quello che abbiamo fatto. Dovremmo restituirlo, Melissa.» «No.» Si alzò in piedi. «Perché dovremmo? Finché Deschamps lo vuole, abbiamo un esca per attirarlo. Non ci rinuncerò.» Lo guardò negli occhi. «Dovresti volere Deschamps quanto me. Mi avevi detto che gli avresti dato la caccia, dopo aver esaudito la promessa fatta a Jessica.» «Intendo farlo. La situazione è cambiata, ma non appena sarò certo che questo posto è sicuro per te e Cassie...» «Sciocchezze. Non mi nasconderò dal bastardo che ha ucciso Jessica.» «Ti assicuro che farò in modo che venga punito.» «No, farò io in modo che venga punito.» Strinse le labbra. «E nessuno potrà impedirmelo, Travis. Adesso va'. Voglio restare sola ancora per un po'.» Si tramuterà in acciaio puro. Galen aveva ragione. Stava cambiando, si stava indurendo. Non che non fosse sempre stata forte, ma adesso l'acciaio era quasi visibile. «Va'.» Si girò a guardarlo. «Non preoccuparti. Non ho intenzione di tuffarmi in mare e annegare. Devo solo comportarmi a modo mio, per riuscire a pensare.» «Vieni quando sei pronta, e parleremo.» Si volse e si diresse verso il cottage. Anche se parlare non sarebbe servito a niente. «Non dovrebbe essere qui, signore.» Danley aprì la portiera della limousine dopo essersi fermato davanti all'hangar. «Sarei venuto a riferirle, non appena infilata la bara sull'aereo.» «Aveva detto che avrebbe tenuto lontano i media, al momento del trasferimento del corpo», disse Andreas. «Meglio se è vero. Dove la trasportate?» «Arlington.» Esitò. «Mi chiedo se non vorrebbe ripensarci. Sappiamo che la sorella era molto legata alla defunta. Potrebbe decidere di darle un ultimo saluto.» «Più prove ci sono di quel che è accaduto al museo, e più è probabile che i media scoprano il furto del Cavallo Alato. C'è la possibilità che Travis voglia negoziare per la statua. Dispone già di un rapporto approfondito sulla sorella?» «Non ancora, signore. Naturalmente, avevamo svolto alcune indagini quando avevano portato via Cassie, ma era considerata di secondaria im-
portanza.» «Bene, adesso è di primaria importanza.» «Abbiamo localizzato il furgone noleggiato ad Anversa. È stato abbandonato a quaranta chilometri da Parigi. Questo significa che hanno cambiato veicolo. Stiamo controllando tutti gli autonoleggi della zona. Anche se con i suoi contatti, Travis potrebbe aver ottenuto il mezzo da altre fonti.» «Speriamo che abbiate più fortuna di quanta ne avete avuta finora.» Si avvicinò alla bara. «La apra.» «Signore?» «La apra. Voglio vederla.» Danley fece cenno all'uomo di guardia alla bara, e lui alzò il coperchio. Probabilmente, quell'uomo stava pensando che lui era un amante del macabro, si disse Andreas. Non sapeva perché voleva dare un'ultima occhiata alla faccia di Jessica Riley. Forse solo per assicurarsi che fosse realmente lei. Il furto del Cavallo Alato era sconcertante, e non riusciva a capire che nesso ci fosse con il rapimento di Cassie. E perché la sorella di Jessica li aveva avvertiti? Alcune impronte al museo erano state identificate come quelle di Melissa; aveva rischiato di finire nella stessa trappola di Travis e sua sorella. Non c'erano dubbi che questa donna fosse Jessica. Nella morte la sua faccia sembrava più distesa e gentile che non in vita. Aveva sempre avuto l'impressione che fosse d'animo gentile. Non era mai stato sicuro che i suoi metodi fossero giusti, ma non aveva neanche mai dubitato del fatto che le importasse di sua figlia. Finché non l'aveva portata via da Juniper. Adesso aveva a che fare con un'incognita. Come faceva a sapere in che genere di psicopatica si era trasformata Melissa Riley, dopo tutti quegli anni di isolamento? Aveva provato un certo sollievo quando Jessica l'aveva chiamato e gli aveva detto che Cassie era salva. Ma adesso, le cose stavano diversamente. Girò le spalle alla bara. «La chiuda.» 17 Quando Melissa fece ritorno al cottage l'alba stava rischiarando il cielo. Travis l'accolse sulla porta con una tazza di caffè. Ne bevve un sorso prima di chiedere: «Cassie?»
«L'ho appena controllata», disse Galen dalla poltrona sul lato opposto della stanza. «Credo stia dormendo. Anche se non so come si possa esserne sicuri.» «Vado a darle un'occhiata.» Aprì la porta della camera da letto. Cassie era rannicchiata sul letto, dall'altra parte della stanza. «Cassie.» La sentì come ritrarsi, scivolare via. Melissa non sapeva fino a che punto Cassie fosse stata consapevole di quello che era avvenuto al museo. Certo l'aveva spaventata a sufficienza per farla rifugiare nel mondo dei sogni. Fino a che punto si fosse ritratta Melissa l'avrebbe scoperto più tardi. «Va tutto bene, Cassie. Riposati. Parleremo dopo.» Chiuse la porta e tornò nel soggiorno. «Non sta dormendo, ma sta bene per ora.» Sedette vicino alla finestra e si appoggiò all'indietro. «Fino a che punto si può dire che siamo al sicuro, qui?» «Ho organizzato le cose in modo che alcuni dei miei uomini si trovino appostati lungo la spiaggia, perché ci avvertano. Su una scala da uno a cento, direi sessanta», fece Galen. «Era settanta, prima che tu convincessi Travis a portar via il Cavallo Alato. Scenderà a quaranta se Andreas deciderà di divulgare la notizia del furto.» «Non l'ha fatto?» «Non ancora.» Travis sedette sul divano di fronte a Melissa. «Può darsi che si aspetti che lo contattiamo per trattare con lui.» «E perché mai?» «È il modo migliore per sbarazzarsi di un'opera d'arte che è conosciuta in tutto il mondo. L'unica alternativa sarebbe quella di venderla a un collezionista privato, che la seppellirebbe in qualche caveau.» «Pensi che Deschamps abbia contattato Andreas?» «Credo che abbia altri progetti.» «Quali progetti?» «Non sarebbe la prima volta che un pazzo si fissa con una statua.» «E se Andreas acconsentisse a trattare, lo farebbe probabilmente per tendere un tranello?» «Potrebbe essere così. In tutti questi mesi la salute di Cassie è stata la spinta che ha mosso le sue azioni. La statua è della sua famiglia da secoli, ma ci rinuncerebbe subito, pur di ritrovare la bambina. È lei che vuole veramente.» Melissa annuì. «E catturare il terrorista che le ha fatto questo. Non sa che è Deschamps, vero?» Travis scosse la testa.
«Ma ha i mezzi per localizzare Deschamps per noi?» «Può darsi. Ma non lo farebbe per noi. Se gli dicessimo che Deschamps era l'uomo di Vasaro, gli darebbe la caccia lui stesso.» «Allora forse è meglio non dirglielo. Potremmo usarlo per ottenere informazioni.» «Usare Andreas? Non è così flessibile.» «Smettila di porre ostacoli sul mio cammino. Sei stato tu che hai causato tutte queste maledette complicazioni. Quale sarebbe l'alternativa? Credo che potresti alleggerirti di qualcuno dei tuoi diamanti, per ottenere le informazioni che servono.» Aggrottò le sopracciglia. «Preferirei di no. E ti dirò di più: vado a recuperare il diamante che ho dato a Thomas.» «Perché?» «Ne ho bisogno per convincere Karlstadt a lasciarmi in pace. Doverlo schivare servirà solo a intralciarmi nella mia ricerca di Deschamps.» «Anche se Thomas ti restituirà il diamante, non potrai recuperare quelli che hai dato a Guilliame», gli ricordò Galen. «Probabilmente, ormai sono in possesso della polizia francese o della CIA.» «Posso aggirare l'ostacolo. Karlstadt non ne sarà contento, ma se i diamanti sono in un posto sicuro e non in circolazione, forse riuscirò a tenerlo a bada e a impedirgli di pagare un killer per uccidermi.» «Non finiranno comunque nelle sue tasche. Che differenza può fare che non siano in circolazione?» «Tutta la differenza del mondo.» Bevve un sorso di caffè. «I diamanti non sono esattamente quello che sembrano.» Melissa sbarrò gli occhi. «Sono falsi?» «Dipende da come li guardi.» «O sono falsi o non lo sono.» «È tutto nell'occhio di chi guarda. Questi particolari diamanti possono essere sottoposti al test del più qualificato gioielliere. Da quasi cinquant'anni gli scienziati sanno come trasformare sostanze ricche di carbonio in piccoli diamanti industriali, ma non sono stati capaci di creare pietre con la qualità della gemma. Hanno incontrato le più svariate difficoltà, per esempio la quantità di pressione occorsa e la grafite, che è morbida ma molto resistente al cambiamento. Il legame tra gli strati è debole, per cui la grafite si sfalda, ma gli strati interni sono incredibilmente duri. Gli atomi di carbonio...» «Non voglio sentire altro. Arriviamo al dunque, Travis.»
«Un gruppo di scienziati russi, fondato dalla mafia locale, è riuscito a creare diamanti perfetti, praticamente indistinguibili da quelli naturali.» «Questo non è possibile. Devono esserci test in grado di stabilire la differenza.» «L'industria dei diamanti ne ha sviluppato uno che rileva i difetti causati dal concentrato di azoto nelle pietre sintetiche. Il residuo di luminescenza è inequivocabile.» «Ma i russi hanno risolto il problema?» Travis annuì. «Ci sono riusciti, e questo spaventa molto l'associazione diamanti. L'ho scoperto da una delle mie fonti e ho deciso di andare in Russia a vedere se c'era qualcosa d'interessante per me. Ci sono rimasto per circa sei settimane, quando al laboratorio è avvenuta molto opportunamente un'esplosione. Attrezzature e scienziati sono stati spediti all'altro mondo.» «Tu, ovviamente, sei riuscito a sopravvivere e a svignartela», osservò Galen. «Con le tasche piene di diamanti.» «E un dischetto con le istruzioni per il procedimento.» Galen ridacchiò. «Credevo ti limitassi al contrabbando, ma questo è molto di più. E che cosa c'entra Karlstadt?» «È il braccio forte dell'associazione diamanti sudafricana. Naturalmente, non vogliono che questi diamanti vengano messi in circolazione. Se accadesse, sarebbe un bel disastro per il mercato. Nessuno saprebbe più se le pietre che ha comprato sono autentiche o prodotte in laboratorio. I prezzi crollerebbero, perché l'elemento rarità non esisterebbe più. Sarebbe uno sfacelo per l'industria mondiale dei diamanti.» «I russi potrebbero costruire un nuovo laboratorio.» «Sono sicuro che lo stanno già facendo, ma ci vorrà tempo. Frattanto Karlstadt può negoziare o usare la forza per impedire ai russi di duplicare i loro sforzi. I diamanti e il procedimento con cui si fabbricano sono l'unico vero pericolo per lui, al momento.» «Non mi importa del pericolo per i tuoi sudafricani», disse Melissa. «Il fatto è che tu non hai i soldi per acquisire informazioni.» «Ne ho un po' su un conto svizzero, ma quei conti possono essere indagati dalla CIA.» Melissa si rivolse a Galen. «Puoi trovare altri soldi?» «Non abbastanza. Potrei sfruttare alcune fonti, ma Deschamps è un uomo pericoloso e i pozzi tendono a prosciugarsi, quando si scotta come noi.»
«Allora bisogna ricorrere ad Andreas.» Si alzò e posò la tazza sul tavolo. «Dobbiamo trovare un modo per trattare.» «Qualche suggerimento?» «Dategli ciò che vuole.» «Cassie?» chiese Travis. «E come la mettiamo con i suoi incubi? Non possiamo rimandargliela nelle condizioni in cui è ora.» «Allora dobbiamo restituirgli una Cassie in via di guarigione.» Il suo sguardo si posò sulla porta della camera da letto. «Jessica mi ha detto di aiutarla. Forse intendeva dirmi di salvarla da Deschamps, ma Jessica è morta cercando di ricondurla indietro. Una delle ultime cose che mi ha detto è che Cassie era molto vicina a tornare.» Respinse le lacrime. «Era così felice... Oh, merda.» Rimase silenziosa per un momento, prima di poter continuare. «Cassie ritornerà. Ci penserò io. E questo potrebbe aiutarci a fottere Deschamps.» «È un progetto ambizioso», osservò Travis. «Lo attuerò.» Melissa si diresse verso la camera da letto. «Accertatevi che Karlstadt e il resto dei bagagli attorno a voi non mi siano d'intralcio. «Cercherò di accontentarti.» «Oh, e voglio un mazzo di chiavi del furgone nuovo.» «È necessario?» «Sì. Cassie mi tiene legata, è vero ma non sarò più prigioniera di quanto sia necessario.» «Te ne farò preparare un mazzo oggi. Galen ha incaricato uno dei suoi uomini di ritirare una piccola automobile in città. Farò in modo di farti avere anche le chiavi della macchina.» «Grazie.» «Quante probabilità ci sono che possa aiutare Cassie?» chiese Galen a Travis, quando la porta si chiuse dietro di lei. «La bambina mi sembra quasi in stato comatoso.» «Non lo so. Ha... delle reazioni.» «Ma non quand'è sveglia.» Travis scosse la testa. «Sembrava che Jessica percepisse una risposta. Come ho detto, non è un problema facile. Ma forse è un bene che Melissa sia occupata con Cassie. Sarà più sicuro che doverle correre dietro, mentre perlustra l'Europa alla ricerca di Deschamps.» «E ti lascia libero di fare un patto con Karlstadt.» «Sì.» Fece una pausa. «Ma darà anche il tempo a te di rintracciare un altro pezzo mancante del puzzle.»
«E quale sarebbe?» «Danielle, la vedova di Henri Claron. È sparita la notte della morte del marito. È cresciuta nello stesso paese della governante di Cassie, e potrebbe essere a conoscenza di qualcosa di più sull'identità di Deschamps. Se arriveremo a lei, potremmo non dover ricorrere ad Andreas o altri.» «Credi che sia ancora viva?» Travis si strinse nelle spalle. «È una possibilità. Dato che il suo corpo non è stato trovato, potrebbe essere stata fortunata.» «E forse lo saremo anche noi.» Galen si girò. «Me ne occupo.» «Cassie?» sussurrò Melissa mentre guardava la bambina. «So che non stai dormendo. Rispondimi.» Nessuna reazione. Melissa non se n'era aspettate, ma si era sentita in dovere di ricorrere al metodo di Jessica. Jessica era stata la voce che la richiamava dai bastioni. Melissa era stata la guerrigliera dietro le linee. Cassie si era abituata a trattare con tutte e due. Ma adesso non c'era più Jessica, con la sua voce gentile e le parole persuasive, e Melissa doveva prendere il suo posto. Cielo, come avrebbe fatto? Impossibile. Era diversa da Jessica come il giorno e la notte. Non era nemmeno sicura che l'approccio morbido di Jessica fosse il modo giusto per riportare indietro Cassie. La bambina era forte, forse di più di quanto lo fosse stata Melissa alla sua età. Si era allontanata volontariamente dal mondo, e la persuasione non stava funzionando. Forse, se avessero avuto il tempo... Ma non ne avevano. Melissa doveva seguire il suo istinto, e non la stava guidando su un sentiero facile. Povera Cassie. «Tornerò. Puoi fingerti addormentata, mentre faccio la doccia e mi lavo i denti.» Si diresse verso il bagno. «Poi parleremo, Cassie.» Occorsero due ore a Melissa per abbattere le barriere che Cassie aveva eretto contro di lei. «È ora che tu smetta di nasconderti da me», disse Melissa. «È perché sei sprofondata ancora di più? Era quasi troppo buio perché riuscissi a ritrovarti.» «Non volevo che mi ritrovassi.» Non andava bene. «Perché no?»
«Sei... diversa adesso. Mi fai sentire strana.» «Sono diversa. Anche se non significa che non ti sono più amica. La gente cambia.» «Non qui.» Si interruppe. «Perché sei cambiata?» «Mi è stata sottratta la mia migliore amica.» «Non sarebbe successo qui.» «Sì, invece. È successo perché tu sei qui.» E deliberatamente aggiunse: «Così, in parte è anche colpa tua, Cassie». «No, io non ho fatto niente.» «Ti nascondi e chiudi gli occhi.» «Ho paura.» «Abbiamo tutti paura. Devi lottare contro ciò di cui hai paura... o la gente continuerà a essere portata via.» Silenzio. «Jessica era la tua migliore amica, non è vero? Se n'è... andata?» «Sì.» «L'ho pensato. Mi manca.» «Anche a me.» «I mostri l'hanno presa?» «Sì.» «Non devi biasimare me.» Pausa. «Non ti pare?» «Non li abbiamo combattuti abbastanza.» «Sono troppo forti.» «No. Spariranno se tu li affronterai.» «Non lo farò. Mi dilanieranno, come hanno fatto con Jeanne.» «Io sarò lì per impedire che accada.» «Non lo farò.» Isolamento. «Me ne andrò...» «Ti seguirò. Ti troverò e ti riporterò indietro. Adesso posso farlo sia che tu dorma sia che tu sia sveglia.» «Perché sei così cattiva con me?» «Devi ritornare. Era la cosa che Jessica desiderava di più in assoluto. Voleva che ritornassi nel mondo e che non avessi più paura.» «Devo avere paura. I mostri...» Che cosa poteva dire a questo punto? pensò Melissa stancamente. Nessuno sapeva meglio di lei che c'erano mostri reali, in attesa di Cassie. «Hai più paura adesso di quanta ne avresti se li affrontassi. Ti prometto che sarò a fianco a te. Sono tua amica, Cassie.» «Credevo che anche Jeanne fosse mia amica.» Tradimento. Sfiducia.
Ostilità. «Ha solo finto. Io non fingo. Credo che tu lo sappia.» «Non lo so.» Panico. Terrore. «Vuoi lasciar entrare i mostri nel tunnel.» «Non potranno mai entrare nel tunnel. Li stai immaginando solo per avere una scusa per restare lì. Se li affrontassi, svanirebbero come uno sbuffo di fumo.» «No, verrebbero a darmi la caccia...» «Non lo faranno più. Io e Travis li abbiamo fermati.» Fece una pausa. «E, all'esterno, li ha fermati il Cavallo Alato. Non l'hai sentito mentre lo guardavi? Eri così felice. Per un istante sei uscita da lì e hai capito di essere salva.» «Lo ritroverò.» «Non nel tunnel. Non ha nessuna ragione di stare nel tunnel. Non ha paura e non vuole che ne abbia neanche tu.» «Come fai a saperlo? Mi ha portata via lui.» «Perché avevi bisogno di stare lontano finché non fossi stata abbastanza forte per ritornare e affrontare i mostri.» «Non sono abbastanza forte.» «Sì, che lo sei. Pensaci. Jessica mi ha raccontato che hai inventato ogni genere di avventure con il Cavallo Alato. Hai mai avuto paura?» «Erano soltanto storie.» «Ma non erano incentrate sul dovere e sul salvare i buoni e punire i cattivi?» «Forse.» «Be', anche la vita è così. Non consiste nel raggomitolarsi in un tunnel. Pensaci.» «Non ci penserò. Ho paura e non uscirò. Sprofonderò sempre di più, perché i mostri non possano farmi del male.» «Il tuo amico, il Cavallo Alato, non ti lascerà sprofondare di più. Lo stavi cercando nel posto sbagliato. Hai mai pensato che lui abbia sempre voluto che lasciassi il tunnel e ritornassi? Lui sa che è ora che ritorni, anche se tu non vuoi.» «Stai mentendo.» «Non ci sono mostri nel tunnel. Starai lì finché non sarai pronta a uscire e a lottare con i cattivi insieme a noi. Tua madre, tuo padre, Travis e io. Ti stiamo aspettando tutti. Abbiamo bisogno di te.» «No.» «Ti sto dicendo la verità. Abbiamo bisogno di te. Me ne vado ora, ma ri-
tornerò.» «Non ti voglio.» Povera bambina. Melissa non poteva biasimarla per la rabbia o il panico. Le aveva strappato la coperta di sicurezza che Jessica le aveva avvolto intorno e le aveva detto che doveva essere un guerriero e non una vittima. Un prezzo molto alto per una bambina di sette anni. E se Melissa si fosse sbagliata? Che cosa le sarebbe successo se stava infliggendo un serio danno a Cassie? «Ti odio.» «In questo momento. Ma odi di più i mostri e il modo in cui ti spaventano.» «Sei tu che mi spaventi.» «Perché ti sto dicendo che è tuo dovere uscire? Non desideravi che quelle storie che inventavi si avverassero? Se vedi il male, devi combatterlo. Fare il tuo dovere non è altrettanto facile nella vita reale.» «Vattene.» «Me ne vado. Ma ci rivedremo presto, Cassie...» 18 «Svegliati, Melissa.» Aprì gli occhi e vide la faccia di Travis sopra di lei. «Devi mangiare. È quasi buio. Sono ore che dormi.» Non ne dubitava. Si era sentita esausta, dopo quell'ultimo scontro con Cassie. Guardò la bambina. Stava dormendo anche lei. Melissa avrebbe potuto darle da mangiare più tardi. «Dieci minuti. Devo rinfrescarmi la faccia e lavarmi i denti.» «Non c'è fretta. Galen ha preparato un paio di sformati prima di andarsene. Ne ho infilato uno nel forno a scaldarsi.» Posò i piedi sul pavimento. «Andarsene?» «Doveva sbrigare una commissione per me.» Uscì dalla stanza. La risposta era evasiva. Quando entrò in cucina, si stava asciugando la faccia con la salvietta. «Dov'è andato?» «A cercare di scoprire qualcosa su Danielle Claron.» «Danielle Claron? Chi è?» «Siediti.» Tirò fuori il tegame dal forno. «Te ne parlo a cena.» Posò due cucchiaiate di sformato sui piatti e li mise sul tavolo. «Galen non mi perdonerebbe mai se lo lasciassi raffreddare prima che tu abbia avuto modo di
apprezzare pienamente la sua bravura.» «Voglio sapere...» Stava scuotendo la testa, e lei sedette al tavolo e prese la forchetta. «Sto mangiando. Parlami di Danielle Claron.» Era circa a metà pasto, quando Travis finì il suo racconto. Aggrottò la fronte, pensierosa. «Credi che possa sapere qualcosa che ci aiuterà a trovare Deschamps?» «Forse. È l'unica pista che abbiamo. Anche se non può individuarlo, è stata testimone dell'omicidio di suo marito, e a Deschamps non piacciono i testimoni. C'è la possibilità che voglia trovarla.» Si alzò e versò il caffè nelle tazze. «Così, può darsi che non avremo bisogno del Cavallo Alato per attirarlo in una trappola.» «Ovviamente Danielle Claron non è ansiosa di testimoniare, se nelle ultime settimane si è nascosta.» «Ma se le offriamo protezione può darsi che cambi idea.» Scrollò le spalle. «E il peggio che può accaderle è che io la consegni ad Andreas, e lasci che sia la CIA a cercare di persuaderla. Se gli consegno un testimone avvolto nella carta da regalo, potrebbero magari pensarci due volte prima di sbattermi in galera.» «Come mai hai i soldi per trovare questa donna, se non ne hai a sufficienza per trovare Deschamps?» «Se Galen riesce a imbattersi nei contatti giusti, può darsi che la troviamo senza spendere un centesimo.» «E sono sicura che li ha, i contatti giusti», disse ironicamente. «Sembra in grado di affrontare quasi ogni cosa... basta che abbia a che fare con il crimine! Ma anche tu hai le stesse conoscenze, non è vero? Sei a tua volta noto per vendere informazioni.» «Sì. Ma non abbiamo le stesse fonti. Il che, a volte, torna utile.» «Credevo che dovessi metterti in contatto con Karlstadt. Perché sei ancora qui?» «Ho un telefono. Se ho bisogno di vederlo, posso aspettare finché non torna Galen.» «Perché pensi che devi proteggerci?» «Non te», disse con leggerezza. «Sei in grado di affrontare Andreas e Deschamps da sola. Ma bisogna pensare alla bambina.» Guardò il suo piatto. «Ne vuoi ancora? Galen ha cucinato per un paio di pasti.» Scosse la testa. «Non ho fame. Era molto buono, però. Un uomo dalle molteplici risorse, non trovi?» «Più di quanto immagini. O forse no. Ha detto che l'hai inquadrato molto
bene. Qualcosa del tipo fratello e sorella.» Sorrise. «È stato facile capire che siamo molto simili.» «In che senso?» «Be', crediamo entrambi che si debba sfruttare al massimo ogni minuto.» «E siete entrambi dei duri, e molto perspicaci. Forse troppo perspicaci...» «Credi che questo fosse nel bagaglio psichico che mi è stato passato? Forse. O forse sono un buon giudice della personalità umana.» Si portò la tazza alle labbra. «Come te, del resto.» «Non ho avuto modo di sfruttare molto questa mia abilità, ultimamente.» Il suo sguardo andò alla porta della camera da letto. «Come sta la bambina?» «Dorme.» «Sei sicura?» «Sì.» Esitò. «Posso raggiungerla sia quando dorme sia quando è sveglia, adesso. E posso farlo da sveglia.» «Che cosa?» «Ci ho provato in aereo, e ha funzionato.» «Perché non me l'hai detto subito?» Scosse la testa. «Non importa. Non eravamo in ottimi rapporti.» «No, e non potevo dirlo a te senza averne prima informato Jessica. Non mi avrebbe creduto e, se mai l'avesse fatto, sarebbe stata terrorizzata.» Abbassò lo sguardo sulla tazza. «Inoltre non sapevo come me ne sarei servita. Non ero sicura che Jessica stesse trattando Cassie nella maniera giusta. Eravamo tutti troppo dolci e delicati...» La fissò pensieroso, ma non parlò. «Cassie non è una bambina fragile. È vivace, forte e molto intelligente, non è mai stata una femminuccia prima di Vasaro. Questa situazione di isolamento non corrisponde al suo carattere.» «Choc.» «Sì, ma ho il sospetto che il tradimento della sua istitutrice l'abbia più irritata che ferita.» «Parli come se la conoscessi bene.» «Mi baso su quello che ha saputo Jessica dai suoi genitori, e su quello che ho osservato io.» Abbozzò un sorriso. «Forse anche tu assomigli a Cassie. Spero di no. Ci sono voluti sei anni per guarirti dal trauma.» «Ma ho un vantaggio, che Jessica non ha avuto con me. So dov'è Cassie
in questo momento.» «Che cosa significa?» «Significa che, dopo la guarigione dal trauma, ci vuole una forte spinta per distruggere quel mondo che ti sei costruito. Jessica non ha mai potuto farlo. Mi ha dato amore e gentilezza, invece. Può aver funzionato con alcuni ragazzi, ma le ci è voluto parecchio tempo per mettersi in contatto con una testarda come me. E significa», aggiunse, «che so che Cassie non è realmente una vittima. Lo era all'inizio, forse, ma adesso è in quel tunnel perché ci vuole stare. Si costringe a restarci, è più facile che uscire.» «Più facile? E gli incubi?» «Ne ha bisogno per giustificare la sua permanenza nel tunnel.» Fece una pausa. «Ma io glieli sottrarrò.» «Come?» «Le ho già detto che non ci sono più, perché i mostri stanno aspettando fuori dal tunnel che lei torni e li combatta.» Corrugò la fronte. «So che cosa stai pensando. Sì, è stato un rischio, e sì, potrebbe risultare controproducente e spingerla a restare nel tunnel per il resto della sua vita.» Le tremava la mano, cercò di tenerla ferma mentre si portava la tazza alle labbra. «Questo è il mio incubo.» «Non so se avrei corso il rischio.» «È una combattente. È nella sua natura. Bisogna costringerla a rientrare nel campo di battaglia.» «Come puoi essere sicura che non avrà più incubi?» «Non ne sono sicura. Potrebbe costringersi ad averne. Ma spero che il seme che ho piantato metta radici. Lo rafforzerò ogni volta che sarò con lei. Dopo di che, non possiamo far altro che aspettare.» Posò la tazza. «La cosa più probabile sarà che cercherà di fare tutto quello che io le proibirò di fare. Non mi ama particolarmente, al momento.» «E tu potresti sbagliarti.» «Sì. Ma se ho ragione, le farò affrontare i suoi demoni e la riporterò indietro. Sono più forte di lei adesso, e sto diventando più forte ogni giorno che passa. Non le darò pace e la bloccherò a ogni svolta.» «Linea dura?» «Le voglio molto bene. Non puoi immaginare come le sono vicina. È come... il mio alter ego.» Chiuse gli occhi. «So che mi sto comportando duramente, ma devo farla uscire dal suo stato. Per amore suo e di Jessica. Vedi, ho un altro vantaggio che Jessica non aveva con me. Farò tutto quel
che sarò costretta a fare.» Aprì gli occhi, che adesso erano pieni di lacrime. «Perché non sono una santa come lei, Travis.» «Nessuno te lo chiede.» Posò una mano sopra la sua, sul tavolo. «Te la cavi bene anche da sola.» «Lo spero.» La sua stretta era calda e confortante. Mellie si concesse di godere per un momento di quel calore prima di sottrarre la mano. «Spero di non sollecitarla troppo, perché voglio servirmi di lei per costringere Andreas ad aiutarci con Deschamps.» «Non credo che tu lo stia facendo.» «Nessuno di noi è sicuro di niente.» Respinse la sedia. «Vado a fare una passeggiata sulla spiaggia. Poi sveglierò Cassie e le darò la cena.» «Ci penso io.» Scosse la testa. «È compito mio.» «Non mi dispiace aiutare. Mi stai escludendo?» «Se sono riuscita a liberarla dagli incubi, allora sei fuori comunque. Dovresti essere contento che il tuo ruolo si sia concluso.» «Non si è concluso. Solo spostato. E non mi sento affatto a mio agio. Preferisco essere un osservatore.» «L'ho notato. Allora forse stai vivendo in un tunnel come Cassie.» Sorrise. «Forse. È un'ipotesi interessante. Vedi altre similarità, tra me e la bambina?» «Oh, sì. Ma tu sei più complicato. Sarebbe difficile...» Si interruppe e lo guardò. Sedeva lì, ancora sorridente, eppure lei percepiva... che cosa? Dolore? Solitudine? Non ne era sicura, ma era stato di nuovo gentile con lei. Voleva rendersi utile, ma non sapeva come. «Mi... dispiace che il tuo amico sia morto.» Le parole uscirono esitanti. «E mi rincresce di essere stata indisponente al riguardo. Dato che non lasci avvicinare a te tante persone, devi avere sofferto molto nel perderlo.» «Sì, è così.» «Forse me ne parlerai prima o poi.» «Già.» Perché il dolore era troppo profondo, e lui non era un uomo che mostrava i suoi sentimenti. «Sapeva che gli volevi bene? Gliel'hai mai detto?» «No. Ma credo lo sapesse.» «Bene. Questa è una regola che ho stabilito per me, dopo che Jessica mi ha riportata indietro. La vita è troppo breve per non esprimere le proprie emozioni. Se qualcuno merita amore, allora merita anche di sapere che
questo amore per lui esiste.» «È una filosofia molto rischiosa.» «È più pericoloso non avere il coraggio di dire a qualcuno che lo si ama. L'avrei rimpianto per tutta la vita, se Jessica non avesse saputo che io...» Si schiarì la gola e si diresse alla porta. «Non starò via molto. Ho solo bisogno di schiarirmi le idee. Una mezz'oretta...» Camminava molto in fretta lungo la spiaggia, la schiena dritta e la testa alta. Assomigliava a un soldato che andava in battaglia, pensò Travis. È una combattente. Erano le parole che aveva usato per descrivere Cassie, ma le calzavano a pennello. Un guerriero pieno di cicatrici, che andava a lottare contro i mostri di Cassie. Ma che cosa diavolo stava facendo, lì in piedi a guardarla? Mellie stava assorbendo troppo la sua attenzione, mentre avrebbe dovuto concentrarsi su come tirarsi fuori da quest'imbroglio e dare la caccia a Deschamps. Non poteva neanche usare il desiderio come scusa, sebbene fosse stato presente tra loro fin dall'inizio. Come si poteva desiderare una donna che si voleva al tempo stesso curare e proteggere? Su, ammettilo, sei un uomo e, accidenti, sì, vorresti portartela a letto. Poco importava che stesse soffrendo, e che lui fosse divorato dalla compassione. Forse perché il sesso era la relazione più sicura che potesse avere con lei. Ogni altro tipo di contatto l'avrebbe coinvolto in questioni che avrebbero potuto cambiare la sua vita, e aveva rinunciato da tempo al cammino che stava percorrendo lei. Non aveva bisogno di calarsi nel ruolo del paladino al seguito della damigella che respingeva draghi. Aveva i suoi mostri personali da sottomettere, e non c'era niente di idealistico in quella battaglia. Sarebbe stata sporca, e carica di avidità e violenza. Ed era ora che si accingesse a farla. Prese il telefono e compose il numero di Stuart Thomas che gli aveva dato Galen. «Ho trovato una traccia», gli disse Galen al telefono, la sera dopo. «I genitori di Danielle Claron, Philip e Marguerite Dumair, abitano ancora nel paese dov'è cresciuta. Jeanne Beaujolis viveva nell'isolato vicino, e non ha fatto che andare e venire dalla casa di Danielle per tutta la loro infanzia. Si è recata a trovarli spesso anche dopo che era diventata l'istitutrice di Cas-
sie. Dalle chiacchiere con i vicini, ho sentito che si vantava molto del suo bel posto, ed era diventata una specie di protettrice dei suoi compaesani. «Sei andato a parlare con i Dumair?» «Non ancora. Ho sondato un po' tra i vicini, per scoprire se qualcuno aveva visto in paese un uomo che rispondeva alla descrizione di Deschamps.» «E?» «Non ho avuto fortuna.» «Allora parla con i Dumair, e dagli il tuo numero di telefono. Non sono costretti a dirci dov'è la figlia, se non si fidano di noi. Devono solo farle sapere che offriamo denaro e protezione da Deschamps, se uscirà dal suo nascondiglio e ci dirà quel che sa su di lui.» «Quanto denaro?» «Tutto il possibile.» «Le nostre tasche sono piuttosto vuote adesso, a meno che tu non voglia usare i diamanti.» «Se dovrò farlo, attingerò al conto svizzero.» «E ti ritroverai addosso la CIA?» «Non posso usare i diamanti, e ho già promesso a Thomas denaro liquido in cambio del diamante. Mandagli diecimila dollari dal tuo fondo, d'accordo?» «Grazie. Sarà una gioia. E perché dovrei?» «È più sicuro che prelevare dal mio conto. Da quel che ci risulta, Andreas non sa che sei coinvolto.» «Uno stato che non può durare per sempre.» Galen sospirò. «Danley deve aver saputo della mia intelligenza e della mia brillante ingenuità. Un simile talento non passa inosservato. È solo questione di tempo: prima o poi capirà che sono l'unico che può impedirti di cadere nelle sue grinfie.» «È così.» «Lo ammetti solo perché vuoi che mandi il denaro a Thomas.» «Vero anche questo.» «Hai già parlato con Karlstadt?» «Dopo che avrai ripreso il diamante a Thomas. Voglio potergli dire che è stato recuperato.» «Potrebbe decidere di tagliarti la gola lo stesso.» «Non finché sono in possesso degli altri diamanti.» «A eccezione di quelli che ha la CIA.» «Dovrò trovare il modo di trattare con loro. L'unica cosa di cui ti devi
preoccupare è di negoziare con i Dumair.» «Lo trovo un po' più sicuro.» Una pausa. «Ho altre novità. Forse sto per scoprire dove alloggia Deschamps quand'è a Parigi.» «Cosa?» «Mi hai detto di drizzare le antenne. Ho preso contatto con Pichot, che era nel gruppo dei Figli della Libertà più o meno quando c'era Deschamps. Potrebbe essere in grado di dirmi qualcosa.» «Per denaro?» «No, mi deve un favore.» «Quando lo saprai?» «Può darsi che ci voglia un po'. Pichot vuole essere sicuro che Deschamps non scopra che è stato lui a dirmelo.» Cambiò argomento.«Come vanno Melissa e Cassie?» «Meglio del previsto. Cassie non ha più avuto incubi. Melissa crede che ci sia una possibilità che non ne abbia più.» «E dovrebbe saperlo. La nostra Melissa è una specie di visionaria.» «Perché dici così?» «Puoi non giudicare insolite le sue piccole idiosincrasie, ma mia madre mi ha insegnato a diffidare dei rumori misteriosi che si sentono di notte.» «Non hai mai conosciuto tua madre.» «Sai come rovinare una storia.» Fece una pausa. «Melissa... vede troppe cose, Travis.» «Alcuni dicono lo stesso di te.» «Ma io non faccio bum di notte.» «E se anche lo fai, nessuno lo sa.» Ridacchiò. «Hai notato che la difendi sempre? Forse ti ha fatto un voodoo.» «Non essere stupido.» Il risolino si tramutò in una risata aperta. «Ho pensato di fartelo presente. Non la sto criticando. Mi è simpatica. Come potrebbe non essere così? A parte quelle piccole idiosincrasie, è come me. Salutamela. Ciao, Travis.» «Chiamami quando hai parlato coi Dumair.» Riagganciò. Parigi «Sei pronto?» Galen infilò il cellulare in tasca, dopo aver parlato con Travis. «Procediamo, Pichot.» «Gli hai mentito.»
«Mia madre non mi ha insegnato la virtù della condivisione.» Si diresse verso la macchina. «Cardeau era uno dei miei e Deschamps l'ha ucciso.» Sorrise. «E poi, sono molto più in gamba di Travis in questo. È una delle mie specialità.» «Lo so.» Pichot fece una smorfia. «Ci conto. Voglio uscirne vivo.» «Ce la farai.» Galen avviò la macchina. «Su, dov'è questo posto?» «Al numero 15 di Rue Lestape.» «Era Galen al telefono?» Travis si girò a guardare Melissa, a pochi metri di distanza da lui, i capelli scarmigliati, una camicia da notte blu marine. «Sì.» «Ha trovato Danielle Claron?» Scosse la testa. «Sta cercando di persuadere i suoi genitori a farle avere un nostro messaggio, sempre che sappiano dove si trova. Abitano a St. Ives, un paesino fuori Lione, non lontano dalla fattoria di Henri Claron.» «C'è qualche probabilità che lo sappiano?» «Non ci aggrappiamo tutti ai nostri genitori? È naturale correre da loro, quando ci si aspettano protezione e sicurezza. Alcuni dicono che è il legame più forte che abbiamo nella vita.» Guardò verso la camera da letto. «E Cassie?» «Va bene.» Si fregò la nuca. «È testarda. È difficile mettersi in contatto con lei, e ancor più difficile indurla ad ascoltare. Devo piazzarmi lì e continuare a parlare.» «Di che cosa le parli?» «Del mondo esterno. Di suo padre e sua madre. Del Cavallo Alato.» Sedette in una poltrona e ripiegò una gamba sotto di sé. «E di te.» «Di me?» «Tu sei il ponte tra il tunnel e il mondo esterno. Ha ancora fiducia in te. Io sono il nemico, in questo momento.» «Non riesci a farle capire?» «Ha sette anni. Avrei opposto resistenza anch'io, se Jessica fosse ricorsa alla stessa tattica.» «E sei ancora sicura che sia la via giusta?» «Devo esserne sicura. Altrimenti sono perduta. Ci deve essere una svolta.» Appoggiò la testa alla poltrona. «Sono impaziente quanto te che migliori.» «Non ho mai detto di essere impaziente.» «Non era necessario che lo dicessi. Lo sento.»
Sorrise. «Sono contento che Galen non sia qui. Ha detto che sei un po' una visionaria.» «Sì? Credo che abbia rilevato un errore che ho commesso. Non gli piace che la gente sappia troppe cose su di lui.» «Quale errore?» Mosse le spalle, a disagio. «A volte so... delle cose.» «Telepatia?» «Per carità, no. Preferirei gettarmi nel fiume se avessi quel genere di poteri.» «E con Cassie?» «È diverso. Tutto quel che riguarda Cassie è diverso. Di solito io... a volte capto le cose.» «E hai captato il fatto che sono impaziente.» Si agitò nella poltrona. «È difficile nasconderlo. Hai ogni diritto di esserlo. Vuoi liberarti di noi per...» «Hai ragione, voglio liberarmi di te.» Trasse un profondo sospiro. «Anche adesso. Torna a letto, Melissa.» «Fra qualche minuto.» «Subito.» «Credo che dovremmo parlarne. C'è troppo...» Inspirò profondamente, cercando il suo sguardo. «Travis?» «Non ci vuole molto talento per leggermi nella mente in questo momento, non ti pare?» «No.» «Allora torna a letto, e lasciami pensare a qualcosa che non siano quelle fantastiche lunghe gambe e quello che c'è tra esse.» Si alzò lentamente dalla poltrona. «Non posso... Non è il momento giusto, Travis.» «Lo so.» Cercò di non lasciar trapelare la delusione dalla voce. «Non sono uno sciocco. Ma sappiamo entrambi che è stato così fin dall'inizio. E la mia mente può dirmi una cosa, ma il mio corpo non riconosce il lutto come una ragione valida per mettersi a riposo. È così per via della conservazione della specie. Vattene da qui, d'accordo?» «D'accordo.» Ma si trattenne ancora. «Non è che io...» «Lo so. Momento sbagliato.» Prese il libro sul tavolo. «E probabilmente uomo sbagliato. Potremmo divertirci un mondo, ma non mi sembri il tipo da avventura di una sera e via. Hai troppo di Jessica, in te.» «Non sono affatto come lei. Ma hai ragione, ho problemi con le navi che
passano di notte. Devo sapere a che punto sono con la gente in questi giorni.» «Lo sai. Hai visto dentro di me fin dal giorno in cui ci siamo incontrati. E quel che vedevi, per lo più non ti piaceva.» «Questo non è vero. Era solo che la situazione era intricata, e tu la stavi rendendo ancor più complicata. Dovevo fare quello...» Si diresse verso la porta. «Buona notte, Travis.» Uscì dalla stanza. Impara a tenere la bocca chiusa. Accidenti, avrebbe dovuto stare zitto. Ma vivevano sotto lo stesso tetto, e lui non era mai stato il tipo da soffrire in silenzio. Faceva uno sforzo già abbastanza grosso per cercare di essere cordiale e comprensivo. Era tempo che gli desse una mano anche lei. Adesso che sapeva, sarebbe stata in guardia. Era questo che voleva, no? Nient'affatto. Quel che voleva veramente era tenerla in grembo, con quelle lunghe gambe avvolte attorno a lui mentre emetteva suoni che... Non pensare a Melissa. Leggi questo maledetto libro. O concentrati sul modo di tirare fuori tutti da questa situazione. Non pensare a lei. Non pensare a lui. Mio Dio, era scappata. Incredibile. Aveva giurato che non sarebbe mai più fuggita da niente, dopo che Jessica l'aveva riportata indietro. Ma lo aveva fatto di nuovo, come una scolaretta indisciplinata. Perché? Non era una santarellina. Aveva assaggiato il sesso con entusiasmo. Era gioia e piacere, e le piaceva farlo, come le piaceva l'euforica eccitazione di un buon allenamento. Era lì fin dall'inizio. Fin da quel primo giorno che l'aveva visto correre a Juniper. Aveva scherzato con Jessica sul loro vicino sexy, ma c'era un fondo di verità. Se non fosse stata così preoccupata per i suoi sogni, magari avrebbe fatto una visita a Travis per un'altra ragione. Aveva sentito la scintilla, ma l'aveva ignorata. Avrebbe dovuto ignorarla anche adesso. Ma non poteva, perché aveva promesso a se stessa che avrebbe affrontato qualsiasi paura. Eppure, era scappata da Travis. Perché era convinta che andare a letto con lui avrebbe sminuito la soffe-
renza che provava per Jessica? No. La vita andava vissuta e Jessica non avrebbe mai voluto che rinunciasse a un minuto di felicità per conformismo. Avventura di una sera. Doveva limitarsi a questo. Ma aveva paura di poter volere qualcosa di più. Era attratta da Travis sotto molti aspetti. Ultimamente si era avvicinata troppo a lui, e aveva visto un altro suo lato. Aveva ragione: a volte poteva leggergli dentro, e quel che aveva visto non era quel che pensava lui. Aveva visto umorismo, pazienza e compassione dietro quel freddo, analitico muro difensivo che erigeva. Qualcosa in lui che... la commuoveva. Quel pensiero le causò un'altra ondata di panico. Era troppo vulnerabile in questo momento, e non aveva certamente bisogno di un altro ostacolo da superare. Non avrebbe cercato di valicare quei muri. D'ora in poi avrebbe mantenuto le distanze. 19 Il numero 15 di Rue Lestape era una piccola, elegante villetta a schiera vicino a St. Germain. «Non c'è in questo momento», disse Pichot. «Ho controllato prima di chiamarti.» «Potrebbe tornare.» Galen esaminò la porta d'ingresso, poi si avviò rapidamente lungo il vicolo sul retro della casa. «O può darsi che ci sia qualcosa, all'interno, che mi dirà dove si trova.» Si chinò e controllò la serratura. Eccellente esecuzione artigianale. Gli ci vollero un paio di minuti per farla saltare. «Apriti sesamo.» «E se ci fosse inserito l'allarme?» chiese Pichot. «Forse non dovremmo...» «Non credo che Deschamps voglia che la polizia venga a bussare alla sua porta.» Entrò. «Seguimi, Pichot.» «Forse dovrei aspettare in macchina.» «Non credo.» Galen si girò sorridendogli, mentre accendeva la torcia elettrica. «Non che non mi fidi di te, ma mi piace l'idea di avere compagnia, mentre passeggio per la tana di Deschamps. Diffidi un po' troppo del nostro amico assente.» «Non devi preoccuparti. Ho più paura di te.» Lo sguardo di Pichot stava vagando attraverso la piccola anticamera. «Carino. Chissà cosa costa quell'arazzo.»
«Non sei mai stato qui?» «Deschamps non è uno che fa amicizia facilmente. L'ho sempre aspettato fuori.» Era uno spazio squisitamente arredato. Un tappeto persiano copriva il pavimento di quercia e introduceva nel salone, a qualche metro di distanza. «Che cosa stai cercando?» chiese Pichot. «Uno studio, una biblioteca...» Alzò lo sguardo verso la scala a chiocciola. «Forse la camera da letto.» «E quella cos'è?» Pichot stava fissando una porta sulla parete opposta. Non era una porta comune. Ogni centimetro era coperto da magnifici intagli floreali. Galen vi si diresse. «Sembra una porta molto importante. Che cosa ci sarà dietro?» Era chiusa a chiave. «Tieni la torcia.» Si abbassò e incominciò a lavorare. Con una certa difficoltà, riuscì infine ad aprirla. Riprese la torcia dalle mani di Pichot. «Adesso vediamo cos'abbiamo...» Si irrigidì. «Merda!» «Che cosa c'è?» Pichot lo spinse da parte e mosse un passo all'interno della stanza. Una luce rossa sulla parete opposta stava lampeggiando. «No!» Galen afferrò Pichot, lo spinse attraverso una finestra, rompendo il vetro, e si tuffò dietro di lui. La casa esplose in una sfera di fuoco. Quando si accese il segnale d'allarme sul dispositivo che aveva sempre con sé, Deschamps si irrigidì. Lo estrasse dalla tasca, ma la luce rossa continuò a lampeggiare. Chiuse gli occhi, travolto da ondate di dolore. «No», sussurrò. «Maledetto.» La mano di Travis strinse forte il ricevitore. «Ti spezzerò il collo, Galen.» «Perché preoccuparti tanto, quando sono quasi riuscito a farlo da solo.» S'interruppe. «Non me l'aspettavo. Pensavo che ci fossero una scrivania o una cassaforte munite di esplosivo, non che sarebbe saltata in aria l'intera casa. Quell'interruttore non si è acceso finché Pichot non è entrato in quella stanza. C'è qualcosa che non quadra.» «Hai dato un'occhiata a quello che conteneva?» «Assomigliava a un maledetto museo. Una stanza piena di meraviglie,
quadri e sculture... È questo che non ha senso. Uno dei quadri doveva essere un Monet. Giurerei che era quello delle ninfee, che pare sia bruciato l'anno scorso nella proprietà Rondeau. Se era un esempio della qualità delle opere d'arte racchiuse in quella stanza, perché Deschamps avrebbe dovuto farla saltare in aria?» «Glielo chiederò... quando lo troveremo. E se non andrai a caccia di nuovo da solo», aggiunse cupo. «Voglio che tu me lo prometta, Galen.» Dall'altra parte del filo ci fu silenzio. «Galen.» «Credo che quel che è giusto è giusto. Ci ho provato. Ora lascerò che sia tu a farlo.» «Grazie», disse sarcasticamente Travis. «L'apprezzo molto.» «E fai bene», asserì Galen. «Quando mi sono alzato da quel marciapiedi fuori dalla casa di Deschamps, ero veramente incazzato.» «Torni qui?» «È presto. Devo ancora andare a parlare con i Dumair a St. Ives. Ciao.» Travis riagganciò e uscì sul portico. Maledizione, avrebbe dovuto sapere che Galen avrebbe fatto qualcosa di folle, se appena gliene si fosse presentata l'occasione. Faceva sempre a modo suo. Ammettilo, sei geloso di Galen, che è libero di inseguire Deschamps e non è incatenato qui. Be', se non altro Galen aveva avviato l'offensiva. Non c'era che da aspettare che genere di reazioni le sue azioni avrebbero scatenato in Deschamps. Due notti dopo Cassie ebbe un altro incubo. Melissa sobbalzò nel letto al primo grido lacerante. «Cassie...» Posò i piedi sul pavimento. «No, bambina, non fare...» «Che cosa c'è?» Travis era sulla soglia. «Pensavo avessi detto che non avrebbe più avuto incubi.» «Ho detto solo che lo speravo.» Accese la lampada. Cassie gridò di nuovo. «Non restartene lì. Siediti accanto a lei e incomincia a parlarle.» «Le solite cose?» Annuì e s'infilò sotto le coperte con Cassie. «Ma quando ti dico di smettere, smetti.» «Che cosa hai intenzione di fare?» «Voglio costringerla a scoprire le carte.» «Quali carte?»
«Le ho ripetuto che non avrebbe più avuto incubi.» Chiuse gli occhi. «Mi sta dando prova che mi sbagliavo.» «Una dimostrazione piuttosto drastica.» «Sta cercando di togliermi di mezzo. Se dimostra che mi sbagliavo, pensa che me ne andrò.» Si rannicchiò più vicino a Cassie. «Parlale, Travis.» Lo chiuse fuori, solo vagamente conscia del mormorio della sua voce. Cassie la stava tenendo a bada. Non c'era nessuna forza che la stesse catapultando nel mondo di Cassie, come era invece accaduto tutte le altre volte. Le occorse qualche minuto per penetrare nella sua mente. Terrore. Turbinante orrore dietro di lei. Mostri. «Nessun mostro», disse Melissa. «Bugiarda.» Cassie stava correndo, sprofondando sempre di più. «Sono qui. Devo andarmene.» «Se sono qui, è perché ce li hai attirati tu. E puoi mandarli via.» «Ti avevo detto che sarebbero venuti.» «Perché vuoi una scusa per restare.» «Devo addentrarmi maggiormente...» «No.» Melissa si mise di fronte a Cassie, bloccandole il passaggio. «Smettila di correre.» «Togliti di mezzo.» Melissa sentiva la forza della volontà della bambina. «Vattene.» «Non ci sono mostri dietro di te. Girati a guardare.» «Non mi girerò. Non lo farò.» «Voltati.» «Sono qui. Devo scappare.» «Voltati.» Melissa l'afferrò per le spalle e la costrinse a farlo. «Non guarderò.» «Sì, invece, che lo farai.» «Non puoi costringermi.» «Sai che non è vero. Sono più forte di te adesso, Cassie. Apri gli occhi.» La bambina fece resistenza ancora per un momento, poi, lentamente alzò le palpebre. «Che cosa vedi, Cassie?» «Mostri.» «Che cosa vedi?» «Te l'ho detto», rispose con aria di sfida.
«Allora perché non ti hanno fatto del male?» «Li tiene lontani Michael.» «Vattene, Travis.» «No!» Cassie lottò per allontanarsi da lei. «Torna indietro, Michael!» Ma la voce di Travis si era interrotta. «Se n'è andato, Cassie. E tu sei ancora qui.» «I mostri stanno venendo. Mi prenderanno.» Gesù, aveva una volontà di ferro. «Non sono qui. Non li vedi.» «Non dirmi quello che vedo.» «Allora dimmelo tu. Che cosa vedi?» «Maschere e denti e occhi...» «Ma non ti hanno fatto niente. Perché non sono reali. Ti tratterrò qui e ti costringerò ad affrontarli. Se si avvicineranno troppo, sarò qui a proteggerti.» «No, non ci sarai.» Stava singhiozzando. «Tu mi odi.» «Ti voglio bene.» «Allora lasciami andare.» «Quando mi dirai quello che vedi.» «Mo...» La sua voce si ruppe. «Devo andarmene... non posso tornare indietro. Devo sprofondare ancora di più.» «Che cosa vedi?» Si girò di colpo verso Melissa. «Niente», gridò. «Niente. Niente!» «Niente mostri?» «Niente mostri. Sei contenta adesso?» «Oh, sì.» Lacrime le rigavano il volto, mentre prendeva Cassie tra le braccia. «Non potrei essere più contenta, piccola.» «Lasciami andare.» Le sue braccia si strinsero attorno a Melissa anche se stava ancora parlando. «Ti odio.» «Presto.» Melissa la cullò avanti e indietro. «Ti lascerò andare presto, Cassie...» Quando aprì gli occhi, un'ora dopo, era tutto finito. «Salve.» Travis sedeva ancora nella poltrona accanto al letto. «Come stai?» «Bene», sussurrò. Baciò la fronte di Cassie prima di sgusciare fuori dal letto. «C'è voluto un bel po' per farla addormentare.» «Che cosa diavolo è successo? Ha gridato come un'ossessa quando ho smesso di parlarle. Mi ha spaventato a morte.»
«Ha spaventato anche me.» «Ma ha funzionato?» Annuì. «C'è stato un progresso. Ha ammesso con se stessa e con me che non c'erano mostri nel tunnel.» «Significa niente più incubi?» «Dio, spero di no. La sua immaginazione è abbastanza fervida da creare quello che vuole. Ma se non altro, adesso è consapevole che stava mentendo a se stessa. La cosa migliore per lei sarebbe incominciare a dubitare della ragione per cui pensa di trovarsi in quel tunnel.» «E sarebbe?» «È convinta che il Cavallo Alato voglia tenerla lì per proteggerla.» «Puoi dimostrarle che non è così?» «Cercherò di farglielo capire un po' alla volta.» Spense la lampada sul tavolino. «Spero solo che non ci voglia troppo tempo. Vado a preparare una tazza di caffè decaffeinato e a cercare di riaddormentarmi. Ne vuoi una?» «Perché no?» Travis la seguì in cucina. «Voi due non avevate bisogno di me stasera, non è così? Ecco perché mi hai mandato via. Per dimostrare a Cassie che può fare a meno di me.» «E ci siamo riuscite.» Sedette al tavolo. «Questo dovrebbe renderti felice. Ti sei liberato di lei.» «Non è esattamente così. Non mi sono mai lamentato dell'aiuto che ho offerto a Cassie.» «Anche se l'hai usato come mezzo di scambio?» «Touché.» Si portò la tazza alle labbra. «È la natura della bestia. Neanch'io sono un santo, Melissa. Ma non ho mai finto di esserlo.» No. Era sempre stato esplicito con loro sul proprio carattere e sulle proprie motivazioni. Il suo modo di pensare poteva essere contorto come un puzzle cinese, ma avevano sempre saputo con chi avevano a che fare. «Immagino che avessi le tue buone ragioni. Hai detto che eri preoccupato per il tuo amico Jan. Sembra che ne avessi motivo.» «Più di quanto sapessi.» «Parlami di lui.» «Perché?» Melissa distolse lo sguardo. «Non lo so. Non credo sia facile per te avvicinarti alle persone. E sono curiosa di sapere che genere di persona definiresti amico.» «Un brav'uomo. Diceva di essere egoista, ma era sempre lì quando ne
avevo bisogno. Jan era la mia famiglia. Lui e mio padre erano stati in affari insieme. Per anni.» «Che genere di affari?» Sorrise. «Un occasionale furto d'arte, ma soprattutto contrabbando. Mio padre era un avventuriero. Si considerava un temerario. Aveva bisogno di eccitazione. Jan è sempre stato l'elemento pratico e rassicurante della mia vita. All'epoca non lo apprezzavo, perché cercava di impedire a mio padre di portarmi con sé. Diceva che era troppo pericoloso, e facevamo spesso liti furibonde.» «Tuo padre ti portava, però?» «Certo, pensava fosse educativo.» «E lo era?» «Puoi scommetterci. Ho imparato molto. Naturalmente, anche se non c'era nulla di legale.» «E la tua istruzione?» «Una scuola per corrispondenza. È stato Jan a insistere. Poi, quando mio padre è morto, Jan mi ha condotto ad Amsterdam e mi ha iscritto a una scuola normale.» «Quanti anni avevi quando è morto tuo padre?» «Tredici.» «Con un simile passato, avrai destato non poca diffidenza, negli altri studenti.» «Non più di tanto. Ero abbastanza depresso, in quel periodo. La morte di mio padre era stata uno choc, e ne ero uscito piuttosto male anch'io.» «Che cos'era successo?» «Aveva pestato i piedi a un capo del cartello della droga ad Algeri. Hanno fatto saltare in aria la nostra barca.» Mellie sbarrò gli occhi per la sorpresa. «E tu eri lì?» Annuì. «Anche Jan. Mio padre era sottocoperta e l'esplosione l'ha ucciso. Io e Jan, invece, ci trovavamo sul ponte e siamo stati sbalzati in mare. Mi sono fatto male alla testa e Jan mi ha trascinato a riva. Sono rimasto in ospedale per settimane. Non mi ha mai lasciato. E quando mi sono ripreso, mi ha condotto ad Amsterdam.» «E che ne è stato dell'assassino di tuo padre?» «Vuoi dire la polizia? Negli affari che trattavamo, a meno che non volessi finire in galera, non ci si rivolgeva alla polizia. Risolvevi il problema da te.» «Non se avevi solo tredici anni.»
Travis sorrise. «Non ho sempre avuto tredici anni.» Provò un brivido, mentre studiava la sua faccia. «E allora, che cosa hai fatto?» «Accidenti, quello che avrebbe fatto ogni ragazzo della mia età. Ho studiato, ho giocato a calcio, ho letto libri.» Si alzò e portò la tazza al lavandino. «E ho aspettato.» «E poi?» «Non credo che tu voglia conoscere i dettagli.» Sciacquò la tazza e la posò sulla mensola. «Ho provveduto.» Aveva ragione: meglio non saperli, i dettagli. Era ovvio che sarebbero stati particolari violenti e spietati. «Scioccata?» Stava studiando la sua espressione. «Non dovresti. Lo sapevi già che non sono cresciuto con il cucchiaio d'argento in bocca come te. Siamo molto diversi.» «Perché hai voluto vendicarti?» Scosse la testa. «Non siamo affatto diversi.» «Forse non nei sentimenti, ma ti garantisco che lo siamo nella loro applicazione pratica. Quando la cosa riguarda qualcuno che amo, non sono per la vendetta immediata.» Si interruppe. «Così non pensare che puoi essermi d'intralcio.» Lo fissò in silenzio. «Maledizione, lasciami fare.» Serrò i pugni. «Credi sia facile ammazzare un uomo?» «Non credo proprio che sia difficile ammazzare Deschamps. Dev'essere come schiacciare uno scarafaggio.» Si alzò in piedi. «O pestargli in testa il mio cucchiaio d'argento. Buona notte, Travis.» «Melissa, non...» Trasse un profondo sospiro. «Posso essermi liberato di Cassie, ma lei ha ancora bisogno di te. L'hai promesso a Jessica.» «Non hai bisogno di ricordarmelo. Ma sta meglio adesso. Hai più saputo niente di Galen?» «No.» «Ma me lo diresti?» Non rispose e Mellie serrò le labbra. «Come pensavo. Mi stai tagliando fuori. Del resto, la nostra unione era molto fragile. È bello sapere la verità.» «Deschamps ti ucciderà. Dammi retta. Stai inseguendo quest'uomo come se fossi una specie di commando. Ti conosco. Non ho mai visto nessuno che ama la vita come te. Come pensi che ti sentiresti, eliminando una vita?»
«Bene. Ha ucciso mia sorella. E io farò quello che devo.» «Lascialo a me, Melissa.» La rabbia divampò tutta d'un tratto. «Scordatelo.» Mellie si diresse verso la camera da letto e sbatté la porta. Merda, non avrebbe dovuto farlo. Avrebbe potuto svegliare Cassie. Ma la bambina dormiva ancora. L'ira si placò lentamente, mentre sedeva sul letto e guardava la piccola. «Devi rimetterti», le sussurrò. «Ci sei quasi. Devi uscirne. Lo devi a Jessica.» Cassie ebbe una specie di fremito. Melissa si irrigidì. Non l'aveva mai vista farlo, quando era Jessica a parlarle. Sua sorella le aveva detto che riusciva a percepire una reazione, ma questo era un vero e proprio movimento del corpo. «Cassie?» La bambina voltò la testa dall'altra parte. Rifiuto. Ma era pur sempre una risposta. «Okay.» Deglutì. «Un passo alla volta. Si direbbe che ci siamo avvicinate più del previsto stasera. Adesso mi siederò qui e ti parlerò. E tu mi ascolterai, vero? Parleremo del Cavallo Alato, di te e di me, e di come liberarci per sempre dei mostri... «Salve, Travis. Ti stai rivelando parecchio irritante.» Si irrigidì. «Chi parla?» «Non riconosci la mia voce?» Inspirò profondamente. «Deschamps?» «Sai che meraviglia hai distrutto?» La voce di Deschamps era stridula per il dolore. «Non so di che cosa stai parlando.» «È una coincidenza che qualcuno si sia introdotto in casa mia e l'abbia distrutta? So che mi stavi cercando. Sei stato tu, vero?» «Non sono io che ho fatto saltare casa tua. Avevi messo tu l'esplosivo.» «Non sarebbe esplosa se tu non avessi cercato di entrare in quella stanza.» «Sei tu il responsabile della distruzione. Perché?» «Non sarebbe più stato mio. Sarei stato costretto a pensare che apparteneva a te, o a chiunque l'avessi venduto. Non avrebbe più avuto alcun valore ai miei occhi.» «Mio Dio: sei un collezionista privato?»
«Che frase sbrigativa! Tu non sai niente di queste cose. Ma non sei riuscito a privarmi di tutti i miei tesori. Credi che li tenessi tutti in un posto solo? La pagherai per quel Monet. E mi darai qualcosa in cambio. Dov'è il Cavallo Alato, Travis?» «Al museo.» «Va' a farti fottere. L'hai portato con te.» «Provalo.» «Dov'è la statua?» «Se anche l'avessi presa, sai che comunque non te lo direi. Perché hai telefonato?» «Te l'ho già detto.» «Perché?» «Pensavo che forse era ora che ci conoscessimo. Ti cerco da molto tempo.» «Mi hai trovato. Ma hai sparato a Jan, invece che a me.» «Avevo le mie ragioni. E credo che tu sappia quali sono.» «Il Cavallo Alato.» «Era ovvio, dalla tua conversazione con van der Beck, che l'avresti rubato. Tutto quel che dovevo fare era aspettare e tenerti d'occhio.» «Ma avevi già esaminato il museo per conto tuo.» «Pensavo che potesse essere necessario dopo che mi avevi impedito di prendere la bambina. Sarebbe stato così facile chiedere di scambiarla con il Cavallo Alato.» «Allora si è sempre trattato della statua?» «Naturalmente. Sempre. Sapevo che dovevo avere quell'opera d'arte fin da ragazzino. È tutta la vita che aspetto la mia occasione. E tu me l'hai rovinata per ben due volte.» Fallo parlare. Scopri che cosa fa muovere quel bastardo. «Che cosa ne avresti ricavato? Non potevi venderlo, e Andreas non avrebbe mai smesso di cercarti.» «Tu e io sappiamo bene che ci sono ancora posti sulla terra dove un uomo, se vuole, può sparire. Ho preso in considerazione l'Oriente, ultimamente. L'Europa sta diventando un po' troppo calda per me.» Fece una pausa. «E un uomo che vendesse il Cavallo Alato è un uomo senz'anima.» «Credi di avere un'anima, Deschamps?» «Solo perché non sono uno stupido sentimentale? Che cos'è un'anima? Tutto il mio essere va in visibilio quando vedo un bel dipinto o una magnifica statua. Quando ho visto per la prima volta una fotografia del Cavallo
Alato ho pianto. Chi dice che la mia sensibilità non è uguale alla tua?» «Io non sono uno spietato assassino.» «L'argomentazione non regge. Sei un tipo intelligente, ma saresti un avversario migliore se non ti lasciassi controllare dalle emozioni. È stato chiaro quando ho ucciso van der Beck.» Soffocò un impeto di rabbia. «Non avevi ragione di farlo.» «Certo che l'avevo. Sapevo quanto ti avrebbe addolorato. Ho sempre una ragione per agire. Non mi diverto ad ammazzare tanto per farlo.» «Neanche quando hai ammazzato il tuo patrigno?» «Vedo che ti sei documentato. E cos'hai scoperto sul mio stimato genitore adottivo?» «Che non ti piaceva, e gli hai dimostrato tutta la tua avversione facendolo a pezzi. Che cosa ti aveva fatto?» «Per sollecitare in me l'amore che non c'era, ha pensato bene di schiaffarmi in un carcere minorile. Praticamente, ho vissuto nella sua galleria d'arte. Non era naturale che, prima o poi, cercassi di procurarmi alcuni pezzi? Ho avuto molto tempo per pensare, negli anni del carcere. Era come essere in un bozzolo. Poi è arrivato il giorno in cui mi sono trasformato in una farfalla.» «Mi pare un paragone azzardato. Piuttosto, un cobra. Perché mi racconti questo?» «Voglio che tu mi capisca. Voglio che tu sappia che cosa ti aspetta.» Fece una pausa. «Avresti dovuto morire al museo. Avevo progettato di ammazzarvi tutti e impadronirmi della statua. E l'avrei fatto, se non fosse stato per quella donna.» «Hai già ucciso Jessica Riley, l'unica donna coinvolta in questa storia.» «Non è stata lei a telefonare ad Andreas e a fargli mandare la polizia quella notte.» S'interruppe. «Ma trovo interessante che tu stia mentendo per impedirmi di avere altre informazioni su Melissa Riley. Mi ero riproposto di incontrarla nel prossimo futuro, ma credo che sarò costretto a metterla in cima alla mia lista.» «E distrarre la tua attenzione dalla mia umile persona!» «C'è un tempo per tutte le cose. Hai già ucciso Cassie Andreas?» «Scusa?» «Hai il Cavallo Alato. Non c'è ragione di lasciarla in vita. Dev'essere solo un peso.» Rise. «Mio Dio, no, non l'hai fatto. Quella tua vena tenera finirà con il fregarti. È difficile essere pazienti. Pensaci. Sognalo. Io lo farò.» Riagganciò.
Travis imprecò a bassa voce, mentre premeva il bottone di fine chiamata. «Problemi?» Galen era in piedi sulla soglia. «Era ora che tornassi.» «Deschamps?» Travis annuì. «Hai toccato un nervo scoperto, invadendo il suo territorio. Evidentemente, sente il bisogno di comunicare.» «Qualcosa di interessante?» «Minacce.» Contro di lui, contro Melissa. «Accidenti, se solo avessimo potuto rintracciare la chiamata.» «E chi sapeva che si sarebbe deciso a telefonare?» «Potrebbe rifarlo.» «Se incomincio a mettere insieme un squadra di tecnici, faremo saltare la copertura.» Travis lo sapeva. Ma era maledettamente frustrante non poter approfittare di quella pista. «Ha contatti. Aveva il mio numero e sapeva che la statua non era al museo. Sapeva anche che è stata Melissa a fare la soffiata. Puoi scoprire chi sta usando?» «Posso provarci.» Il suo sguardo si spostò su Melissa, che era seduta sulla spiaggia. «Glielo dirai?» Travis esitò, poi scosse la testa. «Non c'è niente da dire.» Niente se non brutture, sangue e un maniaco omicida che si sta concentrando su di lei. Aveva già sofferto abbastanza, e non aveva bisogno di un altro choc. «Forse, se riuscirai a procurarmi qualcosa di più concreto.» Galen si girò per rientrare nel cottage. «O forse no. Vedo l'istinto di protezione alzare la sua testa contorta e impicciona. Se lei lo scoprirà, gli assesterà sicuramente un colpo letale di karatè.» 20 «Buone nuove. Abbiamo identificato l'uomo che è stato trovato morto nel seminterrato del museo, signore», disse Danley. «Era Pierre Cardeau. Nato a Marsiglia, un ladro da poco, ma noto per la sua disponibilità a svolgere lavori in situazioni ad alto rischio. Un eccellente tiratore.» Fece una pausa studiata. «Al momento dell'attentato a sua figlia a Vasaro si trovava a Nizza.» «Quindi potrebbe avervi preso parte», osservò Andreas. «Ma in quale squadra? Travis, o il bastardo che ha cercato di rapirla?»
«È ancora così sicuro che non fossero collegati?» Andreas non era più sicuro di niente. «Tutto quel che so è che voglio che Travis venga catturato.» «Stiamo facendo il possibile. E c'è un elemento in più. Cardeau aveva un fratello, l'abbiamo fermato stamattina. Hanno lavorato insieme, qualche volta. Se sa qualcosa, lo sapremo anche noi.» «Fra quanto?» Danley sorrise. «Oh, molto presto, signor presidente. Glielo garantisco.» Andreas non avrebbe fatto domande né sulla presunta sicurezza di Danley né sui suoi metodi. Era il primo passo avanti che facevano da quando Cassie era stata rapita, e lui avrebbe accettato qualunque condizione. «Mi informi, non appena sa qualcosa.» «Buon giorno.» Galen alzò gli occhi dal fornello. Melissa era appena entrata in cucina. «Siediti. Preparo la colazione in un minuto.» «Non ti ho sentito entrare.» Sedette al tavolo. «Dov'è Travis? Non si è ancora alzato?» «È corso fuori subito dopo il mio arrivo. Cannes, credo.» Le posò davanti un bicchiere di succo d'arancia. «L'affare Karlstadt. Ha detto che tornerà appena possibile, ma potrebbero volerci un paio di giorni.» «Hai trovato Danielle Claron?» «Non ancora. Ma suo padre ha promesso di farmi chiamare, se si rifà viva.» «Non sa dov'è?» «Dice di no. Ma forse ci considera tutti come una minaccia per sua figlia.» Sorrise. «Ma chi potrebbe apparire meno intimidatorio di me?» «Attila l'Unno.» «Attenta, non metto condimento nelle tue uova strapazzate. E cos'è la vita senza spezie?» Posò un piatto di uova e bacon di fronte a lei. «Come sta la bambina?» «Niente più incubi.» «Travis ha detto che hai staccato la spina. Congratulazioni.» «Sono stata fortunata. Poteva andare diversamente.» Cominciò a mangiare. «Allora sei di guardia al posto di Travis?» «Avevo bisogno di una piccola vacanza al mare. Dopotutto, sono io che ho svolto tutto il lavoro. Come sono le uova?» «Buone.» Si appoggiò all'indietro sulla sedia, lo sguardo fisso sul suo viso. «Mi dirai se Monsieur Dumair o Danielle Claron chiamano?»
La fissò, pensieroso. «Che cosa farai se ti dico di no?» «Ne resterei delusa, e comincerei a inventarmi modi per scoprirlo da sola.» «Lo immaginavo.» Annuì. «Te lo dirò. Anche se Travis non ne sarà contento. Adesso dimmi che cosa ti piacerebbe mangiare per pranzo. I miei abbondanti talenti sono a tua disposizione. Chiedimi qualunque cosa e te la darò.» Sorrise. «Mi hai già dato quel che volevo.» Cannes, ore 14.50 Il tetto dell'albergo. Forse la finestra aperta sopra la panetteria. O il negozio di souvenir all'angolo. Uno dei tre, o magari nessuno di essi. Travis indietreggiò fra le ombre. Aveva già controllato la strada, quel giorno, ma avrebbe dovuto fare un'ulteriore verifica, prima dell'incontro con Karlstadt, fissato per quella sera. Essere impreparati, il più delle volte poteva essere fatale. Che fosse quel movimento nel vicolo di fianco alla panetteria? ore 18.50 Galen e Melissa erano seduti a cena quando il cellulare di Galen squillò. Melissa si irrigidì sulla sedia. Galen sorrise. «Potrebbe essere chiunque. Una persona importante come me deve rimanere in contatto con il mondo.» «Rispondi.» «Galen.» Ascoltò in silenzio, e piano piano il suo il sorriso svanì. «Bene. Lo dirò a Travis. Certo che sono interessato. Te l'ho detto, lo dirò a Travis. Posso avere un numero per richiamare?» Richiuse il telefono. «Ha riagganciato.» Il suo cuore sussultò. «Chi?» «Danielle Claron.» «Sei sicuro? Come ti è sembrata?» «Spaventata. Molto. E no, non posso essere sicuro di niente. Ma aveva il mio numero, e sapeva che avevo parlato con i suoi genitori.» «Che cosa ha detto?»
«Che aveva bisogno di soldi, parecchi. E un posto sicuro dove nascondersi. Non promette niente finché non avremo stabilito le condizioni. Vuole incontrare Travis stasera.» «Dove?» «Nella vecchia chiesa a nord del paese. Ha detto che ne hanno costruita una nuova al centro della città, e che questa è deserta adesso. Sarà lì dopo mezzanotte.» «Allora dobbiamo andare a incontrarla.» Scosse la testa. «Ci andrà Travis. È con lui che vuole trattare.» «Ma Travis non è qui, maledizione.» «Gli telefono più tardi.» Guardò l'orologio. «Dovrebbe incontrare Karlstadt fra un paio d'ore. La situazione può essere molto delicata al momento. Comunque, quand'anche la sua situazione «delicata» si fosse risolta, Travis non l'avrebbe mai lasciata andare con lui alla chiesa, pensò Melissa frustrata. E c'era sempre Cassie: non poteva certo lasciarla da sola. Ma ci riprovò lo stesso. «Resta con la bambina. Mi incontrerò io con Danielle Claron. Potrebbe sentirsi meno minacciata con un'altra donna, non ti pare?» Scosse la testa. «Ha specificato che vuole Travis. E poi, deve essere sotto il bersaglio di Deschamps. Potrebbe essere pericoloso avvicinarsi a lei.» «Non sono stupida. Non intendo piombare lì e mettermi a chiamarla...» «So che non lo sei. Ma non conosci questo gioco. Non sono d'accordo con Travis sul fatto di tenerti all'oscuro, ma non ti aiuterò ad agire spericolatamente.» Dalla sua espressione capì che non l'avrebbe convinto. Si alzò da tavola e si avviò alla porta. Galen balzò in piedi. «Dove vai?» «A fare una passeggiata. Sono furibonda e ho bisogno di calmarmi un po'.» Si girò e gli lanciò un'occhiataccia. «Pensavi che saltassi in macchina e mi dirigessi a St. Ives?» «Ammetto che l'ho pensato.» «Come ho detto, non sono stupida, Galen. So che tenteresti di fermarmi, e probabilmente sei molto bravo in questo genere di cose.» Sbatté la porta dietro di sé e scese gli scalini di corsa. Si mosse con decisione, i tacchi che affondavano nella sabbia morbida. Aveva dovuto uscire di casa prima di esplodere. Voleva picchiare qualcuno, maledizione.
No, quello che voleva picchiare veramente era Travis. La stava bloccando a ogni svolta, e faceva in modo che Galen non le fosse d'aiuto. Questa era la prima opportunità, la sua prima occasione di trovare Deschamps. Ma avrebbe dovuto restarsene lì, ad aspettare che fosse qualcun altro a mettere le mani sull'assassino di Jessica. Jessica. Non metterti a piangere. Hai pianto già troppo, e non ragioni bene quando ti lasci sopraffare dall'emozione. Si fermò in riva al mare e guardò in lontananza. Si sentiva piccola e sola. Smettila di pensare a queste cose. I pensieri negativi sono cazzate. Era sola, ma questo non significava che non potesse fare quello che andava fatto. Doveva solo lavorarci. ore 20.35 «Eccomi qui», disse Karlstadt in tono grave mentre sedeva al tavolino del caffè all'aperto. «Meglio che fili tutto liscio, Travis.» «La tua situazione non potrebbe essere peggiore, non ti pare?» «Sì, invece. Potresti essere ancora vivo alla fine di quest'incontro. Non mi piace essere ingannato, bastardo.» «Non sei stato ingannato. Non intenzionalmente.» Spinse il sacchettino attraverso il tavolo. «Tutti i diamanti che ho in questo momento. Sfortunatamente, il resto è nelle mani della CIA.» Karlstadt non toccò il sacchetto. «Non è abbastanza.» «Restituirò il deposito che mi hai fatto sul conto svizzero. Così non dovrai pagare di tasca tua per i diamanti mancanti.» «Sai che non è questo il problema. Quei diamanti devono essere tenuti fuori dalla circolazione.» «Ho qualche idea su come si potrebbe fare. Per il momento, devi convenire con me che il fatto che siano stati messi al sicuro dalla CIA è la cosa migliore.» «Non devo ammettere un bel niente.» L'espressione di Karlstadt era durissima. «Mi hai messo in pessima luce con i miei datori di lavoro. Non amano l'insuccesso.» «Non è stato un insuccesso. Hai avuto il tempo per trattare con i russi. Non sanno che non sei in possesso di tutti i diamanti.» «Non ho neanche il procedimento. Dammi anche il dischetto, Travis.»
«L'avrai.» «Adesso.» «Non sono stupido, Karlstadt. È in un posto sicuro, e andrà dritto al New York Times se non lo richiederò in un periodo di tempo ragionevole. Te lo manderò per posta.» Il suo sguardo si posò sul tetto dell'albergo dall'altra parte della strada. «Altrimenti potresti decidere di segnalare a quel gentiluomo di farmi fuori.» «Ti aspetti che abbia fiducia in te? Una volta era così.» «No, non è vero. Hai sempre fatto quel che era necessario per accontentare i tuoi datori di lavoro. E lo farai anche questa volta. Manterrò la mia parola perché è la cosa più furba da fare. Ho abbastanza guai senza che mi dia la caccia anche tu.» «Ho saputo.» Tacque per un momento. «Avresti potuto fare una copia del dischetto.» «La mia risposta non cambia. Voglio uscirne, basta guai.» «Quando l'avrò?» «Ti telefonerò per farti sapere dove andare a ritirarlo.» Si alzò. «Da lontano.» Il sorriso di Karlstadt era tutt'altro che allegro. «Saggia decisione. Sarei tentato di rifarmi delle perdite subite in maniera molto violenta, se tu non mi stessi abbastanza lontano.» «Lo terrò a mente.» Guardò di nuovo verso il tetto. «Me ne vado adesso. Per favore, dì al tuo amico di non cercare di seguirmi. Sarebbe una violazione dei patti.» «Ti concedo due giorni per farmi avere quel dischetto. Poi mi metterò sulle tue tracce.» Sorrise in modo malvagio. «Non posso permettermi di aspettare più a lungo. Sei in un mare di guai. Non voglio che ti ammazzi qualcun altro, prima che abbia l'opportunità di farlo io.» «Sarebbe ingiusto. Cercherò di non deluderti.» Travis si allontanò lungo la strada e svoltò l'angolo. Nei successivi trenta minuti affrettò il passo, zigzagando per la città, finché non fu certo di non essere seguito. Poi si diresse verso la macchina. Finora tutto bene. C'era stato vicino. Molto vicino. Il suo unico vantaggio era consistito nel fatto che Karlstadt era un uomo d'affari, e sapeva come limitare i danni. Questo non significava che non gli avrebbe dato la caccia, qualora se la fossero presa con lui per aver perduto il resto dei diamanti. La cosa più sensata che Travis potesse fare era lasciare l'Europa e starsene tranquillo per un po'.
Ma al diavolo il buon senso. Non finché Deschamps era vivo. Il cellulare suonò mentre stava per avviare la Peugeot. «Abbiamo un problema», disse Galen. «Hai lasciato Cannes?» «Non ancora. Dovrei essere al cottage fra qualche ora.» «Non venire. Va' direttamente a St. Ives. Ho ricevuto una telefonata da Danielle Claron. Vuole negoziare con te. Sarà nella vecchia chiesa sul lato nord del paese dopo mezzanotte.» «Quando ha chiamato?» «Dopo le sei. Ho pensato di concederti il tempo di finire con Karlstadt. Sono solo poche ore di viaggio da Cannes a St. Ives.» Fece una pausa. «Ma è meglio che ti sbrighi. Melissa potrebbe arrivarci prima di te.» «Cosa? Gliel'hai detto?» «Mi dispiace. Ma non l'ho persa d'occhio per tutto il tempo in cui è rimasta sulla spiaggia. È rientrata dalla sua passeggiata ed è andata subito a letto.» «Accidenti, non hai avuto qualche sospetto?» «Certo che ne ho avuti. Ho aperto la porta e guardato dentro per quattro volte nelle ultime due ore. L'ultima volta mi ha tirato un libro. Cinque minuti dopo ho sentito il furgone partire. Dev'essere sgattaiolata fuori dalla finestra nel momento stesso in cui ho chiuso la porta. Sono corso fuori, ma si stava già precipitando lungo la spiaggia.» «Ti ammazzerò.» «Forse lo farò da me. È stato umiliante. Adesso sono retrocesso da potente guerriero a baby-sitter di Cassie.» «Non avresti mai dovuto dirglielo. Non sappiamo che cosa sta succedendo a Danielle Claron.» «Non mi sarebbe piaciuto essere tenuto all'oscuro.» S'interruppe di nuovo. «E non è completamente senza protezione. Le hai dato una pistola. «È l'unica arma che ha. È inesperta. Non sa...» «È quello che ho cercato di dirle. Non mi ha ascoltato. Al suo posto, credo che non lo avrei fatto nemmeno io. Chiamami quando arrivi a St. Ives.» Riagganciò. Travis guardò l'orologio. Gli ci sarebbero volute almeno tre ore per arrivare a St. Ives da lì. Premette il piede sull'acceleratore e la macchina balzò in avanti. 21
St. Ives L'antica chiesa sulla collina doveva essere stata costruita secoli prima. Il cimitero che si estendeva alle sue spalle era l'estrema dimora di intere generazioni di abitanti del paese. L'edificio non aveva finestre, e i gradini in pietra che portavano alle porte massicce di quercia erano scheggiati. Melissa non li avrebbe saliti, comunque. Sarebbe stata un facile bersaglio nel luminoso chiarore della luna. La sua mano si chiuse sull'impugnatura della pistola nella tasca della giacca, mentre s'inoltrava maggiormente tra le ombre sotto la quercia. Non poteva restare lì tutta la notte. Si inumidì le labbra e chiamò: «Danielle. Danielle Claron.» Nessuna risposta. «Sono Melissa Riley. Mi ha mandato Michael Travis.» Silenzio. «Non era sicuro di poter arrivare in tempo. Ma posso farti avere tutto il denaro di cui hai bisogno.» Ancora silenzio. «Per favore... pensi che avrebbe mandato una donna se avesse voluto farti del male?» «Se fosse intelligente.» Melissa si girò di scatto e vide la donna che le veniva incontro dal cimitero, svoltando attorno alla chiesa. Era minuta, con capelli scuri e sulla trentina. Indossava un maglione viola e una lunga gonna. «Mio marito non è mai stato così intelligente. Non ha mai ascoltato. Mi ha sempre sottovalutata.» Stava puntando la pistola contro Melissa. «È così che quel bastardo è riuscito a eliminarlo. Io non sottovaluto nessuno. Ed è per questo che non morirò. Alza le mani.» Melissa ubbidì lentamente. «Non sono qui per farti del male. Ho con me quello che vuoi.» «Puoi restituirmi mio marito?» «No, ma posso darti il denaro per restartene al sicuro.» «E che cosa vuoi in cambio?» «Edward Deschamps. Sai dove si trova?» Silenzio. «Forse.» Il cuore di Melissa sussultò. «O lo sai o non lo sai.»
«Forse», ripeté. «Ne riparleremo quando vedrò un po' di soldi. E sarà meglio che sia presto. Credi che mi sia divertita a nascondermi qui per tutte queste settimane?» «Vuoi mettere via quella pistola? Sai che non rappresento una minaccia.» Danielle la fissò, studiandola con attenzione, prima di dire: «No, sei troppo tenera». Abbassò la pistola. «Non ero sicura che non fossi stata ingaggiata da Deschamps per costringermi a uscire allo scoperto.» Storse le labbra. «Quel bastardo si è servito spesso delle donne. Come quella sgualdrina di Jeanne Beaujolis. È così che sono finita in questo pasticcio.» Melissa abbassò le mani. «Ti ha raccontato quello che sarebbe successo a Vasaro?» «No, solo che Deschamps l'avrebbe aiutata a diventare ricca. Ho messo insieme io gli altri pezzi del puzzle quando ho sentito quel che era successo.» La sua faccia si indurì. «Era pazza di lui, dapprincipio, poi si è invaghita dei soldi che le avrebbe dato.» «L'hai mai incontrato prima di Vasaro?» «Una o due volte.» «Dove?» Scosse la testa. «I soldi.» «Quanto?» «Travis ha offerto a mio marito cinquemila dollari. Io ne voglio settemila.» «Può darsi che ci occorra un po' di tempo per mettere insieme questa somma.» «Non ne ho molto. Devo andarmene da qui. Ti concedo fino a domani notte per... Cos'è stato?» Alzò la testa e guardò verso il bosco, alle spalle di Melissa. «Hai sentito?» La ragazza si girò di scatto. «Sentito cosa?» «Un fruscio. C'è qualcuno laggiù.» Guardò di nuovo Melissa, gli occhi fiammeggianti. «Mi hai mentito. Ti ha mandata Deschamps.» «No. Potrebbe essere Travis. Ha detto che sarebbe...» «Bugiarda.» Balzò verso Melissa. «Non è Travis. È Deschamps.» Il calcio della sua pistola si stava abbassando sulla sua testa. Melissa lo schivò, afferrò il braccio della donna e glielo torse dietro la schiena. «Lasciami andare, sgualdrina.» Melissa la lasciò, ma estrasse contemporaneamente la Smith & Wesson
dalla tasca della giacca. «Quando riprenderai a ragionare.» Premette la pistola contro la schiena di Danielle. «Primo, non ho sentito nessun fruscio, secondo, sono l'ultima persona che si metterebbe in combutta con Deschamps. Ha ucciso mia sorella. Lo voglio quanto te.» «Di più», disse una voce maschile alle sue spalle. «Molto di più, signorina Riley.» Un dolore lancinante esplose nella sua testa. Poi si accasciò a terra. «È morta, Edward?» La voce di Danielle Claron, realizzò oscuramente Melissa. «Spero di no.» Si chinò a raccogliere la pistola, che le era sfuggita di mano. «Ho altri piani per lei. No, credo che sia soltanto svenuta.» «Ci hai impiegato parecchio. Ho fatto come hai detto. Ho cercato di distrarla.» «E te la sei cavata anche piuttosto bene, Monique. Se non avessi saputo che Danielle era morta, avresti potuto ingannarmi. Mi dispiace di aver reso più pesante il tuo lavoro. Ero alla ricerca di Travis.» «Non è qui?» «Non ancora.» «Ma hai finito con me? Non è colpa mia se è venuta lei al posto di Travis. Posso avere i miei soldi?» «Naturalmente. Te li ho promessi, no? Seguimi in chiesa, dove posso accendere la torcia elettrica e contarli.» «E che cosa ne facciamo di lei?» «Ci vorrà solo un minuto.» Si stavano allontanando. Qualcosa non andava... Non aveva importanza. Ci penserai più tardi. Alzati. Vattene, prima che ritorni. Si mise in ginocchio con qualche difficoltà. Gesù, che mal di testa. Presto. Al secondo tentativo riuscì a rimettersi in piedi. Raggiunse la strada barcollando. Devi raggiungere la macchina. Dio, quanto stava male. Trova un posto per riposare qualche minuto. Barcollò fino a un albero e vi si appoggiò contro. Doveva vomitare. Una mano si posò sulla sua spalla.
Deschamps! Si girò e gli assestò un pugno in faccia. Gesù, cosa diavolo... Era Travis. Gli crollò addosso. «È qui. Dobbiamo tornare indietro...» Si irrigidì. «Chi, Deschamps?» «È in chiesa. C'è una donna con lui... ma non è Danielle Claron. L'ha chiamata Monique. Credo che Danielle sia morta. Sta pagando quella donna, adesso.» Lo respinse. «Dobbiamo tornare indietro.» «Non devi fare proprio niente, se non sederti prima di cadere.» Corrugò la fronte. «Stai sanguinando?» «Non lo so. Mi ha colpita.» Alzò lo sguardo verso la collina. «Dobbiamo andare alla chiesa. Lui e quella donna sono...» S'interruppe. «No, c'è qualcosa che non quadra. Non ha nemmeno controllato per vedere se ero svenuta. Dovrebbe sapere come colpire una persona, non ti pare? Ma non ha nemmeno controllato...» Si fregò la tempia e notò che aveva le dita inumidite. Stava davvero sanguinando. «Voleva che venissi a cercarti. Voleva che ti precipitassi in chiesa. È una trappola.» «Ma se noi lo sappiamo», fece lui lentamente, «allora siamo in vantaggio.» Si sentì cogliere dal panico. «No, ti sta aspettando. Ti ammazzerà.» Travis la ignorò. «Ce la fai a risalire la collina? Entrerò in chiesa da solo, ma non voglio lasciarti qui.» «Maledizione, lui ti sta aspettando.» La sua espressione era cupa. «È la mia unica occasione. Non me la lascerò scappare. Ce la fai a risalire la collina?» ripeté. «Sì.» Si mise al passo con lui. Ce l'avrebbe fatta. Non sarebbe rimasta lì. «Ma può darsi che abbia... Che cos'è quest'odore?» «Merda.» In cima alla collina, la vecchia chiesa stava bruciando. Le fiamme uscivano da ogni finestra e da ogni porta. «Le ha dato fuoco con la torcia?» Travis annuì, lo sguardo sulla chiesa, che adesso era un inferno. Quell'odore... Gesù, si sentiva male. Perché sapeva cos'era quell'odore. Le era più che familiare. Un odore orribile. Un odore da incubo. Odore di carne umana che bruciava.
«Vieni.» La mano di Travis la prese per il gomito. «Andiamocene.» Non riusciva a smettere di fissare le fiamme. «Deschamps.» «Sarebbe uno stupido se fosse ancora lì. C'è già gente che sta correndo verso la chiesa.» Sì, adesso li vedeva. Un vecchio che indossava solo pantaloni e scarpe, e una donna con un secchio. Che cosa poteva fare un secchio d'acqua a quell'inferno? «C'è qualcuno dentro. Sento odore...» «Lo so. Ma è troppo tardi per salvarla. Probabilmente era già morta prima che appiccasse il fuoco.» «Credi che l'abbia uccisa?» «Non è una gran sorpresa. Non gli piacciono i testimoni.» La stava facendo girare, spingendola giù dalla collina. «Ha dato fuoco anche alla casa dei Claron, per distruggere le prove.» «Ma può darsi che stesse aspettando. Non ha senso. Sono sicura che voleva tenderti una trappola, Travis.» «Può darsi.» Si fermò presso il furgone. «Puoi guidare? Dobbiamo portare via entrambi i veicoli. Ci sarà un'inchiesta, e non voglio che ci colleghino all'accaduto.» «Posso farcela.» Aprì la portiera. «Aspetta.» Salì e controllò il retro. «Va bene. Puoi salire adesso.» Un brivido le corse lungo la schiena. Travis aveva pensato che Deschamps potesse essere nel furgone. «Ha già avuto una chance con me, e non l'ha sfruttata.» Adesso stava sbirciando sotto il furgone. «Le circostanze cambiano.» «Dov'è la tua auto?» «Sulla strada, dietro la curva.» Sedette al posto di guida. «Sali. Ti accompagno lì, e aspetto finché non siamo sicuri che non è nei dintorni.» «Mi stai proteggendo, Melissa?» «Taci, e fai quel che ti dico.» «Bene.» Sembrava che non ci fosse nessuno nella Peugeot, e nemmeno nelle vicinanze. Forse. Aveva imparato una dura lezione sulle apparenze, quella notte. Si affiancò alla macchina. «Sbrigati, sali.» Il suo sguardo soppesò i boschi sul lato della collina. «Fra un minuto. Non credo che abbia avuto il tempo, ma c'è una possibilità...» Aprì il cofa-
no dell'auto, l'esaminò e poi girò sul retro della vettura, si inginocchiò e controllò sotto. «La sa lunga in fatto di esplosivi, e non ci vuole poi molto per innescare una bomba.» Si raddrizzò e qualche secondo dopo era al posto di guida. «Parti. Ti seguo. Se ti gira la testa, accosta e lasciamo il furgone sul ciglio della strada. Galen può mandarlo a ritirare più tardi.» Le girava la testa e si sentiva male. Bombe, inganno, e assassinio... E quel terribile odore di carne bruciata. Galen andò loro incontro, mentre arrivavano al cottage. «Sei fortunata che sia un uomo clemente. Non è stata una bella cosa... Stai sanguinando.» La aiutò a scendere dal furgone e si rivolse a Travis, che stava scendendo dalla Peugeot. «Deschamps?» «Sì.» Si fermò accanto a Melissa. «Tutto bene?» «Sì.» «Non lo meriti.» Si allontanò, lasciandola indietro. «È meglio che mi occupi io di quella ferita», disse a Melissa. «Dato il suo umore attuale, credo che Travis ti lascerebbe morire dissanguata.» Non si era resa conto della rabbia che ribolliva sotto la superficie. Non si era resa conto di niente se non della delusione e dell'orrore... e di quell'odore di carne bruciata. Mamma. Papà. La foresta, al riparo dall'orrore e dall'odore di morte e carne bruciata. Jessica. Ma adesso non c'era Jessica per convincerla ad uscire dalla foresta. «Melissa?» «Sto bene. Ma ha ragione, non merito di stare bene. Quella donna mi ha ingannata.» «Questo non è un crimine, solo un errore di valutazione. E ci sei andata di mezzo soltanto tu.» Erano nel soggiorno ora. «Siediti. Ti metto un po' di pomata antibatterica sulla ferita.» «Posso fare da sola.» «Ma io posso farlo più in fretta. Non hai un bell'aspetto.» La spinse giù, in una delle poltrone. «Travis mi ha chiamato dalla macchina e mi ha informato dell'accaduto. Vuoi parlarne?» Carne che bruciava... Si inumidì le labbra. «Era una trappola. Non era Danielle Claron. Eppure era così... credibile. Non so come sapesse dove telefonarti, e tutti gli altri particolari.»
«Può darsi che ci fosse una microspia, a casa dei Dumair. Deschamps sapeva che avremmo cercato Danielle Claron.» Tamponò la ferita. «Travis ha detto che aveva piazzato delle cimici a casa di Jan, e Jan gli aveva detto che era maledettamente esperto.» Spalmò un po' di pomata. «Questa ferita non è così brutta.» Perché Deschamps non aveva voluto farle realmente del male? Una trappola. Una trappola che però non era scattata. «Ero un po' stordita, ma adesso mi sono ripresa. Come sta Cassie?» «Bene.» Travis uscì dalla stanza della bambina. «Non certo per merito tuo.» «Non colpevolizzarmi. Sapevo che Galen si sarebbe preso cura di lei. Non pensavo che sarei stata via più di qualche ora.» «E per poco non tornavi affatto», ribatté lui con aria feroce. «Ti avevo detto che non dovevi dargli la caccia.» «Allora avresti dovuto lasciarmi venire con te. L'unica ragione per cui sono andata da sola è che sapevo che mi stavi tagliando fuori.» «Così, sarebbe colpa mia se per poco non ti facevi ammazzare? Sei stata fortunata a non finire arrostita in quella chiesa, insieme con quella donna.» Carne bruciata. Mamma, svegliati. Ti prego, svegliati. Provò un improvviso senso di soffocamento. Doveva uscire. «Credo di essere stata fortunata.» Balzò in piedi e si diresse alla porta. «Esco sul portico. Torno fra qualche minuto.» «Sei stato molto duro con lei», disse Galen. «È già abbastanza severa con se stessa.» «Avrebbe potuto farsi ammazzare.» Travis si diresse alla porta. «È come un siluro, che parte dritto per il bersaglio e non si rende conto che esploderà a sua volta.» «Perché non la lasci in pace per un po'? Potrebbe aver bisogno di spazio.» «Non posso lasciarla in pace, maledizione.» «No?» Galen lo studiò un momento, e poi annuì lentamente. «Sei così sicuro che Deschamps sia là fuori?» «Come ho detto quando ti ho telefonato dalla macchina, Melissa era certa che si trattasse di una trappola, e il suo istinto sbaglia raramente. Solo che non guarda abbastanza in là. Deschamps vuole me, ma vuole anche il Cavallo Alato. Ha combinato l'incontro alla chiesa per poterci seguire fin
qui. Hai avvertito i tuoi uomini di tenere d'occhio la casa?» Galeri annuì. «Quando pensi che si farà vivo?» «Quando sarà sicuro che il Cavallo Alato è qui. Dobbiamo fargli credere che si trova da qualche altra parte, e che stiamo organizzando tutto per andare a prenderlo. Faremo un paio di telefonate fasulle a uno dei tuoi uomini, e guideremo Deschamps su una pista falsa. Chi è il più sveglio?» «Joseph.» «Allora informalo. Deschamps non può usare microspie, così è probabile che si servirà degli amplificatori a lungo raggio. Credo che li sistemerà nel giro di otto o dodici ore. Dì ai tuoi ragazzi di cercare di localizzarlo. Potrebbe sistemarli sulla spiaggia, o in una barca.» «Come comunicheremo, allora?» «Molto cautamente. Useremo il portatile, quando non vorremo che ci senta. Joseph ne possiede uno?» «Visto che siamo nel ventunesimo secolo...» «Allora di' ai tuoi uomini di monitorare le loro e-mail, per ricevere istruzioni.» «E se ti sbagliassi, su Deschamps?» Travis non voleva fare congetture in merito. «Non credo di sbagliarmi. È un dritto, e aspetta da molto tempo il suo momento. Fa' in modo che Melissa e Cassie siano protette.» Lo sguardo di Galen si spostò su Melissa. «E non deve sapere?» «No.» «Stai rischiando il suo osso del collo.» «Sto rischiando l'osso del collo di tutti noi. Non posso farci niente.» Serrò le labbra. «Troverò il modo di intrappolarlo, Galen. Lo prenderò.» «Come?» «Ci lavorerò.» D'un tratto si rese conto che quella era una frase di Melissa, che definiva un tratto ben preciso del suo carattere. «Fa' tu il primo turno di guardia, d'accordo?» Galen annuì. «Faresti meglio ad accertarti che non decida di andarsene in giro. Non si sa mai. E potresti cercare di essere gentile con lei. Sta soffrendo molto.» «Non voglio essere gentile con lei. Voglio che la smetta...» Trasse un profondo sospiro. «Chiama i tuoi uomini, e digli di mettersi sulle tracce di Deschamps.» «Vieni dentro, Melissa.»
Travis era in piedi dietro di lei. «Fra poco.» Si strinse le braccia intorno alle spalle. Cielo, avrebbe voluto poter smettere di tremare. Controllati. Non fargli vedere... «Adesso.» Scosse la testa. «So che sono stato brusco con te, ma non puoi restare qui fuori.» «Pensi che ti stia tenendo il muso?» «Non mi sembra la cosa più probabile, nel tuo stato d'animo. So che sei sconvolta.» Seguì un breve silenzio. «D'accordo, non ho reso le cose più facili.» «Le hai rese più facili, invece.» «Come?» «Sei rimasto vivo.» Chiuse gli occhi. «Ho commesso un terribile errore. Avrei potuto farti ammazzare.» «E avresti versato qualche lacrima per me?» «Oh, sì.» Mosse un passo avanti. «Melissa...» «Non toccarmi.» Aprì gli occhi, e fece un passo indietro. «Non posso permettere a nessuno...» «Cristo, stai tremando come una foglia, e battendo i denti.» «Passerà.» «Merda.» Le si avvicinò e la prese tra le braccia. «Sono responsabile io di tutto questo?» «Non vantarti tanto.» Ma lo strinse in un abbraccio. Caldo. Sicuro. Qui. Ora. Vivo. «Deschamps?» «Non Deschamps.» «Allora perché non smetti di tremare?» Affondò la testa nella sua spalla. «L'odore.» La sua voce era smorzata. «Quella donna in chiesa... Quell'odore...» Si immobilizzò. «Cristo, non avevo collegato. I tuoi genitori...» «È la prima volta da quando ne sono uscita che ho sentito il desiderio di rientrare nella mia piccola foresta. Ero così spaventata... Volevo tornarci. Mi sentivo al sicuro lì.» «Oh all'inferno!» Le sue braccia la strinsero forte. «Eri mezza morta. Adesso smettila. Tu non torni proprio da nessuna parte.» «No, naturalmente. È solo... ho dovuto ripercorrerlo, a modo mio. Sono contenta che Jessica non mi abbia visto. Si sarebbe spaventata a morte.»
«Anch'io mi sono spaventato.» «Davvero?» Il tremito stava diminuendo. «Puoi lasciarmi andare adesso.» «Posso?» Non si mosse. «No, forse no. È così... bello.» «Sì, lo è.» «Tu mi fai sentire bene.» Bene e serena. Completamente in pace. La tensione la stava abbandonando. «Grazie.» «Piacere mio... credo.» Passò qualche minuto, poi Travis la scostò da sé. «Faresti meglio a rientrare.» Sì, meglio staccarsi. Tutto questo era troppo bello. «Ma non cercare di tagliarmi fuori di nuovo. Dobbiamo parlare di Deschamps.» Sentiva la tensione nel suo corpo. «Non adesso, Melissa.» No, non adesso, pensò stancamente. Troppe cose su cui riflettere. Troppe emozioni da decifrare. Indietreggiò. «Domattina.» Travis guardò il cielo. «Non manca molto.» Melissa osservò le strisce grigio perla che illuminavano il cielo notturno. «Jessica amava quest'ora del giorno. Diceva che, durante l'internato, passeggiava attraverso il parco quando aveva finito il suo turno. Era tutto così chiaro, luminoso e nuovo che le permetteva di affrontare la notte successiva.» «Jessica vorrebbe che tu fossi al sicuro.» Scosse la testa. «Non cercare di manipolarmi usando Jessica. Buona notte, Travis. Mi dispiace di averti messo in pericolo.» «Forse mi hai solo salvato la pelle. Non sei una credulona, quella donna dev'essere stata realmente brava. E avrei potuto cascarci anch'io.» Ci pensò, poi sorrise. «Hai perfettamente ragione. Dovresti essermi maledettamente grato.» In camera sua trovò Galen seduto accanto a Cassie. Si posò il dito sulle labbra e gli fece cenno di allontanarsi. Lui annuì e uscì in punta di piedi. Si sdraiò vicino alla bambina e chiuse gli occhi. «Mi hai lasciata sola», disse Cassie. «Non a lungo.» «Ero sola.» «Allora vieni fuori e non sarai più sola.» Silenzio. «Eri spaventata. Volevi ritornare nella tua foresta.» Come aveva fatto Cassie a captarlo? «Ma non l'ho fatto. Non tornerò
più laggiù.» «Potresti venire nel mio tunnel.» «Ma non ci resterai per molto.» «Continui a ripeterlo.» «Perché è vero. Non mi credi?» Silenzio. «Non vuoi davvero tornare indietro?» «Perché dovrei? Guardami. Che cosa vedi?» Silenzio. «Voglio dormire adesso.» «Te stona.» «Ma avevi paura. L'ho visto.» «E cos'altro hai visto?» «Michael. Ho visto Michael...» Melissa giacque sveglia a lungo, dopo che Cassie si addormentò. Avresti versato qualche lacrima per me? Ho visto Michael... 22 La porta della stanza si aprì qualche ora più tardi. Travis si irrigidì. «Sono solo io», disse Melissa. «Solo?» Si appoggiò a un gomito. «Che cosa ci fai qui?» «Volevo stare con te.» «Vuoi parlarmi dei tuoi genitori?» «Non ora.» «Deschamps?» «Non ho bisogno di un terapeuta, Travis.» Andò verso di lui. «Non sono qui per questo.» Non si mosse. «Allora che cosa diavolo c'è?» «Tu cosa pensi?» «Penso che faresti meglio a essere chiara.» «Vuoi chiarezza?» S'interruppe per ritrovare un tono di voce più calmo. «L'avrai.» Si fermò accanto al letto. «Mi spoglierò, adesso. Vedo che tu sei già nudo, ed è molto più pratico.» Sfilò la camicia da notte dalla testa e la lasciò cadere sul pavimento. «Ora entro nel tuo letto. Poi voglio che ti abbandoni a ogni atto carnale che hai imparato, o di cui hai sentito parlare.» Tirò indietro la coperta. «Sono stata abbastanza chiara?» Travis tacque un momento, e quando parlò la sua voce tremava. «Credo
di sì. Ma hai passato un sacco di guai ieri notte. Sei sicura di essere in grado di giudicare...» «Oh, fammi il piacere. Certo che sono sicura. Smettila di cavillare. Credi che questo sia facile per me? Non che sia una mammoletta, ma è...» «Sss.» Allungò la mano e la toccò dolcemente tra le cosce. «Adesso ti credo. Cristo, sei veloce.» «Ma non esserlo tu.» Anche la sua voce tremava, quando premette il proprio corpo contro di lui. «Voglio che duri tanto, tantissimo...» «Sei molto bravo.» Melissa si spostò, poi si rannicchiò più vicino. «Per uno che vuole restare alla superficie delle cose, devo ammettere che la tua tecnica di penetrazione è notevole.» «Se mi avessi avvertito che volevi sedurmi, avrei escogitato qualcosa di nuovo.» «L'istinto vale più di tutto. E poi, non sapevo. Non ero sicura. Non finché non hai smesso di discutere e mi hai toccata.» Gli sfiorò il petto con le labbra. «Allora ho capito che era la cosa giusta da fare.» «Era sicuramente la cosa giusta.» Le infilò la mano tra i capelli. «E sono contento che tu non abbia deciso che non era il momento giusto. E che io non ero l'uomo giusto.» «Non sono una donna che ama provocare. Non ti avrei ingannato.» Ridacchiò. «E soprattutto non avrei ingannato me stessa. Che uomo perverso ti stai rivelando, Michael Travis.» «Cerco di piacere. Hai detto ogni atto carnale.» «Credo che abbiamo raggiunto il limite.» «No, non abbiamo neanche incominciato.» Le prese la mano e le succhiò l'indice. «Che ne dici?» Si sentì pervadere da un'ondata di calore. Gesù, ci sapeva fare. Il sesso con lui era stato molto diverso da quello che aveva mai sperimentato. Un'intimità eccitante e sensuale. «Forse no.» Si avvicinò maggiormente. «Fammi vedere...» Il sole era alto nel cielo, quando uscirono sul portico. «Ecco Galen, seduto su quella duna.» Melissa ricambiò il suo pigro saluto e l'osservò mentre si stiracchiava, sbadigliava e si sdraiava sulla sabbia. «Sembra così rilassato, come se fosse un po' fatto e guardasse le barche. È la prima volta che lo vedo prendersela con tanta calma, da quando siamo qui. È sempre superattivo: ai fornelli, al telefono, a dirigere il mondo.»
Travis seguì il suo sguardo fino a Galen, e poi alle due barche ancorate lungo la costa. «L'universo. Ma forse ha più tatto di quel che pensi. Magari non ci vuole disturbare. Capisce le cose.» «Quali cose?» Lo guardò. Aveva i capelli scarmigliati, la camicia sgualcita, e l'espressione... Distolse lo sguardo. Aveva pensato di aver fatto il pieno, ma forse... «Cosa pensi che capisca Galen di noi?» Sorrise. «Pensi che creda che ti abbia sedotto per ottenere quel che voglio?» «Non è uno sciocco.» Guardò dritto davanti a sé. «Ma ti piacerebbe confidarmi perché sono stato così fortunato?» «Volevo farlo», rispose semplicemente. «Non è così semplice.» «Sì, lo è. Ero io a rendere le cose difficili, il che non è da me. Ogni momento di vita dovrebbe essere vissuto al massimo. Ti volevo, ma non mi decidevo. Ero spaventatissima, ieri notte. Pensavo che sarei morta, e poi ho avuto paura che morissi tu. Mi ha fatto ritrovare un po' di buon senso. Provo... qualcosa per te.» «Cosa?» «Non lo so. A volte mi sento così vicina a te, e questo... mi intimorisce.» «Avresti potuto mentirmi.» «Che cosa c'è? Ti sei offeso? Volevo essere onesta con te.» «Oh, lo sei stata. Posso capire perché hai lottato contro il sentimento che provavi per me. Siamo agli estremi opposti dell'universo.» «E tu non vuoi impegnarti con nessuno.» Rimase silenzioso. Lei sorrise. «Ma dovrai farlo, almeno con me. Perché non posso girare la schiena alle persone di cui sono diventata amica. Così, che ti piaccia o no, sono entrata nella tua vita.» «Entrata nella mia vita?» «Non farti prendere dal panico. Ci sono tipi diversi di impegni. L'amicizia è uno. Dovresti sentirti tranquillo in proposito.» «Credo di essere un po' infastidito dalla tua analisi del mio carattere.» «Scusa», fece stancamente. «Probabilmente sto cercando di trovare una spiegazione. È stato uno choc, per me, provare sentimenti così forti nei tuoi confronti. Non voglio che ti succeda niente. Mi renderebbe...» «Triste?» Cielo, avrebbe voluto poter dire che si sentiva soltanto triste. E invece era così vicina a un grande abisso che doveva muoversi con cautela. «Sì, credo che si possa usare questa parola.» Cambiò argomento. «E dimmi...
Abbiamo perso l'unica traccia che avevamo. Credi che Deschamps...» «Cristo», esplose lui, «ti sei quasi fatta ammazzare ieri sera, dando la caccia a Deschamps. Perché non puoi dimenticartene? Ti prego, non rinchiuderti a quel modo.» La prese per le spalle e la scosse. «Ascoltami.» «Ti sto ascoltando.» «Ma non mi stai sentendo. Stai fuggendo da me.» «Non è vero.» Incontrò il suo sguardo. «Vuoi tornare in camera e fare di nuovo l'amore?» «No, non voglio. Oh, merda, certo che voglio. Ma non ti permetterò di usarmi per... Che cosa diavolo sto dicendo?» «Non ti ho usato. Ho solo diviso una gioia. Non è così?» La fissò, poi lentamente annuì. «Dio mio, che genere di donna sei, Melissa?» Una donna che potrebbe amarti, pensò. Oh, Dio, avrebbe voluto che quella risposta non le fosse venuta alla mente. Ma c'era ogni genere d'amore, come c'era ogni genere d'impegno. Questo poteva affrontarlo. Cercò di sorridere. «Dovresti saperlo ormai. Sono trasparente.» «Figurati!» Melissa si girò per rientrare in casa. «In confronto a te, io sono trasparente come il vetro. E affamata. Ti va di fare colazione?» «No, vado a fare una passeggiata. Ci vediamo dopo.» Lo osservò dirigersi verso Galen. Era sconvolto. Be', non poteva farci niente. Era stata il più onesta possibile con lui. Non poteva dimenticare Deschamps, e non avrebbe mentito a Travis. Galen e Travis stavano parlando. Concitatamente. Di Deschamps? Probabile. Se progettavano qualcosa, la stavano tagliando di nuovo fuori. Non poteva permettere che accadesse. Maledizione, ora Travis sarebbe diventato anche più protettivo di prima. La notte precedente poteva essere stato un errore. No, la gioia non era mai un errore. Al contrario: avrebbe dovuto risolvere i problemi. Galen stava tornando al cottage. Sorrideva, mentre saliva i gradini del portico. «Travis dice che hai fame. Che cosa vuoi per colazione?» «Posso prepararmela io.» «No, fa parte del pacchetto.» Aprì la porta scorrevole. «E penso che un po' di riposo ti farebbe bene, dopo ieri notte.» Sbatté le palpebre.
Poi rise. «Oops. No, alludevo al colpo in testa.» Guardò Travis, che era ancora sulla spiaggia. «Ritorna?» «Non subito. Ha detto che aveva bisogno di stare un po' per conto suo. Pancakes? Uova e prosciutto?» Osservò Travis avviarsi lungo la spiaggia. Dal modo controllato e guardingo in cui si muoveva, capì che era teso. Forse avrebbe potuto parlargli, quando fosse ritornato. Ma forse era meglio che si calmasse. Si girò verso Galen. «Pancakes. Preparo la tavola.» Travis guardò verso il portico e osservò Melissa entrare. Cristo, se era testarda. Oltre che forte, audace e generosa. E così bella e intelligente che lo faceva sentire... Spaventato. Non si sarebbe fermata. Se ciò che era successo la notte prima non l'aveva scoraggiata, nient'altro l'avrebbe fatto. Era solo una questione di tempo. Prima o poi avrebbe scoperto che Deschamps poteva trovarsi su quella barca nell'insenatura. Se non fosse stata così sconvolta, la notte prima, probabilmente avrebbe capito anche lei che Deschamps li avrebbe seguiti. Era sicuro che avrebbe mirato di nuovo a lei. Aveva interferito, adesso era un testimone. Si sentì stringere lo stomaco. Non poteva permettere che accadesse. «Vuoi giocare a poker?» chiese Galen. «Ne ho abbastanza del solitario.» Melissa girò le spalle alla finestra, dov'era rimasta a guardare Travis sulla spiaggia. «No, grazie.» «Peccato.» Posò una regina su un re. «Dicono che sono il peggior giocatore di poker del continente. Sarebbe magari servito a infondere sicurezza al tuo ego.» Forse ne avrebbe avuto bisogno. Travis la evitava da tutto il giorno. Eccetto che per cena, era rimasto fuori sulla spiaggia. Pensava che fosse naturale. Oltre al rifiuto di fare marcia indietro per quel che riguardava Deschamps, era stata sincera con lui anche riguardo alla sua intenzione di restare nella sua vita. Forse Travis si sentiva a disagio. Be', che ci facesse l'abitudine. Poteva restare su quella spiaggia anche tutta la notte. Non l'avrebbe aspettato alzata. «Vado a letto. Buona notte, Galen.»
Non alzò lo sguardo. «Buona notte.» Cassie era addormentata e Melissa andò tranquillamente in bagno per lavarsi i denti e la faccia. Ma la bambina si svegliò proprio quando Melissa scivolava nel letto accanto a lei. «Melissa?» «Sss. Rimettiti a dormire.» «Sì. Ho tanto sonno... Perché Michael è qui?» «Non è qui.» «Sì, c'è. Lo sento. È quasi sempre con te adesso...» Si addormentò di nuovo. Quasi sempre con te adesso. Melissa fissò l'oscurità. Che Cassie percepisse il nuovo legame che si era formato tra loro? O era lei che pensava di più a Travis e la bambina l'aveva scoperto? Ma Cassie si sbagliava. Michael non era con lei, quella notte. Era fuori, da qualche parte, su quella dannata spiaggia. E lei era sola. Strano che potesse sentirsi sola dopo un'unica notte passata con lui. Magari, anche a lui stava succedendo la stessa cosa. Sperava che fosse così. Non voleva sentirsi infelice soltanto lei. Ma più probabilmente lui era euforico. Gli uomini non sono introspettivi come le donne, il che, tutto sommato, era ingiusto. Dormi. Dimenticalo. Ma, Gesù, si sentiva sola... «Mostri!» Melissa si svegliò, sobbalzando. Maledizione, aveva creduto che gli incubi fossero finiti. Ma la bambina era terrorizzata. «Stanno venendo. Perché stai sdraiata lì? Dobbiamo combatterli!» «Ne abbiamo già parlato. Sai che non ci sono mostri nel tunnel, Cassie.» «Mostri. Pistole. Vogliono farti del male.» «Non a te?» Almeno questo. Gli incubi di Cassie erano sempre stati incentrati su una minaccia rivolta a lei. «Non vogliono fare del male a me. Alzati. Scappa.» «Non ti lascerò. Non c'è niente di cui preoccuparsi. I mostri sono solo nella tua imma...» La porta della camera da letto si spalancò. Quattro uomini. Pistole.
«No!» Si gettò sopra Cassie. «Non fatele del male.» «Melissa!» gridò Cassie. 23 «Le tolga le manette, Danley», disse Andreas. «E la voglio nella limousine con me.» «Le consiglierei di...» «Credo di sapermi difendere da lei.» Le sue braccia strinsero Cassie in un abbraccio. «E dubito che rappresenti un pericolo per mia figlia. Lei stesso ha detto che il suo primo gesto è stato quello di cercare di proteggerla.» «Potrebbe essere stata una mossa studiata...» «La faccia salire in macchina, Danley.» «Sì, signore.» Le tolse riluttante le manette e aprì la portiera. Melissa salì nella limousine. «Ha il collo graffiato», le fece notare Andreas. «Sta leggermente sanguinando. C'è un fazzolettino di carta nella tasca.» Avvolse meglio Cassie nella coperta. «Mi dispiace. Gli avevo raccomandato di non farle del male.» «Perché?» «Faceva parte dei patti.» Tirò fuori il cellulare. «Se vuole scusarmi, devo chiamare mia moglie.» Compose il numero. «Cassie è salva. Sana e salva. Sì, sono sicuro. Non è ferita. Anch'io ti amo. Ti telefono più tardi.» «Quali patti?» chiese Melissa quando riagganciò. «Michael Travis. Mi ha telefonato e mi ha detto dove eravate, lei e Cassie.» L'aveva tradita. Non avrebbe dovuto sentirsi così scioccata. Avrebbe dovuto capirlo subito, quando non aveva visto traccia di Travis e di Galen, mentre la trascinavano fuori di casa. «E i patti?» «Amnistia per lei. Non verrà perseguita per rapimento né alcun altro crimine. Verrà tenuta in custodia per quarantott'ore, e poi rilasciata.» «E Travis?» «È un uomo intelligente. Sa che sono pronto a tagliargli la gola. I patti includevano soltanto lei. È stato molto persuasivo, e ho avuto poca scelta quando mi ha detto che questo Deschamps sapeva dov'eravate, e che avrebbe potuto mettersi sulle tracce di Cassie in qualsiasi momento. Ha
aggiunto che mi avrebbe telefonato, prima di andarsene con il Cavallo Alato e che dovevamo entrare in scena prima di Deschamps.» ... Che aveva seguito lei e Travis al cottage, si rese conto disgustata. Mio Dio, perché non aveva fatto due più due? Se si fosse lasciata guidare dalla testa, invece che dalle emozioni, avrebbe immaginato quello che per Travis era stato evidente. Tutto quel tempo che lui e Galen avevano trascorso sulla spiaggia... «Avete perlustrato la zona?» «Naturalmente. Sarei stato felice di trovare Travis o Deschamps.» «È Deschamps il suo uomo. È lui che ha organizzato l'attacco a Vasaro.» «Li voglio entrambi. Ma dopo la telefonata di Travis ho richiesto un rapporto su Deschamps e quel bastardo potrebbe essere peggio di lui.» «È un mostro. Lo chieda a Cassie.» «Sfortunatamente, non risponderà.» Abbassò lo sguardo su sua figlia. «È vero che Cassie non ha più incubi?» Annuì. «È un po' presto per dirlo, ma potrebbero essere finiti.» «Spero che abbia ragione.» Guardò sua figlia. «Volevo uccidere sua sorella, il giorno in cui Cassie è stata rapita.» Sussultò. «Qualcun altro l'ha fatto per lei.» «Lo so.» Fece una pausa. «Ho rimandato il suo corpo in Virginia. È stato difficile per me credere che fosse complice.» «Infatti non lo era. Lasciare Juniper le è sembrata la decisione più saggia per Cassie, almeno in quel momento e in quelle circostanze.» Alzò il mento. «E aveva ragione. Cassie sta molto meglio adesso. Se fosse rimasta a casa, l'avremmo magari perduta per sempre, o uno di quegli accessi di isteria più forte degli altri avrebbe potuto ucciderla.» «Dovrei sentirmi grato?» «Accidenti, sì.» «Ha messo in pericolo Cassie.» «E ha dato la vita per sua figlia.» Rimase silenzioso. «Come lei era preparata a morire oggi, in quel cottage.» «La mia reazione è stata istintiva. Anche se Jessica avesse saputo che sarebbe morta, credo che non avrebbe rinunciato a portarla al museo, per farle vedere il Cavallo Alato. Era convinta che questa fosse una buona chance per ricondurre indietro Cassie. E c'era quasi riuscita.» «Così mi ha detto Travis.» Abbassò lo sguardo su Cassie. «Fino a che punto c'era riuscita?»
«C'è andata vicino.» «Mi aveva chiesto di ricondurre Cassie a Vasaro. Ho rifiutato.» «Avrebbe dovuto acconsentire.» «Con il senno di poi... Ma sarà lieta di sapere che le cose stanno andando come voleva sua sorella.» «E cioè?» «È lì che siamo diretti. Resteremo due giorni, e lei sarà mia ospite.» «Perché?» «Non mi ha appena detto che era la cosa migliore per Cassie?» Lo studiò. «Ma perché adesso? Pensavo che volesse riportarla immediatamente negli Stati Uniti, da sua madre.» «Devo trattenermi per altri due giorni, e non voglio perderla di vista. Non ho intenzione di affidare ad altri la sua sicurezza. Può capirlo questo.» «Sì.» Ma Andreas non le stava dicendo tutto. «Evidentemente aveva già preso questa decisione prima...» «Niente statua, signor presidente.» Danley aveva aperto la portiera. «Abbiamo messo a soqquadro il posto.» «Non pensavo di trovarla lì. Volevo solo essere sicuro che Travis l'avesse realmente con sé. Dica all'autista di andare.» «Stava cercando il Cavallo Alato», intervenne Melissa mentre la macchina partiva. «Forse dovrei informarla del fatto che Travis non aveva nessuna intenzione di sottrarla al museo. Disse anzi che lei avrebbe fatto l'inferno per riaverla. Sono stata io a convincerlo a prenderla.» «Perché?» «Deschamps aveva appena ucciso mia sorella, e voleva la statua. Potevo usarla come esca.» «E così, Travis si sarebbe uniformato al suo modo di pensare», osservò cupo. «La smetta di cercare di difenderlo, per favore. Rubare il Cavallo Alato è il minore dei suoi crimini.» «Non ha fatto alcun male a Cassie.» «Però l'ha messa in pericolo.» Aggiunse freddamente. «E voglio che sia punito per questo.» Melissa si appoggiò stancamente al sedile. Perché stava cercando di salvare Travis, anche se era così arrabbiata con lui? L'aveva ingannata, e adesso stava cercando di legarle le mani. «E va bene, faccia come vuole. Ma è meglio che non ne parli davanti a Cassie. Rimane pur sempre il suo eroe.» Corrugò la fronte. «Crede che sia sveglia adesso?»
«So che lo è. Sta ascoltando tutto quel che diciamo.» «Come fa a saperlo?» Evidentemente, Travis non gli aveva riferito del suo legame particolare con Cassie, e lei non l'avrebbe fatto. La credibilità era essenziale. Mancava solo che pensasse che era una svitata. «Sono rimasta con lei quasi costantemente, da quando abbiamo lasciato Juniper. Sono in grado di dirlo.» Lui accarezzò la guancia di Cassie e la sua voce si fece vellutata. «Ti voglio bene, bambina. Ti riporterò presto a casa. Sei contenta? Non vuoi parlarmi? No? Va bene. Magari più tardi.» Si schiarì la gola e alzò lo sguardo su Melissa. «Ma è riuscita a farla parlare?» «Come le è venuta quest'idea? No, non siamo arrivate a questo punto.» «Danley ha detto che gridava il suo nome.» Sbarrò gli occhi. «Lei? Ha detto veramente il mio nome?» «L'ha urlato.» «Sia ringraziato il cielo.» Sentì gli occhi riempirsi di lacrime. «Allora forse non dovrei essere così arrabbiata con Travis. Ci sarebbero volute settimane, per arrivare a questo punto, se Cassie non fosse stata spaventata.» Poi, deliberatamente, aggiunse: «E forse non dovrebbe esserlo neanche lei». «Ci penserò... più tardi.» Adesso che l'aveva ammonito, non avrebbe sconvolto la sua Cassie. Ma questo non significava che si sarebbe ammorbidito. Era difficile capire Andreas. Si rendeva conto della quantità di correnti sotterranee presenti sia in lui sia nella situazione. Ebbene: se avesse dovuto farsi strada tra di esse avrebbe fatto meglio a incominciare sin da ora. Stava succedendo più di quanto Andreas aveva detto. Una cosa buttata lì a caso aveva come acceso un razzo illuminante. Concentrati su questo prima. Perché si stavano recando a Vasaro? Dall'elicottero di Travis la limousine e le macchine ufficiali assomigliavano a un serpente gigantesco, che si snodava verso l'autostrada in direzione di Vasaro. Galen fischiò. «Andreas ha condotto con sé una potenza di fuoco sufficiente per un battaglione.» «Non lascerà che gli portino via Cassie un'altra volta.» Lo sguardo di Travis si spostò sulla barca nel porto, che aveva tirato su l'ancora e stava incominciando a muoversi. «Ecco Deschamps. Starà digrignando i denti, per non essere piombato nel cottage e aver portato via la statua quando
ancora ne aveva la possibilità.» Gli mostrò il dito medio. «Va' a farti fottere, bastardo.» «Pronto?» Travis annuì. Il Cavallo Alato stava sul pavimento ai suoi piedi. Non l'aveva volutamente messo in una scatola. Quando erano corsi sulla spiaggia per salire sull'elicottero, il sole aveva scintillato sulla statua dorata come una luce in un faro. Deschamps doveva averla vista per forza. «Andiamocene da qui.» Al primo sguardo, Vasaro lasciò Melissa senza fiato. Ondulate colline coperte di fiori e, cielo, quei profumi... Adesso capiva perché Andreas aveva tirato giù il finestrino. La deliziosa fragranza dei fiori di lavanda bastava a far venire le vertigini. «È magnifico», sussurrò. Andreas annuì. «È sempre piaciuto molto a Cassie, qui. Speravo che potesse accendere una scintilla.» «È testarda.» La limousine stava percorrendo la strada verso la grande casa in pietra, che non aveva niente di grandioso in sé. Assomigliava a quello che era, una bella, spaziosa fattoria, circondata da fabbricati annessi ben tenuti, ma Melissa non vedeva braccianti in giro. «Il signor Danley ha mandato via dalla proprietà tutti i dipendenti?» «Caitlin Vasaro si sarebbe offesa parecchio se l'avessimo fatto. I suoi dipendenti fanno parte della famiglia. Gli abbiamo trovato occupazioni temporanee nella zona.» La limousine si era fermata davanti alla porta d'ingresso. «La sicurezza di questa casa sarà superiore a quella di Fort Knox. Non succederà più niente, a Cassie.» «Deschamps è ancora là fuori. Non sarebbe più sicuro mandarla a Washington?» «Non c'è ragione che Deschamps prenda di mira mia figlia. Non ho più il Cavallo Alato.» Scese dalla limousine e Melissa lo seguì. «La porto di sopra, in camera sua. È la seconda in cima alle scale. Scelga una stanza di suo gradimento.» Si girò a guardarla. «È libera di andare dove vuole, in casa. L'esterno è off limits. Non si spinga oltre la veranda o verrà fermata.» Annuì, lo sguardo perso oltre le colline. Riuscì quasi a distinguere una decina di uomini che si stavano sparpagliando, circondando la fattoria e i fabbricati circostanti. «Se ha bisogno di me, mi chiami. Cassie è abituata alla mia presenza, adesso.» «Non avrà bisogno di lei. Ho assunto un'infermiera e un medico. E reste-
rò con lei il più possibile.» Fece una pausa. «Chissà. Forse si deciderà a parlarmi.» «Spero che lo faccia.» Studiò la sua espressione. «Sembra che dica per davvero.» «So che non mi crederà, ma le voglio bene.» S'interruppe. «Preparo subito qualcosa da mangiare e glielo porto di sopra. Né io né Cassie abbiamo mangiato oggi. Quindi, se vuole che uno dei suoi uomini della CIA veda che cosa metto nel cibo è meglio che lo mandi da me. Dov'è la cucina?» «In fondo al corridoio, a sinistra.» Cominciò a salire le scale. «E credo che mi fiderò di lei. Non le ha ancora fatto niente di male.» L'immensa cucina di campagna era ben fornita, e Melissa trovò zuppa in scatola e ortaggi per un'insalata. Mangiò un boccone, poi portò di sopra il vassoio per Cassie e Andreas. Un'ora dopo era all'acquaio a lavare i piatti, lo sguardo di nuovo fisso sulle colline che si stagliavano fuori dalla finestra. Doveva proprio essere meraviglioso vivere qui, e avere la possibilità di ammirare tutti quei fiori. Un posto così bello... D'un tratto, fu pervasa da un brivido. Un posto così morto. Melissa era sulla soglia della camera di Cassie. «Posso parlarle in corridoio?» «Non adesso», rispose Andreas. «Adesso. Non voglio parlare davanti alla bambina, ma lo farò, se lei mi costringe.» Guardò la sua faccia, poi Cassie. «Cinque minuti.» Si alzò e la seguì fuori dalla stanza. «È pallida come un fantasma. Qual è il problema?» «Me lo dica lei. Accadrà qualcosa qui. Voglio sapere cosa.» «Non so di che cosa stia parlando.» «Eccome se lo sa.» Aveva le mani strette a pugno lungo i fianchi. «Succederà qualcosa, e lei ne è al corrente.» «Perché dice questo?» «Perché è vero. Lo nega?» «Ha una fantasia sbrigliata. Lei e Cassie siete perfettamente al sicuro.» Sapeva che era vero. «Si tratta di Travis.» Lui si girò, per rientrare nella stanza. Lo afferrò per il braccio. «Che cosa gli accadrà?» «Quello che si merita.» Entrò nella camera di Cassie e chiuse la porta.
Maledetto. Crollò contro il muro. Dio, quell'uomo era duro e senza cuore. Non le avrebbe detto niente. Avrebbe semplicemente lasciato che accadesse... Ebbene, lei non l'avrebbe permesso. Ma non poteva impedirlo standosene lì a compiangersi. Si raddrizzò e percorse a lunghi passi il corridoio, fino alla camera da letto che aveva scelto per sé. Afferrò una coperta all'uncinetto e se la buttò sulle spalle. Aveva freddo. Si raggomitolò sul davanzale della finestra e guardò fuori, verso le colline. Un posto così morto. Il pensiero le era venuto all'improvviso, e con esso una visione di Travis che cadeva, sangue che gli sgorgava dal petto. I suoi occhi erano diventati vitrei, mentre la vita lo abbandonava. Sarebbe morto. Come era morta Jessica, e quell'uomo gentile all'università. Non era riuscita a impedirlo. E non avrebbe potuto impedirlo nemmeno ora. «Non ci hai provato veramente», aveva detto Travis. È più facile chiamarlo destino. Travis che cadeva, e moriva. «No!» Bloccò l'immagine. Codarda. Forse qualcosa, lì, poteva aiutarla a mettere insieme i pezzi. Si sforzò di chiudere gli occhi e richiamare la visione. Travis che cadeva... Dov'era? Travis che cadeva... Era all'interno di un edificio o di un capannone, e c'era una vecchia lanterna con uno schermo d'ottone, sul palo accanto a lui. Vide un tavolo alle sue spalle, con strani contenitori, e in un angolo un luccichio d'oro. Il Cavallo Alato. Il terrore la gelò. Una pozza di sangue e occhi smeraldo che guardavano... No, quella era Jessica. Non doveva succedere la stessa cosa. Poteva impedirlo. Ma come avrebbe fatto, se non riusciva a contenere il panico che le bloccava la mente? Avrebbe voluto gridare per la frustrazione. Non è giusto. Se mi concedi di vedere qualcosa, concedimi anche il modo di impedirlo. Travis che cadeva, moriva. E va bene, al diavolo, non importa. Lo scoprirò lo stesso.
ore 16.30 «Non può entrare lì.» Quando Melissa cercò di entrare nello studio Danley le bloccò il passaggio. «Il presidente è occupato.» «Devo vederlo. E a meno che non stia ordinando un altro attacco all'Irak, mi riceverà adesso.» «Ha detto che non voleva essere disturbato.» «Adesso.» «Posso farla trascinare via da...» «Va bene, Danley.» La porta si era aperta e Andreas era lì. «Evidentemente, la signorina non conosce il significato della parola no.» Si fece da parte. «Entri, signorina Riley. Posso concederle qualche minuto.» Poi, sarcasticamente, aggiunse: «L'Irak non mi sta causando problemi immediati. Ma farebbe bene a ricordare che ne ho ben altri, di problemi». «Come potrei dimenticarlo?» Si girò verso di lui. «Dove dovrebbe incontrare Travis, stanotte?» «Scusi?» «Non faccia giochetti con me. Avrebbe riportato Cassie subito a casa, se non avesse avuto una buona ragione per restare. Così mi sono chiesta quale poteva essere questa ragione.» La guardò in viso. «E la risposta?» «Il Cavallo Alato, o Deschamps.» S'interruppe. «O tutti e due.» «Potrebbe anche non trattarsi di affari personali.» «Ma sono affari personali che l'hanno condotta qui.» «E ho ottenuto quel che volevo.» «Non completamente. Non potrà mai essere sicuro fino in fondo per Cassie, se non scoverà Deschamps.» Trasse un profondo sospiro. «Ed è questo che le ha promesso Travis, non è vero? Quando le ha telefonato prima di salire sull'elicottero, le ha detto di andare a Vasaro, e che l'avrebbe incontrata lì e le avrebbe restituito la statua in cambio dell'immunità. Ma quella telefonata era una finzione a beneficio di Deschamps. Travis l'aveva già chiamata, non è così? Le aveva chiesto di aderire al suo piano e che avrebbe fatto fuori Deschamps per lei. Allora avrebbe avuto tutto quel che voleva.» «È così? Questa è solo una supposizione.» «Ma è la verità, no? Ha scelto Vasaro perché lui e Deschamps si sarebbero sentiti più a loro agio a inseguire il Cavallo Alato qui. Deschamps
aveva avuto modo di esaminare il luogo prima del tentato rapimento. Che male può farle essere sincero con me?» Rimase silenzioso per un momento, poi lentamente annuì. «Travis mi ha chiamato dopo il vostro incontro con Deschamps a St. Ives, e mi ha detto di venire a Cannes. Mi avrebbe contattato in seguito via e-mail.» «Dove dovrebbe incontrarla Travis?» Scosse la testa. «Nessuna interferenza.» «Non lo incontrerà, vero?» «Non dovrei. Era una trappola per Deschamps. Travis ha promesso che avrebbe lasciato il Cavallo Alato dopo essersi liberato di Deschamps per me.» «Lasciato dove?» Andreas sorrise. «È ostinata.» «Lascerà scappare Travis, dopo che avrà ucciso Deschamps?» «Non ne abbiamo discusso. Credo sappia che sarà libero, dopo che avrò riavuto quel che mi appartiene. È un uomo intelligente. Potrebbe riuscire a cavarsela.» «Ma lei interverrà dopo che avrà lasciato Vasaro.» «Naturalmente dovrò disporre di abbastanza sicurezza per accertarmi che Deschamps non riesca a fuggire, qualora uccidesse Travis.» Travis che cadeva, moriva... La visione la riempì di panico. Sta' calma. «Ma non intende trovarsi nei dintorni, qualora Travis abbia bisogno di aiuto.» Si inumidì le labbra. «Ha un vero esercito a disposizione, qui in casa. Potrebbe mandare qualcuno a controllare che Deschamps non faccia del male a Travis.» «Ma questo potrebbe metterlo sull'avviso e spingerlo a filarsela.» «Riavrebbe comunque la sua statua.» Sorrise. «Voglio tutto.» Era proprio quello che aveva temuto. «Vuole che Travis venga ucciso. Lo considera un affare personale, e non vuole ordinare a Danley o a uno dei suoi uomini di farlo fuori. Perché questo comprometterebbe la sua etica di presidente. Ma, in fondo, spera che muoia.» Il suo sorriso svanì. «Ha preso mia figlia. Ha messo in pericolo la sua vita. Per giorni Cassie è stata esposta non solo a Deschamps, ma anche a ogni altro folle che potesse nutrire un qualunque rancore verso di me. Ha fatto passare l'inferno a mia moglie. Avrebbe potuto perdere il bambino che aspetta. Credo che sarebbe fatta giustizia, se Deschamps e Travis si uccidessero a vicenda. È tutto? Devo rimettermi al lavoro.»
Era un'impresa disperata, ma doveva tentare. «La prego, mandi Danley o qualcun altro a salvarlo.» «Che si salvi da solo. Può darsi che sia fortunato.» «Morirà.» «Buona giornata, signorina Riley.» Trasse un profondo sospiro. «Mi dica almeno dov'è, perché possa andare ad aiutarlo io.» «Nessuna interferenza.» «Non mi neghi anche questo. Non sto chiedendo molto.» Si prese la fronte tra le mani. «Accadrà stanotte, perché mi ha detto che mi avrebbe trattenuta soltanto per quarantott'ore. Non lo farebbe stare troppo vicino a Cassie, così deve essere là fuori, allo scoperto. Si trova in una specie di casa, non è vero?» Inarcò un sopracciglio. «Buona supposizione. Ha una preferenza per animali, vegetali o minerali?» «Lo troverò da sola.» «È sotto la mia custodia. Se lascia quest'area le spareranno.» «Non credo. Lei è un uomo d'onore, e sa che ho aiutato Cassie. Solo se mi ucciderà riuscirà a fermarmi.» Storse le labbra. «Ma magari, anche questa volta la fortuna sarà dalla sua, e sarà Deschamps a prendersi cura anche di me.» «Vasaro è una grande proprietà. Non troverà mai Travis.» «Non è detto. Dica semplicemente a Danley di non usarmi come tiro al bersaglio. Potrebbe farmi dare una pistola?» «Sta superando ogni limite.» «Devo.» Cercò di cancellare la disperazione dal tono della sua voce, ma non ci riuscì. «Travis non merita questo. Sì, ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, ma è un brav'uomo. Sta commettendo un errore.» Scosse la testa. «E lo rimpiangerà.» «Nella mia posizione, sono spesso costretto a prendere decisioni di cui poi mi pento.» «Ma non è detto che debba andare così anche questa volta. Ha salvato Cassie. Questo non ha alcun peso per lei?» Non riusciva a intenerirlo, si rese conto disperata. «Cassie pensa a Travis come a un amico. Crede che sarà capace di dirle quello che gli ha fatto?» Non rispose in maniera diretta. «È chiaro che gli è affezionata, ma farebbe bene a ripensarci. Non desidero che ci vada di mezzo lei. Se ne tenga
fuori, signorina Riley.» «Non ci penso proprio.» Si girò e passò accanto a Danley, lungo il corridoio. Doveva smettere di tremare. Dopotutto, non aveva nutrito grandi speranze sul fatto di poter persuadere Andreas ad aiutarla. Se fosse stata in pericolo sua figlia, probabilmente avrebbe provato altrettanto rancore. Stava mentendo a se stessa. Aveva sperato in un miracolo. Ebbene, il miracolo non era avvenuto e lei era sola. Spalancò la porta della biblioteca. Non poteva mettersi a girare per Vasaro, cercando alla cieca. Doveva esserci una piantina della tenuta, con segnati tutti i fabbricati annessi. Doveva solo trovarla. Dio, ti prego, aiutami a trovarla. Le occorsero tre ore, prima di trovarla. Non era su nessuno scaffale, ma infilata in un libro mastro, in uno degli ultimi cassetti della scrivania. La spiegò velocemente sul ripiano. Sembrava abbastanza recente, per cui dovevano esserci segnati tutti gli attuali fabbricati. Merda. C'erano altri sette edifici, oltre a quelli che circondavano la fattoria, ed erano disseminati su tutta la proprietà. Dovevano essere a chilometri di distanza. Le probabilità che riuscisse a scoprire il posto giusto erano praticamente nulle. Guardò verso la finestra. Il sole stava tramontando. Presto avrebbe fatto buio, ed era allora che sarebbe successo. Maledizione: non sapeva neanche quanto tempo le restava. Si lasciò cadere nella poltrona della scrivania e si coprì gli occhi. 24 ore 20.15 Travis guardò l'orologio. «Quasi ora di andare.» Lanciò un'occhiata all'elicottero parcheggiato vicino all'hangar del piccolo aeroporto. «Abbastanza carburante per condurci lì, e poi a Nizza?» Galen lo fissò, sorpreso. «Certo.» «Volevo solo essere sicuro.» «Da quando c'è bisogno di verificare quello che faccio? Sei un po' nervoso?» «Già.»
«È abbastanza naturale. Questo non è il tipo di faccenda di cui ti occupi di solito. Dovresti lasciarmi andare da solo.» S'interruppe. «Pensi che sia già lì ad aspettarci?» «Sono convinto che è andato dritto a Vasaro. È quello che farei io. Andrei a Vasaro prima che arrivi Andreas con le truppe, mi trincererei e aspetterei. Nessuna possibilità di imbattersi in qualcuno che va o viene dalla fattoria. È abbastanza intelligente da immaginare che Andreas sigillerà il perimetro per prendermi.» «Allora come se la svignerà? Non lascerà una macchina o un elicottero in attesa nei campi.» «Potrebbe rubare il mio mezzo di trasporto dopo avermi ucciso.» Sorrise. «O magari pensa di andarsene da lì sulle ali del Cavallo Alato, dopo averlo rubato naturalmente.» «Dov'è la statua?» «L'ho riposta nell'armadio della camera sul retro.» Aprì la porta. «Vuoi andare a prenderla? Io vado a mettere in moto l'elicottero.» «Bene.» Galen si recò nella stanza sul retro e aprì la portina dell'armadio. Nessun bagliore dorato nel buio. Accese la luce e controllò sul ripiano superiore. Nessuna statua. «Maledetto figlio di puttana.» Corse fuori dall'ufficio, ma l'elicottero si stava già alzando. «Che cosa diavolo stai facendo, stronzo?» gridò. «Hai bisogno di me.» Travis gli fece un cenno di saluto con la mano. Galen era ancora in piedi sulla pista con il naso per aria, quando Travis virò a sud verso Vasaro. Gesù, quanto era incazzato. Ma lui non poteva farci niente. Galen non aveva nessuna posta in gioco che giustificasse il rischio di quell'operazione. Anche se eliminare Deschamps fosse risultato più facile di quanto si aspettava Travis, Andreas l'avrebbe beccato, appena gliene si fosse presentata l'occasione. Travis doveva fare in modo che non accadesse. Doveva liberarsi di Deschamps, decollare per Nizza e sperare che Andreas non disponesse di un'arma letale per tirare giù l'elicottero. Se si fosse mosso in fretta, aveva qualche probabilità di farcela. Andreas ci sarebbe andato cauto, se avesse pensato che Travis aveva a bordo il Cavallo Alato. Gettò uno sguardo alla statua, sul pavimento in fondo all'elicottero. Sembrava che lo fissasse. La luce del sole al tramonto faceva brillare gli occhi smeraldo di vita propria. In quel momento Travis capì perché la gen-
te credeva che la statua avesse poteri soprannaturali. Gli sorrise. «Affila i denti, amico. Si parte per la caccia.» Cassie! Melissa alzò lentamente la testa dalla scrivania. Non aveva idea dell'edificio in cui sarebbe stato Travis, ma Cassie avrebbe potuto aiutarla. La bambina aveva trascorso lì tutte le sue estati. Aveva aiutato a raccogliere i fiori. Probabilmente aveva corso all'impazzata per tutta la fattoria. Era possibile... Fa' che sia possibile. Ti prego, fa' che sia possibile. Chiuse gli occhi. Cassie. La bambina non la lasciava entrare. Le occorsero diversi, preziosi minuti per abbattere le sue difese. «Cassie, ho bisogno di te.» «Dovrei essere arrabbiata. Dove sei stata? Non sei mai venuta in tutto il giorno.» «C'era tuo padre.» «È appena tornato. Prima c'era solo questa... infermiera.» «È molto gentile.» Non aveva tempo per parlare di questo, ora. «Cassie, ho bisogno del tuo aiuto. Devi trovarmi un posto.» «Non avresti dovuto lasciarmi. Mi sono sentita sola.» «Cassie.» Silenzio. «Hai paura. Hai paura dei mostri.» «Sì.» Oh, sì. Paura. «Vengono qui?» «No, devo andare io là.» «Per via di Michael.» «È in una casa o in un capannone. Ma non so dove. Devo scoprirlo. C'è una lanterna con uno schermo di ottone, e su un tavolo ci sono dei contenitori.» «Che genere di contenitori?» «Hanno una forma strana.» «Fammeli vedere.» Concentrati sul tavolo. Non farle vedere che Travis sta morendo. «È il capannone per la raccolta, in fondo al campo sud.» Il suo cuore sobbalzò. «Ne sei sicura, piccola?» «Certo che sono sicura. Ce n'è uno solo come quello. Caitlin mi ha detto
che è lì da quando esiste Vasaro. C'è stato un incendio, ma non è bruciato, e lei...» «Grazie. Grazie. Grazie, Cassie.» Afferrò la piantina e localizzò il capannone nel campo sud. Maledizione, almeno quattro miglia. «C'è una scorciatoia. Taglia attraverso il boschetto lungo la strada e poi risali la collina.» «Quanto tempo ci vuole?» «Non lo so. Un po'.» Non poteva aspettarsi che la bambina fosse più precisa. Sperava solo che il suo ricordo fosse esatto. Indignazione. «C'è anche una scorciatoia.» «Scusa.» Balzò in piedi. «Devo andare. Ciao, Cassie.» Improvviso panico. «Non voglio che tu vada. Resta. I mostri ti raggiungeranno.» Doveva soffocare la paura. Cassie vedeva troppo in questi giorni, e non doveva spaventarla. «Andrà tutto bene. Ce la caveremo.» «Torna indietro...» Ma Melissa era già nel corridoio. Corse fuori dalla porta d'ingresso. Gli uomini di guardia non la fermarono, ignorandola come se non ci fosse. Era quasi buio. Continuò a correre lungo la strada, verso il bosco. Danley bussò alla porta di Cassie e l'aprì. «La ragazza se n'è andata, signor presidente. Qualche minuto fa.» Andreas si alzò in piedi e uscì in corridoio. «Quale direzione?» «Verso il bosco.» «Nessuno glielo ha impedito?» «Ci aveva dato ordini precisi.» Strinse le labbra. «Anche se devo dirle che disapprovo l'intera situazione.» «Lo so. A lei piace che sia tutto ordinato, e qui è tutto fuori controllo. Non si preoccupi, la possibilità che Melissa Riley trovi il capannone è molto esigua. E anche se lo trovasse, dovrebbe essere già tutto finito per allora.» «Non basta. Avrebbe dovuto permetterci di andare a catturare quei bastardi.» «Se ne tenga fuori. Il suo compito è di assicurarsi che mia figlia sia al sicuro. Punto.» «E la ragazza?»
«L'ho avvertita. È da sola.» Andreas si girò e aprì la porta. «Mi avverta quando sa qualcosa.» Sedette di nuovo nella poltrona, accanto al letto di Cassie e le prese la mano. Al diavolo Melissa Riley. Sarebbe stata fortunata se non l'ammazzavano. Perché non si era rassegnata a salvarsi la pelle, invece di preoccuparsi di Michael Travis? Era emotiva e irragionevole, e convinta che si potesse far girare il mondo in un altro modo, se solo lo si voleva veramente. Era molto simile alla sua Chelsea. Il pensiero affiorò nella sua testa all'improvviso. Sapeva che sua moglie avrebbe fatto esattamente quello che stava facendo Melissa, se si fosse trovata nelle stesse circostanze. Aveva avuto il suo bel daffare a cercare di impedirle di volare lì, da quando le aveva detto che avevano una speranza di far tornare indietro Cassie. Avrebbe... Cassie gli stava stringendo la mano. Rimase impietrito. Posò lo sguardo sul suo viso. «Cassie?» Aveva gli occhi chiusi e il corpo rigido, arcuato come se stesse soffrendo. La sua stretta stava aumentando, al punto da divenire una morsa. «Cassie, parlami», disse esitante. «Lascia che ti aiuti. Ti prego.» Melissa attraversò di corsa il boschetto e cominciò a salire la collina. Più veloce. Più veloce. Scivolò e si raddrizzò, prima di cadere. Udì qualcosa. Il rombo di un motore. Un elicottero? Travis? Non voleva neanche pensarci. Stava scendendo dall'altra parte. Cielo, sperava che stesse andando nella direzione giusta. E se Cassie non avesse ricordato bene? Era solo una bambina. Forse c'era più di un capannone per la raccolta, che era sopravvissuto a quegli anni. Niente ripensamenti. Era troppo tardi ormai. Il ronzio dell'elicottero cessò. Un'altra collina. Chissà se il capannone era sull'altro lato... Le facevano male i polmoni e il respiro le usciva a rantoli. Proseguì. Incespicò. Era buio pesto adesso, ed era difficile distinguere la superficie del terreno davanti a lei. Raggiunse la cima della collina. Niente. Un altro avvallamento, e un'altra collina.
Coraggio. Non rinunciare. Ma sbrigati. Doveva sbrigarsi. Travis che cadeva, moriva... Cassie gridò. Andreas sussultò. Un altro incubo? Scattò a sedere sul letto. «Michael!» Per la prima volta, Andreas notò che aveva gli occhi aperti. «Oh, mio Dio.» La prese tra le braccia, lacrime che gli rigavano le guance. «Tesoro, sei tornata da noi. Sono così...» «Michael.» Le sue braccia si strinsero attorno ad Andreas. «Papà, i mostri. Sangue. Stanno per uccidere Michael.» «Sss.» Andreas le diede un bacio in fronte e la cullò. «Andrà tutto bene. Va tutto bene adesso.» «No.» Stava singhiozzando. «È come prima. I mostri... e tu non eri qui.» «Sono qui adesso.» «Sta succedendo di nuovo.» «No, sei al sicuro. Siamo tutti al sicuro.» «No, non è vero.» Sbarrò gli occhi, terrorizzata. «Michael!» Travis era atterrato. Deschamps si nascose maggiormente nei cespugli vicino al capannone, lo sguardo sull'elicottero, a qualche metro di distanza da lui. L'ansia di entrare in azione lo divorava. Era trascorso troppo tempo. Scendi. Fammelo vedere. Fammi vedere ciò che è mio. Ma non c'era luna, quella notte, e nell'oscurità stentava a distinguere l'indistinta figura di Travis ai comandi. Perché non scendeva? Poi si rese conto che lui si stava comportando in maniera cauta. Sarebbe stato vulnerabile, una volta sceso dall'elicottero; ecco perché Deschamps stava aspettando che lo sportello si aprisse. Forse Travis percepiva che qualcosa non andava. Avrebbe dovuto rimanere immobile finché l'uomo non si fosse sentito sicuro. I minuti passarono. Perché quel bastardo non si muoveva? Si avvicinò ancora, e poi ancora. Aveva quasi raggiunto il velivolo, quando si fermò di colpo. La figura che aveva creduto di vedere non era Travis. Era una giacca avvolta attorno a un manichino. Lo sportello pas-
seggeri era aperto. Travis era fuori! «Merda.» Deschamps si tuffò a terra. Poteva essere dovunque. Una luce tremolante scintillò all'improvviso dal capannone. La porta era aperta... Anche Melissa vide la luce nel capannone, mentre raggiungeva la sommità della collina. La sagoma dell'elicottero era vicina. Stava già succedendo. Singhiozzava, precipitandosi giù dal pendio. Aspettami. Fa' che non sia arrivata fin qui senza poter essere di alcun aiuto. La porta era aperta. Deschamps avrebbe potuto essere già dentro. Che vada a farsi fottere. Se avesse tardato anche solo di un momento, per Travis avrebbe potuto essere la fine. Era sulla soglia, lo sguardo che cercava freneticamente Travis tra le ombre. Per primo vide Deschamps in fondo alla stanza. Si stava muovendo. Si avvicinava furtivamente, fissando qualcosa nell'oscurità. Travis? No. Travis stava rotolando da sotto il tavolo, la pistola in pugno, alzandosi silenziosamente in piedi. La sua concentrazione era fissa su Deschamps, che gli teneva la schiena girata. Trattenne il fiato. Fallo. Sparagli. Non dargli il tempo di voltarsi. No! Travis stava girando la testa. Non si era mossa, ma lui doveva averla vista con la coda dell'occhio. La riconobbe e sbarrò gli occhi. Ora anche Deschamps si stava girando! I successivi pochi secondi sembrarono passare al rallentatore, mentre Melissa copriva la breve distanza che la separava da lui. Si lanciò su Travis, le braccia che lo stringevano per la vita mentre lo buttava a terra. Troppo tardi. Lo udì emettere un gemito e sentì il suo corpo sussultare mentre i proiettili lo colpivano. Aveva fallito. Deschamps l'aveva ucciso. Toccarono terra. Il legno si scheggiò, vicino alla sua guancia, mentre Deschamps sparava di nuovo e colpiva la lanterna sul palo. La lanterna cadde e la candela si spense. Buio. La rivoltella di Travis era accanto a lui. La afferrò e rotolò sotto il tavo-
lo. Rovesciò una sedia e se ne servì come scudo. «Non puoi cavartela», gridò Deschamps. «Ho ucciso Travis. Chi ti proteggerà adesso?» I suoi occhi si riempirono di lacrime, mentre guardava Travis, dall'altra parte del tavolo. «Hai paura, non è vero? Potrei lasciarti andare se ti arrendessi.» «Va' a farti fottere!» Come poteva riuscire a sparargli, in quel buio pesto? «Non riuscirai a fermarmi. Lo sai da quanto tempo aspetto di mettere le mani su questa statua?» Un altro colpo. Un dolore caldo e pungente, mentre il proiettile rimbalzava dalla sedia e la colpiva di striscio al braccio sinistro. «Arrenditi. Sei disarmata, altrimenti avresti già sparato. Cominciò a diventare impaziente. Non ci vorrà molto, prima che arrivi Andreas.» «Non verrà. Non ha mai pensato di farlo. Era tutto un trucco. Hai fatto la figura dello stupido, non credi?» «Stai mentendo. Ho controllato l'area per miglia, qui attorno. Solo la casa principale è sorvegliata.» «Non sto mentendo. Era un tranello. Anche se mi uccidi, Andreas ti troverà prima che ti allontani di dieci miglia da Vasaro.» Un proiettile le sibilò accanto all'orecchio. Stava puntando al suono della sua voce, come lei stava cercando di stabilire dove si trovasse lui. «Perché sprecare tempo? Vattene da qui, e in fretta.» «Non vedo la necessità di farlo. Prenderò l'elicottero con cui è arrivato Travis... dopo essermi impossessato del Cavallo Alato, naturalmente.» Il Cavallo Alato. Riusciva a scorgere il luccichio dell'oro sul tavolo sopra di lei. L'avrebbe attirato abbastanza vicino da potergli sparare? O uno dei suoi proiettili avrebbe colpito prima lei? Un altro colpo. Ravvicinato. Ansimò, poi emise un basso grido soffocato. Deschamps grugnì di soddisfazione. «Bene. Non mi intralcerai più.» Silenzio. «Ti ha colpita? Ho colpito tua sorella prima di fuggire. Ho visto sgorgare il sangue prima di scappare.» Si interruppe e rimase in ascolto. La stava provocando, sperando che, se per caso il proiettile non l'aveva colpita, sarebbe uscita allo scoperto. «Speravo di poter uccidere Travis con calma. Ammetto che sono deluso. Volevo vederlo soffrire. Non ho più provato tanto odio per nessuno da quando ho ammazzato il mio affascinante patrigno.»
Bastardo. «L'hai visto sanguinare, quando i proiettili l'hanno colpito? Ci sono leggende sul Cavallo Alato. Sembra che gli piaccia il sangue. Guerre... ghigliottina... Credi che ci sia qualcosa di vero in quei racconti?» Non rispose. Su, forza, figlio di puttana. Fatti vedere, pensò. «Non avresti dovuto immischiarti. Non sei abbastanza intelligente. È stato facilissimo imbrogliarti a St. Ives.» Si stava muovendo. Sì! Lo sentiva, dall'altra parte della stanza. Avvicinati. Guarda la statua. Vieni a prenderla. Stava venendo verso di lei. Molto cautamente, ma stava venendo. La sua mano strinse la pistola. Un altro colpo. Un dolore acuto le esplose nella parte superiore della coscia. Non gridare. Non muoverti. Lui doveva essere convinto che non rappresentasse una minaccia. «Ho sentito che il proiettile ha fatto centro. Non c'è niente che assomigli a quel rumore sordo. O sei spartana, oppure sei svenuta o morta. Chissà quale delle tre cose. Lo appurerò non appena mi sarò impadronito del Cavallo Alato.» Era più vicino, anche se non abbastanza. Non poteva muoversi in fretta come avrebbe voluto e avrebbe avuto un'unica chance. «Mio Dio, che meraviglia! Vedo quegli occhi fissarmi nel buio. Bastano a far credere a un uomo tutte quelle storie.» Un'ondata di terrore la pervase quando una luce improvvisa illuminò la stanza. Aveva riacceso la lanterna. Cristo, era solo a pochi passi da lei! Si irrigidì e trattenne il fiato. La sua mano strinse la pistola seminascosta sotto il suo corpo. Ma lui le lanciò soltanto un'occhiata, l'attenzione concentrata sulla statua. «Alessandro, Carlomagno, i Borgia», mormorava mentre prendeva la statua tra le braccia. E Edward Deschamps. Ha uno splendido suono, non è vero... Merda!» Tenne stretta la statua, ma stava cadendo a terra. «Cosa diavolo...» Travis aveva le braccia strette attorno alle caviglie di Deschamps e stava cercando di farlo cadere. C'era sangue dappertutto. Il sangue di Travis. Su Travis, su Deschamps. Ma Travis era ancora vivo! Deschamps si riprese immediatamente. La sua pistola oscillò, mentre la puntava contro Travis.
«No!» La trentotto esplose in mano a Melissa. Un colpo. Due. Tre. Deschamps sussultava a ogni proiettile che entrava nel suo corpo. Il sangue cominciò a sgorgare dalle ferite allo stomaco. Abbassò lo sguardo, incredulo. Melissa fece di nuovo fuoco e lui lasciò cadere la pistola. «Sgualdrina.» Lacrime gli scorrevano sul volto. Stringeva il Cavallo Alato con mani insanguinate, strisciando verso la porta. «Non importa. Non vincerai lo stesso. L'ho preso. È tutto quel che conta. L'ho preso...» Avrebbe ancora potuto raggiungere l'elicottero e andarsene. Melissa non sapeva neanche come facesse a muoversi. Sì, lo sapeva. Era ossessionato, e Jessica le aveva detto che a volte i pazzi sembrano attingere la loro forza e resistenza a fonti sovrumane. Jessica. Non gli avrebbe permesso di raggiungere l'elicottero. Questa volta, puntò alla testa. 25 «Fa... male.» Travis aprì gli occhi mentre Melissa premeva una striscia di camicia sulla ferita, nella parte bassa della spalla. «Taci. Sei fortunato a essere vivo. Dov'è Galen?» «Non... non avevo bisogno di lui.» «Gli hai girato le spalle.» «Nessuno sapeva che era coinvolto in questa cosa. Andreas... non si accontenterà della... statua.» «Gli hai dato Deschamps.» «È morto?» «Sì, e sei stato tu. Mi senti?» Cercò di sorridere. «Strano, non mi ricordo. Stai cercando di fare di me un eroe?» «Sto cercando di salvarti la pelle. Non ho mai pensato che ci sarei riuscita. Ti ho visto morire, Travis. Ho visto le ferite al tuo petto, e sulla tua faccia... Stavi morendo.» «Ma ti sei buttata su di me e mi hai trascinato a terra. Il proiettile non mi ha colpito al petto.»
«Se non fossi stata qui, avresti potuto non essere colpito affatto.» «Oppure avrei potuto essere colpito a morte. Chi può dirlo?» Chiuse gli occhi. «Adesso, se non ti dispiace, credo che dormirò. Sono molto stanco.» «Purché tu non mi muoia addosso.» La sua voce era scossa. «Ho passato un sacco di guai per farti restare vivo.» «Non l'avrei... mai detto.» Perse conoscenza. Continua a premere sulla ferita. Si era fasciata la gamba alla bell'e meglio, prima di strisciare fino a lui. Come potevano trovare aiuto? Con molta probabilità Andreas non si sarebbe avvicinato. Voleva che Travis e Deschamps morissero entrambi. Galen. Frugò nella tasca di Travis, tirò fuori il cellulare e cominciò a comporre il numero. La porta si aprì. «Mani in alto!» Una mezza dozzina di uomini si riversò nella stanza. Funzionari. Sicuramente la CIA. Come l'irruzione del giorno prima al cottage. «Non alzerò le mani. Se tolgo la mano da questa ferita, morirà dissanguato. Dove diavolo è Danley? Fatemi parlare con lui.» «Dica a me. Danley è occupato a proteggere la zona.» Andreas entrò nella stanza. Abbassò lo sguardo su Deschamps. «È questo il nostro uomo?» «Sì, sono sicura che Danley le ha mostrato le foto.» «Ma è difficile dirlo, con mezza testa via.» «È Deschamps. Travis se n'è sbarazzato per lei. Quindi lo aiuti, adesso», aggiunse con ferocia. «È quello che intendo fare. Come sta?» «I proiettili gli hanno trapassato la spalla. Ha perso molto sangue, ma sopravviverà... se lei non complicherà le cose.» «Non lo farò. Ma si direbbe che anche lei ha bisogno di aiuto.» Fece cenno a uno degli uomini. «Paulding, faccia venire la squadra del pronto soccorso.» Poi si inginocchiò accanto a Melissa. «Mi lasci in pace. Sto bene.» «Lasci andare Travis. Non gli faremo alcun male.» «Come faccio a fidarmi?» «Cassie non lo permetterà.» «Cosa?» Sorrise. «Si è svegliata.»
«Oh, mio Dio!» «Altro non si può dire. Avrei potuto camminare sulle nuvole... È stato... magnifico. Anche se era quasi isterica e continuava a implorarmi di salvare Travis. Deve averci sentiti parlare di lui, ieri sera.» Certo, che aveva sentito. Ma non come intendeva Andreas. «Le avevo detto cosa provava per lui.» «Sì, me l'aveva detto.» Si alzò. «La riporteremo a casa, e le estrarremo il proiettile.» «Solo se porterà anche Travis con me.» «Non si fida di me?» Sorrise. «Ho promesso a Cassie che l'avrei ricondotto a casa. Solo così sono riuscito a calmarla. Pensa che voglia rispedirla lontano da me? Smuoverei il mondo intero per impedire che accada.» Melissa studiò la sua faccia e lentamente annuì. «Credo che lo farebbe.» «E adesso è meglio che ritorni da Cassie, per dirle che il suo eroe è salvo.» «E quando Cassie si sarà ristabilita? Travis sarà ancora al sicuro?» «Staremo a vedere, non le pare? Avrei tuttora voglia di torcergli il collo.» Si diresse alla porta. «Ci vediamo a casa.» Si fermò accanto al cadavere e si chinò per raccogliere il Cavallo Alato, che Deschamps stava ancora stringendo tra le mani. «C'è del sangue sopra.» «Deschamps ha detto che il Cavallo Alato ama il sangue.» «Ridicolo. Come può amare o non amare qualcosa?» Pulì via il sangue e sorrise agli occhi smeraldo. «Dopotutto, è soltanto una statua.» «Melissa. I mostri... Michael!» «Sss. Se ne sono andati. Michael è salvo. È ferito, ma è proprio qui accanto a me. Siamo in un furgone e stiamo per tornare a casa.» «È quello che ha detto papà.» «Credigli.» «Ma ho visto Michael...» «So che cosa hai visto. Ma non è successo. Non succederà se lotteremo.» «È spaventoso qui. Forse tornerò nel tunnel.» «Non osare farlo! Ti tirerei fuori di nuovo. E se Michael o papà o mamma avessero bisogno di te? Se avessi bisogno io? Non volevi che tuo padre andasse ad aiutare Michael, vero? Volevi farlo tu stessa.» «Sì.»
Sapeva che una bambina con una volontà forte come quella di Cassie avrebbe avuto quella reazione. «Anch'io avrei voluto. E come puoi fare qualcosa se rimani nascosta?» Silenzio. «Resterò per un po'. È bello... essere di nuovo con papà.» Che stesse incominciando ad aggrapparsi a suo padre era incoraggiante. E probabilmente Melissa non avrebbe potuto sperare di più. Jessica avrebbe saputo come trattare con la bambina, a questo stadio; Melissa procedeva solo per istinto. «Vengo a trovarti domattina.» «Adesso.» «Domani», ripeté con fermezza. «Ma voglio vederti. Ti ho vista solo come ti vedi tu.» E lei voleva vedere Cassie sveglia. «Va bene, ma può darsi che ci voglia un po'. Il dottore deve prendersi cura della mia gamba.» «Aspetterò. Verrà anche Michael?» Melissa guardò Travis, a cui era stata fatta un'iniezione dal dottore che era arrivato sulla scena, subito dopo che Andreas si era allontanato. «Forse andremo tutte e due a trovarlo domani. È ridotto piuttosto male, dopo la lotta con il mostro.» «Ma è vivo?» «Oh, sì che è vivo.» Grazie, Signore. Era una notte fatta per i ringraziamenti. Grazie per Travis. Grazie per Cassie. «Stiamo imboccando il viale d'accesso. Devo andare adesso. Ci vediamo più tardi.» «Sei venuta», esclamò Cassie. «Avevo detto a papà che saresti venuta. Lui ha risposto che il dottore ti avrebbe messa subito a letto.» «Ha cercato.» Melissa si spinse avanti con la sedia a rotelle. «E posso restare solo per pochi minuti.» «Ti fa male?» Cassie aggrottò la fronte. «Ti fa male. Lo sento.» «Passerà. Il dottore mi ha dato una medicina per assicurarsi che passi.» Si fermò accanto al letto e rimase lì a guardare Cassie. La bambina era magra, ma la fragilità era sparita, bandita dalla vitalità della sua espressione. «Stai... bene.» «E tu sei più carina di quel che credi di essere. Carina quasi quanto la mamma.» La sua voce s'incrinò sull'ultima parola, e fece una smorfia. «Sono rauca. Sembro una rana. Papà ha detto che è perché non sono più abituata a parlare.» «È possibile.» Non si stancava di guardarla. Così viva. Così meravigliosamente viva. Non aveva mai visto questa Cassie, se non nelle fotografie e
nei notiziari televisivi. «Dovrebbe migliorare in pochi giorni.» «Non mi importa. Fa ridere papà.» Sorrise. «E poi rido anch'io.» «È così che va.» «Dimenticavo.» Il suo sorriso svanì. «Hai ancora male. Va' a letto.» «Sì, signorina.» Si girò e si diresse alla porta. «Ci vediamo domattina.» «Presto. Vieni presto, Melissa.» «Smettila. Non mi devi più parlare così.» «È più facile.» «Non farlo comunque.» «Ma mi fa male la gola. Non vorrai che abbia male alla gola.» «Non fa così male. E la gente non capisce quando parli così. Preoccuperebbe mamma e papà.» «Bene, allora lo farò solo con te.» Era chiaro che Cassie avrebbe fatto a modo suo, incurante di quel che diceva Melissa. Accetta il compromesso. «Potrebbe essere un 'idea.» «Sei sicura che Michael stia bene?» Aprì la porta. «Il dottore ha detto che si rimetterà.» «Ero molto preoccupata. Ho tentato più e più volte, ma non sono riuscita a mettermi in contatto con lui. Se io sto fuori, deve stare fuori anche lui. Non è giusto altrimenti.» «Di cosa stai parlando?» «Diglielo. Non è giusto...» «Voglio andarmene da qui», disse Travis non appena Melissa entrò nella stanza il mattino dopo. «E che cosa ci fai in quella sedia a rotelle? Ti ha ferita Deschamps. Non ero sicuro che quel bastardo mentisse. Ma lo speravo tanto.» «Sta' tranquillo.» Si avvicinò al letto. «Sto bene. Devo solo restare su questa dannata sedia a rotelle per un po'. Cassie e suo padre verranno a trovarti, ma io volevo vederti prima.» Un luminoso sorriso le illuminava il volto. «Ieri sera è ritornata tra noi, Travis.» Si irrigidì. «Mio Dio.» «Quando ha pensato che tu stessi morendo si è ripresa dal trauma.» «Come sta?» «Spaventata, ansiosa... bella.» Deglutì. «Maledettamente bella. Sono andata a trovarla ieri notte e anche stamattina, e mi ha sorriso. Non avevo mai visto il suo sorriso.» «Neanch'io.»
Trasse un profondo sospiro. «Dobbiamo portarti via da qui. In questo momento Andreas è tutto zucchero e miele.» Fece una pausa. «Per quel che può esserlo. Ma quando sarà sicuro che Cassie si è ripresa, non so che reazione avrà. Trova un po' difficile perdonarti.» «È il meno che si possa dire! Non mi aspettavo tanto.» «Be', se ti porteremo via, non ti avrà più davanti agli occhi. Ha riavuto Cassie e il Cavallo Alato, e Deschamps è morto. Non può avere anche la tua pellaccia.» «No?» «Ho chiamato Galen. Verrà a prenderci entro la prossima mezz'ora.» Aggrottò la fronte. «Non voglio coinvolgere Galen.» «Nessuno deve sapere che è più di un pilota commerciale. Ci condurrà a Nizza, e da lì andremo a Juniper.» «Hai organizzato tutto.» «Qualcuno doveva farlo. Visto che ti sei fatto sparare e non eri in grado di alzare la testa, e tantomeno...» «Va bene. Va bene.» Si mise a ridere. «Ma quando Galen vedrà come siamo ridotti, incomincerà a rimbrottarmi per non averlo portato con me. Dirà che non sarebbe mai successo, se ci fosse stato lui.» «Forse non sarebbe successo.» Scosse la testa. «Non so più niente. L'unica cosa di cui sono certa è che devo portarti via da qui.» «E io sono certo di dover venire con te.» S'interruppe. «Dovunque. In qualsiasi momento.» S'irrigidì. «Cosa?» «Mi hai sentito. A volte le rivelazioni che si hanno quando si crede di essere in punto di morte possono essere straordinarie.» «Che ne diresti di limitarci a guardare dentro restando però all'esterno?» «Non ho detto che sarebbe stato facile.» Sorrise. «Ma credo valga la pena di provare.» Il suo sorriso svanì. «Che cosa ne pensi?» «C'è una probabilità su un milione che io pensi che ne valga la pena. Anche se sei molto...» «Michael, aspettavo di vederti.» Cassie piombò nella stanza. «Saresti dovuto venire con... Oh, sei conciato male. L'aveva detto Melissa, ma io...» «Sono un po' ammaccato.» Sorrise. «Ma tu sei fantastica. Bentornata, Cassie. Come ti senti?» Attraversò lentamente la stanza. «Non posso spingermi troppo lontano, o mi si piegano le gambe.» Si lasciò cadere sul letto. «Papà dice che è perché non le uso da molto tempo.»
«Probabilmente ha ragione.» «Sta per arrivare la mamma. Papà le ha detto di restare a Washington, ma lei era già sull'aereo, quando le ha parlato. Ha detto che aspettava da troppo tempo di vedermi.» Ridacchiò. «E papà ha risposto che sarebbe probabilmente stata la prima donna ad avere un bambino sull'Air Force Two.» «Si direbbe che vada tutto bene.» «Abbastanza. Ho ancora paura.» Il suo sorriso si fece più smagliante. «Ma c'è il Cavallo Alato. Mi proteggerà. Papà me l'ha portato ieri sera. Non è magnifico?» Melissa provò un brivido, al pensiero che Andreas avesse portato la statua da quella scena di morte direttamente a Cassie. No, pensò che non era poi così bizzarro. La famiglia Andreas e la statua avevano condiviso secoli di gioia e di morte. Se il Cavallo Alato poteva apportare a Cassie felicità e rafforzare la sua fiducia nella vita qui a Vasaro, perché non doveva averlo? «Sì, è magnifico, Cassie.» Il suo sorriso svanì. «Ma Melissa dice che state per andarvene entrambi, Michael. Non voglio.» «È meglio così. Ma ci saremo sempre per te, se avrai bisogno.» Aggrottò la fonte. «Promesso?» «Promesso.» Travis le strinse la mano. «Avvertimi, e arrivo di corsa.» «Per lo più la gente aspetta un invito formale», disse Andreas dalla porta. Travis si irrigidì. «Cassie ne ha appena rivolto uno. Ma se si prenderà cura di lei, non avrà motivo di lanciare un SOS, non è vero?» «Mi prenderò cura di lei.» Attraversò la stanza e prese in braccio Cassie. «Ho sentito che volete partire.» «Ci viene a prendere un pilota fra dieci minuti», si affrettò a dire Melissa. «So che sarà lieto di liberarsi di noi, adesso che sta per arrivare la signora Andreas.» «Ci sono molti modi per liberarmi di voi.» Baciò la guancia di Cassie. «Dove intendete andare?» «Juniper.» «Che sorpresa! Non è esattamente il posto che fa per Travis, no? Avrebbe bisogno di qualcosa di un po' più eccitante. Ed è molto vicino a Washington.» Strinse le labbra. «Forse un po' troppo vicino per i miei gusti.» «Probabilmente non resteremo lì», spiegò Melissa. «Ma ci sono alcune questioni private di cui dovrei occuparmi. Jessica. Provvederà lei al rila-
scio?» Annuì. «Sì, ci penserò io.» «Bene.» Incontrò il suo sguardo con un'audacia che non provava da tempo. «Allora è deciso.» Andreas non parlò per un momento, fissando Travis. «Così pare. Dirò a Danley di farvi scendere e mettervi sull'elicottero.» Fece per portar via Cassie dalla stanza. Melissa trasse un profondo sospiro di sollievo. Non voleva neanche sapere quanto Andreas fosse stato vicino ad agire altrimenti. «Mettimi giù, papà.» Cassie si liberò delle braccia di Andreas e corse tra quelle di Melissa. «Ti... ti voglio bene», sussurrò. Poi, con intensità, aggiunse: «Non dimenticarmi». Melissa la strinse forte. «Non potrei mai dimenticarti.» Deglutì. «Ti sarò sempre vicina, tesoro.» Cassie indietreggiò e annuì enfaticamente. «Puoi starne certa.» Sembrava quasi una minaccia, pensò Melissa divertita. Le insicurezze di Cassie stavano rapidamente svanendo. La bambina le rivolse un sorriso birichino e le strizzò l'occhio, prima di riavvicinarsi a suo padre e prendergli la mano. «Ho fame. Possiamo avere cialde per colazione?» «Credo che si possa fare», rispose lui, mentre la guidava fuori dalla stanza. Melissa ridacchiò. «Ancora qualche mese e correrà per la Casa Bianca.» «Non è il solo bulldozer qui attorno», mormorò Travis. «Tu e Andreas stavate entrambi inarcando la schiena come due gatti. Qualcuno doveva assolutamente mettersi tra voi due e distrarlo.» Spinse la sedia a rotelle verso la porta. «Sono contenta di tornare a Juniper, lontano da tutto questo...» S'interruppe, sopraffatta dal dolore. «No, non è vero. Ogni angolo di quella casa mi ricorderà Jessica.» «Dopo il funerale potremo andare via per un po'.» «Magari.» Si girò a guardarlo. «Ma Juniper sarà probabilmente più sicuro, finché Karlstadt non si sarà dimenticato di te.» «Mi stai di nuovo proteggendo.» Sorrise. «Sto provvedendo a Karlstadt. Gli manderò il denaro e il dischetto non appena saremo a Juniper. Gli ho già fatto avere il diamante che avevo dato a Thomas.» «Questo dovrebbe bastargli, no? Gli unici diamanti che mancano sono quelli che ha confiscato la CIA.»
Esitò. «Be', non esattamente.» «Cosa?» «Ce ne sono tre abbastanza grandi che ho dovuto usare per negoziare.» «Negoziare con chi?» «Danley.» Lo fissò, incredula. «Danley? Di che cosa diavolo stai parlando?» «Ho fatto un patto con lui, la sera in cui mi è venuto a prendere ad Amsterdam. Pensavo che avrei potuto averne bisogno.» «Danley si è lasciato corrompere?» Sorrise. «La maggior parte della gente ha un prezzo, e quei diamanti avrebbero fatto di lui un uomo ricco. Anche se è stato molto prudente sulla quantità di aiuto che mi avrebbe dato. Ha acconsentito ad aiutarmi a fuggire solo se ne avessi avuto bisogno.» «E allora sapeva che avresti preso Cassie?» «No, abbiamo provveduto io e Galen. Ma dopo aver saputo che l'avevo presa, ha capito che avrebbe fatto meglio ad accertarsi che non mi acciuffassero. Gli avevo già detto che se fossi caduto io, l'avrei tirato giù con me. E non voleva certamente essere tirato in ballo come complice.» «Così ha messo i bastoni fra le ruote ad Andreas?» «Tu che cosa pensi? Galen è bravo, ma le probabilità erano tutte contro di noi.» «Dirai ad Andreas di Danley?» «Accidenti no. Te l'ho già detto: potrei averne bisogno. Non compromettere mai una possibile fonte di informazioni.» Scosse la testa, stupita. «Sei incredibile.» «Be', Karlstadt potrebbe chiedermi di fargli avere quei diamanti chiusi nella cassaforte della CIA. E Danley ha l'accesso.» «E se Danley decidesse di vendere quei tre diamanti?» «Gli farei arrivare una parolina. Gli direi quello che gli farebbe Karlstadt se i diamanti circolassero liberamente.» Sorrise. «Quindi smettila di preoccuparti. Come ho detto, sto affrontando il problema. Non dobbiamo nasconderci a Juniper. Dobbiamo pensare a te.» «Io sto pensando a me.» Aprì la porta. «Ci vediamo giù.» 26 «Mio Dio, che catorci tra tutti e due.» Galen guardava dal sedile del pilota, mentre gli agenti della CIA infilavano la barella di Travis sull'elicot-
tero. «È difficile credere che tu...» «Parti, Galen», ordinò Travis. «Non mi interessano i tuoi insulti.» «Dovrebbero, invece. Ci azzecco così bene.» Guardò Melissa. «E tu dovresti stare attenta a chi frequenti. Avrei potuto impedire che ti conciassero in questo modo.» «Zitto», disse Melissa. «Va'.» Un momento dopo l'elicottero si stava alzando e virava verso sud. Melissa guardò giù e vide Andreas e Cassie scendere le scale. Cassie alzò la mano e salutò. Melissa ricambiò il saluto. «Cassie?» chiese Travis. Annuì. «Sono contenta che l'abbia condotta a salutarci.» «Perlomeno non ordinerà di lanciare un razzo per tirare giù l'elicottero, almeno finché lei è nei paraggi.» «Non lo farebbe. Il suo problema sono solo io.» «Potresti anche essere in grado di risolverglielo un giorno. Chissà, magari sfruttando una delle tue fonti e passandogli un'informazione importante.» «Possibile.» «E Cassie si rivelerà uno choc per lui, quando scoprirà che è corredata del mio stesso bagaglio psichico. Potrebbe aver bisogno di aiuto con lei.» «Non ne siamo sicuri. Non sei più riuscita a metterti in contatto da quando si è svegliata, vero?» «Un'unica volta.» Si interruppe. «E ho scoperto che aveva già raccolto alcune interessanti informazioni quand'era nel tunnel. Adesso che è fuori, la sua abilità potrebbe svilupparsi di colpo.» «Che genere di informazioni?» «Mentre eri incosciente ha detto, 'Se io sto fuori, deve stare fuori anche lui.'» Lo guardò negli occhi. «Che cosa pensi che volesse dire con questo?» Si irrigidì. «Sono sicuro che me lo spiegherai tu.» «Ci ho riflettuto molto, ieri notte.» «Mi dispiace di averti tenuta sveglia.» «Forse dovremmo chiederlo al dottor Dedrick.» «È una soluzione.» «Solo che, maledizione, non esiste nessun dottor Dedrick, dico bene? Te lo sei inventato. Che cosa avresti fatto, se avessi scoperto il tuo bluff quando ti sei offerto di prestarmi il libro?» «Non pensavo che fosse probabile. Eri troppo coinvolta dai problemi di
Jessica.» Si strinse nelle spalle. «E volevo aiutarti.» «Avrei dovuto immaginarlo. Eri così maledettamente comprensivo, su quel che mi stava succedendo. Le tue fonti di informazione non erano le stesse di Galen. Sapevi dell'attacco a Vasaro, ma non di Deschamps. E hai potuto aiutare Cassie mentre respingeva tutti gli altri. Pensavamo che fosse perché l'avevi salvata a Vasaro, ma c'era qualcos'altro, non è così?» «Non lo so. Non sono un esperto su come funziona. Forse c'entrano entrambe le cose.» «Non c'è da stupirsi che fossi così interessato a Cassie. Ti identificavi con lei. Eri stato colpito alla testa e sei rimasto incosciente per mesi in quell'ospedale, dopo la morte di tuo padre. Dove sei stato durante quel periodo, Travis? In un tunnel, in una grotta, in una foresta?» «No, su una barca, un cruiser molto solido e ben fatto, con la velocità della luce, che poteva sfuggire a tutto e a tutti.» «Mostri?» «Ho avuto la mia parte. Ma un impulso mi ha strappato al trauma. Avevo visto assassinare mio padre, e l'odio è uno stimolo molto potente.» Distolse lo sguardo. «Poi iniziarono i sogni. E un po' dopo mi capitava di vedere... cose. Non sono mai entrato in contatto con nessuno, come hai fatto tu con Cassie. Evidentemente, non funziona allo stesso modo con tutti. Il primo anno, mi resi conto della situazione difficile in cui mi trovavo. Non potevo vedere qualcosa, quando volevo vederla. Era come se mi possedesse.» «E lo confidasti a Jan?» Scosse la testa. «Non lo dissi a Jan né a nessun altro. Lo interiorizzai. A volte potevo fermare quel che vedevo. Altre no. A volte non volevo farlo. Ero convinto di meritare qualcosina, dato l'inferno che stavo attraversando. Quando fui abbastanza grande, andai alla ricerca di risposte e ne trovai alcune, ma apparteniamo a un club molto esclusivo. Ecco perché sono rimasto così affascinato, quando ho saputo di Cassie... e di te. Basta quasi a farti credere nel destino.» «Non è stato il destino a farti intervenire nel caso di Cassie.» «No, è iniziato per curiosità, e poi mi sono trovato invischiato.» «Perché non me l'hai detto? Perché non hai voluto condividerlo con me?» «Sulle prime, non eravamo esattamente amici. No, questa non è la ragione. E... difficile per me parlarne. Mi sono abituato a vedermela da solo.» Fece una smorfia. «Okay, hai detto che forse una volta ero in un tun-
nel come Cassie. Non sai come ci sei andata vicino. Forse avevi ragione. Forse non ho imparato ad affrontarlo in maniera sana. Ho fatto come meglio ho potuto.» «Ti saresti mai confidato con me?» «Certo. Forse. Lo spero. Non sarebbe stato facile, comunque. Non sono come te. Tu sei aperta, e stabilisci un contatto con tutto e con tutti.» Incontrò il suo sguardo. «Se avessi avuto bisogno di me per farlo, te l'avrei detto. Ti darò tutto ciò di cui avrai bisogno.» «Travis, potrei strangolarti.» «Questo significa che vuoi estromettermi dalla tua vita?» Il suo tono era disinvolto, ma la sua espressione no. «Lo troverei molto difficile da accettare. Così difficile, che rientrare in uno stato di trauma al confronto sarebbe facile.» Non l'aveva mai visto così vulnerabile. C'era tanto che non sapeva su di lui. Tanto che doveva ancora imparare. Stava costantemente pensando, muovendo, pianificando. Aveva vissuto una vita che lei non poteva neanche immaginare. Questo avrebbe potuto essere il primo dei segreti che avrebbe scoperto su di lui. Travis non era sicuramente un angelo. Ma, accidenti, non sarebbe mai stato noioso. «Perché dovrei estrometterti? Sei probabilmente l'unico uomo al mondo che mi capisce. Ma hai alcuni difetti che ci causeranno parecchi mal di testa.» Gli prese la mano e gli sorrise. «Oh, be', ci lavoreremo.» FINE