Laura Wright
Passione Da Favola Charming the Prince © 2003 Periodico mensile Harmony Destiny n. 80B del 14/1/2005 Prima...
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Laura Wright
Passione Da Favola Charming the Prince © 2003 Periodico mensile Harmony Destiny n. 80B del 14/1/2005 Prima edizione Harmony Pack gennaio 2005
Capitolo 1 FRANCESCA CHARMING NON credeva alle favole, non ci aveva mai creduto. Tuttavia, calpestare regali ciottoli delle deliziose stradine di Llandaron, osservare la bandiera porpora e oro sventolare dalla cima di un'imponente e antica fortezza, sentire la tiepida brezza del mattino carezzarle i capelli di fronte a un panorama di rara bellezza erano cose che avrebbero facilmente potuto farle cambiare idea. L'imponente castello in pietra viva, costituito da sette strutture principali, si ergeva elegante sulla costa dell'Atlantico. Mentre si inoltrava su rampe di scale in marmo color crema che salivano sempre più in alto, Francesca giunse all'ingresso del castello e davanti a lei si presentò un massiccio portone di legno. Da entrambi i lati del portone, verso l'interno, erano visibili decine e decine di finestre, incorniciate da rigogliose edere rampicanti, e le due torri in marmo bianco, che circondavano il complesso, si innalzavano con le loro punte verso l'azzurro del cielo. L'aria era pregna del profumo dell'erica e di una leggera essenza marina, senza dubbio trasportata fin lì dalla brezza proveniente dalla costa. Francesca dimenticò il motivo per cui era giunta in quel luogo, completamente rapita dalla bellezza dello scenario, immersa in quell'incantesimo che le faceva sembrare tutto irreale. «Benvenuta a Llandaron, signorina» la risvegliò bruscamente una voce proveniente da un uomo materializzatosi accanto a lei come dal nulla. Era un giardiniere, a quanto pareva, il giardiniere di corte. Diffondeva aroma di caprifoglio e il suo volto sorrideva. «È la prima volta che viene al castello, immagino. Da togliere il fiato, non è vero?» Finalmente la magia svanì, cedendo il posto alla realtà contingente del momento. Non era da Francesca lasciarsi cullare in fantasie infantili e sognare a occhi aperti. Non era quello il motivo per cui era arrivata a Llandaron. Infatti, si era recata sull'isola inglese solo per motivi di lavoro. Laura Wright
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Con i soldi che avrebbe guadagnato in quel posto, avrebbe forse potuto far costruire una sala operatoria nella sua clinica veterinaria di Los Angeles, cosa che era sempre stata il suo unico, vero sogno. Stringendo a sé la borsa da lavoro, la giovane donna si rivolse a sua volta al giardiniere. «Sì, è la prima volta che vengo qui. Sono la veterinaria che Sua Maestà ha fatto venire dagli Stati Uniti, Francesca Charming. Dovrei andare verso le scuderie, mi indicherebbe la strada?» L'uomo annuì. «Continui da questa parte e si troverà esattamente di fronte alle scuderie. Chieda di Charlie non appena arriva, è lui che si occupa di tutto, lì. Le saprà dire che cosa fare.» «La ringrazio» disse Francesca, poi si girò per riprendere il cammino. Nonostante cercasse di impedirselo, il suo sguardo continuava a soffermarsi su ogni incantevole dettaglio del castello, dell'immenso giardino e degli infiniti vialetti che vi correvano all'interno. Tutti i libri che aveva consultato a proposito di Llandaron avevano descritto il luogo come bellissimo e quasi magico, soprattutto in primavera, ma lei non avrebbe mai creduto che la realtà avrebbe potuto superare quelle parole che sembravano decisamente esagerate. Una volta terminata la poco ripida salita sulla quale stava procedendo, di fronte a lei apparvero le scuderie, anch'esse regali, eleganti e immense, come tutto lì. Attraverso vialetti con cespugli di erica e altri fiori rossi e di varie tonalità cremisi che le sembrava di non aver mai visto prima, giunse alle porte dell'edificio delle scuderie, dietro le quali si intravedevano alti alberi secolari e un vasto prato verde perfettamente curato. Assumendo l'aria più sicura e naturale che le fu possibile, Francesca entrò. Non le era mai capitato di trovarsi in una scuderia tanto pulita, i cavalli sembravano tutti splendidi esemplari da gara e ciascuno di essi le tributò un nitrito di benvenuto non appena lei gli passò davanti. Accarezzando il muso degli animali, la ragazza si guardò intorno alla ricerca di Charlie, l'uomo indicatole dal giardiniere come suo referente. Ma quando fu arrivata all'ultima stalla, si bloccò di colpo e trattenne il respiro. Non appena mise a fuoco chi le stava di fronte, le ginocchia le divennero di burro e la gola le si seccò all'improvviso, mentre il cuore prese a batterle all'impazzata. Con un forcone in mano e le spalle nude rivolte verso di lei, l'uomo Laura Wright
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stava spingendo della paglia nella stalla adiacente. Senza rendersi conto di ciò che stava facendo, Francesca lasciò che il proprio sguardo vagasse su quella visione dalla punta degli stivali da lavoro agli stretti jeans che gli fasciavano le gambe muscolose e forti che si intravedevano perfettamente. E, santo cielo, aveva un didietro da record dei primati! Lei si leccò le labbra, continuando a guardare, senza fretta. Quell'uomo aveva fianchi stretti e un'ampia, abbronzata schiena, la cui eccellente muscolatura era messa in risalto dal sudore che gli rendeva il corpo lucente. Francesca emise un lieve sospiro di soddisfazione, ma, a quel suono, lui si girò e si accorse della sua presenza. Resosi conto di ciò che lei stava facendo, le indirizzò un ironico ghigno da mandrillo. «Salve, come va?» L'accento era inconfondibilmente di Llandaron e le labbra sensuali di lui scandirono le poche parole accarezzando i suoi sensi come cioccolato fuso. Francesca si sforzò di ritrovare la voce. La lingua le si era bloccata e non riusciva ad aprire bocca, sensazione per lei del tutto inusuale, poiché di solito non reagiva in quel modo davanti a un uomo. Generalmente era padrona di sé e impassibile, ma quel giovane dio di un metro e ottantacinque, con capelli scuri e luminosi, sopracciglia anch'esse scure su due occhi più azzurri del mare, era qualcosa che non aveva mai visto prima in vita sua. Lo sguardo di lei si soffermò ora sul petto di lui, la cui sottile peluria non nascondeva certo la struttura muscolare che definire esemplare era appena sufficiente a descrivere. Era proprio un sogno, il sogno proibito di ogni ragazza. Ma, con ogni fibra del suo corpo, lei si impose di farsi forza e di sottrarsi a quel sogno. Strinse i pugni e fece ricorso al suo sperimentato tono indifferente e pratico. «Buongiorno, lei deve essere Charlie...» Solo che in quel momento la sua voce non risuonò poi tanto sicura. Al contrario, lui appariva perfettamente a proprio agio, si appoggiò con la massima naturalezza accanto a una delle porte delle stalle e le rivolse uno sguardo che le rese il sangue bollente. «Devo essere Charlie?» Il tono della risposta di lui non fu molto chiaro a Francesca, che non comprese se l'uomo avesse fatto una domanda o dato una risposta. Tuttavia, lei decise di non insistere per non dargli l'occasione di comprendere in che stato l'avesse messa con poche parole e una schiena nuda. «Be'... Io sono Francesca Charming. Ma tutti mi chiamano Fran.» Laura Wright
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Lui assentì, rendendosi conto finalmente chi aveva di fronte. «Capisco» annuì. «La veterinaria americana.» «Sì, vengo dalla California, per la precisione.» Lui sollevò un sopracciglio con l'inconfondibile sguardo dell'uomo che la sa lunga sulle donne. La squadrò da capo a piedi, senza preoccuparsi di indugiare su ogni particolare del corpo di lei. «Mmh... Capelli biondi, carnagione abbronzata, gambe lunghe e bellissimi occhi, una ragazza della California, senza dubbio.» Il comodo completo pantalone di Francesca improvvisamente si era trasformato in una trasparente camicia da notte di pizzo, sotto lo sguardo indagatore di lui. Si sentì avvampare e le guance le si imporporarono. Quando infine si riprese, tentò di ridarsi in fretta un contegno. Santo cielo, era pur sempre una ragazza di città, non era la prima volta che un bell'uomo le faceva dei complimenti. «Allora, è soddisfatto di ciò che ha visto, o intende continuare a fissarmi ancora a lungo? Magari preferisce che faccia un giro su me stessa?» gli chiese, sarcastica. Lo sguardo di lui si sollevò fino a incontrare quello di lei. «Mia cara, avrei potuto dirle esattamente quello che lei ha appena detto a me.» Francesca deglutì, imbarazzata. In fondo, aveva ragione. Un sorriso canzonatorio si dipinse sul volto di lui. «Ebbene?» «Ebbene, cosa?» gli fece eco Francesca. Lui disegnò un cerchio nell'aria con la mano, indicando a lei di girare su se stessa. «La proposta me l'ha fatta lei, dottoressa Charming. E poi mi sembra giusto che io veda di lei quanto lei ha visto di me.» Francesca spalancò gli occhi. «Io... io non ho fatto niente del genere!» esclamò, sapendo di mentire. «E si dimentichi che mi metta a fare le piroette, giusto per il suo svago.» Il giovane mostrò un altro dei suoi sorrisetti beffeggiatori. «E va bene. Sarà per la prossima volta, allora.» «Non credo proprio» gli rispose, prima di distogliere lo sguardo. Finalmente si decise a cercare il motivo per il quale era stata chiamata a Llandaron. I suoi occhi incontrarono ciò che stavano cercando all'interno di un ufficio provvisto di mobilio di ottima fattura, quanto meno insolito per una scuderia. Su una comoda branda lunga un paio di metri, era adagiata una femmina di levriero irlandese, era visibilmente incinta e aveva un paio di dolcissimi occhioni marroni. Laura Wright
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Fino a dieci giorni prima, Francesca non aveva mai sentito nominare né il re Oliver né il suo levriero, e neanche Llandaron, per la verità. Era stato il suo collega e quasi fidanzato, il dottor Dennis Cavanaugh, a offrirle la possibilità di quel lavoro. La reputazione di lui era ottima presso le persone ricche e famose di Los Angeles e infatti molto spesso gli valeva inviti a party esclusivi. Tuttavia, quando fu contattato dall'addetto del re Oliver per il suo levriero, era troppo impegnato per accettare, per cui aveva proposto a lei, Francesca, di andarci al suo posto. Con il generoso onorario e il fatto che avesse proprio bisogno di una pausa dalla sua vita di tutti i giorni, Fran non aveva saputo rifiutare l'offerta. Quando la vide entrare, il levriero sollevò lo sguardo verso la veterinaria, forse chiedendosi chi fosse e che cosa volesse. Lei rivolse al cane un sorriso dolcissimo. «Sei proprio un amore, lo sai?» disse mentre si dirigeva a chiudere la porta dell'ufficio, per stare tranquilla con la sua paziente. Ma proprio nell'istante in cui appoggiava la mano sulla maniglia, un'altra mano, forte ed elegante allo stesso tempo, le cinse il braccio con fare deciso. «Mi lasci entrare, dottoressa.» Con un balzo e un lieve sospiro inquieto, Francesca si sottrasse al contatto della mano di lui. «Spero di non averla ustionata con il mio tocco» disse lui, senza rinunciare al suo umorismo. Dopo qualche passo all'interno dell'ufficio, lei gli rispose senza guardarlo. «Non mi ha fatto niente.» «Ne è sicura?» A quel punto le guance di Francesca erano in fiamme. Lei si curvò sul cane, lasciando che i capelli le coprissero il volto per nasconderlo agli occhi di lui. Come primo istinto avrebbe voluto chiedere all'uomo di andar via, ma sapeva benissimo che per il cane una presenza amica sarebbe stata molto utile per sentirsi al sicuro e lasciare che lei svolgesse al meglio il proprio lavoro. E il bene del cane era la cosa più importante, era quello il motivo per cui si trovava a Llandaron. Si rivolse al levriero con la calma e la sicurezza derivatele dall'esperienza. «Allora, ecco la mia paziente.» Quando lavorava, Francesca era perfettamente a suo agio. In quei momenti faceva ciò che più amava al mondo. «Si chiama Grand Dame Glindaron» le disse l'uomo, che in pochi Laura Wright
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secondi aveva preso posto accanto al cane, di fronte a lei. Adesso era un po' più vestito, indossava una maglietta nera, ma non era certo meno sexy. «Però, noi tutti la chiamiamo Glinda.» «Oh, Glinda. Come la strega buona?» replicò lei, divertita. «La strega buona?» le fece eco lui, confuso. Intanto, Glinda aveva preso ad annusare la mano di Francesca e ad abituarsi alla sua presenza. «Be', sì, la strega buona de Il mago di Oz» riprese lei, sollevando lo sguardo, che nel frattempo si era ritrovato pericolosamente vicino a quello di lui. «Si chiamava proprio Glinda. Non ha visto il film?» «Oh, capisco» disse lui, vago. «No, noi non abbiamo film, qui.» Francesca spalancò gli occhi dalla meraviglia. «Cosa?» Ma lui sorrise, facendole capire di stare scherzando e lei non poté fare a meno di incassare il colpo. «Molto divertente, Charlie. Molto divertente.» Un attimo dopo l'uomo girò il capo e diresse lo sguardo verso il pavimento, con grande sollievo di Francesca, che non sapeva quanto altro avrebbe potuto resistere di fronte a quella bocca sensuale e a quegli occhi magnetici senza tuffarsi tra le sue braccia. «In realtà, qui a Llandaron il cinema è molto amato» riprese lui. «Il re stesso è un appassionato, e fra l'altro si dice che Il mago di Oz sia uno dei suoi film preferiti.» Francesca estrasse dalla borsa stetoscopio e termometro. «Uhm, bene. Mi fa piacere sapere che Sua Altezza abbia buoni gusti anche in fatto di film, oltre che di animali.» Poi, prima di procedere con la visita, la ragazza concesse a Glinda qualche altro minuto per abituarsi alla sua presenza. «È lei che si occupa del cane?» chiese all'uomo con fare molto professionale. «Di tanto in tanto le do uno sguardo io, sì.» «In questo caso, vorrei farle qualche domanda, se posso.» Lui reclinò il capo, benevolo. «Ma certo, chieda pure.» «Mangia e beve regolarmente?» «Mangia meno del solito e beve più del solito.» Francesca annuì. «Ha avuto emorragie, vomito o diarrea?» «No.» «Molto bene. Adesso, perché lei non l'accarezza un pochino mentre io procedo con la visita?» Lui sollevò un sopracciglio. «Mi sta chiedendo di farle da assistente, dottoressa?» Laura Wright
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«Sempre se non le dispiace.» «Oh, perché dovrebbe?» «Be'... volevo dire che non ho intenzione di farle perdere tempo con il suo lavoro.» «Il mio lavoro?» Francesca fece un gesto con la mano, indicando le stalle. «Pulire le scuderie, dar da mangiare agli animali... Non è questo che fa?» «Ma certo, il mio lavoro.» Gli occhi di lui scintillarono. «Credo di poter perdere un paio di minuti, però.» Quella luce negli occhi di lui per poco non le aveva fatto perdere la ragione, tuttavia Francesca cercò di riprendersi in fretta. «Oh, be', sì... se non è un problema, allora... Sa, non vorrei crearle grane con il suo capo, quindi, se vado troppo per le lunghe, me lo dica senza problemi.» «Molto gentile da parte sua tutta questa considerazione per me, per uno stalliere... Ma non c'è motivo di preoccuparsi, il mio capo e io abbiamo un ottimo rapporto.» Dopo aver misurato la temperatura del levriero, la ragazza passò ad ascoltare il battito cardiaco dei piccoli che crescevano nella sua pancia, grata di poter avere qualche istante libero dallo sguardo sexy dell'uomo che le stava davanti. Non le era mai capitato prima di sentirsi attratta in modo così passionale da un uomo. Nessuno dei bei ragazzi di Los Angeles le aveva mai fatto un effetto simile. Neanche Dennis. «So che i levrieri sono molto delicati quando si tratta di maternità» disse lui, quando lei ebbe finito di contare i battiti. «E so anche che lei è una specialista in questi casi.» «Questa diceria sul mio conto è proprio vera.» «Ce ne sono anche altre?» Francesca prese a controllare i denti del cane. «Certo» scherzò, lieta di poter stemperare almeno in parte tutta quella tensione sessuale. «Ma le altre sono tutte false, o vere solo a metà.» «Comunque, non mi dispiacerebbe affatto sentirne qualcuna.» Lei strinse le labbra fingendo un'aria assorta. «Mmh... Non credo che argomenti tanto piccanti potrebbero essere adatti per le menti candide e innocenti di Llandaron.» Ma lo sguardo che lui le diresse immediatamente dopo chiarì, se per caso ce ne fosse stato bisogno, che lui non era né candido né innocente. «Che cosa ne pensa di Llandaron, dottoressa Charming?» le domandò poi. Laura Wright
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«Sono qui solo da poche ore, eppure per il momento quello che ho visto è...» Con il viso di lui a una tale breve distanza, Francesca non riuscì a terminare la frase. Ci pensò lui. «Affascinante?» «Be', diciamo di sì, mi sembra il termine giusto» concluse poi lei, ben sapendo di non riferirsi solo alla costa a picco sull'oceano o al castello. Che cosa diamine le stava succedendo? Quell'uomo le aveva obnubilato il cervello al punto da renderla incapace di parlare o persino di pensare? Forse avrebbe fatto meglio a non accettare quel lavoro e restare a Los Angeles con Dennis. Ma scacciò quell'idea irrazionale subito dopo averla mentalmente formulata. Dunque, era attratta da quell'uomo? Sì, lo era, e con ciò? In fondo, quelle erano cose che succedono di continuo, niente di tanto assurdo. Quindi non avrebbe potuto farci un bel niente, tranne non lasciare che interferisse con il suo lavoro. «Llandaron è proprio un luogo molto affascinante» intervenne lui a interrompere il suo flusso di pensieri. «E la gente che ci vive è molto orgogliosa del proprio paese. È un posto bellissimo e vi si conduce un'esistenza serena e pacifica.» «Chi vive qui deve esserne fiero. È fantastico» disse lei, mentre accarezzava il pelo grigio di Glinda. «Lei ha sempre vissuto qui?» «Intende a Llandaron o a palazzo?» «Entrambe le cose.» «Allora sì, ho sempre vissuto qui.» «Quindi è cresciuto nello stile e nell'eleganza? I suoi genitori lavoravano qui e ora lei ha ereditato il loro posto?» «Una cosa del genere. Qualcuno li definirebbe affari di famiglia.» «Avverto un certo rancore nel suo tono.» «Vede, non sempre possiamo scegliere la vita che ci capita.» «Questa è una sciocchezza» sbottò Francesca. Lui si adombrò. «Lei crede?» «Sì, lo credo.» Glinda appoggiò il muso sulle ginocchia di Francesca e chiuse gli occhi, abbandonandosi con dolcezza alle carezze di lei. «La vita è una sola» proseguì. Se affidiamo il controllo della nostra vita a qualcun altro, la nostra esistenza si ridurrà a uno spreco di tempo. Mio padre diceva sempre che la vita è un dono.» Al ricordo del padre le si strinse il cuore, era morto quasi sedici anni prima, lasciandola sola con una famiglia di Laura Wright
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estranei che a stento conosceva il suo nome. Ma, nonostante ciò, il suo amore per il genitore era invariato. Lui la fissò con intensità. «E che mi dice dei figli del re, dottoressa? Per loro responsabilità e onore devono venire prima di ogni altra cosa. Non è certo concesso loro il lusso di scegliere.» «Invece sì. Sono loro che fanno sì che responsabilità e onore vengano prima delle necessità personali.» Proprio come lei aveva scelto la sicurezza e la dolcezza di un uomo come Dennis alle chiacchiere di bellimbusti forse più attraenti, ma di certo per nulla affidabili. Non c'erano mai stati principi azzurri o favole per Francesca, solo lupi affamati che vestivano Armani. Però, grazie a Dio, le era capitato di cadere in quella trappola solo una volta, e non si sarebbe ripetuto mai più. L'attenzione di lei tornò verso Glinda e verso i cuccioli che portava dentro di sé. «Non è strano pensare che moltissime persone idealizzino la vita di reali e principi ereditari? La loro vita, invece, deve essere un vero inferno.» «Immagino che lei non appartenga a questo gruppo...» «Direi proprio di no. Quando ero piccola, non trascorrevo il mio tempo sognando a occhi aperti di principi azzurri di fronte a un cartone animato della Disney. Questo lo facevano le altre bambine.» «E lei, invece, che cosa faceva?» Francesca non poté evitare di sorridere. «Mi prendevo cura degli animali feriti che capitavano nel nostro cortile.» «Scommetto che riusciva sempre a guarirli tutti» disse lui con garbo. «La maggior parte. Ma alcune cose erano fuori dal mio controllo.» Come la crudeltà dei suoi fratellastri che si divertivano a sottrarle gli animali facendola piangere. «Diciamo solo che non ho mai visto la vita in rosa.» «E com'è che vede le cose, Francesca?» «Mi chiami pure Fran. Le vedo attraverso lenti a raggi infrarossi. Mi interessano i dettagli, la verità. Non mi piace essere accecata dalle fantasie.» «Ma lo sa che le fantasie possono aiutare a vivere meglio?» Lei deglutì con imbarazzo, senza rendersene conto il suo sguardo era stato nuovamente catturato dagli occhi azzurri di lui. «Forse a breve termine.» Un sorriso malizioso curvò le labbra di lui. «E suppongo che lei non sia Laura Wright
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alla ricerca di piaceri a breve temine, non è così?» Fran si agitò, distogliendo lo sguardo. «Si sta ancora riferendo alla mia vita, o parla d'altro...?» «Quanti anni ha, Francesca?» «Ventotto.» «È molto saggia per la sua età.» Lei sollevò le spalle, schermendosi dal complimento. «È solo che mi conosco abbastanza. Tutto qui.» «Atteggiamento molto progressista.» «Lei crede?» Il sorriso di lui si aprì. «Sì, lo credo.» «Mi scusi, Sua Altezza» intervenne una voce. Francesca si voltò di scatto verso la porta dell'ufficio, dove un uomo di mezz'età, in abiti da lavoro e con i capelli grigi, sostava in attesa di una risposta. «Buongiorno, Charlie» disse il giovane uomo, assumendo all'improvviso un tono formale, diversissimo da quello avuto fino a quel momento. Francesca ebbe un tuffo al cuore. L'uomo più anziano si inchinò brevemente. «Buongiorno, Altezza. Il re suo padre è appena tornato dalla città e desidera parlarvi.» «Grazie, Charlie. Puoi andare.» Ma lei non attese che il vero Charlie se ne fosse andato per mostrare tutto il suo stupore. Si alzò in piedi e si voltò verso quello che ora sapeva essere il principe di Llandaron in persona. Gli si piantò davanti con le braccia puntate sui fianchi in attesa di una spiegazione. «Sua Altezza?» Lui si alzò a sua volta e le rivolse quello che doveva essere un vero sguardo regale. «Non ho avuto occasione di presentarmi come si deve, ha ragione.» Detto ciò, il giovane chinò il capo leggermente, ma senza distogliere quei suoi diabolici occhi azzurri da quelli di lei. «Sono il principe Maxim Stephan Henry Thorne. Molto lieto.»
Capitolo 2 MAXIM FISSÒ LA bella americana che gli stava di fronte e ancora una volta maledisse il patto che aveva stretto con suo padre quasi un anno prima. Perché diavolo avrebbe dovuto sposare una rampolla di sangue blu senza il minimo senso dell'umorismo, quando al mondo c'era una donna come Laura Wright
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Francesca a indurlo in tentazione? Non gli era mai capitato prima di imbattersi in una ragazza acuta e di spirito come lei, anzi, di solito non apprezzava troppo quel tipo di doti in una fanciulla. Eppure... Lasciò vagare il proprio sguardo sul corpo di lei. Se ne stava lì ferma, chiaramente seccata da ciò che le aveva appena rivelato, un raggio di sole le delineava l'attraente silhouette. Risplendenti onde dorate le si appoggiavano sulle magnifiche spalle, mentre un ovale perfetto esibiva zigomi alti e una pelle di seta. Era snella, ma aveva tutte le curve giuste al posto giusto. Quando, qualche minuto prima, le era passata accanto, una folata di sangue caldo gli aveva inondato i centri nervosi, per non parlare dell'effetto che aveva provocato in un'altra zona del suo corpo. In particolare, c'era una parte di lei che faceva venir voglia a Maxim di mettersi a ululare alla luna: la sua bocca, quelle labbra piene, color rosa intenso, quel sensuale e prominente labbro superiore. «Sua Altezza?» Il richiamo irritato di lei ridestò il principe dalle sue fantasie. «Sì, dottoressa?» «Lei mi ha preso in giro.» Lui annuì. «È vero.» «Non mi piace essere presa in giro» aggiunse Francesca, freddamente. «Ne ho avuto abbastanza da ragazzina.» Un improvviso rossore le apparve sulle guance, ma lei continuò ugualmente. «Non ho intenzione di accettare niente del genere, né da uno stalliere né da un principe.» Maxim la fissò, divertito. Nessuno mai si era rivolto a lui in quel modo. Di solito le donne non gli facevano la ramanzina. Le donne con lui flirtavano, lo adulavano e poi finivano nel suo letto. «Le chiedo scusa.» Francesca esitò un istante, si domandò se fosse il caso di rigettare o meno le scuse di lui. Non lo fece, al contrario, un'espressione confusa le si dipinse sul volto. «Lei stava radunando il fieno e io...» Il principe si strinse nelle spalle. «Mi piacciono le distrazioni.» «Distrazioni da cosa? Da questo posto perfetto in cui vive?» «Nessun posto è perfetto, dottoressa.» Lei sospirò pigramente, poi sbadigliò. «Allora, che cosa dovrei fare adesso?» «Non sono certo di aver capito la sua domanda.» «Se crede che sia disposta a inchinarmi dinnanzi a lei, dopo che si è Laura Wright
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preso gioco di me...» «Non mi va di stare a sentire questo genere di predica» disse lui, alzandosi in piedi e ridacchiando. «Non ora, comunque.» «Non ci provi neanche ad andarsene, prima che abbia finito!» esclamò Francesca, alzandosi di scatto senza aspettare che lui le tendesse la mano. «Comunque, per rispondere alla sua domanda» prese a scherzare Maxim, «forse davanti al personale di corte, in presenza di mio padre o di altri nobili, potrebbe limitarsi a chinare il capo con deferenza. Che ne dice?» Lei fece una pausa prima di rispondere, per accertarsi del tono ironico di lui. «Forse. Vedremo.» Il sorriso di Maxim si allargò. «La ringrazio.» I due erano in piedi l'uno di fronte all'altro, mentre Glinda li osservava con attenzione. Francesca era alta, forse solo una decina di centimetri più bassa di lui. L'altezza perfetta per la dama del principe e l'altezza perfetta per... «Ho bisogno di sapere perché non mi ha detto chi era in realtà. Ero la sua distrazione del giorno?» chiese lei, incrociando le braccia sul petto. Gli stava vicino, tanto vicino che Maxim riusciva a sentire l'aroma di miele che lei emanava, come una droga. «Per essere onesto, avevo voglia di sapere come ci si sente a essere una persona qualunque. E lei me ne ha fornito l'occasione, tutto qui.» «E com'è stato essere una persona come le altre?» «Stimolante, direi.» «Be', sono contenta di esserle stata d'aiuto in qualche modo» replicò Fran, sorridendo sarcastica. «Però, adesso che conosce la verità su di me, è certa che non mi tratterà in modo diverso?» «La mia coscienza e la mia dignità soffrirebbero troppo nel trattarla in modo diverso dal buffone che si è dimostrato di essere.» «E Nostra Maestà non desidererebbe niente di diverso» ribatté lui, ridendo. «Ora devo proprio andare, dottoressa. Ma è stato un piacere conoscerla. Sono sicuro che capiteranno altre occasioni.» Lei colse il tono allusivo di lui. «E chi impersonerà, la prossima volta?» Maxim sollevò un sopracciglio con aria sorniona. «Ho sempre avuto un debole per i lavori di muratura.» «Ottimo.» Laura Wright
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«Anche se, pensandoci meglio» aggiunse poi curvando le labbra in un sorriso, «sarei un po' troppo lontano dalle stalle e da chi ci passerà del tempo...» Francesca non si lasciò adulare. «Non credo proprio, Sua Altezza. Sarà alla distanza giusta.» Prima di allontanarsi, il principe si girò verso di lei ancora una volta. «Questo titolo nobiliare non mi si addice pronunciato dalle sue labbra, voglio dire dopo il primo incontro ben poco formale che abbiamo appena avuto.» «Preferisce principe Maxim, allora?» chiese lei, ostentando un po' di malizia. «Che ne dice di Maxim?» «Che ne dice di Max?» «Non mi è mai piaciuto Max, Francesca.» Il sorriso di lei gli aveva fatto girare la testa come una trottola e ribollire il sangue. «E io preferisco Fran.» «Arrivederci, Francesca.» «Arrivederci, Max.» Si scambiarono un'occhiata molto intensa ed entrambi risero. Per Maxim era la prima volta dopo tanto tempo che riusciva a ridere con tanta genuinità. Lo stato d'animo leggero e gioioso rimase con lui a lungo dopo che aveva lasciato le scuderie, e anche dopo che fu rientrato a palazzo, in quel regno di bellezza e armonia che aveva sempre chiamato casa. Francesca era in piedi davanti allo specchio, nella lussuosa camera dai rivestimenti in tessuto azzurro chiaro dell'ala est del castello. Quella che le era stata assegnata. Osservò la propria immagine riflessa. Lo stato d'animo depresso che ne ricavò non aveva niente a che fare con il completo nocciola con scarpe abbinate che aveva indosso, o con l'acconciatura alta che tutti avevano sempre detto le donasse molto. No, lo scoramento derivava dal fatto che sperava di rivedere un certo principe. Buon Dio, un principe. Era impazzita? Forse l'aria di Llandaron l'aveva trasformata in una ragazzina romantica, dissolvendo tutte le sue cellule cerebrali? Perché, anche se avesse potuto dimenticare che Maxim era un principe che viveva Laura Wright
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su di un'isola da favola, per quale motivo non stava pensando a Dennis? Certo, ancora non c'era un vero impegno tra di loro, ma prima che partisse lui le aveva chiesto di sposarlo. Lei aveva risposto che ci avrebbe pensato. Il fatto era che non erano innamorati, non lo erano affatto, nessuno dei due credeva nel concetto di vero amore. Anche Dennis era rimasto scottato una volta, a causa di una donna equivalente, per insensibilità e superficialità, al bellimbusto che aveva imbrogliato Francesca. Di conseguenza, i due avevano smesso di credere nell'amore. In fondo erano scienziati, medici. Ed ecco perché erano diventati subito buoni amici e avevano cominciato a lavorare insieme. Sarebbero rimasti ottimi amici per sempre, si sarebbero aiutati e sostenuti a vicenda per il resto della vita. Il patto tra di loro funzionava alla grande, fino a quando lei non aveva incontrato quel dannato e bellissimo principe. Un'immagine di Maxim le attraversò la mente: quegli occhi, quel corpo, quelle labbra... Sarà stato sposato? Il pensiero, molto poco saggio, fu seguito da un brivido e Francesca si staccò dallo specchio. Lo stato civile di Sua Altezza non era cosa che doveva riguardarla. Glinda e i cuccioli dovevano riguardarla. E poi, diavolo, probabilmente neanche lo avrebbe più rivisto. Lui sarebbe stato occupato con le sue cose da principe, insieme ad altri nobili e reali. Non avrebbe avuto tempo per andare a fare passeggiate nelle stalle con una qualunque ragazza della California ogni giorno. Ma, parlando di tempo, Francesca controllò l'orologio: cinque minuti alle sei. Aveva incontrato il re poco più di un'ora prima. Era un uomo con una gran barba, dall'aspetto gioviale e un paio di occhi azzurri e intelligenti come quelli del figlio. Dopo aver chiesto un dettagliato resoconto delle condizioni del cane, aveva invitato la dottoressa per cena, a palazzo, per le sei in punto. Santo cielo, pensò lei, mentre lasciava la sua stanza e si affrettava lungo l'ampia scalinata, non aveva certo immaginato che sarebbe stata a cena con il re di Llandaron. Piuttosto, prima di partire aveva pensato a cene frugali in camera sua, o al massimo in cucina con il resto della servitù. Alla fine delle scale, nell'ampia hall, un'ombra prese forma davanti a lei. Il cuore di Francesca ebbe un tuffo e prese a battere all'impazzata. Laura Wright
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«Buonasera, Francesca.» Cercando di ignorare il proprio stomaco che si contraeva in mille strane fitte, lei esordì con un «Buonasera, M...». Ma il saluto le morì in gola, non appena si fu avvicinata di più al principe. Si appoggiò con entrambe le mani alla ringhiera per trovare supporto. Dire che quell'uomo era semplicemente bello non si avvicinava neanche poco alla definizione del suo aspetto. Francesca aveva voglia di accarezzargli i capelli e di perdersi tra quelle onde brune, annegando poi nell'azzurro dei suoi occhi. Non indossava più jeans e maglietta come la mattina, adesso aveva una camicia chiara con un completo nero. Ecco che cosa mi piacerebbe per cena, pensò lei tra sé, osservandolo sempre meglio e più da vicino. «Sei bellissima, stasera, dottoressa» le disse lui, guardandola con il suo sorriso da impunito. «Hai bisogno di una scorta?» Per un istante, lei si vide al fianco del principe, sottobraccio a lui, sentendo sotto la pelle la tensione delle sue belle braccia muscolose. Ma l'istante passò. «Ti ringrazio, ma credo di farcela anche da sola.» Lui sollevò un sopracciglio. «È per colpa mia, o ce l'hai in generale con gli uomini che si offrono di farti da cavaliere?» «Oh, no. È per colpa tua.» La risposta le venne spontanea e non si rese conto di averla pronunciata finché non la sentì con le sue stesse orecchie. Si chiese se lo avesse offeso. Max, però, sogghignò con impudenza. «Vieni con me» le disse, avviandosi verso la porta, che era tenuta aperta da un usciere in uniforme dall'aria stoica e serissima. Lei fissò prima la porta, poi lui. «Venire con te? E dove?» «Fuori.» «Ma il re mi ha invitata a cena...» «Mio padre è al telefono con il presidente della Lituania, ci metterà un bel po'. Ti manda le sue scuse e ha chiesto a me di intrattenerti per la serata.» «Oh, davvero?» La risposta di lei fu calma e controllata, ma il suo cuore continuava a battere all'impazzata. Come l'avrebbe intrattenuta il principe? «Smetti di essere tanto sospettosa» proruppe lui, con l'eterno sorriso da marpione. «Ti prometto che non ti giocherò altri tiri come quello di stamattina.» Laura Wright
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«E va bene, allora. Effettivamente sono molto affamata.» «Perfetto.» «Dove si va? In città?» Francesca aveva letto di ristoranti deliziosi nel centro di Llandaron, di gelaterie e perfino di negozi che vendevano unicamente caramelle toffee. Ma i reali andavano a mangiare in città come tutti gli altri, di solito? «Andiamo al faro» disse lui senza aggiungere ulteriori spiegazioni, dandole la precedenza per uscire. Il faro, sembrava il nome di un ristorante che cucinava specialità di pesce, frutti di mare e cose del genere. Niente male. Ma Francesca fu interrotta nel suo flusso di pensiero non appena fuori dal palazzo. Chiare e spesse nubi avvolgevano il cielo, oscurandolo e rendendo l'aria lattiginosa e spessa. «Che succede?» chiese con una risata, ponendosi al centro di quella foschia. «È nebbia.» «Nebbia?» ripeté lei. «Ma poco fa il sole era così brillante, non c'era traccia di nubi e l'aria era limpida. Quando si è formata? È talmente spessa da non permettere la visuale a più di un metro.» Max le prese la mano. «Ti ci abituerai.» «Ah, sì?» La risposta di Francesca era stata pigra e casuale. La sua mente e i suoi sensi erano tutti presi dal contatto con la mano di lui, forte e gentile al tempo stesso. Forse avrebbe dovuto liberarsi dalla sua piacevole stretta, mandargli un chiaro messaggio sul fatto che qualunque contatto fisico tra di loro sarebbe risultato inappropriato. Ma non lo fece, non fece nulla. Dimenticò giacca, borsa e qualunque altra cosa cui stesse pensando prima, si lasciò semplicemente guidare da lui verso un prato immenso lontano dal castello. «Quando i miei antenati arrivarono in questo posto» cominciò Max, «fu stabilito che i primogeniti delle due famiglie reali, i Thorne e i Brunell, si sarebbero sposati. Ma la primogenita dei Thorne, Sana, era profondamente innamorata di un altro giovane uomo, un povero pastore, che suo padre le aveva vietato di vedere. Il giorno prima del matrimonio, Sana si suicidò.» La mano di lui si strinse di più attorno a quella di lei. «E quella fu la prima sera in cui si formò questa nebbia.» «È una leggenda?» domandò Francesca con una certa soggezione. «No, no. È un fatto. È storia.» Max la guidò verso un'ampia roccia. «Da Laura Wright
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allora, la nebbia appare alle sei di ogni sera e scompare verso le sette. Si dice che, con quell'ora di nebbia, Sana garantisca protezione e riparo agli amanti segreti, in modo che possano incontrarsi senza paura di essere scoperti.» Stupore e meraviglia si fecero largo nell'animo di Francesca, e lei non poté evitare di fare una domanda a Maxim. «Ti sei mai appartato nella nebbia con qualcuna?» «Non prima di oggi» proruppe lui con una nota di dolcezza nella voce. Fran avvertì la brezza morbida dell'oceano sulla pelle e comprese che, evidentemente, non si erano recati in città. «Ma qui siamo sulla scogliera, non in centro. Non avevi detto che non avresti più fatto trucchi?» «Infatti, questo non è un trucco, Francesca.» «E allora che ci facciamo qui?» «Io vivo qui.» Lui la condusse più avanti verso l'entroterra fino a che non lo vide. Nella nebbia si ergeva un faro, a lato del quale sorgevano altri due edifici della stessa fattura. Dall'interno provenivano le luci calde delle candele, visibili attraverso le finestre. Senza una parola, Max la guidò verso una breve rampa di scale in pietra viva, poi dentro un vialetto, infine, attraverso una massiccia porta di quercia, all'interno del faro. «Tu vivi qui? In un faro?» chiese lei, incantata. «Non a palazzo?» «Preferisco vivere da solo» rispose lui, lasciandole la mano. Essere libera dalla stretta di Max fu una sensazione strana. Da un lato si sentì libera dalla tensione sessuale che le provocava la vicinanza di lui, ma dall'altro avvertì come un vuoto, e si sentì privata di qualcosa di fondamentale. Francesca lo seguì su per la scala a spirale che conduceva al secondo piano della casa che in tutto ne contava tre. Fatto rapidamente il giro della casa, i due tornarono di sotto. Tappeti persiani ricoprivano in più stanze il pavimento di legno, mentre comodi divanetti erano sistemati l'uno di fronte all'altro, creando un angolo di conversazione appartato e piacevole. Tra i divanetti era posizionato un bellissimo tavolo con il ripiano a scacchiera. Un camino di marmo occupava un'intera parete, mentre un'altra era caratterizzata da finestrelle con gli infissi in legno, non più grandi dello schermo di un computer. L'ultima parete di quel piano era occupata da una portafinestra che dava proprio sull'oceano e ne permetteva la veduta, come Laura Wright
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in un dipinto. Dal lato della cucina, c'era un tavolino elegantemente imbandito per due. «È tutto magnifico!» esclamò Francesca. «Sei riuscito a sfruttare questo spazio in modo davvero eccellente.» «Grazie. L'ho fatto con amore. Da piccolo venivo sempre a rintanarmi qui al faro, quando ne avevo la possibilità. E quando a Llandaron non è più servito per il suo uso originario, l'ho trasformato in casa mia.» Maxim si avvicinò al tavolo e le porse una sedia. «Mi permetti?» le chiese con un sorriso sarcastico. «Prometto che non la scosterò un attimo prima che tu ti segga.» Lei lo guardò ed entrambi risero. «Lo apprezzo molto.» L'intero scenario era quasi surreale, quel tavolo per due di fronte all'oceano, un principe come commensale, Francesca dovette sforzarsi di tornare con i piedi per terra, ricordando chi era e da dove veniva. Anche se aveva accanto un principe, lei non era certo una principessa. Mentre era immersa in questi pensieri, come dal nulla si materializzò una cameriera dal sorriso gentile che portò in tavola diversi vassoi di cibo. Dopo aver ringraziato la donna, Francesca si voltò verso Max. «Hamburger, patatine e birra...?» Lui addentò una patatina e le fece l'occhiolino. «Ho pensato che potessi sentire un po' di nostalgia la prima sera lontano da casa, così ho fatto preparare un autentico pasto americano.» Lei rise di gusto e si sistemò il tovagliolo in grembo. Non poteva credere di essere arrivata a Llandaron per mangiare panini e patatine. «Se preferisci qualcosa di analcolico, ho anche della soda di là» precisò Max con premura. «No, la birra andrà benissimo. Grazie.» Mentre lui cominciava a mangiare il suo panino di alta cucina, Francesca si soffermò un istante a guardarlo. In quel momento non era tanto diverso da uno dei tanti ragazzoni americani, tutti salute e football. Solo che, invece, era un nobile di sangue blu, un vero principe, e lei avrebbe fatto bene a imparare a controllare i propri sentimenti e le emozioni in sua presenza, altrimenti... «Qualcosa non va, dottoressa?» le domandò lui. Francesca sollevò lo sguardo verso i suoi occhi, trasalendo. «Prego?» «Non stai mangiando e mi è parso che avessi qualcosa da dire.» Qualcosa da dire, già... Lei optò per un tipo di conversazione più Laura Wright
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rilassato. «Sei mai stato in America, Altezza?» «Oh, molte volte. Ci sono molte delle mie compagnie negli Stati Uniti.» «Sul serio?» Era sorpresa. «Be', Francesca, io lavoro. Essere figlio di un re non vuol dire non sentirne il bisogno, anche se non se ne ha la necessità. Le mie compagnie si occupano di sistemi di purificazione di aria e acqua per uffici e alberghi. Sono sempre stato molto interessato a trovare un modo per garantire alla gente ambienti di lavoro o di svago più sani possibile, credo di aver avuto questa idea fissa fin da ragazzino. Strano, forse, per un adolescente, eppure era così. Immagino che anche tu abbia cominciato a sognare di fare la veterinaria molto presto, no?» Lei bevve un sorso di birra e annuì. «Da quando per la prima volta ho visto un cucciolo di scoiattolo ferito a causa di una trappola. L'ho liberato e l'ho curato e, so che può sembrare assurdo, ma da allora sono sempre venuti animali feriti nel mio cortile.» «Si era sparsa la voce nel regno degli animali.» Lei annuì. «Una cosa del genere. Sono convinta che in qualche modo loro sapessero che io ero lì per aiutarli.» «Certo, infatti.» Le parole di Max erano prive di qualunque inflessione canzonatoria, di solito Francesca era abituata a sentirsi prendere in giro quando raccontava quella storia. Le davano della matta e ridevano di lei. Dennis lo aveva sempre fatto e non aveva mai capito come lei si sentisse a proposito di quella reminiscenza d'infanzia. Il principe prese un mucchietto di patatine e le ricoprì di ketchup. «Quindi, dopo la scuola ti sei iscritta a veterinaria all'università e poi...» «Poi Dennis mi propose di lavorare con lui.» «Dennis?» «Il mio... be', è un carissimo amico. È davvero un brav'uomo, il migliore che conosca.» Perché aveva omesso di dire che Dennis era praticamente il suo fidanzato? «Lui» proseguì, «lui è molto bravo con gli animali, ha senso pratico ed è molto efficiente.» «Sembrerebbe un tipo noioso...» Fran scosse il capo. «No, non lo è. Lui è...» «Lo so, ho capito» disse Max. «Ha senso pratico ed è efficiente.» Lei gli lanciò un sguardo di sottecchi. «Non tutti gli uomini devono essere ricchi, belli e avere sangue blu per risultare attraenti, Sua Altezza.» Quei micidiali occhi azzurri la fissarono illuminati da un lampo. Laura Wright
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«Quindi, pensi che io sia bello?» In quel momento Francesca avrebbe pagato qualunque cosa per non trovarsi dove si trovava, per non guardarlo negli occhi. Ma lo sguardo di lui era una calamita e lei non era in grado di resistergli. Avrebbe avuto voglia di riempirsi la bocca con il panino, ma ormai era troppo tardi, aveva già parlato e comunque non aveva più fame a quel punto, non fame riguardo al cibo, in ogni caso. Avrebbe dovuto allontanarsi da lui il più rapidamente e definitivamente possibile, avrebbe dovuto andare lontano da quelle labbra sensuali, da quelle braccia, quelle mani, da tutta quell'aura di magia che lo circondava. «Be', credo proprio di essere sazia» dichiarò alla fine, alzandosi. «Sono molto stanca. Il volo è stato lungo e la giornata pesante, non credo che riuscirei a restare a lungo lontana dal letto e...» Francesca si fermò, rendendosi conto di quello che aveva appena detto. Max sogghignò, come al solito. «Ti riaccompagno a palazzo» disse. «Credo che riconoscerò la strada, devono essere passate le sette da un bel po', perché la nebbia è del tutto scomparsa.» Ma Maxim era un principe, un gentiluomo, e l'accompagnò comunque. Non fino alla camera, grazie al cielo, infatti lei non sapeva se in caso contrario sarebbe riuscita a tenere a bada i propri istinti. «Hai intenzione di sposarla?» Maxim aveva appena dato la buonanotte a Francesca, nella stessa hall in cui la serata era cominciata. Era scombussolato, sentiva il disperato bisogno di qualcosa che non avrebbe dovuto desiderare e neanche guardare, non era proprio dell'umore adatto per fare conversazione con suo padre. Ma non poteva certo passargli davanti e ignorarlo, quindi si fermò sull'ingresso della biblioteca e osservò il re accomodato sulla sua poltrona preferita. «Se ho intenzione di sposare chi?» «La duchessa di Claymore.» «No.» Una sola giornata trascorsa con quella donna era stata più che sufficiente a chiarirgli le idee. Il re sospirò e si sistemò sulla poltrona. «Devo proprio ricordarti del nostro patto?» I muscoli della mascella di Maxim si tesero. «No.» «Undici mesi fa eravamo seduti proprio qui in biblioteca e parlavamo Laura Wright
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dell'importanza che entrambi gli eredi al trono fossero sposati. Ricordi? Abbiamo stabilito un accordo, poiché non mi piaceva l'idea di costringerti a fare qualcosa contro la tua volontà. Ti ho dato un anno intero per cercarti una moglie e ricordo chiaramente che tu hai acconsentito senza discutere.» Il re si tolse gli occhiali da lettura e fissò il figlio con intensità. «Adesso ti resta soltanto un mese, Maxim. Se non troverai una donna da sposare per conto tuo entro quella data, giuro che la troverò io per te. È ora che tu prenda sul serio il tuo ruolo in questo regno.» «Non ho ancora incontrato nessuna con cui potrei pensare anche vagamente di sposarmi, padre» disse il principe con estrema calma. «Ma suggerisco di interrompere questa conversazione prima che entrambi perdiamo la serenità.» «Non ho intenzione di interromperla, figliolo, mi dispiace. Ho avuto per te tutti i riguardi del caso. Tuo fratello è sposato da cinque anni, ormai, e non ha avuto alcun erede. Qui si tratta di responsabilità serie e tu lo sai bene, si tratta delle cose che devi a questo paese. Se davvero lo ami come dici e hai sempre detto, devi rispettare le regole.» Dopo un brivido di rabbia pura, Maxim prese a fissare l'uomo che gli faceva vedere rosso, l'uomo che amava e rispettava sopra tutti gli altri, l'uomo che aveva avuto la fortuna di innamorarsi della donna che poi era diventata la sua regina. Come poteva, quell'uomo, suo padre, aspettarsi che suo figlio avesse una vita non altrettanto felice della propria, si domandava. Aveva ragione riguardo alle sue responsabilità verso Llandaron, ma come poteva rinunciare alla propria libertà? No, quello sarebbe stato un sacrificio troppo grande. Cinque anni prima, quando suo fratello Alex si era sposato, Maxim aveva pensato di essere libero da doveri e responsabilità e di non essere costretto a sposare una donna di cui non gli importasse nulla. In fondo, Alex era il primogenito, a lui toccavano molti più diritti, era giusto avesse anche qualche dovere in più. Tuttavia, quando dopo tre anni di matrimonio Alex e sua moglie non avevano avuto eredi, lui capì che cosa gli sarebbe toccato in sorte. Avrebbe dovuto sposarsi al più presto per dare a Llandaron un erede al trono. Suo padre, il re, aveva cominciato a insistere molto su quel punto, presentandogli nobili insipide e di alto lignaggio a ogni occasione, ufficiale o no. Alla fine, il re aveva concesso al figlio un anno di tempo per cercarsi una moglie di suo gusto. Ma ormai mancava poco allo scadere di quel Laura Wright
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termine e il principe scapolo non aveva incontrato nessuna donna che avesse attirato la sua attenzione. Almeno non fino a quella mattina, quando la dottoressa Francesca Charming aveva fatto il proprio ingresso nelle scuderie reali. Le parole di lei sulla possibilità e la necessità di scegliere e dirigere la propria vita gli risuonarono nelle orecchie. Per un istante Maxim si domandò come suo padre avrebbe visto una veterinaria di Los Angeles come madre del futuro re di Llandaron, ma scacciò subito quel pensiero. Non era proprio il caso di pensare a certe cose, era il matrimonio in sé che proprio non attirava il principe. Eppure, una decisione doveva essere presa in ogni caso. Con improvvisa determinazione, si rivolse al re. «Padre, fra tre settimane, allo scadere del patto, porterò la mia futura moglie a corte. Lo prometto.» Se non altro, per quella sera la faccenda era da ritenersi chiusa.
Capitolo 3 CON LA LUCE di mezzogiorno che le brillava sul folto pelo grigio, Glinda sollevò i suoi occhioni marroni verso Francesca. «Non lascerò che succeda niente di male a te o ai tuoi piccoli, sta' tranquilla» le bisbigliò la giovane veterinaria, accarezzandola dietro le orecchie. Subito Glinda si rilassò e chiuse gli occhi, appoggiando il muso vicino alla ragazza. Lei avrebbe tanto voluto distendersi accanto al cane e dormire un po' per recuperare parte del sonno perduto la notte precedente. Immagini di castelli e principi, di fari e di teiere di cartoni animati che intonavano motivetti d'amore avevano riempito i suoi pensieri da mezzanotte all'alba. Poi, subito dopo il sorgere del sole, era piombata in un sonno profondo e senza sogni. Quando si era svegliata nell'enorme letto a baldacchino, erano quasi le otto. Subito dopo il risveglio era sgattaiolata nelle scuderie e vi si era trattenuta tutta la mattina, con la sua paziente. Non era comunque abituata a dormire fra lenzuola di seta e federe di satin. Francesca era il tipo di ragazza che indossava pigiami di flanella con piccoli disegni di animali, mai niente di più raffinato. «Come sta la sua paziente, oggi, dottoressa?» Laura Wright
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Francesca trasalì e per poco non rovesciò la ciotola dell'acqua che era andata a riempire per Glinda. Non c'era da stupirsene, quella voce bassa e suadente l'avvolgeva come un mantello fatato. Il principe Maxim se ne stava in piedi sull'ingresso della stanza di Glinda, vestito di jeans, camicia bianca e maglione scuro. Quel suo sorriso sicuro fece arrossire le guance di lei. «Questa mattina mi sembri un po' nervosa, dottoressa» disse lui, poi si avvicinò a Glinda e prese ad accarezzarla. Francesca lo guardò mentre si chinava, con i pantaloni che gli aderivano sempre più ai muscoli delle gambe e a quel suo veramente regale didietro. «Lei invece è un po' impertinente, come al solito, Sua Altezza.» Maxim la guardò da sotto in su. «Solo un po'?» «Be', stavo provando a essere gentile. Sai, per il fatto che da queste parti tu sei il sovrano, eccetera eccetera.» «Tecnicamente, non sono io il sovrano. È mio padre. Ma ho colto il punto.» Si alzò e si diresse verso di lei, negli occhi gli brillava un lampo divertito. «Temo di averti bloccata qui in una situazione compromettente.» «Non ho certo paura di te, Altezza» si affrettò a dire lei per nascondere l'evidente contrario. «Anche se dovessimo restare chiusi qui da soli e...» «E chi ha detto che siamo soli?» sogghignò Max ostentatamente. Lei si guardò le spalle e le sue gambe divennero ancora più deboli. Perché diavolo diventava come gelatina, quando c'era lui? Non era giusto, lui restava pienamente padrone di sé e lei, invece, che di solito era in grado di controllare anche il minimo aspetto della propria vita, diventava come una ragazzina adolescente in preda alle bizze dei suoi ormoni. «E allora» dichiarò Maxim, sollevando un sopracciglio, «che ne dici di pranzare insieme?» Lo sguardo di Fran si diresse verso il levriero. «Penso che dividerò un'appetitosa ciotola di pappa con Glinda.» Il principe osservò il cibo con attenzione. «Mmh... sembrerebbe una delle ricette speciali di Charlie.» «Infatti. Ha portato qui il cibo proprio poco prima che arrivassi.» Max annuì. «Già, carote, pollo...» «Sembra proprio invitante.» «Fegato...» «Okay, forse ora lo sembra un po' meno» ammise Francesca, con un sorriso divertito. Laura Wright
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Lui era a pochi centimetri da lei e il calore del suo alto, possente fisico saturava i sensi di Francesca. Quegli occhi azzurri le si posarono prima sui capelli e sulla bocca, infine sul viso per incontrare il suo sguardo. «Che ne dici di formaggio, pane appena sfornato e qualcuna delle famose ostriche affumicate di Llandaron?» le propose. Frustrata per essere ancora una volta rimasta senza fiato sotto gli occhi magnetici di lui, lei si allontanò di qualche passo. «Intendi al posto del fegato?» gli chiese. Un sorriso dolce si disegnò sulle labbra di Maxim. «Scommetto che sei qui da molte ore ormai, dottoressa. Non credi che, per il tempo di un pranzo, Glinda starà bene anche da sola?» «Immagino di sì» affermò lei in un soffio, cercando di allontanarsi ulteriormente da lui. «In effetti ho delle letture da fare, devo terminarle, sono cose interessanti, trattano il granuloma canino causato dal leccarsi ripetuto. È una patologia più frequente di quanto si possa pensare, sai?» «Oh, be'» disse lui, assumendo un'aria ironica che voleva fingersi solenne. «Non so se posso competere con tale alternativa.» «Hai per caso letto l'ultimo numero della rivista veterinaria in cui si discuteva l'efficacia della terapia farmacologica usata al posto delle museruole?» «Temo proprio di no. Ma in cambio posso offrirti un picnic sulla scogliera di Llandaron a picco sull'oceano, seguito da una visita al negozio di caramelle toffee in centro.» Francesca spalancò gli occhi e la bocca. «Negozio di caramelle?» Erano sempre state la sua passione e aveva letto che lì se ne facevano di eccezionali. «Ti interessa?» Francesca sospirò. Ormai aveva perso, era stata sconfitta. Era come se il paradiso e l'inferno stessero entrambi complottando contro di lei. Volevano sconfiggere il lato razionale e realistico della dottoressa Charming, per indurla a cedere alle lusinghe di quell'uomo e di quel luogo fantastici. Certo che era interessata a quanto il principe le aveva offerto, ogni sua proposta era sempre speciale e meravigliosa. Ma quali potevano essere le conseguenze di ore piacevoli da trascorrere insieme a lui? Altre occhiate bollenti, altre battute pungenti, l'accrescersi del desidero reciproco, la perdita totale di quel controllo di cui lei sembrava completamente priva in presenza di lui? Laura Wright
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Come avrebbe potuto controllare un'attrazione che sembrava incontrollabile? Forse ricordando della sua ultima esperienza amorosa, quella con l'irresistibile rubacuori poco di buono? Francesca si sentì di colpo risoluta e decisa. «No, grazie. Non mi interessa.» «Qualcosa mi dice che tu pensi troppo, dottoressa.» Dopo un'osservazione tanto acuta, lei distolse lo sguardo e tornò alle rassicuranti certezze che le competevano, andando a sedersi accanto a Glinda. Eppure la curiosità ancora una volta ebbe la meglio su di lei. «Posso chiedere a Sua Altezza perché fa tutto questo? Io non sono un ospite o niente del genere, sono solo un'impiegata pagata.» Avvertendo il bisogno di fare qualcosa, Francesca si alzò e andò a cambiare l'acqua, che aveva appena cambiato, per il cane. «Voglio dire, non hai da lavorare?» «Ho sempre del lavoro da fare» rispose lui, secco. «Proprio come te, potrei dedicare giornate intere unicamente al lavoro.» Vuotando l'acqua pulita nel lavello, lei lanciò un sospiro. «Ho capito quello che vuoi dire, ma se Glinda avesse bisogno di me proprio mentre sono via?» «Dirò a Charlie di chiamarmi immediatamente sul cellulare, se ci sarà un problema.» Come ogni uomo sicuro di sé, Maxim aveva sempre la risposta pronta per ogni cosa. «Ma di certo non mi chiamerà. Glinda dovrebbe partorire tra una settimana, giusto?» «È vero, ma...» «Basta con i ma. In fondo, si tratta di un paio d'ore, non di più, te lo prometto.» Lei si morse il labbro inferiore mentre riportava la ciotola al cane. Il principe non avrebbe accettato un no come risposta e, diamine, lei non aveva alcuna intenzione di dirgli di no. «Francesca, sei in una terra incantata.» Lei lo guardò e colse un lampo di sfida nei suoi occhi. «Hai possibilità di scelta» riprese lui. «Puoi scegliere di goderti questo soggiorno e di lasciarti un po' andare, una volta tanto. Non sprecare tutto.» «Ascolta, Max» ribatté lei, «non so che cosa credi di sapere su di me, ma io non sono tipo da sprecare un bel niente.» «Felice di sentirtelo dire.» Con il sorriso stampato sul volto bello e affascinante, lui le offrì il braccio, come un cavaliere uscito da una favola medievale. «Ho già preparato tutto quello che ci servirà, è in macchina. Laura Wright
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Andiamo?» Dentro di lei, l'euforia ruggì come un leone tenuto in gabbia per molto tempo che finalmente vedeva la possibilità di essere liberato, se non altro per qualche ora. Ma Francesca non aveva intenzione di lasciare che Max notasse il suo stato d'animo, santo cielo, aveva già abbastanza potere su di lei, non aveva bisogno di ulteriori incoraggiamenti. Per cui gli lanciò uno sguardo fulminante e poi uscì dall'ufficio, superandolo. A mezza voce mormorò una frase irritata. «I principi, tutti uguali! Riescono sempre a ottenere ciò che desiderano, alla fine.» Per sedurre la bella dottoressa, pensò fra sé Maxim dopo aver parcheggiato la macchina, sarebbe stato necessario scalfire quella corazza di resistenza che la ricopriva e farle togliere quelle lenti a infrarossi che indossava di continuo, in favore di un paio di occhiali con i vetri rosa che le rendessero indimenticabile ogni momento che trascorreva con lui a Llandaron. Invece della solita limousine con autista, lui aveva optato per qualcosa di più intimo, prendendo la vecchia Mustang rosso ciliegia su cui aveva lavorato un'estate intera, quando aveva ventun'anni. Era la prima volta che Max portava in giro una donna nella sua macchina. Dopotutto, la Mustang decappottabile del 1965 era sacra. Ma Francesca sarebbe stata la donna che lo avrebbe salvato da una sorte miserabile, per cui lui aveva deciso di fare un'eccezione alla regola. E poi, diavolo, lei era talmente bella in quella macchina: i capelli biondi le ricadevano sulle guance mossi dal vento, la sua risata echeggiava nell'aria quando lui accelerava e permetteva alla brezza del vicino oceano di investirli con le sue folate, che ne valeva senza dubbio la pena. «Non hai bisogno di guardie del corpo o, non so, di una scorta?» chiese Francesca una volta fermi, quando lui le aprì lo sportello per farla scendere. «Infatti ho delle guardie del corpo» assicurò lui. «Sono qui.» Lei si guardò intorno. «Dove?» «Sono qui, anche se non le vediamo. Mantengono la distanza» sogghignò Max. «Come ho chiesto loro espressamente.» «Oh. Ma sorvegliano solo te e basta, oppure anche tutti quelli che ti accompagnano?» Lui sorrise divertito. «Loro pensano a me e io penso a te.» Laura Wright
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«Strano, questa dichiarazione non mi fa sentire affatto al sicuro.» Un lieve rossore ricoprì le guance di lei, mentre il suo braccio si stringeva attorno a quello di lui. Circondati da negozi, parecchi piccoli alberghi e qualche turista che faceva il giro dell'isola in carrozza, Maxim e Francesca erano sotto gli occhi di tutti, proprio come lui aveva programmato, in modo che la notizia del principe in compagnia di una donna sarebbe presto diventata di dominio pubblico e, soprattutto, sarebbe arrivata all'orecchio di suo padre. Ma non c'era nessuno che bisbigliasse in loro presenza, nessuno che li fissasse o li seguisse. E questo accadeva perché i sudditi di Llandaron erano abituati a vedere Maxim in giro e a considerarlo uno di loro. Lui si recava spesso in città, infatti, prendeva una birra al pub con la gente del posto chiacchierando del più e del meno. Erano brava gente e, quando era con loro, il principe si sentiva libero e sereno. Sensazioni che non gli capitava di provare spesso. Anche in quel momento si sentiva in quel modo, ma quelle sensazioni questa volta erano più intense, dovevano dipendere da qualcosa di diverso, o forse da qualcuno di diverso. «Vieni spesso in centro, vero?» chiese Francesca sottovoce. «Questa è casa mia, io vivo qui. È la mia realtà.» «Quindi, niente vita isolata nei castelli e servi come unica compagnia, niente editti...» «Esatto.» Lui le prese la mano e la strinse, e il respiro di lei si fermò per un istante. Alcuni passanti li fissarono di sottecchi, sorridenti. Francesca si schiarì la voce. «Immagino che la tua gente ti ami e sia felice di vederti in giro. La monarchia deve essere proprio importante, qui.» «Non immagini quanto.» Poco lontano, un'anziana fruttivendola si accorse di loro e, distrattasi, lasciò cadere un'intera cassetta di mele. Senza pensarci due volte, Maxim si inginocchiò e cominciò a raccogliere la frutta. Forse, non proprio tutti gli abitanti di Llandaron erano così abituati a vedere il principe passeggiare in città, o forse la novità consisteva nel vedere una donna al suo fianco. «Oh, Sua Altezza» si affrettò a dire l'anziana signora. «Non dovete... Non c'è bisogno che voi... davvero...» «Non si preoccupi» rispose Max, che in pochi istanti aveva rimesso in ordine la cassetta con tutte le mele al proprio posto. La fruttivendola si Laura Wright
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profuse in ringraziamenti e inchini. Dal canto suo, invece, Francesca si limitò a un pallido sorriso. «Perché mi guardi così?» le chiese il principe, mentre attraversavano la strada per arrivare in un punto in cui l'aria era colma di essenza di vaniglia, zucchero e cocco. «Niente. Sono solo colpita.» All'improvviso, lei si fermò e trattenne il fiato. Maxim osservò i suoi occhi che erano colmi di pura, infantile gioia. Stava fissando rapita le vetrine del negozio di caramelle. «Guarda!» esclamò, puntando il dito verso due uomini che caricavano ceste su ceste di caramelle di ogni tipo, in particolare toffee. «Devo entrare lì dentro» disse, e subito dopo si precipitò all'interno del negozio. Prima che lui potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo, Francesca era già dentro a riempire sacchetti di caramelle. Il proprietario del negozio e gli inservienti ridevano con lei del suo entusiasmo e tutti insieme discutevano divertiti di qualcosa che Maxim non poteva sentire. Poi lei lo vide dalle vetrine e lo salutò allegra con la mano. Il principe era ammirato e anche un po' invidioso della complicità che istantaneamente si era stabilita tra Francesca e gli uomini del negozio di caramelle. Gli abitanti di Llandaron potevano essere felici che lui si recasse in città, potevano essere fieri di lui, potevano stimarlo, ma di certo non avrebbero mai scherzato con lui in quel modo spontaneo e genuino. Del resto, lui era l'erede al trono, non veramente uno di loro. «Chi è la ragazza, Altezza?» Maxim si voltò verso il luogo da cui proveniva la voce. Seduto comodamente su una panchina e vestito di abiti vecchi e malconci, c'era Ranen Turk. Vicino ai settanta, l'uomo era un vecchio amico di suo padre, il re. Avrebbe potuto permettersi camicie di seta e una bella villa sul mare, invece preferiva comodi completi di cotone grezzo e un piccolo cottage all'interno del paese. «Lei è la veterinaria venuta dall'America» rispose Max, accomodandosi di fianco a Ranen sulla panchina. «Uhm... e così hai portato il veterinario a fare un giretto in città, eh?» Gli occhi dell'uomo si spalancarono leggermente per la sorpresa. «Non ricordo che tu abbia mai portato nessuna signorina in giro qui, prima.» «Si sta occupando del levriero del re.» Ranen ammiccò. «È una vera bellezza, quella ragazza.» Laura Wright
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Maxim annuì e le labbra gli si piegarono in un sorriso compiaciuto. Ma di colpo l'uomo anziano si fece serio. «Comunque, non mi piace. Non mi piace lei e non mi piacciono gli americani.» Con un gesto che voleva essere di stizza, ma che risultò solo buffo e maldestro, si sistemò le pieghe della giacca malandata, riuscendo a sollevare una quantità notevole di polvere proveniente dalle tasche della stessa. «Ancora non riesco a credere che non vi siate fidati di me per quel dannato cane.» Scrollò il capo e chiuse gli occhi in tono solenne. «Avete dovuto chiamare una straniera.» «Il re voleva uno specialista, Ranen. I levrieri sono molto delicati quando si tratta di partorire, e lo sai benissimo, diamine.» «Io sono uno specialista.» Maxim sorrise. «Certo. Con maiali, oche, polli e capre.» «Be'...» disse il vecchio con tono risentito. «Comunque, lei non mi piace...» «Guarda, ci hanno dato cinque sterline di caramelle, Max. Gratis!» esclamò Francesca, sedutasi sulla panchina accanto a lui. Gli occhi di lei brillavano per la contentezza, come se le avessero appena dato un vasetto d'oro anziché di caramelle. «Veramente le hanno date a te, Francesca. Dovevi piacergli molto.» «Ammetto che di solito non mangio dolci» proseguì lei, «o farina bianca o verdura in scatola, è vero. Ma in quel negozio sono stati talmente gentili e poi non ho mai mangiato caramelle più buone e non ho...» Ranen assunse un'espressione disgustata che accompagnò con un'esclamazione di dispetto. Solo in quel momento Francesca si rese conto del fatto che Max non fosse solo. «Le chiedo scusa, sono stata molto maleducata con lei, signore. Non l'avevo vista.» Poi sorrise e tese la mano all'uomo. «Molto lieta, sono Francesca.» Lui alzò gli occhi al cielo. «Francesca» si affrettò a dire il principe, «questo è Ranen Turk. Il veterinario del paese.» «Mi prendo cura di tutti gli animali che vivono qui. A parte dei cani, a quanto pare. Non ho una laurea come lei, signorina. Ho imparato tutto sul campo.» «Ho sempre pensato che la vita fosse la migliore maestra» replicò lei, stringendo con entusiasmo la mano dell'uomo. «Sono molto felice di Laura Wright
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conoscerla, dottor Turk.» «Vorrei poter dire lo stesso di lei, signorina.» «Ranen, ma che diavolo, insomma! Ora esageri.» Maxim era furioso. Dopo un tale insulto, si sarebbe aspettato che la ragazza fosse arrossita e non avesse detto più niente e che avesse inventato una scusa per tornare subito nel negozio, o qualunque cosa, pur di allontanarsi da quel vecchio. Ma Francesca non fece niente del genere, anzi sorrise a Ranen e si spostò per sedere accanto a lui. «Lo sa, dottor Turk, lei mi ricorda moltissimo mio nonno.» Lui quasi sobbalzò. «Com'è possibile?» chiese brusco. «Be', era un bell'uomo, molto intelligente e capace.» Poi abbassò il tono della voce. «Però, a volte era adorabile quanto una piaga verminosa.» Max si fece sfuggire una risata e poi guardò Ranen. La bocca dell'uomo era aperta come se fosse stato sul punto di dire qualcosa, ma non disse nulla. Dopo qualche istante, la stessa bocca si piegò in una specie di sogghigno ironico. «Forse mi sono sbagliato su questa ragazzina, Sua Altezza» disse poi. Francesca sorrise. «Be', le sono molto grata per il ripensamento, dottor Turk.» Il vecchio sollevò un sopracciglio. «Ho solo detto che forse mi ero sbagliato, ragazzina. Non andare a sbandierare in giro cose non vere.» Un lampo di allegria si riflesse negli occhi di Francesca. «E va bene. Prometto che terrò il suo commento per me, non lo rivelerò a nessuno.» Sollevò verso di lui uno sguardo limpido e sincero. «So che lei dev'essere molto impegnato, ma mi piacerebbe molto discutere un po' con lei degli animali di Llandaron. Scommetto che sa tutto di ogni tipo di animale da cortile e avrebbe un bel po' di cose da insegnarmi.» Poi si chinò più vicino a lui e gli bisbigliò: «Lo sa che ha un'aria proprio saggia, dottor Turk?». «Sì, lo so, ragazzina. Me l'hanno detto molte volte» rispose lui con un tono vagamente borioso, rimettendosi il cappello di paglia sfilacciata che si era tolto poco prima. Poi le indirizzò il più cordiale dei suoi sorrisi, una specie di ghigno che gli piegava le labbra da un lato. «Sarai la benvenuta in casa mia quando vorrai. E, comunque, chiamami Ranen.» Francesca gli strinse nuovamente la mano e Maxim ne fu ancora più colpito, poiché di solito il vecchio era considerato più o meno alla stregua di uno dei tanti animali da fattoria di cui si occupava, aveva sempre l'aspetto di chi si fosse appena rotolato nel fango. Laura Wright
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Il principe scosse il capo divertito, non riusciva a credere ai propri occhi. L'uomo più burbero e bisbetico del paese stava sorridendo, con i suoi tre denti superstiti in bella mostra, a una giovane di Los Angeles che solo pochi minuti prima aveva giurato di detestare. Quella donna aveva un fascino ancora superiore a quanto lui avesse immaginato. E, che Dio lo proteggesse, non vedeva l'ora di scoprire quante altre doti nascoste possedesse. Francesca guardava le onde infrangersi sulla scogliera a picco sotto di lei, desiderosa di camminare sulla spiaggia e di tuffarsi nell'acqua. Aveva sempre amato il mare, ma ora le sembrava di scoprirlo per la prima volta. Tutto era nuovo e più emozionante a Llandaron. Dopo solo poche ore trascorse in giro per la città, le pareva il posto più bello e magico che avesse mai visto. Erano molti anni che non trascorreva il tempo in modo così piacevole, tanto che ogni ora le sembrava scorrere più in fretta di un minuto. Era come se fosse tornata bambina, ma con le capacità cognitive di una donna adulta. Per quel giorno si era lasciata andare e aveva incontrato la parte più sincera e nascosta di se stessa. «Una caramella per i tuoi pensieri» scherzò lui. Lei gli sorrise al di là della tovaglia da picnic. «Cerca di essere più realistico, Max, avrò già divorato una tonnellata di caramelle, finora.» Lui le sorrise di rimando, incollando quei mortali occhi azzurri nei suoi con tale intensità che lei pensò di morire. In fondo, Max era un principe ed era normale che provocasse un effetto del genere nelle donne. Si comportava da uomo comune e come tale voleva essere visto e giudicato, ma quella non era la verità. Per qualunque ragazza sarebbe stato fin troppo facile cadere nella trappola di quegli occhi. Appoggiando la schiena contro un albero, Maxim diede un morso alla coscia di pollo che aveva fra le mani. «Piaci molto alla mia gente, Francesca, lo sai?» «E loro piacciono a me. Soprattutto Ranen» aggiunse con un sorrisetto. Con un sospiro, poi, tirò le ginocchia al petto e vi appoggiò la testa con lo sguardo rivolto verso le onde. «Vi conoscete molto bene?» «Mio padre era figlio unico» cominciò Max, guardando anche lui verso l'oceano. «È cresciuto completamente solo, fino a quando non ha conosciuto Ranen. Ranen lavorava con gli animali fin da quando era un ragazzino e veniva a palazzo per controllare una mucca troppo grassa o Laura Wright
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una gallina che non voleva covare, insomma cose del genere. Quando aveva finito con il suo lavoro, lui e mio padre se ne andavano in giro a passeggiare fino al tramonto. Diventarono inseparabili. Infatti, ancora oggi, si vedono almeno una volta alla settimana per giocare a carte o semplicemente per fare due chiacchiere.» «E per te cos'è Ranen?» «Per me è la persona più vicina a uno zio che abbia mai avuto» Max si fermò e lei scorse nei suoi occhi un'ombra di malinconia. «Quando mia madre morì, lui aiutò moltissimo noi tutti a superare il dolore. È parte della famiglia.» Pensierosa, Francesca ripose la sua coscia di pollo. Anche se avrebbe voluto sapere tutto di lui, conoscerlo, decise di non chiedergli niente di sua madre, di come e quando fosse morta e di come la cosa lo avesse colpito. Per cui cambiò argomento. «Qui è così diverso da Los Angeles» riprese. «In che modo?» «Be', a parte l'ovvia mancanza di traffico, smog e violenza, tutti sembrano tenere al proprio vicino. È come... come una grande famiglia.» «Parli come Catherine.» Ogni più piccolo muscolo del corpo di Francesca si tese e si contorse. Chi diavolo era Catherine? La gelosia era un sentimento che lei aveva sempre cercato di evitare come la peste. Max era un gentiluomo, l'aveva portata in giro per essere gentile, perché era una straniera nella sua terra. Quelle cose, l'ospitalità, non c'entravano niente con il romanticismo, anche se a lei sarebbe piaciuto pensare il contrario. E comunque, se per assurdo ci fosse stato un momento rosa fra di loro, lei non avrebbe dovuto perdere la testa. Eppure non poteva resistere senza sapere. «Chi è Catherine?» chiese alla fine. «È mia sorella.» «Oh» disse Fran, senza riuscire a evitare di emettere un sospiro di sollievo. Lui naturalmente se ne accorse, non gli sfuggiva mai nulla, e lei arrossì di conseguenza. «Quindi, tu non sei figlio unico?» «No. Ho un fratello e una sorella.» «E vivono qui?» «Mio fratello e sua moglie vivono a palazzo, ma attualmente sono in Giappone.» Laura Wright
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«In vacanza?» «In visita all'imperatore.» «Sarebbe stata la mia seconda ipotesi.» Lui sorrise. «Mia sorella è in giro per conto della famiglia. Visita ospedali, raccoglie fondi per associazioni benefiche e cose simili.» «Si dà da fare, eh?» «Non ne hai idea.» Anche lei rise. «Mi piacerebbe conoscerla.» «Dovrebbe andare in California all'inizio dell'estate. Forse vi conoscerete allora.» «Già, forse.» La sola idea di lasciare Llandaron la rendeva triste. Perso completamente l'appetito, Francesca appoggiò la vaschetta di verdure che aveva da poco cominciato. Stava proprio impazzendo, oppure il castello, quell'atmosfera e il mare con le sue scogliere le avevano fatto un incantesimo. «Stai pensando a Darren?» Lei gli rivolse un'occhiatina di rimprovero bonario. «Dennis. Si chiama Dennis.» «Giusto.» «Per la verità, stavo pensando a questo tuo bellissimo paese. È quasi troppo bello per sembrare vero, lo sai?» Lo sguardo di lui si spostò sulle morbide labbra di lei. «Sì, lo so.» Francesca si irrigidì e si impose di restare vigile. Lei non era una creatura che cedesse facilmente agli istinti, non lo era mai stata, non era quello il suo modo di comportarsi. Eppure, quando c'era Max nei paraggi, non poteva distrarsi un attimo. Ogni pensiero su di lui era sempre un pensiero lascivo e sensuale. Magari, se fossero stati un ragazzo e una ragazza qualunque, non ci sarebbe stato niente di male in quegli sguardi non proprio casti che ogni tanto si scambiavano, ma lei aveva ricevuto una proposta di matrimonio da poco e la stava ancora valutando, mentre lui era un principe e aveva delle precise responsabilità nei confronti di molta gente. Era in quel modo che stavano le cose. «È proprio ora di andare, Max» disse infine. Lui non si mosse di un centimetro. «Hai già baciato questo Derek, Francesca?» Il cuore di lei prese a battere all'impazzata, sembrava che dovesse Laura Wright
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scoppiarle. Ma riuscì a restare esteriormente calma. «Si chiama Dennis.» I loro sguardi si incontrarono. «Non hai risposto alla mia domanda» sottolineò lui. «Certo, perché non sono affari tuoi» ribadì lei. «Vero.» Francesca annuì. Le farfalle nel suo stomaco stavano cominciando ad avere il mal di mare a furia di agitarsi in quel modo. «Adesso credo sia meglio se ce ne andia...» Non riuscì a terminare la frase. Si trovò improvvisamente sdraiata sulla schiena, con la coperta di lana che le pizzicava il collo e il corpo ricoperto dall'impeto di un principe molto sexy. Incerta su ciò che provava, ma presa da un'urgenza che non riusciva a controllare, Francesca guardò Max dritto negli occhi. La bocca di lui era a un soffio dalla sua, poi le mani grandi e tiepide di lui le carezzarono il viso. Oh, quello sguardo. Rabbrividì, dimenticò chi fosse e a quale mondo appartenesse. La passione riempì gli occhi di Max e lei lo sentì su di sé, caldo e pronto. Dalla bocca di lei fuggirono brevi e veloci sospiri che dimostravano la fretta dell'attesa, la necessità del desiderio, l'intensità dell'emozione di quel momento. Infine, chiuse gli occhi e ottenne esattamente ciò che chiedeva da tempo: le labbra di lui, bollenti e bramose che si schiudevano sulle sue. Max tormentò la sua bocca con piccoli baci fino a quando entrambi non si immersero in un lungo, infinito bacio voluttuoso. Al contatto con la sua lingua, Francesca sentì le proprie membra liquefarsi, e mentre lui continuava ad accarezzarla dolcemente, sentì lo stomaco invaso da un calore irresistibile e lo abbracciò con entrambe le braccia, mentre le sue dita si perdevano tra i folti e scuri capelli di lui. Era talmente persa in emozioni e sensazioni diverse, che tutto ciò che riuscì a mormorare fu: «Max, ti prego...». Poi arrivò con le mani a sfiorarlo... intimamente. Lui emise una specie di ruggito sordo e si spostò da lei. Attraverso una folta nebbia di desiderio, Francesca lo vide allontanarsi di pochi centimetri e posizionarsi sopra di lei con le mani su ciascun lato del suo corpo, le mascelle contratte e gli occhi traboccanti di eccitazione. «Ho desiderato farlo dal primo istante in cui ti ho vista» le disse. «Per essere onesta, anch'io» rispose lei in un sussurro. Laura Wright
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La mente di Francesca in quel momento procedeva di pari passo con i suoi sensi e non c'era nient'altro che desiderasse al mondo al di fuori di lui. Ma averlo poteva e doveva restare solo una fantasia per lei. Max aveva un paese da governare, mentre le uniche volte che lei aveva indossato una corona era stato alle feste in maschera, quando era una bambina. Erano due mondi a parte, separati. Appartenevano a realtà inconciliabili. Il suo posto era in America, a Los Angeles, nella clinica veterinaria in cui lavorava con Dennis. Risoluta, Francesca si alzò e guardò Max negli occhi. «Non possiamo più vederci. Non più.» «Perché no?» «Sai benissimo perché.» «No, non lo so.» «Smetti di scherzare, Max» sospirò lei. «Per le prossime due settimane dobbiamo ignorarci.» «Due settimane» ripeté lui con studiata lentezza e con un tono che avrebbe fatto sciogliere anche i ghiacciai eterni. «Lo sai che non riuscirai a starmi lontano neanche per due giorni.» Francesca lo guardò con gli occhi spalancati. Come osava, lui, arrogarsi il diritto di parlarle in quel modo? Eppure era la verità ed entrambi ne erano ben consapevoli. «Noi due non siamo fatti per restare lontani a lungo, mi pare chiaro, ormai. C'è qualcosa di fisico e molto forte che ci lega.» In quel momento, dalla tasca della camicia di lui provenne un suono aspro e metallico. Max si mise seduto ed estrasse il telefono cellulare. «Sì? Pronto, Charlie? Come? Ne sei sicuro?» Poi guardò Francesca e assunse un'aria decisa. «Saremo lì in dieci minuti.» «Che è successo?» chiese lei, in ansia. «Dobbiamo far presto. Glinda è in travaglio.»
Capitolo 4 L'OROLOGIO DELLE scuderie reali segnava le dodici in punto. Mezzanotte. Maxim andava avanti e indietro fra la stanzetta in cui era alloggiata Glinda, chiamata la stanza dei piccoli da Francesca, e la hall principale delle stalle. Portava borse dell'acqua calda e coperte già da un pezzo. Quelle che nel pomeriggio Charlie aveva scambiato per doglie, erano Laura Wright
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state solo le primissime avvisaglie dell'imminenza del parto. Tuttavia, aveva ritenuto opportuno in ogni caso interrompere il picnic del principe e della veterinaria, ed entrambi gli avevano assicurato di aver fatto la cosa giusta. In realtà, Maxim aveva provato un profondo senso di frustrazione nel dover interrompere un incontro tanto intenso e dolce. Ma si era ripromesso che quel bacio bollente con Francesca non sarebbe stato l'ultimo. E avrebbe dato un seguito alla faccenda, se fosse riuscito a controllare la situazione, cosa che di solito gli riusciva alla perfezione. Si fermò sulla soglia della stanza ad ammirare la bellezza di Francesca. Lei se ne stava seduta a terra con le gambe incrociate, proprio accanto al comodo giaciglio di Glinda. Il modo in cui lo aveva baciato sulla scogliera, con la schiena poggiata alla coperta e il petto premuto contro quello di lui, quel momento, era stato quasi come fare l'amore sul serio. E lui ripensò con un sorriso a come, dopo essersi lasciata andare completamente, lei si era d'improvviso ricomposta, cercando di negare con se stessa la profondità di quello che c'era stato fra loro. La dottoressa Charming sarebbe stata in grado di controllare i propri impulsi nei suoi riguardi solo fino a quando avesse temuto di compromettere le apparenze, soprattutto quelle di lui nei confronti della sua gente. Un'ondata di calore lo invase e l'immagine mentale di lei sotto di lui, selvaggia e senza freni, lo fece fremere. Quelle splendide labbra piene, quegli occhi color del bronzo in cui un uomo avrebbe facilmente potuto perdere la ragione... Il russare di suo padre, che era addormentato su di una poltrona in un angolo della stanza, riscosse Max dalle sue fantasie per fargli riprendere il posto di assistente veterinario. Già diverse ore prima, Francesca gli aveva detto che la sua presenza non era necessaria perché certa di sapersi destreggiare bene in quella situazione anche da sola. Ma lui aveva insistito per restare. Voleva guardarla lavorare, voleva guardarla e basta. Le si avvicinò senza far rumore per non disturbare né suo padre né Glinda. «Come sta andando?» le chiese sussurrando, riferendosi al cane. «Ogni tanto ha delle contrazioni, ma vanno e vengono. La temperatura è giusta, direi che ci siamo quasi.» Glinda aveva un aspetto stanco e confuso, eppure, in qualche modo sembrava felice della presenza di Francesca al suo fianco, aveva capito che Laura Wright
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era lì per aiutarla. Con i capelli biondi dietro le orecchie e le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, lei accarezzava il ventre del levriero, bisbigliando amorevolmente per rassicurarla. «Ti aspetti qualche complicazione?» le chiese Maxim. Francesca spostò la mano dallo stomaco di Glinda. «È parte del mio lavoro essere pronta a tutto e, come sai, i levrieri possono avere travagli lunghi e difficili.» Appoggiate le borse dell'acqua calda e le coperte sul tavolino dietro di sé, Max annuì. «Hai fatto nascere molti cuccioli di questa razza?» «Ho assistito molte volte le mamme in attesa, ma, di solito, se non ci sono problemi, fanno tutto da sole.» Poi sollevò le mani e agitò le dita. «Non preoccuparti, se sarà il caso, vedrai con i tuoi occhi che il re ha assunto un paio di mani molto competenti.» «Sì, ne sono sicuro.» D'impulso, Maxim le prese le mani tra le sue. «Mani belle e competenti.» Francesca sollevò lo sguardo per incontrare quello di lui. Anche se la sua espressione era seria e professionale, i suoi occhi ardevano di passione. Rapida come un felino, sottrasse le mani dalla morbida stretta di lui, tornando a rivolgere tutta l'attenzione a Glinda. Il levriero intanto si alzò per qualche istante e fece un rapido giro della stanza per tornare, poco dopo, a stendersi sulla sua brandina. Il respiro le si fece di colpo più affannoso e lo sguardo divenne più sgomento. Poi, senza preavviso, lanciò un forte guaito. Alle spalle di Francesca e Maxim, si fece avanti il re, ridestatosi in quel momento. «Come sta, dottoressa?» «Ha altre contrazioni, Sua Altezza» gli rispose Francesca. Maxim le indirizzò un'occhiata incerta. «Ed è un bene...?» «Lo è, se continua.» Per i successivi dieci minuti, i tre osservarono con apprensione Glinda che ansimava vistosamente, che si alzava, guaiva, si distendeva di nuovo e si rigirava inquieta. Poi, come le onde di un piccolo oceano, la parte inferiore del corpo di Glinda si contrasse. «Ecco, ci siamo.» La voce di Francesca era calma ed esprimeva padronanza di sé. «Adesso diamole spazio, quiete e non disturbiamola. Vediamo se ce la fa da sola.» Il re tornò alla sua sedia e Maxim sedette ai suoi piedi, sul pavimento. Laura Wright
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Aveva visto nascere decine di vitellini e puledri, ma lo spettacolo della nascita non smetteva di emozionarlo e affascinarlo. Per un istante si chiese se sarebbe mai stato testimone di una nascita cui avesse contribuito lui stesso. Ma quella domanda non avrebbe certo avuto risposta in quel momento. Glinda spinse, si mosse, poi spinse di nuovo e, finalmente, la testa del primo cucciolo fece capolino. «Posizione perfetta» dichiarò Francesca. «Stai facendo un ottimo lavoro» disse poi, rivolta al cane. L'istinto continuò a guidare Glinda, che infine partorì il cucciolo. Francesca si affrettò a rompere la sacca della placenta e a estrarre il piccolo, assicurandosi che respirasse e, subito dopo, lo depose di fronte alla neomamma che prese ben presto a ripulire la sua creatura, leccandola vigorosamente. Francesca si voltò verso il re. «È una femminuccia, Sua Altezza.» «Oh, è magnifica...» Maxim avrebbe giurato di aver sentito della commozione nella voce del padre. Ma non si girò nella sua direzione. Né al padre né al figlio piaceva dare a vedere di essere teneri di cuore. Dopo circa venti minuti, le contrazioni ripresero e nacque il secondo cucciolo, poi, passata un'altra mezz'ora, arrivò il terzo seguito dal quarto e dal quinto. Tre maschietti e due femminucce, tutti grigi come la loro mamma e tutti in ottima salute. Il re non disse nulla e Maxim non riusciva a far altro che fissare Glinda mentre si prendeva cura dei suoi piccoli, uno dopo l'altro. «Ancora uno» sussurrò con dolcezza Francesca alla bestiola esausta. Passarono trenta minuti e le contrazioni di mamma levriero ripresero. Questa volta, però, dopo svariati tentativi di spinta, Glinda parve arrendersi. Si intravedeva solo una massa scura, ma il cucciolo non volle saperne di nascere e la bestiola guardò confusa e impaurita verso Francesca. Nervosismo e tensione si diffusero nella stanza. Ma, fedele alla parola data, la dottoressa Charming era pronta ad agire. Appoggiò una mano sul ventre di Glinda, e cominciò a fare pressione. «Che fai?» le chiese Maxim. «È esausta. Sto provando una manovra per aiutare la natura a riprendere il suo corso.» Con molta attenzione, Francesca manipolò il ventre di Laura Wright
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Glinda come fosse pasta per il pane, continuando a parlarle con amorevolezza durante tutto il tempo. Maxim notò con ammirazione e gioia che il cane sembrava capire ciò che doveva fare. Infatti, spinse ancora una volta e diede alla luce l'ultimo cucciolo. Ci fu un generale sospiro di sollievo, e il re e il principe osservarono trepidanti Francesca intaccare il sacco della placenta. Ma il sollievo era stato troppo affrettato. C'era qualcosa che non andava. Il musetto del cucciolo era rosa come quello degli altri, però, al contrario dei suoi fratelli, era totalmente inerte. Maxim udì Francesca lanciare un'imprecazione sottovoce. «Che succede?» chiese il re, angosciato. La dottoressa prese un asciugamano caldo. «Non respira» dichiarò. Poi, con infinita tenerezza, avvolse il piccolo nel telo e gli liberò le vie respiratorie. Quindi lo massaggiò con cura. Infine, sollevò il cucciolo e cercò di fare capire a Glinda come comportarsi. Con lo stomaco stretto in una morsa, Maxim la guardava lavorare, non aveva mai visto nessuno dedicarsi con più impegno a qualcosa, nessuno più concentrato in ciò che stava facendo. La sicurezza di ogni suo movimento, la calma nella sua voce mentre incitava il cucciolo a respirare e intanto gli praticava le manovre salvavita erano davvero sconvolgenti. I secondi trascorrevano e Francesca continuava a prodigarsi per il cagnolino, e a riporlo accanto alla madre. Nonostante l'apprensione, Max non si voltò mai verso suo padre, perché sapeva che nei suoi occhi avrebbe visto solo il riflesso della sua stessa ansia. All'improvviso, il cucciolo aprì la bocca e guaì. Re e principe si alzarono in piedi, avvicinandosi a Glinda e al suo piccolo, mentre Francesca continuava a massaggiare il cagnolino e a mormorare con voce morbida verso di lui, incoraggiandolo ulteriormente. Dopo svariati minuti, pose il piccolo accanto alle mammelle di Glinda, aiutandolo a scegliere un capezzolo da cui cominciare a succhiare. Tutti e tre osservarono con tenerezza mentre il piccolo cominciava a nutrirsi. Lentamente, lei si voltò verso Maxim e suo padre con gli occhi luccicanti. «Quattro maschietti e due femminucce.» «Lei merita una medaglia, dottoressa!» esclamò il re al colmo della felicità. «La ringrazio. Avevo paura che quel cucciolo non ce l'avrebbe fatta...» Laura Wright
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Francesca annuì e sorrise. «È un piccoletto in gamba.» Con il cuore che gli batteva, Max la guardò negli occhi. Diavolo, se era bella. Bella, intelligente e coraggiosa. «Lo hai salvato, Francesca.» Due nuvole rosa si dipinsero sul volto di lei. «Ho solo fatto il mio lavoro.» «No. Hai fatto molto, molto di più.» La veemenza del suo tono sorprese anche se stesso. «Hai ragione, figliolo!» esclamò il re, avviandosi verso l'uscita. «La dottoressa è proprio un veterinario speciale.» Poi, rivolto verso di lei: «Mi raccomando, mi tenga al corrente di tutto e mi mandi a chiamare se ci saranno altri problemi. La ringrazio ancora una volta». Subito dopo sorrise a Glinda e ai cuccioli, chinò il capo verso Maxim e Francesca e si avviò verso l'uscita. «Buonanotte» disse infine. «Buonanotte, Altezza.» «Buonanotte, padre.» Quando il re se ne fu andato, Max si avvicinò a lei e le scostò una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso. «Non esageravi quando hai parlato del tuo speciale rapporto con gli animali.» Scossa dal tocco di lui, l'esausta veterinaria si mise a sedere, con lo sguardo rivolto verso il basso. «Già, immagino di no.» Poi si voltò verso Glinda e i sei cuccioli che succhiavano tranquillamente. Maxim era colpito dall'abilità e dalla modestia di lei. Anche perché ormai conosceva bene il fuoco che ardeva sotto quell'apparenza di serena pacatezza. Quella ragazza lo affascinava sempre più, minuto dopo minuto, e lui era determinato a infrangere la barriera protettiva che lei aveva eretto a sua difesa contro il mondo. In particolare era ansioso di convincerla della stupidità dell'idea di stargli lontana. Ma, per il momento, decise di sedere accanto a lei in silenzio, osservando insieme i nuovi piccoli sudditi del regno di Llandaron. Più tardi, quella stessa notte, Francesca sistemò una ciotola d'acqua e una con del formaggio fresco e delle uova strapazzate accanto a Glinda, anche se la neomamma appariva poco interessata a entrambe le scodelle. La bestiola se ne stava nella sua cuccia, tranquilla come un lago in un giorno senza vento. Era la veterinaria che avvertiva l'impellenza di continuare a fare qualcosa. Si sentiva pronta a intervenire in caso ce ne fosse stata la Laura Wright
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necessità, sebbene ne dubitasse. Dovevano essere circa le quattro del mattino, tutto e tutti erano ormai addormentati, inclusi i cuccioli appena nati. Glinda di tanto in tanto sbadigliava, chiudeva gli occhi e poi li apriva di nuovo, come se stesse facendo le prove prima di addormentarsi completamente. Alla fine, stanca morta, si assopì anche lei. «Come sta il nostro piccolo fortunato?» Francesca sollevò la testa di scatto e vide Maxim che tornava con una busta di carta marrone. «Direi bene, puoi controllare tu stesso, se ti va. Dormono tutti.» Max si chinò verso la cucciolata, facendo attenzione a non disturbare. Poco dopo la nascita dei piccoli, Charlie aveva cambiato la paglia e portato coperte e asciugamani puliti per tutta l'allegra brigata. «Sembrano tutti piuttosto raggrinziti» disse lui divertito, sollevando un sopracciglio. Francesca si soffermò sul suo aspetto. Indossava comodi jeans, ma stretti in tutti i punti giusti, e una larga maglia nera. Il giorno prima, sulla scogliera, lei gli aveva detto di non poter trascorrere altro tempo insieme a lui. Quell'attrazione folle tra di loro complicava troppo le cose e serviva soltanto ad alimentare speranze impossibili. Ma la verità era che quell'uomo le faceva dimenticare ogni cosa. Di Dennis, del suo passato, della vita quotidiana e di ciò che la spaventava. «Non dovresti essere a letto?» gli chiese di punto in bianco. Lui sollevò le sopracciglia e i suoi occhi azzurri si illuminarono di una luce maliziosa, mostrando chiaramente a che cosa stava pensando. Lei arrossì. Una domanda banale e ovvia, data l'ora, si trasformava, in un batter d'occhio, in qualcosa di allusivo a causa dell'alchimia che esisteva fra loro due. «Non sono ancora pronto per il letto» rispose Max. «Non ancora, comunque» concluse sogghignando. Lei deglutì, aveva la gola completamente secca. Maxim sollevò la busta di carta che aveva portato. «Ho pensato che avresti gradito qualcosa da mangiare.» «Ti ringrazio, ma non ho molta fame.» Non per del cibo, pensò. Santo cielo, non c'era un secondo in presenza di lui, in cui i suoi pensieri non divagassero, prendendo direzioni molto pericolose. Laura Wright
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«Ma hai bisogno di mangiare.» «Ormai si è fatto troppo tardi e...» Lui le porse il braccio per aiutarla ad alzarsi. «Quello non era un suggerimento, dottoressa.» «Come, prego?» Max le si avvicinò, in modo che i loro due nasi potessero quasi toccarsi. «È un ordine» bisbigliò. «Oh, davvero?» «Certo.» «Be', come ben sai, io sono americana e tu non hai alcun potere su di me.» Francesca non aveva mai detto un bugia più grande in tutta la sua vita. Un'immagine di Maxim completamente nudo le si formò nella mente, facendola arrossire di colpo fino alla punta dei capelli. Chi voleva prendere in giro? Lui aveva un potere enorme su di lei, tale da farle razionalmente capire di dover lasciare Llandaron al più presto, per conservare una parvenza di dignità e autocontrollo. «E va bene» riprese Maxim. «Forse non ho autorità negli Stati Uniti, ma fino a quando sarai nel mio paese, io sarò...» «Il mio signore e padrone?» le sfuggì. L'immagine di lui nudo non era ancora svanita. Avrebbe voluto scomparire. Max sogghignò, molto compiaciuto. «Stavo per dire che ero il tuo capo, ma la tua definizione mi piace molto di più.» «Sua Altezza, io...» Il principe le prese la mano e lei non terminò la frase. La invitò con tenerezza a sedersi accanto a lui. «Avanti, ora mangia qualcosa.» Si ritrovarono guancia contro guancia, spalla contro spalla e rimasero in quel modo, immobili, per qualche istante. Francesca avrebbe voluto scostarsi, correre via a nascondersi, tuffarsi a mangiare furiosamente il panino che lui le aveva portato, qualunque cosa pur di smettere di pensare a quell'essenza virile che emanava da lui, ai muscoli tesi che avvertiva contro di sé. Ma non dovette muoversi, perché fu Max a scostarsi da lei. Forse aveva preso sul serio il suo proposito della mattina, quello di volergli stare lontano. Il suo cuore si fermò per un attimo. O magari non aveva gradito quel bacio, aveva cambiato idea e non si sentiva più attratto da lei? Il cuore le si fermò ancora, questa volta più a lungo. Laura Wright
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Lui la condusse in una stalla pulita e vuota, accanto alla stanza di Glinda, in modo da poterla sentire se si fosse lamentata, e lontana abbastanza per non disturbare il suo sonno e quello dei cuccioli. Poi Max tirò fuori dalla busta marrone un panino al roastbeef, dell'uva e una bottiglia d'acqua. Lei prese metà del panino e lasciò l'altra metà per lui. «Stiamo mangiando troppo spesso insieme, Altezza.» Maxim scrollò le spalle e prese l'altra metà del panino. «Mi piace molto la tua compagnia.» La sua compagnia? Come se fossero stati due vecchi amici. Forse aveva ragione a proposito del bacio, dopotutto. Un solo bacio è più che sufficiente per capire se fra un uomo e una donna l'alchimia fisica esiste davvero. Quindi era ovvio che lui avesse capito di non essere davvero attratto da lei. E non era una buona notizia? Non era quello che voleva? Gustando il delizioso panino, fatto con pane freschissimo, Francesca cominciò una sorta di battaglia con se stessa. Voleva che lui si sentisse attratto da lei, ma non poteva permettere che niente accadesse fra loro due. Maxim era tutto quello che lei aveva paura di desiderare: era bellissimo, intelligente, spiritoso... e del tutto irraggiungibile. Decise di spostare la conversazione su argomenti più neutri. «Allora, com'è essere un principe?» «Fantastico, difficile, educativo, deludente.» Sulle labbra di lei si dipinse un sorriso. «Ha i suoi alti e bassi, eh?» «Onestamente, Francesca, mi sento privilegiato ad avere quello che ho. Però, quando si tratta di far fronte a precise responsabilità, le cose diventano... be', diciamo pesanti.» Lei prese un grappolo d'uva. «Ti riferisci a cose del tipo presiedere a barbose cerimonie ufficiali oppure sposare la principessa di Danimarca, quella con la faccia da cavallo?» Lui fece una pausa di qualche secondo, prima di rispondere. «La seconda...» «Sul serio? Quindi sei fidanzato?» Ma perché diavolo aveva pronunciato una frase del genere?, si disse Francesca. Perché? Che cosa ci avrebbe guadagnato nel saperlo? E poi, per l'amor del cielo, anche lei era praticamente prossima alle nozze. Eppure, Max l'aveva baciata. Per quale motivo l'aveva fatto se era...? Laura Wright
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Smise di sviscerare quel pensiero, perché altrimenti avrebbe dovuto analizzare nel dettaglio il suo tipo di coinvolgimento nel bacio con Max. «No, non sono fidanzato né ho una ragazza fissa.» La paglia crepitò sotto di lui, quando si spostò per prendere dell'uva. «Ho detto a mio padre che, se mai dovessi sposarmi, sarò io a scegliermi la donna da portare all'altare.» «Non credi al matrimonio?» «Credo nella libertà, Francesca. Dovrei trovare il modo di conciliare entrambe le cose.» Quelle parole la rattristarono, tuttavia poteva capire il suo punto di vista. «Quando avevo nove anni, trovai un uccello nel mio cortile. Era...» Rise al ricordo. «Era proprio brutto. Era scuro e sporco e gli mancavano due dita a una delle zampe. Ero fuori per dar da mangiare ai conigli, quando questi volò dritto sulla mia spalla e non si mosse. Non era ferito e non aveva nessun problema. Forse era solo affamato o stanco, non lo so. Comunque, lo chiamai Oscar e divenne il mio migliore amico. Restò con me per tre mesi. Poi, un giorno, all'improvviso, se ne andò.» Lei sollevò lo sguardo verso di lui e sorrise. Max ricambiò. «E la morale della storia è...» «Libertà e cattività sono due cose incompatibili» disse, mentre si portava alla bocca un chicco d'uva. Poi cambiò idea e lo lanciò in aria per prenderlo al volo, ma lo mancò e le cadde accanto alla caviglia. Max lo raccolse. Lei sentì il cuore batterle all'impazzata, mentre lo osservava prendere l'acino fra le dita e poi portarlo delicatamente verso la sua bocca. Francesca si leccò le labbra con lo sguardo fisso in quello di lui. «Apri la bocca, dottoressa.» Senza esitazione, lei fece quanto richiesto. Lui le sfregò il chicco d'uva lungo tutto il contorno delle labbra, prima di introdurglielo delicatamente in bocca. Lei masticò e lasciò che la dolcezza del frutto le invadesse la gola. Max emise un forte sospiro. Abbassando gli occhi, Francesca ingoiò l'uva in fretta. Per un minuto fra loro due calò il silenzio. Poi, forse a causa del cibo o, più probabilmente, a causa della lunga e faticosa nottata, lei cominciò ad avvertire tutto il peso della stanchezza. Non riuscì a trattenere uno sbadiglio. «Sei stanca?» le chiese Max. «Molto.» A quella risposta, lui raccolse i residui della cena e andò a buttarli in un Laura Wright
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contenitore per l'immondizia poco lontano. «Ti accompagno al castello.» Lei scosse il capo. «Stanotte resto qui.» «Qui dove?» «Suppongo su questo invitante mucchio di paglia profumata. Ho sempre desiderato dormire su un materasso di paglia.» Max sorrise. «Non ammantare la cosa di troppo romanticismo, dottoressa. Io ci ho dormito un sacco di volte e ti assicuro che è dannatamente scomodo.» «Ci hai dormito?» «Sì, da ragazzino.» «E perché?» Lui sollevò le spalle. «Era la cosa più vicina allo scappare di casa che potessi fare.» Francesca rise. «Giusto. La libertà.» Max annuì, divertito. «Già, la libertà.» Le ci volle uno sforzo notevole per voltare le spalle a quel sorriso. «È meglio che dorma un po', adesso. I cuccioli si sveglieranno molto presto.» Senza dire una parola, Max uscì dalla stalla per farvi ritorno pochi secondi dopo con una coperta. «Non dovevi farlo» gli disse lei. «Non ti preoccupare per me, è una notte tiepida. Non mi serviranno coperte.» «A me sì, però.» Con la massima serietà, lui si distese sulla paglia, piegò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi. «Buonanotte, Francesca.» Lei sobbalzò. «Che cosa crede di fare, Altezza?» chiese, tra il sarcastico e l'irritato. «Non ho intenzione di lasciarti qui da sola.» «Perché no? Ci sono mostri che vengono fuori la notte in cerca di ignare veterinarie da divorare, o forse gnomi?» Gli occhi di lui si spalancarono, divennero scuri e intensi. «No. Ci sono i lupi, però.» Francesca sentì un brivido di paura correrle lungo la spina dorsale. Come diamine avrebbe potuto dormire accanto a quell'uomo, sapendo quello che provava nei suoi confronti? Lo stomaco le si contorse all'idea di una prospettiva del genere. Una prospettiva piuttosto realistica, data l'immobilità di Maxim. «Ascolta, caro principe, non ho la minima intenzione di stendermi qui...» Laura Wright
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Lui la tirò giù con uno strattone, non violento ma deciso, e lei atterrò con la testa nell'incavo che il suo braccio formava con l'attaccatura della spalla. Francesca non riuscì a proferire parola. «E adesso appoggia la testa sul mio petto e chiudi gli occhi, dottoressa. Siamo stanchi entrambi. Cerchiamo di dormire almeno qualche ora.» Dormire? Era serio? «Ha altri ordini, Sua Altezza?» «Silenzio» dichiarò lui a bassa voce. «Qui ci sono persone e animali che cercano di riposare.» Lei sospirò, frustrata, cercando qualcosa da dire. «E la principessa di Danimarca, che cosa penserebbe?» «E Donald, che cosa penserebbe?» «Si chiama Dennis.» «Ora dormi, le rimostranze sono rimandate a domani.» Con il sonno che ormai le confondeva le idee, Francesca si strinse ancora di più al suo principe e si lasciò andare alla tiepida essenza maschile di lui che l'avvolgeva come un balsamo.
Capitolo 5 L'ALBA DI Llandaron somigliava a un quadro di Monet. Con il lieve crepito della paglia sotto di lui, Maxim guardò verso la finestra che gli stava di fronte. C'erano colori freschi, indistinti, che si mischiavano fra loro. Ma l'artista non si era mai trovato di fronte a questa particolare mattina di Llandaron. Di certo, se Monet si fosse svegliato con una bellezza come quella di Francesca tra le braccia, i suoi dipinti avrebbero compreso elementi molto meno eterei e molto più sensuali. Avrebbe dimenticato laghi e ninfee in un batter d'occhio. A meno che, naturalmente, fiori e ninfee non si fossero trovati a ricoprire le curve del corpo armonioso della dottoressa Charming. L'immagine di lei, nuda, gli si affacciò alla mente. Foglie bagnate che le si appoggiavano sui seni, acqua cristallina che le scivolava sui fianchi... La mente di Max si stava inerpicando per sentieri un po' troppo audaci. Anche se il muoversi del corpo di lui l'aveva svegliata dal sonno più profondo, Francesca non era ancora del tutto cosciente. Si stiracchiò e allungò la mano, che fino a quel momento era stata ferma sulla maglia di lui, al di sotto del cotone, sulla pelle di Max. Lui inspirò profondamente e la parte bassa del suo corpo si irrigidì. Le dita di lei gli si fermarono sul Laura Wright
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petto, all'altezza dei capezzoli. Intanto la sua gamba sottile si appoggiò sulla coscia di lui, circondandola. Maxim aveva una voglia matta di farla sua, subito, in quel momento. Sfilarle i jeans, girarla sulla schiena, toglierle la camicia e coprirle i seni con la sua bocca, per poi entrare in lei. Se solo si fosse svegliata con lo stesso desiderio negli occhi, forse sarebbe stato esattamente quello che avrebbe fatto. Francesca sospirò lievemente e poi sbadigliò, mentre con le mani continuò ad accarezzare il petto di lui. Max non poté soffocare un gemito e istintivamente l'attrasse a sé, ancora di più. «Oh, Max...» sussurrò lei. Portò la bocca alla base del collo di lui, le sue labbra gli sfioravano i capelli e la pelle. Il suo ginocchio si sollevò e arrivò a sfiorare la sua eccitazione. Ecco. Lei aveva pronunciato il suo nome. Qualunque fosse stata la ragione, lo aveva fatto. Era troppo da sopportare per un uomo come lui, senza reagire. Accarezzandole dolcemente il mento, Maxim la baciò sulla bocca e lei con un sussurro ricambiò il suo bacio, mentre le sue labbra si scioglievano in quelle di lui e il suo corpo gli premeva contro. Lui accrebbe la passione del bacio, spostandola leggermente sotto di sé, e lei sembrò ricambiare in pieno ogni movimento. Se qualcuno sapeva che cosa fosse il desiderio, quello era Maxim. Con le mani le accarezzò i seni, scostando con delicatezza il reggiseno, per arrivare a toccarle la pelle. Ma, purtroppo per lui, a quel punto lei smise di ricambiare le sue effusioni, anzi si irrigidì e si svegliò del tutto. Non c'era passione nei suoi occhi, solo confusione. Confusione che presto si tramutò in imbarazzo. Max sogghignò. «Buongiorno.» Francesca si tirò a sedere. «'Giorno.» «Come hai dormito?» «Bene.» «Ho sentito dire che questa risposta in realtà indica che si ha ancora bisogno di dormire. Forse faresti meglio a stenderti di nuovo.» «No, mi sento in perfetta forma.» «Già. Anch'io.» Lo sguardo di lei si abbassò per arrivare al lembo di coperta che copriva malamente il suo desiderio di lei. Poi sollevò gli occhi e si accorse che Laura Wright
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Max la stava guardando. Avvampò e distolse lo sguardo. Ma, al di là dell'imbarazzo, lui si accorse del fuoco che le brillava negli occhi. Un fuoco che intendeva alimentare. Non era abituato a essere paziente, era abituato a essere soddisfatto. Le donne lo desideravano, si infilavano nel suo letto. Francesca, però, non era una donna qualsiasi, e la battaglia che aveva ingaggiato con suo padre per difendere la propria libertà non sarebbe facilmente giunta a un compromesso. Quindi, con Francesca avrebbe dovuto essere paziente. Lei si alzò in piedi e cercò di sistemarsi alla meglio i vestiti spiegazzati. «Devo andare a controllare i cuccioli.» Maxim le prese la mano. «Prima che tu vada, voglio dirti quanto sei stata fantastica stanotte.» Osservò gli occhi di lei spalancarsi e riempirsi di angoscia. Rise. «Stavo parlando di quello che hai fatto per i cuccioli.» «Lo so» rispose Fran prontamente, con lo sguardo rivolto verso un ignoto punto della stanza. «Non è vero, non ne eri sicura» aggiunse lui, baciandole il palmo della mano. «Credimi, Francesca, se fosse davvero accaduto qualcosa fra noi due, te ne ricorderesti molto bene.» Fran ritirò la mano da quella di lui. «Lei è un po' troppo pieno di sé, Altezza.» Con un sorriso da impunito, Max tornò a stendersi sulla paglia, intrecciando le mani sotto la testa. «Comunque, ero serio quando parlavo della tua bravura. Mi auguro che Dagwood se ne renda conto, è davvero fortunato a lavorare con te.» «Lo sa bene» disse lei, piegando le braccia sul petto e assumendo un'aria stizzita, terribilmente sexy. «E, per l'ultima volta, si chiama Dennis.» Il sorrisetto ironico di Maxim si allargò. Era talmente bella quando si innervosiva. Troppo bella e troppo appetibile. Se avesse continuato a fissarlo in quel modo, lui non sarebbe più stato in grado di controllarsi. «Forse è meglio se adesso vai a vedere come sta Glinda, di là...» Francesca sollevò un sopracciglio. «Sta tentando di liberarsi di me, Sua Altezza?» Max assunse un tono solenne. «Niente affatto.» Poi, con un rapido gesto della mano, si scostò la coperta di dosso e le mostrò quanto poco desiderio avesse in realtà di liberarsi di lei. «Hai voglia di tornare a letto?» All'offerta di lui, gli occhi di Francesca si spalancarono. «No... non era Laura Wright
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questo che intendevo dire... cioè, io...» «Probabilmente hai ragione tu. E, in ogni caso, devo proprio andare. Il mio aereo parte fra un'ora. Una rapida rotolata nella paglia non è quello che ho in mente per noi due, Francesca.» A quella dichiarazione, lei arrossì violentemente ed evitò di chiedergli che cosa avesse in mente per loro due. «Dove vai?» «A Parigi.» «Oh? Per affari o piacere?» «Entrambe le cose» rispose lui sorridendo. «Ti mancherò?» Francesca scosse il capo. «Ecco l'ego da principe fare di nuovo capolino da queste parti.» E, dopo quella frase, girò i tacchi e si diresse verso Glinda e i cuccioli. Poi, da lontano, si voltò e gli fece un cenno con la mano. «Divertiti.» Max la guardò allontanarsi e poi sparire dietro l'angolo. Parigi sembrava una pallida attrattiva in confronto al dolce ed elegante ondeggiare dei fianchi di lei e alla prospettiva di trattenersi a Llandaron. Ma il dovere chiamava. Spostata la coperta e alzatosi di scatto, Maxim si incamminò. Sarebbe tornato dopo una settimana, e la sua opera di seduzione della dottoressa Charming sarebbe ripresa esattamente dal punto in cui la stava lasciando. Affari o piacere, Sua Altezza? Mentre portava nel lavello la ciotola del cibo di Glinda ormai vuota, Francesca alzò gli occhi al cielo avvertendo come ridicola la sua stessa domanda. Se proprio ci teneva a sapere che cosa avrebbe fatto Maxim a Parigi, perché non glielo aveva chiesto direttamente? Ma, soprattutto, perché era gelosa? In poco più di dieci giorni sarebbe tornata a Los Angeles, sarebbe tornata alla sua vita quotidiana e agli uomini di tutti i giorni, ben diversi dai principi sexy che abitavano in case ricavate da un faro e che illudevano le ragazze facendo loro credere che le fiabe potevano esistere davvero. Osservò Glinda che se ne stava tranquilla, distesa nella comoda cuccia reale, insieme ai suoi piccoli. Si sentì pervadere da un senso di pace. Aveva svolto brillantemente il suo lavoro. Il levriero aveva partorito e aveva anche ripreso a mangiare. I cuccioli erano tutti sani e forti e succhiavano dalla mamma senza problemi, perfino l'ultimo nato, il suo piccolo miracolo. Lo aveva battezzato Lucky perché era stato davvero Laura Wright
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fortunato a sopravvivere. Inoltre, lo stipendio percepito sarebbe stato notevole, quindi avrebbe avuto un bel po' di soldi da aggiungere al capitale per costruire una vera sala operatoria nella sua clinica veterinaria. Sarebbe potuta partire senza rimpianti. Si portò la mano destra al viso, la mano che Max le aveva stretto. Poteva ancora avvertire il calore e la forza di lui su di sé. Doveva ammetterlo, era attratta da quell'uomo in modo incredibile. E a giudicare dal suo livello di eccitazione, che aveva avvertito appena sveglia contro la gamba, anche lui era attratto da lei nello stesso modo. Ma Francesca non poteva neanche sognare di cominciare qualcosa con lui, per quanto forte fosse il desiderio. C'era Dennis, c'era la ferita ancora aperta della delusione d'amore che aveva provato una volta e poi c'era il particolare che Maxim apparteneva a una famiglia reale. Per cui la risposta era una sola, chiara e semplice: avrebbe dovuto combattere con tutte le sue forze contro l'attrazione che nutriva nei confronti di lui, senza cedere neanche per un istante a pensieri pericolosi. Grazie a Dio, adesso lui era partito per Parigi, cosa che avrebbe reso molto più facile il resto della settimana. Magari vi si sarebbe trattenuto anche fino al giorno della sua partenza. Quella sera avrebbe chiamato Dennis. Avrebbero parlato a lungo e con calma e nei giorni seguenti si sarebbe immersa nel lavoro, dimenticando ogni cosa a proposito del principe. O almeno ci avrebbe provato. «Hanno meno di una settimana e sono già cresciuti come dei balenotteri.» Francesca sorrise a Ranen Turk che, venuto in visita al castello per una cena ufficiale su invito del re, era passato dalle scuderie per dare un'occhiata ai cuccioli di Glinda. Quel vecchio brontolone le ricordava davvero suo nonno: burbero all'esterno, ma un vero orsacchiotto all'interno. E, pensando a suo nonno, Francesca non poté evitare di pensare anche a suo padre, cosa che, di conseguenza, la rese triste. Sedette accanto a Ranen, indicando la movimentata cuccia. «Di certo queste sei piccole pesti daranno a Glinda un bel po' da fare.» «Il prezzo da pagare quando si diventa mamma, ragazzina.» «Mamma di sei, poi.» Laura Wright
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«Ho sentito dire che i levrieri irlandesi possono mettere al mondo anche più di quindici cuccioli in una volta sola.» «Sì, è vero, Ranen. Quindi immagino che averne sei per loro sia come averne uno solo per un umano.» Ci fu un momento di pausa, prima che lei riprendesse. «Pensi sia troppo magra?» «No, no. Penso che sia in perfetta forma.» Poi Ranen si voltò verso Francesca. «Ma qualcosa mi dice che tu lo sapevi già.» Lei sollevò le spalle e sogghignò. «Be', volevo un secondo parere.» «E ora sei soddisfatta?» «Direi di sì. Ci trovi qualcosa di male?» «Oh, no. Piuttosto, devo controllare se esiste una legge che punisca gli adulatori di vecchi caproni.» Francesca non poté evitare di scoppiare in una fragorosa e sincera risata. «Ranen, sei sicuro di non essere il gemello perduto di mio nonno?» Era bello ridere. Negli ultimi giorni non le era stato facile come aveva sperato. Aveva parlato con Dennis un paio di volte, e ognuna delle volte lui aveva dovuto scappar via per un'emergenza dopo soli cinque minuti, in clinica era solo e quindi aveva molto da fare. E poi c'era il vero problema: Max. Forse, se avesse avuto più lavoro da sbrigare, più pazienti di cui occuparsi, la sua mente avrebbe avuto meno tempo di vagare. Ma non era così. Era stata assunta per Glinda e i cuccioli e quell'impegno le lasciava moltissimo tempo per sognare a occhi aperti. E Max non le invadeva i pensieri solo durante il giorno, ma anche di notte. Sogni di sete e merletti le si presentavano regolarmente ogni notte, infatti, facendola svegliare di soprassalto con la paura e al tempo stesso la speranza di essere tornata a Los Angeles. «Partecipi anche tu alla cena, questa sera?» le chiese Ranen. Lo sguardo di Francesca si soffermò sull'abbigliamento del vecchio. Sembrava in procinto di andare a tosare un gregge di pecore, piuttosto che partecipare a una cena ufficiale nel palazzo del re. Ma, in ogni caso, era un tipo speciale, un ribelle, e a lei piaceva molto. Scosse il capo. «Non credo che verrò.» «Perché no?» «Mi sentirei a disagio. Sono Francesca Charming e vengo dal sud della California, non c'entro niente con principi, re e principesse.» «Questo discorso non regge.» Laura Wright
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«E comunque non conosco nessuno.» «Conosci me.» Lui la guardò con una certa serietà. «E conosci anche Sua Altezza.» «Non conosco affatto il re, gli ho parlato solo pochissime volte.» «Non mi riferivo a quella Altezza, ragazzina.» Il polso di lei accelerò bruscamente. «Ma il principe Maxim è a Parigi.» Ranen scosse il capo. «Non più. Ha telefonato al padre, questa mattina. Sarà di ritorno a Llandaron stasera, per l'inizio della nebbia.» Forse il vecchio riusciva a sentire i tonfi del suo cuore?, si domandò Francesca. Lui la guardò con intensità. «Sapere questo ti fa cambiare idea riguardo alla cena di stasera?» «Io... io non lo so.» Si sentiva talmente insicura e timida, che diavolo le stava succedendo? «Dirò a uno dei servitori di passare a prenderti per le sette e mezzo. Il re vuole fare un brindisi in tuo onore di fronte a tutti gli ospiti per essere stata così in gamba durante il parto di Glinda.» Detto ciò, il vecchio Ranen si alzò e si diresse verso l'uscita delle scuderie. «Dovresti proprio cercare di divertirti, questa sera, ragazzina» le gridò un istante prima di andarsene. Crollata sulla sua sedia, Francesca tentò di esaminare la situazione. Il cuore era esaltato, la sua mente tesa. Le restavano altri sei giorni da trascorrere lì, se a stento riusciva a occupare le sue giornate, che cosa avrebbe fatto durante le serate? Avrebbe letto? Avrebbe fatto bagni caldi e si sarebbe messa in pigiama alle otto? Avrebbe tentato di parlare ancora con Dennis? Guardò Glinda e avrebbe giurato che il cane avesse rivolto gli occhi al cielo alle sue alternative. Francesca le sorrise. «Hai ragione, amica mia, sto dicendo cose ridicole. Ma andrò dritta verso il fuoco e mi ci brucerò, se continuo così.» Mentre risate e conversazioni brillanti riempivano lo spazio della sala da pranzo, Maxim non riusciva a star fermo nella spasmodica attesa di Francesca. Era arrivato a Llandaron da meno di un'ora e suo padre gli stava già presentando diverse possibili spose. Dopo un buon sorso di whisky, il principe si scusò e se ne andò, assillato da una giovane duchessa e dalla di lei petulante madre. Sarebbe stato più Laura Wright
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divertente gettarsi fra le ardenti fiamme del camino. Avrebbe dovuto capire che tipo di serata sarebbe stata quando suo padre aveva detto di aver organizzato una cena con pochi amici. Scioccamente, si era aspettato solo Ranen, Padre Tom e un paio di altri, invece di metà dell'intera dannata corte. E comunque, dov'era finita Francesca? Aveva un disperato bisogno di averla al suo fianco, di far arrovellare suo padre con domande su quali fossero le sue reali intenzioni con lei. Maxim vuotò il bicchiere. Chi voleva ingannare? Il bisogno di vedere Francesca non aveva niente a che fare con l'idea di indispettire suo padre. Perfino a Parigi, la bella veterinaria era stata al centro dei suoi pensieri. Party esclusivi, donne raffinate, giornate piene di impegni di lavoro, niente era riuscito a distrarre la sua mente dal pensiero di lei. Alla fine aveva dovuto ammettere con se stesso che l'attrazione che provava nei confronti di Francesca era diversa da tutte le altre che aveva provato in precedenza per altre donne e che, se non l'avesse avuta subito, sarebbe stato consumato da quella passione fino a star male. Non poteva resistere ancora a lungo in quello stato. Doveva portare a temine ciò che aveva cominciato. Assolutamente. Dietro di lui, il maggiordomo annunciò che la cena era servita. Due alla volta, gli ospiti trovarono il proprio posto e si accomodarono attorno al lunghissimo tavolo. Diverse donne guardarono verso Maxim, chiedendosi vicino a chi si sarebbe sistemato lui. Dal canto suo, il principe controllò l'orologio, sapeva bene accanto a chi desiderava sedere. All'improvviso, un mormorio di voci diresse il suo sguardo verso la porta d'ingresso della sala da pranzo. Era Francesca. Cinque giorni erano stati lunghi come cinque mesi. Lei era una visione dalla cima dei capelli alla punta dei deliziosi sandali che indossava. Il vestito di seta bianca che le avvolgeva con grazia il corpo e i capelli raccolti, con delle ciocche isolate che le ricadevano sul collo, la rendevano bella come un dipinto, anzi di più. Non aveva mai visto né dal vivo né in fotografia una donna più bella di lei. La gonna le arrivava appena sotto il ginocchio e aveva uno spacco laterale. Max deglutì, sperando di soffocare in quel modo l'ondata di passione che lo aveva invaso. Ma ogni piccolo movimento di lei lo faceva sentire Laura Wright
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peggio. Non poteva esistere una creatura più perfetta di quella donna. Il leggerissimo trucco non faceva che accentuare i suoi lineamenti delicati, aveva uno stile impeccabile. Per Maxim, Francesca era insieme croce e delizia. Appoggiato il bicchiere, le si avvicinò. «Sei splendida, stasera.» Lei gli sorrise. «Grazie. Però, se posso permettermi, Sua Altezza, anche lei non è niente male.» «Certo che puoi permetterti, ma solo se smetti di darmi del lei e di chiamarmi Altezza. Se proprio non ti piace Maxim, mi farò andar bene Max.» Un lieve rossore invase le guance di lei. «Lo sai che scherzo quando ti do del lei.» Entrambi si avvicinarono alla tavola e, mentre gli passava davanti, il principe si sentì inebriato dalla sua essenza. Era una fragranza esotica e dolce al tempo stesso. Ormai ciascuno degli ospiti aveva trovato il proprio nome sul segnaposto e si era seduto. Tutti gli occhi furono puntati su Maxim quando lui finse di trovare il suo. Di solito sedeva di fronte al padre, all'altro capotavola, ma per quella sera il re aveva chiesto ai camerieri di sistemare suo figlio fra una duchessina e una giovane marchesa, naturalmente single. Uno dei servitori scostò la sedia di Francesca, che si accomodò accanto a Ranen. «Ma guarda un po'» disse Maxim con un sorriso rivolto a Francesca, quando lo stesso servitore scostò la sedia all'altro lato della ragazza per farlo accomodare. «Il caso ha voluto che ci fosse assegnato un posto vicino.» «Già» rispose lei. «Tu guarda che coincidenza.» «A volte il caso è imprevedibile» aggiunse Ranen con un ghigno dei suoi. Il re interruppe le acute osservazioni dei tre, sollevando il proprio bicchiere. «Buonasera a tutti e benvenuti. Colgo l'occasione per proporre un brindisi alla dottoressa Francesca Charming, che ha contribuito in modo eccezionale a far venire al mondo sei sani cuccioli di sangue reale.» Francesca arrossì e tutti bevvero alla sua salute. Poco dopo, il cibo cominciò a essere servito e la conversazione si animò. Maxim si voltò verso di lei. «Allora, come stanno i piccoli?» «Benissimo.» Laura Wright
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«Avrei voluto andare a vederli, ma sono arrivato da poco, non ho fatto in tempo.» «Avrai tutte le occasioni che vorrai per giocarci e passare del tempo con loro. Quando me ne sarò andata, avranno bisogno di molte attenzioni e molto affetto.» «E quand'è che parti?» «La prossima settimana.» «Così presto?» «Temo proprio di sì.» «È un peccato.» «Già, ma era stabilito fin dall'inizio che restassi per due settimane.» A qualche metro di distanza, il re colse lo sguardo dei figlio, aggrottando la fronte. «Maxim, non dovresti essere seduto dall'altro lato della tavola, fra lady Anna e lady Elizabeth?» Max sollevò il proprio segnaposto. «No, sono esattamente dove dovrei essere, padre.» Il re aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma Ranen scelse quel preciso istante per prendere in giro il suo vecchio amico a proposito della partita a carte che aveva perso la settimana precedente. Mentre i camerieri servivano gli antipasti, gli occhi del principe si appoggiarono su Francesca. Nonostante avesse davanti un piatto di insalata di fragole, lo stava fissando con curiosità. «Che cos'hai, Francesca? Devi forse dirmi qualcosa?» «Oh, mi stavo solo chiedendo come fosse Parigi. La torre Eiffel è ancora in piedi?» Lui sogghignò e prese la forchetta per l'insalata. «Parigi è... è stata illuminante.» «Sembrerebbe qualcosa di piacevole.» «Be', si tratta pur sempre di Parigi, dopotutto. Già solo respirarne l'aria è una cosa stimolante.» «Certo. Bella città con bella gente.» Maxim sorrise. Anche se in modo indiretto, lei gli aveva praticamente chiesto che cosa avesse fatto a Parigi. Voleva sapere. E non era molto brava a dissimulare il suo interesse. «Se sei ansiosa di sapere se ho frequentato delle donne a Parigi, tutto quello che devi fare è chiedermelo.» Lei sobbalzò. «Naturalmente non mi interessa niente del gene...» «Non ho alcun problema a discutere di questo con te.» Laura Wright
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«Non ho dubbi.» Con aria sdegnata, Francesca sollevò il mento e diresse la propria attenzione al piatto di insalata che le stava davanti. «D'ora in poi la ignorerò, Sua Altezza. Chiacchiererò con Ranen.» «Non credo proprio» rispose lui, divertito. «Oh, e perché no? Sentiamo.» Max sollevò lo sguardo al di sopra della testa di lei e poi lo riportò sul suo viso. «Be', per il semplice motivo che, come puoi ben vedere, Ranen sta conversando con mio padre. Hai per caso intenzione di interrompere il re?» Francesca tornò alla sua insalata e mormorò fra i denti: «Dannazione». Lui rise, divertito. «Non si impreca quando si è a tavola, dottoressa.» Questa volta, quando Maxim si voltò verso di lei, Francesca stava sorridendo a sua volta. Se lui avesse baciato quel sorriso delizioso proprio in quel momento, qualcuno se ne sarebbe accorto? Magari, avrebbero potuto nascondersi sotto il tavolo per un minuto o due e... «Pardon, dottoressa Charming, ma c'è una telefonata per lei. Il dottor Dennis Cavanaugh» annunciò il maggiordomo, con un lieve inchino. Francesca sentì che le fragole che aveva appena mangiato le stavano ritornando su, fermandosi proprio alla bocca dello stomaco. Guardò Max. Gli occhi di lui erano diventati quasi neri, si chiese se fosse arrabbiato perché se ne stava andando o perché il motivo per cui andava via era Dennis. Si alzò in piedi. «Chiedo scusa» disse, quindi si scostò da tavola. Dopo aver ricevuto con un cenno del capo il permesso del re, Francesca lasciò la sala, sentendosi addosso per tutto il tragitto gli occhi penetranti di Maxim. Sapeva che Dennis aveva il numero per chiamare a palazzo, glielo aveva dato lei, ma prima di quel momento non se ne era mai servito. Il maggiordomo le mostrò uno studio, dove c'era un telefono. Subito dopo uscì e si chiuse la porta alle spalle. Lei sedette sulla comoda poltrona di pelle e sollevò il ricevitore. «Ciao, Dennis. Come stai?» «Mi manchi, Frannie.» Lei si irrigidì e si rilassò allo stesso tempo. Detestava essere chiamata Frannie, la faceva sentire piccola e stupida. Lo aveva detto a Dennis un milione di volte, ma non era servito a nulla. Eppure, sentire la voce di lui le faceva provare sensazioni di noia mista a sicurezza. Non aveva niente da Laura Wright
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temere da Dennis, perché non lo amava. Era rassicurante come un comodo cappotto d'inverno. Un cappotto che non fosse troppo elegante e che quindi non si corresse il rischio di rovinare con l'uso. Ma si sentì subito in colpa per quei pensieri, in fondo era molto affezionata a Dennis. Era il suo migliore amico. «È bello sentire la tua voce» gli disse. «So che siamo riusciti a parlare solo poco, tutte le volte che ti ho chiamato.» «Lo so, lo so. Qui è peggio di un manicomio. Ci manchi tu.» Dopo una breve ma gravosa pausa, lui riprese. «Ascolta, Frannie. Ti avevo detto che avrei aspettato per la risposta alla mia domanda fino al tuo ritorno, ma ora non ne posso più. Devo saperlo subito.» Lei si morse le labbra, nervosa. «Che stai dicendo esattamente, Dennis?» «Penso che tu lo abbia capito. Ho bisogno di sapere se hai intenzione di sposarmi o no. E devo saperlo adesso. Subito.»
Capitolo 6 FRANCESCA DEPOSE IL piccolo Lucky al fianco di sua madre, poi sedette a terra, con la schiena appoggiata contro la parete. Essere accanto a Glinda e ai cuccioli la faceva sentire al sicuro, padrona di sé. Lei era una veterinaria, una professionista. In quella stanza con i cani, la sua vita aveva un senso. Ma, a palazzo, dove gentiluomini e granduchesse discutevano amabilmente della politica interna di Llandaron, mangiando camoscio e minestre di zucca, le cose non avevano alcun senso. Seduta a quella tavola tanto elegante, sentiva di non riuscire a controllare la situazione, anche se, nello stesso tempo, si sentiva al settimo cielo, come se fosse parte di un incantesimo. E poi c'era il principe con quegli occhi azzurri e quelle labbra sensuali, labbra che sapevano ipnotizzarla sia con i baci sia con le parole. Lui la faceva sentire come non si era sentita da moltissimo tempo, o forse come non si era mai sentita: una donna desiderabile. Nonostante e a causa di ciò, per quella sera aveva deciso di lasciare il palazzo. Aveva chiamato il maggiordomo, dicendogli che sarebbe dovuta tornare dai cuccioli ed era fuggita dal quel groviglio di sentimenti così intensi. «Ti sei persa il dessert.» Laura Wright
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Francesca sollevò la testa con uno scatto. Parlando del diavolo dagli occhi azzurri... eccolo comparire. «Non avevo fame» gli rispose. Con rapidi e agili passi, Maxim si ritrovò accanto a lei. Adesso era in piedi, a pochi centimetri, ed era bellissimo nel suo completo scuro di ottima fattura. Si accovacciò davanti a lei e la guardò in faccia. «È successo qualcosa a Dennis?» Francesca sollevò le sopracciglia. «Come? Lo hai chiamato proprio Dennis?» «Be', ho pensato che se gli fosse capitato qualcosa di male, del tipo che si fosse perso nel deserto e fosse impazzito o che giacesse su di un letto di ospedale moribondo, non avrei mostrato molta sensibilità nel prenderlo in giro come al solito.» Lei sorrise, reclinando la testa da un lato. «È molto carino da parte tua.» «Vuoi dirmi che cosa è successo?» «No. Non voglio.» «Ma lui sta bene?» «Sì, Max. Dennis sta benissimo.» Il principe si alzò e prese due sedie, una per sé, l'altra per Francesca. «Avanti, dottoressa. Sputa il rospo.» Perché diamine era venuto lì nelle scuderie? Che cosa gliene importava dei suoi problemi? Era troppo strano, in effetti, perché una cosa era la competizione a distanza con Dennis e la curiosità su di lui, ma cosa ben diversa era lasciare una cena ufficiale organizzata dal re in persona... E il motivo della cena, fra l'altro, le era ben chiaro. Non le erano sfuggite tutte quelle donne sole, elegantissime e piene di sguardi per lui, per il principe di Llandaron ancora scapolo. Francesca sospirò. E comunque, solo perché l'aveva seguita fin lì, non significava certo che avrebbe dovuto confidarsi con lui. Con un uomo che la faceva avvampare più rapidamente di un tetto nero di pece in Arizona durante l'estate? Evitò il suo sguardo. «Non lo so, Max...» mormorò. «Avanti, coraggio.» «Non credo che sia qualcosa che dovrei... che mi vada di dividere con...» «Con me?» concluse lui. «Guarda che sono un ottimo ascoltatore.» Poi accennò con il capo alla branda con i cani. «Prova a chiedere a Glinda.» Il levriero, dal canto suo, sentendosi nominare guardò prima Francesca, Laura Wright
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poi Max e poi di nuovo lei. Fran rise di gusto. «Gli hai raccontato tutto della tua gravidanza, amica mia? Ti lamentavi con lui delle zampe gonfie e del mal di schiena?» «Proprio così» disse Max, ridendo. Nessun sorriso era mai stato più radioso sul volto di un uomo. «E adesso, dimmi cos'è che ti preoccupa.» Francesca sospirò profondamente. Forse sarebbe stato meglio se lo avesse saputo. Forse, così facendo, lui avrebbe smesso di perseguitarla e, magari, lei avrebbe a sua volta smesso di desiderarlo tanto ardentemente. «Dennis non è solo un amico per me, Max» si decise a cominciare. «Lui è...» «Un brav'uomo.» «Giusto.» «Ed è il tuo ragazzo.» «Sì, e...» «E...?» incalzò lui. Lei gli indirizzò un sorrisetto sarcastico. «Non avevi detto che eri un ottimo ascoltatore?» Max sollevò entrambe le braccia in segno di resa, divertito. «Hai ragione, scusa. Va' avanti.» «Va bene. Allora, le cose stanno così: prima di partire per Llandaron, Dennis mi ha chiesto di sposarlo.» Maxim si irrigidì. Lo stomaco gli si chiuse e le parole che lei aveva appena pronunciato presero a ronzargli nella testa come delle api laboriose. Aveva immaginato che Francesca e quel Dennis uscissero insieme e che facessero coppia fissa da un po', ma mai avrebbe immaginato che le cose fra loro fossero tanto serie. Mentalmente pronunciò un numero indefinito di maledizioni. Primo, perché non gli piaceva l'idea che lei potesse sposare chicchessia. Secondo, perché meno di tutti gli sembrava adatto a lei quel noioso di Dennis. Quando incontrò lo sguardo di lei, vi lesse lo stesso disagio che stava provando anche lui. «Hai accettato?» «Gli ho detto che ci avrei pensato.» «Quindi, perché ha chiamato? Voleva una risposta subito?» Dopo qualche istante, lei annuì. «Ha detto di non poter aspettare oltre. E sai una cosa? Non credo che meriti di restare così in sospeso.» Maxim non poteva essere più indifferente alle pene d'amore del povero Dennis. «E allora? Che cosa gli hai detto?» Laura Wright
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«Nulla. Ha avuto una chiamata urgente dalla clinica ed è dovuto scappare.» Lo sguardo di lei si abbassò e la sua voce divenne un soffio. «Gli ho detto che lo avrei chiamato domani sera.» «E che gli avresti dato una risposta?» «Sì.» Rimasero seduti in silenzio, entrambi con gli occhi bassi. Nessuno dei due aveva voglia di affrontare la faccenda, che pure avrebbe dovuto essere affrontata al più presto. Maxim non voleva che lei accettasse la proposta dell'americano, non lo voleva perché lei gli serviva per far dispetto a suo padre, ma anche per altri motivi. C'era dell'altro. Aveva cominciato a prenderne coscienza a Parigi. Quello che sentiva nei riguardi di Francesca era molto di più. Lei non era solo un mezzo per far indispettire suo padre e far valere la propria volontà. In realtà, lui sapeva bene di essere profondamente attratto dalla dottoressa Charming. E che la mera passione fisica fosse particolarmente forte, lo aveva saputo dal primo istante. Ma che altro c'era? Quello non lo sapeva. Sapeva solo che una donna come lei meritava qualcosa di meno effimero e più duraturo di una passione. Non l'avrebbe convinta a lasciare andare Dennis, a rinunciare alla proposta concreta di una casa e di una famiglia. Non importava se lui ci avrebbe rimesso. In quell'istante, Francesca lo guardò con tale intensità e con una tale dolcezza negli occhi, che Maxim dimenticò ogni saggio proposito. Le prese la mano e l'aiutò ad alzarsi in piedi. «Vieni con me» le disse. «Dove?» «A casa mia.» «No» rispose lei, ma la sua mano non si staccò da quella di lui e i suoi occhi continuarono a fissarlo con impeto. Maxim le indirizzò un sorrisetto diabolico. «Non ti fidi di te stessa quando sei con me, vero, dottoressa?» «Certo che sì!» esclamò lei. «E allora, che problema c'è?» Si voltò verso Glinda e i cuccioli. «Qui dormono tutti tranquilli.» «Non devi tornare alla cena di tuo padre?» «No. Ho già sistemato le cose.» Maxim colse lo sguardo di apprensione di lei. «Ho chiesto al maggiordomo di servirci il dessert al faro. Voglio mostrarti una cosa.» Con gli occhi spalancati e le guance in fiamme, Francesca si voltò Laura Wright
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dall'altro lato. «Non credo proprio che dovrei venire con te. Davvero...» «Mi è venuto in mente un detto che ho sentito spesso in America.» «Ah, sì? Quale?» «Troppo lavoro e niente divertimento fanno male, dottoressa...» «Scacchi.» La parola scivolò fuori dalle labbra di Max, soffice come un balsamo. Francesca osservò l'interno dell'accogliente salottino di lui: davanti al bel camino acceso e crepitante erano sistemate due poltrone di pelle dall'aria molto comoda. Tra di esse c'era il più bel tavolo da scacchi che lei avesse mai visto. La volta precedente aveva potuto osservarlo solo di sfuggita. Il tavolo era costruito in ebano e palissandro, solido e raffinato insieme. Sul ripiano era incassata la scacchiera vera e propria, sempre in legno. «È incredibile» disse Francesca, sfiorando la superficie del tavolo con una mano. «Apparteneva al mio bis bisnonno. È stato costruito da un uomo del posto che ha intagliato dallo stesso palissandro anche tutti i singoli pezzi.» Max prese una scatoletta di mogano, l'aprì con un clic e cominciò a sistemare sulla scacchiera i vari pezzi. «Mio padre non è mai stato un gran giocatore, non gli interessano gli scacchi. Io, invece, ne vado matto fin da ragazzino, ed è per questo che mio nonno ha dato il tavolo a me.» Si tolse la giacca e l'appoggiò sulla spalliera della sedia. «Ti insegnerò le regole basilari e poi potremmo fare una partita.» «Insegnarmi le regole basilari?» Francesca si morse l'interno della guancia per non scoppiare a ridere. Che sciovinista, presuntuoso! Lui voleva insegnare a lei! Solo perché gli scacchi erano un gioco prevalentemente maschile, aveva dato per scontato che lei non sapesse giocare. In realtà, suo padre le aveva insegnato quando era una bambina. Ormai giocava su Internet con persone di tutto il mondo e spesso stracciava la maggior parte di esse. Ma non era il momento di dirlo a Max. Non ancora. Sedette di fronte a lui e scrollò le spalle. «Vediamo un po' come me la cavo. Conosco qualcosa di questo gioco, proviamo a fare una partita.» «Ne sei sicura?» Ah! Che faccia tosta, lei a quattro anni conosceva già a memoria i nomi degli scacchisti più famosi e le loro tattiche principali. «Sicurissima.» Sollevò un alfiere e batté le palpebre un paio di volte, assumendo un'aria Laura Wright
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da oca giuliva. «Questo è un pedone, giusto?» «No, questo è un...» Poi Max alzò gli occhi e atteggiò il viso come chi la sa lunga. «Non mi starai prendendo per il bavero, vero?» Lei sorrise graziosamente. «Solo un pochino.» Non era facile prendere in giro Maxim, avrebbe dovuto ricordarlo. «Ma prendere per il bavero? Come parli?» Rise. «Non è proprio un'espressione che mi capita di sentire spesso...» «Da piccolo lo sentivo dire sempre da mio nonno, trovo che sia un modo di dire molto divertente perché ormai non lo usa più nessuno. È desueto.» «Immagino che il tuo popolo ami il fatto che ti preoccupi di preservare le tradizioni anche tenendo vivi i vecchi detti di tuo nonno.» «Non immagini quanto si divertono gli americani quando parlo in questo modo.» «Sì, lo immagino. Fa molto Vecchio Continente. Ti piace molto l'America?» «Già. Fino a qualche anno fa ci andavo spesso.» Francesca notò che il buonumore di Max era quasi del tutto svanito. Si domandò che cosa fosse successo qualche anno prima, per cui avesse smesso di andare negli Stati Uniti. Ma non ci teneva affatto a che lui restasse imbronciato, lo preferiva allegro e sarcastico come era stato fino ad allora. Per cui non gli fece domande in proposito, ma, al contrario, gli sorrise ammiccante. «Allora, questa partita la facciamo o no?» «Stiamo già giocando. Non te ne sei accorta?» Con un sorrisetto beffardo, Maxim mosse un pedone bianco. «Una sola casella, interessante.» «Sono pieno di sorprese, dottoressa.» Cercando di ignorare il proprio stomaco che si contorceva al sorriso di lui, Francesca mosse il suo cavallo. «Be', lo sono anch'io. Quindi, sta' attento.» Lo sguardo di lui in pratica la radiografò. «Ti confesso che non vedo l'ora di scoprirle a una a una.» Con la gola secca, le dita di lei esitarono sul pedone. Max era tornato il vecchio mandrillo di sempre. «Non cercare di innervosirmi per vincere la partita.» «Quindi ti sto rendendo nervosa?» Quel dannato ghigno sarcastico era peggio di un supplizio infernale. Prima o poi, l'avrebbe fatta impazzire, ma non quella sera. Quella sera lei Laura Wright
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aveva qualcosa da dimostrare, doveva mettere alla prova la propria forza di volontà. All'improvviso, spostò la sua regina. «Mmh, mossa azzardata, dottoressa.» «Faresti meglio a dire che è una mossa che denota molta fiducia in me stessa, Altezza.» Ogni mossa che Max faceva per metterla in difficoltà era subito seguita da una equivalente di Francesca, che non solo riequilibrava la situazione, ma, anzi, lo costringeva a mettersi sulla difensiva. Dal canto suo, Francesca pensava di lui che fosse un ottimo giocatore: riflessivo, esigente, proprio il tipo di giocatore che lei adorava. Il fuoco crepitò, mentre lei mise la sua torre in perfetta posizione e il re di lui in scacco. Sollevò un sopracciglio, con aria di sfida. Era stata una sciocca a sottovalutarlo. Con quel suo sorriso assassino, Max avanzò mossa dopo mossa e in dieci secondi mise il re di Francesca in scaccomatto. «Adesso voglio la rivincita!» esclamò, fingendosi arrabbiata. Lui annuì. «Certo. Ma credi di riuscire a sopportare di perdere ancora?» Le guance di lei arrossirono per la stizza. «Vogliamo puntare qualcosa su questa partita?» «Del tipo?» chiese Max. «La tua fetta di dolce.» «Quella te la cedo volentieri in ogni caso, Francesca. Pensiamo piuttosto a qualcosa di più... impegnativo.» Lo sguardo fiammeggiante di lui cominciò a vagare sul corpo di lei. «Scommetto che hai già una mezza idea» gli disse lei con il fiato corto. «Che ne dici di mettere come posta in palio del tempo.» Francesca era confusa. «Come hai detto?» Con il mento appoggiato sui palmi aperti delle mani e gli occhi sempre fissi su di lei, Maxim spiegò: «Se vinco io, tu resterai a Llandaron per altre due settimane». Poi sorrise. «Per badare a Glinda e ai cuccioli, naturalmente.» «Naturalmente.» La voce le tremò alla sola idea di trascorrere altre due settimane in compagnia di quel diavolo dagli occhi azzurri. «E se vinco io?» «In quel caso, potrai tornare a casa come stabilito. A Los Angeles, alla clinica e a...» «Va bene, va bene.» Aveva capito. A casa da Dennis, stava per dire lui. Laura Wright
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Sfortunatamente, in quel momento non le sembrava un gran premio tornare negli Stati Uniti. Il premio era seduto proprio di fronte a lei. Dall'istante in cui era arrivata a Llandaron e aveva cominciato a battibeccare con il magnifico stalliere mezzo nudo, che poi si era rivelato essere il principe Maxim, Francesca aveva capito di star giocando una partita che avrebbe perso comunque. Sia che lo avesse avuto, perché non sarebbe stato per sempre, sia che non lo avesse avuto affatto. Ma si persuase a lasciar decidere il fato. Sospirò profondamente e si risolse a giocare quella partita il meglio possibile. «Okay, Altezza. Tieniti pronto, perché ti stenderò.» Il ghigno che lui le rivolse di rimando fu come un cartellone al neon con su scritto Non vedo l'ora. Lei si rese conto del doppio senso involontario della sua frase e, ancora una volta, avvampò. «Volevo dire che ti batterò.» «Sei sempre così piena di passione, quando giochi a scacchi?» «Fa' la tua mossa e sta' zitto, Max.» «Non tentarmi, dottoressa, potrei farla davvero.» Santo cielo, qualunque cosa dicesse, lui aveva il potere di stravolgerne il significato iniziale. Senza dire più nulla, stavolta Francesca mosse un pedone di una casella.» «Imbrogliona» disse Max, scoppiando in una sonora risata. «Oh, per favore. È la tua mossa standard, non dare a me dell'imbrogliona.» E per meglio sottolineare le sue intenzioni, spostò il cavallo. «Ecco, e ora che fai?» «Lo vedrai.» A Francesca non era mai capitato prima di giocare una partita tanto avvincente. I pezzi di entrambi non facevano che essere mangiati, i loro occhi erano fissi sulla scacchiera. Le mosse non richiedevano più di trenta secondi, era uno scontro fra tempra e personalità più che un semplice gioco. Ma alla fine poteva esserci un solo vincitore. Con il cuore che le rimbombava nelle orecchie, Francesca sollevò lo sguardo e lo fissò in quello dell'uomo che desiderava più del suo respiro successivo. «Scaccomatto.» Senza smettere di guardarla, Max fece cadere il suo re con un dito. Il suono del legno che batteva contro il legno riecheggiò nel silenzio della stanza. Laura Wright
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«Hai vinto, dottoressa.» Francesca non rispose. In tutta onestà, non era certa di aver vinto sul serio. Max si buttò con tutto il suo peso sul letto che quella sera gli sembrò comodissimo, così come il cuscino sembrava imbottito di piume d'angelo. Strano non lo avesse notato in tutti gli anni in cui aveva vissuto in quella casa. Forse era l'effetto del viaggio che gli faceva apparire tutto migliore. A Parigi, Maxim non era mai andato a dormire prima delle quattro del mattino. Poi si stendeva sul letto della camera d'albergo, esausto per la giornata di lavoro, e crollava. Ma quella sera, a Llandaron, erano soltanto le undici e la sua mente continuava a fantasticare su Francesca. Lei gli mancava, gli mancava per ogni minuto che non trascorrevano insieme, e con lei avrebbe voluto trascorrere anche quella notte. Tuttavia, aveva deciso di non forzare le cose fino a quando non avesse risolto, in qualunque modo, la situazione con Dennis. «Max?» La voce, leggera, proveniva dal corridoio, e qualcuno stava bussando alla porta della sua camera. In una frazione di secondo, lui si alzò dal letto e andò alla porta, con le lenzuola avvolte attorno alla vita, sotto era nudo. Quando Max aprì, lei avvampò scorgendolo seminudo nella penombra. «Scusami. Ti chiedo scusa. Sono del tutto inopportuna.» Con la mano libera, lui le fece cenno di entrare. «Stai bene?» «No» gli rispose lei, decisa, sedendosi sul bordo del letto. «Che è successo?» «Dovevo parlarti.» La luce proveniente da fuori le illuminava gli occhi umidi. «So che la scommessa l'ho vinta io, ma...» «Ma?» «Non voglio partire. Non ancora.» Un pugno invisibile strinse il cuore di lui, come una tenaglia. «E allora non farlo. Resta.» Francesca non disse nulla, rimase immobile per qualche secondo. Poi i suoi occhi divennero intensi e lei si avvicinò al petto nudo di lui, toccandolo. A quel tocco di mani tiepide e tremanti, Maxim sobbalzò e inspirò profondamente. La parte inferiore del suo corpo si irrigidì. Sapeva che Francesca se n'era accorta, tuttavia nessuno dei due si mostrò intimidito. Laura Wright
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«Ripetimi che non c'è nessuna principessa di Danimarca con la faccia da cavallo.» «Non c'è nessuna principessa di Danimarca.» Non c'era nessun'altra donna, nessuna tranne quella seduta sul bordo del suo letto. «Bene» disse lei, continuando ad accarezzare con la mano il petto di lui. La dolce essenza che emanava dai suoi capelli e dalla sua pelle inebriava i sensi di Maxim. Il suo respiro diventava sempre più affannoso sotto ogni carezza di lei. Ogni centimetro del suo corpo soffriva terribilmente man mano che lei lo sfiorava, e lui pensò di perdere il senno quando Francesca avvicinò le dita all'orlo delle lenzuola che teneva avvolte basse attorno alla vita. Ma lei si fermò. «Resta con me, stanotte.» Francesca aspettò qualche secondo prima di rispondere. «Non posso.» «Sì che puoi.» Lei scosse il capo, gli occhi del colore dei pezzi degli scacchi con i quali lo aveva battuto. «Devo tornare a palazzo. Ho detto alla guardia che sarei tornata subito e che ero venuta solo a riprendere la borsa che avevo dimenticato.» «Lascia perdere la guardia. Ci penso io a lui. Non ti chiederà mai più dove stai andando.» «No, Max, ti prego. Non vorrei che la gente cominciasse a parlare, che si creassero dei pettegolezzi, se non ci sono già. E comunque ho ancora un impegno con Dennis, devo prima chiarire le cose con lui.» Con riluttanza, Maxim fece un passo indietro e si scostò da lei. Per quando odiasse ammetterlo, aveva ragione. Se davvero avessero voluto godersi le ulteriori due settimane, lei avrebbe dovuto risolvere le cose a Los Angeles. «Domani sera ti porto fuori.» La frase era stata pronunciata come un ordine, ma in realtà lui aveva in mente di farle una proposta. «Intendi dire come un appuntamento?» «Già, proprio come un appuntamento.» Lei sorrise, reclinando con dolcezza il capo da un lato. «Non vedo l'ora.» Per lui era lo stesso, ma per quella notte avrebbe dovuto aspettare. L'accompagnò alla porta d'ingresso, però, invece di aprirla, ci spinse lei contro con la schiena. «Non posso lasciarti andare finché non mi avrai detto perché» le bisbigliò. Laura Wright
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«Perché cosa?» «Perché hai deciso di cambiare il patto? Perché vuoi restare a Llandaron?» Con un sorriso, questa volta molto timido e le guance rosa per la passione, lei gli diede un lento, impalpabile bacio sulle labbra. «Ecco perché, Altezza.» Come un uomo moribondo in cerca dell'unico sostegno in grado di reggerlo in piedi, Maxim si appoggiò contro di lei. Con la mano libera le strinse il fondoschiena perfettamente modellato e poi la baciò con forza e passione. Le loro lingue si incontrarono ed entrambi persero coscienza del mondo che li circondava. Quando infine lui si allontanò, lei era rimasta senza fiato, la voce un sussurro. «Fra noi sta succedendo qualcosa, Max, non so cosa, ma è qualcosa di molto intenso e io devo scoprire che cosa sia. Devo capire perché perdo il controllo completo di me in tua presenza. Devo capire dove ci porteranno questi baci e...» «Lo so, Francesca. Lo so.» Lui le coprì le labbra con le sue un'ultima volta. Erano corpo contro corpo, Max era così pronto e lei seguiva i suoi movimenti con perfetta naturalezza, sollevando i fianchi per andare a incontrare la sua evidente eccitazione. Lui la desiderava tanto da star male, ma con uno sforzo sovrumano la lasciò libera. Francesca doveva venire da lui libera da ogni altro impegno. Si scostò dalla porta e l'aprì. «Ci vediamo domani, dottoressa.» Lei annuì, con il viso in fiamme e le labbra socchiuse. «Va', Francesca. Giuro su Dio che non riuscirò a essere un gentiluomo ancora a lungo.» Quando la vide allontanarsi, Maxim chiuse la porta, poi si tolse le lenzuola dalla vita e si diresse verso il bagno, per fare una doccia fredda. Francesca appoggiò la cornetta, spense la luce e scivolò sotto le coperte. Si sentiva nello stesso tempo sollevata, impaziente, colpevole e triste. Aveva stabilito di non aspettare il giorno seguente per comunicare a Dennis la sua decisione circa il matrimonio. Sarebbe stato solo inutile e più penoso per entrambi. Con sua grande sorpresa, Dennis era stato incredibilmente comprensivo. Siccome non credeva al vero amore, e sapeva che lei non lo aveva mai Laura Wright
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amato sul serio, non gli si era certo spezzato il cuore. Neanche lui era innamorato di lei, in fondo, anche se le voleva molto bene e le era molto legato. Tuttavia, seppur privo di risentimento, Dennis le aveva fatto una domanda precisa: perché non vuoi sposarmi? A quella domanda così diretta, lei non aveva voluto rispondere sinceramente, aveva semplicemente detto che non lo sapeva, poiché le era troppo difficile ammettere la verità anche con se stessa. Giratasi su di un fianco, Francesca strinse forte il cuscino al petto. Non sentiva di aver mentito a Dennis, no. Semplicemente, aveva omesso di dirgli quali fossero i suoi reali sentimenti. Perché non sarebbe mai stata in grado di ammettere a voce alta che la razionale e forte dottoressa Charming aveva cominciato a credere alle favole e si era innamorata del principe di Llandaron. Era solo quella, infatti, la verità: si era perdutamente innamorata di Maxim.
Capitolo 7 «CHE DIAVOLO CREDI di fare, Maxim?» «Sto leggendo il giornale, padre.» Seduto su una delle poltrone più scomode della biblioteca, il principe leggeva il Times con aria apparentemente molto assorta. «Sapevi che burocrati inglesi con posizioni di prestigio hanno avuto aumenti di stipendio pari al cinquanta per cento?» Con uno sbuffo seccato, il re si avvicinò al figlio. «No, non lo sapevo.» «Lo trovo scandaloso.» «Maxim!» esclamò il re, abbandonando del tutto il tono conciliante. «Sì? Che c'è?» replicò il giovane, come se non sapesse alla perfezione che cosa volesse suo padre, come se non gli leggesse negli occhi le frasi che stava per pronunciare. «Hai intenzione di portare fuori la dottoressa Charming, questa sera?» Maxim sorrise con il viso nascosto dietro il giornale. «La porto alla fiera di Llandaron.» Impegnata com'era da mattina a sera con Glinda e i cuccioli, Maxim pensò che a Francesca avrebbe fatto piacere trascorrere qualche ora all'aperto. La fiera di Llandaron gli era parsa l'occasione ideale. In più era Laura Wright
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il luogo adatto per essere visto con lei, sarebbe stato presente tutto il paese. Ma, soprattutto, desiderava trascorrere del tempo di nuovo con lei, la più bella donna che avesse mai incontrato. Per una settimana all'anno, ogni anno, Llandaron organizzava una fiera. C'erano bancarelle e chioschi che vendevano specialità culinarie locali e si organizzavano giochi e gare di ogni tipo. Erano molti anni che Maxim non partecipava alla fiera, per cui pensò che quello fosse il momento più adatto per farvi ritorno. Fra l'altro, aveva proprio voglia di rilassarsi dopo la stressante e faticosa settimana trascorsa a Parigi lavorando sodo, e la notte insonne trascorsa dopo che, la sera prima, Francesca lo aveva lasciato solo. Naturalmente, la doccia fredda gli era servita a ben poco. «Non mi piace, Maxim» riprese il re. Il principe ripiegò il giornale e lo appoggiò sul tavolo di fronte a lui. «Cos'è che non ti piace?» «E smetti di fare il finto tonto, per favore.» «Non capisco quale sia il problema, padre.» «Che cosa penserà la gente? Con stasera sarà la seconda volta che farai mostra di lei in pubblico.» «Far mostra di lei?» Maxim si sollevò con i gomiti sulla poltrona, serio. «Padre, stai rivelando un volto decisamente classista e ti assicuro che non è molto attraente.» Accarezzandosi la barba con aria perplessa, il re fissò a sua volta il figlio. «Può darsi, ma il fatto è che tutto questo ha ben poco a che vedere con chi sia la dottoressa Charming o da dove venga.» «Dici di no?» «Dico di no.» «E allora di che si tratta?» «La dottoressa Charming è molto bella, intelligente e gradevole. Ranen l'adora e anch'io.» Maxim si risistemò sulla sua sedia. Stava cominciando a irritarsi. Ma non era proprio quello il tipo di reazione che aveva voluto provocare in suo padre? Cioè che si preoccupasse del fatto che suo figlio usciva con una semplice ragazza priva di titoli nobiliari? E che se ne preoccupasse a tal punto da annullare i progetti matrimoniali che lo coinvolgevano? «Che cosa stai cercando di dirmi, padre?» «Gli abitanti di Llandaron sono gente romantica. Vogliono vedere noi sovrani sposati, felici e ben sistemati. Se ti vedono andare in giro con Laura Wright
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quella donna, crederanno che ci sia qualcosa di serio fra di voi, che stia nascendo una storia.» Lui sollevò un sopracciglio. «E allora? Lascia che lo credano.» Dannazione, era proprio convinto della frase che aveva appena pronunciato. Com'era possibile? Le cose fra lui e Francesca non riguardavano romanticherie e amore, ma solo desiderio e passione fisica. Doveva essere così. «Cerca di non essere troppo superficiale riguardo a questa faccenda, figliolo. Dopo la triste situazione con tuo fratello, che non ha avuto figli, adesso gli occhi sono tutti puntati su di te. Il popolo non aspetta altro che sentirmi annunciare il tuo matrimonio al ballo in maschera di fine mese.» «Mi stai forzando un po' troppo la mano, padre.» «Ma come pensi che reagirà la gente, quando la dottoressa Charming sarà rientrata in California e tutti capiranno che non tornerà più?» Maxim si alzò in piedi, furioso. «Per oggi è tutto. Ora devo andare.» «Li deluderai, li deluderai terribilmente, anche se dici di tenere tanto a loro.» Il principe era furente per la rabbia ma anche per il sentimento di frustrazione che lo assillava. Era evidente che suo padre non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere la faccenda del matrimonio, almeno quanto lui era persuaso a perseverare nella direzione opposta. Non era vero che non gli importasse della sua gente, gli importava eccome, e molto più di quanto non gli piacesse ammettere. Ma come avrebbe potuto rinunciare ai suoi principi in favore del bene del popolo? Gli sembrava una contraddizione in termini. Si passò una mano tra i capelli. Conosceva la risposta a quel dilemma, da sempre. Ma qualunque cosa sarebbe successa in seguito, giurò a se stesso che si sarebbe goduto quelle due settimane con Francesca. A quello che volevano il re o il popolo avrebbe pensato dopo. Solo dopo. «Ah, comunque volevo avvertirti del fatto che ho invitato la dottoressa a fermarsi qui per altre due settimane.» Poi chinò il capo e si congedò. «Arrivederci, padre. Buona serata.» L'uomo si abbandonò a un sospiro depresso. «Porta i saluti del re alla dottoressa, per favore.» Francesca scoppiò in una risata gioiosa. «Tre... due... uno!» esclamò. Con tutta la sua forza aveva sollevato la torta di crema a tre strati, aveva Laura Wright
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trattenuto il respiro e l'aveva lanciata contro il bersaglio, colpendolo in pieno con un sonoro splat. Dietro di lei, Maxim e la folla applaudirono entusiasti. Tutt'intorno a loro c'era allegria e spensieratezza, i bambini mangiavano popcorn caramellati e correvano da tutte le parti, da una giostra all'altra. Portare Francesca alla fiera era stata un'idea fantastica, era talmente bello vederla ridere spensierata. «Ma tu sai chi c'è dietro quella maschera a prendersi le torte in faccia?» chiese lei, divertita, a Max. «Credo che quest'anno ci sia il dottor Underhill. Il medico del paese.» «Be', allora ricordami di non ammalarmi o rompermi una gamba finché sono qui. Ho idea di non essergli molto simpatica.» «Già, lo credo anch'io. Lo hai colpito tre volte di seguito.» «Non avevo mai sperimentato la mia mira nel lancio di torte.» Entrambi ridevano di gusto. «In ogni caso non devi preoccuparti» riprese lui. «Se ti rompi una gamba, ti porto io in giro in braccio.» Come sempre il sorriso di Max la faceva rabbrividire di piacere. «Scommetto che mi caricheresti su una spalla come un sacco di patate.» «Esatto. E poi ti porterei fino alla mia caverna.» Quella stessa caverna che la notte precedente lei aveva abbandonato in preda ai sentimenti più contrastanti. Eppure era un posto attraente e pericoloso che Francesca non vedeva l'ora di tornare a visitare. «Che ne diresti se ci avvicinassimo a quel chiosco?» gli chiese, puntando il dito in direzione di una folla accalcata qualche metro più avanti. «Ho visto che vendono formaggio fresco e biscotti. È quasi ora di cena e muoio di fame.» «Come desidera, milady, anche se per la cena mancano diverse ore» scherzò lui. «Stai dicendo che sono una mangiona?» «Dalla tua linea non si immaginerebbe mai quanto mangi.» «È che sono cresciuta in campagna, lì si mangia sempre molto e...» «Non cercare scuse, dottoressa. Sei una buona forchetta e mangi come un elefante. Non c'è niente di male in questo.» Lei si finse offesa e sollevò il mento, girandosi dalla parte opposta, ma Max le prese la mano e la baciò. «Come vuoi, dolce elefantino. Prima formaggio e biscotti... e dopo la caverna.» Laura Wright
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Francesca non poté sopprimere una risata. Non avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse chiamarla elefantino e trovarla una donna desiderabile allo stesso tempo. Max, però, era decisamente un uomo fuori dal comune. Una leggera brezza marina le accarezzava il viso, dando un po' di refrigerio alle sue membra accaldate per l'eccitazione di quel pomeriggio. Tuttavia, quel piacevole venticello non poteva far molto per spegnere il fuoco che la consumava dall'interno. Sia la notte precedente sia quella stessa mattina, Francesca non aveva fatto altro che pensare di lasciar perdere tutte le inibizioni e le paure che le impedivano di stare con lui. Voleva Max, e lo voleva come non aveva mai desiderato altro prima. Inoltre, sapere che lui provava le stesse cose per lei non era che un ulteriore incoraggiamento. Adesso aveva davanti a sé altre due settimane da trascorrere a Llandaron, avrebbe mai potuto resistere alla continua tentazione di quegli occhi, di quelle labbra e di quel fisico scolpito? Mentre lui la conduceva per mano allo stand del formaggio, Francesca lo guardò con bramosia. Era talmente sexy e attraente in quei jeans scuri, con la maglia a maniche corte che lasciava vedere i suoi splendidi bicipiti. Aveva voglia di appoggiare le labbra su quelle di lui e voleva che lui la stringesse a sé, che la guardasse mentre lei gli accarezzava il petto nudo, proprio come aveva fatto la sera precedente. Era perduta, perduta d'amore per lui e pregava di non essere ritrovata da nessuno, almeno per il tempo che le restava da trascorrere in quella terra incantata. «Due porzioni» disse Maxim, rivolgendosi alla giovane e graziosa cassiera che gli stava davanti. «Nient'altro, Sua Altezza?» gli chiese lei ammiccando. «No, basta così. Grazie.» Sebbene Max non avesse mostrato di notare l'atteggiamento invitante della ragazza, Francesca sentì un'ondata di gelosia salirle al cervello. Avrebbe avuto voglia di saltare dietro la cassa e prendere a pugni quella smorfiosetta. Avvertiva verso di lui un sentimento di possesso che non aveva mai provato in vita sua. Tutto un groviglio di sensazioni nuove le si affollavano nella mente. Ma convenne con se stessa sul fatto che non fosse il caso di dare spettacolo pubblicamente mettendosi a picchiare una ragazza del luogo. Ma, poi, che diritti aveva sul principe? Che legame Laura Wright
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poteva vantare con lui? Nessuno. Mentre mangiavano comodamente seduti a una delle tante tavole imbandite nella piazza, Francesca non poté fare a meno di notare che gli occhi di tutti i passanti non mancavano di soffermarsi su di loro. La gente era interessata, sorrideva con intenzione, strizzava gli occhi, bisbigliava. E, a peggiorare o migliorare le cose, a seconda del punto di vista, c'era il fatto che Max non tentasse affatto di nascondere che non fossero semplici amici, prendendola spesso per mano e appoggiandole il braccio sulle spalle. Si stava chiedendo se quella fosse la prima volta che il popolo di Llandaron vedeva il proprio principe a braccetto con una ragazza. Ma mentre si perdeva in tali pensieri non proprio rilassanti, una voce nota attirò la loro attenzione. «Altezza, Francesca! Da questa parte.» Ranen Turk sorrideva a entrambi, facendo loro cenno di seguirli. Vestito, come al solito, nello stile di un pastore o un tosapecore, l'uomo li condusse verso una piattaforma su cui era sistemato uno strano aggeggio. In alto, su un cartellone di legno, c'era scritto in rosso: PROVA DI FORZA. Sperimenta il tuo pugno. Hai tre possibilità per far suonare il campanello sulla cima. Prova e vinci. «Che cosa abbiamo, qui?» chiese Maxim, divertito, girando attorno alla piattaforma circondata da curiosi e altri concorrenti. «Ci hai portati qui, Ranen, perché vuoi vedere se sono capace di battere il record di questo marchingegno?» «Indovinato, Altezza» rispose l'uomo con il suo simpatico ghigno. «Forse più tardi» ribatté il principe, preparandosi ad andar via. «Oh, stai invecchiando, Max, non è così? Non hai più i muscoli di una volta, eh...?» «Abbiamo appena mangiato, Ranen. Non è bene fare sforzi fisici subito dopo i pasti» intervenne Francesca. Ma a quel punto, essendo stato pubblicamente sfidato, Maxim non avrebbe più potuto tirarsi indietro. Infatti, scosse il capo e con uno dei suoi splendidi sorrisi di sbieco, guardò l'uomo che sghignazzava sotto i baffi. «Sei sempre la solita canaglia, Ranen. Non cambierai mai.» «Già» mormorò Francesca, un po' nervosa. «Un vero testone, proprio come mio nonno.» Intanto, la folla si era moltiplicata. Laura Wright
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«Lascia perdere, Francesca, non preoccuparti» le disse lui a bassa voce. «Ranen è fatto così e adesso sta aspettando il suo show. Se non lo accontenterò, mi darà il tormento fino a sera. Volevo portarti a fare un giro in barca, ma immagino che dovremmo rimandare di un pochino.» Prima di salire sulla pedana, Max si voltò di nuovo verso di lei. «Che ne dici di un bacio per augurarmi buona fortuna?» Francesca arrossì violentemente. Il principe aveva parlato a voce alta e adesso tutti li stavano fissando con curiosità ancora maggiore. «Ma... Max, è pieno di gente qui...» Lui sorrise, sinceramente divertito dall'imbarazzo di lei. «Ti vergogni di farti vedere in giro con me?» «Non essere sciocco, non è della mia reputazione che mi sto preoccupando.» Con lo sguardo fisso negli occhi di lei, Maxim le appoggiò la mano sulla nuca, attirandola a sé. «La mia reputazione è stata già rovinata molti anni fa.» Senza aspettare una risposta, le coprì la bocca con la sua. Fu solo un breve e delicato bacio, ma Francesca si sentì in paradiso. Grazie a Dio, tutta l'attenzione era rivolta verso di lui, in tal modo Francesca non dovette sopportare gli sguardi di nessuno. Probabilmente stavano fissando anche lei, ma si rifiutò di voltarsi, concentrandosi su Max e sull'aggeggio che doveva colpire. Salito sulla piattaforma e sollevato il martello che doveva servire allo scopo, il principe si voltò verso la sua gente. «Lunga vita al popolo di Llandaron!» esclamò. «Lunga vita al principe Maxim» gli urlò la folla di rimando. Appena la gente ebbe smesso di urlare, Max vibrò il primo colpo. La leva che segnava la potenza della percossa salì e salì, fino quasi a raggiungere il limite massimo, ma mancandolo di qualche centimetro. Il pubblico sospirò deluso e Ranen ghignò. Dopo qualche istante, il principe vibrò il secondo colpo e ancora una volta la leva mancò di urtare il campanello, questa volta di meno di un soffio. «Allora, Altezza, rinuncia? È pronto ad ammettere di essere diventato un pappamolle?» sghignazzò Ranen. «Mai» rispose Max, guardando Francesca «Io non rinuncio mai. Che premio scegli, dottoressa? Che cosa vuoi che vinca per te, l'orso di peluche Laura Wright
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o il pagliaccio?» Lei gli sorrise, senza perdere il senso dell'umorismo. «Il premio più grande, naturalmente.» La folla si contorse in un'unica grande risata. «Naturalmente» le fece eco lui con uno dei suoi lampi negli occhi da farle diventare le ginocchia di burro. Il pubblico era ancora aumentato e le loro urla di incoraggiamento sovrastavano tutto il resto dei suoni e dei rumori della fiera. Con calma e sangue freddo, Max sollevò ancora una volta il martello. La luce calda del sole gettava un'ombra dorata sul suo bel viso e sul suo corpo longilineo. A Francesca parve proprio l'incarnazione di una statua di bronzo del periodo classico. Il principe colpì di nuovo e la levetta salì e salì, fino a toccare contro il campanello con un sonoro ding. La folla esplose in grida festose per l'entusiasmo. Max indicò uno degli orsi di peluche in palio per i vincitori, e quando l'addetto glielo passò, lui lo porse a sua volta a Francesca. Sotto il peso dell'enorme pupazzo, lei non riusciva neanche a vedere il volto di Max. «Sicuro che non ce ne sia uno più grande?» scherzò. Quando lui glielo tolse dalle mani per impedirle di cadere, si guardarono negli occhi e risero. La folla si disperse e Ranen si avvicinò alla coppia. «Mi dici come farai a caricare questo coso sull'aereo, ragazzina?» La frase ebbe il potere di abbattere il morale di Maxim e Francesca in un batter d'occhio. Ma fra loro si era stabilito un tacito accordo: non parlare della partenza di lei e godersi il tempo che avevano a disposizione. Né il principe né la ragazza diedero seguito a quella domanda inopportuna. «Buona serata, Ranen. Ci vediamo» gli disse lui rapidamente, prima di avvolgere il braccio attorno alla vita di Francesca e portarla via. «Dove andiamo?» chiese lei, una volta che si furono allontanati dalla piazza. «Facciamo un giro.» «Per tornare a palazzo?» Lui scosse il capo. «No. Come ti dicevo, pensavo di fare uno dei giri in barca che organizzano per la fiera. Ci sono diversi percorsi, come al luna Laura Wright
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park.» «Sul serio?» replicò lei, incuriosita. «Vuoi dire come la casa stregata, o cose del genere?» «Già, una cosa del genere.» Neanche in un milione di anni, Francesca avrebbe potuto sospettare che in un posto così piccolo si fosse in grado di organizzare dei percorsi in barca tanto affascinanti. Avevano creato una vasta serie di canali comunicanti, servendosi di insenature naturali in cui filtrava l'acqua del mare. «Come si chiama la nostra passeggiata?» chiese. «Leggende d'amore. Questo è uno dei percorsi più belli.» Si navigava verso il tramonto, Maxim e Francesca erano soli su una barchetta tutta per loro, fianco a fianco, insieme all'orsacchiotto di peluche. La piccola imbarcazione non era proprio molto stabile e, con un movimento un po' più brusco, lui la fece traballare. All'aria perplessa di lei, il principe rise. «Credevi che sarebbe stato un giretto romantico, dottoressa?» «Perché, proponi di rovesciare la barca e di buttarci in acqua?» «No, a questo non avevo pensato... finora.» Entrambi risero. «Sai che anche dove sono cresciuta io c'era un parco giochi a tema con un percorso che si chiamava Tunnel dell'amore o qualcosa di simile?» lo informò Francesca. «Sì?» «Già» ribatté lei con aria del tutto innocente. «Ci sono andata un paio di volte.» «Oh. E potrei sapere con chi?» «Con Bert Wilson.» «Che sarebbe?» «Era il mio ragazzo, all'epoca.» Sebbene sapesse che lei parlava di avvenimenti molto lontani nel tempo e di nessuna importanza, Maxim si irrigidì al pensiero che lei potesse essere stata toccata dalle mani di un altro uomo. «Scommetto che tentò di baciarti, lì dentro.» «Oh, ci provò eccome, te lo assicuro.» «Ci provò soltanto?» Laura Wright
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«Ci puoi giurare. Ero... sono una ragazza perbene io, che cosa credi?» ribatté lei, fingendosi offesa. «Se si fosse avvicinato di più, lo avrei buttato in acqua.» Anche con il buio che si avvicinava, gli occhi di Max apparivano brillanti e luminosissimi. Il loro azzurro risplendeva tutt'intorno e lei aveva voglia di abbandonarsi a quella luce turchina. «Credi che invece lasceresti che io ti baciassi? Ora, qui...» chiese lui, le labbra a pochi centimetri da quelle di lei. «Forse, sì, Altezza. Un bacio glielo concedo.» «Solo uno?» «Be', le farò sapere...» Attorno a loro, l'aria si era rinfrescata e si era alzato un po' di vento proveniente dal mare. Ma Francesca non aveva freddo. Le altre barche erano molto lontane, mentre le labbra di lui erano molto vicine. Il calore proveniente dal suo corpo la riempiva di desiderio. Improvvisamente, la barca si fermò e Max la legò a un muricciolo sporgente poco lontano. Si trovavano sotto un ponte da cui sporgevano edere e altre profumate piante dai fiori bianchi. «Perché siamo fermi?» chiese Francesca. «Ti senti a disagio a restare qui? Ho dimenticato di avvertirti.» «Non capisco.» «Sono le sei, come vedi sta scendendo la nebbia e, finché non sarà andata via, le barche nei canali hanno l'ordine di attraccare per non rischiare di scontrarsi. In realtà, è solo una precauzione, se vuoi possiamo sbarcare.» «No... anche se non mi sento molto al sicuro sola con te...» ammiccò lei. All'improvviso la nebbia rese impossibile la visibilità a meno di un metro. Tutt'intorno era silenzio. Nessuno poteva vedere o essere visto, proprio come aveva voluto Sana, la principessa suicida dell'antica storia di Llandaron. Con dolcezza, Max accarezzò il labbro inferiore di Francesca. Lei si sentì percorsa da un brivido caldo. «Che cosa vuoi farmi?» gli chiese con il capo reclinato da un lato. «Adesso lo vedrai» rispose lui, e i suoi occhi divennero molto più scuri. Subito dopo, senza aspettare risposta, il principe la distese sulla schiena sul fondo della barca, con le labbra sulle sue. Francesca avvertiva che il suo corpo rispondeva a quello di Maxim in Laura Wright
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assoluta simbiosi. Solo che i baci non erano più sufficienti. Entrambi, ormai, sentivano che non bastavano più. Con un rapido guizzo negli occhi, lui si staccò da lei per spingersi, delicatamente, con le mani al di sotto della sua maglia. Con dita agili ed esperte, Max le slacciò il reggiseno e le accarezzò i capezzoli con lieve pressione. «Sei talmente bella» le disse. «Ma non è solo questo, tu sei speciale. Sei brillante e divertente e sei intelligente, passionale.» Lo sguardo di lui cercava disperatamente quello di lei. «Non ho mai conosciuto nessuna come te.» «Né io uno come te» mormorò lei, senza fiato. Francesca non comprendeva bene le reazioni del suo corpo al tocco di lui, quell'urgenza, quel bisogno impellente delle sue mani che la stringevano e la palpavano. Non aveva mai provato nulla del genere. Dennis l'aveva baciata un paio di volte, ma non era successo niente, nessun fuoco d'artificio. Quando era stata con il bellimbusto dalla voce suadente, l'esperienza era stata breve e deludente. Non c'erano state carezze o parole ardenti o il cuore che le era balzato in gola. Nulla di tutto ciò. Ancora niente fuochi d'artificio. Intanto, Max le aveva sfilato la maglia, ed era sui suoi seni con entrambe le mani. Quando la bocca di lui si appoggiò sulla sua pelle bollente, Francesca emise un forte gemito. Non le importava più del controllo, dell'imbarazzo. Non provava alcun tipo di disagio lì con lui, nascosta nella nebbia e cullata dal suo respiro tiepido. Lo voleva, bramava tutto quello che potesse darle e farle provare. E di certo anche Max desiderava la stessa cosa, quando le chiese: «Dimmi che cosa desideri». «Tutto» fu la pronta risposta di Francesca, e non era neanche certa di aver pronunciato la parola a voce alta. Di punto in bianco, Maxim scomparve nella nebbia per riapparire un secondo dopo al di sotto della gonna di lei. La sollevò e lei avvertì l'aria fresca della sera sulle gambe e sulle cosce. Con rapidi, dolcissimi baci, accompagnati da massaggi e carezze, lui proseguiva toccandola in punti che la facevano arrivare a vette di piacere mai provato. Quando incominciò ad armeggiare con le mutandine, Francesca trasalì. Laura Wright
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«Max, io non... non so come...» Avvertiva il respiro di lui, caldo, nelle sue parti più intime. «Ti prego, io...» continuò lei. «Francesca, ti fidi di me?» «Sì.» Le sfilò le mutandine. Lei credette di impazzire quando sentì le dita di lui avvicinarsi sempre più. Lentamente, centimetro per centimetro, lui continuava ad accarezzarla intimamente. Francesca tratteneva il respiro, con gli occhi chiusi, nella spasmodica attesa che lui le regalasse ciò che il suo corpo ormai bramava. Al ritmo incalzante di lui, lei avvertiva ondate di piacere sempre più intenso. Niente poteva essere meglio di quello. Ma sbagliava. Nessun uomo l'aveva mai toccata in quel modo, nessuno l'aveva fatta sentire tanto desiderabile e a proprio agio come lui. Con entrambe le mani, Maxim la spinse oltre e poi ancora oltre le barriere del piacere. Con la nebbia che li proteggeva e li abbracciava, l'essenza di fiori che esaltava l'aroma salmastro attorno a loro, Francesca credette di essere arrivata in paradiso. Aveva trovato il paradiso perduto. Maxim, dal canto suo, si struggeva dal desiderio incontrollabile di entrare in lei. Aveva bisogno di lei, la voleva, doveva essere sua proprio lì, in quella barca. Le sue leggere grida gli ronzavano nelle orecchie e sapeva che anche lei non voleva altro. Ma non aveva protezione con sé, quindi no... non sarebbe stato possibile. All'improvviso la nebbia cominciò a dissiparsi e lui si staccò da lei, bruscamente. I due si guardarono, ma Max distolse lo sguardo dopo pochi attimi. Francesca non sapeva per quale motivo, ma non riconosceva in lui lo stesso uomo di pochi minuti prima. Che cosa era successo? Adesso era freddo e non la guardava più in faccia. Maxim si rifiutò di parlare fino a quando la barca non fu arrivata di nuovo in porto. Si era reso conto, nella frazione di un secondo, che se Laura Wright
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l'avesse presa lì dov'erano, se avesse fatto l'amore con lei, niente sarebbe stato più lo stesso per lui. Lei era troppo, troppo importante e lui non aveva mai provato sentimenti del genere verso una donna, prima. Non voleva possederla solo cedendo a un impulso fisico, non poteva. Quella consapevolezza lo aveva profondamente turbato e aveva calato un'ombra di dubbio sul suo bel volto e sui suoi occhi luminosi.
Capitolo 8 «SEI IL CUCCIOLO più dolce del mondo» disse Francesca, sollevando in alto il piccolo Lucky. Quando lo riportò giù, il cagnolino si mise comodo nel grembo di lei, stiracchiando le sue zampette. L'alba era arrivata solo poco prima e la vita a Llandaron si stava lentamente ridestando. I cavalli aspettavano il loro pasto, ansiosi, e gli uccellini cinguettavano sui secolari alberi del giardino reale. Per fortuna di Lucky e dei suoi fratellini e sorelline, Glinda non li fece attendere a lungo per dar loro ciò di cui avevano bisogno. Con un tuffo al cuore, Francesca si allontanò dalle bestiole e andò a sedersi su una sedia poco distante. La sera prima, in barca, con la nebbia che li circondava, Max le aveva dato esattamente ciò di cui lei aveva avuto bisogno in quel momento. Era stato dolce e premuroso con lei, ma quando la nebbia si era diradata, l'aveva perfino salutata con freddezza e noncuranza. Perché non aveva voluto fare l'amore con lei, perché era cambiato? Anche se non era certo un'ottimista, da qualche parte nel suo cuore, Francesca sapeva che Maxim non era come un dei tanti bellimbusti che dopo un po' si stancano del loro giocattolo e si dirigono subito alla ricerca di qualcosa di nuovo. No, lei sapeva che lui era diverso, più sensibile, più autentico. Non poteva aver finto per tutto quel tempo. Però, forse era lei a sbagliare. Poteva essere diventata una credulona, una stupida che si raccontava sciocchezze e credeva nelle favole. O forse no, ancora. Come aveva potuto il suo istinto averla ingannata in quel modo? Ma, qualunque fosse stata la situazione, Francesca non avrebbe potuto essere certa di nulla per il momento, non prima di aver affrontato Max e di avergli parlato direttamente. Laura Wright
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«Buongiorno.» Lei sollevò il capo bruscamente. Un bagliore di luce chiara e morbida le rimbalzò davanti, rendendole impossibile vedere. Si strofinò gli occhi più volte, riuscendo a stento a mettere a fuoco la silhouette della persona cui apparteneva quella dolce voce squillante. «Le chiedo scusa, ma non riesco a vederla» le disse, facendosi scudo del sole con le mani. La figura si avvicinò, coprendo i raggi che accecavano Francesca. Si trattava di una donna elegante e snella, oltre i sessanta, in un lungo abito bianco e argento. Poteva assomigliare a una Audrey Hepburn di mezza età, con le basse scarpette bianche e la leggera coroncina di zaffiri e diamanti sul capo dai capelli grigi. Doveva essere senza dubbio un membro della famiglia reale, anche se lei non l'aveva mai vista prima, da quando era arrivata. «Come va?» chiese la donna, sorridendo. Aveva un sorriso talmente accattivante che Francesca non poté evitare di ricambiarlo. «Buongiorno a lei.» «È la dottoressa Charming, non è vero?» «Sì, ma mi chiami pure Francesca.» Stava per alzarsi, quando la donna più anziana le fece cenno di non preoccuparsi. Con passo felpato, piena di eleganza e grazia, la nuova arrivata si portò accanto alla branda con i cani. «Glinda ha messo al mondo proprio dei piccoli splendidi» disse. Francesca annuì. «Sì, sono tutti deliziosi e sani.» «Il re ha promesso di regalarmene uno, quando sarà abbastanza grande da lasciare la mamma.» Man mano che la donna si avvicinava, Francesca poteva notare quanto fosse bella, con gli zigomi alti, la pelle ancora liscia per la sua età e un paio di incredibili occhi blu, quasi viola. «Questo deve essere una vera peste, vero?» continuò la donna. «Già, questo è Lucky. L'ho chiamato così.» «Oh, è quello che ha salvato?» «Sì, proprio lui.» «Sa, Francesca, credo che ci sia anche qualcun altro da salvare qui a corte.» Lei osservò preoccupata la cucciolata. La donna si lasciò sfuggire una breve risata. «No, non parlavo dei cani, Laura Wright
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mia cara.» Francesca era molto confusa. «Mi scusi, non credo di aver capito.» «Ma capirai presto. Capirai.» Con un lieve sorriso, la donna si girò e si diresse verso l'uscita. «Altezza» chiamò Francesca. «La prego, aspetti un attimo.» Ma la donna era scomparsa e il sole dell'alba, con i suoi raggi chiari, era tornato ad abbagliarla. Lavoro. Maxim fissava i documenti che aveva davanti, cercando di concentrarsi. Ma, proprio come era accaduto nelle sei ore precedenti, numeri, dati e grafici si confondevano in un'unica massa insignificante e senza senso. Frustrato, mise via le carte e fissò il soffitto. Prima di incontrare Francesca Charming, non gli era mai capitato di essere distratto sul lavoro. Non sapeva se maledire il giorno in cui era arrivata a Llandaron o buttare tutto all'aria per correre nella sua stanza e prenderla fra le braccia. Lo sguardo di lui vagò nella stanza fino a incontrare il tavolo con la scacchiera. Gli era diventato ancora più caro dal giorno in cui avevano giocato quelle partite vincendone una ciascuno. Che sciocco era diventato, le donne non dovevano essere un'ossessione, quanto piuttosto un mero passatempo. Ci doveva essere divertimento per entrambe le parti, poi ciascuno se ne doveva andare per la propria strada soddisfatto, contento e soprattutto solo. Era sempre stato così. L'aroma della cena che non aveva consumato aleggiò nella stanza. Maxim non aveva pensato a mangiare, non aveva pensato a nulla all'infuori di lei. La consapevolezza di ciò lo rese ancora più nervoso. Imprecò a voce alta. «Che cosa c'è che non va, Max?» Leggera come una brezza primaverile, Francesca era in piedi davanti a lui. Indossava un paio di jeans e una maglia larga e comoda. Se avesse indossato un babydoll o un negligé non sarebbe stata più sexy di quanto fosse in quel momento. I capelli erano raccolti in una morbida coda, biondi e lucidi alla luce, con ciocche sbarazzine che le ricadevano sparse sul viso. Era bella da togliere il fiato. «Come hai fatto a entrare?» chiese Maxim, cercando di ritrovare la parola. Laura Wright
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«Le guardie mi conoscono, ormai. Mi lasciano passare senza problemi. Anzi, credo sia stato proprio tu a dir loro di lasciarmi passare tutte le volte che ne avevo voglia. E poi la porta d'ingresso era socchiusa.» Lui evitò di guardarla, fissando i documenti chiusi appoggiati sul tavolo. Se avesse incontrato il suo sguardo e vi avesse letto passione e desiderio, l'avrebbe portata in camera da letto e avrebbe fatto l'amore con lei senza indugiare. «Forse la porta era socchiusa per un motivo?» riprese Francesca. Ignorando l'apprensione e l'ansia in quella voce melodiosa e sottile, Maxim cercò di mostrarsi indifferente. «Sto aspettando un pacco.» «Be', eccomi qua» scherzò Francesca, appoggiando la sua mano su quella di lui. Lui non poté evitare un ghigno malizioso, lei era troppo sexy, irresistibile. «Credevo fossimo d'accordo sul non vederci oggi...» le disse poi, nell'estremo tentativo di mostrarsi freddo, ma senza scostare la mano dalla carezza di lei. «Perché devi lavorare?» «Esatto.» «Be', non la bevo, Max. Non credere di potermi trattare come una sciocca.» «Chiedo scusa?» D'impulso, lui sollevò lo sguardo verso i caldi occhi di lei, fiamme color del bronzo. Fiamme che lo avvolsero con ardore. «Ascolta, Maxim, se hai improvvisamente ricordato che tu sei un principe e io solo una veterinaria di Los Angeles e hai cambiato idea su di noi, va bene. Parto subito e...» «No» la fermò lui. «Non è cambiato niente. Non devi partire.» «E allora vuoi dirmi che cosa c'è?» Il suo autocontrollo si era spezzato come il fragile guscio di una conchiglia travolta da un maremoto, ecco che cosa c'era. E se lei non fosse uscita subito da quella stanza, lui l'avrebbe afferrata, spogliata e avrebbe saggiato ogni centimetro del suo corpo. Ma doveva controllarsi, dannazione. Prendendo il silenzio di lui come un rifiuto, Francesca gli lasciò la mano e si diresse verso l'ampio camino con le braccia incrociate. «Ricordi il primo giorno in cui ci siamo incontrati? Ricordi il nostro discorso sulle scelte e sul vivere la propria vita?» Laura Wright
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«Sì, ricordo.» «Bene, Max. Perché ora, in questo momento, tu devi fare una scelta. Devi essere chiaro con me, onesto.» La stanza era colma di palpabile tensione. «Vuoi onestà?» rispose lui, alzandosi dalla sedia e raggiungendola. «Va bene» disse poi, appoggiandole le mani sulle spalle. Lei trasalì e si voltò verso di lui. «Ti desidero e ho bisogno di te in maniera così intensa da provare dolore fisico. Non ho mai avuto bisogno di niente in vita mia, Francesca, capisci? Di niente.» La baciò forte sulle labbra. «Ma ora ho bisogno di te. Ti rendi conto di quanto sia difficile da accettare per me?» Lei pensò che il cuore dovesse esploderle in quell'istante. Aveva sentito bene? Lui aveva bisogno di lei? Quindi il pomeriggio in barca e quello che c'era stato fra loro non era stato solo un banale passatempo, per lui, e il suo comportamento subito dopo non era stato causato dal desiderio di allontanarsi da lei. Max aveva solo avuto paura di ciò che provava, proprio come lei. Lui, però, era spaventato al pensiero di aver bisogno di qualcuno, mentre lei non si sentiva sicura all'idea di aver cominciato a riporre fiducia in qualcuno. Francesca sollevò lo sguardo verso di lui, verso quegli occhi azzurri scintillanti di passione e tenerezza. In quel preciso istante, seppe che avrebbe potuto concedersi a quell'uomo per poi ripartire senza rimpianti. Sapeva qual era la cosa giusta da fare allora, in quella circostanza, e sapeva che sarebbe stata giusta per sempre, qualunque cosa fosse accaduta in seguito. Adesso si sentiva cresciuta e maturata da quando aveva incontrato il bellimbusto che l'aveva imbrogliata. Ora non si sentiva ingannata da niente e da nessuno, sapeva ciò che provava, era consapevole di se stessa e della sua femminilità e aveva preso coscienza dei propri sentimenti. Era pronta a trascorrere due settimane con l'uomo che amava senza pensare ad altro. Si sentiva una vera donna e lo era diventata grazie a lui. Aveva già rinunciato a essere sempre misurata e controllata, adesso doveva rinunciare a sogni e fantasie in favore di una magnifica realtà, per quanto breve potesse essere. Con tutta la passione, la fierezza e l'amore che risiedevano in lei, Francesca appoggiò una mano sulla nuca di lui e attirò a sé il suo viso, lasciando che le loro labbra si incontrassero. «Prendi ciò di cui hai Laura Wright
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bisogno, Max» gli bisbigliò. Lui partecipò al bacio con tutto se stesso, ma, dopo qualche istante, si scostò da lei. «Francesca, il mio futuro non mi appartiene. Non posso decidere della mia vita... Tra una settimana e mezzo, al ballo in maschera a palazzo io... io dovrò annunciare al mio paese il mio fidanz...» «No.» «Sì, dannazione. Devi sapere, devi capire.» «Capisco tutto, Max» disse lei, guardandolo negli occhi e bruciando d'ardore. «Non sono una stupida. Tra una settimana e mezzo io dirò addio a Llandaron e a tutti quelli che ci vivono.» «No. Tu non capisci...» riprese lui. «Ti dico di sì.» La voce di Francesca e il suo viso esprimevano fierezza e decisione. «Abbiamo altri dieci giorni solo per noi. Preferisci trascorrerli lontano da me, fingendo di lavorare, mentre entrambi ci struggiamo di desiderio? Oppure preferisci che li trascorriamo insieme, nel tuo letto?» Gli occhi di lui, da scuri che erano diventati, tornarono a illuminarsi della loro luce turchina. Francesca sentì un sordo ruggito provenire dall'interno del suo petto. «Dannazione» disse. «Dannata situazione e dannata la tua lucidità.» Lei gli si avvicinò ancora, sentendo il desiderio di lui, potente e vigoroso, contro di sé. Il suo corpo gli apparteneva, ormai, e così pure la sua anima. Le loro bocche si sfioravano di continuo, incapaci di restare lontane. Maxim le abbassò la zip dei jeans e lei lo imitò. Poi lui le sfilò la maglietta e si tolse la sua. La stanza era pregna dei respiri di entrambi che senza sosta si inseguivano, ansimanti e affannati per il peso dell'attesa. «Francesca, non credo che il nostro incontro sarà dolce o lento, questa volta» le disse lui, afferrandola per il fondoschiena e attirandola verso di sé. «Non voglio preliminari.» «Cos'è che vuoi, allora?» «Voglio te. Te dentro di me.» «Adesso?» «Sì, qui.» Max si tuffò negli occhi di lei. «Ne sei sicura?» le chiese ancora, Laura Wright
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stuzzicandola con le dita. «Sì, Max. Ti voglio.» Rilasciando un profondo sospiro di soddisfazione, lui la sollevò fra le braccia e la condusse verso la camera da letto, l'appoggiò gentilmente sul letto e poi si diresse verso il comodino. «Lascia fare a me» disse lei, dopo che lui aveva scartato il profilattico. Francesca lo guardò, eccitato e pronto, pulsante. Lo guardò come non aveva mi guardato nessun uomo prima, come non aveva neanche mai desiderato fare. Ma con Max aveva voglia di fare ogni cosa, voleva guardare e provare tutto quello che c'era da guardare e provare. All'improvviso lui si lasciò prendere dall'istinto più selvaggio e la girò con la schiena sul letto, le divaricò le gambe e la fece sua. Lei gemette di pura gioia, stava facendo l'amore con l'uomo dei suoi sogni, con l'uomo che amava. Era un sogno che diventava realtà. Con sapienza e ritmo incalzante, Max la condusse rapidamente al culmine, seguendola nel piacere qualche istante dopo. Negli istanti seguenti, si ritrovarono abbracciati sull'immenso letto di lui, sudati e soddisfatti, sereni e appagati. Francesca chiuse gli occhi contro il petto di lui, sperando che quel sogno non dovesse svanire così in fretta per riportarla alla prosaica realtà. Ma Max aveva ancor meno voglia di restare solo e la strinse a sé con ansia di possesso e desiderio di tenerezza. «Non credi che dovrei andarmene, ora?» le chiese lei, dopo un certo tempo. «Perché, hai fretta?» Entrambi erano stesi nudi, sopra le lenzuola. «No» rispose Francesca, incerta. «E' solo che...» «Non ti lascerò andare, piccola. Ormai sei qui, con me.» «Vuoi che resti a dormire con te, tutta la notte?» «Voglio che resti con me tutta la notte. A dormire penseremo più tardi. Molto più tardi...»
Capitolo 9 QUELLA MATTINA, FRANCESCA si sentiva in pace con il mondo intero. Le sembrava che gli animali le sorridessero e che perfino gli alberi e i fiori profumassero per lei. Laura Wright
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Glinda e i cuccioli crescevano benissimo e non avrebbero potuto essere più vispi e più sani. Aveva fatto un ottimo lavoro con loro e anche se la natura ormai avrebbe continuato il suo corso senza più bisogno del suo aiuto, le piaceva ricordare di essere stata partecipe di quel miracolo. Era quella la parte migliore del suo lavoro, osservarne i risultati dopo un certo tempo e constatare che tutto proseguiva seguendo l'ordine naturale delle cose. «Buongiorno, dottoressa. Come andiamo?» Re Oliver era appena entrato nelle scuderie. «Molto bene, Sua Altezza» rispose lei con un inchino. «Ho notato che si alza sempre di buon mattino. La vedo arrivare all'alba.» Francesca sobbalzò e tentò di nascondere il tremore delle sue mani. Il re intendeva dire che l'aveva vista tornare da casa di Max ogni mattina per tutta la settimana? Come poteva essere, dalle sue finestre non era possibile vedere l'ingresso delle scuderie e tanto meno la strada che conduceva al faro. Forse le guardie avevano parlato? Ma era anche possibile che stesse equivocando l'atteggiamento del re perché si sentiva colpevole. Infatti, il tono di lui non aveva smesso di essere bonario e gradevole, come al solito. «Charlie mi ha detto che hai una predilezione speciale per uno dei piccoli, è vero?» «Sì. Li adoro tutti, Altezza, però devo ammettere di avere una predilezione per il più piccolo.» «Forse, quando tornerà in America, potrà portarlo con sé, se le farà piacere.» Francesca si lasciò andare a un moto di pura gioia. «Oh, davvero? Posso portare Lucky con me?» Ma, riflettendo, fece subito marcia indietro. «Veramente è troppo giovane, avrà bisogno della mamma per qualche settimana ancora.» «Sarò lieto di farlo portare da lei quando avrà l'età giusta. Lo consideri un mio dono personale per il suo operato e la sua dedizione nello svolgere il lavoro qui a corte.» «Ma io... Altezza, lei non mi deve niente. La ringrazio molto, io ho solo svolto il mio lavoro.» Il re assunse un tono serio e si portò le mani dietro la schiena. «Sa, Francesca, Llandaron è un luogo fantastico, bello e affascinante. È molto facile farsi prendere dalla magia del posto e dall'entusiasmo dei suoi Laura Wright
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abitanti...» A quel punto lei non ebbe più dubbi, il re sapeva e stava cercando un modo gentile per farle capire di non illudersi. «Tuttavia» riprese il sovrano, «la vita qui non è affatto una favola, non per i membri della famiglia reale, almeno. Noi abbiamo tutti delle precise responsabilità, io e i miei figli...» «Oliver, hai intenzione di farmi aspettare ancora a lungo? Dove sei finito?» Una voce femminile interruppe il discorso del re, con sommo sollievo di Francesca. «Sto arrivando, Fara» rispose il sovrano. «Mi scusi, è mia sorella. È da poco tornata da un lungo soggiorno in India e insiste sempre nel fare colazione all'alba.» Nel frattempo la sorella del re, una donna vestita di bianco e dall'aspetto molto elegante, si era avvicinata all'ingresso delle scuderie. Francesca la riconobbe subito: era la stessa donna che era apparsa e scomparsa nel nulla qualche giorno prima. Il mistero era svelato. «Non si preoccupi, Altezza. Buona colazione» disse poi al re con un leggero inchino del capo. «Allora, buona giornata a lei, Francesca. A presto.» «Grazie, Altezza. Arrivederla.» Lei guardò i due allontanarsi nel sole chiaro dell'alba e poi tornò con una certa malinconia a Glinda e ai cuccioli. Il re aveva voluto mettere in chiaro le cose per lei e Maxim e, sebbene sapesse perfettamente da sola che non era il caso di illudersi, quell'incontro aveva avuto il potere di farle cambiare completamente umore. Max sollevò lo sguardo. «Hai finito tutte le patatine, dottoressa. Ti sembra una cosa carina da fare?» «Non lo avrei fatto se tu non ci avessi messo più di mezz'ora per compiere questa mossa.» Entrambi risero, le partite a scacchi erano diventate una sorta di consuetudine fra loro, ormai, era un gioco in cui convergevano energie intellettuali e anche fisiche, visto che, chiunque dei due vincesse la partita, chiedeva come pegno sempre lo stesso premio. «Be', per batterti mi serve concentrazione» riprese lui. «Quindi è meglio se non mi metti fretta.» «Non ti illudere. Non mi batterai. Anzi, se avrai bisogno di un'altra Laura Wright
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mezz'ora, capirò.» «Mi stai prendendo in giro, dottoressa?» «Certo che no, se non sbaglio quella è la tua specialità.» «Bene.» «Bene.» «Ma questa volta vincerò io e stavo pensando a un altro tipo di scommessa, una molto più intrigante...» replicò lui, sorridendo malizioso, con quel lampo negli occhi che era capace di far sciogliere a Francesca il sangue nelle vene. «Oh, e a cosa pensavi?» chiese lei, curiosa. Max sollevò un sopracciglio. «Vestiti.» «Come? Vestiti?» ripeté lei. Poi una scintilla le attraversò il cervello. Con un lieve rossore, sorresse lo sguardo di lui e sorrise a sua volta. «Come vuoi, Altezza, il principe sei tu. Accetto la sfida. Sei pronto?» «Mai stato più pronto in vita mia, dolcezza» dichiarò lui, spostando l'alfiere avanti di due caselle e catturando un pedone di lei, trionfante. «Tocca a te, devo prendere in consegna qualcosa di tuo.» Con sguardo di sfida, Francesca si tolse la collanina che portava sempre e la porse verso di lui. Max sogghignò. «Sei furba, dottoressa, ma i gioielli non sono vestiti. Quindi non contano.» «Ah, no?» rispose lei, divertita. «No.» «E va bene, signor le-regole-le-stabilisco-io.» Sparendo per qualche istante sotto il tavolo, Francesca riemerse tenendo in mano i suoi calzini. «Ecco» disse con un sorriso allusivo. «Non molto meglio di prima, ma almeno non hai imbrogliato.» Con mossa fulminea, subito dopo lei catturò il cavallo di lui con la sua regina. «Sua Altezza è un po' distratto?» Fingendosi contrariato, Max si sfilò le scarpe e le appoggiò accanto alla sedia di lei, che si lasciò andare a un'esclamazione soddisfatta. «Non esultare prima del tempo, Francesca. Sarai nuda prima che scocchino le dieci. Vincerò questa partita, vedrai!» esclamò poi, ridendo. «Io non ci conterei troppo, se fossi in te.» Dieci minuti dopo, alle nove e quarantacinque, Maxim era seduto di fronte alla scacchiera indossando solo i suoi boxer. Lei invece aveva ancora camicia, mutandine e reggiseno. «Voglio vedere a terra tutti quegli inutili vestiti che porti, Francesca.» Lei lo guardò fisso negli occhi. «Non così presto, Altezza» disse, e con il dito indice fece cadere il re di lui. «Come vedi, ho vinto io.» Laura Wright
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«Già, tanto per cambiare. E io che volevo insegnarti a giocare a scacchi. Che ingenuo.» Francesca reclinò il capo da un lato. «Direi che abbiamo vinto entrambi» mormorò dopo essersi alzata. Cominciò ad avvicinarsi a lui, sfilandosi lentamente la camicetta e di seguito il reggiseno. «In tanti anni di pratica, non mi ero mai divertito tanto giocando a scacchi» ammise lui. «Adesso ho delle prospettive del tutto nuove rispetto a questo nobile passatempo... E pensare che qualcuno ha perfino il coraggio di definirlo noioso.» «Non sanno cosa si perdono» gli bisbigliò Francesca all'orecchio, sedendosi sul bracciolo della sua poltrona. «Ma non credere che rinuncerò tanto in fretta alla mia vincita... Via quei boxer, Altezza.» Il tempo scorreva rapido come il battito d'ala di un uccello. Con i piedi a mollo nell'acqua ancora fredda del mare, Francesca guardava i gabbiani volteggiarle sulla testa, inebriata dal suono dei loro richiami. Era il giorno perfetto per starsene accanto alla riva a pescare, rubando baci dalle labbra dell'uomo che si amava. Max stava sistemando l'esca. «Attento a quell'amo, Altezza» gli disse. «Oh, scusa.» Lui indossava pantaloni leggeri arrotolati fin sui polpacci e una camicia completamente sbottonata. Francesca si sentiva talmente in pace che poteva quasi dimenticare chi fosse in realtà o chi non fosse. Già, quasi. Sollevò la lenza per vedere se il suo verme era ancora lì. «Quando mio padre era ancora vivo» disse, «di tanto in tanto mi portava a pescare. Ricordo che una volta combinai un pasticcio tremendo con ami e lenza.» «Quanto tremendo?» chiese Maxim. «Nel lanciare la lenza in acqua agganciai l'orecchio di mio padre...» «No! Stai scherzando, spero.» «Per niente» disse lei, ridendo. «Purtroppo è la pura verità. Non avevo idea che i lobi delle orecchie potessero sanguinare tanto.» «Lo avete portato in ospedale?» «No, per fortuna fu solo un graffio.» «Francesca» continuò lui, lasciando da parte il tono scherzoso. «Non mi hai mai raccontato nulla della tua famiglia, mi piacerebbe che lo facessi.» Laura Wright
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Era vero, di solito lei preferiva non rivangare ricordi dolorosi, ma poiché lui glielo stava chiedendo con tanta semplicità... «Non ho più una famiglia da molto tempo. Mia madre morì quando ero appena nata, poi, quando anche mio padre morì, fui lasciata con la mia matrigna e due fratellastri. Non abbiamo mai veramente legato.» «Come mai?» Lei sospirò. «Be', non è che fossero persone tanto orribili, solo diverse, molto diverse. Non erano la mia famiglia, tutto qui. Tu sei molto fortunato ad avere una famiglia che tenga a te e si preoccupi del tuo bene.» Max non era del tutto d'accordo con quanto lei aveva detto, ma preferì confidare anche lui alcuni dei suoi ricordi più personali. «Anche mia madre morì quando ero molto giovane.» «Mi dispiace.» «Già, fu proprio terribile per noi ragazzi abituarsi alla sua assenza. Mia madre aveva un modo di vedere le cose originale per Llandaron. E in certi casi tu me la ricordi, sai. Anche lei credeva nella libera scelta e nella possibilità di costruirsi un futuro nella maniera che più ci sembrasse adatta alle nostre esigenze.» «Doveva essere una donna speciale.» Maxim si voltò verso di lei, con in viso un'espressione pensierosa. «Francesca, credevi che avresti costruito una famiglia con Dennis?» Lei annuì, fissando l'oceano. «Non ci ho riflettuto molto, finora, però mi dispiace essere stato la causa della vostra rottura. Io...» «No» lo interruppe lei. «Non è stata colpa tua, Max, non dire così. In fondo, ho sempre saputo che Dennis fosse solo un ottimo amico per me, il migliore, ma non certo un marito. Ho voluto affrettare troppo le cose con lui. La prossima volta farò tutto con più calma.» «La prossima volta?» proruppe Maxim. Aveva capito perfettamente ciò che lei intendeva, le cose fra loro erano chiare, sapevano che si sarebbero separati alla fine del soggiorno di lei a Llandaron... eppure non poté evitare di provare una fitta al cuore a quella frase. Una fitta lancinante che gli squarciava il petto. «Certo» riprese Francesca con voce rotta. «La prossima volta che incontrerò un ragazzo, ci andrò con i piedi di piombo. Cercherò di conoscerlo molto bene prima e poi valuterò se sarà il caso di prenderlo in considerazione come marito.» Lo stomaco le si contrasse. Non voleva Laura Wright
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nessun marito, nessun ragazzo, voleva solo il principe Maxim, per sempre. «Non mi piace la piega che ha preso questa conversazione» biascicò lui, contrariato. «Neanche a me.» L'infrangersi dei flutti leggeri sui ciottoli e sugli scogli coprì il silenzio che era calato fra i due. Dopo qualche lungo minuto, Maxim si alzò e prese Francesca per mano. «Andiamo a farci una nuotata» propose sorridente. «Ma non ho il costume.» Lui sollevò un sopracciglio con aria ammiccante. Lei arrossì lievemente. «Ma... ma l'acqua è ancora molto fredda in questo periodo dell'anno...» «Ti scalderò io, non temere...» «In questo caso...» disse Francesca, sorridendo. Sollevandola fra le braccia, Maxim le diede un piccolo bacio sulle labbra e la portò verso il bagnasciuga. Una volta in acqua, Francesca avvolse le gambe attorno alla vita di lui e lo strinse forte con gli occhi chiusi, tentando di dimenticare che un paio di giorni dopo sarebbe stata su un aereo che l'avrebbe riportata in California.
Capitolo 10 IL PICCOLO LUCKY era il cucciolo più dolce e simpatico che avesse mai visto. Insieme ai fratellini, cresceva rapidamente, diventando ogni giorno più forte e più curioso di esplorare il mondo che lo circondava. Francesca si chiese se il re Oliver avrebbe mantenuto la promessa di farle arrivare il piccolo a Los Angeles, quando fosse cresciuto abbastanza. Lo sperava davvero, non poteva immaginare di lasciare Llandaron senza nient'altro che i suoi ricordi come testimonianza del periodo più bello della sua vita. Lucky le sarebbe stato di conforto nelle sere solitarie... Il nitrito generale dei cavalli nelle loro stalle annunciò a Francesca una visita. Era la principessa Fara, la sorella del re. Radiosa ed elegantissima come sempre, le si avvicinò sorridendo. «Non si può dire che sia difficile rintracciarti, mia cara, se si abbia necessità o solo voglia di parlare con te.» Francesca era perplessa, ma il tono della principessa era talmente soave Laura Wright
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da riuscire a mettere a proprio agio chiunque. «Be', sì, a quest'ora della mattina mi piace essere qui con Glinda e i piccoli. Le albe di Llandaron sono spettacolari, non voglio perdermene neanche una finché... finché sarò qui.» «Questa è la sua ultima sera da noi, dunque?» Francesca sospirò distogliendo lo sguardo. «Sì.» «E che cosa pensi di indossare per il ballo in maschera?» «Ho un vestito nero da cocktail, metterò quello.» «No, no, mia cara. Quello non va bene» disse la donna, appoggiandole una mano sulla spalla. «Ma non ho altro...» «Io sì, però. È per questo che sono venuta a cercarti. Vieni con me nelle mie stanze e potrai provare un paio di abiti.» Francesca era senza parole. «Oh, Altezza, la ringrazio, ma io... io non posso lasciare i cuccioli.» «Non preoccuparti per loro. Ormai non sono più appena nati e poi c'è Charlie qui intorno che potrà dargli un occhio e chiamarti in caso di necessità.» Mentre si incamminavano insieme verso il castello, la principessa le parlò con molto entusiasmo degli abiti che aveva in mente per lei. «In particolare, credo che per te sarà perfetto un abito bianco dalla gonna lunghissima, lascia le spalle scoperte, e con i capelli tirati su, il tuo splendido collo sarà ancora più in evidenza.» Francesca sorrideva. «Perché fa tutto questo per me, Altezza?» chiese. «Non che non lo apprezzi, lo apprezzo moltissimo, però non capisco... io sono solo una veterinaria e...» «Tu mi piaci molto, mia cara» la interruppe Fara. «E per conoscerti mi è bastato vederti riflessa negli occhi di mio nipote.» Lei arrossì violentemente e non disse nulla. «Sai, quando avevo più o meno la tua età, proprio a uno dei balli in maschera di corte incontrai un uomo magnifico. Ballai con lui tutta la notte e i suoi luminosi occhi neri furono sempre al centro dei miei pensieri per intere settimane.» «E poi, che cosa accadde?» «Lo rividi qualche volta, ma lui non era un nobile e non apparteneva a una famiglia importante. Era venuto al ballo, quella sera, perché era un partner d'affari di mio zio. La mia famiglia non voleva che lo sposassi e io Laura Wright
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non fui forte abbastanza da imporre la mia volontà...» «Capisco» disse Francesca con lo sguardo basso. «Ho rimpianto per tutta la vita di non aver avuto la forza di restare con lui, di far valere le mie ragioni e di comprendere che l'amore è la cosa più importante di tutte, più del sangue blu e delle proteste dei genitori.» «Quindi ha rimpianto la sua decisione?» «Non puoi immaginare quante volte, mia cara. Vivere tutta la vita nel ricordo di qualcuno che non si è mai avuto non è molto gratificante, te lo assicuro.» La principessa fece una pausa per annusare un cespuglio di erica particolarmente rigoglioso. «È per questo che ho deciso di aiutarti, Francesca. Spero che Maxim abbia più coraggio di sua zia. Lo spero con tutto il cuore.» La principessa Fara e tutte le sue dame di compagnia batterono le mani gioiose quando videro apparire Francesca nel lungo abito bianco dai ricami color argento. «Maxim e altre decine di uomini non saranno capaci di toglierti gli occhi di dosso, questa sera, mia cara. Sei meravigliosa, e risplendi come una rosa di maggio.» Lei si avvicinò a uno degli ampi specchi della camera e osservò la propria immagine riflessa. Aveva raccolto i capelli in uno chignon alto, come le aveva suggerito Fara, e aveva un trucco leggerissimo. Inoltre, il collier di diamanti prestatole dalla principessa le donava moltissimo. Francesca si sentì come una principessa lei stessa, non le mancava proprio nulla per esserlo, e quell'abito elegante e di ottima fattura sembrava essere stato cucito apposta per lei. «Sei pronta per scendere, mia cara?» le sussurrò Fara, guardandola dallo specchio con un sorriso dolce. «Sono prontissima, Altezza» annunciò lei, sorridendole di rimando. «Sei proprio un incanto. Non ho mai visto una giovane donna più indicata di te a diventare principessa. E sono certa che questa sera non sarò l'unica a pensarla in questo modo.» Poco dopo, Fara guidò Francesca attraverso passaggi segreti del castello che conducevano in un'ala mai esplorata prima dalla ragazza. Sembrava davvero di vivere in un sogno e, come per incanto, uscendo da una piccola porticina la giovane veterinaria si ritrovò in cima a un'ampia scalinata che dava direttamente nella sala da ballo. «Eccoci arrivate, mia cara.» Laura Wright
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Francesca si sentiva nervosa poiché si era resa conto che gli occhi di tutta la sala si erano puntati su di lei non appena aveva preso a scendere le scale. Donne bellissime ed eleganti, con coppe di champagne tra le mani e splendidi gioielli, la guardavano con sorpresa ma anche con ammirazione, non meno degli uomini in smoking che erano loro accanto. Al termine di una breve ricognizione visiva della vasta sala, Francesca individuò Maxim che le stava venendo incontro, dopo aver piantato in asso le due giovani donne con le quali stava conversando un minuto prima. Il principe si sentì mancare il respiro quando si ritrovò davanti alla ragazza dei suoi sogni. Come poteva diventare più bella man mano che i giorni passavano? Non ricordava di aver mai pensato, incontrandola, che avesse potuto in un'altra occasione apparire più radiosa, ma puntualmente, il giorno seguente, quando la rivedeva, doveva ricredersi restando a bocca aperta. Infatti, non doveva essere il solo a pensarla in quel modo, poiché, mentre le si avvicinava, fu superato da altri due uomini che l'avevano invitata a ballare. Mentre volteggiava fra le braccia di principi e marchesi di cui non le importava un accidente, Francesca non smetteva un attimo di guardare Maxim che, poco distante, aspettava con visibile impazienza che avesse finito le sue danze con quei bellimbusti. Quando la musica si interruppe per qualche istante e il suo cavaliere si allontanò con un inchino, Francesca sollevò gli occhi verso il soffitto. Uno splendido e luccicante lampadario di cristallo emanava una luce quasi surreale e la volta finemente affrescata della sala non faceva che confermarle quella sensazione piacevole e terribilmente effimera che le sembrava di provare. A riportarla sulla terra fu un delicato bacio sul guanto bianco che avvertì, leggero come un soffio, proprio mentre si stava chiedendo se fosse sveglia e o se stesse sognando. Gli occhi azzurri di Maxim le apparvero davanti come due zaffiri. «Allora, dottoressa, mi concede questo ballo, o devo aspettare ancora molto?» Il sorriso malizioso e accattivante di lui la trafisse come mille frecce incandescenti. «So che ci sono molte donne in attesa di un ballo con lei, Altezza. Forse Laura Wright
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non è giusto intrattenere il principe di Llandaron privando le altre dame della sua presenza, non crede?» «No, Francesca. Stasera ci sei solo tu. Solo tu» le rispose lui con quello sguardo di velluto. «Non intendo prestare ascolto a quello che...» Ma, prima che potesse terminare la frase, Maxim fu interrotto da un servitore in livrea che con un lieve inchino attirò la sua attenzione. «Altezza, Sua Maestà il re, suo padre, desidera parlarle con urgenza. L'attende nella biblioteca grande.» Negli stessi occhi in cui un istante prima c'era stato spazio solo per la passione, adesso dominava una rabbia profonda. Maxim strinse la mano di Francesca e, con uno sguardo intenso, le si avvicinò all'orecchio. «Tornerò da te in un istante» le promise, bisbigliando. «Fa' presto, mio principe. Ho tempo solo fino a mezzanotte» replicò lei, sorridendo e scherzando con tenerezza. Lui annuì, serio. «Farò in un lampo.» Il re sedeva sulla sua poltrona preferita, cullando un bicchiere di brandy fra le mani. Senza troppe cerimonie, arrivò subito al nocciolo della questione che aveva intenzione di affrontare con il figlio. «Ho parlato con il duca di Ernhart, dice che sua figlia è disposta a sposarti.» «Molto generoso da parte della duchessina» ribatté Maxim. «Non è con il sarcasmo che si conducono gli affari di stato, figliolo. Ti ho dato tutto il tempo che hai voluto per cercarti una moglie. Non mi hai lasciato altra scelta che decidere per te.» «Quindi, non credi che ognuno debba decidere per se stesso?» «Llandaron ha bisogno di un erede, è questo quello a cui dobbiamo pensare ora, è questa la nostra priorità.» «Già...» mormorò Maxim a voce bassa, andando a versarsi anche lui del brandy. Sapeva quali fossero le sue responsabilità e sapeva quali fossero i suoi desideri. In quel momento riusciva solo a pensare a Francesca e a quanto la volesse con sé per sempre, a quanto non sopportasse l'idea di lasciarla andare. «Maxim» riprese il re. «Annuncerò il tuo fidanzamento a mezzanotte.» «Non vedo perché aspettare tante ore, padre. Se la mia vita appartiene al paese e loro vogliono che mi sposi, tanto vale dirlo subito. Adesso esco e annuncio la lieta novella alla corte di Llandaron. Prima, però, ho qualche altra cosa da dirvi, padre.» Laura Wright
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Tuttavia, prima di fare l'annuncio, Maxim avrebbe dovuto parlarne con Francesca. Avrebbe dovuto dirle quello che realmente provava e di cui si era reso conto solo da poco. L'amore era un sentimento che aveva ritenuto troppo impegnativo persino per ammetterlo con se stesso. Ma Francesca non aveva bisogno di nessuna spiegazione. Aveva seguito Max fino alla biblioteca e aveva ascoltato tutta la conversazione con suo padre. La dichiarazione della fretta di lui di annunciare l'imminente matrimonio fu veramente troppo per lei. Con le guance inondate di lacrime, si diresse di corsa verso la sua stanza, ferma nell'idea di partire immediatamente, quella sera stessa. Maxim le aveva fatto credere che le favole potessero diventare realtà, tutto il contesto di quel luogo fatato l'aveva illusa, anche quando aveva creduto di avere le idee ben chiare e di essere forte abbastanza per saper dire addio a tutto quello in cui era stata immersa per un mese intero. Il mese più incredibile della sua vita. Era stata una sciocca a sognare a occhi aperti, a credere alle parole della principessa Fara e a dimenticare chi fosse in realtà e a quale mondo appartenesse. Due ore dopo, la conversazione fra il re e suo figlio era terminata. I due si erano detti molte cose e avevano chiarito le rispettive posizioni, scoprendo che in realtà volevano la stessa cosa. Avevano parlato liberamente, come non avevano fatto in molto, molto tempo. Maxim era stato uno sciocco nel credere che suo padre avesse voluto distruggere la sua vita, favorendo a essa il bene del paese. Il vecchio re Oliver non aveva mai desiderato altro che suo figlio chiarisse i propri sentimenti con se stesso e che accettasse l'idea di potersi innamorare, aprendo in tal modo il cuore alla felicità. A quel punto non restava che trovare Francesca. Maxim corse nella sala da ballo e si guardò intorno. Non riuscendo a trovarla, si rivolse a Ranen e a zia Fara. «Dov'è Francesca?» chiese. «L'avete vista?» «A quest'ora sarà su un aereo diretto a Los Angeles» gli rispose Ranen con in mano una coppa di champagne. «Cosa? Ma non doveva partire domani?» «Sì» proseguì Fara. «Ma sai, non voleva essere presente nel momento in Laura Wright
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cui avresti annunciato il tuo matrimonio.» «Di che state parlando, zia?» «Maxim, Francesca ha ascoltato tutta la tua conversazione con tuo padre, quella in cui dichiaravi di aver fretta di annunciare il matrimonio con non so che duchessa» intervenne Ranen. «Oh, mio Dio!» esclamò Max, impallidendo. «Ma non ha sentito la conversazione fino alla fine. Deve essere andata via prima, perché, dopo aver fatto quella dichiarazione a mio padre, avevo già capito che era lei la donna che volevo sposare, che era lei la donna con cui volevo trascorrere il resto della vita. È per questo motivo che poi mi sono trattenuto a discutere con mio padre tanto a lungo.» «Oh, Maxim» esultò Fara, commossa. «Finalmente hai avuto il coraggio di ammetterlo. E tuo padre, che ne pensa?» «Lui è d'accordo con me, zia. Voleva solo sentirmelo dire. Desiderava che ammettessi di essere innamorato di Francesca, e quando gliel'ho detto ne è stato felice. Le è sempre piaciuta quella ragazza.» «Be', ma allora» riprese Ranen con tono spiccio, «se le cose stanno così, che diavolo stai aspettando? Corri all'aeroporto, forse fai ancora in tempo a raggiungerla prima dell'imbarco. Ti ho mentito prima, il suo aereo decolla fra mezz'ora.» Fara annuì, sorridendo. «È vero, ragazzo mio, va' da lei. Corri.» Rivolgendo a entrambi un sorriso radioso, Maxim uscì dalla sala da ballo più veloce del vento. In un batter d'occhio salì sulla sua Mustang rosso ciliegia, però, prima di mettere in moto, si ricordò di una cosa ed entrò un momento nelle scuderie. La fortuna di vivere in un paese piccolo come Llandaron consisteva nel fatto che tutto era a breve distanza e a portata di mano. Non fu difficile per Maxim scorgere da lontano la chioma bionda di Francesca, seduta su una delle poltrone della sala d'aspetto dell'aeroporto. Tirata fuori dalla giacca la sua arma segreta, il principe si nascose dietro un pilastro per godersi la scena. «Avanti, piccolo, va' a prenderla. È seduta proprio lì, la vedi?» Attirata da un guaito squillante e inconfondibile, Francesca sollevò il capo e si voltò. «Lucky!» esclamò. «Tesoro, che ci fai qui?» disse poi, prendendolo fra le braccia. Dopo averlo accarezzato per qualche istante, Laura Wright
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prese a guardarsi intorno. «Chi ti ha portato qui, come sei arrivato?» mormorò con le lacrime agli occhi, continuando a cercare intorno a sé con lo sguardo. «Dottoressa, il piccolo Lucky non può fare a meno di te.» Una voce proveniente dalle sue spalle la fece trasalire e voltare di scatto. «Max» pronunciò con un filo di voce, il cuore che le batteva all'impazzata. «Perché hai portato qui il cucciolo?» «Te l'ho detto, perché non può fare a meno di te. Ma quello che non ti ho detto è che lui non è l'unico a non poter restare senza di te, amore.» Francesca sbarrò gli occhi, non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Co... come hai detto?» «Mi hai sentito, amore mio, non posso pensare di vivere lontano da te. Mi ci è voluto molto tempo per capirlo e molto coraggio per ammettere con me stesso di essere innamorato. Capisci, io, il principe rubacuori, il principe che ha avuto decine e decine di donne. Ma finalmente l'ho capito. Io ti amo, Francesca. Ti amo con ogni più piccola fibra del mio corpo. Adoro tutto di te e non posso neanche respirare, se tu non ci sei.» Lei era senza fiato. Com'era possibile, era un sogno? Stava sognando? Era salita in aereo e si era addormentata? Ma le labbra bollenti di Max sulle sue, un attimo dopo, la convinsero del fatto che fosse ben sveglia. «Oh, Francesca» sussurrò lui, stringendola a sé con passione. «Ti prego, di' che resterai per sempre con me, che non partirai.» «Ma io...» Era un po' confusa. «Come farai con Llandaron, con tuo padre...?» «È tutto sistemato, piccola, tu sei scappata prima di sentire il resto della conversazione fra me e il re. Gli ho spiegato che ti amo e lui ne è stato felicissimo. Aspettava solo che mi decidessi ad ammetterlo, per quello mi metteva tanta fretta e mi incalzava con le proposte di matrimonio.» «Non posso crederci, Max...» «Devi crederci, Francesca. Anzi, devi fare molto di più. Sei parte di me e io sono parte di te. Devi sposarmi.» Lei sorrise, divertita, ancora con le lacrime agli occhi. «È un ordine, Altezza?» «No, amore, spero sia il tuo desiderio.» «Infatti è così, mio principe. Ti amo dal primo momento in cui ti ho visto nelle scuderie reali e sarò onorata di diventare tua moglie.» Lucky guaì, allegro, come per partecipare alla gioia dei due. Laura Wright
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Entrambi risero. «Andiamo via di qui, Francesca. Non ho un cavallo bianco di fuori, ma ho la mia Mustang rossa per portarti a palazzo. Credi che andrà bene?» «Questa è proprio una favola, Max.» «Già, la nostra favola, amore. E sai che cosa si dice alla fine di ogni favola che si rispetti?» Le risate si diffondevano nell'aria tutt'intorno ai due. «Che cosa si dice, Altezza?» Con dolcezza, lui la sollevò fra le braccia e le rivolse uno dei suoi bellissimi sorrisi. «E vissero incredibilmente, stupendamente, felici e contenti.» FINE
Laura Wright
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