SERGE BRUSSOLO PEGGY SUE E GLI INVISIBILI LA GIUNGLA ROSSA (Peggy Sue Et Les Fantômes: La Jungle Rouge, 2006) I personag...
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SERGE BRUSSOLO PEGGY SUE E GLI INVISIBILI LA GIUNGLA ROSSA (Peggy Sue Et Les Fantômes: La Jungle Rouge, 2006) I personaggi Peggy Sue Peggy Sue Fairway è una ragazza di quattordici anni: porta i capelli raccolti a coda di cavallo, con due ciuffi ribelli che le spuntano sulla fronte. Una volta era molto miope, ma una strega amica di sua nonna l'ha guarita da questo difetto. Indossa una maglietta a righe rosa e dei pantaloni verdi, e ai piedi ha un paio di stivaletti. Molto tempo fa ha affrontato gli Invisibili, creature extraterrestri che era la sola a vedere e che si divertivano a seminare il caos sulla Terra. Tutti pensavano che fosse pazza e persino i suoi genitori si vergognavano di lei. Dopo una serie di avventure, Peggy è riuscita a sconfiggere gli Invisibili. Peggy Sue non va più a scuola: preferisce vivere insieme alla nonna e vorrebbe aprire una pasticceria che vende solo torte alla frutta, oppure un negozio di vestiti fabbricati da lei stessa. Non ha ancora deciso... deve pensarci su a mente fredda, fra una catastrofe e l'altra! Una cosa è certa: non vuole diventare una strega (le formule magiche sono troppo difficili da imparare e lei ha una pessima memoria) e neppure disporre di poteri straordinari. Ha un solo desiderio: fare la vita normale dei ragazzi della sua età. In effetti, Peggy Sue è proprio una ragazza normale alla quale capitano delle avventure straordinarie. Nonna Katy Il suo vero nome è Katy Erin Flanaghan. È la nonna materna di Peggy Sue. Di mestiere fa la strega di campagna. Vende cappotti in grado di assorbire la fatica e gatti della serenità, che si impregnano del nervosismo dei loro padroni facendoli tornare calmi. È un po' pazza, ma gentilissima e sempre pronta a lanciarsi in una nuova avventura. Ha pochi poteri. Il suo animale feticcio è un rospo che emana odori pestilenziali. Il cane blu In origine era un povero cane vagabondo, ma il suo cervello è stato irradiato da un sole malefico che l'ha reso intelligentissimo (e per qualche tempo anche un po' strano)... Il suo pelo ha preso una curiosa sfumatura
bluastra. Ha la strana mania di portare una cravatta annodata intorno al collo! Ha il potere di comunicare con gli esseri umani attraverso la trasmissione del pensiero. È bisbetico e goloso, ma coraggiosissimo. Gli piace battersi e nutre una vera passione per un osso. Non ha un nome e non vuole averne: è una maniera per affermare la sua indipendenza rispetto agli esseri umani. È il compagno fedele di Peggy Sue, alla quale ha salvato la vita decine di volte. Sebastian È il fidanzatino di Peggy Sue. Ha quattordici anni... da settant'anni! Per sfuggire alla miseria, aveva trovato rifugio nell'universo favoloso dei miraggi, dove gli anni passano senza che si invecchi di un solo giorno, sicché il tempo è trascorso senza che Sebastian crescesse. Al termine di un'avventura incredibile è riuscito a fuggire dalla sua prigione. Purtroppo, per rimanere insieme a Peggy Sue ha dovuto acconsentire a diventare una statua di sabbia vivente, che si trasformava in polvere quando non veniva bagnata. La sua esistenza perciò non è stata semplice e lui ha fatto di tutto per sbarazzarsi di questa maledizione e tornare umano. Sebastian è bellissimo, con gli occhi a mandorla e lunghi capelli neri. La sua pelle olivastra gli dà l'aspetto di un giovane indiano apache. Non essendo veramente umano, possiede una forza colossale, ma purtroppo ha la tendenza a essere troppo sicuro di sé, il che gli procura qualche problema. Nell'ultima avventura di Peggy Sue (La rivolta dei draghi) Sebastian è stato incantato da una giovane strega, Isi, della quale si è innamorato. Entrambi si erano trasformati in lupi in seguito a un maleficio, Peggy li ha guariti. Purtroppo, durante l'operazione Sebastian ha perso la memoria e ha completamente dimenticato Peggy Sue! Inoltre è diventato cattivo. Con la morte nel cuore, Peggy è stata costretta a lasciarlo partire insieme a Isi. 1 Un visitatore sgradito Tutto cominciò in una bella giornata di sole. Una di quelle giornate in cui si pensa che tutto andrà bene. Sfortunatamente quel mercoledì le cose dovevano andare diversamente, e il destino di Peggy Sue Fairway cambiò del tutto quando uno strano ometto vestito di nero si presentò alle otto in punto del mattino. Peggy e nonna Katy erano indaffarate nella cucina della pasticceria che
avevano appena aperto sulla spiaggia, il cielo era azzurro, il profumo dei dolci appena infornati riempiva tutta la casa, il cane blu, accucciato in un angolo, stava divorando un chilo di biscotti alle mandorle... tutto sembrava andare per il meglio fino al momento in cui l'ometto in nero bussò alla porta del negozio, facendo tintinnare il campanello di rame che vi era appeso. Sfoggiava una cravatta nera che pareva strangolarlo, in mano aveva una cartella dall'aria funerea come il suo vestito. Si piantò davanti al bancone, esibì una tessera ufficiale come avrebbe fatto un agente dell'FBI, e disse con voce secca: «Sono stato mandato dall'ispettorato per le Attività straordinarie. Sono desolato di informarla, signorina, che lei ha infranto le leggi che regolano il comportamento degli eroi.» In realtà non era davvero desolato, come si poteva indovinare dal suo sorrisetto maligno. Era una di quelle persone mediocri e gelose che amano perseguitare coloro che, al contrario, vivono un'esistenza interessante. Peggy Sue, nonna Katy e il cane blu si riunirono intorno allo sconosciuto. «Il comportamento degli eroi?» si meravigliò Katy Flanaghan, aggrottando le sopracciglia. «Che cos'è questa storia?» «Non si tratta di uno scherzo» affermò il visitatore. «Credete davvero che il primo ragazzino che passa abbia il diritto di affrontare mostri o di andarsene a spasso su pianeti lontani senza informarne le autorità? Le cose non sono così semplici. Se lasciassimo fare agli eroi ciò che gli pare, sarebbe l'anarchia.» «Ma io ho aiutato un mucchio di persone» protestò Peggy. «Sembra invece che abbia fatto qualcosa di male...» L'uomo vestito di nero aprì la sua cartella e ne tirò fuori un dossier che consultò con una smorfia. «Effettivamente hai compiuto sette imprese fuori dal comune che i nostri uffici hanno archiviato. Siamo al corrente della tua lotta contro gli Invisibili, o del tuo combattimento contro gli Zetans. Non ci sfugge nulla, neanche le tue missioni su pianeti lontani come Zantora. Tutto questo va bene, ma le regole sono cambiate. Ormai è fuori discussione lasciar crescere i supereroi come l'erba cattiva, senza nessun controllo. Quella del supereroe è una professione seria, che necessita di un inquadramento legislativo1... Un addestramento riconosciuto da un esame e un diploma.» Peggy Sue sentiva che le stava venendo mal di testa. Non riusciva a capire dove volesse arrivare quell'orribile tipo. A nonna Katy cominciava a saltare la mosca al naso.
«Mia nipote ha reso incredibili servigi all'umanità» intervenne. «Senza di lei un'infinità di persone sarebbero morte. Non capisco perché venite a seccarla.» L'uomo in nero fece una smorfia. «È la legge, signora» replicò seccamente. «Sua nipote deve rispettarla, così come questo animale registrato sotto il nome di 'cane blu'. Il governo non intende più tollerare che dei ragazzini si dedichino ad azioni straordinarie dalle conseguenze incalcolabili sul proprio territorio. Se tutti facessero come gli pare, dove andremmo finire?» «Ma insomma,» si spazientì Katy Flanaghan «non vorrete mica impedire a Peggy di salvare delle vite?» L'orrendo ometto fece un sorriso forzato. «Questo dipende interamente da lei, signora» ribatté. «Se desidera continuare su questa strada, dovrà sottomettersi alle nuove leggi scolastiche in vigore.» «Quali leggi?» si preoccupò la ragazzina. «Dovrai ottenere un diploma da supereroina» decretò il visitatore. «Che cosa?» balbettò Peggy. «Hai capito bene» sibilò l'uomo socchiudendo gli occhi con aria malvagia. «Dovrai frequentare una scuola speciale, segreta, riservata ai giovani come te, e sostenere un esame. Senza questo diploma, non avrai il diritto di continuare a vivere la tua vita di avventure. Dovrai accontentarti di essere come tutti gli altri.» Peggy balzò in piedi, il cane blu cominciò a ringhiare... «Non ho mai sentito niente di più stupido!» esclamò. «L'Uomo Ragno non ha mai passato nessun esame, lui...» «È qui che ti sbagli» ribatté l'ispettore sfogliando il suo dossier. «Ecco una sua foto all'epoca della consegna dei diplomi al collegio per supereroi. Ed eccone un'altra di Batman... Qui, invece, puoi vedere Superman, non è facilmente riconoscibile perché era pettinato male quel giorno, ma è proprio lui.» Peggy respinse le foto. «E se rifiuto di entrare in questa scuola,» provò a dire «che cosa mi succederà?» L'orribile ometto scrollò le spalle. «Oh! È semplice,» disse «ti verrà iniettata una medicina che ti renderà paurosa, così non avrai più il coraggio di lanciarti in un'avventura quando se ne presenterà l'occasione. Diventerai così vile che correrai a nasconderti
piagnucolando alla vista del primo lupo mannaro.» «È ignobile!» sibilò nonna Katy. «Come potete...» «È la legge» borbottò l'ispettore. «Tutto deve essere regolamentato. Forse un giorno ci vorrà addirittura un permesso per guidare i carrelli nei supermercati o per usare un coltello o una forchetta. I nostri uffici stanno studiando la faccenda. Per ora si tratta di supereroi; sua nipote e il suo cane sono soggetti ai termini di questa regolamentazione. Ecco la loro convocazione. Se entro quarantott'ore non si presenteranno per l'iscrizione, saranno dichiarati trasgressori. Un medico verrà a trovarli per procedere alle iniezioni di siero terrificante che li trasformerà in vigliacchi.» «Ma perché farne dei codardi?» «Perché così avremo la certezza che non tenteranno di fare nulla di straordinario. Preferiamo gestire e amministrare dei pigri piuttosto che persone coraggiose le cui azioni sono imprevedibili.» Peggy ricadde sulla sedia, avvilita. «Quanto durano questi studi?» domandò con voce triste. «Dipende» rimase sul vago l'ispettore. «Dipende da ciascuno. Insisto comunque sul fatto che hai quarantott'ore per deciderti, dopodiché sarà troppo tardi. E questo vale anche per il tuo cane.» «Dovrà sostenere un esame anche lui?» «Certamente.» Quando l'ometto se ne fu andato, Peggy Sue, sua nonna e il cane blu discussero a lungo come comportarsi, ma per quanto girassero il problema da tutte le parti, non trovarono nessuna soluzione. «La cosa migliore è guadagnare tempo» decise Peggy. «Andrò laggiù, e una volta sul posto, prenderò una decisione. Se le cose si mettono male, scapperemo.» «Va bene» approvò il cane. «Ho fiducia in te,» approvò nonna Katy «sei riuscita a cavartela in situazioni altrettanto difficili. Non sarà una scuola qualunque a sconfiggerti!» L'indomani, zaino in spalla, la ragazzina e il suo cane s'incamminarono verso l'ufficio indicato dall'ispettore. Lì furono invitati ad attendere in una stanzetta e, nell'attesa, servirono loro due Coca-Cola; in un bicchiere per Peggy, in una ciotola per il cane blu. Ma non appena ne bevvero due sorsi, crollarono svenuti. 2
Una scuola davvero strana Quando Peggy si risvegliò, era coricata su una panchina, sotto una pensilina piantata sul ciglio di una strada deserta. Aveva dormito, la testa reclinata su una cartella. Il cane blu ronfava per terra con il muso appoggiato sulle zampe anteriori. Alcuni uccelli cantavano, invisibili. Intorno alla pensilina si stendeva una prateria di un bel verde chiaro. Peggy si alzò. Notò allora un ragazzino seduto sul prato, poco distante da lei, che la osservava. Aveva un viso da elfo, pallido, molto bello, con gli occhi incredibilmente chiari. Un po' triste, forse. I lunghi capelli biondi sembravano fili d'oro. Teneva una cartella sulle ginocchia. «Ciao,» lo salutò Peggy «è da tanto che mi guardi dormire?» «No, non da molto» rispose il giovane sconosciuto. «Mi sono svegliato prima di te. Mi chiamo Naxos. Tu invece sei Peggy Sue, non è vero?» «Leggi nei pensieri?» «No, soltanto sull'etichetta che è attaccata alla tua cartella. C'è il tuo nome sopra.» La ragazza scoppiò a ridere. «I tuoi capelli,» disse «sembrano oro puro...» «Proprio così,» sospirò Naxos con un sorriso amaro. «Sono davvero d'oro. Nel mio paese, la gente passa il tempo a rasarmi la testa per recuperare questo tesoro. È terribile. Una strega mi ha predetto che, quando sarò grande, avrò anche la barba d'oro, così non mi lasceranno mai in pace.» «È per questo che vuoi diventare un supereroe?» «Sì, per potermi difendere se qualcuno mi infastidisce. È tremendo essere inseguiti sempre, lo sai bene anche tu...» Peggy fece una smorfia. Naxos era molto carino, ma si intuiva che una profonda tristezza lo accompagnava da sempre. «Perfino i miei genitori mi tagliavano i capelli,» continuò «e mi picchiavano perché non ricrescevano abbastanza velocemente. Mi massaggiavano spesso la testa con le lozioni.» «Che orrore!» esclamò Peggy. «L'oro fa impazzire la gente» sospirò Naxos. «Non ho mai avuto amici. Tutti quelli che mi avvicinavano volevano radermi la testa e scappare con quel piccolo tesoro.» Appena il cane blu si svegliò, la ragazza si guardò attorno più attentamente. «Dove siamo?» chiese.
«Non lo so» confessò lo strano ragazzino. «Mi hanno fatto bere una bibita drogata e mi sono risvegliato qui, come te. Secondo il manuale d'istruzioni che ho scovato nella mia cartella, ci troviamo a due passi dalla scuola. Bisogna andare in quella direzione.» «È deserto» sospirò Peggy. «Sembra quasi di essere in aperta campagna.» Si alzò. Le girava un po' la testa. Il cane blu sbadigliò. «Oh!» esclamò Naxos con una risatina. «Il tuo cane è telepatico, l'ho appena sentito scivolare nella mia mente, mi ha fatto il solletico.» Peggy fece le presentazioni. Naxos accarezzò la testa dell'animale con la punta delle dita. «È fortunato,» sospirò «i suoi peli non sono d'oro.» Visto che non potevano rimanere sotto la pensilina fino al calare della notte, decisero di mettersi in cammino. «Laggiù!» indicò Peggy. «C'è un cartello con una freccia.» Il cartello annunciava: Scuola per supereroi, cinquecento metri. Vietato l'ingresso alle persone comuni. Dovettero girare intorno a un folto bosco; una volta superato quell'ostacolo, attraversarono un porticato di pietra decorato con un leone. Per terra era stata dipinta una linea bianca. Un cartello, piantato dall'altro lato, recava quest'avvertimento: Attenzione! Il superamento di questa linea implica che accettate in anticipo di essere feriti (o uccisi) durante gli studi senza sporgere denuncia contro i vostri professori. «Davvero incoraggiante!» ridacchiò il cane blu. «Probabilmente è lo stesso genere di cartello che si trovava all'entrata delle scuole per gladiatori.» I due ragazzi si immobilizzarono, esitanti. Davanti a loro si stendeva una vera e propria città composta da edifici di mattoni rossi, che si alternavano con un'infinità di prati e giardini pubblici. «Molto grazioso tutto questo verde» disse Peggy. «Ma dov'è la scuola?» «La stai guardando» le rispose Naxos. «Questa città è il collegio per supereroi.» «Davvero? Ma è gigantesco! I palazzi arrivano fino alla linea dell'orizzonte... Nessuna scuola può essere così grande.» «Un momento!» intervenne il cane blu. «C'è qualcosa che non va. Corpo di una salsiccia atomica! Guarda, quelle case non hanno finestre.»
Peggy Sue, aggrottando la fronte, mosse qualche passo in direzione dell'edificio più vicino. Dovette ammettere che il suo compagno a quattro zampe non stava sognando. Il palazzo aveva la forma di un grosso cubo dall'aspetto sgradevole, privo di aperture. Non si poteva né entrare né uscire. «Oh! È vero» mormorò con un sorrisetto. «Ci sarà una porta segreta...» «No,» disse cupamente Naxos «ti sbagli, non ci sono porte, o meglio: non ce ne sono più.» Il cane blu si immobilizzò alla base del muro e cominciò ad annusare intensamente. «Ci sono delle persone là dentro,» comunicò «riesco a sentire i loro pensieri. Chiamano aiuto...» «Sono quelli che sono stati bocciati,» spiegò il ragazzo dai capelli d'oro «quelli che non hanno superato l'esame finale. È spiegato nel manuale. L'ho letto attentamente mentre aspettavo che ti svegliassi.» «Ma che fanno là dentro?» «Quando uno viene bocciato all'esame di diploma, resta prigioniero del collegio dove ha studiato. Viene murato vivo nella sua stessa classe. Ecco perché ci sono così tanti edifici.» «Sì,» rincarò il cane blu «riesco a intravedere una data incisa nella pietra in cima alla casa: 1951...» «Esatto, è in questo edificio che il corso2 del '51 ha sostenuto il suo esame. Quelli che sono stati bocciati sono stati immediatamente murati. Resteranno prigionieri qui dentro fino alla morte.» «È orribile!» s'indignò Peggy. «Sì» sospirò Naxos «è per dimostrarci che al collegio per supereroi non si scherza con gli studi.» «Come fanno a essere ancora vivi?» si stupì il cane blu. «Dovrebbero essere morti soffocati già da molto tempo, ormai.» «Forse sarebbe stato meglio» disse tristemente Naxos. «Suppongo che vengano riforniti di cibo attraverso dei tubi: tutto è stato concepito per mantenere i prigionieri in vita il più a lungo possibile, per dar loro il tempo di pentirsi. Ecco che cosa ci aspetta se veniamo bocciati all'esame finale.» Peggy Sue rabbrividì. Ora capiva perché il collegio era così vasto. «C'è un edificio per ogni anno, vero?» tirò a indovinare. «Appena viene murato dopo l'esame, bisogna subito costruirne uno nuovo per il corso seguente...» «Sì, tutte queste costruzioni senza porte né finestre in origine erano
scuole, oggi sono invece prigioni. Man mano che andremo avanti, vedrai le date sulle facciate. Bisogna camminare parecchio per raggiungere l'edificio che è stato riservato per noi quest'anno. Si trova dall'altra parte della 'città'.» Peggy e il cane blu si scambiarono un'occhiata. Tutto questo non preannunciava niente di buono. «Li sento gridare, attraverso i muri...» ripeté l'animale. «È orribile.» «Quindi non li lasceranno uscire mai più?» domandò Peggy. «Purtroppo no» sospirò Naxos. «Qui, i professori sono spietati. Non pensare di poterti divertire o fantasticare quando sei in classe.» Peggy Sue alzò gli occhi al cielo. Non le era mai piaciuta molto la scuola, e l'idea di ritornarci le piaceva ancora di meno, soprattutto a queste condizioni. Man mano che procedevano lungo il viale principale, le date sfilavano sugli edifici: 1955... 1960... 1975... L'edera aveva ricoperto le facciate, imprigionandole in una rete verdastra che dava loro l'aspetto di colline cubiche. «Il nostro collegio si trova alla fine di questo viale» spiegò Naxos. «Per ora ha ancora porte e finestre, ma non durerà molto.» «Sembra quasi una città fantasma, un cimitero con tombe di giganti» osservò Peggy. «Vorrei non aver mai messo piede qui.» Un clacson risuonò dietro di loro, facendoli sobbalzare. Dovettero scansarsi per lasciar passare una grossa automobile nera tutta ammaccata, con il cofano a forma di testa di demone. «Mi è familiare...» mormorò Peggy. La strana automobile si fermò alla fine della strada. Ne scese un uomo, alto, curvo, panciuto, che indossava uno strano costume composto da una calzamaglia rossa e una maschera contratta in una smorfia, sormontata da due corna d'acciaio. Zoppicava e camminava aiutandosi con un bastone dal pomo d'argento. «Santo cielo!» esclamò Peggy. «Ma quello è...» «Diablox» completò Naxos. «Un supereroe degli anni '50.» «Ho letto dei vecchi fumetti che raccontavano le sue avventure, mio padre ne aveva un baule pieno in soffitta. Sembra ridotto male, però...» «È vecchio» bisbigliò Naxos. «Si invecchia presto, quando si fa la vita di un supereroe. Le persone non se ne rendono conto, ma gli scontri continui con mostri uno più spaventoso dell'altro rovinano un uomo...»
Peggy si sentì stringere il cuore. Il povero Diablox faceva davvero pena. Sembrava un nonnetto, con quel bastone e la schiena curva. Anche il costume era tutto rattoppato, come uno straccio recuperato dalla spazzatura. «Quando sono troppo malandati a causa di una vita di continue avventure, i supereroi si ritirano qui» spiegò il ragazzo dai capelli d'oro. «E diventano professori. Insegnano ai giovani i trucchi del mestiere. Ma non lasciarti ingannare dal loro aspetto malconcio: anni e anni di combattimenti titanici hanno indurito i loro cuori, sono spietati.» Quando arrivarono davanti alla macchina nera, Peggy rimase sbalordita dall'aspetto scalcinato che aveva. Sembrava un relitto abbandonato sul ciglio della strada dopo un incidente. «Questo è tutto quello che resta della famosa Diabloxmobile?» esclamò. La carrozzeria era piena di chiazze di ruggine; quanto alla celebre testa di demone che troneggiava sul cofano, ricordava più che altro il muso di un maiale passato sotto un rullo compressore. Chinandosi, lanciò un'occhiata all'interno e riconobbe subito i gadget resi celebri dai fumetti: il Diabloxgun, che lanciava fulmini, il Diabloxcut, quel pugnale capace di tagliare il cemento come se fosse burro, il Diabloboard, che consentiva di fare surf sulle nuvole... purtroppo, però, tutti quegli oggetti erano arrugginiti, storti o rotti. «Vieni» disse Naxos tirando Peggy per una manica. «Non è il caso di arrivare in ritardo proprio il primo giorno. Potremmo pentircene.» Seguiti dal cane blu, i due ragazzi misero piede nell'atrio del collegio dalle mura di mattoni rosa. Là erano radunati un centinaio di adolescenti, ragazze e ragazzi di un'età compresa tra i dieci e i sedici anni. Qualcuno ridacchiava o cercava di darsi delle arie di superiorità per dimostrare che non era affatto impressionato. Alcuni adulti dall'abbigliamento severo3, che Peggy non aveva mai visto, attendevano su una pedana, le braccia conserte, il volto rigido come quello di una statua. Il grande Diablox si issò penosamente sul podio e avanzò verso il microfono. Visto da vicino, il suo costume era davvero in condizioni pietose. Tempestato di rammendi, provocò le risatine dei ragazzi della prima fila. Peggy provò un leggero imbarazzo. «Alcuni di voi mi conoscono,» cominciò il supereroe «altri forse hanno sentito parlare di me dai loro genitori. Negli anni '50 ero famoso come oggi lo è Batman, e ho sconfitto parecchi mostri. Le mie avventure sono state raccontate nei fumetti. Oggi sono vecchio, e molti tra di voi pensano che io
somigli più a un clown. Ridono di questi stracci che una volta sono stati un glorioso costume la cui sola vista faceva tremare i malvagi. Vi domanderete perché mi ostini a travestirmi così. Vi risponderò subito: se mi levassi questi vestiti ormai consumati, morirei all'istante.» «Perché, signore?» domandò uno dei ragazzi alzando la mano. «Perché, senza il suo costume, un supereroe non è niente» proclamò Diablox. «Perché credete che i supereroi indossino travestimenti così ridicoli? Non certo per piacere, potete credermi! Se avessi potuto scegliere, avrei fatto volentieri a meno di questo abbigliamento ridicolo... Quante volte, guardandomi allo specchio, ho pensato: hai un proprio un bell'aspetto, vecchio mio! Ma non avevo altra scelta.» «Perché, signore?» ripeté l'adolescente. «Perché questi costumi sono magici» spiegò Diablox. «Funzionano come magnifiche armature impregnate di una potenza impressionante. Una volta indossati, permettono di avere a disposizione poteri straordinari, ma appena si sfilano, si ritorna a essere un povero mortale come gli altri... I superpoteri sono nel costume, non in colui che lo indossa. Capite?» Questa dichiarazione provocò un vero moto di protesta. Tutti cominciarono a parlare contemporaneamente. Uno degli uomini in completo grigio si portò un fischietto alle labbra per ristabilire il silenzio. «Ma Superman... Ma l'Uomo Ragno...» mormoravano i ragazzi «hanno veri poteri, loro...» «Niente affatto» tagliò corto Diablox. «I fumetti che raccontano le loro avventure hanno abbellito la realtà. Io ho incontrato il vero Superman, il vero Uomo Ragno, e posso assicurarvi che, una volta levati i costumi, tornavano a essere uomini qualunque come ne incontrate a migliaia per la strada.» Un mormorio di incredulità si levò nell'atrio. Per molti era un mito che crollava. «Non sono poi così sorpresa» bisbigliò Peggy Sue a Naxos. «Finalmente capisco perché gli eroi sono sempre vestiti in modo così grottesco. Per anni mi sono chiesta se non avessero nessun senso del ridicolo o se non avessero specchi.» Un nuovo colpo di fischietto riportò il silenzio. Diablox colpì la pedana con il bastone. «Ecco dunque giunta l'ora della vostra prima lezione» tuonò. «Il costume è tutto, senza non siete nulla. Il costume è impregnato di magia, raddoppierà le vostre forze, vi permetterà di compiere prodigi ma, al tempo stes-
so, si scaricherà, come una batteria... e un giorno non sarà altro che un vecchio abito, simile a quello che indosso io.» «Perché non se lo toglie?» domandò Naxos. «Bella domanda» borbottò Diablox. «Anche se questo costume non mi permette più di salvare il mondo, mi protegge comunque dalla vecchiaia. Tutte le avventure alle quali ho partecipato in sua compagnia mi hanno indebolito. Sono talmente stanco fisicamente che, se me lo togliessi, mi trasformerei in una mummia e mi polverizzerei davanti a voi, su questa pedana. Il costume quindi mi permette di sopravvivere quando invece dovrei essere morto già da molto tempo. Quel poco potere che ancora crepita in lui permette questo prodigio, e sono abbastanza vecchio per accontentarmi. Un giorno, se riuscirete a sopravvivere ai mille pericoli dell'esistenza che vi attende, vi ritroverete in questo stesso posto, e terrete lo stesso discorso a una banda di mocciosi che vi guarderanno come un vecchio clown. E direte loro quello che io sto per dirvi: il costume è tutto, voi non siete nulla... Imparate quindi a rimanere modesti, non lasciate che l'orgoglio corrompa il vostro animo. Per tutto il tempo che durerà la vostra gloria, non sarete altro che servitori del costume... degli attaccapanni viventi.» Su queste parole pronunciate con tono tragico, Diablox indietreggiò per lasciare il posto a uno degli uomini in completo grigio. Si trattava di un tipo magro, con un paio di ridicoli baffetti e un papillon a pois neri su fondo grigio. «Buongiorno, sono Calamistos, il direttore di questo istituto» si presentò con tono asciutto. «Come avrete capito, non siete qui per divertirvi. Il collegio per supereroi è l'unico istituto scolastico dal quale non tutti gli allievi escono vivi. Vi consiglio quindi, per la vostra stessa sopravvivenza, di obbedire diligentemente ai suggerimenti che vi verranno dati. Le lezioni cominceranno domani, avete tempo fino a questa sera per familiarizzare con il posto. Non cercate di salire al secondo piano, sarebbe un errore fatale. Accederete ai piani superiori soltanto quando vi saranno state insegnate le tecniche di sopravvivenza necessarie. Fino a quel momento, accontentatevi dell'atrio e del parco. Non credetevi più furbi dei vostri professori. Ora, la signora Zizolia vi farà visitare la scuola e vi indicherà le vostre camere.» Una donna magra, con i capelli grigi raccolti in uno chignon, apparve al suo posto. Una lunga cicatrice le sfregiava il viso da una parte all'altra. «Questa non deve certo aver trascorso la sua vita dietro una scrivania» osservò il cane blu. Gli allievi formarono una fila indiana seguendo passo passo la signora
Zizolia. La donna, con un tono che non ammetteva repliche, indicò ai ragazzi la mensa, l'infermeria, la biblioteca. «Qui c'è la stanza delle armi,» annunciò «qui il laboratorio per lo studio dei mostri extraterrestri, là il museo dei supereroi morti in combattimento...» La biblioteca conteneva migliaia di fumetti che riportavano la vita dei supereroi di tutto il mondo. «Troppo forte!» bisbigliò uno dei ragazzi. «Mica tanto» ridacchiò il suo vicino. «Bisognerà imparare tutto a memoria ed essere capaci di raccontare anche il più piccolo combattimento in ogni dettaglio.» Che cosa ci faccio qui? si domandò Peggy. Non ho alcuna voglia di battermi contro i mostri, ancora meno di indossare un costume ridicolo come quello del povero Diablox. Con una calzamaglia simile il mio sedere sembrerebbe davvero enorme! «Almeno ci lasceranno scegliere il nostro nome da supereroe?» domandò a Naxos. «No» rispose il suo amico. «Ci affibbieranno soprannomi assurdi e ci costringeranno a indossare calzamaglie rosse.» «Esistono calzamaglie per cani?» si informò il cane blu. «Non ti preoccupare» disse Naxos «se ancora non esistono, ne inventeranno una speciale per te.» Quando la signora Zizolia ebbe indicato a ciascuno la propria camera, si ritirò. «Questa sera avete la libera uscita» comunicò. «La cena viene servita una volta sola, alle sette in punto; dovrete essere a letto alle otto.» «Alle otto!» protestarono i ragazzi. «Ma è troppo presto!» «Non la penserete più così quando vi sarete abituati ad alzarvi alle cinque del mattino» ghignò la signora Zizolia voltando le spalle. Le camere erano piccole ma pulite, con un bagno e un guardaroba. «È strano, questo armadio» osservò il cane blu. «Hai visto, è d'acciaio, spesso come una camera blindata, e la serratura sembra particolarmente complicata.» «Hai ragione» convenne Peggy. «Che strano guardaroba!» «Guarda questi segni all'interno... sembrano graffi. Come se qualcuno ci avesse rinchiuso una bestia feroce che ha cominciato a dibattersi.»
La ragazza annuì. La pensava come il suo amico a quattro zampe. «Là, e anche là!» insisté questo. «Quelle impronte... sono tracce di pugni. Chi può avere tanta forza da lasciare nell'acciaio l'impronta del proprio pugno?» Peggy Sue si morse il labbro inferiore, perplessa. Era evidente che avevano dimenticato di riferire loro alcune cose. «A cosa serve un armadio normalmente?» domandò il cane blu. «A riporre gli abiti... Conosci molti cappotti che si dimenano una volta attaccati alla stampella?» I due amici si ripromisero di tenere gli occhi aperti. Dopo aver sistemato il contenuto della sua cartella sui ripiani, Peggy uscì nel corridoio per andare a bussare alla porta di Naxos, che alloggiava di fronte a lei. «Hai esaminato il tuo guardaroba?» gli chiese. «Sì» rispose il ragazzo dai capelli d'oro. «Sembra quasi che qualcuno ci abbia rinchiuso un gorilla inferocito.» Sospettosi, cominciarono a esplorare i corridoi circostanti. Com'era prevedibile, gli altri ragazzi facevano parecchio baccano mentre si sistemavano nelle loro stanze. Strani domestici silenziosi si affaccendavano nel refettorio e nelle cucine. Indossavano abiti gialli a righe nere e somigliavano ai detenuti dei fumetti. Non dicevano una parola e non rispondevano neanche quando venivano salutati. «Sono umani o forse sono dei robot?» bisbigliò Peggy. «Non lo so» confessò Naxos. «Sembrano dei sonnambuli.» Risuonò uno squillo che annunciava l'ora di cena. Tutti gli allievi si incamminarono verso la mensa. Peggy notò che tra i nuovi arrivati c'erano pochissime ragazze. Una volta sistemati, i ragazzi cominciarono a vantarsi delle imprese che avevano compiuto. La maggior parte aveva qualche potere che gli permetteva di predire ciò che sarebbe accaduto l'indomani o di muovere con la forza del pensiero piccoli oggetti. Ovviamente, quelli che avevano la facoltà di sollevare una tazza fino a trenta centimetri sopra il tavolo assicuravano di saper fare la stessa cosa con un autobus... Un ragazzo raccontò che poteva galleggiare in aria come un uccello, un altro che era capace di attraversare i muri, ma quando veniva chiesto loro di fare una dimostrazione, asserivano di non poter eseguire quei trucchi in pubblico. «Noi ci riesco quando mi guardano» spiegavano.
Potrebbe anche essere vero... ammise Peggy con sé stessa. In realtà, rimaneva abbastanza indifferente a queste storie di superpoteri che invece eccitavano tutti gli altri. Non aveva poi così tanta voglia di diventare un eroina dei fumetti e di andarsene a spasso sui tetti mascherata da donna pipistrello. Era ormai troppo grande per provare ancora la gioia del travestimento. «Comunque,» sghignazzò un ragazzo che si chiamava Franck «fare il supereroe non è certo un lavoro da donne! Non ci sono supereroine. Catwoman e Wonder Woman sono praticamente inutili! Sembrano delle majorettes!» I suoi compagni rincararono la dose, cercando di» provocare Peggy Sue, che rimase impassibile. Risuonò un trillo di fischietto. Era la signora Zizolia che riportava l'ordine nella mensa. La cena si svolse nel silenzio più assoluto sotto lo sguardo severo della sorvegliante. Nessuno osava guardarla in faccia per via della cicatrice che le sfregiava il viso. Si trattava di un colpo di spada? Terminata la cena, Peggy, Naxos e il cane blu uscirono nel parco. Erano preoccupati, ma allo stesso tempo incapaci di reagire. «Mi chiedo che cosa ci aspetta qui...» mormorò il ragazzo dai capelli d'oro. «Ho l'impressione di essere in prigione. Forse non saremmo dovuti venire.» «Vorresti fuggire?» indagò Peggy. «Perché no? Così potremo dare un'occhiata in giro. Non ho nessuna idea di dove ci troviamo.» «Secondo me siamo nel bel mezzo di uno scenario dipinto» intervenne il cane blu. «Guardate il cielo e le nuvole... non vi sembrano troppo bassi? Si direbbe un soffitto dipinto di blu... quanto alle nuvole, somigliano più a grossi batuffoli di cotone che a vere masse di vapore acqueo.» «Stai insinuando che non siamo all'aria aperta?» chiese Peggy. «Proprio così» rispose l'animale. «Secondo me il collegio è chiuso dentro una stanza. Una stanza gigantesca.» A forza di camminare, arrivarono ai piedi degli edifici con porte e finestre murate. Alcuni servitori con indosso un vestito a righe erano intenti a tappare le fessure che serpeggiavano tra i mattoni. «Scusi, per favore,» cominciò Peggy avvicinandosi a uno di loro «può dirci se è vero che gli alunni bocciati all'esame finale sono tenuti prigionie-
ri dentro queste mura?» L'uomo lanciò un'occhiata dietro di sé per assicurarsi che la signora Zizolia non fosse nei paraggi, quindi disse, in un sussurro: «Non è una frottola, sono tutti qua dentro. Se si mette l'orecchio sulle fessure tra i mattoni, si possono sentire i loro lamenti. Se non mi credete, provate...» Decisa a vederci chiaro, Peggy appoggiò la tempia contro i mattoni, all'altezza di una crepa. Da principio non sentì nulla, poi le giunse un'eco lontana. Un lamento che faceva venire la pelle d'oca. Era come la richiesta d'aiuto di una schiera di dannati che piangevano nel profondo dell'inferno. Si allontanò. «Fa venire i brividi, non è vero?» sghignazzò il servitore. «Questi sono rinchiusi qui da cinque anni, ma ce ne sono altri che marciscono da trenta o quarant'anni tra le mura del loro vecchio collegio. Quando sono arrivati, avevano la vostra età. Oggi, hanno tutti i capelli grigi.» «Come riescono a sopravvivere?» domandò Naxos. «Sotto terra passano dei tubi che portano loro il nutrimento necessario» spiegò l'uomo. «Per il resto, devono cavarsela da soli. Si dice che alcuni siano talmente regrediti che si comportano come gli uomini delle caverne. Questo provocherà parecchio disordine, se un giorno riusciranno a scappare.» «Potrebbero riuscirci?» «Comunque ci provano» disse l'uomo col vestito a righe. «Cercano di scavare dei tunnel. Per il momento nessuno c'è ancora riuscito, ma un giorno accadrà, e credetemi, quando emergeranno dalle profondità, saranno davvero di pessimo umore.» Detto ciò, pregò i ragazzi di allontanarsi perché lui non aveva il diritto di parlare con gli allievi e non voleva farsi riprendere dalla signora Zizolia. «Credi che sia vero?» chiese Naxos. «Senza dubbio ha cercato di prendersi gioco di noi. Probabilmente si diverte a spaventare i novellini.» «Ho sentito piangere attraverso la crepa...» obiettò Peggy. «Poteva trattarsi di suoni registrati. Un trucco per spaventare gli studenti, non credi? Forse non c'è niente all'interno di questi edifici, niente se non un microfono che diffonde di continuo lamenti destinati a spaventarci.» «Mi dispiace contraddirti,» intervenne il cane blu «ma ho sentito una presenza dietro il muro. Ci sono davvero delle persone rinchiuse là dentro.»
Non ebbero il tempo di continuare a discutere, perché suonò la sirena che annunciava l'ora di coricarsi. Erano le otto. Trascinando i piedi, i tre amici dovettero decidersi a ritornare al collegio. 3 Il guardaroba dell'orrore Una volta nella sua camera, Peggy si distese sul letto senza spogliarsi. Il cane blu le si accucciò accanto. «Eccoci in un bel pasticcio» grugnì. «Per come si presentano le cose, c'è da aspettarsi il peggio.» «Coprifuoco fra tre minuti!» strillò la signora Zizolia nel corridoio. «Domani mattina, sveglia alle cinque.» Peggy Sue contemplava il soffitto. Da quando Sebastian l'aveva lasciata, faceva fatica a addormentarsi. E quando, dopo essersi girata e rigirata da una parte all'altra per ore, riusciva finalmente a chiudere gli occhi, lo sognava... Era dimagrita, e aveva perso la sua gioia di vivere. Infatti, se aveva accettato di entrare alla scuola per supereroi senza ribellarsi, era nella speranza di dimenticare i suoi dispiaceri. In fondo al suo animo, doveva ammettere che dopo tutto era contenta di ritrovarsi ancora una volta alle prese col mistero. Questo mi terrà occupata, si ripeteva. Non c'è niente di meglio che una bella avventura spaventosa per scacciare i pensieri neri. Dormì un po', sognò ancora una volta di Sebastian e di Isi, pianse nel sonno, poi venne svegliata dalla lingua ruvida del cane blu che le stava leccando una guancia. «Ehi!» protestò. «Mi hai forse presa per uno zuccherino?» Ascolta, le sussurrò mentalmente l'animale. La ragazza si mise a sedere sbadigliando. Strani rumori risuonavano sopra di lei. Era come se il soffitto tremasse, scosso dalla carica di un branco di elefanti. Strani versi, corse, ruggiti si levarono nella notte. «Provengono dall'appartamento di sopra» diagnosticò l'animale. «Dura già da qualche minuto. Qualcosa che mugugna, ringhia, che si scanna... è come se ci fosse una giungla al secondo piano di questo edificio!» Peggy tese l'orecchio, lo sguardo sempre fisso sul rettangolo bianco del soffitto. Aveva l'impressione che una vita brulicante e ostile si schiudesse dall'altro lato di quella fragile barriera.
«E poi ci sono gli odori» insisté il cane. «Tu non li senti, non hai abbastanza fiuto. Puzza di fango, di acqua stagnante, di terra in decomposizione, come nel folto della giungla. Per non parlare degli animali...» «Che specie di animali?» «Non lo so, ma hanno zanne, mantelli puzzolenti e artigli. Li sento che si immergono e nuotano, come i coccodrilli.» Peggy Sue aggrottò le sopracciglia. Una giungla, una palude, bestie feroci... tutto questo al secondo piano di un complesso scolastico? «Ricordati» la ammonì il cane blu «che Zizolia e Calamistos hanno proibito di metterci piede.» «Esatto» approvò Peggy Sue. «Ma ho una gran voglia di andare a dare un'occhiata in giro. Ci tengo a sapere di che morte dovrò morire.» Purtroppo, quando posò la mano sulla maniglia, ebbe una brutta sorpresa: la serratura era stata bloccata. Per fortuna, sua nonna le aveva insegnato un piccolo sortilegio facile da ricordare che sbloccava anche le serrature più ostinate. Appena lo ebbe pronunciato la porta si aprì, e lei poté scivolare fuori dalla stanza seguita dal cane blu. I corridoi erano immersi nell'oscurità. Da una finestra, però, si riusciva a vedere uno spicchio di luna crescente nel cielo. «Sembra finta come le nuvole di oggi pomeriggio» borbottò il cane. «Brilla come una lanterna. Sembra una decorazione di Natale. Ed è troppo vicina al suolo...» «Ho l'impressione che se mi arrampicassi su una scala potrei quasi toccarla» fantasticò Peggy. Un rumore di passi giunse dal fondo del corridoio, i due amici si nascosero in un angolo e trattennero il respiro. Sbalordita, la ragazza vide allora passare una decina di supereroi stanchi dei quali aveva letto le avventure quand'era piccola. C'era il Grand Phobos, signore della paura, Giganticus, signore della forza, Elastikos, signore della flessibilità, Glaciofax, signore di... non sapeva più di che cosa! E altri ancora dei quali ignorava i nomi e le specialità. Avevano tutti un aspetto pietoso. Giganticus si muoveva appoggiandosi alle stampelle, Elastikos era su una sedia a rotelle. I loro famosi costumi avevano più rammendi di un vecchio paio di calzini. Ecco dunque i nostri professori, pensò tra sé. Questi poveracci sarebbero più a loro agio in un ospedale. Ebbe un tuffo al cuore alla vista di quegli antichi eroi le cui avventure straordinarie erano state celebrate in tutti i fumetti.
Appena il gruppetto svoltò l'angolo di un corridoio, Peggy uscì dal nascondiglio e riprese la sua esplorazione. La visita delle aule non le rivelò nulla di interessante. A un tratto, mentre stava per tornare indietro, notò un cartello su una porta d'acciaio blindata. Lesse: Guardaroba da guerra, vietata l'entrata al personale non autorizzato. «Un'altra porta blindata» sbuffò il cane blu. «Tante precauzioni per dei semplici abiti!» «Darei volentieri un'occhiatina» disse sommessamente la ragazza. «Vediamo se il sortilegio di nonna Katy funziona anche su questo tipo di serratura.» Dovette ripetere tre volte la formula magica prima che il catenaccio si degnasse di scorrere con un rumore sordo. La porta era incredibilmente spessa e così pesante che Peggy fece fatica a socchiuderla. «Non so se sia una buona idea andare a ficcare il naso là dentro» borbottò l'animale. Ma Peggy aveva già premuto l'interruttore. Una fioca luce rossa, proveniente dal soffitto, rischiarò allora numerose file di manichini dritti sui loro piedistalli. Erano un centinaio. «Sembrano armature...» affermò il cane blu. «Armature medievali.» «No,» lo corresse Peggy Sue «sono costumi da supereroe. Costumi molto antichi. Ma su una cosa hai ragione, sono così rigidi che sembrano armature. Somigliano più a scafandri che a semplici abiti.» Mosse timidamente qualche passo nella sala. Non si vedeva un granché e la luce rossa proiettava sulle cose un lampo demoniaco che faceva venire voglia di girare i tacchi. Lentamente, Peggy cominciò a passare in rassegna i vestiti, come se fosse in un grande magazzino. Alcuni cartelli, alla base dei travestimenti, spiegavano a chi erano appartenuti, seguiti da date, tutte molto antiche. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Questo risale alla notte dei tempi! Guarda un po' quello là! È stato indossato da un supereroe del Medioevo, il Cavaliere Tempesta... e quell'altro apparteneva a un gladiatore chiamato Demonicus all'epoca dell'imperatore Caligola... che stramberie!» Peggy non parlava. Era spiacevolmente impressionata dall'aspetto ripugnante dei costumi, uno più spaventoso dell'altro. Uno aveva l'aspetto di un gorilla cornuto, un altro somigliava a un dinosauro di dimensioni ridotte, un altro ancora sembrava un uomo delle caverne con le zanne sporgenti. Nessuno era di stoffa.
«Ricordano la pelle, le ossa» dichiarò il cane blu. «Sono spessi. Mi fanno pensare a...» «Animali impagliati» completò Peggy Sue con tono sinistro. «Bestie imbalsamate come se ne vedono nei musei di scienze naturali.» «Sì, proprio così. Sono davvero brutti.» Piuttosto a disagio, la ragazza affrettò il passo. Così erano sempre esistiti dei supereroi, anche al tempo dei faraoni! Quella sala era senza dubbio una sorta di museo che celebrava la loro memoria. Non c'era nulla di cui aver paura... Allora perché, da qualche minuto, non smetteva di guardarsi alle spalle? Perché aveva la sciocca sensazione che i costumi si muovessero appena voltava loro le spalle? Sento quello che stai pensando, le mormorò mentalmente il cane blu. È strano, ma anch'io ho la stessa impressione... «Li vedi muoversi?» «Sì, ma si tratta senz'altro di una semplice corrente d'aria che li fa spostare sul loro sopporto.» «Una corrente d'aria? Lo credi veramente?» «Non lo so...» I due amici si immobilizzarono un fondo alla sala. Quando si voltarono, trattennero a stento un grido scoprendo i cento costumi che li fronteggiavano. D'un tratto l'uscita parve loro terribilmente lontana. «Poco fa non guardavano in questa direzione» affermò Peggy con voce tremante. «Si sono girati sul loro piedistallo per seguire i nostri movimenti.» E rabbrividì. I buchi ritagliati nei caschi di cuoio, all'altezza degli occhi, la scrutavano con una fissità minacciosa. Sicuramente stai immaginando tutto questo, si disse. Sono solo vecchi abiti di secoli fa, che cascherebbero a pezzi se provassi a scuoterli. Ma sapeva bene che si stava solo raccontando delle bugie. «Filiamo» ansimò il cane blu. «Trovo che le loro braccia si muovano un po' troppo... e non sento nessuna corrente d'aria.» «Dobbiamo cercare di non correre» disse la ragazzina «non facciamo veder loro che abbiamo paura.» Cercando di mantenere un contegno, i due amici si incamminarono verso l'uscita. La testa dritta, l'aria ostentatamente sicura, si avviarono lungo il corridoio principale, tra due file di travestimenti pieni di scaglie dal profilo
di coccodrillo. Ancora venti metri prima dell'uscita..., pensava tra sé Peggy. Aveva percorso la metà del tragitto quando sentì una mano sfiorarle la spalla. Non si voltò, convinta che uno dei costumi avesse cercato di acchiapparla mentre passava. Ancora dieci metri..., le suggerì il cane. Si sentivano piuttosto a disagio. Man mano che si avvicinavano alla porta, la sala si riempiva di uno scricchiolio di artigli e di zanne. Come se i vestiti fossero irritati nel veder partire i loro visitatori. Peggy Sue e il suo amico superarono gli ultimi metri con due salti. Ma nel momento in cui la ragazza s'infilava nel corridoio e si voltava per richiudere la porta, notò che uno dei manichini era vuoto... Senza fermarsi a riflettere, pronunciò la formula magica che richiudeva la serratura. «Che spavento!» ansimò il cane blu. Peggy si morse il labbro, preoccupata. «Credo che abbiamo commesso una sciocchezza» confessò. «Uno dei supporti era vuoto...» «E allora?» «Non lo era quando siamo entrati. Inutile raccontarci storie: abbiamo lasciato la porta aperta e uno dei costumi ne ha approfittato per scappare. Spero di non aver combinato un guaio.» Senza dire una parola, se ne tornarono nella loro camera e non ne uscirono più fino all'alba, mentre, nel parco, un'inquietante figura dall'andatura incerta scivolava tra gli edifici di mattoni rossi. 4 L'abito vampiro Il risveglio fu difficile. Gli studenti si trascinarono fino alla mensa con un'andatura da sonnambuli. Terminata la colazione, la signora Zizolia ordinò di mettersi in fila e condusse tutti nell'aula dove si svolgevano le lezioni. Là li aspettava Diablox, appoggiato al suo bastone. «Non sono un conferenziere,» cominciò appena i ragazzi si furono seduti «così sarò breve nell'esporvi le regole di base del mestiere di supereroe. Prima di tutto, sappiate che senza il vostro costume non siete niente... e che esso rappresenta allo stesso tempo il vostro miglior amico e il vostro
peggior nemico.» «Non ci capisco niente!» bisbigliò un ragazzo al suo compagno. «Per me è come se parlasse cinese.» Un ragazzo alzò la mano per chiedere la parola; faceva parte di quel gruppo di arroganti che Peggy Sue aveva notato il giorno prima. «Signore,» chiese «io e i miei compagni vorremmo sapere quando cominceranno i corsi di lotta a mani nude.» Diablox si lasciò sfuggire un'imprecazione, furioso per essere stato interrotto. «Non ci saranno corsi di lotta» dichiarò. «Non vi servirebbero.» «Ma perché?» protestò l'adolescente. «I supereroi si battono contro i mostri, giusto?» «Se mi avessi lasciato il tempo di spiegare,» riprese Diablox «non avresti fatto questa domanda sciocca. Ti consiglio di metterti seduto e ascoltarmi.» Dopo essersi schiarito la voce, riprese. «La forza di un supereroe risiede nel suo costume, ficcatevelo bene in testa! È il costume che si batterà al posto vostro, è il costume che possiede la scienza del combattimento e la forza necessaria per un tale scontro. I poteri sono in lui, non in voi! Dimenticate tutti i film che avete visto e i fumetti che avete letto. Mentono! La forza non sarà mai in voi... resterà sempre fuori di voi. Sarà nascosta nel vostro travestimento.» Un mormorio di incredulità percorse l'aula. Peggy si sporse verso Naxos e mormorò: «Quando lo ha detto, ieri, credevo che scherzasse.» «Evidentemente no» rispose il ragazzo dai capelli d'oro. Diablox colpì il legno della pedana col suo bastone per far tornare il silenzio. «So che è difficile ammetterlo,» proseguì «ma è così. Io ero come voi, una volta, immaginavo che un supereroe fosse per forza qualcuno al quale un ragno, una formica, o una zanzara extraterrestre aveva inoculato il suo veleno. Un ragazzino il cui corpo aveva subito una complessa mutazione al termine della quale la sua muscolatura raddoppiava di volume... Tutto questo è solo una fandonia, pura invenzione degli scrittori. Se sono qua, oggi, è per raccontarvi la verità e spazzar via le sciocchezze di cui vi hanno riempito la testa. Lo ripeto: la forza è nel costume, non in voi. Credo che una piccola dimostrazione saprà convincervi.» Tirò fuori dalla tasca un telecomando e schiacciò un bottone. Uno dei muri dell'aula ruotò, rivelando un robot con sei braccia, la cui testa toccava quasi il soffitto, e un appendiabiti con le rotelle dove erano attaccati diver-
si costumi colorati. «Ecco un androide da combattimento» spiegò Diablox. «Normalmente è un robot da combattimento, ma ora è stato regolato sulla modalità 'addestramento', in modo da non rompervi una gamba al primo incontro. Ora vedrete di cosa è capace.» Il vecchio eroe azionò un altro bottone. Immediatamente, il robot si mise in posizione, come avrebbe fatto un karateka di metallo. «Wow!» esclamò il cane blu. «È così veloce che è impossibile seguire i suoi movimenti.» «Qualcuno tra di voi vuole affrontarlo?» sorrise compiaciuto Diablox. «Tra tutti questi ragazzi, ce n'è uno che pensa di essere più veloce di lui? Vi avverto che per metterlo fuori combattimento bisogna riuscire a schiacciare il bottone rosso che ha in cima alla testa.» Peggy alzò gli occhi. Il famoso bottone si trovava a tre metri di altezza, mentre le sei braccia d'acciaio formavano una barriera invalicabile per quanto rapidamente si muovevano. E si tratta solo della modalità 'addestramento', pensò. Preferisco non pensare a quello che può fare in un combattimento reale! I ragazzi esitavano. Erano quasi pronti ad accettare la sfida. Un nuovo movimento delle braccia d'acciaio li dissuase. Il robot sembrava una piovra di metallo capace di respingere dieci attacchi contemporaneamente. Diablox colpì l'appendiabiti con la punta del bastone. «Questi costumi sono per voi» dichiarò. «Sono vecchi, i loro poteri quasi esauriti, ma vi permetteranno di capire quello che cerco di spiegarvi. Appartenevano a supereroi oggi dimenticati. Ho bisogno di due volontari...» Peggy e Naxos avevano alzato la mano nello stesso momento, e la cosa li fece ridere. «Avvicinatevi!» ordinò Diablox. «Scegliete il travestimento che preferite e indossatelo.» Peggy esaminò i costumi. Da lontano sembravano splendenti, ma da vicino erano vecchi e rattoppati. Ne cercò uno della sua misura. Alcuni erano blu, cosparsi di stelline d'oro ormai sbiadite, altri rossi e decorati con fulmini d'argento scrostati. Sembrano vecchi costumi da clown... pensò con tristezza. Al tatto erano ruvidi, come se fossero stati tagliati in una pelle rugosa. Una chiusura lampo, sulla pancia, permetteva di infilarli. «Si sbrighi, signorina!» tuonò Diablox. «Non sta scegliendo un vestito
da ballo...» Peggy arrossì e prese un costume a caso. Era duro, molto simile al cartone, si sarebbe potuto tenere in piedi da solo. Un'armatura di gomma, pensò infilandosela. O una tuta da palombaro... Si aggiustò il casco sulla testa. Stranamente, appena ebbe tirato su la chiusura lampo, le sembrò che il vestito le si restringesse addosso, come se si adattasse automaticamente alle sue misure. La pelle, che le era sembrata rigida, si dimostrava ora incredibilmente morbida. Era tutto molto strano. «Bene,» disse Diablox «ora che siete equipaggiati, cercate di attaccare il robot.» Dopo una breve esitazione, Peggy si lanciò all'attacco. Accadde allora una cosa incredibile: si staccò da terra e s'innalzò fino al soffitto! Nei minuti che seguirono, scoprì che era capace di compiere mille piroette incredibili, di volteggiare nello spazio e di spostarsi con una tale rapidità che le braccia del robot in confronto sembravano muoversi al rallentatore! Ricevette un messaggio mentale del cane blu che diceva: Corpo di una salsiccia atomica! Faccio fatica a seguirti. Guizzi come un lampo e colpisci con la forza di un elefante, hai già piegato una delle zampe dell'androide! Non credo ai miei occhi! Era inebriante, e Peggy sentiva che le stavano venendo le vertigini. Le girava la testa. Avrebbe voluto che quell'esperienza formidabile durasse per sempre. Sfortunatamente, mentre si stava lanciando in una nuova piroetta, il robot la colpì, scaraventandola a terra. Quando cercò di rialzarsi con un balzo, notò che il costume non rispondeva alle sue sollecitazioni. Tutto a un tratto si ribellava, diventava impacciato, appesantendola come un'armatura con le articolazioni arrugginite. Che succede? si chiese con stupore. «Basta così» decretò Diablox. «La dimostrazione è terminata. Levatevi questi vestiti e spiegate ai vostri compagni che cosa avete provato.» Peggy e Naxos obbedirono. Emergendo dallo scafandro, la ragazzina ebbe la sgradevole sorpresa di scoprirsi stanca. Non poté fare a meno di sbadigliare. Voltandosi verso Diablox, raccontò come meglio poteva ciò che era accaduto, il modo in cui, appena allacciato il costume, si era trasformata. Diablox alzò una mano per interromperla. «Ecco dove volevo arrivare» proclamò. «Non ti sei 'trasformata', come
dici. Hai semplicemente sentito il costume che si muoveva addosso a te. Perché è il costume che ha fatto tutto al posto tuo. Ha saputo, istintivamente, reagire alle aggressioni del robot. Ha saputo come comportarsi, come schivare, o come colpire... Confessa che non hai mai avuto l'impressione di prendere una qualsiasi decisione...» «È vero» ammise Peggy Sue. «Ero troppo meravigliata per sapere cosa fare. Era come se il costume decidesse da solo come comportarsi.» «Ed è esattamente ciò che faceva!» tuonò Diablox. «Questi travestimenti possiedono l'istinto del combattimento nelle loro molecole. Reagiscono più velocemente di quanto saprebbe fare un essere umano.» «Allora sono dei vestiti magici?» azzardò Naxos. «Possiamo dire così» approvò Diablox. «In realtà, i loro poteri provengono dal fatto che sono stati fabbricati con la pelle di animali fantastici che non esistono nel nostro mondo. Grandi predatori, dieci volte più pericolosi dei nostri leoni; le nostre tigri, in confronto, sembrano gattini.» «Allora a che serviamo noi?» domandò Peggy Sue. «Innanzitutto fate loro da scheletro, da armatura» ridacchiò Diablox. «Senza di voi non potrebbero stare in piedi. E poi, servite loro come carburante...» «Come carburante?» ripeté stupita la ragazza. «Non capisco.» «I costumi hanno bisogno di energia per compiere le loro imprese» rispose Diablox. «Consumano molto, come i bolidi delle corse automobilistiche. Questa energia la ricavano da voi, la prendono dal vostro organismo. Come ti senti, piccola?» «Molto stanca» confessò Peggy. «Ho come l'impressione di non dormire da settantadue ore almeno.» «Era ciò che volevo farti dire!» trionfò il vecchio eroe. «I vestiti magici sono infatti dei vestiti vampiri. Si alimentano della forza vitale di colui che li indossa. Se li indossate troppo a lungo, vi sfiniranno... e nello stesso tempo vi uccideranno. È impossibile per un supereroe combattere un nemico per diverse ore di seguito. Quella battaglia comporterebbe un tale consumo di energia che ne morirebbe. È già accaduto. Ecco perché alcuni supereroi sono spariti da un giorno all'altro. Non sono i mostri che li hanno uccisi, ma il loro stesso costume!» Aveva sottolineato le ultime parole battendo sul pavimento col bastone. Un mormorio di sgomento corse tra le file degli studenti. Nessuno di loro aveva mai immaginato una cosa simile. Era ben lontano dalle esagerazioni soprannaturali celebrate nei fumetti. All'improvviso, l'esistenza dei
supereroi appariva sotto una luce molto meno entusiasmante. «Per oggi la lezione è terminata» concluse Diablox. «Passeremo ora alla parte pratica: indosserete un costume magico e combatterete contro il robot. Preciso ancora una volta che questi indumenti sono usati, e che quindi non possono causarvi grandi danni. Sarà diverso quando indosserete un costume nuovo, intriso di potenza, di quelli che consumano parecchia energia vitale.» Eccitati, gli studenti si spintonarono per avvicinarsi all'attaccapanni con i vestiti. Tutti volevano provare l'ebbrezza dell'onnipotenza. Diablox dovette separare col bastone quelli che si contendevano il possesso di uno stesso travestimento. Stanchi, Peggy e Naxos si sistemarono in disparte. «Hai voglia di dormire?» domandò il ragazzo. «Sì» sbadigliò Peggy Sue. «Gli occhi mi si chiudono da soli. Ho meno forza di un neonato.» «Bisognerà che facciate una bella cura di vitamine se volete giocare a fare i supereroi» raccomandò loro il cane blu. «Questi indumenti hanno l'aria di essere dei veri ingordi.» Quando suonò la fine della lezione pratica, il robot e i costumi magici scomparvero nella loro nicchia, dentro il muro. Diablox chiuse la lezione. «Riflettete su quello che avete imparato oggi» concluse. «Non si tratta di un videogioco. Se non sapete controllarlo, il vostro costume vi ucciderà. Ora andate a riposarvi, sembrate degli zombi.» Effettivamente erano tutti molto stanchi. La signora Zizolia li accompagnò fino alla mensa, dove venne servito loro un pasto pieno zeppo di vitamine. I ragazzi borbottavano, scontenti della piega degli avvenimenti. «Riassumendo,» disse Jeff, un tipo grande e grosso con la testa rasata che aspirava a essere il capo della banda «non saremo mai altro che attaccapanni viventi... Il vero eroe sarà il costume, noi gli faremo soltanto da servitori e da carburante. Compirà le sue imprese a nostre spese. E ogni volta che trionferà su un malvagio, sarà sottraendoci un po' della nostra vita. Bella roba!» «Non ha tutti i torti» mormorò Naxos, che si era seduto di fronte a Peggy. «Ma secondo me ne vale comunque la pena.» La ragazza stava per rispondere quando, guardando dalla finestra, intravide una figura inquietante che si aggirava tra gli edifici. Non durò che una frazione di secondo, ma, capì che si trattava del costume da guerra fuggito
dal guardaroba proibito. Fece una smorfia. L'abito aveva l'aspetto di un uomo serpente. Argentato, ricoperto di scaglie, terminava con un casco simile alla cuffia rigonfia di un cobra in collera. Hai visto?, le bisbigliò mentalmente il cane blu. Sì, gli rispose Peggy. È il travestimento che abbiamo lasciato scappare. Penso che nessuno lo abbia ancora individuato. Spero che non creerà problemi. Credi che si possa fare qualcosa? Non lo so, le rispose il cane. Così non è altro che un vestito... ma dopo quello che ci ha raccontato Diablox, non so più che cosa aspettarmi. Terminato il pranzo, la signora Zizolia ordinò ai ragazzi di andare a fare un riposino. Non si fecero pregare, poiché erano tutti sfiniti. Appena appoggiò la testa sul cuscino, Peggy cadde in un sonno profondo. 5 Gli attacchi di fame dell'Uomo Serpente Il giorno seguente, a mensa, le voci circolavano: due ragazzi avevano sorpreso il costume in fuga aggirarsi sotto le finestre del collegio. «L'ho visto con i miei occhi» affermò Jeff agitando le lunghe braccia magre. «All'inizio ho creduto che si trattasse di un qualunque supereroe di cinquant'anni, ma quando è spuntata la luna da una nuvola e lo ha illuminato, ho visto che quel casco era vuoto... Non c'era nessuno dentro al costume. Era soltanto un abito che camminava da solo, senza nessuno che lo indossasse.» «Come può essere?» domandò uno dei suoi vicini di tavola. «Diablox ha detto che i costumi hanno bisogno di un'armatura per stare in piedi...» «Non lo so, comunque, quello ne faceva a meno, te l'assicuro. Camminava proprio come me e te. Sono rimasto davvero sorpreso quando ho visto quella testa di serpente che mi osservava dall'altra parte del vetro. Se non ci fossero state le sbarre alla finestra, credo che quella diavoleria avrebbe cercato di entrare.» Peggy abbassò lo sguardo, a disagio. Non sapeva che fare. Forse aveva commesso una sciocchezza intrufolandosi nel guardaroba proibito. Come potevamo saperlo?, le mormorò il cane blu telepaticamente. Ricordati che non siamo qui di nostra spontanea volontà, e che non sappiamo sempre se dobbiamo fidarci delle persone che dirigono questo istituto al-
quanto bizzarro. La ragazza annuì. Capiva quello che il suo amico a quattro zampe cercava di dirle. Non bisognava scartare l'ipotesi che quella storia del collegio obbligatorio fosse una trappola... Una trappola il cui scopo era quello di sbarazzarsi dei ragazzi implicati nella lotta contro i malvagi. Già, perché no? Mentre gli studenti uscivano dalla mensa, la voce del signor Calamistos, il direttore, risuonò nell'altoparlante. Erano tutti convocati nell'atrio per una comunicazione urgente. «Andiamo,» disse Naxos «suppongo che c'entri qualcosa con l'Uomo Serpente in fuga...» Dritto sulla pedana, con il microfono in mano, Calamistos aspettava battendo un piede per terra, impaziente. Quando furono tutti radunati, cominciò: «Suppongo che sappiate tutti che un costume da supereroe è scappato dal guardaroba da guerra e si aggira nel parco... La serratura della sala delle esposizioni non è stata forzata, non riusciamo a capire come sia potuto accadere, ma è evidente che questo vestito non è potuto evadere senza la complicità di qualcuno degli studenti... qualcuno di voi! In attesa che il colpevole venga identificato, vi chiediamo di evitare di passeggiare nel parco. Quel costume è pericoloso. Si tratta di un travestimento dell'antico Egitto. Rappresenta il dio serpente Apopi, una divinità poco simpatica4. Questo travestimento è molto potente... troppo potente, ecco perché lo tenevamo rinchiuso in una camera blindata. Può essere utilizzato solo in caso di guerra, quando la situazione è disperata. Inoltre dovete sapere che ha la spiacevole abitudine di uccidere quelli che lo indossano.» «Com'è possibile?» domandò Jeff. Calamistos si agitò, seccato per essere stato interrotto. «Per compiere le sue imprese consuma molta energia vitale» disse con riluttanza. «Così tanta energia che quelli che lo portano invecchiano di trent'anni in un'ora. Quando lo indossano hanno diciott'anni; quando lo sfilano, un'ora più tardi, ne hanno cinquanta, e i capelli sono diventati bianchi. Ecco perché è tenuto nascosto. Viene tirato fuori dalla camera blindata solo in caso di estrema necessità, e comunque bisogna trovare un kamikaze5 che accetti di correre il rischio di indossarlo. Ogni volta che questo è accaduto, il candidato non è sopravvissuto all'avventura. Ecco perché vi consiglio di non stuzzicare questo costume mentre noi escogitiamo un piano per catturarlo. Diablox, il vostro insegnante principale, sta studiando una strategia di av-
vicinamento.» «Perché Apopi si aggira sotto le nostre finestre?» chiese Naxos. «Al posto suo me la sarei già svignata.» «Ha bisogno di energia» spiegò Calamistos. «Rimarrà presto senza carburante. Allora entrerà in un stato di ibernazione, come le tartarughe. Per il momento, va ancora avanti con la sua riserva, ma si esaurirà presto, soprattutto se si ostina a correre da una parte all'altra del parco. Ecco perché vi raccomando di non avvicinarlo. Se Apopi riuscisse a catturare uno di voi, lo userebbe come una pila approfittandone per ricaricare le sue batterie. L'unica soluzione è aspettare che si stanchi e smetta di funzionare. Soltanto allora lo ricondurremo nella camera blindata, dalla quale non sarebbe mai dovuto uscire.» Diablox salì sulla pedana di legno e prese il microfono dalle mani del direttore. «Soprattutto cercate di non fare gli eroi!» raccomandò. «Apopi è più forte e più astuto di voi. Le persone che lo indossavano, nell'antichità, erano sempre grandi sacerdoti, iniziati, maghi. Per loro era indifferente morire dopo un'ora di combattimento, poiché erano pronti a sacrificare le loro vite. Spesso accadeva che molti di loro si succedessero all'interno del travestimento nel corso della stessa giornata, e tutti morivano per sfinimento. Voi siete dei novellini, ecco perché vi consiglio di non immischiarvi. È chiaro?» Gli allievi borbottarono un vago assenso. In realtà erano tutti eccitati all'idea di quell'avventura. Visto lo stato di allerta, i corsi vennero sospesi perché Diablox e gli altri supereroi si erano riuniti nell'ufficio del direttore per cercare di capire come Apopi fosse riuscito a fuggire. Peggy era mortificata di essere la causa di quel trambusto. Malediceva la curiosità che l'aveva spinta a entrare nel guardaroba proibito. «Chi poteva sapere che quegli stracci erano così pericolosi?» grugnì il cane blu. «A prima vista sembravano soltanto vecchi abiti appesi alle stampelle.» La signora Zizolia consegnò gli alunni nella biblioteca con l'ordine di studiare i manuali relativi agli alimenti energetici che si potevano trovare in natura, allo stato selvatico. «Quando sarete stanchi per aver indossato troppo a lungo il vostro travestimento,» spiegò «vi sarà molto utile sapere quale pianta o quale corteccia
racchiude qualcosa che può ricostituire le vostre forze. Non avrete sempre un supermercato a portata di mano, soprattutto se le vostre avventure vi conducono nel bel mezzo della giungla! Alcuni insetti giganti, per esempio, contengono vitamine6, sarà sufficiente sgranocchiarne due per ritrovarsi in piena forma.» Quella rivelazione fu accolta da un mormorio di disgusto. «È tutto annotato in questi manuali» insisté la signora Zizolia. «Prendete appunti. Sveltì! Al lavoro...» I ragazzi si misero all'opera brontolando, ma questa applicazione non durò a lungo; molto presto, abbandonarono i manuali scolastici per appostarsi davanti alle finestre con le grate e sorvegliare il parco. Al minimo fremito di un cespuglio, tutti credevano di veder apparire Apopi. «Mi viene una rabbia!» esclamò Jeff. «Starcene rinchiusi qui, a leggere queste stupidaggini mentre potremmo dare la caccia a quel demonio.» «E come faresti?» domandò Naxos in tono canzonatorio. «Ti credi abbastanza forte da resistere all'avidità dell'Uomo Serpente?» «Sì, un po'!» rispose seccato Jeff. «Non credo molto alle chiacchiere dei professori. Penso soprattutto che vogliano conservare quel costume per il loro uso personale, perché ha poteri favolosi. Gli verrebbe un colpo se uno studente se ne impadronisse, perché allora potrebbe diventare il capo del collegio, e dettar legge.» «Sì, sì,» approvarono i suoi compagni «è sicuramente così.» Naxos stava per replicare, ma qualcuno credette di distinguere un'ombra all'angolo di un edificio. Scese allora un silenzio pieno di tensione... Il parco, deserto, aveva assunto un aspetto minaccioso. Il travestimento da rettile poteva nascondersi ovunque; c'erano diversi boschetti, siepi e case abbandonate... I vecchi collegi, ricoperti di edera, somigliavano ora più che mai a monumentali steli funerarie innalzate sulle tombe di un'armata di giganti morti in combattimento. «Non viene certo voglia di andare a fare un picnic...» osservò il cane blu. Peggy Sue si dondolava da un piede all'altro. Non riuscendo più a trattenersi, trascinò Naxos in disparte e gli disse: «Devo confessarti una cosa, sono stata io a liberare l'Uomo Serpente, inavvertitamente.» E gli spiegò in quali circostanze aveva commesso quell'errore. Il ragazzo dai capelli d'oro fu molto sorpreso, ma non la rimproverò. «Sei stata fortunata,» le disse «se uno di quei costumi ti avesse acchiappata, avrebbe risucchiato tutta la tua energia vitale. E ora saresti più rinsecchita di una mummia.»
«Lo so» sospirò la ragazza. «Avevo notato che cercavano di impedirci di uscire. Lì per lì, non avevo capito perché. In realtà volevano un po' di 'carburante'. Suppongo che ne abbiano abbastanza di annoiarsi in quella camera blindata. Sicuramente hanno tutti voglia di scappare per riprendere la loro vita avventurosa.» «Che pensi di fare adesso?» «Forse potrei intrufolarmi nel parco e costringere Apopi a inseguirmi: in questo modo esaurirebbe presto le sue riserve di energia e perderebbe conoscenza. Poi lo riporterei nel guardaroba. Così rimedierei al danno.» Naxos rifletté qualche istante, poi un sorriso illuminò il suo viso da elfo trasognato. Quando sorrideva, era ancora più carino! «È un'idea grandiosa» decretò «ma non ti lascerò andare da sola. Ti accompagnerò.» «Sei gentile, ma è troppo pericoloso» obiettò Peggy Sue. «Ascolta,» le disse Naxos «i miei capelli sono d'oro e Apopi viene dall'Egitto...» «E allora?» «All'epoca dei faraoni si credeva che la pelle degli dèi fosse d'oro puro7. In particolare quella di Ra, il dio sole. Se Apopi mi vede, penserà che io sia il suo vecchio nemico, colui che cerca di annegare ogni notte, e si lancerà all'inseguimento. Che ne dici?» «Bell'idea» approvò il cane blu. «Sei davvero coraggioso, ragazzo mio.» Poi voltandosi verso Peggy aggiunse: «Comunque più siamo a darci il cambio nella corsa meglio è, altrimenti non riusciremo a mantenere il vantaggio. Mentre uno correrà, gli altri due si riposeranno e così via di seguito. Non dimenticate che state per attaccare un travestimento ricavato dalla muta8 di un dio dell'antichità.» «Hai ragione» approvò Naxos. «Faremo come dici. E poi, siccome sei un cane, corri molto più veloce di noi.» I tre amici sgusciarono fuori dall'aula di studio. Passando rasente i muri, raggiunsero l'ingresso. La porta d'entrata era chiusa a chiave, ma Peggy non dovette far altro che ripetere la formula magica di nonna Katy perché la porta si socchiudesse. Una volta usciti, la serrarono dietro di loro, perché Apopi avrebbe potuto approfittarne per introdursi nel collegio e combinare guai. Si affrettarono a nascondersi in un cespuglio e, una volta al riparo, scrutarono i dintorni. In realtà, ora che si trovavano fuori, stavano sulle spine.
Il parco abbandonato, con i suoi viali deserti, non metteva certo allegria. «Un vecchio giardino pubblico per fantasmi!» proclamò il cane blu. Stranamente, la presenza del sole non migliorava la situazione. Al contrario, accentuava l'aspetto insolito di quel luogo privo di un qualunque passante, di quegli edifici rossi con le finestre murate. Sembrava uno scenario da incubo, una specie di fondale dipinto, falsamente rassicurante, che un'orda di mostri rischiava di lacerare da un momento all'altro per balzare sulla scena del teatro e divorare gli attori. «Faccio io il primo turno di corsa» decise Peggy Sue dopo aver fatto appello a tutto il suo coraggio. «Quando sarò stanca, tornerò da questa parte. Naxos, tu non dovrai far altro che saltare fuori dal cespuglio. I tuoi capelli ipnotizzeranno Apopi che mi lascerà perdere per inseguirti. D'accordo?» «Va bene,» le rispose il ragazzo «sei tu che comandi.» «Quando sarai stanco ti darò il cambio» promise il cane blu. «Sono piccolo, ma posso infilarmi tra le sue gambe e mordergli i polpacci. Ne approfitterò per assaggiare la pelle di serpente. Pare che sappia di pollo.» «Faremo così» concluse la ragazza. «Vado. Auguratemi buona fortuna.» E detto ciò saltò fuori dal cespuglio. Appena fu sola nel viale, in mezzo ai prati, si sentì vulnerabile. Ogni dieci metri si voltava per vedere se la figura dell'uomo serpente la stesse seguendo. Cominciava a pentirsi della sua idea e rabbrividiva ogni volta che sentiva una foglia stormire al vento. Con le mani nelle tasche dei jeans, si sforzò di assumere un'aria disinvolta. D'un tratto, mentre passava accanto a una siepe di ligustro, una mano spuntò all'altezza del suolo per afferrarle una caviglia! Peggy lanciò un grido di terrore e cadde a faccia in avanti, convinta che stesse per avere un infarto. Mentre si dibatteva, venne tirata al riparo dei cespugli. Si aspettava di veder apparire l'orribile faccia del cobra gigante, invece fu il volto di un servitore con la divisa a righe quello che si chinò su di lei. La ragazza riconobbe l'uomo che tappava le crepe delle costruzioni dei condannati, e con il quale aveva chiacchierato il giorno prima. «Che sta facendo?» ansimò. «Stai zitta» le ordinò il domestico. «Sto spiando Apopi. Voglio catturarlo. È mio. Non cercare di fregarmelo. Se non stai buona, ti faccio fuori. Capito?» «Lei è pazzo» protestò la ragazza. «Quel travestimento è pericoloso. Non si lascerà acchiappare, anzi sarà lei a essere catturato.» «Taci» ripeté l'uomo. «So quello che faccio. È un costume molto poten-
te. Forse uno dei più potenti al mondo. Se riesco a impadronirmene, diventerò il padrone del collegio, Calamistos non potrà più tenermi prigioniero e finalmente riuscirò a evadere da questa prigione.» «Quindi lei è tenuto prigioniero?» si stupì Peggy. «Sì» si lasciò sfuggire il domestico con tono astioso. «Sono un vecchio professore, come tutti i domestici con la divisa a righe. Se più del settanta percento dei nostri allievi sono bocciati all'esame finale, veniamo rimossi dal nostro incarico e retrocessi a semplici domestici.» «Che cosa?» esclamò Peggy. «Il settanta percento di insuccessi! È pazzesco...» «L'esame è molto difficile. Se tre alunni su dieci lo superano, ci riteniamo fortunati. Purtroppo, spesso accade che la maggior parte sia uccisa durante le prove finali. In quel caso, i professori vengono puniti. È quello che è capitato a me. Soltanto un allievo della mia classe è riuscito a ottenere il suo diploma, ma è morto due giorni dopo in seguito alle ferite riportate. Calamistos e la terribile Zizolia non me l'hanno perdonato. Sono stato cacciato, ed eccomi qui, nei panni di uno schiavo... Ma ne ho abbastanza. L'ora della riscossa è arrivata. Mi impadronirò del costume di Apopi e distruggerò questo maledetto collegio, farò a pezzi Calamistos, io...» Schiumava di rabbia. Peggy Sue si domandò se non fosse davvero pazzo. In ogni caso sembrava deciso ad andare fino in fondo. La ragazza non osava muoversi per paura che la colpisse. All'improvviso un'ombra anomala si disegnò sulla ghiaia del viale, una figura che non aveva nulla di umano. Peggy trattenne il respiro. L'Uomo Serpente era appena uscito dal suo nascondiglio, alla ricerca di una preda. Senza dubbio aveva fiutato l'odore di carne fresca. «Eccolo! È lui!» esclamò l'ex professore, con gli occhi fuori dalle orbite. «I suoi poteri sono immensi. Appena avrò infilato i suoi stracci, diventerò il padrone dell'universo.» «Lei è pazzo,» mormorò Peggy cercando di trattenerlo «la divorerà in sol boccone!» «Ma no, stupida!» disse l'uomo, «È solo un costume, non ha né denti né stomaco...» «Non ne ha bisogno» insisté la ragazza. «Si nutrirà nella sua energia vitale.» «Sono abbastanza forte per tenergli testa, da mesi ormai mi ingozzo di vitamine. Lasciami!» Si liberò con uno strattone. Un attimo dopo, era saltato fuori dal cespu-
glio per circondare il travestimento in pelle di serpente, che si afflosciò al suolo senza opporre resistenza. «L'ho catturato!» gridò scioccamente. Dal suo nascondiglio, Peggy Sue poté osservare bene il vestito da rettile le cui scaglie argentate luccicavano al sole. Quella testa di cobra, con la sua cuffia dilatata9, era veramente orribile. Ansimando impaziente, l'ex professore scivolò dentro il costume di pelle. Che imbecille! pensò Peggy. Non capisce che Apopi lo lascia fare solo per impadronirsi della sua forza vitale? Ma l'uomo, ormai, aveva chiuso la cerniera lampo del costume, segnando il proprio destino. Peggy lo sentiva sghignazzare sotto la maschera del cobra. «A noi due, Calamistos!» urlò voltandosi verso il collegio. «È tempo di regolare i nostri conti. Preparati a prendere un sacco di legnate!» Con passo malfermo cominciò a risalire lungo il viale. Per qualche minuto gesticolò sbraitando, poi le sue grida si affievolirono e Peggy ebbe la netta sensazione che si trasformassero in lamenti smorzati. Bruscamente, Apopi si immobilizzò. La sua mano scagliosa afferrò la zip del vestito e la tirò con un gesto deciso. Quando il costume si aprì, Peggy per poco non lanciò un grido di stupore. Al suo interno c'era uno scheletro perfettamente pulito, di un bel color avorio. L'energia vitale dell'ex professore era stata aspirata fino all'osso. Apopi si scrollò, facendo cadere le ossa per terra. Si muoveva più velocemente, ora, e i suoi gesti erano meno rigidi. Il 'carburante' immagazzinato gli aveva restituito tutta la sua agilità. Sono proprio fortunata, si disse Peggy ironicamente, ora correrà due volte più veloce! Adesso capiva quello che aveva cercato di spiegar loro Diablox. Bisognava davvero possedere una costituzione robusta per indossare uno dei costumi da guerra del guardaroba proibito. Soltanto un superuomo o uno stregone avrebbe potuto farlo, e comunque ne sarebbero usciti fuori malridotti, precocemente invecchiati. Pazienza, decise, tocca a me... Saltò fuori dal suo nascondiglio, raccolse una manciata di sassolini e li lanciò alle spalle di Apopi. «Ehi, lucertolone,» gridò «prova ad acchiapparmi...» E corse subito verso il cespuglio dove se ne stavano rintanati Naxos e il
cane blu. La sua unica speranza era che l'uomo serpente bruciasse velocemente le riserve di carburante. Il professore del quale aveva aspirato la vita non gli aveva senz'altro permesso di 'fare il pieno'... O comunque lo sperava. Con lo stomaco annodato per la paura, sentì Apopi lanciarsi al suo inseguimento. I suoi piedi artigliati calpestavano la ghiaia minacciosamente. Peggy era sempre stata brava in educazione fisica (era anche l'unica materia che le piaceva quando ancora frequentava la scuola!) e ora quella passione le avrebbe salvato la vita. Dietro di lei, Apopi correva, con le braccia tese in avanti per acchiapparla. Il suo sesto senso gli suggeriva che doveva catturare al più presto quella ragazzina se non voleva di nuovo restare senza carburante. La preda che aveva appena ingoiato non possedeva abbastanza energia per permettergli di scappare dal collegio come desiderava. Era davvero molto tempo che lo tenevano rinchiuso, si annoiava a morte. Sognava epiche battaglie, combattimenti che avrebbero fatto tremare il mondo... Aveva già conosciuto tutto ciò, una volta, ma erano passati parecchi secoli ormai, e ne aveva nostalgia. Era stato concepito per la guerra, duemila anni prima di Cristo, dai sacerdoti del faraone, e non intendeva finire i suoi giorni rinchiuso in un armadio. In passato, alcuni stregoni con la testa rasata lo avevano cucito con frammenti di pelle recuperati dalle spoglie di Apopi: allora era destinato a grandi cose; purtroppo, oggi gli uomini erano diventati troppo deboli per sopportare il suo contatto. Quell'epoca era tristemente priva di eroi, così i costumi più potenti venivano lasciati attaccati a una stampella nell'oscurità di un armadio. E lui non lo sopportava più! L'Uomo Serpente correva sulla ghiaia senza rendersi conto che la sua rabbia consumava gran parte dell'energia assorbita qualche istante prima. Senza fiato, Peggy non osava più voltare la testa. Le sembrava di sentire già gli artigli della creatura sfiorarle la nuca. Con il cuore che le batteva all'impazzata, si lasciò cadere sul prato, incapace di muovere un altro passo, prossima a un infarto. Nello stesso istante Naxos sbucò dai cespugli: i suoi capelli brillavano al sole come un'aureola scintillante. «Ehi, tu, serpentone!» gridò. «Guardami! Sono Ra! Il dio sole, il tuo vecchio nemico... colui che insegui da sempre... non mi acchiapperai!» E cominciò a correre verso destra. L'uomo serpente si bloccò in piena corsa, dimenticando Peggy Sue. Era come stregato dalla chioma d'oro del ragazzo. La vedeva danzare sopra il suolo come un sole in miniatura, un
sole che doveva afferrare e ingoiare. Sì! Doveva catturare quella sfera di energia pura e farla scivolare nel suo petto, così gli avrebbe fornito carburante sufficiente per vivere un secolo, se non di più, e per tutto quel tempo avrebbe potuto far a meno di ospitare un 'inquilino', uno di quei piccoli umani puzzolenti che gli rendevano fetida la pelle sudando come maiali. Sì! Il sole, doveva catturare Ra e mangiarlo, come una gigantesca torta di fuoco... Già sentiva l'acquolina in bocca. Approfittando del fatto che Apopi stava rincorrendo Naxos, il cane blu uscì dal cespuglio e, afferrando la maglietta di Peggy tra i denti, la aiutò a mettersi al riparo sotto il fogliame. La ragazza era ancora senza fiato. «Riposati!» le ordinò. «Ora tocca a me entrare in scena. Dovrai essere pronta a darmi il cambio quando comincerò ad avere la lingua lunga trenta centimetri per il fiatone.» Naxos fece il giro completo del collegio senza affaticarsi troppo, perché l'uomo serpente correva già più lentamente. Era comunque quasi senza fiato quando si nascose nel bosco. Immediatamente, il cane blu balzò fuori come un piccolo demonio. Infilandosi tra le gambe di Apopi, gli morse il polpaccio destro, facendolo inciampare. La creatura si accasciò sulla ghiaia, non riuscendo a capire che cosa gli fosse successo. L'animale tornò quindi alla carica, azzannandogli una natica. Anche se non era più grande di un cucciolo, i suoi canini erano terribilmente aguzzi e li usava con abilità consumata. La collera offuscò la mente di Apopi. Dimenticando Naxos, si concentrò su un'idea: fare a pezzi quella palla di pelo bluastro che osava mancargli di rispetto! Ma il cane blu era forte, inafferrabile, piroettante, troppo piccolo per l'Uomo Serpente i cui movimenti diventavano incerti. Alla fine accadde ciò che Peggy Sue aveva previsto: Apopi cominciò a muoversi sempre più lentamente e il cane blu ne approfittò per intensificare i suoi assalti di sfinimento, intontendolo. L'Uomo Serpente barcollò, batté le braccia, e si accasciò. Il cane blu saltò allora su di lui per azzannargli l'altra natica, che cominciò immediatamente a gustare. Peggy e Naxos, ancora senza fiato, emersero dal bosco. Il cane li guardò avvicinarsi con aria disgustata. «È immondo!» dichiarò sputando un pezzo di pelle piena di scaglie. «Sa di pesce. Sembra cibo per gatti!» «Comunque sia,» ansimò il ragazzo dai capelli d'oro «siamo proprio una
bella squadra!» «È vero,» confermò Peggy Sue «senza di te sarei stata perduta. Non avrei resistito un attimo di più. Naxos arrossì, e due chiazze rosse apparvero sulle sue guance incredibilmente pallide. Sembrò subito molto imbarazzato e, per mascherare il suo turbamento, afferrò il costume da rettile sotto le ascelle. «Riportiamolo nell'armadio» disse. «Credo che Jeff e i suoi compagni abbiano seguito la nostra impresa dalla finestra della biblioteca. Sicuramente ci odiano perché li abbiamo privati del loro divertimento.» «Senza alcun dubbio,» sospirò Peggy «ma non so che cosa ne abbiano pensato i professori. Mi aspetto il peggio. Diablox forse non sarà contento di essere stato messo in disparte da tre dei suoi allievi.» Trascinandosi dietro il vestito sempre incosciente, si incamminarono verso il collegio. «Davvero immondo!» continuava a ripetere il cane blu, sputando qualche pezzo della natica scagliosa che gli era rimasto incastrato tra i denti. 6 Strane rivelazioni Come Peggy aveva immaginato, la signora Zizolia non tardò ad apparire. Il suo viso sfregiato era, se possibile, ancora più severo del solito. «Sei attesa dal direttore» disse alla ragazza che, china su un libro di botanica extraterrestre, cercava di passare inosservata. «Fila! Non farlo aspettare. Non è il caso di peggiorare la tua situazione.» Peggy si alzò, i denti serrati, e seguì la sorvegliante tra le risatine degli altri studenti, in particolare della banda di Jeff. «Ti accompagno» si offrì Naxos alzandosi. «Non è giusto che sia solo tu a essere punita.» «No!» tuonò la signora Zizolia. «Tu rimani qua, e impara a memoria la lista dei pachidermi del pianeta Marte.» Peggy dovette quindi decidersi ad andare dal terribile Calamistos accompagnata dal cane blu. «Se mi secca, lo mordo» proclamò l'animale. «Non credo che i suoi polpacci saranno più disgustosi delle natiche dell'Uomo Serpente.» Dopo aver vagato a lungo per i corridoi, Peggy scovò infine l'ufficio del direttore. Una pesante porta di quercia bloccava l'entrata. Bussò timida-
mente. «Avanti» ordinò una voce soffocata. La ragazza obbedì. Si ritrovò in una stanza buia, piena di statue di marmo giganti che rappresentavano i supereroi più famosi: Batman, l'Uomo Ragno, Hulk... File interminabili di libri tappezzavano le pareti fino al soffitto. Seduto dietro un'imponente scrivania, Calamistos sembrava più immobile di una mummia. Alla sua destra, un altro professore, Boris Delfakan, pareva assisterlo. Delfakan aveva i capelli grigi, tagliati a spazzola. Portava un papillon a pois rossi di cui gli studenti si beffavano fin dal primo giorno. Peggy esitò. I due uomini avevano un'aria strana. Era come se fossero stati pietrificati da un incantesimo. I loro occhi fissavano Peggy Sue senza vederla. Per un attimo, lei credette che qualcuno li avesse assassinati e che si trovasse davanti a due cadaveri! «Siediti» disse una voce che non usciva dalla bocca dei due professori. «Dobbiamo parlarti.» La ragazza obbedì senza capire bene cosa stesse accadendo. Chi aveva pronunciato quelle parole? Né Calamistos né Delfakan avevano mosso le labbra... e allora? Comunque si sedette. «So che tutto questo ti sembra strano,» riprese la voce «ma siamo costretti a prendere delle precauzioni, perché i nostri nemici sono ovunque.» In quel momento, Peggy Sue comprese finalmente che le parole che sentiva provenivano da un grosso libro aperto sulla scrivania di Calamistos! «Hai indovinato» confermò la voce. «Sapevo che non ci avresti impiegato troppo tempo. Sei molto furba.» «Questo libro è vivo?» domandò Peggy. «No,» disse il suo interlocutore «questo è un vero libro, ma la sesta virgola sotto la prima riga del terzo paragrafo è viva. Io sono quella virgola. E sono anche il direttore del collegio. Il vero direttore.» «Ma il signor Calamistos?» «Calamistos è un robot che comando attraverso la forza del pensiero. Io sono un organismo extraterrestre minuscolo, ma molto intelligente. Il mio nome è Zooar. Ho attraversato il cosmo per organizzare questa scuola. La mia esistenza deve rimanere segreta perché ho molti nemici. Le forze del male lavorano contro di me. Da anni ormai cercano di distruggermi. Fortunatamente, le mie dimensioni ridotte mi permettono di nascondermi facilmente.» Peggy Sue sgranò gli occhi, sbalordita. Un'altra voce si levò alla sua si-
nistra. Proveniva da Delfakan, ma neanche questa usciva dalla sua bocca... «È inutile che cerchi,» disse «sono uno dei dodici pois rossi sul papillon di quest'altro robot. Il mio nome è Kazor, della famiglia delle amebe, non sono più grande di un coriandolo, ma la forza della mia mente supera ogni immaginazione. Vengo dal pianeta Marte. I terrestri immaginano sempre gli alieni come creature minacciose; si sbagliano, quasi tutte le forme di vita extraterrestri sono microscopiche. Conosco popolazioni di tre milioni di anime che entrerebbero in una delle vostre scatole di fiammiferi. Sono qui per aiutare Zooar nella sua battaglia contro le forze del male. A parte te, nessuno conosce la nostra identità. Neanche i supereroi che insegnano in questa scuola.» «Perché mi svelate un simile segreto?» chiese Peggy meravigliata. «Sono solo una studentessa fra tanti altri.» «No» disse la voce che usciva dal libro «noi conosciamo la tua madrina, Azéna, la fata dai capelli rossi10. È lei che ti ha raccomandata a noi. Dice che soltanto tu puoi aiutarci. Ecco perché ti abbiamo reclutata. Avevamo bisogno di te qui, tra queste mura.» «Non capisco» farfugliò la ragazza. «E in che modo posso esservi utile?» «Abbiamo fondato questo collegio per combattere contro le forze del male» spiegò il papillon rosso di Delfakan. «Il nostro scopo era di formare una schiera di giovani eroi capaci di combattere questo flagello. Purtroppo, i nostri nemici sono riusciti a infiltrarsi nel collegio. Cercano di individuarci e distruggerci, ecco perché ci nascondiamo con tanta cura. Ma presto o tardi, qualcuno indovinerà che Calamistos e Delfakan sono degli androidi.» «Sospettate di qualcuno in particolare?» domandò la ragazza. «Di tutti!» ruggì la virgola vivente dal paragrafo dove se ne stava raggomitolata. «Può trattarsi di un professore, di un supereroe, oppure di uno studente...» «Uno studente?» «Uno o anche più di uno!» insisté Kazor. «Abbiamo la prova che alcuni di voi sono creature malefiche travestite da bambini. Dovrai tenere gli occhi ben aperti. Non ti fidare di nessuno. Se i nostri nemici scoprono che lavori per noi, cercheranno di eliminarti. Il loro obiettivo è la distruzione pura e semplice di questo collegio e la scomparsa dei supereroi. Una volta estinto l'ultimo supereroe, nessuno potrà mettersi sulla loro strada, e potranno dominare il mondo, capisci?»
Peggy annuì. Si stava chiedendo già da un po' se non stesse sognando. Era la prima volta che chiacchierava con una virgola e un puntino rosso impresso su un papillon! «Il pericolo può venire da qualunque parte e da chiunque!» sospirò Zooar. «Da sei mesi non sappiamo più di chi fidarci. Tu sei la nostra unica speranza di risanare la scuola. Stimiamo molto Azéna, quindi ti concediamo tutta la nostra fiducia, ma non dovrai rivelare la verità a nessuno. Se i nostri nemici venissero a conoscenza di dove ci nascondiamo, si affretterebbero a bruciare il libro e il papillon per ucciderci. La nostra morte provocherebbe la distruzione della scuola, che esiste solo grazie alla forza del nostro pensiero. Se saremo uccisi, questo universo verrà annientato, con tutti quelli che vi sono rinchiusi: tu, il tuo cane e tutti gli altri studenti, ma anche Diablox e i professori. Non ci sopravvivrà niente. Sarete tutti disintegrati nella frazione di un secondo.» «Va bene, ho capito!» si spazientì Peggy, che non gradiva affatto essere scambiata per una sciocca. «Farò del mio meglio per aiutarvi, ma voi mi aiuterete nella mia indagine? Se devo smascherare i cattivi, sarebbe bene che venissi dispensata dai compiti. Potrei semplicemente far finta di sostenere quest'esame, no?» «Non contarci» replicò la virgola. «Non se ne parla neanche di truccare le prove o dirti le risposte in anticipo, è contrario ai nostri princìpi. Te la dovrai cavare da sola con la scuola. Credo che tu sia in grado di farcela. Alla scuola per supereroi non si scherza! Intanto stai in guardia. Ogni tanto, ti convocheremo per sapere come procede la tua indagine. Studia per i tuoi esami: se vieni bocciata, perderemo il nostro agente segreto, cosa che sarebbe davvero spiacevole per l'avvenire del collegio, perché il pericolo diventa sempre più imminente.» Peggy fece una smorfia. Trovava che quei due facessero un po' troppo i loro comodi. Come poteva conciliare il suo lavoro di detective con i compiti che le venivano imposti? Il robot Delfakan sembrò improvvisamente ritornare in vita. Alzandosi, si incamminò verso la porta. «Bisogna mettere fine a questo incontro,» decise «se dura troppo a lungo i nostri nemici potrebbero sospettare qualcosa. Ufficialmente hai ricevuto una nota per cattiva condotta. Un appunto che conferma questo provvedimento sarà affisso tra mezz'ora in bacheca. È bene che ti prendano per una cattiva alunna, in questo modo le spie infiltrate nella scuola si fideranno di più di te. Non temere di mostrarti indisciplinata, questo potrebbe spingerli
a smascherarsi per cercare di reclutarti. Ora vai, e non cercare mai di parlare con noi in pubblico. Se hai qualcosa di urgente da comunicarci, disegna una stella blu su una delle note amministrative nella bacheca del portico. Buona fortuna... e tieni gli occhi aperti.» Peggy Sue uscì dall'ufficio, il cane blu alle calcagna. Che ne pensi? gli domandò telepaticamente. Che faccenda ingarbugliata! esclamò l'animale. Hai sentito? Hanno parlato di nemici travestiti da bambini! Dovremo sospettare di tutti. Che pasticcio! La ragazza faceva fatica a ritornare coi piedi per terra. La piega sorprendente che avevano preso gli avvenimenti l'aveva disorientata. Oltretutto, le dispiaceva dover mentire a Naxos visto che erano così amici. Quel ragazzo triste ma coraggioso le piaceva. A prima vista, siccome non si atteggiava come un bullo, poteva essere preso per un elfo timido. I capelli d'oro e la pelle pallida gli davano un aspetto fragile, ma aveva saputo dimostrare il contrario nell'affare dell'Uomo Serpente dove si era mostrato davvero efficiente. Peggy ritornò nell'aula di studio. Naxos si affrettò a domandarle come erano andate le cose. La ragazza recitò con un riluttanza la storia messa a punto da Zooar e Kazor. E il ragazzo pensò che il turbamento della sua amica fosse dovuto alla ramanzina che aveva appena subito. Dietro di loro, Jeff sghignazzò. Non perdonava Peggy Sue di avergli rubato la scena nella cattura di Apopi. 7 L'esame infernale Nei giorni seguenti, Peggy Sue non perse occasione di esaminare i suoi compagni di classe. I più antipatici erano sicuramente Jeff e i suoi amici. Arroganti, spacconi, spesso cattivi, costituivano dei perfetti sospetti. «Anch'io la penso come te,» disse il cane blu «mi piacerebbe crederli colpevoli, tuttavia bisogna stare attenti a non trarre conclusioni affrettate. Se le spie di cui parla Zooar si sono travestite da ragazzi per infiltrarsi nella scuola, credo che siano abbastanza furbi da non farsi notare. Al posto loro, sceglierei di avere l'aspetto di un bravo ragazzo, o di una ragazza timida. Non farei lo spaccone a ogni occasione.» «Hai ragione,» convenne Peggy «ma non so proprio come fare per sma-
scherarli. E poi, non mi piace molto spiare le persone.» «Lo farò io al posto tuo» propose l'animale. «Starò loro intorno per ascoltarne le conversazioni. Non faranno caso a me perché credono che sia un cane qualunque.» Le cose si complicarono quando la signora Zizolia affisse in bacheca la data del primo esame. Era due settimane dopo! «Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che se sarete bocciati a questa prova non avrete diritto ad accedere al secondo livello» dichiarò. «Verrete trasferiti alla mensa dove lavorerete come sguatteri fino a quando non verrete murati insieme a quelli che non riusciranno a ottenere il diploma finale. Questo dovrebbe farvi riflettere e convincervi a lavorare sodo. Qui non esiste una sessione di recupero. Se fosse così in tutti i collegi, gli studenti avrebbero voti migliori!» Diablox fece lo stesso discorso. «So che i corsi di botanica e zoologia extraterrestre vi sembrano assurdi» disse con voce monotona. «Non capite a cosa possono servire, vi sembra di perdere tempo... Vi posso assicurare che non è così. Entro due settimane, la vostra sopravvivenza dipenderà da ciò che avrete imparato. Il secondo piano è un ambiente ostile, molto ostile, e alcuni di voi non ne faranno ritorno. Le conoscenze che memorizzate oggi forse vi salveranno la vita al momento giusto. Pensateci, quando avrete voglia di scaraventare i vostri manuali nella spazzatura.» «È inammissibile!» protestò Jeff. «Non avete il diritto di nasconderci la verità. Che cosa ci aspetta lassù?» Ma Diablox si accontentò di sghignazzare. «Lo scoprirete ben presto» proclamò girando i tacchi. Peggy Sue, Naxos e il cane blu presero quegli avvertimenti sul serio, così si immersero nello studio di quegli strani libri ammassati sugli scaffali della biblioteca. Il cane blu, sempre pieno di risorse, si accontentava di leggere nella mente di Peggy, cosa che lo dispensava dal mettere il muso tra i libri. Restava rannicchiato sotto al tavolo, col muso appoggiato sulle zampe anteriori. Il contenuto delle opere era, a dire il vero, abbastanza difficile da comprendere: si parlava solo di animali mostruosi dagli strani poteri, di piante inverosimili più pericolose di un leone, di fiori carnivori, di rovi velenosi, di pomodori esplosivi pieni di semi di ferro, e altri orrori dei quali i ragazzi
finivano per sognare quando finalmente si mettevano a letto, la testa pesante per il mal di testa. «Ho davvero l'impressione che ci paracaduteranno in una giungla» sospirò Naxos una sera, strofinandosi gli occhi rossi per la lunga lettura. «Invece, saliremo semplicemente di un piano. Credi che quegli orrori brulichino davvero sopra le nostre teste?» «Diablox ne sembra convinto» disse Peggy. «Questa scuola è talmente strana che c'è da aspettarsi di tutto. Quando saremo lassù, dovremo restare sempre uniti e vegliare gli uni sugli altri.» «Sono d'accordo» disse il ragazzo dai capelli d'oro. «Non sono un vigliacco, ma non sono abituato alle avventure. Nel mio paese non ho mai fatto nulla di straordinario. Mi sento stanco.» «Non è niente,» mormorò Peggy prendendogli la mano «ti aiuterò io.» Alla fine della prima settimana di lavoro, la signora Zizolia radunò tutti gli studenti nel portico per spiegare come si sarebbe svolto l'esame. «Per evitare ogni sorta di imbroglio» cominciò «non avrete diritto di portare quello che vi pare. Libri, quaderni, matite, penne, gomme... tutto vi sarà consegnato la mattina dell'esame. Ciascuno di voi riceverà una cartella contenente tutto il necessario. Per ogni materia cambierete aula. Non perdete tempo. Vi saranno tese delle trappole qua e là. Servono per testare le vostre capacità di reazione e di improvvisazione. State attenti. Non perdete la calma.» «Tutto questo non è affatto rassicurante» fece osservare il cane blu. «Come farò, visto che non so scrivere?» «Ne ho parlato con Diablox» gli spiegò Peggy. «Io e te siamo inseparabili. Io scrivo il compito e tu puoi aiutarmi. Però, se vengo bocciata, sei bocciato anche tu.» «Meglio,» sospirò l'animale «non mi vedevo a ficcarmi una penna nel muso! Vinceremo o moriremo insieme, come abbiamo sempre fatto!» «Non vedo l'ora che tutto sia finito» si lamentò Peggy. «Quest'attesa mi fa impazzire, e ho la testa che mi esplode. La scuola è veramente un inferno!» E arrivò anche il giorno dell'esame. Peggy Sue aveva lo stomaco così chiuso che a colazione non riuscì a mandar giù niente. La presenza del cane blu la rassicurava, perché l'animale possedeva una memoria e un istinto
infallibili. Se c'era qualche trabocchetto, lo avrebbe scovato. Un po' pallidi, gli studenti si radunarono nell'atrio. Seguendo le istruzioni, non avevano portato niente con loro. Calamistos salì sulla pedana per pronunciare qualche parola di incoraggiamento. Peggy si meravigliò della naturalezza con la quale il robot svolgeva il suo ruolo. Si trattava davvero di un ottimo materiale, nessuno avrebbe mai indovinato che si trattava di un fantoccio d'acciaio rivestito di gomma. «È ora!» annunciò la signora Zizolia. «Tutti in fila indiana, ci dirigeremo verso l'aula d'esame.» Naxos afferrò la mano di Peggy e la strinse forte. «Buona fortuna» sussurrò. «Spero che ci ritroveremo all'uscita.» «Silenzio!» intervenne la sorvegliante. «Non voglio sentire più una parola. Fareste meglio a risparmiare il fiato per quello che sta per succedere. Chissà che non dobbiate correre.» Attraversarono una specie di guardaroba dove alcuni servitori consegnarono a ciascuno una cartella contenente dizionari autorizzati e tutti gli oggetti necessari: matite, gomme, penne. Peggy Sue ebbe la sorpresa di trovare anche un binocolo, un accendino e una candela... Era davvero strano. A tutti venne consegnato lo stesso equipaggiamento. Ogni cartella aveva un grande numero dipinto sul davanti. Quello di Peggy era il numero ventuno. «Attenzione! Quando verrà chiamato il vostro numero dovrete correre verso l'aula dove siete attesi» spiegò ancora la signora Zizolia. «Non perdete tempo. Il tempo è contro di voi. Le prove sono cronometrate. È nel vostro interesse essere rapidi. Più la tirerete per le lunghe, più le cose si complicheranno. Non vi dico di più. L'elemento sorpresa fa parte della prova. E ora tutti in pista. Dall'altro lato di questa porta si trovano le aule d'esame. Ora tocca a voi... buona fortuna.» Tutto era stato detto. Con un unico movimento i ragazzi si precipitarono verso le porte dietro le quali si sarebbe giocato il loro destino. Peggy scoprì con sorpresa un corridoio interminabile che sembrava inoltrarsi sino ai confini dell'orizzonte. Quel passaggio, molto stretto e poco illuminato, era costellato di aule vuote. Sopra ogni porta, lampeggiava un pannello luminoso come quelli negli aeroporti. Per il momento, quei tabelloni elettronici recavano tutti la cifra zero. La ragazza cercò Naxos con lo sguardo, ma la confusione li aveva già separati. In più non si vedeva un granché bene, perché la luce proveniente
dal soffitto era prodotta da lampadine giallastre piuttosto fioche. In quella penombra da fine del mondo l'immenso corridoio assumeva un aspetto inquietante. All'improvviso i pannelli luminosi cominciarono a lampeggiare mostrando numeri alla rinfusa: quindici... tre... diciassette... due... ventuno... sette... Purtroppo, siccome il corridoio era immenso, quei numeri apparivano in punti molto lontani gli uni dagli altri. Se alcuni studenti dovevano muovere solo dieci passi per raggiungere la loro aula d'esame, altri dovevano invece correre per più di cinquanta metri per rispondere alla convocazione! «Ecco a cosa servono i binocoli!» Intuì il cane blu. «I numeri possono apparire a una distanza tale che non è possibile vederli a occhio nudo!» I candidati vennero presi dal panico. Cominciò la ressa, furiosa, istintiva. Ciascuno prese a correre senza sapere dove andava. Si erano appena messi in movimento che dovettero affrontare il primo trabocchetto: il parquet, appena lucidato, era scivoloso come una pista di pattinaggio! All'istante, dieci studenti persero l'equilibrio e rotolarono a gambe all'aria, trascinandosi dietro i loro vicini. Peggy Sue si addossò contro il muro per evitare di essere travolta e, tirando fuori il binocolo dalla cartella, scrutò la lunga fila di aule. Individuò infine il numero ventuno che lampeggiava a più di sessanta metri da dove si trovava. Si slanciò in avanti, appoggiandosi al muro per restare in equilibrio. Le sembrava di muoversi su un lago ghiacciato, con le suole delle scarpe troppo lisce che non smettevano di scivolare. Sapeva che stava perdendo del tempo prezioso. Cadde due volte ma riuscì a rimettersi in piedi senza farsi troppo male. Finalmente raggiunse la soglia dell'aula numero 2. Nella stanza c'erano soltanto una lavagna, un banco e una sedia. Un foglio di carta bianca era posato sulla cattedra. «Attenzione!» gracchiò una voce proveniente da un altoparlante. «Il conto alla rovescia è già cominciato. In realtà, è cominciato non appena il vostro numero è apparso sul tabellone luminoso. A partire da quel momento, le modalità dell'esame si danneggiano. La domanda scritta alla lavagna comincia a cancellarsi. Il foglio sul quale dovete scrivere la risposta corretta comincia a restringersi. Se continuate a perdere tempo, la domanda sarà scomparsa prima che abbiate potuto leggerla e il foglio sarà diventato troppo piccolo per poterci scrivere. Quando avrete scritto la vostra risposta, scrivete il vostro numero e la parola 'terminato' sotto l'ultima riga. Questa scritta fermerà immediatamente il processo di restringimento del
foglio. Dopo però, non potrete aggiungere più niente sul foglio. I giochi saranno fatti, dovrete alzarvi e lasciare l'aula. I pannelli luminosi del corridoio indicheranno dove vi attende la seconda prova dell'esame. Buona fortuna, siete già abbastanza in ritardo...» Paralizzata dallo stupore, Peggy si bloccò sulla soglia dell'aula. Sulla lavagna un lungo paragrafo scritto con il gesso si stava lentamente cancellando. «Corpo di una salsiccia atomica!» abbaiò il cane blu. «Le parole stanno diventando trasparenti! Se aspetti ancora, spariranno del tutto. Presto! Muoviti!» Finalmente Peggy si precipitò verso il banco, aprì la cartella per prendere una penna. Le mani le tremavano così tanto che per poco non le sfuggì di mano. Strizzando gli occhi, cominciò a leggere la domanda. Le veniva chiesto di elencare i pachidermi del pianeta Marte e di disegnare il più grosso. Cercò di chiamare a raccolta i suoi ricordi. Purtroppo, mentre stava riflettendo, il foglio bianco rimpiccioliva a vista d'occhio. Presto non sarebbe stato più grande di un libro tascabile! «Sbrigati!» si spazientì il cane blu. «Non startene lì ad aspettare che diventi un francobollo!» Peggy cominciò a scrivere il più piccolo possibile. Accidenti! La lista dei pachidermi marziani era davvero lunga. Man mano che scriveva, Peggy vedeva le parole rimpicciolire, diventare illeggibili, come se fossero state incise sulla zampa di una mosca. Quando cominciò a scarabocchiare il disegno, il foglio era diventato ormai grande quanto un biglietto da visita. Non riuscendo più a continuare, Peggy scrisse il numero ventuno e la parola 'terminato' per paura che il pezzo di carta si tramutasse in coriandoli. «Vieni! Hai finito!» le gridò il cane blu. «Muoviti! Il ventuno è appena apparso su un altro pannello luminoso. Dobbiamo correre laggiù.» Peggy Sue si lanciò sulle tracce dell'animale. Il corridoio era diventato il teatro di un vero e proprio caos. Non contenti di scivolare, i candidati si calpestavano, si picchiavano, in uno scroscio di insulti e grida di collera. Peggy scivolò e cadde per terra. Questa volta si fece male e proseguì zoppicando leggermente. Nell'aula seguente la domanda scritta sulla lavagna era già quasi illeggibile. La ragazza afferrò la penna per rispondere ma quella si rifiutò di scrivere. L'inchiostro sembrava evaporato, mentre la punta tracciava stupidi graffi sul compito che, a sua volta, si rimpiccioliva
a una velocità vertiginosa... Nel tempo che Peggy impiegò per prendere un'altra penna dal fondo della cartella, il foglio era diventato un francobollo! Inorridita, Peggy Sue lo vide rimpicciolire ancora fino a diventare un minuscolo punto bianco sul banco. «È spacciato!» ansimò il cane blu. «Pazienza! Corriamo verso la prossima aula!» Allora cominciò un vero e proprio carosello. A volte bisognava andare avanti, altre ritornare sui propri passi. La confusione era indescrivibile. Si rischiava di camminare sui ragazzi, di calpestare le cartelle, le mani, le pance. E i trabocchetti si moltiplicavano. Peggy non tardò a notare che il suo zaino diventava sempre più pesante, rallentandola negli spostamenti. Quando lo aprì, si accorse che il dizionario diventava sempre più grosso, come se il numero delle pagine che lo componevano non smettesse di aumentare. Fu tentata di sbarazzarsene. «No!» la fermò il cane blu. «Non farlo, è sicuramente una trappola. Se lo getti via, te ne pentirai.» L'animale aveva visto giusto. Nella terza aula Peggy Sue dovette decifrare una domanda redatta in lingua venusiana. Senza l'aiuto del dizionario, non ci sarebbe riuscita. Ma quando volle rimettere il volume nella cartella ci entrò a fatica per quanto si era gonfiato negli ultimi minuti. Le pagine non smettevano di moltiplicarsi! Peggy lasciò l'aula con la spalla dolente per il peso del libro infernale. Nel suo andirivieni incrociò Naxos, pallido, il viso imperlato di sudore; si muoveva come un sonnambulo. In preda una terribile angoscia, non la riconobbe neanche. Per fortuna di Peggy Sue, il cane blu era molto meno emotivo degli esseri umani, ed era spesso lui che le suggeriva le risposte giuste. La ragazza sapeva perfettamente che, senza l'aiuto del suo amico animale, non avrebbe potuto superare i tranelli dell'esame. Dopo un'ora di quella follia era esausta, senza fiato, al limite della resistenza. Nella sua mente tutto si confondeva, e quella confusione peggiorava quando gli oggetti di cancelleria la tradivano. Da principio, la gomma cominciò a bucare il foglio già minuscolo; poi entrarono in scena le penne: a volte rifiutavano di scrivere, altre volte lasciavano grosse chiazze d'inchiostro, o ancora formavano le lettere al contrario. Una di loro scriveva parole che si cancellavano nel giro di trenta secondi! Arrivata alla fine del-
la frase, Peggy scopriva che si era già cancellata per metà... Il dizionario, invece, era diventato così pesante che Peggy non riusciva più a tirarlo fuori dalla cartella. Alla fine esplose, sparpagliando i fogli, strappando la pelle della cartella. Se il cane blu non l'avesse spronata per incoraggiarla a continuare, Peggy avrebbe gettato la spugna. Aveva un terribile mal di testa. «Lasciamo perdere!» piagnucolava. «Ho sbagliato tutto, ho risposto solo sciocchezze.» «No! No!» insisteva il cane. «Dobbiamo continuare. Gli altri non sono stati più bravi di te. Guarda che muso che hanno!» Alla fine, quando ormai tutti erano sopraffatti dalla stanchezza, i pannelli luminosi si spensero in un colpo solo. L'esame era finito. Un silenzio generale seguì il baccano. Stravolti, gli studenti si fissavano l'un l'altro. Quelli che si erano picchiati sanguinavano dal naso. Uno di loro era stato ferito dall'esplosione del suo dizionario. Stordito, giaceva al suolo, ricoperto da un mucchio di pagine colorate. Peggy ritrovò Naxos che tremava in un angolo. Anche Jeff aveva perso la sua abituale sicurezza. La bocca contratta una smorfia, si asciugava la fronte con mano esitante. «Le prove sono terminate» annunciò l'altoparlante. «Potete andare a riposarvi nel parco. I risultati saranno pubblicati alle tre sul tabellone dell'atrio principale.» Abbandonando le cartelle per terra, tutti gli studenti si precipitarono fuori. Sbucando nel parco, Peggy fu abbagliata dalla luce del giorno. Le girava la testa. Si sedette sull'erba. Naxos la raggiunse. «Allora, com'è andata?» le chiese preoccupato. «Un disastro...» sospirò la ragazza. «Mi sembrava di impazzire.» «Anche per me è stato lo stesso» confessò il ragazzo. «Non mi aspettavo niente del genere. Ho idea che le domande e le risposte non avessero alcuna importanza... Secondo me, cercavano piuttosto di mettere alla prova le nostre reazioni, il nostro grado di emotività.» «Anch'io penso la stessa cosa» rincarò il cane blu. «Era un test. Ora bisogna solo vedere l'interpretazione che ne daranno i giudici.» Peggy guardò l'orologio. Non vedeva l'ora che la signora Zizolia affiggesse i risultati. «Che succede se uno viene bocciato?» si preoccupò Naxos.
Jeff, che se ne stava seduto lì vicino, borbottò: «Verrà trasferito alla mensa a fare il lavapiatti e a servire i pasti. Non ritornerà mai più tra noi.» «Tu credi che sia vero?» «Certo!» dichiarò lo spilungone. «In questa scuola i professori non scherzano mica. Quanto a scappare, non penso sia facile. Bisognerebbe esplorare i dintorni, sapere qual è la città più vicina.» Peggy Sue si astenne dal dire la sua. Come il cane blu, riteneva che il collegio fosse nascosto in una caverna, un nascondiglio sotterraneo, lontano dalla superficie. Il cielo e l'orizzonte non erano altro che scenari dipinti. Ecco perché non c'erano cancelli né guardie in giro. Se il collegio sembrava trovarsi in mezzo alla natura, era perché questa 'natura' non esisteva. Dopo un po' le conversazioni cessarono. Tutti attendevano angosciati la pubblicazione dei risultati. La prossima volta che incontrerò il papillon e la virgola, si ripromise Peggy Sue, pretenderò di sapere che fine fanno realmente quelli che vengono bocciati. Ne ho abbastanza delle storie che non stanno né in cielo né in terra bisbigliate a mensa. Ma in fondo non si sentiva affatto rassicurata. Zooar e Kazor si prendevano visibilmente molto sul serio. Sono un poco paranoici, bofonchiò il cane blu telepaticamente. Non bisogna fidarsi di simili furbastri. Vedono nemici ovunque, e magari questi nemici esistono solo nella loro immaginazione. Il tempo trascorse lentamente fino alle tre. Poi, finalmente, apparve la signora Zizolia. Si dirigeva verso la bacheca per attaccarci un foglio. Tutti si precipitarono. Il sospiro di sollievo fu generale: erano stati tutti promossi. Mentre tutti si congratulavano, risuonò una risata sinistra. Era Diablox che, appoggiato al suo bastone, li osservava dalla soglia dell'atrio. «Non rallegratevi troppo presto,» disse «queste prove erano un gioco da ragazzi. Riderete di meno al secondo piano. Alcuni di voi non rideranno affatto.» «Perché?» chiese Jeff con arroganza. «Perché saranno morti» proclamò Diablox voltandogli le spalle. 8 Il mistero del secondo piano
Il giorno seguente Diablox convocò tutti gli studenti nel parco per informarli sul ciò che li attendeva. Seduti in cerchio, sul prato, i ragazzi ascoltarono attentamente i consigli del vecchio supereroe. «Il secondo piano ospita uno zoo» cominciò Diablox. «Uno zoo extraterrestre dove sono state raccolte diverse specie animali provenienti da pianeti lontani. Gli animali che incontrerete là non assomigliano affatto a quelli che conoscete. Hanno poteri soprannaturali e mortali. Queste creature non sono addomesticate, non verranno certo a mangiarvi in una mano... piuttosto ve la mangeranno!» Jeff e i suoi amici fecero qualche risatina forzata. «Che cosa dovremo fare quando saremo lassù?» domandò Peggy Sue, impaziente. «Suppongo che non si tratterà di distribuire noccioline alle scimmie, non è vero?» «No» convenne Diablox. «Lo zoo del secondo piano è una specie di supermercato dell'onnipotenza. È là che la vostra esistenza giungerà a una svolta. Vi ho spiegato fin dal primo giorno che il potere era nel costume che indosserete, esatto?» I ragazzi annuirono. «Ebbene, all'interno dello zoo confezionerete il costume che vi renderà famosi, il vostro costume da supereroe!» «E come sarà possibile?» chiese Naxos. «Dovrete scegliere un animale fantastico in funzione delle sue caratteristiche, ucciderlo, farlo a pezzi e utilizzarne la pelle per cucire il vostro travestimento» spiegò Diablox. «È semplice. La pelle della bestia è intrisa dei suoi poteri, che così passeranno direttamente nel costume.» «Ho capito,» mormorò Peggy «ogni volta che indosseremo i costumi, quei poteri diventeranno i nostri.» «Proprio così» confermò Diablox. «Dovrete quindi scegliere attentamente il bersaglio, e non uccidere la prima bestia che vi capita a tiro. Studiate bene la vostra preda, sceglietela secondo i vostri gusti. Per esempio, non selezionate un uccello se soffrite di vertigini, o un ragno gigante se avete paura dei ragni.» «Quindi si tratta di un safari11!» esclamò Jeff. «Che forte! Mi piace andare a caccia di mostri!» «Fai attenzione che non siano loro a inseguire te!» ridacchiò Naxos. «Non vi entusiasmate troppo» intervenne Diablox. «Sarà molto pericoloso. Questi animali sono più intelligenti di quanto crediate, indovineranno subito la ragione della vostra presenza al secondo piano, e si difenderanno.
E visto che la miglior difesa è spesso l'attacco, è molto probabile che vi piomberanno addosso appena metterete piede nella giungla. Siate pronti a tutto, costantemente in guardia, le armi sempre a portata di mano.» Peggy Sue era a disagio. L'idea di uccidere degli animali, anche se mostruosi e feroci, non le piaceva. Non amava la violenza e cercava sempre di cavarsela senza farvi ricorso. «State per vivere un momento storico!» si entusiasmò Diablox. «È in questa foresta, in mezzo ai pericoli, che diventerete dei supereroi. Mi ricordo come se fosse ieri del mio passaggio al secondo piano. È stato quarant'anni fa! Sono l'unico del mio corso a essere sopravvissuto. Tutti gli altri candidati sono stati divorati dalle bestie che avevano cercato di catturare.» Davvero incoraggiante! bisbigliò il cane blu nella mente di Peggy. Diablox si tirò su a fatica. «Ora dovete prepararvi» annunciò. «Seguirete dei corsi di sopravvivenza. Lassù potrete contare solo su voi stessi, sarà inutile chiedere aiuto, nessuno verrà ad aiutarvi.» Effettivamente dovettero imparare come uccidere, fare a pezzi e scorticare un mostro. Tutto ciò non era affatto allettante e Peggy fu spesso sul punto di vomitare. Il cane blu, invece, trovava la cosa piuttosto interessante. «Una volta staccata la pelle dal cadavere» spiegò uno dei professori «sarete obbligati a raschiarla e a conciarla, altrimenti marcirà. Troverete alcuni prodotti per la conciatura accelerata nel vostro equipaggiamento, ma comunque è più prudente che impariate i metodi naturali che venivano usati nell'antichità. In particolare quello che consiste nel far marinare le pelli in un decotto di ghiande, o ancora...» Peggy Sue prendeva appunti. «Una volta levata la pelle,» domandò il cane blu «potrò mangiare il mostro? Sarebbe un vero peccato lasciar perdere tutta quella buona carne.» Poi vennero i corsi di cucito, poiché bisognava dare a quello straccio di pelle l'aspetto di un vestito. La pelle di coccodrillo non si cuce certo come una qualunque stoffa di cotone! «Il dorso del coccodrillo è così spesso che è impossibile bucarlo» spiegò il professore. «Capita spesso che le matasse rimbalzino sulla sua superficie. Solo la pelle del ventre è utilizzabile.»
Infine, si passò all'inventario delle differenti creature che abitavano la giungla del secondo piano. Erano spaventose e molto numerose. «Imparate il manuale a memoria,» insisté Diablox «perché vi può capitare di perdere lo zaino. In quel caso, dovrete cavarvela con ciò che troverete, mangiare frutti, accendere un fuoco, fabbricare armi con bastoni e pietre. Non state partendo per una gita, state per infiltrarvi in territorio nemico.» 9 La foresta dei mille pericoli Il giorno dell'ammissione al secondo piano, i ragazzi dovettero subire un nuovo discorso di Calamistos, discorso al quale non prestarono la minima attenzione: erano troppo eccitati, o troppo spaventati, per ascoltare la lezioncina del direttore. Prima che salissero le scale, i servitori consegnarono a ciascuno uno zaino contenente una torcia, tavolette di alcool solidificato per accendere il fuoco, un prodotto per purificare l'aria, un tester per i veleni, un accendino, una bussola, un kit di pronto soccorso, una soluzione concentrata per la concia delle pelli e una tenda singola ultraleggera. Era stato raccomandato loro di indossare, al posto dei vestiti abituali, una tenuta mimetica verde e solidi anfibi. Per quanto riguardava le armi, avevano ricevuto arco e frecce, un coltello, una sciabola per farsi largo nella savana e una punta di giavellotto. «Un'ultima raccomandazione» disse Diablox mentre già i ragazzi si lanciavano sulla scalinata. «Non cercate mai di affrontarli direttamente. Per catturare quelle bestie, usate piuttosto delle trappole. Scavate qualche fossa, riempitela di pali, montate dei cappi... Siate astuti, invisibili, e avrete una possibilità di rimanere vivi. Buona fortuna! Spero che sarete in parecchi a ridiscendere questi scalini.» Peggy aveva un nodo in gola. Lo zaino era così pesante che le dolevano già le spalle. L'arco, la sciabola e il pugnale erano molto ingombranti. Inoltre, non era certa di saperli usare come si doveva. I ragazzi cominciarono a scalare i gradini di cemento grigio. Si accorsero presto che la scala ne contava parecchi perché, dopo un quarto d'ora, non avevano ancora raggiunto il secondo pianerottolo! «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu «Questi scalini
salgono fino alle nuvole!» Anche Peggy aveva la stessa impressione. La tromba delle scale, così grigiastra e spoglia, aveva qualcosa di inquietante. I gradini erano talmente alti che i muscoli delle cosce le dolevano. E poi c'era quell'odore... Uno strano tanfo di marciume vegetale, di palude. Un odore caldo umido, come nelle grotte dove spuntano i funghi e dove si ammassano gli escrementi dei pipistrelli. «La temperatura aumenta man mano che saliamo» osservò Naxos, la cui fronte brillava di sudore. «È come se un pezzo di Africa ci aspettasse là, al prossimo pianerottolo.» Era un'idea divertente, ma Peggy Sue frenò il suo entusiasmo. «È l'odore della foresta» mormorò «l'odore della giungla. Ci aspetta, da qualche parte tra quelle mura...» Continuarono a salire ancora per un quarto d'ora. Quando finalmente nella penombra apparve il pianerottolo, lanciarono un grido di sollievo perché erano stremati e non si sentivano più le gambe. Davanti a loro si innalzavano due gigantesche porte scorrevoli, più alte di quelle di un tempio dell'antichità. Il metallo macchiato di ruggine riluceva come la corazza di un gigante. In quel punto l'odore della giungla prendeva alla gola. Peggy alzò gli occhi per esaminare il soffitto, aspettandosi quasi di vederlo ricoperto di liane dove si dondolavano scimmie urlatrici. Poi riportò la sua attenzione sulle porte d'acciaio. Un grande bottone rosso sporgeva dal muro, sulla sinistra. Diablox aveva detto che bastava spingerlo perché le porte si socchiudessero per dieci secondi. «Dovrete infilarvi in quello spazio a piccoli gruppi,» aveva raccomandato «perché non si può correre il rischio di lasciare le porte aperte troppo a lungo. I mostri ne approfitterebbero per scappare. Siate veloci, e non restate mai tutti insieme ad aspettare che qualche bestia vi individui. Disperdetevi in tutte le direzioni. La cosa migliore è formare gruppetti da tre. Restare soli è molto pericoloso.» I ragazzi si immobilizzarono davanti al comando di apertura. «Chi comincia?» domandò Jeff. «Magari c'è già un mostro dietro la porta che aspetta solo di divorare il primo che varcherà la soglia...» «Tiriamo a sorte...» propose un ragazzo. «No» intervenne Peggy che ne aveva abbastanza «vado io con Naxos e il mio cane.»
«Contenta tu, contenti tutti» sghignazzò Jeff posando il pollice sul bottone rosso. «Ma non contare su di me per sotterrare i tuoi resti!» Un boato sordo fece vibrare il suolo e i muri. Con una lentezza esasperante le due metà della porta si aprirono, rivelando un minuscolo passaggio. Peggy Sue lo attraversò velocemente. Aveva fretta di farla finita. Agiva sempre così quando aveva paura, per mettere fine alla tortura dell'attesa. Seguita dai suoi due amici, scivolò nello stretto passaggio. Più avanzava, più l'odore dell'humus12 diventava forte. L'acciaio delle porte era spesso un metro. Dall'altro lato, li attendeva uno spettacolo che sfidava ogni immaginazione. «Oh!» esclamò la ragazza immobilizzandosi. Davanti a lei si stagliavano giganteschi alberi dai tronchi massicci, con la corteccia di un rosso vivo, il cui fogliame sfiorava il soffitto della stanza che comunque era a più di quaranta metri. La giungla era prigioniera di quell'enorme scatola di cemento, come di una serra dalle dimensioni colossali. La fila degli alberi impediva di vedere oltre, tanto che non si poteva neanche immaginare che cosa si nascondesse là dietro. Un'erba rossastra e gommosa ricopriva il suolo. Era viva, si muoveva sotto le scarpe come un migliaio di lombrichi. «Mi fa il solletico alle zampe» osservò il cane blu. «È divertente! Sembrano carote grattugiate viventi.» Faceva molto caldo. Un caldo umido come in una sauna, di quelli che incollano istantaneamente vestiti addosso. Qui il soffitto non era stato dipinto per far credere che si trattasse del cielo, al posto dell'azzurro c'era solo cemento grezzo, di un grigio sconfortante. Alcuni uccelli con le ali ricoperte da membrane, lo sfioravano rasentando le cima dei baobab13. «Pterodattili rossi! Sembra di essere in piena preistoria!» ansimò Naxos, i capelli d'oro incollati alle tempie per il sudore. Lo scatto secco della porta che si richiudeva dietro di loro li riscosse dallo stupore. «Venite, non restiamo qua» ordinò Peggy «siamo un bersaglio troppo facile. Andiamo a nasconderci dietro quelle rocce.» Nei minuti che seguirono, altri gruppi di studenti si infilarono tra i battenti della porta blindata. Anche loro scelsero di sparpagliarsi. Alcuni si nascosero in un fossato, altri in un boschetto di felci giganti. «Quegli alberi non m'ispirano affatto fiducia» borbottò il cane blu, che scrutava l'entrata della foresta. «Non so perché, ma mi fanno pensare ai
denti piantati all'entrata di una bocca. Il mio istinto mi dice che si tratta di un mezzo di difesa...» Peggy annuì. Era sua abitudine rispettare gli avvertimenti del suo amico. «Aspettiamo» decise infine. Tirando fuori il binocolo dallo zaino, osservò baobab rossi che formavano una vera e propria barriera. «Sono piantati fitti» constatò. «Ci sono appena cinquanta centimetri tra un tronco e l'altro... oh!» «Che c'è?» si allarmarono Naxos e il cane blu. «È strano» disse Peggy «ci sono parecchi scheletri in mezzo alle radici.» «Scheletri?» «Sì, scheletri di animali... sono tutti frantumati, sparpagliati ovunque.» «Andiamo a vedere da vicino,» propose il ragazzo «non possiamo restarcene qui a girarci il pollici.» Decisi a vederci chiaro, i tre amici lasciarono il loro nascondiglio. Sotto i piedi, l'erba gommosa dava l'impressione di camminare sugli anemoni di mare. Giunti sul limitare della foresta, si immobilizzarono. Peggy rabbrividì. Il binocolo non l'aveva ingannata. C'erano davvero degli scheletri ammucchiati ai piedi degli alberi. «Sono tutti a pezzi» osservò il cane blu. «La bestia che li ha ridotti così doveva avere possenti mascelle!» «È strano» disse Naxos che si era accovacciato e stava giocherellando con una tibia. «Le gabbie toraciche sono tutte schiacciate. E non c'è la minima traccia di unghie o di zanne sulle ossa. Guardate!» «Vuoi dire che non è stato un predatore a ridurli così?» insisté Peggy Sue. «Mi sembra poco probabile, le zanne dei leoni lasciano graffi profondi sugli scheletri, e qui non vedo nulla di simile. Secondo me il pericolo viene da qualche altra parte.» Peggy alzò la testa. In un primo momento aveva supposto che belve feroci si nascondessero tra i rami, nell'attesa che qualcuno si avventurasse nella foresta per saltargli addosso. Evidentemente si era sbagliata. Immobili ai piedi dei baobab, i tre amici non sapevano come comportarsi. D'un tratto, la ragazza notò qualcosa che scintillava nell'erba, tra due alberi.
«Guardate! Un'armatura! Un'armatura completamente appiattita.» «Sì,» rincarò Naxos «si direbbe che le sia passato sopra un rullo compressore.» «Oh! Credo di aver capito» balbettò la ragazza. «Sono i tronchi! Si avvicinano gli uni agli altri! Si gonfiano fino a formare una specie di morsa che schiaccia tutto ciò che ha avuto la pessima idea di avventurarsi nella foresta. Ecco perché la corteccia ha questo aspetto gommoso. Probabilmente si scolano tutta l'acqua del terreno per raddoppiare di volume.» «Hai ragione,» approvò il cane blu «è la pressione esercitata dai baobab che ha fatto esplodere la gabbia toracica degli scheletri.» «Devono essere stati piantati qui apposta per scoraggiare i curiosi e per trattenere coloro che avessero voglia di fuggire dalla giungla» mormorò Peggy Sue. «Mi chiedo come riescano a individuare la presenza di intrusi.» «Non hanno occhi...» constatò Naxos. «Suppongo che reagiscano appena vengono sfiorati.» «Sicuramente» annuì il cane «appena qualcuno mette un piede su una radice cominciano a gonfiarsi. A giudicare dal numero delle vittime ammucchiate per terra, hanno un tempo di reazione molto rapido.» «Bisogna fare attenzione» sospirò la ragazza. «Camminate in mezzo alle radici, e soprattutto non toccate la corteccia degli alberi. Se non entriamo mai in contatto con loro, non scopriranno la nostra presenza.» «Facile a dirsi» grugnì il cane blu. «Hai dato un'occhiata per terra? Ci sono radici dappertutto.» «Sarà come camminare in un campo minato» disse Naxos, aggrottando la fronte. «Ma non abbiamo altra scelta.» «Hai detto bene» concluse Peggy Sue. «Dobbiamo deciderci a proseguire... o a rinunciare.» Trattenendo il fiato, si inoltrarono nella foresta. I baobab giganti formavano un soffitto di foglie rosse sopra le loro teste, creando una penombra che non facilitava affatto l'avvistamento degli ostacoli. I denti serrati, Peggy scrutava il terreno alla ricerca di un posto dove mettere i piedi. Non doveva toccare il contorno delle radici per nessun motivo, ma quelle, particolarmente numerose, formavano un intreccio dei più serrati. A volte, la ragazza si ritrovava in posizioni tali che rischiava di perdere l'equilibrio. Che razza di ginnastica, pensò. Rischio di slogarmi una caviglia. Il sudore le bruciava gli occhi. Aveva paura. Per tre volte rischiò di ca-
dere. Ogni tanto, controvoglia, era costretta a tornare indietro perché le radici erano intricate a tal punto che era inutile sperare di trovare un passaggio. Aveva l'impressione di avanzare al cospetto di un re. La vista degli scheletri ammassati ai piedi degli alberi non aveva nulla di rassicurante. Alcuni erano letteralmente esplosi. Quando arrivò all'altezza dell'armatura schiacciata, Peggy si inginocchiò per alzare la visiera del casco. Lanciò un grido: dentro l'elmo c'era un cranio! Un teschio più frantumato di un guscio di noce che fosse stato schiacciato sotto i piedi. Alla sua sinistra risuonarono delle urla, in lontananza. Capì che alcuni studenti imprudenti si erano lasciati intrappolare dalla foresta. Sicuramente erano stati vittime della loro impazienza. Bisogna dire che quel procedere a rilento metteva a dura prova anche i nervi più saldi. Ora che si ritrovava nel cuore della foresta, all'ombra dei baobab, Peggy poteva vedere la linfa scorrere nelle venature della corteccia gommosa. Formavano grossi canali, capaci di pompare l'acqua dal terreno a gran velocità. Quando succedeva, l'albero cominciava a gonfiarsi come una camera d'aria. La ragazza fece una pausa perché aveva i crampi ai polpacci, contratti da troppo tempo. Intorno a lei, gli alberi giganti respiravano, palpitavano come pachidermi addormentati. Sarebbe bastato un nonnulla per risvegliarli dal loro torpore. «Credi che riusciremo a trovare l'uscita?» si preoccupò il cane blu. «Sono ore che camminiamo.» «Hai questa impressione perché procediamo lentamente» cercò di sdrammatizzare Peggy. Credo che una volta superata questa cerchia di alberi torneremo nella savana.» Purtroppo, ciò che doveva succedere successe... Stanca per la continua tensione nervosa, controllando male i propri movimenti, Peggy Sue scivolò sul muschio e, perdendo l'equilibrio, finì per colpire un tronco col gomito! «Attenzione!» gridò. «Ho appena urtato un albero! Presto... allontanatevi da me!» «Neanche per sogno!» abbaiò il cane blu. «La cosa migliore è cominciare a correre per superarli! Nel tempo che impiegheranno per ingrossarsi, noi saremo già lontani!»
I ragazzi cominciarono a correre contemporaneamente, ma si accorsero quasi subito che l'idea dell'animale era pessima. Infatti, era impossibile correre in mezzo alle radici intrecciate senza inciampare. Ogni volta che cadevano, colpivano un nuovo tronco che si risvegliava e cominciava a raddoppiare il proprio volume. Molto presto lo spazio intorno ai fuggitivi cominciò a restringersi. Più volte, Peggy rischiò di ritrovarsi schiacciata tra due tronchi. Naxos riuscì a liberarla quando già stava cominciando a soffocare. Il labirinto si richiudeva su se stesso, gli stretti corridoi che separavano gli alberi si restringevano sempre di più. «Ho un'idea» balbettò Peggy tirando fuori il pugnale. «Se tagliamo le vene situate vicino al terreno, impediremo agli alberi di assorbire l'acqua. Senza linfa, non potranno più dilatarsi!» «Geniale!» esclamò il ragazzo. «Sbrighiamoci...» I tre amici si precipitarono nell'ultimo passaggio che ancora si apriva davanti a loro. Man mano che avanzavano, tagliavano i canali naturali che permettevano ai baobab marziani di bere. La corteccia gommosa non opponeva alcuna resistenza alle lame affilate come rasoi. La linfa zampillava appena venivano intaccate le venature del legno, bagnando i tre amici come acqua sfuggita da un canale di irrigazione. Questa tecnica contrastava efficacemente la strategia degli alberi e ritardava allo stesso tempo il loro rigonfiamento. Senza quello stratagemma, i nostri amici non sarebbero mai riusciti a sfuggire alla stretta mortale della foresta. Barcollanti, zuppi di linfa dalla testa ai piedi, i ragazzi emersero finalmente dalla giungla per cadere in ginocchio nella savana. L'erba alta e gialla, bruciata dal sole, si agitava al vento producendo un fruscio continuo. Il cane blu si sciacquò e poi si rotolò per terra per asciugarsi. Peggy e Naxos lottavano per riprendere fiato. Quando la ragazza si voltò indietro, si accorse che gli alberi, che nel frattempo avevano continuato a gonfiarsi, ora erano appiccicati gli uni agli altri, e formavano una gigantesca palizzata. Fra i tronchi ormai sigillati non restava più uno spazio libero. Che strana tecnica! pensò Peggy. Se fossimo stati meno diffidenti, ora saremmo delle polpette! Quando cercò di rialzarsi, si accorse di essere paralizzata. I vestiti la fa-
sciavano come un guscio di pietra. Anche Naxos era nella stessa situazione. I suoi abiti si erano trasformati in una gogna che non si poteva né piegare né togliere. «È la linfa!» gridò Peggy Sue. «Ci ha inamidato i vestiti. Essiccandosi, li ha resi più duri del marmo. Non riesco più a muovermi!» «Neanche io!» si lamentò il ragazzo. Soltanto il cane blu, che aveva avuto l'accortezza di lavarsi, godeva ancora di tutta la libertà di movimento. Si avvicinò ai ragazzi per annusare i loro vestiti. «Corpo d'una salsiccia atomica!» esclamò. «Sembra che abbiate fatto il bagno nel cemento. La linfa, al contatto con l'aria, si è seccata. Ci vorrebbe un martello pneumatico per tirarvi fuori di là!» «È un amido naturale...» mormorò Peggy. «Un amido marziano. Gli alberi si sono vendicati. Ci siamo creduti più furbi di loro... che errore! Avevano un'arma segreta.» «Che cosa ci succederà?» indagò Naxos. «Così paralizzati, siamo dei bersagli perfetti per tutti i predatori dei dintorni. Se le iene o i leoni vengono ad annusarci, non saremo in grado di difenderci o di fuggire. Non avranno nessuna difficoltà ad azzannare ciò che sporge dai vestiti: le nostre teste, e le nostre mani!» «Hai ragione» convenne Peggy scrutando l'erba alta. «La savana è il territorio preferito dalle bestie feroci. Non tarderanno a rintracciare la nostra presenza.» Il cane blu, che non si perdeva mai d'animo, si gettò su Peggy, con la bocca spalancata, per cercare di strapparle la corazza che la imprigionava. I suoi denti scricchiolarono sugli abiti induriti senza riuscire minimamente a intaccarli. «È come se mordessi un sasso» borbottò, disgustato. «Non combinerò niente così. Vado a cercare aiuto.» «Nessuno ci aiuterà» sospirò Naxos con tono disincantato. «E comunque, di sicuro non Jeff e i suoi amici. In questo genere di prova, ognuno deve pensare a se stesso. Inoltre credo che non gli dispiacerebbe troppo saperci in difficoltà.» «Bisogna pur tentare qualcosa!» grugnì l'animale. «Aspettate!» intervenne Peggy. «Ho un'idea! L'amido è un liquido, giusto? Quando si asciuga indurisce... È come quando si inamida una camicia prima di stirarla. Ma se quella camicia si bagna di nuovo, si riammorbidisce.»
«Ma certo!» si illuminò Naxos. «Hai ragione! Ci serve dell'acqua! Dobbiamo scovare una pozza, uno stagno, dove possiamo immergerci.» Il cane blu guaì. «Se ci sono animali, c'è per forza anche l'acqua» affermò. «Il problema è sapere dove. Vado a esplorare i dintorni, non c'è altra soluzione. Quando avrò localizzato una pozza, vi ci trascinerò uno per volta, tirandovi coi denti. Speriamo solo che non sia troppo lontano. Cercherò di fare il prima possibile.» E si addentrò tra l'erba alta, col naso incollato a terra, cercando di localizzare l'odore di uno stagno. Peggy e Naxos si ritrovarono così da soli, prigionieri dei loro vestiti-corazza. Sapevano di essere in un bel pasticcio. Da un momento all'altro poteva spuntare un leone e staccargli la testa con un colpo di zampa, per farne un sol boccone. «Se almeno si mettesse a piovere!» frignò il ragazzo. «Siamo in una stanza di cemento,» gli ricordò Peggy «in una serra gigantesca, non penso che si possa contare su un acquazzone.» Era terribilmente nervosa. Non le piaceva affatto l'idea di essere così vulnerabile. Speriamo almeno che il cane blu non faccia cattivi incontri, si disse. Non sarebbe il massimo se incrociasse un leone. È troppo piccolo per avere a che fare con una bestia simile. Il tempo passava senza che la loro situazione migliorasse. Di tanto in tanto, da lontano risuonavano dei ruggiti. Alcuni animali cacciavano nelle profondità della savana, invisibili ma pericolosi. «Speriamo che il vento non porti loro il nostro odore» sospirò Naxos. «Ma c'è il vento?» «Sì, c'è un circuito di ventilazione. Sento girare le eliche.» Tacquero, non osavano più parlare per paura di segnalare la loro presenza. D'un tratto, l'erba si mosse... Qualcuno si stava avvicinando! Peggy trattenne il fiato per la paura: si aspettava di vedere apparire il muso di un leone... Invece si trattava del cane blu che ritornava, coperto di polvere, con la lingua di fuori. «Ho trovato uno stagno» annunciò. «Non è troppo lontano, ho visto anche delle belve in caccia, e mi sono dovuto nascondere. Vi trascinerò laggiù uno per volta. Spero di farcela.» Senza perdere altro tempo, prese la rincorsa e saltò su Peggy per farla finire a terra. Quando la ragazza fu in posizione distesa, afferrò un braccio
tra i denti e fece leva. Come molti animali, le sue mascelle erano dotate di una forza considerevole14, ma dovette comunque fermarsi spesso per riposarsi. «Mi chiedo come facciano i tuoi denti a resistere!» si meravigliò Peggy. «È la grande superiorità di noi animali» si vantò il cane blu. «Fisicamente, siamo fatti molto meglio degli esseri umani.» Improvvisamente un ruggito risuonò molto vicino. Si spaventarono. Una belva era in caccia, forse attratta dal loro odore. Si addossarono contro un tronco marcio la cui puzza avrebbe mascherato la loro presenza. Il predatore finì per allontanarsi. Speriamo che non abbia divorato Naxos! si preoccupò Peggy. Finalmente, dopo un viaggio interminabile punteggiato da frequenti soste, arrivarono sul bordo di uno stagno. L'acqua era fangosa, e sulla riva c'erano le impronte di grandi pachidermi. Il cane blu si gettò in acqua tirandosi dietro Peggy. Quando fu immerso per tre quarti, la lasciò per riprendere fiato. «Sono troppo stanco,» ansimò «non posso ripartire subito.» «Lo so» farfugliò la ragazza mentre cercava di mantenere la testa fuori dall'acqua. «È già un miracolo che tu sia riuscito a trascinarmi fino a qui.» Peggy fingeva di essere sollevata; in realtà, non smetteva di sorvegliare le rive dello stagno. Sapeva che gli animali selvaggi hanno l'abitudine di andare a bere al tramonto. Perciò temeva di vedere spuntare da un momento all'altro quelle belve da incubo di cui ignorava tutto poiché si trattava di creature provenienti da un altro pianeta. Quando il cane blu ebbe recuperato almeno in parte le forze, si rimise in piedi sulle sue corte zampe. «Mi secca lasciarti sola...» borbottò. «Non puoi evitarlo,» disse Peggy «non possiamo abbandonare Naxos, è un ragazzo molto perbene.» «Lo so» sospirò l'animale. «Vado» E sparì in mezzo all'erba. Peggy Sue si sentiva un po' ridicola, così immersa nello stagno. Si muoveva in continuazione per vedere se i vestiti cominciavano ad ammorbidirsi. Ma a quanto pareva, ci sarebbe voluto più tempo del previsto. Il cane blu era partito da un quarto d'ora quando la ragazza sentì un fruscio sospetto giungere alla superficie dello stagno... Sembra una bestia che nuota sott'acqua, pensò con il cuore in gola.
Un coccodrillo? Uno squalo extraterrestre? C'era da aspettarsi di tutto, in un posto simile! L'animale acquatico andava e veniva, avvicinandosi e poi allontanandosi di nuovo, come se giocasse con la sua futura preda. Peggy cominciò a urlare nella speranza di spaventarlo, ma la cosa non gli fece né caldo né freddo. Avendo le orecchie sott'acqua, senza dubbio non aveva sentito nulla. Fece ancora due passaggi, avvicinandosi sempre di più. Poi, improvvisamente, passò all'attacco e, alla velocità di un siluro, si avventò sulla ragazza. Terrorizzata, Peggy Sue riuscì a distinguere, attraverso i mulinelli, un muso allungato pieno di zanne simile a quello di un alligatore, con l'unica differenza che le scaglie del sauro15 erano rosse. È finita, pensò, non ho più scampo! Non riusciva a muoversi. Paralizzata dalla sua 'corazza', non poteva issarsi sulla riva per mettersi in salvo. La bestia le fu addosso... Le mandibole, enormi, si richiusero sul suo braccio destro. Lo shock fu tremendo, e Peggy ebbe l'impressione di essere investita da un'automobile. Proseguendo nel suo slancio, l'alligatore la strappò dalla buca melmosa nella quale se ne stava raggomitolata per trascinarla con sé, cercando di masticare il braccio per il quale l'aveva afferrata. Tuttavia, non aveva previsto che la corazza nella quale era avvolta Peggy avrebbe opposto un'accanita resistenza. Per quanto mordesse e azzannasse, non riusciva a spaccare l'armatura di amido magico. Il sauro, che cominciava a innervosirsi, colpiva la superficie dello stagno con la coda, sollevando parecchi schizzi. Peggy non poteva fare niente per sfuggirgli. Cercava soltanto di mantenere la testa fuori dallo stagno per non annegare, visto che il mostro l'aveva trascinata nel bel mezzo dell'acqua alta. Se mi lascia ora sono perduta, pensò. Il peso della corazza mi trascinerà sul fondo e sarà impossibile nuotare. Provò una gran rabbia, dimenticando quasi la paura. Sfuggire all'essere divorata per finire annegata: era il colmo! Ciò che temeva accadde: disgustato, l'alligatore aprì le mascelle e l'abbandonò. Era decisamente troppo difficile da mangiare! Appena la bestia la lasciò andare, Peggy cominciò ad affondare. Il peso dell'armatura la trascinava verso le profondità melmose dello stagno. Inspirò a fondo per resistere il più possibile sott'acqua e cominciò la lenta discesa verso il fondo.
L'acqua era così torbida che non vedeva niente. Istintivamente, cercava di muoversi per vincere la resistenza della corazza. Presto le sarebbe mancata l'aria, e sarebbe stata costretta a ingoiare quell'acqua sporca... Mentre le tempie le pulsavano e credeva che ormai non ci fossero più speranze, sentì gli abiti cedere sotto il suo furioso annaspare. La stoffa, bagnandosi, aveva perso tutta la sua durezza e cominciava ad assumere la consistenza del cartone. D'un tratto, la giacca e i pantaloni si strapparono, e Peggy riuscì a venirne fuori a fatica come da un involucro appiccicoso. Mezza asfissiata, colpì il fango con i piedi per risalire verso la superficie alla velocità di un razzo. C'era mancato poco! Senza guardarsi indietro, nuotò verso la riva, nella speranza che l'alligatore non cambiasse idea. Raggiunse la sponda quasi senza fiato e... completamente nuda, perché i suoi abiti erano rimasti sul fondo dello stagno. Imbarazzata, si nascose dietro le erbe alte proprio nel momento in cui il cane blu spuntava dalla savana, tirandosi dietro Naxos con la sola forza delle mascelle. Era talmente stanco che Peggy Sue, dimenticando che non aveva nulla addosso, andò ad aiutarlo. Vedendo Naxos sgranare gli occhi si rese conto del suo stato e diventò rossa come un peperone. 10 I naufraghi della savana Con l'aiuto di foglie frettolosamente intrecciate, Peggy improvvisò una specie di perizoma nel quale si sentiva ridicola. Una volta immerso Naxos nello stagno, si sedette sulla riva con un mucchio di pietre a portata di mano per bombardare l'alligatore, se avesse avuto voglia di ritornare. Un caldo umido, che faceva venire sonno, invase la savana. Mentre i vestiti del ragazzo si ammorbidivano, Peggy raccontò di come aveva perso lo zaino sul fondo dello stagno, quando aveva rischiato di annegare. «È un vero peccato,» sospirò «c'era un mucchio di cose utili dentro.» «Una cosa è certa,» disse il cane blu «non siamo al sicuro in questa prateria. Da quello che ho potuto vedere, è il terreno di caccia favorito dalle bestie del posto. Bisogna trovare al più presto un riparo. Una caverna... o qualcosa di simile.» Appena Naxos ebbe recuperato la libertà di movimento, levarono le tende. Il ragazzo si arrampicò su un arbusto secco per esaminare i dintorni. Dall'altra parte della savana si stendeva una foresta i cui alberi, anche se
molto alti, avevano un aspetto quasi normale. «Andiamo da quella parte» decise Peggy Sue. «Con un po' di fortuna potremo sistemarci in alto, su un grosso ramo.» Le erbe della savana erano alte quasi tre metri, quindi furono costretti a procedere alla cieca. «Speriamo di non girare in tondo!» disse Naxos. «Non è facile usare la bussola senza un riferimento visivo.» Avanzarono in silenzio, trattenendo il fiato ogni volta che sentivano un ruggito. Il rischio di ritrovarsi faccia a faccia con una bestia attirata dall'odore della carne fresca era molto forte. Per fortuna, raggiunsero la foresta senza fare cattivi incontri. Abbandonarono la prateria per ritrovarsi sotto la volta dei grandi alberi. Questa volta non si trattava di baobab. I tronchi arancioni avevano righe nere che ricordavano il mantello delle tigri. I rami, particolarmente frondosi, sembravano molto soldi. «Si potrebbe costruire facilmente una piattaforma» rifletté Naxos. «Sarebbe più comoda per dormire.» Peggy Sue stava per rispondergli, quando dietro di loro risuonò una voce femminile. «Al posto vostro non lo farei» disse. «Questi sono alberi-tigre, le loro foglie sono carnivore. Abitualmente divorano gli uccelli e le scimmie, che attirano emettendo odori dolciastri molto appetitosi.» I tre amici si voltarono all'unisono. Una graziosa fanciulla dalla pelle nera li stava osservando. Aveva i capelli acconciati in piccole treccine. Indossava una pelle di animale maculata e portava a tracolla un grande arco da guerra. Doveva avere circa sedici anni. Il suo corpo, muscoloso, era quello di una guerriera. «Salve,» disse «mi chiamo Loba, e sono prigioniera di questo posto maledetto da tre anni.» «Ciao» risposero i ragazzi. «È il nostro primo giorno qui, e non è cominciato bene.» Loba scoppiò in una risatina ironica. «Al contrario,» li contraddisse «visto che siete ancora vivi. Direi che le cose sono andate per il meglio. Come tutti i nuovi arrivati, siete molto ingenui, non avete idea di quello che vi aspetta qui.» Fece un gesto con la mano per invitare i ragazzi a seguirla e aggiunse: «Venite, è meglio non rimanere troppo a lungo nello stesso posto, questo permette ai predatori di localizzarvi. Seguitemi, vi porterò dai
naufraghi della savana.» Senza aggiungere altro, cominciò a correre agilmente tra gli alberi. L'odore di terra umida prendeva alla gola. Cespugli, liane, foglie e frutti non somigliavano a nulla di quello che si trova sulla Terra. Tutto aveva un aspetto strano. I meloni e le zucche ricordavano dei volti contratti in una smorfia, le liane somigliavano a serpenti, gli alberi ricoperti di scaglie ricordavano interminabili colli di dinosauri... Tutte queste cose si muovevano in continuazione: i frutti, le piante... ma anche i cespugli. Appena si fissavano per due minuti, li si vedeva strisciare, rotolare o trotterellare sulle loro radici. «Non toccate mai i frutti» avvertì Loba. «Vi sputerebbero una scarica di semi di ferro in faccia e rischiereste di perdere un occhio. La natura è una gigantesca trappola con un'idea fissa: divorarvi. Anche i vegetali si nutrono di carne.» «Allora come si fa per non morire di fame?» domandò Peggy Sue. «Bisogna saper riconoscere le specie meno pericolose e prendere ogni precauzione per consumarle» spiegò la giovane cacciatrice. «Quindi non fidatevi delle arachidi, le bucce sono piene di un gas che esplode quando viene liberato. Potrebbero strapparvi un dito o due. Anche il meno importante dei frutti, o il più piccolo dei fiori è munito di un sistema difensivo. È un mondo selvaggio, abituato alla guerra. Noi non ci troviamo a nostro agio.» Tacque e indicò un buco nel terreno nascosto da un tappeto di liane intrecciate. «Ecco l'entrata del nostro bunker16» bisbigliò. «Scendete uno per volta, io entrerò per ultima per richiudere la botola.» I ragazzi ubbidirono. Peggy prese il cane blu sotto braccio e a tentoni cercò la scala di bambù che si inoltrava nelle profondità della terra. Una volta in basso, scoprì un paesaggio di gallerie rischiarate da lampade a petrolio sospese alla volta. Bisognava abbassare la testa per non bruciarsi i capelli. «Troppo forte!» esclamò Naxos che, come tutti i ragazzi, amava le installazioni militari. I cunicoli serpeggiavano come le gallerie scavate dalle talpe. A intervalli regolari, all'altezza del suolo, si apriva una feritoia protetta da una grata che permetteva di sorvegliare la giungla. Una decina di ragazzi se ne stavano rannicchiati nella penombra. Quasi tutti erano vestiti di stracci, o con vesti primitive intrecciate con fibre vege-
tali. Qualcuno sfoggiava un casco di legno ricavato da una mezza noce di cocco. Loba fece le presentazioni, ma Peggy Sue non riuscì a memorizzare i nomi sussurrati nella penombra. Tutte quelle persone avevano le mani umidicce; era evidente che erano spaventate, già da molto tempo. «Un giorno, parecchi anni fa, abbiamo varcato la soglia del secondo piano, come voi» spiegò Loba. «Allora, non sapevamo che non ne saremmo usciti mai più.» «Perché?» si meravigliò Peggy. «Perché le possibilità di ritornare indietro sono quasi nulle» sospirò un uomo con la barba corta. «È già un miracolo che siamo riusciti a sopravvivere fino a oggi. Gli animali e le piante imparano presto... è impossibile ingannarli due volte di seguito.» Peggy si affrettò a raccontare come era riuscita ad attraversare la foresta degli alberi gonfiabili, ma il racconto di quell'impresa le valse soltanto una serie di alzate di spalle. «Peter ha ragione,» rincarò Loba «non funzionerà due volte. I baobab si ricorderanno di quello che hai fatto, e di conseguenza svilupperanno una tecnica di risposta. Se cerchi di forzare il passaggio impiegando lo stesso trucco, avrai una brutta sorpresa.» «Ma qui conducete una vita spaventosa!» protestò Naxos. «Io non potrei mai rimanere sotto terra tutto il giorno come fate voi! Mi sembrerebbe di essere una talpa!» Peter ridacchiò. «Dici così perché non sai di cosa parli» disse con disprezzo. «Ne riparleremo quando avrai rischiato di essere divorato per tre o quattro volte!» Gli altri approvarono con un cenno della testa. Sembravano tutti molto più vecchi della loro età. L'angoscia costante aveva indurito i loro lineamenti. Loba, intuendo che il tono della discussione stava scaldandosi, si affrettò a intervenire. «Resterete qui qualche giorno» decise «giusto il tempo di spiegarvi la situazione. Poi farete quello che vi pare. Ognuno è libero di andare dove meglio crede, ma non vi lascerò partire nello stato d'ingenuità in cui vi trovate. Non siete in un parco divertimenti popolato da vecchi leoni stanchi e rimpinzati di zuccherini. Le bestie e le piante che sono là fuori non hanno che un'idea: avere la vostra pelle.» Nelle ore successive, la giovane cacciatrice trovò nuovi abiti per Peggy e
le fece visitare le installazioni sotterranee. «In origine» spiegò «era una sartoria...» «Una sartoria?» si stupì la ragazza. «Proprio così» replicò Loba. «Perché sei venuta qui? Per ricavare un costume da supereroe dalla pelle di un animale favoloso, giusto?» «Sì.» «Ebbene, dopo aver ucciso la bestia prescelta, gli studenti venivano qui per lavorare tranquillamente, al riparo. Scorticavano la bestia, ne conciavano la pelle, e poi cercavano di cucirsi un vestito decente. Tutte queste operazioni si svolgevano qui, sotto terra, lontano dalle belve inferocite.» Seguendo Loba, Peggy attraversò successivamente la sala di conciatura con le vasche e i telai dove venivano tese le pelli. Regnava un odore di carne putrefatta, e il sangue aveva arrugginito la lama dei raschietti con i quali venivano grattate internamente le pelli per ripulirle dalle ultime tracce di grasso. «Che buon odore che c'è qui! Mi viene l'acquolina in bocca» dichiarò il cane blu entusiasta. Peggy si affrettò a uscire dalla sala. Più avanti c'era la sartoria, con ampi tavoli per il taglio, cartamodelli e manichini. In un angolo, grandi macchine da cucire erano tutte ricoperte di polvere. «Ritagliare e cucire una pelle di mostro non è facile» spiegò Loba. «Parecchi ci sbattono il muso. Non bastano un paio di forbici, un ago e un po' di filo per risolvere il problema. Una pelle di mostro si cuce solo con attrezzi speciali.» Indicò un banco dove erano allineate strane forbici simili a spade, aghi che sembravano pugnali e rocchetti di filo intorno ai quali erano avvolti cavi d'acciaio... «Anche se morto,» proseguì «l'animale continua a difendersi. Non bisogna mai fidarsi. Ho visto ragazze e ragazzi pugnalati dal costume che cercavano di cucire.» «Sembra tutto in stato di abbandono» osservò Peggy. «Non ci viene più nessuno?» «Sì, qualche volta, ma sempre più di rado. Sono pochi gli studenti che riescono a sopravvivere.» «Ma tu» insisté Peggy «non hai mai cercato di cucirti un costume?» Loba abbassò gli occhi. «Ci ho rinunciato quando ho rischiato di morire per la seconda volta» rispose aprendosi la tunica. Una grande cicatrice le serpeggiava sopra l'ombelico, come se qualcuno
avesse cercato di tagliarla in due con una sciabola. «Me l'ha fatta il costume» mormorò. «Lo credevo morto, disteso tranquillamente sul tavolo, invece all'improvviso mi ha strappato le forbici dalle mani per pugnalarmi. Il mio amico, Dany, si è messo in mezzo. Sono sopravvissuta, ma lui è morto. Il costume lo ha decapitato prima di fuggire. Quel giorno ho abbandonato l'idea di diventare una supereroina, capisci?» Peggy annuì silenziosamente. «Leggendo i fumetti» riprese Loba, «sembra tutto fantastico, i superpoteri e tutto il resto... Ma nella realtà è molto meno divertente.» «È per questo che non sei più ripartita?» «Sì, ho paura di ritornare sui miei passi, di attraversare un'altra volta la savana e il limite dei baobab... Ho già usato la mia riserva di fortuna, è troppo tempo che sopravvivo qui. Anche i miei amici la pensano come me. Non ci allontaniamo mai dal bunker. Quando si conosce bene la flora dei dintorni, ci si può nutrire di frutti e verdure senza correre troppi rischi.» «Per quanto tempo pensi di rimanere ancora qui?» Loba voltò la testa dall'altra parte, a disagio. «Non lo so» confessò. «Aspetto di riprendere coraggio... Mi ripeto che se riuscirò a ritagliarmi un costume magico potrò superare le trappole che ci sono all'esterno e a ritornare a casa. È solo a questa condizione che si può fare ritorno, lo sai? Il costume permette di essere più veloci, più forti, più resistenti. D'un tratto smetti di essere una preda per le belve che girano all'esterno e diventi uguale a loro. A volte, addirittura, sei anche più forte di loro, e allora ti lasciano in pace e sei libera di andartene.» Loba si riscosse, sembrò uscire dal suo sogno e posò un braccio sulle spalle di Peggy. «La visita è finita!» annunciò con voce squillante. «Vieni, è ora di andare a mangiare.» Il pasto fu piuttosto cupo. Si svolse nella luce oscillante delle lampade attaccate al soffitto. I ragazzi trasalivano appena sentivano ruggire nella giungla. Mangiarono una zuppa che sapeva di zucca e grosse fette di un pane scuro che Loba impastava usando la farina di una pianta che somigliava al grano. Era sicuramente meglio di quello che viene servito comunemente nelle mense scolastiche. Sembra divertente giocare a fare Robinson Crusoe, pensò Peggy Sue. Lo sarebbe ancora di più se non ci fossero tutte queste bestiole, là fuori, che non sognano altro che trasformarci in gustosi spuntini!, le mormorò
mentalmente il cane blu. Più tardi, mentre si distendevano su giacigli di fibre intrecciate per dormire, Naxos si avvicinò a Peggy. «Non dobbiamo rimanere con queste persone» le disse. «Sono dei vigliacchi... Stando con loro perderemo tutto il nostro coraggio. Ci rifileranno tutta la loro viltà e finiremo come loro. Fra dieci anni saremo ancora qui... nascosti in fondo al bunker, a battere i denti per la paura ogni volta che un leone ruggirà nella savana.» «Non è sbagliato» sbadigliò il cane blu. «La paura è contagiosa, si sa.» «Partiremo quando Loba ci avrà spiegato tutto quello che c'è da sapere» decise Peggy. «Ne sa molto più di noi, su quello che accade nella giungla. Se vogliamo sopravvivere, è nostro interesse ascoltarla.» «È proprio questo che mi preoccupa» borbottò Naxos. «Quando si vuole sopravvivere a ogni costo, non si diventa mai un eroe.» Peggy alzò gli occhi al cielo. Solo un ragazzo poteva pensare una cosa simile! Poi chiuse gli occhi e si addormentò. L'indomani, Loba domandò ai tre amici di accompagnarla nella foresta mentre andava a raccogliere i frutti necessari per l'alimentazione dei naufraghi. Ne approfittò per indicare loro i vegetali che potevano consumare senza pericolo. «Come regola generale non fidatevi mai di quelli che sembrano buoni» disse. «I profumi annunciano spesso una trappola. Le piante se ne servono per attirare le loro prede.» «D'accordo!» intervenne Naxos, infastidito dal tono da maestrina della ragazza. «Hai ragione, però non sono venuto qui per ritagliarmi un costume da supereroe dalla buccia di un melone! Dove sono gli animali? Siamo qui per cacciarli, o no?» Loba gli rivolse un sorriso ironico. «Guarda guarda, abbiamo tra noi un temibile cacciatore assetato di sangue!» lo canzonò. «Ha bisogno subito di una preda!» D'un tratto, smise di ridere e assunse un'espressione feroce. «Gli animali?» sibilò tra i denti. «Ma mio caro, sono ovunque intorno a noi, in agguato in questo stesso momento... sicuramente stanno pensando: è saggio attaccarli quando sono ancora raggruppati... oppure è meglio aspettare che si separino? Gli animali ti troveranno prima che tu trovi loro. Non ti atteggiare a eroe.» Intuendo che stavano per litigare, Peggy Sue intervenne. «Dicci piuttosto che specie di bestie dobbiamo prepararci a incontrare. I
manuali che ci hanno dato da studiare non erano molto precisi.» Loba si rialzò. Puntò la mano verso nord, in direzione della savana. «Tutto dipende dai poteri che desiderate acquisire» disse. «Laggiù vivono le pecore invisibili. La lana17 che le ricopre è all'origine di questo prodigio. Se le tosi e fili la lana, potrai lavorarti ai ferri un vestito che ti renderà invisibile ogni volta che lo vorrai.» «Pecore?» ripeté meravigliata Peggy. «Mi piace l'idea. Non ho molta voglia di uccidere un animale: se bisogna solamente tosarle, mi va più che bene.» «Non le troverai facilmente» le fece notare Loba. «Diventano trasparenti al minimo pericolo, così non si sa mai dove si nascondono. È il trucco che hanno escogitato per sopravvivere in questo universo ostile.» «Mi aiuterà il mio cane» insisté Peggy. «Con il suo fiuto, non gli sarà difficile localizzare le pecore, anche se invisibili.» «Che altro c'è a parte le pecore?» chiese Naxos. «Tu vuoi qualcosa di più 'guerriero'» ridacchiò Loba. «Esiste un unicorno rosso che vive sul limitare del bosco nero. Ha il potere di lanciare il corno che gli spunta sulla fronte come se si trattasse di un giavellotto. Appena vede una preda, il corno si stacca dalla fronte, vola in aria, e si lancia all'inseguimento...» «Vuoi dire che non si accontenta di volare in linea retta?» balbettò Naxos. «Esatto» confermò Loba. «È capace di prendere le curve, di girare e di cambiare direzione, fino a che non acchiappa il suo bersaglio e lo trafigge. Può trapassare un muro di pietra o passare attraverso un albero.» «E che succede dopo,» domandò Peggy «quando l'unicorno è disarmato?» «Non resta mai troppo a lungo senza difese, perché appena il primo corno viene lanciato gliene spunta subito un altro, nello stesso posto. Se Naxos lo uccide, dovrà prendere la sua testa e imbalsamarla per farsene un elmo. Da quel momento, avrà lo stesso potere dell'unicorno. Potrà lanciare proiettili d'osso che saranno in grado di trapassare l'acciaio.» «Forte!» mormorò il ragazzo dai capelli d'oro. «Mi piace.» «Ma dovrai uccidere quella povera bestia!» protestò Peggy Sue. Loba scoppiò a ridere. «A volte sei davvero ingenua, ragazza!» sorrise. «Qui, non ci sono 'povere bestie'. Tutti gli animali che ti circondano sono feroci18.» Riprese il suo tono serio e aggiunse: «Non siete obbligati ad acconten-
tarvi di un solo animale. Alcuni fanno delle combinazioni. Confezionano un costume che è una specie di puzzle: la testa di leone, la giacca in pelle di serpente, il pantalone di pelle d'elefante... in questo modo, sommano i poteri. Il problema è che più poteri si hanno, più è difficile controllarli. Meglio averne uno solo e imparare a usarlo come si deve. Comunque, non siete ancora a questo punto.» Loba proseguì la lezione ancora per un'ora, poi, quando uno strano rumore risuonò attraverso il fogliame, decise che era tempo di ritornare al bunker. «Vi darò una mappa» disse richiudendo con cura la botola. «Ma non fatevi troppe illusioni. Tutte le mappe dello 'zoo' sono approssimative, perché nessuno ha avuto il tempo di esplorarlo per intero.» «Eppure occupa soltanto il secondo piano della scuola!» obiettò Naxos. «Si dovrebbe poterlo girare rapidamente.» «È qui che ti sbagli» lo corresse Loba. «Il secondo piano si apre su un universo parallelo, una frazione dello spazio-tempo che non obbedisce alle leggi terrestri. Dall'esterno, non occupa che un piano, come hai detto tu; all'interno, invece, è un mondo intero. Non sono certo una scienziata, quindi non posso spiegarti come accade, ma è così che funziona. Una volta varcate le porte del secondo piano entri in un altro universo. È come se venissi trasportato su un altro pianeta. Questa stanza dalle mura di cemento che, considerate dall'esterno, non misurano più di trenta metri per cento, si allunga sino ad assumere proporzioni gigantesche. Una volta nella giungla, ti rendi conto che in realtà misura almeno trenta chilometri per cento! Le distanze originarie sono state moltiplicate per mille! Sono tremila chilometri quadrati di un piccolo, grazioso inferno.» I ragazzi non fecero nessun commento. Cominciavano finalmente a capire che si erano messi in un bel pasticcio. Colta da un'improvvisa ispirazione, Peggy domandò: «Hai mai sentito parlare di Diablox?» «Sì» rispose Loba «ha lasciato un brutto ricordo del suo passaggio qui. Era uno studente senza pietà. Non si è mai preoccupato di aiutare un compagno in difficoltà. Pensava solo a se stesso... Tre anni fa ho incontrato un tizio che l'ha conosciuto bene. Appartenevano tutti due allo stesso corso. Un vecchio che, come me, non ha mai avuto il coraggio di uscire dalla giungla... Mi ha raccontato certe cose... Cose che forse non dovrei ripetere.»
«Di che si tratta?» chiese Peggy incuriosita. Loba esitava, a disagio. Infine, si decise. «Quel vecchio» cominciò sottovoce «afferma che Diablox non ha confezionato il suo costume, ma che in realtà si è accontentato di rubarlo a uno dei suoi compagni gravemente ferito. In effetti, sembra che Diablox non abbia mai cacciato un animale. Rimaneva sempre nascosto nel bunker, per paura, senza mai correre rischi. Alla fine, quando tutti gli altri si sono fatti uccidere, ha risolto il problema rubando quello che quei poveri ragazzi avevano così penosamente conquistato. Ecco tutta la storia. Secondo queste voci, è così che Diablox sarebbe uscito vincitore dalla prova del secondo piano, rubando il costume di un moribondo.» Peggy e Naxos si guardarono al colmo dello stupore. Era un vero scoop! «Io non credo che sia l'unico a essersi comportato così» continuò Loba. «La paura spinge le persone a comportarsi stranamente. Quando avrete trascorso qualche settimana qui, capirete meglio.» La cena fu piuttosto sbrigativa. I ragazzi trascorsero il resto della serata chini sulle mappe abbozzate dalla giovane guerriera. «Si basano su un insieme di testimonianze» spiegò Loba. «Racconti di cacciatori, di feriti, di gente poi impazzita... quindi, non sono del tutto attendibili. Credo che le pecore invisibili e l'unicorno rosso vivano in questa zona, a due giorni di cammino da qui. Sulla carta sembra vicino, ma il terreno è accidentato, e poi dovrete costeggiare il territorio dei leoni dalla criniera paralizzante.» «Leoni dalla criniera paralizzante?» balbettò Naxos. «Si tratta di leoni marziani, la cui criniera è costituita da un centinaio di serpenti. Il loro morso è mortale. Stanno svegli quando i leoni dormono. Se intercettano una preda, si agitano e sibilano per mettere in allarme il padrone. Non li stuzzicate. Per fortuna i leoni si avventurano raramente fuori dal loro territorio.» «Ci sono ancora altre sorprese del genere?» chiese Peggy Sue in preda allo sconforto. «Certamente,» rincarò Loba «gli elefanti starnutanti. Quando intercettano un intruso, gli puntano contro la proboscide e starnutiscono forte. Il soffio colpisce con la potenza di una palla di cannone, sconquassando tutte le ossa. Inoltre, questi starnuti hanno il potere di far perdere la memoria. In una frazione di secondo cancellano tutto ciò che è contenuto nel cervello della vittima, che si ritrova così priva di ricordi, come un bambino.»
«Che cosa?» balbettò Naxos. «Non mi sto inventando niente» assicurò Loba. «Se un elefante starnutisce nella tua direzione, dimentichi il tuo nome e non sai più parlare né stare in piedi. Tutto quelli che hai imparato in quattordici anni di vita verrà cancellato in un attimo.» «Che strano metodo!» mormorò Peggy. «No,» la contraddisse Loba «invece è molto astuto. Una volta persa la memoria, non si sa più che cosa fare, non si pensa più a fuggire, si è completamente vulnerabili. L'elefante non corre più alcun pericolo. A volte si disinteressa della sua vittima e continua per la sua strada; altre volte, invece, la schiaccia per sicurezza, oppure la mangia.» «Geniale...» sospirò Peggy Sue. «Sento che sarà un vero spasso.» «Vi avevo avvertiti» concluse Loba. «Non siete obbligati a partire. Potete rimanere qui con noi.» Preoccupati, i tre amici andarono a dormire poiché dovevano essere in forze prima di lanciarsi nella grande avventura. Peggy dormiva già da due ore quando venne svegliata dal cane blu che le mordicchiava il naso. «Che c'è?» chiese assonnata. Ascolta! le sussurrò mentalmente il suo amico. La ragazza tese l'orecchio. Sentì un rumore acuto come dieci gessi che stridevano insieme su una lavagna. «A che cosa ti fa pensare?» domandò il cane. «Sembrano... artigli che graffiano una porta d'acciaio...» mormorò la ragazza. «Esattamente. Andiamo a dare un'occhiata prima di dare l'allarme.» Si alzarono e, seguendo il rumore, si inoltrarono nella galleria del nascondiglio sotterraneo. La notte aumentava l'oscurità naturale del luogo, i tunnel sembravano ancora più angoscianti del solito. Dopo aver proceduto a tentoni, i due complici individuarono la direzione da prendere. Gli scricchiolii si fecero più vicini. Dopo aver attraversato diverse stanze deserte, Peggy e il suo compagno a quattro zampe si ritrovarono in una strada senza uscita. Una caverna dove si trovava una porta d'acciaio saldamente chiusa a chiave. Lì dietro c'era qualcosa che continuava a battere cercando di forzare la serratura o di strappare i cardini. Qualcosa di straordinariamente forte... «C'è un prigioniero là dentro» dedusse Peggy. «Mi domando di chi pos-
sa trattarsi...» «È meglio per te che tu non lo sappia mai» disse la voce di Loba alle sue spalle. «Questo incontro ti sarebbe fatale.» Peggy Sue si voltò. «Chi c'è rinchiuso qua dentro?» domandò. «Non ci hai detto che il bunker serve anche da prigione...» Loba abbassò gli occhi. «Vi ho mentito,» confessò «e ho fatto male. Là c'è il mio costume... il mio costume da supereroina, quello che ha cercato di uccidermi. È scappato ma sono riuscita a catturarlo e l'ho rinchiuso in questa caverna.» «Ma perché? È pericoloso!» Loba esitava. «Lo so» sospirò. «Ho faticato così tanto per prepararlo che non sono riuscita a separarmene. È un costume dai poteri formidabili... fin troppo, forse. Ho sbagliato a mirare alla perfezione. Il meglio è sempre nemico del bene. A forza di rifinirlo, ho cucito un abito demoniaco, incontrollabile, di una ferocia inimmaginabile. Un vero costume da guerra, degno degli eroi dell'antichità.» «E ora che cosa pensi di fare?» «Spero di avere un giorno il coraggio di aprire quella porta, entrare e domarlo... Ricordati sempre che, anche se cuciti, i costumi rimangono selvaggi; bisogna addestrarli, insegnare loro a rispettare il proprio padrone. Non è facile. Se scegli pelli di animali troppo feroci, non riuscirai mai a domare il tuo costume. È l'errore che ho commesso io, per orgoglio, per sete di potere... Ho perso il controllo della mia stessa creazione.» Peggy lanciò un'occhiata inquieta alla porta d'acciaio. «Non... non dovrebbe essere allo stremo delle forze?» domandò. «È parecchio ormai che si trova rinchiuso là dentro» «Alcuni costumi possiedono una tale riserva di energia che impiegano parecchi anni prima di esaurirla» rispose Loba. «Ma per quanto riguarda questo, lo nutro portandogli piccoli animali che catturo all'esterno. Questo gli permette di ricaricarsi continuamente. Faccio scivolare le prede attraverso questa gattaiola» e indicò una piccola botola in basso alla porta. «Non voglio che muoia, così cerco di prendermene cura. Un giorno, se riuscirò ad avere abbastanza coraggio, lo affronterò. Entrerò nella cella e lo indosserò. Questo costume è l'unica cosa che può aiutarmi a uscire dal secondo piano. Capisci? Grazie a lui riuscirò a superare le trappole della savana, della foresta di baobab... Potrò così tornare finalmente a casa.» Sembrava sul punto di piangere. Peggy fece un passo verso di lei, ma la
giovane guerriera si voltò. «Vai a dormire» le ordinò con un tono che non ammetteva repliche. «Domani comincerai un viaggio dal quale forse non farai ritorno.» 11 Le pecore invisibili L'indomani mattina, Loba consegnò ai ragazzi due zaini pieni di cibo liofilizzato e oggetti di prima necessità. Li accompagnò al limitare della foresta degli alberi-tigre e indicò loro la direzione da seguire. «Non posso fare altro per voi» concluse. «Se siete fortunati, un giorno tornerete qui, con le pelli degli animali che avrete ucciso dopo mille pericoli. Scusatemi, ma non sopporto gli addii, quindi suggerisco di andarcene ognuno per la propria strada senza voltarci.» E facendo seguire il gesto alla parola, si addentrò in mezzo alle liane in direzione del bunker. «Bene, il dado è tratto» proclamò Naxos. «Non ci resta che separarci.» I tre amici si misero quindi in marcia sotto il caldo implacabile proveniente dalle lampade a raggi ultravioletti fissate al soffitto. Quella temperatura, difficile da sopportare già così, continuava ad aumentare, quindi avanzavano in silenzio, risparmiando il fiato. Inoltre, quello che Loba aveva detto a proposito dei pericoli che avrebbero dovuto affrontare non invitava certo a intonare allegre canzoncine. Come ogni volta che lasciava libero corso ai pensieri, Peggy cominciò a rimuginare su Sebastian. Chissà dov'era in quel momento... Aveva ancora una storia appassionata con Isi, la giovane strega che lo aveva attirato nella sua rete? Se ora ritornasse da me, dovrei perdonarlo?, si domandò a un certo punto. Dare un colpo di spugna e fare finta di niente... Non sono sicura di esserne capace. Quello che è successo sarebbe sempre tra noi, anche se non ne parlassimo. Per rafforzare la sua decisione, cominciò a elencare mentalmente i difetti del suo ex. Era irascibile, violento, non ammetteva mai di avere torto. E soprattutto, più di ogni altra cosa, avendo trascorso settant'anni prigioniero di un maleficio che gli aveva impedito di invecchiare fisicamente, aveva perso l'entusiasmo e la gioia di vivere tipica dei ragazzi. Fin dall'inizio, lui
e Peggy si erano sempre trovati in controtempo. Poco a poco, lei si era resa conto che il suo amico aveva perso il suo sguardo gioioso. Era sciupato, disincantato. Tutto quello che per lei era una nuova scoperta, lui lo conosceva già da parecchio tempo. Quello sfasamento era stato all'origine di numerose liti e musi lunghi. Peggy Sue alla fine aveva capito che Sebastian rimpiangeva segretamente di non poter crescere per diventare finalmente un uomo, un adulto, e condurre la vita normale di un onesto lavoratore andando ogni giorno in ufficio. Forse ha pensato che Isi, essendo una strega, avrebbe potuto liberarlo dal maleficio che gli impedisce di invecchiare, si disse. «Smettila di tormentarti!» intervenne il cane blu. «Piuttosto fai attenzione a ciò che ci circonda, o finirai per mettere un piede su un serpente. Sebastian è storia vecchia! È solo un ragazzo fra tanti altri che incontrerai. Sei troppo giovane per accontentarti di un'unica storia d'amore.» Aveva ragione, convenne Peggy riprendendosi dalle sue fantasticherie. Non doveva dimenticare che si muovevano su un territorio dove la morte era in agguato ogni passo. «Perché vuoi cominciare proprio con le pecore?» domandò a un tratto Naxos, i cui capelli d'oro scintillavano al sole. «Perché sono animali pacifici, gentili» spiegò Peggy Sue. «Non ci faranno del male. Mi accontenterò di tosare la lana di tre o quattro di loro e il gioco sarà fatto. Sarà sufficiente per lavorare ai ferri un costume invisibile senza versare una goccia di sangue.» «È vero,» ammise Naxos «ma secondo me l'invisibilità è roba vecchia... personalmente, ho voglia di altre cose.» «Capisco,» sospirò Peggy «sei un ragazzo, quindi ti piace rompere le cose, compiere prodezze fisiche, batterti contro dei mostri. Invece tutto questo a me non interessa. Preferisco giocare d'astuzia. Se divento invisibile potrò attraversare i muri, e aiutare un mucchio di persone. Diventerò una specie di spia fantasma. Mi piace molto l'idea.» Naxos borbottò qualcosa, poco convinto. Sembrò riflettere, poi aggiunse: «Come farai a tosare le pecore se sono invisibili?» Peggy scrollò le spalle. «Loba mi ha spiegato che quando dormono diventano visibili» disse. «Soltanto in quel momento è possibile localizzarle. Il sonno impedisce loro di controllare i propri poteri che, quindi, smettono di funzionare. Appena si addormentano, riappaiono.»
«Ho capito» annuì Naxos. «È un po' come una bicicletta, se smetti di pedalare non va più avanti, ed è difficile pedalare dormendo.» Smisero di parlare poiché erano arrivati al confine con il territorio dei leoni dalla criniera serpentina che dovevano aggirare attentamente. «Se seguiamo questa collina di roccia bianca» decretò Peggy Sue consultando la mappa «resteremo fuori dalla loro portata. Loba dice che non varcano mai questo confine, perché dall'altra parte cresce un'erba che avvelena i rettili.» Costeggiarono la cresta rocciosa cercando di non farsi vedere. Ogni tanto, lanciavano un'occhiata tra le pietre, per cercare di sorprendere le belve intente nelle loro occupazioni. Erano enormi, grandi come buoi. Attorno alle fauci terrificanti, i serpenti formavano una criniera brulicante dalla quale provenivano sibili minacciosi. «Non avremmo una sola possibilità contro queste bestie» mormorò Peggy. Voltandosi verso Naxos, aggiunse: «Spero che tu non abbia intenzione di ritagliarti una tunica in pelle di leone, come Ercole.» Il ragazzo non rispose. Alla vista di quei mostri, era impallidito. Quel biancore accentuava la sua strana bellezza. Ora più che mai aveva l'aria di un elfo scappato da un altro mondo. Il naso e le orecchie, quasi trasparenti, sembravano esser stati modellati nella pasta di mandorle. Peggy Sue notò improvvisamente che i capelli d'oro del suo amico erano cresciuti parecchio da quando erano arrivati al secondo piano. Gli arrivavano alle spalle. Naxos si accorse che lo stava osservando e sorrise tristemente. «Ora capisci perché le persone mi perseguitavano nel mio paese? Per loro ero un vero e proprio tesoro ambulante. Ho trascorso anni rinchiuso in una segreta, ad aspettare che qualcuno venisse a rasarmi la testa tutte le domeniche. Non voglio che accada mai più. È per questo che ho bisogno del costume. E non come Jeff, soltanto per fare il gradasso, no, mi serve per difendermi. Per difendermi...» Sembrava così smarrito che Peggy fu tentata di stringerlo tra le braccia. Si fermò appena in tempo. Camminarono, e camminarono ancora... Vennero attaccati da strani conigli cornuti che l'abbaiare del cane blu bastò a mettere in fuga. Alla fine, mentre raggiungevano la sommità della collina, sentirono ululare i lupi. Peggy si immobilizzò. Quel lamento, infatti, le riportava alla mente tristi ricordi: lo associava inevitabilmente alle avventure vissute su Zantora19. Sebastian aveva smesso di amarla proprio perché si era trasformato in un
lupo mannaro. «Non promette nulla di buono...» bofonchiò il cane blu. «È ovvio, andava tutto troppo bene.» I ragazzi si accovacciarono tra le rocce per avere il tempo di esaminare il posto. Naxos, che aveva sempre a portata di mano il binocolo, scrutò a lungo il paesaggio. «Li vedo!» annunciò. «Lupi dal pelo verdastro, con lunghi musi e un'incredibile quantità di zanne. Formano un branco di una ventina di esemplari. Sono grandi come i nostri leoni. Sembrano nervosi...» «Hanno paura, lo sento» disse il cane blu. «Fiuto il loro nervosismo. Qualcosa li spaventa.» «Probabilmente un mostro più forte di loro» suppose Peggy. «Non li vedo più...» disse a un certo punto Naxos. «Si sono nascosti sotto gli alberi. Comunque adesso sappiamo che c'è un pericolo in più da considerare. Non so se i nostri archi saranno sufficienti a respingerli. Dovremo scoccare le frecce rapidamente. Non so se ci riusciremo.» Peggy non era sicura di esserne capace. La fatica cominciava a farsi sentire, e il gruppetto decise di accamparsi in cima alla collina. Quel posto rappresentava un eccellente punto d'osservazione: avrebbero visto in anticipo se qualche animale li avesse attaccati. Non osarono accendere un fuoco, per paura di segnalare la loro presenza. Gli uccelli volteggiavano sopra di loro, non preannunciavano nulla di buono. «Uno monterà di guardia mentre gli altri due dormono» decretò il cane blu. «Io faccio il primo turno, sono meno stanco di voi.» I ragazzi non protestarono. Due minuti più tardi dormivano. Peggy Sue si svegliò di soprassalto. Aveva appena sognato che un elefante marziano starnutiva in faccia a Sebastian. Immediatamente il ragazzo, perdendo la memoria, dimenticava Isi. Non sapendo neanche più parlare, vagabondava per la pianura. Peggy lo riacciuffava appena in tempo quando, mentre stava già per entrare nel territorio dei leoni dalla criniera serpentina. Cominciava allora a rieducarlo come un bambino. La ragazza si mise a sedere, con il cuore che le batteva forte. «Ho letto nei tuoi pensieri» disse il cane blu con stizza. «Era un sogno stupido. L'amnesia non cambierebbe la vera natura di Sebastian. Lo rifarà, se ne avrà di nuovo l'occasione. Non puoi più fidarti di lui.»
«Tu sei di parte,» protestò Peggy «non ti è mai piaciuto.» «È vero,» ammise l'animale «ma soltanto perché sapevo che un giorno ti avrebbe fatto del male. Non eravate fatti l'uno per l'altra. Quando tu ti divertivi, lui si annoiava. Non poteva andare.» Tacquero. Visto che era sveglia, Peggy fece il secondo turno di guardia. Rimase là, addossata contro la parete rocciosa in quella notte insolita, che rimbombava di spaventosi versi. Più tardi, Naxos le diede il cambio. Non accadde nulla fino al mattino. Alla fine, le lampade solari appese al soffitto si accesero, illuminando tutta la giungla. Nel giro di dieci minuti, faceva caldo come a mezzogiorno. I giovani esploratori consumarono un pasto a base di frutta e qualche biscotto che Loba aveva preparato con la farina di una di quelle rare piante marziane che si potevano raccogliere senza farsi staccare una mano. «Ora dobbiamo trovare le pecore» decise Peggy. «Se riesco a filare la loro lana, questo costume passa-mura potrà renderci grandi servigi.» Naxos provava un po' di vergogna a lanciarsi all'inseguimento di quelle povere bestiole; avrebbe preferito un combattimento più glorioso. Una di quelle belle battaglie che non si smette mai di raccontare, anche dopo dieci anni... Seguiti dal cane, i ragazzi discesero il versante della collina per addentrarsi nel Bosco Nero. Le foglie, i cespugli, e anche l'erba sembravano esser stati dipinti con l'inchiostro di china. L'atmosfera aveva qualcosa di opprimente. Quasi immediatamente, furono circondati da fruscii e galoppi, come se gli animali si precipitassero al riparo degli alberi. Naxos giudicò più prudente tirar fuori la spada di osso20 che gli aveva dato Loba. «I lupi...» ansimò il ragazzo. «Ci accerchiano.» Peggy scrutò i cespugli senza riuscire ad avvistare il branco. All'improvviso, un oggetto scricchiolò sotto le sue scarpe. Chinandosi, vide che si trattava di un osso rosicchiato. «Suppongo che provenga dallo scheletro di una pecora. Queste povere bestie devono essere le prede preferite dei lupi. Ecco perché per la maggior parte del tempo sono invisibili. È il solo mezzo che hanno per non essere completamente annientate.» Il cane blu annusò le ossa. «Non è rimasto neanche un pezzettino di carne» constatò. «Guardate, sono state spezzate per succhiare il midollo. Bisogna avere gran belle mandibole per farlo.» «Hai ragione,» sospirò Peggy «questo scheletro è quasi in briciole. An-
che il cranio è stato frantumato. Non si riesce neanche più a indovinarne la forma.» «I lupi non hanno voluto lasciare il cervello» disse il cane, da vero intenditore. «Il cervello di pecora crudo è molto buono.» «Stai zitto! Mi fai venire da vomitare!» protestò la ragazza. Con il machete in pugno, i ragazzi si rimisero in cammino. Peggy si vedeva già ridotta a un mucchietto di ossa rinsecchite sull'erba nera del sottobosco. Non aveva nessuna voglia di ridere. «Corpo d'una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «È un vero cimitero!» Peggy Sue comprese che cosa voleva dire. Tra gli alberi, il terreno era tappezzato di ossa fatte a pezzi e ripulite a dovere. In quel posto erano state divorate decine e decine di pecore. «Non è di buon augurio,» mormorò Naxos «significa che l'invisibilità non rappresenta una protezione efficace contro i lupi.» «Forse riescono a sentire l'odore della lana» azzardò Peggy. «In condizioni naturali, il vello delle pecore è grasso, puzza di unto... Povere bestiole! Forse si tratta di una razza in via di estinzione. Magari non ne restano quasi più. E se io toso le ultime sopravvissute, le priverò del loro unico mezzo di difesa contro i lupi. Sarà come se le servissi su un piatto d'argento ai loro predatori. Non posso fare una cosa simile.» «Sei troppo buona» borbottò il cane blu. «Con un tale stato d'animo, non riuscirai mai a radunare la lana per cucire il tuo costume!» Naxos s'immobilizzò, la lama sollevata; il muso di un lupo era appena spuntato dal fondo dei cespugli. Il mostro guardava fisso i ragazzi senza ringhiare né mostrare i denti. «Cerca di entrare in contatto telepatico con lui,» suggerì Peggy al cane blu «digli che veniamo in pace.» «Lui se ne infischia di quello che dici!» scoppiò a ridere l'animale. «Per lui, è evidente che noi veniamo in qualità di cosciotti al sangue!» «Fai come ti dico!» insisté la ragazza. «Non ci costa niente trattare.» Mentre il cane blu si concentrava, altri musi di lupi spuntarono dei cespugli, a destra e a sinistra, accerchiando i giovani avventurieri. Naxos ne contò sette. «Non capisco» sospirò il cane. «Sembra che abbiano paura. Si direbbe che la nostra presenza li rassicuri. Credo che vogliano fare la strada insieme a noi.» «È certamente un trucco per divorarci meglio!» affermò Naxos.
Peggy Sue era perplessa. «Ci stanno accerchiando» disse. «Per quale motivo si darebbero la pena di tenderci una trappola, se siamo già alla loro mercé?» I lupi stavano uscendo dal bosco, la coda bassa, per unirsi ai ragazzi. Erano bestie enormi, e puzzolenti. Vedendoli avvicinarsi, Peggy pensò che avrebbe potuto facilmente saltargli in groppa e cavalcarli come pony. Non sembravano animati da cattive intenzioni. «Tutto ciò è incomprensibile» brontolò Naxos. «Credo che siano incantati dalle sciabole» spiegò il cane blu. «Immaginano che siano denti giganteschi capaci di terribili stragi. Anziché far loro paura, questo sembra rassicurarli. Una cosa è sicura, vengono in pace.» Peggy, che si ricordava dei lupi rossi di Zantora, aveva un po' paura. Muniti di questa strana scorta, i ragazzi proseguirono il loro cammino. Mentre camminavano, Peggy Sue sentì gorgogliare lo stomaco dei mostri che la scortavano. «Stanno morendo di fame!» bisbigliò. «Stavo pensando proprio la stessa cosa» concordò il cane blu. «Sono tutti pelle e ossa.» «È perché hanno divorato fino all'ultima pecora» disse Naxos. «Adesso che soffrono la fame, sono braccati da un predatore più feroce di loro. Promette bene!» Poco a poco gli alberi si diradarono, e il gruppetto sbucò in una radura. Il sole aveva bruciato l'erba, che scricchiolava sotto le scarpe come paglia secca. Non c'era anima viva all'orizzonte. Naxos tirò fuori dallo zaino il binocolo ancora una volta. «Non c'è nessuno» dopo essersi guardato intorno. Era strano, perché da qualche minuto i lupi davano segni d'inquietudine. Si agitavano e ringhiavano, le fauci spalancate, senza però minacciare i ragazzi. Sembrava piuttosto che si stessero organizzando per affrontare un nemico venuto dall'esterno. Il branco formò un cerchio intorno ai tre amici. «Hanno sentito qualcosa...» mormorò Peggy. «Anch'io» confermò il cane blu. «Puzza di lana...» «Le pecore invisibili!» ansimò la ragazza. «Stanno arrivando.» «Se è vero,» intervenne Naxos «perché i lupi sono così terrorizzati? Al contrario, dovrebbero rallegrarsi all'idea di fare un buon pasto. Non capisco...» Peggy Sue sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un grido soffocato. «Ci siamo sbagliati! Abbiamo interpretato le cose al contrario. Le ossa... non
sono scheletri di pecora!» «Corpo di una salsiccia atomica!» guaì il cane blu. «Vuoi dire che, poco fa, camminavamo su ossa di lupo? Vorrebbe dire che qui non sono i lupi che cacciano le pecore ma... il contrario!» «Sì! Ecco perché il branco ha paura. Fugge gli assalti delle pecore invisibili.» Tacque perché, evidentemente, i lupi si preparavano a un attacco imminente. La ragazza strizzò gli occhi per scrutare l'orizzonte. Invano: l'erba rasata non permetteva di avvistare gli assalitori. Infine, il vento portò un odore di lana sporca, ma era troppo tardi: il nemico invisibile stava già piombando su di loro. Fu un combattimento forsennato. I lupi, come impazziti, cercavano di mordere colpendo alla cieca. Le zanne schioccavano a vuoto, mancando gli aggressori trasparenti che li accerchiavano impunemente. Peggy venne travolta da una massa lanosa e senti il muso di una pecora che cercava di morderla attraverso lo spessore degli abiti. Spedì un colpo a caso, usando il machete di piatto, cercando di centrare la schiena di quel fantasma spuntato dal nulla. Era una battaglia veramente spaventosa. Un lupo era stato ucciso. La sua pelle, trascinata in disparte, in quello stesso momento veniva divorata dai suoi aggressori. Peggy, allucinata, vedeva sparire nel nulla i pezzi di carne su cui le pecore invisibili si avventavano. Sentendo un rumore di ossa frantumate, pensò che quelle belve dovevano avere mandibole potenti. Il cane blu, aiutato dal suo fiuto, riusciva meglio dei ragazzi a localizzare gli avversari. Scivolando sotto il ventre delle pecore, le mordeva con cattiveria, restando comunque fuori dalla loro portata. I lupi facevano del loro meglio, ma due di loro furono uccisi. Naxos colpiva ripetutamente, ruotando su se stesso. Una volta su tre faceva centro, come intuiva sentendo il sangue invisibile del suo nemico schizzargli in faccia. La confusione era totale. Peggy, senza più riflettere, colpiva a caso, non tanto per ferire i suoi aggressori, ma per tenerli lontani. Alla fine, le pecore batterono in ritirata, trascinandosi dietro le spoglie dei lupi che avevano ucciso. «Vanno a sistemarsi in un cantuccio per divorarle tranquillamente» spiegò il cane blu. «Poi, con la pancia piena, faranno un sonnellino.» «Qualcuno è ferito?» si preoccupò Peggy che tremava tutta. Naxos ansimava, lo sguardo stralunato. Strappando ciuffi d'erba, cominciò a ripulirsi.
«Sono tutto coperto di sangue invisibile» balbettò. «È disgustoso.» I lupi si leccavano le ferite. Di tanto in tanto, lanciavano una breve occhiata in direzione dei tre amici. «Sono contenti che ci siamo battuti al loro fianco» tradusse il cane blu. «Non avevano mai visto esseri umani fino a oggi. Credono che io sia un lupacchiotto di un'altra razza. Il 'pelo' di Naxos, cioè i suoi capelli, li impressiona parecchio. Si augurano che restiamo con loro.» «Perché no...» considerò Peggy Sue. «Potrebbero diventare le nostre guardie del corpo. Cerca di saperne un po' di più sulle pecore.» «Dicono che Naxos ha ferito a morte una di loro» riprese il cane. «In questo momento sta barcollando sulla pianura, crollerà da un momento all'altro e tornerà a essere visibile.» «Magnifico!» esclamò il ragazzo. «Così potremo recuperare la lana senza correre alcun pericolo!» «No» precisò l'animale «i lupi dicono che non servirà a niente. Quando una pecora muore, il suo vello perde ogni potere.» «Sarebbe stato troppo semplice!» grugnì Peggy. Smisero di parlare perché un'ombra tremolante era appena apparsa in mezzo alla radura. Si trattava della pecora moribonda che stava tornando a essere visibile. I nostri amici furono impressionati dalla sua statura e dalle mandibole sporgenti irte di zanne. Il suo mantello era fitto di riccioli di colore giallo sporco che crepitavano emettendo migliaia di scintille, simili a chip elettronici. L'animale perdeva sangue da un brutto taglio alla nuca, dove era stata colpita dalla lama di Naxos. Cadde su un fianco, ebbe una convulsione, e smise di muoversi. Era così terrificante che Peggy non provò nessuna pena per la sua morte. Con le dita contratte sul suo machete, si avvicinò lentamente al cadavere. La lana magica aveva smesso di crepitare. Le scintille si spegnevano una dopo l'altra. «È morta» dichiarò il cane blu. «Il suo vello non vale più niente. E poi puzza. Non ti consiglio di fartene un maglione, se vuoi trovarti un nuovo fidanzato!» Vennero travolti dai lupi, che si precipitarono sul cadavere per divorarlo. Cominciava il pasto dopo la caccia. Ringhiando cupamente, il branco decise di non lasciare nulla della bestia sconfitta da Naxos. «Proverò ad assaggiarne un pezzetto» disse il cane blu. «Non ho mai mangiato pecora invisibile. Non me la voglio perdere.»
12 Il sonno delicato dei mostri che digeriscono Il festino dei lupi non lasciò avanzare nulla della spoglia della pecora, neanche le ossa. Le belve, sazie, si distesero sull'erba e si addormentarono. «Le pecore stanno facendo la stessa cosa, dall'altra parte della radura.» «Che vuoi dire?» domandò Naxos. «A quest'ora, hanno mangiato e stanno digerendo anche loro. Tra poco si addormenteranno... e ritorneranno visibili! Bisogna battere il ferro finché è caldo.» «Accidenti!» borbottò il cane blu. «E io che mi preparavo a fare un sonnellino.» «Andiamo!» lo incitò Peggy Sue. «Conto sul tuo aiuto, soltanto il tuo fiuto può individuare la presenza di quelle orribili bestie.» «Vi accompagno,» si offrì Naxos «non vi lascio andare da soli, siete miei amici.» E, con la sciabola in pugno, li seguì. I tre compagni attraversarono la radura con prudenza. Ciò che stavano per fare era pericoloso. Il cane blu andava in avanscoperta, il naso incollato a terra. Si infilarono sotto gli alberi, nella penombra della volta frondosa. Anche lì, il terreno era ricoperto da parecchie ossa. Bisognava stare attenti a non camminarci sopra, perché gli scricchiolii avrebbero potuto mettere in allarme i temibili ovini21. Camminarono così per un quarto d'ora, poi il cane blu si fermò. «Sento il loro odore» sussurrò. «Non sono molto lontane. State attenti.» I due ragazzi cercarono quindi di nascondersi dietro i tronchi. Poi, individuarono delle chiazze tremolanti per terra. Le pecore!, trionfò Peggy Sue. Si addormentano, con la pancia piena. Man mano che scivolano nel sonno smettono di essere trasparenti, si disse. Si accovacciò dietro un albero e attese impaziente. Più il tempo passava, più l'immagine degli animali prendeva forma. Da principio fantomatica, aumentava man mano in dettagli, in realismo. Quando quell'immagine fu del tutto precisa, la ragazza decise era giunto il momento di passare all'attacco. Prese un paio di forbici ben affilate dallo zaino e un sacchetto di tela per ammucchiarci la lana tosata delle pecore. Loba le aveva assicurato che quelle forbici erano più efficaci di un rasoio e che, con un po' di fortuna, gli animali non avrebbero sentito nulla.
Trattenendo il fiato, Peggy lasciò il suo nascondiglio per avvicinarsi alle pecore pian piano. Ovunque erano sparse carcasse di lupo rosicchiate, ridotte in mille pezzi. Formavano un vero tappeto che bisognava a tutti i costi evitare di calpestare. Le pecore avevano il respiro pesante. L'odore pungente del loro vello prendeva alla gola. Erano grandi quanto un toro terrestre, e avevano mascelle gigantesche. Peggy maledisse le sue ginocchia che tremavano. E dire che credevo che queste graziose bestiole si lasciassero tosare tranquillamente!, pensò. Soprattutto non volevo far loro del male... Non sapevo di che cosa parlavo! Con il cuore che le batteva all'impazzata, girò intorno all'ultima carcassa di lupo e si inginocchiò accanto a una delle pecore addormentate. Aveva un vello così spesso che ne sarebbe bastata la metà per riempire il sacchetto di tela. La bestia dormiva; dalle sue labbra spuntavano lunghe zanne macchiate di sangue rappreso. Peggy sollevò le forbici, afferrò una ciocca unta, e la tagliò. Le lame non fecero il minimo rumore. Contenta di questo eccellente inizio, la ragazza si affrettò a ricominciare. Aveva già tagliato una decina di grosse ciocche, quando venne assalita da un tremendo prurito. Dal principio non capì che cosa le stesse succedendo, poi vide minuscoli insetti neri sopra le mani e le braccia, insetti che correvano in tutte le direzioni... e la pungevano! Pulci! Le pulci della pecora la stavano divorando viva! All'inizio strinse i denti, cercando di resistere alla voglia di grattarsi, ma il prurito diventò insopportabile. Le pulci vegliano sulla pecora mentre dorme, si disse. Funzionano come un sistema di protezione. Se insisto, non si accontenteranno di attaccarmi, ma pungeranno la pecora per svegliarla... Doveva andarsene al più presto. Era tutta coperta di bolle e macchie di sangue. Se scorticarsi viva avesse potuto darle sollievo, lo avrebbe fatto senza esitare. Piegata in due, batté in ritirata. Spiegò ai suoi amici che cosa stava succedendo; l'aiutarono a ritornare verso la radura. Purtroppo, il prurito peggiorava. Colta da un attacco di follia, Peggy provò a raschiarsi la pelle delle braccia con la lama del pugnale. Naxos dovette saltarle addosso per immobilizzarla. Siccome si dibatteva, la legò saldamente e la coricò sull'erba. «Liberami!» urlava la ragazza. «Non puoi capire! Devo strapparmi la pelle fino all'osso. È l'unico modo per farlo passare! Slegami, ti prego! Mi sembra di impazzire...»
«È il veleno delle pulci» diagnosticò il cane blu. «Questo non lo avevamo previsto. Sono le guardie del corpo delle pecore, minuscole ma molto efficaci. Suppongo che tutti quelli che hanno cercato di tosare queste graziose bestiole hanno finito per scorticarsi vivi.» «Senza dubbio,» convenne Naxos «deve essere atroce. Non so che fare. Non abbiamo nessuna medicina. Può darsi che l'azione del veleno diminuisca da un momento all'altro.» «Speriamo» grugnì l'animale. Contrariamente alle speranze di Naxos e del cane blu, lo stato di Peggy non migliorava affatto. Al contrario, peggiorava, e la ragazza venne presto colta da una tale frenesia che ruppe le corde per ricominciare a grattarsi! «Bisogna fare qualcosa!» si allarmò l'animale. «Non possiamo lasciarla fare, si sfigurerà.» Infatti, le unghie di Peggy avevano già sfregiato la pelle con lunghi tagli sanguinanti. Se la avessero abbandonata al proprio destino, non ci avrebbe messo molto a strapparsi la carne dalle braccia! Naxos batteva i piedi per terra, disperato. Quando provava ad afferrarla, Peggy lo spediva gambe all'aria, come se il prurito avesse raddoppiato le sue forze. «I lupi stanno cercando di dirmi qualcosa...» intervenne il cane blu. «Conoscono bene questa malattia, e dicono di avere un modo per darle sollievo... Quando capita a loro, si rotolano in una pozza di fango nero che si trova in una radura non lontano da qui. Si offrono di accompagnarci laggiù.» «Non c'è un attimo da perdere» accettò il ragazzo dai capelli d'oro caricandosi Peggy sulle spalle. «Di' loro di mostrarci la strada, presto!» Il branco cominciò a correre, indicando la direzione da seguire. Andavano così veloci che Naxos faceva fatica a stargli dietro. Alla fine, si fermarono sul bordo di uno stagno nerastro e pastoso che sembrava pieno di catrame. «Che cos'è questo orrore?» esclamò il cane blu. «Sembra vomito del diavolo! Non vorrai immergere Peggy là dentro, vero?» Naxos si inginocchiò, sfiorò quella sostanza melmosa con la punta delle dita e la annusò. Un sorriso rischiarò il suo viso. «È nafta...» annunciò. «Petrolio allo stato naturale, se preferisci. Nell'antichità, veniva chiamata 'bitume'. Si usava per guarire le malattie della pelle e... imbalsamare le mummie22.»
Senza aspettare ancora, attinse a piene mani nella pozza e spalmò quella marmellata nera sulle braccia di Peggy Sue. Il risultato fu immediato: la ragazza smise di grattarsi e divenne debole, come se fosse stata improvvisamente liberata da un sortilegio. I lupi li osservavano annuendo. Un'ora più tardi, Peggy emerse dal suo torpore. Il prurito si era finalmente calmato. Non conservava alcun ricordo del proprio comportamento di poco prima, poiché era stata vittima di un attacco di follia. «In ogni caso» sospirò «è meglio archiviare definitivamente questa pratica. È inutile sperare di riuscire a tosare quelle orribili pecore. Devo trovare qualche altra cosa per il mio costume...» Mentre rifletteva a voce alta, sulla superficie dello stagno di bitume apparvero delle fiammelle. «Quell'affare può prendere fuoco?» esclamò Peggy. «Sì,» confermò Naxos «si tratta di una sostanza oleosa e...» «Mi è appena venuta un'idea» tagliò corto Peggy Sue. «Ci servono noci di cocco! Una decina di noci di cocco. Presto!» «Perché?» balbettò Naxos. La ragazza saltò in piedi. «Fabbricheremo delle bombe!» dichiarò. «In questo modo, la prossima volta che quelle terribili pecore ci attaccheranno, avremo a disposizione un'arma per rispondere!» I lupi indicarono dove poter trovare le noci di cocco. Naxos e Peggy ne raccolsero una dozzina, poi le tagliarono in due per svuotarle del succo e della polpa. Quindi riempirono i gusci con la nafta infiammabile. Pezzi di liana secca costituirono eccellenti micce. Ora non restava altro da fare che aspettare. Non dovettero attendere a lungo. Le pecore si erano risvegliate... e avevano già fame. L'odore di lana sporca solleticò subito il naso del cane blu. «Arrivano!» annunciò. «Vengono a cercare il pranzo.» Peggy e Naxos esaminarono inutilmente i paraggi. La mimetizzazione delle pecore era perfetta, l'invisibilità assicurava loro una completa protezione. «Soltanto l'odore ci dirà che si stanno avvicinando» bisbigliò Peggy. «Quando diventerà troppo forte, vorrà dire che sono molto vicine, anche se allora sarà troppo tardi.» Se ne stava ben salda sulle gambe, una noce di cocco in una mano, l'ac-
cendino nell'altra. Sapeva che stavano giocando il tutto per tutto. Se non si fossero sbarazzati delle pecore carnivore, non sarebbero riusciti a uscire vivi dalla foresta. «Venti metri...» comunicò il cane blu. «Avanzano in formazione serrata. Non hanno paura di noi. Sono molto tranquille, come una massaia che va a fare la spesa.» I lupi si erano radunati, formando un'unica linea di combattimento. Ringhiavano, le zanne scoperte, le labbra grondanti di bava, decisi a battersi fino alla morte. «Dieci metri...» li informò il cane. «Accendiamo le micce!» ordinò Peggy. Azionò l'accendino. Il fuoco prese istantaneamente. Lanciò la noce di cocco con tutte le sue forze, a caso, perché non riusciva a distinguere nessun bersaglio. Naxos la imitò. Quindi i ragazzi si diedero il cambio senza sosta, proseguendo il loro bombardamento. Come Peggy aveva sperato, i gusci si aprirono quando colpirono le pecore. Il bitume schizzò sulla lana unta dei mostri e la infiammò. Allora assistettero a uno strano spettacolo. Anche se le pecore erano sempre invisibili, il loro vello infiammato si trasformò in una grossa palla di fuoco. Per Peggy e i suoi amici, quelle sfere sembravano galleggiare in aria, danzando uno strano balletto. «Che bel fuoco d'artificio!» esultò il cane blu. «Chi vuole un cosciotto d'agnello ben cotto?» Le pecore, che non si aspettavano una simile accoglienza, batterono in ritirata, spintonandosi e lanciando fiamme in ogni direzione. «Che gli serva da lezione!» gridò Peggy Sue. «Sono una ragazza gentile, ma se qualcuno m'infastidisce, divento una peste. Non volevo ucciderle, soltanto prendere in prestito un po' di lana!» I lupi si erano voltati verso la ragazza e la fissavano. «Sono molto impressionati» spiegò il cane blu. «Sperano che tu diventi il loro capobranco, la loro regina, se preferisci. Fino a ora nessuno era mai riuscito a vincere le pecore invisibili.» «E perché no?» disse Peggy. «Ci saranno utili» fece notare l'animale. «Conoscono questo posto meglio di chiunque altro, sanno tutto dei suoi pericoli. Non si potrebbe sperare in guide migliori.» «Spero soltanto che non gli venga voglia di divorarci» mormorò Naxos.
«Non penso,» disse il cane blu «ormai ci considerano come potenti stregoni.» «Allora d'accordo» concluse Peggy. «Forse grazie a loro saremo meno vulnerabili. Di' loro che accetto. Capisci la loro lingua?» «Gli animali non formano delle frasi come gli umani» spiegò il cane. «Comunicano per mezzo di immagini messe insieme pezzo per pezzo, che creano una specie di fumetto. A volte i disegni sono difficili da decifrare, ma io me la cavo abbastanza bene.» «Credi che ci si possa fidare di loro?» «Abbiamo forse altra scelta? Se rifiuti, si offenderanno. Rischiano di reagire male. È meglio accettare la proposta.» Il cane blu trasmise il messaggio al branco; così, Peggy Sue diventò la regina dei lupi. 13 Il sogno della tartaruga Il suo incontro con le pecore si era risolto in un fiasco, quindi Peggy decise di riprendere il cammino senza più tardare. Devo riuscire a scovare un trucco magico per confezionarmi un costume, si ripeteva. L'ideale sarebbe trovare qualcosa che non mi obbligasse a massacrare dei poveri animali. Ma che cosa? La foresta diventava sempre più fitta, bisognava farsi strada con il machete. Erano costretti a procedere in fila indiana attraverso lo stretto passaggio dove scorreva la linfa delle liane tagliate. Alla sosta per il pranzo, ebbero una brutta sorpresa: uno dei lupi era sparito. «Ha deciso di tornare indietro, ecco tutto» suppose Naxos. «La compagnia degli uomini sicuramente non gli piaceva.» «Non credo» intervenne il cane blu. «Peggy Sue ora è la loro regina, l'accompagnerebbero ovunque andasse, anche se non approvassero le sue decisioni.» Si rifocillarono in silenzio, sul chi vive. Appena si sentiva un fruscio di foglie o uno scricchiolio di rami, tutti si voltavano. Peggy aveva sempre l'angosciante impressione di essere osservata. Questa sensazione si amplificò quando ripresero il cammino. Era come
se una minaccia invisibile accompagnasse quei giovani esploratori passo dopo passo, camminando e fermandosi insieme a loro. A più riprese, la ragazza ebbe l'impressione di sentire un respiro vicinissimo. Alla pausa del pomeriggio, mancava un altro lupo. «Diserteranno uno dopo l'altro» grugnì Naxos. «Questi vigliacchi se la svignano. Presto ci ritroveremo completamente soli.» «Non si tratta di questo» bisbigliò Peggy. «Sono sicura che qualcuno ci segue.» «E chi?» «Le pecore...» sussurrò la ragazza. «Ritornano all'attacco. Sicuramente hanno fatto un bagno nel fiume per sbarazzarsi della puzza di grasso che impregnava la loro lana, così ora non è più possibile localizzarle tramite l'odore. Ci scortano... Credo che camminino dall'altra parte del sentiero, al nostro stesso ritmo. Ogni tanto, attaccano quello che si trova in coda alla colonna, e lo uccidono senza lasciargli il tempo di gridare.» «La nostra riserva di noci di cocco infiammabili scarseggia,» fece notare Naxos «non possiamo permetterci il lusso di bombardare i cespugli a caso. Sarebbe un inutile spreco di munizioni...» «Lo so» annuì Peggy. «Procuriamoci delle aste abbastanza lunghe, le useremo per tastare il terreno intorno a noi. Questo farà passare alle pecore la voglia di avvicinarsi.» Tagliarono alcuni rami e se ne servirono per farsi largo nella boscaglia. Invano: le pecore invisibili si erano allontanate. Ritornarono comunque un po' più tardi... e s'impadronirono di un terzo lupo. Avevano capito infine che l'astuzia e la pazienza avrebbero pagato più di un attacco frontale. «Non riesco a localizzarle» confessò il cane blu. «Evidentemente si sono rotolate nell'argilla e nel fiume, e questo le ha pulite. Non c'è più modo di fiutare la loro puzza. Questa volta sono davvero invisibili.» La cosa non aveva niente di rassicurante. Peggy comprese che a quell'andatura avrebbero ceduto presto al logorio continuo del quale erano oggetto. La minaccia poteva venire da ogni parte. Per quanto stessero in guardia, le pecore erano sempre in agguato, e avrebbero approfittato della minima occasione. «Vi consiglio di non allontanarvi neppure per fare pipì!» disse il cane blu. «Chi tra di noi andrà a nascondersi dietro un albero non farà più ritor-
no!» «La nostra sola possibilità di venirne fuori è di rimanere in gruppo» insisté Peggy. «Serrate i ranghi.» Si avvicinarono gli uni agli altri, in modo da formare un plotone compatto. Così, se le pecore tentavano di prendere uno di loro, se ne sarebbero accorti immediatamente. «Credo che siano parecchie» sussurrò il cane blu. «Ci stanno accerchiando. Hanno chiamato rinforzi.» «Si divertono a spaventarci» disse Peggy. «Si vendicano dell'umiliazione che hanno subito loro nell'ultimo attacco.» D'un tratto, su uno degli alberi giganti che li sovrastavano si sentì un gran fruscio di rami. Alzarono la testa, preparandosi al peggio. Apparve un uomo magro, sospeso a una liana. I lunghi capelli grigi gli arrivavano alle spalle. Era vestito soltanto con un perizoma in pelle di leopardo. Così conciato, aveva l'aria di un Tarzan di settant'anni. «Ehi! Ragazzi!» urlò dall'alto del suo trespolo. «Siete in un bel guaio. Non dovete restare qui.» «Chi sei?» domandò Peggy Sue. «Un vecchio studente del collegio, come voi» rispose lo strano uomo. «Sono entrato nella giungla rossa sessant'anni fa e non ne sono mai più uscito. Potete fidarvi di me, so di cosa parlo. Qui mi chiamano Ziko-Ziko. In lingua marziana significa 'colui che corre più veloce di un leone'.» «Siamo accerchiati dalle pecore invisibili» rivelò Peggy. «Non sappiamo che fare.» «Non vi resta che scappare in direzione della montagna che cresce» rispose il vecchio Tarzan. «Le pecore non si arrischiano mai fin laggiù. Non siete così lontani.» «Non potremmo semplicemente arrampicarci insieme a te?» propose Naxos. «Su un ramo alto saremmo al sicuro.» «Non è un buon consiglio» rispose Ziko-Ziko. «La maggior parte degli alberi è pericolosa quasi quanto le bestie che vi inseguono. Hanno foglie impregnate di un succo digestivo, vi si incollerebbero alla pelle. Finireste disciolti nel giro di un quarto d'ora, come in uno stomaco gigante.» «E tu allora?» si meravigliò Naxos. «Sei tutto nudo, eppure saltelli da un ramo all'altro...» «Mi sono spalmato addosso una pomata dal sapore schifoso» spiegò il vecchio. «Un trucco veramente vomitevole, però dissuade le foglie dal di-
vorarmi. No, l'unico modo di sfuggire ai vostri inseguitori è di filare verso la montagna che cresce» ripeté Ziko-Ziko. «Quando scorgerete una grossa roccia rotonda, scalatela e aspettatemi in cima, vi raggiungerò laggiù.» Detto ciò, sparì in mezzo alle foglie, lasciando i ragazzi a bocca aperta. «Accendiamo le noci di cocco!» ordinò Peggy Sue. «Così impediremo alle pecore di passare all'attacco.» Tirarono fuori dagli zaini le bombe, le sollevarono in alto e accesero le micce nella speranza che quella minaccia avrebbe fatto indietreggiare i loro nemici invisibili. Quando le noci furono sul punto di esplodere, dovettero decidersi a lanciarle a caso; purtroppo nessuna andò a segno e i ragazzi non poterono togliersi la soddisfazione di vedere la lana degli ovini cannibali prendere fuoco. Ora il piccolo gruppo di fuggiaschi correva a perdifiato, risalendo la strada deserta indicata da Ziko-Ziko. Ben presto un'enorme roccia rotonda sbarrò loro strada. Rossastra e screpolata, ricordava un vaso mezzo interrato. Nello scalarla ebbero qualche difficoltà. Le zampe dei lupi scivolavano sulle pareti troppo lisce, i ragazzi dovettero aiutarli. «Una cosa è certa,» ansimò Peggy «le pecore non potranno seguirci. Sarà impossibile che salgano su questa cresta con i loro zoccoli!» «Forse,» mormorò Naxos «ma basterà che ci accerchino e aspettino ai piedi della roccia che ruzzoliamo giù. Prima o poi dovremo dormire, e allora...» Peggy si mise in ginocchio e diede un'occhiata in giro. Tutto intorno allo strano masso rotondo vide l'erba appiattirsi sotto il peso degli animali invisibili. «Sono già qui...» annunciò. «Si stanno sistemando. Guardate... l'erba tradisce la loro presenza. La schiacciano sotto la pancia.» «E quello che prevedevo» disse Naxos. «Aspettano che uno di noi perda l'equilibrio, cosa che non tarderà a succedere, visto che stiamo stretti come sardine.» Aveva ragione. I lupi, i ragazzi e il cane si intralciavano gli uni gli altri. Al primo movimento falso, qualcuno sarebbe precipitato nel vuoto, era inevitabile... e le pecore l'avevano capito. Aspettavano che la loro prossima vittima cadesse dal cielo. «Ho un crampo. Sono scomodissimo.» disse Naxos. «Anch'io» confessò Peggy Sue. «Stiamo così stretti che riesco appena a respirare... e i lupi mi tengono tremendamente caldo!»
«È strano» bofonchiò tutt'a un tratto il cane blu. «Questa roccia somiglia più a una conchiglia che a un blocco di granito.» Nel momento stesso in cui pronunciava queste parole, la 'roccia' in questione cominciò a muoversi... Per poco non persero tutti l'equilibrio per la sorpresa. Si aggrapparono gli uni agli altri per non penzolare nel vuoto. Allora accadde una cosa incredibile: quattro zampe rugose spuntarono intorno all'enorme masso tondo da cui fuoriuscì una testa da rettile. «Corpo di una...» farfugliò il cane. «È una tartaruga! Siamo arrampicati sul dorso di una tartaruga gigante!» Si strinsero tra loro per non essere scaraventati giù dalla mostruosa tartaruga che agitava la testa a destra e sinistra, facendo schioccare le mandibole. Questi movimenti erano accompagnati da un rumore di ossa frantumate: Peggy ne dedusse che l'animale se la prendeva con le pecore invisibili. La tartaruga le vede! si disse. Ha questo potere! Ecco perché le pecore evitano il suo territorio. Ne fa un solo boccone! La bestia avanzò per un centinaio di metri per fermarsi in mezzo a una radura. Appena si fu immobilizzata ritirò la testa e le zampe, parve riaddormentarsi. Ziko-Ziko uscì dalla foresta. In tre salti scalò la corazza della bestia addormentata. «Che cosa ci fate qui, ragazzi?» si meravigliò. «Sareste potuti cadere, perché non siete scesi al riparo, nella caverna?» «Quale caverna?» chiese Peggy. Invece di rispondere Ziko-Ziko, si inginocchiò, e dopo aver cercato a tentoni, sollevò una delle grosse squame della tartaruga come se si trattasse di una botola. «Le tartarughe giganti sono vere e proprie caverne ambulanti» spiegò. «La loro corazza è cava, costituisce un apprezzabile rifugio contro i predatori della giungla.» Peggy si sporse sopra l'apertura. Effettivamente la 'conchiglia', vuota, ricordava una grotta naturale. «Una volta là dentro» continuò Ziko-Ziko «non vi può succedere più niente. È come essere rinchiusi dentro l'armatura di un gigante. Un fulmine potrebbe abbattersi sulla tartaruga senza che lei ne sia minimamente disturbata. Questi animali sono capaci di dormire per secoli.» Per dare l'esempio, saltò nel buco. I ragazzi lo imitarono. Il cane seguì Peggy, ma i lupi si rifiutarono di scendere là dentro, come se temessero
qualche trappola; ma forse avevano soltanto paura di non essere capaci di risalire. I ragazzi raggiunsero Ziko-Ziko, che se ne stava con le braccia incrociate dietro la testa. L'interno della corazza era così ben tappezzato di pelle imbottita che sembrava di accomodarsi su un divano. «Le tartarughe sono animali pacifici» riprese il vecchio. «Sono gli unici che, in tutta la giungla rossa, non cercheranno mai di divorarvi. Non bisogna aver paura di loro. Sono delle vere casseforti viventi. Io mi ci nascondo spesso, quando le pecore invisibili o i leoni dalla criniera serpentina fanno le loro incursioni. È l'unico posto dove posso dormire tranquillo.» «È magnifico!» esclamò Naxos. «Sembra di essere in un carro armato.» «Scherzi?» scoppiò a ridere Ziko-Ziko. «È molto meglio di un carro armato!» Peggy si mise seduta. Il cane blu le si accucciò addosso. Meccanicamente, la ragazza lo grattò tra le orecchie, cosa che l'animale amava più di ogni altra. «Hai detto di essere un vecchio studente del collegio...» mormorò. «Da quanto tempo sei qui?» Ziko-Ziko scosse la testa. Da vicino, sembrava ancora più vecchio. «Avevo dodici anni quando ho varcato le porte del secondo piano» rispose. «A quell'epoca mi chiamavo ancora Thomas, e volevo diventare un supereroe. Avevo tre amici, tutti eccitati quanto me all'idea di quello che ci aspettava. La grande avventura! Che fesseria! Eravamo degli sciocchi, sì, proprio così. Uno di loro si chiamava Vincent, era il più arrabbiato tra di noi. Aveva già previsto tutto: di quale colore sarebbe stato il suo costume, di quale forma... quale nome avrebbe preso. Aveva deciso di chiamarsi Diablox l'Intrepido. Che nome idiota! Ma in fondo i supereroi hanno sempre dei nomi idioti!» «Diablox!» esclamò Peggy. «Hai conosciuto Diablox? È il nostro professore più importante.» «Lo so,» grugnì Ziko-Ziko «e non mi ha certo fatto un regalo!» «Loba, che vive dentro un bunker, all'entrata della foresta, ha detto che si era comportato male...» insisté Naxos. «Loba non vi ha mentito» confermò il vecchio. «Il Vincent di dodici anni che ho conosciuto era un esaltato. Aveva la testa piena di videogiochi, leggeva soltanto fumetti che raccontavano le avventure dei supereroi. Aveva visto dieci volte ognuno dei film a loro consacrati. Eravamo così anche noi, ma in lui tutto questo assumeva una dimensione inquietante... Per
dire la verità, ci sembrava un po' matto. Era un ragazzo gracile, piuttosto magro. A scuola tutti quanti lo mettevano sotto, quindi voleva prendersi la sua rivincita, certo. Ma le cose non sono andate come speravamo. Al posto della grande avventura, abbiamo conosciuto soprattutto il terrore di essere inseguiti, dei combattimenti, delle ferite... Quell'anno ci sono stati molti morti. I leoni dalla criniera serpentina erano scatenati. Hanno fatto un sol boccone della maggior parte degli studenti. Nel giro di una settimana, tremavamo di paura in fondo alle nostre tane, dormivamo appena. Eravamo stanchi, affamati, feriti. Non volevamo più sentir parlare dell'avventura! Io avevo soltanto un desiderio, tornare a casa e vivere la vita comune di uno studente, ovvero quanto c'è di più banale! Avrei dato non so cosa per ricominciare ad annoiarmi davanti alla televisione sgranocchiando patatine! Ero arcistufo di avventure, potete credermi!» Naxos lo guardò, incredulo. Come la maggior parte dei ragazzi, faceva fatica ad ammettere che esisteva un abisso tra le storie raccontate e la realtà. «Uno di noi, un ragazzo di nome David, alla fine è riuscito a confezionarsi un costume» riprese Ziko-Ziko, con voce sorda. «Un affare con delle corna fatto con la pelle di un mostro delle Terre Alte, un brutto posto. Era stato ridotto davvero male durante la battaglia, e ho cucito io il travestimento al suo posto, sperando che ciò gli desse la forza di vivere.» «E Diablox,» chiese Peggy «che faceva nel frattempo?» «Diablox... o piuttosto Vincent, era mezzo morto di paura. Aveva definitivamente rinunciato a uscire dal nostro nascondiglio. La notte lo sentivo battere i denti. A volte singhiozzava, perfino. Cominciava a rendersi conto che non sarebbe mai diventato un supereroe, che non era tagliato per esserlo. Neanche io, del resto, ma questo non mi aveva traumatizzato poi molto. Il seguito ve lo avrà raccontato Loba... Una mattina sono uscito per raccogliere un po' di frutta. Quando sono tornato, David era morto e Vincent era sparito... portandosi via il costume. Aveva finito per cedere alla tentazione. Grazie a quel travestimento è riuscito a superare tutti i pericoli sulla via del ritorno. Io, invece, sono rimasto. Nel corso degli anni, ho saputo dagli studenti che era diventato Diablox l'Intrepido! Ha fatto una bella carriera, a quanto si dice.» «Perché tu sei rimasto?» domandò Naxos. «Senza costume non si può tornare indietro» spiegò Ziko-Ziko. «È questa la grande trappola. Loba ve lo avrà sicuramente detto. Senza travestimento, niente biglietto di ritorno... Ho scoperto che non avevo la stoffa
dell'eroe. Allora mi sono chiesto se, rimanendo qui, avrei potuto aiutare i ragazzi che la scuola si ostina a sbattere in questo inferno. È la mia missione. Sono diventato una specie di salvatore. Ho stretto un accordo con le tartarughe giganti. Mi aiutano mettendo i miei protetti al riparo.» «Ci hai salvati, è vero» dichiarò Peggy. «Senza di te, le pecore avrebbero finito per divorarci.» «Ho fatto soltanto il mio dovere» dichiarò modestamente Ziko-Ziko. «Ciò che conta è che vi rendiate conto in che razza di trappola siete stati gettati. Queste storie dei superpoteri sono tutte sciocchezze. Non vi lasciate ingannare dalla pubblicità, dal cinema. Il principio stesso di questa scuola è sbagliato. Bisognerebbe distruggerla, raderla al suolo e impiccare tutti i professori! Sono stato giovane anch'io, so che cosa provate, credete che diventare un supereroe sia magnifico, ma vi sbagliate. Diventando un salvatore, colui che risolve tutti i problemi, spingete le persone verso la pigrizia e la mediocrità. Fanno affidamento su di voi e non fanno più nulla da sole, restano a braccia conserte, ad aspettare che voi facciate il lavoro al posto loro, anziché prendere in mano il proprio destino e lottare come dovrebbero. Appena un supereroe arriva in una città, tutti diventano dei tremendi piagnucoloni. Al minimo graffietto, gridano allo scandalo... Considerano il supereroe come un servitore che deve evitare loro ogni fastidio. Si comportano come bambini capricciosi, incapaci di affrontare la realtà. A causa dei supereroi, la gente diventa debole, paurosa, indecisa. Finisce per avere paura della sua stessa ombra. Se provate a chiedergli perché se ne restano in disparte come mollaccioni, anziché rimboccarsi le maniche e battersi, vi rispondono che non è il loro lavoro, che il supereroe è là apposta per questo. È davvero desolante!» Smise di parlare, quasi senza più fiato. Peggy Sue scosse la testa. ZikoZiko non aveva torto. Non ci aveva mai pensato, ma il vecchio aveva ragione: il principio del supereroe era in qualche modo dannoso. Naxos sembrava meno convinto, come si poteva intuire dalla sua espressione scontrosa. «Ora basta con le chiacchiere!» disse Ziko-Ziko rialzandosi. «Riposatevi, mentre io vado a cercare qualcosa da mangiare. Domani vi parlerò delle tartarughe. Sono la vostra unica possibilità di salvezza in questo inferno.» Aggrappandosi a un pilastro d'osso che si innalzava al centro della corazza come una colonna vertebrale, si sollevò fino alla botola e saltò fuori. «Che strano tipo...» mormorò Naxos. «Mi chiedo se non sia un po' suonato.»
«Per essere un matto, dimostra parecchio buon senso» intervenne il cane blu. «Ciò che ha detto a proposito dei supereroi non è poi così sbagliato. C'è del vero nelle sue parole, se solo ci si prendesse la briga di rifletterci.» «Parla così solo perché ha sbagliato tutto!» replicò il ragazzo. «Se avesse avuto il coraggio di farsi un costume, la penserebbe diversamente.» «Non ne sono sicuro» ribatté il cane. «Perché ripete che le tartarughe ci salveranno?» rifletté Peggy. «È strano...» Sfiniti per la lunga fuga attraverso la foresta, si addormentarono senza neanche rendersene conto. Al risveglio, trovarono i frutti che Ziko-Ziko aveva sistemato per loro sul fondo della 'caverna', e li divorarono. Terminato il pasto, lo aspettarono, ma l'uomo non si fece vedere. Dopo aver richiuso il 'boccaporto'23, i tre amici trascorsero una notte tranquilla, al riparo dei mostri della foresta. Per la prima volta da quando aveva varcato le porte del secondo piano, Peggy Sue si sentiva al sicuro. Dormì profondamente, un sonno senza sogni, dal quale emerse a fatica. Quando aprì gli occhi, si accorse che non aveva nessuna voglia di alzarsi. Sarebbe rimasta volentieri là, a poltrire, per sempre... Quell'indolenza, per lei insolita, la preoccupò. Che cosa le stava succedendo? Rotolando su un fianco, scosse Naxos e il cane blu, sprofondato nella pelle imbottita del 'pavimento'. «Lasciami stare... è troppo presto... ho ancora sonno...» grugnì il ragazzo. L'animale reagì nello stesso modo. Con la testa pesante, Peggy scalò una colonna di vertebre per arrivare fino alla botola e aprirla. L'aria fresca, anche se appesantita dall'odore forte dell'humus, le fece bene. Che strano, pensò, è come se fossi stata drogata. Notò che i lupi erano spariti. Senza dubbio erano tornati nella foresta. Si ricordò della loro riluttanza quando si era trattato di scendere nella 'caverna'. Forse hanno fiutato qualche pericolo, pensò. Avrei dovuto prestare più attenzione al loro comportamento. Naxos e il cane emersero finalmente dal loro torpore. Raggiunsero Peggy e si sedettero in cima alla tartaruga a contemplare il paesaggio. Attraverso il velo di nebbia si distinguevano le venature di una montagna che sfiorava quasi il soffitto.
«È sicuramente la montagna che cresce della quale ha parlato ZikoZiko» affermò Naxos. «Perché la chiamano così?» «Non ne ho idea» disse Peggy. «Forse sono un po' paranoica, ma non mi fido di Ziko-Ziko. Non capisco dove voglia arrivare. Cerca di convincerci a non proseguire, questo è sicuro... ma per quale motivo? Non ho nessuna intenzione di rimanere prigioniera della giungla rossa fino al mio sessantesimo compleanno.» «Neanch'io» confermò Naxos. La corazza fu scossa da una vibrazione; la tartaruga si stava svegliando. Come il giorno precedente, cominciò a strisciare schiacciando tutto quello che incontrava sul suo cammino. Si muoveva lentamente, ma con l'efficacia di un rullo compressore. Naxos rifiutò di scendere di nuovo nella caverna, si sentiva come un generale dell'antichità che comandava la carica di uno stuolo di elefanti da guerra. «Crede di essere Annibale24!» ridacchiò il cane blu. La tartaruga aveva una meta precisa. Si addentrò nella giungla, calpestando arbusti e cespugli, con l'intenzione di nutrirsi. I meloni-sentinella esplosero, colpendola con una raffica di semi metallici che avrebbero fatto a pezzi creature molto meno resistenti. I proiettili rimbalzarono sulla sua corazza sibilando. Naxos si decise infine ad abbandonare la propria postazione e abbassò il coperchio del boccaporto. Per un'ora, la tartaruga devastò la foresta, divorando ogni pianta che incontrava. I vegetali continuavano a esplodere, a vomitare fiamme e lanciare noccioli irti di spine d'acciaio, ma la bestia continuava a brucare, indifferente a quelle aggressioni. La sua corazza la proteggeva perfettamente. Quando tornò la calma, i ragazzi capirono che l'animale era ritornato nella radura per dormire e digerire; aprirono quindi la botola e sporsero la testa. Ziko-Ziko apparve nello stesso momento. Dopo essersi dondolato all'estremità di una liana, effettuò un atterraggio impeccabile in cima alla tartaruga. «Salve, ragazzi!» li salutò. «Avete dormito bene?» «Troppo bene» rispose Peggy Sue, decisa a chiarire la situazione. «I frutti erano drogati?» «No, ma che dici!» si scandalizzò il vecchio. «Avete semplicemente sperimentato il sonno dell'ibernazione.» «Di che si tratta?»
«Sai che le tartarughe vanno in ibernazione? Quando comincia a fare freddo, si addormentano per diversi mesi. Anche alcuni rettili lo fanno. Le tartarughe marziane possono dormire addirittura un secolo intero, se ne hanno voglia.» «Un secolo?» ripeté Naxos, sbalordito. «Anche due o tre...» riprese Ziko-Ziko. «Dipende dalla situazione esterna. Se ritengono che le cose si mettono male, si addormentano e aspettano che tutto torni alla normalità. Per esempio, se comincia a fare troppo freddo, o se arriva la siccità... oppure se infuria una guerra, chiudono gli occhi e aspettano saggiamente che la tempesta si allontani. Per questo hanno ghiandole in grado di produrre un gas soporifero che riempie la corazza e circola nelle vene, fino a raggiungere il cervello. Ieri sera avete respirato tre millimetri cubi di questo gas. Oh! Non è molto... Avevo chiesto alla tartaruga di farvene assaggiare solo un po', perché sapeste di che cosa si tratta.» «Parli alle tartarughe?» si stupì Peggy. «Certamente, sono molto intelligenti. Sono i soli animali che vivono nella giungla rossa dotati di saggezza. Fareste bene ad ascoltare ciò che hanno da dirvi.» «E tu invece,» lo provocò Peggy Sue «che cosa hai da dirci? Ho l'impressione che tu ci stia nascondendo qualcosa.» Ziko-Ziko si accarezzò le guance ruvide. Le unghie scricchiolavano sulla barba grigia. «Bene» sospirò «vedo che sei più furba di quanto pensassi. Quindi, andrò dritto al punto. Sono qui per proporvi un affare. La tartaruga si offre di salvarvi, di mettervi al riparo... È la vostra sola possibilità di sopravvivere a quello che sta per succedere.» «E come ci salverà?» domandò Naxos. «Sistemandovi dentro la corazza, nella 'caverna'» spiegò Ziko-Ziko. «Quando si addormenterà, quello spazio si riempirà di gas magico. Andrete in ibernazione insieme a lei, per un secolo o due, senza aver bisogno di mangiare, e vi sveglierete freschi e riposati quando il pericolo sarà passato.» «Che cosa?» scattò Peggy. «Dormire duecento anni! Stai delirando! Quando mi sveglierò, tutte le persone che conosco saranno morte. Non se ne parla! E poi, quale sarebbe questo pericolo a cui alludi?» Il vecchio alzò le mani per placare la valanga di proteste che si annunciava. «Calmati!» disse. «Non vengo come un nemico, cerco semplice-
mente di salvarti, come ho già salvato centinaia di studenti che andavano incontro a morte sicura. È la mia missione, non dimenticarlo.» Fece una pausa, riprese fiato e aggiunse: «Prima però devo spiegarti una cosa. Le tartarughe sono capaci di vedere il futuro nei loro sogni. Non mi interrompere! Quando dormono, ricevono immagini del futuro, e da qualche anno queste immagini sono assolutamente spaventose. Annunciano una catastrofe che avrà luogo proprio qui. Sembra che un tremendo conflitto infiammerà la giungla, e che non sopravviverà nessuno. Ecco perché le tartarughe hanno deciso fin d'ora di entrare in ibernazione una dopo l'altra. Nella loro infinita bontà, si sono offerte di servire da canotto di salvataggio ai ragazzi che invierò loro. Tutti quelli che accetteranno si addormenteranno insieme a loro, sfuggendo così alla morte. Bisogna dire che le tartarughe marziane sono indistruttibili. Una volta immerse nel sonno, possono andare alla deriva attraverso lo spazio per un'eternità, come i meteoriti, senza temere i raggi cosmici... Con loro sarete veramente al sicuro, non correrete il rischio di essere irradiati o ridotti in cenere. Dormirete e basta.» Peggy Sue rimase in silenzio, rimuginando su quelle inquietanti informazioni. Doveva credere a quella specie di Tarzan decrepito? «La catastrofe si avvicina a passi da gigante» insisté Ziko-Ziko. «Bisogna prendere una decisione in fretta. La maggior parte delle le tartarughe è già in ibernazione, con le corazze piene di ragazzi addormentati. Non restano più molti posti liberi... Dovete cogliere al volo quest'opportunità.» «È gentile da parte tua preoccuparti del nostro avvenire,» dichiarò Peggy «ma dormire due secoli... Non mi va un granché!» «Tu pensi che sia pazzo» si lamentò Ziko-Ziko. «Hai torto. Il dramma cova da dieci anni. La scuola sta per cadere a pezzi. E se lo sarà meritato! Questa follia dura da troppo tempo... Non mi preoccupo né per i mostri né per i professori, ma non voglio che ci vadano di mezzo i ragazzi. Vorrei convincerti... come posso fare? Forse esiste un modo: accetteresti di condividere i sogni della tartaruga? Se dormirai una notte intera tenendo la botola ben chiusa, il gas che si sprigiona nella corazza proietterà nella tua mente visioni identiche a quelle che percepisce l'animale... Ti va di provare?» «Sì... forse... non so...» farfugliò Peggy. Si stava chiedendo se Ziko-Ziko non avesse per caso l'intenzione di salvarla suo malgrado... Una volta che sarò addormentata, pensò, gli sarà facile ordinare alla tartaruga di mantenermi in stato di incoscienza, così mi ritroverò pronta per
un sonnellino di duecento anni e tante grazie! «D'accordo, accetto,» disse infine «ma a condizione che i miei amici restino fuori, per portarmi via dalla caverna se facessi fatica a risvegliarmi.» «Non è un problema» accettò Ziko-Ziko. «Hai torto comunque, nel volermi vedere come un nemico. La mia unica preoccupazione è salvarvi la vita.» Diceva la verità? Ci si poteva fidare di quel vecchietto un po' suonato dall'aspetto bonario? «Se le tartarughe possiedono il dono della seconda vista, sarebbe sciocco disdegnare una tale fonte di informazioni» argomentò il cane blu. Peggy Sue accettò quindi di lasciarsi rinchiudere dentro al guscio. Naxos, il cane blu e Ziko-Ziko restarono fuori. Una volta serrata la botola, la ragazza si sedette nell'oscurità e attese, con il cuore che le batteva forte. Non tardò a sentire uno strano odore, un profumo misto di cannella e citronella. Quasi subito cominciò a girarle la testa e fu colta dalle vertigini, come se si trovasse in equilibrio sull'orlo di un precipizio. Si comincia..., pensò. Le immagini cominciarono a scorrere, avvolgendola in uno scenario di fiamme e nebbia rossa come sangue. Era tutto un po' sfocato, ma la ragazza indovinò che era stata proiettata nel bel mezzo di una colossale battaglia. Ora vedeva quello che vedeva la tartaruga. Osservava i sogni dell'animale come se stesse assistendo alla proiezione di un film su uno schermo gigante. E quel sogno veniva direttamente dal futuro. Quel sogno era il futuro... Peggy vedeva mura che crollavano e mostri che fuggivano dalle macerie. Vedeva supereroi con costumi cangianti battersi contro uccelli delle ali di cuoio... Era un tumulto terrificante. Un caos che faceva venir voglia di chiudere gli occhi e mettersi al riparo dentro una tana. Si tratta del collegio, intuì. È distrutto... Tutti si battono, muoiono. È spaventoso. Sentiva che stava assistendo, impotente, a una catastrofe irrimediabile. Gli edifici crollavano, le belve divoravano gli studenti. Tutto sembrava destinato alla distruzione totale. Il terrore si impadronì di lei. Peggy cominciò a tremare, chiuse gli occhi, ma fu inutile, perché le immagini erano ora nella sua mente, non più intorno a lei. Le sue grida misero in allarme i suoi amici, che si affrettarono ad aprire la botola per far uscire il gas divinatorio. Quando il locale fu abbastanza areato, Naxos saltò dentro per portare Peggy all'aria aperta.
La ragazza tremava tutta e batteva i denti. «Respira!» le ordinò. «Devi eliminare i vapori nocivi che ti avvelenano il cervello.» Peggy lo sentiva appena. Quelle terribili immagini si agganciavano alla sua mente come ami conficcati nelle carni di un pesce. Trascorsero parecchi minuti prima che sbiadissero per poi svanire. «Che cosa hai visto?» le chiesero il cane e il ragazzo. «Racconta...» Peggy cominciò a balbettare frasi senza senso. Sapeva che sarebbe stata incapace di tradurre con semplici parole quello che aveva intravisto nella camera dei sogni. «Era il futuro...» disse confusamente. «Il caos, la distruzione, la morte... La guerra totale tra gli animali e gli studenti. Il collegio crollava. C'erano fiamme e sangue... tutti morivano.» «È proprio ciò che accadrà» intervenne Ziko-Ziko. «Le tartarughe non sbagliano mai. Come vedete, non mentivo. La catastrofe si avvicina, non si può fare nulla per impedirla. L'unica soluzione è riempire i canotti di salvataggio con più passeggeri possibile prima della catastrofe. Vi sto offrendo il mezzo di sopravvivere a questo orrore.» Trascorse un'ora, poi due, tre... Per quanto facesse, Peggy rimaneva prigioniera delle terribili immagini diffuse dal gas divinatorio. Aveva accessi di brividi e i denti cominciavano a batterle senza che potesse impedirlo. «Ziko-Ziko ha ragione,» mormorò «dobbiamo fuggire o moriremo tutti. Questa volta non ci sono più speranze. Cogliamo al volo l'occasione che ci si presenta... imbarchiamoci all'interno delle tartarughe...» Il cane blu grugnì: non riconosceva più la sua amica. Di solito, Peggy Sue si dimostrava più combattiva e le prove da superare avevano l'effetto di stimolarla, non di abbatterla. Ciò che aveva visto all'interno della tartaruga doveva essere veramente orribile, per ridurla in quello stato! «Hai fatto la scelta migliore» ripeteva Ziko-Ziko. «È inutile intestardirsi in questa stupida avventura. Siete giovani, dovete vivere.» Da principio, Naxos e il cane blu si mostrarono scettici, ma poco a poco l'angoscia di Peggy Sue divenne contagiosa e anche loro cominciarono a sentirsi inquieti. L'animale sondò con il pensiero la mente della ragazza, si scontrò con le immagini che erano state installate dal gas divinatorio, e quella visione spaventò anche lui. D'un tratto ebbe paura che Peggy venisse uccisa durante il cataclisma, e l'idea di rinchiudersi per due secoli nel ventre di una tartaruga improvvisamente non gli sembrò poi così malvagia.
L'inquietudine ebbe il sopravvento. Diventò per loro impossibile dormire senza avere incubi. Ogni volta che si svegliavano, ansimanti, con il cuore che batteva all'impazzata, Ziko-Ziko si sedeva al loro capezzale per sussurrargli parole rassicuranti. «Niente paura» ripeteva. «Tra poco sarete al sicuro e non potrà accadervi più niente di brutto. So quel che dico. Le tartarughe sono vere e proprie casseforti ambulanti. Neanche un fulmine, se le centrasse, riuscirebbe a spaccarne la corazza. Dormirete nel loro ventre, al calduccio, mentre all'esterno la terra sarà messa a ferro e fuoco, e rimarranno solo rovine e cenere. Le città spariranno, i fiumi saranno prosciugati dal calore delle esplosioni, le foreste si tramuteranno in deserti... le tartarughe, invece, rimarranno intatte, saranno preservate, immerse nel sonno dell'ibernazione. Dormiranno il tempo che sarà necessario alla natura per rinascere. Forse ci vorranno parecchi secoli, magari un millennio, chi lo sa? Ma quando il loro istinto suggerirà che ci sono di nuovo le condizioni perché la vita riprenda il suo corso, allora si sveglieranno, e voi con loro. La botola si aprirà e potrete uscire. Un nuovo mondo si stenderà davanti ai vostri occhi abbagliati... Un mondo senza inquinamento, senza fabbriche, senza autostrade, senza automobili... Dovrete ripartire da zero, evitando gli errori commessi dai vostri genitori. Sarà una grande sfida, e allo stesso tempo una grande opportunità... Sarete i fondatori del nuovo mondo, voi...» Quando si lanciava in questi ragionamenti, poteva continuare per ore. Peggy Sue e i suoi amici ascoltavano annuendo in silenzio. Mi sento la testa tutta ovattata!, si ripeteva la ragazza senza però riuscire a reagire. La voce di Ziko-Ziko la cullava, così come cullava Naxos e il cane blu. «Siamo incredibilmente fiacchi» fece notare l'animale. «È strano, ma non ho più la forza di mettere una zampa davanti all'altra. Non mi sono mai sentito così tanto stanco in tutta la mia vita.» Naxos, invece, non disse niente, perché si era già riaddormentato. Una mattina la tartaruga si mise in marcia con passo deciso, come se avesse preso una decisione. Ziko-Ziko si era sistemato in cima alla corazza e non si muoveva. Ogni tanto si rivolgeva ai ragazzi che sonnecchiavano in fondo alla 'caverna', che rispondevano con dei grugniti ai quali era difficile attribuire un senso. «Ci stiamo avvicinando alla montagna che cresce» comunicò infine. «Dovete salire per vederla!»
I tre amici uscirono fuori brontolando, le palpebre appesantite dal sonno. Aprendo gli occhi, Peggy vide emergere dalla nebbia una montagna che sfiorava il soffitto della stanza, i cui versanti erano costituiti da un miscuglio di enormi sfere. Le ci volle qualche secondo per capire che quelle 'palle' erano in realtà tartarughe ammassate le une sulle altre! Ce n'erano a centinaia che, a forza di sovrapporsi, avevano formato una sorta di collinetta la cui sommità dominava la giungla rossa. «Ogni volta che una nuova tartaruga viene ad aggiungersi alle precedenti, la montagna cresce,» spiegò Ziko-Ziko «da qui il suo nome. Tutti quegli animali sono pieni fino a scoppiare di ragazzi in ibernazione. Sono stato io a convincerli a mettersi al riparo. Alcuni dormono già da cinquant'anni. Sono fiero di averli salvati. Senza di me, sarebbero morti nella giungla, dando la caccia ai mostri per confezionarsi uno stupido travestimento da supereroe.» Peggy annuì senza rispondere. Un po' perché non ne aveva la forza, un po' perché era affascinata da quell'ammasso di tartarughe giganti. Si rese conto che, una volta arrivati lassù in cima era inutile sperare di scappare. «Non è formidabile?» si estasiò il vecchio alzandosi in piedi, i pugni sui fianchi a contemplare la sua opera. «Centinaia di ragazzi» ripeté «che dormono, felici, aspettando di risvegliarsi in un mondo nuovo! Tra poco anche voi sarete come loro. Protetti dal cataclisma, al riparo dagli attacchi. La follia degli uomini passerà su di voi senza minimamente sfiorarvi. Ah! Come vi invidio! Se fossi più giovane mi unirei a voi volentieri.» Peggy avrebbe voluto condividere il suo entusiasmo, ma era intontita. Intontita e... inquieta, doveva ammetterlo. Non dovresti farlo..., le suggeriva la voce della ragione in un angolo remoto del cervello. Reagisci! Accidenti! Svegliati! Perché sei così debole? Non lo sapeva. Avrebbe voluto che i suoi amici la difendessero, invece guardavano il paesaggio con occhi spenti. «Corpo d'una salsiccia atomica!» grugnì il cane blu. «Mi sento intelligente come una scatola di cartone vuoto!» «Quando avremo raggiunto i piedi della montagna» riprese Ziko-Ziko «ci saluteremo, quindi chiuderò la botola e ordinerò alla tartaruga di saldarla fermamente, in modo che nessuno possa entrare. Una volta che questa brava bestiola avrà trovato il suo posto nel mucchio si addormenterà, e voi con lei. Nessuno sa quando vi sveglierete... forse tra un secolo, o ma-
gari tra mille anni... Comunque sia, quando arriverà quel giorno, ricordatevi di quel bravo Ziko-Ziko che vi avrà salvato la vita. Se non è chiedere troppo, mi piacerebbe avere una statua sulla piazza principale della prima città che costruirete. Sì, una bella statua...» Lentamente ma inesorabilmente, la tartaruga gigante si avvicinava alla montagna. Peggy Sue vedeva approssimarsi con angoscia il momento in cui Ziko-Ziko avrebbe richiuso il coperchio della botola sopra di loro. Come sono arrivata fino a questo punto?, si domandava. Tutto è cominciato con quelle orribili visioni... mi hanno terrorizzata, è vero, e non sono più stata capace di riprendere il controllo dei miei nervi. Non capisco perché. Normalmente non sono così fifona. Si voltò verso Naxos e il cane blu per chiedere aiuto, ma i due si erano già distesi sul fondo della 'caverna' e dormivano profondamente. «Non ti preoccupare, piccola» bisbigliò Ziko-Ziko carezzandole la testa. «Hai fatto la scelta giusta. Fra due ore non ti farai più nessuna domanda. Quando chiuderò la botola, la tartaruga sprigionerà il gas soporifero. Entrerai in ibernazione. Sembra che, quando ci si trova in quello stato, si facciano sogni meravigliosi. Ti consiglio, al momento di addormentarti, di pensare intensamente a ciò che desideri sognare. Scegli qualcosa di piacevole. La tua mente utilizzerà quelle indicazioni per costruire una serie di sogni, uno più bello dell'altro. Sarà come se guardassi la televisione, con la differenza che sarai tu l'eroina. Forte, no?» Penserò a Sebastian, decise Peggy. Immaginerò che siamo ancora insieme. Se lo sogno per due secoli, sarà sempre meglio di niente. Un'ora più tardi, la tartaruga aveva raggiunto i piedi della montagna. Maldestramente, cominciò a cercare un posto dove potersi incastrare tra le sue compagne, in modo da consolidare il gigantesco cumulo di corazze che si innalzava al di sopra della giungla rossa. Peggy era cosciente che stava accadendo qualcosa di inevitabile. Una volta sigillata la corazza, sarebbe stato impossibile tornare indietro. La prossima volta che si sarebbe svegliata, tutti quelli che aveva conosciuto sarebbero morti da molto tempo: nonna Katy, i suoi genitori, Sebastian... Soltanto il cane blu e Naxos sarebbero stati ancora là a farle compagnia. Era comunque una decisione difficile, e si meravigliava ancora di averla presa... Dentro di lei qualcosa si ribellava, ma questo qualcosa era molto lontano, così debole e così profondamente seppellito sotto macigni di stanchezza che in ogni caso non sarebbe più riuscita a cambiare le cose.
«Ecco qua» annunciò Ziko-Ziko. «La tartaruga è bloccata. Ora ci saluteremo. Non devi più preoccuparti di niente. Vai a distenderti vicino ai tuoi compagni. Tra un'ora, il gas dell'ibernazione riempirà la 'caverna' e ti addormenterai. Dovrai avere un po' di pazienza, appena il tempo che la tartaruga impiega a produrre questo vapore magico. Rilassati e aspetta. Andrà tutto bene.» Si chinò su Peggy, la baciò sulle guance, e la spinse in fondo al buco. La ragazza perse l'equilibrio e rotolò contro Naxos, che si svegliò brontolando. «Che c'è? Siamo arrivati?» farfugliò. «Che c'è? È ora di mangiare?» balbettò il cane blu. Peggy non rispose. Distesa sulla schiena, fissava la botola che Ziko-Ziko stava richiudendo. Sta cominciando a saldarsi..., pensò. Tra un'ora, non si potrà più aprire. Saremo murati vivi dentro questa bestiola. Bisogna reagire... adesso! Ma, rimase immobile, più inerte di una statua caduta dal suo piedistallo. Con uno sforzo sovrumano di volontà, rotolò su un fianco e scosse il cane. «Svegliati!» gli ordinò. «Aiutami! Ci stiamo comportando in modo anormale... Siamo caduti in una trappola...» «Ma no,» sbadigliò l'animale «abbiamo fatto la scelta giusta, non c'era altra soluzione. Riaddormentati, va tutto bene.» Una volta richiusa la botola, Ziko-Ziko se ne andò, abbandonando i tre amici al loro destino. Peggy sentiva che ogni minuto che passava li avvicinava al sonno dell'ibernazione. Si sedette, con la testa pesante. D'un tratto, sopra di loro risuonò un raschiare frenetico. Qualcuno grattava con forza sul pannello d'accesso che non era ancora sigillato. Alcuni grugniti sordi accompagnavano lo scricchiolio delle unghie. «I lupi!» gridò Peggy. «Sono tornati! Stanno cercando di farci uscire di qua!» Il tempo stringeva. La ragazza sapeva che, una volta riempito l'abitacolo di gas, avrebbe perso ogni volontà di fuggire. Si sarebbe accasciata al suolo, a occhi chiusi, e avrebbe cominciato un sonno di un milione di anni. Alla fine il pannello si aprì, strappato via dai lupi. Peggy afferrò il cane blu sotto un braccio, diede un calcio nelle costole a Naxos e si lanciò all'esterno. I lupi l'aiutarono agganciando i suoi vestiti con le zanne. Appena
ebbe respirato una boccata di aria fresca, la ragazza si sentì meglio. Depose il cane in cima alla corazza e ridiscese a cercare Naxos, che si era riaddormentato. «Filiamocela!» gridò quando furono tutti fuori. «Il gas uscirà da un momento all'altro. Bisogna allontanarsi.» Si lasciarono scivolare fino al suolo, usando il fianco della tartaruga come uno scivolo, e si lanciarono di corsa in direzione della foresta, scortati dai lupi. Più tardi, quando ebbero recuperato tutte le loro facoltà, il cane blu dichiarò: «I lupi dicono che il vecchio ci ha fatto mangiare dei frutti tossici, impregnati di un veleno che provoca la paura. Voleva a tutti i costi convincerci a cercare rifugio nel ventre della tartaruga. Dopo le ha ordinato di liberare un vapore soporifero per mantenerci in uno stato di incoscienza che ci avrebbe impedito di pensare.» «Ma perché?» si meravigliò Naxos. «È matto?» «No,» mormorò tristemente Peggy «voleva solo salvarci. Credo che sia persuaso di agire per il meglio. Non è cattivo, ma come molti adulti, crede che non sia necessario chiedere ai ragazzi la loro opinione.» «Ma allora le visioni del futuro che ti hanno così spaventato erano false anche loro!» esclamò il ragazzo. «No,» disse il cane blu «i lupi affermano che le tartarughe predicono veramente l'avvenire. Tutto ciò che vedono un giorno accadrà.» «Siamo stati avvertiti» sospirò Peggy. «Ora non ci resta che riprendere il cammino.» 14 La gola del ragno 25
Peggy Sue non aveva idea di ciò che li attendeva una volta lasciate le tartarughe. Il cane blu cercò di ottenere dai lupi qualche informazione sulle 'curiosità' del luogo. «Dicono che c'è un ragno gigantesco» spiegò. «Le sue zampe sono come aghi di osso, se ne serve per lavorare il filo della sua tela26... Trascorre tutto il suo tempo a tessere. Confeziona sciarpe e coperte.» «E a noi che cosa interessa?» si spazientì Naxos. «Non dobbiamo aprire un negozio di abbigliamento!» «Pazienza,» tagliò corto l'animale «lasciami finire. Tutti i pezzi lavorati
dal ragno hanno il potere di galleggiare in aria.» «Potrei cercare di rubargli un pezzo di seta e farmene un tappeto volante!» disse Peggy. «Esatto» confermò il cane blu. «Anche se volare come un uccello senza esserlo è un superpotere nel quale non mi riconosco!» «D'accordo,» decise la ragazza «di' ai lupi di mostrarci la strada. Non vedo l'ora di tornare nel mondo normale. Abbiamo già passato troppo tempo in questo inferno.» Il gruppetto si mise in marcia senza perdere altro tempo, attraversando foreste, vallate e corsi d'acqua. A volte i nostri giovani esploratori costeggiavano precipizi vertiginosi, altre volte erano costretti a camminare in equilibrio su un tronco d'albero per attraversare un fiume dalle acque impetuose. Non riesco a credere che tutto ciò sia racchiuso tra le mura del secondo piano, si ripeteva Peggy Sue. Stiamo realmente vivendo questa avventura? Siamo passati in un'altra dimensione solo varcando le porte della stanza... oppure abbiamo assorbito a nostra insaputa una droga che ci fa soltanto sognare queste cose? Decidere che era tutto soltanto un sogno poteva rivelarsi pericoloso... addirittura mortale. Peggy scelse quindi di agire come se le creature che li circondavano fossero davvero reali. «Attenzione!» avvertì il cane blu. «Ci stiamo avvicinando al ragno... Ora dobbiamo stare attenti a non farci vedere.» Si nascosero dietro una roccia per dare un rapido sguardo alla gola che si apriva davanti a loro. Lo spettacolo fece rizzare loro i capelli. Una gigantesca tela dalle maglie grigiastre sbarrava il passaggio. Era così spessa che sembrava un velo da sposa cosparso di polvere di gesso. Al centro di questa rete troneggiava un enorme ragno, le cui zampe terminavano ognuna con un lungo ago osseo e si muovevano a una velocità impressionante, producendo un ticchettio incessante; utilizzando il filo di seta che le usciva dal ventre, l'enorme tarantola lavorava senza sosta pezzi di stoffa di seta senza una forma precisa. Con lo stomaco contratto e il respiro corto, i tre amici si rintanarono ancora di più nel loro nascondiglio. I lupi, invece, si erano appiattiti a terra, le orecchie abbassate, segno che erano in agguato. «Perché il ragno sferruzza? Non ha alcun senso!» bisbigliò Naxos.
«Ti sbagli» lo corresse il cane blu. «Usa queste stoffe magiche per avvolgere le sue vittime. In questo modo, la sua dispensa galleggia in aria, fuori dalla portata degli altri predatori. Quando vuole fare uno spuntino, non deve far altro che tirare il filo che collega un pacchetto alla sua tela per farselo scendere direttamente in bocca.» «Ma è orribile!» esclamò Peggy. «Bisogna pur mangiare!» tagliò corto il cane blu. «In più, la maglia di seta possiede anche un altro potere: conserva le prede all'infinito, così non imputridiscono mai. Quindi un mantello ritagliato in questo tessuto avrà il potere di mantenere giovani per l'eternità. Ogni volta che lo indosserai, il tempo non avrà alcun effetto su di te.» Peggy mise il naso fuori dal nascondiglio per studiare l'avversario mostruoso che bloccava la gola. La bestia sembrava così presa dal suo lavoro che non prestava attenzione a ciò che aveva intorno. Il ticchettio delle sue lunghe zampe d'osso ghiacciava il sangue nelle vene. Non smetteva mai di infilare maglie su maglie, realizzando una sorta di abito informe che, invece di pendere dagli 'aghi', si agitava come un panno al vento, come se attendesse con impazienza il momento di volare via. Socchiudendo gli occhi, la ragazza individuò i famosi 'pacchetti' di nutrimento menzionati dal cane blu. Ondeggiavano in aria come palloncini attaccati con una cordicella alla tela del ragno. Ce n'erano parecchi. Trenta o quaranta... Ciascuno conteneva una preda in attesa di essere divorata. Alcuni si dimenavano poiché il loro contenuto era ancora vivo. Speriamo che non finisca anch'io così, sarebbe orribile, pensò Peggy, che sentiva il sudore scorrerle sulle tempie. «Come pensi di fare?» le domandò Naxos. «Quella bestia deve essere incredibilmente rapida. Appena ti avrà vista, ti salterà addosso.» «Devo avvicinarmi il più possibile alla tela per rubare il lavoro che sta sferruzzando» bisbigliò Peggy. «Poi cercherò di farne un tappeto volante.» «I lupi propongono di creare un diversivo» dichiarò il cane blu. «Loro attaccheranno a sinistra mentre tu ti intrufolerai a destra. Sono abbastanza numerosi per assediare il ragno per una decina di minuti. Aggredendolo da ogni lato, lo terranno occupato.» «È gentile da parte loro» disse la ragazza. «È normale, ora tu sei la loro regina» le fece notare il cane. «Sono pronti a morire per te...» Peggy si sbarazzò del suo equipaggiamento, conservando soltanto il pu-
gnale attaccato alla cintura. «Sii prudente,» la supplicò Naxos «non sarà facile.» «Farò del mio meglio» promise Peggy con il cuore che le batteva all'impazzata. «Sei pronta?» chiese il cane blu. «Molto bene. Do al branco il segnale d'attacco. Appena il ragno si occuperà di loro, esci dal tuo nascondiglio.» I lupi balzarono all'attacco tutti insieme. Caricarono frontalmente, si fermarono in un punto preciso ai piedi della tela e cominciarono a mordere i fili per attirare l'attenzione del nemico. Le vibrazioni giunsero fino al mostro che, d'un tratto, interruppe il suo lavoro. I lupi costituivano per lui prede allettanti: una volta impacchettato l'intero branco nella seta magica che annullava i danni del tempo, si sarebbero conservati meglio che in fondo a un congelatore e gli avrebbero assicurato una gran quantità di eccellenti pasti! Lentamente, il ragno abbandonò il centro della tela ottagonale e si lasciò scivolare fino a terra lungo un filo spesso come il cavo di un ascensore. Vedendo quello spettacolo, a Peggy Sue venne la pelle d'oca. Quella bestia era un vero incubo ambulante! Quando si posò a terra, gli aghi con cui terminavano le zampe scavarono dei buchi nel terreno. I lupi prima ripiegarono, poi tornarono all'attacco, assediandolo su tutti i fronti. Se la cavavano bene. Agili e scattanti, sfuggivano balzando ai temibili colpi del ragno. «Tocca a te! Svelta!» le disse il cane blu. Radunando tutto il suo coraggio, Peggy scattò in avanti. Corse facendo attenzione a rimanere fuori dalla visuale del ragno. In meno di trenta secondi raggiunse la base della tela. Le maglie costituivano una specie di scala di corda incredibilmente solida. Da principio, Peggy aveva pensato che avrebbero ceduto sotto il suo peso, invece riuscì ad arrampicarsi rapidamente verso il centro di quell'architettura di seta, proprio dove il ragno aveva abbandonato il lavoro che stava tessendo prima dell'intervento dei lupi. Libera dagli aghi, la maglia penzolava all'estremità del filo. Peggy decise di tagliarlo e ridiscendere immediatamente, tirandosi dietro il lavoro, come se fosse un palloncino trainato dalla sua cordicella. Purtroppo ebbe una brutta sorpresa. La lama del pugnale scorreva sul filo senza riuscire a tagliarlo. Arrampicata a trenta metri dal suolo, in equili-
brio precario, Peggy si sentiva molto vulnerabile. Era sempre impegnata con il filo ribelle quando nella sua mente risuonò la voce del cane blu: Stai attenta! Il ragno ha scoperto il nostro gioco, ha lasciato perdere i lupi per tornare alla tela, viene verso di te! Vattene! Presto! Levati di là! Lanciando una veloce occhiata dietro di sé, Peggy vide che il mostro si avvicinava. Sembrava arrabbiato, e agitava le zampe con furore. Mi infilzerà!, si disse Peggy. Non ho modo di ritirarmi. Sono troppo in alto per saltare nel vuoto senza rompermi l'osso del collo. La mia unica possibilità è tagliare questo cavo e attaccarmici. Se la maglia vola via, mi porterà con sé... Cominciò a lavorare furiosamente col coltello mentre la rete vibrava man mano che il ragno si avvicinava. Proprio quando Peggy Sue si credeva perduta, il filo si degnò finalmente di rompersi; la ragazza si affrettò ad arrotolarselo intorno al braccio e ci si attaccò. Sopra la sua testa, la tela magica lavorata dall'insetto si agitava come un uccello che sbatteva le ali. Rapidamente, quello strano tappeto si innalzò verso il soffitto, trasportando Peggy nella sua scia. La ragazza si sentì sollevare nel momento stesso in cui una zampa si abbatteva proprio dove lei si trovava un attimo prima. Ebbe l'impressione che lo stomaco le scendesse fino ai piedi. Era una strana sensazione, sembrava di attraversare il cielo aggrappata alla coda di un aquilone. Purtroppo non si tratta di un semplice aquilone, pensò, questo tappeto è magico e dovrò domarlo. Non sono ancora alla fine delle mie fatiche! Quando guardò verso il basso, scorse il ragno che si dimenava furiosamente. Peggy sapeva che non doveva restare troppo a lungo sospesa all'estremità del filo che, troppo stretto, cominciava già a rallentarle la circolazione del sangue nel braccio. Se si fosse intorpidito troppo, avrebbe mollato la presa, quindi doveva salire il prima possibile sopra il tappeto volante. Usò le mani, le ginocchia e i piedi, come avrebbe fatto su una corda, per arrampicarsi verso il quadrato di tela magica che. svolazzava sopra di lei. Non fu una cosa semplice, per tre volte mancò la presa. Quando finalmente atterrò sulla tela, era sfinita e tremava tutta. Si sdraiò sul tappeto volante cercando di non pensare a che cosa sarebbe accaduto se, per sbarazzarsi di lei, quello avesse improvvisamente deciso di rivoltarsi e di volare sulla 'schiena'!
Con le unghie affondate nella stoffa, lottava contro il senso di nausea che le torceva lo stomaco. Il 'tappeto' (aveva deciso di chiamarlo così per comodità) misurava circa due metri per tre. Peggy non ci stava stretta, ma sei metri quadrati, quando si vola a cinquanta metri da terra, sembrano decisamente troppo pochi! La seta che componeva lo strano veicolo si rivelò morbida al tatto e di un bel grigio argentato. Se ne sarebbe potuto ricavare un magnifico vestito da ballo del 'colore della luna'. Per il momento, quel pezzo di stoffa serpeggiava nel cielo senza una precisa destinazione. Sconvolta dalle vertigini, Peggy si decise infine ad aprire gli occhi per fare il punto della situazione. Non poteva lasciarsi trascinare in aria finché una virata più secca delle altre non le avrebbe fatto mollare la presa. Ora il tappeto descriveva cerchi concentrici senza sapere bene che cosa fare. Peggy ebbe una smorfia di disgusto scoprendo, intorno a lei, le tremende riserve di cibo create dal ragno. Impacchettati in pezzi di tela svolazzante, mantenuti in vita dalle magiche virtù della seta, i prigionieri si agitavano all'estremità di lunghi fili che li tenevano ancorati alla tela del ragno. Quando il mostro aveva fame, gli bastava afferrare uno di quei cavi tra le zampe e tirarlo fino ad abbassare la preda, così come fa un pescatore quando acchiappa un pesce. Quando sentivano che cominciava la discesa, i malcapitati prigionieri sapevano che la loro ultima ora era arrivata! Il vantaggio, con quel sistema, era che il ragno aveva sempre a disposizione cibo fresco, anche se le sue prede erano state 'impacchettate' sei mesi prima. «Calmati!» ordinò Peggy Sue al tappeto volante. «Non voglio farti del male. Non ti taglierò e non ti cucirò, te lo prometto. Diventiamo buoni amici e tutto andrà bene, ci aiuteremo a vicenda. Capisci quello che dico?» Il tappeto ondeggiò per tre volte, poi sulla sua superficie apparvero alcune lettere in rilievo. La scritta diceva: D'accordo. Ma se mi chiedi di fare qualcosa che non mi piace, ti scaravento giù. Almeno è chiaro, pensò la ragazza. Devo approfittare del fatto che questo tappetino magico sembra ben disposto per aiutare i prigionieri del ragno. «Ascolta» disse, anche che si sentiva un po' sciocca a parlare con un tappeto, ma pazienza, aveva deciso di non stupirsi più di nulla. «Vedi i pacchetti volanti qui intorno? Dovrai avvicinarti dolcemente a ciascuno di
loro. Hai capito?» Il tappeto ondeggiò di nuovo per tre volte, che nella lingua dei tappeti volanti corrisponde al nostro 'sì', come tutti sanno. Tirando fuori il coltello dal fodero, Peggy Sue si sporse verso il primo pacchetto sospeso in aria. Sembrava un fagotto di tessuto legato male, ma dentro c'era rinchiuso qualcuno, qualcuno che si agitava debolmente. La ragazza esitò. Cosa doveva fare? Squarciare il fagotto per liberare il prigioniero o tagliare il cavo che legava il pacchetto alla ragnatela? Accidenti! In teoria mi sembrava una buona idea, si disse, ma chissà chi si nasconde là dentro? Uno studente del nostro collegio o una bestia feroce catturata dal ragno? Ogni errore avrebbe portato delle conseguenze... «Ehi!» gridò la ragazza. «Dico a te, prigioniero, mi senti? Puoi rispondermi?» Le sue parole provocarono un violento agitarsi del fagotto, ma non ne uscì alcun suono. Questo non prova niente, decise Peggy Sue. La stoffa forse soffoca le parole. Era molto indecisa. Soprattutto non voleva correre il rischio di lasciare che un essere umano servisse da pasto al ragno ricamatore. Doveva prendere una decisione... Con un movimento rapido, tagliò il pacchetto, che si aprì di colpo, come un fiore che sboccia. Il prigioniero si agitò, abbagliato, intorpidito dalla lunga clausura. Era... un leone dalla criniera serpentina! Scoprendosi libera, la belva lanciò un ruggito e saltò nel vuoto per atterrare sul tappeto volante di Peggy Sue. Per fortuna, la ragazza aveva avuto la prontezza di ordinare al tappeto magico di allontanarsi immediatamente. Il leone mancò il suo atterraggio e, per dieci interminabili secondi, restò attaccato con gli artigli di una sola zampa al bordo del tappeto. Peggy si affrettò a colpirlo con il coltello per costringerlo a lasciare la presa. Con uno spaventoso ruggito, la belva sparì nel vuoto volteggiando. Una scritta in rilievo si formò sulla seta: Sei certa di voler continuare? «Non lo so» ammise la ragazza. «Proverò ancora una volta... spero di avere più fortuna.» Il tappeto si piegò leggermente per prendere una curva e si avvicinò a un altro fagotto. In questo, il prigioniero si agitava come un vero diavolo. «Mi senti?» gridò Peggy. «Sono qui per liberarti... Se mi senti, sappi che ho intenzioni amichevoli.»
Il pacchetto rispose con vari mugugni. Aspettandosi il peggio, Peggy tese le braccia e, una volta ancora, incise la stoffa per liberarne il contenuto. Apparvero mani e gambe, seguite da una testa arruffata. «Jeff!» gridò Peggy. «Sei proprio tu?» Era proprio il grande Jeff. Pallido, stravolto, si affrettò a saltare sul tappeto volante della sua liberatrice. «Accidenti...» balbettò. «Non so da quanto tempo ero impacchettato in quell'affare! Dovrei essere morto di fame e di sete, invece sono in piena forma...» «È una tela magica» spiegò Peggy. «Quando ti avvolge smetti di invecchiare; non c'è più bisogno di bere né di mangiare.» «Lo so!» grugnì Jeff. «È per questo motivo che mi sono attaccato alla ragnatela. Volevo fregarmene un po' per farmici il costume.» Peggy notò che il ragazzo non si era neanche degnato di ringraziarla. Dalla sua aria avvilita, capì che era molto offeso per essere stato liberato da una ragazza, lui che disprezzava così tanto le donne. «Stenditi!» gli gridò Peggy. «Devi abbassarti, è facile perdere l'equilibrio qui sopra.» Jeff obbedì controvoglia. Con un carico più pesante, il tappeto volava più lentamente. Quando sfiorò il soffitto, Peggy Sue notò grosse crepe causate dalla cima dei grandi alberi che vi sbattevano a ogni burrasca. Gli urti ripetuti avevano finito per spaccare il cemento, come un ariete quando colpisce la porta di una roccaforte. Peggy fu molto impressionata dal cattivo stato del soffitto. Dal basso non si sospettava niente, ma le crepe erano profonde, come se la volta stesse pian piano cominciando a crollare. I dirigenti del collegio lo sapevano? Si ripromise di metterli al corrente al suo ritorno. «Atterriamo» decise. «Naxos e il mio cane sono da qualche parte là sotto, devo ritrovarli.» D'un tratto, mentre il tappeto volante cominciava la sua discesa, Jeff rotolò contro Peggy, spingendola quasi nel vuoto. Se la ragazza non avesse avuto la prontezza di aggrapparsi, sarebbe stata scaraventata fuori. «Oh! Scusami!» balbettò Jeff. «Ho perso l'equilibrio, non sono ancora abituato a questo veicolo.» Ma una scintilla di cattiveria brillava nei suoi occhi, e Peggy intuì che aveva tentato di buttarla giù di proposito, per impadronirsi del tappeto volante.
Che tipaccio! si disse. Dovrò tenerlo d'occhio. Il tappeto magico si avvicinò al suolo descrivendo una stretta spirale. Arrivato a dieci metri, si mantenne in volo costante27. Sulla seta si disegnò un'iscrizione in rilievo: Non voglio scendere più in basso. Mi è proibito toccare terra. Se lo facessi, perderei i miei poteri. Non devi far altro che lasciarti scivolare usando il filo che mi legava alla ragnatela e che pende sempre dietro di me. Per risalire, dovrai fare la stessa cosa. Peggy annuì. Non era sorpresa, con la magia bisognava aspettarsi sempre delle complicazioni. Soltanto nei libri andava tutto bene! Si spostò verso la parte posteriore del tappeto e indicò il cavo di seta che pendeva nel vuoto, come la coda di un aquilone. «Si scende di là» ordinò a Jeff. «Credo che tu sappia usare una fune, vero?» «Certamente meglio di te!» ridacchiò il ragazzo e impugnò il filo per lasciarsi scivolare fino a terra. Quando fu in basso, Peggy vomitò. Si domandava se il tappeto volante ne avrebbe approfittato per riprendere la sua libertà. Era riuscita a addomesticarlo oppure lui non aspettava altro che l'occasione buona per scappare? Una volta a terra, fu abbastanza prudente da non mollare la corda e, anziché lasciarla pendere, la annodò saldamente al ramo di un albero. Così ancorato, il tappeto non avrebbe potuto svignarsela. Naxos e il cane blu si precipitarono incontro alla loro amica. Quando l'avevano vista volare via, avevano creduto che fosse giunta la sua ultima ora. Non riuscirono a mascherare il loro disappunto riconoscendo Jeff. I lupi rimasero in disparte, squadrando lo straniero con circospezione. «Eccoti qua...» disse semplicemente Naxos. «Senza l'intervento di Peggy, saresti servito da spuntino al ragno!» Jeff serrò i denti; il suo sguardo assunse una luce sinistra. «Dove sono finiti i tuoi amici?» domandò Peggy per cambiare discorso; non ci teneva affatto che i due ragazzi si saltassero alla gola. Jeff scrollò le spalle. «Quei cretini si sono fatti prendere dagli alberi gonfiabili» borbottò. «Io sono l'unico a esserne uscito. Ho dovuto affrontare decine di mostri, ma nessuno aveva poteri veramente interessanti, allora ho lasciato marcire le loro carcasse al sole...» Si stava vantando, come sempre, ma Peggy evitò di farglielo notare. Non
voleva peggiorare le cose. «Avevo sentito parlare di questo tappeto volante per primo» riprese il grande Jeff. «Dovrei averlo io.» Naxos si irrigidì. «Appartiene a chi è riuscito a rubarlo al ragno» sibilò pieno di collera «invece di lasciarsi impacchettare come un imbecille.» Jeff strinse pugni. I lupi, fiutando l'odore della lite, cominciarono a ringhiare e a mostrare i denti. Il loro intervento dissuase i ragazzi dal venire alle mani. Per distendere l'atmosfera, Peggy decise di accamparsi e mangiare. I lupi, che amavano il fuoco da quando li aveva salvati dalle pecore invisibili, si accucciarono ai piedi della loro regina. Quella manifestazione di sottomissione indispettì ancora di più Jeff. «Che cosa ci fai con queste bestie spelacchiate?» sghignazzò. «I leoni della criniera serpentina volevano eleggermi come re, ma io ho rifiutato: è fuori questione che io mi unisca a bestie che servirebbero solo a rallentarmi! Erano molto decisi, il mio scontro con gli alligatori volanti li aveva incredibilmente impressionati.» Rendendosi conto che nessuno lo stava ascoltando, tacque e rimase nel suo angoletto, a rimuginare il suo rancore. «Domani» decise Naxos «andrò alla ricerca dell'unicorno rosso. Ne ho abbastanza di questo mondo di pazzi. Vorrei tornare a casa. Forse potresti aiutarmi a individuarlo dall'alto con il tuo tappeto.» «Certamente» disse Peggy con calore. «Sorvolerà la foresta per cercare di avvistarlo.» «Avrai davvero un bell'aspetto, con un corno sulla testa!» ridacchiò Jeff squadrando Naxos. «Non ti preoccupare di questo» sibilò il ragazzo dai capelli d'oro. «Il più ridicolo non è sempre colui che si crede.» Scese la sera, era tempo di dormire. Peggy prese il cane blu in disparte e gli chiese di ordinare ai lupi di vegliare sulla fune che teneva ancorato il tappeto volante, perché era convinta che Jeff avrebbe tentato di impadronirsene col favore delle tenebre. «È un vero farabutto!» grugnì il cane. «Avresti dovuto lasciarlo lassù. Ci porterà solo noie.» Peggy sospirò: sapeva che il suo fedele compagno aveva ragione, ma lei non era capace di una simile azione.
«Vedremo» mormorò alzando le spalle. «Appena Naxos avrà acchiappato il suo unicorno torneremo al bunker. Loba ci aiuterà a cucire i costumi, e poi ce ne andremo finalmente dal secondo piano.» «Meno male» affermò il cane blu. «Ne ho piene le zampe di questo posto.» 15 La collera dell'unicorno Il giorno dopo, Peggy Sue esitò sul comportamento da tenere. Doveva viaggiare sul tappeto o a piedi, accanto ai suoi compagni? Il tappeto di seta non era abbastanza grande per trasportare tutti, in più forse non aveva la forza per sorreggere tre ragazzi, un cane e dodici lupi per una decina di chilometri! Alla fine, decise di annodarsi al polso quella che ormai chiamava 'la coda dell'aquilone' e di tirare il tappeto dietro di sé come un palloncino che segue la sua cordicella. Temeva che, se lo avesse lasciato, ne avrebbe approfittato per scappare. Senza dubbio non era ancora abbastanza addomesticato per obbedirle ciecamente. Si incamminarono in silenzio. Naxos era teso, e i lupi davano segni di nervosismo. «Hanno paura dell'unicorno» spiegò il cane blu. «Dicono che è collerico e astioso. Quando viene disturbato, è colto da crisi di rabbia folle e non smette di massacrare chi lo ha importunato. Non so se sia una buona idea andare laggiù.» Jeff scrollò le spalle. Sfoggiava il suo solito sorriso sprezzante. «Ho la mia idea al riguardo» ridacchiò con l'aria di chi conosce le cose più segrete. «Ah, sì?» mormorò Peggy cercando di reprimere la propria irritazione. «Credo che tutti questi animali non esistano realmente» proclamò indicando i lupi che trotterellavano nella scia della ragazza. «I ragni, gli unicorni, i leoni... sono tutte sciocchezze. Sono soltanto robot. Siete proprio degli ingenui. Non avete ancora capito che si tratta di un test? Questa giungla è finta, è una scenografia. I professori ci osservano attraverso telecamere nascoste tra gli alberi. Studiano le nostre reazioni e ci danno i voti. Quando il test sarà terminato, gli animali smetteranno di muoversi e ci accorgeremo che non siamo mai stati in pericolo.»
Naxos annuì. Avrebbe voluto confutare la teoria del grande Jeff con un'alzata di spalle, ma quella visione delle cose lo turbava, perché confermava i suoi interrogativi. «Confesso che ci avevo pensato anch'io» disse. «Con persone come Diablox, bisogna aspettarsi di tutto.» «Ma ci sono Loba e i naufraghi della savana» protestò Peggy. «Questo non prova niente» intervenne il cane blu. «Potrebbe trattarsi di attori messi là apposta per raccontarci storielle.» «Gli scheletri, tutto questo...» rincarò Jeff «...è solo finzione. Il ragno non mi avrebbe divorato, ne sono certo. Del resto non ne ho mai avuto paura. Era troppo spaventoso per essere vero. Mi sono lasciato catturare per studiarlo più da vicino.» A chi vuoi darla a bere? disse tra sé Peggy. «C'è un modo semplice per saperlo» dichiarò Jeff. «Acchiappiamo uno di quei lupi e apriamogli la pancia. Una volta incisa la pelle, non troveremo che ingranaggi, un motore e articolazioni d'acciaio, sono pronto a scommetterci!» «Non te lo consiglio,» sussurrò la ragazza «ma se vuoi davvero tentare, accomodati pure!» «Ma non c'è davvero nessun rischio,» insisté ragazzo «questi robot sono programmati per farci paura, non per ferirci. Vedrai...» Tirò fuori il suo coltello e s'incamminò verso il branco con passo deciso, come se fosse davvero convinto della sua teoria. Dopo qualche passo dovette fermarsi, perché i lupi mostravano i denti e ringhiavano in modo minaccioso. «È tutta scena» balbettò Jeff dondolandosi sulle gambe. «Una commedia per dissuaderci dall'andare a vedere da vicino, ma ora basta! Mi sono fatto la mia idea, non ho neanche bisogno di controllare. Non sono scemo, so bene di che si tratta. Non mi lascio abbindolare da questi trucchi, io.» Si affrettò a rinfoderare il pugnale e proseguì il suo cammino cercando di assumere un'aria dignitosa. «Ciò non toglie che forse ha ragione...» mormorò Naxos. «E se tutto questo non fosse altro che un test?» «Non ci scommetterei» sospirò Peggy. «Conosci il vecchio detto: 'La grande forza del vampiro è di essere riuscito a convincere tutti che non esiste'? Credo che sia la stessa cosa. Se finiamo per convincerci che non corriamo alcun pericolo, moriremo prima del tramonto.»
Un quarto d'ora più tardi si immobilizzarono, in allerta. Una forma scura giaceva davanti al loro, sdraiata sull'erba gialla bruciata della prateria. Un leone marziano! «È morto» annunciò il cane blu. «Non c'è nulla da temere. Andiamo a vedere.» I lupi ringhiarono cupamente. Non guardavano il leone ma i dintorni, come se aspettassero di veder spuntare un pericolo. Il leone rosso era inchiodato al suolo da una lancia d'avorio scintillante che lo aveva trapassato da parte a parte. «Un corno...» mormorò Naxos. «Suppongo che provenga dalla fronte di un unicorno.» «I lupi lo confermano» disse il cane blu. «Dicono che questo leone si è comportato come uno stupido. La fame lo ha spinto sul territorio dell'unicorno, e quello lo ha punito.» Peggy tese la mano per toccare lo sperone d'osso. Era così profondamente conficcato nel suolo che non riuscì a muoverlo. I due ragazzi erano impalliditi. «Ancora una messa in scena...» balbettò Jeff. «Sono certo che questo leone è pieno di paglia, è solo un fantoccio.» In quell'istante, i serpenti della criniera si protesero sibilando. I ragazzi fecero un salto all'indietro. Il cane blu li rassicurò. «I lupi dicono che non c'è niente da temere: i serpenti non ci attaccheranno. Il loro padrone è morto, quindi non hanno più nessuno da difendere. In realtà, aspettano di mettersi al servizio di qualcun altro.» «Perché non sono morti anche loro?» indagò Peggy. «I serpenti rossi vivono parecchi secoli» spiegò il cane. «Quando il leone muore, hanno l'abitudine di spostarsi sulla testa di un altro animale.» «Ehi!» esclamò Jeff. «Potrei farmene un bel cappello! Sembra che queste bestiole siano capaci di allungarsi per più di tre metri, come veri tentacoli! Con loro sarei al sicuro, a nessuno verrebbe in mente di infastidirmi.» «Ma come, tutti questi mostri non dovevano essere dei semplici robot? Si direbbe che tu abbia improvvisamente cambiato idea» gli fece notare Peggy Sue. Jeff non ebbe il tempo di replicare perché i lupi, con un unico movimento, si gettarono sulle spoglie del leone per divorarle. I ragazzi si scansarono. «Si tratta di carne vera...» osservò Naxos. «Guardate! Non c'è nessun
motore né una carcassa d'acciaio, nient'altro che carne e budella. I mostri esistono davvero.» «Che ne sai?» insisté Jeff. «Forse questo è stato fabbricato con delle bistecche per convincerci. Apparentemente sembra sia morto... Magari invece si tratta solamente di un fantoccio costruito con cosciotti crudi, un trucco in più per ingannarci.» Si intestardì nella sua dimostrazione senza rendersi conto che i suoi compagni non l'ascoltavano più. Peggy era preoccupata. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal corno conficcato a terra. Era necessaria un'incredibile potenza per piantare quell'arpione d'avorio a una tale profondità! Quando il branco ebbe terminato il suo pasto, Jeff si chinò sulla carcassa perfettamente ripulita e raccolse la corona di serpenti che i lupi avevano tralasciato. I rettili gli si attorcigliarono attorno alle mani e alle braccia, ma senza cercare di morderlo. «Gli stanno chiedendo se accetterebbe di essere il loro nuovo padrone!» tradusse il cane blu. «Gli giurano obbedienza e fedeltà.» Peggy fece una smorfia; l'idea di vedere il grande Jeff pavoneggiarsi con una pettinatura di cobra non la entusiasmava affatto. Si sentì costretta a intervenire. «Non vorrai indossarla? È disgustosa. Nessuna ragazza vorrà più uscire con te!» Ma Jeff ignorò l'avvertimento. Sembrava affascinato dalla corona brulicante e sibilante che teneva tra le mani. «Eh! Eh!» ridacchiò con un luccichio malvagio negli occhi. Alla fine, dopo aver esitato qualche istante, sollevò la criniera serpentina con la punta delle dita e se la posò sulla testa, come un imperatore che si incorona da solo. Subito, i serpenti si strinsero intorno al suo viso, accerchiandolo col loro orrendo brulichio. «Troppo forte!» si entusiasmò Jeff. «Che ne pensate del mio nuovo look, ragazzi?» Peggy fece un passo indietro e deglutì a fatica. Ora Jeff sembrava un mostro. «Somigli a Medusa, la Gorgone28!» esclamò Peggy. «Sei veramente brutto!» «Può darsi,» ribatté lui «ma mette nel panico chi mi guarda... è questo che conta. Credo di aver trovato una parte del mio costume, ragazzi! E non mi è costato neanche una goccia di sudore...»
Il branco si stava spazientendo: dovevano muoversi. Evidentemente i lupi non volevano restare nella prateria, là erano troppo esposti alle incursioni dell'unicorno. Desideravano ritornare al riparo della foresta dove gli alberi fornivano un nascondiglio discreto. «Ora tocca a me» dichiarò Naxos. «Sono l'unico a non avere ancora un equipaggiamento. Non posso andare avanti così.» «Cerca di essere prudente» lo supplicò Peggy. «Quell'unicorno ha l'aria dannatamente pericolosa. Non vorrei che ti succedesse qualcosa, io... ti voglio bene.» «Anch'io... ti voglio bene» sussurrò il ragazzo dai capelli d'oro distogliendo lo sguardo. Dietro di loro, Jeff ridacchiò spiacevolmente. Purtroppo, una volta nella foresta, i segni di pericolo si moltiplicarono. Il più impressionante fu uno scheletro umano che uno sperone d'avorio teneva inchiodato contro un albero da anni. Ancora una volta, il corno aveva trapassato l'uomo e il tronco con la potenza di un arpione lanciato dal cannone di una baleniera. Peggy sentì un brivido risalirle lungo la schiena. Voltandosi verso il cane blu gli disse: «Interroga i lupi, voglio sapere tutto su questo maledetto unicorno!» L'animale andò a parlare con il branco. A dispetto delle loro dimensioni e delle loro zanne, le belve erano preoccupate. Avevano affrontato il ragno gigante senza batter ciglio, ma evidentemente l'unicorno li terrorizzava e avevano una sola idea, ritornare sui loro passi per costeggiare quel territorio maledetto. Il cane raggiunse Peggy. «Ecco quello che ho saputo. Ti avverto, non è incoraggiante. L'unicorno è praticamente invincibile. È inutile scoccare una freccia contro di lui, perché rimbalzerebbe sulla sua pelle senza penetrarne la carne. Appena viene aggredito, diventa pazzo furioso e non molla più il suo avversario. È molto meglio non risvegliare la sua collera. Però, secondo i lupi, esiste un modo per vincerlo.» «Quale?» Domandò Peggy Sue piena di speranza. «Bisogna...» cominciò il cane blu «...bisogna accecarlo proiettandogli nell'occhio sinistro il riflesso del sole con uno specchio. Se si riesce ad abbagliarlo per tre secondi di seguito, si immobilizza come una statua. A
quel punto si può avvicinarlo senza pericolo.» Peggy si grattò la testa. Non ci si vedeva proprio a cercare di abbagliare un unicorno lanciato al galoppo con un semplice specchietto! A meno che... Ma sì! «Forse ho un'idea!» proclamò. «Salirò sul tappeto magico e sorvolerò la prateria. In questo modo mi sarà facile inseguire l'unicorno anche se si mette a galoppare. Dovrei riuscire ad abbagliarlo senza troppa fatica.» «Bell'idea,» concesse il cane «ma ora ci serve uno specchio. Ne hai uno?» «Ce n'era uno della mia attrezzatura di sopravvivenza,» si ricordò la ragazza «ma l'ho perso nella confusione. Sicuramente lo troveremo nello zaino di Naxos.» Fiera della sua idea, corse verso il ragazzo dai capelli d'oro, ma questi, nel sentire il piano, si accigliò. «Se uccido l'unicorno mentre è paralizzato» obiettò «non vale! Non lo avrò cacciato, avrò l'impressione di averlo assassinato nel sonno, sarebbe una vergogna! No, voglio batterlo lealmente, come un vero guerriero, con il mio arco e le mie frecce.» Peggy era sul punto di esplodere. Quella reazione era tipica di un ragazzo! «Le tue frecce non avranno alcun effetto su di lui!» replicò. «Rimbalzeranno, e a voler fare lo spaccone riuscirai soltanto a farti uccidere.» «Non importa!» si intestardì Naxos. «Non voglio barare!» «Che stupido!» esclamò Jeff. «Quel che conta è il risultato. Non siamo qui per fare gli eroi.» Peggy Sue cercò di convincerlo, ma Naxos non ne volle sapere. Con le lacrime agli occhi, la ragazza gli voltò le spalle. «Ti propongo di fare a meno del suo consenso» azzardò il cane blu. «Arrampichiamoci sul tappeto magico e lanciamoci alla ricerca della bestia senza attendere. Non abbiamo uno specchio, ma il fondo di una gavetta lucidata per bene farà al caso nostro.» Dopo aver strofinato una scodella di alluminio con un po' di sabbia, Peggy prese il cane blu sotto braccio e, dirigendosi verso il luogo dove aveva ormeggiato il tappeto volante, gli ordinò di scendere il più in basso possibile in modo da poterci salire senza troppa fatica. Il tappeto magico esitò, perché temeva di entrare in contatto col suolo, ma finì per obbedire. Fu così che Peggy, il cane e la scodella presero posto a bordo.
Appena furono in aria, la ragazza spiegò quello che voleva: «Sorvoleremo la prateria finché non scopriremo un unicorno. Poi, tu lo seguirai nei suoi spostamenti, e io cercherò di abbagliarlo spedendogli un riflesso di sole nell'occhio. Hai capito?» Tre ondeggiamenti percorsero la superficie del tappeto. Allora cominciò una strana corsa. Distesa sul bordo del tappeto, con la testa sporta nel vuoto, Peggy scrutava il paesaggio che scorreva sotto di lei. La cravatta del cane blu svolazzava al vento. Il viaggio avrebbe potuto essere piacevole, se i viaggiatori non avessero temuto di rotolare fuori bordo a ogni scossa. Finalmente, dopo un buon quarto d'ora di volo a zig-zag, il cane blu individuò un punto rosso all'orizzonte. Era l'unicorno che brucava l'erba medica. La sua lancia d'avorio s'innalzava sulla fronte, minacciosa. L'animale aveva le dimensioni di un cavallo da guerra29. «Non ha certo l'aria di una povera bestiola indifesa» commentò il cane. «Mi immaginavo invece qualcosa di grazioso, carino.» «Anch'io» disse Peggy. «Ha gli zoccoli che sembrano palle di cannone!» L'unicorno sollevò la testa e scrollò la criniera, infastidito dal tappeto volante che passava e ripassava sopra di lui. Emise un nitrito irritato e colpì il terreno con lo zoccolo, lanciando una zolla di terra a dieci passi di distanza. Distesa sul tappeto, con le dita contratte sulla gavetta splendente, Peggy si concentrò per intercettare un raggio luminoso e spedirlo dritto nell'occhio dell'unicorno. Questo, fiutando il pericolo, si lanciò al galoppo per la pianura, con un andatura dapprima pesante, e poi sempre più rapida. «Seguilo!» gridò Peggy rivolta al tappeto. «Seguilo!» Ma l'unicorno galoppava a zig-zag, costringendo il tappeto a correggere continuamente la sua traiettoria. Ogni volta che virava di bordo, Peggy e il cane blu rischiavano di essere scaraventati giù. «Sto per vomitare!» si lamentò l'animale. Mentre la ragazza cercava invano di catturare un raggio di sole, Naxos uscì dalla foresta e avanzò attraverso la pianura, brandendo l'arco. «Che stupido!» si spazientì Peggy. «Si ostina a fare il cacciatore, malgrado tutti i miei avvertimenti!» Gli gridò di ritornare al coperto, ma il ragazzo, sordo a quei consigli, tirò fuori una freccia dalla faretra e la incoccò sulla corda del suo arco da guerra. Sentendo che stava per accadere la catastrofe, Peggy tentò un'ultima
volta di abbagliare l'unicorno, ma senza riuscirci. Sentì lo schiocco secco della corda che vibrava, e il sibilo della freccia che fendeva l'aria. Naxos aveva mirato bene. La freccia colpì l'unicorno in pieno petto ma... rimbalzò come se avesse colpito un sasso! «I lupi hanno detto la verità» ansimò il cane blu. «Credevo che si trattasse di una leggenda.» Questa volta l'unicorno si immobilizzò, infastidito dal fatto che qualcuno avesse potuto mancargli di rispetto. Soffiò forte dalle narici e agitò la criniera, gli occhi puntati su Naxos. Il giovane arciere parve d'un tratto molto fragile, perduto in mezzo all'erba alta. «Non gli è piaciuto per niente» mormorò il cane blu. «Proprio per niente!» Allora accadde qualcosa di impossibile. La lancia d'avorio sulla fronte dell'unicorno si staccò per correre da sola in aria come un razzo! «Abbassati!» urlò Peggy rivolta a Naxos. Ma il ragazzo rimaneva impietrito, incapace di muoversi. Il corno si avvicinava a una velocità incredibile, mirando al cuore. Sicuramente lo avrebbe trapassato entro pochi secondi. Nel momento in cui tutto sembrava perduto, uno dei serpenti che Jeff aveva nella criniera si staccò, allungandosi come il tentacolo di una piovra, e si arrotolò intorno al corno, facendolo deviare dal suo bersaglio! Lo shock fu tale che Jeff perse l'equilibrio e venne trascinato sull'erba per più di venti metri. Comunque, era riuscito nel suo scopo! Senza il suo intervento, Naxos sarebbe stato colpito. «Devo ricredermi su di lui!» ansimò Peggy. «Dopo tutto, forse non è così cattivo come sembra.» «Non farti illusioni,» la corresse il cane blu «credo che più che altro abbia avuto voglia di farsi notare.» In basso, Naxos si stava riprendendo e, perseverando nel suo errore, incoccava già una seconda freccia sulla corda dell'arco. «Che stupido!» si spazientì il cane. «Non ha ancora capito che il suo metodo è sbagliato?» Peggy si sporse sul bordo del tappeto volante. Sbalordita, notò che un altro corno stava già ricrescendo sulla fronte dell'unicorno! Entro qualche secondo, sarebbe stato lungo quasi un metro... Cercando di dominare la sua paura, la ragazza afferrò il cavo di ancoraggio che il tappeto si trascinava dietro.
«Abbassati!» ordinò al tappeto magico. «Passa vicino alle orecchie di quella maledetta bestia, cercherò di acchiapparla con la fune.» E, facendo seguire il gesto alla parola, strinse abilmente un nodo scorsoio. Il tappeto obbedì. Puntando verso terra, passò a cinquanta centimetri dalla testa dell'unicorno, sfiorandogli la criniera. Peggy Sue ne approfittò per lanciare la corda, che andò ad annodarsi intorno al collo di quel favoloso animale. Purtroppo, la ragazza non aveva previsto che l'unicorno sarebbe rimasto ben saldo sulle proprie zampe, come un cavallo di bronzo sul suo piedistallo, e così la corsa del tappeto venne fermata di colpo quando la corda si trovò tesa al massimo. La frenata fu tale che il cane blu venne scaraventato fuori bordo. Peggy lo acchiappò al volo per la cravatta! L'unicorno, sempre più seccato, alzò allora la testa, puntando il tappeto volante. Il cane blu se ne accorse. «Taglia la corda!» gridò. «Per carità, taglia la corda, ci trascinerà di sotto! A questa distanza, non ci mancherà!» Peggy afferrò il coltello, tese le braccia nel vuoto e tagliò il filo di seta. Il tappeto riprese quota mentre il corno fendeva già l'aria sibilando. La ragazza lanciò un grido quando il giavellotto d'avorio trapassò la tela a pochi centimetri dal suo naso. Nei minuti seguenti, il tappeto proseguì la sua ascensione, così tanto che i suoi passeggeri persero di vista ciò che accadeva nella pianura. Quando cominciarono la discesa, Peggy rabbrividì. L'unicorno aveva ricominciato a brucare tranquillamente, disinteressandosi degli intrusi. Quanto a Naxos, non si muoveva più. Un corno lo teneva inchiodato a un albero. I suoi abiti erano rossi di sangue. 16 Il balsamo della rinascita Visto che era impossibile che il tappeto volante si posasse a terra e che il filo che serviva per scendere era stato tagliato, Peggy Sue e il cane blu dovettero saltare da un'altezza di circa due metri. La ragazza era così preoccupata che non ebbe neanche il tempo di aver paura. Per fortuna approdò a terra senza farsi male, e corse verso Naxos. Jeff era vicino all'albero, i pugni sui fianchi, scuotendo la testa con
commiserazione. «Si è comportato davvero come uno stupido» disse rivolto a Peggy. «Gli avevo detto di non usare l'arco. Ma ha voluto fare l'eroe... sicuramente per far colpo su di te. Che scemo!» Senza ascoltarlo, Peggy si avvicinò a Naxos. Un corno d'avorio lo teneva inchiodato contro un albero trapassandogli la spalla proprio sotto la clavicola. Aveva perso parecchio sangue, i vestiti erano tutti appiccicosi. «È... è morto?» balbettò Peggy. Pronunciando quelle parole, si rese conto che teneva a Naxos molto più che a un semplice amico. Ne fu turbata. Gli toccò la mano: era tiepida ma il ferito non reagì. «È spacciato» diagnosticò Jeff. «È ovvio che morirà dissanguato.» «Stai zitto!» urlò Peggy Sue. «Lasciami riflettere!» I lupi si erano radunati ai piedi dell'albero, fissavano la ragazza in attesa che prendesse una decisione. Forse speravano che avrebbe permesso loro di divorare il ragazzo dai capelli d'oro? «È vivo» intervenne il cane blu. «Ma la ferita è molto grave. Non basteranno un po' di alcool e una fasciatura per curarla. Abbiamo bisogno di un bravo chirurgo.» «Anche se lo riportiamo nel bunker, non sono certa che Loba sia in grado di aiutarlo» mormorò Peggy. «Il buco nella spalla è enorme... Non so proprio che cosa fare.» Le lacrime le rotolarono sulle guance senza che lei si preoccupasse di asciugarle. Il cane blu si agitò. «I lupi mi stanno dicendo qualcosa» disse. «Parlano di una fonte della vita da qualche parte nel Nord. Si tratta di una specie di fango vivente dalle virtù terapeutiche, in grado di curare anche le ferite più gravi. Dicono che alcuni di loro lo hanno usato. Se si ha una zampa tagliata, basta immergerla nella melma, che si infiltra nel taglio e rimpiazza la carne squarciata. Secondo loro, funziona abbastanza bene. Dicono che uno di loro era stato sventrato da un bufalo: lo hanno trascinato laggiù, gli hanno riempito la pancia di fango magico e due giorni dopo era come nuovo.» «Sembra fantastico!» esclamò Peggy. «Comunque non abbiamo altra scelta. Caricheremo Naxos sul tappeto volante e lo useremo come lettiga. Il branco dovrà solo indicarci la strada.» «D'accordo,» accettò il cane blu «vado ad avvisarli.»
'Staccare' Naxos dall'albero non fu una cosa semplice. Peggy e Jeff dovettero afferrare il corno d'avorio e tirare con tutte le loro forze. Per fortuna il ferito rimase incosciente, così evitò le sofferenze causate da quel trattamento rischioso. Quando lo stesero a terra, videro che la ferita alla spalla era seria. Il corno l'aveva trapassata da parte a parte, rompendo anche l'osso della scapola. Peggy improvvisò una medicazione sommaria con l'aiuto del kit di pronto soccorso trovato nello zaino di Naxos, ma non si faceva illusioni. La ferita necessitava di cure chirurgiche che non erano di loro competenza. Il tappeto accettò di abbassarsi fino a un metro dal suolo, così poterono caricarci il malato. Poi salì Peggy, seguita dal cane blu, ma rifiutò di prendere a bordo Jeff, perché non si fidava di lui. Il ragazzo lasciò libero sfogo alla propria collera. «Allora, secondo te, dovrei galoppare dietro i lupi?» disse indispettito. «Col cavolo, cara mia! Visto che è così, sbrogliatela da sola, rientrerò per conto mio: ci ritroveremo al collegio!» E, con la sua capigliatura di serpenti, brandendo il corno d'avorio come uno scettro, voltò le spalle al piccolo gruppo per addentrarsi nella foresta. «Lascialo andare,» consigliò il cane blu «non mi dispiace essermi sbarazzato di lui. Sono convinto che avesse intenzione di rubarci il tappeto.» Peggy Sue fece spallucce. Per il momento se ne infischiava di Jeff, aveva altre cose per la testa. Con un cenno della mano ordinò ai lupi di mettersi in cammino. Il branco puntò dritto verso nord. Il tappeto li seguì, fluttuando a tre metri dal suolo. Naxos cominciò a lamentarsi. Peggy toccò la fronte del ragazzo. Scottava. Se non avessero trovato al più presto la 'fonte della vita', sarebbe morto prima del tramonto. Fu uno strano viaggio; i lupi galoppavano ventre a terra per obbedire alla loro regina, Peggy se ne stava in ginocchio sul bordo del tappeto volante per scrutare l'orizzonte nella speranza di vedere finalmente apparire il magico luogo menzionato dai lupi. Nel giro di un'ora, le condizioni di Naxos erano peggiorate. Il ragazzo grondava sudore e balbettava parole senza senso. Sembrava prossimo a esalare l'ultimo respiro. D'un tratto i lupi urlarono, segnalando che erano arrivati a destinazione. Il tappeto sorvolava ora una zona rocciosa accidentata, un vero labirinto di pietre franate dove era difficile ritrovare la strada. In mezzo a quel paesaggio pietrificato, deprimente, si trovava la macchia verde di un'oasi. Peggy ordinò al tappeto di
scendere il più in basso possibile. Quindi saltò giù e cercò di sbarcare il corpo inerte di Naxos senza scuoterlo troppo, cosa che si rivelò difficile senza Jeff ad aiutarla. Il povero ferito si lasciò sfuggire dei gemiti di sofferenza, senza però riprendere conoscenza. «È davvero ridotto male» le fece notare il cane blu. «Credo che non ne abbia ancora per molto.» Dopo aver adagiato il ragazzo dai capelli d'oro all'ombra di un masso, Peggy si precipitò lungo il sentiero pieno di sassi che conduceva alla fonte. Dapprincipio credette che l'acqua fosse verde a causa della melma depositata sul fondo, ma, inginocchiandosi notò che non si trovava in presenza di un liquido ma di un lievito molle che ricordava la pasta del pane prima di essere cotto. La toccò con la punta delle dita e si rese conto che era tiepida, come un corpo umano... I lupi annuirono, per confermare che si trattava del balsamo della vita. «Sembra pasta frolla poco cotta» osservò il cane blu. «Fa venire fame.» Peggy fece un bel respiro profondo e, senza più riflettere, prelevò una grossa manciata di quella sostanza. Mentre ritornava verso Naxos, la strana materia si agitò nel suo palmo. Sembra viva, pensò. Viva, ma senza una forma definita... Si inginocchiò accanto al ferito e, dopo aver tolto la benda, cominciò a spalmare la sostanza misteriosa sulla piaga, come un muratore quando tappa una fessura con il mastice. Sperava con tutta se stessa che quel rimedio funzionasse, perché si era affezionata molto a Naxos e non voleva perderlo. «Ecco qua» disse con voce tremante. «Non posso fare altro.» «Ora bisogna aspettare» la incoraggiò il cane blu. «E fidarci dei lupi. Quelle bestie sanno di che si tratta, conoscono meglio di noi le risorse della giungla marziana.» Peggy ridiscese verso lo stagno, impaziente. Stanchi dopo la lunga corsa, i lupi si erano distesi al sole e sonnecchiavano. La ragazza e il suo compagno a quattro zampe si sistemarono all'ombra di una roccia a contemplare l'oasi. Di tanto in tanto, misteriose onde agitavano la superficie della sostanza verde. «Sembra che abbia la pelle d'oca» mormorò il cane. «Rabbrividisce quando si alza il vento.» Cedendo a un impulso improvviso, Peggy si sporse sopra lo stagno e prelevò una manciata di lievito che cominciò a indurirsi, come se si trattasse di pasta da modellare.
«Che stai facendo?» chiese il cane. «Ancora non lo so» mormorò Peggy, indaffarata. «È solo un'idea...» In cinque minuti era riuscita a creare una figurina a forma di uomo. Sembrava un pupazzo modellato da un bambino di cinque anni, ed era così maldestramente eseguito che non aveva nessuna possibilità di vincere nemmeno il più piccolo premio in un concorso di scultura. Il cane blu trasalì. «I lupi mi stanno dicendo che, se vuoi animarlo, devi concentrarti su di lui.» «Animarlo?» ripeté Peggy Sue. «Sì, dicono che si può dare la vita a una figurina toccandola mentre si pensa intensamente a ciò che si desidera. Dicono che loro stessi procedono così quando muoiono di fame. Vengono qui, prendono un pezzo di quella pasta in bocca e immaginano che si trasformi in un coniglio. Dopo qualche istante, il lievito diventa davvero un coniglio... allora lo mangiano.» Peggy sgranò gli occhi. Un'idea che non voleva approfondire cominciò a farsi strada in un angolo nascosto della sua mente. Posò la mano sull'omino di pasta e, chiudendo gli occhi, si concentrò sull'immagine di un folletto dalle orecchie a punta. Un folletto, si ripeteva, un folletto come ce ne sono nei racconti di fate. Un folletto... Trascorsero dieci minuti, poi, improvvisamente, la figurina fremette sotto le sue dita, prendendo vita. Attese ancora un minuto prima di aprire gli occhi. Il pupazzo si era seduto... girava la testa in ogni direzione e muoveva leggermente le braccia, come se fosse vivo. Il viso era tratteggiato male, ma si distinguevano le orecchie a punta e l'accenno di un naso. Stupefatta, Peggy aprì la mano, liberando quell'incredibile creaturina che si raddrizzò muovendo qualche passo esitante. «Non credo ai miei occhi!» farfugliò il cane blu. «Hai appena modellato un essere vivente... Ma guarda un po'! Funziona davvero! Non ha un aspetto umano, ma cammina come un neonato!» Il folletto fece ancora tre passi, poi inciampò e rotolò tra i sassi. Aveva appena toccato terra che cominciò a perdere le sue forme. Trenta secondi più tardi, aveva ripreso l'aspetto di una massa di fango. «I lupi dicono che non ti sei concentrata abbastanza mentre lo creavi» spiegò il cane blu. «Se non si pensa intensamente a ciò che si vuole ottenere, l'effetto magico non dura. Ho un'idea... Perché non ricominci concentrandoti intensamente su un pollo? Ho fame. Mangerei volentieri un pollo.
E poi, in questo modo, potrei dirti che sapore ha questo lievito. È interessante, no? Sarebbe un esperimento scientifico.» Peggy non si lasciò commuovere. Era un po' spaventata dai poteri del balsamo della vita e non aveva intenzione di usarlo per fabbricare panini per cani troppo golosi. Trascorse un'altra ora. Naxos sembrava migliorare, la febbre si stava abbassando e aveva smesso di delirare. Una specie di tessuto cicatriziale30 verde si era formato sulla ferita. Sta guarendo, constatò Peggy con grande sollievo. La pasta magica sta rimpiazzando gli organi distrutti dal corno d'avorio. È fantastico! Rincuorata, tornò a sedersi accanto al cane blu. Stava scendendo la notte, si divisero le ultime provviste e si sistemarono per dormire. La ragazza sprofondò in un sonno popolato da strani sogni. Si svegliò di soprassalto, verso mezzanotte. Intorno a lei, gli animali dormivano, il muso appoggiato sulle zampe. Tutto era tranquillo. Si sedette, convinta che non sarebbe più riuscita a chiudere occhio per tutta la notte. Si sentiva nervosa. L'idea che le aveva attraversato la mente nel pomeriggio era tornata a tentarla nei sogni. Un'idea folle, stupida. Una di quelle idee che bisogna sbrigarsi a dimenticare se si vuole evitare di commettere una sciocchezza. Aveva qualcosa a che fare con il balsamo della vita e... Sebastian. Facendo attenzione a non svegliare i suoi compagni, Peggy si inginocchiò sul bordo dello stagno e cominciò a pescare una grande quantità di pasta, che dispose per terra sforzandosi di dargli una forma vagamente umana. Non era certo portata per la scultura, ma aveva poca importanza perché, secondo i lupi, l'aspetto definitivo del pupazzo dipendeva soprattutto dalla concentrazione mentale del suo esecutore. Sto facendo una sciocchezza, si disse senza riuscire però a fermarsi. Sì, proprio una grossa sciocchezza! Quando ebbe finito di abbozzare la statuina di fango verde, gli posò una mano sulla fronte, chiuse gli occhi e si concentrò con tutte le sue forze sull'immagine di... Sebastian. Quell'immagine era così viva nella sua mente che non aveva bisogno di sforzarsi troppo per visualizzarla. Si ricordava benissimo anche il più piccolo dettaglio del suo viso, il più piccolo dei suoi nei. Niente di più normale, aveva passato così tanto tempo a contemplarli! Non contenta di ricordarsi Sebastian, lo immaginò 'migliore'... Così come avrebbe voluto che fosse, ovvero più gentile, fedele, incapace di tradi-
mento. Soprattutto, si sforzò di rappresentarlo più felice, più dinamico, libero una volta per tutte da quella tristezza disincantata che aveva rovinato il loro rapporto e che era il risultato dei lunghi anni che il ragazzo aveva trascorso prigioniero del miraggio31. Questa volta voleva un Sebastian della sua età, che avesse veramente quattordici anni! Un ragazzo del quale avrebbe condiviso l'entusiasmo e la gioia senza dover dire ogni volta: devo sembrargli un'ingenua, si annoia con me, me ne accorgo. Lui ha già vissuto tutto questo molto tempo fa, non lo diverte più, ha superato questa fase da sessant'anni ormai. Tremava, e il sudore le scorreva lungo le tempie. Nel suo palmo, la fronte dell'omino di pasta verde diventava sempre più bollente. Cullata da una valanga di immagini e ricordi, finì per perdere la nozione del tempo. D'un tratto, si rese conto di quello che stava facendo e si allontanò dalla statuina con orrore. Sono pazza! si disse, nascondendosi il viso tra le mani. Sono completamente pazza! Per fortuna non funzionerà. Si allontanò in fretta dallo stagno per raggomitolarsi ai piedi della roccia, vicino al cane blu. Si vergognava di quello aveva cercato di fare. Era assurdo, mostruoso, ma aveva così tanta nostalgia che non aveva saputo resistere alla tentazione. Non poteva farci niente, era stato più forte di lei, più forte di tutto... Si mise a singhiozzare e finì per addormentarsi, sfinita per aver pianto troppo. Il cane blu la risvegliò all'alba tirandola per il colletto del vestito. La sua voce esplose, violenta, nella mente della ragazza. Che hai combinato? Corpo di una salsiccia atomica! Hai perso la ragione, per caso? Peggy si tirò su sbadigliando, le palpebre ancora appesantite dal sonno. «Che c'è? Che succede?» balbettò. «Questo!» urlò il cane. «Questo... questo coso!» Peggy si mise seduta. D'un tratto, le tornò in mente ogni cosa, sgranò gli occhi e lanciò un grido di sorpresa. Sebastian se ne stava coricato a terra, accanto allo stagno! Un Sebastian tutto nudo, con la pelle di uno strano colore verdastro, ma i cui tratti, gli arti, il petto erano perfettamente formati. Questa volta non si trattava più di un abbozzo mal riuscito: Peggy si era concentrata così bene sui suoi ricordi che l'impasto magico aveva fabbricato una replica perfetta
dell'originale. Troppo perfetta, forse... «Lo hai idealizzato!» la rimproverò il cane blu. «Il vero Sebastian non era così bello! Avrei dovuto accorgermene quando ti ho visto modellare quella statuina, ieri... Avevi già in mente questa idea, non è vero?» Peggy Sue abbassò lo sguardo, mortificata. «Ho ceduto a un attimo di follia. La tentazione era troppo forte.» «Che cosa ne facciamo adesso di questo affare?» si lamentò il cane blu. «Forse sarebbe più saggio lasciarlo divorare ai lupi.» «Non se ne parla neanche!» urlò Peggy alzandosi. «Ho bisogno di lui! Rappresenta la mia unica possibilità di non morire di tristezza. Voglio guardarlo... nell'attesa.» Non sapeva più che cosa diceva. Ricominciò a piangere. I lupi la osservavano senza capire. Alcuni si leccavano il muso, credendo che avesse realizzato quel formidabile 'pasto' per loro, per ringraziarli di averla guidata fino alla fonte miracolosa. «Va bene, va bene...» mormorò il cane, dispiaciuto di vedere la sua amica sciogliersi in lacrime. «Quel che è fatto è fatto. Continueremo insieme a lui. Se si risveglia. Può darsi che faccia come il fantoccio di ieri, che si trasformi in una pozza di fango dopo aver mosso qualche passo.» Mi meraviglierebbe, si disse Peggy, ci ho pensato così intensamente, con troppo amore. Sicuramente gli ho trasmesso una grande energia. Abbastanza potente comunque per alimentare l'elettricità di un'intera città per un secolo! Si avvicinò timidamente al doppione di Sebastian. La pelle verde era decisamente sorprendente, ma ci si sarebbe abituata. Radunando tutto il suo coraggio, toccò il 'ragazzo' su una spalla. Questi trasalì e aprì gli occhi. Anche le sue pupille erano verdi. «Ciao...» mormorò scioccamente. Il doppione la guardò, sorrise, ed emise un suono senza significato. «Oh! Ma certo... Ho capito tutto!» esclamò il cane blu. «Che cosa?» si spazientì Peggy. «Cosa?» «Non lo vedi?» insisté il cane blu. «È soltanto un corpo! Un involucro... non ha niente nella testa. Non sa neanche parlare! È come un bambino. Il suo cervello è un hard disk non formattato. Non c'è niente dentro! Il primo moscerino che passa è probabilmente più intelligente di questa creatura scadente!»
Peggy aggrottò la fronte. Il suo istinto le diceva che il cane blu aveva ragione. Nei minuti seguenti, cercò di stabilire un dialogo con il ragazzo, ma questi non seppe rispondere altro che 'Gaa... buu... gaa...' senza smettere mai di sorridere. Bisognava comunque ammettere che aveva davvero un gran bel sorriso. È più bello del vero Sebastian, confessò Peggy a se stessa. È più vivace, in lui c'è più vita. «Ebbene, tesoro mio,» disse accarezzando la guancia del clone «se non sai parlare, imparerai, ecco tutto!» «Che stai dicendo!» protestò il cane. «Gli darai delle lezioni? Sto sognando! Vuoi dire che apriremo una scuola primaria nel bel mezzo della giungla e tu sarai l'insegnante?» «Proprio così!» replicò Peggy Sue, decisa a non lasciarsi avvilire. I lupi, intuendo che non gli avrebbero lasciato divorare il nuovo arrivato, si erano accucciati, indifferenti. Peggy si rialzò. D'un tratto, misteriosamente, si sentiva più forte. Pervasa da una nuova energia. Si recò da Naxos e constatò che stava migliorando. Non aveva più la febbre, e della sua tremenda ferita rimaneva soltanto una piccola macchia verde sotto la clavicola. La sostanza magica aveva effettuato le sue 'riparazioni'. Il ragazzo dai capelli d'oro aprì gli occhi. «Che cosa è successo?» domandò. «Mi ricordo soltanto il dolore, quando il corno mi ha trafitto inchiodandomi all'albero... Credevo di essere morto.» «C'è mancato poco» mormorò Peggy. «Senza i lupi, non saresti più tra noi.» E gli raccontò della fonte della vita. Naxos si riaddormentò prima che finisse la storia, era ancora molto debole. Peggy ne approfittò per voltarsi verso Sebastian, che il cane blu stava esaminando con molta diffidenza. «Ho sondato la sua mente» annunciò. «Non so che pensare. Non ha cervello nel senso stretto del termine, ma c'è qualcosa... Una specie di presenza, di energia. Sembra molto potente. Un po' come un super computer sul quale non è ancora stato installato nessun software. Non può fare niente, ma quando sarà finalmente accessoriato, farà faville... se capisci ciò che voglio dire.» Peggy annuì. Accarezzò la guancia del ragazzo con la punta delle dita, e immediatamente lui fece la stessa cosa con lei. «Visto che non lo faremo mangiare ai lupi,» disse il cane blu «propongo di chiamarlo Seb... anzi Zeb, per distinguerlo dall'altro.»
«Va bene,» approvò Peggy Sue «vada per Zeb.» Fece un grande sforzo per distogliersi dalla creatura, perché sarebbe potuta rimanere per ore a contemplare la sua opera. «Riposiamoci» decise. «Riprenderemo il cammino quando Naxos si sarà rimesso in sesto.» «Okay, ma non approfittarne per costruire un altro coso!» Naxos dormì tutto il giorno e Peggy ne approfittò per occuparsi di Zeb. All'inizio gli confezionò degli abiti rudimentali con i vestiti forniti da Loba. La creatura non oppose alcuna resistenza per farsi vestire. Finalmente, pensò la ragazza, è come giocare con le bambole... Poi cominciò a insegnargli un vocabolario di base: io, tu, Zeb, Peggy Sue, cane blu, lupi... Fu sorpresa di notare che il ragazzo ricordava al primo colpo tutto quello che gli diceva. In un'ora aveva già imparato a memoria più di duecento parole e non sbagliava mai a usarle. «Incredibile!» esclamò il cane. «Di questo passo saprà parlare normalmente entro due giorni! Questo coso è una carta assorbente.» «Non chiamarlo 'questo coso'» si arrabbiò Peggy. «Ha un nome! Si chiama Zeb.» «Peggy! Peggy!» intervenne l'animale. «Non lasciarti coinvolgere troppo da questa storia... Per favore! Non ti stai rivolgendo al vero Sebastian, non dimenticarlo mai. Questo affare non è umano. Non sappiamo neanche che cosa sia realmente né se è capace di provare sentimenti.» «Comunque sorride!» «Sorride perché tu desideri che lo faccia! Questa creatura è una marionetta della quale tiri i fili col pensiero. Non te ne rendi conto, ma lui ti obbedisce. Sei tu che lo manovri, a tua insaputa. Non ha il libero arbitrio32.» «Che ne sai tu?» esclamò Peggy Sue. «Non ne sai un bel niente!» Rendendosi conto che non serviva a nulla discutere, il cane si accucciò in un angolo col muso sulle zampe. La ragazza, invece, riprese la sua lezione di vocabolario. Sapeva di essere in malafede e che l'animale aveva ragione a metterla in guardia contro un entusiasmo eccessivo. Dopo tutto, pensò, forse anche lui si scioglierà come il primo omino che avevo modellato. E allora non mi resterà altro da fare che piangere. Non devo attaccarmi troppo a lui... non ancora. Quando scese la notte, Zeb era capace di esprimersi quasi correttamente. Aveva però uno strano accento, indefinibile: si sarebbe potuto scambiare
per uno svedese. «Per essere uno straniero nel nostro mondo lo è...» sospirò il cane blu. Peggy allora volle insegnargli a stare in piedi e poi a camminare. Anche in questo caso, i progressi del clone furono di una rapidità allucinante. «Comunque» concluse Peggy «non ci rallenterà! Se gli chiedi di correre, sono sicura che galopperà veloce come un cavallo.» «È strano,» ragionò il cane «mi stavo chiedendo se, per caso, non hai fabbricato un vero supereroe. Voglio dire, una creatura onnipotente che non avrebbe bisogno di nessun costume particolare per esercitare la sua professione... Credo che il tuo Zeb non abbia finito di stupirci.» «E poi è gentile...» sorrise la ragazza carezzando una volta ancora la guancia del suo protetto. «Almeno fa' che non ti sorprenda a baciarlo!» grugnì il cane. «Sarebbe troppo!» «Ma certo che no!» esclamò Peggy arrossendo. «Ti assicuro che non ci avevo neanche pensato.» «Bugiarda!» ribatté il cane blu. «Bugiarda che non sei altro!» Scese la notte a mettere fine alla discussione. L'indomani Naxos riprese conoscenza. Era guarito. Riuscì ad alzarsi senza il minimo dolore. «Che strano,» osservò «mi sembra di riuscire a muovere il braccio meglio di prima!» Si irrigidì vedendo Zeb seduto su una pietra che gli sorrideva. «Chi è quel tipo?» domandò rivolgendosi al cane blu. «Il nuovo protetto di Peggy Sue» sospirò l'animale. «Sarebbe troppo lungo da spiegare. Consideralo come un pesce rosso che fa un corso di pratica nel mondo degli umani.» «Un pesce rosso?» «Sì, credo che il paragone calzi a pennello. Si trova dentro un barattolo. Un barattolo invisibile. Ci osserva senza capire che cosa facciamo. È anche possibile che entro due giorni si trasformi in un ammasso di gomma da masticare... Si accettano scommesse.» «Secondo me sei impazzito!» borbottò Naxos. Si avvicinò a quindi a Zeb per parlargli, ma l'altro si accontentò di sorridergli e non rispose a nessuna delle sue domande. «È inutile insistere,» sbadigliò il cane «parla solo con Peggy, è lei che lo ha ammaestrato. Ti ci dovrai abituare. Non sappiamo neanche che cosa
mangia... Magari questo coso neanche mangia, chi lo sa.» «Che razza di storia!» mormorò Naxos disorientato. 17 Complotti nella giungla Non ci volle molto a Naxos per scoprire che il braccio ferito, sotto l'influsso della sostanza verde, aveva acquisito una forza sovrumana. Ormai era capace di sollevare carichi straordinariamente pesanti e di lanciare sassi a distanze incredibili. Quando il suo 'proprietario' dormiva, il braccio montava di guardia provvedendo alla sua sicurezza. Infatti, per due volte strangolò dei serpenti velenosi che cercavano di strisciare nel letto del ragazzo dai capelli d'oro. «Posso stritolare una pietra tra le dita!» proclamò Naxos. «E se metto una mano sul fuoco, non mi brucio. Credo che rinuncerò a cercarmi un costume da supereroe. Mi basta questo braccio.» «Allora possiamo tornare indietro» disse Peggy Sue. «È inutile correre altri rischi. Tutto sommato, non ci è andata male. Tu hai questo nuovo braccio, io ho il tappeto volante, i lupi... e Zeb. Diablox non potrà dire che torniamo a mani vuote, anche se quest'armamentario non è un costume vero e proprio.» «Speriamo che non cominci a sottilizzare su questo punto...» sospirò Naxos. «Che cos'è 'sottilizzare'?» domandò Zeb. Naxos, infastidito, alzò gli occhi al cielo. Zeb aveva il vizio di interromperli cento volte al giorno per chiedere il significato di una parola: era come se camminassero insieme a un bambino di quattro anni. Il ragazzo dai capelli d'oro non era stupido. Aveva subito indovinato che tra Peggy Sue e Zeb esisteva uno strano legame. E ne era un po' geloso. «Insomma, si può sapere chi è questo tizio?» domandò al cane blu. «Peggy passa tutto il tempo a guardarlo con occhi da pesce lesso. Da dove salta fuori? Se ho capito bene, è una specie di mutante, giusto?» L'animale si sforzò di soddisfare la curiosità del ragazzo senza scendere troppo nei dettagli. Si limitò a spiegare che Zeb ricordava a Peggy il suo ex ragazzo... «Già, già...» annuì Naxos, convinto che gli stesse nascondendo dell'altro. Durante il viaggio, Zeb diede prova di straordinarie capacità. Quando voleva cogliere un frutto per offrirlo a Peggy, non si arrampicava sull'albe-
ro, ma spediva una mano a farlo al posto suo! La sua mano si staccava dal polso, come un ragno, e si arrampicava lungo il tronco per afferrare il frutto in questione, che poi lanciava nel vuoto. Terminato il suo lavoro, tornava saggiamente a incastrarsi al polso che aveva abbandonato un istante prima. Era uno spettacolo davvero sorprendente. In effetti, il corpo di Zeb, sprovvisto di ossa e organi, era modellabile a piacere. Per divertire i suoi nuovi amici, una sera, intorno al fuoco, si tagliò il mignolo della mano sinistra con un coltello, lo afferrò e cominciò a plasmarlo per dargli la forma di un cane in miniatura che scodinzolò tra l'erba lanciando minuscoli guaiti. Appena terminato il suo numero, la figurina magica riprese il suo aspetto di dito amputato; Zeb allora lo raccolse e se lo riattaccò come se niente fosse. Faceva spesso il pagliaccio, per divertire i suoi compagni di viaggio. «Credo che non abbia una forma precisa» dichiarò il cane blu. «Mantiene l'aspetto di Sebastian per farti piacere, ma in realtà non è altro che un impasto vivente. Se gli ordinassi di trasformarsi in una bicicletta, lo farebbe immediatamente.» Peggy alzò le spalle, respingendo quell'idea. Voleva continuare a cullarsi nell'illusione di aver ritrovato Sebastian, un Sebastian gentile, premuroso, sempre di buon umore; un Sebastian che non le avrebbe procurato mai il minimo dispiacere. Zeb aveva tutte queste qualità. Doveva soltanto abituarsi al fatto che non era umano, ma in fondo nessuno è perfetto, come dice il proverbio. «Dovremmo soprannominarlo 'il Modellista pazzo'» grugnì Naxos, che non mollava. «O magari 'la Plastilina vivente'... Come si fa a innamorarsi di un pezzo di gomma!» A parte Zeb, erano tutti preoccupati all'idea di dover attraversare di nuovo il territorio delle pecore invisibili, ma queste, ricordandosi la memorabile disfatta subita nel loro ultimo scontro, si tennero prudentemente lontano dal gruppo. Un giorno, mentre Peggy Sue si era addentrata nella foresta in compagnia di Zeb per raccogliere un po' di frutta, assistette a un curioso spettacolo. Zeb si rivelava sempre molto utile appena si trattava di trovare qualcosa da mangiare, poiché sapeva istintivamente dove scovare verdure commestibili. E per quanto queste cercassero di morderlo o di sparargli sul viso una raffica di semi di ferro, lui le raccoglieva senza indietreggiare. Inoltre,
i morsi sparivano dalla sua pelle in tre secondi. Niente sembrava poterlo ferire. Se gli sparassero addosso, pensò la ragazza, i proiettili rimbalzerebbero toccandolo! D'un tratto, il ragazzo s'irrigidì, come se avesse notato qualcosa di anormale. Si portò l'indice sulle labbra per invitare Peggy a fare silenzio e, attirandola a sé, la costrinse a nascondersi sotto una cortina di liane. La ragazza non protestò. Non le dispiaceva poi tanto ritrovarsi stretta contro il suo strano amico. Distratta dalla novità di quella situazione, non notò subito che qualcuno si stava avvicinando. Trattenendo il fiato, riconobbe uno degli studenti del collegio, un ragazzo di nome Jack, al quale non aveva mai rivolto la parola perché faceva parte della banda di Jeff. Jack avanzava a testa alta, esaminando gli alberi con il binocolo. I suoi abiti erano a brandelli, ma lui sembrava in eccellente forma fisica. Si fermò, si lasciò ricadere il binocolo sul petto e si guardò intorno come se volesse assicurarsi che nessuno lo stesse osservando. Il suo viso aveva un'espressione tesa, quasi malvagia, la bocca una piega dura. Non ci ha visti, pensò Peggy. Che combina? Si direbbe che prepara un brutto tiro. Si rese conto tutto a un tratto che Jack, anche se molto più piccolo di lei, le faceva paura. Da quel ragazzino di dieci anni proveniva una strabiliante sensazione di minaccia. Credendosi solo, Jack si sfilò gli abiti per posarli su un sasso. Quando non ebbe addosso nient'altro che uno slip elasticizzato, cominciò a tremare dalla testa ai piedi. Era come se il suo corpo si scomponesse. Durò un minuto buono, poi Jack cominciò a crescere... Peggy Sue per poco non lanciò un grido, ma fortunatamente la mano di Zeb la trattenne in tempo. Jack, intanto, continuava a crescere. Ora aveva le dimensioni e l'aspetto di un uomo di trent'anni. Le braccia e le gambe erano due volte più lunghe rispetto a un attimo prima. Allora Peggy si ricordò le parole di Kazor e di Zooar, i direttori del collegio: «Non tutti gli studenti che si trovano tra queste mura sono realmente dei bambini. Alcuni di loro sono creature malvagie travestite da bambini. Dovrai tenere gli occhi aperti. Non fidarti di nessuno. Se i nostri nemici scoprono che lavori per noi, cercheranno di eliminarti. Il loro obiettivo è la distruzione pura e semplice di questo collegio e l'annientamento dei supereroi. Una volta estinto l'ultimo dei supereroi, più nessuno potrà mettersi sulla loro strada, e avranno allora via libera per dominare il mondo.»
Allora li aveva creduti pazzi, ma ora sapeva che dicevano la verità. Jack faceva parte di quella legione segreta, e lei gli era stata accanto senza mai sospettare la sua vera identità. Quante di queste creature si erano infiltrate nel collegio? Intanto, Jack stava frugando nello zaino. Ne tirò fuori un coltello affilato come un rasoio che usò per incidersi il polpaccio dall'alto verso il basso. Ancora una volta, per poco Peggy non tradì la sua presenza gridando. Jack, che chiaramente non provava alcun dolore, immerse la mano nella ferita appena aperta, e ne tirò fuori una piccola scatola quadrata che si affrettò a sotterrare ai piedi di un albero. Quando si rialzò, il taglio alla gamba si era già richiuso. Ricominciò allora a tremare e il suo corpo si rimpicciolì fino a riprendere le proporzioni che aveva prima di trasformarsi. Quindi Jack si rivestì, riprese lo zaino e si allontanò. Era ridiventato un bambino di dieci anni. «Quelli della tua razza sono tutti così?» domandò Zeb quando furono di nuovo soli. «Possono scegliere l'età che desiderano avere? Essere un bambino, un adulto o un neonato, a scelta? È divertente.» Peggy dovette spiegargli che si sbagliava: Jack non era umano. «Forse è un extraterrestre, o un mago» mormorò. «Non lo so esattamente. Usa il suo corpo come un travestimento. Perché ha sotterrato quella scatoletta ai piedi dell'albero?» Si inginocchiò e scavò con la punta delle dita. Non dovette faticare molto per trovare l'oggetto in questione. Una scatola blu, di un materiale sconosciuto, un misto di acciaio e plastica, senza scritte né bottoni... Un oggetto misterioso. «Hai idea di cosa può essere?» domandò Peggy a Zeb. «È cattivo» rispose il ragazzo aggrottando le sopracciglia per manifestare la sua inquietudine. Copiava le sue espressioni da quelle di Peggy ma, controllandole male, aveva la tendenza a esagerarle, cosa che gli dava spesso l'aspetto di un clown. «Cattivo in che senso?» insisté Peggy. Zeb alzò le spalle con tanta forza che, se avesse avuto uno scheletro interno, si sarebbe slogato le clavicole. «Cattivo» ripeté. «È contro la vita. Non bisogna toccarlo. Potrebbe contaminarti.» Peggy mollò subito il cubo e si pulì le dita con un ciuffo d'erba. Nonostante tutto, non si sentiva tranquilla all'idea di abbandonare quella cosa. «Vieni» la esortò Zeb «non restiamo qui. Avverto delle vibrazioni nega-
tive. Gli alberi non sono contenti.» «Gli alberi?» «Sì, non ci amano. Quando hai toccato la scatola, hanno pensato che la volessi rubare, e questo li ha resi furiosi. Quella scatola appartiene a loro. L'uomo-bambino l'ha portata per loro. Credo che sia un regalo. Cibo.» «Cibo?» «Sì, ne sono molto golosi. Lo aspettavano da molto tempo. Vieni, andiamocene, o ci faranno del male. Credono che mangerai la scatola al posto loro.» Afferrando Peggy per un polso, la costrinse a seguirlo. La ragazza gli andò dietro senza capire. Che senso aveva tutto questo? Tornata all'accampamento, si affrettò a raccontare ai suoi amici quello che era accaduto nella foresta. Il cane blu le annusò le dita, quelle che avevano toccato la scatola. «Odorano di terra, di concime» diagnosticò. «Niente di straordinario. Le mani di un giardiniere avrebbero lo stesso odore. Pensavo che si trattasse di esplosivo o qualcosa di simile, ma non è niente del genere. Strano.» «Perché un pacchetto di concime dovrebbe essere pericoloso?» si meravigliò Peggy Sue. «Zeb sembra considerarlo una vera bomba a orologeria.» «Non bisogna dare troppa importanza a quello che dice» intervenne Naxos. «È un babbeo.» Per quanto lo supplicassero, Zeb rimaneva sul vago, accontentandosi di ripetere 'Cattivo, cattivo'. Pronunciando queste parole, alzava le spalle stirando le articolazioni e faceva delle smorfie che avrebbero terrorizzato una colonia di vampiri. «Non lo so spiegare,» sospirò infine «non conosco le parole.» Dovettero accontentarsi di quella spiegazione. «Ve l'ho detto,» borbottò Naxos «è proprio un babbeo.» Grazie al fiuto del cane blu, ritrovarono senza problemi la strada del bunker. Loba, che era occupata a raccogliere (catturare sarebbe più appropriato!) i frutti necessari alla sopravvivenza dei naufraghi, li vide arrivare da lontano e si raddrizzò schermandosi gli occhi con una mano per osservarli. La presenza dei lupi la rese subito nervosa; quanto a Zeb, il suo istinto le
suggerì che non era un essere umano. «Eccovi qua» disse quando furono a portata di voce. «Formate davvero una strana compagnia!» Peggy cercò di rassicurarla raccontandole le loro avventure. «Ho un problema con il tappeto volante» concluse. «Non può toccare terra, così vola sempre sopra la mia testa e lo si vede da lontano. Quando tornerò nel mondo normale, non passerà inosservato.» «Già...» rifletté Loba. «Credo che si possa rimediare cospargendolo di un liquido magico. Così avrà l'aspetto di un vestito qualunque e si avvolgerà addosso a te come un cappotto o un impermeabile. Riprenderà il suo aspetto di tappeto solo quando sarà necessario.» «Perfetto!» approvò Peggy Sue. Con la fronte aggrottata, Loba si avvicinò a Naxos per toccare la chiazza verde che gli macchiava la spalla ferita. «Oh!» esclamò. «Avete fatto ricorso al potere del balsamo della vita.» «Sì, sennò sarei morto. Peggy mi ha salvato.» La giovane guerriera face una smorfia. «Spero per te che funzioni» borbottò. «Il balsamo della vita è instabile, piuttosto lunatico, non si sa mai quello che gli passerà per la 'testa'. Ho conosciuto un tizio che lo aveva usato dopo essere stato ferito da un unicorno, si è trasformato in un cinghiale e non ha mai ripreso la sua forma umana.» Lasciando Naxos, Loba si avvicinò a Zeb che le stava sorridendo. «E questo...» mormorò «che cos'è? È un modellino, evidentemente. Chi ha commesso l'idiozia di fabbricare un golem33?» Peggy Sue abbassò lo sguardo, mortificata. «Si tratta di imbecillità pura!» insisté la guerriera. «Nessuno può prevedere che cosa diventerà questo ragazzo... È praticamente immortale. Se comincia a fare del male, sarà impossibile sbarazzarci di lui. Nessuna arma riuscirà ad abbatterlo.» «Non è cattivo» intervenne Peggy. «Lo spero per te» borbottò Loba. «Per ora torniamo al sicuro.» Non sembrava di buon umore. I lupi restarono fuori, a fare la guardia. Immediatamente cominciarono a frugare tra i cespugli per scovare qualcosa da mangiare. I ragazzi e il cane blu seguirono invece Loba nel bunker. Laggiù, i naufraghi della savana erano pigramente riuniti nella sala co-
mune, come al solito. Salutarono appena i nuovi arrivati. Nessuno manifestò la minima curiosità, sembravano disinteressarsi di ciò che accadeva all'esterno. Peggy Sue ebbe l'impressione che molti di loro fossero ubriachi. Senza dubbio cercavano di dimenticare le loro angosce bevendo quell'acquavite artigianale che distillavano con i frutti raccolti nella giungla. Le fecero pena. Avrebbero continuato a piagnucolare sulla loro sorte fino alla fine della loro esistenza? Peggy, Naxos e il cane blu si misero a tavola per condividere il pranzo con tutta la comunità. Zeb non toccò cibo; non ne aveva bisogno. Si accontentò di osservare gli umani ridacchiando, come se quello fosse uno spettacolo esilarante. Chinandosi verso Peggy, le bisbigliò in un orecchio: «Perché mettete queste cose dentro i vostri corpi? Per ritrovarle più tardi? La vostra pancia è una specie di tasca, è così? La riempite con oggetti di cui avrete bisogno... Se è così, anziché ammassarci queste verdure, fareste meglio a riporvi arnesi di prima necessità: coltelli, lampade, bussole.» Un po' imbarazzata, Peggy cercò di spiegargli che si sbagliava nella sua interpretazione. Loba scosse la testa con disapprovazione. «Andrai incontro a grossi guai» dichiarò. «Non c'è posto per lui oltre le mura del secondo piano, non dovresti portarlo nel mondo reale.» «Non lo abbandonerò!» si ribellò Peggy. E per cambiare argomento, si affrettò a raccontare lo strano spettacolo al quale aveva assistito nella foresta. Il bambino che si trasformava in adulto, il polpaccio tagliato, la scatola blu sotterrata ai piedi dell'albero... Sentendo questa storia, Loba impallidì. «È grave,» balbettò «vuol dire che sta per accadere qualche sciagura.» I ragazzi si scambiarono sguardi interrogativi. «Perché?» domandò Peggy Sue. «Non è la prima volta che questi falsi bambini si intrufolano nell'universo del secondo piano travestiti da studenti» spiegò la guerriera. «La loro missione consiste nel consegnare munizioni ai ribelli della giungla.» «Quali munizioni? Quali i ribelli?» si spazientì Naxos. «Gli alberi, i baobab soprattutto» sospirò Loba. «Preparano la distruzione dell'edificio. Non avete notato come è rovinato il soffitto?» «Sì!» esclamò Peggy. «Quando ero sul tappeto volante, ho visto che era pieno di crepe.» «Esatto» confermò Loba. «Sono gli alberi che spingono con tutte le loro forze, per sfondarlo. In condizioni normali, i baobab non avrebbero mai dovuto diventare così grandi. Su Marte non raggiungono mai queste di-
mensioni. Ma, da qualche anno, i falsi bambini gli portano concime concentrato. Una sostanza magica della quale i baobab si nutrono e che permette loro di raddoppiare l'altezza. Spingono quindi molto forte, con i rami e con le radici, sul soffitto e sul pavimento della stanza. E siccome sono sempre più numerosi, la muratura comincia a creparsi. Un giorno, esploderà sotto quella spinta.» «Ma perché?» si stupì Naxos. «Non riuscite proprio a capire?» si arrabbiò Loba. «Cercano di scappare! Tutte le bestie e le piante prigioniere tra queste mura vogliono riprendersi la loro libertà. Hanno solo un'idea, invadere il mondo reale. Ne hanno abbastanza di essere rinchiuse in questa scatola di cemento.» «Oh! Capisco...» mormorò Peggy. «I falsi bambini li aiutano nel loro progetto d'evasione perché così provocheranno la distruzione del collegio per supereroi.» «Proprio così» confermò la sua interlocutrice. «Prova a immaginare che cosa succederà quando le belve rinchiuse qui dentro faranno irruzione nelle aule! Non ci metteranno molto a divorare fino all'ultimo studente!» «Dobbiamo trovare tutte le scatole blu e distruggerle...» propose Naxos. Loba scrollò le spalle. «Impossibile,» disse «ce ne sono troppe, e poi gli alberi non te lo permetterebbero.» «Appena tornati al collegio, avvertirò il signor Calamistos, il direttore» dichiarò Peggy Sue. «Forse è ancora possibile fare qualche riparazione, consolidare il pavimento, il soffitto...» «Non credo» sospirò Loba. «I danni sono troppo profondi, e i baobab diventano sempre più forti. In certi giorni si vedono crescere a vista d'occhio.» Peggy corrugò la fronte. D'un tratto le tornarono in mente le sinistre predizioni della tartaruga. Si ricordò le immagini intraviste nella stanza dei sogni, quando l'animale le aveva mostrato come sarebbe stato il futuro. Peggy rabbrividì. Ziko-Ziko non si era sbagliato, stava davvero per scatenarsi una catastrofe, una catastrofe che avrebbe provocato la distruzione del collegio. Era ancora possibile evitarla? Si poteva cambiare il futuro? Terminato il pranzo, Loba affrontò il problema del tappeto volante. Trascinò Peggy nel laboratorio di preparazione e le spiegò che avrebbe cercato un intruglio che permettesse al tappeto magico di toccare il suolo senza perdere i suoi poteri.
«Il resto» disse «è solo una questione di geometria nello spazio. Possiamo ripiegare il tappeto per dargli l'aspetto di un mantello.» «Come un origami34?» domandò Peggy Sue. «Sì, solo che sarà un origami di seta anziché di carta.» La giovane guerriera lavorò tanto e così bene che in due giorni aveva risolto il problema del tappeto magico. Non soltanto poteva ormai toccare terra, ma una serie di sapienti manipolazioni avevano permesso di farne una specie di mantella con un cappuccio, ed era così perfetto che nessuno poteva sospettare che l'impermeabile di Peggy Sue fosse in realtà un tappeto volante! «È formidabile!» esclamò la ragazza. «Non ti rallegrare troppo presto» la ammonì Loba. «Dovete ancora attraversare la savana. Gli alberi sanno che avete scoperto lo stratagemma del concime concentrato, vi impediranno di lasciare il secondo piano. Non vogliono che diate l'allarme. La strada del ritorno sarà difficile. Tenete sempre gli occhi aperti.» 18 L'imboscata dei giganti Il giorno seguente, Loba condusse il gruppetto dove finiva la giungla e cominciava la savana. «Il tuo tappeto non è abbastanza forte da sollevare tutti» spiegò la giovane guerriera. «Alcuni di voi dovranno andare a piedi. Non salite mai in più di due alla volta, o si stancherà troppo e cadrà giù in picchiata. Se potete, evitate di usarlo prima di aver raggiunto la barriera dei baobab gonfiabili. È là che si giocherà il tutto per tutto. Il tappeto dovrebbe consentirvi di passare sopra l'ostacolo.» Smise di parlare, e posando una mano sulla spalla di Peggy, la baciò sulle guance. «Andate. Vi auguro buona fortuna» li salutò. «Portate un buon ricordo di me nel mondo esterno. Forse un giorno ritornerò, se troverò il coraggio di domare il mio costume.» Detto ciò, si voltò, agitò la mano in segno di saluto e si inoltrò nella foresta senza voltarsi. «Non ci resta che filare» disse il cane blu. «La cosa più importante è arrivare vivi alla barriera dei baobab.» «Poi stabiliremo un ponte aereo35 con l'aiuto del tappeto» decise Peggy
Sue. «Salteremo l'ostacolo due per volta per atterrare dall'altra parte, nelle vicinanze della porta d'uscita.» «Sembra fattibile,» considerò Naxos «almeno se gli alberi non sono già arrivati al soffitto. Se è così, i rami ci intercetteranno.» Peggy scrollò le spalle. «Ogni cosa a suo tempo» disse, infastidita. «Inutile scoraggiarsi prima del tempo.» Preceduti dai lupi, si incamminarono in mezzo all'erba alta. Faceva molto caldo, in lontananza echeggiavano dei ruggiti. Per un'ora non fecero nessun brutto incontro, tutto sembrava andare per il meglio. Poi, d'un tratto, mentre Peggy stava riprendendo fiducia, un martellamento fece tremare il suolo. «Elefanti!» annunciò il cane blu. «I lupi dicono che gli alberi li hanno lanciati al nostro inseguimento. Ci impediranno di lasciare il secondo piano.» A causa dell'erba alta, i ragazzi non distinguevano niente. Peggy esitava a srotolare il tappeto volante. «Se mi alzo in volo, gli elefanti mi vedranno» mormorò. «Sarebbe meglio rimanere invisibili. La boscaglia ci nasconde ai loro occhi, approfittiamone per filare verso i baobab.» «Ci individueranno,» intervenne Naxos «è inevitabile. Quando camminiamo, muoviamo l'erba. Non gli ci vorrà molto per localizzare i nostri spostamenti.» «Pazienza, corriamo!» Uno dopo l'altro, cominciarono a correre alla cieca. Per dieci minuti credettero di aver vinto la partita, poi il martellamento riprese, incalzandoli. Ormai senza fiato, Peggy cercava di radunare le sue conoscenze sugli elefanti starnutanti. Si servono della proboscide come di un cannone, si ricordò. Quando starnutiscono in direzione di qualcuno, lo starnuto cancella completamente la memoria della loro vittima. Non ricorda più il proprio nome, non sa più né parlare né camminare. Tutto ciò che ha imparato, viene dimenticato in una frazione di secondo e rimane come un neonato, incapace di difendersi. Si fermò, per un crampo al fianco. Le vibrazioni del terreno avevano raggiunto una tale intensità che riusciva appena a stare in equilibrio. «Separiamoci!» gridò Peggy. «Se restiamo in gruppo, gli elefanti ci ber-
saglieranno tutti con un solo starnuto!» Si sparpagliarono a ventaglio. Soltanto il cane blu rimase incollato alle costole di Peggy. «Vattene!» gli ordinò la ragazza. «È la nostra unica possibilità di farcela. Quelli che riusciranno a sfuggire agli starnuti potranno così aiutare quelli che avranno perso la memoria.» Ma l'animale non ne voleva sapere. Era impensabile per lui separarsi dalla sua amica. D'un tratto, un'ombra enorme oscurò i fuggiaschi. Un elefante ricoperto di una peluria rossastra sbarrò loro la strada. Distese la proboscide e gonfiò le guance per immagazzinare più aria possibile. Peggy comprese che stava per starnutire verso di loro: la proboscide ricordava il cannone di un carro d'assalto. «Di là! Di là!» gridò il cane blu, che aveva visto una fossa piena di foglie secche. La ragazza e il cane si tuffarono nell'istante stesso in cui l'elefante starnutiva. Ci fu come un'esplosione, e un soffio potente passò sulla savana, piegando le erbe alte. Per fortuna, Peggy e il cane in quel momento si trovavano rannicchiati in fondo alla buca, così il vento dell'amnesia li sfiorò senza toccarli. Risuonarono nuove detonazioni, annunciando che gli altri elefanti cercavano di colpire Zeb e Naxos. «Non possiamo restare qui» guaì il cane blu. «Quella bestia ci troverà e ci colpirà a bruciapelo. Dobbiamo andarcene. Presto!» Peggy Sue lo seguì. L'elefante, furioso, calpestava i cespugli alla loro ricerca. Appena li ebbe individuati, li puntò, come un cacciatore che imbraccia il fucile. Peggy ansimava, allo stremo delle forze. Si domandò con angoscia quanto ancora sarebbe riuscita a evitare il vento degli starnuti. Proprio mentre si preparava al peggio, i lupi spuntarono tra l'erba e scivolando sotto il ventre del pachiderma. Lo morsero ferocemente nel punto dove la pelle era più sensibile. Sorpreso, il mostro alzò la testa mentre starnutiva. Il soffio che cancellava tutti i ricordi partì in direzione del cielo, dove colpì in pieno un gruppo di uccelli. Appena colpiti, i volatili si sfracellarono al suolo, perché avevano dimenticato come volare! Incuranti del pericolo che rappresentavano le zampe del pachiderma, i lupi si davano un gran da fare, mordendo i mostri, disorientando il gruppo, impedendogli di aggiustare il tiro. Peggy provò una vera ammirazione per il branco. Aveva salvato i lupi
dalle pecore invisibili, e loro per ricambiarla, erano pronti a farsi fare a pezzi dagli elefanti. Purtroppo, nonostante gli sforzi dei suoi servitori a quattro zampe, Peggy si ritrovò presto tra due elefanti, che la puntarono. Mentre esplodeva la doppia detonazione degli starnuti e la ragazza si credeva perduta, accadde qualcosa di stupefacente. Zeb spuntò fuori dall'erba e, mettendo a profitto l'incredibile elasticità del suo corpo, si dispiegò in aria per assumere la forma di un ombrello di carne verde, sotto il quale Peggy il cane blu si ritrovarono protetti dal soffio distruttore. Il povero Zeb incassò la scarica al posto loro e per poco non venne completamente appiattito. Incapace di conservare più a lungo l'aspetto di ombrello, riprese la forma umana. Peggy, a un primo sguardo, comprese che aveva perso la memoria. Gli starnuti avevano cancellato tutto il fragile sapere laboriosamente immagazzinato durante la settimana appena trascorsa. Dovette afferrarlo per un braccio e trascinarselo dietro altrimenti sarebbe rimasto là, intontito, senza capire che cosa accadeva intorno a lui. Si rivelò presto incapace di camminare, così la ragazza dovette caricarselo sulle spalle. Siccome il corpo del ragazzo non conteneva le ossa né nessun tipo di organo, non fece troppa fatica a portarlo. Approfittando del fatto che i lupi si erano attaccati alla tromba degli elefanti, la ragazza si tolse il mantello di seta e lo dispiegò per ridargli la sua originaria forma di tappeto volante. «Non abbiamo altra scelta,» balbettò «dobbiamo andarcene! È la nostra unica possibilità di scappare dagli elefanti!» Si distese, stringendo Zeb e il cane blu, poi ordinò al tappeto magico di prendere il volo. Vennero immediatamente strappati dal suolo e saltarono in aria. Con il vento in faccia, Peggy guardò con angoscia il soffitto che si avvicinava, domandandosi se il tappeto sapeva che cosa faceva, mentre sfiorava le crepe che incidevano il cemento, sorvolando la cima dei baobab gonfiabili per raggiungere la temibile frontiera costituita dagli alberi. Per un minuto tutto andò bene, poi i baobab, furiosi, allungarono i rami verso il soffitto per cercare di acchiappare i fuggitivi. Ogni rametto era un artiglio avido di lacerazione. Anche il più piccolo ramo sferzava l'aria nella speranza di afferrare il tappeto e di far cadere i suoi occupanti. Peggy Sue strinse i denti. La seta del tappeto, per quanto fosse magica, non era per
questo invulnerabile alle lacerazioni. Il viaggio proseguì in mezzo allo spaventoso baccano dei rami che si agitavano come le chele di un migliaio di granchi giganti. Quando il tappeto si posò dall'altro lato dell'ostacolo, Peggy e il cane blu lanciarono un sospiro di sollievo. L'uscita del secondo piano era a soli dieci metri di distanza. La ragazza trascinò il povero Zeb a terra e ordinò al tappeto di ripartire per andare a cercare Naxos e i lupi. Riteneva di poter portare via tutti quanti con quattro viaggi. Spero che Naxos non abbia perso la memoria, pensò, o non si ricorderà a che serve il tappeto. E non gli verrà neanche in mente di salirci sopra. Nell'ora seguente, le venne il torcicollo a forza di seguire le evoluzioni del tappeto lungo il soffitto. Il rettangolo di seta si comportò bene, trasportando i fuggitivi due per volta. Ma il continuo andare e venire lo stancava, e aveva sempre maggiore difficoltà a mantenersi in quota; ma era la sua unica possibilità di sopravvivenza, poiché i rami muniti di artigli aspettavano con impazienza il suo primo cedimento per farlo a pezzi. Finalmente apparve Naxos, accompagnato da un lupo. Spiegò che tre membri del branco erano morti nel combattimento contro gli elefanti. Ormai rimanevano solo sei lupi. «Sono degli animali coraggiosi» affermò Peggy. «Senza di loro, non saremmo mai potuti sfuggire agli elefanti. Gli dobbiamo molto.» Effettuato l'ultimo viaggio, il tappeto rotolò a terra, sfinito, e Peggy lo ripiegò per drappeggiarselo sulle spalle. Prima di andarsene dovettero però insegnare di nuovo al povero Zeb a camminare, visto che aveva dimenticato tutto e il suo cervello ora conteneva meno ricordi di quello di un pesce rosso36! L'infermità non aveva però alterato il suo eterno buon umore, e Zeb guardava Peggy sorridendo, obbedendo docilmente agli ordini che lei gli dava. «Ha l'aria di un cucciolo contento di imparare un nuovo gioco!» osservò il cane blu. «È meglio di Sebastian, che era sempre depresso o di cattivo umore!» Per fortuna la creatura che avevano chiamato Zeb assimilava le informazioni alla velocità di un computer e, dopo un quarto d'ora di esercizio, aveva recuperato il suo senso dell'equilibrio e la padronanza dei movimenti. «Siamo fortunati a essere ancora vivi» considerò Naxos. «Approfittiamone per lasciare questo inferno.»
Con passo deciso, si incamminarono verso l'uscita. 19 Il consiglio disciplinare Fu con vero sollievo che Peggy Sue digitò il codice d'uscita sulla tastiera del portiere automatico. Trascorsero due secondi, interminabili, poi i battenti d'acciaio si socchiusero sul pianerottolo del secondo piano. Peggy, i due ragazzi, il cane blu e i lupi oltrepassarono la frontiera che li riportava al collegio. Appena furono sulla scalinata dai gradini di cemento, la porta si richiuse con un boato. La ragazza rabbrividì: dopo la tremenda umidità della giungla la temperatura che regnava nel collegio le parve quasi invernale. Scesero lentamente, aggrappandosi alla ringhiera, un po' stupiti di essere davvero ritornati, se non a casa, almeno in un universo più rassicurante della giungla rossa. Dal pianterreno provenivano grida e risate. Gli studenti erano tutti riuniti nel parco. Eccitatissimi, mostravano i propri costumi gli uni agli altri. Quelle esibizioni davano luogo a un vero e proprio concorso di vanterie. Jeff era il più spaccone, si dava certe arie con quella sua capigliatura di serpenti, e brandiva la lancia d'avorio dell'unicorno come uno scettro reale. «Ah! Eccovi qua!» gridò riconoscendo Peggy. «Ce ne avete messo di tempo per uscire da quel putiferio! Siete gli ultimi, aspettavamo soltanto voi.» La ragazza non sapeva che cosa rispondere. La folla degli studenti si radunò sghignazzando intorno ai nuovi arrivati. C'erano ragazzi e ragazze conciati in maniera incredibile e contro ogni buon senso. Sfoggiavano pelli di animali sconosciuti, e avevano costumi dall'aspetto spaventoso, pieni di spine, corna, artigli. Erano fatti di scaglie, placche ossee, creste, e sembravano armature da guerre interstellari. «Allora, dove sono i vostri costumi?» ridacchiò Jeff. «Non avete riportato granché, a parte questo branco di lupi spelacchiati e questo mantello di seta tutto graffiato. Non sono sicuro che Diablox ritenga che avete superato la prova.» «Che cosa?» domandò Peggy. «Che vai dicendo?» «Non mi sto inventando niente» ribatté Jeff con aria offesa. «Dovete presentarvi davanti alla commissione d'approvazione.» «La commissione di che?» grugnì Naxos.
«È una commissione composta da Diablox, la signora Zizolia e gli altri supereroi in pensione. Esaminano quello che hai portato e decidono se è valido oppure no.» «Ma capita che rifiutino alcuni costumi?» domandò Peggy Sue. «Sì» confermò Jeff. «Per quello che vi riguarda, non sono certo che riterranno accettabili le vostre trovate.» Peggy aggrottò la fronte. Le parole del suo interlocutore la angosciavano. Diablox e suoi amici si sarebbero dimostrati davvero così in malafede? Sarebbe stato davvero ingiusto, dopo tutti i pericoli che avevano corso! Non poteva credere che si potesse arrivare fino a quel punto! Le risate degli studenti la ricondussero alla realtà. Circondavano Zeb, divertiti dal suo colore verde. Continuavano a bersagliarlo con battute e scherzi senza che il ragazzo smettesse di sorridere. «Inoltre» rise Jeff «hai portato qui un marziano! Non è dei nostri, Diablox non accetterà mai di ammetterlo nel collegio.» «Ora basta» intervenne Naxos, afferrando Peggy per un gomito. «Vedremo noi stessi di che si tratta! Grazie delle informazioni, 'amici'.» Si misero in disparte e si sedettero sull'erba mentre i lupi, vigili, formavano un cordone di protezione intorno a loro. «Proprio brutte notizie» sospirò Peggy. «Non immaginavo che appena usciti dalla giungla avremmo visto Diablox rivoltarsi contro di noi. Ho paura che il verdetto della commissione non ci sarà affatto favorevole, dopo tutto non abbiamo dei costumi veri e propri. Io ho un tappeto volante, tu, Naxos, un braccio sovrumano... quanto a Zeb, non è che una... marionetta, o almeno qualcosa di simile.» Naxos fece una smorfia per darle a intendere che condivideva i timori della sua amica. «Però non possiamo esserne sicuri» disse. «Cercheremo di far valere i nostri argomenti.» Nel parco, gli altri studenti continuavano a scherzare. Inebriati dai loro nuovi poteri, moltiplicavano le dimostrazioni. Alcuni volavano, altri si ricoprivano di fiamme... Qualcuno sollevava sopra la testa enormi pesi. Se ne vedevano anche alcuni che attraversavano i muri o si infilavano nel terreno come talpe. Peggy non riusciva a decidere se quelle esibizioni fossero più spaventose o grottesche. Verso mezzogiorno, uno dei sorveglianti si avvicinò al gruppo dei nostri amici per annunciare che dovevano comparire tutti quanti davanti al consi-
glio disciplinare. Immediatamente si diffuse la voce che Peggy Sue e i suoi amici avevano fallito nella loro missione, quindi era molto probabile che venissero condannati a essere murati vivi nelle cantine del collegio dopo la consegna dei diplomi, come tanti altri prima di loro. «Poveri sciocchi!» osservò Jeff. «Mi fanno pena. D'altro canto, bisogna riconoscere che non sono stati all'altezza della situazione. Ho fatto un po' di strada insieme a loro, per cercare di aiutarli, ma si ostinavano a ignorare i miei consigli. Si comportavano come dilettanti! Me ne sono andato quando ho visto che non potevo fare niente per loro. Non sarebbero dovuti tornare qui. Avrebbero fatto meglio a restare laggiù, insieme ai fifoni che non hanno mai osato uscire dalla giungla.» Tutti approvarono rumorosamente. Jeff sembrava essere diventato l'idolo del collegio. C'è da dire che i serpenti che sibilavano sulla sua testa avrebbero impressionato anche più coraggiosi. «Il loro veleno è fulminante» si pavoneggiava a raccontare. «Quando uno viene morso, diventa tutto nero e muore in meno di dieci secondi. Le zanne di queste graziose bestiole possono trapassare qualunque materia, il legno, l'acciaio, la pietra... Quando mordono un oggetto, una macchina per esempio, si ferma per sempre.» Quando diceva così, i suoi uditori indietreggiando istintivamente di tre passi. Peggy Sue e i suoi amici si alzarono, con la morte nel cuore, per raggiungere la sala del consiglio disciplinare. Avevano sempre la sgradevole impressione di essersi lasciati abbindolare, di essere stati vittime di un imbroglio. Peggy non capiva perché Diablox si accaniva così su di loro. Una volta entrati, venne ordinato loro di restare in piedi mentre i giudici si sistemavano. Fece il suo ingresso Diablox, seguito dai supereroi in pensione che tenevano dei corsi al collegio. C'erano anche la signora Zizolia, Calamistos e Delfakan. Vedendo i due robot che servivano da burattini a Kazor e Zooar, i veri direttori dell'istituto, Peggy Sue riprese coraggio. Non potranno lasciarci al nostro destino, pensò. Dopo tutto, sono stati proprio loro a chiedermi di vegliare sulla loro sicurezza. Dovranno difenderci per forza. Rincuorata, accondiscese di buon grado al gioco delle domande. Con tono secco, Diablox iniziò un interrogatorio interminabile per stabilire che cosa avevano fatto, ora dopo ora, da quando si erano trovati al se-
condo piano. Corpo di una salsiccia atomica! esclamò mentalmente il cane blu, mi sembra di essere sotto la corte marziale37! «Tutto ciò non è molto soddisfacente» decretò il vecchio supereroe una volta ascoltata l'ultima risposta. «Riassumendo, Naxos non ha portato nessun costume, ma soltanto un braccio la cui forza è stata raddoppiata dalla pasta verde con cui è stata riempita la sua ferita. Neanche i lupi possono essere considerati come un costume, mi sembra evidente. Si potrebbe anche dire che la loro presenza qui rappresenta un infrazione al regolamento, perché gli animali del secondo piano non dovrebbero mai uscire di lì, è la legge. Quanto a questo ragazzo verdastro che sorride scioccamente e sembra incapace di pronunciare più di tre parole di seguito, neanche lui può essere compreso nella categoria dei vestiti magici... Tutt'al più potrebbe essere un servitore.» «Del resto è la prima volta che una simile creatura viene condotta qui» dichiarò la signora Zizolia. «Propongo quindi che venga messa in quarantena per stabilire se rappresenta un qualunque rischio per gli esseri umani.» «Ma non è giusto!» protestò Peggy. «Zeb è molto gentile, ci ha salvati dagli elefanti. È per questo che non sa più parlare, ma se ne ricorderà presto, impara in fretta.» «Stai zitta, ragazzina!» tagliò corto la signora Zizolia. «La tua opinione non è richiesta. Sarà messo in quarantena. Al termine di questo periodo d'esame, decideremo se liberarlo o distruggerlo. Non c'è niente che provi che tu sia in grado di controllare questa creatura.» «Esatto» rincarò Diablox sbattendo il pugno sul tavolo. «Anche i lupi verranno messi in quarantena, come Naxos, perché potrebbe darsi che il suo braccio sia animato da una forza demoniaca. Dobbiamo quindi sorvegliarlo.» Peggy ribolliva di rabbia a stento trattenuta. Lanciò un'occhiata verso Calamistos e Delfakan, sperando che i veri direttori del collegio si decidessero a intervenire, ma non fu così. I due robot rimasero in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi inespressivi come due biglie di vetro. Che fifoni! s'infuriò Peggy. Lasceranno che sia Diablox a dettar legge! Forse hanno paura di lui? «Per quanto riguarda te, Peggy Sue,» riprese il supereroe con tono velato di disprezzo «sono deluso. Dopo tutto quello che ho sentito sul tuo conto, credevo proprio che avresti portato molto più di un mantello col cappuccio, anche se questo straccio nasconde un tappeto volante. Un tappeto vo-
lante! Non potevi scovare qualcosa di più originale?» «Questo tappeto ci ha salvato la vita più volte!» ribatté la ragazza. «Senza di lui non saremmo qui.» «E forse sarebbe stato meglio!» tuonò Diablox. «Almeno sareste ancora lassù, al secondo piano, a cercare un costume adatto. Avete fallito la vostra missione, per pigrizia, per paura, per viltà. Non avevate che un'idea in testa, ritornare il più presto possibile. Non è con questo genere di ragionamento che si diventa supereroi. Sono deluso! Molto deluso!» Peggy, ricordandosi quello che le aveva raccontato Loba a proposito di Diablox, per poco non replicò: 'anch'io sono delusa da uno che pretende di essere un supereroe e che invece si è accontentato di rubare il costume fabbricato da un altro!' Ma giudicò più opportuno rimanere in silenzio. Se veniva imprigionata per insolenza, non avrebbe più potuto aiutare i suoi amici. Era solo restando libera di muoversi che sarebbe stata in grado di organizzare la loro evasione, per cui, a partire da quel momento, era ben decisa a entrare in guerra contro l'intero collegio. «Mi mostrerò magnanimo,» concluse Diablox «poiché tu sei l'unica ad aver portato un costume; non verrai punita, ma il tuo voto non sarà un granché, stanne certa. Non sperare che uscendo di qui qualcuno ti affidi la protezione di una grande città. Sarà già tanto se potrai lavorare in una borgata. Un tappeto volante! Come pretendi di lottare contro dei mostri con questo? Non è un'arma! Per me è solo un accessorio da illusionista.» La signora Zizolia si alzò e batté le mani. «Guardie! Conducete i condannati nel settore d'isolamento» ordinò. «A partire da questo momento, non devono avere nessun contatto con i loro compagni.» I lupi ringhiarono. Zeb cercò con lo sguardo l'aiuto di Peggy Sue, Naxos gonfiò i muscoli d'acciaio del suo braccio magico... Peggy si affrettò a spedire a tutti loro un messaggio mentale tramite il cane blu: Non ribellatevi! Fate finta di obbedire. Battersi non servirebbe a niente, tutti i compagni di Diablox si coalizzerebbero contro di noi: anche se sono vecchi, sono ancora pericolosi. Lasciatevi rinchiudere, cercherò di liberarvi tra poco. Immediatamente i lupi smisero di mostrare i denti. Diablox sorrise, arrogante. Abbandonò la posizione d'attacco che aveva adottato un attimo prima, postura che il suo costume rammendato rendeva, del resto, abbastanza ridicola. «Vi consiglio di rigare dritto!» li ammonì la signora Zizolia. «Sappiate
che in caso di ribellione sarete murati nella cantina dell'edificio il giorno della consegna dei diplomi.» Scortati da una decina di sorveglianti armati di manganelli elettrici, i nemici di Peggy Sue lasciarono la stanza. «Sono dispiaciuto di dover pronunciare questa sanzione,» concluse Diablox «ma voi avete cercato di barare. Qui, al collegio per supereroi, non si scherza con l'onore.» Salvo quando si ruba il costume di un moribondo!, pensò Peggy rivolgendo a Diablox uno sguardo bruciante di odio. I giudici se ne stavano andando. Calamistos e Delfakan voltarono le spalle a Peggy Sue senza darle il minimo segno di complicità. Voi due, amici cari, li rimproverò interiormente la ragazza, non pensate di cavarvela così! Uscì con passo deciso. Stava cercando di soffocare la sua collera. Nel parco, venne accolta dalle beffe degli altri studenti. Indicavano il suo mantello chiedendole se era travestita da Cappuccetto rosso, e le facevano altri scherzi sciocchi di questo genere. Peggy non perse tempo a replicare; aveva solo un'idea in mente, andare a parlare con Kazor e Zooar, la virgola e il punto rosso sul papillon, i direttori segreti del collegio per supereroi. «Non mi piace la piega che stanno prendendo le cose» disse il cane blu trotterellandole dietro. «Tutto questo puzza di complotto. Si direbbe che Diablox goda nel metterci i bastoni tra le ruote. Forse ha saputo che Loba ci ha fatto delle rivelazioni poco edificanti su di lui.» «È quello che penso anch'io» rispose Peggy Sue. «Ma come avrebbe fatto a saperlo? Forse ha delle spie al secondo piano?» «Perché no? Ha potuto tranquillamente sistemare uno dei suoi protetti all'interno del bunker di Loba. In ogni caso, siamo nei guai. Questa storia della quarantena non è che un pretesto per imprigionare definitivamente i nostri amici.» «È possibile: ho sempre avuto l'impressione che la signora Zizolia mi detestasse.» Quando entrarono nella zona amministrativa del collegio, la segretaria di Calamistos tentò di fermarli, ma il cane blu mostrò i denti, facendo battere in ritirata la povera donna. Peggy spinse la porta dell'ufficio del direttore ed entrò nella stanza. Come la volta precedente, Calamistos e Delfakan se ne stavano seduti, rigidi come robot disinseriti. Peggy cominciò a parlare,
rivolgendosi non alle marionette, ma alla virgola, che guizzava sul libro aperto, e al punto rosso nascosto sul papillon. «Che cos'è questa storia?» tuonò. «Perché non mi avete sostenuta? Eppure siete stati proprio voi a chiedermi di indagare al posto vostro... Mi aspettavo un maggiore aiuto da parte vostra.» «Eravamo in una situazione difficile» disse la virgola, con un certo imbarazzo. «A Diablox non piaci. È molto intransigente quando si tratta di rispettare le regole del collegio. E voi non avete compiuto scrupolosamente la vostra missione... Tu... tu hai condotto degli animali proibiti, e Naxos non si è neanche dato la pena di fabbricarsi un costume.» «Potete dire qualsiasi cosa! Naxos per poco non è morto cercando di catturare l'unicorno. A sentire voi, qualcuno potrebbe credere che siamo stati laggiù per trascorrere una vacanza al sole!» Il robot Delfakan sembrò riprendere vita. Si raddrizzò e cominciò a misurare la stanza a grandi passi. «Le cose non sono così semplici» cominciò. «Ragioni come una ragazzina. Anche se dirigiamo questo istituto, non possiamo fare quello che vogliamo. Diablox esercita grande influenza sui professori. Non possiamo inimicarcelo.» «È vero» rincarò la virgola extraterrestre. «Avremo bisogno di Diablox se i nostri nemici cercano di impadronirsi del collegio. Se dà le dimissioni, saremo disarmati. Rappresenta la nostra unica linea di difesa.» «A proposito di nemici,» attaccò Peggy Sue «vi faccio presente che succedono cose strane al secondo piano...» E raccontò loro la storia delle scatole di concime magico e del soffitto crepato. «Che cosa?» balbettò Zooar. «Vuoi dire che i falsi bambini operano in segreto al secondo piano da chissà quanto?» «Sì» confermò Peggy. «Stanno sabotando la muratura. Visto come vanno le cose, il soffitto non tarderà a esplodere sotto la spinta dei baobab. I muri crolleranno e gli animali imprigionati lassù si affretteranno a precipitarsi qui, per regolare i conti.» «È... è impossibile» mormorò Kazor. «Sono sicuro che esageri, la situazione non può essere così drammatica. I rivelatori installati nel muro avrebbero reagito, sarebbe scattato il segnale d'allarme...» «A meno che qualcuno non li abbia sabotati» obiettò la ragazza. «Il pericolo è reale. Ho volato fino al soffitto, lo sapete. Ho potuto verificare l'estensione delle crepe. Mi sono sembrate molto profonde. Secondo me, la
stanza del secondo piano si distruggerà in poco tempo.» «Ma andiamo!» protestò Zooar. «Che ne sai, tu? Quelle crepe sono probabilmente solo superficiali, ti sei lasciata impressionare, ecco tutto. La stanza è stata costruita secondo i nostri schemi, è concepita per resistere a tutte le aggressioni. Non saranno certo un po' di alberi a distruggerla.» «Siete sicuri che i vostri schemi siano stati rispettati?» suggerì Peggy. «È possibile che i vostri nemici si siano intrufolati tra gli operai e che abbiano, ancora una volta, sabotato l'opera.» «Stai delirando!» si arrabbiò Kazor. «Credo che tu stia cercando di spaventarci per negoziare la liberazione dei tuoi amici, ma questo non è più in nostro potere. Te lo ripeto, non possiamo contrariare Diablox: in caso di guerra, sarà il nostro generale. Il destino di questa scuola è nelle sue mani.» «Mi disgustate!» sibilò Peggy Sue. «Siete degli stupidi e dei fifoni! Preferite fidarvi di un tipo losco piuttosto che di me, che vi porto notizie fresche. Sappiate che il vostro Diablox non è certo considerato un santo dai naufraghi del secondo piano: dovreste andare a fare un giro lassù, forse verreste a sapere delle cose interessanti.» Uscì sbattendo la porta. «Be', credo che anche stavolta, ce la dovremo cavare da soli» concluse il cane blu. 20 I domatori Nei giorni seguenti, gli studenti scoprirono che, passata la prima euforia, non era facile farsi obbedire dai costumi. Questi, infatti, stanchi di essere usati per spettacoli dimostrativi destinati a stupire i compagni, cominciarono a reagire. Alcuni rifiutavano di muoversi; altri, invece, si contorcevano con una tale violenza che il loro occupante si ritrovava lanciato fuori come un cavaliere che stesse domando un cavallo selvaggio. «Ora comincia la fase di addestramento» spiegò Diablox. «Dovrete addomesticare i vostri costumi. Non soltanto ammansirli, ma abituarli a obbedirvi in tutto e per tutto. Per il momento, quando vi osservo, ho soprattutto l'impressione che siate voi a obbedirgli! Non può continuare. Dovrete riprendere in mano la situazione. Questi vestiti sono fatti per servirvi! Non lasciategli prendere il comando, altrimenti faranno di testa loro. Domateli,
che diamine! Domateli!» Purtroppo, fu più facile a dirsi che a farsi! Avendone abbastanza di essere sollecitati, i costumi si ribellarono. Jeff fu morso a una guancia da uno dei suoi cari serpenti. Mancò un pelo che non passasse a miglior vita. Quando lo trasportarono all'infermeria, aveva già la faccia tutta nera. Will, un altro ragazzo, che aveva portato un travestimento composto da una specie di nebbia nuvolosa che gli permetteva di spostarsi in aria rimanendo quasi invisibile, fu imprigionato dall'abito di nuvole che, fermatosi a dieci metri dal suolo, rifiutava ostinatamente di ridiscendere. «Aiuto!» gridava. «Le nuvole mi bloccano, non posso più disfarmene! Muoio di fame e di sete! Qualcuno mi aiuti!» Peggy srotolò il tappeto volante e si fece trasportare fino all'altezza del malcapitato. Se ne stava là, galleggiando nel vuoto, impacchettato nel suo mantello di bruma che lo nascondeva quasi interamente agli sguardi. «Non riesco più a muovermi,» piagnucolava «sono incastrato in quest'affare come in un'armatura arrugginita! Non mi obbedisce più. Ho fame! Accidenti! Sto morendo di fame.» Peggy dovette imboccarlo, poiché non poteva più usare le mani. Gli incidenti si moltiplicarono. Un ragazzo che s'era fabbricato un costume rivestendo con delle pietre magiche una tuta di pelle si ritrovò murato vivo dentro il suo travestimento. Le pietre si erano saldate le une alle altre così bene che il vestito si era trasformato in un blocco impossibile da spostare. Prigioniero di questo carcere, urlava come un condannato gettato in fondo a un pozzo, ma le rocce erano così spesse che le sue grida sembravano quelle di un gattino allo stremo delle forze. Ma le cose si misero davvero male quando entrarono in ballo i costumi realizzati con pelli di animali selvaggi. Questi non scherzavano. Pieni di energia, avevano conservato il gusto della carneficina, e tentarono di sbranare parecchi ragazzi, per cui dovettero infilarli in quegli armadi blindati di cui erano dotate tutte le camere degli studenti. Una volta rinchiusi a doppia mandata, i vestiti furiosi cominciarono a fare un chiasso indiavolato, e gli scricchiolii dei loro artigli sull'acciaio avrebbero terrorizzato anche un sordo. «Aspettate che esauriscano le loro riserve di energia» dichiarò Diablox. «Quando si saranno indeboliti, potrete riprenderli in mano. Comunque, nulla è ancora detto. Alcuni tra di voi riusciranno a domare i loro costumi,
altri ne saranno vittima, è così. Quest'addestramento vi stancherà: non dimenticate di prendere parecchie vitamine, altrimenti deperirete a vista d'occhio.» Peggy Sue, il cui tappeto volante si dimostrava docile, non dovette sopportare le conseguenze delle sedute di addestramento. Intorno a lei, invece, i ragazzi dimagrivano e si indebolivano a una velocità allarmante. Al terzo giorno, quattro di loro furono portati in infermeria. I costumi avevano aspirato tutta la loro energia vitale al punto da non lasciargli più che la pelle sulle ossa! «Quando vedo queste cose» mormorò Peggy «non rimpiango affatto di non aver portato altro che un 'ridicolo tappetino', come ha detto Jeff.» «Certo che di questo passo presto saranno morti!» predisse il cane blu. Tuttavia, la preoccupazione maggiore della ragazza e dell'animale restava quella di localizzare il luogo in cui erano tenuti prigionieri i loro amici. Così, fingendo di provare difficoltà a dirigere il tappeto volante, ne approfittarono per sorvolare gli edifici ed esaminare i dintorni con comodo. «La zona di quarantena dovrebbe essere situata in disparte» suppose il cane blu. «Tenterò di fare qualche sondaggio telepatico a caso, vediamo se mi risponde qualcuno.» Sfortunatamente, i suoi molteplici tentativi rimasero senza frutto. «Le mura della prigione devono essere molto spesse e foderate di piombo, i miei pensieri non possono attraversarle» sospirò. «Non so perché, ma funziona così. Mi dispiace.» L'addestramento dei costumi procedeva sempre peggio. Per sbarazzarsi degli intrusi che li avevano indossati, gli abiti magici assumevano posizioni inverosimili, che facevano soffrire enormemente i loro giovani domatori. «Non è possibile!» protestavano i ragazzi. «Piegano le braccia al contrario. Non abbiamo mica le braccia di gomma! Se continuano così, queste porcherie ci romperanno le ossa!» E fu proprio ciò che avvenne. Will, uno degli amici di Jeff, lanciò improvvisamente uno spaventoso urlo di dolore. Il suo braccio destro si era appena rotto all'altezza della spalla. Il ragazzo si accasciò al suolo mentre il costume magico continuava a contorcersi in tutti i sensi. «Presto!» disse Peggy. «Dobbiamo tirarlo fuori di là! Non vedete che il costume gli sta fratturando tutte le ossa?»
Si precipitò quindi ad aprire la chiusura lampo, ma l'abito la respinse con violenza. Si dimenava in maniera grottesca, piegando braccia e gambe in angolazioni impossibili. All'interno, il povero Will aveva perso conoscenza. Dopo molte difficoltà riuscirono finalmente a trattenere il costume sul pavimento per estrarne il ragazzo. Era in condizioni pietose. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Ha almeno trentasei fratture! Il suo scheletro deve sembrare un puzzle.» «Che orrore!» gemette Peggy Sue. «Il costume gli ha piegato le braccia come se fossero quelle di una bambola. Ha perfino cercato di fare un nodo con la gamba destra.» Le vittime vennero trasportate all'infermeria. Quanto al costume magico, fu rinchiuso in un armadio blindato. Questo incidente mise gli studenti di pessimo umore. Molti cominciarono a guardare il proprio costume con sospetto. «Animo e nervi saldi» li esortò Diablox. «L'addestramento non è mai una passeggiata di piacere. Che cosa credevate? Che si trattasse di una gita sui pony? Sveglia, amici miei! Questi costumi sono armi da guerra, pericolosi, mortali, non simpatici travestimenti di Halloween.» I ragazzi si rimisero al lavoro brontolando. Era vero: tutta quella faccenda non era affatto divertente come se l'erano immaginata! Jeff, che era uscito dall'infermeria perché finalmente non aveva più la febbre, fu di nuovo morso a un orecchio da uno dei serpenti della sua criniera. Imbevuto di antidoto, non morì, ma stavolta il veleno gli andò dritto al cervello, e gli provocò un accesso di leggera follia. Per due giorni e due notti, Jeff saltellò nel parco ballando e cantando l'aria di una vecchia commedia musicale. Usava il corno d'avorio come il bastone delle majorettes, facendogli fare mille giravolte in aria. Peggy Sue non riuscì a trattenere le risate osservandolo, perché era difficile essere più ridicoli di così. «Almeno i serpenti sembrano apprezzare le sue canzoni» ridacchiò il cane blu. «Hanno smesso di morderlo. È già qualcosa.» L'infermeria era piena da scoppiare, e i medici decisero che era tempo di intervenire. «Quest'anno ci siamo confrontati con una generazione di costumi particolarmente ribelli» decretò il dottor Mazaboto-Kuragan giocherellando con il suo stetoscopio. «Normalmente, gli abiti magici si lasciano domare sen-
za opporre una resistenza così forte. È normale che ci sia qualche piccolo incidente, ma non avevamo mai collezionato così tante fratture, legamenti stirati, vertebre lussate... Sembra che questi ragazzi abbiano subito un supplizio. Non può continuare così. Bisogna reagire, prima che tutti gli studenti si ritrovino in un letto d'ospedale.» «Che cosa proponete?» grugnì Diablox, che questo contrattempo aveva messo di cattivo umore. «Non possiamo perdere tempo» dichiarò Mazaboto-Kuragan. «Conviene fortificare questi ragazzi con iniezioni che aumentino la resistenza dei muscoli e delle ossa. Così potranno contrastare i pessimi trattamenti che i vestiti magici impongono loro.» «D'accordo,» borbottò Diablox «fate ciò che dovete. Ne ho abbastanza di questi lavativi che corrono in infermeria al minimo graffietto. A questo ritmo, non saremo mai pronti in tempo.» In tempo per cosa?, si chiese Peggy Sue, che aveva seguito la conversazione. «Bizzarro...» rincarò il cane blu. «Si direbbe che voglia preparare le sue truppe in vista di un combattimento del quale conosce già la data. Il modo di fare di questo tipo mi piace sempre di meno.» I medici si rinchiusero nel laboratorio per quarantott'ore. Quando ne emersero, fu per annunciare che avrebbero provveduto a una vaccinazione generale. «Questa medicina è inoffensiva» dichiarò Mazaboto-Kuragan. «Serve a indurire lo scheletro e i muscoli. Ogni volta che i vostri sforzi raggiungeranno lo stadio critico, l'elisir vi verrà in aiuto, raddoppiando la vostra forza. In questo modo sarete capaci di resistere alle aggressioni del costume, e se questo vuole torcervi un braccio nel senso contrario, gli dimostrerete che il padrone siete voi!» Un mormorio di approvazione corse tra i ragazzi. Questo sì che era parlare! Finalmente avrebbero potuto riportare alla ragione quei dannati travestimenti! Su richiesta degli infermieri, i ragazzi formarono una fila indiana davanti all'infermeria. Cominciarono immediatamente le vaccinazioni. Peggy Sue, non avendo nessun costume da domare, venne dispensata dall'iniezione, cosa che non le dispiacque per nulla. I ragazzi la guardarono allontanarsi ridacchiando. Con il suo piccolo tappeto volante trasformato in mantello, faceva la figura dell'idiota in mezzo a quegli apprendisti eroi bardati di ar-
tigli e pelli di serpente. L'addomesticamento dei costumi riprese. Per le prime due ore, tutto andò per il meglio. Ogni volta che un travestimento cercava di prendere il sopravvento, l'elisir di solidità si metteva all'opera. Allora le braccia e le gambe del domatore rifiutavano di piegarsi nel senso opposto, e il costume magico doveva decidersi a dichiararsi vinto. «È fantastico!» esclamavano i ragazzi. «Sembra che piegare una barra d'acciaio sia come fare un nodo alla cravatta!» E poi... E poi, le cose precipitarono. L'effetto dell'elisir, anziché fermarsi quando non era più necessario, divenne permanente, così cinque ragazzi si ritrovarono paralizzati, rigidi come statue! I loro muscoli pietrificati rifiutavano di distendersi. Fu necessario separarli dai travestimenti e riportarli in infermeria, come se si trattasse di manichini usciti da una vetrina. «Non è niente, non è niente,» ripeteva il primario «un semplice effetto secondario del trattamento. Tutto tornerà rapidamente alla normalità.» Diablox venne colto da un accesso di collera. Peggy Sue, osservandolo, notò che man mano che il tempo passava diventava sempre più nervoso. «Sta per accadere qualcosa» mormorò rivolgendosi al cane blu. «Sono d'accordo con te» convenne l'animale. «Mi basta fiutare il suo odore per sapere che è agitato e che ha paura allo stesso tempo. Aspetta qualcosa... qualcosa che lo spaventa, ma che non vorrebbe perdersi per niente al mondo. Strano, no?» 21 Il complotto della maschere La sera, alla mensa, la cena fu piuttosto cupa. Nessuno parlava. Una strana atmosfera aleggiava sulla sala. Era come se ognuno presagisse l'approssimarsi di una minaccia invisibile. Soltanto Jeff, in disparte, si ostinava a canticchiare tra un boccone e l'altro. Il veleno dei serpenti gli aveva annerito le orecchie. Si guardava attorno con aria stupita e smarrita, incapace di dare un nome ai volti dei suoi compagni. Quando ebbe terminato, riconsegnò il suo vassoio e uscì ballando sull'aria di Tutti insieme appassionatamente. «È completamente suonato» dichiarò il cane blu. «Dovrebbe sbarazzarsi di quell'orribile copricapo» aggiunse Peggy. «Fintanto che lo porterà, i serpenti continueranno a mordergli le orecchie.»
«Hai senz'altro ragione, biscottino mio,» convenne l'animale «ma ora abbiamo problemi più urgenti da risolvere.» I due amici si ritirarono nella loro stanza e attesero la notte. Peggy soffriva per l'assenza di Naxos... e soprattutto le mancava Zeb. Sapeva bene che il ragazzo dalla pelle verde non era che una copia del vero Sebastian, ma la sua presenza alleviava il dolore che continuava a sconvolgerle il cuore. E poi Zeb faceva tenerezza, come un cucciolo assetato di carezze. Non le avrebbe mai fatto del male, lui, né le avrebbe causato la più piccola pena. Era un essere completamente devoto a colei che lo aveva creato. Un cavalier servente come probabilmente non ne esistevano più al mondo. Peggy aveva paura che, lontano da lei, perdesse la sua forma e si trasformasse in un ammasso di pasta qualunque. Sarebbe stato davvero orribile! Il cane le morse la mano per risvegliarla dalle sue fantasticherie. «È scesa la notte,» le fece notare «è il momento di fare un'esplorazione nei dintorni; bisogna scoprire dove si trova la zona di quarantena, prima che le cose si mettano veramente male.» Lasciarono la camera per scivolare con passi felpati nei corridoi deserti. Stavano per uscire dall'edificio, quando a Peggy giunse l'eco di una voce proveniente dalla sala delle riunioni. «È Diablox» bisbigliò. «Che combina a quest'ora? Andiamo a sentire, forse otterremo informazioni utili.» Senza fare rumore, si avvicinarono alla porta socchiusa, attraverso la quale filtrava la voce del vecchio supereroe. Incuriosita, la ragazza spiò attraverso l'apertura. Intorno al grande tavolo rotondo erano radunati tutti i vecchi eroi che la scuola impiegava come professori. Erano là, gomito a gomito, nei loro costumi rattoppati, con le loro maschere sciupate. Sembrava un raduno di nonni stanchi avvolti in bizzarre vestaglie. Soltanto Diablox camminava avanti e indietro, gesticolando nervosamente. «Il momento si avvicina» stava dicendo. «Il momento che tutti noi aspettavamo. La catastrofe è in arrivo, l'ho tenuta d'occhio. Da anni permetto ai nostri nemici, i falsi bambini, di infiltrarsi regolarmente al secondo piano. So che ne approfittano per sabotare lo 'zoo'. Trascorrono il tempo lassù a posizionare un tipo speciale di bombe. Bombe a concime, che provocano una crescita accelerata degli alberi. Io li lascio fare, chiudo gli occhi. Lascio credere loro di non averli individuati, poveri imbecilli! So che hanno terminato il loro lavoro e che il tetto dell'edificio esploderà di qui a qualche giorno. Allora tutti i mostri imprigionati tra le quattro mura della riserva irromperanno nel collegio... e noi dovremo respingerli! Sarà la nostra
ultima battaglia. L'ultima grande battaglia dei veri supereroi...» Fece una pausa: giusto il tempo di bere un bicchier d'acqua. Peggy Sue e il cane blu non credevano alle loro orecchie. «So che anche voi la pensate come me» riprese Diablox. «Ne avete abbastanza della vecchiaia e della noia. Vi hanno dimenticato. Il mondo, ingrato, non si ricorda neanche più delle nostre imprese. I nostri nomi, una volta gloriosi, sono spariti dalla memoria degli uomini. Nessun fumetto celebra più i nostri valorosi combattimenti contro i mostri. Non siamo più nulla, se non pupazzi, burattini, buoni soltanto a insegnare le basi della professione a una banda di mocciosi che si credono più furbi e più forti di noi. Per quanto mi riguarda, tutto ciò è durato fin troppo!» «Sì, sì, è proprio così...» mormorarono i vecchi eroi mascherati con i gomiti appoggiati sul tavolo. «Quello che abbiamo fatto un tempo, possiamo rifarlo!» tuonò Diablox. «Ci hanno gettato nel dimenticatoio un po' troppo presto. Proviamo al mondo che siamo sempre pronti a garantire la sua sicurezza! Che rappresentiamo ancora l'ultima linea di difesa contro il dilagare degli invasori di ogni specie... Questa occasione ci sarà presto fornita dall'esplosione del secondo piano. Quando le creature di Marte invaderanno il collegio, saremo là per respingerle. Insorgeremo contro di loro, come abbiamo già fatto tante volte in passato. Difenderemo la frontiera! Respingeremo l'invasione! Sì! Sì! Tutti insieme! Ho fatto in modo che il combattimento sia ripreso dalle telecamere e trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo, così sulla Terra vedranno che siamo ancora in grado di salvare il pianeta!» Avendo sopravvalutato le proprie forze, per poco non si strozzò, tossì, e dovette bere un altro bicchier d'acqua. Uno degli anziani mascherati, conosciuto in passato con lo pseudonimo di Spirox, ne approfittò per intervenire timidamente. «Ehm... Diablox...» cominciò, alzando la mano per chiedere la parola. «Tutto questo è molto allettante, ma sei sicuro che ne saremo capaci? In realtà, tu non sei certo in forma smagliante, e neanche io, lo confesso, e gli amici qui presenti hanno conosciuto senz'altro giorni migliori. Inutile raccontarci bugie. I nostri costumi hanno in gran parte esaurito le energie. Non sono sicuro che reggeranno nel respingere un'invasione... Mi chiedo se non ti stai entusiasmando un po' troppo.» «Che cosa?» urlò Diablox. «Ti tiri indietro? Tu, Spirox l'intrepido, che eri capace di volare tanto velocemente in cerchio da poter far nascere un tornado?»
«Certo... sì,» ammise Spirox «ma è stato tanto tempo fa, quando ero giovane... Se cercassi di fare una cosa simile oggi, mi verrebbe la nausea e vomiterei.» «Vigliacco!» tuonò Diablox al colmo della rabbia. «Bamboccio! Povero bamboccio! Ho l'impressione di sentir piagnucolare Babbo Natale! E Dio sa se detesto Babbo Natale con la sua giacca foderata di pelliccia, i suoi guanti, i suoi calzini, e la borsa dell'acqua calda che nasconde nella cesta dei regali insieme al thermos pieno di rum caldo! Vuoi dunque finire come lui? Io no! No! Io sono un combattente, un guerriero! Se devo morire, voglio che sia almeno ammazzando un mostro! Strangolando una creatura diabolica con le mie stesse mani! Sì, ecco come voglio andarmene, come un vero soldato! Questa è l'occasione che offro anche a voi. La possibilità di morire in combattimento, come abbiamo sempre vissuto. La possibilità di morire da eroi. Ecco l'ultima immagine che il mondo conserverà di noi. Voglio che i telespettatori pensino: Caspita! Non erano finiti, questi vecchietti! Detto ciò, se tu preferisci rimanere accanto al focolare, ad aspettare la morte facendo le parole incrociate, è affar tuo.» Un mormorio di disagio circolò intorno al tavolo. Un nonnetto in tenuta da pipistrello si alzò a fatica. «D'accordo,» capitolò «hai ragione. Marceremo insieme a te verso la battaglia. Ne ho abbastanza di essere lo zimbello dei ragazzini del mio quartiere. Preferisco ancora morire tra gli artigli di un mostro. Da qualche tempo non riuscivo più a guardarmi allo specchio. Dobbiamo mantenere il nostro rango. Dobbiamo rimanere fedeli alla nostra leggenda. Abbiamo vissuto da eroi, moriremo come tali.» «Bene» approvò Diablox. «Allora sapete cosa dovete fare. Entro quarantott'ore, il soffitto del secondo piano cadrà a pezzi e le orde mostruose si riverseranno nella scuola. Nel frattempo, dovrete addestrare ed equipaggiare il maggior numero possibile di apprendisti. I travestimenti che hanno portato dalla giungla non sono perfetti, è vero, ma un attimo prima che cominci l'ultima battaglia, gli assegneremo i costumi del guardaroba di guerra.» «Che cosa?» scattò Spirox. «Il guardaroba di guerra? Ma è una follia... Quei vestiti sono pericolosissimi. I ragazzi non saranno mai capaci di manovrarli.» «Dovranno farlo invece, se vogliono sopravvivere!» precisò con cattiveria Diablox. «Alcuni moriranno, sicuramente, uccisi dal loro stesso costume, ma quelli che sopravviveranno avranno l'occasione di diventare dei
veri supereroi. La battaglia sarà consacrata38 a loro! Non potrebbero sognare niente di più bello!» Spirox si lasciò ricadere sulla sedia, scoraggiato. «Credo che tu sia pazzo» sospirò. «Ci lasceremo tutti la pelle, vecchi e giovani. Sarà una carneficina.» «Forse,» ansimò Diablox «ma almeno sarà un grande spettacolo!» Intuendo che i cospiratori stavano per separarsi, Peggy Sue e il cane blu si allontanarono dalla porta. «Non capisco» mormorò la ragazza. «Diablox ha deliberatamente lasciato che i falsi bambini sabotassero il secondo piano, e soltanto per concedersi il lusso di un'ultima battaglia. Tutto questo mi lascia senza parole.» «Dobbiamo avvertire Calamistos e Delfakan» decise il cane. «Non possiamo permettere a questi pazzi di mettere in atto il loro piano.» «Cercherò di farlo, ma non sono certa che mi ascolteranno. L'ultima volta, ci siamo separati piuttosto freddamente.» I due amici si affrettarono a scivolare in giardino. Giusto in tempo, poiché i vecchi supereroi stavano lasciando la sala delle riunioni per ritornare nelle loro camere. Alcuni sembravano rinvigoriti, altri scoraggiati, ma una cosa era certa: nessuno di loro avrebbe osato disobbedire a Diablox. «Li ha in pugno» mormorò Peggy. «Con lui, andranno fino in fondo.» «Allora sarà il disastro» concluse il cane blu. «Bisogna liberare i nostri amici al più presto.» Peggy la pensava come lui, ma, purtroppo, per quanto avessero esplorato il giardino e le vicinanze dei vecchi edifici, non riuscirono a localizzare la zona di quarantena. I messaggi telepatici che l'animale spediva in ogni direzione rimasero senza risposta. La prigione era nascosta davvero bene. In cuor suo, Peggy Sue trovava il comportamento di Diablox quasi commovente. Capiva perfettamente che preferiva morire da guerriero piuttosto che aspettare la morte raggomitolato in un cantuccio, con le pantofole ai piedi. Dopo essere stato il più grande degli eroi, doveva essere difficile finire la propria vita nell'anonimato, infagottato in un travestimento dai gomiti bucati, tra le beffe generali. Solo all'idea, le veniva voglia di piangere. «Non cedere alla commozione,» le consigliò il cane blu «quel tipo è un pazzo pericoloso. I suoi intrighi provocheranno la distruzione del collegio e di tutti quelli che vi si trovano. Noi, in particolare. Bisogna impedirgli di mettere in pratica il suo piano.»
«Purtroppo credo che sia già troppo tardi» sospirò la ragazza. «Il secondo piano è molto danneggiato. Speriamo che Calamistos e Delfakan abbiano previsto qualcosa per bloccare il crollo.» Senza aspettare oltre, si incamminò verso l'ufficio del direttore per mettere al corrente il papillon e la virgola di ciò che si tramava nel collegio. La segretaria li introdusse con riluttanza, e Peggy capì che non era più la benvenuta presso Kazor e Zooar. Appena fu nella stanza, riferì fin nei minimi dettagli la scena notturna alla quale aveva assistito. Il suo racconto però non produsse l'effetto sperato. «Ma andiamo! Ti stai inventando tutto» la accusò la virgola dal libro dove se ne stava nascosta. «Diablox è il nostro più fedele alleato. Ha fatto molto per questa scuola, senza di lui non avremmo la reputazione eccellente di cui andiamo fieri!» «So perché menti,» attaccò immediatamente il papillon «ce l'hai con Diablox per aver messo i tuoi amici in quarantena... Speri di screditarlo ai nostri occhi con questa storia strampalata! Così non va bene. Ci deludi terribilmente. Una vera eroina deve sapersi mostrare leale e bandire le menzogne dalla sua vita.» «Ma sto dicendo la verità!» si spazientì Peggy. «Non capite! Diablox vi ha raggirato per bene. Ha volontariamente facilitato l'impresa di sabotaggio dei vostri nemici... Sapeva chi, tra gli studenti, apparteneva al clan dei falsi bambini, ma ha lasciato che preparassero il crollo del secondo piano, tutto questo soltanto per concedersi il lusso di morire da eroe.» «Basta così!» tuonò Calamistos alzandosi. «Non ascolteremo i tuoi vaneggiamenti un minuto di più. Esci da questa stanza, se non vuoi ritrovarti anche tu in quarantena. A partire da questo momento hai perso ogni possibilità di ottenere il tuo diploma da supereroina. Sei cancellata dai nostri elenchi.» «Che pasticcio!» si lamentò Delfakan. «E dire che riponevamo grandi speranze in te! Che errore! Sei soltanto una bugiarda. Forse non hai neanche mai vissuto le avventure che ti vengono attribuite. Vattene. Decideremo la tua sorte dopo la consegna dei diplomi. Ho una gran voglia di farti murare nelle cantine di questo edificio, insieme a quelli che verranno bocciati.» Peggy batté in ritirata. È inutile insistere, pensò, sono degli ottusi. Rischierei solo di mettermi nei guai. Lasciò quindi l'ufficio senza perdere altro tempo. La reazione dei due direttori non l'aveva realmente sorpresa.
«Speriamo che quei due cretini non vadano a riferire le tue accuse a Diablox» borbottò il cane blu. «Questo potrebbe rendere la nostra situazione ancora più precaria. Che facciamo ora?» «Dobbiamo trovare il modo di andarcene da qui» decise Peggy. «Se le mura dello zoo crollano, i mostri si impadroniranno della scuola, massacrando tutti quelli che troveranno sul loro cammino. Credo che la prima cosa da fare sia scoprire come si esce da qui.» «Sono sempre stato convinto che ci trovassimo in un gigantesco rifugio a decine di metri di profondità» affermò il cane. «Il paesaggio campestre che ci circonda è finto, la nebbia che aleggia sempre sui campi è là per impedirci di distinguere le mura che ci imprigionano. La stessa cosa vale per il 'cielo', che è soltanto un soffitto di cemento mascherato con nuvole artificiali. Il giorno e la notte sono simulati da lampade che vengono accese e spente una dopo l'altra.» «Hai ragione» convenne la ragazza. «Non siamo in campagna, ma prigionieri di un bunker sotterraneo. Tutto è finto, anche il canto degli uccelli. Eppure, hanno dovuto portarci fin qui in qualche modo... Questo vuol dire che c'è per forza, da qualche parte, un ascensore nascosto che permette di raggiungere la superficie. Dobbiamo trovarlo al più presto.» «La cosa migliore è esplorare la campagna» propose l'animale. «Risaliamo la strada dalla quale siamo arrivati qui, ci porterà sicuramente da qualche parte.» «Esatto» approvò Peggy. «Credo che sia giunto il momento di andar a fare un bel pic-nic.» 22 Pic-nic mortale Approfittando del fatto che nessuno faceva attenzione a loro, Peggy e il cane blu si allontanarono dal collegio. La ragazza voleva rifare in senso inverso la strada che aveva percorso insieme a Naxos quando si era risvegliata sotto la pensilina dopo essere stata drogata. «Non ho mai visto nessun autobus circolare su queste strade» disse. «Le uniche vetture posteggiate nel parcheggio della scuola sono quelle dei supereroi, e nessuna si è mossa dal nostro arrivo.» «Sono sicuramente state portate qui smontate» suppose il cane. «Come tutto il resto. E poi sono state ricostruite sul posto.» Man mano che si addentravano nella campagna, i passi di Peggy Sue ri-
svegliavano echi sempre più sonori sotto la volta di cemento. La ragazza si fermò all'incrocio di due strade per scrutare il paesaggio. «Sono certa che quel piccolo villaggio che si vede laggiù è finto» decretò. «Se provassimo ad avvicinarci ci accorgeremmo che si tratta di un modellino.» «Continuando sempre dritto dovremmo inevitabilmente urtare contro un muro» rifletté il cane blu. «Questo posto deve avere per forza quattro lati.» Si rimisero in cammino. La nebbia artificiale che galleggiava sulla prateria falsava le distanze. «È bene organizzato,» notò la ragazza «la cortina di fumo impedisce allo sguardo di arrivare fino all'orizzonte, in questo modo è difficile rendersi conto di essere rinchiusi in una scatola.» Se tutt'intorno al collegio l'erba, i cespugli e gli alberi erano veri, non era più così appena ci si ritrovava in aperta 'campagna', dove tutto era truccato. L'erbetta e gli arbusti provenivano da un negozio di trucchi cinematografici. La loro consistenza ricordava la gomma o la plastica. Si trovavano là soltanto per gettare polvere negli occhi. Uno sfondo, pensò Peggy, un paesaggio superbamente imitato. Certo che, da lontano, l'inganno era perfetto. Dopo una ventina di minuti, la strada sulla quale camminavano i due amici curvò per ripartire in direzione del collegio. La ragazza tirò fuori il binocolo dallo zaino e scrutò l'orizzonte. «È proprio come pensavo» mormorò «tutte le strade ritornano verso la scuola, non ce n'è nessuna che si dirige verso 'l'esterno'.» «Per la semplice ragione che non esiste un esterno» precisò il cane. Peggy annuì. Le strade accerchiavano gli edifici scolastici, come i viali tortuosi di un labirinto. Al di là di quel guazzabuglio, si estendeva la 'campagna' verde, immersa nella bruma artificiale. «Bisogna uscire dal percorso tracciato» decise la ragazza. «Spero solo di non avere brutte sorprese.» Lasciando il sentiero ricoperto di graziosi sassolini, Peggy mise piede sull'erba della prateria. Non accadde nulla. Rassicurata, si avviò a passo deciso verso la pianura, con il cane blu attaccato alle costole. La nebbia divenne sempre più fitta, rendendo l'atmosfera inquietante. «Secondo me» suggerì l'animale «se la nebbia diventa più densa, significa che ci stiamo avvicinando al muro di cinta e che vogliono mascherarne i contorni.» Peggy strizzò gli occhi, aveva paura di perdersi e di girare in tondo in
mezzo alla foschia. Quando si guardò alle spalle, vide che non si distinguevano più gli edifici scolastici. D'un tratto, qualcosa si sollevò sotto i suoi piedi. Abbassando lo sguardo, notò che l'erba, fino ad allora molle, si era indurita, ogni filo aveva assunto l'aspetto di una piccola lama di coltello innalzata in verticale. «Ehi!» gridò il cane blu. «Il prato fa come gli istrici, innalza gli aculei!» «È per impedirci di avanzare» spiegò Peggy Sue. «Siamo appena entrati nella zona proibita! Quindi vuol dire che l'uscita è vicina... dobbiamo continuare, siamo sulla buona strada.» Purtroppo i fili d'erba, oltre che rigidi, erano anche taglienti. Le punte affilate trapassavano la suola delle scarpe quando vi si camminava sopra. «Stop!» strillò il cane blu. «Non posso continuare, mi ferirò le zampe!» Peggy dovette ammettere che aveva ragione. L'erba del prato si innalzava da ogni parte, respingendo gli intrusi. «Aprirò il tappeto volante,» decise la ragazza «è l'unico modo di proseguire. Così sorvoleremo la prateria senza calpestarla.» In un batter d'occhio si sfilò il mantello di seta e gli diede il suo aspetto originale. Quando il tappeto si fu stabilizzato in volo a cinque metri dal suolo, vi depose il cane e vi salì lei stessa. Giusto in tempo: aveva le suole delle scarpe tutte tagliate, e le piante dei piedi cominciavano a sanguinarle. «Vola dolcemente!» ordinò al tappeto. «Non fare acrobazie, dobbiamo esplorare i dintorni.» Per dieci minuti tutto andò bene, poi il cane blu lanciò un nuovo grido d'allarme. «Guarda un po' là! L'erba continua ad alzarsi! I suoi fili crescono per raggiungerci. Ora sono grandi come spade!» Peggy si sporse per dare un'occhiata sotto il tappeto magico. Rabbrividì. Il prato sollevava verso di loro verdi lingue aguzze che sembravano tagliate nell'acciaio. Quelle lame pericolosamente affilate non smettevano di allungarsi. Presto sarebbero state grandi come picche, alabarde, lance da torneo! «Sali!» ordinò al tappeto. «Sali, o ci faremo infilzare!» Il rettangolo di seta fece un salto in aria, scampando di poco alle punte d'acciaio che, ormai, ne solleticavano il bordo. «È uno sbarramento» mormorò Peggy Sue. «Senza il tappeto, non ci sarebbe stato possibile superarlo. La direzione del collegio fa le cose per bene.» «Spero che queste lance non si trasformino in frecce» disse il cane, pre-
occupato. «Se cominciano a schizzare in aria, siamo perduti.» Peggy non disse niente. China sul bordo del tappeto, guardava la prateria. Aveva l'impressione di contemplare un'armata in marcia. Un'armata di guerrieri che avanzavano gomito a gomito con in spalla lunghe lance dalla punta acuminata. Per dieci minuti si sentì molto vulnerabile, poi la prateria lasciò il posto a una distesa rocciosa, desertica. Grandi alberi morti s'innalzavano qua e là, i tronchi rinsecchiti. «Abbassati!» comandò al tappeto volante. «Credo che siamo alla fine del viaggio. Il muro di cinta è là, dietro quei sassi.» Infatti, appena misero piede a terra, videro che avevano raggiunto i confini del rifugio sotterraneo. Rocce, sassi e ghiaia si ammassavano alla rinfusa al limitare di una muraglia grigia che si estendeva a perdita d'occhio. Era un muro deprimente, senza scritte né aperture di sorta. Per esserne certa, Peggy salì su un blocco di pietra ed esaminò il muro col binocolo in tutta la sua lunghezza. «Non capisco» mormorò. «Non ci sono porte. In teoria l'ascensore dovrebbe trovarsi qui.» «Secondo me» intervenne il cane blu «se esiste un'apertura che dà sull'esterno, è nascosta.» «Vuoi dire che si tratterebbe di un passaggio segreto?» «Sì... Probabilmente una di quelle rocce scorre su se stessa, o qualcosa del genere. Bisognerebbe controllarla da vicino.» «Andiamo» sospirò Peggy. «Visto che ci siamo, è meglio fare le cose secondo le regole.» Aiutata dall'animale, cominciò a esaminare tutti i sassi lì attorno. Purtroppo non trovò niente che accennasse a muoversi, a ruotare, ad aprirsi, a scorrere, a socchiudersi o girare per rivelare un qualunque passaggio segreto. Le rocce erano soltanto rocce, non nascondevano nulla. «Ci deve essere per forza qualcosa da azionare!» si intestardì il cane blu. Mentre alzava la zampa per fare pipì su uno degli alberi morti, ebbe un'illuminazione. «Corpo di una salsiccia atomica!» guaì. «Avremmo dovuto pensarci subito! Gli alberi! Gli alberi, ma certo! Sono finti... Sono cavi!» Peggy si precipitò a toccare un tronco secco che spuntava in mezzo alle pietre come un palo di frontiera. Non ci mise molto a individuare un sottile taglio sulla corteccia. Un taglio che disegnava il contorno di una porta. Un nodo nel legno sembrava essere al posto del pulsante di chiamata o di un
interruttore. Lo spinse. Immediatamente risuonò uno scatto e l'albero si aprì... rivelando una cabina metallica simile a quella di un comune ascensore. «Ci siamo!» trionfò la ragazza. «Lo abbiamo trovato! E al primo colpo... È geniale!» «Troppo geniale, forse» borbottò il suo compagno. «Che vuoi dire?» «Voglio dire che così, al primo tentativo, mi sembra troppo facile... è meglio non fidarsi, potrebbe trattarsi di una trappola. Non entrare in questo affare. È meglio controllare anche gli altri alberi.» Peggy strinse i denti: sperava di cuore che il suo amico si sbagliasse. Aveva così tanta fretta di fuggire da quel posto che era pronta a commettere un'imprudenza. Come supponeva l'animale, anche gli altri alberi nascondevano un ascensore, che sembrava destinato a sprofondare nel terreno, come se l'uscita si trovasse sotto i loro piedi e non sopra le loro teste. Forse ci troviamo all'interno di una montagna, si disse la ragazza. Per andarsene da qui, bisogna quindi scendere verso la pianura e non salire verso le cima. Questo spiegherebbe perché le cabine sono tutte concepite solo per la discesa... «Secondo me non vanno da nessuna parte» dichiarò il cane con tono lugubre. «Se commetti l'errore di entrarci, la porta si chiude e tu rimani rinchiusa lì fino a che non sopraggiunge la morte. Sono vere trappole per topi. Le hanno messe qua per intrappolare coloro che tentino di evadere.» Peggy era terribilmente delusa, al punto che si sentiva vinta dalla disperazione. Per un attimo, rischiò di dimenticare ogni prudenza e saltare nell'ascensore. Un grugnito del cane blu la dissuase. «Non fare l'idiota» le disse. «Ci sono ancora tre alberi da esaminare.» Quando aprì la porta dell'ultimo albero, Peggy lanciò un grido d'orrore. Sul pavimento dell'ascensore c'era uno scheletro rannicchiato. Accanto a lui c'erano uno zaino e il pallone sgonfio del piccolo dirigibile che era servito a quel poveretto per superare lo sbarramento dell'erba-coltello. «È proprio come pensavo» disse il cane. «Una volta che si finisce nella nassa39, non si può più aprire la porta. Si è condannati a morire asfissiati. È quello che ci aspetta, se tentiamo di filare da questa parte.» Peggy s'inginocchiò. «E se fosse un finto scheletro?» suggerì. «Un trucco per spaventarci...
Forse si tratta solo di una messa in scena.» «Vuoi davvero suicidarti?» grugnì l'animale. «Ci sono sei alberi morti, quindi sei cabine. È possibile che una di queste funzioni davvero, ma quale? Come facciamo a sapere qual è quella buona? Non possiamo affidarci al caso. La cosa più saggia è tornare al collegio e perquisire l'ufficio di Calamistos. Con un po' di fortuna, troveremo le piantine del rifugio.» «Avremmo dovuto cominciare da lì» ammise Peggy Sue. «Il problema è che la virgola è sempre in quella stanza. Se non dorme mai, rischia di dare l'allarme.» «Troveremo il modo di addormentarla! Ora torniamo alla scuola, prima che Diablox si accorga della nostra fuga.» Grazie al tappeto magico, i due amici sorvolarono senza problemi il prato di lame. Una volta dall'altra parte, ritornarono al collegio usando le stradine abituali. Nella confusione delle lezioni di addestramento, nessuno si era accorto della loro assenza. 23 Quando si spalanca l'inferno Non dovettero attendere a lungo. I primi segni della fine del mondo si manifestarono a colazione, mentre gli studenti erano radunati a mensa. All'inizio furono scricchiolii attutiti, tremiti della muratura, come se tutto il collegio si scuotesse simile a un animale che si sta risvegliando. La terra tremò, e insieme a essa il latte nelle tazze, e i bicchieri, e i piatti, e tutto ciò che si trovava sui tavoli della mensa. «Si comincia» bisbigliò Peggy. «Sono le mura del secondo piano che si stanno riempiendo di crepe.» Poi tutto tornò calmo e, per due ore, sembrò che non accadesse più nulla, ma ben presto strani odori cominciarono ad aleggiare nei giardini. Odori di giungla, di fango, di marciume vegetale. «L'odore della foresta marziana» mormorò il cane blu «filtra attraverso le fessure dei muri.» Dopo gli odori vennero le grida degli animali, smorzate, lontane, ma comunque terrificanti. Tutti quelli che erano stati al secondo piano non potevano sentirli senza rabbrividire. Ormai bisognava arrendersi all'evidenza, l'inferno stava per spalancarsi.
«Ora tutto avverrà più in fretta» profetizzò il cane blu. «I baobab non ci metteranno molto a sfondare il tetto.» Un vento di panico soffiò sul collegio. Calamistos e Delfakan avanzavano a fatica nel cortile. Il personale della scuola li seguiva come un gruppo di anatroccoli arruffati e sperduti. Era evidente che non avevano nessuna idea di che cosa fosse meglio fare. Vennero sgomberati gli edifici. Nel giardino vennero montate alcune tende. Avrebbe potuto essere divertente, ma nessuno aveva più voglia di ridere. Era chiaro per tutti che si era ormai sull'orlo di una terribile catastrofe. Diablox radunò gli studenti. «Miei giovani amici,» cominciò col tono di un generale romano che si rivolgeva alle sue legioni «il momento della verità si avvicina a grandi passi. Ne siete consapevoli. Entro qualche ora, massimo un giorno, avrà inizio l'ultima battaglia. Le forze nemiche invaderanno il collegio per massacrarci. Voi sarete la prima linea di difesa che si opporrà a questa invasione. Avete visitato tutti il secondo piano, quindi sapete che cosa vi aspetta. La fauna e la flora marziane si coalizzeranno per sterminarci. È da troppo tempo che le teniamo imprigionate lassù, e la loro ferocia sarà grande quanto il loro risentimento.» Fece una pausa, camminò per un po' avanti e indietro, prima di riprendere a parlare: «So cosa pensano alcuni di voi. Si dicono che non sono pronti, che padroneggiano male il loro costume da combattimento, che gli ci sarebbe voluto più tempo... Ma è sempre così alla vigilia di una battaglia: non si è mai abbastanza pronti, eppure è in questo modo che si vincono le guerre. Un tempo, importanti conflitti sono stati vinti da giovani inesperti che hanno saputo dar prova di un coraggio smisurato. È quello che mi aspetto da voi. Alcuni moriranno, quelli che sopravviveranno diventeranno dei formidabili supereroi. Vi viene offerta una grande opportunità, quella di cominciare la vostra carriera con una prodezza. Una prodezza che, da un giorno all'altro, vi spingerà al centro della scena. Oggi non siete niente, solo miseri apprendisti infagottati in costumi malconci troppo larghi o troppo piccoli; domani, più nessuno si sognerà di prendersi gioco di voi. O sarete morti, o sarete degli dèi. In ogni caso, sarete diventati eroi.» Un'ovazione salutò il discorso; tutti avevano un nodo in gola. «Ma certo, sarebbe magnifico,» grugnì il cane blu «se Diablox non fosse, in realtà, all'origine del cataclisma che si annuncia! È proprio lui che ha
permesso ai sabotatori di introdursi al secondo piano!» I primi invasori spuntarono due ore più tardi. Si trattava di minuscole scimmie rosse, che piombarono a decine sulla mensa per rubare il cibo. Poco più grandi di una bottiglia di Coca-Cola, non sembravano rappresentare un pericolo reale, così le lasciarono fare. Diablox era troppo occupato a spiegare alle sue truppe la strategia che conveniva adottare. «Il problema» borbottò il cane blu «è che non sappiamo da quali bestie sarà composta la prima ondata d'assalto. Se si tratta degli elefanti starnutanti, rischiano di fare una carneficina.» «Che vuoi,» sospirò Peggy «Diablox è nel suo ambiente, è la sua ora di gloria. Gioca a fare il generale. I suoi compagni, gli altri supereroi, non hanno un'aria troppo gioiosa, invece. Suppongo che si rendano conto che abbiamo ben poche possibilità di respingere il nemico. Ho anche paura che la famosa 'grande battaglia' si risolverà invece in un suicidio di massa.» Dopo le scimmie rosse vennero dei piccoli uccelli squamosi dalle grida sgradevoli. «Le crepe non sono ancora abbastanza larghe da permettere il passaggio di grossi animali,» suppose Peggy Sue «ma non tarderanno.» Nel primo pomeriggio, Diablox fece un nuovo discorso. «Il momento si avvicina» proclamò. «Quando l'edificio crollerà, mantenete la calma. Tenete a mente che abbiamo un'arma segreta: i costumi magici del guardaroba di guerra. Se le cose si mettono male per noi, vi ordinerò di indossarli. Hanno un'incredibile potenza, ma consumano molta energia vitale, così coloro che li indosseranno invecchieranno velocemente. Quindi non vi stupite di ritrovarvi, alla fine dello scontro, invecchiati di quarant'anni. È il prezzo da pagare, ma sono certo che questo non vi spaventerà più di tanto.» Peggy Sue, che seduta in disparte ascoltava questa arringa, aggrottò le sopracciglia. «È pazzo!» sussurrò. «I costumi da guerra sono troppo potenti per noi, ci divoreranno certamente, così come le belve marziane.» Purtroppo, Diablox parlava bene, e i ragazzi salutavano ognuna delle sue affermazioni con un concerto di 'urrà'! Alcuni scricchiolii ovattati provenienti dal tetto misero fine a quelle esplosioni di entusiasmo. Medici e infermieri cominciarono la distribuzione di vitamine. Infatti era fondamentale che gli studenti accumulassero alcune
riserve di energia per far fronte alla golosità dei costumi. L'atmosfera divenne elettrica. D'un tratto, un gruppo di sconosciuti uscì dall'edificio che era stato evacuato. Indossavano uniformi da supereroi, e alcuni di loro non erano più dei ragazzi, perché avevano i capelli grigi! Peggy Sue riconobbe la ragazza che marciava alla loro testa: si trattava di Loba! Le si precipitò incontro. «Sei venuta!» esclamò. «Così alla fine hai trovato il coraggio di domare il tuo costume...» «Sì» rispose la giovane guerriera. «Non avevo altra scelta: tutti gli animali, tutte le piante del secondo piano stanno per entrare in guerra contro di voi. È imminente, le squadre d'assalto sono già pronte, aspettano solo il crollo dei muri per dilagare nel collegio. Siamo passati attraverso le crepe, strisciando. Ho portato con me i naufraghi che si nascondevano nella giungla. Non potevamo rimanercene in disparte, capisci...» Peggy la strinse tra le braccia, con un nodo in gola. «Ma dove sono Naxos e Zeb?» domandò Loba. Peggy Sue le spiegò che Diablox li aveva fatti imprigionare. «Che imbecille!» sibilò Loba. «Vedo che qui niente è cambiato durante la mia assenza. Perché meravigliarsene? Questa scuola è sempre stata diretta da stupidi presuntuosi.» Diablox, in qualità di generale autoproclamato40, si avvicinò ai nuovi arrivati, ma Loba gli voltò le spalle con ostilità. «Non farti illusioni, Diablox,» disse «l'armata marziana ci travolgerà. Ci vorrà un miracolo per respingerla. Ho contato un centinaio di elefanti starnutanti, cinquecento leoni dalla criniera serpentina, cinquanta ragni giganti... Senza contare le piante esplosive che ci mitraglieranno di semi di ferro. Gli uccelli, invece, ci sorvoleranno per bombardare il collegio con l'aiuto di noci di cocco detonanti. Nel giro di dieci minuti, si scatenerà l'inferno.» «L'importante non è vincere,» ribatté seccamente Diablox «ma morire con onore.» «Per te, forse,» replicò Loba «ma non per me. Non sono una fanatica, io.» «Dovrai obbedirmi» contrattaccò il vecchio eroe. «Ho stabilito una strategia ben precisa.» «Non ci penso neanche» tagliò corto la giovane guerriera, allontanandosi. «Io e i miei amici non riconosciamo l'autorità del collegio. La mia opinione, infatti, è che sei completamente rimbambito.»
A quell'insulto Diablox si irrigidì. «Regoleremo i nostri conti più tardi» disse seccamente. «Ti sottoporrò alla corte marziale, piccola insolente!» «Credevo che volessi morire da eroe» ridacchiò Loba. «Se sopravvivi, qualcuno potrà insinuare che sei stato troppo prudente... per non dire vigliacco!» Seguita dalle sue truppe, la ragazza raggiunse un altro versante dei giardini. Posando una mano sulla spalla di Peggy, le bisbigliò: «Cerca di far liberare tuoi amici. Naxos e Zeb potrebbero esserci molto utili nella battaglia che si preannuncia, soprattutto Zeb, che mi sembra abbia poteri straordinari. Trova Calamistos e pretendi la loro liberazione.» «Ci proverò» promise Peggy. Cominciò un'interminabile attesa. Il fabbricato stava cedendo. Ogni tre minuti, sulla facciata compariva il profilo di una nuova crepa. L'apparizione delle fenditure era accompagnata da boati impressionanti. «È la fine» annunciò il cane blu. «Esploderà da un minuto all'altro. Si potrà prendere parte alla battaglia? Tu non hai un costume, ma solo un tappeto volante: non so se andrà bene.» «Neanch'io» confessò Peggy. «E poi non mi piace molto l'idea di uccidere questi animali; dopo tutto, sono stati tenuti prigionieri per anni, e secondo me non hanno tutti i torti a essere in collera.» I due amici si intrufolarono nel collegio per andare a bussare alla porta del direttore. Calamistos e Delfakan li accolsero con grande freddezza. «Che cosa vuoi ancora?» disse la virgola in fondo al libro aperto sulla scrivania. «Abbiamo altro da fare che ascoltare i tuoi lamenti.» «Dovete liberare i miei amici» dichiarò Peggy Sue. «Naxos e Zeb saranno di grande utilità nella battaglia che sta per cominciare.» «Non se ne parla!» rispose il papillon. «È Diablox che ha deciso la loro incarcerazione. È il nostro generale, le sanzioni disciplinari sono di sua competenza.» «Diablox è pazzo!» esplose la ragazza. «Ha architettato tutto questo disastro per avere l'occasione di fare l'eroe un'ultima volta, ma noi non siamo in grado di respingere l'invasione. Le orde marziane ci travolgeranno. Non hanno gradito quello che avete fatto subire loro, reclamano vendetta.» «Taci, piccola peste!» scattò la virgola. «Non sai quello che dici. I marziani non possono vincere. Noi abbiamo un'arma segreta per annientarli.» «Spero che non stiate mentendo» mormorò Peggy fuori di sé. «Pensate a cosa accadrà se gli animali riusciranno a uscire dalla scuola e a invadere il
mondo!» «Ti ripeto che è stato tutto previsto» rispose ancora una volta il papillon. «Non siamo degli sciocchi. Ora vattene, vai a raggiungere le truppe e cerca di dimostrarti all'altezza della situazione.» La ragazza lasciò la stanza sbattendo la porta. Dieci minuti più tardi, il tetto del secondo piano crollò. I primi a spuntare in mezzo alle macerie furono i leoni dalla criniera serpentina, abbastanza piccoli da riuscire a scivolare attraverso le fessure di minore entità. I rettili furiosi formavano una corona brulicante intorno al loro muso, e questo spettacolo, accompagnato dai ruggiti dei leoni non aveva nulla di rassicurante. A quella vista, gli apprendisti supereroi indietreggiarono di un passo. Ben presto furono venti, poi trenta, poi quaranta i leoni che saltarono fuori dalle macerie. I loro ruggiti facevano un gran baccano, un clamore che preannunciava una carneficina e faceva venire i brividi. «Lasciateli a noi,» ordinò Loba «abbiamo avuto il tempo di studiarli, conosciamo i loro punti deboli.» Seguita dai vecchi naufraghi della savana, si lanciò all'attacco, superando Diablox e le sue truppe che esitavano. Allora cominciò un combattimento degno delle arene dell'antica Roma, quando i gladiatori affrontavano le belve a mani nude. Senza i costumi magici, Loba e i suoi amici sarebbero stati fatti a pezzi in pochi minuti. Fortunatamente, i travestimenti che avevano indossato li proteggevano dai colpi d'artiglio e dai morsi dei serpenti. La giovane guerriera restituiva loro colpo su colpo. Come sempre accade nei grandi combattimenti, la battaglia si mutò in una mischia, e divenne presto impossibile sapere chi fosse in vantaggio. Diablox e la sua squadra si erano finalmente decisi a scendere in lizza, e a quel punto il caos divenne totale. «Soltanto al cinema le battaglie sono belle» sospirò il cane blu. «Nella realtà sono uno degli spettacoli più spaventosi a cui si possa assistere.» Il fracasso raggiunse i limiti del sopportabile. Il caos divenne totale. Gli apprendisti supereroi si sforzavano di usare tutte le risorse dei propri costumi, ma purtroppo li padroneggiavano male e, a volte, si ferivano a vicenda. Uno di loro, volendo bombardare i leoni con sfere di fuoco, si infiammò lui stesso. Bruciò come una torcia prima che qualcuno potesse aiutarlo. Ma la cosa più grave era che i travestimenti magici consumavano enormi energie vitali, esaurendo i ragazzi che li usavano come fossero delle pile.
Peggy Sue, che ancora non riusciva a capire come intervenire efficacemente nello scontro soltanto col suo tappeto volante, si limitava a rimanere nelle retrovie, facendo l'infermiera. Donny, un ragazzo con un costume in pelle di serpente, cadde ai suoi piedi. Credendo che fosse ferito, Peggy si chinò su di lui. Lanciò un grido di dolore: la superficie del costume scottava! Quando alzò la visiera del casco ebbe l'orribile sorpresa di scoprire un volto da vecchio, raggrinzito. Il Donny di tredici anni che conosceva si era trasformato in una mummia rinsecchita. Il costume aveva divorato tutta la sua energia, la sua gioventù... Quando cercò di dargli da bere, il ragazzo aprì la bocca, e Peggy poté constatare che aveva perso anche tutti i denti. «È spacciato» diagnosticò il cane blu. «È quello che succederà a tutti loro... I costumi magici consumano tantissima energia. Questi ragazzi sono ancora troppo giovani per controllarli.» Peggy non ebbe il tempo di rispondergli perché un gruppo di pterodattili rossi si levò in volo dal tetto sfondato della scuola. Le lunghe ali di pelle agitavano l'aria con colpi secchi. Come una squadriglia di caccia in picchiata, le belve piombarono sui ragazzi e li trapassarono con loro becco affilato. «È una vera carneficina» ansimò Peggy Sue. «Bisogna battere in ritirata, mettersi al riparo. È sciocco esporsi così, non siamo in grado di affrontare questi mostri.» Diablox e i suoi amici, i vecchi supereroi di una volta, si erano a loro volta lanciati nella battaglia. Alcuni cercavano di fare del loro meglio e di ripetere le prodezze di gioventù, ma sfortunatamente le loro capacità erano molto diminuite con gli anni e non riuscivano a infliggere agli assedianti nessun colpo decisivo. Uno di loro, Spirox, il maestro del soffio, che un tempo era in grado di provocare turbini e tempeste, si accasciò vicino a Peggy allo stremo delle forze. La ragazza si precipitò per dargli da bere. «Vattene, piccola,» balbettò l'uomo strappandosi la maschera «tutto è perduto... Diablox è pazzo... Non avrebbe mai dovuto provocare un simile conflitto. Non siamo più capaci... Siamo troppo vecchi... Vai via... Fuggi, finché sei ancora in tempo, e porta con te più gente possibile.» I suoi occhi si chiusero: era morto. Non aveva nessuna ferita, ma l'età e l'avidità del suo costume lo avevano ucciso allo stesso modo degli artigli di 41
un leone. «Il peggio deve ancora venire» disse il cane blu. «Non abbiamo ancora visto gli elefanti starnutanti né i ragni giganti.» Peggy Sue correva dall'uno all'altro, distribuendo acqua e vitamine. I medici non sapevano più dove sbattere la testa, in più la maggior parte di loro era stata trafitta dagli pterodattili. Lentamente ma inesorabilmente la linea del fronte si scioglieva, gli studenti indietreggiavano, abbandonando il terreno ai leoni la cui criniera di rettili faceva stragi. Con un salto portentoso, Loba atterrò accanto a Peggy Sue. Si piegò sulle ginocchia, ansimando. Il suo costume emetteva fumo. Quando si tolse il casco, Peggy non la riconobbe. La ragazzina di sedici anni era diventata una donna di trenta... Loba lesse lo stupore negli occhi di Peggy e comprese. «Sono cambiata, vero?» balbettò. «È il mio costume, mi sta letteralmente divorando... Sono sicuramente dimagrita di dieci chili in mezz'ora di combattimento. È finita... Non riusciamo a resistere. Bisogna fuggire. Vai a cercare Calamistos, digli che bisogna abbandonare. Hai capito? Deve innescare la procedura di evacuazione immediata. Per ora riusciamo ancora a fare qualcosa, ma gli elefanti non tarderanno a caricare. Nello spazio di pochi minuti, tutti saranno colpiti da amnesia: allora dimenticheremo anche di combattere, e i leoni ci divoreranno facilmente.» Siccome Peggy esitava a lasciarla sola, Loba le diede una spinta. «Vai!» le ordinò. «Questa battaglia è inutile, e tu sei la nostra ultima speranza.» Dopo il crollo dell'edificio, Calamistos e Delfakan avevano trovato rifugio sotto la tenda che Diablox aveva pomposamente battezzato 'Quartier generale'. Peggy scivolò al riparo della tenda. I due robot erano là, seduti a un tavolino sul quale era distesa la mappa del collegio. Delfakan mordeva nervosamente la sua cravatta, mentre Calamistos aveva aperto sulle gambe il grosso libro che conteneva la virgola vivente. «Siete contenti?» Attaccò subito la ragazza. «Alla fine avete capito che era inutile affrontare le creature di Marte? Sono qui per chiedervi di innescare la procedura di evacuazione. Dobbiamo andarcene prima che i mostri ci massacrino fino all'ultimo. È possibile far uscire gli studenti senza che i leoni si infilino anche loro nel passaggio? Ci mancherebbe che scappassero dal rifugio e si riversassero in tutto il paese.» «Non c'è questo rischio» rispose la virgola. «Tutto è stato previsto per
impedire questa eventualità.» «Sembrate molto sicuri di voi» osservò Peggy. «Anche prima però pensavate che avremmo vinto la guerra! Invece guardate il risultato!» «Non è la stessa cosa» mormorò il suo interlocutore, offeso. «Tu sembri ignorare una cosa fondamentale. Non siamo realmente nel bel mezzo di una campagna verdeggiante...» «Lo so» sorrise la ragazza. «La scuola è stata costruita all'interno di un gigantesco rifugio antiatomico. Suppongo che ci troviamo dentro una montagna. Quindi ci deve essere per forza un tunnel che sbocca al livello della pianura... o qualcosa di simile.» «E invece non hai capito niente!» sibilò il papillon. «Ti credi molto furba, ma ignori la cosa più importante. Il collegio non è interrato, come tu immagini. Non si tratta di un rifugio antiatomico... In realtà, è una nave spaziale. Ci troviamo all'interno di una stazione orbitante intorno alla Luna. Non avremmo mai corso il rischio di portare tutti questi mostri che sulla Terra. Non siamo pazzi.» Peggy Sue e il cane blu rimasero a bocca aperta, folgorati dallo stupore. «Una navetta spaziale vi ha condotti qui» proseguì Delfakan. «Ecco perché siete stati tutti drogati. Nessuno doveva sapere che il famoso collegio per supereroi si nascondeva all'interno di una vecchia stazione meteorologica che gira instancabilmente intorno alla Luna. Ne andava della sicurezza di tutti noi.» «C'è solo un mezzo per ritornare sulla Terra,» riprese la virgola «prendere la navetta ormeggiata nella sala di decollo. È automatica. Basta spingere il bottone 'Ritorno' perché ci riporti a casa.» «Molto bene» annuì Peggy. «Come si accede alla sala di decollo? Quale ascensore bisogna prendere?» «Gli ascensori sono delle trappole» rispose Delfakan. «Non bisogna usarli assolutamente.» «Lo so, ma allora da dove bisogna passare? Devo saperlo per organizzare l'evacuazione dei miei compagni. Sbrigatevi, ogni minuto che passa uno di loro muore, ucciso da una creatura marziana o dal suo stesso costume da supereroe!» Delfakan fece un gesto evasivo. «L'uscita si trova sotto la fontana» sospirò. «Per scoprirla, bisogna girare tre volte la testa della statua in senso antiorario... ma non è tutto. C'è un'altra cosa. Qualcosa che devi sapere.» «Che cosa?»
«Che hanno permesso di installare questa scuola a condizione di dotarla di un sistema di sicurezza particolare e... molto efficace. Questo sistema doveva impedire a tutti i costi ai mostri di Marte di fuggire e invadere la Terra.» Peggy strinse i pugni. Presagiva una nuova catastrofe. «Di che si tratta?» domandò. «Di un gas velenoso?» «No, non volevamo correre il rischio di uccidere accidentalmente uno dei nostri studenti. Si tratta di un processo di miniaturizzazione.» «Che cosa?» «È semplice: quando si inserisce, la stazione orbitante e tutto ciò che contiene cominciano a rimpicciolire. La navetta, ma anche la scuola, e gli studenti... e i mostri... Alla fine del processo, il collegio e i suoi occupanti potrebbero entrare in una scatola di fiammiferi. Hai capito il trucco? In questo modo, se le creature marziane riuscissero comunque a scappare, non rappresenterebbero nessun pericolo per la popolazione della Terra, perché avrebbero le dimensioni di una testa di spillo! Un leone dalla criniera di serpente, o un elefante starnutante così piccoli non potrebbero fare del male a nessuno...» «Non potevamo farci niente,» intervenne la virgola «ci hanno imposto questa misura di sicurézza. Non pensavamo che un giorno sarebbe servita.» «Aspettate!» scattò Peggy. «Non vorrete dirmi che... che avete già lanciato la procedura?» «Sì» confermò Delfakan «un attimo prima che tu entrassi in questa tenda.» Per sottolineare le sue parole, tiro fuori dalla tasca un telecomando con un solo bottone. «Fermate tutto!» gridò Peggy. «È troppo presto... Bisogna dare alle persone il tempo di raggiungere la sala di decollo.» «Troppo tardi» sospirò il papillon. «Non possiamo tornare indietro. Una volta lanciato il processo, è definitivo. Entro dieci minuti, la navetta comincerà a rimpicciolire. Da principio lentamente, poi sempre più in fretta. Tutto ciò che si trova su interno subirà la stessa sorte. Le proporzioni saranno rispettate. Alla fine, la stazione orbitante avrà pressappoco le dimensioni di una moneta...» «Ma noi non ce ne renderemo conto,» intervenne Delfakan «avremo l'illusione che le cose non siano cambiate. I tuoi amici e anche tu continuerete a condurre la stessa vita, con l'unica differenza che sarete diventati dei mi-
crobi.» «Una piccola differenza, in effetti!» rise amaramente la ragazza. «Siete suonati! Non resterò un minuto di più ad ascoltarvi, liberate Naxos, Zeb e i lupi... aprite la zona di quarantena, io intanto cercherò di organizzare l'evacuazione. Vi unirete a noi?» «No» rispose il punto sulla cravatta. «No,» rispose la virgola dal fondo del libro «noi siamo già minuscoli. Diventarlo ancora di più non ci spaventa.» «Come vi pare» disse Peggy con un gesto di indifferenza. «Tra quanto tempo comincerà esattamente la miniaturizzazione?» «Tra nove minuti. Poi, nel giro di cinque minuti, accelererà, e così via di cinque in cinque minuti. Credo che tra un quarto d'ora non sarai più alta di trenta centimetri, ma non te ne renderai conto. Dopo venti minuti, sarai ridotta ancora della metà... misurerai appena quindici centimetri, poi la riduzione si fermerà. Non ti traumatizzerà, perché la grande novità del procedimento è che avverrà a tua insaputa: il tuo ambiente si rimpicciolirà anch'esso, così sarà sempre in scala con te. Non avrai mai l'impressione di diventare un topo smarrito in un mondo di giganti, come si vede nei film di fantascienza.» «Me ne infischio!» borbottò Peggy. «Non voglio essere rimpicciolita, ecco! Vi ordino di aprire la zona di quarantena e di liberare i miei amici. Penserò io a organizzare l'evacuazione. Se non mi obbedite, vi giuro che getterò questa cravatta e questo libro nel fuoco!» Lasciò la tenda senza occuparsi più di Calamistos e del suo collega. «Corpo di una salsiccia atomica!» esplose il cane blu. «Non voglio diventare un microbo. Sono già abbastanza piccolo così!» 24 Quando i canotti di salvataggio si restringono lavandoli Fuori, la battaglia infuriava. L'arrivo delle pecore invisibili aveva provocato una carneficina, poiché nessuno poteva prevedere dove e quando avrebbero attaccato. Erano state abbastanza furbe da circondare la linea difensiva e prendere gli studenti alle spalle. La loro offensiva astuta aveva inflitto terribili perdite ai difensori del collegio. Peggy usò il tappeto magico per mettersi fuori dalla portata di quei mostri imprevedibili. L'armata di supereroi era attaccata da ogni parte. Muo-
vendosi a dieci metri dal suolo, la ragazza si diresse verso la fontana indicata da Calamistos. Sorvegliava i dintorni dall'alto, cercando di individuare dove sarebbero emersi Naxos e Zeb. Per tre volte evitò per un pelo uno pterodattilo in picchiata. Incapace di padroneggiare i loro slanci, i temibili lucertoloni volanti si ruppero il collo sbattendo contro il prato. «Laggiù!» gridò il cane blu. «I lupi...» «Zeb e Naxos sono dietro di loro! Presto, andiamogli incontro.» Correndo più veloce che poteva, il tappeto si lanciò nella direzione indicata. Appena mise piede a terra, Peggy, ubbidendo a un riflesso incontrollabile, si gettò tra le braccia di Zeb. Quando riprese il controllo di sé, era rossa per l'imbarazzo. Per un attimo, lo aveva confuso con Sebastian. Naxos, invece, sembrava di cattivo umore. «Che cos'è tutta questa euforia?» borbottò. «Anziché perdere tempo qui, faremmo meglio ad andare ad aiutare gli altri.» Peggy gli spiegò che era inutile, perché la battaglia era ormai persa. Bisognava invece pensare a organizzare l'evacuazione degli studenti prima che fossero tutti uccisi dalle belve o trasformati in vecchietti dai loro costumi. Naxos esitò: bruciava dal desiderio di usare il potere del suo braccio. «Non servirà a niente» insisté Peggy. «È soltanto un combattimento d'onore42 organizzato da Diablox. Non c'è un minuto da perdere, il tempo è contro di noi.» Quindi la ragazza raccontò ai suoi amici della miniaturizzazione del collegio. «Se non ce ne andiamo subito, finiremo la nostra vita in fondo a una scatola di fiammiferi, poco più grandi di microbi» affermò. «È questo che vuoi? Ci saranno altri combattimenti.» «Va bene... va bene...» capitolò Naxos. «Che cosa dobbiamo fare, allora?» «Parti insieme a Zeb, porta con te i lupi per difenderti, e cerca di radunare quanti più studenti puoi. Spiega loro che devono raggiungere la fontana, senza tardare. Intanto, io aprirò il passaggio.» Si separarono. Peggy e il cane blu si diressero alla fontana che si trovava al centro del parco. La statua centrale rappresentava una donna mascherata le cui mani scagliavano fulmini. Peggy la scalò a dispetto degli zampilli d'acqua che la accecavano. Gocciolante, arrivò in cima e, afferrando la testa della statua, la ruotò in senso antiorario. Un boato fece tremare il terre-
no, e una delle grandi lastre di marmo che tappezzavano lo spiazzo si sollevò come una botola, rivelando una scalinata sotterranea. «Non ci resta che scendere qui dentro,» ansimò la ragazza «suppongo che la navetta spaziale ci aspetti giù in fondo.» Visto che non riusciva a restarsene ferma ad aspettare il ritorno dei suoi amici, decise di andare a dar loro una mano. Fu così che trovò Jeff, barcollante tra i cespugli. Aveva finito per sbarazzarsi della capigliatura di serpenti, ma nonostante ciò non aveva recuperato le sue facoltà mentali. Danzava e cantava, senza capire che cosa accadeva intorno a lui. Peggy gli indicò il passaggio segreto e gli ordinò di andarci al più presto. Il ragazzo obbedì senza smettere di ballare con una dama invisibile. Quando si avvicinò alla linea del fronte, Peggy si accorse che i lupi erano impegnati a tenere a bada i leoni. Numerosi supereroi giacevano a terra, morti o privi di sensi. Molti erano stati uccisi dal loro stesso costume, e se gli si sfilava la maschera si scoprivano volti raggrinziti da mummie millenarie. I vecchi compagni di Diablox erano stati i primi a soccombere, l'età avanzata non aveva permesso loro di resistere all'insaziabilità dei costumi. Le sorti della battaglia erano state definitivamente capovolte quando gli elefanti starnutanti erano spuntati tra le macerie, cancellando con un solo 'etciù' la memoria dei combattenti. Diversi studenti, compresa la signora Zizolia, vagavano con aria smarrita, avendo dimenticato completamente la loro identità. «È impossibile radunarli!» ansimò Naxos. «Si rotolano per terra e piangono appena uno cerca di prendergli la mano. Sono troppo pesanti per trasportarli sulle spalle... Non so proprio che cosa fare... Gli elefanti si stanno avvicinando. Presto saremo a portata dei loro starnuti.» La situazione sembrava disperata. Peggy cercò malgrado tutto di costringere la signora Zizolia a salire sul tappeto volante, ma la sorvegliante si agitò e cercò di graffiarla. Aveva lo sguardo vitreo. «Avrei voluto portare anche Loba!» disse Peggy. «Dov'è?» «Se non è già morta, a quest'ora probabilmente ha novant'anni» le fece notare il cane blu. «Non puoi fare più niente per lei. Mentre ti lamenti, il tempo passa e noi rimpiccioliamo... Vieni, dobbiamo andarcene. Se perdiamo troppo tempo, diventeremo così piccoli che nonna Katy avrà bisogno di un microscopio ogni volta che vorrà guardarci!» Peggy si riscosse. L'animale aveva ragione. Bisognava salvare il salvabile. Inoltre, la carica degli elefanti faceva tremare il suolo, si stavano avvicinando... si avvicinavano...
Voltando le spalle al campo di battaglia, Peggy trascinò il piccolo gruppo che aveva radunato verso il tunnel d'evacuazione. Le dispiaceva davvero di non aver potuto recuperare Loba. Jeff li aspettava giudiziosamente vicino al sotterraneo. Il veleno dei serpenti gli aveva tinto le orecchie di nero. «Venite a iscrivervi alla gara di ballo?» domandò alzandosi. «Bisogna prendere un numero e indicare in quale categoria volete concorrere: danza classica o moderna... Anche questi lupi sono candidati? Devo avvertirvi che le danze folcloristiche non sono ammesse. Ma posso comunque iscrivere questo cane blu sotto la voce 'accessori'...» Peggy lo scansò con dolcezza. La carica degli elefanti starnutanti provocava un tale fracasso che era difficile capirsi. «Sbrighiamoci!» li esortò Naxos. «Credo che gli elefanti ci abbiano individuati, si dirigono da questa parte.» «Scendete! Scendete, presto!» ordinò Peggy spingendo i suoi compagni nel sotterraneo. La terra tremava come se volesse spaccarsi. Seguiti degli animali, i ragazzi si precipitarono sulle scale che conducevano al tunnel di evacuazione. Peggy Sue chiudeva la fila. Prima di spingere il bottone che comandava la chiusura della botola, lanciò un'ultima occhiata allo scenario apocalittico che si stendeva dietro di lei. Diablox era ormai completamente solo. Accerchiato dalle creature spuntate dalle rovine, si dimenava come un capo vichingo che si prepara a entrare nel Walhalla43. Povero vecchio pazzo! pensò Peggy, combattuta tra l'odio e la pietà. Il barrito di un elefante starnutante la fece trasalire. Mentre la botola si richiudeva, vide il mostro calpestare la tenda dove erano rintanati Calamistos e Delfakan. E si chiese se la virgola e il papillon avrebbero resistito a un tale trattamento. «Che stai facendo?» si spazientì il cane blu. «Vuoi davvero finire tuoi giorni come una bambolina portafortuna su una delle mensole di nonna Katy?» Il tunnel si estendeva davanti a loro per un centinaio di metri, con le sue pareti metalliche illuminate da lampade al neon appese al soffitto. «Andiamo!» decise Peggy, e cominciò correre. I lupi saltellavano al suo fianco, felici di tutte quelle avventure. La ragazza si rese conto con angoscia che aveva perso la nozione del tempo. Sapeva che era molto difficile valutare lo scorrere dei minuti quando si è impegnati in un'azione così rocambolesca.
Abbiamo già cominciato a rimpicciolire? si chiese. Si guardò intorno per controllare che il soffitto non le sembrasse più alto, o il corridoio più lungo, poi si ricordò le spiegazioni di Calamistos: la miniaturizzazione colpirà tutta la stazione orbitante! Vale a dire che tutto si rimpicciolirà nello stesso momento. Le proporzioni verranno così rispettate, sarà impossibile rendersi conto del fenomeno! Magari, si disse Peggy, siamo già tutti piccoli... Alla fine del tunnel c'era una porta di metallo a tenuta stagna. Una camera di decompressione, probabilmente. Mentre Peggy cercava il comando di apertura, si accorse che la testa di Zeb era diventata grande quanto una mela! Il resto del suo corpo era intatto, soltanto il capo si era rimpicciolito. «Corpo di una salsiccia atomica!» guaì il cane blu. «La miniaturizzazione non è omogenea! Va tutto storto...» «Hai ragione,» balbettò Peggy «alcuni oggetti rimpiccioliscono più velocemente di altri... Guarda! Le lampade del soffitto sono poco più grandi di penne, mentre il corridoio non si è ancora trasformato.» «Non funziona!» sbraitò Naxos. «Non ne dubitavo. Diventeremo ridicoli. I nostri corpi non conserveranno le loro proporzioni iniziali. Sembreremo dei burattini!» Zeb - senza dubbio perché la sua struttura malleabile lo rendeva più sensibile agli effetti della miniaturizzazione - era la dimostrazione vivente di quel pasticcio. La sua testa e là mano sinistra continuavano a restringersi. Ben lontano dal perdere la calma, trovava la cosa divertente e rideva. Neanche Jeff era stato risparmiato: le sue orecchie annerite dal veleno erano diventate minuscole, poco più grandi di quelle di un neonato. Peggy azionò l'apertura della sala di decompressione. La porta cigolò e cominciò ad aprirsi, poi si bloccò a metà corsa. «So che cosa sta succedendo,» mormorò «alcuni ingranaggi diventano piccoli, mentre gli altri sono ancora intatti. Così non si incastrano più correttamente. Questo provocherà guasti a catena. Bisogna lasciare la stazione prima che si rompa tutto.» Infilandosi nello spiraglio della porta, scivolarono nella sala di decompressione. Si ritrovarono in una vasta sala al centro della quale stava una navetta spaziale a forma di disco volante. Una passerella permetteva di accedervi: la scalarono di corsa. Come aveva spiegato Delfakan, l'interno del vascello era molto semplice; c'erano numerose file di sedili e una consolle con due bottoni, uno blu e uno rosso. Sul blu c'era la scritta 'Terra', su
quello rosso 'Collegio'. «Difficile sbagliarsi» disse Naxos. «Spingi quello blu e facciamola finita.» Peggy Sue obbedì. Immediatamente risuonò una sirena, annunciando l'approssimarsi della partenza. Mentre i ragazzi prendevano posto sui sedili imbottiti, un terribile frastuono si levò dalle viscere della navetta. Era come se, d'un tratto, diecimila ingranaggi si fossero bloccati. La porta, che si stava chiudendo, si fermò a metà corsa, bloccata. «Attenzione!» risuonò una voce metallica dall'altoparlante. «Si sono verificati gravi problemi meccanici. La partenza di questa navetta è ormai impossibile. Vogliate evacuarla in attesa dell'intervento delle squadre di riparazione. Ripeto...» I ragazzi impallidirono. «Siamo spacciati...» balbettò Naxos. «Tra dieci minuti sarà troppo tardi, saremo diventati dei microbi.» «La miniaturizzazione è difettosa» mormorò Peggy. «Gli organi e le macchine non si restringono in modo armonioso, è l'anarchia...» «Ehi!» gridò il cane blu. «Sto sognando o da qualche minuto siete diventati molto più grandi?» Peggy Sue abbassò gli occhi. Una brutta sorpresa l'aspettava: il suo fedele compagno a quattro zampe ora era grande quanto un porcellino d'India! Soltanto la sua cravatta aveva mantenuto le misure originarie. Anche i lupi avevano subito la stessa trasformazione: ridotti alle proporzioni di un cucciolo, guaivano smarriti. «Accidenti!» esclamò Naxos. «Gli animali rimpiccioliscono più velocemente degli umani! È un delirio. Che facciamo?» Peggy rifletté in fretta. «Bisogna uscire dalla stazione orbitante» decise. «Una volta fuori, sfuggiremo ai raggi miniaturizzanti. Ci devono essere degli scafandri, da qualche parte. Cerchiamoli!» «E poi?» domandò Naxos. «Una volta fuori?» «Non lo so!» urlò la ragazza. «Ancora non lo so... Sto cercando soltanto di guadagnare tempo. Vedremo.» Saltarono fuori dalla navetta per esplorare la spiazzo circolare. Non impiegarono molto tempo per trovare quello che cercavano: scafandri destinati agli operai che si occupavano della manutenzione della stazione. «Non ce ne sono per gli animali» si allarmò Peggy. «I lupi non accetteranno mai di lasciarsi rinchiudere là dentro.» «Non ce n'è bisogno» dichiarò Naxos. «Guarda... sono diventati così
piccoli che puoi metterteli in tasca!» Era vero. Il cane blu era ormai appena più grande del pollice di Peggy Sue. Se avessero aspettato ancora, sarebbe diventato microscopico. La ragazza si sbrigò a infilarsi le minuscole bestiole nella tasca del vestito e chiuse lo scafandro. Quando Naxos e Zeb ebbero fatto lo stesso, si diresse verso il boccaporto di soccorso che permetteva di abbandonare la navetta. «Speriamo che funzioni, questa volta...» sospirò. I comandi erano facili da maneggiare. Peggy li azionò senza fermarsi a riflettere. Era ossessionata da un'idea: era diventata anche lei piccola come una bambola? Il pannello si aprì. Una violenta aspirazione li proiettò fuori dalla sala, nella notte. I cavi di sicurezza fissati alle loro cinture gli impedirono di andare alla deriva nello spazio, così, una volta recuperate tutte le loro facoltà, poterono ridiscendere sulla superficie del vascello. Lo spettacolo lasciava senza fiato. Il satellite che era servito da riparo al collegio per supereroi galleggiava nelle tenebre del cosmo, alla periferia dell'astro lunare. Era un intrico di metallo lungo svariati chilometri, che somigliava a un gigantesco ragno meccanico pieno di antenne e radar. Peggy Sue, Naxos, Zeb e Jeff trovarono rifugio in una torretta d'acciaio e ci si ancorarono per evitare di andare alla deriva. Non era una precauzione inutile poiché, nel vuoto spaziale, il più piccolo movimento poteva essere all'origine di balzi incredibili. «E ora?» si domandò Naxos. «Che facciamo?» «Non lo so» confessò Peggy. «Una cosa è certa, non abbiamo smesso di rimpicciolire.» «D'accordo,» ammise il ragazzo dai capelli d'oro «ma le nostre riserve d'aria non sono inesauribili. Che accadrà quando avremo ispirato l'ultima boccata d'ossigeno?» Peggy non rispose. Cercava di lottare contro l'angoscia che la stava sopraffacendo. Soltanto Zeb sembrava perfettamente a suo agio. La sua minuscola testa si dimenava in modo ridicolo dietro il vetro del casco. Sorrideva, rapito dal formidabile spettacolo che aveva davanti. «Le stelle!» disse puntando l'indice verso le costellazioni che punteggiavano la notte. «Belle... le stelle!» «Guarda,» si stupì Peggy «parla di nuovo.» «Sì,» annuì Naxos «gliel'ho insegnato io durante la nostra prigionia: serviva a tenermi occupato. Memorizza a una velocità incredibile.» «Dovremmo ballare» propose Jeff. «Danzare al chiaro di luna... che cosa
c'è di più romantico? In My Fair Lady c'è una canzone che si adatterebbe molto bene, volete che ve la canti?» E cercò di alzarsi per fare una piroetta, Naxos gli ordinò di non muoversi. Qualcosa solleticò Peggy all'altezza della coscia. Capì che si trattava del cane blu e dei lupi, in fondo alla tasca. «Restate tranquilli» ordinò loro. «Per il momento siete al sicuro. Una volta tornati sulla Terra, nonna Katy troverà certo il modo di riportarvi alla vostre reali dimensioni. Abbiate pazienza!» Peggy si sforzava di sembrare allegra ma, in realtà, dubitava delle loro possibilità di sopravvivenza. Naxos lesse l'inquietudine nei suoi occhi. «C'è un quadrante, dentro il casco» mormorò. «Analizza il nostro consumo di ossigeno... secondo le sue stime, ci resta ancora aria sufficiente per tre ore. Poi...» Non c'era altro da aggiungere. I quattro ragazzi si rannicchiarono uno contro l'altro, al riparo della torretta. Sotto i loro piedi, la stazione orbitante emetteva sinistri scricchiolii. «Si sta restringendo» osservò Peggy. «Siccome siamo all'esterno, sfuggiremo al processo, ma forse abbiamo fatto la scelta peggiore. Restando là dentro saremmo diventati dei microbi, sì, ma microbi viventi. Mentre qui...» «Non avevo voglia di diventare un microbo» affermò Naxos stringendole la mano attraverso il grosso guanto dello scafandro. «Sono sicuro che abbiamo fatto la scelta migliore. Questa miniaturizzazione avrebbe fatto di noi dei mostri... Guarda il povero Zeb! Non è certo carino da vedere, e per niente al mondo vorrei avere quella testa! E poi c'è da scommettere che i leoni marziani avrebbero finito per divorarci. A conti fatti, credo che le nostre possibilità di sopravvivenza non sarebbero state migliori che qui.» «Zeb no mostruoso!» protestò l'interessato, che non aveva perso una parola di tutta la conversazione. «Zeb restare così perché trova divertente avere una testa piccola... ma potrebbe cambiare, se ne avesse voglia.» E per provare la veridicità delle sue affermazioni, ridiede al suo viso le sue proporzioni iniziali. «Allora è vero che è di gomma, questo fenomeno!» rise nervosamente Naxos. Regnò il silenzio per un po'. Era difficile chiacchierare di fronte a quel paesaggio. La Terra e la Luna erano due enormi masse circondate da una
nebbia di luce irreale, e Peggy faceva fatica a persuadersi di essere sveglia. Non si era mai sentita così piccola, così pietrificata dalle vertigini. La stazione continuava a rimpicciolire scricchiolando. Come avevano annunciato Calamistos e Delfakan, il processo accelerava di minuto in minuto, tanto che era possibile seguire i progressi della miniaturizzazione a occhio nudo. Non rimaneva più granché dei chilometri e chilometri d'acciaio che costituivano la navetta. Ora la stazione aveva le dimensioni di un grosso edificio, non di più, e la compressione continuava. Peggy si chiedeva quanto misurassero ora gli elefanti starnutanti che l'avevano tanto spaventata. Magari, si disse, starebbero nel palmo della mia mano... Il tempo passava senza che nessuno di loro riuscisse a pensare a una soluzione. Peggy si era concentrata per spedire un messaggio telepatico a nonna Katy nella speranza che la vecchia signora le venisse in aiuto, ma non aveva ricevuto risposta. A tratti, la voce del cane blu gracchiava nella sua mente, ma era così debole, così tenue, che Peggy non poteva comprenderla. «Abbiamo usato la metà delle nostre riserve di ossigeno» annunciò Naxos. «Lo so» sospirò Peggy. Zeb si agitò. Alzando le mani, si sfilò il casco. «Fermo!» urlò Peggy Sue. «Morirai soffocato!» Ma il ragazzo dalla pelle verde scosse la testa. «Zeb non ha bisogno di respirare» disse. «Zeb non ha bisogno di aria, perché non ha polmoni!» E gettò il suo casco nel vuoto, sorridendo. Dopodiché, sfilò le bardature che sostenevano le bombole d'aria compressa e le porse alla ragazza. «Aria per Peggy Sue» dichiarò. «Zeb non vuole che Peggy morire soffocata.» Lo spettacolo che offriva la sua testa nuda nella notte del cosmo aveva qualcosa di affascinante. Nessun umano avrebbe potuto sopravvivere più di dieci secondi alla temperatura incredibilmente bassa del vuoto spaziale. «Grazie» balbettò la ragazza, cercando di non piangere. Un nuovo scricchiolio le tagliò la parola. La stazione era rimpicciolita ancora. Entro qualche minuto non sarebbe stata più grande di un camion. «Cominceremo ad andare alla deriva» osservò Naxos. «Tra un quarto d'ora saremo più grandi della navetta!»
D'un tratto, Peggy trasalì: un'idea bizzarra le aveva appena attraversato la mente. Zeb è costituito da un impasto vivo, pensò. Il principio stesso di questa sostanza è di opporsi accanitamente alla morte, di trovare sempre una soluzione per impedire a questa di trionfare. Naxos sarebbe dovuto morire, e lui lo ha guarito. Zeb vive anche se non ha nessun organo, nessuno scheletro... E se... Posando la mano sul braccio del ragazzo dalla pelle verde, gli disse: «Potresti... potresti cambiare aspetto in modo da formare una sorta di pallone, di sfera a tenuta stagna, all'interno della quale potremmo prendere posto, Naxos, Jeff e io?» «Sì» rispose fieramente la creatura «Zeb può prendere qualunque forma. Lui conserva l'aspetto di Sebastian per farti piacere, ma potrebbe essere un cane, un lupo, un fungo, se tu lo desiderassi.» «Una sfera sarà sufficiente» mormorò Peggy. «Un pallone ben chiuso. Un pallone che volerà verso la Terra... Puoi farlo?» «Sì, sì... quando vuoi, Zeb lo fa.» Per provare la sua buona volontà, la creatura dalla pelle verde si sfilò lo scafandro e gli abiti. Libero da quegli impedimenti, cominciò a cambiare forma, trasformandosi in una specie di dirigibile. «Qual è la tua idea?» si spazientì Naxos. «Vuoi entrare là dentro... che cosa cambierà? Le nostre bombole si stanno svuotando. Comunque ci mancherà l'aria. Nascondersi all'interno di un pallone non cambierà niente.» «Non capisci» disse Peggy. «Zeb rappresenta un principio di vita. La materia di cui è composto non ci lascerà morire. Inventerà qualcosa...» «Stai delirando!» proclamò Naxos. «Quando le bombole saranno vuote, per noi sarà la fine.» «Non abbiamo niente da perdere» insisté la ragazza. «Quindi perché non provare? È una scommessa. Una semplice scommessa. Io credo che l'impasto della vita troverà una soluzione, ma per questo dobbiamo metterci sotto la protezione di Zeb.» «Va bene, va bene...» accettò Naxos. «Se questo può farti piacere...» Prendendo il suo coltello, tagliò i cavi che li legavano ancora alla navetta; poi, seguiti da Jeff, che non si stupiva di niente, scivolarono nella sfera di gomma verde che era diventato Zeb. Appena si furono sistemati, l'apertura dalla quale erano entrati si richiuse.
«Una bolla di sapone!» esclamò Jeff. «Siamo in una bolla di sapone. Forte!» Peggy era tutta sudata. Non sapeva se la sua idea avrebbe funzionato. In teoria, quel piano di salvataggio sembrava puro delirio, ma lei aveva deciso di scommettere su Zeb. In un certo modo, pensò, modellandolo gli ho dato la vita: non potrà mai lasciarmi cadere. Tra noi esiste un legame indistruttibile che va oltre il comprensibile. Sono certa che farà tutto quanto è in suo potere... Naxos, invece, sembrava più diffidente. Peggy decise di tentare il tutto per tutto. Afferrando le bombole d'ossigeno che le aveva dato Zeb un momento prima, ne sfilò il riduttore di pressione per fare uscire l'aria compressa. «Ehi! Che cosa stai facendo?» protestò Naxos. «Sei pazza!» Peggy lo spinse via. «Zeb!» strillò. «So che mi capisci. Quella che stai sentendo è aria. Ne abbiamo bisogno per respirare. La nostra vita dipende da questa... mi senti? La nostra vita... Tu sei capace di compiere prodigi, l'ho visto io stessa. Sapresti fabbricare un gas simile in quantità sufficiente per riportarci sulla Terra?» La membrana verde del pallone gigante sembrò fremere. Peggy indovinò che l'impasto della vita stava analizzando l'aria che usciva sibilando dalle bombole. Infine, nella penombra risuonò una voce. Disse: «Zeb fabbricherà l'aria. Peggy ha dato la vita a Zeb, Zeb darà la vita a Peggy.» «Ecco una buona notizia!» esclamò Jeff. «Per festeggiare, propongo di ballare...» «Sì, un bel valzer!» grugnì Naxos. 25 Alla deriva Quando le lampade dei caschi si spensero, si ritrovarono immersi nell'oscurità. Si sfilarono allora gli scafandri, che non servivano più. «È strano,» osservò Naxos «non ho né fame né sete, eppure è passato parecchio tempo da quando mangiato l'ultima volta.» «Credo che sia normale» mormorò Peggy Sue. «Zeb ha creato uno spazio vitale che si fa concretamente carico di noi. Siamo in una bolla che ci
protegge da ogni aggressione. Per tutto il tempo che durerà questo viaggio, non avremo nessun bisogno. Credo anche che potremmo restare per secoli all'interno di questa sfera senza invecchiare di un giorno. È come se fossimo in un'altra dimensione.» «Spero che non ci resteremo così a lungo!» borbottò il ragazzo. «Altrimenti rischio davvero di diventare suonato come Jeff.» «Non so se ce ne renderemmo conto» sospirò la ragazza. «Siamo fuori dal mondo ormai, fuori dal tempo. Ti sembra di aver lasciato il collegio da due ore, mentre in realtà forse sono già parecchi mesi che andiamo alla deriva nel cosmo.» «Quello che dici non è affatto rassicurante» disse Naxos. «Lo so, la cosa migliore è sopportare con pazienza» concluse Peggy. Si coricò su un fianco e chiuse gli occhi. Aveva fiducia in Zeb, sapeva che avrebbe fatto del suo meglio. Mentre si addormentava, il cane blu e i lupi uscirono dalla sua tasca e cominciarono a trotterellarle sulla pancia. «Non correte così!» ordinò loro contorcendosi. «Mi fate il solletico!» 26 Benvenuti alla casella di partenza Persero la nozione del tempo. Infine, la sfera in cui Zeb si era trasformato, urtò qualcosa, rotolò su se stessa, poi s'immobilizzò. «Siamo arrivati» annunciò la creatura. Poi si 'ripiegò' per riprendere la forma che gli aveva dato Peggy Sue. I ragazzi si ritrovarono quindi seduti su un terreno roccioso in mezzo al deserto. Era quasi notte. «Dove siamo atterrati?» si domandò Naxos. «È la Terra?» «No, non credo» ammise Zeb. «Le correnti cosmiche mi hanno fatto andare alla deriva. Non ho proprio idea di dove ci troviamo.» Durante il viaggio aveva migliorato il suo vocabolario sentendo parlare i suoi passeggeri, così ora si esprimeva correttamente. «Ehi!» gridò Jeff. «Guardate che cosa ho trovato!» Teneva nel palmo della mano la stazione spaziale contenente la scuola per supereroi: la navetta aveva ormai le dimensioni di un giocattolo. «Era rimasta impigliata al piede di Zeb» spiegò. Il cavo si era attorcigliato intorno alle sue dita. Peggy Sue esaminò l'oggetto. Non osava scuoterla, poiché sapeva che al suo interno si trovavano
prigionieri degli esseri viventi. Creature non più grandi di una testa di spillo. Loba sarà ancora viva? si domandò. E Diablox? Le belve hanno divorato tutti quanti o c'è qualche sopravvissuto? Decise di riporre il giocattolo nella sua borsa, in attesa di saperne di più. «Laggiù!» gridò Naxos. «C'è una luce, sembra un faro!» «Andiamo da quella parte» decise Peggy. «Vedremo meglio.» Nella sua tasca, il cane blu e i lupi si agitavano come un minuscole lucertole. Speriamo di incontrare una strega che saprà ridargli il loro aspetto normale! si disse mettendosi in cammino. Da lontano, il faro gigantesco spazzava via le tenebre col suo raggio dorato. Un faro in un deserto?, si meravigliò la ragazza. Non si è mai visto. Il mare sarà evaporato? Note 1
Controllato da regole, da leggi. Corso: insieme degli alunni che hanno seguito le lezioni in quell'anno. 3 Vestiti in maniera molto castigata. 4 Nella mitologia egizia il dio Apopi veniva rappresentato con i tratti di un serpente gigante che, ogni notte, cercava di far capovolgere la barca del dio sole, per impedire che tornasse il giorno sulla terra. I marinai che conducevano la barca del dio Ra dovevano quindi respingerlo a colpi di lancia. 5 Parola giapponese che significa 'vento divino'. Indica i giovani piloti che, durante la seconda guerra mondiale, si suicidavano lanciando il loro aereo sulle navi americane per rallentare l'avanzata delle truppe d'invasione. Quei ragazzi erano famosi come grandi eroi. 6 Proprio così! 7 È vero! 8 Vecchia pelle che i rettili abbandonano a ogni cambio di stagione, quando si fanno belli. 9 Quando è in collera, il cobra gonfia il collo, e la sua testa risulta enorme e schiacciata, sproporzionata in confronto al resto del corpo. Quando invece è tranquillo, somiglia a un serpente qualunque. 10 Vedi il primo volume delle avventure di Peggy Sue, Il giorno del cane 2
blu. 11
Spedizione che raggruppa diversi cacciatori con lo scopo di abbattere un gran numero di animali. 12 Fanghiglia formata da vegetali in decomposizione. 13 Alberi dal tronco enorme, gonfio, a forma di bottiglia gigante, coronati da rami corti. 14 Non dimentichiamo che un leone può trascinare un bufalo morto alla stessa maniera! 15 Rettili dal corpo allungato ricoperto di squame, e generalmente, quattro corte zampe. 16 Installazione militare sotterranea. 17 Nell'antichità, si credeva che la lana avesse poteri magici. A Roma, per proteggersi dagli spiriti maligni, le donne lavoravano a maglia corone di lana. 18 Nell'antichità, e anche nel medioevo, l'unicorno era considerato un animale molto malvagio. 19 Vedi il volume Peggy Sue e gli Invisibili - La rivolta dei draghi. 20 Questi strumenti vengono chiamati 'macheti'. Provvisti di una grande lama, servono essenzialmente per aprirsi un passaggio in mezzo alla vegetazione. 21 Nome scientifico delle pecore... e di altre bestie simili. 22 Esattamente! 23 Termine nautico che indica una botola nel ponte di una nave. 24 Annibale era nato nel 247 a.C. a Cartagine. È famoso per aver usato gli elefanti durante le guerre che condusse attraverso la Spagna e le Alpi fino in Italia. 25 Corridoio roccioso tra due montagne. 26 A titolo di curiosità, il lettore imparerà che, una volta, veniva usata la seta di un ragno gigante, la nephile del Madagascar, per tessere guanti destinati alle signorine dell'alta società. Questa seta aveva un grande valore. 27 Come un elicottero. 28 Mostro mitologico dai capelli di serpente. 29 Nel medioevo, i cavalieri partivano per le battaglie su grossi cavalli, molto solidi, capaci di sopportare lo shock del combattimento. Si dice che queste bestie, trascinate dal furore dei combattimenti, si mordessero tra di loro! 30 Pelle liscia e fragile che si forma quando una ferita si richiude. 31 Vedi il secondo volume delle avventure di Peggy Sue: Il sonno del gi-
gante. Sebastian, vittima di una maledizione, è rimasto prigioniero per settant'anni di un mondo fiabesco dove ha smesso di crescere. Condannato ad avere quattordici anni per l'eternità, ha finito per covare un'amarezza che spesso gli ha reso difficile vivere. 32 Facoltà di decidere da soli, in piena libertà, senza essere influenzati da qualcun altro. 33 Nella mitologia ebraica, il golem è una statua di fango che il suo scultore ha reso vivente. Il suo impiego può rivelarsi pericoloso. 34 Arte giapponese della piegatura che permette, partendo da un semplice pezzo di carta, di confezionare animali veramente fantastici. 35 Andate e ritorni di più aerei tra due aeroporti per evacuare una popolazione in pericolo, per esempio. 36 È stato stabilito che i pesci rossi hanno così poca memoria che dimenticano tutto quello appena imparato appena il tempo di fare il giro dell'acquario! 37 Tribunale militare che giudica gli errori commessi dai soldati, la cui severità è leggendaria! 38 La consacrazione è la cerimonia durante la quale viene incoronato un re. 39 Trappola destinata a catturare i pesci. 40 Che si è conferito il titolo da sé! 41 Rettili volanti vissuti circa centocinquanta milioni di anni fa. 42 Combattimento perso in partenza che ci si ostina a portare avanti per l'onore. 43 'Paradiso', nella mitologia nordica, dei guerrieri morti con le armi in pugno. FINE