SERGE BRUSSOLO PEGGY SUE E GLI INVISIBILI LA RIVOLTA DEI DRAGHI (Peggy Sue Et Les Fantômes: La Révolte Des Dragons, 2005...
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SERGE BRUSSOLO PEGGY SUE E GLI INVISIBILI LA RIVOLTA DEI DRAGHI (Peggy Sue Et Les Fantômes: La Révolte Des Dragons, 2005) I personaggi Peggy Sue Peggy Sue Fairway è una ragazza di quattordici anni: porta i capelli raccolti a coda di cavallo, con due ciuffi ribelli che le spuntano sulla fronte. Una volta era molto miope, ma una strega amica di sua nonna l'ha guarita da questo difetto. Indossa una maglietta a righe rosa e dei pantaloni verdi, e ai piedi ha un paio di stivaletti. Molto tempo fa ha affrontato gli Invisibili, creature extraterrestri che era la sola a vedere e che si divertivano a seminare il caos sulla Terra. Tutti pensavano che fosse pazza e persino i suoi genitori si vergognavano di lei. Dopo una serie di avventure, Peggy è riuscita a sconfiggere gli Invisibili. Peggy Sue non va più a scuola: preferisce vivere insieme alla nonna e vorrebbe aprire una pasticceria che vende solo torte alla frutta, oppure un negozio di vestiti fabbricati da lei stessa. Non ha ancora deciso... deve pensarci su a mente fredda, fra una catastrofe e l'altra! Una cosa è certa: non vuole diventare una strega (le formule magiche sono troppo difficili da imparare e lei ha una pessima memoria) e neppure disporre di poteri straordinari. Ha un solo desiderio: fare la vita normale dei ragazzi della sua età. In effetti, Peggy Sue è proprio una ragazza normale alla quale capitano delle avventure straordinarie. Nonna Katy Il suo vero nome è Katy Erin Flanaghan. È la nonna materna di Peggy Sue. Di mestiere fa la strega di campagna. Vende cappotti in grado di assorbire la fatica e gatti della serenità, che si impregnano del nervosismo dei loro padroni facendoli tornare calmi. È un po' pazza, ma gentilissima e sempre pronta a lanciarsi in una nuova avventura. Ha pochi poteri. Il suo animale feticcio è un rospo che emana odori pestilenziali. Il cane blu In origine era un povero cane vagabondo, ma il suo cervello è stato irradiato da un sole malefico che l'ha reso intelligentissimo (e per qualche tempo anche un po' strano)... Il suo pelo ha preso una curiosa sfumatura
bluastra. Ha la strana mania di portare una cravatta annodata intorno al collo! Ha il potere di comunicare con gli esseri umani attraverso la trasmissione del pensiero. È bisbetico e goloso, ma coraggiosissimo. Gli piace battersi e nutre una vera passione per un osso. Non ha un nome e non vuole averne: è una maniera per affermare la sua indipendenza rispetto agli esseri umani. È il compagno fedele di Peggy Sue, alla quale ha salvato la vita decine di volte. Sebastian È il fidanzato di Peggy Sue. Ha quattordici anni... da settant'anni! Per sfuggire alla miseria, aveva trovato rifugio nell'universo favoloso dei miraggi, dove gli anni passano senza che si invecchi di un solo giorno, sicché il tempo è trascorso senza che Sebastian crescesse. Al termine di un'avventura incredibile è riuscito a fuggire dalla sua prigione. Purtroppo, per rimanere insieme a Peggy Sue ha dovuto acconsentire a diventare una statua di sabbia vivente, che si trasformava in polvere quando non veniva bagnata. La sua esistenza perciò non è stata semplice e lui ha fatto di tutto per sbarazzarsi di questa maledizione e tornare umano1. Sebastian è bellissimo, con gli occhi a mandorla e lunghi capelli neri. La sua pelle olivastra gli dà l'aspetto di un giovane indiano apache. Non essendo veramente umano, possiede una forza colossale, ma purtroppo ha la tendenza a essere troppo sicuro di sé, il che gli procura qualche problema. 1 Prigioniera dei fantasmi! Doveva essere mezzanotte quando Peggy Sue Fairway vide lo sportello dell'armadio a muro della sua camera socchiudersi e i suoi vestiti uscire da soli dal guardaroba. Non è normale!, pensò, mettendosi a sedere sul letto. Le magliette, i pantaloni, le giacche si contorcevano come se invisibili creature li avessero indossati. Lasciarono la stanza saltellando per tutta casa. Incuriosita, Peggy si alzò per seguirli. Il cane blu che dormiva sul piumino aprì un occhio meravigliato. Quel trambusto durò qualche minuto, poi gli abiti si strapparono lungo le cuciture come se i fantasmi che li avevano indossati fossero improvvisamente raddoppiati di volume. Quell'esplosione li trasformò in un mucchietto di stracci colorati inutilizzabili.
«Ora devi per forza rinnovare il tuo guardaroba,» ridacchiò il cane blu «se non vuoi andare in giro tutta nuda. Questa volta è vero: non hai niente da metterti!» Peggy non rispose, convinta che qualcosa fosse uscito dai vestiti per infilarsi nello specchio del salone, il grande specchio magico appeso sopra il camino. Aveva avvertito una forte corrente d'aria, e nello stesso momento delle dita di fumo le avevano sfiorato il viso. Tutto ciò non preannunciava niente di buono. Si avvicinò prudentemente alla specchiera. Non vide altro che la propria immagine circondata da una fitta foschia. «Da dove salta fuori questo nebbione?» esclamò il cane blu, stupito. «Non c'era nebbia nella stanza dove eravamo.» «No» mormorò Peggy «la nebbia è dentro lo specchio. Guarda, a parte la mia immagine, non si distingue niente del salone.» «Dovremmo svegliare Sebastian e Nonna Katy prima che le cose peggiorino» propose l'animale. «Queste diavolerie mi fanno drizzare il pelo.» Peggy stava per rispondere quando la nebbia cominciò improvvisamente a ribollire dentro la cornice dorata che circondava la specchiera, e fece apparire delle strane creature di fumo. Sembrerebbero degli animali, pensò la ragazza. Animali davvero poco simpatici. Istintivamente fece un passo indietro. Senza poter fare nulla, vide quei fantasmi gettarsi sulla sua immagine rovesciata, prigioniera del cristallo, e trascinarla in mezzo alla foschia, nelle profondità dello specchio. «È incredibile!» borbottò il cane blu. «Gli spettri hanno catturato il tuo riflesso! Guarda! La specchiera è vuota, non ti si vede più... È come se tu non fossi più nella stanza, eppure ci sei! C'è da diventare matti!» Peggy sgranò gli occhi. È davvero uno strano fenomeno, rifletté, e si toccò il viso per assicurarsi di essere sempre lì, in carne e ossa. Ma per quanto si avvicinasse allo specchio, fino a sfiorarlo con il naso, la sua immagine non si degnava di riapparire. Lo specchio non rifletteva più niente. Sembrava una grande finestra spalancata su un paesaggio immerso nella nebbia. Peggy si affrettò ad accendere la luce del salone; ma non successe nulla. Il cane blu corse a svegliare Nonna Katy e Sebastian. Mentre questi scendevano le scale, spiegò loro che cosa era appena accaduto. «Peggy Sue non vede più il suo riflesso» concluse. «Non appare più negli specchi, come i vampiri. Alcuni spettri hanno catturato la sua immagi-
ne!» «È davvero seccante» ridacchiò Sebastian. «Come farà per pettinarsi?» Il ragazzo smise di scherzare quando vide spirali di vapore biancastro che ribollivano nello specchio del salone. Nonna Katy fece una smorfia. «È un brutto segno» mormorò, dopo aver verificato che la sua nipotina non si rifletteva da nessuna parte, neanche nello specchietto del suo portacipria. «È pericoloso perdere la propria immagine, indebolisce. Se questi fantasmi hanno catturato il tuo riflesso vuol dire che vogliono costringerti a fare qualcosa contro la tua volontà ma... cosa?» «Visto che possiedono la mia immagine, sarò costretta a obbedire? È questo che vuoi dire?» si preoccupò Peggy. «Sì» confermò l'anziana signora. «È inquietante.» «E hanno strappato tutti i suoi vestiti» rincarò il cane. «Guardate che confusione! Perché lo hanno fatto?» «Non lo so,» confessò Katy Flanaghan «è davvero strano.» Mentre parlavano, continuavano a fissare lo specchio pieno di nubi minacciose nella speranza di vedervi riapparire l'immagine di Peggy da un momento all'altro. Purtroppo, non accadde nulla. All'improvviso, il cellulare della ragazza squillò. Era un telefono vivente che aveva riportato da una delle sue avventure2 e addomesticato con molte difficoltà. Era abbastanza potente per trasmettere un appello sul pianeta Plutone, ma aveva il difetto di essere capriccioso, e a volte, quando si annoiava, si metteva a cantare nel bel mezzo della notte, svegliando tutti. Peggy si portò il telefonino all'orecchio. Chi poteva chiamarla a quell'ora? «Pronto?» disse. «Sono io» mormorò una voce che le sembrò familiare. «Devi venire a cercarmi.» «Chi è?» insisté Peggy. «Sono te» rispose la voce. «Io sono te... o più esattamente il tuo riflesso. I fantasmi mi hanno fatta prigioniera. Ho paura... Sono rinchiusa in un castello, è orribile. Devi venire a cercarmi. Presto! Credo che...» La comunicazione fu interrotta dal telefono stesso, che detestava essere usato per trasmettere brutte notizie. «Chi era?» domandò Sebastian. «Ero io» farfugliò Peggy. «Cioè... era la mia immagine, quella che è
sparita nello specchio.» «Stai scherzando?» disse il ragazzo. «No» intervenne Nonna Katy «non c'è niente di impossibile. Ormai Peggy è divisa a metà. Finché non avrà recuperato la sua immagine, sarà per metà meno intelligente, meno rapida, meno forte... Capite come funziona? La sua stessa vita sarà accorciata.» «Sì» balbettò Sebastian, spaventato. «È divisa in due.» «Esattamente. Ecco perché deve a tutti i costi recuperare il suo riflesso. Altrimenti resterà minorata fino alla fine dei suoi giorni, che avverrà molto prima del previsto.» Peggy Sue aggrottò la fronte; da qualche minuto faceva fatica a seguire la conversazione. La sua mente era intorpidita. Si sentiva un po' stupida. «Corpo di una salsiccia atomica!» borbottò il cane blu. «Non possiamo farle un'iniezione di succo di cervello per rimediare a questo guaio?» «No» sospirò la nonna. «Deve andare dai fantasmi per liberare la sua immagine.» Peggy trovava tutto ciò terribilmente complicato. Cominciava ad avere un gran mal di testa. Il suo telefonino suonò di nuovo. «Sono ancora io... o meglio sei ancora tu» disse la sua voce nel microfono. «Devi venire... Vogliono vederti. Devono farti una proposta. Se rifiuti, mi faranno a pezzi e non potrai guardarti mai più in uno specchio. Resterai spettinata per il resto della tua vita e non potrai mai truccarti.» «Va bene, avrò anche solo metà cervello ma ho capito» disse Peggy. «Dimmi che cosa devo fare.» «La prossima volta che la nebbia salterà fuori dallo specchio sarà per venire a prenderti. Non correre a nasconderti. Lasciati trasportare. I fantasmi ti condurranno qui. Io sarò lì per guidarti.» La comunicazione venne interrotta. Cominciò una grande discussione tra Sebastian, Nonna Katy e il cane blu. Ognuno voleva dire la sua. Peggy intimò loro di tacere. «Ci andrò» annunciò. «Non posso fare altrimenti. Ora lasciatemi sola in questa stanza. Se non sarò uscita dallo specchio entro due ore, siete liberi di tentare qualunque cosa per venirmi ad aiutare.» Ci furono delle proteste, ma la ragazza aveva ormai preso la sua decisione. Era impossibile per lei cambiare idea. Sentiva che la perdita del suo riflesso l'aveva indebolita, faceva difficoltà a ordinare i pensieri. Le sembra-
va di avere di nuovo quattro anni! Fu con un certo dispiacere che i suoi amici e la nonna si ritirarono. Peggy Sue si sistemò nella poltrona di pelle di fronte al camino. Il cane blu aveva l'abitudine di farci i suo sonnellini; la sedia era piena di peli, ma quella sera Peggy non se ne preoccupò più di tanto. Nel giro di tre minuti, la nebbia uscì dallo specchio e scivolò nella stanza, ricoprendo poco a poco la moquette, strisciando lungo le gambe di Peggy. Era impressionante. Sembra quasi una finestra aperta su un altro mondo, pensò la ragazza. Spero solo di ritornare. Lunghi tentacoli di nebbia avvolsero la poltrona. Peggy contrasse le dita sui braccioli. Distingueva strani volti in mezzo alle spirali bianche, e nessuno sembrava amichevole! Lentamente, il vapore si richiuse su di lei, nascondendole il resto della stanza. Si sentì sollevata in aria, perse le pantofole e venne proiettata verso lo specchio con una forza incredibile. Istintivamente, portò le mani al viso per proteggersi, convinta che la lastra di vetro sarebbe esplosa in mille pezzi, ma non accadde nulla di tutto ciò, e fu come sprofondare in un pozzo. Cominciò a girare in mezzo a una corrente d'aria gelida che avrebbe fatto venire la pelle d'oca a un orso polare. Infine, un colpo tremendo le fece capire che era appena giunta a destinazione. Avendo perduto le pantofole, atterrò a piedi nudi sull'erba bagnata... e starnutì. Si divincolò per liberarsi dalle nubi, che l'avvolgevano come zucchero filato. Capì che si trovava nel parco di un vecchio castello. Intorno a lei, tutto era candido come neve: gli alberi, l'erba e anche le statue. C'era un'infinità di statue. Non si innalzavano su un piedistallo, ma erano state gettate per terra alla rinfusa. Ce n'erano talmente tante che Peggy faticò a farsi strada fino alla porta del castello. Il suo riflesso l'aspettava là, vestito e pettinato come lei (anche se aveva ancora le pantofole... era stato catturato prima che Peggy Sue le perdesse!). «Come sei pallida!» esclamò Peggy. «Anche tu,» disse la sua metà «i colori della nostra pelle e dei nostri capelli sono stati divisi in due. Ecco la spiegazione. Non startene lì... C'è qualcosa che si aggira nel parco. Qualcosa che grugnisce e urla. Mi fa paura.» «Perché ci sono tutte queste statue?» domandò Peggy.
«Non lo so» confessò il suo riflesso. «Ce ne sono anche nei corridoi del castello. In certi punti bloccano il passaggio.» Le due Peggy entrarono in una grande sala dai soffitti a volta. Anche lì, come ovunque in quel posto, era tutto bianco, perfino le armature dritte sull'attenti. «Dove sono i fantasmi?» si preoccupò Peggy Sue. «Nella nebbia» spiegò la sua gemella con una smorfia di terrore. «È fatta di una miscela di fantasmi. Ecco perché a volte assume una forma umana. Se vedi un po' di nebbia infiltrarsi in una stanza, fai attenzione. Vuol dire che gli spettri sono là, e ci osservano.» «Starò attenta» promise Peggy, per niente tranquilla. Provava una strana sensazione a conversare con se stessa. Era un po' imbarazzante. Si trovava spettinata e non le piaceva la forma del suo naso. «Anche a me non piace la forma del TUO naso!» sbuffò la sua immagine, che le leggeva nel pensiero. «Non litighiamo» disse Peggy, cercando di mantenere la calma. «Ricordiamoci che non possiamo vivere l'una senza l'altra.» «È vero» ribatté il riflesso «e se restiamo separate vivremo ancora di meno.» Questa ragazza mi dà ai nervi! Vuole sempre avere l'ultima parola, pensò Peggy. Nello stesso momento, la nebbia s'insinuò sotto la porta, segnalando l'arrivo dei fantasmi. «Sono sulle nostre tracce!» ansimò il riflesso. «Vieni, devo mostrarti una cosa.» S'incamminarono lungo un interminabile corridoio ingombro di statue ammucchiate. Peggy si accorse che le sculture presentavano tracce di morsi, come se qualcuno avesse cercato di divorarle. Chi poteva avere tanto appetito da mangiare uomini di pietra? «E che buoni denti...» avrebbe aggiunto il cane blu. Graffi profondi sfregiavano i muri e i mobili. Anche i caminetti erano tutti rovinati. «Chi è stato a ridurre tutto così?» domandò la ragazza. «I fantasmi» rivelò la sua gemella. «Si trasformano... All'inizio assumono un aspetto umano, poi diventano un'altra cosa.» «Che specie di cosa?» «Non lo so... forse lupi mannari. Insomma, dei mostri con artigli e zanne. Allora si gettano sulle statue e cercano di divorarle.»
«Perché?» «Sembra che tutto ciò abbia un senso nascosto che scoprirai presto. Sono degli strani spettri, a volte gentili, a volte cattivi. Ti parlano con voce triste ma poi si trasformano improvvisamente in bestie paurose. Pensano di esserne dispiaciuti, ma non riescono a impedirselo.» «Molto probabilmente sono vittime di una maledizione.» «È possibile, ma in ogni caso dicono che tu sei la sola che può aiutarli. Vogliono affidarti una missione, in un mondo lontano. Un pianeta chiamato Zantora.» «E se rifiuto?» «Allora mi terranno prigioniera, per sempre, e tu non sarai che una mezza Peggy Sue. Diventerai stupida e la tua vita sarà ridotta della metà. È quello che succede quando non ci si riflette negli specchi.» La gemella aprì un'altra porta. Questa volta le due ragazzine entrarono in una stanza rotonda al centro della quale si trovavano centinaia di vestiti strappati e gettati alla rinfusa. Su un tavolo, due grossi rocchetti di filo e due aghi d'argento aspettavano di essere usati. «Dobbiamo rammendarli tutti» spiegò frettolosamente l'immagine riflessa di Peggy Sue. «I fantasmi ne hanno bisogno per assumere forma umana. Infilano i vestiti e questo li aiuta ad apparire. È come una specie di stampo nel quale scivolano, capisci?» Peggy si inginocchiò. Non ne sapeva il perché, ma quei vestiti a brandelli la spaventavano. Sembrava che fossero esplosi sui loro proprietari. «Se gli abiti sono cuciti bene» continuò il riflesso «i fantasmi ci si sistemano dentro e non si deformano più. Ma se le cuciture cedono, si trasformano in... un'altra cosa. Qualcosa di cattivo, di spaventoso. E allora bisogna mettersi in salvo correndo. È tutto chiaro?» «Sì,» mormorò Peggy «non sono certo più stupida di te!» I vestiti funzionano come camicie di forza3, pensò la ragazza. Servono a ritardare la trasformazione degli spettri. Quindi è importante cucirli bene. «Ah! Un'ultima cosa» aggiunse il riflesso. «Il filo e gli aghi sono magici. Non si lasciano domare facilmente.» Peggy non tardò a capire ciò che la sua gemella voleva dire. Infatti, appena provò ad afferrare l'ago, questo si contorse come un verme e le punse il pollice! «Ahi!» strillò la ragazza. La sua immagine fece una risatina soffocata.
«Forse ho solo mezzo cervello» sibilò tra i denti «ma sono più abile di te!» In effetti era riuscita a impadronirsi del suo ago senza subire la minima aggressione, e stava già cominciando il suo lavoro di cucito. Mi fa venire i nervi! pensò Peggy. «Guarda che ho sentito» borbottò il riflesso. «Ricordati che dividiamo lo stesso cervello.» Peggy non replicò: aveva già il suo da fare a catturare l'ago stregato che non smetteva di tirarsi indietro e sfuggirle. Sembrava un lombrico scattante come una colata di mercurio. Alla fine riuscì a impadronirsene e fece scivolare l'estremità del filo nella cruna. Anche questa fu una bella impresa perché pure il filo si contorceva! Peggy pensò che non ci sarebbe mai riuscita. «Sbrigati!» la rimproverò la sua immagine piuttosto agitata. «Presto i fantasmi entreranno nella stanza. Bisogna che trovino abiti resistenti da infilare, altrimenti perderanno la loro forma umana per diventare qualcosa di veramente sgradevole alla vista.» Peggy fece del suo meglio, ma non era mai stata particolarmente brava nel cucito. Appena smetteva di stringerlo con forza, l'ago ne approfittava per sfilare il punto e pungerla. «Ecco i primi spettri!» balbettò il riflesso. «Presto! Presto! Lascia i vestiti che hai già cucito su questa sedia, così li indosseranno.» Scie di nebbia erano scivolate sotto la porta, e ondeggiavano nella stanza come serpenti di fumo. Sembrano i tentacoli di una piovra!, si disse Peggy Sue rabbrividendo. Poco a poco le volute di nebbia si insinuarono negli abiti, gonfiandoli come se degli esseri umani vi fossero appena sgusciati dentro. «Le cuciture non sono resistenti» disse una voce che usciva dal nulla. «Non terranno per molto. Quando cederanno, dovrete fuggire tutte e due se non vorrete essere divorate.» «Chi siete?» domandò Peggy cercando di apparire sicura di sé. I vestiti fluttuavano intorno a lei. «Siamo fantasmi venuti da un mondo lontano, da Zantora» spiegò la voce. «Siamo morti laggiù in un modo orribile. Ormai non puoi fare più niente per noi, ma ci sono altri che sono in pericolo... uomini, donne, bambini. Se non intervieni, diventeranno come noi, spettri privati del riposo eterno.» «Zantora. Veniamo da un pianeta chiamato Zantora» ripeté un'altra voce. «Un mondo senza speranza dove si vive sotto la minaccia costante di
conoscere una sorte atroce.» «E come mai?» si interessò Peggy Sue. «Zantora è uno strano mondo dove bisogna prendere ogni giorno una certa medicina per non ritrovarsi trasformati in mostri!» disse il fantasma. «Di che medicina si tratta?» «È proprio questo il problema. Viene prodotta con le lacrime di un drago! Quindi bisogna raccogliere le sue lacrime... E la cosa non è semplice, come puoi immaginare.» «E quando questa medicina non si trova» insisté Peggy «ci si trasforma in lupo mannaro?» «È più o meno così» sospirò lo spettro. «Anche se molte persone preferiscono prendere il veleno piuttosto che conoscere questa orribile sorte.» Peggy fece una smorfia. «Mi dispiace» mormorò. «Sembra davvero spaventoso.» «Devi andare laggiù» riprese il primo fantasma. «Sei furba, tu, troverai certamente una soluzione. Abbiamo sentito parlare di quello che hai fatto sugli altri pianeti. Hai vinto la Divoratrice4!» «E se rifiuto?» azzardò la ragazza. «Allora tratterremo la tua immagine qui, per sempre, e sai a cosa andrai incontro.» «No!» protestò il riflesso. «Non voglio restare qui, ho paura.» In quel momento, Peggy realizzò che le cuciture dei vestiti che si dimenavano davanti a lei cominciavano a cedere. «Li hai cuciti male» brontolò la voce che, d'un tratto, sembrava molto meno gradevole. «Cosa succede?» domandò Peggy alla sua gemella seduta accanto a lei. «Si stanno trasformando, ecco che cosa succede...» balbettò quella tremando di paura. «È sempre così. Gli abiti si strappano e quelli che li indossano diventano dei mostri. Dobbiamo darcela a gambe, cara mia. Se riusciamo a fuggire, si accontenteranno di mordere e graffiare le statue. Preparati a correre senza voltarti.» Lo spettro si avvicinò a Peggy Sue e le disse: «Devi andare su Zantora, nella città di Omakaido... Là troverai una delle nostre amiche ad accoglierti, si chiama Isi, è una strega. Soltanto tu puoi trovare una soluzione al nostro problema. Domani, a mezzanotte, una porta attraverso lo spaziotempo si aprirà nello specchio di tua nonna. Se la attraversi, ti condurrà su Zantora. Ti va di tentare l'avventura?» «Di' di sì! Di' di sì!» supplicò il riflesso. «Non voglio rimanere qui.»
«Accetto» capitolò Peggy. «Andrò laggiù, ma il mio fidanzato e il mio cane mi accompagneranno.» «Grazie,» mormorò il fantasma «salverai la vita di molte persone. Sapevo di poter contare su di te. Ora vai, corri verso il parco. Alla fine del grande viale vedrai brillare un rettangolo di luce: è lo specchio. Nel momento in cui supererete quel limite, sarete di nuovo riuniti, tu e il tuo riflesso.» «Che cosa vi succede?» si preoccupò Peggy. «Non avete l'aria di sentirvi molto bene.» «Mi sto trasformando in un mostro» dichiarò il suo interlocutore. «Guarda: quando tutte le cuciture dei vestiti si saranno strappate, diventerò un lupo e avrò un'idea fissa: catturarti per mangiarti... Ecco cosa ti aspetta su Zantora. Dovrai trovare il modo di rimediare a questa maledizione.» «Vieni!» la esortò il riflesso afferrandole la mano. «Presto! Andiamocene. Se non guadagniamo un po' di vantaggio, ci prenderanno facilmente.» Peggy Sue si lasciò trascinare via. Le due ragazze si lanciarono nel corridoio mentre i fantasmi si contorcevano lanciando grida spaventose. Le cuciture degli abiti cedettero con un rumore secco. Le volute di nebbia, non più compresse dalle camicie, cambiarono immediatamente aspetto. Una volta nel parco, Peggy e la sua gemella zigzagavano tra le statue, correndo a perdifiato. Siccome le loro forze erano ora divise in due, andavano molto meno veloci. «Corro come una lumaca!» si lamentò Peggy, terrorizzata nel vedere che nonostante gli sforzi si trascinava al rallentatore. Attraverso la nebbia, distinse il rettangolo dorato dello specchio, ma quella 'porta' magica le sembrò così lontana che dubitò di riuscire a raggiungerla. Alle sue spalle, le urla dei fantasmi diventavano sempre più insopportabili. Voltandosi, la ragazza vide che gli spettri avevano perso il loro aspetto umano. Ora sfoggiavano orecchie appuntite e le loro dita terminavano in artigli. Sembrano proprio lupi mannari, si disse. Lupi mannari fatti di nebbia. I mostri si lanciarono sulle statue che ingombravano il parco e cominciarono a morderle con voracità. Peggy rabbrividì sentendo scricchiolare le loro zanne sulla pietra. Spero che abbiano un buon dentista!, pensò infine. «Ci siamo quasi!» le gridò il suo riflesso. «Dammi la mano, dobbiamo
saltare insieme dentro lo specchio, e una volta dall'altra parte, saremo finalmente riunite. Così smetterò di condurre una vita diversa dalla tua.» Peggy strinse la mano della sua gemella e, prendendo la rincorsa, saltò nel rettangolo dorato che si trovava davanti a lei. Ebbe l'impressione di ricevere una scarica elettrica da centomila volt. Un attimo dopo, rotolava sul tappeto del salone, davanti al caminetto. Allarmati per il rumore, Sebastian, Nonna Katy e il cane blu si precipitarono nella stanza. «Allora?» chiese il ragazzo. Peggy si rialzò, stordita. Lanciò un'occhiata allo specchio dove la sua immagine era di nuovo al suo posto. Gesticolò un po' per assicurarsi che il riflesso obbedisse a ciascuno dei suoi movimenti. Sì! Tutto funzionava alla perfezione. L'immagine era di nuovo sincrona5. «Allora?» insisté il cane blu. «Allora» disse Peggy «credo proprio che stiamo per imbarcarci in una nuova avventura.» 2 La strega dai capelli rossi Anche se i pericoli che comportava questa nuova avventura nell'ignoto la preoccupavano molto, Nonna Katy non si oppose alla partenza di Peggy. «Io sono troppo vecchia ormai per una gita simile» sospirò «dovrò restare qui. Comunque, se foste in difficoltà, non esitate a chiamarmi, vi raggiungerò immediatamente; i miei modesti poteri potrebbero esservi utili.» Verso mezzanotte, i tre amici si posizionarono davanti allo specchio, così come avevano ordinato i fantasmi. All'inizio non accadde nulla, poi la specchiera venne invasa dalla nebbia; una fitta foschia si sprigionò dalla cornice dorata fino a riempire il salone. «Si parte!» gridò Sebastian. La nube li aspirò con la potenza di un tornado. Dopo esser stata strapazzata come in una centrifuga, Peggy venne scagliata su una pianura deserta e fangosa, in un universo lontanissimo dal pianeta Terra. Rotolò ai piedi di un grande specchio ovale, rozzamente decorato, che si innalzava nel bel mezzo di un tempio in rovina. Una ragazza dai capelli rossi l'aiutò a rialzarsi. Doveva avere circa sedici anni. Molto magra, vestita con pelli di animali, era per metà nuda, avvolta soltanto dalla sua folta capigliatura di un rosso fiammeggiante. Numerose collane di
osso le ricoprivano il petto. Peggy la trovò spaventosa perché il suo viso, in fondo abbastanza bello, aveva qualcosa di felino. «Salve,» li salutò la strana ragazza «mi chiamo Isi. Sono stata scelta dai fantasmi per farti da guida. Come ti senti?» «Abbastanza bene» balbettò Peggy. «Sono stata talmente sballottata che mi viene da vomitare. Dove sono i miei compagni?» «Non sono ancora usciti dallo specchio magico» disse Isi perplessa. «Spero che non ci siano problemi. Non tutti sopportano i viaggi attraverso lo spazio-tempo.» Peggy fece una smorfia, preoccupata. Alzando gli occhi, osservò lo specchio incorniciato di bronzo che serviva da passaggio tra i mondi. «Non mi piace tutto questo» mormorò Isi. «Ci mettono troppo ad apparire. A volte succede. Accade quando si perde uno dei viaggiatori. E, in quel caso, non si ritrovano più. Finiscono per materializzarsi agli estremi confini del cosmo, su pianeti dei quali nessuno ha mai sentito parlare. È là che terminano i loro giorni, come dei Robinson Crusoe dello spazio.» Per due interminabili minuti, le ragazze scrutarono attentamente i turbini di nebbia che riempivano lo specchio senza riuscire a distinguere nessuna figura. Alla fine, l'immagine del cane blu apparve, s'ingrandì e saltò fuori dalla cornice. Con uno slancio, Peggy lo acchiappò al volo. Per poco non si tagliò le dita afferrandolo, perché il piccolo animale si era trasformato in una statua di vetro! Un attimo dopo, anche Sebastian emerse dal vortice, ma era fatto di fumo! Il suo corpo si deformava nel vento. Sembrava un fantasma danzante. «Presto» gli gridò Isi «entra in questo barattolo, o la corrente ti sparpaglierà!» Quindi mise ai piedi del ragazzo un grosso recipiente e si affrettò ad abbassarne il coperchio appena Sebastian ci si infilò. Peggy sgranò gli occhi, pietrificata da quelle stregonerie. Quell'avventura cominciava decisamente male! Il cane blu si era trasformato in un soprammobile di cristallo, e Sebastian aveva assunto l'aspetto di un candido fantasma prigioniero di un barattolo di cetrioli sottaceto! «Mi dispiace» sospirò Isi. «Tu sei passata senza problemi perché sei umana, cosa che non si può dire per i tuoi amici. Il cane e il ragazzo sono degli spiriti, vero?» «No, niente affatto» balbettò Peggy. «Diciamo piuttosto che sono un po' fuori dall'ordinario.»
«Be', non importa» tagliò corto la strega. «Sono comunque di natura instabile, ecco perché hanno avuto difficoltà durante la traversata. Cercherò di rimediare. Ma dobbiamo ritornare nel mio laboratorio. Qui non ho poteri.» Peggy posò prudentemente la scultura di cristallo i cui spigoli le tagliavano le mani. «Stai attenta!» gridò Isi. «Se lo rompi, il tuo cane morirà. E lo stesso vale per il ragazzo: se il fumo esce fuori dal barattolo, il vento lo disperderà nei quattro punti cardinali; sarà come se venisse squartato da cento cavalli furiosi. È difficile sopravvivere a questo genere di esperienza.» «È orribile!» rabbrividì Peggy Sue. «Lo so» annuì Isi «ma Zantora è una terra di grande magia. Devi essere pronta al peggio.» Peggy esaminò le rovine che la circondavano. In lontananza, sulla pianura, si innalzavano i profili di una città fortificata, cinta da solide mura. Davanti alla porta di questa cittadella, un drago con le corna stava in attesa, incatenato. Coricato per terra, sembrava un'enorme mucca occupata a ruminare. «Questa è la città di Omakaido» spiegò Isi. «Il dinosauro è un drago, un essere molto prezioso dal quale dipende la nostra sopravvivenza. Su Zantora, ogni città possiede un drago.» «Sono cattivi?» si informò Peggy. «No» rispose la ragazza dai capelli rossi. «Ma parleremo di questo più tardi. Ora dobbiamo sbrigarci a raggiungere la città, perché se i tuoi amici restano più di un'ora prigionieri di questo sortilegio, non ritorneranno mai più come prima. Tu porta il cane, io penso al barattolo... Ah! Ancora una cosa: bada a dove metti i piedi, ci sono trappole per mostri sparse un po' dappertutto sulla pianura.» «Trappole per mostri?» «Sì, sono simili a quelle per topi, solo che misurano due metri di lunghezza. Se ci cammini sopra, la lama a molla ti taglierà in due all'altezza dell'ombelico. Segui i miei passi, io so dove si trovano. Se cammini dietro di me, non corri alcun rischio. Ora, raccogli il tuo il cane e muoviti, non abbiamo molto tempo.» Peggy obbedì. Ma appena mise il naso fuori, il vento per poco non le tolse il respiro. Una spaventosa burrasca spazzava la pianura, trascinando con sé terra e sassi.
«Stai attenta al cane di cristallo!» gridò Isi. «Se viene colpito da una pietra, si frantumerà in mille pezzi.» Lei stessa avanzava curva, stringendo il barattolo contro il petto per proteggerlo dalla ghiaia rimescolata dal tornado. Peggy cercò di imitarla; ma si rivelò più difficile del previsto perché la statua era pesante, e gli spigoli taglienti le ferivano le mani. In un batter d'occhio, le dita della ragazza si coprirono di tagli sanguinanti. Accecate dalla polvere, le due s'incamminarono verso la cittadella. Avanzare controvento era un'impresa. Ogni volta che un sassolino rimbalzava sul cane di cristallo, Peggy gemeva di terrore, aspettandosi di vedere l'animale esploderle in faccia. Faceva fatica, ma teneva stretta la statua con tutte le sue forze. Aveva le mani piene di sangue, e questo complicava le cose. Non devo lasciarlo, si ripeteva. Non devo lasciarlo per nessun motivo. Con gli occhi pieni di terra, avanzava quasi a caso, cercando di non perdere di vista la figura di Isi, la cui capigliatura danzava come una fiamma in mezzo al tornado. D'un tratto, la giovane strega inciampò su una sporgenza del terreno e cadde, lasciandosi sfuggire il barattolo che rotolò sulla pianura, trasportato dal vento scatenato. Dovette corrergli dietro. A Peggy quasi si fermò il cuore. Non osava immaginare che cosa sarebbe accaduto se il recipiente avesse perso il coperchio! In mezzo a una tale tempesta, Sebastian sarebbe stato disperso senza scampo. Di tanto in tanto, una trappola per mostri scattava per sbaglio e si udiva la lama chiudersi con un rumore spaventoso. Ci vollero quaranta minuti per raggiungere le mura della città. Il vento provava un piacere sadico a far rallentare le ragazze o a soffiar loro sul viso una pioggia di sassi. Sembrava quasi che fosse animato da uno spirito maligno. Quando Peggy riuscì finalmente a ripararsi sotto l'arco della grande porta della città, tremava tutta. Il tempo stringeva. Sull'orlo dello svenimento, seguì Isi attraverso un labirinto di stradine fino a un terreno abbandonato dove s'innalzava una tenda di pelle decorata con segni misteriosi. «Ecco il mio rifugio» proclamò la giovane strega. «Non perdiamo tempo, se i tuoi amici non avranno recuperato il loro aspetto normale entro dieci minuti, resteranno per sempre come sono ora. Il cane di cristallo potrà abbellire la tua casa, ma il barattolo pieno di fumo non ti sarà molto uti-
le.» Senza più aspettare, cominciò a mescolare alcune erbe in una pentola annerita sospesa sul fuoco. Peggy depose l'animale di vetro per terra e lo esaminò da vicino, controllando che non avesse nessuna incrinatura. Aveva resistito alla grandinata di ghiaia; era quasi un miracolo. Isi alla fine prelevò, con l'aiuto di un mestolo, un liquido nauseabondo dal fondo del paiolo. Si affrettò a versarne una parte nel recipiente che conteneva 'Sebastian', e fece colare l'altro sulla statuetta di cristallo. «Spero che non sia troppo tardi» sospirò. Per fortuna la pozione fece effetto. Il barattolo esplose, il fumo ne fuoriuscì e si consolidò nella forma di Sebastian. Quanto alla statua di vetro, si ricoprì di peli blu e cominciò a scodinzolare. Peggy strinse i suoi amici tra le braccia. «Venite da lontano» mormorò, e spiegò loro che cosa era accaduto. «Avvicinati» ordinò Isi attirando Peggy Sue vicino al focolare. «Sei piena di tagli. Te li strofinerò con questo balsamo, così spariranno nel giro di pochi minuti.» Peggy la lasciò fare. Aveva avuto così paura per i suoi due compagni che non si era resa conto della gravità delle sue ferite. Sebastian e il cane blu dondolavano la testa stravolti. «Sono confusi» dichiarò Isi. «È normale. Domani avranno le idee più chiare.» «Spiegami che cosa succede in questo strano mondo» chiese Peggy. «Vorrei capire le regole del gioco prima di cominciare la partita.» «È insieme semplice e complicato» sospirò la ragazza dai capelli rossi preparando un po' di tè alla menta. «Qui tutto dipende dai draghi, o meglio dalle loro lacrime.» «Dalle loro lacrime?» «Sì, contengono una sostanza misteriosa che impedisce a chi la beve di trasformarsi in mostro. Il problema, però, è che bisogna berne un bicchiere ogni mattina perché faccia effetto.» «Ma perché ci si trasforma in mostri?» Isi alzò le spalle con rassegnazione. «A causa del vento, del sole, dell'acqua, delle verdure, e dei frutti» rispose. «A causa di tutto ciò che ci circonda... Questo pianeta non è fatto
per noi. I nostri antenati erano dei terrestri. Coloni sbarcati due secoli fa per cercare di coltivare questa strana terra. Hanno lavorato sodo, dissodando e costruendo... per scoprire alla fine che Zantora non li voleva.» «E perché?» «Gli unici veri abitanti di Zantora sono i draghi. Gli animali domestici che incontrerai nella campagna sono stati portati dai terrestri nelle stive dei razzi che li hanno condotti qui. I cavalli, le mucche, le pecore sono come noi, provengono dalla Terra, quindi stranieri su questo pianeta... Non hanno un loro posto qui. Zantora non può accoglierli. Ciò che viene dalla Terra non è in grado di ambientarsi su questo suolo maledetto. Appena i draghi smettono di piangere, perdiamo le nostre sembianze umane, e diventiamo creature mostruose. Senza dubbio si tratta di un sortilegio che qualcuno ci ha lanciato per punirci di aver invaso Zantora.» «Ma perché non ritornate sulla Terra se la vita qui è così difficile e faticosa?» «Abbiamo dimenticato le nostre origini terrestri, ormai. Siamo nati su Zantora, è questo il nostro mondo, nonostante tutto, e non abbiamo voglia di lasciarlo. Inoltre, il razzo che ha condotto qui i nostri antenati è andato distrutto da molto tempo. Ormai siamo prigionieri di Zantora. E beviamo le lacrime del drago pregando perché non smetta mai di piangere.» Peggy Sue sospirò. Le cose sembravano davvero complicate! Bevve il suo tè a piccoli sorsi per darsi il tempo di riflettere. Isi le lanciò una coperta. «È ora di dormire» disse. «Domani vi presenterò Romo, il capo dei servitori del drago. Stai tranquilla: nonostante il loro titolo altisonante, sono solo degli scudieri. Così ne saprai di più sui draghi.» 3 La diffidenza del boia Era quasi giorno quando la tenda venne improvvisamente invasa da una truppa di soldati in armatura che impugnavano delle asce. Un vecchio dal cranio rasato, avvolto in un mantello nero, li precedeva. «In piedi!» gridò con voce sgradevole. «Sono Mecanicus, il medico del palazzo. Ho appena saputo che qui si nascondono degli stranieri. Da dove vengono? Da quale città?» Isi si alzò per prima. Il vecchio la fissò con ferocia, e Peggy Sue intuì che detestava la giovane strega.
«Non vengono da una città vicina» spiegò con pazienza la ragazza dai capelli rossi «sono dei terrestri. Hanno attraversato lo spazio-tempo grazie allo specchio magico del tempio abbandonato per aiutarci.» Seguì un interminabile dialogo durante il quale le domande si susseguivano come raffiche di mitraglia. Il medico del palazzo si avvicinò a Peggy e a Sebastian per esaminarli con una gigantesca lente d'ingrandimento. «Terrestri...» borbottò «si fa presto a dirlo. E chi mi dice che non veniate invece dall'altra parte della pianura, eh? Magari siete fuggiti da una città dove il drago è morto di vecchiaia... Vi siete introdotti qui di nascosto, nella speranza di farvi passare per abitanti di Omakaido. Non sareste i primi che cercano di approfittare illegalmente delle lacrime del nostro drago. Ma noi non permettiamo agli stranieri di rubare il nostro antidoto6!» Che uomo sgradevole!, pensò Peggy mentre Mecanicus la guardava con insolenza. Speriamo che Sebastian non gli molli un pugno in faccia! Nel frattempo, Isi continuava a discutere. «Taci, strega!» le intimò il vecchio. «Spetta a me decidere. In questa borsa ho una boccetta di veleno. Se avrò modo di ritenere che questi stranieri siano degli impostori, chiederò ai miei soldati di fargliene bere un sorso. Non lascerò entrare in città individui che, domani notte, potrebbero trasformarsi in mostri.» «Non mi pare che ci accolgano come salvatori!» comunicò mentalmente il cane blu a Peggy. L'esame andava per le lunghe. Ma alla fine, il colore del cane finì per convincere Mecanicus dell'origine terrestre degli 'stranieri'. «Non esistono cani di questo colore su Zantora» dovette ammettere. «Inoltre, da queste parti non ci sono più ormai da trent'anni. La loro razza si è estinta, come quella dei gatti.» Soddisfatto di questa conclusione, l'uomo accennò un sorriso di benvenuto. «Dobbiamo essere prudenti» spiegò, quasi scusandosi. «Se non fossi così attento, i mostri ci avrebbero già invaso.» I soldati dalle armature ammaccate, intanto, non avevano mosso un dito. «Bene,» disse il medico «visto che intendete rimanere qui per un po', dovete imparare le nostre usanze. Vi invito a seguirmi in tribunale. I giudici stanno condannando un mostro catturato ieri sera per le strade della città. Devo andare laggiù per eseguire la sentenza, perché io sono anche il boia di Omakaido. Sono sicuro che questo piccolo spettacolo sarà molto istruttivo.»
Le guardie agitarono le scuri di fronte agli stranieri, quasi a volergli far capire che non avevano altra scelta che obbedire, cosa che i nostri amici fecero trattenendo la rabbia. Eppure, s'indignò Peggy tra sé, non veniamo come nemici! Isi, con espressione implorante, fece loro cenno di non contrariare quell'uomo spaventoso. L'istante successivo, venivano spinti senza tanti riguardi in strada. Arrivarono presto a una piazza dove era sistemata una tribuna. Alcuni giudici dall'aspetto severo, tronfi della loro importanza, vi erano schierati. Dentro una gabbia, un enorme lupo dal pelo scarlatto, si aggirava cercando di liberarsi dalle catene che lo immobilizzavano. Era una bestia impressionante, con una mascella di circa ottanta centimetri irta di zanne che ricordava quella di un coccodrillo. La folla ammassata dietro le transenne lo osservava con uno sguardo a metà tra l'odio e la paura. «Ah! Mastro Mecanicus, eccovi finalmente» esclamò il presidente del tribunale. «La sentenza è stata emessa. Il mostro è stato condannato all'avvelenamento con tredici voti su dodici... voglio dire, dodici voti su dodici! Vogliate procedere all'esecuzione senza tardare oltre, vi prego.» Il boia si inchinò riverente e, avanzando verso la gabbia, tirò fuori da una manica una fialetta piena di un liquido dorato. I soldati si affrettarono a raggiungerlo e, con l'aiuto di una lunga tenaglia, costrinsero il lupo ad aprire la bocca. Mecanicus con gesto sicuro versò il contenuto della fialetta direttamente in fondo alla gola della bestia, che non poté fare a meno di mandarlo giù. Le guardie si allontanarono, e anche Mecanicus si fece indietro. Trascorsero dieci secondi, poi il lupo fu scosso da una violenta convulsione che lo fece irrigidire, la bava alla bocca. Quando ricadde a terra, si sentì un tonfo sordo... Era diventato di pietra. «Avete visto?» balbettò il cane blu. «Il veleno lo ha fatto diventare una statua.» Peggy non disse nulla. Cominciava a comprendere perché, quando era andata a raggiungere il suo riflesso nelle profondità dello specchio, aveva visto così tanti lupi e così tante statue! «Istruttivo, non è vero?» sogghignò Mecanicus tornando verso di loro. «Ecco che cosa capita a quelli che non bevono ogni mattina il loro bicchiere di lacrime. Ora, potete circolare liberamente. Siete sotto la responsabilità di Isi, che vi ha condotti qui. Se vi comportate male, sarà lei a essere
punita per i vostri errori.» I ragazzi si affrettarono ad allontanarsi. Isi li pregò di restare in silenzio mentre si spostavano in mezzo alla folla, perché i giudici avevano spie ovunque. Peggy Sue notò con stupore che in mezzo alla città si innalzavano grandi piramidi di mattoni rossi. «Sono ziggurat7» spiegò Isi. «Ospitano i capi della città. E in particolare i signori del veleno.» «I signori del veleno?» ripeté Sebastian stupito. «Gli alchimisti» mormorò la ragazza dai capelli rossi. «Hai appena visto di cosa sono capaci. Il veleno pietrificante è l'unica arma che abbiamo a disposizione per sfuggire alla mostruosità. Un lupo mannaro trasformato in statua non può più mordere nessuno.» Peggy comprese che quella conversazione metteva la giovane strega a disagio e che preferiva cambiare argomento. «Vi farò conoscere Romo, il capo dei servitori del drago» annunciò quindi Isi. «Vi insegnerà ciò che dovete sapere sui draghi. Eccolo...» Fece un gesto con la mano per salutare un omone con indosso un panciotto di pelle rossa. Era brutto e villoso, ma la sua faccia rubiconda col naso a patata sfoggiava un sorriso davvero simpatico. 4 Una mucca da tremila tonnellate La bestia era grossa... Enorme! Avrebbe potuto ingoiare una montagna intera per pranzo, e poi coricarsi per digerirla. «Niente panico!» le disse mentalmente il cane blu. «Tanto non può muoversi. È solo una grossa mucca.» Con un gesto nervoso, la ragazza si ravviò i capelli. Aveva le mani sudaticce. L'ombra dell'animale si stagliava sul terreno, oscurando la città. Il drago era accasciato sulla piana, il muso appoggiato sulle zampe anteriori, come un cane assopito. Grandi placche d'avorio s'innalzavano sulla sua schiena, disegnandogli una linea merlata lungo tutta la colonna vertebrale. Aveva un lungo corno sulla fronte. Quella sporgenza ostacolava l'animale quando doveva brucare il cibo, essenzialmente erbe e foglie che gli venivano gettate sotto il muso tre volte al giorno. «È vero che non è bello» osservò il cane blu. «Puoi sondare i suoi pensieri?» gli chiese Peggy.
«Sì, ma non c'è granché, a parte immagini di cibo. Sembra quasi in letargo. Aspetta! Intravedo una massa scura in fondo alla sua mente... una figura annata di spada. Qualcosa di piuttosto inquietante, una specie di assassino nascosto nella nebbia... deve trattarsi di un incubo.» Sembra uno stegosauro8, pensò Peggy. Tranne per il fatto che ha un corno sulla fronte, come i rinoceronti. La ragazza lasciò scorrere lo sguardo lungo i cavi assicurati alla cresta dorsale del dinosauro. Ognuno passava attraverso un buco nelle placche d'avorio da dove riemergeva solo dopo una serie di complicati nodi marinari. Tutte le corde scendevano fino a terra, dove erano ancorate ad anelli conficcati nel terreno. «È importante tenerlo legato» spiegò Romo. «Se scappasse, sarebbe la fine di Omakaido. Saremmo tutti condannati a morte in breve tempo. La nostra sopravvivenza dipende da questa bestia. Ogni giorno, mando qualcuno a controllare gli attacchi. Bisogna arrampicarsi lungo la sua colonna vertebrale per assicurarsi che l'attrito non abbia segato le funi. Il drago ci lascia lavorare senza ribellarsi: la presenza degli uomini non ha mai risvegliato in lui la minima reazione. È come se non ci vedesse!» «Mi piacerebbe correre sulla sua schiena» dichiarò Sebastian, con gli occhi che gli brillavano. «Siete certo che non ci veda?» «E perché dovrebbe vederci?» ridacchiò Romo. «Per lui, tu sei solo una formica. Tu passi la tua vita a occuparti di quello che fanno le formiche?» «La nostra grande nemica è la pioggia» riprese l'omone, aggrottando la fronte. «Appena scoppia un temporale, il drago si sveglia dal suo letargo, perché non sopporta il rumore dei tuoni. I fulmini lo spaventano. Alla prima goccia, non riesce più a stare fermo. Salta e scalcia come un cavallo imbizzarrito. Se si lancia alla carica contro qualcosa, l'urto è terribile. Immaginate queste migliaia di tonnellate tirarsi su e prendere la rincorsa per buttarsi in avanti. È in quel momento che si gioca il tutto per tutto: se i cavi si rompono, se gli anelli cedono, il drago scappa. Non bisogna per nessun motivo che questo accada, troppe comunità hanno già vissuto una simile sciagura: Ghan-Taar, Nadhyna, solo per fare qualche nome... I loro abitanti si sono avvelenati. Ora, quei posti sono diventati città fantasma.» Come per tranquillizzarsi, l'uomo accarezzò uno dei giganteschi anelli piantati in terra. Sebastian, invece, tese le dita per sfiorare i cavi che gli sbarravano la
strada. Un grasso rossastro li proteggeva dalla ruggine. Il ragazzo cominciò a penetrare all'interno di quella che gli stallieri chiamavano 'la zona di calpestio', un cerchio spelacchiato che le zampe dell'animale avevano a poco a poco trasformato in una sorta di superficie lunare. Peggy non amava affatto vederlo avventurarsi così vicino al drago addormentato. Fu tentata di gridargli di tornare indietro, ma Sebastian era evidentemente molto contento di accarezzare quella grossa bestia. Era molto diverso dal contemplare i leoni allo zoo attraverso le sbarre di una gabbia! Romo controllò ancora una volta le condizioni dei cavi e degli anelli, quindi dichiarò che la visita era terminata. Peggy fece un giro largo per non passare davanti al muso dell'animale. Dalla bocca semiaperta, su una fila di denti piatti e quadrati, proveniva un tanfo infernale. Erano denti da ruminante. Il lungo corno sulla fronte era impressionante. «Spero di non essere qui il giorno in cui questa bestiola si arrabbierà» dichiarò il cane blu. «Secondo me farà molti danni.» 5 La notte dei mostri Trascorsero tre giorni durante i quali Peggy, Sebastian e il cane familiarizzarono con le usanze di Omakaido. Tutte le mattine, Romo controllava che bevessero il loro bicchiere di lacrime. «È disgustoso,» diceva «ma bisogna berlo. I soldati di Mecanicus non scherzano. Alla prima bolla che vi spunta sulla fronte, vi guarderanno con sospetto; c'è sempre qualcuno pronto a pensare che possa nascondere un corno!» Peggy aveva spesso l'impressione di essere sorvegliata. Quando voltava la testa, sorprendeva lo sguardo di Mecanicus fisso su di lei. Nascosto dietro una colonna o un muro, il medico-boia la osservava con i suoi occhietti da topo. Vedendosi scoperto, si costringeva a sorridere e avanzava per salutarla. Appena le era accanto, la esaminava con insolenza, pizzicandole la pelle o toccandole i capelli. «Semplice controllo di routine» diceva. «Devo assicurarmi che sopportiate bene l'atmosfera di Zantora. Siete meno abituati di noi, potreste dimostrarvi più sensibili alle trasformazioni.» Nel momento di prendere congedo, aggiunse perfidamente: «Al posto vostro starei alla larga da Isi... Non mi piace il colore dei suoi capelli, mi
ricorda troppo il mantello dei lupi. Un giorno o l'altro, avrà delle noie: quella ragazza non è normale. Lo dico per evitare che vi troviate in un brutto guaio. Mi dispiacerebbe se i giudici mi ordinassero di farvi bere il veleno pietrificante. Sarebbe un vero peccato.» «Ho paura di quell'uomo» decretò il cane blu. «Non smette di girarti intorno come se sperasse di coglierti con le mani nel sacco.» Peggy non tardò a scoprire che la città era piena di sculture mostruose. Era facile imbattersi in una di esse per le strade, ed era un incontro che ogni volta faceva drizzare i capelli, perché l'aspetto di quelle bestie di pietra era davvero raccapricciante. «Sono i mostri ai quali Mecanicus ha fatto bere il veleno pietrificante» spiegò Isi. «Vengono lasciati là apposta per ricordare alla popolazione che deve sempre stare in guardia.» «Che orrore!» guaì il cane blu. «Guarda quello laggiù: ha tre corni sulla fronte, ali da pipistrello e bocca da leone.» «Quell'altro invece assomiglia a un coccodrillo spinoso» osservò Peggy. «Ha degli artigli lunghi come spade.» Voltandosi verso la giovane strega, domandò: «Se smetto di bere l'antidoto, mi trasformerò davvero in un mostro del genere?» «Sì» confermò Isi. «Non sono state scolpite da un'artista, sai... Quando le guardi, non dimenticare mai che si tratta di creature viventi pietrificate dal veleno dei carnefici.» «Allora» intervenne il cane blu «se li rompessimo, ci troveremmo dentro organi di pietra? Un cuore, un fegato, uno stomaco di granito?» «Senza dubbio» rispose Isi. «Non ci avevo mai pensato, ma sicuramente sono fatte così. Di notte è meglio evitare di passeggiare per le strade, perché i mostri escono dai sotterranei dove si nascondono durante il giorno.» Diceva la verità. Del resto Peggy non tardò a notare che le strade di Omakaido diventavano deserte appena tramontava il sole. Le case erano tutte dotate di solide imposte, le porte avevano grosse serrature e sbarre di sicurezza. Quando scendeva il crepuscolo, in tutta la città risuonavano gli scatti dei chiavistelli. Una sera, Sebastian decise di arrampicarsi sul tetto dell'albergo dove alloggiava con Peggy e il cane blu.
«Vorrei vedere uno di questi famosi mostri» annunciò. «Tutti ne parlano, ma nessuno ne ha mai incontrato uno per davvero.» «Dimentichi il lupo rosso che è stato pietrificato davanti a noi il giorno del nostro arrivo» obiettò Peggy. «È vero,» ammise il ragazzo «ma era solo un comune lupo dal pelo rosso; io invece vorrei vedere i mostri veri, quelli come le statue che si trovano per la strada.» «Ho capito dove vuoi arrivare» indovinò Peggy. «Pensi che i mostri non esistano...» «Potrebbe essere proprio così» confermò Sebastian. «Qualunque scultore con un po' d'immaginazione può realizzare una statua che metta paura. Mi chiedo se questa storia della mutazione non sia solo una bugia inventata dai signori di Omakaido per terrorizzare la gente e darsi un po' d'importanza.» Quando la luna fu alta nel cielo, i ragazzi uscirono dalle loro camere in punta di piedi per arrampicarsi sul tetto dell'albergo insieme al cane blu. Una volta lassù, si distesero sulle tegole traballanti e attesero, stretti l'uno contro l'altro. Trascorse un'ora senza che accadesse nulla, poi nelle tenebre si udirono dei grugniti. Per le strade deserte rimbombavano sinistri ululati. La gente si rannicchiava ancora di più dentro al letto. «Niente panico,» bisbigliò Sebastian «questo non prova nulla. Chiunque è in grado di imitare queste urla. Anch'io potrei farlo.» All'improvviso, un'ombra sbilenca apparve sulla piazza, dietro la fontana. Era un gorilla verdastro con la schiena ricoperta di pungiglioni, e due corna lucenti sulla testa. Agitava le braccia, come se cercasse di strappare le nuvole con i suoi artigli. «Puah! Com'è brutto!» affermò il cane blu. Peggy Sue, invece, respirava appena. Tremava all'idea che quella scimmia mostruosa si accorgesse di loro. Era veramente spaventosa e, senza dubbio, possedeva una forza straordinaria. La ragazza sperava con tutto il cuore che se ne andasse il più lontano possibile, ma la creatura sembrava decisa a esplorare la piazza e cominciò a percorrerla grugnendo. «Allora» disse Peggy rivolta a Sebastian «sei soddisfatto? Come vedi i mostri esistono davvero.» Sebastian non ebbe il tempo di rispondere, perché il gorilla alzò la testa e incrociò lo sguardo dei tre amici sulle tegole. Allora venne colto imme-
diatamente da una spaventosa furia e cominciò a colpirsi il petto con i pugni. «Ci ha visti!» si agitò il cane blu. «Viene da questa parte!» In effetti, il mostro si stava avvicinando all'albergo ondeggiando sulle gambe storte. Sbavava e grugniva, facendo sbattere tra loro gli aculei che gli ricoprivano la schiena. Arrivato davanti all'edificio, cominciò a graffiare i muri; poi si arrampicò sulla grondaia. «Accidenti!» ansimò Sebastian rialzandosi. «Vuole salire quassù!» Senza pensare a ciò che faceva, Peggy afferrò le tegole che la circondavano e cominciò a bombardare l'orribile bestia per dissuaderla dal continuare. «Presto!» gridò. «Fate come me. Se riesce a salire sul tetto, sarà troppo tardi per ricacciarla indietro.» Sebastian e il cane blu obbedirono, facendo piovere sulla creatura una valanga di tegole. Quel contrattacco sembrò infastidire il gorilla, che fuggì in una strada vicina. «Che strano» rifletté il ragazzo. «Abbiamo vinto troppo facilmente per i miei gusti. Una bestia simile che scappa solo perché ha ricevuto tre tegole sulla testa... curioso, non vi pare?» «È vero, non si è dimostrata combattiva» convenne Peggy Sue. «Mi è venuta un'idea!» dichiarò Sebastian. «Seguiamolo!» «Stai dicendo sul serio?» rabbrividì il cane blu. «Sai che cosa succederà se quella bestiola ci cattura?» «Niente di niente!» replicò il ragazzo. «Sono sicuro che si tratta di un uomo travestito. Questa storia dei mostri non è che un inganno architettato da Mecanicus per spaventare la gente.» Peggy esitava. Se Sebastian si sbagliava, si sarebbero gettati direttamente in bocca al lupo. I mostri li avrebbero fatti a pezzi prima che avessero potuto aprire bocca. «Se avete paura, vado da solo!» decise il ragazzo cominciando a scendere lungo la grondaia. «E va bene, andiamo» capitolò Peggy «ci rivediamo in basso.» Seguita dal cane blu, afferrò la scala per scendere al pianterreno. Una volta che si furono allontanati dall'albergo, però, la baldanza di Sebastian svanì, perché lo spettacolo delle strade deserte immerse nell'oscurità non aveva nulla di rassicurante. In più, ogni tanto, echeggiavano urla sinistre, come se le creature infernali avessero deciso di circondarli.
«Forse non è stata una buona idea» ammise il ragazzo. «Comunque, non possiamo più tornare indietro» bisbigliò Peggy «c'è qualcuno... o qualche cosa dietro di noi. Sentite questo raschiare sul selciato? Dobbiamo proseguire e trovare un posto dove nasconderci. Presto!» I tre amici accelerarono il passo. Avevano improvvisamente perso tutta la loro sicurezza. La notte brulicava di presenze ostili, di ombre inquietanti. Mentre cominciavano a farsi prendere dal panico, notarono un tempio il cui frontone dominava la piazza. Salirono velocemente i gradini che conducevano al colonnato e si nascosero dietro le colonne di marmo per sorvegliare la strada. Peggy per poco non lanciò un urlo scoprendo che un leone gigante con la testa di squalo se ne stava dietro di loro, in piedi sulle zampe posteriori, ma poi si rese conto che si trattava ancora una volta di un mostro pietrificato dal veleno, messo là apposta per invitare la gente alla prudenza. «Ce ne sono ovunque!» notò Sebastian. Si era spaventato anche lui. Con il cuore che batteva all'impazzata, videro il gorilla sbucare sulla piazza. Una creatura orrenda, che somigliava a un pipistrello col muso da pantera, lo seguiva da vicino. Per fortuna, i mostri passarono davanti al tempio senza fermarsi e sparirono in una stradina laterale. «Non hanno molto fiuto, per essere dei predatori» osservò il cane blu. «Avrebbero dovuto individuarci. Eravamo troppo vicini perché il nostro odore non ci tradisse.» «Sono d'accordo con te» mormorò Sebastian. «E questo rafforza la mia idea che si tratta di soldati travestiti.» «Buttiamo giù questa statua» propose il cane. «Se è veramente quella di un mostro pietrificato, rompendosi farà uscire un cuore e uno stomaco di granito...» «Va bene» disse Peggy. «Portiamola alla luce.» Usando la sua forza sovrumana, Sebastian trascinò la statua sulla scalinata finché non si ruppe in mille pezzi rotolando sui gradini. «Allora?» si spazientì il cane. «Nessun organo!» annunciò il ragazzo esaminando i cocci sparsi. «È solo pietra. Pietra tagliata da uno scultore.» «Quindi è tutto un imbroglio» concluse Peggy Sue. «Questi famosi 'mostri' pietrificati sono stati in realtà realizzati in un laboratorio da uno
scultore agli ordini di Mecanicus.» Si sentiva più tranquilla ora. «Andiamo!» li esortò Sebastian. «Si sta per fare giorno: pediniamo uno di quegli uomini travestiti, e vediamo dove ci porta.» Era una buona idea, così si nascosero tutti dietro una fontana in attesa che passasse una nuova 'creatura'. Non dovettero aspettare troppo. Il loro amico gorilla apparve trascinando i piedi, come se il peso del suo costume cominciasse a stancarlo. Questa volta, i tre lo seguirono da vicino. Rasentando i muri, videro che il gorilla veniva raggiunto da altri mostri, e che questo pittoresco gruppetto si dirigeva verso lo ziggurat dei signori del veleno. In fila indiana, le bestie mostruose s'infilarono in una delle sale del pianterreno, dove cominciarono a spogliarsi. Come aveva indovinato Sebastian, sotto quei singolari travestimenti si nascondevano dei soldati, tutti sudati. Mecanicus andava dall'uno all'altro per dare a ciascuno una moneta d'oro, la paga del loro lavoro notturno. «Ora sappiamo quello che ci interessava» affermò Sebastian. «Ritorniamo all'albergo. Avete capito? I mostri non esistono, è solo una commedia destinata ad accrescere il potere dei signori di Omakaido. Da domani smetterò di prendere quell'orribile antidoto che mi fa venire la nausea ogni volta che lo bevo!» Peggy era turbata. Decise di andare a chiedere consiglio a Isi. Quella ragazza le era molto simpatica e desiderava che diventasse sua amica. Così andò a trovarla nella sua tenda di pelle per raccontarle le scoperte di quella notte. «Capisco» disse la ragazza dai capelli rossi. «E immagino che stamattina tu abbia rovesciato per terra la tua razione di antidoto anziché berla.» «Sì» confessò Peggy «è talmente cattiva... e poi non serve a niente...» «Sciocca!» esplose Isi. «Non hai capito che Mecanicus vi ha teso una trappola? Ci siete caduti in pieno!» «Cosa vuoi dire?» balbettò Peggy. Isi ebbe un gesto di stizza. Fulminò la ragazza con lo sguardo. «Mecanicus vi detesta» affermò. «Non vuole che vi immischiate nei suoi affari. Non vuole che le cose cambino, a Omakaido; è una situazione conveniente per lui, perché ne trae onori e potere. Se tu trovi il modo di risolvere i nostri problemi, lui perderà tutto! Dovrà rinunciare al suo trono. Ecco perché vuole sbarazzarsi di voi il più presto possibile. Sono certa che ha
montato questa commedia solo per convincervi che le trasformazioni dipendono dal potere della superstizione. Hai capito?» «No...» «Ma è evidente. Tutto è andato a gonfie vele. Vi ha messo dei falsi mostri sotto il naso per convincervi che era inutile continuare a bere l'antidoto. In questo modo vi sareste trasformati in creature mostruose nel giro di due giorni, e così lui si sarebbe sbarazzato di voi!» Peggy Sue sgranò gli occhi, le mancava il respiro. «Oh!» sospirò. «Ora capisco tutto. Ecco perché questi famosi mostri sembravano così bizzarri, come se fossero stati fatti con degli animali impagliati.» «Se erano così poco credibili, era proprio per risvegliare la vostra diffidenza e farvi pensare che si trattasse di una messa in scena.» «Sì, ora è tutto chiaro» annuì Peggy Sue. «Sembrava anche che il gorilla avesse rinunciato troppo presto ad attaccarci. Poi, quando abbiamo cominciato a seguirlo, ho notato che nessuno dei mostri che lo accompagnavano si guardava alle spalle.» «È evidente!» sogghignò Isi. «Facevano finta di non vedervi. Mecanicus voleva che li 'sorprendeste' mentre si levavano il travestimento. Era tutto previsto.» «Che demonio!» «È proprio la parola giusta. Hai fatto bene a parlarmene. Un altro giorno senza antidoto e avresti iniziato a trasformarti. Sulle braccia ti sarebbero comparsi lunghi peli rossi, e i tuoi denti si sarebbero allungati. Mecanicus avrebbe avuto facilmente ragione di denunciarvi ai giudici. Vi avrebbero immediatamente condannati a bere il veleno pietrificante. L'hai scampata bella. Uscendo da qui, vai subito a trovare Romo e chiedigli un nuovo bicchiere di lacrime. Anche i tuoi amici devono fare la stessa cosa.» «Ciò non toglie comunque che le statue mostruose siano false» insisté Peggy. Isi si strinse nelle spalle. «È possibile» ammise. «Suppongo che servano a ricordare alla gente che occorre essere prudenti. Sono state fabbricate per colpire l'immaginazione degli increduli e convincerli a non mancare mai a una distribuzione di antidoto. È un piccolo trucco, certo, ma non bisogna dedurne che i mostri non esistono. Personalmente, posso affermare che gli scantinati della città ne sono pieni.» «In ogni caso, Mecanicus non ti ama particolarmente» le fece notare
Peggy. «Lo so» sospirò Isi. «Il colore dei miei capelli lo disgusta. Mi rende sospetta ai suoi occhi. Il rosso è un colore mal visto a Omakaido. In più, Mecanicus crede di avere scoperto in me un mostro a lenta trasformazione. Se non temesse i miei incantesimi, mi avrebbe denunciata ai giudici già da molto tempo.» Peggy Sue si affrettò a raccontare a Sebastian il suo incontro con la giovane strega. Il ragazzo venne preso da una violenta collera. «Non devi ascoltare quella ragazza!» urlò. «È mezza matta.» Peggy capì che in realtà era offeso per essersi fatto ingannare da Mecanicus, anche se non voleva ammetterlo. Il cane blu, invece, si sistemò accanto a Peggy. «Questa piccola disavventura ci insegna che dobbiamo essere più prudenti» concluse la ragazza. «Venendo dalla Terra, ci siamo creduti più furbi degli abitanti di qui, ed è stato un errore.» 6 Un bicchiere di speranza Da quel giorno in poi Sebastian rifiutò di rivolgere la parola a Isi: ce l'aveva con lei perché aveva messo in ridicolo la sua teoria. Quando lei era nei paraggi, teneva il broncio. La giovane strega ne fu rattristata. Forse un po' troppo, notò Peggy Sue, che credette di indovinare in Isi la volontà più o meno cosciente di sedurre il ragazzo. Questo la allarmò, perché Isi aveva una bellezza particolare, ed era più grande di lei. Spero che non cerchi di farlo innamorare con un incantesimo, pensò. I ragazzi non sanno resistere a questo genere di trucchi. Una formula magica e hop! eccoli pronti a obbedire alla ragazza come cani da circo. Si ripromise di sorvegliarli. L'indomani, Romo venne a cercarli per partecipare alla cerimonia della raccolta delle lacrime perché il drago si era finalmente rimesso a piangere. «Era ora!» disse l'omone. «Le riserve di antidoto cominciavano a scarseggiare. In queste ultime settimane, i suoi occhi sono rimasti asciutti.» Non volendo contrariare il caposquadra, Peggy, Sebastian e il cane blu lo accompagnarono ai piedi delle mura.
Il drago dormiva, coricato su un fianco, il corno conficcato come una spada nella vasta distesa pianeggiante. Sulla gola scoperta erano ben visibili delle vene grosse come tubature. Ogni tanto una lacrima riluceva all'angolo di una palpebra, e la folla salutava con un grido soffocato l'apparizione del prezioso liquido. Da una parte all'altra della sua testa erano state innalzate scale di legno. Alcuni inservienti, trascinandosi dietro dei secchi, scalavano i pioli per sollevarsi fino all'enorme muso del dinosauro assopito. Là, in equilibrio, in balìa del minimo sussulto, aspettavano pazientemente che rotolasse giù una lacrima grossa come un pugno per raccoglierla nei recipienti. Era un lavoro che richiedeva pazienza e sangue freddo, perché le lacrime del drago non erano affatto prevedibili. «Dipende tutto dai suoi sogni» spiegò Romo. «Quando piange mentre dorme, vuol dire che sogna cose tristi.» A volte, tra una lacrima e l'altra, passava anche un'ora. Altre volte, le gocce madreperlacee sgorgavano dalle sue palpebre come un torrente in piena. Sebastian, che come tutti i ragazzi non sognava altro che ferite e cicatrici, afferrò un secchio per unirsi ai raccoglitori di lacrime. «Fai attenzione!» gli raccomandò Peggy Sue. «Se cadi dalla scala, ti romperai l'osso del collo.» Temeva infatti che la bestia si muovesse durante il sonno. Se fosse accaduto, se improvvisamente avesse deciso di girarsi da un fianco all'altro, avrebbe schiacciato, senza rendersene conto, i raccoglitori di lacrime occupati a scalare il suo muso. «Oh, mi fa venire certi nervi!» sibilò tra i denti. «Deve sempre fare l'eroe.» «I ragazzi sono così...» sospirò il cane blu con fatalismo. «Hai ragione a preoccuparti, piccola» osservò Romo. «I ragazzi che si arrampicano sulle scale corrono sempre dei rischi. A volte, il drago li scaccia con un colpo di corno, come mosche fastidiose.» Le lacrime si susseguirono, riempiendo tutti i secchi, poi i singhiozzi del drago cessarono di colpo. Romo si lasciò scappare un'imprecazione. «Peccato! È già finita. Ancora una volta è una magra raccolta. In parecchi resteranno col bicchiere vuoto.» Sebastian ritornò, tutto eccitato. Ora, voleva salire sul carro dei distributori che avrebbe percorso tutta la città per consegnare a ciascuno una razione di liquido magico. La folla si accalcava, col bicchiere in mano, aspettando febbrilmente che
cominciasse la distribuzione. «Vai, ragazzo» approvò Romo «è bene che tu impari come funzionano le cose qui.» Peggy, il cane blu e il caposquadra decisero di seguire il carro che procedeva lentamente in mezzo alla folla accorsa da ogni parte. Tenendo le orecchie ben aperte, la ragazza sentì prestò mormorii d'apprensione diffondersi per le strade: «Sembra che non ce ne sia abbastanza!» disse un uomo. «Il sogno del drago non era abbastanza triste. La bestia ha pianto poco. Non ce ne sarà per tutti!» «Dicono che i ricchi dei quartieri alti hanno preteso una razione doppia» aggiunse uno sconosciuto. «Il risultato è che non ce n'è più per nessuno!» «Sembra che più il drago invecchia e meno le sue lacrime sono efficaci...» bisbigliò una donna. «Qualcuno mi ha detto che nel quartiere sud sono nati dei bambini con la testa di cane: è un cattivo segno! Presto ci saranno troppi mostri tra le nostre mura, e i signori del veleno decideranno di pietrificarci tutti quanti.» Così, di strada in strada, cresceva il mormorio carico d'angoscia dei cittadini terrorizzati alla prospettiva di essere privati della loro razione quotidiana di lacrime. Accorgendosi che Peggy impallidiva, Romo le mise una mano su una spalla e mormorò: «È ogni volta la stessa storia, piccola. Hanno paura di non riuscire a riempire il bicchiere. A volte il terrore delle mutazioni s'impadronisce di una strada o di un quartiere. Allora si mettono a spiarsi tra loro, a sospettare la presenza di orribili deformazioni sotto i vestiti dei loro vicini. Guardano con diffidenza anche le medicazioni dei feriti...» «Ci sono molte trasformazioni?» indagò Peggy Sue. Romo si strinse nelle spalle. «Non si sa» confessò. «Mecanicus dice di sì. Quando le persone scompaiono, non è possibile determinare se è perché si sono trasformati o perché i mostri li hanno divorati! Una cosa è sicura comunque ogni notte ci sono nuove sparizioni. Case che erano ancora abitate la sera vengono trovate deserte all'alba, senza che si possa sapere dove siano finiti i loro proprietari.» L'uomo sospirò, poi aggiunse: «Qui a Omakaido non abbiamo mai avuto da lamentarci del drago. Ha sempre pianto abbastanza da permettere alla gente di avere quante lacrime desiderava. Da quello che ho sentito dire, però, non tutte le città hanno avuto la stessa fortuna, e a volte è stato necessario distruggerne alcune, con tutti loro abitanti, per evitare che i mostri si
moltiplicassero. In gioventù io stesso ho partecipato a una di queste spedizioni purificatrici.» «Che cosa?» scattò Peggy. «Hai ucciso degli innocenti, soltanto perché il loro drago non piangeva abbastanza?» «È la legge! Dovevo obbedire» protestò Romo. «Quando un drago smette di piangere, le persone si ritrovano senza antidoto e diventano dei mostri, è semplice. Farai bene a ricordare questa regola fondamentale. Ora riguarda anche te. Anche se vieni dal pianeta Terra, ormai sei in pericolo, come tutti noi. Lo stesso vale per il tuo amico, e anche il tuo cane potrebbe trasformarsi in un lupo scarlatto, se non leccasse ogni mattina la sua dose di lacrime.» Peggy Sue fece una smorfia. «E quando hai partecipato a quella spedizione punitiva» domandò «hai potuto vedere questi famosi mostri?» «Quando siamo arrivati con la truppa era mezzogiorno» raccontò Romo. «Il sole splendeva alto nel cielo. La città era in stato di abbandono. Sembrava che i mutanti fuggissero la luce del giorno e si nascondessero nell'oscurità. L'ufficiale che ci comandava ci ha consigliato di non entrare nelle case se tenevamo alla pelle, così abbiamo appiccato il fuoco alla città senza avvistare uno solo di quei maledetti diavoli. Tutto è bruciato, gli edifici e ciò che contenevano, ma non uno di quei demoni è uscito per sfuggire alle fiamme. Quando siamo ripartiti, ne sapevamo quanto prima! È tutto quello che posso dire. Ma qui, a Omakaido, siamo fortunati, perché la bestia piange quasi regolarmente e bisogna pregare perché sia sempre così. Sì, dobbiamo pregare.» 7 Un gigante con cappa e spada Rinunciando a seguire il carretto e temendo di venire calpestata dalla folla in delirio, Peggy Sue scelse di tornare all'albergo. «Ne ho abbastanza di bere queste lacrime,» borbottò fra sé il cane blu «sono troppo salate! Mi fanno venire una gran sete!» «Hai ragione» approvò Peggy. «Ogni volta mi sembra di bere acqua di mare. Ho la gola in fiamme.» «Se magari ci aggiungessero un po' di cipolla e qualche porro» suggerì il cane «ci si potrebbe fare una zuppetta, almeno, con qualche pezzetto di pane e...» Peggy lo abbandonò alle sue fantasie culinarie e riportò l'attenzione sulle
piramidi di mattoni rossi che dominavano la città. Da quelle costruzioni emanava una vaga minaccia. Sui bastioni, Kev il mago della pioggia misurava a grandi passi il camminamento di ronda, il naso alzato verso le nuvole. «Che bella giornata grigia!» proclamò vedendo avvicinarsi la ragazza col suo cane. «Di qui a poco il nostro caro drago si scatenerà per coprire il temporale! E tutti quelli che sentiranno le sue grida diventeranno pazzi! Completamente suonati, come Isi la strega.» Per sottolineare le sue parole, accennò orribili smorfie e cominciò a contorcersi. «Veramente è lui quello che mi sembra fuori di testa» mormorò il cane blu. Peggy alzò gli occhi al cielo. Nessuno poteva gioire alla prospettiva di una tempesta: la luce accecante dei lampi, il bombardamento dei tuoni... Una musica spaventosa che il drago avrebbe sopportato a stento. Alla prima esplosione, sarebbe uscito dal suo letargo e si sarebbe alzato in piedi, facendo scricchiolare le sue catene. Alla sola idea Peggy sentì le mani che cominciavano a sudare. «Andiamo verso la stagione dei temporali!» esultò Kev alle sue spalle. «I lampi del cielo esploderanno più spesso! E zing! E zong! Il nostro piccolo drago ballerà la danza dei fulmini! Ah! Sarà davvero un bello spettacolo.» Peggy decise di lasciare la sentinella al suo delirio e, alzando la testa, osservò il grande ziggurat scarlatto. Il signore del veleno era là, da qualche parte, nelle profondità di quell'ammasso di mattoni. Forse mi sta guardando..., pensò. Con un binocolo può contare quante lentiggini ci sono sulle mie guance e io invece neanche lo vedo. È piuttosto seccante. «Perché lo chiamano il signore del veleno?» domandò il cane blu. «Isi ce lo ha spiegato» sospirò Peggy «ma certamente tu non la ascoltavi.» «No» confessò l'animale «le discussioni degli umani mi annoiano.» «Non si sa molto su di lui» mormorò la ragazza indicando una torre. «Si chiama Zarc, e il suo compito è quello di sorvegliare la città per assicurarsi che le persone non si trasformino in mostri. In genere, i signori del veleno non lasciano mai il tempio, e vi trascorrono tutta la loro vita.» «E cosa c'entra il veleno in tutto questo?»
«Questo è meno divertente. Le riserve d'acqua potabile della città sono immagazzinate nella cisterna del tempio, ovvero proprio sotto i piedi di Zarc. In questo modo, se un giorno le lacrime del drago si prosciugassero, il signore di Omakaido non avrebbe alcuna difficoltà a versare il veleno nelle tubature che servono la città.» «Così tutti verrebbero trasformati in statue, giusto?» «Sì. Preferiscono questa fine piuttosto che diventare dei mostri. O almeno è questo che non smettono di ripetere.» Il cane blu abbaiò. «Non mi piace affatto» dichiarò. «Non ho nessuna voglia di essere avvelenato. Secondo me faremmo meglio a smettere fin da ora di bere l'acqua che esce dai rubinetti!» «Con questo caldo» sospirò Peggy Sue «è più facile a dirsi che a farsi. Tutti i punti di approvvigionamento sono controllati da Zarc. Anche l'acqua della più piccola fontana proviene dalla cisterna del tempio.» «Corpo di una salsiccia atomica!» scattò il piccolo animale. «Chi ha avuto l'idea di trascinarmi in un'avventura simile?» Peggy s'incamminò per una stradina tortuosa. I muri erano ricoperti da graffiti. Le scritte si accavallavano le une sulle altre, e ripetevano tutte lo stesso ritornello: Isi la pazza, Isi l'amica dei mostri... Peggy sospettò che fossero stati i soldati a fare quelle scritte per ordine di Mecanicus. Un venditore di sonno sorpassò la ragazza. Spingeva faticosamente un piccolo carretto variopinto dove si ammucchiavano diverse bottigliette di terracotta. «Arriva il temporale!» gridava con una voce in falsetto. «Proteggetevi dagli urli della bestia! Comprate lo sciroppo che vi permetterà di sopportare la tempesta senza impazzire! Arriva il temporale...» Peggy lo guardò allontanarsi con la sua bancarella traballante. I venditori di sonno affermavano che le urla del drago facevano impazzire chiunque le ascoltasse! Per sfuggire a quel pericolo, gli abitanti di Omakaido si imbottivano di sonnifero nelle sere di tempesta, così dormivano come ghiri mentre il grande rettile cominciava a muggire. La ragazza lasciò l'intrico di viuzze per arrivare al terreno abbandonato dove s'innalzava il riparo di Isi. Dalla tenda proveniva un odore di erbe medicinali.
Peggy scostò il lembo di pelle che mascherava l'entrata del rifugio. Le giovane strega sorvegliava la cottura di un unguento nel calderone; assorbita dal suo lavoro, non voltò neanche la testa quando la ragazza e il cane si sedettero accanto a lei. Faceva caldo sotto la tenda, e Peggy si ritrovò presto tutta sudata. Isi indossava solo un perizoma di stoffa. Aveva il corpo tutto unto d'olio e strane collane d'avorio le pendevano sul petto. I lunghi capelli rossi le si erano incollati alle guance. A ogni respiro, le ossa della sua gabbia toracica sporgevano dalla pelle, per quanto era magra. Rimescolò la pomata con la punta del cucchiaio ancora un momento, poi finalmente alzò gli occhi. Aveva un sorriso triste. Con i denti - un po' troppo lunghi per essere completamente umani - si mordicchiava le labbra come se fosse indecisa tra una risata e un latrato. Peggy Sue la trovò molto bella, gli altri invece la giudicavano troppo magra, folle... e pericolosa. «Tra qualche ora scoppierà il temporale, e il drago danzerà davanti alle nostre mura» osservò la strega con voce rauca. «Questa volta potrebbe riuscire a spezzare le catene.» Il cane blu, inquieto, lanciò un guaito. Peggy Sue si agitò, a disagio. La brace rosseggiava tra le pietre, riflettendo i suoi bagliori sulle boccette ammucchiate a terra. «Se il drago se ne va, si trasformeranno tutti in lupi o in coccodrilli!» disse la strega. «Subito dopo, Zarc verserà il veleno nella cisterna e tutti i rubinetti di Omakaido distribuiranno acqua pietrificante.» Fece una pausa, poi aggiunse con tono lugubre: «Dicono che a Vadang, una città non lontano da qui, il drago stia morendo. Mi chiedo che cosa passi in questo momento nella testa degli abitanti.» «Probabilmente tremano all'idea che il loro signore del veleno decida di tramutarli tutti in statue» sospirò Peggy Sue perché, da quello che aveva capito, esisteva un omologo9 di Mastro Zarc in ogni centro abitato. «Sì» confermò Isi. «Perché quegli sventurati non scappano dalla loro città per cercare una sorgente d'acqua naturale?» rifletté il cane blu. «Un'oasi, per esempio. Così non sarebbero più dominati dai tipi come Mecanicus.» La giovane strega lo considerò con divertimento. «Parli come un essere umano, cagnolino dal pelo blu,» ridacchiò «ma non sai nulla di Zantora. Ci sono pochissime sorgenti su questo pianeta, e sopra ognuna è stata costruita una città. Capisci? Cercherebbero invano una fonte, un lago, uno stagno su cui i signori del veleno non abbiano già costruito uno ziggurat.»
«Va bene, ho capito» annuì il cane. «Questo vuol dire che la gente delle città non può fuggire, perché non servirebbe a nulla... oltre le mura, c'è solo il deserto.» «Esatto» approvò Isi. «Le persone che riuscirebbero a scappare sarebbero condannate a morire di sete, o comunque a chiedere asilo nella città vicina.» «Ma gli altri si rifiuterebbero di accoglierli,» completò Peggy Sue «perché nessuno vuole dividere le lacrime del drago con degli stranieri: sono troppo preziose e appena sufficienti.» «Hai capito perfettamente» concluse la giovane strega. «Senza l'antidoto, la luce del giorno diventa insopportabile. Ecco perché i mostri escono solo di notte. Non li vedrete mai durante la giornata. Ma appena il sole tramonta, cercano di infilarsi nelle case per procurarsi il cibo.» «Che specie di... cibo?» domandò Peggy. Isi si strinse nelle spalle. «Secondo te? Cibo che si sposta su due zampe, se capisci ciò che voglio dire.» «Romo dice che la mutazione è rapida» proseguì Peggy. «Comincia con un po' di prurito e qualche bolla» spiegò la ragazza dai capelli rossi. «Poi le bolle si trasformano in squame, le unghie in artigli, i denti diventano zanne e così via. Quando incontri qualcuno con una medicazione, stai attenta. Potrebbe essere un futuro mostro al primo stadio della trasformazione.» Ci fu un momento di silenzio, turbato soltanto dal ribollire della pomata dentro la pentola. «Hai sentito parlare del Matador?» le chiese d'un tratto Isi. «È una strana leggenda.» «No, mai» confessò Peggy Sue. «Pare che sia l'ultimo sopravvissuto di un'antica razza di giganti che uccidevano i draghi durante sanguinose corride. Uno di loro avrebbe attraversato i secoli per errore, da allora, con il suo mantello rosso sulle spalle, e la spada in mano. Alcuni lo hanno visto, attraverso la nebbia, misurare la landa con passo spedito. Si dice che percorra il pianeta alla ricerca degli ultimi draghi per sterminarli. È un colosso. Di giorno, dorme avvolto nella sua muleta10, la testa appoggiata a una collina. La notte, si alza e cammina, calpestando gli alberi, e le sue spalle sfiorano le nuvole, impregnandosi della loro rugiada. È un cacciatore. Una sola cosa lo interessa: trovare un
drago e affrontarlo, facendo roteare la sua cappa. Affrontarlo e poi inchiodarlo là, sulla piana, con la sua spada dalla lama lunga quanto la più alta torre di questa città. Nelle notti senza luna, si avvicina ai centri abitati dove è incatenato un drago, taglia con la punta del suo spadone i vincoli che lo tengono prigioniero, lo sveglia e combatte con lui. Allora la terra trema sotto la carica del drago, i muri crollano, e la cappa scarlatta fluttua nel cielo schioccando come un tuono. I passi si fanno affrettati. Il corno sfiora a più riprese il ventre del gigante. Poi c'è la condanna morte, lo scintillio dell'acciaio che squarcia la nebbia e che molti confondono col fulmine. D'ora in poi, quando sentirai parlare di un drago ucciso dal fulmine, non ci credere. Il lampo che è stato avvistato, è quello della spada! La lama che mira alla giuntura delle placche ossee, la lama che trancia il cervello del colosso con la precisione di un rasoio. Dopo... una volta terminata la corrida, il Matador taglia il corno del drago e lo porta via, come trofeo.» «Romo dice che sono i trafficanti d'avorio a tagliare il corno dei draghi morti» azzardò Peggy Sue. Isi si gettò i capelli all'indietro con uno scatto della testa, infastidita. «E che se ne farebbero?» ridacchiò. «Chi vorrebbe un oggetto del genere? Nessuno! No, quando vedi le spoglie di un drago con la fronte nuda, è perché il Matador ha prelevato il suo tributo! Molti animali che sono morti in maniera inspiegabile sono infatti caduti sotto i colpi del gigante. Se ti inoltri nella landa e vedi improvvisamente una nebbia rossa all'orizzonte, stai attenta! È la cappa dell'assassino che si muove attraverso la bruma!» Peggy rabbrividì. «È solo una leggenda,» balbettò con voce malferma «un racconto...» «Ne sei sicura?» la schernì la giovane strega. «Io no. Mi è capitato di vedere strane impronte quando mia madre mi faceva attraversare i boschi, tempo fa. Un giorno ci risveglieremo e il cielo sarà rosso sopra le nostre teste; sarà la cappa che il Matador avrà gettato sulla città per il tempo che gli occorre per liberare il drago...» «Ma il drago non potrebbe sconfiggerlo?» azzardò Peggy. «Da quello che mi hanno detto, anche gli uomini muoiono durante le corride.» Il vento compresse bruscamente le pareti del rifugio. «La tempesta viene verso di noi» mormorò la maga con aria trasognata. «Questa sarà una brutta serata. Ho avuto una visione, stanotte. Sarà versato del sangue. Posso predirlo.» Peggy Sue si sentì gelare dal terrore. «Chi?»
Isi chiuse gli occhi. «Non lo so, non ho visto bene. Il sogno era confuso. Ma tu eri là... e anche il tuo amico... accadrà durante il temporale.» «Capiterà un incidente?» si preoccupò Peggy, allarmata. «Forse. Domani uno di voi dormirà sotto terra. Spero che non tocchi a te. Sei molto ingenua, ma gentile. E il tuo cane non puzza troppo.» Spaventata, Peggy si diresse verso l'uscita. Isi la trattenne all'ultimo momento. «Fai attenzione» le sussurrò alle spalle. «Il fulmine... è la spada del Matador. Non puoi nulla contro di essa.» Peggy si allontanò, seguita dal cane blu. Fuori la luce era calata, e faceva quasi freddo. La ragazza si sorprese a cercare di scorgere la figura gigantesca del Matador dietro la nebbia. Si strinse nelle spalle e si costrinse a ridere, ma in realtà era molto preoccupata. 8 Il temporale Nel pomeriggio, Peggy Sue andò a raggiungere Romo e Sebastian sul terreno delle manovre davanti alle mura, là dove era incatenato il drago. Per la prima volta, notò uno strano ometto che, sistemato poco distante dalla bestia, sembrava occupato ad alimentare un fuoco di erbe dall'odore nauseabondo. «Chi è?» domandò. «Ha un'aria molto preoccupata.» «È Manito, il fabbricante di lacrime» spiegò Romo. «Brucia piante medicinali nella speranza di far lacrimare il drago. Si dice che questi fumi risveglino pensieri tristi nella mente del mostro che si mette a piangere.» «Io invece» intervenne il cane blu «credo che queste porcherie gli facciano bruciare gli occhi, ecco tutto.» «È un lavoro molto importante» continuò Romo. «Finché il fabbricante di lacrime riesce a far piangere il drago, viene coperto d'oro e di onori. Viene trattato come un signore. Purtroppo, però, una volta che la bestia si è abituata ai fumi, in genere non reagisce più in quel modo. Allora il fabbricante di lacrime viene condannato a bere un'intera coppa di veleno. Conosco un terreno abbandonato, a nord della città, pieno di statue di antichi fabbricanti di lacrime.» «È per questo motivo che Manito ha un'aria così cupa?» chiese Sebastian.
«Sì» confermò Romo. «In questi ultimi tempi, i suoi fumi lacrimogeni non danno più grandi risultati.» L'odore del temporale aleggiava sulla pianura. Era un odore di ozono11 che Peggy Sue avrebbe riconosciuto tra mille. Sebastian fece leva su uno degli anelli di ormeggio conficcati nel terreno senza riuscire a muoverlo. «Stavolta ci siamo!» urlò nel vento. «Le catene sono legate saldamente, per quanto il drago possa tirare, non riuscirà a scappare.» Peggy capì che era emozionato per l'avvicinarsi del temporale; lei non condivideva il suo entusiasmo, perché la predizione di Isi la ossessionava. Quella sera qualcuno sarebbe morto... Ma chi? Il vento divenne così violento che il cane blu rischiava di volare via. La cravatta gli sbatteva sulla schiena per poi arrotolarglisi intorno al collo come se avesse deciso di strangolarlo. Col fiato corto, i tre amici si incamminarono verso la baracca dove erano soliti rifugiarsi i servitori. Un istante prima, Romo aveva consegnato loro delle palline di cera magica per proteggersi i timpani. «Non dimenticate di usarle» aveva raccomandato «altrimenti i ruggiti del drago vi faranno perdere la ragione, come quella povera pazza di Isi che non ha mai voluto prendere questa precauzione. In questo momento, gli abitanti di Omakaido si stanno imbottendo di sonnifero. Fra mezz'ora, tutta la città dormirà così profondamente che neanche un terremoto riuscirebbe a svegliarla.» Vicino alla capanna, il dinosauro sonnecchiava, ciondolando il corno, indifferente alle raffiche di vento. Non si sarebbe svegliato se non alle prime gocce di pioggia. «Perché non date anche a lui un bel sonnifero?» propose il cane blu. «Sarebbe il miglior modo di obbligarlo a starsene tranquillo durante il temporale.» «Ci abbiamo già provato,» rispose Romo «ma non funziona. Il suo organismo sembra immune a questo tipo di sostanza.» Una violenta folata di vento s'infilò improvvisamente nel rifugio, spegnendo la fiammella del fornelletto a olio sul quale Pauli il rosso, uno degli aiutanti di Romo, stava facendo bollire un po' d'acqua per il tè. «Si sta avvicinando» osservò il ragazzo, uno spilungone pieno di lentiggini. «Diventare un servitore del drago prevede un lungo addestramento.
Non so se voi terrestri ne sarete all'altezza.» «E perché?» ribatté Sebastian, offeso. «Non siamo certo alla nostra prima avventura, cosa credi...» Pauli si accontentò di fare un sorrisetto ironico e versò il tè nei bicchieri di metallo mezzi ammaccati. «Va bene» ridacchiò «speriamo che non finirete schiacciati sotto le zampe del drago prima che il temporale cessi.» Indifferente a quelle scaramucce da ragazzi, Romo s'infilò i tappi di cera nelle orecchie. «Ecco qua!» urlò con quanto fiato aveva in gola facendo sobbalzare tutti. «Ora sono più sordo d'un sasso. È il momento giusto per insultarmi, non sentirò nulla!» «Va bene, grassone pieno di lardo!» cominciò a scherzare Pauli. «Non aspetto certo il tuo permesso per cominciare!» Scoppiò il primo lampo, bianco, illuminando tutta la pianura fino all'orizzonte. Peggy trasalì, perché si ricordava ciò che le aveva confidato la ragazza dai capelli rossi: il fulmine... è la spada del Matador. Serrò le palpebre, cercando di distinguere il misterioso gigante nascosto dietro le nuvole. Era là? Si stava avvicinando alla città per uccidere il drago? «Che cosa stai guardando?» le chiese Pauli. «Niente, niente...» balbettò la ragazza. Non si sentiva affatto tranquilla. Per un attimo, il tempo di un lampo, le era parso di intravedere una figura gigantesca che svettava sulla pianura. La figura di un uomo che sfiorava la volta celeste. Era stata forse vittima di un'illusione? Il piccolo gruppo era appena uscito dalla capanna quando scoppiò il temporale. La pioggia calda colpì la schiena del drago, scorrendo a rivoli sulle sue scaglie. In pochi secondi, Peggy fu zuppa dalla testa ai piedi, imprigionata nei vestiti come in una coperta bagnata. Se ne sbarazzò velocemente, rimanendo soltanto con il costume da bagno e gli stivali. La terra sotto i loro piedi si stava trasformando in una palude. L'acqua colava lungo il corno inclinato del pachiderma, seguendo il tracciato dello sperone d'avorio come una qualunque grondaia. Peggy si gettò i capelli all'indietro perché le si incollavano alle guance come strisce di cuoio. Si affrettò quindi a raggiungere Romo, Sebastian e Pauli in mezzo agli ormeggi. Per ora
andava tutto bene: il drago non aveva ancora cominciato a tirare per spezzare le catene. Purtroppo, ciò che tutti temevano finì per accadere. Un lampo squarciò le nuvole e andò a colpire uno dei cavi annodati sulla cresta dorsale della bestia. Il fulmine seguì il tracciato dell'acciaio, disegnando una scia luminosa. Un odore di bruciato riempì l'aria: proveniva dalle placche ossee che s'innalzavano sulla schiena del mostro. Una di esse era mezza fusa. Il drago alzò la testa urlando. Un secondo lampo lo colpì all'altezza delle vertebre cervicali. Questa volta il dolore lo fece drizzare sulle zampe anteriori, le pupille dilatate. Il colpo si ripercosse lungo i cavi, che vibrarono su una nota sorda. Gli ancoraggi assicurati al suolo sopportarono la scossa senza indebolirsi, e l'animale ricadde pesantemente a sedere, sollevando parecchi schizzi di fango che colpirono Peggy Sue. Ma ci voleva di peggio per annientare la furia del drago. Il suo corno esplorò l'orizzonte, poi tornò indietro come il cannone di un carro d'assalto che cerca il suo bersaglio. Uno spaventoso muggito sovrastò il fischio del vento. A Peggy venne la pelle d'oca. Fortunatamente, i tappi di cera che le proteggevano le orecchie filtravano abbastanza le grida del dinosauro da non farla impazzire. Ferito e furioso, il drago si lanciò in avanti con tutto il suo peso. Tesi al massimo, i cavi tirarono gli anelli di ancoraggio che, questa volta, si piegarono. Peggy si dimenava nel fango, accecata dai mulinelli di acqua e vento. Faceva fatica a distinguere Sebastian; invece il cane blu, tutto coperto di fango, sembrava una statua modellata da un bambino. Alzando la testa al cielo, la ragazza notò allora una figura gigantesca nascosta dietro le nuvole. Il Matador! Era venuto! Se ne stava là, osservando la scena, il drappo rosso gettato sulla spalla, la spada in mano, aspettando il momento migliore per intervenire. Gli occhi brillavano di un bagliore giallo, spaventoso. La sua pelle era grigia e non indossava nessun vestito. Aveva il cranio rasato e... E che cosa? Peggy batté le palpebre. Il gigante era sparito, ingoiato dalla nebbia, come un fantasma! È venuto a colpire il drago, pensò, lo ucciderà! Sconvolta, cercò di entrare in contatto telepatico col cane blu. «L'hai visto?» gli comunicò. «Il gigante, l'hai visto?» «Mia cara,» le rispose il piccolo animale «sono così infangato che non
riesco neanche più a distinguere il mio sedere dal muso, figurati se potevo vedere il tuo gigante...» Il drago diede un altro colpo di reni; l'onda d'urto si ripercosse nelle caviglie di Peggy, che perse l'equilibrio e cadde in una pozzanghera. Il terreno intriso d'acqua diventava sempre più molle. Gli anelli piantati a terra rischiavano di rompersi da un momento all'altro, liberando l'animale e lasciandolo fuggire. Pauli il rosso accorse, sporco di fango fino alle sopracciglia. Con aria preoccupata, indicò a Peggy uno dei cavi fissati sulla schiena del rettile. La ragazza si asciugò la fronte, la pioggia le confondeva la vista. Finì per individuare dei fili di metallo a metà percorso. La treccia d'acciaio si stava rompendo, i trefoli12 che la costituivano cedevano uno dopo l'altro. Se qualcuno non fosse intervenuto, la catena si sarebbe spezzata. «È il momento di far vedere che cosa sapete fare tu e il tuo amico!» le gridò Pauli. «Io devo restare qui per controllare gli ancoraggi.» Peggy trattenne il respiro. Non c'era altra soluzione che arrampicarsi sulla schiena del drago per sistemarvi un cavo di rimpiazzo. Cercò di farlo capire a gesti a Sebastian. «D'accordo!» urlò il ragazzo. «Salgo insieme a te.» Romo portò loro un rullo di cavo nuovo che Peggy si assicurò su una spalla. Facendo attenzione ai movimenti della bestia, i ragazzi avanzarono nella zona d'azione del mostro. Era estremamente pericoloso perché, fra una tensione e l'altra, il drago indietreggiava per prendere lo slancio. Le sue enormi zampe calpestavano allora il fango, stritolando tutto ciò che aveva la sfortuna di trovarsi sulla sua strada. Peggy si appollaiò su un blocco di pietra. La manovra consisteva nell'avvicinarsi il più possibile all'animale per scalarne il fianco con l'aiuto di rampini da piantare tra le scaglie. Due giorni prima, Romo aveva mostrato loro come procedere. Bisognava arrampicarsi su una montagna vivente che si dondolava da un piede all'altro. Numerosi servitori erano morti nello stesso tentativo, ma era l'unico modo di impedire la rottura degli ancoraggi. Sebastian fece uno scongiuro per scacciare la sfortuna e si lanciò. Peggy Sue afferrò gli uncini che le porgeva Romo e fece segno a Pauli di levarle gli stivali. Ora non aveva più paura. La pioggia, il frastuono e i muggiti l'avevano talmente intontita che si muoveva come una sonnambula. Il dinosauro, furioso, batteva i piedi, trasformando il terreno tutt'intorno
in un cratere. Peggy tastò la roccia con la punta dei piedi. Era scivolosa. Si raggomitolò su se stessa, contraendo i muscoli delle cosce. Appena le si fosse offerto il fianco dell'animale, si sarebbe tuffata in avanti, quasi orizzontalmente, con gli uncini sollevati. Se avesse calcolato male il momento, si sarebbe sfracellata nel fango, sotto le zampe del mostro. Avrebbe pagato a caro prezzo il minimo errore. Il drago indietreggiò per prendere lo slancio. Peggy si concentrò e distese le gambe, come una rana che voglia saltare sulla luna. La parete squamosa le si parò dinnanzi. Per un momento, vide il muro di scaglie sfilarle davanti agli occhi, poi l'urto con quel colosso si ripercosse dolorosamente sui suoi polsi. Gli uncini d'acciaio si erano conficcati nella corazza del mostro. Peggy si morse le labbra e s'innalzò con la sola forza delle braccia. Poco più lontano, anche Sebastian faceva lo stesso tuttavia, la sua forza sovrumana gli rendeva le cose più facili. A volte è utile essere bravi in ginnastica! pensò Peggy per farsi coraggio. Finalmente trovò una sporgenza dove incastrare un piede, e si addossò contro la pancia del drago che continuava a tirare le sue catene. Quando ebbe ripreso fiato, la ragazza liberò il polso destro con uno strattone e lanciò il rampino cinquanta centimetri più in alto. Doveva concentrarsi a respirare nel modo giusto per ossigenarsi ed evitare i crampi. Non pensare a quello che stai facendo, si ripeteva, altrimenti sarà il panico! Avanzò di tre metri senza troppo difficoltà. Le punte dei rampini si aggrappavano bene, e le fessure della corazza offrivano buoni appigli. Soltanto la pioggia scrosciante contrastava la sua avanzata. Scorreva sulla pelle della bestia rendevano le squame più brillanti di uno specchio. Anche se assorbita dalla sua scalata, Peggy ebbe d'un tratto la sensazione di essere osservata. Senza lasciare i rampini, lanciò un'occhiata oltre la spalla e tremò. L'immensa figura del Matador si era appena insinuata nella squarcio di una nuvola, i suoi occhi gialli la scrutavano con un'inquietante fissità. Peggy si sentì come una mosca sotto la lente di un microscopio; e non era affatto piacevole. Vattene!, pensò, senza osare però aprire la bocca. Lasciaci in pace! Il gigante le faceva paura. Non le piaceva la sua larga faccia quadrata con la mascella sporgente. Stava per allungare una mano e catturarla? Oppure l'avrebbe tagliata in due con la sua spada?
Avendo fiutato la presenza del Matador, il drago ruggì più forte. L'eco delle sue grida cominciava a evocare strane immagini nella mente di Peggy Sue. Ci siamo, si disse. Ho capito, sto impazzendo! Non c'è nessun gigante! L'ho immaginato... I tappi di cera magica non mi proteggono completamente. È solo un'allucinazione! Aggrappata ai rampini, si voltò indietro ancora una volta, ma il Matador era sparito. Forse si era nascosto nella nebbia, oppure non era mai esistito? Non avendo il tempo di pensarci, Peggy si spostò su una sporgenza laterale. Trovò finalmente le grandi placche d'avorio che s'innalzavano sulla schiena del drago. Sapeva che il cavo spezzato era annodato all'altezza della cinquantesima vertebra. Lo avrebbe sostituito con quello che portava a tracolla. Una volta annodato attorno alla cresta ossea, avrebbe gettato il resto del rotolo nel vuoto. Pauli avrebbe afferrato l'altra estremità e l'avrebbe agganciata a un anello, in basso, allontanando così il pericolo di rottura. Nel momento in cui Peggy si sollevava sulla gobba della quinta vertebra, un lampo la accecò e per poco non le fece perdere l'equilibrio. Le scaglie le graffiarono la pancia. Rimase per un attimo senza fiato, la faccia contro la corazza del drago, convinta che non sarebbe mai riuscita a rimettersi in piedi. Aveva l'impressione di essere una pulce incollata sulla schiena di un elefante furioso. Urlò per farsi coraggio e percorse gli ultimi metri prossima allo sfinimento. Sull'orlo di un infarto, si accovacciò contro la cresta ossea e vi si aggrappò. La pioggia divenne più forte. Ora era fredda, e le sferzava la pelle. Finalmente Sebastian la raggiunse. Con un movimento deciso, Peggy lanciò il rotolo che portava sulla spalla. Un odore d'avorio bruciato aleggiava nell'aria. Là dove era stata colpita dai fulmini, la corazza del mostro era annerita. Senza perdere tempo, Sebastian passò una delle estremità della fune in un buco della cresta dorsale, e fece un nodo capace di resistere alle peggiori tensioni. Trenta metri più in basso, Pauli agitò le braccia per farsi notare. Peggy afferrò il rotolo, lo gettò nel vuoto. Il cavo volò come un serpente d'acciaio, poi si srotolò sibilando. La treccia descrisse una curva perfetta fino a colpire il fango ai piedi del rosso. Peggy sorrise, sollevata. Pauli aveva afferrato il cavo e correva verso Romo. All'improvviso, mentre il rosso si avvicinava al caposquadra, uno spaventoso ronzio riempì l'aria. Peggy aprì la bocca e si gettò pancia a terra, trascinando con sé Sebastian. Nello stesso istante un fulmine colpì il cavo e corse, in una colata viven-
te di luce, verso Pauli, che portava la corda. Il fenomeno durò appena mezzo secondo, ma Peggy vide distintamente una palla di fuoco avvolgere il rosso e trasformarlo in una torcia vivente. Stecchito dalla scarica elettrica, il servitore si abbatté nel fango crepitando. Dieci minuti più tardi, il temporale si allontanò. Allora, lentamente, il drago lasciò ricadere il muso sulle zampe anteriori. Sfinito dalle mille contorsioni alle quali si era appena abbandonato, rinunciò alla fine a scappare. La pioggia lo colpiva incessante, risvegliando solo un vago tremito sui suoi fianchi. Stava già chiudendo gli occhi, cominciando un nuovo viaggio nel mondo del sonno. «Tutto bene?» si preoccupò Sebastian toccando la spalla di Peggy. «Ho creduto che fosse giunta la nostra ultima ora!» «Se avessimo stretto la corda tra le mani nel momento in cui il fulmine l'ha colpita» mormorò la ragazza «avremmo conosciuto la stessa sorte di quel povero ragazzo. È terribile. Isi l'aveva predetto.» I ragazzi si lasciarono scivolare lungo la schiena del drago. Avevano la testa vuota e il corpo dolorante. Il cane blu girava su stesso come impazzito, ai piedi della bestia. Per un attimo aveva creduto che il fulmine avesse colpito Peggy. Scoprendola sana e salva, non stava più in sé dalla gioia. Romo si avvicinò alla ragazza; aveva ancora le orecchie tappate dalla cera ma, per abitudine, leggeva abbastanza bene sulle labbra per sostenere una conversazione. «Avete fatto un buon lavoro, per essere dei principianti» affermò con un sorriso. «Sì, ma non è servito a niente, perché il temporale è finito prima che Pauli avesse avuto il tempo di legare la corda» si arrabbiò Sebastian. «Già,» ammise il colosso «ma avete avuto molto coraggio, e questo è ciò che conta! Il temporale sarebbe potuto durare ancora un'ora, chi poteva saperlo?» «Se non avessimo posato quel cavo, Pauli sarebbe ancora vivo...» mormorò Peggy. Romo scrollò le spalle. «È il destino dei servitori del drago» sospirò. «Non si diventa vecchi, facendo questo mestiere.» Si fermarono gli uni accanto agli altri al limite della zona che il drago
aveva calpestato e guardarono il fango che già ricopriva il corpo del ragazzo dai capelli rossi. Secondo le usanze, non era prevista alcuna cerimonia per la morte dei servitori del mostro. Le loro spoglie venivano sepolte nella torba che, indurendosi durante la stagione calda, le sigillava in una massa argillosa chiamata mummificatrice, così erano preservati per sempre dalla decomposizione. «Venite,» disse Romo «la bestia si è riaddormentata, il nostro lavoro è terminato. È l'ora della ricompensa. Approfittiamo del nostro privilegio, prima che gli abitanti di Omakaido si sveglino!» Senza preoccuparsi di sapere se lo seguivano, l'omone si diresse verso la porta della città. Peggy e Sebastian gli andarono dietro. «A quale privilegio allude?» domandò il cane blu. «È un diritto accordato da Mastro Zarc ai servitori del drago» spiegò la ragazza. «Un indennizzo per i rischi corsi. La legge stabilisce che hanno il diritto di entrare nelle case mentre la gente dorme e rubare tutto ciò che vogliono.» «Forte!» esclamò il cane. «Allora posso andare a frugare negli armadi alla ricerca di una nuova cravatta? Nessuno me lo impedirà?» «No» mormorò Peggy con una certa riluttanza. «Finché gli abitanti di Omakaido sono sotto l'effetto dei sonniferi, possiamo prendere tutto quello che desideriamo. Comunque sia, lo trovo poco educato.» «Io no!» proclamò il cane. «Il fango ha rovinato la mia cravatta più bella: ritengo quindi giusto sceglierne una nuova!» Passando sotto l'arco della grande porta, i tre amici entrarono in città. Come sempre, la popolazione aveva scelto di salvarsi dalle grida del drago rifugiandosi nel sonno. Attraverso le finestre delle abitazioni si potevano vedere intere famiglie distese sul pavimento, davanti al focolare, che dormivano profondamente. Senza alcuna soggezione, Romo spingeva le porte, entrando nelle case. Frugava nei comò, negli armadi, alla ricerca di oggetti preziosi dei quali fare man bassa. «Venite!» gridò ai ragazzi. «Non siate timidi. Ne hanno ancora per quattro, cinque ore, e voi conoscete la legge. È il momento di approfittarne: ora o mai più! Abbiamo appena rischiato le nostre vite per queste persone. Pauli è morto; credo di aver meritato la mia ricompensa.» Peggy Sue accennò un sorriso forzato. La tranquillità del caposquadra la metteva a disagio. Però non poté impedire al cane blu di raggiungerlo scodinzolando.
«Corpo di una salsiccia atomica!» guaì. «Dove sono riposte tutte le cravatte?» «Non restiamo qui» mormorò Sebastian posando un braccio sulle spalle di Peggy. «Andiamo a fare un bagno, sembriamo appena usciti da una palude.» La ragazza si strinse al suo compagno. «C'è mancato poco che ci rimanessimo» sussurrò. «Se avessimo toccato la corda quando è caduto il fulmine, ora saremmo distesi accanto al povero Pauli.» «Sì, lo so» annuì Sebastian dandole un bacio. «All'inizio del temporale ero contento che ci fosse finalmente un po' di azione, ma ho subito cambiato idea. Non è come al cinema... nella realtà ci si diverte molto meno.» «Ho paura che siamo solo all'inizio dei nostri problemi» sospirò la ragazza. Ora voleva solo lavarsi e andare a dormire. L'immagine di Pauli che sprofondava nel fango ci avrebbe messo un po' a cancellarsi dalla sua memoria. «Sai,» disse stringendo la mano di Sebastian «mi è sembrato di vedere il Matador... Mi spiava attraverso la nebbia...» «Ma no,» la rassicurò Sebastian «lo hai soltanto immaginato. Erano le grida del drago; nonostante i tappi di cera, ti danno al cervello. Sei stata vittima di un'allucinazione.» «Forse» sussurrò la ragazza «o forse no...» 9 I signori del veleno Dall'alto del grande ziggurat rosso vivo, appoggiato alle feritoie della quinta terrazza, Zarc, il signore supremo del veleno, contemplava la variopinta fila di gente in attesa che affollava le strade. Sapeva che quelle persone facevano la fila per ottenere la loro dose quotidiana di antidoto, eppure quelle processioni silenziose avevano qualcosa di sinistro. Pareva una sorta di corteo funebre che annunciava la fine di Omakaido. Si riscosse e si passò una mano sulla testa rasata. Nonostante il vento, quando la tirò via era bagnata di sudore. Era un uomo alto e magro, che si rasava la testa e si incipriava il viso. Le sue mani, dalle dita troppo lunghe, avevano qualcosa di inumano. Sembravano fatte per maneggiare uno stru-
mento musicale particolarmente complicato. Quel mattino era preoccupato. Durante la notte aveva fatto dei brutti sogni. Per essere esatti, aveva sognato che il mostro smetteva di piangere... Temeva che fosse un messaggio inviato dagli dèi. Un messaggio che lo avvertiva di prepararsi al peggio. La fronte aggrottata per la preoccupazione, si allontanò dalla terrazza per imboccare la scala che conduceva alla grande cisterna da ottocentomila litri che riforniva la città. I suoi sandali, risuonando sui gradini, risvegliarono interminabili eco sotto la volta. Zarc sospirò, schiacciato dal peso delle proprie responsabilità. Era lui, e lui soltanto, che avrebbe dovuto prendere la decisione di avvelenare la cisterna quando sarebbe giunto il momento. Quel pensiero lo spaventava. Al principio del suo regno, si era detto che avrebbe avuto la possibilità di morire prima del drago, e che la terribile decisione sarebbe spettata al suo successore. Purtroppo, ora non ne era più così certo. Il drago piangeva sempre di meno... e questo non preannunciava niente di buono. Giunto in fondo alla scalinata, Zarc entrò in un'immensa stanza senza finestre. Faceva fresco là dentro perché c'era la cisterna, simile a un lago dalle acque nere. I sacerdoti che sorvegliavano il serbatoio si inchinarono quando entrò. Decine di tubature partivano da quel luogo per distribuire l'acqua attraverso la città. Su ogni tubo, una scritta indicava il quartiere servito. «Sua signoria vuole assaggiare l'acqua?» si preoccupò uno dei monaci. «È pura, l'abbiamo controllata.» Zarc non rispose. Il suo sguardo era diretto verso l'altare di pietra eretto sull'argine del lago sotterraneo. C'era posato un recipiente d'oro. Il coperchio aveva una serratura che soltanto una chiave al mondo era in grado di aprire, e questa chiave Zarc la portava al collo notte e giorno. Il vaso racchiudeva un veleno concentrato, molto potente. Quella sostanza tossica non aveva alcun sapore, né colore, ed era impossibile rintracciarla una volta mischiata all'acqua. Ne bastava un sorso per ritrovarsi trasformati in statue di granito. Era un elisir assai potente, come pochi se ne trovavano nell'universo. «Meglio trasformare le persone in pietra che ucciderle» gli aveva spiegato Mecanicus, l'inventore di quel veleno. «La morte non è una garanzia, poiché esistono morti viventi molto aggressivi dei quali è difficile sbarazzarsi. Una statua è sicuramente meno fastidiosa. Non può muoversi, e se per caso si intestardisce a voler correre, si rompe in mille pezzi. Tutti quel-
li che berranno un sorso di questo veleno diventeranno inoffensivi come un blocco di pietra, ve l'assicuro.» Zarc avanzò ai piedi dell'altare per contemplare il vaso d'oro. Sperava di non essere mai costretto a versarne il contenuto nella cisterna. Tuttavia, se si fosse presentata l'occasione, avrebbe compiuto il suo dovere senza esitare, perché era impensabile lasciare che gli abitanti di Omakaido si trasformassero in una schiera di mostri affamati. E quando tutti verranno trasformati in pietra, pensò con tristezza, berrò anch'io un bicchiere di quest'acqua avvelenata. Ci pensava spesso, immaginando i suoi ultimi gesti: si sarebbe seduto sul suo trono e avrebbe portato la coppa alle labbra. Sperava così che la sua statua avrebbe avuto un bell'aspetto quando l'avessero ritrovata. Era la sua unica civetteria. «Qualcosa non va, signore?» si preoccupò uno dei sacerdoti. «Hai le ultime cifre della produzione di lacrime?» domandò bruscamente Zarc come risposta. «Sì, venerabile maestro, sono piuttosto basse. Il drago non piange più a sufficienza.» «Perché?» «È troppo vecchio, e le sue ghiandole lacrimali si stanno seccando. Bisognerebbe trovare con urgenza un modo di farlo piangere di più. I fumi di Manito, il fabbricante di lacrime, non hanno alcun effetto. Forse bisognerebbe rimpiazzarlo...» «Devo rifletterci» mormorò Zarc allontanandosi dall'altare. Senza perdere altro tempo, imboccò le scale per andare nella sala del consiglio. Dieci minuti più tardi, mentre si sedeva sul trono, Mecanicus, il medico-boia, si presentò sulla soglia della sala delle udienze e s'inchinò. «Maestro,» sussurrò «vi porto cattive notizie. In giro si dice che il drago che proteggeva la città di Vadang sarebbe morto da una settimana. La gente mormora, e vorrebbe essere sicura che i signori di Vadang abbiano avvelenato per bene gli abitanti della loro città. Non abbiamo ancora inviato nessuna pattuglia a controllare. La popolazione desidera essere rassicurata. Teme che Vadang si riempia di mostri incontrollabili, e che presto affolleranno la pianura fino a raggiungere le mura di Omakaido.» Zarc diede un'alzata spalle. «Mio povero amico! Non siamo più in grado
di spedire drappelli di cavalieri attraverso il paese per verificare che i nostri vicini siano ancora umani. La vecchia razza dei cavalli terrestri si sta estinguendo, non è mai riuscita a riprodursi su questo pianeta. Ne resta appena una mezza dozzina nelle scuderie della prima terrazza, e credo che i loro zoccoli non abbiano mai calpestato il fango delle pianure. Sacrificarli per equipaggiare una pattuglia di perlustrazione mi dispiacerebbe molto.» Mecanicus esitò, poi, con la fronte bassa, disse: «Se il drago di Vadang è morto, e se i signori del veleno non hanno potuto compiere la loro missione, non possiamo scartare l'eventualità che la popolazione, senza antidoto, sia già diventata un'armata di lupi mannari.» Zarc si agitò, scontento. «E perché mai i signori di Vadang avrebbero dovuto fallire la loro missione, puoi dirmelo?» tuonò. Mecanicus si inginocchiò sulle lastre di marmo. «Magari sono stati vittima di un complotto, maestro» suggerì. «I mostri possono averli assassinati durante il sonno. Chi può dirlo? In questo caso, i vostri pari non hanno avuto il tempo di versare il contenuto della giara d'oro nella cisterna che alimenta le fontane di Vadang. Credo che sarebbe prudente andare a dare un'occhiata laggiù. Inviamo degli osservatori.» «Stai pensando a qualcuno in particolare?» Mecanicus scosse il suo cranio rasato in segno affermativo. «Sì, maestro. Qui terrestri che hanno scalato la bestia durante l'ultimo temporale. Sono giovani, nel pieno delle forze e ingenui, come tutti gli adolescenti. E visto che sostengono di essere venuti qui per aiutarci, tanto vale approfittare della loro buona volontà.» «Come si chiamano? Non mi ricordo.» «La ragazza si chiama Peggy Sue, maestro, il ragazzo Sebastian. Per ora aiutano Romo, uno dei nostri vecchi servitori. Potremmo nominarli esploratori. Una tale iniziativa calmerà gli animi.» Zarc sbadigliò, annoiato «Va bene, vada per... Peggy Sue. Convocala immediatamente. Speriamo solo che riporti il cavallo sano e salvo. Non ne abbiamo più molti.» Peggy e Sebastian sembravano minuscoli, al centro della grande sala dello ziggurat. Con il calore delle torce, i mattoni sviluppavano un sentore acre che finiva per irritare la gola. A eccezione delle strette feritoie, non c'erano aperture sull'esterno. Il fumo resinoso risaliva lungo i muri, formando macchie nere sul soffitto.
I ragazzi camminavano lentamente, il cane blu li seguiva. Romo aveva raccomandato loro di tenere la testa china in segno di sottomissione. La polvere rossa danzava in sciami serrati nei raggi di luce obliqui che provenivano dalle feritoie. Avvicinandosi alla sala del consiglio, Peggy si appoggiò a una colonna per riprendere fiato perché, dopo quella scalata di mille gradini, le girava la testa. Accanto a lei, Sebastian non aveva l'aria di stare meglio. «Non mi piace l'idea di andare a controllare se i nostri vicini sono stati avvelenati per bene!» borbottò il ragazzo. «Trovo orribile gioire della morte di altre persone.» «Bisogna dire che le usanze di Zantora sono piuttosto bizzarre» affermò Peggy. Si riscossero e fecero appello a tutto il loro coraggio per salire fino alla quarta e ultima terrazza. Una volta appoggiati ai merli, l'aria che soffiava dalla pianura senza incontrare alcun ostacolo li rinfrescò un po', disperdendo l'angoscia che aveva fatto nascere in loro l'aria viziata delle scale. «Sento odore di guai!» proclamò il cane blu. «Mecanicus cercherà di sbarazzarsi di noi, altrimenti non potrà portare avanti i suoi piani.» «Andiamo,» cercò di rassicurarlo Peggy Sue «vedi sempre tutto nero.» Il cane sgranò gli occhi e scosse la testa, furente. «Credi che sia paranoico?» si arrabbiò. «Sveglia, piccola! Ci stanno gettando in una maledetta trappola! Sai che cosa vuol dire andare a Vadang? Dovremo attraversare il deserto fangoso, percorrere terre desolate. Dovremo portarci dietro una fiaschetta di antidoto che sarà la nostra unica risorsa contro la mutazione. Se qualcuno ce la ruba, se succede qualcosa o se la borraccia scoppia, saremo condannati alla trasformazione.» «Non ha tutti i torti» rincarò Sebastian. «Dovremo fare attenzione a non attardarci per strada e calcolare con cura la durata del tragitto di ritorno. Se tardiamo, rischiamo di non avere abbastanza antidoto per ritornare. E sai che cosa significherebbe.» Peggy Sue aggrottò la fronte e disse: «Credi che Mecanicus ci darà una dose appena sufficiente per andare e tornare, senza prevedere un margine di sicurezza?» Sebastian alzò gli occhi al cielo, realista. «Mi stupirebbe se si mostrasse generoso. Le riserve di lacrime si stanno esaurendo. Omakaido sopravvive giorno per giorno. Se salta una distribuzione, ci sarà una rivolta. La gente assalterà la piramide accusando i signori del veleno di tenere le lacrime del
drago per il loro uso personale. Secondo me, Mecanicus ci darà solo lo stretto necessario, non una goccia di più.» «Almeno ci darà un'attrezzatura?» «Sì, certo, ma niente di straordinario. Un cavallo, forse un mulo. Una carta approssimativa come le fanno qui, più graziosa che utile... un po' di viveri e una fiaschetta di antidoto.» «Proprio così!» confermò il cane blu. «Mi sono informato anch'io. Non dimenticate che il deserto è pieno di mostri maledetti, che si mostrano solo di notte. Secondo me, non mancheranno di venire a farci visita.» La ragazza scosse il capo. «Mostri?» ripeté. «Credi che ce ne siano parecchi? E come farebbero a sopravvivere, visto che non c'è nessuna oasi nel deserto?» Il cane blu grugnì. «Forse bevono il sangue, come i vampiri» ipotizzò. «Si dice che si siano raggruppati in orde e che si nascondano nelle caverne.» «Sono sicuramente leggende» tagliò corto Sebastian. «Ma come esserne certi?» «Il tempo sarà contro di noi» insisté il cane blu. «Se tardiamo a tornare, la gente di Omakaido rifiuterà di lasciarci oltrepassare le porte della città perché penserà che siamo già per metà 'mostruosi'. Mecanicus ci invita a un gioco pericoloso, amici miei, un gioco molto pericoloso.» In quel momento, Mastro Zarc apparve sulla soglia della sala delle udienze, e i tre amici si affrettarono a fare silenzio. Il signore del veleno espose ciò che si aspettava da loro, senza dimenticare di sottolineare l'importanza della missione. «Siamo sull'orlo della catastrofe» concluse. «Manito, il fabbricante di Tristezza, non riesce a far piangere il drago. Se questa siccità continua, le nostre scorte di antidoto si consumeranno velocemente.» «Perché non rimpiazzate Manito con Isi?» propose Sebastian. «È una strega che sembra conoscere bene il proprio mestiere.» «No» replicò Zarc con tono tagliente. «Non Isi. Non mi fido di lei.» «Mia nonna potrebbe aiutarci» azzardò Peggy Sue. «In passato, ci ha tirati fuori da situazioni ancora più complicate.» «Perché no...» accondiscese Zarc. «Ci rifletterò.» Detto ciò, schioccò le dita per dare a intendere che l'incontro era terminato. Uscendo dal palazzo, Peggy Sue lasciò Sebastian che raggiungeva Ro-
mo, e si infilò nell'intrico di stradine che conducevano alla tenda di Isi. A ogni distribuzione di antidoto tremava per la giovane strega. Temeva che la folla, cedendo a un'esplosione di odio, si mettesse in testa di lapidarla accusandola di essere dalla parte dei mostri. La tenda di pelle era vuota. Finalmente, dopo aver vagato a caso per le strade, Peggy scovò la ragazza sui bastioni, seduta tra due merli, con le gambe a penzoloni nel vuoto. Quando vide Peggy, Isi sollevò il bicchiere di peltro che portava a tracolla. «Stai tranquilla!» le disse. «Ho preso la mia medicina!» Peggy si lasciò cadere in terra, ansante. «Andiamo sempre peggio» disse Isi, con i capelli rossi che svolazzavano nel vento. «Oggi un tizio mi ha strappato di mano il bicchiere e lo ha schiacciato sotto il piede. Le donne e i ragazzini gridavano: 'Niente antidoto per la strega, niente antidoto per la pazza! Fuori i buoni a nulla! Che diano la loro razione ai buoni cittadini!'» «Sei riuscita a prenderne un po'?» «A stento, e neanche una tazza piena. Può darsi che mi sveglierò con un piede o una mano da mostro, chi lo sa?» «Non scherzare con queste cose. Io parto. Mi daranno una fiaschetta di antidoto: te ne lascerò un po'.» «Parti?» Peggy riassunse velocemente il suo incontro con Zarc. «E così Vadang è caduta» osservò pensierosamente Isi. «E perché devi andare laggiù?» «Per controllare che tutto sia avvenuto secondo le regole. Se l'animale è morto, devo assicurarmi che la gente sia stata pietrificata dal veleno versato nelle fontane.» Isi si voltò verso Peggy Sue, squadrandola. «Hai pensato a cosa potrebbe succederti se i sotterranei di Vadang sono pieni di mostri?» Peggy Sue scrollò le spalle. «Sai bene che non potevo rifiutarmi. È Zarc stesso che ci ha dato l'ordine di andare laggiù!» Regnò il silenzio. Pericolosamente sporta nel vuoto, Isi contemplava il drago ai piedi della muraglia. Dopo qualche minuto rialzò la testa, un'espressione grave raggelava i suoi lineamenti. «La bestia di Vadang è stata uccisa dal Matador» mormorò infine. «Con un colpo di spada. Si avvicina, Peggy, si avvicina...»
«Lo so» sussurrò la ragazza «l'ho visto durante il temporale. Si nascondeva nella nebbia.» 10 Mistero, mistero... Peggy e Sebastian partirono l'indomani con due cavalli messi a disposizione dal signore del veleno. Erano delle bestie spaurite e gracili che non avevano mai lasciato il recinto dello ziggurat. Lo spettacolo delle strade li terrorizzava. Mecanicus aveva fatto in modo di dare grande risalto a quella partenza, e i ragazzi dovettero attraversare la città tra due ali di folla prima di veder apparire davanti a sé la distesa desertica della pianura che correva fino all'orizzonte. Peggy era preoccupata per ciò che li attendeva al di là delle mura. Non sentirsi più intorno le ali protettrici delle mura la spaventava molto. Le era stata data una spada, ma non era certa di saperla usare, e la cosa non faceva che aggiungersi al suo smarrimento. Alla fine del primo giorno, il suo pony crollò nel mezzo di un pantano. Peggy non riuscì a determinare che cosa avesse provocato quello svenimento: la paura dei grandi spazi o la fatica? «Non mi pare che qui su Zantora gli animali siano granché in salute» dichiarò Sebastian. «Sono poco resistenti, sempre malati. Discendono direttamente degli animali terrestri trasportati nel primo razzo che si è posato sul pianeta, e non sono mai riusciti ad ambientarsi. I gatti sono morti per primi. Sopravvivono soltanto alcune specie, che però sono in via di estinzione: pecore, capre, vacche, conigli, polli, e rari pesci d'allevamento; tutte si riproducono male.» «Esatto» rincarò il cane blu dal fondo della sacca in cui lo aveva sistemato. «I loro padroni li riempiono regolarmente di antidoto per paura che si trasformino in mostri e che non si possano più cuocere!» Diceva la verità. Con gli anni, quel magro bestiame aveva assunto una notevole importanza, perché rappresentava per gli abitanti di Zantora l'unica risorsa di carne commestibile. A parte i draghi, il pianeta non possedeva alcuna fauna, ed era impensabile mangiare i draghi! «Non ci sono mai stati esseri umani su Zantora?» domandò Peggy. «Romo dice di no» rispose Sebastian. «Nient'altro che draghi, e anche la
loro specie è prossima all'estinzione. Questo mondo è una grossa sfera di fango e vegetali, l'unica presenza animale si riduce a un pugno di draghi incatenati alle porte delle città.» I ragazzi cavalcarono con prudenza. Nonostante la pessima descrizione che Romo aveva fatto loro del mondo esterno, arrivarono senza incidenti a Vadang. Una puzza insopportabile regnava sulla città. Ai piedi dei bastioni, milioni di mosche ronzavano intorno alla carcassa del drago defunto. Peggy si annodò un fazzoletto impregnato di profumo davanti alla bocca e si avvicinò al gigantesco cadavere. «Cosa fai?» la rimproverò il cane blu. «Sei pazza, morirai asfissiata! Questo è ancora più puzzolente del rospo di Nonna Katy!» «Voglio capire di che cosa è morto» si intestardì la ragazza. Senza più occuparsi delle proteste dei suoi amici, girò intorno all'enorme spoglia. «Guardate!» gridò. «Le funi che lo tenevano prigioniero sono state tagliate.» «Esatto» convenne Sebastian. «Il taglio è netto, si direbbe che sia stato fatto da...» «Da una spada» completò Peggy. «La spada di un gigante.» «Non ricominciare con la tua storia del Matador!» si spazientì il ragazzo. «Io credo al Matador» dichiarò il cane blu. «Ho fiutato la sua presenza la notte del temporale.» Sebastian scrollò le spalle borbottando. «È solo superstizione» si ostinò a dire. «Una storia che non sta né in cielo né in terra, inventata da Isi per darsi importanza.» Ma Peggy non lo ascoltava: stava già esaminando la testa del drago. «Gli hanno trafitto la fronte» disse. «Ha una ferita in mezzo agli occhi. Proprio sopra il corno. Un colpo di spada...» «È stato centrato dal fulmine, ecco tutto» obiettò Sebastian. «No» ribatté Peggy Sue. «Credo di sapere che cosa è accaduto. Il Matador si è presentato una notte sotto le mura di Vadang. Ha liberato il drago per affrontarlo secondo le regole della corrida, poi, con due o tre passaggi di muleta, gli ha dato il colpo finale. Ora vuole fare la stessa cosa con il drago di Omakaido. Si sposta di città in città per combattere i mostri. Non si fermerà prima di averli sterminati tutti, fino all'ultimo.» Mecanicus aveva ordinato loro di entrare in città, di andare a controllare
che tutta la popolazione fosse stata pietrificata dal veleno, e di tornare indietro senza perdere troppo tempo. «Se non vedete nessuna statua intorno alle fontane pubbliche» aveva precisato «vorrà dire che gli abitanti di Vadang non hanno bevuto l'acqua distribuita dalla cisterna e che gli scantinati sono pieni di mostri che aspettano la notte per mettersi in cerca di carne fresca. Vi consiglio allora di appiccare il fuoco a tutte le baracche e di svignarvela alla svelta!» Peggy Sue passò sotto la saracinesca della grande porta, le mascelle serrate, preparandosi ad affrontare l'orribile spettacolo delle strade popolate di cadaveri di pietra grigia. «Non c'è nessuno!» dichiarò Sebastian. Davanti a loro si stendeva una strada deserta e silenziosa. Un brivido corse lungo la schiena di Peggy. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano sul selciato. Tutto intorno, stradine e porticati rimbombavano, vuoti. Vadang sembrava una città fantasma. Peggy tentò di inghiottire, ma la paura le aveva reso la bocca secca. Con gesti lenti, come se muovendosi troppo rapidamente temesse di risvegliare la collera di una belva nascosta nell'ombra, slacciò le fibbie delle borse assicurate alla groppa del suo cavallo. Le bisacce erano piene di torce incendiarie. «Credi davvero che sia necessario bruciare la città?» domandò a Sebastian. «Sarebbe più prudente,» mormorò il ragazzo «ma non mi va molto di farlo.» Il cane blu saltò fuori dal suo nascondiglio e si mise a curiosare; dopo qualche istante gridò: «Venite a vedere!» I ragazzi lo raggiunsero e si immobilizzarono per la sorpresa. Decine di indumenti sparsi ovunque ricoprivano il selciato, come se gli abitanti della città, provando improvvisamente il bisogno di saltellare nudi, si fossero spogliati in fretta. «Non è normale...» mormorò Sebastian inginocchiandosi. Peggy aggrottò la fronte. Contò circa trecento tuniche sparpagliate a terra. Notò anche la presenza di sandali. «Sono strappati» disse il cane blu. «I vestiti... le cuciture hanno ceduto.» «Erano davvero impazienti di denudarsi!» ridacchiò Sebastian. «No» lo corresse Peggy. «Non è così. Gli abiti si sono lacerati da soli, perché quelli che li indossavano si stavano trasformando.»
«Si stavano trasformando?» si stupì il ragazzo. «Ma sì, Peggy ha ragione» dichiarò il cane blu. «Questi vestiti erano indosso a persone che si sono di colpo trasformate in mostri!» «I corpi si sono modificati a tal punto che gli abiti non potevano più contenerli» terminò Peggy Sue. «Questo vuol dire che la trasformazione è più rapida di quanto pensassimo.» «Tutti questi stracci puzzano d'animale» confermò il cane blu. «Di tigre, di leone o di lupo, non lo so, ma sicuramente questo è l'odore di una bestia con tanto di artigli e zanne.» Peggy e Sebastian lasciarono correre lo sguardo sul paesaggio che li circondava. Il silenzio era opprimente. Dall'altra parte della città, una persiana cigolò nel vento. «Sono qui» li avvertì il cane blu. «Sotto i nostri piedi, nelle cantine... sento la loro presenza. Sono numerosi, ma non usciranno finché sarà giorno.» «Allora non dobbiamo più esitare» decise Sebastian. Ritornando ai cavalli, afferrò una delle torce e le diede fuoco con l'accendino che aveva con sé. Una fiamma scoppiettante sputò mille scintille che gli bruciacchiarono la tunica di pelle. Si sbarazzò della fiaccola con un gesto secco, scagliandola in una finestra aperta. Senza perdere altro tempo, svoltò in una strada laterale, ripetendo ogni cento metri il suo lavoro di incendiario. Era veloce e sudava per l'agitazione. Nel giro di una mezz'ora, con il vento che alimentava le fiamme, l'incendio si propagò di casa in casa, con una rapidità tale che il ragazzo ebbe paura di ritrovarsi circondato dalle fiamme. Agitati dal fumo e dai crepitii delle fiamme, i cavalli cominciarono a nitrire e a scalpitare. Peggy Sue dovette afferrarli per le redini e trascinarli verso le porte della città. Non voleva certo che scappassero. Tuttavia, al momento di saltare in sella, non poté resistere al bisogno perverso di dirigersi verso una delle abitazioni, e di spingerne la porta... Sapeva che correva un grosso rischio comportandosi così, ma una curiosità irresistibile muoveva i suoi passi. Da principio, accecata dalla vampata degli incendi, vide solo buio, poi i suoi occhi distinsero il contorno dei mobili e, in terra, un vestito da donna abbandonato accanto a un paio di sandali. Due metri più in là, scorse una tunica da bambino con le maniche distese... nient'altro. Nella culla, accanto alla finestra, perfino il coprifasce e le fasce stesse erano stati strappati.
Anche i bambini... pensò, restando senza fiato. Anche i bambini. Ne fu talmente scossa che afferrò il cane blu per la collottola e, dopo averlo scaraventato sul fondo di una delle borse da sella, chiamò Sebastian dicendo: «Vieni! Dobbiamo andarcene!» Il ragazzo emerse da una nuvola di fumo, nero di fuliggine, e saltò in sella. «Sgombriamo il campo!» disse il cane blu. «Non credo che le fiamme siano molto pericolose per queste creature, e voglio essere lontano da qui quando il sole tramonterà.» Senza aspettare ancora, i ragazzi spronarono i cavalli e si lanciarono al galoppo sulla pianura arida. Ripresero la strada verso Omakaido, stando ben attenti a non voltarsi mai, ma quando scese la sera, il chiarore che proveniva da Vadang devastata dalle fiamme li rischiarò come un faro. «Si sono rifiutati di bere il veleno,» borbottava tra sé Sebastian «si sono ribellati. Hanno preferito la mostruosità alla pietrificazione. Mecanicus non sarà contento di saperlo.» Quella notte, malgrado la loro riluttanza, i ragazzi dovettero fermarsi perché i cavalli non riuscivano più a proseguire e rischiavano di morire di stanchezza, se li avessero costretti. Sebastian accese un fuoco da campo, tirò fuori la spada, e si sistemò vicino al bivacco per montare di guardia. «Cerca di dormire un po'» consigliò a Peggy. «Credo che i mostri non usciranno dai loro nascondigli finché Vadang brucerà. Aspetteranno la fine dell'incendio per mettere il naso fuori. Con un po' di fortuna, il sole sarà già alto.» Peggy strinse a sé il cane blu e si avvolse in una coperta. Faticò a prendere sonno, e quando infine sprofondò nell'incoscienza, fu per diventare preda di orribili incubi. Durante uno di essi, le sembrò di vedere un lupo scarlatto avanzare verso il bivacco. Era una bestia enorme, rossa dal muso fino alla coda, con zanne gigantesche. «Ti stavo cercando» ghignava il mostro con la bocca piena di bava. «Io e i miei compagni abbiano molta fame. Vieni a farci compagnia, per favore.» Allora, in sogno, Peggy si alzò per seguire il mostro... Un nitrito strappò la ragazza al suo incubo. Si tirò su, il cuore le che batteva all'impazzata, aggrovigliata nella coperta zuppa di sudore. Si accorse
che Sebastian si era addormentato durante il turno di guardia. Uno strano odore di animale aleggiava nell'aria, come se una bestia selvatica si aggirasse intorno all'accampamento. Il resto della notte trascorse senza altri incidenti. 11 I sabotatori fantasma L'indomani, in serata, raggiunsero Omakaido, sfiniti ma sollevati. Si sciacquarono la faccia a una fontana si presentarono subito allo ziggurat per fare rapporto. Dovettero aspettare circa un'ora. Quando finalmente Zarc li ricevette, fu per ascoltare il loro racconto distrattamente. Con un gesto stanco, li congedò regalando loro i cavalli malati. Confusi, Peggy e Sebastian lasciarono la torre di mattoni con l'impressione di essersi appena svegliati da un brutto sogno. Nella luce di Omakaido, l'episodio dell'incontro con Vadang perdeva tutta la sua realtà. «Che strano uomo!» sospirò Sebastian. «Sembra sempre che pensi a qualcos'altro.» Sulla grande piazza, i ragazzi incontrarono Romo che, invece di manifestare la sua gioia di rivederli, li trascinò in disparte con aria cupa. Si stava facendo notte, le strade si svuotavano. «Miei cari, devo dirvi la verità» mormorò il grosso uomo. «È accaduto qualcosa di inquietante durante la vostra assenza. Venite a vedere...» Sembrava preoccupato, e non aprì più bocca per tutto il tempo che impiegarono a percorrere gli intrichi di viuzze, a passare sotto la grande porta e ad arrivare davanti al drago. La bestia dormiva, e la luna metteva in risalto la sua sagoma gigantesca. Il caposquadra accese una torcia e la tenne alzata, rischiarando il terreno che i recenti acquazzoni avevano trasformato in un pantano. Attraversando il fango, risalirono la linea dei cavi fino agli anelli di ancoraggio fissati a terra. «L'ho scoperto per caso» bisbigliò il colosso. «Il drago non si era mosso dopo l'ultima ispezione, non avevo motivo di sospettare.» Tese la torcia a Sebastian, e si inginocchiò nel fango, accanto a un anello. «Guardate!» indicò poi. «Roba da far rizzare i capelli!» Peggy si chinò. L'anello di ormeggio era inciso da un profondo taglio. Il metallo messo a nudo brillava di un lampo freddo. «È stato segato!» balbettò Sebastian, inginocchiandosi anche lui.
«No» lo contraddisse Romo. «Se guardi più da vicino, vedrai che non è il lavoro di una lima. È preciso, netto. La lama è passata una sola volta. Nessun arnese potrebbe fare un taglio simile. Chi può essere così forte da fendere un anello di questa grandezza come un volgare bignè? Se non me ne fossi accorto, al prossimo temporale la bestia avrebbe rotto le catene con un unico colpo di reni!» Peggy Sue deglutì. Aveva la bocca secca. «Sono stati segati tutti gli anelli?» s'informò. «No, soltanto una mezza dozzina; li sostituirò. Ma se non facciamo la guardia, il sabotatore potrebbe rifarlo in qualunque momento.» «Hai avvertito Mecanicus?» domandò Sebastian. «No, i rapporti non sono il mio forte... aspettavo voi. E poi sarei accusato di negligenza, e sai bene che cosa accade in questi casi. Ciò non toglie che sia una storia impressionante. Chi può avere interesse a far scappare la bestia? Nessuno!» Sì invece, pensò Peggy, il Matador... ma non osò esporre la sua idea a voce alta, per paura di essere presa in giro. «Qualcuno venuto da fuori?» suggerì Sebastian. «Ragazzi desiderosi di catturare un nuovo animale, magari per sostituire il loro che sta morendo.» «Potrebbe darsi...» disse Romo. «Hai ragione,» comunicò il cane blu a Peggy con la trasmissione del pensiero. «Si tratta del Matador. Sta preparando la sua corrida. Ha sabotato gli ormeggi in modo che il drago possa liberarsi al prossimo temporale.» «E ora, al lavoro!» concluse il caposquadra. «Bisogna sistemare subiti dei nuovi anelli, se vogliamo evitare una catastrofe.» 12 Minacce sotterranee Lavorarono come forsennati, tirando fuori gli anelli di scorta dal deposito per trasportarli su una carriola fino al luogo di ancoraggio. In meno di venti minuti erano completamente ricoperti di fango. Affondati fino a metà polpaccio nell'argilla, sembravano delle figurine modellate da un gigante. La torcia si spense due volte, e Romo, perdendo l'equilibrio, per poco non finì infilzato sul suo piccone. Quando il lavoro fu terminato, si lasciarono cadere, sfiniti, sul pendio. «Nessuno deve saperlo,» mormorò il capomastro «non ancora. Sapete che cosa accadrebbe se qualcuno desse l'allarme? Scene di follia a non fi-
nire. Verrebbero a centinaia per montare di guardia intorno al drago, fino a innervosirlo, e a trattarci come buoni a nulla. E poi, dopo qualche settimana, stanchi di dormire nel fango, se ne tornerebbero a casa. Non avremmo guadagnato nulla e i sabotatori ritornerebbero alla carica.» «Comunque bisogna mettere una sentinella di notte» fece notare Sebastian, «Le scorte di anelli non sono inesauribili. Ancora due scherzi del genere e non avremo più abbastanza ancoraggi per trattenere il drago.» «Va bene» concesse Romo «mi metterò d'accordo con le sentinelle del posto di guardia. Dirò che ci sono dei fuochi fatui che innervosiscono l'animale. Metteranno un ragazzo con un secchio di sabbia, e questo sarà sufficiente a tenere lontani i sabotatori.» Peggy Sue faticò a rialzarsi, era così stanca che avrebbe potuto dormire là, sulla terra umida. I ragazzi salutarono Romo e risalirono verso le porte della città. Si sentivano sulle spalle tutta la stanchezza del mondo. Sulla piazza cercarono di ripulirsi a una fontana, ma l'acqua ghiacciata gli faceva battere i denti. «Devo parlare con Isi» decise Peggy. «So che non ti è molto simpatica, perciò puoi tornare in albergo.» «Quella pazza ha una pessima influenza su di te» brontolò Sebastian. «Ti riempie la testa di storie che non stanno in piedi. Forse Mecanicus ha ragione... e se fosse davvero dalla parte dei mostri?» «Io non la penso così, e non ho voglia di discutere con te» tagliò corto Peggy. «Vai a dormire. Devo controllare alcune cose.» Sebastian mise il broncio e si allontanò senza dire una parola. «È geloso,» diagnosticò il cane blu «è classico dei ragazzi. Generalmente detestano le amiche delle loro fidanzate. Ti ci dovrai abituare.» Peggy si incamminò verso la tenda di Isi. La giovane strega non dormiva. Come sempre Peggy la sorprese china sopra un pentolone, il viso scavato dai riflessi del fuoco. Isi non si meravigliò di vedere Peggy Sue così sporca di sangue. L'aiutò a spogliarsi e la strofinò con un olio profumato che infiammò i muscoli della ragazza di un calore benefico. «La tua mente e il tuo corpo sono carichi d'inquietudine,» osservò Isi «sento tutti i nervi contratti sotto lo sterno. Vibrano e formicolano come un nido di serpenti.» «Non posso farci niente» sussurrò Peggy «stanno succedendo delle cose orribili. Qualcuno ha segato gli ancoraggi del drago... Credo che sia stato il
Matador, con la sua spada, ma nessuno vuole credermi.» Isi trasalì. Si lasciò sfuggire una boccetta d'olio che riversò il suo contenuto sul pavimento. «Niente panico» l'ammoni Peggy «la catastrofe è stata evitata appena in tempo. Abbiamo sostituito gli anelli danneggiati.» «Non servirà a niente» mormorò la ragazza dai capelli rossi. «Se si tratta del Matador, ricomincerà. Viene a liberare la bestia per affrontarla. È là, da qualche parte nella nebbia, e presto il cielo sarà rosso sulle nostre teste perché avrà gettato il suo mantello sulla città... Peggy, è la fine per noi! La fine!» Peggy la strinse tra le braccia. Aveva paura anche lei. Una spaventosa minaccia stava piombando sulla città; da qualche parte, nella notte, un'ombra gigantesca si aggirava, la cappa sulle spalle, la spada in mano. «È solo questione di giorni» singhiozzò Isi. «La corrida avrà luogo al prossimo temporale.» Cominciò a piangere silenziosamente. Il fuoco si spegneva sotto il pentolone di rame, e la tenda era rischiarata solo dalla brace agonizzante. Le ragazze rimasero a lungo immobili in quella luce tremolante. «Cercherò di predire quando arriverà il prossimo uragano» decise Isi. «Se ci riesco, te lo dirò.» Si separarono con questa promessa. Quando tornò all'albergo, Peggy per poco non litigò con Sebastian che si ostinava a negare l'esistenza del Matador. «Ho parlato con Mecanicus» affermò il ragazzo. «Ho informazioni molto serie. Qualcuno trama nell'ombra. In città c'è un gruppo di fanatici che si fanno chiamare 'Gli amici delle bestie'. Pretendono che venga resa la libertà al drago, e che si smetta di raccogliere le sue lacrime. Credevo che si trattasse di esaltati inoffensivi, ma Mecanicus prende la minaccia sul serio.» «E qual è il programma di questi innocui squilibrati?» domandò Peggy. «Si dice che si riuniscano in segreto nelle catacombe della città» rispose il ragazzo. «Affermano che è contro l'ordine naturale delle cose prendere l'antidoto. Se la natura vuole che noi mutiamo, dicono che dobbiamo mutare! Non dobbiamo piegare il pianeta ai nostri bisogni ma, al contrario, adattarci a lui subendone le sue leggi!» A Peggy venne la pelle d'oca. «Che cosa vuol dire esattamente?» indagò, senza fiato. «È semplice» bisbigliò Sebastian. «Alcuni di loro avrebbero smesso di
bere le lacrime del drago. Si sarebbero trasformati spontaneamente e vivrebbero sotto la città, barricati nel labirinto dei sotterranei. Il loro scopo segreto è quello di convincere tutti ad abbracciare 'l'ordine naturale'. Forse hanno voluto far precipitare il corso delle cose provocando la morte della bestia?» Peggy Sue si mordicchiò l'unghia del pollice. «È possibile» ammise tra i denti. «Una volta eliminato il drago, cercheranno di convincere la gente a non avvicinarsi alle fontane. Spiegheranno loro che è meglio vivere come mostri che diventare statue di granito! Accidenti! E tu dici che si nascondono nelle fondamenta della città?» Sebastian fece un gesto vago. «È Mecanicus che lo afferma» disse. «Omakaido è piena di catacombe e di cave abbandonate.» Peggy fece una smorfia. Immaginava le gallerie che attraversavano il sottosuolo della città popolate da creature fantastiche dall'aspetto ripugnante. Esseri che non sognavano altro che di accrescere il loro numero, di provocare nuove adesioni, di convertire la città intera al loro terribile credo... con le buone o con la forza! Come avevano potuto degli esseri umani smettere di loro volontà di bere l'unico antidoto alla mostruosità? Rabbrividì. Il cane blu la interruppe nel bel mezzo delle sue riflessioni. «Siamo sopraffatti dagli eventi» constatò. «Per quanto siate forti tutti e due, non siete che dei ragazzi. Credo che sia giunto il momento di chiamare Nonna Katy.» «Hai ragione» approvò Peggy. «Solo lei può tirarci fuori da questo pasticcio. Vado a chiedere a Zarc di fare in modo che possa arrivare qui il prima possibile.» 13 Il paese della Tristezza Come aveva fatto con Peggy Sue, Isi usò lo specchio magico per trasportare Nonna Katy su Zantora. Contro tutte le aspettative, l'anziana signora sopportò bene il viaggio e si materializzò tra le rovine del tempio con indosso uno dei suoi famosi mantelli mangiatori di fatica13. Peggy corse ad abbracciarla, poi le espose la situazione. Katy Flanaghan aveva portato con sé una valigia piena di piante e polveri magiche. Non aveva dimenticato neanche il rospo pestilenziale, il suo
demonietto personale14 dal quale non si separava mai, anche se aveva la sgradevole mania di spandere odori pestilenziali. «So come far piangere il drago» decretò. «In un libro di magia, ho trovato la ricetta di una polvere della Tristezza che, quando viene gettata nel fuoco, sprigiona un fumo magico. Se si respira, il cuore si gonfia di tristezza e si piange.» «È proprio quello che ci serve!» esclamò Peggy. «In questo modo, gli abitanti di Omakaido potranno ricostituire le loro riserve di antidoto.» «Però, che strano mondo» sospirò Katy, esaminando il drago assopito davanti alle grandi porte della città. Isi, offesa che Mastro Zarc non si fosse degnato di far ricorso ai suoi servigi, se ne stava in disparte, imbronciata. Scambiò appena qualche parola con l'anziana signora. «Quando fabbricherai questa polvere?» domandò Peggy Sue. «Non vorrei assillarti, nonna, ma il tempo stringe.» «Purtroppo, piccola mia,» sospirò Katy Flanaghan «so come preparare questa ricetta, ma non ho gli ingredienti necessari per farla. Dobbiamo procurarceli.» «Devi solo fare una lista» la esortò Peggy «e noi chiederemo a Mastro Zarc di fornirci tutto ciò di cui hai bisogno.» «Temo che non sarà così facile» mormorò l'anziana signora. «La fabbricazione della polvere in questione implica che ci procuriamo questi ingredienti con le nostre mani.» «E dove dovremmo andarli a cercare?» brontolò Sebastian. «Nel paese della Tristezza» rispose cupamente Nonna Katy. «E non sarà una gita di piacere.» «Ecco,» spiegò Katy stendendo una pergamena sul tavolo dell'albergo. «Questa carta descrive abbastanza bene il paese della Tristezza. È circondato da un anello di nebbia stregata che lo nasconde agli occhi dei viaggiatori. Questa foschia è una trappola mortale. Appena qualcuno cerca di attraversarla, diventa dura come la pietra e si trasforma in una muraglia impenetrabile.» «Che cosa?» si stupì Sebastian. «Non mi sto inventando niente. I viaggiatori imprudenti che si inoltrano nel cuore della bruma firmano la loro condanna a morte. Appena la nebbia individua la presenza di stranieri che si spostano al suo interno, comincia a
infittirsi. Dapprima diventa grumosa, poi molto dura, e per finire ci si ritrova murati vivi.» «E quando riprende il suo stato di vapore?» domandò Peggy. «Quando si accorge che le persone che teneva prigioniere sono morte soffocate» sospirò sua nonna. «Una volta superato l'anello di nebbia, si arriva in una foresta. La foresta della Tristezza... Gli alberi che vi crescono, se vengono bruciati, producono un fumo che fa lacrimare. Dovremo fare provvista di legna secca e raccoglierla in fascine. Con quei rami potrò preparare un fumo capace di far piangere al drago tutte le sue lacrime.» «Se ho capito bene, però, non siamo ancora usciti dall'albergo!» grugnì il cane blu. Informato, Mecanicus mise a disposizione dei nostri amici tre muli e una fiaschetta di antidoto per il viaggio. La spedizione sembrava pericolosa, eppure i ragazzi provavano un gran sollievo all'idea di lasciare Omakaido, la cui atmosfera diventava sempre più opprimente. In sella ai loro animali, superarono le porte della città. «Sai che direzione dobbiamo prendere?» chiese Peggy. «Assolutamente no» rispose sua nonna. «Ma verserò una goccia di questo elisir magico sul palmo della mia mano, e le linee che la percorreranno si riorganizzeranno fino a formare una carta. Guarda...» Peggy Sue osservò il prodigio affascinata. Appena il liquido ebbe toccato il palmo di Nonna Katy le sue linee della vita, della testa e del cuore15 cominciarono ad attorcigliarsi per disegnare una pianta che indicava la strada. «La macchia rossa indica dove ci troviamo» spiegò Katy Flanaghan. «L'anello di nebbia è qui, vedi? Datemi le vostre mani, ci verserò una goccia di elisir; in questo modo ciascuno di voi avrà la sua piantina. Potrebbe essere utile se venissimo separati.» Peggy obbedì. Il prodotto pizzicava un po', come l'alcol puro su una ferita, e la riorganizzazione delle linee provocava un solletico insopportabile, ma non durò molto e la ragazza assisté al prodigio di vedere la cartina disegnarsi sul suo palmo. Piccole lettere impresse nell'incavo annunciavano: 'per ora va tutto bene'. Così equipaggiati, si misero in cammino. Un punto rosso pulsava indicando dove girare, quale strada prendere. Era davvero pratico! Dopo due giorni di viaggio senza incidenti, lo sbarramento di nebbia si
materializzò davanti a loro, tagliando la pianura come il muro di una fortezza. «Ci siamo» sospirò Nonna Katy. «A partire da questo momento, dobbiamo stare molto attenti.» Peggy Sue si controllò la mano, perché un forte prurito l'aveva appena avvertita che il messaggio impresso sulla pelle stava cambiando. Lesse: 'Pericolo! Non entrare nella nebbia. Torna indietro, se vuoi vivere'. «Ehi! Mi fa il solletico!» esclamò. «Forse faremmo meglio a seguire questo consiglio» borbottò il cane blu, sistemato in una borsa sulla groppa del mulo. Katy Flanaghan tirò le redini del suo cavallo e poggiò un piede a terra. La nebbia era molto fitta, di un biancore accecante. «Sembra un muro di cotone!» disse Sebastian. «Non ho mai visto una nebbia così compatta. Somiglia alla neve.» Peggy avanzò con le braccia tese. Il suo indice penetrò senza difficoltà in quella massa vaporosa. «È solo fumo» constatò. «Per ora» la corresse sua nonna. «Purtroppo non durerà. Appena la nuvola magica avrà intercettato la nostra presenza, comincerà a indurirsi fino a richiudersi su di noi, come un enorme bozzolo.» A Peggy venne la pelle d'oca. Non aveva nessuna voglia di ritrovarsi murata viva! «Cosa facciamo?» si spazientì Sebastian. «Proviamo ad attraversarla al galoppo?» «Credo che sia l'unica soluzione» sospirò l'anziana signora. «Ma prima di farlo, dobbiamo profumarci con questo» e nel mentre tirò fuori dalla borsa un grosso spruzzatore... «È un profumo magico, maschererà il nostro odore per dieci minuti. Durante questo intervallo, i demoni-sentinella che vivono nella nebbia non riusciranno a individuarci. Sarà come se fossimo invisibili.» «Allora ci vorrà un intero flacone per profumare i piedi di Sebastian!» sghignazzò il cane blu. «Brutto cagnaccio!» ruggì il ragazzo. «Io ti...» «Basta!» tagliò corto Katy. «Due spruzzi per ciascuno. Sbrigatevi! E non dimenticate i cavalli.» Peggy Sue obbedì. Nell'incavo della mano, il prurito diventava insopportabile. Esaminandola, vide che il messaggio di avvertimento era cambiato ancora. Ora diceva: 'Non essere ingorda!'
Che cosa può voler dire?, si chiese. Una volta che tutti furono profumati, si infilarono nella nebbia. Fiutando il pericolo, i muli recalcitravano, e fu necessario spronarli. Al primo impatto, la nebbia sembrava una comune foschia. Quando si agitava una mano, la massa filamentosa si apriva e si richiudeva, e non appariva nessun viso inquietante. Peggy da principio ne fu rassicurata, poi percepì uno strano odore. Sembrava... sembrava caramello caldo. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Sembra zucchero filato! Ma sì! La foschia profuma di zucchero filato!» «Ha ragione» rincarò Sebastian. «Guardate! La nebbia si incolla alle dita. Sembra davvero zucchero filato. Potrei mangiarla.» «Se fossi in te non lo farei!» lo ammonì Katy Flanaghan. «È un'altra trappola. Se la mangi, la nebbia si indurirà nel tuo stomaco. Sarà come se avessi ingoiato cemento. Resistete alla golosità, ragazzi, se non volete ritrovarvi con la pancia piena di sassi.» Peggy Sue annuì: aveva appena capito il senso del messaggio impresso nella sua mano. Tuttavia, l'odore di zucchero caldo era diabolicamente appetitoso... Il cane blu si leccava le labbra. «Non toccate nulla» ripeté Nonna Katy. «Se la mangiate, sarà peggio per voi. Il vostro stomaco scoppierà sotto il peso delle pietre.» «Ehi!» gridò il cane. «I muli stanno brucando la nebbia!» Era vero: nessuno aveva pensato a loro. Bisognava fermarsi e legargli il muso. Non fu un'impresa facile. Il prurito divenne ancora più forte sul palmo della mano di Peggy. Questa volta lesse: 'La nebbia ti ha intercettata. Sbrigati a uscirne!' «La foschia sa che siamo qui» si affrettò a informare gli altri. «Il trucco del profumo non ha funzionato.» «Presto, in sella!» ordinò Nonna Katy. «Dobbiamo attraversare la coltre di nebbia prima che diventi troppo fitta. Al galoppo! Al galoppo!» Peggy spronò il suo mulo, ma quello rifiutò di muoversi. Nonostante la corda che gli bloccava le mascelle, si ostinava a brucare i filamenti biancastri di nuvola che fluttuavano davanti al suo muso. La ragazza dovette frustarlo per convincerlo ad avanzare. La nebbia si infittiva ogni istante di più. Peggy aveva ormai l'impressione di muoversi in mezzo a sfere di cotone galleggianti nello spazio che la
colpivano continuamente sul viso e sulle spalle come un morbido massaggio. È come se qualcuno mi bombardasse con proiettili di schiuma, pensò. I muli sguazzavano nella foschia, che si stava compattando. «Per ora è ancora un gioco» mormorò Nonna Katy «ma presto peggiorerà. Bisogna attraversarla prima che si richiuda su di noi.» La nebbia però non aveva alcuna intenzione di lasciarli fare. Peggy notò che i filamenti di cotone si attaccavano ai vestiti e ai capelli. Ora sembrano strisce di stoffa, si disse. Mi avvolgono come un vestito. Dovette graffiarsi le spalle per liberarsi di quei veli biancastri che, silenziosi, lavoravano per impacchettarla ben bene come le bende che fasciano una mummia! Una striscia si posò sopra i suoi occhi, poi un bavaglio le chiuse la bocca... Lei li strappò con gesti frenetici. Stava perdendo la testa. Tra le dita, brandelli di nebbia avevano ora la consistenza della stoffa usata per le vele. Era solida, bagnata, sempre più difficile da strappare. I frammenti di tessuto sbattevano nel vento come una bandiera maltrattata dalla tempesta. I muli correvano alla cieca, sentendo che accadeva qualcosa di strano. Qualche minuto più tardi, i pezzi di stoffa si stavano unendo tra loro formando grosse perle bianche che rimbalzavano al suolo, si urtavano, rimbalzavano ancora e finivano per riunirsi in cumuli tra i quali i muli erano costretti a serpeggiare. Il bozzolo si costruisce da solo, comprese la ragazza. Le sfere sono come mattoni, a forza di ammassarsi le une sulle altre finiranno per avvolgerci. Uno dei proiettili le sfiorò una spalla, facendola quasi cadere da cavallo. Peggy venne presa dal panico. Le sembrava di essere impantanata in una palude di cemento liquido. Se continuava così, si sarebbe bloccata nel bel mezzo di un movimento mentre la nebbia solidificata avrebbe continuato a ricoprirla, strato dopo strato, fino a non farla più respirare. Aveva voglia di agitarsi, era come se una colata di gesso fresco le piovesse addosso dall'alto delle nuvole. Floc! Floc! Si spalmava sulla testa e sulle spalle. Anche il mulo somigliava a una statua. Infine, quando aveva perso quasi ogni speranza, uscì dalla coltre di nebbia. Il suo primo istinto fu di saltare a terra e sbarazzarsi del guscio appiccicoso che la ricopriva. Appena fu di nuovo libera di muoversi, ripulì anche il mulo. Ben nascosto in fondo alla borsa, il cane blu era sano e salvo. Infine anche Sebastian uscì dalla gigantesca nuvola. Nonna Katy per po-
co non vi rimase incastrata; dovettero aiutarla a liberarsi, perché la nebbia le si stava indurendo addosso. Sebastian afferrò il mulo dell'anziana signora e lo liberò dal pantano con uno strattone. Mentre si ripuliva il viso, Peggy fece un passo verso la muraglia biancastra che per poco non li aveva catturati. Quando la toccò con la punta delle dita, si rese conto che aveva ormai la consistenza della pietra. Anche se avessero provato a colpirla con un piccone, non sarebbero riusciti a scavarvi il più piccolo dei buchi. «È solo una cosa temporanea» annunciò una voce di donna alle sue spalle «La nebbia tornerà fluida entro un'ora.» Peggy si voltò. Una pastorella circondata da pecore nere era appena uscita da un boschetto per accogliere i visitatori. Era piuttosto graziosa, con il naso all'insù e fluenti riccioli, e indossava un lungo vestito viola. «Benvenuti, mi chiamo Morgane» si presentò. «Venite dalla pianura, vero? Siete stati fortunati; generalmente gli stranieri non riescono mai ad attraversare la nebbia. La foschia li avvolge e li soffoca. Quando è bel tempo, attraverso la nuvola si possono vedere gli scheletri degli imprudenti che vi hanno preceduti.» Peggy si presentò, e lo stesso fecero Sebastian e Nonna Katy, ma Morgane era tuta presa dal cane blu, che trovava 'troppo carino'. L'animale si raddrizzò fieramente, assumendo una posa orgogliosa. «Siamo nel paese della Tristezza?» domandò Katy Flanaghan. «Certamente» rispose la pastorella, «immagino che veniate a raccogliere la legna della Tristezza, vero? La troverete laggiù, in quella foresta con gli alberi neri. È la grande foresta della Tristezza.» Peggy e Sebastian guardarono nella direzione indicata. Alti alberi scuri formavano una massa inquietante al centro della distesa che circondava l'anello di nebbia. Quelle piante dalle foglie colore delle tenebre ricordavano più il pelo di un animale malefico che la cupola verdeggiante di un bosco. «È là che dovrete andare a raccogliere le vostre fascine» disse Morgane. «Sperate di far piangere il vostro drago?» «Sì» rispose Nonna Katy. «I libri di magia dicono che il fumo della legna della Tristezza è adatto per questo scopo.» «Dicono la verità» confermò la pastorella. «È così che noi manteniamo la tristezza del nostro stesso drago. Quando non ha molta voglia di piangere, accendiamo sotto il suo naso un fuoco fatto con questi tronchi, e lui comincia subito a singhiozzare. Tuttavia, è un po' pericoloso, poiché il fu-
mo agisce allo stesso modo sugli esseri umani. Se lo respirate, proverete un tale sconforto che non penserete ad altro che a impiccarvi. Ma ora venite a rifocillarvi a casa mia, mi racconterete che cosa accade dall'altra parte della muraglia di nebbia.» Non si poteva certo rifiutare un invito tanto gentile, così i nostri amici seguirono la ragazza delle pecore nere. I muli non sembravano risentire troppo dell'indigestione di nebbia; vennero chiusi nel recinto delle pecore. Morgane fece accomodare gli ospiti nella sua capanna e offrì loro una colazione a base di pane fatto in casa, pâté e sidro fresco. «Lo avete davvero meritato» dichiarò. «È raro che degli stranieri sopravvivano alla trappola della nebbia.» «Non è un po' angosciante essere sempre circondati da questo schermo di fumo?» le chiese Sebastian. «A me sembra di essere in prigione.» Morgane sorrise. Peggy Sue, infastidita, notò che la giovane pastorella non era del tutto insensibile al fascino del ragazzo; civettava con continue espressioni ammiccanti e pose che esaltavano la sua bellezza. «La nebbia ci protegge» spiegò Morgane. «Senza, quelli che abitano dall'altra parte verrebbero a saccheggiare la nostra foresta, e la legna della Tristezza si sarebbe esaurita già da tempo. Il nostro unico timore è che un giorno il nostro drago rompa le catene e cerchi di attraversarla. Se la nebbia si indurisse su di lui, morirebbe soffocato, nonostante la sua mole.» «Quindi» intervenne Nonna Katy, annoiata da quelle chiacchiere «il fumo della Tristezza funziona davvero?» «Sì, anche quando si brucia poca legna» precisò la pastorella. «Però una grossa fiammata può diventare facilmente pericolosa. Gli alberi del bosco Nero sono molto secchi, basta poco perché prendano fuoco. Quando il vento soffia il fumo dell'incendio sulla città, la gente diventa così triste che si suicida. Alcuni si impiccano, altri si gettano dall'alto delle mura. Vent'anni fa è bruciata mezza foresta... Quella catastrofe ha provocato la sparizione di un buon terzo degli abitanti. Sono morti tutti per il dispiacere, senza neanche sapere perché.» «Per quale motivo la foresta si è incendiata?» chiese Peggy Sue. «Qualcuno ha commesso un'imprudenza?» «No» rispose cupamente Morgane. «Stiamo sempre attenti a non accendere nessun fuoco vicino agli alberi neri. Non siamo tanto sciocchi. Se il fuoco ha preso, è a causa della bestia calda...» «La bestia calda?» ripeté incuriosita Nonna Katy.
«Sì, è una specie di porcospino che vive nella foresta della Tristezza. È inoffensivo, ma quando è spaventato gli aculei di ferro che ha sulla schiena diventano incandescenti. Allora basta soltanto che si strofini contro gli alberi perché quelli prendano fuoco in un attimo.» «Accidenti!» esclamò Sebastian. «Bisogna cacciarlo, catturarlo...» «Impossibile» ribatté Morgane. «La bestia calda diventa rosso fuoco quando ha paura. Se provassimo a seguirla, i suoi aculei si incendierebbero... e con loro l'intera foresta. Stiamo sempre attenti. Al limitare del bosco sono accampati i pompieri, pronti a intervenire. Ultimamente sono riusciti a spegnere gli incendi prima che si propagassero. Il pericolo, in questi casi, è il fumo... Se si respira, si diventa così tristi che ci si siede in terra a piangere. Non si riesce a fare altro. Si diventa indifferenti a tutto, e nel frattempo, le fiamme ti accerchiano.» «E non c'è nessun rimedio?» insisté Nonna Katy, sempre alla ricerca di nuove medicine. «Sì» rispose la pastorella aprendo una credenza. «Si può mangiare un po' di marmellata della Gioia. Viene fatta con i frutti raccolti nella foresta della Tristezza. Scaccia i pensieri neri, ma fa ingrassare incredibilmente. Per ogni cucchiaio mangiato, si prende un chilo, così alcune ragazze preferiscono morire di tristezza piuttosto che diventare grasse.» Per sottolineare i suoi propositi, posò sul tavolo un barattolo di vetro pieno di una pasta nerastra che somigliava al catrame. Il cane blu si leccò le labbra. «La faccenda si complica sempre di più» sospirò Katy Flanaghan. «Raccoglieremo due o tre fascine nella foresta della Tristezza, e poi ce ne andremo. Grazie per averci accolto in modo così gentile.» «Una rondine non fa primavera» proclamò Morgane. «E poi non è detto che la nebbia vi lasci ripartire. Secondo me, le vostre probabilità di cavarvela una seconda volta sono davvero poche. Forse fareste meglio a rimanere qui... voglio dire: definitivamente.» Così dicendo, lanciò uno sguardo languido a Sebastian. Per poco Peggy non le tirò il vaso di marmellata in faccia! «Restare qui?» rifletté il cane blu. «In fondo non mi dispiacerebbe. Ho sempre sognato di fare la guardia alle pecore.» «Saresti il benvenuto, bel cagnolino» tubò Morgane accarezzando il cane tra le orecchie. Che strega! Li ha abbindolati tutti! pensò Peggy, le cui guance divennero ardenti come gli aculei della leggendaria bestia calda.
Lasciarono la capanna per raggiungere la foresta. Man mano che si avvicinavano agli alti alberi, l'erba, da principio verde, diventava nera come l'inchiostro. All'improvviso alcuni giovani contadini con gli elmetti sbarrarono loro improvvisamente la strada. «Da dove venite e dove andate?» urlò il più robusto. Quando le sentinelle vestite di stracci capirono infine che si trattava di stranieri che erano riusciti a superare la nebbia, si calmarono. «Sono Jacquot il Grosso» si presentò quello che sembrava essere il loro capo. «Siamo i pompieri del bosco Nero. Il nostro compito è quello di tenere d'occhio i bagliori della bestia calda fra i tronchi, e intervenire appena si accende.» «Perché non gli tirate una bella freccia, una volta per tutte?» suggerì Sebastian. Jacquot il Grosso si strinse nelle sue larghe spalle. «Non sai quello che dici, straniero» sorrise. «Gli farebbe talmente paura che si trasformerebbe in una brace ardente. Senza contare che la tua freccia non lo ferirebbe neanche, perché ha la pelle spessa quanto quella di un drago. No, bisogna aspettare che muoia di morte naturale. Non ci sono altre soluzioni.» Sembrò riflettere e poi aggiunse: «Non vi possiamo impedire di raccogliere la legna; visto che siete riusciti a superare la trappola della nebbia, la legge vi autorizza a farlo, ma state molto attenti a non far paura alla bestia calda se per caso la incontrate. Basta poco per spaventarla perché è molto timida. Appena si emoziona, o si agita, i suoi aculei diventano degli attizzatoi arroventati, e appiccano il fuoco a tutto ciò che toccano.» «Raccoglieremo soltanto qualche rametto» intervenne Nonna Katy. «Non ci vorrà molto.» «È quello che credete» borbottò Jacquot il Grosso. «Gli abitanti di qui hanno già preso tutto ciò che si trovava all'entrata del bosco; per raccogliere delle fascine, dovrete addentrarvi nel cuore della foresta. Sarà più pericoloso di quanto pensiate. In ogni caso, buona fortuna! Il coraggio non vi manca certo, visto che avete osato attraversare la nebbia. Se incontrate la bestia calda, cantatele qualche canzoncina dolce o una ninna nanna per rassicurarla. Evitate di fare gesti bruschi. Se si impaurisce, tutta la boscaglia si incendierà come se fosse cosparsa di alcool, e vi ritroverete carbonizzati prima ancora di aver potuto gridare.»
«Sta' tranquillo,» sospirò Peggy Sue «saremo prudenti.» Penetrarono in un mondo segreto, pieno di ombre e mormorii. Le foglie nere bloccavano la luce del giorno, mantenendo sotto i rami un'oscurità sorprendente. La foresta della Tristezza sembrava un pezzo di notte piantato nel bel mezzo della pianura, una specie di nascondiglio dove il buio si riposava in attesa di partire all'assalto del mondo, subito dopo il tramonto. «Non si vede niente» sussurrò Sebastian. «Ci vorrebbe una torcia elettrica.» «Non ce l'abbiamo» ribatté Peggy Sue. «Allora accendiamo una fiaccola...» propose il ragazzo. «Neanche per sogno!» intervenne Nonna Katy. «La legna è così secca che basterebbe una sola scintilla per incendiarla.» Avanzarono a tentoni sperando che i loro occhi si abituassero alla penombra. Jacquot il Grosso non aveva mentito: in terra non c'era neanche un ramoscello. Per raccogliere delle fascine, avrebbero dovuto addentrarsi ancora di più. Peggy sfiorò gli alberi. Le sembrarono coperti di fuliggine. «È inutile insistere» disse Katy Flanaghan «non si può continuare alla cieca. Cercherò di fabbricare una luce magica per illuminarci il cammino senza rischiare di appiccare il fuoco.» Tornarono indietro fino al limitare del bosco. L'anziana signora s'inginocchiò per frugare nella sua borsa degli incantesimi. Mentre meditava su un miscuglio di sua invenzione, si avvicinò Jacquot il Grosso. «Dovete proteggervi il naso e la bocca con uno straccio» spiegò. «Respirare la fuliggine dei vecchi incendi è pericoloso. Rischiate di essere contaminati dalla tristezza, e una volta contagiati è molto difficile guarirne.» Peggy lo ringraziò per i suoi preziosi consigli e, strappando pezzi di stoffa dai suoi vestiti, cominciò a confezionare una maschera per sé e per il cane blu. Sebastian la imitò. Nonna Katy non tardò a chiamarli. Aveva mescolato alcune polveri in un barattolo di vetro. Questo decotto crepitava, producendo una luce fredda e innocua. «Funzionerà per due ore» annunciò «ora andiamo.» «Non lasciatevi sorprendere dal buio» raccomandò loro Jacquot «vi ritrovereste a girare in tondo senza mai trovare l'uscita. Non c'è nulla da mangiare in quella foresta, a parte la cenere. La fuliggine si è sciolta anche dentro gli stagni, trasformando l'acqua in inchiostro. Non bevetela. Sareste folgorati dalla tristezza.»
«Che cosa ci accadrebbe?» chiese Sebastian. «Provereste una tale tristezza che non avere neanche il coraggio di impiccarvi a un ramo basso per farla finita. Vi coricheresti a terra e vi lascereste morire. Ecco che cosa vi succederebbe, ragazzo mio.» Nonostante tutti i pericoli, bisognava inoltrarsi fra gli alberi. La luce magica che Nonna Katy teneva in mano li avvolgeva in un alone tremolante di un diametro di circa cinque metri. Era poco, ma meglio di niente. Peggy Sue si voltò. Erano appena dieci minuti che camminava eppure già non riusciva più a distinguere né la pianura né Jacquot il Grosso. I cespugli di foglie nere oscuravano completamente i raggi del sole, ed era difficile immaginare che al di là degli alberi fosse ancora giorno. La ragazza si sentì presa in trappola. Camminarono per un'ora senza riuscire a scovare neanche un rametto, perché gli abitanti del luogo erano passati prima di loro. «Dobbiamo tornare indietro, ragazzi» sentenziò Nonna Katy attraverso il suo bavaglio. «Abbiamo giusto la luce sufficiente per tornare sui nostri passi. Non possiamo perdere tempo.» Fecero marcia indietro, delusi e scontenti. Peggy scoprì improvvisamente che provava una strana tristezza, una vaga malinconia della quale ignorava il motivo. Non ci sarebbe voluto molto perché si sciogliesse in lacrime. Sono proprio una sciocca! si disse. È a causa della polvere della Tristezza che si è infiltrata sotto la mia maschera. Quando emersero dal bosco Nero, Morgane li aspettava, le mani sui fianchi, uno strano sorrisetto sulle labbra, come se non avesse dubitato neanche per un secondo della loro disfatta. «Avrete più fortuna domani» decretò. «Stasera dormirete da me. Vi preparerò una buona cena. Tartine con marmellata della Gioia per combattere la tristezza che si è impadronita di voi. Nonostante tutto, ne avrete respirata un po'. Guardate i vostri bagagli, sono tutti neri di fuliggine!» Il giorno dopo, le cose non migliorarono affatto. Più volte, mentre cercava rami secchi a tentoni, Peggy sentì che qualcuno la stava osservando. Quando lanciò un'occhiata dietro di sé, distinse in mezzo ai cespugli una specie di enorme istrice dagli occhietti luccicanti. La bestia calda! pensò immediatamente, paralizzata dallo stupore. Ri-
cordandosi dei consigli di Jacquot il Grosso, cominciò a canticchiare il primo motivetto che le venne in mente. Aveva un solo timore: quello di vedere all'improvviso gli aculei della creatura incominciare a rosseggiare, perché la legna e le foglie che la circondavano erano così secchi da sembrare di carta. Continuò a cantare, passando da una canzone all'altra, cercando di dare alla sua voce una sonorità rassicurante. Lo strano animale scomparve indietreggiando, senza provocare nessuna catastrofe. L'indomani, la bestia calda passò di nuovo vicino a Peggy Sue. Questa, prevedendo quella visita, aveva portato qualche mela, un pezzo di torta e un po' di latte. Depose le sue offerte su un tronco e si allontanò, sperando che la creatura avrebbe apprezzato quel gesto. Dopo qualche minuto, sentì il porcospino gigante che sgranocchiava lanciando piccoli sospiri di piacere. Forse si lascerà addomesticare? si chiese. Questo sistemerebbe le cose. Da quel giorno, Peggy Sue non entrò più nella foresta senza essersi prima munita di qualche dono. Comprendendo che nessuno voleva fargli del male, la bestia calda non infiammò mai i suoi aculei, così i nostri amici poterono portare avanti la loro esplorazione in tutta tranquillità senza dover temere di ritrovarsi accerchiati dalle fiamme. Dovettero comunque camminare parecchio per riuscire a raggranellare qualche rametto secco. «Non è abbastanza,» sospirava puntualmente Nonna Katy «dovremo ritornare.» Ogni volta che stavano per entrare nella foresta, Morgane li obbligava a mangiare grosse tartine spalmate di marmellata nera, in previsione dei danni della polvere della Tristezza. Rimpinzati di quella bizzarra marmellata, Sebastian, Katy Flanaghan e il cane blu scoppiarono a ridere due ore dopo. La vista di un semplice fungo li faceva sbellicare dalle risate fino a rimanere senza fiato. Al minimo scricchiolio di rametti, Sebastian ridacchiava con una vocetta stridula. Peggy Sue, invece, rimaneva insensibile al potere della marmellata esilarante. Anche se a volte ne prendeva una dose doppia, o anche tripla, la tristezza distillata dal bosco Nero continuava a insinuarsi in lei, minando subdolamente il suo morale. Il male peggiorava a ogni nuova incursione nella foresta, al punto che si sorprendeva a singhiozzare raccogliendo rami morti, come se fosse la cosa più deprimente
del mondo. Quando raccontò il suo problema a Sebastian, questi si limitò a scoppiare a ridere. Nonna Katy e il cane blu ebbero la stessa reazione. «Ehi! Devi ridere un po', mia cara!» la esortò il ragazzo. «Non c'è davvero nulla per cui piagnucolare. Stiamo vivendo momenti fantastici! Gli alberi neri sono troppo divertenti!» «Alla tua età, non ci sono problemi» aggiunse Katy Flanaghan «si vede tutto rosa! Non capisco che cosa possa rattristarti. Io non ho mai riso così tanto in tutta la mia vita.» Peggy Sue capì che era inutile insistere. «Non siete normali in questo momento» decretò. «Mangiate troppa marmellata nera. Non vi importa niente di quello che può succedermi!» Né Sebastian né sua nonna riuscirono a risponderle, perché stavano ridendo a crepapelle. Preoccupata, la ragazza andò a parlare con Morgane. «Per quanto mi ingozzi della tua maledetta marmellata» si lamentò «sono sempre più triste, mentre il mio fidanzato, mia nonna e il mio cane si divertono come matti dalla mattina alla sera. Come lo spieghi?» La giovane pastorella scrollò le spalle. «Forse sei insensibile ai benefici della marmellata della Gioia» azzardò. «Ci sono persone sulle quali questo rimedio non ha alcun effetto. È spiacevole, ma non ci si può fare niente.» «Che cosa mi succederà?» insisté Peggy, angosciata. «Diventerai sempre più triste» predisse Morgane. «Quando ne avrai abbastanza, forse ti impiccherai oppure ti getterai in un pozzo. È quanto è accaduto quando la foresta è bruciata, vent'anni fa. La gente faceva la fila per saltare nei pozzi. C'erano così tanti impiccati, che alla fine mancava la corda. Se vuoi, posso indicarti dove si trova il pozzo più vicino, così guadagnerai tempo... Oppure posso prestarti una corda; sono molto brava a fare i nodi scorsoi.» Capendo che non avrebbe ottenuto nessun aiuto dalla pastorella, Peggy se ne andò. Le lacrime le scorrevano lungo le guance senza che potesse fare nulla per ricacciarle indietro. Il peggio era che non aveva alcun motivo di essere così infelice! Cupi pensieri le affollavano sempre la mente, e lo sconforto la assaliva già al risveglio, appena apriva gli occhi. A questo ritmo, non avrebbe resistito ancora per molto, era certo.
Mentre vagabondava per la campagna domandandosi come mettere fine ai suoi tormenti, le si avvicinò Jacquot il Grosso, piuttosto imbarazzato. «Ascolta,» le disse «tu mi piaci molto, sei coraggiosa e non ho voglia di essere complice di una cattiva azione. Morgane è una buona amica, ma non approvo quello che ti sta facendo.» «Di che stai parlando?» balbettò Peggy tirando su col naso. Piangeva a grandi singhiozzi e riusciva a malapena a distinguere la figura del ragazzo. «Morgane vuole soffiarti il fidanzato» rivelò Jacquot. «Ecco perché cerca di sbarazzarti di te. Ti fa mangiare marmellata nera con l'aggiunta di polvere della Tristezza concentrata. Ti sta avvelenando...» «Tu... stai scherzando, vero?» «No. Spera in questo modo che ti getterai in un pozzo. Quanto a Sebastian, gli impedirà di piangere la tua morte rimpinzandolo di marmellata della Gioia. In questo modo, continuerà a prendere la vita alla leggera. Poi gli farà bere qualche filtro d'amore per legarlo a lei.» Peggy si lasciò cadere sull'erba, sconvolta da quella rivelazione. Jacquot il Grosso si inginocchiò accanto a lei. Tirando fuori un barattolo e un cucchiaio dalla sua borsa, glieli porse. «Prendi» la invitò «è la mia marmellata della Gioia. Puoi fidarti, Morgane non l'ha toccata. Mangiala. È l'unica cosa che possa combattere il veleno del dispiacere che scorre nelle tue vene.» Peggy obbedì. Man mano che pescava nel barattolo di marmellata, la sua tristezza diminuiva. «Voleva assassinarmi...» sospirò quando si sentì meglio. «Non ci posso credere.» «Sì,» confermò Jacquot il Grosso «era la sua intenzione, ma solo perché è molto innamorata di Sebastian. E io, invece, sono innamorato di lei da sempre, ma purtroppo non si accorge di me.» Peggy scoccò un bacio tutto appiccicoso sulla guancia del ragazzo. «Mi hai salvato la vita» gli sorrise. «Stavo quasi per commettere una grossa sciocchezza. Sei una brava persona. Ora vado a dirne quattro alla tua amica Morgane.» «Non farle del male» la supplicò Jacquot il Grosso «in fondo, io la capisco. L'amore può rendere dei criminali.» Le guance rosse per la rabbia, Peggy andò a trovare la giovane pastorella seduta in mezzo alle sue pecore e le disse in faccia ciò che pensava di lei.
Morgane non cercò neanche di negare. «È vero» ammise con noncuranza. «Ho cercato di portarti via Sebastian, e allora? Non ci vedo niente di strano! Qualunque ragazza avrebbe fatto lo stesso al posto mio. Trovo che sia lecito. Un ragazzo così bello non bisogna lasciarselo scappare. Tutto è permesso, pur di conquistarlo.» «Sei... sei un'incosciente!» balbettò Peggy. «Avrei potuto suicidarmi sotto l'effetto della polvere della Tristezza... magari saltare in un pozzo o impiccarmi...» «Era questo lo scopo...» disse la pastorella. «Perché ti stupisci tanto? Mi dispiace sinceramente che non abbia funzionato.» Sconvolta da tanto egoismo, Peggy decise di abbandonare la discussione e se ne andò. Dal quel momento, proibì a sua nonna, a Sebastian e al cane blu di toccare la marmellata nera. «Abbiamo raccolto abbastanza legna» spiegò loro. «È ora di ritornare. Partiremo appena vi sarete disintossicati.» L'indomani mattina, gli sventurati avevano finalmente recuperato le loro facoltà. Non si ricordavano di niente. Sfiniti per aver riso così tanto, si reggevano a stento in piedi. Peggy li sistemò sui muli, aiutata da Jacquot il Grosso. Il mantello che assorbiva la fatica di Katy Flanaghan era tutto spelacchiato, segno che aveva perso i suoi poteri. «Tieni,» disse il grosso ragazzo porgendo un sacco di tela all'adolescente «sono provviste, per il viaggio. Ci ho messo un po' di marmellata nera, di quella buona! Potrà servirti, un giorno, in un momento di depressione. Così penserai a me.» Una volta sistemate le fascine sulla groppa dei muli, Peggy si mise in testa alla fila. «Spero che riuscirai ad attraversare la nebbia senza incidenti» le augurò Jacquot il Grosso salutandola con la mano. «Fila come il vento, e non fermarti per nessun motivo.» Capendo che Sebastian le sfuggiva, Morgane corse a rinchiudersi nella sua capanna per nascondere le lacrime che, questa volta, non erano dovute alla polvere della Tristezza. Arrivata davanti alla coltre di nebbia, Peggy Sue rivolse un ultimo saluto a Jacquot il Grosso e spronò il suo cavallo. Le bestie si slanciarono, ventre
a terra. Purtroppo, quando vollero attraversare la nebbia, urtarono con la fronte contro un muro. «Accidenti!» imprecò Peggy Sue. «La nebbia è sempre dura come la pietra.» Indovinando che qualcosa non andava, Jacquot il Grosso si precipitò giù dalla collina per andare a vedere cosa fosse successo. Picchiò il pugno sulle compatte volute di fumo e fece una smorfia. «Strano» borbottò. «La nebbia dovrebbe aver ripreso la sua consistenza gassosa già da molto tempo. Mi domando se Morgane non abbia fatto un patto con la nebbia per impedirvi di ripartire...» «È possibile?» si stupì Peggy. «Sì, Morgane è una mezza strega. Conosce tutta una serie di invocazioni. Forse ha fatto delle offerte ai geni della nebbia per ottenere il loro aiuto. Credo che voglia tenere Sebastian prigioniero. Farai meglio ad andare a parlare con lei.» Trattenendo la sua collera, Peggy si incamminò verso l'ovile. Morgane la aspettava sulla soglia. Aveva gli occhi rossi. «Così ha funzionato!» sorrise. «I geni della nebbia mi hanno obbedito. Non ci speravo davvero.» «Sì» ringhiò Peggy che si tratteneva a stento dallo strapparle i capelli. «Ha funzionato. Credi di poterci impedire di ripartire, giusto?» «Non del tutto. Se vuoi andartene, dovrai pagare un riscatto. Lascia Sebastian qui e chiederò ai demoni della nebbia di aprirti un varco attraverso la nebbia. Così potrete andarvene, tu, tua nonna e il cane. La foschia rimarrà fluida fino a che non sarete usciti, parola mia.» «Sebastian... solo lui... nient'altro!» sibilò Peggy. «Sì» ribadì Morgane. «Prendere o lasciare. Se rifiuti, resterai prigioniera qui fino alla fine dei tuoi giorni, e io cercherò in tutti i modi di far innamorare Sebastian di me usando la magia.» Tirò fuori un flaconcino dalla tasca e aggiunse: «Fai in modo di far bere questo elisir a Sebastian: cadrà in un sonno profondo che ti cancellerà dalla sua memoria. Quando si risveglierà, sarà come se non tu non fossi mai esistita. È questo il prezzo della tua libertà.» «Devo rifletterci» mentì Peggy Sue, che cercava di guadagnare tempo. «Non farti illusioni,» ridacchiò la pastorella «la nebbia rimarrà così finché non avrò ordinato ai geni dell'aria di renderla fluida.» Peggy decise che era meglio andarsene, prima di lasciarsi andare a un atto di violenza irreparabile contro Morgane (aveva intenzione, tra le altre
cose, di romperle la testa...). Nonna Katy, Sebastian e il cane blu non erano in grado di comprendere la situazione, quindi Peggy si confidò con Jacquot il Grosso. «Forse Morgane sta bluffando?» azzardò. «La muraglia di nubi senza dubbio si scioglierà da qui a qualche ora.» «Non contarci troppo» considerò il ragazzo. «Morgane è piuttosto forte in questo gioco. Tua nonna avrebbe sicuramente potuto aiutarci, ma è talmente sfinita per il gran ridere che a stento si regge in piedi.» Trascorse un'ora senza che accadesse nulla. La nebbia conservava sempre la solidità della pietra. «Non si potrebbe provare a scalarla?» propose Peggy. «O a scavare un tunnel per passarci sotto?» «Scalarla è impossibile» rispose Jacquot il Grosso «perché arriva in alto fino alle nuvole. Di sotto, è ugualmente impraticabile, il terreno è pieno di enormi rocce. Ti ci vorrebbe un anno per aprirti un varco là in mezzo. No, devi scegliere: o abbandoni il tuo fidanzato e prosegui il tuo viaggio, oppure rinunci a tornare a casa e ti sistemi qui da noi. Quest'ultima scelta non mi dispiacerebbe poi molto, te lo confesso. Potremmo diventare amici, ti pare?» «Non è possibile, devo riportare la legna della Tristezza a Omakaido, altrimenti il drago smetterà di piangere e i signori del veleno trasformeranno tutti in statue.» «La faccenda è molto complicata» sospirò Jacquot il Grosso. Proprio mentre disperavano di riuscire a trovare una soluzione, all'improvviso dal bosco uscì un enorme istrice coperto di cenere e fuliggine. Aveva gli aculei dritti come lance, e avanzava a piccoli passi verso la nebbia. «Per tutti gli dèi!» esclamò il ragazzo. «È la bestia calda! Fino a oggi non era mai uscita dalla foresta! Che viene a fare qui?» Man mano che si avvicinava al muro di bruma, la creatura favolosa accendeva uno a uno i suoi aculei. Presto divenne un'incredibile sfera di luce e calore il cui aspetto ricordava quello di un astro in fusione. «Ho capito!» gridò Jacquot il Grosso. «Viene per te! Ti aprirà un passaggio attraverso la nebbia pietrificata.» Ha ragione! pensò Peggy. È come il cannello di una fiamma ossidrica
che buca la porta blindata di una cassaforte. Nulla può resistere a questo calore! Il porcospino magico affondò nella muraglia come un coltello nel burro. La foschia pietrificata si scioglieva e gocciolava come panna sul fuoco. «Incredibile!» mormorò Jacquot. «Chi l'avrebbe detto che un giorno la bestia calda avrebbe vinto la sua timidezza? È certamente grazie a te, Peggy, ecco perché ora ti viene in aiuto... Vai, salta sul tuo mulo! Appena il tunnel attraverserà la nebbia da una parte all'altra dovrai lanciartici dentro più veloce che puoi. Spero di rivederti, un giorno.» «Anch'io spero di rivederti» sussurrò la ragazza salendo sul cavallo. Quando non uscì più fumo dal passaggio, Peggy capì che l'istrice magico aveva finito di aprire il varco, così spronò il suo mulo. Gli altri cavalli la seguirono, portando Nonna Katy e Sebastian che si reggevano a stento in sella. La galleria scavata dalla bestia calda aveva un forte odore di bruciato, ma Peggy non ebbe il tempo di farci caso. Un quarto d'ora più tardi si ritrovarono tutti sulla pianura. Peggy si voltò per indirizzare un ultimo saluto alla creatura, ma quella, ancora troppo timida, nonostante tutto, si era affrettata a tornare a nascondersi nel tunnel. Così finiva quella strana gita nel paese della Tristezza. Poco a poco, Nonna Katy, Sebastian e il cane blu si ripresero dal loro intontimento. Il mantello dell'anziana signora perse gli ultimi peli e le ultime scintille di magia. Comunque, ci ha reso un gran servigio, pensò Peggy. Senza di lui, mia nonna sarebbe probabilmente morta di stanchezza. Il ritorno a Omakaido si svolse senza altre sorprese, ma nessuno se ne lamentò! 14 Il fumo della Tristezza Appena ebbero oltrepassato la grande porta di Omakaido, Nonna Katy saltò a terra, afferrò le fascine di legna della Tristezza e scomparve. «Eccola di nuovo pronta a rifilarci una delle diaboliche ricette di cui solo lei conosce il segreto» disse il cane blu. Sebastian, invece, sembrava molto annoiato.
«Non mi è rimasto nessun ricordo di quello che è accaduto in questi ultimi giorni,» rifletté «ma ho come l'impressione di essermi comportato male con te.» Peggy ritenne più opportuno non dirgli niente: non voleva che si sentisse colpevole per non averla aiutata. Non vale davvero la pena di dirgli che Morgane si era presa una cotta per lui, pensò La ragazza. Potrebbe renderlo troppo vanitoso. L'indomani mattina, Nonna Katy riapparve, tutta arzilla. «Ecco qua,» annunciò «con le fascine ho fabbricato una polvere della Tristezza che dovrebbe fare il suo effetto. Vi propongo di provarla.» Senza perdere tempo, l'anziana signora si piazzò sotto il muso del drago e accese un fuocherello. Quando le fiamme ebbero preso bene, le cosparse di una polvere verde che provocò un fumo denso. La nuvola avvolse la testa del drago, che cominciò a starnutire. Katy Flanaghan indietreggiò prudentemente e tirò fuori dalla tasca un flacone pieno di confetti gialli. «Prendetene uno ciascuno» ordinò. «Come sapete, il fumo del dispiacere può contagiare anche gli umani. Ho preparato queste pillole con la marmellata nera che ho trovato nella borsa di Peggy.» I ragazzi si affrettarono a stappare il flacone per dividersi le compresse. Nessuno venne dimenticato, neanche il cane blu, che ne reclamò una seconda perché aveva un buon sapore. Quando il fuoco si spense, il fumo si dissipò. «Bene, bene» annuì soddisfatta Katy Flanaghan. «Ora il drago dovrebbe piangere per una settimana buona. Non posso fare di meglio. Se resta per troppo tempo in questo stato, cadrà facilmente in depressione e si lascerà morire.» «Una settimana è già tanto» dichiarò Romo. «Questo ci permetterà di ricostituire le riserve di antidoto. Non so come ringraziarvi. Bisognerebbe farvi una statua.» «Grazie tante» ridacchiò l'anziana signora «ma non ci tengo davvero; da quello che mi ha raccontato mia nipote, ci sono già fin troppe statue in questa città!» L'indomani, il drago cominciò a piangere abbondantemente. Peggy ne fu molto scossa.
«Ha l'aria davvero infelice!» sospirò. «Questa povera bestia non fa una bella vita.» «È vero» convenne il cane blu. «Bisognerebbe trovare il modo di restituirgli la libertà senza che nel frattempo gli abitanti di qui si trasformassero in lupi mannari. Ma come?» Per tre giorni tutto andò per il meglio, poi s'intromise la sfortuna, e le cose si misero male. Si alzò il vento, abbassando verso il suolo il fumo del dispiacere che ristagnava all'altezza delle nuvole. Sebbene diluita dal vento, la polvere magica soffiò sulla città, e molte persone la respirarono a loro insaputa. Il risultato non si fece attendere. Le strade di Omakaido si riempirono di uomini e donne che singhiozzavano senza neanche sapere perché. Piangevano, come non si era mai visto nessuno piangere in tutta la storia delle galassie. Le lacrime scendevano lungo le loro guance con una tale violenza che finivano per cancellare anche le lentiggini e i nei. Ad alcuni si scolorì addirittura la pelle, come un pezzo di stoffa immerso nella candeggina. «È terribile,» mormorò Nonna Katy «non avevo previsto una situazione del genere e non ho abbastanza pillole gialle per tutti.» «Che cosa possiamo fare?» si chiese Peggy. «Niente» rispose sua nonna. «Possiamo soltanto aspettare la fine della settimana, sperando che queste persone non muoiano prima di dispiacere.» «Se almeno Mecanicus potesse far parte delle vittime!» ridacchiò il cane blu. L'epidemia di dispiacere infuriò per quattro giorni. Di notte si sentiva piangere nella maggior parte delle case. Mecanicus tentò di combattere gli effetti del fumo installando a ogni crocevia dei narratori di storie divertenti, incaricati di distrarre la popolazione. Vennero distribuite raccolte di barzellette con la speranza che le risate aiutassero le vittime a superare la loro disperazione. I buffoni e i pubblici intrattenitori lavorarono senza sosta per scrivere commedie esilaranti. «Se la gente piange troppo a lungo» ripeté Nonna Katy «si disidraterà, e finirà per morire di sete. Se diamo loro da bere, piangeranno ancora di più. Non riusciranno a conservare una sola goccia d'acqua in tutto il corpo. Alla fine, diventeranno delle mummie. Spero che non arriveremo fino a questo punto.» Era davvero desolata della piega che stavano prendendo gli avvenimenti,
ma Mecanicus non ce l'aveva con lei. Anzi, si congratulò di persona, perché il drago non aveva mai pianto così tanto. Ben presto sarebbe stato difficile trovare bidoni vuoti! «Mastro Zarc è molto contento di voi, signora» dichiarò il medico-boia. «Avete appena reso un grande servigio alla nostra città. Sarete ricompensata.» Fortunatamente, la fine della settimana arrivò, e l'effetto del fumo magico si dissolse. Le persone smisero improvvisamente di piangere e si asciugarono le guance senza neanche ricordarsi perché si erano improvvisamente sentiti così infelici. Nemmeno durante il peggior dispiacere d'amore erano stati così depressi! «Come potete vedere, ragazzi miei» concluse Nonna Katy «la magia è sempre un'arma a doppio taglio.» 15 La corrida dei giganti Il tuono scoppiò nel silenzio del primo mattino, cogliendo tutti di sorpresa. Sul comodino la candela cominciò a vibrare, e poi esplose sotto l'onda d'urto. Peggy Sue si svegliò di soprassalto in mezzo alle coperte scompigliate. Accanto a lei, il cane blu ebbe un sussulto che gli fece drizzare il pelo. Una nuova esplosione scosse il cielo. I vetri dell'albergo vibrarono su una nota acuta. «Il temporale!» balbettò il cane. «Comincia il temporale! Il drago si risveglierà! Corpo di una salsiccia atomica, lo strillone del tempo non aveva annunciato nulla per oggi!» Peggy si precipitò alla finestra. Anche se grigio, il cielo era privo di nuvole temporalesche. Era veramente assurdo! Si sporse: uno strano odore ristagnava nell'aria. Un odore di polvere bruciata... di esplosione. «Odore di fuochi d'artificio» fiutò il cane blu. «Strano. Sembra il giorno della festa nazionale.» Per le strade, la folla si agitava, in preda al panico. Uomini e donne si spintonavano, le bancarelle volavano in ogni direzione; bambini e venditori venivano calpestati. Peggy cercò i suoi vestiti, se li infilò alla svelta e si precipitò giù per le scale. Si era appena ricordata che, a quell'ora, Sebastian lavorava con Romo ai piedi del drago. Il ragazzo amava il pericolo; stare accanto al grosso rettile lo eccitava, così cercava mille pretesti per
avvicinarglisi. Quando Peggy raggiunse la porta dell'albergo per poco non venne investita da un gruppo di individui dalla faccia stravolta. Afferrò al volo il vestito di un donnone per obbligarlo a fermarsi. «Cosa succede?» le domandò. La grossa signora cominciò a dibattersi. «Il drago!» farfugliò. «Il drago! Si è liberato! Gli anelli della catena si stanno rompendo uno dopo l'altro. I tuoni lo hanno fatto impazzire. Si agita. È la fine! Ora, niente potrà fermarlo, scapperà.» Con tutte e due le mani, spinse via Peggy, che si accasciò nel bel mezzo di una bancarella di verdure. La ragazza ci mise qualche secondo ad assimilare l'informazione; l'odore di polvere nera le bruciava il naso. E poi capì: non c'era nessun temporale! «Qualcuno ha fatto esplodere delle bombe artigianali per spaventare il drago!» disse al cane blu. «È un complotto! Il drago ha confuso lo scoppio delle cariche esplosive con i brontolii del tuono, e si è subito agitato.» «Ma gli ancoraggi?» si meravigliò il cane. «Come hanno fatto a rompersi? Proprio ieri Romo ci ha detto che era tutto a posto.» Peggy lottò contro il fiume di fuggiaschi per raggiungere la grande porta. Dovette fare a gomitate per uscire dalla città. Davanti alle mura, lo spettacolo era terrificante. L'animale agitava freneticamente il corno e si inarcava sulle enormi zampe, calpestando il terreno e facendolo vibrare come la pelle di un tamburo. Quelle scosse per poco non fecero perdere l'equilibrio a Peggy, che rischiò di rotolare nel fango. La donna non aveva mentito. Sei anelli si erano rotti. Quella brusca liberazione incoraggiava il drago a continuare a muoversi. I suoi colpi di reni avevano già piegato gli ultimi tre ancoraggi ancora al loro posto. Un'altra esplosione sollevò un getto di fango e una scarica di pietre che colpirono Peggy in fronte. Questa volta si accasciò a terra, mezza stordita. Ma dov'era Sebastian? Forse la bestia lo aveva schiacciato? La ragazza cercò di respingere con tutte le sue forze la vertigine dello svenimento. Sanguinava. Il cane blu venne a leccarle la ferita. «Non è grave,» le sussurrò «un semplice graffio.» Nell'istante stesso in cui Peggy si rialzava, una fune cedette; la corda bruscamente liberata frustò l'aria con un sibilo minaccioso. Lei ebbe appena il tempo di appiattirsi a terra per non essere decapitata. Il cavo d'acciaio colpì il muro di cinta, aprendovi una profonda crepa. Altri cavi si ruppero,
ciascuno su una nota differente, risuonando come i mille suoni discordanti della canzone della liberazione dell'animale. Ci siamo, pensò Peggy Sue, è la rivolta dei draghi... Strisciò sui gomiti verso il deposito del materiale. Era appena a metà strada quando trovò il corpo inerte di Romo sulla soglia. I sabotatori lo avevano probabilmente colpito prima di andare a piazzare le cariche esplosive. Sebastian giaceva accanto a lui. Peggy lanciò un grido angosciato e si precipitò verso il ragazzo. Era terrorizzata all'idea che qualcuno avesse potuto assassinarlo. «Niente panico,» le intimò il cane blu «è vivo, soltanto... è un po' stordito.» Le vibrazioni provocate dallo scalpiccio del mostro riempirono le strade. Ovunque i vetri andarono in frantumi, le insegne si staccavano per crollare sulla testa dei passanti. Le fortificazioni di torba dei quartieri bassi si sbriciolavano. Diverse crepe si aprivano nelle mura, progredendo come sul ghiaccio di uno stagno gelato. Le urla dei cittadini si erano fuse in un coro terrorizzato. Peggy cercò di trascinare Sebastian verso le mura; ma dovette rinunciare, perché dai merli venivano giù molte pietre. Si rese conto che la folla rifluiva all'interno della città, cercando rifugio dentro le mura. Solo una fune teneva ancora prigioniero il drago, che ruggiva e tirava come se il suo corpo gigantesco avesse all'improvviso deciso di esaurire in pochi minuti tutta l'energia immagazzinata in quegli anni di assopimento! Peggy non aveva la minima idea di cosa fare. A quel punto della catastrofe, qualunque rimedio non era da prendere in considerazione; entro dieci minuti il drago avrebbe spezzato la sua ultima catena, si sarebbe voltato allora verso la nebbia e sarebbe fuggito senza sapere che il Matador lo aspettava, da qualche parte sulla piana, per ucciderlo... e sarebbe stata la fine di Omakaido. Un nuovo scricchiolio annunciò che l'ultimo anello di ancoraggio stava cedendo. Dopo aver affidato Sebastian al cane blu, Peggy corse verso la scuderia che si trovava accanto al magazzino. I cavalli saltavano in preda al terrore. Avevano colpito più volte le pareti, e sui loro mantelli spiccavano parecchie ferite. Peggy ne sellò maldestramente uno e gli balzò in groppa nell'istante stesso in cui l'ultimo anello cedeva. Finalmente libero, il drago girò il corno verso la nebbia dove, da tanti anni, si nascondeva colui che rideva di lui nelle notti di pioggia: il
Matador... Forse aveva deciso di farla finita con quell'assassino misterioso, di vendicare tutti quelli della sua razza che la spada del gigantesco torero aveva folgorato durante i secoli? Ondeggiando con la schiena, il drago cominciò a muoversi a passo di carica. Era una visione da fine del mondo, quella bestia che correva come un toro scatenato. Ogni volta che calpestavano il terreno, le sue zampe scavavano profondi crateri che esplodevano in un fragore assordante. Con il corno basso, teso come uno sperone, squarciava già le prime volute di nebbia. Peggy Sue spronò il cavallo, lanciandosi all'inseguimento del drago. Devo essere pazza!, si disse, ma non voleva abbandonare la partita. Dopo tutto, ne andava della sopravvivenza di Omakaido. Senza fiato, il pony galoppava serpeggiando tra i buchi scavati dal mostro in fuga. L'intera pianura si spaccava, gli alberi esplodevano in una nuvola di schegge di legno. Peggy andava avanti, cercando di controllare la paura del suo cavallino. Ora la bruma li avvolgeva e non si vedeva più un granché. Il Matador si nascondeva da qualche parte in mezzo a quella nube di cotone, spiando la sua preda. La ragazza sgranò gli occhi, cercando di indovinare i contorni di quella figura imponente. Il pony galoppava, schiumando e soffiando. Peggy aveva perso la presa sulle staffe e si teneva con due mani alla criniera. D'un tratto, vide il Matador disegnarsi attraverso la foschia. La pelle grigia, il cranio rasato, gli occhi gialli... aveva un aspetto spaventoso. Non indossava nessun vestito e somigliava a una scultura antica... con l'unica differenza che si muoveva! Oramai, l'incontro era inevitabile. Peggy Sue credette di svenire. Il Matador non le prestò la minima attenzione, perché era concentrato sul drago. D'un tratto agitò la sua cappa rossa. L'ampio mantello svolazzò nel cielo sbattendo forte come il brontolio del tuono. Catturando la luce del sole, per un istante avvolse tutto in una penombra crepuscolare. Con il cuore che le batteva all'impazzata per la paura, la ragazza vide i due avversari fronteggiarsi. Abbassando il corno, il drago puntò al ventre del torero. Il Matador rimase immobile, come paralizzato da quel tornado giunto da Omakaido, da quella montagna di rabbia e di morte spuntata dalla nebbia pronta ad avventarsi su di lui con una sola idea che rimbombava nel suo minuscolo cervello: uccidere!
È un trucco, immaginò Peggy Sue, nasconde la spada dietro la schiena. Poi ci fu lo scontro, e le ombre dei combattenti si confusero come due navi che si speronano nella notte. Risuonò un inquietante scricchiolio; Peggy, incredula, vide il Matador indietreggiare, come se fosse stato appena ferito. Lanciò un grido di sorpresa, contraendo le dita sulla criniera coperta di schiuma del cavallo. Non credeva ai suoi occhi, eppure, davanti a lei, il Matador batteva in ritirata barcollando. Il drago lo aveva incornato! Ha un buco nella pancia! constatò Peggy prima che la nebbia inghiottisse la figura barcollante del gigante. Terrorizzato da quegli avvenimenti, il cavallo si impennò sulle zampe posteriori nitrendo. La ragazza perse l'equilibrio e cadde da cavallo. Tentò di rialzarsi, ma il pony, impazzito, la colpì, scaraventandola di nuovo a terra con una violenza tale che, questa volta, le fece perdere i sensi. Peggy non poté reagire. D'un tratto si sentiva come uno di quei fragilissimi soprammobili in bella mostra sulle mensole. Sprofondò nell'incoscienza. 16 Un cimitero di pietra grigia Quando Peggy riprese conoscenza, una crosta di sangue rappreso era apparsa sulla sua tempia. Aveva un tremendo mal di testa che le pulsava all'altezza della nuca seguendo il ritmo dei battiti del cuore. Il cavallo era scomparso, e si stava facendo notte. La ragazza si rialzò. Nel chiarore del crepuscolo, credette di distinguere i contorni della città attraverso il velo della nebbia. Decise di andare in quella direzione, con la speranza di trovare un riparo per la notte. Non ci teneva davvero a ritrovarsi da sola nella landa quando sarebbero scese le tenebre. Tuttavia, man mano che si avvicinava alla città, si sentiva sempre più inquieta, perché sugli spalti non brillava nessuna torcia. Forse è una città abbandonata, pensò. Sarebbe la mia fortuna! Le sue paure furono confermate quando arrivò davanti alle mura. Dal cammino di ronda non proveniva nessuna luce, nessun rumore. Anche le feritoie erano buie. Non c'è anima viva, pensò. Oppure vanno a dormire tutti davvero di buon'ora! Sopra la grande porta, un'iscrizione incisa nella pietra le rivelò il nome
di quel luogo desolato: Nadhyna. Nadhyna... Nadhyna... questo nome non mi è nuovo, pensò Peggy. Ho letto qualcosa a questo proposito nella biblioteca di Omakaido. Ma sì! Che stupida! È una di quelle città che hanno perso il drago. I suoi abitanti hanno accettato di venire avvelenati per evitare di diventare dei mostri. Non ci abita più nessuno già da molto. È una città fantasma. Oltrepassò la porta d'accesso col batticuore, e s'incamminò per la strada principale. Era disseminata di statue di pietra. Un brivido le corse lungo la schiena. Centinaia di statue di uomini, di donne e di bambini affollavano la via, i corpi sconvolti dalle convulsioni dell'avvelenamento. I loro volti di granito contemplavano il cielo. Le mani, invece, avevano artigliato il terreno, scavando profondi solchi. Le statue erano radunate soprattutto intorno alle fontane, dove l'acqua continuava a gorgogliare nel silenzio delle strade. Non sono vere statue, comprese immediatamente Peggy Sue, si tratta di uomini pietrificati dal veleno versato nelle cisterne! Dunque era questo che accadeva quando una città perdeva il suo drago... La ragazza si immobilizzò, non osando fare un passo di più. Un silenzio opprimente gravava sulla città, turbato solo dei sibili del vento che sferzava le facciate delle case e faceva sbattere le imposte chiuse male. Sul frontone del tempio era stato steso uno striscione. Proclamava: 'Facciamo il nostro dovere di essere umani: restiamo!' Intorno allo ziggurat, il numero delle statue era maggiore. Si erano ammassati a centinaia ai piedi della piramide, le mani tese verso i rubinetti delle fontane sistemati al pianterreno della torre. La gente si era gettata su quell'acqua avvelenata con avidità, per paura della mutazione. Ora le loro statue si ammucchiavano le une sulle altre, come su un campo di battaglia. Era impossibile accedere alla torre senza scalare prima quei monumenti gettati alla rinfusa. Se non riusciremo a recuperare il drago a Omakaido accadrà la stessa cosa, pensò Peggy Sue. Devo ritrovarlo a tutti i costi! Purtroppo, era ormai giunta la notte e non era pensabile attraversare la landa nell'oscurità. Anche qui, a Nadhyna, non sarebbe stata al sicuro finché non avesse trovato un posto dove poter sbarrare porte e finestre. Tentò di lanciare dei richiami, che rimasero senza risposta. Tremando di freddo e di paura, cominciò a esplorare le case sui due lati
della strada. Moriva di sete, ma non osava bere dalle fontane. Chissà se il veleno pietrificante era ancor efficace, anche dopo tanto tempo? Un semplice sorso avrebbe potuto 'pietrificarla'... Non doveva correre questo rischio. Finì per trovare un'abitazione con porta e finestre abbastanza solide. Si chiuse dentro a doppia mandata. Era più prudente. Forse non tutti, a Nadhyna, avevano bevuto l'acqua delle fontane avvelenate; sicuramente c'erano dei ribelli che, per viltà o per convinzione, avevano preferito diventare dei mostri. Peggy era pronta a scommettere che frequentavano le rovine della loro antica città, e non ci teneva davvero a essere la loro cena. Una volta immersa nella penombra della casa, si sedette su una sedia e lasciò vagare lo sguardo tutto intorno. Aveva fame e sete. Avrebbe dato il suo piede sinistro per un bicchiere di limonata. Attraverso le fessure delle imposte vide scendere la notte sulla città fantasma. Non aveva nulla di rassicurante. Avrebbe avuto meno paura, se Sebastian e il cane blu fossero stati con lei. Le mancavano terribilmente. Non si era sentita mai così sola. Quando l'oscurità ebbe avvolto tutta la città, Peggy rimase immobile sulla sua sediolina, trattenendo il respiro. Non osava neanche accendere una candela per paura di rivelare la sua presenza È sciocco, si disse, perché sicuramente i mostri mi hanno già fiutata. Anche se me ne sto al buio, sentiranno la mia presenza. Non ebbe bisogno di tendere l'orecchio per sentire degli scricchiolii tutt'intorno alla casa. Artigli... indovinò. Artigli che raschiano sul marmo delle statue. I mostri sapevano dove si nascondeva. Senza dubbio avevano fame, e avrebbero cercato di catturarla con ogni mezzo. Le cose andarono proprio come aveva previsto. Le bestie spuntate dalle tenebre assediarono in breve la casupola, raschiando la porta e le finestre. Peggy li sentiva schioccare la lingua per l'ingordigia, sentiva l'odore del loro pelo sudicio e delle loro squame melmose. A tratti, i mostri puzzavano come i lupi, in altri momenti sembravano coccodrilli appena usciti da un fiume stagnante. Capì che cercavano di parlarle, ma quelle bocche piene di zanne non consentivano loro di formare correttamente le parole, così finivano per
proferire grugniti incomprensibili che somigliavano a ingiurie o minacce. «Vieni» borbottò una voce meno deformata delle altre «vieni con noi, ragazza. Non ti faremo del male... Vedrai, è divertente trasformarsi... Si possono fare cose incredibili...» Quelle parole scivolavano attraverso le fessure della porta per giungere fino a Peggy, trasportate da un alito dall'odore di carne cruda. La ragazza non faceva che correre da una finestra all'altra per assicurarsi che le imposte resistessero ai continui attacchi delle creature. Per fortuna, erano state rinforzate con sbarre di ferro. Gli assalti proseguirono fino all'alba, così Peggy trascorse una pessima nottata. Quando l'aurora rischiarò il cielo, i mostri batterono in ritirata, scornati. «Hai fatto male» grugnì un'ultima volta la voce della bestia nascosta dietro la porta. «Ci saremmo davvero divertiti insieme. Magari la prossima volta?» 17 Gli ostaggi Quando il sole fu alto nel cielo, Peggy uscì dal suo nascondiglio. Scoprì allora che le porte e i muri della casa erano pieni di graffi profondi. L'odore dei mostri aleggiava ancora nell'aria. Non ho voglia di passare un'altra notte qui, pensò. Potrebbero decidere di scavare un tunnel per introdursi in casa attraverso la cantina. Arrivò sui bastioni e, una volta sul camminamento di ronda, scrutò i dintorni. Sotto le mura, il drago girava in tondo, disorientato dalla fuga del Matador. Senza dubbio non aveva immaginato di vincere così facilmente. Il pony, invece, brucava l'erba non lontano dal mostro. Peggy abbandonò il suo punto d'osservazione e uscì sulla pianura con l'intenzione di recuperare il cavallo. Si avvicinò in punta di piedi e afferrò le redini cercando di non spaventarlo. Il drago vagava masticando senza convinzione le foglie di un boschetto. Basterà aspettare che si addormenti per fissare nuovi ancoraggi ai cavi che ancora sono agganciati alla sua schiena, pensò Peggy. Ci vorranno in tutto più o meno tre ore, se non scoppia nessun temporale. Si sentì prendere da una incredibile emozione. Era quasi certa del suc-
cesso del suo piano. Appena il drago fosse stato sazio, si sarebbe coricato per ruminare. Il pesante letargo in cui era solito sprofondare non avrebbe tardato a offuscargli la mente. Romo e Sebastian allora avrebbero potuto avvicinarsi, afferrare le funi e agganciarle ai nuovi anelli che avrebbero piantato tutto intorno. Al suo risveglio, l'animale si sarebbe ritrovato incatenato e, riconoscendosi vinto, avrebbe rinunciato a ogni nuovo tentativo di evasione. Alla fine, per Omakaido si sarebbe trattato solo di un falso allarme. Peggy salì a cavallo e si mise al trotto. Appena arrivata, voleva andare subito a trovare Zarc per esporgli il suo progetto. L'unico inconveniente con questo sistema, pensò, è che bisognerà venire fin quaggiù per raccogliere le lacrime del drago, ma non è poi così grave. L'importante era agire prima che la bestia si decidesse a spostarsi per la pianura. Se fosse accaduto, bisognava pedinarla; tutto sarebbe diventato più complicato. Peggy spronò il cavallo, ma l'urto ripetuto degli zoccoli le risvegliava dolorose fitte alla testa; dovette rallentare un po' per paura delle vertigini. Alla fine, le mura di Omakaido apparvero nella nebbia. La zona di calpestio vuota e delimitata dai resti dei cavi rotti aveva un aspetto sinistro. Peggy si mise in piedi sulle staffe e lanciò un grido per segnalare la sua presenza. Voleva che le aprissero le porte della città che ora erano chiuse. Nessuno le rispose, e la cosa le parve piuttosto strana. Venne colta da una paura folle. Speriamo che Zarc non abbia versato il veleno nelle fontane! pensò tremando. Sarebbe terribile se le persone avessero già cominciato ad avvelenarsi! «Ehi!» gridò di nuovo alzandosi ancora di più sulle staffe. «Non fate gli sciocchi! Il drago è ancora vivo... È là, dall'altra parte della nebbia. Se ci sbrighiamo potremo catturarlo appena si sarà addormentato... Mi sentite?» Mentre si preparava a spingere il cavallo fino ai piedi delle mura per bussare alla porta, vide un'esile figura che cercava di attirare la sua attenzione: era Isi la strega, in cima a uno sperone roccioso. Con i capelli che volavano al vento, le stava facendo segno con una mano. Peggy si diresse verso di lei. «Cosa succede?» domandò. «Ti prego, dimmi che nessuno sta bevendo l'acqua delle fontane avvelenate...»
Isi scosse la testa, facendo dondolare le sue collane di osso. «No, non ancora,» disse «ma tra poco accadrà. Sono tutti terrorizzati all'idea di diventare dei mostri. Alcuni si sono già radunati ai piedi dello ziggurat per supplicare Zarc di versare il veleno nella grande cisterna. Quando ho visto che ti lanciavi all'inseguimento del drago, ho deciso di aspettare il tuo ritorno. Se deciderai di avvelenarti, ti seguirò... Che cosa è successo al di là della nebbia? Il drago e il Matador si sono uccisi a vicenda?» «No» le rispose Peggy. «Il gigante è scappato. Credo che il drago lo abbia ferito. Non me lo aspettavo, ero convinta che il torero avrebbe ucciso il drago al primo attacco. Ma dove sono Sebastian e il cane blu?» «Sono tutti prigionieri all'interno della città» spiegò l'altra. «Le guardie hanno bloccato la cerchia delle mura. È la procedura in caso di fuga del drago. I signori del veleno non vogliono correre il rischio di lasciar scappare un solo mostro.» «Non bisogna imitare la gente di Nadhyna!» affermò Peggy. «Ho visto le loro statue accatastate per le strade, era orribile. Il nostro drago è vivo, se ci sbrighiamo potremo incatenarlo appena si addormenterà. Devo spiegare il mio piano ai signori del veleno. Poi farmi entrare in città senza passare attraverso l'ingresso principale?» «Sì, conosco un sotterraneo, ma non sono certa che Zarc accetterà di ascoltarti. Non sei che una terrestre per lui, una piccola presuntuosa venuta da un altro mondo. E poi ci sono gli 'Amici delle bestie'... Quei cospiratori che si sono dati tanto da fare per spaventare il drago.» «Hai ragione» si ricordò Peggy. «Hanno fatto saltare le cariche esplosive per far credere al drago che si stava avvicinando il temporale.» «Proprio così» confermò Isi. «Prima di dare inizio a quei fuochi d'artificio, avevano segato i cavi, così bene che si sono rotti appena il drago ha cominciato ad agitarsi.» Peggy Sue impallidì. «Allora è stato un complotto» mormorò. «Forse questi fanatici della trasformazione vogliono approfittarne per uscire dal loro nascondiglio. Se ci sorprendono nei sotterranei, passeremo un brutto quarto d'ora.» Isi le affondò le unghie nel braccio. «È proprio quello che volevo farti capire» disse. «Gli 'Amici delle bestie' vivono nelle cantine di Omakaido; entrando nel tunnel rischiamo di cadere nelle loro grinfie; se ci catturano, ci costringeranno a diventare come loro!» La ragazza si liberò dalla stretta della sua amica.
«Pazienza» commentò. «Io devo entrare nello ziggurat e convincere Zarc a non toccare il veleno. Tutti coloro che amo sono prigionieri di questa città. Non posso abbandonarli.» Isi rabbrividì. «Come vuoi» si arrese. «Ma ricorda: se senti dei grugniti alle tue spalle, corri più veloce che puoi senza voltarti.» Le due ragazze costeggiarono le mura e si diressero verso un cumulo di terra che sembrava una galleria appena scavata. All'altezza del terreno si apriva un buco. «È qui» indicò Isi. «Sei davvero certa di voler tentare il colpo? Allora cammina dietro di me, in silenzio. Non accenderemo nessuna torcia perché la luce segnalerebbe la nostra presenza alle creature. Io sono una strega, vedo bene anche al buio, non dovrai far altro che mettermi una mano sulla spalla e seguirmi passo passo, è chiaro?» Peggy annuì. Imitando la ragazza dai capelli rossi, si appiattì al suolo e la seguì strisciando attraverso l'apertura che dava accesso alle catacombe. Una volta dall'altra parte, si accorse che la galleria si allargava e che si poteva stare in piedi. Mise la mano destra sulla spalla nuda di Isi. «Da questo momento» bisbigliò la strega «abbiamo bisogno di un po' di fortuna. Molta fortuna.» Le due ragazze iniziarono a camminare zigzagando nell'oscurità dei cunicoli. Peggy aveva l'impressione di essere diventata cieca: non riusciva a vedere quello che aveva intorno. Ogni tanto un topo le sfiorava la caviglia lei si sforzava di rimanere calma. «Cerca di non avere paura» sussurrò Isi. «Altrimenti comincerai a sudare, e i mostri percepiranno il tuo odore.» Peggy Sue era convinta di camminare da un secolo quando sentì il primo grugnito. Proveniva da qualche parte sulla sinistra, dietro di lei... Cercò di non tremare, ma intuì che i mostri le stavano pedinando. Contrasse le dita sulla spalla di Isi per attirare la sua attenzione. «Ho sentito» mormorò lei. «Ci stanno seguendo già da un quarto d'ora.» «Perché non ci attaccano?» «Sanno che sono una strega, e questo li spaventa. Però non so per quanto tempo la paura li terrà lontani.» Accelerarono il passo. Le bestie cominciarono a ringhiare. Cercavano di parlare; ma le loro mandibole mostruose gli impedivano di pronunciare correttamente la lingua degli uomini. Il risultato era un terribile suono. «Ehi! Ragazze!» ringhiò una voce nelle tenebre. «Perché correte così veloci? Restate con noi... È divertente essere un mostro... Abbiamo dei pote-
ri... Siamo forti... non abbiamo più paura di niente. Perché allora ostinarsi a rimanere umani? È stupido! Gli umani sono fragili, senza difese. Sono bistecche che camminano...» Né Isi né Peggy risposero. Le parole della creatura invisibile facevano venire loro la pelle d'oca. Tra una parola e l'altra, la bestia faceva stridere le zanne, emettendo spaventosi rumori di deglutizione, come se avesse l'acquolina in bocca. «Divertente essere un mostro...» ripeterono goffamente le altre creature nascoste nel buio. «Troppo divertente...» Isi ora avanzava più veloce, e Peggy faceva fatica a seguirla senza inciampare. «Ora basta!» gridò la giovane strega. «Il primo che si avvicina, lo trasformo in una pecora, così gli altri potranno mangiarlo. Avanti! Chi vuole diventare un bel cosciotto d'agnello? Eh? Chi di voi?» Faceva la spaccona per tenere le creature lontane, ma Peggy indovinò da un certo tremore nella sua voce che stava morendo di paura. Non riusciremo a ingannarli a lungo, pensò. Se non usciamo da questo sotterraneo entro due minuti, siamo perdute. «Siete stati voi a far esplodere le bombe per spaventare il drago, non è vero?» li provocò nella speranza di guadagnare tempo. «Sì» grugnì la voce. «Una volta partito il drago, gli uomini potranno finalmente diventare dei mostri... Rimanere umani è un errore... Venite a stare con noi. Insieme a noi non avrete più paura di niente. Cogliete l'occasione che vi è offerta.» Dall'odore, Peggy intuì che la creatura ora era molto vicina. Stava prendendo coraggio. All'improvviso, sentì delle unghie affilate accarezzarle la guancia. La bestia era là, proprio dietro di lei, e giocava con i suoi capelli, la sfiorava con la punta dei suoi artigli. Per fortuna, Isi azionò la leva che comandava l'apertura del sotterraneo. Una lastra di pietra oscillò su un perno, e un fiotto di luce invase il tunnel. I mostri indietreggiarono grugnendo, accecati dal sole. Le due ragazze ne approfittarono per scappare. Appena furono fuori, Isi richiuse il passaggio. «Abbiamo rischiato di rimanere lì dentro» ansimò. «Non contare su di me un'altra volta.» Peggy aspettò che il suo cuore riprendesse a battere normalmente, poi si diresse verso la piramide di mattoni rossi che s'innalzava al centro della città.
Fu difficile farsi largo tra la folla che si riversava nelle strade. La gente piangeva e si colpiva il petto lamentandosi. Supplicavano Zarc di versare il veleno nella cisterna senza aspettare ancora. Ripetevano e singhiozzavano che non volevano diventare dei mostri. «Che stupidi!» s'infuriò Peggy «basterebbe uscire dalla città per catturare il drago! Come si può essere così sciocchi?» Le sentinelle di guardia all'entrata della piramide riconobbero Peggy ma rifiutarono di lasciar entrare Isi. «Vai!» la incoraggiò la giovane strega. «Ti aspetto qui. Buona fortuna.» Quando varcò la soglia della sala delle udienze, Peggy fu accolta dal cane blu che le corse incontro, subito seguito da Sebastian e Nonna Katy. «Dov'eri finita?» gridarono in coro. «Ti credevamo morta!» Si gettarono su di lei per abbracciarla, ma l'apparizione di Zarc mise fine a quelle effusioni. Il signore di Omakaido aveva l'aria preoccupata. Non cercava neanche di nascondere che riceveva Peggy Sue controvoglia. «Che cosa hai da dirmi che io non sappia già, piccola terrestre?» sospirò con aria stanca. «Ho dovuto interrompere la mia meditazione per incontrarti, spero di non pentirmene. Devo prepararmi a morire. È giunta l'ora di versare il veleno nelle fontane. Non senti la folla che si lamenta sotto le nostre finestre? Hanno tutti fretta di farla finita. Soltanto la pietrificazione ci proteggerà dalla mostruosità: è giunto il momento di diventare delle statue.» «No» protestò Peggy. «State facendo un errore. Il drago non è morto. Si può facilmente recuperare.» Raccontò nel dettaglio le sue avventure a Nadhyna. Zarc l'ascoltò con attenzione, e lei cercò in tutti i modi di convincerlo, insistendo sul fatto che sarebbe stato facile incatenare il drago mentre dormiva perché non sembrava che avesse intenzione di fuggire. «Ecco perché vi supplico di non versare il veleno nella cisterna» concluse. «Dateci una possibilità.» «E va bene» sospirò Zarc. «Ti concedo una settimana per catturare il drago e riorganizzare le riserve di lacrime. Puoi lasciare la città con Sebastian, Romo e il cane... ma tua nonna rimarrà qui, in ostaggio. Se entro una settimana non avrai ricondotto il drago sotto le nostre mura, dovrà bere anche lei il veleno, come tutti noi.» «Non potete farlo!» protestò Peggy. «Sì invece,» sentenziò Mastro Zarc «perché io sono il signore di Oma-
kaido. Prendere o lasciare. Nonna Katy resterà rinchiusa nella piramide, in mia compagnia. Se tra sette giorni non sarai tornata, dividerò con lei la mia coppa di veleno.» «Non ti preoccupare» mormorò Nonna Katy stringendo forte la mano di sua nipote «non ho paura, ho fiducia in te. So che riuscirai.» Peggy non riuscì a trattenere le lacrime. Dentro di sé, si malediceva per aver trascinato sua nonna in quella avventura sconsiderata. 18 Alla ricerca del drago «Porterete ciascuno una fiaschetta contenente abbastanza lacrime per rimanere umani per sette giorni» decise Mastro Zarc. «In attesa del vostro ritorno, Omakaido sopravvivrà con le scorte rimaste, ma non basteranno per più di una settimana, così all'alba dell'ottavo giorno dovrò versare il veleno nella cisterna. È tutto chiaro?» I ragazzi annuirono. Nonna Katy si fece allora avanti per dare a sua nipote un oggetto di sua invenzione. Era un cerchio d'argento, al centro del quale era incisa una freccia. Era così piccolo da stare nel palmo di una mano. «Si chiama 'incantesimo direzionale'» spiegò. «Basterà che tu lo metta sulla testa del drago e orienti la freccia nella direzione che vuoi che prenda. Se tutto va per il verso giusto, il drago dovrebbe obbedire. Questo oggetto ti permetterà di controllare la sua corsa come il volante di una macchina. Mi raccomando, non lo perdere: è l'unico mezzo che hai per ricondurlo qui.» Peggy si legò l'oggetto magico al collo, appeso a un laccetto di cuoio. Ormai tutto era stato detto, dovevano solo incamminarsi senza perdere altro tempo. Ogni istante era prezioso. Caricarono le bisacce di acqua e di cibo secco. Isi aveva deciso di unirsi a loro. «Non voglio restare qui a mangiarmi le unghie aspettando di tramutarmi in un mostro» dichiarò. «Preferisco aiutarvi.» «Tutto dovrà svolgersi rapidamente» stabilì Peggy. «Una volta a Nadhyna, mi arrampicherò sulla schiena del drago e gli metterò la freccia d'argento sulla testa, orientandola in direzione di Omakaido, così sarà costretto a ritornare qui.»
«Messa così sembra semplice» mormorò la ragazza dai capelli rossi. Decisi a farla finita il prima possibile, voltarono le spalle alle mura di Omakaido e spronarono i cavalli. Ma una brutta sorpresa li attendeva a Nadhyna: il drago era sparito. «Che sfortuna!» esclamò Sebastian. «Se l'è svignata! Perché non se n'è rimasto tranquillamente qui, a brucare l'erba?» «Forse si è lanciato all'inseguimento del Matador» suggerì Peggy. Isi fece un passo avanti. Aveva approfittato della sosta per esplorare i dintorni della città. Il suo pallore allarmò Peggy. «Ho visto delle ombre dietro l'angolo!» balbettò. «Qualcosa che strisciava lungo i muri... una creatura non umana. Dobbiamo andarcene.» Romo si agitò, a disagio. «Ha ragione,» approvò «queste rovine sono infestate dai mutanti. Tutti i ribelli che si sono rifiutati di bere il veleno delle fontane si nascondono qui per spiare i viaggiatori che si sono smarriti. È così che si nutrono.» Voltarono all'unisono la testa verso la porta principale. Il cielo si era coperto. In quell'oscurità che preannunciava il temporale, la città deserta assumeva un aspetto sinistro. Tesero l'orecchio, aspettando impazienti di sentire dei passi. «Certo non viene voglia di andarsene in giro a curiosare!» proclamò il cane blu. «Eppure avrei tanto voluto vedere le loro teste almeno una volta...» «Riesci a sentire il loro odore?» domandò Peggy. «Sì,» annuì l'animale «è più puzzolente dei piedi di Sebastian, ed è tutto dire.» Quasi si fossero messi d'accordo, indietreggiarono con la sensazione inesplicabile che la porta della città si stava trasformando in una gigantesca bocca pronta a divorarli. Una strana forza, forse nata dalla loro immaginazione, sembrava avvolgere il muro. Era un labirinto popolato da statue grigie e... da altre cose. Uno dei cavalli si impennò, lanciando un nitrito. «Tagliamo la corda!» decise Isi. «Questo posto non fa per noi!» Saltarono in sella e incitarono i cavalli, ma le bestie che aveva prestato loro Zarc davano ormai segni di cedimento, i loro zoccoli inciampavano per la strada. Omakaido e Nadhyna erano sparite dietro di loro, cancellate dalla nebbia. Priva di punti di riferimento, Peggy si sentiva smarrita, trasportata come una foglia morta dall'acqua di un torrente. La mancanza di visibilità
rendeva l'atmosfera ancora più minacciosa. «Ci sono delle tracce per terra» fece notare il cane blu. «Guardate qui: sono piedi umani... ma giganti!» «Sono quelli del Matador» mormorò Peggy. «È qui che lui e il drago si sono affrontati.» «Probabilmente è stato ferito,» rifletté il cane «camminava a zigzag. Forse lo troveremo morto stecchito da qualche parte.» 19 I Piedi cotti Sentendo di essere seguito, il drago accelerò il passo e si addentrò nella nebbia. Peggy Sue e i suoi amici furono costretti a seguire le sue orme e a spiare il rumore dei suoi passi attutito dalla nebbia. Dopo una giornata passata a procedere alla cieca, attraverso la coltre di nebbia intravidero delle strane luci. La foschia risplendeva come se fosse percorsa dalle fiamme, mentre un odore di zolfo appestava l'aria. «Per tutti gli dèi!» esclamò Romo. «Siamo appena entrati nella zona dei vulcani.» «Sì, siamo proprio nel territorio dei Piedi cotti» completò Isi. «I Piedi cotti?» ripeté stupito Sebastian. «È forse uno scherzo?» «No» mormorò Romo. «Si tratta di una comunità extraterrestre che si è installata su Zantora. Non sono molto numerosi, ma hanno delle usanze davvero bizzarre.» «Per esempio?» si incuriosì Peggy. «Non hanno bisogno dell'antidoto perché sono naturalmente mostruosi» bisbigliò il grosso uomo. «Voglio avvertirvi: sono veramente fuori di testa. Ve ne renderete conto tra poco.» «Vengono da un mondo coperto di ghiaccio, dove il sole si è estinto» spiegò Isi guardandosi nervosamente alle spalle. «Sul loro pianeta morivano di freddo, così hanno cercato rifugio su Zantora, vicino a un vulcano ancora attivo. Hanno un incredibile bisogno di calore per sopravvivere. Sono degli extraterrestri molto freddolosi.» «Sono malvagi?» si preoccupò Peggy Sue. «No, non del tutto» sussurrò Isi. «Comunque è sempre meglio stare in guardia. La loro morale è molto diversa dalla nostra.» Non ebbe il tempo di aggiungere altro, poiché uno strano personaggio era già sbucato da dietro una roccia. Sembrava un diavoletto dalla pelle
gommosa. Non indossava alcun vestito; aveva la pelle rosa scuro al di sopra dell'ombelico e rosso vivo al di sotto. Aveva una sacca sulla pancia, come quella dei canguri. Due corna simili a quelle di una lumaca gli spuntavano sulla testa, e i piedi tozzi, schiacciati, somigliavano a cosciotti troppo cotti. «È a forza di camminare sul suolo rovente» bisbigliò Isi. «La pianta dei loro piedi diventa più insensibile della pelle di un rinoceronte. Ecco perché vengono chiamati i Piedi cotti.» «Salve, nobili stranieri!» gridò quel buffo ometto muovendo le antenne. «Io sono Chmzzwl, responsabile del comitato d'accoglienza. Il mio ruolo consiste nel mettervi in guardia contro i pericoli che sono in agguato su questo territorio. Se desiderate restare in vita, è vostro interesse ascoltarmi.» Sorrideva. La bocca, enorme, rivelava un numero incredibile di denti aguzzi. I grossi occhi rotondi sembravano quelli di un orsacchiotto di peluche, ma Peggy decise comunque di essere cauta. Il diavoletto, alto come un bambino di dieci anni, le dava l'impressione di uno squalo che voleva far credere di essere addomesticato. «Salve a te,» gli rispose Peggy «stiamo cercando il drago. Vogliamo solo attraversare il vostro villaggio. Non è nelle nostre intenzioni darvi fastidio.» Chmzzwl scoppiò in una risatina stridula e agitò gioiosamente le mani. «Non ci infastidite affatto,» le assicurò «ci piacciono molto gli stranieri. Hanno un gusto particolare.» Peggy aggrottò la fronte, certa di aver capito male. «Vuoi dire che le loro usanze sono diverse dalle vostre?» suggerì. «No, no» insiste Chmzzwl «il loro gusto... il loro sapore. Quando li mangiamo.» La ragazza fece un passo indietro. «Vuoi dire che siete... cannibali?» balbettò. «No, no,» disse il diavoletto senza smettere di sorridere «ma siccome normalmente gli stranieri non rispettano le nostre regole di sicurezza, finiscono per cuocere durante il sonno. E poiché sarebbe stupido sprecare tutta quella buona carne, noi la mangiamo.» «Cuociono durante il sonno?» ripeté Peggy Sue. «Sì, sì,» disse Chmzzwl ridacchiando «vi divertirete, è una delle particolarità di questo posto. Gli umani come voi sono incapaci di adattarsi. Fa troppo caldo. Se commettono l'errore di coricarsi per terra, cuociono a fuo-
co lento, senza neanche rendersene conto, perché qui le bruciature sono indolori. Si può arrostire senza soffrire. Gli stranieri tendono a dimenticarlo, e lo pagano con la vita. Allora noi li mangiamo, ecco tutto. Non ci piace sprecare nulla.» Avvicinandosi a Peggy, le pizzicò delicatamente i muscoli, come per assicurarsi della qualità della sua carne. La ragazza indietreggiò. Chmzzwl sorrise ancora di più, facendo scintillare una sessantina di zanne incredibilmente bianche. «Innanzitutto» cominciò «vi darò delle pillole speciali che vi permetteranno di sopportare il calore del vulcano senza svenire e vi proteggeranno dalle ustioni. Qui il vento è molto caldo. Ve ne renderete presto conto. Molto, molto caldo... senza le pillole, cuocerete camminando.» Affondando la mano nella tasca che aveva sulla pancia, tirò fuori un tubetto metallico che consegnò a Peggy. «Prendete una compressa appena sentite che vi bruciano le orecchie» raccomandò. «Questa medicina raddoppierà la vostra resistenza al calore. Senza, sarete presto ricoperti di bolle e i vostri capelli prenderanno fuoco come la paglia. Per gente come voi, questo può rivelarsi imbarazzante.» Peggy aprì il tubo. Conteneva delle grosse pasticche rosse. Esitò. «E se fosse una trappola?» le mormorò mentalmente il cane blu. «Immagina che si tratti di un sonnifero! Noi lo prendiamo, ci addormentiamo, e questo stravagante ometto ne approfitta per mangiarci...» Messa così, la faccenda non era molto rassicurante. «Lasciatele sciogliere sulla lingua» consigliò Chmzzwl «sono profumate al peperoncino, molto buono. I nostri bambini vanno pazzi per questo sapore. Da noi, tutte le caramelle sono profumate al pepe, alla mostarda o al peperoncino.» Peggy non sapeva che fare. Avrebbe volentieri rifiutato l'offerta del diavoletto, ma cominciava a sentire molto caldo. Il suolo era così rovente che le piante dei piedi cominciavano a bruciarle attraverso le suole delle scarpe; quanto alle sue guance, stavano diventando di un bel colore violetto. Mi sento come se avessi quaranta di febbre! pensò posandosi una pasticca sulla lingua. Da principio pensò di aver ingoiato una cucchiaiata di mostarda forte e per poco non si mise a urlare, poi la sensazione di bruciore si attenuò, e lei si sentì molto meglio. Rassicurati, i suoi amici la imitarono. Convincere i cavalli fu più difficile. Le bestie non apprezzavano affatto il 'sapore' delle famose pasticche e,
per cinque minuti, dovettero trattenerli con forza per le redini per impedirgli galoppare alla cieca. Dopo un momento di grande confusione, la situazione tornò alla normalità. «Bene, bene» annuì soddisfatto Chmzzwl. «Ora che tutti sono protetti, cominceremo la visita di Vulcanoville: è così che si chiama il nostro grazioso villaggio.» Peggy Sue e suoi amici furono costretti a seguirlo. Il territorio dei vulcani era solcato da profonde crepe, da cui proveniva una luce rossastra. Sporgendosi al di sopra delle fessure, la ragazza vide la lava colare in un sotterraneo. «Ora capite perché fa così caldo qui?» disse il diavoletto. «Il magma16 percorre tutto il sottosuolo, scorre ovunque sotto i nostri piedi, come un fiume nascosto. Più ci si avvicina al vulcano, più la temperatura si alza. Questo va bene per noi perché siamo una razza freddolosa. Lontano dal fuoco, moriamo di freddo.» Peggy esaminò il paesaggio senza rispondere. All'improvviso, venne avvolta dal fumo. I suoi vestiti stavano prendendo fuoco! Si affrettò a strapparseli di dosso. Dovette levarsi tutto, anche le scarpe! I suoi amici furono costretti fare lo stesso. Leggermente imbarazzati, si ritrovarono completamente nudi davanti a Chmzzwl che, invece, si divertiva un mondo. «Vedete?» esultò. «Se non aveste preso le compresse, avreste fatto la stessa fine dei vostri abiti. Questo accade ad alcuni umani testardi che si ostinano ad attraversare il nostro territorio vulcanico senza osservare le precauzioni del caso. In genere li ritroviamo trasformati in statue di carbone, immangiabili. Da questa parte, ho quello che fa per voi.» Facendo loro cenno con una mano, invitò i suoi ospiti a seguirlo fino a una bizzarra casetta di ferro. «Non abbiate paura» li esortò «è il guardaroba degli stranieri. Qui teniamo qualcosa per vestirli.» «Avete abiti che resistono al fuoco?» chiese incredulo Sebastian. «Sì» dichiarò il diavoletto «lavoriamo i maglioni con un filo di ferro particolarmente flessibile e abbiamo anche un assortimento di graziosi vestiti in cotta di maglia. E anche pantaloni in lamiera snodata.» Curiosa, Peggy varcò la soglia della baracca. Le sembrò di entrare in una boutique per cavalieri medievali. I vestiti ammucchiati sugli scaffali ricordavano le armature! Chmzzwl si sentì in dovere di vestirli lui stesso. Si comportava come un
venditore in un negozio di moda e regalava loro parecchi complimenti. Peggy si ritrovò impacchettata in un vestito di cotta di maglia che le arrivava fino ai piedi. Chmzzwl le consigliò di infilare un paio di scarpe di ferro snodato, se non voleva ustionarsi la pianta dei piedi al contatto col suolo rovente. «Se non prendi delle precauzioni, avrai anche tu i piedi cotti» scherzò. «E non te ne sbarazzerai più.» Appena furono tutti pronti, la visita riprese. Il villaggio dei Piedi cotti era composto da case di ferro radunate intorno al vulcano. Peggy notò che ogni oggetto era d'acciaio. Ne ebbe la conferma scoprendo, seduta su una panchina di ferro, una diavoletta occupata a leggere un libro le cui pagine erano costituite da sottili lastre metalliche sulle quali il testo era inciso come un'iscrizione su una medaglia. «Che buffo mondo!» proclamò Sebastian. «Non mi sento affatto sicuro.» «Sono d'accordo con te» aggiunse il cane blu «non sono certo che ci si possa fidare di questo ometto cornuto.» «Ed ecco il vostro drago!» annunciò all'improvviso Chmzzwl. «Non l'avete perso.» Il drago in effetti se ne stava coricato ai piedi del vulcano come un grosso gatto accanto a un termosifone. Ogni tanto metteva il muso in una crepa del terreno e beveva una sorsata di lava. «Ehi!» gridò il cane blu «beve il magma fuso... è tutto suonato!» «I draghi lo fanno sempre» dichiarò Chmzzwl. «La lava è per loro come le vitamine, li rimette in forze, gli dà energia. Un tempo, venivano spesso qui, ma da quando gli umani li tengono imprigionati alle porte delle città, la loro razza si sta indebolendo, manca di una buona alimentazione. Vi confesso che anch'io ogni tanto bevo un sorso di lava. Mi rimette in forma! Dopo, si fanno scintille!» «Quando si rimetterà in cammino il drago?» chiese Peggy. Chmzzwl scrollò le spalle. «Non ne ho la minima idea» confessò. «Quando si sentirà in perfetta forma, suppongo. Intanto, non vi consiglio di avvicinarvi. I draghi detestano essere disturbati quando sorseggiano la lava. Sputerebbe un getto di fiamme così potente da incenerirvi sul posto.» «Non ho mai visto un drago sputare fuoco» mormorò Romo. «Generalmente non lo fanno» ammise il diavoletto «succede solo duran-
te la digestione della lava, a causa dei gas infiammabili che si sprigionano nello stomaco, e che li fanno ruttare. A contatto con l'ossigeno contenuto nell'atmosfera, questi gas si tramutano in lingue di fuoco.» «Insomma, quanto ci vorrà?» insisté Peggy Sue. «Non lo so» ripeté Chmzzwl. «Nel frattempo, vi presteremo una casetta. Così potrete sorvegliare la vostra bestiola. Se avete bisogno di qualcosa, non esitate a domandarmela. Mi raccomando, ricordatevi di prendere le vostre pasticche e soprattutto non dormite mai sulla nuda terra se non volete cuocere a fuoco lento durante il sonno.» Peggy era molto contrariata. Non aveva previsto quel contrattempo. Con la sua solita ingenuità, aveva immaginato di ricondurre il drago a Omakaido in giornata. Evidentemente, invece, ci sarebbe voluto molto più tempo. Sempre gentilissimo e pieno di entusiasmo, Chmzzwl aprì loro la porta di una specie di chalet di metallo incrostato di fuliggine, e che puzzava di fumo. Lungo le pareti erano stati sistemati alcuni letti a castello. Tutti gli oggetti che si trovavano lì - tavoli, sedie, libri e riviste - erano d'acciaio. «Dormite in alto» ripeté Chmzzwl. «Mai per terra. Non lasciatevi sorprendere dal sonno. Al primo sbadiglio, correte a sdraiarvi su uno dei letti a castello. Non sedetevi sul pavimento. So che vi sembro pazzo, ma gli umani non ascoltano mai ciò che gli viene detto. Sarei desolato di ritrovarvi, domani, cotti a puntino... Certo, vi mangerei con piacere, ma gradirei lo stesso che ciò non accadesse.» Con queste parole confortanti, si congedò. Mentre usciva, aggiunse: «Non fidatevi troppo delle pillole, sono molto utili ma purtroppo tendono a provocare un leggero torpore.» Con un ultimo sorriso, si allontanò saltellando come un folletto malizioso. «Che ne facciamo dei cavalli?» domandò Romo. «I cavalli hanno l'abitudine di dormire in piedi» fece notare Sebastian. «Non corriamo certo il rischio che si allontanino.» «Il problema sarà fargli ingoiare un'altra compressa prima che le criniere prendano fuoco» borbottò Isi. «Dovremo tenere gli occhi aperti.» Visto che erano tutti stanchi per la lunga cavalcata, decisero di coricarsi. Peggy Sue si sistemò sulla veranda, in una sedia a dondolo, per montare di
guardia. Per ingannare l'attesa aveva portato uno dei libri metallici che aveva trovato in casa, ma rinunciò presto a leggerlo perché non ci capiva niente. I Piedi cotti sembravano dotati di un senso dell'umorismo piuttosto bizzarro; quanto alla storia, era appassionante quanto un manuale di matematica. Peggy, vinta dalla stanchezza, chiuse gli occhi. Le palpebre non le erano mai sembrate così pesanti! Avrebbe voluto tirarsi su, ma il suo corpo non rispondeva più agli ordini del cervello. Si lasciò scivolare in un dolce tepore. Come stava bene! Lasciò andare il libro le cui pagine si richiusero scricchiolando. Due minuti più tardi dormiva. Cominciò a sognare... Sognò che Chmzzwl sbucava da dietro una roccia vulcanica in punta di piedi. Non sorrideva più, e due di suoi simili lo accompagnavano. I tre diavoletti si avvicinavano alla veranda prestando attenzione a non fare rumore, poi, con gesti estremamente delicati, sollevavano Peggy dalla sedia a dondolo e la stendevano per terra, davanti casa. Dopo di che ripartivano di soppiatto. È solo un sogno, si disse la ragazza. Neanche un incubo, soltanto un sogno un po' sciocco. In realtà non sono coricata per terra, sono sprofondata tra i braccioli di una poltrona di ferro. Non rischio di cuocere durante il sonno. Sono al sicuro... al sicuro. Malgrado tutto, le sarebbe piaciuto risvegliarsi. Ma le pasticche rosse la tenevano prigioniera del sonno. Stava per rinunciare quando un dolore acuto al polpaccio destro la strappò al sonno. Aprì gli occhi e scoprì che era davvero distesa nella polvere, non lontano da un crepaccio dove ribolliva la lava, e che il cane blu le mordeva una gamba guaendo. «Corpo di una salsiccia atomica!» gridò il piccolo animale. «Svegliati, marmotta! Stai per arrostire! Come ti è venuto in mente di alzarti dalla sedia? Sei sonnambula, per caso?» Peggy si rialzò, confusa. Il suo primo istinto fu di esaminarsi le braccia. Erano un po' rosse, sì, ma non ancora cotte. Tirò un sospiro di sollievo. «Perché eri distesa per terra?» ripeté il cane blu. «Se il mio istinto non mi avesse avvertito del pericolo, a quest'ora saresti una coscia di pollo ben arrostita.»
Peggy aggrottò la fronte. «Io non mi sono alzata» mormorò. «Credo piuttosto che qualcuno abbia cercato di uccidermi.» Raccontò il suo sogno al cane. «Pensi che non si trattasse di un sogno?» le chiese il cane blu. «Qualcosa del genere» sussurrò la ragazza. «Ero mezza addormentata per colpa delle pasticche rosse, e ho scambiato la realtà per un sogno. Chmzzwl e i suoi amici hanno realmente tentato di assassinarmi. Quando vi sareste svegliati, mi avreste trovata cotta al punto giusto, e lui mi avrebbe mangiata.» «Non mi meraviglierei che facessero lo stesso con tutti gli umani che passano di qui...» rifletté il cane blu. «Andiamo ad avvertire gli altri.» Ma gli 'altri' dormivano profondamente, vittime anche loro dell'effetto soporifero delle compresse cortesemente offerte da Chmzzwl. «Dobbiamo tenere gli occhi ben aperti» sospirò Peggy. «Fino a quando il drago non si sarà rimesso in cammino, saremo in pericolo. Chmzzwl e i suoi amici sono degli orchi. Orchi sorridenti, ma pur sempre orchi.» Quando Isi, Sebastian e Romo finalmente si svegliarono, Peggy si affrettò a informarli di quello che per poco non le era capitato. «Dovremo istituire dei turni di guardia» concluse. «Non ci si può fidare di Chmzzwl. Non credo che cercherà davvero di assassinarci, ma farà in modo che uno sfortunato 'incidente' ci trasformi in succulenti arrosti gli uni dopo gli altri. È così che procede. Le compresse ci impediscono di bruciare vivi, è vero, ma hanno degli effetti soporiferi non trascurabili.» «Cerchiamo di prenderle il meno possibile» propose Sebastian. «Così diminuiremo il rischio di addormentarci.» «D'accordo» accettò Peggy. «È deciso, aspetteremo l'ultimo minuto. Con un po' di fortuna il drago si metterà in cammino tra poco. Non si ingozzerà mica di lava fino a farsi scoppiare la pancia!» Peggy Sue fu piuttosto agitata per tutto il giorno. Il nervosismo aveva il risvolto positivo di scacciare la fatica e in più le impediva di addormentarsi. Il drago non si era mosso. Accoccolato ai piedi del vulcano, faceva la siesta. Piccole fiammelle crepitavano attorno alle sue narici ogni volta che respirava. «So perché si comporta così» dichiarò la ragazza. «Si rimette in forze
perché vuole affrontare il Matador. Credo che partendo da qui si lancerà al suo inseguimento per raggiungerlo. Non possiamo lasciarlo fare, ci porterebbe troppo lontano da Omakaido. Appena sarà uscito dal territorio dei vulcani, dovremo arrampicarci sulla sua schiena per costringerlo a tornare sui suoi passi.» Nel dire così, toccò la freccia magica che aveva al collo. «Basterà mettergliela sulla testa e il gioco sarà fatto» completò il cane blu. «Nonna Katy l'ha creata per questo scopo. Dovrebbe funzionare.» Visto che si annoiava molto, Peggy decise di esplorare il villaggio di ferro. Non tardò a imbattersi in Chmzzwl, che la salutò con un gran sorriso. Portava una pentola di metallo lucente sotto il braccio. «Vuoi accompagnarmi?» propose. «Devo raccogliere un po' di lava dal fondo di un crepaccio.» «E perché?» domandò Peggy Sue, poco loquace. «Per riempire i bollitori» spiegò il diavoletto. «Non fa caldo, in questo momento. Così usiamo dei bollitori pieni di lava per riscaldare i nostri letti.» «Sono bollitori di ferro, naturalmente?» «Naturalmente.» Temendo di offendere il suo ospite, Peggy non osò rifiutare la sua proposta, ma non si sentiva tranquilla. E se fosse un trucco per spingermi nel crepaccio? si chiese. Immaginava benissimo Chmzzwl che la faceva rosolare in quella lava ribollente finché non fosse divenuta croccante come piaceva a lui. Si ripromise di stare attenta. Il diavoletto si appostò sul bordo di un crepaccio e cominciò a calarvi la sua pentola appesa a una catena. Un odore di lana bruciata salì d'un tratto al naso di Peggy. Si rese conto allora che la pelliccia del cane blu cominciava a prendere fuoco come un panno dimenticato sotto il ferro da stiro. Usciva anche del fumo! «Il tuo pelo!» gridò la ragazza all'animale. «I tuoi capelli!» replicò lui. Peggy si portò una mano alla testa. Alcune scintille si levavano dalle sue ciocche. Effettivamente i suoi capelli stavano prendendo fuoco. «Le pasticche, presto!» gridò Chmzzwl. «Prendetele subito, o arrostirete vivi.» Peggy non poteva far finta di ignorare le medicine dei Piedi cotti. Aprì il
tubetto e ingoiò una compressa. Il cane blu fece lo stesso. «E i vostri amici?» si preoccupò Chmzzwl. «Ho lasciato loro metà delle pasticche» rispose la ragazza ancora spaventata. «Non avreste dovuto aspettare così tanto,» la rimproverò il diavoletto «è stato imprudente. Per noi fa appena caldo, ma come hai detto tu stessa, il corpo umano è incapace di sopportare un calore come questo senza consumarsi.» Tirò su la pentola con l'acquolina in bocca. Peggy si domandò che cosa sarebbe accaduto se quello strano demonietto l'avesse improvvisamente spruzzata di magma... Si allontanò con cautela. Non riusciva proprio a fidarsi di lui. «Avete davvero bisogno dei bollitori?» domandò. «Sì» confermò Chmzzwl. «Ho avuto i brividi per tutta la notte. In questo periodo dell'anno, il vulcano tende ad addormentarsi. Non riscalda più a pieno regime. Non vorrei davvero raffreddarmi, l'influenza per i Piedi cotti è una malattia davvero insopportabile.» Peggy avrebbe voluto saperne di più, ma Chmzzwl non si degnò di dare altre spiegazioni. Mentre ritornavano verso il villaggio, la ragazza notò degli strani alberi metallici che s'innalzavano sulla pianura, le cui foglie taglienti come coltelli stormivano al vento. Cogliendo il suo sguardo, Chmzzwl disse: «Non servono a niente, sono solo decorativi. Senza di loro la pianura sarebbe troppo spoglia. Abbiamo anche delle mucche.» «Delle mucche?» «Sì, abbiamo notato che gli umani amano molto le mucche, allora le abbiamo fabbricate. Ce n'è giusto una mandria dietro quelle rocce, vuoi vederle?» Peggy annuì. Chmzzwl la condusse vicino un recinto dove alcune vacche d'acciaio solidamente piantate a terra 'aspettavano' non si sa cosa. «A che servono?» domandò la ragazza. «Sono vuote all'interno» spiegò gentilmente il diavoletto. «Da un lato si versa il latte, dall'altro il caffè. Siccome vengono riscaldate dalla lava del sottosuolo, si ha sempre a disposizione una riserva di bevande bollenti.
Vedi le loro mammelle di ferro? Funzionano come rubinetti. Non bisogna far altro che servirsene. Le tazze si trovano dentro il muso. Vuoi assaggiare?» «No, grazie» disse Peggy Sue. «Non ho bisogno di riscaldarmi.» «Io sì invece» sospirò Chmzzwl. «Fa fresco stamattina! Spero solo di non essermi preso l'influenza.» Sembrava contrariato. Quando Peggy gli domandò da dove provenisse il latte di quegli strani distributori, rispose che quando i Piedi cotti erano emigrati si erano portati dietro anche i loro animali domestici. Il latte veniva prodotto da grosse lumache, chiamate Kmmlllrrr, che erano tenute rinchiuse in grosse stalle perché avevano paura degli esseri umani. Ansioso di riempire il suo bollitore, lasciò lì Peggy Sue e scomparve dietro l'angolo di una strada. «Che omaccione!» disse il cane blu. «Siamo nel bel mezzo di una fornace e lui batte i denti come se fosse inverno.» «Rientriamo,» decise la ragazza «siamo troppo lontani dagli altri. Potrebbe attaccarci chiunque.» Col passare delle ore, Peggy dovette ammettere che la cura della lava giovava molto al drago. Quando viveva incatenato alle porte di Omakaido aveva l'aria di un grosso bovino mezzo addormentato. Qui, invece, le sue squame avevano un nuovo splendore, il corno e gli artigli sembravano più robusti. Era passato dallo stadio di enorme ruminante a quello di un animale leggendario dal profilo inquietante. Vuole andare fino in fondo alla sua ribellione, pensò. E questo implica inseguire il Matador per la resa dei conti. Se non lo riportiamo presto a Omakaido, rischiamo di assistere a una bella battaglia. Mentre rifletteva su tutto ciò, per le strade della città cominciarono a echeggiare sonori starnuti. «Ci siamo,» commentò il cane blu «l'influenza si sta propagando.» Improvvisamente, un diavoletto che passava lì vicino lanciò uno spaventoso 'etciù'. Due getti di fiamme spuntarono delle sue narici! Peggy fece un salto all'indietro. Chmzzwl si precipitò verso di lei. «È così che noi starnutiamo» spiegò, mogio mogio. «Il fuoco ci esce dal naso. E quando ci mettiamo a tossire, nel nostro petto si verificano delle esplosioni. Se la malattia peggiora, esplodono come bombe. L'influenza è
una malattia che può essere mortale per i Piedi cotti. Vi consiglio di non rimanere per strada, la gente diventa davvero di pessimo umore. Del resto, credo di stare anch'io per ammalarmi. Dovrete cavarvela da soli. Appena avrete preso l'ultima pasticca protettrice, scappate dal territorio dei vulcani, altrimenti prenderete fuoco.» «Stavo proprio per dirti che un altro tubetto di compresse ci servirebbe proprio» intervenne Peggy «perché le abbiamo quasi finite.» «Mi dispiace,» borbottò Chmzzwl «ma non ne ho più da parte, e mi sento troppo male per andare a prepararne altre. Dovrete accontentarvi di quelle che avete.» Stava per aggiungere qualcosa, ma gli spasmi degli starnuti gli deformarono il viso, impedendogli di continuare. Un attimo dopo, si lasciò scappare un sonoro 'etciù' e di getti di fiamme lunghe un metro gli spuntarono dal naso. Peggy Sue e il cane blu giudicarono saggio allontanarsi. «Vado a coricarmi» balbettò Chmzzwl voltando loro le spalle. «Cercate di cavarvela da soli. E ricordatevi: appena presa l'ultima compressa, filate via strisciando ventre a terra.» Peggy si affrettò a raggiungere i suoi amici per metterli al corrente della situazione. Contarono le pasticche, poi se le divisero nel caso in cui fosse accaduto qualcosa che li avesse costretti a separarsi. Peggy si mise in tasca quelle destinate al cane blu, supplicandolo di non allontanarsi da lei. Romo prese quelle per i cavalli. Ora l'intero villaggio risuonava degli starnuti dei Piedi cotti. L'epidemia si diffondeva con una velocità straordinaria. Lungo le strade vagavano diavoletti stravolti il cui naso non smetteva di sputare impressionanti schizzi di fuoco. «Si sono trasformati in lanciafiamme viventi!» commentò il cane blu. «Se non fossimo protetti dalle compresse magiche, sarebbe facile per loro arrostirci come polli!» Un quarto d'ora più tardi, un Piede cotto, preso da un accesso di tosse, esplose davanti alla casa come se avesse ingoiato una bomba! Tutti si gettarono a terra per sfuggire ai rimbalzi dei detriti. La testa, il torso e le braccia del diavoletto erano stati dispersi dall'esplosione; rimaneva soltanto il suo ventre, e le sue gambe che continuavano a camminare come se nulla fosse accaduto. Il mezzo Piede cotto cambiò direzione senza
accelerare il passo. Evidentemente, sopravviveva alle ferite. L'anatomia di quelle creature riservava decisamente delle sorprese! Mentre Sebastian aiutava Peggy e rialzarsi, Chmzzwl sbucò da una strada vicina. Si teneva un fazzoletto lavorato con filo di ferro sul naso. «Sono desolato,» dichiarò «ma gli altri abitanti del villaggio vogliono mettervi a morte. Sospettano che abbiate portato il virus dell'influenza. Prima del vostro arrivo andava tutto bene.» «Mi dispiace» rispose Peggy Sue. «Forse faremmo meglio ad andarcene.» «Neanche per sogno!» disse Chmzzwl. «Il nostro capo ha deciso di tenervi prigionieri finché non ci avrete fornito una medicina efficace.» «E come pensi che possiamo fabbricarla?» si spazientì Sebastian. «Non siamo dei dottori.» Chmzzwl puntò l'indice su Isi e disse: «Questa ragazza è una strega, non è vero? Si vede. Che si metta subito al lavoro. È meglio che troviate un rimedio al più presto, nel vostro interesse. Altrimenti rimarrete senza pasticche rosse e diventerete delle torce viventi.» «Va bene,» accettò Isi «ma ho bisogno di alcuni ingredienti.» «Fai una lista,» disse il diavoletto «ti procurerò tutto ciò che sarà possibile trovare ai piedi del vulcano.» I ragazzi si ritirarono in casa per consultarsi. «Cercherò di fabbricare qualcosa,» dichiarò Isi «ma non posso garantire che funzionerà. Non ho mai curato dei Piedi cotti. È una razza sulla quale non si sa molto.» «Cerca di guadagnare tempo, o per noi è finita» le sussurrò Sebastian. «Ci restano davvero poche compresse.» Con un chiodo ben appuntito, la ragazza dai capelli rossi scarabocchiò una lista di ingredienti su un foglio di metallo che usava come taccuino, e la consegnò a Chmzzwl. Il diavoletto scomparve. Durante la sua assenza, un centinaio di Piedi cotti scontenti si radunarono intorno alla casetta. Starnutivano a turno uno dopo l'altro e, a volte, uno di loro, preso da un accesso di tosse, esplodeva, proiettando detriti organici in ogni angolo. Chmzzwl ritornò, portando un pentolone pieno di strane polveri e minerali vari. «Ecco qua» annunciò. «Ora mettiti al lavoro senza aspettare ancora.»
Una nuova esplosione sottolineò le sue parole; una testa mozzata rimbalzò sul tetto, e quando Chmzzwl passò davanti alla finestra, strabuzzò gli occhi furibondo. Isi s'inginocchiò per mescolare le polveri in un mortaio. Peggy si chiese se sapesse veramente che cosa stava facendo o se si accontentasse di fare finta. «Per tutti gli dèi del cosmo, bruceremo vivi!» borbottò Romo. «Ho appena preso la mia ultima pasticca.» «Anch'io» dichiarò Sebastian. «Credo che mi proteggerà ancora per un'ora, ma dopo...» Peggy Sue non riusciva a star ferma. Aveva le orecchie rosse e le guance in fiamme. Cercava di ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto prendere la sua ultima compressa. «Siamo in un brutto pasticcio» brontolò il cane blu. «Il mio pelo comincia a sapere di bruciaticcio. Mi sento come un calzino caduto nel fuoco!» All'esterno, la folla manifestava rumorosamente la propria impazienza. I Piedi cotti la cui parte superiore del corpo si era volatilizzata dopo l'accesso di tosse esplosiva, correvano in circolo senza vedere dove andavano, calpestando i loro vicini e aggiungendosi alla confusione generale. Romo lanciò un grido e indicò la finestra. «Il drago!» urlò. «Si sta alzando! Accidenti... se ne va! Guardate, si è messo in cammino!» Era vero. La bestia, avendo ripreso le forze, alla fine si era alzata. Dopo essersi scrollata, cominciò a girare intorno al vulcano per addentrarsi nella nebbia. «Si allontana!» si agitò Peggy Sue. «E noi siamo bloccati qui! Perderemo le sue tracce...» «Non potete partire prima di aver trovato un rimedio per la nostra influenza» intervenne Chmzzwl. «Se cercate di scappare, i miei amici vi faranno a pezzi.» Mentre stava per rispondere, Peggy sentì delle scintille crepitarle tra i capelli. Si affrettò allora a ingoiare l'ultima compressa protettrice poi, inginocchiandosi, diede al cane blu la sua. I minuti che seguirono parvero interminabili. Alla fine, Isi si rialzò e tese a Chmzzwl il pentolone dove aveva mescolato diverse sostanze condite da
misteriosi incantesimi. «Ecco qui,» annunciò «ogni malato deve prenderne un cucchiaino. L'effetto dovrebbe essere immediato.» Chmzzwl s'impadronì della pentola e corse fuori. I Piedi cotti si radunarono intorno a lui per prendere la medicina. «Funzionerà davvero, il tuo trucco?» domandò Sebastian voltandosi verso Isi. «Per una mezz'oretta sì...» mormorò la giovane strega. «Poi ricominceranno a starnutire e a tossire. Dovremo essere lontani, prima che si accorgano dell'inganno. Mi dispiace, non potevo fare di meglio. Mancavano troppi ingredienti.» «Mezz'ora...» rifletté Peggy. «Speriamo che non cerchino di trattenerci più a lungo.» Romo uscì per occuparsi dei cavalli le cui criniere crepitavano di scintille. Man mano che i diavoletti bevevano la 'medicina', gli starnuti diminuivano. Quando scese di nuovo il silenzio, Chmzzwl ritornò, sorridente. «Formidabile!» esclamò. «I miei amici vi ringraziano, vorrebbero organizzare una festa per celebrare l'invenzione di questo elisir.» «È gentile da parte vostra,» intervenne Peggy «ma il drago che stiamo inseguendo se n'è appena andato. Se guadagna troppo vantaggio, sarà impossibile per noi riacchiapparlo.» «Capisco» annuì Chmzzwl. «Peccato. Vi avrei fatto assaggiare una specialità di zuppa di lava da leccarvi baffi! E poi avremmo potuto arrostire questo cane blu che vi accompagna. Ben condito, sarebbe stato un piatto di prima qualità.» «Sarebbe stato sicuramente delizioso,» balbettò Peggy «ma preferisco mangiarlo più tardi. E crudo, preferibilmente.» «Ognuno ha i suoi gusti» concesse Chmzzwl scrollando le spalle. Romo si presentò davanti alla veranda, tirando i cavalli per le briglie. I ragazzi dovettero faticare a farsi largo in mezzo ai Piedi cotti che, credendosi guariti, volevano abbracciarli per manifestare la loro riconoscenza. Mezz'ora... si ripeteva Peggy Sue. Mezz'ora... «Vuoi dire venti minuti, ormai» la corresse il cane blu. «Dobbiamo andarcene di qua alla svelta.» Tra le ovazioni della folla, saltarono in sella e galopparono in direzione del vulcano, sulle tracce del drago. Peggy Sue aveva sempre più caldo.
Capì che l'effetto della pasticca magica era alla fine. Doveva uscire dal territorio dei vulcani prima di prendere fuoco come una torcia! Spronò il cavallo. I suoi compagni la imitarono. I destrieri galoppavano, saltando sopra i crepacci pieni di lava. Peggy si voltò indietro più volte per vedere se i Piedi cotti li inseguivano. Temeva che quella partenza precipitosa li avesse insospettiti. I quattro cavalieri girarono intorno al vulcano e puntarono verso la pianura. Appena in tempo, gli zoccoli dei cavalli cominciavano a fumare. «Ancora dieci minuti e avremmo tutti preso fuoco...» annunciò il cane blu. Quando la nebbia innalzò davanti a loro il suo velo giallastro, capirono che erano finalmente usciti dalla zona vulcanica; il calore cominciava a diventare di nuovo sopportabile. Erano salvi. 20 I naufraghi del drago Galoppando più veloci che potevano, non tardarono a raggiungere il drago. Una volta attraversata la nebbia, Peggy lo intravide che ondeggiava in mezzo alla pianura: un'enorme sagoma, dai contorni confusi, immersa nella bruma. «Sembra una montagna che avanza a piccoli passi» osservò il cane blu. «Va molto più veloce di prima» constatò cupamente Sebastian. «La cura di lava gli ha fatto davvero bene. È in splendida forma. Non è più la bestia che sonnecchiava placida sotto le mura di Omakaido: ora è un animale pericoloso.» «Se continua così» mormorò Romo «non riusciremo a riportarlo a Omakaido. Più si allontanerà, e più per noi sarà difficile rispettare l'ultimatum di Zarc.» «Per il momento, l'importante è seguirlo» decise Peggy Sue. «Bisogna stargli più attaccati possibile, oppure rischiamo di perderlo nella nebbia.» La nebbia giallastra poteva durare anche cinque, sei giorni di seguito; se il drago avesse preso troppo vantaggio, si sarebbe nascosto nel cuore di quella cortina di foschia, diventando invisibile. «Non bisogna per nessun motivo perderlo di vista» continuò Peggy «e, appena possibile, dobbiamo arrampicarci sulla sua schiena. È il solo modo che abbiamo per controllarlo. Devo posargli la freccia d'argento sulla testa, ricordatevelo.»
Romo estrasse dalla bisaccia un binocolo e osservò il drago. «Appena sarà abbastanza vicino» disse «dovremo afferrare le funi rotte che gli penzolano lungo i fianchi e issarci sulla cresta ossea con la sola forza delle braccia! Attenzione però: chi perderà la presa finirà direttamente sotto le sue zampe, diventando una bella frittata.» Durante l'ora seguente, cercarono di avvicinarsi al drago senza insospettirlo; speravano di riuscire ad approfittare di una sosta che la bestia avrebbe fatto, prima o poi, per andare all'arrembaggio. «Visto che non sembra intenzionato a fermarsi, ognuno di noi utilizzerà il suo cavallo per affiancarlo» decise Peggy. «Proveremo a salire 'in corsa'; non possiamo fare altrimenti. Spero che non ci sia troppo grasso su quei cavi. Strofinatevi le mani con un po' di terra asciutta.» Dopo aver sistemato il cane blu nello zaino, Peggy si lanciò per prima. Spronò il cavallo per sorpassare la zampa posteriore destra del drago. Il pony sembrava atterrito da quella insolita vicinanza, e la ragazza faceva fatica a impedirgli di tornare indietro. Il drago avanzava lentamente, ma ogni suo passo rappresentava una decina di metri e il cavallo non riusciva a tenere il passo. Peggy strinse le redini, cercando di non finire sotto il ventre dell'enorme bestia, che la sovrastava come un ponte. Infine riuscì a posizionarsi accanto a uno dei cavi tagliati. La fune tracciava una linea incerta nella polvere, quindi colpiva il fianco del grosso rettile prima di risalire verso la cresta ossea che si innalzava lungo la colonna vertebrale. La ragazza spronò un'ultima volta il cavallo, quindi afferrò la fune, lasciò le staffe per alzarsi sulla sella, e saltò nel vuoto... L'oscillazione della fune la fece finire sotto il ventre della bestia, così si ritrovò appesa a tre metri da terra, contemplando lo spettacolo delle gigantesche zampe dell'animale che calpestavano il terreno da una parte all'altra della gigantesca volta dell'addome. Arrampicandosi con cautela, riuscì a salire sul fianco dell'animale, poi, sulla schiena. Giunta in cima, si sistemò a faccia in giù sul dorso del drago e, con i piedi incastrati in una fessura della corazza, tentò di seguire quello che accadeva in basso. Romo aveva spronato il suo destriero. La sua pancia lo intralciava un po', e mancò per due volte il cavo. Quando Peggy Sue lo vide lanciarsi nel vuoto, non poté impedirsi di rabbrividire, ma l'omone era sorprendentemente muscoloso e, anche se provato dallo sforzo, raggiunse la schiena della bestia senza mollare la presa.
Giovani e agili, Isi e Sebastian non ebbero invece alcun problema. Effettuarono la scalata a una velocità record, senza versare nemmeno una goccia di sudore. Finalmente liberi, i cavalli smisero di galoppare. Presto distanziati, scomparvero alla vista, ingoiati dalla nebbia. Appena si fu ripresa, Peggy si lanciò verso la testa del drago per posarvi la freccia magica di Nonna Katy. Le sarebbe bastato orientare l'oggetto verso Omakaido perché il bestione facesse marcia indietro. Almeno era quello che le aveva spiegato sua nonna. L'amuleto d'argento funzionava né più né meno come un telecomando! Peggy avanzava sulla nuca del drago a quattro zampe per paura di cadere. Raggiunse infine la testa dell'animale e si sbrigò a posizionarvi il talismano, avendo cura di puntare la freccia magica verso Omakaido. Trascorse un minuto, poi due, poi tre... poi un quarto d'ora, senza che il drago facesse cenno di tornare sui suoi passi. Non funziona!, si disperò la ragazza. Non gli fa alcun effetto. Per quanto ripetesse più volte l'operazione, il mostro rimase insensibile alle sollecitazioni della freccia magica. Sebastian e il cane blu andarono a chiederle notizie. Peggy, prossima le lacrime, spiegò loro che cosa stesse succedendo. Il ragazzo l'abbracciò e la strinse forte per consolarla. «È a causa della lava che il drago ha assorbito quando era dai Piedi cotti» mormorò. «Lo ha reso più forte. Troppo forte. Ora è capace di resistere agli ordini magici del talismano. L'amuleto di Nonna Katy non è abbastanza potente per sottometterlo.» «Che cosa possiamo fare?» piagnucolò Peggy Sue. «Dobbiamo riuscire ad assumere il controllo del drago perché non va nella direzione giusta. A ogni passo verso nord, si allontana sempre più da Omakaido.» «Lo so» rispose pensieroso Sebastian. «Dovremo trovare un'altra soluzione.» «Non abbiamo fatto grandi progressi!» borbottò Romo quando venne messo al corrente della situazione. «Ora, è come se fossimo dei naufraghi prigionieri di un'isola che cammina!» «Un'isola?» si stupì Isi. «Sì» ripeté irritato l'omone. «Siamo completamente isolati. Quando le nostre provviste saranno esaurite - e non manca molto - dovremo aspettare che il drago si fermi per poter scendere a elemosinare un magro pasto nei
dintorni. Poi dovremo risalire di corsa, prima che decida di ripartire! Non sarà facile, vi avverto.» Siccome faceva buio, si sistemarono in una fessura della corazza, con la schiena appoggiata contro la cresta ossea. Era una sistemazione precaria. Nel caso di un acquazzone, non sarebbero stati protetti; in più, durante il sonno, rischiavano in ogni momento di rotolare nel vuoto, perché il dorso del drago era simile a una barca capovolta, con la chiglia in aria, e perciò da quel lato lasciava ben pochi appigli a cui tenersi. Aprirono le borse per dividersi le provviste. Una brutta sorpresa li aspettava. Le bisacce in pelle di drago avevano resistito al calore infernale del territorio vulcanico, ma non si poteva dire lo stesso per il cibo. La carne secca si era carbonizzata, e il pane era ridotto a un pezzo di carbone! «Cosa vi dicevo?» brontolò Romo. «Moriremo di fame.» Dovettero accontentarsi di sgranocchiare quello che era ancora mangiabile. Anche se nessuno lo confessò, tutti avevano paura di addormentarsi. «Mi sembra quasi di essere su un tetto,» mormorò Isi «con la schiena contro un comignolo. Non è certo il posto migliore per addormentarsi.» «E le lacrime?» attaccò Romo. «Come faremo a prelevare l'antidoto, se il drago decide di marciare per più giorni? Non dimenticate che bisogna prenderne una sorsata tutte le mattine. Il calore del vulcano ha fatto evaporare il contenuto della nostra borracce: presto saranno vuote!» «Potremmo provare a scalare la testa e lasciarci scivolare lungo una guancia» azzardò Peggy Sue. «Ti sentirà arrivare» ridacchiò il caposquadra. «In quel punto ha la pelle sottile, scuoterà la testa per sbarazzarsi del leggero prurito e ti farà fare un bel volo!» Era ormai notte; si strinsero gli uni contro gli altri, cercando di aggrapparsi alle fessure della cresta ossea. Sapevano però che non avrebbero potuto mantenere quella presa durante il sonno. Finalmente, Peggy afferrò la fune che pendeva dal fianco del drago, e la usò per formare un anello al centro del quale si sistemarono. Era meglio che niente; almeno, in caso di scossa, avrebbero avuto a disposizione una presa solida. Ci misero parecchio tempo ad assopirsi. Il drago avanzava con passo ostinato, come se avesse improvvisamente deciso di riprendersi gli anni di immobilità che aveva dovuto sopportare. Camminava... camminava... al-
lontanandosi sempre di più da Omakaido. Già dal giorno dopo, i 'naufraghi' poterono accertare l'entità del loro isolamento. Ingoiate le ultime provviste, si trovarono ridotti a contemplare lo scorrere monotono del paesaggio tentando di ignorare i crampi allo stomaco. Per fortuna, Peggy scoprì che il drago lacrimava a causa del vento. Il vento trasportava le lacrime dall'angolo delle sue palpebre fin sulla schiena, dove scoppiavano in mille schizzi. Bastava dunque individuare le pozze che così si formavano e 'berle' leccandole sulla corazza. Questo procedimento - poco elegante, a dire il vero - aveva il vantaggio di assicurare ai naufraghi la loro dose quotidiana di antidoto. Fecero buon viso a cattivo gioco, poiché non erano certo nella condizione di mostrarsi esigenti. «Non vedo che cosa ci sia di disonorevole nel mettersi a quattro zampe per ingerire il cibo» bofonchiò il cane blu. «Quante storie!» Nel pomeriggio, un acquazzone sorprese il drago; i nostri amici si ritrovarono zuppi dalla testa ai piedi. Nelle cavità della corazza si formarono delle piccole pozze d'acqua. Pancia a terra, leccarono il contenuto di quelle provvidenziali fontane, riuscendo così a dissetarsi. La bestia camminò ancora una intera giornata, poi si fermò, posò la testa sulle zampe e si addormentò. I ragazzi si lasciarono scivolare al suolo. Erano deboli, stanchi per la mancanza di cibo e di sonno. Quando misero piede a terra, avevano le gambe molli. «Separiamoci» ordinò Peggy. «Cercate di trovare frutta, bacche selvatiche, qualunque cosa sia commestibile. Guardate sulle colline; credo che abbiamo un po' di tempo, il drago non si sveglierà per un bel po'.» Si dispersero in silenzio. La nebbia ristagnava al suolo, nascondendo l'erba e le radici degli alberi. Sembrava di camminare su una nuvola. Peggy e il cane blu scalarono un monticello ricoperto di cespugli pieni di frutti rossi come non ne avevano mai visto prima. La ragazza ne raccolse una decina e li assaggiò. Erano aciduli, chissà, magari anche velenosi. Preferì gettarli via. Poco più avanti, s'imbatté in un boschetto e dissotterrò senza convinzione alcuni ortaggi biancastri. Mentre si stava rialzando, notò una chiazza colorata nell'erba. Un fagotto di tessuto rosso che era rotolato tra due radi-
ci. Si avvicinò con circospezione e lo aprì. La stoffa ammuffita sembrava provare che il pacchetto era rimasto lì per parecchi mesi. All'interno trovò delle provviste avvolte in una tela oliata: un po' di pane e dei frutti marci, ma anche alcuni abiti femminili. Una camicetta, una gonna di tela grezza, un fazzoletto. Peggy rimase un istante perplessa, rigirando tra le dita il cibo e i vestiti. «Da dove arrivano?» mormorò pensierosa. «Li avrà persi qualche viaggiatrice...» suggerì il cane blu. «Ti permetteranno di sbarazzarti di questa orribile cotta di maglia che hai ancora addosso.» A un tratto, Peggy notò un mazzetto di fogli. Si trattava di un passaporto. Rabbrividì: il documento aveva il timbro ufficiale di Nadhyna! «È qui da molto tempo» osservò il cane blu. «Questo fagotto apparteneva a qualcuno che è scappato dalla città per non bere il veleno delle fontane.» «Un ribelle?» «Non lo so, in ogni caso persone che non avevano voglia di tramutarsi in statue. Li capisco.» Più lontano, inciamparono in un secondo involto, poi in un terzo... Fra i tronchi distinsero una lunga fila di fagotti impigliati e attrezzature sparpagliate tra i cespugli. «È facile indovinare che cosa è accaduto» sussurrò Peggy. «I ribelli di Nadhyna non sono riusciti ad andare troppo lontano. La metamorfosi li ha colti qui. Una volta terminate le loro riserve di antidoto, si sono trasformati...» «Hai ragione» disse il cane. «Guarda, il terreno è disseminato di vestiti lacerati. I vestiti che portavano quando i loro corpi si sono bruscamente deformati. Ecco che cosa ci succederà tra poco.» Peggy Sue rabbrividì. Con mani tremanti, afferrò un grande zaino dove ammucchiò alla rinfusa gli alimenti ancora commestibili, poi scese velocemente il versante della collina per fuggire dal sottobosco. Dall'altra parte scoprì una prateria disseminata di altri pacchetti abbandonati. Sebastian si aggirava in mezzo alle borse, perplesso. Peggy fu sollevata nel vederlo. «I fuggiaschi di Nadhyna» mormorò raggiungendolo. «Si sono trasformati quando le lacrime del drago hanno cominciato a scarseggiare.» Il ragazzo fece una smorfia. Il suo sguardo vagava sui bagagli sparpagliati. Ce n'erano centinaia, punteggiavano tutta la prateria per quasi un
chilometro. I ragazzi si chinarono sui fagotti per recuperare dei vestiti con cui cambiarsi. Peggy si sforzò di scovare delle tuniche per Isi e Romo. Un fruscio tra i rami li fece sussultare; ma era soltanto l'omone. Sul suo viso paffuto si leggeva la paura. «Avete visto?» disse cupamente. «Questo posto è una fabbrica di mostri. Non restiamo qui.» Se ne andarono, scrutando i dintorni che la nebbia sfumava minacciosamente. «Sono là!» gridò il grosso uomo. «Da qualche parte... Ci osservano! Li sento!» Come dei soldati che si ritirano da una posizione assegnata, ritornarono verso la bestia addormentata. Peggy non poté impedirsi di pensare che, così sprofondato in mezzo alla pianura, il drago rappresentava un bersaglio perfetto per il Matador, se questi avesse deciso di passare all'attacco. Si arrampicarono velocemente sulla cresta dorsale, barattarono le loro cotte di maglia con le tuniche, e si divisero le provviste. Masticavano gli alimenti mezzi avariati sforzandosi di pensare ad altre cose. «Stanotte faremo dei turni di guardia» decise Sebastian. «I mutanti cercheranno di attaccarci. Con i loro artigli, sarà facile per loro scalare i fianchi del drago.» Nonostante i loro timori, la notte trascorse senza problemi. Comunque, al momento del cambio della guardia, Isi posò una mano sulla spalla di Peggy. «Ascolta,» le bisbigliò in tono confidenziale «credo che il Matador si aggiri nella nebbia. Ho sentito sventolare il suo mantello. Se uccide il drago di sorpresa, ci ritroveremo senza antidoto. Dobbiamo prepararci al combattimento.» Quando il sole fu alto in cielo, si lasciarono scivolare a terra per raccogliere nel palmo della mano le lacrime che sgorgavano dagli occhi del drago. Nubi grigie correvano basse sulla pianura. Peggy aveva l'impressione di essere sorvegliata da una spia invisibile. Una spia di una misura fuori dal comune. Isi - che si era allontanata per soddisfare un bisogno naturale - emerse da un boschetto. Era pallida. «Ho appena trovato uno dei nostri cavalli!» ansimò. «Ci aveva seguiti...
È la, tra i cespugli. È stato divorato! Hanno perfino sgranocchiato le sue ossa.» «È normale,» commentò il cane blu «è così che si mangia un osso. Forse dovrei andare a vedere se ne restano ancora uno o due intatti.» Quella macabra scoperta li fece scappare; si rifugiarono ancora una volta in groppa al drago addormentato. Il cavallo fatto a pezzi confermava la presenza di un'orda di mostri nei dintorni. «I mutanti» indovinò Sebastian. «Hanno fame. E sono numerosi. I cavalli non basteranno a calmare il loro appetito. E poi, si sa, gli umani hanno un sapore migliore.» Ormai, pensò Peggy, siamo presi tra due fuochi: i mostri da una parte, il Matador dall'altra. Troppi nemici tutti in una volta. 21 Un pessimo colpo di spada Il drago si decise infine a riprendere la sua peregrinazione. I suoi passeggeri dovettero incastrarsi bene tra le creste ossee per resistere agli scossoni. Peggy Sue notò che, più andavano avanti, più Isi si isolava dagli altri. Il viso scuro, cavalcava la gobba cornea che sovrastava le vertebre cervicali dell'animale, là dove il corno spuntava offrendosi vulnerabile alla spada del Matador. La ragazza dai capelli rossi sembrava immersa in una profonda meditazione. Teneva un ramo, che aveva trovato nel bosco, di traverso sulle cosce. Ogni tanto tirava fuori un coltello dallo zaino e ne sfrondava una delle due estremità. Sembrava proprio che stesse preparando un arpione capace di sfondare la giugulare del Matador al primo colpo. Aveva deciso che, vista la potenza muscolare fuori dal comune, Sebastian avrebbe avuto il ruolo di lanciatore. Tutti quanti si aspettavano un attacco imminente. Peggy Sue, Romo e il cane blu, essendo stati nominati vedette, scrutavano nella nebbia. «Fiuti qualcosa?» domandò la ragazza al suo amico. «Non lo so» borbottò il cane. «La cosa strana è che il Matador non ha un odore umano... non so come spiegarlo, ma sembra quasi che non sia vivo.» «E i suoi pensieri?» insisté Peggy. «Riesci a sentire i suoi pensieri?» «No, non pensa a niente. Ha la testa vuota. Forse è un morto vivente... Un morto vivente alto come un palazzo di dieci piani.» Peggy Sue si rannicchiò fra due sporgenze ossee. Aveva bisogno di ri-
flettere. Poco più in là, Sebastian fissava l'orizzonte. L'arpione di legno sulla spalla, tutto preso dal suo nuovo ruolo. Il drago avanzava in linea retta, fermandosi ogni tanto per brucare la cima di un albero. Nonostante il pallido sole che squarciava le nubi, faceva freddo. D'un tratto, Isi si alzò urlando: vedeva la cappa del Matador, perché dei riflessi rossastri danzavano nella nebbia. «Ci gira intorno!» confermò il cane blu. «Usa la nebbia per mimetizzarsi. Sta per passare all'attacco.» Per tutti gli dèi! Se riesce a uccidere il drago siamo perduti, pensò Peggy Sue. E anche Nonna Katy che è rinchiusa a Omakaido! Zarc la costringerà a bere il veleno pietrificante. È terribile. Mi sento così impotente. Ormai la loro sopravvivenza dipendeva da Sebastian, e dalla sua capacità di arpionare il Matador al primo colpo. La distesa di fango aveva lasciato il posto a una prateria rigogliosa che divorava l'infittirsi della foresta. Sebastian si sistemò dietro le orecchie del drago, l'arpione puntato come una lancia. «Il momento della verità si avvicina!» gridò rivolto a Peggy. «Da un momento all'altro la figura del Matador apparirà nella nebbia e io dovrò colpire... Non posso sbagliare. Cercherò di fare del mio meglio.» La voce gli tremava. Peggy Sue annuì e si mise cavalcioni sulla sporgenza di una vertebra. Moriva di paura. Il drago riprese la sua marcia, procedendo come un battello sballottato dalle onde. Cullata da quel movimento regolare, Peggy chiuse gli occhi, la stanchezza fece il resto. Si stava addormentando quando le urla di Isi la svegliarono di colpo. «Là! È là!» Con il cuore che le batteva all'impazzata, la ragazza si tirò su. Vide Sebastian in piedi, l'arpione alzato, le braccia all'indietro nella posa classica del lanciatore, e più lontano, dietro la cortina di nebbia, un'alta figura avvolta da riflessi rossi... Il Matador! «Aspetta di essere sicuro del tuo colpo, ragazzo!» gridò Romo. «Non sprecare l'arpione, ne abbiamo solo uno!» La nebbia non permetteva di distinguere il gigante con precisione, ma quel volto dalla mascella sporgente e dall'espressione gelida era comunque spaventoso. I suoi occhi, che non tradivano alcuna emozione, sembravano
quelli di un enorme squalo. Fece volare il mantello per attirare l'attenzione del drago, e lo spostamento d'aria che si produsse passò sui ragazzi come un forte vento invernale, togliendo loro il respiro. Quando il colosso fece un passo avanti, Peggy vide il buco che il drago gli aveva fatto nel ventre durante il precedente combattimento. Il taglio sembrava l'entrata di una caverna. La ragazza si chiese come avesse fatto il gigante a sopravvivere a una tale ferita. Qualcosa scintillò nel cielo... un lampo d'argento. «La spada!» urlò Peggy. «Si prepara al colpo finale! Attenzione!» In piedi sulla nuca del drago, Sebastian ruotò il busto con un movimento potente. L'arpione volò verso la gola del Matador, e si conficcò nella carne grigia, proprio sopra la carotide. Nonostante quella terribile ferita, il gigante dal mantello rosso riuscì a infilzare il drago con la spada, piantandogli la lama diritta nella nuca. La bestia lanciò un terribile urlo e si impennò. Romo oscillò nel vuoto; Peggy Sue fece appena in tempo ad aggrapparsi a una fune per non fare la stessa fine. Isi urlava, incastrata tra due placche dorsali. Il drago cadde sulle ginocchia e rimase immobile, ansimando. La spada era uscita dal suo corpo, e un fiotto di sangue zampillava dalla ferita come una fontana per colare al suolo in una pozza appiccicosa color porpora. Le zampe posteriori cedettero a loro volta, il ventre toccò l'erba. Peggy lottava per riprendere l'equilibrio, perché la corda le stava segando le dita. Un respiro irregolare scuoteva i fianchi dell'animale, e i battiti disordinati del suo cuore si riverberavano sulla cresta dorsale in un sinistro ticchettio. Peggy si lasciò scivolare a terra e si allontanò velocemente dalla pancia del drago. Il sangue macchiava l'erba come se fosse stato ucciso un intero gregge di pecore. La sua prima preoccupazione fu di assicurarsi che Sebastian e il cane blu fossero sani e salvi. «Scendete!» urlò loro. «Scendete tutti... bisogna allontanarsi dal drago! Se si piega su un fianco, verremo schiacciati.» Romo era caduto sulla schiena in una pozza di fango. Aveva perso conoscenza. Isi e Sebastian si precipitarono ad aiutare Peggy a spostarlo. Una volta al riparo, Peggy alzò la testa e scrutò la nebbia. Il Matador era sparito, con il suo mantello e la sua spada. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Mi domando come sia riuscito a fuggire con quella ferita. L'arpione lo ha trapassato da una parte all'altra! Sono sempre più convinto che si tratti di un morto vi-
vente. Non ci sono altre spiegazioni.» «È vero!» rincarò Sebastian. «Sono certo di averlo ferito a morte. Ho visto la lancia affondare nella vena giugulare. A quest'ora dovrebbe essere agonizzante.» «Non sappiamo niente della resistenza dei giganti» fece notare Isi. «È una razza a parte, come i Piedi cotti, difficile da uccidere. Probabilmente il tuo arpione non gli ha fatto più male di uno stuzzicadenti.» «Romo è ferito,» constatò Peggy «ci vuole una stecca per la sua gamba. Ci penso io. Tu, invece, Isi, cerca di procurarti una droga che possa alleviargli il dolore. Dovresti averla nella tua borsa, giusto?» La giovane strega annuì. Peggy afferrò il suo coltello e, accompagnata dal cane blu, si addentrò nella foresta per tagliare qualche ramo. «Siamo proprio in un bel pasticcio, eh?» disse il cane. «Le cose si mettono male, è vero» sospirò Peggy. «E ci restano appena tre giorni per riportare il drago a Omakaido. Se non riusciamo a curarlo, è la fine.» «Curare quella montagna di carne?» si stupì il cane. «È come pensi di riuscirci?» «Non lo so» confessò la ragazza. «Forse Isi potrà aiutarci.» Quando uscirono dal bosco, Isi stava tentando di far colare una pozione maleodorante tra le labbra di Romo. Peggy Sue volle occuparsi delle stecche, ma la strega la fermò. «Lascia stare!» disse. «So guarire le fratture. È piuttosto malridotto, ha diverse costole rotte. Anche la colonna vertebrale ha riportato qualche lesione.» Peggy si inginocchiò accanto a Sebastian, con un nodo in gola. Dietro di loro, il drago aveva ripreso fiato, sanguinava di meno, ma aveva lo sguardo vitreo. «Credi che il drago morirà?» domandò preoccupata Peggy. La ragazza dai capelli rossi si strinse nelle spalle, ammettendo la propria ignoranza. «Con una ferita del genere avrebbe già dovuto essere morto» dichiarò. «Ma la lava che ha bevuto ai piedi del vulcano lo ha reso incredibilmente forte.» «Allora guarirà?» «Non lo so. La spada gli ha sfiorato il cuore. Può riprendersi... o agonizzare per una settimana. Tutto è possibile.» «Se muore siamo perduti» proclamò Peggy. «Ci trasformeremo in mo-
stri, e gli abitanti di Omakaido saranno avvelenati da Mastro Zarc. Nonna Katy sarà la prima alla quale farà bere il liquido pietrificante.» Isi osservava il drago ferito, cercando di formulare una previsione ragionevole. «Non morirà immediatamente» disse. «Si concederà una pausa, poi, quando sentirà che è giunta la sua ora, raggiungerà il cimitero dei draghi.» «Il cimitero dei draghi?» si stupì Sebastian mentre tagliava dei pezzi di lino da usare come bende. «Sì, è un'antica leggenda» spiegò la strega. «Una volta, sulla Terra, i pachidermi facevano lo stesso: gli elefanti, credo, non sono sicura che si chiamassero così. Nell'ora della morte si mettevano in cammino per raggiungere un cimitero che solo loro conoscevano. Romo dice che i draghi hanno la stessa usanza. L'itinerario di quel santuario segreto è scritto nel loro istinto. Malgrado gli anni di cattività, anche questo drago se ne ricorderà.» Isi terminò le medicazioni. Romo non aveva ancora ripreso conoscenza. «Il suo cuore batte regolarmente» verificò la strega. «Per ora non è trasportabile: dovremo costruire una capanna per proteggerlo dalla pioggia. Sebastian, ci pensi tu?» Il ragazzo tirò fuori il suo coltello e si diresse verso il bosco. 22 Un terribile sospetto Il giorno dopo, l'animale rimase immobile, gli occhi chiusi. Una crosta scura gli si era formata sulla nuca, bloccando l'emorragia. Ogni tanto si lamentava o agitava il corno. Non cercava di rialzarsi. Romo aveva ripreso conoscenza, ma sembrava sprofondato in un torpore inquietante dal quale emergeva solo a tratti. Non rimaneva mai cosciente per molto tempo. Peggy andò a raccogliere le lacrime che scendevano dalle palpebre socchiuse del drago. Divise quella magra raccolta con i suoi compagni. Non fu un'operazione facile. «Grazie, piccola!» mormorò Romo. «Almeno morirò da essere umano, è rassicurante saperlo... Ma sono triste per voi: appena il drago avrà esalato il suo ultimo respiro diventerete dei mostri. Forse sarebbe meglio che vi impiccaste a un albero per evitare questa sciagura.» «Che cosa?» abbaiò il cane blu. «Non ho nessuna voglia di impiccarmi!
È matto, quel tipo! E poi sono sicuro che sarei un. gran bel mostro, con le mie eleganti scaglie blu. Non mi fa affatto paura trasformarmi!» Un altro motivo di angoscia erano le provviste che diminuivano. La pioggia e l'umidità avevano accelerato il loro deterioramento; bisognava buttarle. Quella notte stessa, mentre Peggy lo vegliava, Romo le prese la mano. Bruciava per la febbre e muoveva le labbra screpolate. La ragazza si chinò su di lui. «Ascolta, piccola» le sussurrò. «Sei gentile, ma un po' ingenua... Non ti rendi conto di che cosa sta succedendo.» «Che cosa?» domandò Peggy. «Cosa volete dire?» «L'antidoto» riprese il ferito. «Non ne prendete abbastanza... meno di un sorso ciascuno non è sufficiente per impedire la trasformazione. Devi stare attenta agli altri...» «Quali altri?» «Isi, il cane, il tuo fidanzato... non sono gente normale. Isi è una strega, Sebastian non è realmente umano, e il cagnolino è chiaramente una creatura fantastica... In questo genere di individui, la trasformazione è più veloce, perché sono già, per natura, predisposti alla mostruosità. Ecco perché devono assorbire più lacrime della gente normale, come me e te.» «Che cosa state cercando di dirmi?» «Cerco di avvertirti che si stanno già trasformando... Tutti quanti. Non te ne sei ancora resa conto, ma io li controllo già da un po'. Non ti fidare soprattutto della strega. La sorveglio da parecchi giorni... L'antidoto ha smesso di fare effetto su di lei, ne sono sicuro. Appartiene già al clan, è una delle creature della notte. Peggy, stai attenta! Lei sarà la prima a trasformarsi. Non rimanere mai da sola con lei... sorvegliala! Osserva bene i suoi lineamenti! Cambieranno, Peggy, cambieranno! Uccidila, prima che ti divori!» La ragazza si rialzò di scatto. «Non lo farò mai!» dichiarò, scioccata. «Fai male» la mise in guardia Romo. «Se vuoi sopravvivere, dovrai ucciderli tutti: la strega, il ragazzo e il cane, altrimenti ti sbraneranno.» Poi le parole del ferito divennero incomprensibili e sprofondò di nuovo nell'incoscienza. Quell'avvertimento mise Peggy Sue a disagio. Durante la notte, in mezzo
alle ombre deformate dalle fiamme del fuoco da campo, le parole del malato assumevano un aspetto sinistro: uccidili prima che ti divorino! Peggy cercò di immaginarsi mentre pugnalava Isi nel sonno, oppure approfittava di un momento di disattenzione per sfondarle il cranio con una pietra. Provò una gran nausea. ...prima che ti divorino... Il sangue le pulsava nelle tempie. Incapace di resistere ancora, si spostò in silenzio accanto a Isi che dormiva avvolta in una coperta. I riflessi del fuoco danzavano sul suo viso. Aveva le labbra socchiuse. Peggy cercò di controllarle i denti, poi osservò la forma delle orecchie. Nel momento in cui stava per sfiorarle una guancia con la punta delle dita, Isi voltò la testa e la fissò negli occhi. «Vieni a controllare?» la canzonò. «Credi che non sappia che cosa ti ha raccontato Romo? Ecco, guarda pure!» Si tolse di dosso la coperta e restò immobile, con le braccia incrociate. «Fai pure la tua ispezione!» la sfidò con una voce prossima alle lacrime. «Controlla se la mia pelle è liscia o ruvida, toccami, vedrai se le mie ossa si stanno deformando, se le mie unghie diventano artigli. Avanti! Con un po' di applicazione finirai per convincerti che mi stanno spuntando le corna tra i capelli! Analizza attentamente il mostro che presto ti divorerà!» Peggy provò vergogna. «Perdonami» balbettò. «Non volevo...» Sebastian si svegliò. «Ma che succede?» brontolò. «È Peggy» sibilò Isi al colmo della rabbia. «Ha deciso di ucciderci durante il sonno, per precauzione. È Romo che le ha messo in testa questa idea.» «Andiamo,» sbadigliò Sebastian «non ho voglia di scherzare.» «È vero» insisté la strega «Romo l'ha convinta che diventeremo presto suoi nemici. Secondo lui, ci stiamo già trasformando. Apri la bocca, così potrà misurarti i denti!» Peggy cercò goffamente di discolparsi. Aveva ceduto all'angoscia. Ecco tutto. Come sempre, il cane blu venne in suo aiuto. «Basta!» abbaiò. «Ha ragione di sospettare. Anch'io vi tengo d'occhio! Voglio essere il primo a divorarvi! Lascerei da parte soltanto i piedi di Sebastian, puzzano troppo.» Queste battute distesero un po' l'atmosfera, e ognuno tornò a dormire fingendo di ridere, ma il dubbio si era ormai installato, e non si sarebbe
dissolto tanto presto. La mattina, mentre Peggy cercava di versare qualche goccia di antidoto tra le labbra di Romo, questo rovesciò la testa di lato balbettando: «...prima che ti divorino...» Poi cadde in coma. Morì tre ore più tardi senza aver ripreso conoscenza. I tre ragazzi lo seppellirono sotto un albero, cercando di reprimere il loro dispiacere. Non avevano il tempo di abbandonarsi alla tristezza dovevano pensare a sopravvivere. Peggy si sistemò sotto il mento del drago e, a dispetto del pericolo che una tale operazione rappresentava, raccolse tutte le lacrime che poté. Dentro di lei si era appena riaccesa la paura. Avevano appena finito di smangiucchiare qualche frutto raccolto in fretta, quando il drago manifestò il desiderio di rialzarsi. Precipitandosi sulle funi, si issarono sul dorso della bestia. Una volta ai loro posti, Peggy si voltò verso Isi. «Il drago è guarito?» domandò. «Riprende la sua corsa?» «No» rispose seccamente la strega. «Sta morendo. Comincia il suo ultimo viaggio. Va a raggiungere il cimitero dei draghi.» «È una catastrofe» singhiozzò Peggy Sue. «Lo so,» disse Isi «ma non c'è niente che possiamo fare. Per quanto cercherai di controllare la sua corsa, non ubbidirà. Il suo istinto sarà più forte dei trucchetti magici di tua nonna.» Effettivamente, l'animale imboccò la strada verso nord, addentrandosi in un mare di nebbia che il suo corno fendeva come la prua di una nave. Questa volta non c'erano più dubbi: aveva definitivamente voltato le spalle a Omakaido. Con passo malfermo ma ostinato, conduceva i suoi passeggeri in un territorio dove nessun essere umano si era ancora avventurato. Peggy lottò contro il panico. Si ripeteva che forse non era ancora tutto perduto, che avrebbero trovato il modo di curare il drago e ritornare a Omakaido prima che scadesse l'ultimatum di Zarc. Sì, lo sperava con tutto il cuore... ma non ci credeva veramente. 23 Nel paese dei mostri
Sempre più spesso Peggy si sorprendeva a osservare di nascosto i suoi compagni. L'autosuggestione la portò presto a trovare in loro mille dettagli anatomici 'sospetti'. Gli incisivi di Isi non sporgevano un po' troppo dalle labbra, come le zanne di una pantera? E i capelli di Sebastian non ricordavano la criniera di un leone? E quella macchia bruna sulla sua guancia destra, era un neo oppure... una squama? Per due ore si torturò, prendendo dei riferimenti, credendo di individuare i segni rivelatori. Avrebbe dovuto disegnare una carta anatomica dei suoi compagni, misurare la lunghezza delle unghie e dei denti... Quando si voltava verso di loro, abbassavano immediatamente lo sguardo, indovinando senza dubbio la ragione della sua attenzione. L'atmosfera era tesa. All'inizio del pomeriggio, Peggy, che si era assopita, venne risvegliata da un suono insolito. Il rumore sordo che scandiva abitualmente l'avanzata del drago quando le sue zampe affondavano nel fango si era mutato in una specie di scricchiolio, come se la bestia fosse appena entrata in un negozio di porcellane. Sporgendosi nel vuoto, Peggy vide che l'intera pianura spariva sotto un cumulo di scheletri. Quelle ossa, che il tempo aveva reso porose, si frantumavano sotto i piedi del drago come piatti calpestati da un elefante. La ragazza svegliò subito i suoi compagni. Ammutoliti per lo stupore, contemplarono lo strano ossario. C'erano migliaia di crani giganteschi, come se, dall'alba dei tempi, tutti i draghi del pianeta si fossero dati appuntamento in quella landa per esalare l'ultimo respiro. «Il cimitero dei draghi!» mormorò Isi. «Ci siamo.» Fremevano tutti d'impazienza, ma dovevano aspettare che il gigantesco animale si fermasse prima di potersi avventurare in mezzo a quel macabro guazzabuglio. Sabbia e terra arida avevano preso il posto del fango. Qua e là, lussureggianti oasi sfoggiavano le loro fronde verdi. Questi boschetti erano grandi quanto una città e l'acqua era pura. Indebolito dalla febbre, il drago si coricò vicino a un laghetto e bevve a lungo. Poi si addormentò. La sua ferita non sanguinava più. Forse si stava cicatrizzando? Peggy si lasciò scivolare a terra. Non avevano più acqua e quasi più nulla da mangiare. Bisognava a ogni costo trovare delle provviste. Seguita dal cane blu, si infilò tra i cespugli nella speranza di raccogliere qualche frutto. Mentre si preparava a scalare un tronco vide un coniglio che scappava...
Non proprio un coniglio, piuttosto una grossa palla di pelliccia verde che poteva pesare una trentina di chili e con un due lunghissime orecchie. La bestiola si infilò in un cespuglio prima ancora che la ragazza potesse muoversi. Il cane blu, cedendo al suo istinto, la inseguì. Non gli ci volle molto per acchiapparla per la collottola. «Non ucciderlo!» ordinò Peggy. «Bisogna pur mangiare!» protestò mentalmente il cane. «Hai qualcosa di meglio da proporre?» «Non capisci» disse la ragazza inginocchiandosi. «Da quando siamo qui, non fanno altro che ripeterci che su questo pianeta esiste un solo e unico animale: il drago. Invece, ecco un coniglio: e non può in nessun caso venire dalla Terra. È verde e pesa trenta chili. Strano, no?» Nel momento in cui Peggy si preparava a lasciar andare la bestiola, vide qualcosa che le brillava attorno al collo. Un lampo di luce gialla, come quando il sole si riflette su un pezzo di ferro. Si inginocchiò e affondò una mano nella pelliccia che ricopriva il petto, e le sue dita sfiorarono una catenina con un piccolo disco metallico. Afferrò il tutto, e tirò... Era una medaglietta da poco, fatta di metallo dorato come quelle che si mettono al collo dei bambini. Su una faccia era stato inciso un trifoglio portafortuna, sul retro si poteva leggere questa scritta: DAVID ANGSTRON NATO IL 6 GIUGNO DELL'ANNO DELLA STELLA BLU NELLA BELLA CITTÀ DI NADHYNA. CHE LA LUCE E L'ONESTÀ LO ACCOMPAGNINO. Peggy sussultò. Era una medaglietta di battesimo! Aveva tra le mani un ciondolo appartenente a un coniglio verde di circa dieci anni, e con un nome umano. Quando si rialzò, le tremavano le gambe. «Che ti succede?» guaì il cane blu. «Sei verde come questa palla di pelo!» «Questo 'coniglio'» disse penosamente Peggy «era un bambino... Un essere umano. I suoi genitori facevano parte dei fuggiaschi scappati da Nadhyna! Capisci cosa sto cercando di dirti? La mutazione li ha trasformati in animali - e questo lo sapevamo già - ma anziché i mostri che ci aspettava-
mo, troviamo delle semplici bestiole...» «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane. «Così non ci sarebbero mostri, ma soltanto conigli, gatti... e cani?» «Aspetta» lo fermò Peggy «devo riflettere. I mostri esistono, li ho sentiti nei sotterranei, e anche per le strade di Nadhyna. Non li ho visti, ma ho sentito i loro artigli graffiare i muri.» «E allora?» Peggy scosse la testa. «Forse c'è una spiegazione» mormorò accarezzando la pelliccia verde della lepre tremante. «E se... e se, al momento della mutazione, le persone gentili si trasformassero in bestie inoffensive e quelle cattive in leoni e tigri? Che ne pensi?» «Può essere» ammise il cane blu. «Lo stato d'animo degli esseri umani forse determina il loro aspetto finale.» «Puoi sondare la mente di questo coniglio?» «No, è troppo spaventato. La sua paura è un ostacolo. Forma una grossa bolla irta di aculei che mi impediscono di penetrare la sua mente.» «Allora liberiamolo. Non ci dirà nulla.» Il cane blu aprì le mascelle, così il coniglio verde saltò nella macchia e scomparve. «Sono certa di avere ragione» decretò Peggy. «La mutazione non trasforma per forza in mostri.» «Va bene» concesse il cane blu «ma se ci sono leoni e pantere, è più che probabile che i conigli, i gatti e le pecore servano loro come pasto.» Mentre ritornavano sui loro passi, Peggy ebbe un'idea: «Ho appena pensato a qualcosa» disse. «Tu sei già un animale, quindi la trasformazione non può colpirti! Non può trasformarti in quello che sei già. Insomma, tu sei il solo tra noi a non aver bisogno di antidoto.» «Sono deluso!» disse il cane blu. «Mi sarebbe piaciuto ricoprirmi di scaglie... diventare una specie di piccolo dinosauro! Avrei sputato fuoco... sarebbe stato divertente. Un dinosauro, sì... ma con la cravatta!» Le grida di Sebastian li fece cominciare a correre. «Presto!» urlava il ragazzo. «Sembra che il drago voglia rimettersi in cammino, se non risaliamo subito partirà senza di noi!» Il piccolo gruppo saltò sulla bestia mentre questa si stava già rialzando. 24 Il grido dei lupi
Nel momento in cui il drago usciva dall'oasi, sentirono per la prima volta urlare i lupi. Un'orda scarlatta saltò fuori dai cespugli ringhiando. Le belve che la componevano si avventarono sul drago accerchiandolo. Erano bestie di ottanta, anche cento chili, rossi dal muso fino alla coda. Lunghe zanne gli spuntavano dalle labbra. «Sembrano usciti da un film dell'orrore» osservò il cane blu. «Se sono lupi mannari, è meglio evitare di farsi mordere!» Il branco si divise in due per assediare il drago, che però non prestava loro alcuna attenzione, poiché i nuovi venuti erano troppo piccoli per causargli il minimo fastidio. Peggy si aggrappò con tutte le forze alla cresta dorsale per non essere sbalzata a terra dagli scossoni. Aveva le dita bianche per lo sforzo. L'aspetto dei lupi non lasciava presagire niente di buono. Sembravano davvero pericolosi. E dire che una volta erano esseri umani! pensò Peggy Sue. Ma dovevano essere persone troppo aggressive per trasformarsi in conigli! Il loro carattere ha deciso il senso della loro trasformazione. Il drago finì per rendersi conto di essere seguito, e questo lo infastidì; in un sussulto d'energia, si mosse a passo di carica. La piana tremava. I lupi finirono zampe all'aria, sbilanciati dalle scosse. Decisero di disperdersi, evitando i temibili martellamenti del colosso. Sebastian si voltò verso Peggy Sue. «Che cosa è stato?» urlò per sovrastare il frastuono. «Dei 'trasformati'?» La ragazza gli fece cenno di sì con la testa. Venti minuti dopo, il drago, stanco, si lasciò cadere in un boschetto dove brucò gli alberi facendo guizzare schegge di corteccia nel raggio di cento metri. «Credo di aver capito che cosa succede» annunciò Peggy. «Abbiamo interpretato male il processo di trasformazione. Il pianeta non fabbrica mostri, come raccontano i signori del veleno: al contrario, ricompone la sua fauna» «Spiegati meglio» la esortò Sebastian «non ho capito!» «Ma sì» insisté la ragazza. «Ci hanno sempre raccontato che non c'erano
mai stati animali su questo pianeta a parte i draghi. È falso. Ce ne sono stati eccome, molto tempo fa, ma sono tutti morti in seguito a un cambiamento climatico. Sono sopravvissuti soltanto i draghi perché si nutrivano di lava. Ma il pianeta non si è rassegnato. E ha deciso di rimediare a questa catastrofe, visto che i suoi animali erano morti. Capite? Si sforza di far rinascere la vita, ma non conosce l'uomo, la cui specie gli è estranea; si serve di lui come se fosse plastilina da modellare, che inserisce semplicemente in forme già esistenti! I nostri atomi, le nostre molecole, Zantora li riorganizza secondo i soli modelli che conosce. Modelli animali.» «Oh!» esclamò Isi. «Capisco... noi gli serviamo come materia prima. Noi siamo la creta e lui il vasaio!» «Accidenti!» scoppiò a ridere Sebastian. «Io credevo che la mutazione fabbricasse mutanti mostruosi, invece creava conigli!» «Conigli e lupi!» lo corresse il cane blu. «Non dimentichiamo i lupi.» Un raschiare di unghie sulla pietra fece voltare Peggy. I lupi rossi circondavano l'oasi... Fianco contro fianco, avevano formato un anello di pelliccia intorno al boschetto verde e avanzavano con grande cautela, stringendo progressivamente il cerchio. La ragazza tirò fuori un bastone dall'equipaggiamento che portava a tracolla. Sebastian la imitò. «Fermatevi!» protestò Isi. «Non potete battervi contro di loro! Sono gli abitanti di Nadhyna, uomini, ma anche donne e bambini...» «Io vedo solo dei predatori,» sibilò Sebastian «delle bestie affamate e carnivore... Preparatevi a respingerli, cercheranno sicuramente di scalare i fianchi del drago; quando è coricato è più facile.» Isi non si mosse; Sebastian l'afferrò per la spalle e la scosse. «Sbrigati!» le ordinò. «Si avvicinano. Con quegli artigli riusciranno ad arrivare fin quassù.» La giovane strega scosse la testa con ostinazione. «No,» disse «mi rifiuto di uccidere quelli che erano esseri umani. Sarebbe un crimine.» «Preferisci che ti divorino?» si spazientì Sebastian. «Non capisci» mormorò la ragazza dai capelli rossi «saremo presto anche noi come loro... lo sento. In questi ultimi giorni non abbiamo preso abbastanza antidoto. La trasformazione è cominciata. Sta già cominciando a modificare i nostri corpi, i nostri pensieri.» «Che cosa stai dicendo?» domandò preoccupata Peggy. «So quel che dico» sospirò Isi. «Per me è finita, non ho bevuto abbastanza lacrime. Sono già una di loro. Ecco perché non posso far loro del
male... Sono miei fratelli.» Peggy Sue impallidì. La predizione del povero Romo le ritornò in mente. Aveva visto giusto! Non ebbe il tempo di riflettere perché i lupi si avvicinarono al drago assopito. Schioccavano le mascelle, manifestando la loro intenzione di scalare quella montagna di carne. Alcuni si aggrappavano già alle scaglie del mostro cercando di issarsi sul suo fianco destro. Sebastian agitò il suo bastone. Una delle belve si spinse fino a lui in un susseguirsi di salti impressionanti; giunta all'altezza della cresta dorsale, cercò di mordere Sebastian. Il ragazzo le assestò un perfetto colpo di bastone tra le orecchie. «Non fargli del male!» lo supplicò Isi. «Sono nostri fratelli! Presto anche noi saremo come loro! Lascia subito quel bastone!» «Vattene, pazza,» tuonò Sebastian «non mi farò divorare per farti un favore.» Allontanò la strega con uno spintone. Isi, non soddisfatta, lanciò un grugnito animale e gli mostrò i denti. «Si trasforma!» gridò il cane blu. «Corpo di una salsiccia atomica, guardate i suoi denti: sono lunghi quasi quanto i miei! Scaraventatela fuoribordo, prima che vi strappi una gamba!» «Neanche per sogno» si oppose Peggy. «La costringerò a bere le lacrime del drago in dosi massicce: forse non è troppo tardi per invertire il processo.» «Arrivano!» avvertì Sebastian. «Stanno salendo tutti! Presto! Mettetevi in posizione di combattimento.» Il cuore di Peggy si fermò. Gli artigli dei lupi stridevano sulle scaglie del drago. Il branco si avvicinava; i denti dei grandi maschi battevano con violenza. È finita, si disse la ragazza. Tra qualche minuto ci accerchieranno! E all'improvviso, quando Peggy si preparava a essere divorata, l'ululato del vento prese a spazzare la pianura, increspando l'erba. I lupi si fermarono di colpo, le orecchie basse come se quella semplice burrasca annunciasse un pericolo. Peggy alzò gli occhi, e scrutò le nubi. Vi lesse l'arrivo di una tempesta. «Guarda,» gridò a Sebastian «sembra che abbiano paura del vento.» Proprio quando stavano per raggiungere la meta, i lupi si arrestarono. Rinunciando a scalare il fianco del drago, si dispersero. Peggy ne vide anche alcuni che scavavano per nascondersi sotto la sabbia. Prese il cane blu tra le braccia e si rannicchiò contro le ossa del drago.
«Mettiti al riparo!» gridò a Sebastian. «Il vento sta diventando più forte. Guarda i lupi, sanno che sta per succedere qualcosa.» Effettivamente, il vento si ingrossava, sollevando turbini sabbiosi che graffiavano la pelle. Intorno al drago, i lupi rossi cercavano rifugio nella terra come talpe spaventate dalla luce. Peggy si rese conto che Isi non si era mossa. In piedi sulla schiena del drago, sembrava in stato di shock, incapace della minima reazione. «Isi,» la chiamò Peggy «mettiti al riparo, sta per pioverci addosso una catastrofe! Non so bene di che si tratti, ma farai bene a imitare i... mutanti.» La giovane strega non rispose. Mentre Peggy cercava di rialzarsi per afferrarle la mano, il vento si scatenò, strappando le foglie e poi i rami dagli alberi. Un ciclone terrificante. D'un tratto, uno strano ticchettio riempì le orecchie di Peggy Sue, che provò a sbirciare fuori dal suo nascondiglio; strani oggetti bianchi volteggiavano in aria prima di abbattersi a terra come una pioggia. Sembravano sciami di pugnali rimescolati dalla burrasca. Rimase un istante perplessa, poi capì: le ossa! Il ciclone aspirava le ossa ammucchiate nel cimitero dei draghi! Distruggendo gli scheletri, faceva volare costole, corni, tibie e mandibole. Il tornado spazzava la pianura, scavando profondi solchi nella sabbia. Le scapole volavano nel cielo nero come dei boomerang, i femori volteggiavano rombando... Una grandine di crani si abbatté sul fianco del drago addormentato. Esplosero sulla sua corazza con un suono secco, sollevando una nuvola di polvere bianca. Peggy Sue strinse i denti. Migliaia di detriti colpivano il suolo: costole, falangi, denti, zanne... Alcuni si conficcavano ad angolo retto come punte di lancia scagliate dall'alto del cielo. Al riparo sulla schiena del drago, i ragazzi riuscirono a sfuggire a quella lapidazione. Peggy afferrò Isi per mano per portarla al sicuro. La ragazza dai capelli rossi si dibatteva disperata. «Non serve a niente» protestò. «Lasciami... tu non capisci. Sono tua nemica... Forse domani ti sbranerò!» La strega si liberò con uno strattone e si lasciò scivolare lungo il fianco scaglioso del drago. Peggy provò a trattenerla, ma una grossa vertebra che volava nel turbine le sfiorò la testa, costringendola a ritornare nel suo na-
scondiglio mentre Isi si allontanava sotto quella pioggia di ossa. 25 La polvere sacra Quando Peggy riaprì gli occhi, la tormenta aveva proseguito la sua folle corsa verso nord; il sole brillava di nuovo. La ragazza aveva uno spaventoso mal di testa ed era piena di lividi. Intorno al drago la sabbia era coperta di frammenti ossei. «Come state?» si preoccupò scuotendo i suoi amici. «Non siete stati feriti?» «No» rispose il cane blu «ma Isi è scomparsa. Si è avventurata nella tempesta. Non so se è sopravvissuta.» Peggy esaminò i dintorni. L'oasi era stata devastata, gli alberi sradicati. «I lupi sono senz'altro scappati» disse Sebastian, che sanguinava da un taglio alla fronte. «Non li vedo da nessuna parte.» Il drago non sembrava volersi muovere, così Peggy decise di andare in esplorazione. Il cane blu la seguì. «Torna indietro!» protestò Sebastian. «Il drago può risvegliarsi da momento all'altro e rimettersi in cammino!» «Non possiamo abbandonare Isi» si ostinò Peggy. «È pazza!» gridò ancora il ragazzo. «Pazza e pericolosa. Inoltre, non ha mai smesso di girarmi intorno da quando l'abbiamo incontrata. Appena tu avevi le spalle voltate cercava di sedurmi. Non gioca a carte scoperte. Lasciala perdere...» «Non ha tutti i torti» osservò il cane. «Le streghe sono spesso un po' matte, bisogna ammetterlo. La magia finisce per mandare in tilt il loro cervello. Hanno sempre qualche rotella fuori posto.» Ma Peggy aveva deciso di non ascoltarli. Si infilò sotto le palme, fra i tronchi fatti a pezzi, e chiamò Isi a gran voce. Un grugnito animale si levò dietro di lei. Proveniva da un cespuglio. La ragazza si immobilizzò. «Isi...» mormorò «sei tu?» «No» disse una voce roca, appena comprensibile. «Non sono più io.» Allora, Isi uscì a quattro zampe dai cespugli. Le sue pupille erano diventate gialle e strette, zanne appuntite le spuntavano dalla bocca e una racca-
pricciante pelliccia rossa le ricopriva le spalle e le braccia. «Vattene via Peggy Sciu» grugnì. «È finita per me... Vattene prima che ti salti addosso.» «Ehi!» protestò il cane blu «perché non ti sei trasformata in una pecora o in un cervo?» «Perché non sono abbastanza gentile» sghignazzò Isi. «Le pecorelle e i cerbiatti, tra poco, me li mangerò... e anche i cani, perfino quelli blu.» «Devi venire con noi» insisté Peggy. «Se bevi parecchio antidoto, sono sicura che la trasformazione regredirà e ritornerai come prima.» «Non ne ho voglia» ringhiò Isi. «Sto bene così. So che mi piacerà. Ho sempre desiderato essere una lupa.» Si avvicinò con un'andatura tipicamente animale. Al posto delle unghie, ora sfoggiava lunghi artigli. «Vattene, Peggy Sciu» le ripeté. «Scappa, finché sono ancora in grado di riconoscerti. Non durerà molto. Tu ti trasformerai certamente in un'antilope... Una piccola graziosa antilope. E può darsi che un giorno ti mangerò.» «Ha ragione» bisbigliò il cane blu. «Non possiamo fare più niente per lei. Andiamocene. Che se la sbrighi con i suoi compagni pelosi.» E afferrò fra i denti i pantaloni della sua amica per costringerla a tornare indietro. Peggy Sue si lasciò trascinare controvoglia. «Non ti fidare di Sebastian» grugnì Isi ritornando nel bosco. «Ha già cominciato a trasformarsi anche lui... Romo aveva ragione. Tu sarai l'ultima a subire la trasformazione, soltanto il cane verrà risparmiato. Ma lo mangerò lo stesso.» Con la morte nel cuore, Peggy ritornò sui suoi passi. Il drago sembrava in pessime condizioni. Teneva gli occhi chiusi a causa della febbre... e non piangeva più. Quando Sebastian le tese la mano per aiutarla a salire sulla schiena dell'animale, la ragazza non poté fare a meno di guardargli attentamente gli occhi. Erano diventati gialli? Le pupille si erano ristrette? «Perché mi guardi così?» si meravigliò il ragazzo. Peggy Sue giudicò più onesto riferirgli quello che aveva detto Isi. Lui abbassò la testa. «Può darsi che dica la verità» borbottò. «Da tre notti faccio strani sogni. Mi vedo mentre corro a quattro zampe e grugnisco. Inseguo antilopi e zebre... e le sbrano.» «Anche a me succede lo stesso» intervenne il cane blu «ma con i conigli
o i gatti. Non c'è motivo di preoccuparsi.» «Sì,» sospirò Peggy «ma per te è normale: tu sei un cane.» «Sto per diventare un pericolo per voi» continuò Sebastian. «A causa della mia natura non umana, mi trasformerò più velocemente di te, Peggy. La riserva di antidoto diminuisce a vista d'occhio. Ed è fuori questione che io ne prenda una dose doppia.» «Forse diventerai un pastore tedesco» azzardò il cane blu. «Diventeremo amici... sempre se non cercherai di rubarmi gli ossi!» «Non credo» sospirò Sebastian con un sorriso triste. «Sono troppo aggressivo per accontentarmi di diventare un bravo cane. È un difetto che la trasformazione mi farà pagare caro. Diventerò certamente un lupo. Farei meglio a imitare Isi, e andarmene prima di farvi del male.» «No!» urlò Peggy Sue abbracciandolo. «Io voto a favore» disse il cane blu. «Non ho alcuna voglia di servire da spuntino a un lupo rosso.» «No!» ripeté Peggy. «Devi restare. Prenderemo delle precauzioni. Forse il drago si rimetterà a piangere, chi lo sa? Se bevi le sue lacrime, guarirai.» «Io invece penso che sarebbe più felice sulla pianura, insieme agli altri lupi» replicò il cane blu. «Potrà correre, fare gare di morsi con i suoi compagni, insomma tutti quei giochi che fanno i lupi tra di loro... Si annoierebbe con noi. Non sarebbe carino costringerlo a rimanere. No, no, penso che sia meglio che se ne vada.» «Stanotte ti legherò le mani e ti farò una museruola» bisbigliò Peggy all'orecchio del ragazzo. «In questo modo non potrai ferirmi.» «Va bene» si arrese Sebastian «Ma se mi libero e ti attacco, non esitare a uccidermi.» «Per questo puoi contare su di me!» assicurò il cane blu. Ora che la tempesta si era allontanata, i lupi si radunarono di nuovo. Peggy li vide emergere dalla sabbia uno a uno, scrollandosi di dosso nuvole di polvere. Riprese le forze, gli animali mutanti si misero in cerchio intorno al drago. Con il muso alzato, fissavano Peggy con un'insistenza che metteva i brividi. La ragazza si rannicchiò più che poté tra due sporgenze, ma la sua situazione rimaneva precaria perché il tornado aveva fatto volare via la borraccia con la riserva d'acqua. Queste considerazioni erano comunque di poca importanza, perché ormai era sempre più evidente che il drago stava morendo. La fine del grosso rettile avrebbe provocato l'esaurimento della fonte dell'antidoto.
«Con tutte queste avventure, ho perso la nozione del tempo» confessò la ragazza. «Non so più che giorno è oggi. Credo che sia tutto perduto. Non riusciremo mai e riportare il drago a Omakaido. Zarc avvelenerà Nonna Katy.» Si mise a piangere, e le sue lacrime disegnarono pallide linee sulle sue guance sporche di polvere. «Abbiamo fallito» gemette. «Siamo spacciati.» Il cane blu si avvicinò per leccarle la faccia. «Non ancora» affermò. «Il mio istinto mi dice che dobbiamo resistere. Sento una presenza davanti a noi, e non è quella dei lupi.» Peggy sapeva che stava mentendo per consolarla. Abbracciò il piccolo animale e aspettò, lo sguardo perso nel vuoto. La coltre di nubi si era dissolta, lasciando filtrare il sole. Tutto a un tratto faceva caldo, molto caldo. La pelle scagliosa del drago scottava come un tetto di tegole a mezzogiorno. Peggy sentì il calore penetrare attraverso i vestiti. In basso, i lupi esitavano a dare l'assalto. Infastidito dal calore, il drago si rialzò. Barcollava. Con il corno inclinato che sfiorava il terreno, si avventurò sulla pianura con passo incerto. Ogni tanto, le zampe gli cedevano, ma si raddrizzava con un colpo di reni e riprendeva il suo percorso esitante. I lupi lo seguivano. Peggy sapeva che il bestione stava vivendo i suoi ultimi istanti: il suo enorme cuore batteva così forte che l'eco rimbombava attraverso la corazza di scaglie. Era come un tamburo nascosto che impazziva, non teneva più il ritmo, perdeva il tempo. Il drago faticò per superare una collinetta, e d'un tratto Peggy Sue scoprì più in basso un nuovo ossario, più strano del precedente. Una foresta di costole innalzate come gigantesche sciabole, scheletri che avrebbero potuto servire da armature alle montagne, gabbie toraciche mostruose, incagliate come le carene17 di un'armata di ossa imbiancate. Il cimitero millenario dei draghi! Le spoglie aggrovigliate occupavano un cratere ormai spento i cui versanti erano ricoperti di cenere. Il drago, agonizzante, si incamminò sul pendio interno, ma le zampe persero la presa sul quel terreno polveroso, e cadde in ginocchio, barrendo. Lo strato di polvere non offriva alcuna presa, così continuò a scivolare, trascinato dal suo peso. Il suo agitarsi riuscì
solo a farlo coricare su un fianco. L'urto scaraventò giù Peggy e i suoi amici. I ragazzi e il cane descrissero una parabola in aria prima di rotolare sul letto di cenere che ammortizzò l'urto dell'atterraggio come un tappeto di gomma. Il drago, invece, proseguì la sua caduta, sollevando una nuvola grigiastra di polvere. Al termine della corsa, colpì in pieno l'ossario e si sdraiò, in attesa della morte. Fu di nuovo silenzio, turbato soltanto dal crollo degli scheletri che si sconquassavano come immobili vittime di un terremoto. Peggy si tirò su, stordita, la bocca e gli occhi pieni di cenere. Carponi, lottando contro la pendenza, risalì verso la cima del cratere. Si sentiva soffocare, tossiva e sputava. Quando emerse dal baratro, la nube di polvere oscurava completamente l'ossario, tanto che non si distingueva neanche più la figura del drago. La ragazza discese velocemente il pendio, senza vedere dove stesse andando. Le faceva male la spalla destra, Sebastian aveva un taglio sul sopracciglio, e il cane era tutto grigio, dal muso fino alla punta della coda. I lupi non li avevano seguiti all'interno del vulcano spento. Si erano fermati ai piedi del cratere, come se a loro fosse proibito andare più lontano. Aspettavano, seduti, schierati come in battaglia. «Stanno per attaccarci!» gemette Peggy. «No,» disse il cane «credo che siamo su un territorio sacro dove non hanno il diritto di mettere piede. Finché ce ne stiamo nascosti in mezzo agli scheletri, non proveranno ad attaccarci.» «In ogni modo, non ha più importanza» mormorò la ragazza. «Ormai abbiamo finito sia il cibo che l'acqua, e anche la riserva di antidoto scarseggia. È la fine. Credo che le nostre avventure finiscano qui. Non ci sarà un ottavo libro18, è sicuro.» «I lettori e lettrici non ne saranno contenti» fece notare il cane blu. «Dobbiamo trovare il modo di uscirne. La serie deve continuare!» «Sono così stanca...» si lamentò Peggy Sue rannicchiandosi contro Sebastian. «È vero, la situazione è piuttosto disperata» disse il ragazzo. «Non vorrei aggiungere altre preoccupazioni, ma... sto cominciando a trasformarmi. Guardate le mie unghie... sono cresciute di tre centimetri in due ore, vi sembra normale?»
«Wow!» abbaiò il cane blu. «Sembrano proprio artigli! Peggy, dobbiamo legare il tuo fidanzato, se non vuoi che ci faccia a fette durante la notte.» «Ha ragione» approvò il ragazzo. «Ormai sono un nemico per voi. L'odore della vostra pelle mi fa venire fame... Non ho più voglia di abbracciare Peggy, ma di morderla!» «Corde!» gridò il cane. «Ci servono delle corde!» Dovettero scendere di nuovo nel cratere per recuperare il loro equipaggiamento. Con l'aiuto di una buona fune di canapa, Peggy legò Sebastian a uno degli scheletri di drago che sporgevano dalla cenere. «Stringi bene i nodi!» le ordinò il ragazzo. «Non dimenticare che posso essere molto forte, quando voglio.» Mentre i ragazzi si preparavano, i lupi rossi non si muovevano di un passo. Seduti, si accontentavano di osservare i movimenti degli umani, le pupille dilatate per l'attenzione. Perché dovrebbero darsi la pena di attaccare? pensò Peggy. Gli basta aspettare. Entro due giorni Sebastian sarà uno di loro. Quanto a me, appena avrò preso l'ultimo goccio d'antidoto, mi trasformerò in una pecorella, una preda eccezionale per queste belve. Cedendo a un accesso di collera, raccolse alcuni frammenti d'osso e li lanciò verso i lupi, che ringhiarono scoprendo i denti. Da dove si trovava, poteva vedere le medagliette appese al collo di alcuni di loro. Si domandò se fosse possibile dialogare con quelle creature. Esisteva ancora una scintilla d'umanità in quelle teste pelose? «Puoi stabilire un contatto telepatico con loro?» chiese al cane blu. «Ci ho già provato» sospirò l'animale «ma intercetto solo parole tipo 'fame'... 'cibo'... 'mangiare'... Non credo che abbiano davvero voglia di chiacchierare con noi.» Emergendo dal branco, un lupo si fece avanti. Il suo andamento era strano, la sua figura bizzarra. Peggy Sue si rese improvvisamente conto che aveva un viso mezzo umano. Era... era Isi, trasformata per tre quarti. Il corpo era quello di un animale, ma la testa conservava ancora i tratti della giovane strega dai capelli rossi. Quando parlò, fu con una voce a metà tra il pianto e il ringhio. «Non potrai nasconderti per sempre nel cuore del territorio sacro» sibilò con malvagità. «So che non hai quasi più antidoto. Stai per trasformarti in
una pecorella belante... è solo questione di giorni. Una bella pecorella dal pelo bianco che tremerà sulle sue quattro zampe... Poco a poco, i tuoi ricordi si cancelleranno, dimenticherai di essere umana. Non penserai ad altro che a brucare l'erba della piana, perché avrai fame, molta fame. Allora uscirai dal cratere e supererai i confini del territorio sacro per venirci incontro!» «Non mi meraviglio che ti sia trasformata in un predatore» disse Peggy. «Non me n'ero resa conto, ma in realtà sei cattiva.» «Molto più di quanto immagini» sghignazzò quella creatura che, una volta, era Isi. «Ti porterò via Sebastian.» «Che cosa?» «Me ne sono innamorata al primo sguardo, ma quel babbeo non aveva occhi che per te. Non c'era modo di attirarlo a me... Ma ora la trasformazione sta per offrirmelo su un piatto d'argento. Quando sarà diventato un lupo, anche lui ti dimenticherà, allora ne farò il mio compagno, e gli porterò la tua spoglia di pecora, tutta sanguinante, perché la divori. Sarà la mia vendetta!» «Sei malvagia» mormorò Peggy «e io che volevo diventare tua amica... che ingenua sono stata!» «Sì» confermò la lupa. «Volevo approfittare dei miei ultimi momenti di umanità per dirtelo, perché quando sarò una bestia, i miei ricordi se ne andranno e non proverò più alcuna pietà per gli umani. Mi sarebbe seccato che tu morissi senza saperlo. È importante invece che ti sia chiaro: Sebastian sarà felice con me.» «Tirale un sasso!» suggerì mentalmente il cane blu. «Mi dà ai nervi.» «Perché non potete entrare nel cimitero?» domandò la ragazza, senza dargli retta. «Perché gli scheletri dei draghi sono sacri» spiegò la mezza lupa. «Sono i grandi superstiti, gli antenati che sopravvissuti al cataclisma che ha distrutto le altre forme di vita animale. Gli dobbiamo rispetto; se commettiamo il sacrilegio di calpestare la polvere delle loro ossa, la nostra pelliccia prenderà fuoco e bruceremo vivi. Gli uomini non rischiano niente. Almeno finché dura l'effetto dell'antidoto. Una volta diventati mostri, però, devono rispettare anche loro questa legge.» «Là!» ripeté la voce del cane blu nella mente di Peggy. «C'è un bel sasso proprio davanti a te, tiraglielo sul muso! Se avessi le mani lo farei io stesso.»
Ma Peggy se ne andò senza fare nulla di ciò che le suggeriva il suo compagno a quattro zampe. Isi raggiunse il branco al quale ormai apparteneva. «Quello che mi ha raccontato mi ha fatto venire un'idea» disse la ragazza attirando il cane blu in disparte. «Hai sentito cosa ha detto a proposito della polvere delle ossa? Se i lupi la toccano, bruciano. Il loro pelo prende fuoco.» «Sì, e allora?» «Allora potremmo riempire qualche sacco con la polvere delle ossa e tirarla addosso ai lupi che si mettessero sulla nostra strada. Che ne pensi?» «Potrebbe andare... a condizione che non sia solo una leggenda!» Peggy scosse la testa e si fermò a riflettere. «Sei sempre convinto che dobbiamo andare verso nord?» domandò. «Sì» assicurò il cane «me lo dice il mio istinto. Non posso spiegarti perché, è così che funzioniamo noi animali. Mi sembra che le cose si sistemeranno se andiamo in quella direzione. Percepisco delle onde benefiche che emanano da quella zona. Forse lì troveremo un rifugio... un aiuto... non lo so con precisione.» «Va bene» decise la ragazza. «Comunque sia non possiamo rimanere qui. La mia fiaschetta dell'antidoto è vuota, o quasi. Utilizzerò le ultime gocce che rimangono per il viaggio.» I due amici scesero nel cratere per mettere in atto il loro piano. Prima di tutto dovevano confezionare delle borse recuperando la pelle secca dei draghi mummificati e poi riempirle con tutta la polvere di ossa che potevano contenere. Tutta la faccenda richiese un po' di tempo. Sebastian si agitava nelle sue corde. Le orecchie gli si erano allungate e ricoperte di peli rossi. Ringhiava e mostrava i denti, che ora erano molto lunghi. Peggy cercò di fargli bere un po' di antidoto, ma lui rifiutò energicamente. «No! Tienilo per te, io ormai sono spacciato... Comincio a pensare come un lupo.» Peggy cercò di accarezzargli una guancia, ma il suo gesto fece allontanare il ragazzo. «Non toccarmi!» gridò. «Le tue mani sono coperte di cenere, mi brucerebbe. Non posso restare qui. Devi liberarmi.»
«Perché?» si disperò la ragazza. «Perché il vento sta ricoprendo il mio corpo di polvere di ossa» ansimò Sebastian «e mi brucia. Per ora prude terribilmente, ma quando la trasformazione sarà più avanzata, mi divorerà la pelle... e i miei capelli prenderanno fuoco. Se non vuoi che mi trasformi in una torcia vivente devi lasciarmi andare, così potrò uscire dal cratere.» «Andrai a raggiungere i lupi... e Isi?» «Sì, non posso fare altrimenti, è più forte di me. Non ho scelta.» Peggy si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Coperta di cenere, aveva l'aria di un fantasma appena uscito dall'ossario. Non riusciva a decidersi a lasciarlo partire perché si unisse al branco dei lupi rossi. «Lascialo andare» le consigliò il cane blu «non possiamo fare nulla per lui. Se lo tieni prigioniero, sarà come se lo condannassi al rogo.» Col passare delle ore divenne evidente che Sebastian soffriva sempre di più; ogni volta che il vento depositava polvere di ossa sulla sua pelle si lamentava da straziare l'anima. Quando dai suoi capelli provenne un odore di pelo arrostito, Peggy decise che era giunto il momento di rendergli la libertà. Afferrò il suo coltello e tagliò la corda che lo teneva prigioniero. Sebastian si mise subito a quattro zampe, come se quella fosse la sua posizione naturale. «Grazie» mormorò, il viso deformato dalla sofferenza. «Non restare qui... Usa la polvere di ossa contro di noi... voglio dire: contro i lupi. Ti permetterà di tenerli a distanza. Vai verso nord... Laggiù c'è qualcuno che potrà aiutarti.» «Chi?» «Non lo so... lo leggo nei pensieri dei lupi. Mi invadono. Il sapere del branco sta per passare a me.» «Ma tu?» singhiozzò Peggy. «Cosa stai per diventare?» «Non lo so... non sono più capace di pensare a queste cose... ho solo voglia di mangiare... di mangiarti. Scusami, devo proprio raggiungerli, la polvere di ossa mi fa troppo male. Non cercare di salvarmi, non servirebbe a niente. Dimenticami...» E si lanciò verso la sommità del cratere per uscire il più velocemente possibile dal cimitero dei draghi. Ogni volta che sfiorava il suolo con le mani, la sua pelle crepitava come se toccasse braci ardenti. «È proprio in un brutto pasticcio» commentò il cane blu. «Chissà se lo rivedremo un giorno.» «Stai zitto!» urlò Peggy. «È troppo doloroso!»
«Boff,» bofonchiò l'animale con filosofia «non avrai difficoltà a trovare un altro ragazzo, non ne mancano di certo. Questa volta, però, cerca di trovarne uno normale.» Peggy pianse a lungo, poi si riscosse. Ogni minuto era prezioso. Doveva incamminarsi verso nord senza tardare ancora. «Raduniamo le borse» decise «e proviamo a uscire da qui.» Sistemò due bisacce sulla schiena del cane blu e prese tutti i sacchi che riusciva a sollevare. Si inerpicarono quindi lungo il fianco interno del cratere per lasciare il cimitero dei draghi. Giunti in cima al vulcano spento, furono immediatamente accerchiati dai lupi. «Andatevene!» gridò loro Peggy, immergendo la mano nella polvere degli antichi draghi. «Lasciateci passare, o vi tirerò addosso la polvere sacra.» I lupi ringhiarono e mostrarono i denti. Non avevano la minima intenzione di lasciar andare il loro pranzo. Alcuni si fecero incontro alla ragazza, con gli occhi che brillavano di golosità. Peggy mise in atto la sua minaccia. Con un ampio gesto, gettò la cenere in direzione delle belve. Appena la polvere di ossa toccò il mantello dei predatori, quelli presero fuoco. Per tutti gli dèi del cosmo, pensò Peggy allarmata, spero che Sebastian non sia tra loro. «Che tu sia maledetta!» urlò la voce deformata di Isi. «Non te la caverai così facilmente! Ti inseguiremo giorno e notte. La tua polvere non durerà per sempre. Arriverà il momento in cui non potrai più respingerci, e allora...» Senza prestare attenzione a quelle parole piene di odio, Peggy e il cane si aprirono un passaggio in mezzo all'orda di lupi. La paura dell'avvampamento aveva disperso i predatori affamati, e i due amici riuscirono ad arrivare sulla pianura sani e salvi. «Ci seguono» annunciò il cane blu quando finalmente calpestarono l'erba della prateria. «Lo so» rispose Peggy Sue. «Non ci lasceranno andare. Speriamo che accada un miracolo, prima che le bisacce si vuotino.» 26
L'incredibile segreto del Nord Cominciò allora uno strano viaggio. Peggy e il cane blu avanzavano più veloci che potevano, guardandosi spesso indietro per controllare se i lupi si avvicinavano. Quando un lupo, cedendo alla tentazione, si staccava dal branco per andare all'assalto, la ragazza gli gettava una manciata di polvere sul muso, cosa che tolse ai predatori la voglia di insistere. Quando scese la notte, la ragazza e il suo amico a quattro zampe si sistemarono sopra una roccia per mettersi fuori dalla portata delle belve. Decisero che uno di loro avrebbe montato di guardia mentre l'altro dormiva. Era il solo modo per riposarsi un po'. Per sicurezza, si strofinarono dalla testa ai piedi con la polvere di ossa. In questo modo, se una delle bestie avesse cercato di morderli, si sarebbe bruciata orrendamente la bocca e avrebbe mollato subito la presa. Peggy si allungò, stremata; sprofondò nel sonno e sognò di brucare l'erba di una prateria deliziosamente verde. L'erba medica aveva un buon sapore, e il trifoglio era squisito! Il cane blu la svegliò mordendole una caviglia. «Ehi! I tuoi capelli sono cambiati mentre dormivi. In un colpo solo. Ora sono bianchi, sembrano lana.» Peggy si afferrò una ciocca e se la portò davanti agli occhi. «È proprio lana» balbettò. «Lana di pecora. Mi sto trasformando.» «Sembra anche a me» confermò l'animale. «Inoltre belavi nel sonno.» Peggy prese la fiaschetta con l'antidoto e la scosse. «Ne restano solo poche gocce» si disperò. «Credo che la polvere di ossa inizi a darmi prurito. Vuol dire che ho cominciato a trasformarmi. Presto non riuscirò più a toccarla e non potrò più lanciarla sul muso dei lupi. Appena metterò le mani nel sacco, mi brucerà la pelle.» Si rimisero in cammino. Più volte, Peggy si voltò per scrutare il branco, nella speranza di vedere Sebastian. «Lascia stare» le intimò il cane blu. «Ti stai facendo del male. È un lupo, ora. Se ti avvicini, ti salterà alla gola.» «Sì, lo so» disse tristemente la ragazza. Doveva essere mezzogiorno quando il cane individuò uno strano scintillio attraverso il velo di nebbia che mascherava l'orizzonte. «Guarda» disse «sembra che qualcuno faccia dei segnali riflettendo i raggi solari con uno specchietto.» «Andiamo in quella direzione» decise Peggy Sue. «Sembra il lampeg-
giamento di un faro.» Accelerarono il passo. Man mano che avanzavano, il chiarore si faceva sempre più accecante. Era così intenso che non riuscivano a capire di cosa si trattasse. Facendosi schermo con una mano Peggy riuscì finalmente a identificare la sorgente luminosa. Proveniva da una gigantesca spada piantata dritta per terra, la cui lama rifletteva i raggi del sole. «La spada del Matador...» balbettò il cane blu. Poco più in là, di traverso, giaceva il corpo senza vita del gigante. «Credi che dorma o che sia morto?» mormorò Peggy. Senza rispondere il cane andò in ricognizione. Il pelo dritto, la cravatta a brandelli, aveva l'aria di un demone uscito dall'inferno. Con il naso fremente, si avvicinò al gigante per annusarlo. Da dove si trovava, Peggy poteva vedere le ferite che sfregiavano il corpo del Matador: il buco provocato dal corno del drago, l'arpione piantato in gola. Si è trascinato fin qui per morire, pensò. Il colpo che gli ha inflitto Sebastian era terribile. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Non è una creatura vivente! È un robot.» «Che cosa?» biascicò Peggy. «Dalle sue piaghe cola olio. La pelle è di gomma molto dura, come gli pneumatici dei camion. Si è guastato e si è rotto. Andava verso il Nord anche lui.» Rassicurata, la ragazza si avvicinò al Matador. Quando posò la mano sul petto del gigante, capì che il cane blu diceva la verità. «Ecco perché non aveva né pensieri né odore» rifletté l'animale. «Non si trattava di un morto vivente, ma di una macchina. Non mi sono sbagliato poi di molto.» «Non restiamo qui» propose la ragazza «nascondiamoci nella nebbia prima che i lupi ci prendano.» Radunando le loro ultime forze, i due amici marciarono risoluti verso la cortina di nebbia, immaginando che un'incredibile segreto li attendeva dall'altra parte. «Il branco ha rinunciato a seguirci» constatò il cane blu. «La vista del Matador li ha spaventati.» Dopo un quarto d'ora, Peggy si fermò. Altri tre giganti erano appena apparsi attraverso le volute di nebbia. Si innalzavano come le torri di un ca-
stello costruito in mezzo al nulla. «Non ci guardano» osservò il cane blu. «Credo che siano fuori servizio. Vieni, proseguiamo, non ci faranno niente.» Arrivarono in vista di uno strapiombo roccioso nel quale erano scavate diverse grotte. I robot giganti montavano di guardia. Era impressionante. «Ehi! Tu! Ragazza con il cane...» chiamò una voce. Peggy Sue alzò la testa. Un vecchio dalla barba bianca stava all'entrata di una delle caverne. «Salve!» gridò lo sconosciuto agitando la mano. «Sono Benazar, capo dei liberi superstiti di Nadhyna. Benvenuta! Sei un mostro o stai per diventarlo? E il tuo cane era un bambino prima di trasformarsi?» «Mi chiamo Peggy Sue, mi sto trasformando in pecora, e il mio cane è un vero cane. Avete un po' di antidoto da darci?» «Qui non c'è bisogno di antidoto» dichiarò il vecchio. «Cammina fino ai piedi della parete rocciosa, scendo ad aprirti.» Peggy scorse una porta d'acciaio nascosta tra le rocce e vi si diresse. Il battente cigolò scorrendo; il vecchio barbuto apparve sulla soglia. «I lupi ci inseguono» raccontò la ragazza. «Non temere,» disse Benazar «non si azzardano mai ad arrivare fin qui.» Tese una mano e toccò la lana bianca sulla testa di Peggy. «È proprio lana di pecora» constatò. «Arrivi giusto in tempo. Sei certa che questo cane sia un vero cane? È blu... È sicuramente un mostro.» Si fece di lato per lasciar entrare i due amici, poi richiuse con cura la porta. «Non abbiate paura» mormorò. «Non ci sono bestie maledette qui, soltanto i superstiti di Nadhyna. 'Ribelli' che hanno rifiutato di bere il veleno e sono fuggiti sulla pianura. Li incontrerete. Seguitemi.» Peggy gli andò dietro. Nella caverna faceva fresco. Molte persone si accalcavano nella penombra: donne, uomini, bambini... Alcuni di loro non presentavano alcun segno di mostruosità. I bambini e le ragazzine ridacchiavano guardando il cane blu. «Allontanatevi!» ordinò Benazar. «Lasciateli respirare. Piuttosto, portategli qualcosa da bere e da mangiare, sono tutti pelle e ossa!» La tribù si disperse. Peggy si lasciò cadere su una coperta di fibre vegetali. Benazar la imitò. «Io credevo...» cominciò la ragazza. Il vecchio alzò la mano facendole cenno di tacere. «So cosa credevi» disse scuotendo la testa. «Che una volta rimasti senza
antidoto è la fine. Ebbene, ti hanno mentito.» Portarono qualcosa da mangiare. Peggy Sue attinse meccanicamente dalla scodella che le porgevano. Il cane blu mangiò in modo ancora più vorace del solito. Il vecchio sorrise. «Sicuramente ti chiederai come facciamo per rimanere umani quando non abbiamo a disposizione nessun drago che ci fornisca le sue lacrime» disse. «È semplice. Nelle profondità di queste grotte c'è un lago sotterraneo le cui acque sono magiche. Basta immergersi per annullare immediatamente la trasformazione. Ti ci porterò subito, così questa lana che hai in testa tornerà a essere ciò che era prima, cioè i tuoi capelli.» «È formidabile!» esclamò Peggy. «Perché non l'avete detto ai signori del veleno? Salvereste centinaia di persone dalla mostruosità!» Benazar fece una smorfia. «Scherzi?» disse con tristezza. «Appena scoperta questa prodigiosa oasi, abbiamo subito informato Mecanicus. Gli abbiamo proposto di consegnargli le anfore di acqua magica per curare i mostri di Omakaido...» «E allora?» «Allora ha rifiutato fermamente. Questo miracolo non poteva essergli utile. Rifletti! Se d'un tratto fosse facile guarire le trasformazioni, il potere di Mecanicus crollerebbe da un giorno all'altro! Capisci? Quell'individuo ha costruito il suo potere sulla paura della mostruosità. La gente lo venera, lo supplica. Se, domani, i cittadini non temessero più di trasformarsi in animali, Mecanicus si ritroverebbe disoccupato, e non vuole che questo accada per nessun motivo al mondo. Sono convinto che non abbia mai informato Mastro Zarc della nostra scoperta.» «È un criminale!» dichiarò la ragazza. «Allora ha trasformato centinaia di esseri umani in statue al solo scopo di conservare i suoi privilegi?» «Purtroppo sì» ammise Benazar. «Quando gli abbiamo mandato altri ambasciatori, li ha fatti gettare in prigione. Abbiamo finito per rinunciare, perché non siamo molto numerosi. Ora che ti sei ripresa, ti porterò al lago.» Peggy e il cane blu seguirono il vecchio, che li guidò attraverso il labirinto delle grotte. Ogni tanto si fermava per presentargli uomini e donne dei quali i due amici non riuscivano a ricordare i nomi. I ragazzini si spintonavano dietro di loro per accarezzare il cane blu, perché erano convinti che si trattasse di un bambino trasformato. «Molti, tra queste persone, erano dei cani, delle pecore, delle vacche o dei tori quando sono arrivati qui» spiegò Benazar. «Fuggivano dai lupi
scarlatti che si aggirano sulla pianura radunando le persone malvagie che sono state vittime della trasformazione.» «Lo so» sospirò Peggy «il mio fidanzato è tra loro. Non è veramente cattivo, ma quando si arrabbia può diventare molto aggressivo verso i suoi nemici.» «È sufficiente per orientare la trasformazione» disse Benazar. «Il problema con i lupi è che rifiutano di ridiventare umani. Sono molto contenti di essere diventati quello che sono. Abbiamo cercato di sistemare qualche bacinella di acqua magica apposta per loro, spiegandogli che bastava bagnarsi per riprendere l'aspetto umano, ma hanno sempre rifiutato di farlo. Essere dei mostri li esalta. Lusinga i loro peggiori istinti.» L'uomo si zittì, perché erano appena arrivati in una caverna gigantesca dove si trovava un lago dalle acque limpide. La luce del giorno, filtrando attraverso le fessure della volta, manteneva in quel luogo segreto una gradevole penombra. «Eccoci arrivati» dichiarò Benazar. «Qui si cura la trasformazione. Tutto ciò che viene immerso nel lago ritrova la sua forma originaria.» «Anche le statue della gente avvelenata dall'elisir pietrificante?» azzardò Peggy, con il cuore pieno di speranza. «Sì, anche le statue» confermò il vecchio saggio. «L'acqua magica annulla tutti i malefici. Ora immergiti, perché stai continuando a trasformarti; non te ne rendi conto, ma quando parli beli.» «Va bene» disse la ragazza togliendosi i vestiti. «Quanto durerà l'effetto? Una settimana, due?» «La guarigione è definitiva» dichiarò Benazar. «Non avrai bisogno di bere le lacrime del drago, mai più. Capisci perché Mecanicus non vuole sentirne parlare?» Peggy annuì e si incamminò verso quell'acqua azzurrina. Era così ghiacciata che per poco non lanciò un grido quando si tuffò. Fece qualche bracciata e poi ritornò a riva. Il cane blu si dibatteva tra le mani di tre ragazzi che si erano messi in testa di bagnare anche lui per restituirgli il suo aspetto umano. «Sono un cane!» urlava. «Un vero cane! Corpo di una salsiccia atomica! Volete lasciarmi?» Peggy dovette intervenire per far sì che i ragazzi liberassero l'animale. «Ma...» protestò uno dei ragazzini «lo abbiamo sentito parlare! I cani non parlano!»
Peggy spiegò loro che avevano sentito risuonare la voce 'mentale' dell'animale nella loro testa, perché il cane blu era capace di proiettare i suoi pensieri nel cervello di chiunque. «Capite,» insisté «è telepatico.» Confusi, le tesero un asciugamano. Peggy constatò con gioia che i suoi capelli erano tornati quelli di prima e che non somigliavano più alla lana. «Sono felice!» esclamò rivestendosi. «Ero disperata all'idea che mia nonna fosse stata tramutata in pietra dal veleno delle fontane, ma se basta bagnarla con l'acqua del lago per farla ritornare umana, tutto va per il meglio! Potrò fare la stessa cosa anche con Sebastian, se riesco a riconoscerlo sotto il suo travestimento da lupo...» «Questa mi sembra una pessima idea» borbottò il cane blu. «Perché accollarsi quel ragazzo? Per quanto sia carino, gli puzzano i piedi, soprattutto quello sinistro... io che mi muovo rasoterra, lo sento bene. No, dovresti trovarti un altro ragazzo. Propongo di far votare i lettori19. Sono certo che saranno d'accordo con me. È tempo che ti trovi un altro fidanzato, più divertente, che ami rosicchiare gli ossi e correre appresso ai gatti, per esempio...» Ma Peggy, tutta presa dai suoi progetti, non lo ascoltava. «Il Matador... o piuttosto i Matador» domandò «a che servono?» «Quei robot sono stati costruiti dai primi occupanti di Zantora, coloni dei quali non sappiamo niente. Senza dubbio dovevano essere creature giunte dal profondo della galassia. Hanno tentato di colonizzare Zantora ma, scoraggiati dalla vastità dell'impresa, hanno rinunciato. Sono ripartiti, abbandonando dietro di sé questi giganti meccanici. Suppongo che, in origine, quei robot fossero i guardiani dei draghi. Li riunivano in branchi e li sorvegliavano. A quell'epoca non avevano le spade, ma bastoni da pastore. Erano pacifici. Il problema era che i draghi non volevano essere trattati come le pecore, e si sono ribellati. Hanno attaccato i pastori meccanici.» «Capisco» disse Peggy. «La rivolta dei draghi ha trasformato i robot in Matador!» «Sì, i giganti hanno capito che dovevano difendersi se non volevano essere distrutti uno dopo l'altro. Così hanno modellato i loro bastoni per farne delle spade. E con i vestiti hanno improvvisato dei mantelli. Ma qualcosa si è guastato nei loro ingranaggi; probabilmente gli attacchi ripetuti dei draghi hanno attivato un sistema di difesa nei circuiti dei robot. Si sono messi a braccare i draghi per sterminarli.»
«Non si può fare nulla per impedirglielo?» «Non lo so. Queste creature cibernetiche sono state prodotte da una scienza extraterrestre che va oltre la mia povera intelligenza. Tuttavia non ne restano più molti. Si rompono uno dopo l'altro e, visto che non siamo capaci di ripararli, rimangono a terra, immobili come statue. Credo che questo posto fosse un centro di riparazione, una specie di rimessa. Ecco perché ritornano sempre qui quando sono guasti.» Benazar trascinò Peggy e il cane blu ai piedi di una parete sulla quale erano scolpiti strani caratteri che somigliavano agli ideogrammi cinesi. «Non ho alcuna idea di che cosa significhi questa scritta» confessò. «Ha l'aspetto di qualcosa di molto misterioso, ma può darsi che significhi semplicemente: 'Vietato fare il bagno nel lago vestiti'...» «Allora» propose Peggy Sue «pensate che anche il lago sia stato scavato dagli extraterrestri?» «Sì, non ci sono altre spiegazioni. Avevano trovato la soluzione ai problemi delle trasformazioni, ma qualcosa li ha costretti a ripartire. Non sapremo mai che cosa.» «Secondo me» borbottò il cane blu «ne hanno avuto abbastanza dei draghi. Non sono certo bestie che fa piacere invitare a casa per guardare insieme la televisione e mangiare una pizza.» Peggy Sue era pensierosa. Le rivelazioni di Benazar le ridavano speranza. «So che cosa stai pensando» disse il vecchio. «Vorresti ritornare a Omakaido portando l'acqua delle stelle.» «Sì» confessò la ragazza. «Bisogna far sapere alla gente che è inutile bere il veleno delle fontane, che c'è un'altra soluzione. Il lago è abbastanza grande per curare tutti gli abitanti di Zantora. Basterebbe che ciascuno venisse qui, in pellegrinaggio, e nuotasse un minuto in queste acque per essere preservato per sempre dalla minaccia della mostruosità.» «È proprio così,» confermò Benazar «ma Mecanicus e i suoi compari non ci sentono da quest'orecchio. Non ti lasceranno libera di agire. Quello che vuoi fare è molto pericoloso.» «Rieccoci» sospirò il cane blu. «Il mio istinto mi dice che stiamo per metterci in un altro pasticcio!» «Come avete fatto a ritrovarvi qui?» domandò Peggy voltandosi verso il vecchio. «A quel tempo, a Nadhyna c'erano molti ribelli» raccontò Benazar. «Io
ero il loro capo. Ne avevamo abbastanza della tirannia dei signori del veleno. Per mesi abbiamo messo da parte un po' di antidoto, in modo da costituirci una riserva in caso di fuga. Un giorno, il nostro drago ha spezzato le catene ed è scappato. Anziché bere l'acqua delle fontane avvelenate, lo abbiamo imitato, e questo ancor prima che i signori di Nadhyna fossero messi al corrente della sparizione del drago.» «Vi siete avventurati nel deserto?» «Sì. È stata una dura traversata. Quasi cinquecento di noi, che non avevano portato abbastanza antidoto, si sono trasformati durante il viaggio. Alcuni in conigli, altri in pecore, altri ancora in cervi... oppure in lupi e in coccodrilli, a seconda dei casi.» «Come vi è venuta l'idea di risalire verso nord?» «Ho deciso di seguire le orme che un gigante aveva lasciato nel fango, per vedere dove ci avrebbero condotti. Non avevamo niente da perdere, come vedi... Le nostre riserve di lacrime si stavano esaurendo. È così che abbiamo scoperto queste caverne e il lago magico. E ci siamo salvati. Da allora non ci siamo più mossi.» 27 L'anima del lupo «Ho un'idea» dichiarò Peggy. «Non so ancora se sia realizzabile, ma mi piacerebbe provare.» «Ah, sì?» disse il cane blu, preparandosi al peggio. «L'idea» disse la ragazza tutta eccitata «è quella di usare uno dei giganti per ritornare a Omakaido. Viaggeremo nella sua testa: in questo modo né i lupi né i soldati di Mecanicus potranno opporsi alla nostra avanzata.» Benazar si accarezzò la lunga barba bianca. «Sì, si può salire sulla testa dei giganti» disse. «C'è una porta dietro la nuca. Dà accesso a una cabina di pilotaggio, ma nessuno ha mai cercato di guidare un robot. Probabilmente gli esseri che hanno costruito i Matador avevano previsto di usarli anche come veicoli, però non ci hanno lasciato le istruzioni per l'uso. Se vuoi tentare l'avventura, dovrai scoprire da sola il modo di pilotare quegli strani automi. Sarà pericoloso.» «Voglio provarci lo stesso» decise la ragazza. «Ormai l'ultimatum di Mastro Zarc è scaduto; a quest'ora mia nonna ha già bevuto l'acqua delle fontane avvelenate, come tutti gli abitanti di Omakaido. L'hanno costretta. Si è tramutata in una statua; e nel frattempo il mio fidanzato è diventato un
lupo. L'unica possibilità di restituire loro l'aspetto umano è di portare l'acqua delle stelle a Omakaido, e di mettere così fine alla tirannia dei signori del veleno.» «Dimostri molto coraggio,» disse il vecchio saggio «ma sarà come se tu dichiarassi loro guerra.» «Lo so,» annuì Peggy Sue «ma non ho altra scelta. Non abbandonerò Nonna Katy né Sebastian.» «Rispetto la tua decisione» disse Benazar. «Seguimi, ti mostrerò come salire sugli ultimi giganti ancora funzionanti.» Appoggiandosi al suo bastone, condusse Peggy e il cane blu attraverso un dedalo di gallerie fino in cima alla parete rocciosa. Di là si poteva accedere ai robot attraverso un sistema di passerelle. La ragazza avanzò sull'orlo del precipizio per contemplare i Matador a riposo. «Perché non si muovono?» domandò. «Sembra che dormano in piedi.» «È più o meno così» confermò Benazar. «Suppongo che ricarichino le loro batterie tramite i sensori solari che hanno installati negli occhi. Quando hanno fatto il pieno d'energia, ripartono per la pianura, pronti a inseguire i draghi. Non abbiamo mai osato provare a disinserirli.» «Voglio dare un'occhiata all'interno» decise Peggy Sue. «Prometto che non toccherò niente.» Seguita dal cane blu, si avventurò sulla passerella traballante che portava alla testa del gigantesco robot. All'altezza della nuca si apriva un boccaporto, come aveva detto Benazar. La ragazza spinse la maniglia. In pochi istanti era nella testa del Matador. «Sembra di essere nella cabina di pilotaggio di un aereo» osservò il cane blu. «Migliaia di bottoni e leve di tutti i colori! Come si fa a sapere quale bisogna schiacciare?» Peggy si avvicinò al quadro di comando. Gli occhi del gigante formavano due oblò attraverso i quali si poteva contemplare tutta la pianura fino all'orizzonte. «Il parabrezza è dotato di un filtro che permette di vedere attraverso la nebbia» notò. «Davvero pratico.» Così, sospesa a cinquanta metri dal suolo, Peggy aveva le vertigini. «Che botta si deve prendere se questo fantoccio si rompe il muso!» esclamò il cane blu. Ma la ragazza aveva deciso di non lasciarsi scoraggiare. Sistemandosi sulla sedia del pilota, cominciò a studiare i mille bottoni del pannello di comando.
Aveva giocato spesso insieme a Sebastian con i simulatori di volo al computer, e ora quel gioco si rivelava molto utile. Le ci vollero parecchi giorni per comprendere i segreti dei comandi. I primi collaudi fecero contorcere il gigante come una marionetta impazzita, ma poi Peggy riuscì pian piano ad acquisire padronanza dei movimenti elementari: cammina dritto, gira a destra, vai a sinistra, abbassati, tirati su. Decise che era sufficiente per intraprendere la traversata del deserto e si limitò a quelli. «Quando il gigante comincerà a muoversi» dichiarò «dovremo attaccarci alle poltrone, se non vogliamo essere sbalzati fuori e schiantarci a terra!» «Non è proprio danza classica,» osservò il cane blu «ma almeno riesci a farlo muovere a tuo piacimento. Con un po' di fortuna, potrai portarlo fino a Omakaido. Perché è sempre questa la tua intenzione, vero?» «Sì» confermò Peggy. «Porteremo con noi acqua magica sufficiente per riportare in vita quelli che sono stati pietrificati. Spiegheremo loro che Mecanicus li ha imbrogliati e che si può vincere la maledizione delle trasformazioni venendo a fare un bagno nel lago misterioso. Quello che accadrà in seguito non ci riguarda. I fantasmi mi avevano chiesto di trovare una soluzione al problema della mostruosità, e io l'ho fatto. Tocca agli abitanti di Zantora gestire la possibilità che viene offerta loro, se ne sono capaci.» Il cane blu notò che Peggy non smetteva di fissare la piana attraverso gli oblò gemelli formati dagli occhi del gigante. «Stai cercando Sebastian...» indovinò. «Sì» ammise l'adolescente. «Non partirò senza di lui.» «Come farai? Bisogna prima identificarlo, poi isolarlo dagli altri lupi, e infine bagnarlo con l'acqua magica.» «È proprio quello che voglio fare» dichiarò Peggy avvicinandosi al pannello di controllo. Spinse il bottone che permetteva di trasformare gli occhi del gigante in un telescopio. In questo modo si poteva ingrandire a proprio piacimento una parte del paesaggio. Maneggiando le leve, fece ruotare la testa del Matador verso la pianura desertica dove si appostavano i predatori. Provò una stretta al cuore quando l'immagine dei lupi apparve negli occhi di cristallo, incredibilmente ingrandita. Ebbe l'impressione di essere a pochi passi dalle belve radunate. «Hai ottenuto qualcosa, eh?» mormorò il cane blu. «Qual è Sebastian? Per me, sono tutti uguali.»
«Ci avvicineremo e tu sonderai i loro pensieri» disse Peggy con voce tremante. «Forse Sebastian conserva nella sua memoria una mia immagine, un ricordo di ciò che abbiamo vissuto insieme... La trasformazione non può aver cancellato tutto. Non ci credo. Anche se è diventato un lupo, ogni tanto deve pensare a me come io penso a lui. Quando dorme, nei suoi sogni, deve apparirgli il mio viso, non credi?» Sentendola prossima a scoppiare in lacrime, il cane non ebbe il coraggio di contraddirla. In realtà, lui non era affatto dispiaciuto di essersi sbarazzato di Sebastian, con il quale aveva sempre intrattenuto relazioni tumultuose. Pensava sinceramente che Peggy avrebbe dovuto trovarsi un altro fidanzato più divertente, meno tormentato. «Faremo come vuoi tu,», promise «ma sarà pericoloso. Isi ora è con lui, e farà di tutto per impedirti di riconquistarlo.» «Lo so» annuì la ragazza «ma ci proverò lo stesso.» Sprofondò nella contemplazione del branco scarlatto che sonnecchiava all'ombra di un masso, domandandosi quale tra quelle bestie fosse Sebastian. Era inutile sperare di rintracciare una qualunque somiglianza fisica: le fauci di un lupo non hanno molto a che vedere con un volto umano! «Da qui non riusciremo a vedere nulla» sospirò. «Dobbiamo avvicinarci. Soltanto tu puoi sondare le loro menti. Conto sui tuoi poteri telepatici, sei la mia unica speranza.» «Va bene, va bene,» si arrese il cane blu «vado a fargli visita, ma è solo perché tu sei la ragazza che amo di più al mondo. Non lo farei per nessun altro.» «Grazie, grazie...» balbettò Peggy stringendosi l'animale al petto. Una volta uscita dal robot, Peggy Sue mise Benazar al corrente del suo piano. L'uomo cercò di dissuaderla. «Comprendo il tuo dolore,» disse serio «ma la tua impresa mi sembra una follia. Quel ragazzo ora è un lupo, con pensieri da lupo, e un appetito da lupo. Ti ha dimenticata. I suoi ricordi umani sono svaniti. Potresti rischiare la vita inutilmente. Il branco individuerà presto il tuo odore e ti accerchierà. E tu non potrai portare con te abbastanza acqua magica per annaffiarli tutti.» «Lo so,» dichiarò la ragazza «ma mi cospargerò con la polvere dei draghi. Dovrebbe bastare a tenerli distanti.» «Forse» mormorò Benazar stringendosi nelle spalle. «Ti auguro con tutto il cuore di riuscire. Intanto voglio metterti in guardia. Chi è stato un lu-
po, lo resta sempre un po'. Credo che le persone che sono state trasformate in mostri non tornino mai completamente umane. Rimane sempre in loro un qualcosa di inquietante del quale bisogna diffidare. Spero che non resterai delusa.» «Sebastian non sarà così» insisté Peggy. «E poi, se intervengo subito, non sarà rimasto un lupo per troppo tempo.» Convinta delle sue ragioni, la ragazza recuperò i sacchi pieni di cenere che aveva abbandonato all'entrata delle caverne quando era arrivata e si strofinò con la polvere degli antichi draghi. Fece lo stesso trattamento al cane blu. Armata di una bisaccia di polvere d'ossa e di un bidone di acqua magica, si avventurò nel deserto avendo cura di camminare controvento. In questo modo i lupi non potevano percepire il suo odore. Grazie a quel sotterfugio, arrivò senza incidenti in cima a un picco roccioso, da dove poté osservare il branco con comodo. Il cane blu si appiattì contro di lei, le orecchie tese, il naso fremente. «Allora?» gli domandò Peggy impaziente. «Lasciami un po' di tempo» sospirò il cane. «Devo scivolare di nascosto nel cervello di quei mostri. Se mi muovo troppo velocemente, mi individueranno subito. Sono delle bestie molto astute, non dimenticarlo.» Peggy Sue decise di sforzarsi di stare calma, anche se in realtà fremeva d'agitazione. Il cane blu procedeva con metodo. La sua tecnica consisteva nell'insinuarsi nella mente dei lupi mentre dormivano. Il sonno abbassava le loro difese, e per lui allora era facile muoversi in mezzo ai loro pensieri come un ladro che si intrufola in un museo. Era sempre prudente perché l'istinto delle belve era molto forte, sempre in agguato. Per imbrogliarli, si travestì da sogno piacevole e prese l'aspetto di una bella pecora grassa. Usando questo stratagemma, visitò i pensieri di cinque lupi senza scoprire niente di utile. Sfinito, si ritirò. «Allora?» ripeté Peggy. «Lasciami il tempo di riprendere fiato,» sbuffò «ho mal di testa... Per ora non ho trovato niente di interessante. Benazar aveva ragione, non c'è più nulla di umano in quelle bestie. Pensano veramente come lupi. I loro sogni raccontano storie selvagge. In loro non c'è più traccia di umanità.» «Devi insistere» disse Peggy Sue. «Quelli si sono trasformati molto
tempo fa. Per Sebastian è diverso. Lui è un lupo soltanto da quattro giorni: ha dovuto per forza conservare qualche ricordo delle nostre avventure!» «Abbi un po' di pazienza!» la pregò il cane blu. «Ritornerò laggiù appena mi sarà passato un po' il mal di testa.» Purtroppo, gli sforzi dell'animale si rivelarono vani. «Perdiamo soltanto tempo e rischiamo inutilmente» sentenziò alla fine, sfinito. «È meglio rinunciare.» «No!» si intestardì Peggy. «Aspetta! Ho un'altra idea. Mi farò vedere; se una lupa mi si avventa contro per divorarmi, sarà Isi, ne sono certa. Mi detesta davvero! Sebastian dovrebbe trovarsi accanto a lei. Cerca di localizzarlo allora.» «Sei pazza!» protestò il cane blu. «Non andare...» Ma la ragazza si era già alzata. Il branco sussultò, allettato da quell'apparizione. Come previsto, la prima belva che si precipitò verso il picco roccioso fu una lupa di notevole statura, che ringhiava furiosa. Con un grande salto, si gettò all'assalto del blocco di pietra, le zanne snudate, la bava alla bocca, come se avesse la rabbia. Peggy si affrettò a spargere intorno a sé un po' di polvere sacra per tenerla a bada. Nello stesso tempo, si sforzò di 'fotografare' mentalmente la bestia, osservando dettagli che le permettevano di identificarla. Certo, avrebbe potuto schizzarla con l'acqua magica per renderla innocua, ma non aveva abbastanza liquido per due persone, e non intendeva sprecare le sue riserve per una ragazza che la odiava. Soltanto Sebastian le interessava. Indifferente alla polvere sacra che accendeva le prime scintille crepitanti sul suo pelo, la lupa si avvicinava, minacciosa. I suoi occhi fiammeggiavano. Non voleva solamente mangiare, desiderava distruggere Peggy Sue, farla a pezzi per non incontrarla mai più sul suo cammino. «Non ci sono dubbi,» sussurrò il cane blu «è proprio Isi.» Peggy indietreggiò, spaventata, perché cominciava a capire che la lupa era indifferente alle bruciature. Spinta dall'odio, avrebbe continuato a camminare verso il suo nemico anche se questo l'avesse trasformata in una torcia vivente. Peggy si sentì improvvisamente disarmata. Se la polvere sacra non era sufficiente a tenere lontane le belve, non aveva più scampo! Con mano tremante, lanciò una manciata di cenere sul muso di Isi. La bestia ringhiò, il pelo percorso da migliaia di scintille, ma non indietreggiò. I muscoli delle sue zampe fremevano, indicando che stava per saltare
da un momento all'altro. Peggy inciampò mentre indietreggiava. Perse l'equilibrio e cadde sulla schiena. Vedendola condannata, il cane blu avanzò ringhiando, pronto a sacrificarsi per salvare la sua amica. Era un'inutile prova di coraggio, perché era troppo piccolo per tener testa a quel mostro rosso che lo avrebbe fatto a pezzi al primo assalto. Mentre Peggy e il cane si preparavano a morire, un lampo rosso squarciò l'aria. Un altro lupo era appena saltato sulla roccia, travolgendo Isi, che rotolò su un fianco lamentandosi. «Sebastian!» gridò Peggy Sue. Non dubitava neanche per un attimo che quella seconda bestia fosse il suo fidanzato, anche se aveva l'aspetto poco rassicurante di un lupo mannaro dalle fauci irte di zanne. Vedendo Peggy in pericolo, il grande maschio rosso aveva obbedito a un oscuro istinto dettato da ricordi che credeva di aver completamente dimenticato. Qualcosa lo aveva spinto ad andare in aiuto della ragazza. Qualcosa che non capiva e che lo metteva a disagio. Stava diventando pazzo? Perché difendeva quella preda così allettante che il branco sarebbe stato felice di sbranare? Doveva riprendere il controllo di sé... Isi si era già rialzata, furiosa. Ringhiando, marciò verso il maschio, ma questi ringhiò in modo minaccioso, battendo le mascelle per farle capire che non le avrebbe permesso di avanzare. Con le lacrime agli occhi, Peggy comprese che 'Sebastian' cercava di resistere ai propri istinti da predatore, ma che questi non avrebbero tardato a riprendere il sopravvento. Doveva tentare qualcosa prima che fosse troppo tardi! Facendosi coraggio, svitò il tappo della borraccia piena di acqua magica e ne lanciò il contenuto su quella bestia feroce. Risuonò un terribile crepitio, seguito da una nuvola di fumo e, per un attimo, Peggy credette che il lupo bruciasse vivo. Quando il vapore si dissolse, fu sollevata nel vedere che Sebastian aveva recuperato la sua forma umana. Se ne stava a quattro zampe, tutto nudo, la faccia stralunata, senza riuscire a capire che cosa fosse accaduto. Dietro di lui, Isi si rotolava per terra lamentandosi. Siccome era stata solo spruzzata dall'acqua, si era trasformata soltanto in parte; il risultato era piuttosto sgradevole. Il viso era di nuovo quello di una ragazza, ma aveva
conservato le orecchie da lupa. Dal tronco, umano, spuntavano due braccia ricoperte di peli rossi con le mani munite di artigli. Anche le gambe erano quelle di una belva. Ringhiava roteando degli occhi come una pazza. «Squagliamocela!» gridò il cane blu. «Andiamo verso la caverna, prima che il resto del branco ci attacchi.» Peggy aiutò a Sebastian a mettersi in piedi. Lui la lasciò fare, ma non sembrava che l'avesse riconosciuta. «Dobbiamo correre!» gli gridò la ragazza. «Capisci? Correre il più velocemente possibile. Seguimi, e non voltarti.» Con il cane blu alle costole, scese a precipizio il picco roccioso perché i lupi - scontenti di quelle diavolerie che privavano il branco di due buoni elementi - si avvicinavano ringhiando di rabbia. Con le mani piene di polvere di ossa, Peggy Sue correva a perdifiato. Ogni tanto si voltava per lanciare qualche manciata di cenere sacra sul muso dei lupi che la inseguivano. I predatori allora indietreggiavano, il pelo percorso da fiammelle crepitanti, e un disgustoso odore di lana bruciata riempiva l'aria. Peggy tremava all'idea di finire il contenuto della bisaccia prima di aver raggiunto la caverna. Sebastian zoppicava al suo fianco, seguito da Isi, che non era riuscita a separarsi da lui. Per metà mostruosa, la giovane strega si aggrappava al ragazzo del quale era innamorata. Era evidente che lo avrebbe seguito fino all'inferno piuttosto che lasciargli la mano! Peggy la capiva, ma era anche preoccupata, perché questo significava che il 'problema Isi' non era affatto risolto. Man mano che le riserve di polvere diminuivano, i lupi guadagnavano terreno. Peggy Sue provava una gran rabbia all'idea di essere catturata quando era così vicina alla meta, perché l'entrata della grande caverna era a soli cinquanta metri! Indovinando che Peggy aveva lanciato le ultime manciate di cenere, i lupi cercarono di circondare i fuggiaschi. Fu facile per loro, perché la corsa non li aveva stancati affatto. Questa volta è la fine!, pensò Peggy vedendo le belve tagliarle la ritirata. Raschiò disperatamente il fondo della borsa senza raggranellare niente.
Comprese di non essere neanche più protetta dalla polvere di ossa che si era strofinata addosso uscendo dalla caverna, perché il sudore aveva cancellato quella pellicola protettiva. Istintivamente si strinse a Sebastian, ma il ragazzo rimase immobile, le braccia ciondoloni, come se non capisse che cosa ci facesse lì, né con chi si trovasse. Il cane blu grugnì e mostrò i denti, pronto a vendere la sua vita a caro prezzo. Aveva paura, ma la rabbia prevaleva in lui sulla razionalità e non si rendeva neanche più conto che stava per attaccare delle creature cento volte più forti di lui. Mentre si abbassava per raccogliere una pietra, Peggy vide spalancarsi le porte di ferro della caverna. Ne uscirono decine di bambini, trasportando secchi pieni di acqua magica. Benazar, valorosamente aggrappato al suo bastone, li guidava. I lupi, tutti presi dal 'pasto' che avrebbero consumato a breve, non li videro avvicinarsi. Quando si accorsero della minaccia, era già troppo tardi: l'acqua magica pioveva su di loro, versata a catinelle! Le bestie si contorsero a terra, lanciando grida di furore, mentre i loro corpi si trasformavano, riprendendo in modo definitivo il loro aspetto umano. «Grazie!» sussurrò Peggy gettandosi tra le braccia di Benazar. «Senza il vostro intervento, per noi sarebbe stata la fine.» «Sono davvero contento di essere riuscito a giocare questo tiro ai lupi» ridacchiò il vecchio. «Mi sfidavano da troppo tempo. Ora che l'acqua delle stelle li ha bagnati, non potranno mai più diventare dei mostri... ma non sono certo che apprezzino realmente questo dono.» I bambini abbandonarono i secchi vuoti e, armandosi di bastoni, radunarono gli ex lupi. Uomini e donne avevano la stessa espressione stravolta di Sebastian. La truppa, così costituita venne spinta dentro la caverna. Più tardi, Isi venne condotta al lago, dove fu bagnata completamente per far sparire le ultime tracce di mostruosità che ancora la deformavano. Lasciò fare senza protestare, come una sonnambula. Benazar la fece sistemare insieme ai suoi compagni del branco in un recinto sorvegliato da due pastori armati di bastoni. «Perché non parlano?» domandò Peggy Sue. «Sebastian ha l'aria mezza addormentata. Non ha pronunciato una sola parola dalla sua trasformazione.» «Sono confusi» spiegò il vecchio. «Inutile nascondere la verità alcuni non si riprenderanno mai. Succede sempre così, con i mostri. Dimenticano
più facilmente i loro ricordi umani rispetto agli sventurati che si sono trasformati in pecore o in conigli. Quelli riprendono il loro posto nella società senza troppe difficoltà; per gli ex mostri, invece, è più complicato.» Benazar ordinò a Sebastian di inginocchiarsi davanti a lui e scrutò i suoi occhi. Il ragazzo non manifestò alcuna reazione. «È ancora troppo presto per emettere una diagnosi» sospirò il vecchio saggio. «È impossibile sapere se ritornerà umano o se l'anima del lupo rimarrà in lui per sempre.» 28 Ululati Dopo tre giorni, Sebastian ricominciò a parlare, però non voleva essere separato dai suoi compagni. Quando Peggy Sue lo pregò di uscire dal recinto, rifiutò testardamente, e indietreggiò per nascondersi dietro le fascine di paglia che servivano da lettiera agli ex mostri. «Sembra che abbia paura di noi» osservò il cane blu. «Ha uno sguardo strano. Non smette di guardarsi intorno, come se non capisse più nulla degli umani.» «È vero,» sospirò Peggy «e Isi è sempre accanto a lui... Mi dà fastidio.» Finalmente, dopo diversi tentativi senza successo, Peggy riuscì ad attirare il ragazzo fuori dal recinto. Sebastian ciondolava, a disagio nei vestiti che gli avevano dato. Peggy notò che aveva messo i pantaloni al rovescio e non era stato capace di abbottonarsi correttamente la camicia. Lo trascinò vicino al lago magico. Si sedettero su una panchina senza guardarsi né toccarsi. La ragazza non osava prendergli la mano. Non si era mai sentita così infelice. Sebastian la squadrava come un'estranea. Peggy si domandava se avesse perso la memoria. Glielo chiese. «No» le rispose il ragazzo con voce assente. «Mi ricordo tutto, ma ho l'impressione che tutte quelle cose siano capitate a qualcun altro... non a me. In compenso, ricordo molto bene ciò che ho fatto quando ero un lupo.» «Sembra quasi che tu rimpianga di essere ritornato umano» mormorò Peggy Sue a metà tra la collera e il dispiacere. «È vero» ammise lui senza tentare di difendersi. «Quando ero un mostro la vita mi sembrava molto più emozionante... Era tutto così... così esaltante! Correre, saltare, inseguire le prede...»
«Divorarle...» aggiunse Peggy con tono risentito. «Sì» si entusiasmò Sebastian senza neanche rendersi conto dell'enormità delle sue parole. «Divorarle... era piacevole! Non ho mai mangiato niente di più delizioso.» «Scusa tanto se ho corso tanti rischi per riportarti tra gli uomini» balbettò lei rialzandosi. «Mi rendo conto che sei più felice con la tua amica lupa.» «È vero» rispose il ragazzo, con lo sguardo perso nel vuoto. «Non puoi capire, non sei mai stata un animale. È impossibile per te immaginare che cosa si prova a sentire, fremere dentro tutta quella potenza. Non si può spiegare. Oggi tutto mi sembra terribilmente lento. Ho l'impressione di vivere nella bambagia, al rallentatore. Niente ha più gusto, il cibo è sciapo, il corpo nel quale mi trovo rinchiuso è incredibilmente fragile. Non si muove abbastanza in fretta, ho perso il mio fiuto e la capacità di vedere al buio. Mi sembra di essere invalido.» Voltandosi infine verso Peggy, disse, con tono di scusa: «Non vorrei darti un dispiacere, ma non provo più niente per te. Non riesco neanche più a capire come abbiamo potuto essere così legati l'uno all'altra. Le relazioni tra gli uomini sono così noiose! Con la lupa... voglio dire, con Isi, era tutto così elettrizzante... Il peggio, è che non potrò mai più ridiventare un lupo mannaro. L'acqua magica mi ha privato per sempre di questa possibilità. Questo pensiero mi fa impazzire. Mi hai 'salvato' contro la mia volontà, senza chiedere il mio parere. Non te lo perdonerò mai.» Incapace di sopportare ancora, Peggy scappò via. Accecata dalle lacrime, per poco non cadde nel lago; il cane blu, aggrappandosi alla sua manica, la trattenne appena in tempo. «Smetti di correre,» le disse «non serve a niente. Diciamo che Sebastian non è più in sé. Può darsi che le cose si aggiustino. Basta aspettare.» «Non credo» singhiozzò Peggy lasciandosi cadere a terra. «L'ho letto nei suoi occhi. È cambiato. Non è più lo stesso. Benazar aveva ragione, ha ritrovato il suo corpo di essere umano, ma l'anima del lupo è rimasta prigioniera nel suo cervello.» «Pazienza!» disse il cane. «Si disintossicherà, e se non accadrà chiederemo a Nonna Katy di rimediare.» Peggy si asciugò le lacrime col dorso della mano. Era così avvilita che aveva superato la fase del pianto. Si sentiva stordita, come se le avessero appena fatto un'iniezione anestetizzante. Qualcosa le diceva che aveva per-
so Sebastian. Sono stata una stupida, si disse. Avrei dovuto smettere di prendere l'antidoto e trasformarmi in lupa anch'io. Che sciocchezza essere rimasta umana! Nei giorni seguenti, le cose non migliorarono affatto. Quelli che una volta erano stati dei lupi si strappavano i vestiti e si muovevano a quattro zampe come se la posizione eretta fosse per loro insopportabile. Smisero presto di parlare per comunicare solo con dei ringhi. Fu necessario rinforzare la guardia intorno al recinto. Avvertito, Benazar andò a esaminarli. «Non sono sorpreso» spiegò a Peggy Sue. «Corrisponde esattamente a quello che ho osservato in passato. L'esperienza della mostruosità lascia un'impronta indelebile in coloro che l'hanno subita.» «Allora, Sebastian resterà per sempre così?» chiese la ragazza preoccupata. «È possibile» annuì il vecchio. «Comunque bisognerà sottoporre questi sventurati a una lunga rieducazione. Non possiamo lasciarli in questo stato; si credono ancora dei lupi, attaccherebbero chiunque.» Con il cuore spezzato, Peggy rimase a lungo coi gomiti appoggiati allo steccato, osservando le strane manovre di quegli esseri umani che si ostinavano a comportarsi come animali. Isi, come i gatti, si leccava la mano prima di passarsela dietro l'orecchio. Sebastian si muoveva a quattro zampe mostrando i denti quando qualcuno dei suoi simili si azzardava a sconfinare nel suo territorio. D'un tratto, infastidito dalla presenza di Peggy, si avvicinò al recinto con un movimento agile. «Vattene!» le ordinò con voce roca. «Non startene qui a sorvegliarmi. Non abbiamo più niente in comune. Mi annoi. Non voglio più essere un uomo. Il vostro mondo è privo di interesse, i vostri corpi sono deboli, gracili, buoni soltanto per essere mangiati. Se resti a fissarmi con quello sguardo da cane bastonato, finirò per farti del male... potrei morderti. Se non sbaglio una volta siamo stati più o meno amici, vero? La memoria non è più molto precisa, ma in ricordo di quei tempi, ti consiglio di dimenticarmi. Ora siamo troppo diversi. Io sono un lupo e tu sei soltanto una preda.» «Non potrai ridiventare un lupo!» gli gridò Peggy tra il dolore e la rab-
bia. «Smettila di illuderti e cerca piuttosto di pensare come un uomo, se vuoi uscire da questa prigione!» A quelle parole, Isi fece un balzo per cercare di morderle la mano. Se una delle sentinelle non l'avesse cacciata con un colpo di bastone, Peggy sarebbe stata seriamente ferita. «È inutile insistere» sospirò il cane blu. «Soltanto Nonna Katy può tirarci fuori dai guai. È venuto il momento di ritornare a Omakaido per recuperare la sua statua.» Peggy annuì. Il cane aveva ragione, doveva reagire e correre in aiuto di sua nonna. Dietro di lei, i prigionieri si misero a ululare in coro, come i lupi quando sorge la luna. 29 In cattiva compagnia Per dimenticare il suo dolore, Peggy Sue si dedicò con accanimento ai preparativi del viaggio. A questo scopo, esplorò accuratamente il gigante d'acciaio. Una botola che si apriva nel pavimento della cabina di comando dava accesso ai piani inferiori. Peggy ci si infilò e scoprì che il corpo del gigante somigliava all'interno di una nave, con tanto di ponti. La sala macchine occupava i due terzi del robot, ma c'era spazio sufficiente anche per le cabine e i bagagliai. All'altezza del ventre, l'adolescente scoprì due immensi serbatoi, dove in origine veniva conservata l'acqua dolce riservata all'equipaggio durante le traversate del deserto. Ora erano vuoti e ricoperti di polvere. «Li riempiremo con l'acqua del lago» decise. «In questo modo avremo a disposizione abbastanza liquido per riportare in vita centinaia di statue. Non vedo l'ora di ritrovare Nonna Katy.» Benazar approvò il suo piano e ordinò alla gente della caverna di aiutarli a riempire il serbatoio del robot. Migliaia di secchi passarono di mano in mano, dal lago fino in cima alla parete rocciosa. «Spero che riuscirai nella tua impresa» sospirò il vecchio. «È tempo di farla finita con la dittatura dei signori del veleno. Sarei felice se le persone, venendo qui in pellegrinaggio, si bagnassero nel lago magico.»
Una volta riempiti i serbatoi, Peggy salutò Benazar. Non scese a salutare Sebastian perché voleva restare forte. Vederlo di nuovo l'avrebbe solo ferita ancora di più; e non ci teneva affatto. Prese posto sul sedile nella cabina di comando, disinserì il sistema di avanzamento automatico che permetteva al gigante di camminare da solo, e passò ai comandi manuali. Ormai, il colosso avrebbe obbedito ai suoi comandi come qualunque altro veicolo. «È partito» mormorò. «Speriamo che questo mucchio di ferraglia accetti di collaborare tranquillamente!» Tuttavia non poté impedirsi di lanciare un grido di terrore quando il Matador fece il suo primo passo. «Corpo di una salsiccia atomica!» esclamò il cane blu. «Sembra di stare sul dorso di un cammello, senti come oscilla! Se continua così, fra dieci minuti avrò vomitato tutta la merenda!» Fortunatamente, i due amici finirono per abituarsi al beccheggio e al rollio che agitavano la testa del gigante. Il mal di mare poco a poco si dileguò. Anche perché pilotare quel robot era un'esperienza incredibile che non lasciava molto tempo per pensare ad altre cose. «Sei sicura che non si lancerà sulle tracce di un nuovo drago?» chiese il cane blu con una certa apprensione. «Lo spero» rispose Peggy. «Ho disinserito il pilota automatico, che non funzionava bene da anni. Il gigante non dovrebbe più essere in grado di prendere alcuna iniziativa. Dovrebbe fare ciò che gli viene ordinato, niente di più, niente di meno.» Nelle ore che seguirono, Peggy non pensò molto a Sebastian, perché la guida del Matador richiedeva tutta la sua attenzione. Il dolore le pulsava dentro, nascosto, soffocato, e lei si sforzava di prestargli meno attenzione possibile. Il gigante avanzava a scatti, scavalcando colline e precipizi. A quell'andatura avrebbe raggiunto Omakaido entro tre giorni. L'acqua del lago magico si agitava nel ventre metallico. Peggy voleva ritrovare al più presto Nonna Katy. La sua statua dovrebbe essere all'interno dello ziggurat, pensò, accanto a quella di Mastro Zarc. Almeno non dovrò cercarla in mezzo a tutte quelle che riempiono le strade. Sarà facile. Il cane blu, che si annoiava, scese la scaletta per esplorare i piani inferio-
ri. A ogni sobbalzo scivolava lungo le corsie come sulle montagne russe, e questo lo infastidiva, perché sbatteva sempre il naso contro la porta di una cabina. Si rialzò imprecando per la sesta volta, quando sentì bisbigliare all'angolo di un corridoio. C'è qualcuno, pensò. Non siamo soli a bordo, qualcuno si è imbarcato di nascosto. Dei clandestini! Cercando di non fare rumore, lanciò un'occhiata all'incrocio delle corsie. Per poco non abbaiò per la sorpresa quando vide Sebastian e i suoi compagni di prigionia acquattati a quattro zampe, come se fossero ancora dei lupi. Sono scappati!, dedusse l'animale. Saranno saliti nel robot all'ultimo minuto. Devo avvertire Peggy Sue. Si affrettò a lanciare un messaggio telepatico alla sua amica. «Cosa possiamo fare?» gli rispose la ragazza. «Se lascio i comandi il gigante si fermerà, ma se inserisco il pilota automatico riprenderà le vecchie abitudini e si metterà a inseguire un drago.» Il cane non ebbe il tempo di risponderle, perché in quello stesso momento Sebastian lo scoprì. «Eccoti qua, brutto cagnaccio!» strillò il ragazzo che si muoveva sempre carponi. «Capiti a proposito, avevo giusto un vuoto allo stomaco. Sarai un eccellente spuntino.» Dietro di lui, Isi sogghignò con cattiveria. Anche se era ritornata umana, il suo sguardo era rimasto quello di una lupa, e fissava il cane con golosità. «Che cosa ci fate qui?» li provocò l'animale senza scomporsi. «Vogliamo sabotare il robot» rispose Sebastian «per impedirvi di rovinare la vita degli altri mostri. Credete di farci un favore rendendoci la nostra apparenza umana, ma vi sbagliate. È molto più eccitante essere un lupo mannaro! Non vi lascerò continuare. Mi batto per i miei fratelli di mostruosità, perché dei piccoli idioti come voi non li privino dei loro privilegi.» «Ho sempre pensato che tu fossi un debole» disse il cane blu cominciando a indietreggiare. «Oggi ne ho la prova.» Sebastian fece un salto per afferrarlo, ma aveva dimenticato che non era più un lupo; il cane blu, più veloce, era già al sicuro sulle scale. «Presto! Chiudi la botola!» ordinò a Peggy Sue. «Sono dietro di me.» La ragazza obbedì. Con due giri di manovella bloccò il boccaporto. Violenti pugni fecero tremare il metallo.
«Continuano a credersi dei lupi mannari» spiegò il cane. «Vogliono sabotare il gigante.» «Lo so,» sospirò Peggy «ho sentito Sebastian. Isi è con lui?» «Certo. Gli sta sempre attaccata alle costole.» «Che cosa facciamo?» si chiese angosciata la ragazza. «Se riescono a distruggere i serbatoi dell'acqua magica, è la fine.» «Non so se ci hanno pensato» disse il cane. «Parlano più che altro di sabotare il gigante. Non credo che abbiano recuperato del tutto le loro facoltà mentali. Secondo me, Sebastian è meno intelligente di prima... vale a dire che ora deve avere il quoziente intellettivo di una scatola di cartone!» Peggy decise di ignorare quell'insulto e si concentrò sulla ricerca di una soluzione. Non ebbe molto tempo per riflettere, perché dei colpi sordi provenienti dal ventre del Matador fecero tremare improvvisamente le pareti. «Ci siamo!» esclamò il cane blu. «Cercano di rompere le macchine!» «Non possiamo lasciarli fare» decise Peggy Sue. «Scenderò per cercare di farli ragionare.» «Non servirà a niente,» l'avverti il cane «sono fuori di testa. Sebastian non è più il ragazzo che conoscevi.» Senza prestare ascolto alle parole del suo amico, la ragazza aprì il boccaporto e scese la scaletta di ferro. Il baccano proveniva dal ponte inferiore. Sebastian e i suoi amici, armati delle accette da usare in caso d'incendio, cercavano di fracassare le macchine che azionavano il gigante. Per fortuna però l'acciaio extraterrestre era resistente e gli apprendisti sabotatori non avevano ancora causato alcuna avaria seria. «Fermatevi!» gridò Peggy. «Sebastian, lascia quell'accetta! Se il gigante non arriva a Omakaido, Nonna Katy resterà pietrificata per sempre...» «Vattene!» urlò il ragazzo, con la scure alzata minacciosamente. «Me ne infischio di tua nonna, sono qui per difendere i miei fratelli mostri che tu vuoi obbligare a ritornare umani. Non voglio che conoscano anche loro il calvario al quale tu mi hai condannato. Ti impedirò di far loro del male!» Peggy indietreggiò. Non lo riconosceva più. Gli occhi di Sebastian rilucevano di un bagliore rossastro, terrificante. Isi fece un passo avanti, con un sorriso malvagio sulle labbra. Nel frattempo, il resto del branco continuava a colpire le macchine. All'improvviso, scattò una sirena d'allarme, riempiendo la sala di un as-
sordante ruggito. Una voce registrata uscì dagli altoparlanti per lanciare un avvertimento in una lingua extraterrestre che Peggy non capiva. Ecco fatto, si disse, hanno rotto un motore. Il gigante sta per esplodere... quello che sentiamo corrisponde senza dubbio a un segnale d'evacuazione. Che pasticcio! Ma si sbagliava. Con uno scatto secco, nella parete si aprirono delle nicchie metalliche, rivelando dei piccoli robot che si muovevano come minuscoli carri armati. Imbracciavano fucili laser, e cominciarono a far fuoco su tutti i sabotatori armati di una scure. «Dei guardiani!» gridò il cane blu. «Sono qui per impedire i tentativi di sabotaggio. Mettiamoci al riparo, o verremo inceneriti!» Due membri del branco erano stati già annientati, trasformati dai raggi laser in un mucchietto di cenere fumante. Peggy Sue si precipitò su Sebastian per strappargli la scure che continuava stupidamente a tenere in mano. «Lasciala!» gli ordinò. «Ti uccideranno. Non puoi nulla contro di loro!» Sebastian si rifiutava di abbandonare la scure. Isi cercò di correre in suo aiuto, ma Peggy, voltandosi, le diede un pugno sul naso con tutta la forza che aveva. La ragazza dai capelli rossi si accasciò al suolo priva di conoscenza. «Accidenti,» ansimò Peggy Sue «ora mi sento molto meglio!» Ritornando verso Sebastian, gli strappò di mano la scure e la scagliò il più lontano possibile. Questa volta il ragazzo la lasciò fare, inebetito. «Raccogli la tua compagna e nasconditi in questa cabina!» ordinò Peggy aprendo la porta di uno degli sgabuzzini che si trovavano nel corridoio. «I robot non verranno a cercarvi qui.» Dopo aver esitato, il ragazzo obbedì. Sollevando Isi tra le braccia, si precipitò nella cabina che Peggy si affrettò a chiudere con una doppia mandata. Nella sala macchine, il combattimento continuava, tra asce da incendio e fucili laser. «Risaliamo nella sala di comando,» decise il cane blu «non possiamo fare nulla per loro: sono fuori di sé. Ora si mettono ad attaccare i robot, come se avessero qualche possibilità di vincerli.» Peggy dovette ammettere che aveva ragione. Rimanere là era troppo pericoloso. Già due volte un raggio laser le era passato appena a tre centimetri dal naso! L'adolescente e il cane salirono nella testa del gigante e bloccarono l'ac-
cesso. Seduti sul bordo della botola, ascoltarono i rumori della battaglia. Quando ritornò il silenzio, compresero che i sabotatori erano stati sconfitti. Una serie di scatti metallici disse loro che i piccoli robot-guardiani stavano rientrando nelle loro nicchie. «È finita» sospirò Peggy. «Spero che non abbiano trovato Sebastian... Forse dovrei andare a vedere.» «Lascia perdere!» le consigliò il cane. «Quella peste di Isi potrebbe saltarti addosso. La cosa migliore è recuperare Nonna Katy il prima possibile e chiedere consiglio a lei. È l'unica che può ridare la sua umanità al tuo fidanzato.» Peggy si arrese e riprese i comandi. Il gigante sembrava non aver sofferto troppo per l'intervento dei sabotatori, e zoppicando proseguì il suo cammino verso Omakaido. 30 La città pietrificata Finalmente arrivarono in vista di Omakaido. Il cuore di Peggy cominciò a battere forte quando vide le strade della città piene di statue. Per quanto fosse preparata a quello spettacolo, rimase senza fiato. «Zarc ha mantenuto la parola» sospirò il cane blu. «Ha versato il veleno nelle fontane e tutti l'hanno bevuto.» Peggy fece delle manovre perché il gigante scavalcasse il muro di cinta e si fermasse sulla grande piazza senza schiacciare nessuno. «E ora?» domandò il cane. «Qual è il programma?» «Prenderemo venti litri di acqua magica e ci metteremo alla ricerca di Nonna Katy» annunciò Peggy Sue. Una volta riempite le fiaschette, i due amici si fermarono un istante davanti alla cabina dove erano rinchiusi Sebastian e Isi. «Vi prego di avere un po' di pazienza,» disse loro Peggy attraverso la porta «vado a cercare mia nonna. Le spiegherò il vostro caso strada facendo. Quando saremo di ritorno, avrà sicuramente trovato il modo di guarirvi dalla vostra bestialità. Ritornerete come prima. Nel frattempo restatevene tranquilli, non ci vorrà più di un'ora.» Non ottenendo nessuna risposta, dovette decidersi a salire l'interminabile scala che - dopo aver girato all'interno della gamba sinistra del gigante permetteva di uscire da una porticina ricavata nel tallone.
Quando uscì dal colosso a livello della strada, venne accolta da un'armata di statue grigie, bloccate nelle pose sofferenti delle convulsioni dell'avvelenamento. Era uno spettacolo orribile, e Peggy si diresse velocemente verso il grande ziggurat. Il cane blu le trotterellava dietro, impressionato da quei personaggi di marmo dal volto finemente scolpito. Non aveva mai visto statue così realistiche! Il silenzio che regnava sulla città fantasma era angosciante. I passi di Peggy sollevavano interminabili eco lungo le strade. I due amici arrivarono finalmente ai piedi della piramide di mattoni rossi. I soldati che una volta facevano la guardia in cima alla scala d'onore si erano tramutati ora in guardiani di pietra con l'armatura. Peggy li degnò appena di uno sguardo ed entrò nell'edificio. Man mano che saliva da un piano all'altro, incontrava nuove figure di pietra. «Ehi!» guaì improvvisamente il cane blu. «Hai visto? È Mecanicus! Si è avvelenato anche lui. Puah! Anche come statua è brutto quanto lo era in carne e ossa.» «Spero che si piaccia così com'è» sibilò Peggy «perché non sprecherò una sola goccia di acqua magica per riportarlo in vita!» Sulla terrazza più alta c'erano Mastro Zarc e Nonna Katy, tutti e due pietrificati. Dopo aver costretto l'anziana signora a bere il veleno, il signore di Omakaido aveva avuto cura di sistemarla su un trono, come in posa; poi aveva bevuto il resto della coppa. «Che presuntuoso!» affermò il cane blu. «Guarda un po' quante arie si dà!» Ma Peggy non lo ascoltava. Aveva già stappato la prima fiaschetta e spruzzato la statua di sua nonna stando ben attenta a bagnarne tutta la superficie. Tremava all'idea che Benazar si fosse sbagliato. Che cosa avrebbe fatto se l'acqua magica non avesse avuto alcun effetto sulle figure di pietra? Sarebbe stato veramente orribile! Trattenendo il fiato, attese, gli occhi fissi sulla statua grigia. Trascorse un minuto, dopodiché la pietra cominciò a fremere e cambiò colore. Il volto dell'anziana signora perse la sua colorazione grigiastra per diventare rosa. D'un tratto, piegò le ginocchia e si accasciò sul pavimento, lanciando un grido. Peggy le afferrò un polso, cercando il battito cardiaco. Il cuore aveva ricominciato a battere! Finalmente Katy Erin Flanaghan aprì gli occhi e balbettò qualcosa di incomprensibile. «Ti ringrazia» tradusse il cane blu. «Aveva fiducia in te. Non ha avuto paura quando ha bevuto il veleno, perché sapeva che saresti ritornata a sal-
varla.» Dovettero aspettare un'ora prima che Nonna Katy fosse in grado di reggersi sulle gambe e recuperare l'uso della parola. «È come se non riuscissi a svegliarmi» spiegò. «Ho un sonno incredibile. Gli occhi mi si chiudono da soli. Portatemi la mia borsa degli incantesimi, cercherò qualcosa che mi rimetta un po' in forze.» «Che cosa hai provato quando eri una statua?» le domandò Peggy Sue. «Era doloroso?» «No,» sbadigliò l'anziana signora «era abbastanza piacevole. Ho sognato... non so che cosa, ma era bello.» Aprì la sua borsa, estrasse un flacone e ne bevve il contenuto d'un fiato, con una smorfia. Un lungo brivido la scosse dalla testa ai piedi, e in un attimo era in forma. «Ora tocca a te» disse. «Raccontami che cosa è successo dopo la partenza del drago.» Peggy si sedette a gambe incrociate, emise un lungo sospiro, e cominciò il racconto delle sue avventure. «Nonna, devi guarire Sebastian» concluse quando ebbe terminato il suo racconto. «Non possiamo lasciarlo in questo stato. Non è più davvero umano. Si comporta come se fosse ancora un lupo.» «Uhm...» mugugnò Katy. «Non mi entusiasma affatto. Prima di cominciare qualunque cosa devo visitarlo. Portami da lui. Comunque non ti prometto niente. È probabile che Benazar abbia ragione, che la mostruosità abbia definitivamente cambiato il suo animo. In questo caso, dovrai deciderti a lasciarlo vivere la sua vita.» «Vieni a vederlo,» disse Peggy con tono supplichevole «sono sicura che troverai il modo di guarirlo. Hai tanti incantesimi nella tua borsa...» Con il cane blu in testa, l'anziana signora e sua nipote uscirono dalla piramide di mattoni rossi. Impiegarono parecchio tempo per raggiungere il posto dove Peggy aveva lasciato il gigante, e ancora di più per salire l'interminabile scala che girava tutta all'interno della gamba sinistra, perché Nonna Katy soffriva ancora delle conseguenze dell'immobilità prolungata e camminava a piccoli passi. Quando Peggy Sue avanzò verso la cabina dove erano rinchiusi Sebastian e Isi, non poté trattenere un grido di sorpresa. La porta era stata forzata... «Sono scappati» constatò il cane blu. «Hanno approfittato della nostra assenza per squagliarsela. Secondo me, non li rivedremo tanto presto.»
31 Gli scontenti Peggy e il cane blu esplorarono la città morta per due giorni senza trovare nessuna traccia dei fuggiaschi. «Ho paura che vogliano unirsi ai mostri dei sotterranei» si preoccupò l'adolescente. «Ma anche se si credono ancora dei lupi, non sono neanche completamente umani, e le creature delle catacombe non esiteranno a divorarli.» «Non possiamo farci niente» sospirò l'animale. «Evidentemente Sebastian si è infatuato di quella Isi; è la vita. Credo che dovrai continuare senza di lui. Forse un giorno guarirà dalla sua bestialità. Aspetteremo il più possibile, ma prima o poi dovremo lasciare Zantora per ritornare sulla Terra, te ne rendi conto, vero? Il nostro posto non è qui.» Per non cedere alla disperazione, Peggy Sue decise di portare a termine la sua missione. Dopo aver sistemato una pompa rudimentale nella cisterna dell'acqua magica, cominciò a spruzzare le statue ammassate lungo le strade. Certo non poteva rianimare tutti - il contenuto dei serbatoi non lo permetteva -, ma Peggy doveva trasmettere a qualcuno il segreto di cui era a conoscenza. Cercò quindi di mettere insieme, a partire dalle figure di granito raccolte qua e là, un campione rappresentativo degli abitanti della città: operai, notabili, commercianti, donne, bambini, e li riportò in vita. Fece attenzione a escludere Mastro Zarc, Mecanicus e i soldati dei quali non si fidava. Grazie alle sue cure, più di trecento cittadini si risvegliarono dal terribile sonno di pietra. Peggy li radunò sulla grande piazza e spiegò loro quello che era accaduto mentre erano incoscienti. Poi raccontò di Benazar, dell'acqua delle stelle e della possibilità che veniva offerta loro di sfuggire al pericolo della mostruosità. «Basterà che andiate verso Nord» insisté. «Usando il gigante, sarà facile. Con pochi viaggi potrete riportare acqua sufficiente per curare tutti. Bisognerà anche liberare i poveri draghi e lasciarli liberi di vivere la loro vita come preferiscono. Avete capito?» I cittadini annuirono, ma non si lasciarono andare a nessuna dimostrazione di gioia. A dire la verità, sembravano scontenti di essere stati risve-
gliati. Si ritirarono borbottando senza neanche ringraziare Peggy e il cane blu per quello che avevano fatto per Omakaido. «Ci riuniremo in consiglio» si limitarono a dichiarare voltando le spalle. «Strani questi pellegrini!» osservò l'animale. «Non si può certo dire che gli applausi ci abbiano rotto i timpani!» Peggy si grattò la testa, perplessa. Certo, non pretendeva di essere portata in trionfo, ma le sarebbe piaciuta un po' più di riconoscenza. Dopo tutto, aveva corso grandi rischi (e perso il fidanzato) in questa storia! Due ore più tardi, la truppa degli scontenti si radunò ai piedi del gigante. Appena Peggy uscì dal robot attraverso la piccola porta ritagliata nel tallone, venne assalita dai rimproveri. «Perché ci hai risvegliati?» le gridò una donna. «Dormivamo così bene! Non ti dovevi intromettere! Sei una terrestre, e gli affari di Zantora non ti riguardano! Ritornatene sul tuo pianeta invece di seminare il caos tra noi!» «Ha ragione!» rincarò un uomo. «Era bello essere una statua! Non avevo mai fatto sogni così piacevoli! Che idea stramba, quella di riportarci in vita! Ora dovremo ricominciare a lavorare, a pagare le tasse, e ad aver paura che i mostri ci divorino! Che stupida, questa Peggy Sue! Pretendo una punizione esemplare per lei, impicchiamola! Bruciamola! Tagliamole la testa! È il meno che possiamo fare!» «Sì! Sì!» tuonò la folla scatenata. «Sbarazziamoci di lei e dei suoi amici! Ha disturbato il nostro sonno! Vogliamo tornare a essere delle statue! Vogliamo dormire e sognare! Sì, sognare, sognare per l'eternità!» «È impossibile,» protestò Peggy «l'acqua delle stelle vi ha guariti per sempre. Il veleno pietrificante non ha più effetto su di voi.» «Ah! Che sciocca!» urlarono i cittadini di Omakaido strappandosi i capelli. «Ha distrutto i nostri sogni! Bisogna punirla subito! Non conosceremo mai più la gioia della pietrificazione...» Cominciarono a piovere pietre. Una colpì Peggy in fronte. Stordita, si lasciò trascinare al riparo da Nonna Katy. Il cane blu abbaiò per tenere a distanza gli assalitori. Katy Flanaghan si affrettò a richiudere la porta blindata perché la pioggia di sassi proseguiva. «Che razza di idioti!» si lamentò il cane, fuori di sé. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto per loro!» «Dobbiamo lasciare la città il prima possibile,» decise la nonna «questi pazzi sono capaci di ammucchiare qualche straccio ai piedi del robot e di
appiccare il fuoco. Se il Matador s'incendia, siamo perduti.» Peggy si asciugò il sangue che le colava sugli occhi e si arrampicò sull'interminabile scala il più velocemente che poté. Sua nonna aveva ragione. La folla impazzita poteva in ogni momento decidere di distruggere il Matador. Il robot non era stato costruito per resistere a quel tipo di aggressione. Si precipitò nella cabina di pilotaggio e impugnò i comandi nel momento stesso in cui la gente di Omakaido cercava di appiccare il fuoco ai piedi del gigante. Peggy fece fare marcia indietro al colosso, che scavalcò il muro di cinta e si lanciò verso il deserto. Grida di odio salutarono la sua partenza. Alcune frecce infiammate si conficcarono nel sedere di gomma dell'androide. Qualche minuto più tardi, il Matador galoppava sulla piana, allontanandosi da Omakaido per non farvi mai più ritorno. 32 Il patto dei fantasmi Sfortunatamente, dopo due chilometri, il Matador diede segni di cedimento. Le articolazioni della gamba sinistra cominciarono a cigolare, mentre la sirena d'allarme suonò di nuovo. Dopo aver percorso un centinaio di metri zoppicando, il robot si bloccò di traverso e rimase a ondeggiare al vento, come se stesse per perdere l'equilibrio e abbattersi in tutta la sua lunghezza sulla landa. «Ecco il risultato dei sabotaggi dei compagni di Sebastian!» disse il cane blu. «C'è voluto un po'di tempo, ma il loro lavoro alla fine ha dato i suoi frutti. Ora siamo proprio in un bel pasticcio.» «Se ci sono robot-guardiani» fece notare Peggy «ci sono sicuramente anche robot-meccanici. Secondo me, non tarderanno a uscire dalle loro nicchie per riparare il Matador.» «Non ne avranno il tempo» intervenne Nonna Katy, che scrutava la pianura attraverso gli occhi del gigante. «Guardate chi arriva.» «La gente di Omakaido!» esclamò Peggy. «Si sono lanciati al nostro inseguimento!» «Hanno in mano delle torce» completò il cane blu. «Sembrano davvero furiosi. Credo che abbiano ancora intenzione di incendiare il gigante. È meglio abbandonarlo prima di ritrovarci intrappolati. Appena comincerà a bruciare, il robot si trasformerà in una gigantesca pentola.»
«Ma dove andremo?» si lamentò l'anziana signora. «Non potremo correre all'infinito. Appena farà buio, i mostri usciranno dai loro nascondigli per mettersi in cerca di cibo. Serviremo loro da spuntino.» Peggy aggrottò la fronte; cercava di riflettere velocemente. «Non abbiamo altra scelta» decise. «C'è un'unica soluzione: dobbiamo tornare sulla Terra usando lo specchio magico del tempio in rovina. Se partiamo subito, abbiamo una possibilità di raggiungerlo prima che la folla circondi il gigante. Venite, non c'è un attimo da perdere.» Capendo che non c'era nient'altro da fare, Nonna Katy e il cane blu corsero giù per le scale, dietro Peggy. Quando furono usciti dal Matador, si diressero verso il vecchio tempio, dove si trovava lo specchio meraviglioso che serviva da porta tra i mondi, grazie al quale erano sbarcati su Zantora. Avanzarono più veloci che potevano tra i cespugli, ma impiegarono comunque venti minuti prima di raggiungere l'edificio mezzo crollato dove era stato nascosto lo specchio. «Non conosco le invocazioni che permettono di stabilire il contatto con gli spettri che ci hanno spedito qui» confessò Katy Flanaghan. «Come faremo?» Peggy si avvicinò alla specchiera appannata e la colpì con il pugno. «Ehi voi, ascoltatemi!» gridò con voce piena di rabbia, rivolta ai fantasmi. «Ho compiuto la mia missione. Ho risolto il problema della trasformazione... Avrebbe dovuto riempire di gioia i vostri amici, e invece mi hanno rimproverata per averli riportati in vita. Non è colpa mia se si comportano come dei folli. Tutto ciò che voglio, ora, è che ci riportiate a casa. Avete capito?» Per un minuto non accadde nulla, poi, come giungendo dall'altra parte dell'universo, una nebbia soprannaturale riempì lo specchio. Il vapore biancastro uscì fuori dalla cornice di bronzo per scivolare lentamente nella sala. Avvolse Peggy Sue, Nonna Katy e il cane blu. Prima di avere avuto il tempo di contare fino a tre, i nostri amici furono risucchiati nel vuoto. Stavano tornando a casa. Al termine del viaggio furono proiettati sul tappeto del salone, davanti al caminetto. L'avventura finiva là dov'era cominciata, nella casetta in affitto della nonna di Peggy Sue. Si rialzarono, disorientati. L'assenza di Sebastian apriva un vuoto incolmabile fra loro, ma nessuno osava pronunciare il suo nome. Peggy salì a fare una doccia, poi si cambiò d'abito e si pettinò. La nonna
fece lo stesso. La fine di un'avventura rappresenta sempre un momento penoso durante il quale ci si sente un po' scombussolati, ma ora quel sentimento di smarrimento era raddoppiato per la mancanza di Sebastian. Per darsi un contegno, l'anziana signora preparò una merenda. Dopo gli incredibili avvenimenti di Zantora, quella casa, col suo arredamento vecchiotto, appariva a tutti improvvisamente inospitale. Peggy smangiucchiò senza appetito una fetta di torta con i canditi. Era silenziosa, rifletteva su quello che era appena accaduto. «Non avrei dovuto accettare questa missione» proclamò infine. «È stato un fallimento!» «Benazar è un brav'uomo» cercò di dire il cane blu. «Col tempo, troverà il modo di sconfiggere la tirannia dei signori del veleno. Noi abbiamo fatto del nostro meglio per aiutarlo. Non è colpa nostra se gli abitanti di Omakaido sono degli stupidi.» «Non si può sempre vincere» sospirò Nonna Katy. «Solo nei romanzi gli eroi escono ogni volta vincitori dalle loro avventure e tutto finisce con una gran risata.» Ma Peggy non riusciva ad accettare di essere stata sconfitta. Quella notte stessa scese nel salone e si sistemò davanti allo specchio. Poi ordinò ai fantasmi di manifestarsi. «Ho fatto ciò che volevate» disse. «Io e i miei amici abbiamo corso grandi rischi per scoprire il segreto del Nord. Ora, mi dovete un favore.» La nebbia magica invase lo specchio. Tracciate da dita invisibili, nel velo di vapore che ricopriva lo specchio comparivano delle parole: Va bene. Che cosa vuoi? «Mostratemi Sebastian, per l'ultima volta...» mormorò la ragazza. La nebbia che ribolliva al centro della cornice dorata si allargò, e Peggy vide apparire il paesaggio di Zantora. Due figure se ne stavano strette l'una contro l'altra in cima alla collina. Isi e Sebastian. La testa rovesciata all'indietro, ululavano alla luna, come dei lupi. «Almeno sono vivi» sospirò la ragazza. «Né i mostri né gli abitanti di Omakaido li hanno ancora sopraffatti.» Con un nodo in gola, aggiunse: «E hanno l'aria felice; è questo che conta.» Note
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Vedi Peggy Sue e gli Invisibili - Il Castello nero (Fanucci, 2004). Vedi Peggy Sue e gli Invisibili - Lo zoo Stregato (Fanucci, 2004). 3 Indumenti molto resistenti nei quali vengono legate le persone squilibrate per impedire loro di ferirsi o di aggredire gli altri. 4 Vedi Peggy Sue e gli Invisibili - La creatura del sottosuolo (Fanucci, 2005). 5 Che fa la stessa cosa nello stesso momento. 6 Prodotto che permette, con un effetto contrario, di annientare gli effetti di un avvelenamento. 7 Piramidi di origine mesopotamica. 8 Dinosauro dotato di grandi placche ossee che s'innalzano sulla schiena come i merli di un castello. 9 Persona che occupa una carica identica. 10 Panno rosso di flanella usato nelle corride. 11 L'ozono è un gas liberato dalle scariche elettriche, soprattutto dal fulmine. 12 Fili d'acciaio che, una volta intrecciati insieme, costituiscono il cavo propriamente detto. 13 Vedi Peggy Sue e gli Invisibili - La farfalla degli abissi (Fanucci, 2003). Come dice il nome stesso, il mantello mangiatore di fatica assorbe la fatica di colui che lo indossa. Si stanca al posto suo, cosicché il suo proprietario è sempre in perfetta forma fisica. Quando è troppo stanco, cade a pezzi. 14 Tutte le streghe sono accompagnate da un animale nel quale risiedono i loro poteri. In genere, si tratta di un gatto. Se l'animale viene ucciso, perdono tutti i loro poteri. 15 Nomi con i quali si indicano le differenti pieghe del palmo della mano. Le chiromanti attribuiscono a queste linee un senso profetico. 16 Nome scientifico della lava in fusione. 17 Scafo di un battello. 18 Ma sì, ma sì... (Messaggio dell'autore.) 19 Perché no? E tu, che ne pensi? (Nota dell'autore.) 2
FINE