HENNING MANKELL MURO DI FUOCO (Brandvägg, 1998) «L'uomo che si scosta dalla via della saggezza, riposerà nell'assemblea ...
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HENNING MANKELL MURO DI FUOCO (Brandvägg, 1998) «L'uomo che si scosta dalla via della saggezza, riposerà nell'assemblea delle ombre dei morti». Proverbi 21, 16 Nota In Svezia, da più di trent'anni tutti si danno del «tu». L'uso del «lei» è praticamente inesistente: si usa a volte con persone anziane o per sottolineare una certa distanza con persone per le quali si prova una evidente antipatia. Per mantenere l'autenticità del racconto, nella traduzione ci si è attenuti alla forma usata nell'originale. I La congiura 1. Improvvisamente, alla sera, il vento cominciò a perdere di intensità. Poi cessò del tutto. Era uscito sul balcone. Di giorno, riusciva a intravedere il mare fra una casa e l'altra. Ma ora era circondato dal buio. Di tanto in tanto, portava sul balcone il suo vecchio binocolo da marina inglese e lo usava per guardare le finestre accese nel palazzo di fronte. Ma ogni volta aveva la sgradevole sensazione che qualcuno lo avesse scoperto. Il cielo era stellato. È già autunno, pensò. Forse questa notte gelerà. Anche se sarebbe troppo presto qui in Scania. Un'auto passò in lontananza. Fu colto da un brivido e tornò all'interno. La porta del balcone si chiudeva con difficoltà. Prese il bloc-notes che era sul tavolo della cucina di fianco al telefono e annotò che il giorno dopo avrebbe dovuto controllare la porta.
Poi passò nel soggiorno. Per un attimo, rimase fermo sulla porta e si guardò intorno. Come ogni domenica, aveva rimesso tutto in ordine. Ogni volta che entrava in una stanza perfettamente pulita, provava sempre lo stesso senso di soddisfazione. Si avvicinò alla scrivania vicino alla parete. Spostò la sedia, accese la lampada da tavolo e prese il voluminoso giornale di bordo che conservava in un cassetto. Come d'abitudine, iniziò a leggere quello che aveva scritto la sera prima. «Sabato, 4 ottobre 1997. Il vento ha soffiato a raffiche tutto il giorno. Secondo il Servizio meteorologico nazionale, soffiava a 8-10 metri al secondo. Brandelli di nuvole si rincorrevano nel cielo. Alle sei di mattina, la temperatura era di 7 gradi. Alle due aveva raggiunto gli 8 gradi. Di sera è scesa a 5». Alla fine, aveva aggiunto quattro frasi. «Oggi, lo spazio è vuoto e abbandonato. Nessun messaggio. C. non risponde alle chiamate. Tutto è calmo». Alzò il coperchio del calamaio e intinse cautamente il pennino d'acciaio. Aveva ereditato la penna da suo padre e l'aveva custodita sin dai giorno in cui, ancora giovane, aveva iniziato a lavorare come assistente nella piccola filiale di una banca a Tomelilla. Quando prendeva appunti sul giornale di bordo, usava solo ed esclusivamente quella penna. Aveva scritto che il vento aveva cominciato a perdere di intensità per poi cessare del tutto. Aveva visto che il termometro fissato all'esterno della finestra della cucina segnava tre gradi. Il cielo era sereno. Aveva continuato, annotando di avere impiegato tre ore e venticinque minuti per riordinare l'appartamento. Dieci minuti in meno della domenica precedente. Inoltre, dopo essere rimasto seduto nella chiesa di Santa Maria a meditare per mezz'ora, aveva fatto una passeggiata fino al porto turistico. Prima di continuare si fermò a riflettere. Poi, aggiunse una frase nel giornale di bordo. «Alla sera, breve passeggiata». Prese la carta assorbente e asciugò con cura quello che aveva scritto, ripulì il pennino d'acciaio e abbassò il coperchio del calamaio. Prima di richiudere il giornale di bordo, volse lo sguardo verso il vecchio orologio da marina davanti a lui sulla scrivania. Le lancette segnavano le undici e venti. Andò in ingresso, mise la sua vecchia giacca di pelle e infilò i piedi in
un paio di stivali di gomma. Prima di lasciare l'appartamento, controllò di avere messo in tasca le chiavi di casa e il portafoglio. Arrivato in strada, rimase immobile nell'ombra e si guardò intorno. Come aveva previsto, non c'era nessuno. Poi, si mise a camminare. Come d'abitudine, prese a sinistra, attraversò la strada che portava a Malmö e si avviò in direzione dei grandi magazzini e dell'edificio di mattoni rossi che ospitava l'Ufficio delle imposte. Aumentò l'andatura finché non riuscì a trovare il suo abituale e regolare ritmo serale. Di giorno camminava più rapidamente, perché voleva sudare. Le passeggiate della sera erano diverse. Cercava soprattutto di rilassarsi dai pensieri della giornata per prepararsi al sonno della notte e al giorno dopo. All'altezza dei grandi magazzini per il fai da te, una donna stava portando a passeggio il proprio cane. Era un pastore tedesco. Quando usciva alla sera, la incontrava spesso. Un'auto gli passò di fianco ad alta velocità. Intravide un giovane al volante, riuscì a udire la musica nonostante i finestrini chiusi. Non sanno quello che li aspetta, pensò. Presto, tutti questi giovani che vanno in giro nelle loro auto con la musica a tutto volume si rovineranno l'udito. Non sanno quello che li aspetta. Così come non lo sanno le signore sole che portano i loro cani a prendere aria. Quel pensiero gli fece provare un senso di euforia. Pensò a tutto il potere che condivideva. Alla sensazione di essere uno degli eletti. Coloro che avevano il potere di annientare verità fossilizzate per crearne altre completamente nuove e inaspettate. Si fermò e alzò lo sguardo verso il cielo stellato. In verità, nulla è comprensibile, pensò. La mia stessa vita, così come la luce delle stelle che ha impiegato un'infinità di tempo e spazio per arrivare fino a me. L'unica cosa che può dare un barlume di significato al tutto è quello che faccio. La proposta che mi è stata fatta quasi vent'anni fa e che ho accettato senza esitazione. Continuò a camminare. Più rapidamente ora, perché i pensieri che prendevano forma nella sua mente lo turbavano. Si rese conto di provare un crescente senso di impazienza. Avevano atteso così a lungo. Ora si stava avvicinando il momento in cui avrebbero calato le loro visiere invisibili e visto la loro enorme ondata travolgere la terra. Ma quel momento non era ancora giunto. Il tempo non era ancora sufficientemente maturo. L'impazienza era una debolezza che non poteva per-
mettersi. Si fermò. Era già arrivato al centro del quartiere di villette. Non aveva intenzione di andare oltre. Voleva essere di ritorno a casa, disteso sul suo letto, poco dopo mezzanotte. Si girò e cominciò a tornare sui suoi passi. Appena oltre l'Ufficio delle imposte, decise di andare al Bancomat di fianco ai grandi magazzini. Mise la mano nella tasca dove aveva il portafoglio. Non voleva ritirare del denaro. Voleva solo controllare l'estratto conto per assicurarsi che tutto fosse in ordine. Si fermò alla luce dello sportello e prese la carta blu. La signora con il pastore tedesco non c'era più. Udì il rumore di un autotreno carico passare sulla strada da Malmö. Probabilmente si stava dirigendo verso il terminal dei traghetti per la Polonia. A giudicare dal frastuono, il tubo di scappamento doveva essere rotto. Digitò il suo codice personale e schiacciò il pulsante dell'estratto conto. Riprese la carta e la ripose nel portafoglio. Udì il suono metallico all'interno del distributore. Il pensiero lo fece sorridere. Se solo la gente sapesse, pensò. Se solo la gente sapesse quello che l'aspetta. Prese il biglietto bianco con l'estratto conto. Quando mise la mano in tasca per prendere gli occhiali, si rese conto di averli lasciati nella giacca che aveva indossato per andare al porto. Per un attimo provò un senso di irritazione per averli dimenticati. Si avvicinò a un lampione, socchiuse gli occhi e controllò l'estratto conto. Il pagamento automatico effettuato venerdì era stato registrato. Così come la somma in contanti che aveva prelevato il giorno prima. Il saldo era di 9765 corone. Era tutto a posto. Quello che accadde dopo fu del tutto inaspettato. Fu come se fosse stato colpito dal calcio di un cavallo: un dolore immenso. Rovinò in avanti stringendo convulsamente nella mano il biglietto bianco con le cifre. Quando la sua testa sbatté contro l'asfalto gelido, ebbe un attimo di lucidità. Il suo ultimo pensiero fu di non riuscire a capire. Poi, fu avvolto da un buio che sembrava provenire da tutte le parti contemporaneamente.
Era appena trascorsa la mezzanotte. Era ormai lunedì 6 ottobre 1997. Un altro autotreno passò diretto verso il terminal dei traghetti. Poi, tutto fu avvolto dal silenzio. 2. Appena salito sulla sua auto a Mariagatan a Ystad, Kurt Wallander provò un'acuta sensazione di disagio. Era poco dopo le otto di mattina del 6 ottobre 1997. Lasciando la città alle sue spalle, si chiese perché avesse accettato. Provava una intensa avversione per i funerali. Eppure stava proprio andando a un funerale. Dato che era partito con un buon anticipo, decise di non prendere la superstrada per Malmö, ma di seguire la statale lungo la costa in direzione di Svarte e di Trelleborg. Alla sua sinistra si intravedeva il mare. Un traghetto si stava avvicinando al porto. Si disse che quello sarebbe stato il quarto funerale al quale partecipava in sette anni. Il primo era stato quello del suo collega Rydberg, morto di cancro. Era stata una malattia lunga e straziante. Wallander era andato spesso all'ospedale a trovare Rydberg, che si stava consumando lentamente. Per Wallander, la sua morte era stata un duro colpo. Era stato Rydberg a farlo diventare un vero poliziotto. Gli aveva insegnato a fare le domande giuste. E grazie a Rydberg, Wallander aveva imparato gradualmente la difficile arte di analizzare la scena di un crimine. Prima di iniziare a lavorare con lui, Wallander non era altro che un mediocre poliziotto. Ed era stato solo più tardi, quando Rydberg era già morto, che Wallander si era reso conto di non essere soltanto testardo e pieno di energia, ma anche di avere un notevole grado di abilità. Spesso, quando si trovava nel mezzo di un'indagine complicata e arrivava al punto di non sapere quale strada scegliere per continuare, Wallander comunicava mentalmente con Rydberg. Non passava giorno senza che sentisse la mancanza del suo collega. E sarebbe sempre stato così. Poi, era stato suo padre ad andarsene improvvisamente. Era stato colpito da un ictus ed era crollato a terra, morto, nel suo atelier a Löderup. Erano ormai passati tre anni, ma Wallander non riusciva ancora ad accettare che non fosse più nel suo atelier, circondato dai suoi quadri e dall'onnipresente odore di trementina e vernice. Dopo la sua morte, la casa a Löderup era stata venduta. In alcune occasioni, Wallander era passato in auto lì vicino e aveva intravisto le persone che vi abitavano ora. Ma non si era mai fermato. Di tanto in tanto andava al cimitero, ma ogni volta provava un vago
senso di colpa. Ogni volta, si rendeva conto che trascorreva sempre più tempo fra una visita e l'altra. E aveva anche notato che gli era sempre più difficile ricordare il volto di suo padre. Alla fine, una persona morta diventa una persona che non è mai esistita. Poi, era stata la volta di Svedberg. L'anno prima, il suo collega era stato brutalmente assassinato nel proprio appartamento. In quell'occasione, Wallander aveva compreso quanto poco conoscesse le persone con le quali lavorava. La morte di Svedberg aveva portato alla luce una situazione che non avrebbe mai nemmeno potuto immaginare. E ora stava andando al quarto funerale, l'unico al quale, in verità, non avrebbe avuto bisogno di partecipare. Wallander aveva ricevuto la telefonata il mercoledì precedente, mentre stava per lasciare il suo ufficio. Era il tardo pomeriggio e gli era venuto mal di testa. Era rimasto seduto a leggere il rapporto su una squallida indagine che riguardava il sequestro di una partita di sigarette di contrabbando, scoperta a bordo di un autotreno arrivato con un traghetto. Le tracce avevano portato al nord della Grecia e poi erano sparite nel nulla. Wallander si era messo in contatto con la polizia greca e con quella tedesca. Ma non erano riusciti a scoprire chi fosse a capo di quel traffico. Alla fine, Wallander aveva capito che l'autista dell'autotreno, il quale con tutta probabilità non sapeva di trasportare merce di contrabbando, sarebbe stato condannato ad alcuni mesi di prigione. Niente di più. Wallander era sicuro che ogni giorno a Ystad arrivassero svariati carichi di sigarette di contrabbando. Ma dubitava che sarebbe stato mai possibile eliminare quel genere di traffico. La sua giornata era stata rovinata da una telefonata polemica con il sostituto di Per Åkesson, il pm che alcuni anni prima era partito per il Sudan e che sembrava non voler più ritornare. Pensando alla decisione di Per Åkesson e leggendo le lettere che riceveva regolarmente, Wallander provava una cocente sensazione di invidia. Åkesson aveva avuto il coraggio di fare quello che lui era solo riuscito a sognare. Presto, avrebbe compiuto cinquant'anni. Wallander era convinto, anche se non voleva ammetterlo del tutto con se stesso, che il tempo per le decisioni importanti per la sua vita era ormai passato. Non sarebbe mai riuscito a essere altro che un poliziotto. Fino alla pensione, poteva solo cercare di diventare un investigatore più efficiente. E forse insegnare qualcosa ai suoi colleghi più giovani. Ma al di là di questo, il miraggio di una svolta decisiva nella sua vita non esisteva. Non c'era nessun Sudan che lo aspettasse. Quando la donna aveva telefonato, Wallander si stava infilando la giac-
ca. In un primo momento, non aveva capito che si trattava della madre di Stefan Fredman, poi l'aveva riconosciuta. Pensieri e ricordi si erano accavallati nella sua mente. In pochi secondi, gli erano venuti alla mente tutti gli avvenimenti di tre anni prima. Stefan Fredman, quel ragazzo che si travestiva da indiano e che voleva punire l'uomo che aveva fatto impazzire sua sorella e aveva terrorizzato Jens, suo fratello più giovane. Uno degli uomini che il ragazzo aveva ucciso era il suo stesso padre. Wallander si ricordava ancora la scena finale, quando il ragazzo si era inginocchiato in lacrime davanti al corpo della sorella morta. Sapeva molto poco di quello che era accaduto dopo. A parte il fatto che Stefan Fredman non era stato rinchiuso in un carcere ma nel reparto speciale di un ospedale psichiatrico. E ora, la madre telefonava per informarlo che Stefan era morto. Si era tolto la vita gettandosi da una finestra dell'ospedale. Wallander le aveva fatto le proprie condoglianze e da qualche parte dentro di sé aveva provato un senso di tristezza. O forse era stata più una sensazione di costernazione e di sconforto. Ma non era riuscito a capire perché Anette Fredman gli avesse telefonato. Era rimasto immobile con il ricevitore in mano, cercando di ricordare il volto della donna. In due o tre occasioni aveva avuto modo di incontrarla in un sobborgo di Malmö, quando stavano cercando Stefan, sforzandosi di accettare l'ipotesi che fosse stato un ragazzo di quattordici anni a commettere dei delitti così feroci. Wallander ricordava Anette Fredman come una donna timida e ansiosa. C'era anche qualcosa di sfuggente in lei, come se si aspettasse costantemente che potesse accadere il peggio. Ed era proprio quello che era accaduto. Ricordava vagamente di essersi chiesto se potesse essere alcolizzata o se cercasse di calmare la propria inquietudine con dei medicinali. Ma non ne era mai stato certo. Aveva poi difficoltà a ricordare il volto della donna, e il tono della sua voce gli era totalmente estraneo. Anette Fredman aveva spiegato il motivo della sua telefonata. Desiderava che Wallander fosse presente al funerale. Con tutta probabilità, non sarebbe venuto nessuno. Della famiglia rimanevano solo lei e Jens. Dopo tutto, Wallander si era sempre comportato con gentilezza e comprensione. Wallander aveva promesso che avrebbe partecipato al funerale. Una risposta di cui si pentì non appena ebbe finito di pronunciarla. Ma era ormai troppo tardi. Aveva cercato di sapere quello che era accaduto a Stefan dopo il suo ar-
resto. Aveva parlato con un medico dell'ospedale dove era stato ricoverato. In quegli anni, Stefan non aveva quasi mai parlato e si era chiuso completamente in se stesso. Era stato trovato morto sull'asfalto con i colori di guerra ai quali il suo sangue si era mescolato sul volto, creando una maschera terrificante, che forse rifletteva più la società nella quale Stefan era vissuto che la schizofrenia di cui aveva sofferto. Wallander guidava lentamente. Al mattino, quando si era messo il vestito scuro, aveva notato con sorpresa di non avere problemi ad abbottonare i pantaloni. Dunque, era dimagrito. Quando alcuni anni prima era venuto a sapere di avere il diabete, era stato costretto a modificare le proprie abitudini alimentari; aveva anche cominciato a fare del moto e a tenere sotto controllo il proprio peso. All'inizio, per eccesso di zelo andava a pesarsi sulla bilancia nel bagno diverse volte al giorno. Ma poi, in uno scatto d'ira, aveva gettato la bilancia. Se non fosse riuscito a dimagrire senza l'ausilio di quel continuo controllo, allora avrebbe fatto meglio a lasciar perdere. Il suo medico però non aveva mollato la presa, e ogni volta esortava Wallander a smetterla con quella vita disordinata e i pasti indigesti senza orario, e lo invitava a fare del moto. Alla fine il risultato si era visto. Wallander aveva acquistato una tuta, un paio di scarpe da ginnastica e si era messo a fare passeggiate con regolarità. Ma quando Martinsson gli aveva proposto di fare jogging insieme, aveva rifiutato bruscamente. C'era un limite. E quel limite erano le passeggiate. Wallander aveva programmato un percorso di un'ora da Mariagatan, attraverso Sandskogen e ritorno, che si sforzava di fare almeno quattro volte alla settimana. Aveva anche ridotto il numero di hamburger. E il suo medico aveva potuto notare i risultati. Il tasso di glicemia si era abbassato e Wallander era dimagrito. Una mattina, mentre si stava radendo, aveva notato che il suo aspetto era cambiato. Le guance erano incavate. Era come vedere il proprio volto tornare normale dopo essere stato sepolto per tanto tempo dal grasso superfluo, coperto da una pelle malsana. Quando lo aveva rivisto, sua figlia Linda era rimasta sorpresa e felice. Ma alla centrale di polizia, nessuno aveva mai fatto commenti sul suo calo di peso. È come se non ci osservassimo mai, aveva pensato. Lavoriamo insieme, ma non ci vediamo. Passando davanti alla spiaggia deserta di Mossby in quella giornata di autunno, Wallander si ricordò di quando, sei anni prima, era arrivato a riva un canotto con due cadaveri stesi sul fondo. A quel punto, frenò di colpo e sterzò a sinistra lasciando la strada princi-
pale. Aveva ancora tempo. Si fermò e scese dall'auto. Non c'era vento e la temperatura era di un paio di gradi sopra lo zero. Si abbottonò la giacca e si mise a camminare lungo un sentiero che si snodava fra le dune di sabbia. Poco dopo, al di là della spiaggia deserta costellata da impronte di esseri umani, di cani e di zoccoli di cavallo, apparve il mare. Si fermò a osservare la distesa d'acqua. Uno stormo di uccelli stava dirigendosi verso sud. Ricordava ancora il punto esatto in cui era stato trovato il canotto e la difficile indagine che aveva svolto a Riga, in Lettonia. E lì, aveva incontrato Baiba, la vedova del maggiore della polizia lettone Liepa, un uomo che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare. Poi, era nata la sua relazione con Baiba. A lungo, Wallander aveva creduto che avrebbero formato una coppia e che Baiba si sarebbe trasferita in Svezia. A un certo punto, avevano persino pensato a una casa poco lontana da Ystad, ma qualche tempo dopo, Baiba aveva iniziato a tirarsi indietro. In preda alla gelosia, Wallander aveva pensato che Baiba avesse un altro uomo. A quel punto, era andato a Riga senza avvertirla del suo arrivo. Ma una volta arrivato, aveva constatato che non c'era un altro, e che tutto era dovuto all'esitazione di Baiba di sposare un poliziotto e di lasciare il proprio paese, dove aveva un lavoro mal pagato, ma appassionante come traduttrice. Poi, la relazione era finita. Camminando lungo la spiaggia, Wallander pensò che era ormai passato più di un anno. Di tanto in tanto, gli capitava di sognarla, ma non riusciva mai a raggiungerla. Quando le andava incontro con la mano tesa, immancabilmente Baiba svaniva. Si era chiesto più volte se gli mancasse. La gelosia era scomparsa, e ora riusciva a immaginarla accanto a un altro uomo senza provare alcuna sofferenza. È una relazione finita, un legame perso, pensò. Con Baiba mi era risparmiata quella solitudine di cui non ero mai stato veramente consapevole. In fondo, quando sento la sua mancanza è più che altro una compagnia a mancarmi. Tornò verso l'auto. Sarebbe meglio evitare spiagge deserte e abbandonate, pensò. Specialmente in autunno. Mi fanno provare un'enorme tristezza. Una volta, Wallander si era creato un immaginario distretto di polizia solitario su una spiaggia all'estremo nord della penisola dello Judand. Lo aveva fatto durante un periodo della sua vita in cui era in malattia per una grave forma di depressione, convinto che non sarebbe mai più tornato in servizio alla centrale di polizia di Ystad. Anche se era passato molto tempo, ricordava ancora con terrore quello che aveva provato allora. E non vo-
leva che si ripetesse. Era un paesaggio che risvegliava in lui solo paure. Salì nell'auto e si avviò in direzione di Malmö. Intorno a lui era autunno. Si chiese come sarebbe stato l'inverno. Sperava che le bufere di neve e di vento che portavano il caos non si sarebbero ripetute. Forse sarebbe stato un inverno piovoso. Poi, pensò a quello che avrebbe fatto durante la settimana di vacanza che gli spettava a novembre. Ne aveva parlato con sua figlia Linda e l'aveva invitata a fare un viaggio organizzato in un paese caldo. Ma Linda, che abitava a Stoccolma e studiava qualcosa che Wallander non ricordava, gli aveva detto di non potersi assentare. Wallander aveva cercato di pensare a un altro possibile compagno di viaggio. Ma non c'era nessuno. Praticamente non aveva amici. Sten Widén, che aveva una scuderia nei pressi di Skurup, era uno dei pochi. Ma Wallander non era sicuro di voler fare un viaggio con lui, soprattutto per i problemi che Sten Widén aveva con l'alcol. Beveva regolarmente, mentre Wallander, per ordine del suo medico, aveva diminuito drasticamente lo sconsiderato consumo di bevande alcoliche di un tempo. Naturalmente, avrebbe potuto chiedere a Gertrud, la vedova di suo padre. Ma non riusciva a immaginare di che cosa avrebbero potuto parlare per un'intera settimana. Non c'era nessun altro. Per questo, aveva deciso di rimanere a casa e di usare il denaro per acquistare una nuova automobile. La sua Peugeot era arrivata al limite. Anche ora, mentre guidava in direzione di Malmö, il motore emetteva rumori poco rassicuranti. Poco dopo le dieci, Wallander arrivò al sobborgo di Rosengård. Il funerale avrebbe avuto inizio alle undici. La chiesa era stata costruita di recente. Alcuni ragazzi stavano giocando a pallone, poco lontano. Wallander rimase seduto nell'auto a osservarli. Erano in sette. Tre di loro erano neri. Altri tre potevano essere la progenie di famiglie straniere. Il settimo, aveva i capelli chiari e il volto coperto da lentiggini. I ragazzi calciavano il pallone con grande energia continuando a ridere. Per un attimo, Wallander provò un intenso desiderio di partecipare al gioco. Ma rimase seduto nell'auto. Un uomo uscì dalla chiesa e accese una sigaretta. Wallander scese dall'auto e si avvicinò all'uomo. «È qui che ci sarà il funerale di Stefan Fredman?» chiese. L'uomo annuì. «Sei un parente?» «No.»
«Non ci saranno molte persone» disse l'uomo. «Presumo che tu sappia quello che ha combinato.» «Sì» disse Wallander. «Lo so.» L'uomo fissò la sua sigaretta. «Per uno come lui è meglio essere morto.» Wallander fu colto da un senso di indignazione. «Stefan non aveva ancora compiuto diciotto anni. Morire non è meglio per nessuno.» Si accorse di avere urlato. L'uomo che fumava lo fissò sorpreso. Wallander scosse il capo con rabbia e si girò. In quello stesso momento l'auto delle pompe funebri si fermò davanti alla chiesa. Quattro uomini sollevarono la bara sulla quale c'era una solitaria corona di fiori. Wallander si rese conto che avrebbe dovuto portare un mazzo di fiori. Si avvicinò ai ragazzi che stavano giocando al pallone. «Qualcuno di voi sa se c'è un fioraio qui vicino?» chiese. Uno di loro alzò la mano e fece un cenno con il capo. Wallander prese il portafoglio dalla tasca e cercò una banconota da cento corone. «Corri a comprare un mazzo di fiori» disse. «Rose. Torna subito e ti guadagnerai dieci corone.» Il ragazzo lo fissò incerto ma prese la banconota. «Io sono un poliziotto» disse Wallander. «Un vero poliziotto. Se pensi di svignartela con i soldi, stai tranquillo che ti troverò.» Il ragazzo scosse il capo. «Non porti uniforme» disse in cattivo svedese. «Poi non sembri un poliziotto. Non un vero poliziotto.» Wallander prese la sua tessera dalla tasca. Il ragazzo la fissò per un attimo. Poi fece un cenno con il capo e si avviò. Gli altri ragazzi continuarono a giocare al pallone. È molto probabile che non ritorni, pensò Wallander cupamente. Sono passati i tempi in cui il rispetto per la polizia era una cosa normale in questo paese. Ma il ragazzo tornò con le rose. Wallander gli diede venti corone. Dieci perché gliele aveva promesse, e dieci perché era veramente tornato. Naturalmente era troppo, ma una volta dato il denaro non poteva più cambiare idea. Qualche minuto dopo, un taxi si fermò davanti alla chiesa. Wallander riconobbe la madre di Stefan. Ma la donna era invecchiata precocemente ed era ridotta pelle e ossa. Al suo fianco, c'era il figlio Jens di sette anni. Assomigliava molto a suo fratello. Il suo sguardo era fisso e rifletteva an-
cora la paura del passato. Wallander si avvicinò e salutò. «Saremo solo noi» disse la donna. «E il prete.» Dovrà pur esserci qualcuno che suonerà l'organo, pensò Wallander. Ma non lo disse. Entrarono in chiesa. Il giovane prete era seduto su una sedia di fianco alla bara, intento a leggere un giornale. Wallander sentì la mano di Anette Fredman stringergli il braccio con forza. Wallander la capiva. Il prete ripose il giornale. Presero posto a destra della bara. Anette Fredman continuava a stringergli il braccio. Prima ha perso il marito, pensò Wallander. Björn Fredman era un uomo ripugnante e brutale che la picchiava e che terrorizzava i loro figli. Ma a parte tutto, era il loro padre, ed era stato ucciso dal proprio figlio. Poi Anette Fredman ha perso la figlia maggiore, Louise. E ora è venuta qui per seppellire suo figlio Stefan. Che cosa le rimane? Una mezza vita? Forse neppure quella? Qualcuno entrò nella chiesa. Anette Fredman sembrò non essersene accorta. O forse era così concentrata da non avere la forza di reagire. Una donna si avvicinò. Aveva più o meno l'età di Wallander. Ora, anche Anette Fredman l'aveva notata. Fece un cenno con il capo. La donna prese posto a qualche fila di distanza. «È una dottoressa» sussurrò Anette Fredman. «Si chiama Agneta Malmström. Una volta, quando Jens non stava bene, si è presa cura di lui.» Wallander aveva già sentito quel nome. Ci volle qualche minuto prima che ricordasse che Agneta Malmström e suo marito gli avevano fornito uno degli indizi più importanti per la sua indagine su Stefan Fredman. Wallander ricordò la notte in cui le aveva parlato con l'aiuto della Radio svedese. Quella notte, Agneta Malmström si trovava su una barca a vela nei pressi di Landsort. La musica dell'organo iniziò a echeggiare nella chiesa. Wallander si accorse che non c'era alcun organista. Il prete aveva messo una cassetta. Wallander si chiese perché non avessero ancora sentito le campane suonare. Di solito i funerali iniziavano sempre con il suono delle campane. Il pensiero lo lasciò quando sentì la mano di Anette Fredman stringergli il braccio più forte. Si volse e fissò il ragazzo che le sedeva di fianco. Era giusto portare un bambino di sette anni a un funerale?, si chiese incerto. Ma il ragazzo sembrava calmo. La musica terminò. Il prete cominciò a parlare. Gesù aveva detto che i
bambini sarebbero andati a lui. Wallander teneva lo sguardo fisso sulla bara cercando di contare i fiori della corona per dominare la commozione. La cerimonia funebre fu breve. Dopo, si avvicinarono alla bara. Anette Fredman respirava pesantemente, come se fosse arrivata alla fine di una lunga corsa. Agneta Malmström si era unita a loro. Wallander si volse verso il giovane prete che sembrava impaziente. «Le campane» disse Wallander accigliato. «Quando usciamo, le campane devono suonare. E devono essere campane vere e non una registrazione.» Il prete annuì riluttante. Wallander si chiese come avrebbe reagito se gli avesse messo sotto il naso la tessera della polizia. Anette Fredman e Jens uscirono dalla chiesa per primi. Wallander si avvicinò ad Agneta Malmström. «Ti ho riconosciuto» disse la donna. «Non ci siamo mai incontrati. Ma ho visto la tua fotografia sui giornali.» «Anette Fredman mi ha chiesto di venire al funerale. Ha telefonato anche a te?» «No. Ma non volevo mancare.» «Che cosa accadrà adesso?» Agneta Malmström scosse lentamente il capo. «Non so. Anette Fredman beve sempre di più. Povero Jens, non so proprio come se la caverà.» Raggiunsero Anette e Jens che erano in attesa vicino alla porta. Le campane iniziarono a suonare. Wallander alzò lo sguardo verso la bara. I quattro addetti delle pompe funebri la sollevarono e si avviarono verso l'uscita. Wallander aprì la porta. Improvvisamente il bagliore di un flash lo accecò. Un fotografo era in agguato fuori dalla chiesa. Anette Fredman cercò di nascondere il viso. Il fotografo si chinò e puntò la macchina fotografica verso il volto di Jens. Wallander si mosse per coprirlo. Ma il fotografo fu più veloce di lui e scattò la foto. «Perché non volete lasciarci in pace?» gridò Anette Fredman. Jens si mise a piangere. Wallander prese il fotografo per un braccio e lo trascinò lontano. «Che cosa diavolo stai facendo?» urlò. «Fatti gli affari tuoi» rispose il fotografo. Aveva più o meno l'età di Wallander e aveva l'alito cattivo. «Io scatto tutte le foto che voglio» continuò. «Questo è il funerale del
serial killer Stefan Fredman e si venderanno bene. Purtroppo sono arrivato troppo tardi per la cerimonia.» Wallander mise la mano in tasca per prendere la sua tessera. Ma cambiò idea e afferrò la macchina fotografica con un gesto rapido. Il fotografo cercò di riprenderla. Ma Wallander non lasciò la presa. In qualche modo, riuscì ad aprirla e a togliere il rullino. «Ci sono dei limiti a tutto» disse porgendogli la macchina fotografica. Il fotografo lo fissò incredulo. Poi prese il suo cellulare dalla tasca. «Chiamo la polizia» disse. «Questo è un sopruso.» «Chiama pure» disse Wallander. «Chiama pure. Io sono un commissario della polizia di Ystad e mi chiamo Kurt Wallander. Chiama pure i miei colleghi di Malmö e denunciami per quello che vuoi.» Wallander gettò il rullino a terra e lo calpestò. In quello stesso istante, le campane della chiesa smisero di suonare. Wallander sudava. Continuava a provare un acuto senso di indignazione. Le parole urlate da Anette Fredman gli echeggiavano ancora nella testa. Il fotografo rimaneva con lo sguardo fisso sul rullino rovinato. I ragazzi continuavano a giocare al pallone. Quando gli aveva telefonato, Anette Fredman lo aveva invitato ad andare a bere un caffè a casa sua dopo la cerimonia. Wallander non aveva avuto il coraggio di dire di no. «Non ci sarà alcuna foto sui giornali» disse Wallander. «Perché non vogliono lasciarci in pace?» Wallander non aveva alcuna risposta. Si girò verso Agneta Malmström. Ma anche lei non sapeva che cosa rispondere. L'appartamento al quarto piano della malandata casa era esattamente come Wallander lo ricordava. Agneta Malmström li aveva seguiti. Mentre aspettavano il caffè rimasero in silenzio. Wallander ebbe l'impressione di sentire il tintinnio di una bottiglia dalla cucina. Jens era seduto sul pavimento intento a giocare con un'automobilina. Wallander era sicuro che Agneta Malmström provava il suo stesso senso di desolazione. Ma qualsiasi frase sarebbe stata inutile. Rimasero seduti sorseggiando il caffè. Gli occhi di Anette Fredman erano lucidi. Agneta Malmström cercò di chiederle come facesse ad andare avanti con il solo sussidio di disoccupazione. «Tiriamo avanti. In qualche modo riusciamo a tirare avanti. Un giorno dopo l'altro.» Tornò il silenzio. Wallander guardò l'orologio. Era quasi l'una. Si alzò e
strinse la mano di Anette Fredman. La donna iniziò a piangere. Wallander rimase immobile, perplesso. «Io rimango ancora un po'» disse Agneta Malmström. «Tu puoi andare.» «Cercherò di telefonare di tanto in tanto» disse Wallander. Poi, accarezzò impacciato la testa del ragazzo e se ne andò. Rimase seduto nell'auto senza mettere in moto. Pensò al fotografo che aveva programmato di vendere le foto del funerale di Stefan Fredman, il serial killer che si era tolto la vita. Certo, queste cose succedono, pensò. Ma io non le capisco. Si avviò in direzione di Ystad attraverso il paesaggio autunnale. L'esperienza di quel giorno continuava a opprimerlo. Poco dopo le due, parcheggiò l'auto ed entrò nella centrale di polizia di Ystad. Il vento aveva cominciato a soffiare da est. Un banco di nuvole si stava avvicinando alla costa. 3. Quando Wallander arrivò nel suo ufficio aveva mal di testa. Aprì i cassetti della sua scrivania alla ricerca di un tubetto di aspirine. Dal corridoio, udì Hansson che passava fischiettando. In fondo all'ultimo cassetto, Wallander trovò quello che cercava. Andò alla mensa e prese un bicchiere d'acqua e una tazza di caffè. Alcuni giovani poliziotti che erano arrivati alla centrale negli ultimi anni stavano discutendo ad alta voce seduti intorno a un tavolo. Wallander fece un cenno di saluto con il capo. Passando sentì che stavano parlando del periodo passato alla Scuola di polizia. Tornato nel suo ufficio, si mise a sedere osservando le due pastiglie che si scioglievano lentamente nell'acqua. Pensò ad Anette Fredman. Cercò di immaginare come il ragazzo, che era rimasto seduto sul pavimento nell'appartamento a Rosengård giocando in silenzio, se la sarebbe cavata nel futuro. Era come se volesse estraniarsi dal mondo e rimanere solo con il ricordo di un padre, un fratello e una sorella morti. Wallander vuotò il bicchiere ed ebbe immediatamente l'impressione che il mal di testa si attenuasse. Davanti a lui, sul ripiano della scrivania, c'era una cartella lasciata da Martinsson, che aveva scritto su un'etichetta adesiva rossa «Urgentissimo». Wallander sapeva quello che c'era all'interno della cartella. Ne avevano parlato prima del fine settimana. Si trattava di un
fatto accaduto la notte fra il martedì e il mercoledì della settimana precedente. Quel giorno Wallander si trovava a Hässleholm, dove il suo capo, Lisa Holgersson, lo aveva mandato a seguire un seminario organizzato dalla direzione generale della polizia, per presentare le direttive per coordinare il controllo e la sorveglianza delle diverse bande di motociclisti. Wallander aveva chiesto di essere esonerato, ma Lisa Holgersson aveva insistito. Wallander, e soltanto Wallander, doveva seguire quel seminario. Una delle bande aveva già acquistato una casa di campagna isolata a qualche chilometro da Ystad ed era quasi certo che ci sarebbero stati problemi nel futuro. Con un sospiro, Wallander decise di rimettersi al lavoro. Aprì la cartella e iniziò a leggere. Quando finì, si disse che Martinsson aveva scritto un rapporto chiaro ed esauriente. Si appoggiò allo schienale della sedia e rifletté su quello che aveva appena letto. Poco dopo le dieci di martedì sera, due ragazze, una di diciannove anni e l'altra di poco più di quattordici, avevano chiamato un taxi da uno dei locali della città e avevano chiesto di essere portate e Rydsgård. Una delle ragazze si era seduta di fianco al tassista. Alla periferia di Ystad, aveva chiesto al tassista di fermarsi, dicendo che voleva andare a sedersi sul sedile posteriore. Il taxi si era fermato. L'altra ragazza aveva allora subito preso un martello dalla borsetta e aveva colpito il tassista alla testa, mentre la ragazza seduta davanti aveva estratto un coltello e lo aveva colpito al torace. Dopo gli avevano preso il portafoglio e il cellulare, e avevano lasciato l'auto. Nonostante le ferite, il tassista era riuscito a dare l'allarme. Si chiamava Johan Lundberg, aveva quasi sessant'anni e guidava il taxi da sempre. Aveva fornito una descrizione accurata delle due ragazze, e Martinsson non aveva avuto problemi a scoprire il loro nome interrogando i clienti del locale. Erano state arrestate a casa loro. Vista la gravità del reato, era stato deciso che rimanesse agli arresti anche la quattordicenne. Quando era stato ricoverato in ospedale, Johan Lundberg era ancora cosciente, ma improvvisamente le sue condizioni si erano aggravate e i medici non erano più sicuri che sarebbe riuscito a cavarsela. Alla domanda di Martinsson, le due ragazze avevano affermato di avere assalito il tassista perché avevano «bisogno di soldi». Wallander fece una smorfia. Non gli era mai capitato un caso simile. Due adolescenti capaci di commettere un crimine così efferato. Secondo gli appunti di Martinsson, la più giovane andava a scuola e aveva dei voti eccellenti. L'altra era stata a Londra come ragazza alla pari e dopo aveva
lavorato alla reception di un albergo. Dopo poche settimane avrebbe iniziato a seguire un corso di lingue. Nessuna delle due aveva mai avuto a che fare con la polizia o con i servizi sociali. Non capisco, pensò Wallander. Non capisco questo totale disprezzo per la vita umana. Avrebbero potuto uccidere il tassista. E forse, viste le sue condizioni, lo hanno veramente ucciso. Due ragazze. Se fossero stati dei ragazzi, forse lo troverei più comprensibile. Se non altro per esperienza. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. Ann-Britt Höglund entrò. Come sempre, era pallida e sembrava sfinita. Wallander pensò a quanto fosse cambiata da quando era arrivata a Ystad. Aveva ottenuto degli ottimi risultati alla Scuola di polizia e aveva iniziato a lavorare alla centrale di Ystad con grande energia e molte ambizioni. Era ancora piena di buona volontà, ma era cambiata. Il pallore del suo volto veniva da dentro. «Disturbo?» chiese. «No.» Ann-Britt Höglund prese posto cautamente sulla sedia di fronte a Wallander, che le indicò la cartella aperta davanti a sé. «Che cosa ne pensi?» chiese. «Si tratta delle ragazze del taxi?» «Sì.» «Ho parlato con la più vecchia, quella di diciannove anni, Sonja Hökberg. Mi è sembrata calma e lucida. Ha risposto con chiarezza e precisione a tutte le domande. Non mostra il minimo rimorso. Da ieri, gli assistenti sociali si stanno occupando della più giovane.» «Riesci a capire?» «In parte sì e in parte no. Ormai sappiamo che il limite di età di chi agisce con violenza è sempre più basso.» «Non riesco a ricordare di avere mai avuto a che fare con un caso di due ragazze così giovani che aggrediscono qualcuno usando un martello e un coltello. Erano ubriache?» «No. Ma quello che mi chiedo è se ci sia veramente motivo di stupirsi. Oppure se non avremmo dovuto renderci conto che, prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa di simile.» Wallander si chinò in avanti. «Che cosa vuoi dire? Puoi spiegarmelo?» «Non sono sicura di essere in grado di farlo.» «Prova!»
«Non c'è più posto per le donne nel mondo del lavoro. Quei tempi sono passati.» «Questo non spiega perché due ragazze si accaniscono con un martello e un coltello contro un tassista.» «Quindi, dobbiamo cercare un'altra spiegazione. Né tu né io crediamo all'esistenza di una malvagità congenita.» Wallander scosse il capo. «O almeno cerco di convincermi che non sia così» disse. «Anche se, di tanto in tanto, ho dei dubbi.» «Basta dare un'occhiata alle riviste che le ragazze di quell'età leggono oggigiorno. Si parla solo di come essere belle. Di come trovare un amichetto e realizzare la propria vita attraverso i suoi sogni. Niente altro.» «Non è sempre stato così?» «No. Prendi tua figlia. Linda sa benissimo quello che vuole fare della propria vita, non credi?» Wallander sapeva che Ann-Britt aveva ragione. Ma scosse ugualmente il capo. «Continuo a non capire perché abbiano infierito in quel modo contro Lundberg.» «Invece dovresti. Quando ragazze come queste scoprono lentamente quello che sta succedendo, quando capiscono di essere non solo inutili, ma anche non desiderate, allora reagiscono. Esattamente come i ragazzi. Anche ricorrendo alla violenza.» Wallander rimase in silenzio. Ora aveva capito quello che Ann-Britt aveva cercato di dire. «Non credo di essere in grado di spiegartelo meglio di così. Perché non parli con loro anche tu?» «Martinsson ha detto la stessa cosa.» «In ogni caso, non è per questo che sono venuta. Ho bisogno del tuo aiuto.» Wallander attese che proseguisse. «Ho promesso di tenere una conferenza al circolo femminile di Ystad. Giovedì sera. Ma non credo di avere la forza di farlo. Con tutto quello che sta succedendo, ho problemi a concentrarmi.» Wallander sapeva che Ann-Britt Höglund stava affrontando una causa di divorzio tormentata. Suo marito era sempre assente per seguire l'installazione di impianti in tutto il mondo. La causa andava per le lunghe. Già l'anno prima, Ann-Britt aveva confidato a Wallander che il suo matrimonio
stava finendo. «Chiedi a Martinsson» disse Wallander evasivamente. «Sai che non sono portato per questo tipo di cose.» «Devi solo parlare per mezz'ora» disse Ann-Britt Höglund. «Devi solo dire che cosa significa essere un poliziotto. A trenta donne. Sono sicura che le incanterai.» Wallander scosse il capo con decisione. «Martinsson lo farà più che volentieri» disse. «Lui poi è stato in politica. È abituato a parlare.» «Gliel'ho chiesto. Ma non può.» «Allora, perché non chiedi a Lisa Holgersson?» «Stessa cosa. Rimani solo tu.» «E Hansson?» «Dopo cinque minuti, inizierebbe a parlare di cavalli. È impossibile.» Wallander si rese conto di non poter dire di no. Doveva aiutare AnnBritt Höglund. «Che tipo di circolo è?» «È una sorta di circolo letterario che è diventato un'associazione. È attivo da più di dieci anni.» «E io devo solo raccontare cosa significa essere un poliziotto?» «Niente altro. Poi forse dovrai rispondere a delle domande.» «Non vorrei farlo. Ma lo farò solo perché sei stata tu a chiedermelo.» Ann-Britt Höglund gli porse un biglietto con un sospiro di sollievo. «C'è il nome e l'indirizzo delle persone che devi contattare.» Wallander prese il biglietto. L'indirizzo era quello di una casa nel centro della città. Non molto lontano da Mariagatan. Ann-Britt Höglund si alzò. «Non sarai pagato» disse. «Ma ti offriranno il caffè e il dolce.» «Io non mangio dolci.» «In ogni caso, è tutto secondo le direttive del capo della polizia che ci raccomanda di mantenere buone relazioni con i cittadini. E anche di cercare nuove strade per spiegare il nostro lavoro.» Per un attimo, Wallander pensò di chiederle come stava. Ma lasciò perdere. Se avesse voluto parlare dei suoi problemi lo avrebbe fatto spontaneamente. Arrivata sulla porta, Ann-Britt Höglund si fermò. «Non dovevi andare al funerale di Stefan Fredman?» «Ci sono stato. Ed è stato esattamente come mi aspettavo. Terribile.» «Come sta la madre? Non ricordo più il suo nome.»
«Anette. Sembra che non ci sia limite a quello che deve sopportare. Ma, a parte tutto, io credo che riuscirà ancora a sopravvivere con quel poco di forza che le rimane. O almeno credo che ci provi.» «Staremo a vedere.» «Che cosa vuoi dire?» «Come si chiama il ragazzo?» «Jens.» «Vediamo se fra dieci anni il nome di Jens Fredman comparirà nei rapporti della polizia.» Wallander annuì. Naturalmente quel rischio esisteva. Ann-Britt Höglund uscì. Il caffè era diventato freddo. Wallander andò a prenderne un'altra tazza. I giovani poliziotti erano spariti. Si avviò verso l'ufficio di Martinsson. La porta era socchiusa, ma la stanza era vuota. Wallander tornò nel suo ufficio. Il mal di testa era passato. Alcuni uccelli volteggiavano intorno al serbatoio idrico. Rimase alla finestra cercando inutilmente di contarli. Il telefono squillò e Wallander rispose senza sedersi. Era un commesso della libreria che lo informava che il libro che aveva ordinato era arrivato. Non ricordava di avere ordinato un libro. Ma non disse nulla e rispose che sarebbe passato il giorno dopo a ritirarlo. Quando posò il ricevitore gli venne in mente che era un regalo per Linda. Un manuale francese sul restauro di mobili antichi. Wallander aveva letto la recensione su una rivista che aveva trovato nella sala d'attesa del suo medico. Pensava che Linda, a dispetto dei suoi continui vagabondaggi da una professione all'altra, fosse ancora interessata ai mobili antichi. Aveva ordinato il libro, ma se ne era completamente dimenticato. Posò la tazza del caffè e decise di telefonare a sua figlia quella sera stessa. Non si sentivano da diverse settimane. Martinsson entrò nell'ufficio senza bussare. Aveva sempre fretta e non bussava quasi mai. Con il passare degli anni, Wallander si era sempre più convinto che Martinsson fosse un bravo poliziotto, anche se in diverse occasioni aveva preso in seria considerazione la possibilità di dimettersi, per esempio quando sua figlia era stata aggredita da alcuni compagni nel cortile della scuola solo perché suo padre era un poliziotto. Ma quella volta, Wallander era riuscito a convincerlo a continuare. Martinsson era un uomo ostinato che di tanto in tanto dava prova di una notevole perspicacia. Ma altre volte, la sua testardaggine si trasformava in impazienza e la sua perspicacia svaniva danneggiando il suo lavoro.
Martinsson si appoggiò allo stipite della porta. «Ho cercato di telefonarti» disse. «Ma il tuo telefono era spento.» «Sono stato in chiesa» rispose Wallander. «Quando sono tornato, ho dimenticato di riaccenderlo.» «Sei stato al funerale di Stefan?» Wallander ripeté quello che aveva detto ad Ann-Britt Höglund. Era stata un'esperienza sconvolgente. Martinsson fece un cenno con il capo verso la cartella aperta sulla scrivania. «Ho letto il tuo rapporto» disse Wallander. «E non capisco cosa possa avere spinto quelle due ragazze a colpire e accoltellare un essere umano.» «È scritto nel rapporto» rispose Martinsson. «Cercavano del denaro.» «Usando tanta violenza? Come sta?» «Chi, Lundberg?» «E chi altro?» «Non ha ancora ripreso conoscenza. Hanno promesso di telefonare nel caso di un cambiamento delle sue condizioni. O se la cava, oppure muore.» «Riesci a capirci qualcosa?» «No» disse Martinsson. «Non ci riesco. E non sono neppure sicuro di volerlo fare.» «Dobbiamo. Almeno se vogliamo continuare a fare i poliziotti.» Martinsson fissò Wallander. «Tu sai che ho pensato spesso di lasciare la polizia. L'ultima volta, tu sei riuscito a farmi cambiare idea. Ma la prossima volta dubito che ne sarai capace. In ogni caso, non ti sarà facile.» Con tutta probabilità Martinsson aveva ragione, e questo preoccupava Wallander. Non voleva perderlo come collega. Così come non voleva che un giorno anche Ann-Britt Höglund lo informasse che voleva dimettersi. «Forse dovremmo andare a parlare con la ragazza» disse Wallander. «Con Sonja Hökberg.» «Prima, c'è un'altra cosa.» Wallander, che si era alzato, si rimise a sedere. Martinsson gli porse alcuni fogli. «Vorrei che tu leggessi questo. È successo questa notte. Mi sono occupato io del caso. Non mi è sembrato che ci fosse alcun motivo per svegliarti.» «Che cosa è successo?»
Martinsson si passò una mano sulla fronte. «All'una, un guardiano notturno ha telefonato dicendo che c'era un uomo morto steso davanti al Bancomat di fianco ai grandi magazzini.» «Che grandi magazzini?» «Quelli vicino all'Ufficio delle imposte.» Wallander annuì. «Siamo andati sul posto. E in effetti, un uomo giaceva sull'asfalto. Secondo il medico legale, che è arrivato poco dopo, non era morto da molto tempo. Un paio di ore al massimo. Naturalmente, fra qualche giorno lo sapremo con più sicurezza.» «Com'è successo?» «La questione è proprio questa. L'uomo aveva una grossa ferita alla testa. Non abbiamo potuto capire se se la sia procurata battendo sull'asfalto.» «Si tratta di una rapina?» «Il portafoglio con il denaro era nella sua tasca.» Wallander si fermò a riflettere. «Testimoni?» «No.» «Chi è?» Martinsson prese il suo taccuino. «Si chiamava Tynnes Falk. Quarantasette anni. Abitava poco lontano. Apelbergsgatan 10. In un appartamento in affitto all'ultimo piano.» Wallander alzò una mano per interromperlo. «Apelbergsgatan 10?» «Sì.» Wallander annuì lentamente. Si era ricordato di come, anni prima, appena dopo il divorzio da Mona, avesse incontrato una donna durante una serata danzante all'Hotel Saltsjöbaden. Wallander si era ubriacato solennemente. L'aveva seguita a quell'indirizzo e al mattino, quando si era svegliato, si era trovato di fianco a una donna che riconosceva a malapena. E non ricordava neppure il suo nome. Si era alzato, si era vestito in fretta e furia e se ne era andato. Non l'aveva mai più rivista, ma per qualche recondito motivo era sicuro che l'indirizzo fosse stato Apelbergsgatan 10. «C'è qualcosa di speciale in quell'indirizzo?» chiese Martinsson. «No. Non avevo sentito bene quello che dicevi.» Martinsson lo fissò sorpreso. «Parlo così male?» «No. Continua.»
«Sembra che vivesse da solo. Divorziato. La sua ex moglie abita qui in città. I figli non vivono con loro. Il ragazzo, che ha diciannove anni, studia a Stoccolma. La figlia di diciassette anni lavora come ragazza alla pari in un'ambasciata a Parigi. Naturalmente, la moglie è stata informata della morte del suo ex.» «Che lavoro faceva?» «Sembra che avesse una ditta in proprio. Consulente di informatica.» «E non è stato derubato?» «No. Ma aveva richiesto il saldo del suo conto al Bancomat proprio poco prima di morire. Quando siamo arrivati, lo teneva ancora stretto in mano.» «Vuoi dire che non aveva fatto un prelievo?» «Non secondo l'estratto conto che teneva in mano.» «In caso contrario, avremmo potuto pensare che qualcuno lo stesse osservando per poi colpirlo non appena avesse ritirato il denaro.» «Anch'io ho pensato a questa possibilità. Ma l'ultimo prelievo risale a sabato scorso. Una piccola somma.» Martinsson gli porse un sacchetto di plastica. All'interno c'era l'estratto conto macchiato di sangue. Wallander lesse l'ora di registrazione del saldo. Mezzanotte e due minuti. «Che cosa dice Nyberg?» «Non c'è nulla a parte la ferita alla testa che possa far pensare a un delitto. Con tutta probabilità, è stato un infarto.» «Forse credeva di avere più soldi sul conto» disse Wallander pensieroso. «Perché avrebbe dovuto?» Wallander si chiese che cosa avesse voluto dire. Si alzò nuovamente. «Aspettiamo di sentire che cosa dice il medico legale. Ma partiamo dal presupposto che non si tratti di un delitto.» Martinsson raccolse le sue carte e il sacchetto di plastica. «Telefonerò all'avvocato d'ufficio che è stato incaricato di difendere Sonja Hökberg. Ti farò sapere quando verrà, così potrai parlarle.» «Preferirei farne a meno» rispose Wallander. «Ma non ho scelta.» Martinsson uscì. Wallander andò in bagno. Pensò al periodo in cui era stato costretto a farlo di continuo a causa dell'alto tasso di glicemia. Tornato in ufficio, riprese a studiare il noioso materiale dell'indagine sul contrabbando di sigarette. Ma non riusciva a concentrarsi, il pensiero della promessa che aveva fatto ad Ann-Britt Höglund continuava ad assillarlo. Alle quattro e cinque, Martinsson telefonò e lo informò che Sonja
Hökberg e il suo avvocato erano arrivati. «Chi è l'avvocato?» chiese Wallander. «Herman Lötberg.» Wallander lo conosceva. Era un uomo anziano con il quale era facile collaborare. «Sarò lì fra cinque minuti» disse Wallander. Tornò alla finestra. Gli uccelli erano spariti. Le raffiche di vento si erano fatte più intense. Pensò ad Anette Fredman e al ragazzo che giocava seduto sul pavimento. Pensò al suo sguardo impaurito. Scosse il capo cercando di preparare le domande che avrebbe fatto a Sonja Hökberg. Nel rapporto di Martinsson aveva letto che era stata lei a colpire Lundberg alla testa con un martello. Diversi colpi. Come se fosse stata in preda a una furia incontrollabile. Wallander cercò un bloc-notes e una penna. Nel corridoio, si accorse di avere dimenticato gli occhiali. Tornò indietro a prenderli. Ora era pronto. C'è una sola domanda importante, pensò dirigendosi verso la stanza degli interrogatori. Una sola domanda importante alla quale Sonja Hökberg deve dare una riposta. Perché lo hai fatto? La scusa dei soldi non è sufficiente. Deve esserci un altro motivo, un motivo più profondo. 4. Sonja Hökberg non era affatto come Wallander se l'era immaginata. Non riusciva a spiegarsi perché si fosse fatto quell'idea di lei. Ma in ogni caso non corrispondeva alla persona che ora gli era davanti. Sonja Hökberg era seduta su una sedia nella stanza degli interrogatori. Non era molto alta e dava l'impressione di essere estremamente magra, quasi trasparente. Ha l'aspetto di una ragazzina, pensò Wallander. Una ragazzina di una famiglia perbene con fratelli e sorelle tutti educati e sorridenti. Vedendola per strada, nessuno avrebbe immaginato che andasse in giro con un martello nascosto sotto la giacca o nella borsetta. Wallander e Martinsson avevano incontrato l'avvocato della ragazza nel corridoio. «Sonja sembra molto serena» disse l'avvocato. «Ma non sono sicuro che si renda veramente conto di che cosa sia sospettata.» «Sospettata non è la parola giusta. Sonja ha confessato» disse
Martinsson con tono categorico. «Il martello?» chiese Wallander. «È stato ritrovato?» «Sì. Era nascosto sotto il letto nella sua camera. Non lo aveva neppure ripulito dal sangue. Purtroppo, l'altra ragazza ha gettato via il coltello. Lo stiamo ancora cercando.» Martinsson se ne andò. Wallander entrò nella stanza insieme all'avvocato. La ragazza li fissò con uno sguardo incuriosito. Non sembrava nervosa. Wallander fece un cenno con il capo e si mise a sedere davanti al registratore. L'avvocato prese posto a sua volta. Wallander alzò gli occhi e fissò la ragazza che non abbassò lo sguardo. «Hai del chewing-gum?» chiese la ragazza improvvisamente. Wallander scosse il capo. Si girò verso l'avvocato che fece un cenno negativo a sua volta. «Vedremo se sarà possibile farcene portare più tardi» disse Wallander spingendo il pulsante di avvio del registratore. «Ma adesso parliamo.» «Io ho già detto tutto. Perché non posso avere del chewing-gum? Posso pagarlo. Non dirò niente finché non mi darete del chewing-gum.» Wallander prese il telefono e chiamò il centralino. Ebba me lo procurerà senza problemi, pensò. Ma quando udì una voce sconosciuta, si ricordò che Ebba non c'era più. Era andata in pensione. Anche se era ormai passato un anno, Wallander non era ancora riuscito ad abituarsi. La nuova responsabile dell'accoglienza era una donna sulla trentina e si chiamava Irene. In precedenza, aveva lavorato come segretaria di un medico e si era integrata bene nel suo nuovo lavoro. Ma Wallander continuava a sentire la mancanza di Ebba. «Ho bisogno di chewing-gum» disse Wallander. «Conosci qualcuno che ne ha?» «Certamente» ripose Irene. «Io.» Wallander posò il ricevitore e andò da lei. «È per la ragazza?» chiese Irene. «Proprio così» disse Wallander. Tornò nella stanza degli interrogatori e mentre porgeva il chewing-gum a Sonja Hökberg, si accorse di non avere spento il registratore. «Iniziamo» disse. «Sono le 16.15 del 6 ottobre 1997. Interrogatorio di Sonja Hökberg condotto da Kurt Wallander.» «Devo raccontare la stessa cosa ancora una volta?» chiese la ragazza. «Sì. E cerca di parlare in modo chiaro rivolta al microfono.» «Ma ho già detto tutto!»
«Può darsi che io abbia bisogno di farti altre domande.» «Non ho nessuna voglia di ripetere tutto ancora una volta.» Per un attimo Wallander rimase perplesso. Non riusciva a capacitarsi della totale mancanza di inquietudine e nervosismo che la ragazza dimostrava. «Temo che sarai costretta a farlo» disse. «Sei accusata di un crimine molto grave. E hai confessato. Sei accusata di una feroce aggressione. Inoltre, dato che le condizioni del tassista sono peggiorate, il capo di accusa può diventare molto più pesante.» L'avvocato Lötberg fissò Wallander con una smorfia. Ma non disse nulla. Wallander iniziò. «Dunque, ti chiami Sonja Hökberg e sei nata il 2 febbraio 1978.» «Io sono del segno dell'Acquario. E tu?» «Non ha niente a che vedere con quello di cui dobbiamo parlare. Tu devi solo rispondere alle mie domande. Niente altro. Hai capito?» «Non sono mica stupida.» «Abiti con i tuoi genitori a Trastvägen 12, qui a Ystad.» «Sì.» «Hai un fratello che si chiama Emil, nato nel 1982.» «Sì, ed è lui che dovrebbe essere seduto qui al mio posto.» Wallander fissò la ragazza sorpreso. «Per quale motivo?» «Litighiamo in continuazione. Non lascia mai stare le mie cose. Fruga nei miei cassetti.» «Sono cose che possono succedere con i fratelli più giovani. Ma credo che possiamo lasciar perdere l'argomento per ora.» Continua a essere tranquilla, pensò Wallander rendendosi conto che l'impassibilità della ragazza lo innervosiva. «Racconta quello che è accaduto martedì sera.» «Raccontare la stessa cosa due volte è una noia mortale.» «Eppure è necessario. Dunque, martedì sera, tu ed Eva Persson siete uscite insieme?» «Non c'è niente da fare in questa città. Io vorrei vivere a Mosca.» Wallander fissò la ragazza stupefatto. Anche l'avvocato Lötberg sembrava sorpreso. «Perché proprio Mosca?» «Ho letto da qualche parte che è una città eccitante. Una città che si
muove. Tu ci sei mai stato?» «No. Limitati a rispondere alle mie domande. Niente altro. Dunque, martedì sera siete uscite.» «Questo lo sai già.» «Tu ed Eva siete buone amiche?» «Perché credi che sia uscita con lei? Credi forse che andrei in giro con quelle che non mi piacciono?» Per la prima volta, Wallander ebbe l'impressione di notare una crepa nell'atteggiamento di indifferenza della ragazza. L'impazienza stava prendendo il sopravvento sulla sua calma. «Vi conoscete da tanto tempo?» «Non particolarmente.» «Da quanto?» «Da un paio di anni.» «Eva ha cinque anni meno di te.» «Eva mi ammira.» «Che cosa vuoi dire?» «Lo dice lei stessa. Mi ammira.» «Perché ti ammira?» «Questo devi chiederlo a lei.» E lo farò, pensò Wallander. E non sarà la sola domanda che le farò. «Racconta quello che è successo.» «Ma porca miseria!» «Sarai costretta a farlo che ti piaccia o no. Se è necessario, possiamo rimanere seduti qui fino a sera.» «Siamo andate a bere una birra.» «Ma Eva Persson ha solo quattordici anni.» «Eva sembra più vecchia.» «E dopo?» «Abbiamo bevuto un'altra birra.» «E poi?» «Abbiamo chiamato un taxi. Ma questo lo sai già. Perché me lo chiedi?» «Avete chiamato un taxi per aggredire il tassista?» «Avevamo bisogno di soldi.» «Per che cosa?» «Niente di speciale.» «Avevate bisogno di soldi. Ma non ne avevate bisogno per uno scopo particolare: è così?»
«Sì.» No, stai mentendo, pensò Wallander. Aveva notato un vago tono di incertezza nella voce della ragazza. «Di solito, si ha bisogno di soldi per qualcosa di particolare.» «Ma non era così.» Invece era proprio così, pensò Wallander. Ma decise di non insistere per il momento. «Perché avete deciso di aggredire un tassista?» «Ne avevamo parlato.» «Quando eravate sedute nella pizzeria?» «Sì.» «Dunque, non ne avevate parlato prima?» «Perché avremmo dovuto?» L'avvocato Lötberg rimaneva seduto con lo sguardo fisso sulle mani. «Se provo a riassumere quello che dici, allora non avevate deciso di aggredire il tassista prima di essere andate a bere una birra. Chi ha avuto l'idea?» «Sono stata io.» «Eva non aveva niente in contrario?» «No.» Non ci credo, pensò Wallander. Sta mentendo e lo fa bene. «Avete chiamato il taxi dalla pizzeria. Poi siete rimaste sedute finché non è arrivato? È così?» «Sì.» «Se veramente non avevate pianificato tutto in precedenza, come spieghi il martello? E il coltello?» Sonja Hökberg fissò Wallander senza abbassare gli occhi. «Io porto sempre un martello nella borsetta. Ed Eva un coltello.» «Perché?» «Non si può mai essere sicuri di quello che può succedere.» «Che cosa vuoi dire?» «La città è piena di gente stramba. Bisogna potersi difendere.» «Perciò, porti sempre un martello con te?» «Sì.» «Hai avuto modo di usarlo altre volte prima?» L'avvocato Lötberg si irrigidì. «Direi che è una domanda poco rilevante.» «Che cosa significa?» chiese Sonja Hökberg.
«Rilevante? Significa che la domanda non è importante.» «Posso rispondere ugualmente. Io non ho mai usato il martello prima. Ma una volta, Eva ha dato una coltellata al braccio di un tizio che le aveva messo le mani addosso.» Wallander fu colto da un pensiero e decise di abbandonare la pista che aveva seguito fino ad allora. «Avete incontrato qualcuno nella pizzeria? Avevate un appuntamento?» «Chi avremmo dovuto incontrare?» «Questo lo sai tu.» «No.» «Non c'erano per esempio dei ragazzi che dovevate incontrare?» «No.» «Quindi, tu non hai un ragazzo?» «No.» Risposta troppo rapida, pensò Wallander. Troppo rapida. «Il taxi è arrivato e siete uscite dalla pizzeria?» «Sì.» «E dopo che cosa avete fatto?» «Che cosa si fa quando si sale su un taxi? Si dice dove si vuole andare.» «E voi avete detto che volevate andare a Rydsgård? Perché proprio là?» «Non lo so. È stata solo una coincidenza. Bisogna pur dire qualcosa.» «Eva ha preso posto di fianco al tassista e tu sul sedile posteriore. Lo avevate già deciso prima.» «Faceva parte del piano.» «Quale piano?» «Che avremmo detto al vecchio di fermarsi perché Eva voleva cambiare posto. E quando si sarebbe fermato lo avremmo attaccato.» «Avevate deciso sin dall'inizio di usare le armi?» «A meno che il tassista non fosse giovane.» «Che cosa avreste fatto in quel caso?» «Lo avremmo fatto fermare alzando le gonne e gli avremmo fatto delle proposte.» Wallander cominciò a sentire il sudore che gli colava giù per la schiena. La sfacciataggine della ragazza lo feriva. «Che tipo di proposte?» «Tu che cosa credi?» «Lo avreste invitato a fare sesso?» «Che espressione di merda.»
Lötberg si chinò in avanti di scatto. «Cerca di controllare il tuo linguaggio.» Sonja Hökberg fissò il suo avvocato. «Uso il linguaggio che mi pare, quando mi pare.» Lötberg si riappoggiò allo schienale. Wallander decise di continuare a incalzare la ragazza. «Ma c'era un uomo anziano al volante del taxi. Lo avete fatto fermare e dopo che cosa è successo?» «Io l'ho colpito alla testa. Eva lo ha accoltellato.» «Quante volte lo hai colpito?» «Non lo so. Alcune volte. Non le ho contate.» «Non avevi paura che potesse morire?» «Avevamo bisogno di soldi.» «Non è la domanda che ti ho fatto. Quello che voglio sapere è se ti rendevi conto che il tassista avrebbe potuto morire.» Sonja Hökberg scrollò le spalle. Wallander rimase in attesa, ma la ragazza non disse altro. Wallander sentì di non avere la forza di ripetere la domanda. «Hai detto che avevate bisogno di soldi. Per cosa?» In quel momento, notò nuovamente un vago accenno di insicurezza sul volto della ragazza. «Te l'ho già detto. Per niente di speciale.» «Che cosa è successo dopo?» «Abbiamo preso il suo portafoglio e il cellulare e siamo tornate a casa.» «Che cosa avete fatto del portafoglio?» «Abbiamo diviso il denaro e poi Eva lo ha buttato via.» Wallander prese il rapporto di Martinsson. Johan Lundberg aveva circa seicento corone nel portafoglio, che era stato ritrovato in un cestino della spazzatura in seguito alle indicazioni di Eva Persson. Il cellulare era stato ritrovato a casa di Sonja Hökberg. Wallander spense il registratore. Sonja Hökberg seguiva ogni suo movimento. «Posso andare a casa adesso?» «No» disse Wallander. «Hai diciannove anni. Questo significa che sei maggiorenne e che puoi essere condannata a una pena detentiva. Hai commesso un reato molto grave e sei in stato di arresto.» «Che cosa vuol dire?» «Che rimarrai qua.»
«Perché?» Wallander fissò Lötberg. Poi si alzò. «Chiedi al tuo avvocato, sono certo che lui riuscirà a spiegartelo.» Wallander uscì dalla stanza. Era in preda a un acuto senso di malessere. Sonja Hökberg non aveva mostrato alcun cedimento. Era rimasta veramente impassibile come se la cosa non la toccasse. Entrò nell'ufficio di Martinsson che stava parlando al telefono e che gli indicò la sedia. Wallander si mise a sedere e aspettò. Di colpo, sentì il bisogno di fumare una sigaretta. Non gli accadeva spesso. Ma l'incontro con Sonja Hökberg era stato penoso. Martinsson posò il ricevitore. «Com'è andata?» «Ha confessato tutto. Ma rimane fredda come il ghiaccio.» «Eva Persson si comporta allo stesso modo. E ha solo quattordici anni.» Wallander fissò Martinsson con uno sguardo quasi implorante. «Che cosa sta succedendo?» «Non lo so.» Wallander fu colto da un senso di rabbia. «Dannazione, sono solo due ragazzine.» «Lo so. E sembra che non siano per niente pentite.» Rimasero in silenzio. Per un attimo, Wallander provò un'intensa sensazione di vuoto. Alla fine, fu Martinsson a rompere l'atmosfera pesante che si era creata. «Forse adesso capirai perché ho pensato di dimettermi più di una volta.» Wallander si scosse. «Allora, forse adesso tu capisci perché è così importante che tu non ti dimetta.» Wallander si alzò e andò alla finestra. «Come sta Lundberg?» «È sempre in prognosi riservata.» «Dobbiamo arrivare in fondo a questo caso. Indipendentemente dal fatto che Lundberg muoia oppure no. Ammesso che non ci sia altro sotto.» «Che cosa potrebbe essere?» «Non saprei. È solo una mia sensazione. Sento che c'è qualcosa di più profondo. Ma ora come ora, non sappiamo ancora niente.» «Non credi che fossero un po' ubriache? E che abbiano deciso di procurarsi i soldi senza pensare alle conseguenze?» «Che cosa te lo fa pensare?»
«Sono sicuro che non si sia trattato di bisogno di denaro.» Wallander annuì. «Forse hai ragione. Ho pensato la stessa cosa. Ma voglio sapere che cosa poteva essere. Domani, parlerò a Eva Persson e anche con i genitori. Le due ragazze avevano degli amichetti?» «Eva Persson ha detto di averne uno.» «Ma non Sonja Hökberg?» «No.» «Io credo che stia mentendo. Sonja Hökberg ha qualcuno. Dobbiamo trovarlo.» Martinsson annuì. «Chi seguirà questo caso? Tu o io?» «Io. Voglio sapere che cosa sta succedendo in questo paese.» «Sono più che contento di non dovermene occupare.» «Non del tutto. Tu, Hansson e Ann-Britt Höglund sarete coinvolti. Dobbiamo scoprire quello che c'è dietro a questa aggressione. È stato un tentativo di omicidio. E, se Lundberg morisse, diventerebbe un omicidio vero e proprio.» Martinsson indicò la pila di rapporti che ingombrava la sua scrivania. «Non so come farò con tutto questo. Ci sono indagini che sono state avviate due anni fa. Talvolta mi viene voglia di mandare tutto al capo della polizia perché mi spieghi come pensa che possa occuparmi di tutto.» «Ti rimanderebbe tutto accusandoti di non essere in grado di pianificare il tuo lavoro. E per quanto riguarda la pianificazione, non potrei dargli completamente torto.» Martinsson annuì. «A volte, lamentarsi aiuta.» «Lo so» disse Wallander. «Anch'io sono nella tua stessa situazione. Sono anni che non riusciamo a portare a termine quello che iniziamo. Oggi come oggi, siamo costretti a imporci delle priorità. Per questo ho deciso di parlare della situazione con Lisa Holgersson.» Wallander si era alzato e stava per uscire, quando Martinsson lo fermò. «C'è ancora una cosa. Mi è venuta in mente ieri notte prima di addormentarmi. Quando è stata l'ultima volta che ti sei esercitato al tiro?» Wallander ci pensò su. «Più o meno due anni fa.» «Stessa cosa per il sottoscritto. Hansson si allena privatamente. Si è iscritto a un club di tiro a segno. Per quanto riguarda Ann-Britt Höglund
non so niente a parte che, dopo quello che è successo l'anno scorso, gli spari continuano a terrorizzarla. Ma secondo il regolamento, l'esercitazione al tiro deve essere effettuata regolarmente durante l'orario di lavoro.» Wallander capì quello che Martinsson voleva dire. La mancanza di esercitazione all'uso delle armi in dotazione per diversi anni poteva essere un grave handicap in una situazione pericolosa. «Non ci avevo pensato» disse. «Ma hai perfettamente ragione. Non va bene.» «Personalmente, dubito di riuscire a centrare un muro» disse Martinsson. «Siamo troppo impegnati. Riusciamo solo a sbrigare le cose più importanti. E forse neanche quelle.» «Parlane con Lisa Holgersson» disse Martinsson. «È sicuramente al corrente del problema» disse Wallander incerto. «Ma la questione è cosa può fare per risolverlo.» «Non ho ancora compiuto quarant'anni» disse Martinsson. «Ma mi sembra di ricordare che tutto fosse diverso in passato. O almeno meglio. Non era l'inferno in cui viviamo adesso.» Wallander non riuscì a formulare una risposta adeguata. Molte volte, le lamentele di Martinsson erano tediose. Tornò nel suo ufficio. Erano le cinque e mezza. Si avvicinò alla finestra. Fuori era ormai buio. Pensò a Sonja Hökberg e si chiese perché le due ragazze avessero avuto un bisogno così pressante di soldi. Doveva esserci un altro motivo. Poi, rivide il volto di Anette Fredman. D'improvviso, a dispetto della mole di lavoro che lo aspettava, Wallander si rese conto di non avere più la forza di rimanere nel suo ufficio. Prese la giacca e lasciò la centrale di polizia. Fuori, il vento d'autunno soffiava a raffiche. Mise in moto. Il motore si avviò a fatica. Uscendo dal parcheggio, si ricordò che doveva fare la spesa. Il suo frigorifero era praticamente vuoto, fatta eccezione per una bottiglia di champagne che aveva vinto scommettendo con Hansson. Ma non ricordava più di che cosa si fosse trattato. Quasi inconsciamente, decise di dare un'occhiata al Bancomat davanti al quale la sera prima un uomo era caduto a terra morto. Dopo, avrebbe potuto fare la spesa in uno dei grandi magazzini lì vicino. Quando parcheggiò a poca distanza dal Bancomat, una donna con un passeggino stava facendo un prelievo. L'asfalto dava l'impressione di essere duro e ruvido. Wallander si guardò intorno. I palazzi erano lontani. Di
notte, quel luogo era sicuramente deserto e male illuminato. Non sarebbe stato facile udire l'urlo angosciato di un uomo che stava cadendo a terra a quella distanza. Wallander entrò nel grande magazzino più vicino e si diresse verso il reparto alimentari. Come sempre, quando doveva decidere che cosa acquistare provava un senso di fastidio. Riempì un cestino, pagò e tornò a casa. Il rumore del motore della sua auto era sempre più inquietante. Appena entrato in casa, si tolse il vestito scuro. Dopo avere fatto la doccia ed essersi accorto che non rimaneva quasi nulla della saponetta, riscaldò un minestrone surgelato. Con sua grande sorpresa, trovò che aveva un gusto piacevole. Preparò un caffè e lo portò nel soggiorno. La stanchezza sopraggiunse d'improvviso. Dopo avere fatto un po' di zapping senza trovare niente di interessante in tv, prese il telefono e chiamò sua figlia Linda a Stoccolma. Linda aveva preso in affitto un appartamento a Kungholmen insieme a due amiche che Wallander conosceva solo di nome. Per guadagnare qualcosa, Linda lavorava saltuariamente come cameriera in un ristorante del quartiere. L'ultima volta che era stato a Stoccolma, Wallander aveva cenato in quel ristorante. Aveva trovato il cibo ottimo, ma il volume della musica di sottofondo troppo alto lo aveva irritato. Linda aveva ventisei anni. I loro rapporti erano buoni, ma Wallander pativa la distanza che li separava e che gli permetteva di vedere sua figlia solo occasionalmente. Al terzo segnale, Wallander udì la segreteria telefonica. Né Linda, né le sue amiche erano in casa. Il messaggio venne ripetuto in inglese. Disse il suo nome e aggiunse che voleva semplicemente salutare sua figlia. Posò il ricevitore e sorseggiò il caffè che era ormai freddo. Non posso continuare a vivere in questo modo, pensò. Ho cinquant'anni, ma mi sento molto più vecchio, e senza forze. Poi pensò che sarebbe dovuto uscire per fare la sua solita passeggiata serale. Cercò invano una scusa per lasciar perdere. Ma alla fine si alzò, infilò le scarpe da ginnastica e uscì. Alle otto e mezza era di ritorno a casa. La camminata gli aveva fatto bene e aveva scacciato il senso di sconforto che aveva provato prima di uscire. Il telefono squillò. Linda, pensò Wallander. Ma udì la voce di Martinsson. «Lundberg è morto. Hanno appena telefonato dall'ospedale.» Wallander rimase in silenzio.
«Questo significa che Sonja Hökberg ed Eva Persson hanno commesso un omicidio» continuò Martinsson. «Sì» disse Wallander. «E significa anche che abbiamo per le mani un caso difficile.» Decisero di incontrarsi alle otto del mattino successivo. Wallander rimase seduto sul divano nel soggiorno. Accese il televisore e guardò distrattamente il telegiornale. Udì che il dollaro stava salendo. Ma la cosa che attirò la sua attenzione fu la storia dei bond. Prosciugare il capitale di una società per azioni senza che nessuno intervenisse prima che fosse troppo tardi sembrava una cosa estremamente semplice. Linda non richiamò. Alle undici Wallander andò a dormire. Riuscì ad addormentarsi solo dopo un'ora. 5. Quando Wallander si svegliò poco dopo le sei di martedì 7 ottobre, aveva difficoltà a deglutire. Era sudato e si rese conto che stava ammalandosi. Rimase a lungo disteso a letto dicendosi che sarebbe dovuto rimanere a casa. Ma il pensiero di Johan Lundberg, il tassista morto in seguito alla brutale aggressione che aveva subito, lo spinse giù dal letto. Fece una doccia, preparò il caffè, prese due pastiglie per calmare la febbre e mise il tubetto in tasca. Prima di uscire, mangiò uno yogurt, anche se controvoglia. Fuori dalla finestra, sulla strada le raffiche di vento facevano ondeggiare il lampione. Il cielo era coperto e la temperatura superava di pochi gradi lo zero. Wallander aprì l'armadio e cercò un maglione pesante. Poi, rimase con la mano sul telefono, indeciso se chiamare sua figlia. Ma pensò che era troppo presto. Quando uscì in strada e salì sulla sua auto, gli venne in mente di avere lasciato un biglietto sul tavolo della cucina. Era un promemoria che aveva scritto per ricordarsi cosa doveva comprare. Ma non riusciva a ricordare cosa. Sarebbe dovuto tornare indietro a prendere il biglietto, ma non ne aveva la forza. Invece, decise che da quel giorno in poi avrebbe chiamato la sua segreteria telefonica alla centrale di polizia, lasciando detto quello che doveva comprare. Una volta arrivato al lavoro, avrebbe potuto ascoltare il messaggio e procurarsi poi ciò di cui aveva bisogno. Mise in moto e si avviò lungo la solita strada che percorreva per andare alla centrale. Ogni mattina provava un certo senso di colpa. Per mantenere basso il suo tasso di glicemia, avrebbe dovuto andare al lavoro a piedi. In fondo, le sue condizioni di salute non erano così gravi da non permettergli
di rinunciare all'auto. Se avessi un cane, non avrei tanti problemi, pensò. Ma non l'ho mai avuto. Un anno fa, sono andato al canile vicino a Sjöbo per vedere alcuni cuccioli di labrador. Ma non se n'è fatto nulla. Niente casa, niente cane, niente Baiba. Niente di niente. Lasciò l'auto nel parcheggio della centrale di polizia e alle sette in punto entrò nel suo ufficio. Proprio mentre si sedeva, ricordò quello che si era appuntato sul biglietto. Sapone. Prese il bloc-notes e lo scrisse in stampatello. Poi, per alcuni minuti fece un riepilogo mentale di quello che era successo. Un tassista era stato assassinato. Due ragazze avevano confessato e la polizia aveva recuperato una delle armi che avevano usato. Una delle ragazze era minorenne, l'arresto dell'altra sarebbe stato formalizzato quel giorno stesso. Ricordando la totale insensibilità di Sonja Hökberg, Wallander provò la stessa sensazione di disagio che lo aveva pervaso il giorno prima. Cercò di convincersi che dopotutto la ragazza poteva avere provato un po' di compassione che, lui, forse, non era stato in grado di percepire. Ma la sua esperienza gli diceva che purtroppo non era così. Wallander si alzò, andò a prendere un caffè alla mensa e poi si avviò verso l'ufficio di Martinsson che era sempre tra i primi ad arrivare. Come al solito, la porta era aperta. Wallander si chiese come il suo collega riuscisse a lavorare con la porta sempre aperta. Per lui tenere chiusa la porta del suo ufficio era una necessità imprescindibile ed era l'unico modo per potersi concentrare. Martinsson fece un cenno di saluto con il capo. «Mattiniero come al solito» disse. «Non mi sento bene» rispose Wallander. «Raffreddato?» «A ottobre soffro sempre di mal di gola.» Martinsson, che aveva costantemente paura di ammalarsi, si irrigidì contro lo schienale della sedia. «Avresti dovuto rimanere a casa» disse. «Questa deplorevole storia del tassista è stata risolta.» «Solo in parte» obiettò Wallander. «Non abbiamo il movente. Non credo nel modo più assoluto che le due ragazze fossero unicamente alla caccia di denaro. A proposito, avete trovato il coltello?» «Se ne sta occupando Nyberg. Non ho ancora avuto modo di parlargli.» «Telefonagli.» Martinsson fece una smorfia.
«A quest'ora del mattino è sempre di cattivo umore.» «Allora lo chiamerò io.» Wallander prese il telefono di Martinsson e compose il numero di casa di Nyberg. Dopo un attimo d'attesa, la telefonata fu trasferita al cellulare. Nyberg rispose, ma la linea era disturbata. «Sono Kurt. Mi chiedevo se siete riusciti a trovare il coltello.» «Come diavolo pensi che possiamo trovarlo con questo buio?» rispose Nyberg irritato. «Mi sembrava che Eva Persson avesse detto dove lo aveva gettato.» «Sì. Ha dichiarato di averlo gettato da qualche parte nel vecchio cimitero. Questo significa che dobbiamo setacciare alcune centinaia di metri quadrati per trovarlo.» «Perché non la fai portare lì?» «Se è qui, lo troveremo» rispose Nyberg chiudendo la conversazione. «Questa notte ho dormito poco o niente» disse Martinsson. «Mia figlia Terese conosce Eva Persson molto bene. Hanno la stessa età. Anche Eva Persson ha dei genitori. Come pensi che stiano in questo momento? Da quello che so, Eva è la loro unica figlia.» Rimasero in silenzio riflettendo su quello che Martinsson aveva detto. Poi, Wallander iniziò a starnutire. Uscì immediatamente dalla stanza. Le domande di Martinsson rimasero senza risposta. Alle otto, si trovarono nella sala riunioni. Wallander si era seduto al suo solito posto. Hansson e Ann-Britt Höglund erano già arrivati. Martinsson stava al telefono in piedi accanto alla finestra. Dato che diceva poche parole sottovoce, tutti sapevano che stava parlando con sua moglie. Spesso, Wallander si era chiesto come fosse possibile che i coniugi Martinsson avessero tanto da dirsi dopo essersi visti a colazione poche ore prima. Forse, quel giorno, Martinsson aveva bisogno di comunicarle la propria paura di prendersi il raffreddore da Wallander. Lisa Holgersson entrò nella stanza. Martinsson mise giù il telefono. Hansson si alzò e chiuse la porta. L'atmosfera era pesante. «Non dovrebbe esserci anche Nyberg?» chiese Hansson. «Sta cercando il coltello di Eva Persson» disse Wallander. «Possiamo essere sicuri che lo troverà.» Poi si volse verso Lisa Holgersson che fece un cenno con il capo. Wallander aveva la parola. Si chiese rapidamente quante volte si era trovato in quella situazione al mattino presto, circondato dai colleghi, pronto per
parlare di un delitto da risolvere. Nel corso degli anni, la centrale aveva subito diversi cambiamenti, i vecchi mobili e le tende alle finestre erano stati sostituiti. I telefoni avevano mutato aspetto e poi i computer avevano fatto la loro comparsa. Eppure, era come se i presenti fossero sempre stati seduti lì. E Wallander più a lungo di tutti. Iniziò a parlare. «Se qualcuno non ne fosse ancora al corrente, Johan Lundberg è morto» disse indicando il giornale che aveva davanti a sé sul tavolo. L'assassinio di Lundberg occupava un quarto della prima pagina. «Questo significa che le due ragazze, Sonja Hökberg ed Eva Persson, hanno commesso un omicidio. Omicidio per rapina. Non si può definire in altro modo. La spiegazione di Sonja Hökberg è stata particolarmente chiara. Le due ragazze avevano pianificato l'aggressione e avevano portato con sé le armi. Avevano deciso di aggredire un tassista. Dato che Eva Persson è minorenne non saremo i soli a occuparci di lei. Abbiamo ritrovato il martello e anche il portafoglio vuoto e il cellulare di Lundberg. Manca solo il coltello. Nessuna delle due ragazze nega i fatti. Credo che domani, al più tardi, saremo in grado di presentare il materiale al pm. Ovviamente, gli esami medico-legali sono ancora in corso. Ma per quanto ci riguarda, questa orribile storia può essere considerata conclusa.» Wallander finì di parlare. Tutti rimasero in silenzio. «Perché lo hanno fatto?» chiese Lisa Holgersson dopo un minuto. «Tutto sembra così assolutamente insensato.» Wallander annuì. Aveva sperato che qualcuno facesse quella domanda per evitare di doverla porre lui. «Sonja Hökberg è stata chiara» disse. «Sia durante l'interrogatorio di Martinsson che a me ha detto: "Avevamo bisogno di soldi." Niente altro.» «Soldi per che cosa?» chiese Hansson. «Non lo sappiamo. Non hanno risposto a questa domanda. Se dobbiamo credere a quello che dice Sonja Hökberg, non lo sapevano neanche loro. Avevano bisogno di soldi. Per nessuno scopo preciso. Solo questo: soldi.» Prima di continuare, Wallander si guardò intorno. «Personalmente non credo che sia vero. In ogni caso, Sonja Hökberg mente. Ne sono convinto. Non ho ancora parlato con Eva Persson. Ma il denaro serviva per qualcosa di preciso. Inoltre, sospetto che Eva Persson facesse quello che Sonja Hökberg le ordinava. Questa non è un'attenuante per la sua colpevolezza, ma ci dà un'idea della natura della loro relazione.» «Ha qualche importanza?» chiese Ann-Britt Höglund. «Voglio dire, se i
soldi dovevano servire per comprare capi di abbigliamento o altro?» «In verità, no. Gli elementi a disposizione del pm per condannare Sonja Hökberg sono più che sufficienti. Come ho già detto, la sorte di Eva Persson non è unicamente un nostro problema.» «Non hanno mai avuto a che fare con noi» disse Martinsson. «Ho controllato. Inoltre, nessuna delle due ragazze ha mai avuto problemi a scuola.» Ancora una volta, Wallander aveva la sensazione di seguire una falsa pista. O forse avevano escluso troppo presto la possibilità che potesse esistere una spiegazione totalmente diversa per la morte di Johan Lundberg. Ma dato che non era ancora in grado di esprimere verbalmente la sua sensazione, non disse nulla. Rimaneva ancora molto lavoro da fare. Poteva essersi trattato di bisogno di denaro. Ma poteva anche essere stato qualche cosa di completamente differente. Doveva continuare a seguire piste diverse. Il telefono squillò. Rispose Hansson, ascoltò attentamente, poi posò il ricevitore. «Era Nyberg. Hanno trovato il coltello.» Wallander annuì e chiuse la cartella che aveva davanti a sé. «È ovvio che dobbiamo parlare con i genitori e assicurarci che siano fatte indagini approfondite sulle due ragazze. Ma il materiale da presentare al pm deve essere pronto al più presto.» Lisa Holgersson alzò la mano. «Dobbiamo convocare una conferenza stampa. I mass-media ci stanno con il fiato sul collo. A parte tutto, è inconsueto che due ragazze così giovani commettano un omicidio.» Wallander si volse verso Ann-Britt Höglund che scosse il capo. Spesso, negli ultimi anni, Ann-Britt Höglund l'aveva aiutato a evitare le conferenze stampa che detestava. Ma ora non voleva farlo. Wallander la capiva. «Me ne occuperò io» disse. «A che ora?» «Te lo farò sapere» disse Lisa Holgersson. La riunione stava volgendo al termine. Furono assegnati i diversi compiti. Tutti avevano la sensazione che l'indagine della polizia doveva essere conclusa con rapidità. Il crimine era sconcertante. Nessuno voleva occuparsene più del necessario. Wallander si incaricò di andare a parlare con i genitori di Sonja Hökberg. Martinsson e Ann-Britt Höglund avrebbero interrogato Eva Persson e parlato con i suoi genitori. Lasciarono insieme la sala riunioni. Wallander sentì che il suo raffreddo-
re stava peggiorando. Nel migliore dei casi riuscirò a passarlo a qualche giornalista, pensò, cercando un fazzoletto di carta nelle tasche. Nel corridoio incontrò Nyberg che indossava una tuta pesante e stivali di gomma ai piedi. Aveva i capelli arruffati ed era di pessimo umore. «Ho sentito che avete trovato il coltello» disse Wallander. «Sembra che il Comune non abbia più i fondi per ripulire il cimitero d'autunno» rispose Nyberg. «Abbiamo dovuto razzolare fra montagne di foglie, ma alla fine siamo riusciti a trovarlo.» «Che tipo di coltello è?» «Un coltello da cucina. Abbastanza lungo. Deve avere colpito il tassista con forza. La punta della lama si è spezzata. Probabilmente contro una costola. In ogni caso, è un coltello di pessima qualità.» Wallander scosse il capo. «Non mi sembra vero» disse Nyberg. «Non c'è veramente più rispetto per la vita umana? Quanti soldi aveva con sé Lundberg?» «Circa seicento corone. Non ne siamo ancora del tutto certi, ma con tutta probabilità non molto di più. Aveva appena iniziato il suo turno.» Nyberg borbottò qualcosa di incomprensibile e se ne andò. Wallander tornò nel suo ufficio. Rimase seduto indeciso su cosa fare. La gola gli bruciava. Alla fine, con un sospiro aprì la cartella con i rapporti dell'indagine. Sonja Hökberg abitava in un quartiere a ovest della città. Wallander annotò l'indirizzo, si alzò e prese la giacca. Appena arrivato nel corridoio udì squillare il telefono. Tornò in ufficio. Era Linda. Nel sottofondo Wallander sentiva i rumori dalla cucina. «Ho trovato il tuo messaggio questa mattina» disse Linda. «Questa mattina?» «Questa notte non ho dormito a casa.» Wallander riuscì a evitare di chiederle dove avesse dormito. Sapeva che se lo avesse fatto, Linda si sarebbe arrabbiata e avrebbe interrotto la comunicazione. «Non era niente di particolare» disse. «Volevo solo sapere come stavi.» «Bene. E tu?» «Un po' raffreddato. Per il resto, tutto normale. Volevo chiederti se verrai a trovarmi per un paio di giorni.» «Non ho tempo.» «Ma posso pagarti il viaggio.» «Ti ho detto che non ho tempo. Non è una questione di soldi.»
Wallander capì che non sarebbe riuscito a convincerla. Linda aveva ereditato la sua testardaggine. «Come stai?» chiese Linda. «Non sei più in contatto con Baiba?» «Ormai, è finita da tempo. Dovresti saperlo.» «Non ti fa bene vivere in questo modo.» «Che cosa vuoi dire?» «Sai benissimo quello che voglio dire. Si sente dalla tua voce. Sei irritato e questo non accadeva mai prima.» «Io, irritato?» «Proprio come adesso. Ma ho una proposta. Perché non cerchi una di quelle agenzie per incontri?» «Agenzia per incontri?» «Potresti trovare qualcuno. Altrimenti diventerai un vecchio brontolone che si chiede perché sua figlia non dorma a casa sua la notte.» Mi legge nel pensiero, pensò Wallander. «Stai dicendo che dovrei mettere un annuncio su qualche giornale?» «Sì. O puoi cercare un'agenzia.» «Non lo farò mai.» «Perché?» «Perché non credo a questo tipo di cose.» «Perché non ci credi?» «Non lo so.» «Il mio era solo un consiglio. Pensaci. Adesso devo iniziare a lavorare.» «Dove sei?» «Al ristorante. Iniziamo alle nove.» Linda salutò. La conversazione era terminata. Wallander si chiese dove avesse dormito sua figlia quella notte. Alcuni anni prima, era stata insieme a un ragazzo del Kenya che studiava medicina all'università di Lund, ma la storia era finita presto. Dopo quell'intermezzo, Wallander non aveva più saputo molto dei compagni di sua figlia, a parte il fatto che li cambiava piuttosto spesso. Provò un pizzico di irritazione mista a gelosia. Poi uscì dall'ufficio. In verità, aveva già pensato un paio di volte a mettere un annuncio su un giornale o presso un'agenzia. Ma aveva sempre scacciato quel pensiero. Sarebbe stato come abbassarsi a fare qualcosa contro i suoi principi. Le raffiche di vento lo spinsero verso il parcheggio. Salì nell'auto, mise in moto e ascoltò il brontolio del motore. Poi si avviò in direzione della casa a schiera dove Sonja Hökberg aveva abitato con i suoi genitori. Nel rap-
porto di Martinsson, aveva letto che il padre di Sonja aveva una ditta individuale. Ma non si capiva quale attività svolgesse. Wallander parcheggiò l'auto davanti alla casa e scese. Il piccolo giardino era ben curato. Suonò il campanello. Dopo qualche istante, un uomo aprì la porta. Wallander si rese conto immediatamente di averlo già incontrato. Aveva un'ottima memoria per i volti. Ma non riuscì a ricordare dove o quando lo aveva visto. Anche l'uomo sull'uscio di casa aveva riconosciuto Wallander. «Ah, sei tu? Mi aspettavo una visita della polizia. Ma non avrei mai immaginato che potessi essere tu a venire.» L'uomo gli fece cenno di entrare. Da qualche parte all'interno della casa si udiva il suono di un televisore. Non riusciva ancora a ricordare dove lo aveva già visto. «Presumo che tu mi abbia riconosciuto» disse Hökberg. «Sì» rispose Wallander. «Ma devo ammettere che non ricordo in quale circostanza.» «Erik Hökberg?» Wallander si sforzò di ricordare. «E Sten Widén?» Ora ricordava. Sten Widén e la sua stalla a Stjärnsund. Ed Erik. Anni e anni prima, tutti e tre avevano avuto una comune passione per l'opera. Il più fanatico era stato Sten Widén. Ma anche Erik, che era un amico d'infanzia di Sten, aveva ascoltato spesso insieme a loro la musica di Verdi. «Adesso ricordo» disse Wallander. «Ma allora non ti chiamavi Hökberg.» «Ho preso il nome di mia moglie. Allora mi chiamavo Erik Eriksson.» Erik Hökberg era un uomo massiccio. L'attaccapanni che porse a Wallander sembrava piccolo nella sua mano. Wallander lo ricordava magro. Ora era praticamente obeso. Per questo non era riuscito a ricordare dove lo avesse incontrato. Wallander appese la giacca e seguì Hökberg nel soggiorno dove c'era un televisore spento. Il suono che aveva udito proveniva da un'altra stanza. Si accomodarono. Wallander si sentiva imbarazzato. Il suo compito era già difficile di per sé. «Quello che è successo è terribile» disse Hökberg. «Naturalmente non capisco che cosa le sia saltato in testa.» «Ha mai avuto scatti di violenza?» «Mai.» «Tua moglie è in casa?»
Hökberg si era accasciato sulla poltrona. Dietro al suo viso gonfio e paffuto, Wallander intuiva un altro volto, quello che si ricordava da un passato che sembrava infinitamente lontano. «No. Mia moglie è andata da sua sorella a Höör con Emil. Non sopportava più di rimanere qui. I giornalisti continuano a telefonare. Senza ritegno. Anche in piena notte.» «Purtroppo, dovrò parlare anche con lei.» «Lo capisco. Le ho detto che la polizia si sarebbe fatta viva.» Wallander era incerto su come continuare. «Immagino che ne abbiate parlato. Tu e tua moglie.» «Come me, anche lei non riesce a capire. È stato uno shock.» «Avevi un buon rapporto con Sonja?» «Mai avuto problemi.» «E tua moglie?» «Stessa cosa. Talvolta litigavano. Ma per cose assolutamente normali. In tutti gli anni che ho conosciuto Sonja non ho mai avuto problemi.» Wallander aggrottò la fronte. «Che cosa vuoi dire?» «Credevo che tu sapessi che Sonja è la mia figliastra.» Non è scritto nei rapporti, pensò Wallander. Altrimenti me ne sarei ricordato. «Ruth e io abbiamo avuto Emil» continuò Hökberg. «Sonja aveva due anni quando Ruth e io ci siamo messi insieme. A dicembre saranno diciassette anni. Ci siamo incontrati a una festa di Natale.» «Chi è il vero padre di Sonja?» «Si chiama Rolf. Ma non si è mai interessato a lei. Ruth non l'ha mai sposato.» «Sai dove si trovi?» «È morto alcuni anni fa. Cirrosi epatica.» Wallander mise la mano in tasca alla ricerca di una penna. Si era già accorto di avere dimenticato sia gli occhiali che il bloc-notes. Il suo sguardo si posò su una pila di giornali sul tavolino di cristallo. «Posso strappare l'angolo di un giornale?» «La polizia non può più permettersi i bloc-notes?» «È una buona domanda. Ma in questo caso, si tratta di una mia dimenticanza.» Wallander prese un giornale. Notò che era un giornale finanziario inglese.
«Posso chiederti di che cosa ti occupi?» La risposta di Hökberg lo sorprese. «Faccio speculazioni.» «Di che genere?» «Azioni. Opzioni. Valute. Inoltre guadagno bene con le scommesse. Più che altro su partite di cricket inglesi. A volte anche di baseball americano.» «Dunque, vivi di scommesse.» «Non sulle corse di cavalli. Non gioco neppure al totocalcio. Ma immagino che si possa dire che anche il mercato azionario è una specie di gioco.» «Lo fai da casa?» Hökberg si alzò e fece cenno a Wallander di seguirlo. Quando arrivarono nella camera adiacente, Wallander si fermò sulla soglia. Tre televisori erano accesi contemporaneamente. Colonne di cifre scorrevano su tutti gli schermi. Nella stanza c'erano poi diversi pc con relative stampanti. Su una parete, una serie di orologi indicava l'ora in diverse parti del mondo. Wallander aveva l'impressione di essere entrato nella torre di controllo di un aeroporto. «La gente ha l'abitudine di dire che la tecnologia ha reso il mondo più piccolo» disse Hökberg. «È un concetto opinabile. Ma è indubbio che il mio mondo è diventato più grande. Da questa casa alla periferia di Ystad, io posso operare su tutti i mercati del mondo. Posso contattare agenzie per scommesse a Londra o a Roma. Posso chiedere un'opzione alla Borsa di Hong Kong e vendere dollari americani a Giacarta.» «È veramente così semplice?» «Non proprio. È necessario avere permessi, contatti ed esperienza. Ma quando entro in questa stanza mi trovo al centro del mondo. In qualsiasi momento. Forza e debolezza si muovono mano nella mano.» Tornarono nel soggiorno. «Vorrei vedere la camera di Sonja» disse Wallander. Hökberg gli fece strada fino al piano superiore. Passarono davanti a una stanza che doveva essere quella di Emil. Hökberg indicò un'altra porta. «Ti aspetterò di sotto. Se non hai bisogno di me.» «No, va bene così.» Hökberg si avviò verso la scala. Wallander aprì la porta. La stanza era mansardata, l'unica finestra era aperta a metà. Una tenda sottile ondeggiava lentamente al vento. Wallander rimase immobile guardandosi intorno. Sapeva per esperienza che la prima impressione era quella decisiva. Le os-
servazioni fatte in un secondo tempo potevano rivelare aspetti importanti che gli erano sfuggiti in un primo momento. Ma nella sua mente, Wallander tornava sempre a quella prima impressione. In quella stanza abitava una persona. Ed era quella la persona che Wallander cercava. Il letto era fatto. Dappertutto, c'erano cuscini con fodere rosa e a fiori. Una parete era coperta da una libreria sulla quale c'era una quantità incredibile di orsacchiotti di pezza. Il pavimento era rivestito di una spessa moquette e sulla porta dell'armadio c'era uno specchio. Sotto la finestra, una scrivania. Il ripiano era vuoto. Wallander rimase a lungo sulla porta a osservare la stanza di Sonja Hökberg. Entrò, si avvicinò al letto e si chinò per guardare sotto. Il rettangolo di pavimento era coperto da un sottile strato di polvere. Ma al centro era rimasta l'impronta di un oggetto. Wallander sentì un brivido salire lungo la schiena. È l'impronta lasciata dal martello, si disse. Si rialzò e si mise a sedere sul bordo del letto. Il materasso era duro. Si passò una mano sulla fronte. La febbre era tornata e anche il bruciore alla gola. Per un attimo pensò al tubetto di pastiglie. Si alzò e aprì i cassetti della scrivania. Nessuno era chiuso a chiave. Non sapeva cosa stava cercando, forse un diario o delle fotografie. Ma niente all'interno dei cassetti attirò la sua attenzione. Si rimise a sedere sul letto. Pensò al suo incontro con Sonja Hökberg. La sensazione era stata immediata. L'aveva provata quando si era fermato sulla porta della stanza. C'era qualcosa che non quadrava. Sonja Hökberg non c'entrava con la sua stanza. Wallander non riusciva a immaginare la ragazza fra tutti quei cuscini rosa e gli orsacchiotti. Eppure era la sua stanza. Wallander cercò di capire che cosa potesse significare questa osservazione. Dov'era la verità? Chi era Sonja Hökberg? La ragazza che aveva interrogato nella centrale di polizia? O quella che abitava la stanza dove aveva nascosto un martello macchiato di sangue sotto il letto? Molti anni prima, Rydberg gli aveva insegnato ad ascoltare. Ogni stanza ha una sua vita, respira. Devi imparare ad ascoltare. Ogni stanza può raccontare molti segreti sulla persona che vi abita. All'inizio, Wallander era rimasto alquanto scettico sulla validità del consiglio di Rydberg. Ma col tempo aveva avuto modo di constatare che Rydberg gli aveva insegnato un principio basilare. Un'intermittente pressione alle tempie preannunciava un imminente mal di testa. Wallander si alzò e andò ad aprire l'armadio. C'erano diversi capi d'abbigliamento e sul fondo solo scarpe e un orsacchiotto malandato.
All'interno dell'anta, era attaccato il poster di un film: L'avvocato del diavolo con Al Pacino. Wallander ricordò di averlo visto nel film Il padrino. Chiuse l'armadio e andò a sedersi sulla sedia dietro la scrivania. Da lì poteva osservare la stanza da un'angolazione diversa. Manca qualcosa, si disse. Pensò alla stanza di Linda ai tempi in cui sua figlia aveva la stessa età di Sonja. Certamente anche Linda aveva avuto degli animali di pezza. Ma soprattutto non rinunciava a fotografie e poster dei suoi idoli. Nella stanza di Sonja Hökberg non c'era niente di tutto questo. Aveva diciannove anni e tutto quello che aveva era il poster di un film chiuso all'interno di un armadio. Wallander rimase ancora seduto per alcuni minuti. Poi uscì dalla stanza e scese al pianoterra. Erik Hökberg lo stava aspettando nel soggiorno. Wallander chiese un bicchiere d'acqua e prese due pastiglie. Hökberg lo fissò pensieroso. «Hai trovato qualcosa?» «Ho dato solo un'occhiata in giro.» «Che cosa le accadrà?» Wallander scosse il capo. «Sonja è maggiorenne e ha confessato. Sarà molto dura per lei.» Hökberg rimase in silenzio. Era chiaramente turbato e addolorato. Wallander chiese il numero di telefono della sorella di sua moglie a Höör. Poi, salutò e uscì dalla casa. Il vento continuava a soffiare con raffiche irregolari. Wallander tornò alla centrale di polizia. Stava ancora male e decise che dopo la conferenza stampa sarebbe andato a casa. Quando entrò alla centrale, Irene, che aveva sostituito Ebba, gli fece cenno di avvicinarsi. Wallander notò che era insolitamente pallida. «Che cosa è successo?» chiese Wallander. «Non so» rispose Irene. «Ma ti hanno cercato. E devi avere dimenticato il tuo cellulare qui in ufficio.» «Chi mi ha cercato?» «Tutti.» Wallander perse la pazienza. «Tutti chi? Cerca di essere più precisa.» «Martinsson. E anche Hansson.» Wallander andò direttamente da Martinsson che stava parlando con Hansson.
«Che cosa è successo?» chiese. Fu Martinsson a rispondere. «Sonja Hökberg è scappata.» Wallander lo fissò incredulo. «Scappata?» «È successo poco più di un'ora fa. Tutto il personale disponibile la sta cercando. Ma per ora senza successo.» Wallander rimase immobile fissando i due colleghi. Poi si tolse la giacca e si mise a sedere. 6. Wallander non ebbe bisogno di molto tempo per capire cosa era successo. Qualcuno aveva commesso un grave atto di negligenza. Qualcuno aveva infranto le disposizioni del regolamento. Ma soprattutto, qualcuno aveva dimenticato che Sonja Hökberg era una ragazza giovane dall'aspetto innocente, che pochi giorni prima aveva commesso un brutale delitto. Non era stato difficile ricostruire come si fossero svolti i fatti. Sonja Hökberg doveva essere trasferita da un reparto a un altro. Dopo avere parlato con il suo avvocato, doveva essere ricondotta in cella. Mentre aspettava, aveva chiesto di andare in bagno. Uscendo dalla stanza, aveva notato che l'agente di scorta le aveva voltato le spalle e si era fermato sulla porta di un ufficio, iniziando a parlare con una segretaria. Sonja Hökberg si era avviata nella direzione opposta. Nessuno aveva cercato di fermarla. Aveva attraversato l'entrata ed era uscita dalla centrale. Nessuno sembrava averla notata. Né Irene, né nessun altro. Dopo circa cinque minuti, l'agente di scorta era entrato nel bagno e si era reso conto che Sonja non c'era più. Era tornato nella stanza dove Sonja aveva incontrato il suo avvocato. Solo allora, si era reso conto di quello che era successo e aveva dato l'allarme. Sonja Hökberg aveva avuto dieci minuti di vantaggio. E le erano bastati per fuggire. Wallander sospirò pesantemente. Il mal di testa era tornato. «Ho mandato fuori tutto il personale disponibile» disse Martinsson. «Ho anche telefonato al padre di Sonja Hökberg. Tu eri appena andato via. Qualcuno ha idea di dove possa tentare di nascondersi?» «La madre di Sonja è andata da sua sorella a Höör.» Wallander gli diede l'angolo di giornale con il numero di telefono.
«Non potrà certo andarci a piedi» disse Hansson. «Sonja Hökberg ha la patente» disse Martinsson alzando il ricevitore. «Può benissimo rubare un'auto o fare l'autostop.» «Per prima cosa, dobbiamo parlare con Eva Persson» disse Wallander. «E lo dobbiamo fare immediatamente. Non mi importa che sia minorenne. Adesso deve dirci tutto quello che sa.» Hansson si alzò. Sulla porta stava per scontrarsi con Lisa Holgersson che era appena tornata da una riunione in Comune ed era stata informata della scomparsa della ragazza. Mentre Martinsson parlava al telefono con la madre di Sonja, Wallander spiegò a Lisa Holgersson come la ragazza fosse riuscita a fuggire. «Quello che è successo è inammissibile» disse quando Wallander ebbe finito. Lisa Holgersson era furiosa. Wallander apprezzava la sua reazione, specialmente pensando a Björk, il capo che l'aveva preceduta. La sua prima reazione sarebbe stata di preoccuparsi del danno che una notizia simile avrebbe potuto arrecare alla sua reputazione. «No, le cose non dovrebbero andare in questo modo» disse Wallander. «Eppure capita. Ma ora, la cosa più importante è trovarla. Dopo, potremo verificare quali sono le procedure che non sono state rispettate. E chi ne è stato responsabile.» «Credi che ci sia il rischio che diventi violenta?» Wallander rifletté. Pensò alla camera di Sonja Hökberg. Alla collezione di orsacchiotti. «Non sappiamo molto di lei» disse. «Ma non lo escluderei a priori.» Martinsson posò il ricevitore. «Ho parlato con la madre di Sonja» disse. «E anche con i colleghi di Höör. Ora sanno quello che devono fare.» «Beati loro. Io non lo so proprio» obiettò Wallander. «Ma voglio trovare Sonja Hökberg al più presto possibile.» «Pensi che avesse pianificato la fuga?» chiese Lisa Holgersson. «L'agente di scorta pensa che non sia così» disse Martinsson. «Personalmente, credo che abbia approfittato dell'occasione.» «Non sono d'accordo» disse Wallander. «Era pianificato. Aspettava solo il momento buono. Sonja Hökberg voleva fuggire. Qualcuno ha parlato con il suo avvocato? Può esserci d'aiuto?» «Non credo che qualcuno abbia avuto il tempo di pensare a contattare Lötberg» disse Martinsson. «L'avvocato ha lasciato la centrale subito dopo
la fine del colloquio con la Hökberg.» Wallander si alzò. «Andrò io a parlargli.» «E la conferenza stampa?» disse Lisa Holgersson. «Come facciamo?» Wallander guardò l'orologio. Erano le undici e venti. «Rispetteremo l'ora stabilita. Dobbiamo informare i giornalisti. Anche se sarebbe preferibile non essere costretti a farlo.» «Ci sarò anch'io» disse Lisa Holgersson. «Devo farlo.» Wallander non rispose. Tornò nei suo ufficio. Il mal di testa si era fatto acuto e aveva la gola arsa. Dovrei essere a letto, pensò. E non qui a dare la caccia a una ragazzina che ha assassinato un tassista. In uno dei cassetti della sua scrivania trovò un pacchetto di fazzoletti di carta. Ne prese uno, sbottonò alcuni bottoni della camicia e si asciugò. La febbre lo faceva sudare. Poi, prese il telefono e compose il numero dell'avvocato Lötberg e lo informò di quello che era accaduto. «Non me lo aspettavo» disse Lötberg quando Wallander finì di parlare. «Ma, soprattutto, questo peggiora solo la sua situazione» disse Wallander. «Puoi esserci d'aiuto?» «Non credo. Le ho spiegato quello a cui andava incontro e le ho detto di avere pazienza.» «E lei come ha reagito?» «Se devo essere onesto, non lo so. Non è facile stabilire un contatto con Sonja. Esteriormente sembra calma. Ma non so assolutamente niente di quello che prova dentro.» «Ha parlato di un compagno? Ha chiesto che qualcuno andasse a trovarla?» «No.» «Non ha parlato di nessuno?» «Ha solo chiesto notizie di Eva Persson.» Wallander cercò di pensare. «Ha chiesto notizie dei genitori?» «No.» È molto strano, pensò Wallander. Strano come la sua stanza. La sensazione che ci fosse qualcosa di inconsueto nella personalità di Sonja Hökberg si fece più intensa. «Naturalmente, nel caso si faccia viva, vi informerò immediatamente» disse Lötberg.
Wallander posò il ricevitore. Non riusciva a togliersi dalla mente la stanza della ragazza. È la stanza di una bambina, pensò. Non quella di una diciannovenne. Piuttosto quella di una bambina di dieci anni. In qualche modo, la stanza è rimasta ferma mentre Sonja, invece, ha continuato a crescere. Anche se non era del tutto sicuro di seguire il suo stesso ragionamento, sapeva che era importante. In poco meno di mezz'ora, Martinsson aveva fatto in modo che Eva Persson fosse pronta a incontrare Wallander. La madre sarebbe stata presente. Quando Wallander vide Eva Persson, rimase a bocca aperta. Era minuta e non dimostrava più di dodici anni. Wallander fissò le mani della ragazza e non riuscì a immaginare come avesse potuto impugnare un coltello e piantarlo nel petto di un uomo. Ma non ci volle molto tempo perché si rendesse conto che c'era qualcosa nella ragazza che gli ricordava Sonja Hökberg. Ci volle qualche minuto perché riuscisse a scoprire la somiglianza. Sono gli occhi, si disse. Ha lo stesso sguardo impassibile. Martinsson li lasciò soli. Wallander avrebbe preferito avere Ann-Britt Höglund al suo fianco durante l'interrogatorio. Ma Ann-Britt Höglund era da qualche parte in città, intenta a coordinare le ricerche di Sonja Hökberg. La madre di Eva Persson aveva gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime. Wallander provò immediatamente compassione per la donna. Il solo pensiero di quello che stava passando lo riempiva di angoscia. Iniziò a parlare andando dritto al punto. «Sonja è fuggita. Ora voglio chiederti se sai dove possa essere andata a nascondersi. Prendi tempo, pensaci con calma. Voglio una risposta sincera. Hai capito?» Eva Persson annuì. «Dunque, dove credi che possa essere andata Sonja?» «Sarà andata a casa? Dove altro potrebbe andare?» Wallander non capiva se la ragazza fosse sincera o arrogante. Si rese conto che il mal di testa lo rendeva impaziente. «Se fosse andata a casa l'avremmo già presa» disse alzando la voce. La madre di Eva Persson sussultò. «Non so dove sia.» Wallander aprì il bloc-notes. «Chi sono i suoi amici e amiche? Chi frequenta? Sai se qualcuno di loro
ha un'auto?» «Di solito siamo solo io e lei.» «Ma Sonja deve avere altri amici.» «Kalle.» «E di cognome?» «Ryss.» «Si chiama Kalle Ryss?» «Sì.» «Non voglio sentire una sola menzogna. Hai capito?» «Perché diavolo ti metti a gridare? Vecchio bastardo. Si chiama così. Kalle Ryss.» Wallander stava per esplodere. Odiava essere chiamato "vecchio". «Chi è?» «È uno che fa surf. È quasi sempre in Australia. Ma adesso è a casa e lavora per suo padre.» «Dove?» «Hanno un negozio di ferramenta.» «Quindi, Kalle è un amico di Sonja?» «Sono stati insieme.» Wallander continuò a fare domande. Eva Persson non riuscì a pensare a nessun altro con cui Sonja Hökberg avrebbe potuto mettersi in contatto e non aveva nessuna idea di dove potesse essere andata. In un ultimo tentativo per avere almeno un minimo indizio, Wallander si rivolse alla madre di Eva Persson. «Io non la conoscevo» rispose la donna con voce così bassa che Wallander fu costretto a chinarsi in avanti per capire quello che diceva. «Non mi dica che non conosceva la migliore amica di sua figlia?» chiese. «Sonja non mi è mai piaciuta.» Eva Persson si volse di scatto e colpì la madre in pieno viso. Lo aveva fatto con una tale rapidità che Wallander non era riuscito a reagire. La donna si mise a urlare. Eva Persson continuava a colpirla inveendo ad alta voce. Wallander si intromise per fermarla ed Eva Persson gli morsicò una mano. «Porta via questa vecchia strega!» urlò. «Non voglio più vederla!» In quel momento, Wallander perse totalmente il controllo e diede un ceffone a Eva Persson. Il colpo era stato talmente forte da far cadere a terra la ragazza. Wallander uscì dalla stanza barcollando e tenendosi la mano. Lisa
Holgersson, che stava arrivando di corsa nel corridoio, lo fissò stupefatta. «Che cosa è successo?» Wallander non rispose. Quello che nessuno dei due aveva visto era un reporter di un giornale della sera che era arrivato in anticipo per la conferenza stampa. Approfittando del tumulto, si era avvicinato al centro degli avvenimenti con una piccola e discreta macchina fotografica senza essere notato. Aveva scattato diverse fotografie e preso nota mentalmente di quello che riusciva a vedere e sentire. Mentre si avviava rapidamente verso l'uscita, aveva già formulato un titolo da prima pagina. La conferenza stampa ebbe inizio con mezz'ora di ritardo. Fino all'ultimo minuto, Lisa Holgersson aveva continuato a sperare che una delle pattuglie riuscisse a rintracciare Sonja Hökberg. Wallander, che non si faceva illusioni, aveva chiesto che l'orario stabilito fosse rispettato, in parte perché l'atteggiamento di Lisa Holgersson lo irritava, ma soprattutto perché il malessere provocato dal raffreddore si era acutizzato. Alla fine era riuscito a convincerla che non vi era alcun motivo di aspettare ancora. La conferenza stampa si preannunciava già sufficientemente problematica, e un ulteriore ritardo avrebbe reso i giornalisti più irritabili e aggressivi. «Che cosa vuoi che dica?» chiese Lisa Holgersson prima di entrare nella sala dove si sarebbe svolto l'incontro. «Niente» rispose Wallander. «Li affronterò io. Ma voglio che tu sia presente.» Wallander andò nel bagno e si sciacquò il viso con acqua fredda. Quando entrò nella sala trasalì. C'erano molti più giornalisti di quanto si era aspettato. Salì sul piccolo podio seguito dal suo capo. Presero posto. Wallander si guardò intorno. Alcuni volti gli erano noti, ricordava qualche nome, ma molti dei presenti erano completamente sconosciuti. E adesso che cosa dico? pensò. In ogni caso, anche se ci si impone il contrario, quello che si dice non rispecchia mai la situazione reale. Lisa Holgersson diede il benvenuto ai giornalisti e lasciò la parola a Wallander. Detesto questi incontri con i mass-media, pensò Wallander rassegnato. No, non solo li detesto, li odio. Anche se so che sono necessari. Prima di iniziare, contò mentalmente fino a tre. «Alcuni giorni fa, un tassista è stato aggredito e derubato qui in città.
Sappiamo tutti che purtroppo non è sopravvissuto. Le due persone responsabili del crimine sono state arrestate. E hanno anche confessato. Dato che uno dei colpevoli è minorenne, non possiamo rivelare il suo nome durante questa conferenza stampa.» Uno dei giornalisti alzò la mano. «Perché usi il termine "colpevole" al maschile, quando sapete che si tratta di due donne?» «Ci arriverò a tempo debito» disse Wallander. «Con calma.» Il giornalista era giovane e ostinato. «È l'una e mezza e questa conferenza stampa doveva iniziare all'una. Un ritardo di mezz'ora. Forse non vi rendete conto che noi abbiamo degli orari da rispettare.» Wallander ignorò l'osservazione evitando di rispondere. «In altre parole, è stato commesso un omicidio» continuò Wallander. «Una rapina che si è trasformata in omicidio. Non c'è alcun motivo per definirlo in altro modo: un omicidio incredibilmente brutale. Per questo, stiamo facendo il massimo degli sforzi per chiarire come si sono svolti i fatti.» E adesso diamo la notizia, pensò. Era come tuffarsi in acque sconosciute senza sapere che cosa si nascondesse sul fondo. «Purtroppo la situazione è complicata dal fatto che una delle due indagate è evasa. Ma abbiamo buoni motivi per credere che sarà ripresa presto.» Il silenzio piombò nella sala. Poi, come sempre, tutte le domande si accavallarono. «Come si chiama la persona che è evasa?» Wallander si volse verso Lisa Holgersson che annuì. «Sonja Hökberg.» «Da dove è evasa?» «Da qui, da questa centrale di polizia.» «Come ha potuto farlo?» «Stiamo indagando per capirlo.» «Che cosa significa?» chiese il giovane giornalista. «Significa esattamente quello che ho detto. Stiamo indagando per capire come Sonja Hökberg sia riuscita a fuggire.» «In altre parole, la donna che è evasa è pericolosa?» Wallander esitò un attimo. «Sì» rispose alla fine. «Ma non è proprio sicuro.» «O è pericolosa, o non lo è. È possibile che non siate in grado di decide-
re?» Wallander fu costretto a fare uno sforzo per controllarsi. Per l'ennesima volta quel giorno, aveva perso la pazienza. Si augurò che tutto finisse rapidamente per poi andare a casa e mettersi a letto. «Altre domande?» Il giornalista non si dava per vinto. «Esigo una risposta chiara. Quella donna è pericolosa oppure no?» «Dovrai accontentarti della risposta che ti ho dato. Altre domande?» «È armata?» «Non da quanto mi risulta.» «Come è stato assassinato il tassista?» «Con un coltello e un martello.» «Avete ritrovato le armi del delitto?» «Sì.» «Possiamo vederle?» «No.» «Perché no?» «Per motivi tecnici legati all'indagine. Altre domande?» «Avete diramato l'ordine di cattura su scala nazionale?» «Per ora non è necessario. Basta quello regionale. Ed è tutto quello che possiamo dirvi al momento.» Il modo con il quale Wallander aveva voluto indicare che la conferenza stampa era terminata fu accolto da un coro di violente proteste. Wallander sapeva che i giornalisti avevano ancora una considerevole quantità di domande più o meno importanti da fare. Ma si alzò e prese Lisa Holgersson per un braccio, quasi costringendola ad alzarsi. «Adesso basta» sibilò. «Forse, sarebbe opportuno rimanere ancora un po'...» «Allora occupatene tu. Sono stati informati dei fatti essenziali. Il resto riusciranno sicuramente a ricamarlo da soli.» I reporter della tv e della radio chiedevano un'intervista. Wallander si fece strada fra una selva di microfoni e telecamere. «Occupatene tu» disse Wallander a Lisa Holgersson. «Oppure chiedi a Martinsson. Adesso io vado a casa.» Avevano raggiunto il corridoio. Lisa Holgersson lo fissò stupita. «Vuoi andare a casa?» «Se vuoi, ti concedo l'onore di mettermi una mano sulla fronte. Sto male. Ho la febbre. Qui ci sono altri poliziotti che possono dare la caccia a
Sonja Hökberg. E altri che possono rispondere alle dannate domande dei giornalisti.» Wallander si girò e se ne andò senza aspettare una risposta. Sto facendo uno sbaglio, pensò. Dovrei rimanere per cercare di mettere un po' d'ordine in questo caos. Ma non ne ho più la forza. Entrò nel suo ufficio e stava prendendo la giacca, quando un biglietto sulla sua scrivania attirò la sua attenzione. La calligrafia era quella di Martinsson. Il medico legale sostiene che Tynnes Falk è morto per cause naturali. Nessun delitto. Possiamo archiviare il caso. Ci vollero alcuni secondi prima che Wallander riuscisse a ricordare che Tynnes Falk era l'uomo trovato morto vicino al Bancomat. Un caso in meno di cui dobbiamo preoccuparci, pensò. Per evitare di incontrare i giornalisti, Wallander lasciò la centrale di polizia usando l'uscita del garage. Il vento era aumentato d'intensità. Raggiunse la sua auto piegato in avanti. Infilò la chiave d'accensione e girò, ma non successe nulla. Riprovò diverse volte con lo stesso risultato. Il motore non voleva più saperne. Wallander slacciò la cintura di sicurezza e lasciò l'auto senza curarsi di chiuderla. Mentre camminava in direzione di Mariagatan, si ricordò del libro che aveva promesso di ritirare in libreria. Ma il libro poteva aspettare. Tutto poteva aspettare. In quel momento, l'unica cosa che voleva fare era dormire. Si svegliò di soprassalto alla fine del sogno. Era stato nuovamente a una conferenza stampa, che questa volta si era svolta nella casa a schiera dove abitava Sonja Hökberg. Wallander non era riuscito a rispondere a una sola domanda dei giornalisti. D'un tratto, aveva scorto suo padre in fondo alla stanza. Circondato dalle telecamere, stava dipingendo impassibile il suo solito paesaggio d'autunno. In quel momento, Wallander si era svegliato. Rimase disteso immobile ascoltando il vento che premeva contro i vetri della finestra. Si girò lentamente. L'orologio sul comodino segnava le sei e mezza. Aveva dormito quasi quattro ore. Cercò di deglutire. La gola era ancora infiammata e gonfia. Ma la febbre era diminuita. Intuì che Sonja Hökberg non era ancora stata trovata. In quel caso, qualcuno avrebbe dovuto telefonargli. Si alzò e andò in cucina. Il promemoria per il sapone era ancora sul tavolo. Wallander prese una penna e aggiunse il libro. Poi si preparò una tazza di tè. Cer-
cò senza successo un limone. Nello scomparto della verdura nel frigorifero c'erano solo un paio di pomodori scoloriti e un cetriolo mezzo marcio che buttò via. Prese la tazza di tè e andò nel soggiorno. Notò la polvere che stazionava negli angoli. Tornò in cucina e aggiunse sul biglietto i sacchetti di ricambio per l'aspirapolvere. Più che i sacchetti, dovrei comprare un aspirapolvere nuovo, pensò. Prese il telefono e chiamò la centrale di polizia. L'unico che riuscì a trovare fu Hansson. «Come va?» chiese Wallander. Dal tono di voce si capiva che Hansson era esausto. «Ancora niente. Non c'è la minima traccia.» «Nessuno l'ha vista?» «Nessuno. Il capo ha telefonato da Stoccolma e ha chiesto un rapporto completo.» «Non ne dubito. Ma per il momento, dovrà aspettare.» «Ho sentito che sei ammalato.» «Domani starò meglio.» Hansson fece un resoconto degli sviluppi della ricerca. Wallander non aveva obiezioni. L'allarme regionale era stato dato. Quello nazionale era pronto. Hansson promise di farsi vivo non appena ci fossero state novità. Wallander posò il ricevitore e prese il telecomando. Avrebbe dovuto guardare il telegiornale regionale. Sicuramente, avrebbero dato molto spazio alla fuga di Sonja Hökberg. Forse anche sui telegiornali nazionali? Ma cambiò idea e posò il telecomando. Mise su il cd della Traviata di Verdi, si distese sul divano e chiuse gli occhi. Pensò a Eva Persson e a sua madre. A quell'incredibile esplosione di violenza. Allo sguardo impassibile della ragazza. Il telefono squillò. Wallander si alzò, abbassò il volume della musica e rispose. «Kurt?» Wallander riconobbe immediatamente la voce. Era Sten Widén, il suo più vecchio amico. «È da tanto tempo che non ci sentiamo.» «Passa sempre troppo tempo fra una telefonata e l'altra. Come stai? Qualcuno, alla centrale di polizia, mi ha detto che eri ammalato.» «Mal di gola. Niente di grave.» «Volevo chiederti di venirmi a trovare.» «In questo momento è un po' difficile. Hai seguito il telegiornale?»
«Non guardo il telegiornale e non leggo gli articoli dei giornali. A parte i risultati delle corse e il meteo.» «Abbiamo una persona in fuga e io devo ritrovarla. Dopo potremo vederci.» «Volevo dirti addio.» Wallander provò un nodo alla bocca dello stomaco. Sten Widén si era ammalato? L'alcol aveva danneggiato il suo fegato irrimediabilmente? «Perché? Perché addio?» «Vendo tutto e me ne vado.» Negli ultimi anni, Sten Widén aveva parlato spesso di cambiare vita. La tenuta che aveva ereditato da suo padre era diventata un peso, e non solo economicamente. Durante lunghe serate, Wallander aveva ascoltato Sten Widén parlare del suo sogno di iniziare una nuova vita prima che fosse troppo tardi. Come faceva con i propri, Wallander non aveva mai preso i sogni del suo amico troppo sul serio. Quando Sten era ubriaco, e lo era spesso, esagerava sempre. Ma ora sembrava sobrio e pieno di energia. Il tono solitamente incerto era cambiato. «Stai dicendo sul serio?» «Sì. Me ne vado.» «Dove?» «Non ho ancora deciso. Ma lo farò presto.» Il nodo alla bocca dello stomaco era sparito ed era stato sostituito da un senso di invidia. Dopotutto, a differenza di quelli di Wallander, i sogni di Sten Widén si stavano rivelando più concreti. «Verrò a trovarti appena posso. Fra qualche giorno al massimo.» «Ti aspetto.» Dopo avere posato il ricevitore, Wallander rimase seduto immobile. Non poteva negare di provare un senso di invidia. Il suo sogno di lasciare la polizia sembrava infinitamente lontano. Sapeva che non sarebbe mai stato in grado di prendere una decisione come Sten Widén. Finì di bere il tè e portò la tazza in cucina. Il termometro appeso all'esterno della finestra segnava un grado. Era freddo per essere l'inizio di ottobre. Tornò a distendersi sul divano. Le musica era appena percettibile. Allungò la mano, prese il telecomando e alzò il volume. In quello stesso istante saltò la corrente. Dapprima, Wallander pensò a un fusibile guasto. Ma quando si alzò e andò alla finestra, vide che anche il lampione era spento.
Tornò a sdraiarsi sul divano in attesa che tornasse la corrente. Quello che Wallander non sapeva, era che gran parte della Scania era rimasta al buio. 7. Quando il telefono squillò, Olle Andersson stava dormendo. Cercò di accendere la lampada sul comodino senza risultato. Sapeva che la telefonata era importante. Accese la torcia elettrica che teneva sempre a portata di mano e alzò il ricevitore. Come aveva immaginato, la telefonata arrivava dalla centrale elettrica della Sydkraft che era controllata giorno e notte. Rune Ågren lo salutò. Olle Andersson sapeva che Ågren era di guardia quella notte dell'8 ottobre. Era originario di Malmö e aveva lavorato in diverse centrali elettriche per oltre trent'anni. Gli mancava un anno alla pensione. «C'è stato un calo di tensione e un buon quarto della Scania è al buio» disse Ågren. Olle Andersson rimase sorpreso. Anche se il vento soffiava già da alcuni giorni, non aveva mai raggiunto la forza di una tempesta. «Non so proprio cosa diavolo possa essere successo» disse Ågren. «Ma è stata la centrale dei trasformatori di Ystad a saltare. Vestiti a velocità ultrasonica e vieni qui.» Olle Andersson sapeva che non c'era tempo da perdere. La centrale dei trasformatori di Ystad era il punto nevralgico dell'intera rete elettrica che copriva il fabbisogno di un quarto della Scania, che ora era senza corrente. C'era sempre personale di turno pronto a ovviare a possibili guasti. Proprio quella settimana, Olle Andersson era il responsabile dell'area di Ystad. «Mi ero addormentato» disse. «Quando è iniziato il blackout?» «Quattordici minuti fa. C'è voluto un po' di tempo per individuare la causa. Non perdere tempo. Inoltre, il gruppo di emergenza della polizia di Kristianstad non funziona. Tutti i sistemi di allarme della città collegati alla centrale di polizia sono ko.» Olle Andersson non aveva bisogno di spiegazioni per capire la gravità della situazione. Posò il ricevitore e iniziò a vestirsi. Sua moglie Berit si era svegliata. «Che cosa è successo?» «Blackout in parte della Scania. Devo andare.» «Il vento soffia cosi forte?»
«No. Deve essere qualcos'altro. Torna a dormire adesso.» Olle Andersson scese al pianterreno con la torcia elettrica in mano. Abitava a Svarte e avrebbe impiegato venti minuti per raggiungere la centrale dei trasformatori di Ystad. Mentre chiudeva la porta di casa, si chiese che cosa potesse essere successo. Temeva che il guasto fosse talmente complicato da non riuscire a ripararlo da solo. Il blackout aveva colpito un'area considerevole ed era necessario ristabilire la corrente il più presto possibile. Attraversò il giardino spinto dal forte vento. Ma era sicuro che non fosse stato il vento a causare il guasto. Salì sul furgone carico di strumenti e di tutta l'attrezzatura di emergenza, accese la ricetrasmittente e chiamò Ågren. «Sto arrivando» disse brevemente. Impiegò diciannove minuti per raggiungere la centrale dei trasformatori. Tutto era avvolto dal buio. Ogni volta che c'era un blackout e Olle Andersson usciva per cercare di individuarlo, veniva colpito dallo stesso pensiero. Solo cento anni prima, il buio compatto era una condizione naturale. L'elettricità aveva cambiato tutto. Oggi, si disse, nessuno si ricorda di quei tempi. Ma questo cambiamento ha reso la società molto vulnerabile. Un semplice guasto a una delle centrali di distribuzione poteva lasciare gran parte di una regione al buio. «Sono arrivato» disse richiamando Ågren. «Fai in fretta.» La centrale dei trasformatori era in mezzo a un campo. Era circondata da un alto recinto. Sparsi a intervalli regolari, appositi cartelli avvertivano del divieto d'ingresso agli estranei e del pericolo di morte. Olle Andersson camminava controvento chinato in avanti. In mano aveva un mazzo di chiavi. Si era messo un paio di occhiali speciali che aveva modificato personalmente. Al di sopra della montatura aveva sistemato due piccole torce elettriche. Si mise a cercare la chiave. Quando arrivò al cancello si fermò di colpo. Era stato forzato. Si guardò intorno, ma non vide nulla. Nessuna auto, nessuna persona. Prese il cellulare e chiamò Ågren. «Il cancello è aperto. Qualcuno lo ha forzato.» Ågren aveva difficoltà a udirlo per via del vento. Olle Andersson fu costretto a ripetere quello che aveva appena detto. «Sembra che non ci sia nessuno all'interno» continuò. «Adesso entro.» Non era la prima volta che Olle Andersson constatava che i cancelli del recinto di una centrale elettrica erano stati forzati. La polizia veniva sem-
pre avvertita. Qualche volta gli autori dell'infrazione venivano arrestati. Spesso si trattava di giovani che volevano fare una bravata. Ma a volte, Olle Andersson si era chiesto che cosa sarebbe accaduto se qualcuno avesse deciso seriamente di sabotare una centrale elettrica. Poco meno di un mese prima, aveva partecipato a una riunione dei tecnici della Sydkraft responsabili della sicurezza per prendere in considerazione la necessità di migliorare le procedure di sicurezza. Avanzava con la torcia in mano e quelle sulla montatura degli occhiali ancora accese. I tre punti luce illuminavano, ondeggiando, gli scheletri dei tralicci di acciaio, al centro dei quali si ergeva una cabina di cemento che rappresentava il cuore della centrale. Per aprire la porta di acciaio era necessario usare due chiavi diverse, in mancanza delle quali, per forzare la porta, sarebbe stata necessaria una massiccia dose di esplosivo. Aveva contrassegnato le chiavi del mazzo con nastro adesivo di colori diversi. La chiave rossa apriva il cancello. Quelle con il nastro giallo e blu, la porta. Olle Andersson si guardò intorno. Era solo. C'era soltanto il gemito del vento. Si avviò. Dopo alcuni passi, si fermò. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Si guardò nuovamente intorno. C'era qualcuno dietro di lui? Il cellulare che aveva messo nella tasca dei pantaloni iniziò a vibrare. Senza dubbio Ågren lo stava chiamando, ma non rispose. Che cosa lo aveva fatto fermare sui suoi passi? Intorno non c'era nessuno, almeno per quello che riusciva a vedere nel buio. Ma percepì un odore. Viene sicuramente dai campi, pensò. Un contadino ha sparso il concime. Si rimise a camminare in direzione della porta di acciaio. L'odore persisteva. Improvvisamente si fermò. La porta di acciaio era socchiusa. Fece alcuni passi indietro e prese il cellulare di tasca. «La porta della cabina è aperta» disse. «Mi senti?» «Ti sento. Che cosa stai dicendo? La porta è aperta?» «È esattamente quello che ho detto.» «C'è qualcuno lì?» «Non lo so. Ma sembra che la porta sia stata forzata.» «Come può essere stata forzata?» «Non lo so.» La conversazione si interruppe. Improvvisamente, Olle Andersson si sentì molto solo. Udì nuovamente la voce di Ågren. «Stai dicendo che è stata aperta?» «Sembra di sì. E poi, c'è uno strano odore qui intorno.» «Controlla bene. Ma sbrigati. Il capo mi sta addosso. Continua a telefo-
nare e vuole sapere che cosa è successo.» Olle Andersson respirò profondamente, si avvicinò alla porta, la spinse e illuminò l'interno con la torcia elettrica. In un primo momento non riuscì a capire. Ora, l'odore era spaventoso. In quel momento capì quello che era successo. Il blackout che aveva colpito una parte della Scania quella notte di ottobre era stato causato dal corpo carbonizzato di un essere umano. Si girò e uscì inciampando. Chiamò Ågren. «C'è un cadavere all'interno» disse. Passarono alcuni secondi prima che Ågren reagisse. «Ripeti quello che hai detto.» «C'è un cadavere carbonizzato all'interno della cabina dei trasformatori. Il blackout è stato causato dal corpo di qualcuno.» «Ne sei proprio sicuro?» «Non farmelo ripetere! La protezione automatica dei relè non ha funzionato.» «Dobbiamo avvertire la polizia. Rimani dove sei. Cercheremo di ristabilire la corrente da qui.» La conversazione terminò. Olle Andersson continuava a tremare. Quello che era accaduto era incomprensibile. Come era possibile che un essere umano penetrasse in una centrale elettrica per togliersi la vita gettandosi sui trasformatori ad alta tensione? Era come sedersi su una sedia elettrica di propria volontà. L'odore nauseabondo lo faceva stare male. Per non vomitare, si diresse rapidamente verso la sua auto. Il vento soffiava sempre più forte e cominciavano a cadere le prime gocce di pioggia. L'allarme arrivò alla centrale di Ystad avvolta nel buio poco dopo la mezzanotte. L'agente che rispose alla telefonata di Ågren annotò quello che aveva sentito e non perse tempo a prendere una decisione. Dato che si trattava di un morto, l'agente aveva telefonato a Hansson, l'ispettore di turno, che aveva promesso di recarsi immediatamente sul posto. Hansson aveva acceso una candela di fianco al telefono. Compose il numero di Martinsson, che conosceva a memoria, e dopo pochi segnali il suo collega rispose. Martinsson ascoltò quello che Hansson gli diceva e capì subito che si trattava di qualcosa di molto grave. Posò il ricevitore e compose un numero a sua volta. Mentre aspettava che la corrente tornasse disteso sul divano, Wallander si era addormentato. Ma quando gli squilli del telefono lo svegliarono, tut-
to era ancora immerso nel buio. Afferrando il ricevitore, fece cadere il telefono sul pavimento. «Martinsson. Ho appena ricevuto una chiamata da Hansson.» Wallander intuì immediatamente che doveva essere successo qualcosa di grave e trattenne il respiro. «Hanno trovato un cadavere nella centrale della Sydkraft di Ystad.» «È per questo che è tutto buio?» «Non so. Ma ho pensato che fosse opportuno informarti. Anche se sei ammalato.» Wallander deglutì. La gola era ancora gonfia. Ma non aveva più febbre. «La mia auto è in panne. Devi venire a prendermi con la tua.» «Sarò lì fra dieci minuti.» «Ti aspetto» disse Wallander. Si vestì al buio e scese in strada. Pioveva. Martinsson arrivò dopo sette minuti. Attraversarono la città avvolta nel buio. Hansson li aspettava a una delle rotonde della periferia. «È la centrale elettrica a nord della discarica dei rifiuti» disse Hansson. Wallander sapeva dove si trovava la centrale elettrica. Molti anni prima, quando Baiba era venuta in visita a Ystad, avevano passeggiato in un bosco a qualche chilometro di distanza dall'impianto. «Che cosa è successo esattamente?» «So solo quello che mi è stato detto. Abbiamo ricevuto una chiamata dalla Sydkraft. Hanno detto di avere trovato un cadavere mentre stavano ispezionando la centrale per capire le cause del blackout.» «Quale area è interessata dal blackout?» «Circa un quarto della Scania è al buio.» Wallander lo fissò incredulo. Non succedeva spesso che un blackout colpisse una zona così vasta. Poteva capitare durante una tempesta invernale insolitamente violenta. O dopo un uragano, come era successo nell'autunno del 1969. Ma non con il vento che soffiava in quel momento. Si immisero sulla statale. Ora, la pioggia era più fitta. I tergicristalli dell'auto di Martinsson andavano a tutta velocità. Wallander si pentì di non avere preso una giacca impermeabile, e gli stivali di gomma erano rimasti nel portabagagli dell'auto bloccata nel parcheggio della centrale di polizia. Hansson fermò la sua auto per primo. Scesero sotto la pioggia. Martinsson e Hansson accesero le torce elettriche che inquadrarono un uomo che gesticolava. «È una centrale dell'alta tensione» disse Martinsson. «Se c'è veramente
un cadavere, non sarà uno spettacolo piacevole.» Le folate di vento erano più percettibili nel campo aperto. L'uomo che si trovarono davanti era chiaramente scosso. Wallander non aveva più alcun dubbio che fosse successo qualcosa di grave. «E lì dentro» disse l'uomo indicando l'edificio in cemento. Wallander avanzò per primo. Doveva tenere la testa chinata per riuscire a vedere con la pioggia radente sul volto. Martinsson e Hansson lo seguivano a pochi passi. L'uomo spaventato stava poco più indietro. «Lì dentro» disse l'uomo quando arrivarono davanti alla porta aperta. «C'è ancora della corrente?» chiese Wallander. «No. Non più.» Wallander chiese la torcia elettrica a Martinsson e illuminò l'interno. L'odore era evidente. Era l'odore nauseabondo di carne umana bruciata. Un odore al quale Wallander non era mai riuscito ad abituarsi, anche se lo aveva sentito svariate volte scoprendo persone morte in un incendio. Per un attimo pensò che Hansson si sarebbe messo a vomitare. Lo faceva immancabilmente in quelle occasioni. Il corpo incastrato fra le valvole e i cavi era carbonizzato. Non aveva più un volto. Wallander si spostò per permettere a Martinsson di vedere. «Cristo santo» disse Martinsson con un gemito. Wallander uscì e disse a Hansson di telefonare a Nyberg e di dare l'allarme generale. «Digli di portare un generatore» continuò. «È impossibile lavorare senza luce.» Poi, si rivolse a Martinsson. «Come si chiama l'uomo che ha scoperto il cadavere?» «Olle Andersson.» «Che cosa faceva qui?» «È stato mandato dalla Sydkraft. Hanno personale pronto a intervenire notte e giorno.» «Interrogalo. Controlla gli orari. Ed evita di calpestare troppo qua intorno. Nyberg potrebbe andare su tutte le furie.» Martinsson si avviò verso una delle auto con Olle Andersson. Wallander era rimasto solo. Si accovacciò e illuminò il cadavere con la lampada. Non era rimasto nulla degli abiti. Wallander ebbe l'impressione di osservare una mummia. Oppure un corpo che era stato sepolto nella torba mille anni prima. Ma ora si trovava in una moderna centrale elettrica. Wallander cer-
cò di concentrarsi. Il blackout è iniziato verso le undici di sera, pensò. Ora è quasi l'una. Se è veramente stata questa persona a causarlo, significa che la sua morte risale a circa due ore fa. Wallander si rialzò lasciando la torcia elettrica sul pavimento di cemento. Che cosa era successo? Qualcuno entra in una centrale elettrica isolata e provoca un blackout. Lo fa togliendosi la vita. Wallander fece una smorfia. Non poteva essere così semplice. Le domande iniziavano ad accavallarsi nella sua mente. Si chinò, raccolse la lampada e si guardò intorno. La sola cosa che poteva fare per il momento era aspettare l'arrivo di Nyberg. Improvvisamente, sentì un senso di inquietudine crescere dentro di sé. Illuminò con la torcia elettrica il corpo carbonizzato. Non riusciva a capire che cosa provocasse in lui quella sensazione. Era come se avesse riconosciuto qualcosa che non c'era più, ma che era esistito prima. Uscì dall'edificio e osservò la spessa porta di acciaio. Non vi erano segni di forzatura sulle due serrature. Si avviò verso il recinto cercando di camminare dove il terreno non era stato calpestato. Arrivato al cancello, lo illuminò. Qui invece, la serratura era stata forzata. Che cosa poteva significare? Il cancello era stato manomesso ma non la spessa porta di acciaio. Martinsson e Olle Andersson avevano preso posto nell'auto del dipendente della Sydkraft. Wallander si scrollò la pioggia di dosso e si mise a sedere nell'auto di Martinsson. Il motore era acceso e i tergicristalli erano in funzione. Wallander fece partire anche il riscaldamento. Il mal di gola continuava a infastidirlo. Accese la radio. Stava andando in onda un'edizione speciale del giornale radio. Ascoltando, Wallander capì la gravità della situazione. Un quarto della Scania, da Trelleborg a Kristianstad, era senza elettricità. A parte gli ospedali che erano dotati di generatori ausiliari, il blackout era totale. In un'intervista, un dirigente della Sydkraft aveva affermato che la causa era stata individuata, e che la corrente sarebbe stata ristabilita entro circa mezz'ora. Alcune zone, però, avrebbero dovuto aspettare più a lungo. Senza dubbio, questa è una delle zone che dovrà aspettare molto più di mezz'ora, pensò Wallander. Chissà se quel dirigente sa quello che è accaduto. Devo informare Lisa Holgersson, si disse. Prese il cellulare di Martinsson e compose il numero. Dovette attendere un po' prima che lei rispondesse. «Kurt Wallander. Hai notato che non c'è corrente?»
«Un blackout? No, dormivo.» Wallander fece un breve rapporto. «Vuoi che venga lì?» «No, per il momento. Ma credo che sia opportuno che ti metta in contatto con la Sydkraft. Devono essere informati che il loro blackout è oggetto di un'indagine della polizia.» «Sono al corrente di quello che è successo? Si tratta di un suicidio?» «Non lo so.» «Può essere un sabotaggio? Un'azione terroristica?» «Non siamo ancora in grado di dirlo. Ma non possiamo escludere niente.» «Telefono immediatamente alla Sydkraft. Tienimi informata.» Wallander spense il cellulare e vide Hansson che si stava avvicinando correndo sotto la pioggia. Wallander aprì la portiera dell'auto. «Nyberg sta arrivando. Com'era lì dentro?» «Non è rimasto molto. Il volto è irriconoscibile.» Hansson non rispose. Si girò e tornò alla sua auto. Venti minuti dopo, Wallander vide la luce dei fari dell'auto di Nyberg nello specchietto retrovisore. Scese e gli andò incontro. Nyberg aveva l'aria stanca. «Che cosa è successo? Non ho capito niente di quello che Hansson cercava di dirmi.» «C'è un cadavere lì dentro. Carbonizzato. Non resta più molto.» Nyberg si guardò intorno. «Capita quando si toccano i cavi dell'alta tensione. È questo che ha causato il blackout?» «È molto probabile.» «Vuole forse dire che metà della Scania dovrà aspettare per riavere la corrente finché io non ho finito?» «Non possiamo farci nulla. Ma credo che stiano cercando di riattivare la corrente. Anche se forse non qui.» «Viviamo in una società vulnerabile» disse Nyberg iniziando subito a dare ordini ai suoi uomini. Erik Hökberg ha detto la stessa cosa, pensò Wallander. È vero, viviamo in una società vulnerabile. I suoi pc e i suoi schermi sono spenti. Per questa notte, niente affari internazionali. Gli uomini di Nyberg lavoravano con rapidità ed efficienza. I proiettori erano stati piazzati in pochi minuti ed erano stati collegati a un generatore.
Martinsson era salito nella sua auto, si era seduto di fianco a Wallander e stava sfogliando gli appunti che aveva appena preso. «Olle Andersson è stato chiamato da un responsabile del servizio che si chiama Ågren. Hanno individuato la causa del guasto proprio qui. Andersson abita a Svarte. Ha impiegato venti minuti per arrivare. Ha subito notato che il cancello era stato forzato. La porta d'acciaio invece era socchiusa. Qualcuno l'aveva aperta con le chiavi. Quando ha aperto, ha scoperto il cadavere.» «Ha potuto notare altro?» «Ha detto che quando è arrivato non c'era nessuno qui intorno.» Wallander rifletté. «Dobbiamo cercare di capire chi potrebbe avere avuto le chiavi per aprire la porta di acciaio» disse. Quando Wallander salì sull'auto, Olle Andersson, che stava parlando al telefono con Ågren, terminò immediatamente la conversazione. «Capisco che sei scosso» disse Wallander. «Non ho mai visto niente di così orribile. Come può essere accaduto?» «Non lo sappiamo ancora. Hai detto che quando sei arrivato, hai visto che il cancello era stato forzato, ma che la porta di acciaio era socchiusa e non c'era segno di manomissione. Come lo spieghi?» «È inspiegabile.» «Chi altro ha le chiavi per aprire quella porta?» «Un altro tecnico riparatore che si chiama Moberg. Abita a Ystad. Naturalmente copie delle chiavi sono conservate nella sede centrale.» «Dunque, qualcuno ha aperto la porta con delle chiavi?» «Sembra proprio così.» «Presumo che si tratti di chiavi che non possono essere duplicate.» «Le serrature sono state fabbricate negli Stati Uniti. È impossibile forzarle con chiavi false.» «Come si chiama Moberg di nome?» «Lars.» «È possibile che si sia dimenticato di chiudere la porta a chiave?» Olle Andersson scosse il capo. «Significherebbe il licenziamento in tronco. I controlli sono severi. Naturalmente è una questione di sicurezza, e negli ultimi anni i controlli sono stati rafforzati.» Wallander non aveva altre domande per il momento. «Devo chiederti di rimanere qui» disse. «Potremmo avere bisogno di te.
Nel frattempo, vorrei che chiamassi Lars Moberg.» «Perché?» «Per chiedergli di controllare se ha ancora le sue chiavi, ad esempio. Le chiavi che aprono quella porta.» Wallander uscì dall'auto. Pioveva con meno intensità. Il colloquio con Olle Andersson aveva fatto aumentare la sua inquietudine. Naturalmente, era possibile che una persona che voleva togliersi la vita avesse scelto proprio quella centrale elettrica. Ma c'erano molti indizi che lo escludevano. Soprattutto il fatto che la porta fosse stata aperta con delle chiavi. Wallander sapeva che la spiegazione era tutt'altra: qualcuno era stato assassinato. E dopo, era stato gettato contro i cavi ad alta tensione per nascondere quello che era veramente accaduto. Wallander entrò nel cono di luce del proiettore. Il fotografo aveva appena finito di scattare le fotografie e di filmare. Nyberg era inginocchiato davanti al cadavere. Quando il profilo di Wallander bloccò la luce borbottò irritato. «Che cosa mi puoi dire?» «Posso solo dirti che trovo incredibile il tempo che il medico legale ci mette per arrivare. Non posso spostare il cadavere per vedere se c'è qualcosa sotto.» «Che cosa credi che sia successo?» «Lo sai che detesto fare congetture.» «Ma, in fondo, è quello che facciamo sempre. Che cosa ne pensi?» Nyberg non rispose subito. «Se questa persona ha veramente scelto di togliersi la vita, ha scelto un modo veramente macabro per farlo. Se si tratta di omicidio, è stato compiuto in maniera insolitamente feroce. È come mettere qualcuno sulla sedia elettrica.» Proprio così, pensò Wallander. E questo può far pensare a qualcuno che ha voluto vendicarsi di qualcosa. E ha scelto una sedia elettrica molto particolare. Nyberg si rimise al lavoro. Uno dei suoi tecnici aveva iniziato a controllare l'area adiacente al recinto. Il medico legale arrivò poco dopo. Era una donna che Wallander aveva già incontrato diverse volte. Si chiamava Susann Bexell ed era una persona di poche parole. Si mise immediatamente al lavoro. Nyberg si era alzato per andare a prendere il suo immancabile termos e aveva offerto una tazza di caffè a Wallander che aveva accettato. Per quella notte, era inutile farsi illusioni di tornare a casa a dormire.
Martinsson li raggiunse. Era bagnato fradicio e intirizzito. Wallander gli porse la sua tazza di caffè. «Stanno iniziando a riattivare la corrente intorno a Ystad» disse Martinsson. «Dio solo sa come fanno.» «Sai se Olle Andersson ha parlato con il suo collega Moberg? Per le chiavi?» «Vado a chiederglielo» disse Martinsson. Wallander si voltò e vide che Hansson era seduto immobile al volante della sua auto. Si avvicinò e gli disse di tornare alla centrale di polizia. Ystad era ancora senza elettricità. Hansson sarebbe stato più utile in città che lì. Hansson annuì, grato di potersene andare. Wallander andò dal medico. «Puoi dirmi qualcosa di quest'uomo?» «Per prima cosa, posso dirti che ti sbagli. Non è un uomo. È una donna.» «Ne sei sicura?» «Sì. Ma non ho intenzione di rispondere ad altre domande.» «Lasciamene fare una sola. Era morta quando è arrivata qui? O è stata la corrente a ucciderla?» «Non lo so ancora.» Wallander si girò e scosse il capo. Fino a quel momento era stato convinto che si trattasse di un uomo. In quello stesso istante, il tecnico della scientifica che aveva controllato l'area adiacente al recinto, si avvicinò a Nyberg e gli porse un oggetto. Wallander si avvicinò a sua volta. L'oggetto era una borsetta. Wallander la fissò. Dapprima pensò di essersi sbagliato. Poi, fu sicuro di averla già vista. Più esattamente due giorni prima. «L'ho trovata a nord del recinto» disse il tecnico che si chiamava Ek. «C'è il cadavere di una donna lì dentro?» chiese Nyberg sorpreso. «Non solo» disse Wallander. «Adesso sappiamo anche chi è.» Il giorno prima, Wallander aveva visto quella borsetta appoggiata sul tavolo nella stanza per gli interrogatori. La fibbia ricordava una foglia di quercia. Wallander sapeva di non sbagliarsi. «Questa borsetta apparteneva a Sonja Hökberg» disse. «Il suo cadavere è lì dentro.» Erano le due e dieci minuti. La pioggia aveva ripreso a cadere con più
forza. 8. La luce tornò a Ystad poco dopo le tre del mattino. A quell'ora, Wallander era ancora alla centrale elettrica insieme ai tecnici della scientifica. Hansson aveva telefonato dalla centrale di polizia e aveva dato la notizia. Wallander alzò lo sguardo e in lontananza vide che le illuminazioni esterne delle case sparse lungo la pianura si erano riaccese. Susann Bexell, il medico legale, aveva finito il proprio lavoro: il cadavere era stato rimosso e Nyberg aveva potuto continuare la sua indagine scientifica. Prima, aveva chiesto a Olle Andersson di spiegargli il complicato funzionamento della centrale elettrica. Contemporaneamente, alcuni uomini di Nyberg continuavano a perlustrare tutta l'area recintata alla ricerca di eventuali altre tracce. La pioggia che continuava a cadere rendeva il lavoro difficile. Martinsson era scivolato nel fango e si era procurato uno strappo nella giacca all'altezza del gomito. Wallander tremava dal freddo e continuava a pensare ai suoi stivali di gomma. Dopo avere constatato che la corrente era tornata a Ystad, Wallander si chiuse in una delle auto della polizia con Martinsson. Insieme, fecero un riepilogo di quello che erano venuti a sapere fino a quel momento. Sonja Hökberg era riuscita fuggire dalla centrale di polizia circa tredici ore prima di morire all'interno della centrale elettrica. Poteva esserci arrivata a piedi. Avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Ma sia Wallander che Martinsson non credevano che fosse verosimile. Dopotutto, la distanza da Ystad era di otto chilometri. «Se lo avesse fatto, qualcuno avrebbe dovuto vederla» disse Martinsson. «Avevamo messo diverse auto alla sua ricerca.» «Sarà meglio controllare. Per tutta sicurezza» disse Wallander. «Senti se qualcuno dei nostri ha fatto questa strada senza vederla.» «Qual è l'alternativa?» «L'alternativa è che qualcuno l'abbia portata fin qui. Qualcuno che l'ha lasciata qui e poi se n'è andato con l'auto.» Entrambi sapevano quello che poteva significare. Come Sonja Hökberg fosse morta era determinante. Si era suicidata o era stata assassinata? «Le chiavi» disse Wallander. «Il cancello è stato forzato. Ma non la porta. Perché?» Rimasero in silenzio cercando una spiegazione logica.
«Dobbiamo procurarci una lista di tutti quelli che hanno accesso a quelle chiavi» continuò Wallander. «Voglio una lista dettagliata, e voglio sapere dove erano ieri sera.» «Non riesco a capire» disse Martinsson. «Sonja Hökberg commette un omicidio e dopo viene assassinata a sua volta. Al momento, sono più propenso a credere a un suicidio.» Wallander non rispose. Troppi pensieri mulinavano nella sua mente e non riusciva a ordinarli in una sequenza logica. Continuava a pensare a quel primo e unico colloquio che aveva avuto con Sonja Hökberg. «Tu le hai parlato per primo» disse Wallander. «Che impressione ti ha fatto?» «Esattamente come la tua. Nessun pentimento. Era come se invece di un vecchio tassista avesse ucciso un insetto.» «Questo contrasta con la teoria del suicidio. Perché avrebbe dovuto togliersi la vita se non provava alcun senso di colpa?» Martinsson fermò i tergicristalli. Al di là del parabrezza era possibile intravedere Olle Andersson che rimaneva seduto immobile nella sua auto e, poco più in là, Nyberg che stava spostando uno dei proiettori. Si muoveva a scatti e Wallander capì che era nervoso e sfinito. «Ammettiamo che sia un omicidio. Che cosa può farcelo credere?» «Niente» rispose Wallander. «Esattamente come non abbiamo nulla che confermi che Sonja Hökberg si sia tolta la vita. Dobbiamo continuare a considerare entrambe le ipotesi. Ma possiamo scartare a priori che si sia trattato di un incidente.» Rimasero a lungo in silenzio. Poi, prima di scendere dall'auto, Wallander disse a Martinsson di informare i membri della squadra investigativa che si sarebbero riuniti alle otto del mattino. Non pioveva più. Wallander era esausto. Aveva freddo e il mal di gola era peggiorato. Si avvicinò a Nyberg che aveva appena finito di controllare l'interno dell'edificio. «Hai trovato qualcosa?» «No.» «Andersson ti ha detto qualcosa?» «Su cosa? Su come porto avanti il mio lavoro?» Wallander contò mentalmente fino a dieci prima di continuare. Nyberg era di pessimo umore. Se si fosse irritato, sarebbe stato impossibile parlargli. «Andersson non sa cosa sia successo» disse Nyberg dopo qualche se-
condo. «È stato il corpo a causare il blackout. Ma era già cadavere quando è stato gettato sui cavi dell'alta tensione? Oppure era una persona ancora in vita? Solo il medico potrà darci una risposta. Ma forse neanche lei.» Wallander annuì. Guardò il suo orologio. Erano le tre e mezza. Non aveva più alcun motivo per rimanere. «Adesso me ne vado. Ma ci riuniremo alle otto, alla centrale.» Nyberg borbottò qualcosa di incomprensibile. Wallander fece un cenno di saluto e si diresse verso l'auto di Martinsson che era intento a scrivere degli appunti. «Adesso possiamo andare. Dovrai portarmi a casa.» «Che cosa è successo alla tua auto?» «Il motore è morto.» Tornarono a Ystad in silenzio. Appena arrivato a casa, Wallander andò nel bagno e aprì i rubinetti. Mentre aspettava che la vasca si riempisse, prese l'ultima pastiglia contro la febbre e aggiunse il nome del medicinale al promemoria sul tavolo della cucina. Sfinito dalla stanchezza, si chiese quando sarebbe riuscito a trovare il tempo per andare in farmacia. Lentamente, l'acqua calda riportò calore in tutto il suo corpo e, per alcuni minuti, Wallander si appisolò. La sua mente era vuota. Ma i due volti tornarono con prepotenza. Quello di Sonja Hökberg e quello di Eva Persson. Iniziò a ripercorrere la sequenza degli eventi. Perché Johan Lundberg era stato assassinato? Che cosa aveva veramente spinto Sonja Hökberg a quel gesto? E perché Eva Persson aveva partecipato all'aggressione? Wallander era certo che non si era trattato di un improvviso e immotivato desiderio di denaro. Quel denaro doveva servire a qualcosa. Ammesso che non si fosse trattato di qualcosa di completamente diverso. Nella borsetta di Sonja Hökberg ritrovata vicino al recinto della centrale elettrica, non c'erano più di trenta corone. Il denaro frutto della rapina era stato sequestrato dalla polizia. Sonja Hökberg è fuggita, pensò. Le si è presentata un'occasione e non ha esitato un attimo. Erano le dieci di mattina. Non c'era niente di pianificato, è stata una casualità. Sonja Hökberg lascia la centrale di polizia e sparisce per tredici ore. Poi, il suo corpo carbonizzato viene rinvenuto a otto chilometri da Ystad. Come ci è arrivata?, pensò. Può avere fatto l'autostop. Ma può anche essersi messa in contatto con qualcuno che è andato a prenderla. E poi che cosa succede? Chiede di essere portata in un luogo dove ha deciso di togliersi la vita? O viene assassinata? Chi può essere la persona che ha le due
chiavi della porta, ma non quelle che aprono il cancello? Wallander uscì dalla vasca da bagno. Ci sono due perché, pensò. Due domande determinanti che portano in due direzioni diverse. Se Sonja Hökberg ha deciso di togliersi la vita, perché sceglie proprio quella centrale elettrica? E come è riuscita a procurarsi le chiavi? E se è stata assassinata, qual è il movente? Wallander si infilò sotto le coperte. Erano le quattro e mezza. I pensieri continuavano a mulinare nella sua mente. Si rese conto che era troppo stanco per pensare lucidamente. Doveva dormire. Prima di spegnere la luce, puntò la sveglia. La spinse lontano sul pavimento per essere costretto ad alzarsi dal letto per spegnerla. Quando si svegliò ebbe l'impressione di avere dormito solo pochi minuti. Cercò di deglutire. La gola era ancora gonfia, ma meno del giorno prima. Mise una mano sulla fronte. Non aveva più febbre, ma aveva il naso chiuso. Andò in bagno e si sciacquò il volto, evitando di guardarsi allo specchio. Tutto il suo corpo era indolenzito. Si preparò un caffè e si avvicinò alla finestra della cucina. Il vento era tornato e aveva spazzato via le nuvole. Il termometro segnava cinque gradi. Per un attimo, si chiese quando avrebbe trovato il tempo per occuparsi della sua auto. Pochi minuti dopo le otto, erano tutti riuniti in una delle sale della centrale di polizia. Wallander osservò i volti stanchi di Martinsson e di Hansson e si disse che il suo viso non doveva essere molto diverso. Lisa Holgersson, che non aveva certamente dormito molte ore, sembrava riposata e fu lei a prendere la parola. «Sono certa che tutti sanno che il blackout che ha colpito la Scania la notte scorsa è stato uno dei più seri e più estesi mai verificatisi. Questo è un chiaro segno della vulnerabilità della nostra società. Nessuno avrebbe mai immaginato che questo fosse possibile. Eppure è accaduto. Adesso, le diverse autorità, le società per la distribuzione dell'energia elettrica e la protezione civile dovranno fare un'approfondita verifica delle procedure di sicurezza. Ora, la riunione può cominciare.» Lisa Holgersson gli fece un cenno, e Wallander iniziò facendo un rapporto dei fatti. «In altre parole, non sappiamo quello che è successo» disse per concludere. «Non sappiamo se sia stato un incidente, un suicidio o un omicidio. Anche se, a rigor di logica, possiamo escludere che si sia trattato di una disgrazia. Sonja Hökberg, da sola o insieme a qualcun altro, ha forzato il
cancello. Poi, sono state usate le due chiavi per la porta. Il tutto è a dir poco molto strano.» Wallander si guardò intorno. Martinsson fece un cenno con il capo e confermò che, quando erano alla ricerca di Sonja Hökberg, diverse auto della polizia avevano percorso la strada che da Ystad porta alla centrale elettrica. «Bene» disse Wallander. «Ora sappiamo che qualcuno ha portato Sonja Hökberg in auto fino alla centrale. Sono state rilevate tracce di pneumatici?» La domanda era chiaramente diretta a Nyberg che era seduto al lato opposto del tavolo. Aveva gli occhi rossi per il sonno e i capelli arruffati. Wallander sapeva che Nyberg non vedeva l'ora di andare in pensione. «A parte le nostre e quelle dell'auto di Olle Andersson, abbiamo trovato le tracce di altri due pneumatici. Ma la pioggia di questa notte le ha praticamente cancellate. Sono inutilizzabili.» «Questo significa che altre due auto sono arrivate fino alla centrale?» «Andersson crede che una possa essere quella di un suo collega che si chiama Moberg. Stiamo controllando.» «Dunque, rimane un'auto guidata da uno sconosciuto.» «Sì.» «Naturalmente, non è stato possibile stabilire a che ora quell'auto è arrivata sul posto?» Nyberg lo fissò sorpreso. «Come diavolo pensi che sia fattibile?» «Perché ho una grande fiducia nelle tue capacità. E tu lo sai.» «Ma ogni cosa ha un suo limite. Anche le mie capacità.» Ann-Britt Höglund, che non aveva ancora detto nulla, alzò la mano. «Credete veramente che possa trattarsi di qualcosa di diverso da un omicidio?» chiese. «Come voi, non riesco a credere che Sonja Hökberg si sia tolta la vita. Anche se avesse deciso di farla finita, non avrebbe mai scelto di farlo in quel modo.» Wallander ritornò con il pensiero a un fatto avvenuto anni prima. Una ragazza originaria dell'America centrale era morta bruciata viva cospargendosi di benzina in un campo di colza. Quello era uno dei ricordi peggiori della sua vita. Wallander era presente quando la ragazza era stata avvolta dalle fiamme e non aveva potuto fare nulla. «Di solito, le donne prendono un tubetto di sonnifero» continuò AnnBritt Höglund. «Raramente si sparano. E non si gettano sui cavi dell'alta
tensione.» «Credo che tu abbia ragione» disse Wallander. «Ma, in ogni caso, dobbiamo aspettare il rapporto del medico legale. Noi, voglio dire quelli che erano sul posto la notte scorsa, non siamo in grado di capire cosa è successo.» Nessuno aveva altre domande. «Le chiavi» disse Wallander. «Le chiavi sono il particolare più importante. Dobbiamo controllare che nessun paio sia stato rubato. È la prima cosa sulla quale dobbiamo concentrare la nostra attenzione. Senza dimenticare l'indagine sull'omicidio di Lundberg che è ancora in corso. Sonja Hökberg è morta. Ma abbiamo Eva Persson e, anche se è minorenne, dobbiamo portare a termine il nostro lavoro.» «Mi occuperò io del controllo delle chiavi» disse Martinsson. La riunione terminò. Prima di tornare nel suo ufficio, Wallander andò alla mensa a prendere una tazza di caffè. Quando si mise a sedere, il telefono squillò. Era Irene. «Hai una visita» disse. «Chi è?» «Dice di chiamarsi Enander. È un medico.» Wallander cercò di ricordare se avesse mai sentito quel nome. «Che cosa vuole?» «Vuole parlarti.» «Di che cosa?» «Non ha voluto dirlo.» «Mandalo da qualcun altro.» «Ho cercato. Ma insiste per parlare con te. Ha detto che è urgente.» Wallander sospirò. «Vengo lì» disse chiudendo la conversazione. L'uomo che lo aspettava era sulla quarantina. Aveva i capelli a spazzola e indossava una tuta sportiva. Aveva una stretta di mano decisa e si presentò come David Enander. «Ho molto da fare» disse Wallander. «Di che cosa si tratta?» «Non ti farò perdere molto tempo. Ma si tratta di una cosa importante.» «Il blackout di questa notte ha creato problemi enormi. Posso concederti dieci minuti. Devi fare una denuncia?» «No. Voglio solo chiarire un malinteso.» Wallander aspettò qualche secondo e poi fece cenno a David Enander di seguirlo nel suo ufficio. Quando l'uomo si mise a sedere, uno dei braccioli
della sedia si staccò e cadde sul pavimento. «Non ti preoccupare, prima o poi doveva cadere.» David Enander iniziò a parlare. «Si tratta di Tynnes Falk, che è morto qualche giorno fa.» «Per quanto ci riguarda il caso è stato archiviato. Tynnes Falk è morto per cause naturali.» «È proprio questo malinteso che voglio chiarire» disse Enander passandosi una mano sulla nuca. Wallander si rese conto che l'uomo era turbato. «Continua, ti ascolto.» David Enander iniziò il suo racconto scegliendo le parole con cura. «Sono stato il medico di Tynnes Falk per molti anni. È diventato un mio paziente nel 1981. In altre parole, quindici anni fa. Quella prima volta era venuto da me per un problema alle mani. Un eczema causato da un'allergia. Allora, lavoravo nel reparto dermatologico dell'ospedale. Nel 1986 ho aperto il mio studio privato. Tynnes Falk mi seguì. Non lo vedevo spesso perché si ammalava di rado. Il problema dell'allergia si era risolto, ma faceva dei check-up regolarmente. Era un uomo che aveva una vita esemplare e che si prendeva cura del proprio corpo. Mangiava in modo sano, faceva del moto e non aveva vizi.» Wallander cominciava a spazientirsi, non capiva dove Enander volesse arrivare. «Quando è morto, io ero in viaggio» continuò Enander. «L'ho saputo solo al mio ritorno.» «Come lo hai saputo?» «La sua ex moglie mi ha telefonato.» Wallander gli fece cenno di continuare. «Mi ha detto che la morte di Tynnes Falk è stata causata da un violento infarto.» «È quello che sostiene il medico legale.» «Il punto è che non è possibile.» Wallander aggrottò la fronte. «Per quale motivo non dovrebbe essere possibile?» «È molto semplice. Non più di dieci giorni prima, gli avevo fatto un check-up completo. Il suo cuore era in uno stato perfetto. Come quello di un ventenne.» Wallander rifletté su quanto aveva appena sentito. «Che cosa vuoi dire? Che il medico legale ha commesso un errore?»
«So perfettamente che in casi estremamente rari anche una persona in perfetta salute può essere vittima di un infarto. Ma mi rifiuto di credere che possa essere successo a Tynnes Falk.» «Quale sarebbe la causa della sua morte, allora?» «Non lo so. Ma volevo chiarire un malinteso. Non è stato il cuore.» «Riferirò quello che mi hai detto a chi di dovere» disse Wallander. «C'è altro?» «Deve essere successo qualcosa» disse Enander. «Se ho capito bene, Tynnes Falk aveva una ferita alla testa. Io credo che sia stato aggredito. Assassinato.» «Non c'è niente che lo provi. Non è stato derubato.» «Non è stato il cuore» ripeté Enander con risolutezza. «Io non sono un medico legale, né un esperto in autopsie. Non posso sapere che cosa abbia causato la morte. Ma non è stato il cuore. Ne sono più che convinto.» Wallander scrisse alcuni appunti, oltre all'indirizzo e al numero di telefono di Enander. Poi si alzò. Il colloquio era terminato. Wallander non aveva più tempo. Accompagnò Enander e si salutarono. «Sono sicuro di quello che ti ho detto» ribadì Enander. «Non è stato un infarto a uccidere Tynnes Falk.» Wallander tornò nel suo ufficio. Mise gli appunti su Tynnes Falk in un cassetto e iniziò a scrivere un rapporto sugli avvenimenti della notte. L'anno precedente, Wallander aveva avuto un pc in dotazione e aveva seguito un corso della durata di un giorno. Ma in seguito aveva impiegato mesi per imparare a usare quella macchina in modo corretto. Fino a poco tempo prima, lo aveva fatto di malavoglia. Un giorno, improvvisamente, si era reso conto che il pc gli facilitava enormemente il lavoro. La sua scrivania non era più ingombra di documenti e fogli sciolti sui quali aveva scritto pensieri e osservazioni. Grazie al computer, tutto era più ordinato. Usava ancora due sole dita e sbagliava sovente. Ma ora, l'ortografia non era più un problema. Il controllo era automatico. E già questa era una fonte di sollievo. Alle undici, Martinsson arrivò con la lista delle cinque persone che avevano le chiavi della cabina dei trasformatori. Wallander diede una rapida occhiata ai nomi. «Tutti hanno affermato di poter esibire le chiavi» disse Martinsson. «Nessuno le ha perse di vista. A parte Moberg, nessuno è andato alla centrale elettrica in questi ultimi giorni. Vuoi che controlli che cosa hanno fatto durante le ore in cui Sonja Hökberg era sparita?»
«Aspettiamo a farlo» disse Wallander. «Senza il referto del medico legale, tutto quello che possiamo fare è aspettare.» «Che cosa facciamo con Eva Persson?» «La interrogheremo nuovamente.» «Lo farai tu?» «No, grazie. Avevo pensato di chiedere ad Ann-Britt. Gliene parlerò.» Poco dopo mezzogiorno, Wallander e Ann-Britt Höglund finirono di esaminare il materiale dell'indagine sulla morte di Lundberg. Il mal di gola si era attenuato, ma Wallander continuava a sentirsi stanco. Dopo avere cercato senza risultato di mettere in moto la sua auto, telefonò a un'officina e chiese che venissero a prenderla. Lasciò le chiavi a Irene e andò a piedi fino a un ristorante del centro per pranzare. Ai tavoli, tutti parlavano del blackout della notte precedente. Finito il pranzo, andò in farmacia e comprò una saponetta e degli analgesici. Appena tornato alla centrale di polizia, si ricordò del volume che avrebbe dovuto ritirare in libreria. Per un attimo, rimase indeciso se tornare in centro. Ma il vento era fastidioso e decise di non farlo. La sua auto non era più nel parcheggio. Telefonò all'officina, ma il meccanico che rispose disse che non erano ancora riusciti a individuare il guasto. Quando Wallander chiese quanto sarebbe costata la riparazione, il meccanico non fu in grado di dargli una risposta chiara. Irritato, posò il ricevitore e si disse di averne avuto abbastanza. Avrebbe cambiato auto. Rimase seduto immobile a pensare. Ora, era sicuro che Sonja Hökberg non poteva essere entrata nella cabina dei trasformatori per puro caso. E non era neppure un caso che quella centrale elettrica fosse uno dei luoghi più vulnerabili dell'intera rete elettrica della Scania. Le chiavi, si disse. Qualcuno l'ha portata fin lì. Qualcuno che aveva le due chiavi che aprono la porta della cabina dei trasformatori. Ma perché il cancello era stato forzato? Prese la lista dei nomi che gli aveva dato Martinsson. A parte quelle conservate presso la sede della Sydkraft, cinque persone avevano le chiavi. Olle Andersson, tecnico addetto al controllo delle linee elettriche. Lars Moberg, tecnico addetto al controllo delle linee elettriche. Hilding Olofsson, responsabile del funzionamento. Artur Wahlund, responsabile della sicurezza. Stefan Molin, direttore tecnico. Come la prima volta che li aveva letti, Wallander non riconosceva nessuno di quei nomi. Compose il numero di Martinsson, che rispose imme-
diatamente. «Le persone in possesso delle chiavi» disse. «Non hai per caso controllato se compaiono nei nostri registri?» «Avrei dovuto farlo?» «No. Ma so che sei sempre meticoloso in queste cose.» «Vuoi che lo faccia adesso?» «Aspettiamo. Novità dai patologi?» «Dubito che possano dirci qualcosa prima di domani mattina.» «Va bene, se hai tempo, dai una controllata ai registri.» A differenza di Wallander, Martinsson adorava l'informatica. Tutti alla centrale di polizia sapevano che in caso di problemi di quel tipo, Martinsson era la persona a cui rivolgersi. Wallander continuò a lavorare, rileggendo il materiale dell'indagine sulla morte del tassista. Alle tre andò in mensa a prendere un caffè. Il raffreddore era meno fastidioso e il mal di gola era praticamente passato. Hansson lo informò che Ann-Britt Höglund stava interrogando Eva Persson. Tutto fila liscio, pensò Wallander. Per una volta, riusciamo a trovare il tempo per fare tutto quello che dobbiamo. Aveva appena iniziato a leggere, quando Lisa Holgersson entrò nel suo ufficio con un giornale della sera in mano. Dall'espressione del suo viso, Wallander capì immediatamente che era successo qualcosa di grave. «Hai già avuto modo di leggerlo?» chiese Lisa Holgersson porgendogli il giornale piegato. Wallander fissò la fotografia. Era l'immagine di Eva Persson sul pavimento della stanza degli interrogatori. Dava l'impressione di essere caduta. Leggendo il titolo, Wallander provò un nodo allo stomaco. Famoso poliziotto schiaffeggia una minorenne. Abbiamo le fotografie. «Chi può avere scattato questa fotografia?» chiese Wallander incredulo. «Non c'erano reporter in quel momento.» «Eppure uno doveva esserci.» Wallander si ricordò che la porta della stanza era socchiusa e di avere intravisto un'ombra passare. «È stato prima della conferenza stampa» disse Lisa Holgersson. «Forse uno dei giornalisti è arrivato in anticipo e si è intrufolato nel corridoio.» Wallander era completamente paralizzato. Nei suoi trent'anni di carriera era rimasto coinvolto in diverse colluttazioni. Ma era stato costretto a farlo nel corso di arresti particolarmente difficili. Anche se provocato, Wallander non aveva mai colpito nessuno durante un interrogatorio.
Era successo una sola volta. E proprio quella volta, un fotografo aveva assistito al fatto. «Possiamo aspettarci un bel po' di guai» disse Lisa Holgersson. «Perché non mi hai detto nulla?» «Eva Persson s'è messa a colpire sua madre. Io sono intervenuto per difendere la madre.» «Questo non appare nella fotografia.» «Ma è stato così.» «Perché non me ne hai parlato?» Wallander non aveva una risposta. «Spero che tu sia consapevole del fatto che dovremo aprire un'inchiesta disciplinare interna su quello che è accaduto.» Dal suo tono di voce, era chiaro che Lisa Holgersson era delusa. Non crede a quello che ho detto, pensò Wallander sconcertato. «Hai forse intenzione di sospendermi?» «No. Ma voglio sapere esattamente quello che è accaduto.» «Te l'ho già detto.» «Eva Persson ha dato una versione diversa ad Ann-Britt Höglund. Sostiene che l'hai aggredita senza motivo.» «Allora mente. Chiedi a sua madre.» Lisa Holgersson esitò prima di rispondere. «È quello che abbiamo fatto» disse alla fine. «La madre nega che la figlia l'abbia colpita.» Wallander rimase in silenzio. Adesso mi dimetto, pensò. Lascio il corpo di polizia. Me ne vado. E non tornerò mai più. Lisa Holgersson rimase in attesa. Ma Wallander non disse più nulla. Dopo alcuni secondi, Lisa Holgersson uscì dalla stanza. 9. Wallander lasciò immediatamente la centrale di polizia. Dentro di sé, non sapeva se fosse una fuga o un tentativo di ritrovare la calma. Naturalmente, sapeva di avere detto la verità. Ma il fatto che Lisa Holgersson non avesse creduto alle sue parole lo aveva sconvolto. Quando arrivò in strada, si ricordò che la sua auto era stata portata in officina e iniziò a inveire. Spesso, quando cercava di ritrovare la calma, prendeva l'auto e guidava senza meta finché non ritrovava la tranquillità. Andò a piedi fino al negozio di stato per la vendita delle bevande alcoli-
che e comprò una bottiglia di whisky. Poi andò direttamente a casa. Staccò il telefono e andò a sedersi al tavolo della cucina. Aprì la bottiglia di whisky e bevve alcuni lunghi sorsi. Il whisky aveva un gusto orribile. Ma sentiva di averne bisogno. La cosa che lo faceva sentire impotente e incapace di difendersi era essere accusato ingiustamente. Lisa Holgersson non lo aveva detto chiaramente. Ma il suo sospetto era stato palese. Forse, a parte tutto, Hansson aveva avuto ragione sin dall'inizio, pensò infuriato. Mai avere una donna come capo. Bevve un altro sorso dalla bottiglia. Si sentiva già meglio e iniziava a pentirsi di avere lasciato il suo ufficio. Quella mossa avrebbe potuto essere interpretata come un'ammissione di colpa. Riattaccò il telefono e aspettò. Dopo alcuni secondi fu colto da un senso di impazienza infantile perché nessuno lo chiamava. Compose il numero della centrale di polizia. Rispose Irene. «Volevo solo informarti che sono tornato a casa» disse Wallander. «Sono raffreddato.» «Hansson ti ha cercato. E anche Nyberg. E diversi giornalisti.» «Che cosa volevano?» «I giornalisti?» «No. Hansson e Nyberg.» «Non me lo hanno detto.» Ha sicuramente il giornale davanti a sé sul bancone, pensò Wallander. Lei, come tutti gli altri. Proprio adesso, non si parla di altro nella centrale di polizia di Ystad. Senza contare che alcuni stavano provando una soddisfazione perversa nel sapere che quel bastardo di Wallander si era messo nei guai. Wallander chiese a Irene di passargli Hansson. Al quarto segnale, Wallander pensò che con tutta probabilità il suo collega era intento a compilare una schedina con qualche complicato sistema. Il sistema che gli avrebbe assicurato una grossa vincita. Ma, come sempre, sarebbe stato fortunato se fosse riuscito a recuperare appena i soldi della scommessa. Hansson rispose. «Come va con i cavalli?» chiese Wallander. Aveva usato quell'espressione per sottolineare che quello che i giornali avevano scritto non gli aveva fatto perdere il controllo. «Quali cavalli?» «Non scommetti più sulle corse di cavalli?» «Non in questo momento. Perché?» «Cercavo soltanto di scherzare. Che cosa volevi?»
«Sei nel tuo ufficio?» «No. Sono a casa. Sono raffreddato.» «Volevo solo dirti che ho controllato gli orari in cui le nostre auto hanno percorso quella strada. Ho parlato con gli agenti che erano alla guida. Nessuno ha visto Sonja Hökberg. Hanno percorso quel tratto di strada quattro volte nei due sensi.» «Allora sappiamo come sono andate le cose. Qualcuno deve essere andato a prenderla. La prima cosa che Sonja Hökberg ha fatto quando ha lasciato la centrale è stata telefonare a qualcuno. Oppure è andata a casa di qualcuno. Spero che Ann-Britt Höglund pensi di chiederlo a Eva Persson.» «Che cosa deve chiedere?» «Il nome degli altri amici di Sonja Hökberg, e chi può averle dato un passaggio.» «Ne hai parlato con Ann-Britt?» «Non ancora.» Rimasero in silenzio per un attimo. Wallander decise di prendere l'iniziativa. «Hai visto la foto sul giornale? Bella roba.» «Sì,» «Mi sto chiedendo come un fotografo abbia potuto intrufolarsi nei nostri corridoi. Quando facciamo una conferenza stampa, teniamo i giornalisti raggruppati.» «Strano che tu non abbia notato il flash.» «Con le macchine fotografiche moderne non c'è bisogno di usare il flash.» «Che cosa è successo?» Wallander raccontò come si erano svolti i fatti, usando esattamente le stesse parole che aveva usato con Lisa Holgersson. Non aggiunse né omise nulla. «Nessun altro ha assistito alla scena?» chiese Hansson. «Nessuno, eccetto il fotografo. È ovvio che mentirà. Se non lo facesse, la sua fotografia non avrebbe alcun valore.» «Devi farti avanti e dire come stanno le cose.» «È precisamente quello che sto facendo.» «Devi fare una dichiarazione ai giornalisti.» «Come credi che possa andare? La versione di un vecchio poliziotto contro quella di una madre e di sua figlia? Non ho una sola possibilità.» «Stai dimenticando che, a parte tutto, la ragazza ha commesso un omici-
dio.» Wallander si chiese se avrebbe potuto funzionare. Un poliziotto che ricorre alla violenza è un fatto estremamente grave. Ne era più che consapevole. Inoltre, non poteva essere giustificato dalla presenza di circostanze speciali. «Ci penserò» disse Wallander. «Adesso, cerca di passarmi Nyberg, per favore.» Trascorsero alcuni minuti prima che Nyberg rispondesse. Nell'attesa, Wallander aveva bevuto alcuni sorsi di whisky e iniziava a sentire gli effetti dell'alcol. Ma la tensione era diminuita. «Nyberg.» «Hai visto il giornale?» chiese Wallander. «Quale giornale?» «Il giornale della sera con la fotografia di Eva Persson.» «Non leggo i giornali della sera, ma ne ho sentito parlare. Se ho capito bene, la ragazza aveva aggredito sua madre.» «Sì. Ma il reporter non lo ha scritto.» «E allora?» «Avrò sicuramente dei problemi. Lisa vuole aprire un'inchiesta su quello che è successo.» «Bene, così la verità verrà a galla.» «La questione è se i giornali la pubblicheranno. Una minorenne che ha commesso un omicidio fa più notizia di un vecchio poliziotto. Vende meglio.» «Tu non ti sei mai preoccupato di quello che scrivono i giornali» disse Nyberg sorpreso. «Forse no. Ma non sono mai stati pubblicati una fotografia e un articolo dove si sostiene che io ho colpito una minorenne.» «Non ha forse commesso un omicidio?» «Sì, ma non posso fare a meno di trovare la cosa imbarazzante.» «Passerà. Comunque, ti ho cercato per dirti che una delle due impronte di pneumatici appartiene all'auto di Moberg. Questo significa che le abbiamo identificate tutte eccetto una. Ma quei pneumatici sono un modello standard.» «Allora sappiamo che qualcuno ha portato Sonja Hökberg fin lì. E poi se n'è andato.» «C'è ancora una cosa» disse Nyberg. «La sua borsetta.» «Che cos'ha?»
«Ho cercato di capire perché la borsetta si trovasse proprio lì. Vicino al recinto.» «Può essere stata gettata lì da qualcuno?» «Ma perché? Quel qualcuno non può avere creduto che non l'avremmo trovata.» Wallander si rese conto che Nyberg aveva ragione. Quello che aveva detto era importante. «Quello che vuoi dire è: se sperava che il corpo non potesse essere identificato, perché non l'ha portata con sé?» «È più o meno quello che intendevo dire.» «E quale sarebbe la risposta?» «Questo è il tuo lavoro. Io ho solo detto quello che penso. La borsetta era a quindici metri dall'entrata della cabina dei trasformatori.» «C'è altro?» «No. Non siamo riusciti a rilevare altre tracce.» La conversazione terminò. Wallander sollevò la bottiglia di whisky. Ma la posò immediatamente. Aveva bevuto abbastanza. Continuare avrebbe significato passare il limite e non voleva farlo. Andò nel soggiorno. Essere a casa durante il giorno gli faceva provare una strana sensazione. Era così che avrebbe passato il suo tempo una volta andato in pensione? Il pensiero lo fece rabbrividire. Andò alla finestra e lasciò scorrere lo sguardo su Mariagatan. Il crepuscolo era già iniziato. Pensò al medico che era venuto a parlargli e all'uomo morto davanti al Bancomat. Decise che il giorno dopo avrebbe telefonato al medico legale per informarlo della visita di Enander e del suo rifiuto di accettare l'ipotesi che la morte di Tynnes Falk fosse stata causata da un infarto. Wallander si disse che non avrebbe cambiato nulla. Ma era suo dovere farlo e doveva telefonare senza lasciare passare troppo tempo. Pensò a quello che aveva detto Nyberg della borsetta di Sonja Hökberg. La conclusione possibile era una sola. E a quel pensiero, l'istinto dell'investigatore riprese il sopravvento. La borsetta era stata lasciata vicino al recinto perché qualcuno aveva voluto che fosse ritrovata. Wallander si mise a sedere sul divano e riesaminò ogni cosa nella sua mente. Un corpo può essere carbonizzato al punto da non essere riconoscibile. Soprattutto quando viene a contatto con la corrente ad alta tensione che si interrompe bruscamente. Il corpo di un individuo che viene giustiziato sulla sedia elettrica brucia internamente. Forse, la persona che aveva ucciso Sonja Hökberg sapeva che avrebbe potuto essere difficile identifica-
re il cadavere. Per questo aveva lasciato la borsetta. Ma perché l'aveva lasciata vicino al recinto? Wallander riprese ad analizzare gli avvenimenti dall'inizio. Ma non riuscì a dare una risposta alla domanda. Accantonò quel pensiero momentaneamente. Doveva pensare con più calma. Prima di ogni altra cosa, doveva avere una conferma che Sonja Hökberg fosse stata veramente assassinata. Tornò in cucina e si preparò un caffè. Erano le quattro. Si sedette al tavolo della cucina con la tazza di caffè e telefonò alla centrale di polizia. Irene lo informò che i giornalisti continuavano a chiedere di lui. Ma non aveva dato il suo numero di telefono, che da anni era un numero riservato. Wallander sapeva che la sua assenza poteva essere interpretata come una prova della sua colpevolezza o, come minimo, dell'imbarazzo che la fotografia sul giornale gli aveva causato. Avrei dovuto rimanere, pensò. Avrei dovuto parlare con i giornalisti per spiegare quello che è veramente accaduto e affermare che Eva Persson e sua madre stanno mentendo. Il momento di debolezza era passato ed era stato sostituito da un senso di rabbia. Chiese a Irene di passargli Ann-Britt. In verità, avrebbe dovuto iniziare con Lisa Holgersson e dirle con fermezza che non accettava il suo sospetto. Prima che Ann-Britt avesse il tempo di rispondere, Wallander posò rapidamente il ricevitore. Aveva capito che in quel momento non aveva alcun desiderio di parlare con i colleghi. Invece, compose il numero di Sten Widén. Rispose una ragazza. Sten Widén cambiava spesso le stalliere. Più di una volta, Wallander aveva avuto il sospetto che questo fosse dovuto al fatto che Sten Widén non le lasciava in pace. Per un attimo, quando udì la voce dell'amico, si pentì di averlo chiamato. Ma poi si disse che, quasi sicuramente, Sten non aveva visto la fotografia apparsa sul giornale. «Avevo pensato di venire a trovarti» disse Wallander. «Ma la mia auto è guasta.» «Se vuoi, posso venire a prenderti. Va bene verso le sette?» Wallander accettò. Guardò la bottiglia di whisky, ma la lasciò stare. Il campanello di casa suonò. Wallander sussultò. Non capitava quasi mai che qualcuno venisse a trovarlo a casa. Sicuramente era un giornalista che era riuscito a scovare il suo indirizzo. Mise la bottiglia di whisky in uno degli armadietti della cucina e andò ad aprire. Ma la persona che si trovò davanti non era un giornalista. Era Ann-Britt Höglund. «Disturbo?»
Wallander la fece accomodare nel soggiorno, facendo attenzione a tenere il volto girato in modo che Ann-Britt Höglund non potesse sentire l'odore del whisky. «Sono raffreddato» disse Wallander. «Non me la sentivo di lavorare.» Ann-Britt Höglund annuì, anche se sicuramente non gli credeva. In fondo, non aveva alcun motivo per farlo. Tutti sapevano che spesso Wallander continuava a lavorare anche se ammalato e con la febbre alta. «Come ti senti?» chiese Ann-Britt Höglund. Il momento di debolezza è passato, pensò Wallander. Anche se non del tutto. C'è ancora. Dentro, in profondità. Ma non lo lascerò riemergere. «Se ti stai riferendo alla fotografia sul giornale, è chiaro che non mi fa piacere. Come è possibile che un fotografo riesca ad arrivare fino a una stanza per gli interrogatori senza essere notato?» «Lisa è molto preoccupata.» «Avrebbe dovuto credere alle mie parole» disse Wallander. «Avrebbe dovuto appoggiarmi e non credere ciecamente a quello che scrivono i giornali.» «Ma c'è la fotografia. È una prova che non si può smentire facilmente.» «E io non lo faccio. Sì, ho colpito Eva Persson. Ma l'ho fatto perché aveva aggredito sua madre.» «Come sai, la loro versione è diversa.» «Mentono. Ma forse tu credi che stiano dicendo la verità?» Ann-Britt Höglund scosse il capo. «No. Ma il problema è come provare che mentono.» «Chi c'è dietro a tutto questo?» Ann-Britt Höglund rispose senza esitazione. «La madre. Io credo che sia una donna scaltra. Per lei, questa è un'occasione per distogliere l'attenzione dal reato che sua figlia ha commesso. Inoltre, visto che Sonja Hökberg è morta, possono dare tutta la colpa a lei.» «E il coltello con le tracce di sangue di Lundberg?» «Anche quello. Anche se è stato trovato su indicazione di Eva Persson, lei può sempre sostenere che sia stata Sonja a pugnalare Lundberg.» Wallander si rese conto che Ann-Britt Höglund aveva ragione. I morti non possono parlare. E c'era una grande fotografia a colori che dimostrava che un poliziotto aveva colpito una ragazza facendola cadere a terra. La fotografia era sfocata. Ma nessuno poteva dubitare della sua autenticità. «Uno dei pm ha ordinato un'inchiesta disciplinare immediata.» «Quale pm?»
«Viktorsson.» Il pm era arrivato a Ystad solo ad agosto, e Wallander aveva già avuto modo di avere dei contrasti seri con Viktorsson, che non gli andava genio. «La mia versione contro quella di Eva Persson.» «Senza dimenticare quella della madre.» «La cosa strana è che Eva Persson detesta sua madre» disse Wallander. «Quando la stavo interrogando era palese.» «Eva Persson ha capito di essere in guai seri. Anche se è minorenne e non andrà in carcere. Quindi, decide di fare momentaneamente pace con sua madre.» Di colpo, Wallander sentì di non avere più la forza di continuare a parlare di quell'episodio. «Perché sei venuta qui?» «Ho saputo che sei ammalato.» «Non è niente di grave. Domani tornerò al lavoro. Piuttosto, dimmi come è andato l'interrogatorio con Eva Persson.» «Ha ritirato la confessione.» «Ma è impossibile che sia venuta a sapere che Sonja Hökberg è morta.» «Proprio per questo lo trovo strano.» Passarono alcuni secondi prima che Wallander afferrasse quello che Ann-Britt Höglund aveva appena detto. Poi capì. Alzò lo sguardo. «Stai pensando a qualcosa?» chiese. «Perché si cambia versione? Prima confessa di avere commesso un crimine insieme a Sonja Hökberg. Tutti i pezzi combaciano. Le parole dell'una coincidono con quelle dell'altra. Perché Eva Persson ora ritratta tutto?» «Proprio così. Perché? Ma forse, c'è una domanda più importante. Quando decide di ritrattare?» «È per questo che sono venuta. Quando ho iniziato a interrogarla, Eva Persson non poteva sapere che Sonja Hökberg era morta. Eppure, cambia completamente la sua confessione e afferma che è stata Sonja Hökberg a fare tutto. Eva Persson è innocente. Non avevano affatto intenzione di assalire e derubare Lundberg. Volevano andare a Rydsgård. Sonja Hökberg le aveva proposto di andare a salutare un suo zio materno che abita a Bjäresjö.» «Esiste veramente?» «Gli ho telefonato. Ha affermato che non vede Sonja da cinque o sei anni.» Wallander cercò di concentrarsi.
«Allora, c'è una sola spiegazione» disse. «Eva Persson non avrebbe mai potuto ritrattare la sua confessione e inventarsi una storia se non fosse stata sicura che Sonja Hökberg non avrebbe potuto smentirla.» «Sono d'accordo con te. Naturalmente, le ho chiesto perché in un primo momento aveva confessato dando una versione completamente diversa.» «Che cosa ti ha risposto?» «Che voleva evitare che Sonja si addossasse tutta la colpa.» «Perché erano amiche?» «Proprio così.» Entrambi sapevano quello che significava. C'era una sola spiegazione. Eva Persson sapeva che Sonja Hökberg era morta. «Che cosa ne pensi?» «Che forse c'è una seconda possibilità. In altre parole, che dopo essere fuggita dalla centrale di polizia, Sonja Hökberg abbia telefonato a Eva Persson. Può averle detto che aveva deciso di togliersi la vita.» Wallander scosse il capo. «Lo trovo poco credibile.» «Anch'io. Non credo che Sonja Hökberg abbia telefonato a Eva Persson. Credo invece che abbia telefonato a qualcun altro.» «Qualcun altro che a sua volta ha telefonato a Eva Persson dicendole che Sonja era morta?» «Può essere andata così.» «In questo caso, significa che Eva Persson sa chi ha ucciso Sonja Hökberg. Ammesso che si tratti veramente di un omicidio.» «Credi davvero che possa trattarsi di altro?» «No. Ma dobbiamo aspettare il referto del medico legale.» «Ho telefonato per chiedere di avere un risultato preliminare. Ma, ovviamente, il lavoro su un corpo carbonizzato richiede tempo.» «Spero che capisca che è urgente.» «Non è sempre così?» Ann-Britt Höglund guardò l'orologio. «Devo andare a casa dai bambini.» Wallander si disse che avrebbe dovuto dire qualcosa. Per sua esperienza personale, sapeva quanto fosse penoso porre termine a un matrimonio. «Come va con il divorzio?» «Tu dovresti saperne qualcosa. Tu sai che è un inferno dall'inizio alla fine.» Wallander la accompagnò alla porta.
«Bevi un paio di whisky. Ti farà bene.» «L'ho già fatto» rispose Wallander. Alle sette, Wallander udì il suono di un clacson in strada. Si avvicinò alla finestra della cucina e vide il vecchio furgone malandato di Sten Widén. Wallander prese la bottiglia di whisky, la mise in un sacchetto di plastica e lasciò l'appartamento. Come sempre, appena arrivati, Wallander iniziò la sua visita andando a vedere i cavalli nella stalla. Diversi box erano vuoti. Una ragazza sui diciassette anni stava riponendo una sella. Fece un cenno di saluto con il capo e uscì dalla stalla. Wallander si mise a sedere su una balla di fieno e Sten Widén rimase in piedi appoggiato al muro. «Vendo tutto e me ne vado» disse Sten Widén. «Hai già un acquirente?» «No. Ma ci sarà qualcuno abbastanza ingenuo da credere di poterci fare dei soldi.» «Riuscirai a strappare un buon prezzo?» «Non credo. Ma probabilmente quanto mi basta. Non ho bisogno di molto per tirare avanti. Dovrei farcela a vivere con gli interessi.» Wallander stava per chiedere l'entità della somma, ma non se la sentì. «Hai già deciso dove andrai?» chiese invece. «Prima devo riuscire a vendere. Poi deciderò.» Wallander prese la bottiglia di whisky e gliela porse. Sten Widén bevve un sorso. «Credi veramente di riuscire a vivere senza i cavalli?» disse Wallander. «Che cosa pensi di fare?» «Non lo so.» «Ti metterai a bere finché non ti scoppierà il fegato.» «O forse farò il contrario. Forse, smetterò di bere del tutto.» Uscirono dalla stalla, attraversarono il cortile ed entrarono in casa. La serata era fredda. Wallander si accorse che la sensazione di invidia era tornata. Il suo vecchio amico, il pm Per Åkesson, viveva in Sudan ormai da diversi anni. Wallander era sempre più convinto che non sarebbe più tornato in Svezia. E ora, anche Sten Widén sta per andarsene, pensò. Verso qualcosa di sconosciuto, ma diverso. E io invece sono sotto inchiesta per avere colpito una ragazza di quattordici anni. La Svezia è diventata un paese dal quale molti vogliono andarsene. Quelli che hanno i soldi lo fanno. Quelli che non possono permetterselo
cercano di procurarseli per unirsi alla schiera di emigranti. Che cosa ha scatenato questo fenomeno? Che cosa è successo? Si accomodarono nel soggiorno, che fungeva anche da ufficio, dove, come sempre, regnava il caos. Sten Widén si versò un bicchiere di cognac. «Ho pensato di cercarmi un lavoro in un teatro» disse. «Che cosa vuoi dire?» «Esattamente quello che ho detto. Potrei andare a Milano e cercare di farmi assumere come addetto all'apertura e chiusura del sipario.» «Oggi, i sipari si aprono e si chiudono meccanicamente, non a mano.» «Sì, ma le scene richiedono ancora manodopera. Pensa, essere dietro le quinte ogni sera ad ascoltare musica lirica. Senza pagare un centesimo. Potrei anche proporre di lavorare senza stipendio.» «È proprio quello che hai deciso di fare?» «No. Ma ho molte idee. Ho persino pensato di trasferirmi su a nord, in un luogo orribilmente freddo e pieno di neve. Ma non ho ancora deciso. L'unica cosa che so è che, non appena avrò venduto questo posto, me ne andrò. Ma parlami di te.» Wallander scrollò le spalle senza rispondere. Aveva bevuto troppo e la sua mente iniziava ad annebbiarsi. «Dai ancora la caccia alle distillerie illegali?» C'era sarcasmo nel tono di voce di Sten Widén. Wallander rispose con rabbia. «Io do la caccia ad assassini» disse. «Gente che va in giro ad ammazzare esseri umani. A colpi di martello sulla testa. Presumo che tu abbia sentito parlare dell'omicidio del tassista.» «No.» «Qualche sera fa, due ragazze hanno ucciso a martellate e coltellate un tassista. Sono queste le cose di cui mi occupo e non di stupide distillerie clandestine.» «Non so come fai a tirare avanti.» «Neppure io. Ma qualcuno deve farlo e io credo di saperlo fare molto meglio di tanti altri.» Sten Widén lo fissò sorridendo. «Non è questo il punto. Io credo che tu sia un bravo poliziotto. L'ho sempre pensato. Quello che volevo dire è se e come riesci a trovare il tempo per fare altro nella tua vita.» «Io non sono uno che si tira indietro.» «Come il sottoscritto?»
Wallander non rispose. Fra i due amici era venuto a crearsi un solco. Wallander si chiese da quanto si fosse creato. Senza che lo avesse notato. Un tempo, da giovani, erano stati amici intimi. Poi ognuno aveva seguito la propria strada. Molti anni dopo, quando si erano ritrovati, avevano ripreso l'amicizia di un tempo. Ma non si erano mai accorti che le condizioni erano cambiate drasticamente. Wallander se ne stava rendendo conto solo in quel momento. Con tutta probabilità, anche Sten Widén stava constatando la stessa cosa in quel momento. «Il patrigno di una delle due ragazze che hanno assassinato il tassista è Erik Eriksson, che ora ha preso il nome della moglie e si chiama Hökberg.» Sten Widén lo fissò sorpreso. «Dici sul serio?» «Sì. E come se non bastasse, è probabile che anche la ragazza sia stata assassinata. Non credo che avrò mai tempo di andarmene. Anche se lo volessi.» Wallander prese la bottiglia di whisky e la mise nel sacchetto di plastica. «Puoi chiamarmi un taxi?» «Te ne vai già?» «Sì.» Un'espressione di delusione si dipinse sul volto di Sten Widén. Wallander provava la stessa sensazione. Un'amicizia era arrivata alla fine. O forse, più correttamente, si erano resi conto che era finita da tempo. «Ti porto io a casa.» «No» disse Wallander. «Hai bevuto.» Sten Widén non disse nulla. Si alzò, andò al telefono e chiamò un taxi. «Arriva fra dieci minuti.» Uscirono in cortile. Era una bella serata d'autunno. Il cielo era sereno e non c'era vento. «In che cosa credevamo quando eravamo giovani?» chiese Sten Widén. «Non ricordo. Non penso spesso al passato. Quello che sta accadendo nel presente mi basta e avanza. Senza contare l'inquietudine per il futuro.» Il taxi arrivò. «Scrivimi e dimmi quale strada hai scelto di seguire.» «Lo farò.» Wallander prese posto sul sedile posteriore. Il taxi si avviò nel buio in direzione di Ystad.
Wallander era appena entrato nel suo appartamento quando il telefono squillò. Era Ann-Britt Höglund. «Finalmente sei tornato a casa» disse. «Ho cercato di telefonarti diverse volte. Perché lasci il tuo cellulare spento?» «Che cosa è successo?» «Ho fatto un nuovo tentativo con l'Istituto di patologia di Lund. Sono riuscita a parlare con il patologo. Non ha ancora finito. Ma ha scoperto qualcosa. Sonja Hökberg aveva una frattura alla nuca.» «Questo significa che prima di rimanere carbonizzata era già morta?» «Forse no. Forse era senza conoscenza.» «Non può essersi procurata la frattura da sola?» «Il patologo è sicuro che non è il tipo di frattura che una persona può infliggersi da sola.» «Bene» disse Wallander. «Adesso sappiamo che Sonja Hökberg è stata assassinata.» «Non l'abbiamo forse sempre saputo?» «No» disse Wallander. «Lo abbiamo sospettato. Ma ora possiamo esserne certi.» Wallander udì un bambino piangere. Ann-Britt Höglund si scusò, ma doveva chiudere la telefonata. Decisero di incontrarsi il giorno dopo alle otto. Wallander si mise a sedere al tavolo della cucina. Pensò a Sten Widén. E a Sonja Hökberg. Ma soprattutto a Eva Persson. Lei deve saperlo, si disse. Eva Persson deve sapere chi ha ucciso Sonja Hökberg. 10. Wallander fu strappato dal sonno poco dopo le cinque di giovedì mattina. Non appena aprì gli occhi al buio, capì che cosa lo aveva svegliato. Qualcosa che aveva dimenticato: la promessa fatta ad Ann-Britt Höglund di parlare al circolo letterario femminile di Ystad quella sera stessa su che cosa significasse essere un poliziotto. Rimase immobile al buio. Se ne era completamente dimenticato. Non aveva preparato niente. Non aveva scritto un solo appunto. Sentì un senso di apprensione attanagliargli lo stomaco. Sicuramente, le donne davanti alle quali doveva parlare avevano visto la fotografia di Eva Persson sul giornale. Ed era certo che Ann-Britt Höglund avesse già in-
formato il circolo che sarebbe intervenuto alla serata al suo posto. Non posso farlo, pensò Wallander. Mi considereranno un uomo brutale che va in giro a schiaffeggiare le donne e non vedranno quello che sono veramente. Chiunque io sia. Rimase disteso sul letto cercando di trovare una via d'uscita. Hansson era l'unico che avrebbe potuto sostituirlo. Ma era impossibile. Ann-Britt aveva già detto perché. Hansson riusciva a esprimersi solo quando parlava di corse di cavalli. Diversamente passava la vita fra un mugolio e l'altro. Solo chi lo conosceva bene capiva quello che cercava di dire. Alle cinque e mezza Wallander si alzò. Sapeva di non avere via di scampo. Prese un bloc-notes e si mise a sedere al tavolo della cucina. Iniziò scrivendo la parola Conferenza. Si chiese che cosa avrebbe raccontato Rydberg della sua professione a un gruppo di donne, se fosse stato in vita. Ma sospettava che Rydberg non si sarebbe mai lasciato convincere a fare una cosa del genere. Alle sei, Wallander era riuscito a scrivere quella sola parola. Stava per arrendersi quando, d'un tratto, gli venne in mente quello che poteva fare. Avrebbe parlato dell'indagine che stavano conducendo in quel momento. L'indagine sull'omicidio del tassista. Forse, avrebbe persino potuto iniziare con il funerale di Stefan Fredman? Alcuni giorni della vita di un poliziotto? Solo quello, senza tante perifrasi. Scrisse alcuni appunti e decise che non avrebbe evitato di parlare dell'incidente riportato dal giornale della sera, con tanto di fotografia. Anche se la cosa avrebbe potuto essere considerata un'arringa di difesa. E perché no? In fondo, lui sapeva come si erano svolti veramente i fatti. Alle sei e un quarto, Wallander posò la penna. L'apprensione per quello che lo aspettava era diminuita. Ora si sentiva meno vulnerabile. Vestendosi, controllò di avere una camicia pulita per quella sera. Ne scovò una in fondo all'armadio. Le altre giacevano in un mucchio enorme sul pavimento. Erano passate almeno due settimane da quando aveva fatto l'ultimo bucato. Alle sette, telefonò all'officina e chiese notizie della sua auto. La risposta fu scoraggiante. Molto probabilmente sarebbero stati costretti a smontare completamente il motore. Il capo officina promise di fargli avere un preventivo dei costi in giornata. Wallander posò il ricevitore e si avvicinò alla finestra. Il termometro segnava sette gradi. C'era un leggero vento, il cielo era coperto, ma non pioveva. Wallander seguì con lo sguardo un uomo anziano che passava per strada. Arrivato davanti a un cestino per i rifiuti,
l'uomo si fermò e iniziò a frugare all'interno con una mano senza trovare nulla. Wallander pensò alla sera prima. La sensazione di invidia era svanita, sostituita da un senso di malinconia. Sten Widén sarebbe sparito dalla sua esistenza. Rimane qualcuno che ancora mi leghi alla mia vita passata?, pensò. Presto non ci sarà più nessuno. Pensò a Mona, la madre di Linda. Anche lei lo aveva lasciato. Quel giorno, quando Mona gli aveva detto che intendeva separarsi, Wallander era rimasto allibito, anche se lo aveva intuito da tempo. Mona si era risposata. Negli anni trascorsi, in diverse occasioni, Wallander aveva cercato di convincerla a tornare. Avrebbero ricominciato da capo. Ma ora, non riusciva a capire perché lo avesse fatto. Non aveva mai veramente voluto riprendere la relazione. Aveva fatto quelle proposte solo perché non riusciva a sopportare la solitudine. Non sarebbe mai più riuscito a vivere insieme a Mona. La loro separazione era stata necessaria ed era comunque avvenuta troppo tardi. Ora, Mona era sposata con un consulente di una compagnia di assicurazioni che giocava a golf. Anche se le loro voci si erano incrociate alcune volte al telefono, Wallander non lo aveva mai incontrato. Linda gli aveva fatto capire che quell'uomo non le andava particolarmente a genio. Ma Mona sembrava a proprio agio. Avevano anche una seconda casa in Spagna. Ovviamente, e a differenza di Wallander, il nuovo marito di Mona era benestante. Smise di pensare al passato e uscì dall'appartamento per andare alla centrale di polizia. Camminando, ripassò mentalmente quello che avrebbe detto quella sera. Un'auto della polizia lo affiancò e uno degli agenti gli chiese se volesse un passaggio. Wallander ringraziò, ma disse che preferiva camminare. Quando arrivò alla centrale, un uomo era fermo a qualche metro dalla porta d'ingresso. Quando vide Wallander gli si avvicinò. «Kurt Wallander» disse l'uomo. «Hai un attimo di tempo?» Wallander riconobbe il volto dell'uomo senza però riuscire a ricordare dove lo avesse visto prima. «Dipende. Chi sei?» «Harald Törngren.» Wallander scosse il capo. «Sono stato io a scattare quella fotografia.» Wallander ricordò di averlo visto durante l'ultima conferenza stampa. «Vuoi dire che sei tu quello che si è intrufolato di nascosto nei corridoi?»
Harald Törngren sorrise. Era sulla trentina, aveva un viso oblungo e i capelli corti. «A dire il vero stavo cercando un bagno e nessuno mi ha fermato.» «Che cosa volevi?» «Vorrei un tuo commento su quella fotografia. Voglio intervistarti.» «Perché? In ogni caso, non scriverai quello che dirò.» «Come puoi saperlo?» Per un attimo, Wallander pensò di invitare Törngren ad andarsene. Ma allo stesso tempo, la sua offerta rappresentava un'occasione che non poteva perdere. «Voglio che qualcuno sia presente. Qualcuno che ascolti.» Törngren continuò a sorridere. «Un testimone dell'intervista?» «Ho avuto pessime esperienze con i giornalisti.» «Puoi avere dieci testimoni se vuoi.» Wallander guardò l'orologio. Erano le sette e venticinque. «Ti concedo mezz'ora. Non un minuto di più.» «Quando?» «Adesso.» Entrarono nella centrale. Irene gli disse che Martinsson era già arrivato. Wallander chiese a Törngren di aspettarlo. Martinsson stava lavorando seduto davanti al suo pc. Wallander gli spiegò brevemente la situazione. «Vuoi che porti un registratore?» «La tua presenza basterà. Dopo, dovrai solo ricordare quello che ho detto.» Martinsson sembrava poco convinto. «Sai quali domande ti farà?» «No. Ma so come si sono svolti i fatti.» «Basta che non perdi le staffe.» Wallander lo fissò sorpreso. «Stai dicendo che non so controllarmi?» «È già successo.» Martinsson aveva ragione. «Cercherò di tenerlo a mente. Adesso andiamo.» Presero posto in una sala riunioni. Törngren prese un registratore dalla borsa e lo mise sul tavolo. Martinsson rimase in piedi. «Ieri sera, ho parlato con la madre di Eva Persson» disse Törngren. «Hanno deciso di denunciarti.»
«Per che cosa?» «Per maltrattamenti. Per avere colpito la figlia. Qual è il tuo commento?» «Non si è mai trattato di violenza fisica.» «Loro continuano a sostenere il contrario. E poi, c'è anche la fotografia.» «Vuoi sapere come si sono svolti i fatti?» «Sì, mi farebbe piacere sentire la tua versione.» «Non è una versione. È la verità.» «È la loro parola contro la tua.» Wallander capì di essersi messo in una situazione senza speranza e si pentì di avere accettato. Ma ormai era troppo tardi. Raccontò quello che era successo. Eva Persson si era gettata su sua madre e l'aveva colpita. Aveva cercato di fermarla. La ragazza continuava come una furia. Era stato costretto a darle uno schiaffo. «Sia la madre che la figlia sostengono che le cose non sono andate in questo modo.» «E invece sono andate proprio così.» «Si può credere che una figlia aggredisca la propria madre?» «Eva Persson aveva appena confessato di avere commesso un omicidio. Era in una situazione di stress. In quei casi, può succedere l'imprevedibile.» «Ieri, Eva Persson mi ha detto di essere stata costretta a confessare.» Wallander e Martinsson si scambiarono un'occhiata. «È stata costretta?» «È quello che ha affermato.» «Chi l'avrebbe costretta?» «Quelli che hanno condotto l'interrogatorio.» Martinsson perse la calma. «Non ho mai sentito niente di più dannatamente falso» disse. «Noi non abbiamo mai costretto nessuno a confessare usando metodi illegali.» Wallander, che era completamente calmo, gli lanciò uno sguardo, poi non aggiunse altro. «L'indagine preliminare è ancora lontana dall'essere conclusa» disse. «Eva Persson è coinvolta in quell'omicidio. Il fatto che abbia ritrattato la sua confessione non cambia la sua posizione.» «Stai forse dicendo che Eva Persson mente?» «Non ho intenzione di rispondere a questa domanda.» «Per quale motivo?»
«Perché equivarrebbe a fornire informazioni su un'indagine in corso. E questo non ci è permesso.» «Ma tu sostieni che Eva Persson mente?» «Questo lo stai dicendo tu. Io ho solo raccontato quello che è successo.» Wallander vedeva già i titoli del giornale. Ma ora sapeva di avere fatto la cosa giusta. Il gioco di astuzia di Eva Persson e di sua madre non sarebbe stato loro di aiuto. Così come il fatto che forse il giornale della sera avrebbe pubblicato un articolo esageratamente compassionevole. «La ragazza è molto giovane» disse Törngren. «Sostiene di essere stata coinvolta in quel tragico episodio dalla sua amica più grande di lei. Non vi sembra che possa essere più che probabile? Che Eva Persson non stia mentendo?» Wallander valutò rapidamente la possibilità di raccontare la verità sulla fine di Sonja Hökberg. Ma si disse che non poteva farlo, perché la notizia non era ancora pubblica. Ma saperlo gli permetteva di mantenere una posizione di superiorità. «Che cosa vuoi dire con "più che probabile"?» chiese. «Che le cose sono andate come sostiene la Persson. In altre parole, Eva Persson è stata plagiata dalla sua amica.» «Non siete né tu, né il tuo giornale a condurre l'indagine sulla morte di Lundberg. Siamo noi. Naturalmente, nessuno vi impedisce di trarre delle conclusioni e di dare un verdetto. Ma la realtà si dimostrerà molto diversa. Anche se non credo che il tuo giornale le darà molto spazio.» Wallander batté la mano sul tavolo per segnalare che l'intervista era finita. «Grazie per avere accettato» disse Törngren rimettendo il registratore nella borsa. «Martinsson ti accompagnerà all'uscita» disse Wallander alzandosi. Wallander uscì dalla stanza senza stringere la mano al giornalista. Mentre ritirava la sua posta, cercò di valutare come fosse andato il colloquio con Törngren. Aveva tralasciato di dire qualcosa che avrebbe potuto essere importante? C'era qualcosa che avrebbe dovuto esprimere diversamente? Entrò nel suo ufficio con la posta sotto un braccio e una tazza di caffè in mano. Decise che il colloquio con Törngren si era svolto bene. Anche se, naturalmente, non poteva sapere quello che Törngren avrebbe scritto nel suo articolo. Si mise a sedere e iniziò ad aprire la posta. Non c'era nulla di veramente urgente. Poi, si ricordò della visita del medico di Tynnes Falk il giorno prima. Aprì un cassetto della scrivania, cercò gli appunti che aveva
scritto e poi telefonò all'Istituto di patologia a Lund. Fu fortunato, il medico che cercava era in servizio e rispose subito. Wallander gli fece un breve resoconto della visita di Enander. Dopo avere ascoltato attentamente, il patologo promise di farsi vivo nel caso in cui quelle informazioni avessero in qualche modo avuto un esito sull'autopsia già effettuata. Alle otto, Wallander si alzò e andò nella sala riunioni. Lisa Holgersson era già lì, insieme al pm Lennart Viktorsson. Quando lo vide, Wallander sentì l'adrenalina salire. Sicuramente molti si sarebbero demoralizzati nella sua situazione. Wallander aveva avuto il suo momento di debolezza il giorno prima, quando aveva lasciato la centrale di polizia. Ma ora era di umore battagliero. Si sedette e prese immediatamente la parola. «Come tutti sanno, un quotidiano ha pubblicato una fotografia di Eva Persson, accusandomi di averla colpita con uno schiaffo. Anche se la ragazza e sua madre danno un'altra versione, io sono intervenuto quando la Persson ha assalito sua madre. Per farla calmare, ho dovuto darle uno schiaffo a mia volta. Non molto forte. Ma la ragazza è inciampata ed è caduta. È quello che ho detto al giornalista che era riuscito a introdursi di nascosto nel corridoio. L'ho incontrato questa mattina. Martinsson era presente come testimone.» Wallander fece una pausa e si guardò intorno prima di continuare. Lisa Holgersson sembrava irritata. Wallander intuì che avrebbe preferito prendere la parola per prima. «Sono stato informato che ci sarà un'inchiesta disciplinare interna sull'accaduto. Non ho niente in contrario. E ora, vorrei passare a parlare di un caso molto più urgente: l'omicidio di Lundberg e il caso di Sonja Hökberg.» Lisa Holgersson approfittò di una pausa e prese la parola. L'espressione del suo volto non mi piace, pensò Wallander, che continuava a credere che Lisa Holgersson lo avesse tradito. «Spero che tu sappia che non potrai condurre altri interrogatori con Eva Persson» disse. Wallander annuì. «Riesco a capirlo persino io.» A dire la verità, avrei dovuto rispondere in modo diverso, pensò Wallander. Avrei dovuto dire che il primo dovere di un capo della polizia è di appoggiare il proprio personale. Ovviamente, con spirito critico, e non a qualsiasi costo. Ma almeno fino a quando è la mia parola contro la loro. Invece di affrontare una verità scomoda, Lisa preferisce credere a una
menzogna. Forse lo trova più facile. Viktorsson alzò la mano interrompendo il filo dei suoi pensieri. «Naturalmente, seguirò questa inchiesta interna con grande attenzione. Per quanto riguarda Eva Persson, penso che dovremmo prendere le sue nuove dichiarazioni molto seriamente. È probabile che i fatti si siano svolti come lei ha affermato. In altre parole, che Sonja Hökberg abbia pianificato e portato a termine il crimine da sola.» Wallander non riusciva a credere alle proprie orecchie. Si guardò intorno cercando supporto dai colleghi che gli erano più vicini. Hansson, con una delle sue solite camicie di flanella a quadri, sembrava perso nei propri pensieri. Martinsson si stava passando una mano sul mento e Ann-Britt Höglund rimaneva seduta immobile. Nessuno dei tre aveva alzato lo sguardo. Ma Wallander aveva ugualmente la sensazione che fossero dalla sua parte. «Eva Persson mente» disse. «La sua prima versione è quella vera. E noi riusciremo a provarlo.» Viktorsson cercò di riprendere la parola, ma Wallander lo bloccò. Dubitava che tutti i presenti sapessero quello che Ann-Britt gli aveva detto la sera prima al telefono. «Sonja Hökberg è stata assassinata» continuò Wallander. «Il patologo ha riferito di avere trovato delle tracce di un colpo violento alla nuca. Un colpo che può essere stato mortale. O che può averle fatto perdere conoscenza. Poi, qualcuno ha gettato il suo corpo fra i cavi dell'alta tensione. Non c'è più alcun dubbio che sia stata assassinata.» Wallander aveva ragione. Tutti erano rimasti sorpresi dalla notizia. «Vorrei sottolineare che si tratta di un giudizio preliminare da parte del medico legale» continuò. «Questo significa che possiamo sicuramente aspettarci altre informazioni.» Tutti rimasero in silenzio. Wallander sentiva di avere preso il controllo. Il pensiero della fotografia sul giornale lo irritava, e questo gli dava una rinnovata energia. Quello che più lo indispettiva era la chiara sfiducia che Lisa Holgersson aveva dimostrato nei suoi confronti. Riprese, facendo un riepilogo dettagliato di quanto era successo. «Johan Lundberg è stato assassinato nel suo taxi. Sembrerebbe un omicidio per rapina premeditato e consumato frettolosamente. Le ragazze hanno dichiarato che lo hanno fatto perché avevano bisogno di soldi e per nessun altro motivo. Non fanno niente per fuggire. Dopo l'arresto, entrambe confessano quasi subito. Le loro versioni corrispondono e nessuna delle
due mostra alcun segno di pentimento. Abbiamo trovato le armi usate per compiere il delitto. Poi, Sonja Hökberg fugge dalla centrale. Deve averlo fatto seguendo un impulso improvviso. Dodici ore dopo viene ritrovata morta nella cabina dei trasformatori della Sydkraft. Come sia finita lì, è un quesito fondamentale al quale dobbiamo rispondere. Non sappiamo ancora perché sia stata assassinata. Contemporaneamente, accade qualcosa che ritengo della massima importanza. Eva Persson ritratta la sua confessione iniziale e addossa tutta la colpa alla Hökberg. Fornisce dei particolari che non possono essere verificati, dato che la Hökberg è ormai morta. Viene da chiedersi come la Persson sia riuscita a saperlo. O più correttamente: quando ha ritrattato, doveva saperlo. Ma la notizia dell'omicidio non è stata ancora resa pubblica. Sono pochissime le persone che ne sono informate. E ieri, quando Eva Persson ha cambiato la propria versione, erano ancora meno.» Wallander finì di parlare. Tutti lo avevano ascoltato con grande attenzione. Aveva posto i quesiti in modo preciso. «Che cosa ha fatto Sonja Hökberg quando è fuggita?» chiese Hansson. «È questo che dobbiamo cercare di scoprire.» «Sappiamo che non è andata a piedi fino alla cabina dei trasformatori» disse Wallander. «Anche se non possiamo provarlo al cento per cento, possiamo però dedurre che ci sia arrivata in macchina.» «Ho l'impressione che stiamo arrivando a conclusioni troppo affrettate» obiettò Viktorsson. «Non è da escludere che, quando è arrivata sul posto, fosse già morta.» «Non ho ancora finito» rispose Wallander. «Ma, naturalmente, quello che dici è possibile.» «C'è qualcosa che possa indurre a credere il contrario?» «No.» «Ripeto, non è forse molto più verosimile che Sonja Hökberg fosse già morta quando è stata portata laggiù? Che cosa ti fa credere che vi sia andata di sua spontanea volontà?» «Perché conosceva la persona che l'ha portata lì in auto.» Viktorsson scosse il capo. «Perché qualcuno dovrebbe decidere di andare a una centrale elettrica lontana da tutto? Oltretutto, pioveva. Che cosa esclude che sia stata uccisa in un altro luogo?» «Adesso sono io a sostenere che stiamo arrivando a conclusioni troppo affrettate» disse Wallander. «Stiamo cercando di valutare le diverse ipote-
si. Non stiamo prendendo alcuna decisione. Non ancora.» «Chi l'ha portata lì in auto?» intervenne Martinsson. «Quando sapremo questo, sapremo anche chi l'ha uccisa. Ma non perché.» «Si dovrà aspettare per questo» disse Wallander. «Per ora, ritengo che la persona che ha informato Eva Persson della morte di Sonja Hökberg sia il suo assassino.» Wallander fissò Lisa Holgersson. «Questo significa che Eva Persson è la chiave di tutto. È minorenne e mente. Ma adesso deve essere messa sotto torchio. Voglio sapere come è venuta a conoscenza della morte di Sonja Hökberg.» Wallander si alzò. «Dato che non sono io quello che deve interrogare Eva Persson, adesso vado a occuparmi d'altro.» Lasciò rapidamente la stanza molto soddisfatto della sua uscita di scena, anche se riconobbe che era stata un po' puerile. Ma era sicuro che aveva avuto effetto. Pensò che, con tutta probabilità, il compito di interrogare Eva Persson sarebbe stato affidato ad Ann-Britt Höglund, che sapeva quali domande fare. Dovevano riuscire a mettere l'assassino con le spalle al muro, senza concedergli via di scampo. Prese la sua giacca e lasciò la centrale di polizia. Aveva deciso di usare il proprio tempo per trovare una risposta a una domanda che non riusciva a togliersi dalla mente. Prima di lasciare il suo ufficio, prese due fotografie dalla cartella delle indagini e le mise in tasca. Si avviò verso il centro della città. C'era qualcosa di inverosimile in tutta quella storia che continuava a inquietarlo. Perché Sonja Hökberg era stata uccisa? Perché qualcuno aveva voluto farlo in quel modo, provocando un blackout in un quarto della Scania? Era veramente stata una semplice coincidenza? Oltrepassò la piazza centrale e arrivò a Hamngatan. Il locale dove Sonja Hökberg ed Eva Persson erano andate a bere una birra era chiuso. Wallander guardò attraverso la finestra. C'era qualcuno all'interno. Batté sul vetro. L'uomo continuò a muoversi dietro al bancone. Wallander batté più forte sul vetro. L'uomo alzò lo sguardo in direzione della finestra. Wallander gli fece cenno di avvicinarsi. Quando l'uomo lo riconobbe, sorrise e andò ad aprire la porta. «Sono solo le nove di mattina» disse. «E hai già fame?» «A dire il vero sì» rispose Wallander. «Ma mi accontenterò di una tazza di caffè. Devo parlarti.»
Istvån Kecskeméti era arrivato in Svezia dall'Ungheria nel 1956. Da allora aveva avuto diversi ristoranti e pizzerie a Ystad. Talvolta, quando Wallander non aveva voglia di prepararsi un pasto, andava a mangiare da lui. Anche se parlava troppo, era una persona che Wallander apprezzava e che era a conoscenza del suo problema con il diabete. Istvån era solo nella sala da pranzo. Dalla cucina arrivava il rumore di qualcuno che batteva la carne. La pizzeria apriva alle undici. Wallander prese posto a un tavolo in fondo alla sala. Mentre aspettava che Istvån gli portasse il caffè, si chiese dove le due ragazze si fossero sedute a bere birra quella sera, prima di chiamare il taxi. «Non ti si vede spesso» disse Istvån. «E quando vieni, la cucina è chiusa. Questo significa che non sei venuto per mangiare.» Istvån allargò le braccia sospirando. «Tutti chiedono aiuto a Istvån. Le associazioni sportive e quelle caritatevoli. E anche qualcuno che vuole creare un cimitero per gli animali. Tutti chiedono un contributo. E dicono che mi faranno pubblicità. Ma come si fa a fare pubblicità a una pizzeria in un cimitero per cani?» Prima di continuare, Istvån sospirò nuovamente. «Forse anche tu vuoi qualcosa. Vuoi che dia un contributo alla polizia svedese?» «Mi basterà che tu risponda ad alcune domande» disse Wallander. «Eri qui martedì scorso?» «Io sono sempre qui. Ma è passato tanto tempo da martedì scorso.» Wallander prese le due fotografie e le posò sul tavolo. Solo le luci sopra il bancone erano accese. «Guarda se le riconosci.» Istvån prese le fotografie e le portò dietro al bancone. Prima di tornare, le studiò a lungo. «Credo di sì.» «Hai sicuramente sentito parlare dell'omicidio del tassista.» «Che cosa orribile. È difficile crederci. E poi, due ragazzine...» In quello stesso istante Istvån capì la connessione. «Sono state queste due?» «Sì. E sono state qui quella sera. È importante che tu riesca a ricordare. Dove erano sedute. Se erano in compagnia di qualcuno.» Wallander vide che Istvån stava veramente facendo uno sforzo per ricordare. Rimase in attesa. Istvån si alzò, prese le due fotografie e iniziò ad aggirarsi fra i tavoli. Si muoveva lentamente, si fermava, esitava, conti-
nuava a cercare. Sta facendo precisamente quello che avrei fatto io, pensò Wallander. La questione è se riuscirà a ricordare. Istvån si fermò davanti a un tavolo vicino alla finestra. Wallander si alzò e lo raggiunse. «Credo che fossero sedute qui.» «Ne sei sicuro?» «Abbastanza sicuro.» «Come erano sedute?» Istvån rimase immobile un attimo. Poi, mentre Wallander aspettava, iniziò a girare intorno al tavolo, una volta, due volte, prima di fermarsi e piazzare le fotografie di Sonja Hökberg ed Eva Persson sul tavolo come avrebbe fatto con due menu. «Ne sei certo?» «Sì.» Ma Wallander notò che Istvån aveva aggrottato la fronte. Stava ancora cercando di ricordare. «C'è stato qualcosa quella sera» disse. «Ricordo di avere esitato a servirle perché non ero sicuro che la più giovane avesse veramente diciotto anni.» «Infatti non li aveva» disse Wallander. «Ma questo non ha importanza.» Istvån chiamò qualcuno di nome Laila. Una ragazza dai capelli biondi, evidentemente sovrappeso, arrivò dalla cucina. «Siediti» disse Istvån indicando la sedia che aveva occupato Eva Persson. «Che cosa c'è?» chiese la ragazza con un forte accento della Scania che persino Wallander aveva difficoltà a capire. «Devi solo stare seduta lì» disse Istvån. Wallander rimase in attesa osservando Istvån che cercava di ricordare. «C'è stato qualcosa quella sera» ripeté Istvån. Un attimo dopo, chiese a Laila di sedersi sull'altra sedia. «Hanno cambiato posto» disse Istvån. «A un certo momento della serata hanno cambiato posto.» Laila tornò in cucina. Wallander si sedette sulla sedia che Sonja Hökberg aveva occupato durante la prima parte della serata. Davanti a sé vedeva un muro e a lato la finestra che dava sulla strada. Ma il resto della sala era alle sue spalle. Ora, dopo avere cambiato posto, riusciva a vedere la porta d'ingresso. Una colonna e un séparé lasciavano un solo tavolo libero alla vista. Un tavolo per due.
«Quel tavolo era occupato?» chiese Wallander indicandolo. «Riesci a ricordare se qualcuno ha preso posto a quel tavolo più o meno nello stesso momento in cui le ragazze hanno cambiato posto?» Istvån rifletté. «Sì» disse. «Esattamente. Una persona è arrivata e si è seduta a quel tavolo. Ma non so se sia stato proprio quando le ragazze hanno cambiato posto.» Wallander trattenne il respiro. «Potresti descriverlo? Lo conosci?» «Non l'avevo mai visto prima. Ma non è difficile descriverlo.» «Perché?» «Perché aveva gli occhi obliqui.» Wallander non capì. «Che cosa vuoi dire?» «Che aveva gli occhi come i cinesi. O almeno come un asiatico.» Wallander capiva di essere vicino a qualcosa di importante. «È rimasto seduto al tavolo dopo che le ragazze se ne sono andate?» «Sì. Almeno un'ora.» «Hanno avuto qualche contatto?» Istvån scosse il capo. «Non saprei. Io non l'ho notato. Ma è possibile.» «Ricordi come ha pagato il conto?» «Con una carta di credito, mi sembra. Ma non ne sono sicuro.» «Bene» disse Wallander. «Puoi cercare quel conto?» «L'ho già spedito. Credo che fosse una carta di credito dell'American Express.» «In questo caso, fammi avere la tua copia del conto.» Il caffè si era raffreddato. Wallander aveva fretta. Sonja Hökberg ha visto qualcuno arrivare per strada, pensò. Ha cambiato posto con Eva Persson per poter vedere quell'uomo con gli occhi di un asiatico. «Che cosa stai cercando?» chiese Istvån. «Sto solo cercando di capire come sono andate le cose» rispose Wallander. «Niente di più.» Salutò Istvån e lasciò il ristorante. Un uomo con gli occhi a mandorla, pensò. Improvvisamente fu colto da un senso di inquietudine. Allungò il passo. Ora aveva fretta.
11. Quando Wallander arrivò alla centrale di polizia era senza fiato. Aveva camminato rapidamente perché sapeva che Ann-Britt Höglund stava interrogando Eva Persson. Doveva assolutamente informare la sua collega di quello che era venuto a sapere nella pizzeria di Istvan per ottenere risposte alle nuove domande. Irene gli diede diversi biglietti di messaggi telefonici, e Wallander li mise in tasca senza leggerli. Telefonò al numero della stanza dove Ann-Britt Höglund stava interrogando Eva Persson. «Ero proprio sul punto di finire» disse Ann-Britt. «No» disse Wallander. «Sono emersi nuovi elementi. Fai una pausa. Ti aspetto nel corridoio.» Dal suo tono di voce, Ann-Britt Höglund capì che si trattava di una questione urgente. Quando uscì dalla stanza, Wallander la stava aspettando impaziente e non perse tempo. Le parlò subito del cambio di posto nella pizzeria, e dell'apparizione dell'uomo dai lineamenti asiatici che si era seduto all'unico tavolo che Sonja Hökberg riusciva a vedere. Quando finì, notò che Ann-Britt Höglund sembrava incerta. «Un uomo dai lineamenti asiatici?» «Sì.» «Credi che sia veramente importante?» «Sonja Hökberg ha cambiato posto perché voleva vedere quell'uomo. Deve significare qualcosa.» Ann-Britt Höglund scosse le spalle. «Gliene parlerò. Era proprio questa la domanda che volevi che le facessi?» «Chiedi anche perché hanno cambiato posto. E anche quando. Cerca di capire se sta mentendo. Chiedile anche se ha notato l'uomo seduto al tavolo alle sue spalle.» «Non è facile capire se stia mentendo oppure no.» «Continua a insistere sulla sua nuova versione dei fatti?» «Sì. Sostiene che è stata Sonja Hökberg a pugnalare e colpire Lundberg con il martello. Lei non ne sapeva nulla.» «Che cosa ha detto quando le hai ricordato che in un primo tempo aveva confessato?» «Ha risposto che aveva paura di Sonja.» «Perché aveva paura?» «Gliel'ho chiesto. Ma non ha voluto rispondere.»
«Pensi che avesse veramente paura?» «No. Mente.» «Come ha reagito quando ha saputo che Sonja Hökberg è morta?» «È rimasta in silenzio. Un silenzio poco convincente. Per niente naturale. Personalmente credo che la notizia l'abbia scossa.» «Vuoi dire che non lo sapeva?» «Credo di no. Adesso devo andare.» Ann-Britt Höglund si alzò e, una volta arrivata alla porta, si fermò. «Sua madre le ha trovato un avvocato. Si chiama Klas Harrysson. Ha già preparato la denuncia a tuo carico.» Wallander non riconobbe il nome dell'avvocato. «È un giovane e ambizioso avvocato di Malmö. Sembra sicuro di vincere.» Per un attimo, Wallander fu colto da una grande stanchezza. Ma subito dopo, la rabbia ebbe il sopravvento. Si sentiva vittima di un'ingiustizia. «Sei riuscita a farle dire qualcosa di nuovo? Qualcosa che non era venuto a galla prima?» «Se devo essere sincera, credo che Eva Persson non sia molto intelligente. Ma continua a sostenere la nuova versione dei fatti. Non la cambia di una virgola. La ripete come un automa.» Wallander scosse il capo. «C'è qualcosa di molto più serio dietro l'omicidio di Lundberg» disse. «Ne sono convinto.» «Spero che tu abbia ragione. Cioè, che il movente per uccidere un tassista a casaccio non sia stato solo il bisogno di soldi.» Ann-Britt Höglund tornò da Eva Persson e Wallander tornò nel suo ufficio. Cercò Martinsson al telefono senza risultato. Anche Hansson era uscito. Wallander iniziò a leggere i biglietti con i messaggi telefonici che gli aveva dato Irene. La maggior parte delle persone che lo avevano cercato erano giornalisti. Ma c'era anche una chiamata dalla ex moglie di Tynnes Falk. Wallander mise da parte il biglietto e chiamò Irene, dicendole che non voleva essere disturbato. Poi chiamò il servizio informazioni e chiese il numero dell'ufficio dell'American Express. Si presentò e spiegò il motivo della sua telefonata. Rispose una donna che si chiamava Anita che gli chiese di riagganciare. Avrebbe richiamato lei per verificare la posizione di Wallander. Wallander posò il ricevitore e aspettò. Dopo alcuni minuti si ricordò di avere detto a Irene che non voleva essere disturbato. Inveendo dentro di sé, richiamò l'American Express e avvertì Irene. Questa volta la
chiamata di controllo funzionò. Wallander diede tutte le informazioni necessarie. «Come puoi capire, ci vorrà un po' di tempo» disse Anita. «Capisco, ma è una cosa molto urgente.» «Farò del mio meglio.» Appena finita la conversazione, Wallander chiamò l'officina. Il proprietario rispose dopo alcuni minuti. Quando sentì il prezzo, Wallander rimase sbigottito. L'unica consolazione era che l'auto sarebbe stata pronta il giorno dopo. Il prezzo esorbitante era dovuto al costo dei pezzi di ricambio e non a quello della manodopera. Wallander promise di ritirare l'auto a mezzogiorno. Rimase seduto immobile. Nella sua mente, era nella stanza dove AnnBritt stava interrogando Eva Persson. Non poter essere presente, lo irritava enormemente. Quando si trattava di mettere sotto torchio qualcuno, AnnBritt non era sempre efficiente. Inoltre Wallander era stato accusato ingiustamente. E Lisa Holgersson si era dimostrata scettica davanti agli altri. E Wallander non poteva perdonarglielo. Per far passare il tempo, decise di telefonare alla moglie di Tynnes Falk. La donna rispose immediatamente. «Mi chiamo Wallander. Vorrei parlare con la signora Marianne Falk.» «Finalmente. Stavo aspettando la tua telefonata.» La voce della donna era chiara e piacevole. Wallander si disse che gli ricordava quella di Mona. Per un attimo provò una vaga sensazione che era un misto di nostalgia e di tristezza. «Il dottor Enander ti ha contattato?» chiese Marianne Falk. «Sì, mi ha parlato.» «Allora sai che Tynnes Falk non è morto di infarto.» «Può essere una conclusione azzardata.» «Per quale motivo? Tynnes è stato aggredito.» Marianne Falk aveva parlato con tono deciso. Improvvisamente Wallander sentì l'interesse crescere dentro di sé. «Si direbbe che ti aspettassi una cosa simile» disse. «Che cosa?» «Che tuo marito facesse una brutta fine. Che fosse aggredito.» «Infatti me l'aspettavo. Tynnes aveva molti nemici.» Wallander prese un bloc-notes e una penna e si mise gli occhiali. «Che tipo di nemici?» «Non lo so. Ma Tynnes era sempre preoccupato.» Wallander cercò di ricordare quello che aveva letto nel rapporto di
Martinsson. «Aveva una società di consulenza informatica? È così?» «Sì.» «Non mi sembra un lavoro particolarmente pericoloso.» «Dipende da quello che uno fa.» «E tuo marito che cosa faceva?» «Non lo so.» «Non lo sai?» «No.» «Eppure credi che sia stato aggredito?» «Io conoscevo mio marito. Anche se non potevamo vivere insieme. In questi ultimi anni era sempre più preoccupato.» «Non ti ha mai detto per quale motivo?» «Tynnes era una persona che parlava poco.» «Hai detto che aveva dei nemici.» «È quello che Tynnes diceva.» «Chi erano i suoi nemici?» Marianne Falk esitò prima di rispondere. «So che può sembrare strano» disse. «Ma non posso essere più precisa. Anche se abbiamo vissuto insieme per tanti anni e abbiamo avuto due figli insieme.» «Nessuno usa la parola "nemico" senza avere un motivo preciso.» «Tynnes viaggiava molto. In tutto il mondo. Lo ha sempre fatto. Non posso dire quali persone incontrasse. Ma a volte, tornava a casa soddisfatto ed euforico. In altre occasioni, quando andavo a prenderlo all'aeroporto di Sturup, notavo che era preoccupato.» «Ma deve aver detto qualcosa di più. Perché aveva dei nemici? Chi erano?» «Tynnes non parlava molto. Ma io gliela leggevo in volto la sua preoccupazione.» Wallander aveva l'impressione che la donna con cui stava parlando fosse molto tesa. «C'era altro che volevi dirmi?» «Non è stato un infarto. Voglio che la polizia scopra quello che è accaduto veramente.» Wallander rifletté prima di rispondere. «Ho preso nota di quello che mi hai detto. Ci faremo vivi, se e quando sarà necessario.»
«Mi aspetto che riusciate a scoprire quello che è successo. Eravamo divorziati. Tynnes e io. Ma io lo amavo ancora.» Il colloquio era terminato. Wallander si chiese distrattamente se anche Mona lo amasse ancora. Anche se si era sposata con un altro uomo. Non credo proprio, si disse. La domanda è se Mona mi abbia mai veramente amato. Irritato, scacciò i pensieri su Mona e iniziò a riflettere su quello che aveva detto Marianne Falk. L'inquietudine della donna gli era sembrata genuina. Ma quello che aveva raccontato non era stato particolarmente determinante. Soprattutto, non lo aveva aiutato a capire chi fosse veramente Tynnes Falk. Wallander cercò il rapporto di Martinsson e poi compose il numero dell'Istituto di patologia a Lund. Nel frattempo continuava ad aspettare di sentire i passi di Ann-Britt Höglund nel corridoio. Voleva conoscere l'esito dell'interrogatorio di Eva Persson. Tynnes Falk era morto per un infarto. L'inquietudine della sua ex moglie, che lo immaginava circondato da nemici, non cambiava quel dato di fatto. Wallander parlò ancora una volta con il medico che aveva eseguito l'autopsia e gli raccontò quanto gli aveva detto Marianne Falk. «È abbastanza normale che un infarto colpisca senza preavviso» disse il medico. «Ed è questo che ha ucciso quell'uomo. L'autopsia lo dimostra. Né quello che mi hai appena riferito, né quanto mi hai detto in precedenza possono modificare questa conclusione.» «E la ferita alla testa?» «Se l'è procurata cadendo sull'asfalto.» Wallander ringraziò e posò il ricevitore. Per un attimo fu colto da un senso di incertezza. Marianne Falk era certa che il suo ex marito fosse preoccupato. Con un sospiro, ripose il rapporto di Martinsson in un cassetto. Non poteva permettersi di perdere tempo dietro alle supposizioni della gente. Andò a prendere una tazza di caffè. Erano le undici e mezza. Martinsson e Hansson non erano ancora rientrati. Nessuno sapeva dove fossero. Wallander tornò nel suo ufficio e controllò ancora una volta i messaggi telefonici. Anita dell'American Express non aveva ancora richiamato. Si alzò, andò alla finestra e rimase a osservare il cielo. Alcuni corvi gracchiavano in modo stridulo. Era impaziente e irritato. La decisione di Sten Widén di cambiare vita lo angustiava. Era come se fosse arrivato ultimo in una corsa che non si era mai illuso di vincere ma neppure di perdere in quel modo. Era un pensiero vago. Ma sapeva quello che lo disturbava maggiormente.
Ed era la sensazione che il tempo gli stesse sfuggendo dalle mani. «Non posso andare avanti così» disse ad alta voce. «Presto, qualcosa dovrà cambiare.» «Con chi stai parlando?» Wallander si voltò. Martinsson era fermo nel vano della porta. Wallander non lo aveva sentito arrivare. Nessuno nella centrale di polizia di Ystad si muoveva silenziosamente come Martinsson. «Stavo parlando da solo» disse Wallander. «Non ti capita mai?» «Mia moglie parla nel sonno. Forse è la stessa cosa.» «Che cosa volevi?» «Ho controllato tutti quelli che hanno le chiavi della cabina dei trasformatori. Nessuno compare nei nostri registri.» «C'era da aspettarselo.» «Ho cercato di capire perché il cancello è stato forzato» disse Martinsson. «Da come la vedo io, ci sono solo due possibilità. La prima, e la più ovvia, è che mancassero le chiavi. La seconda è che qualcuno ha voluto farci credere qualcosa che non riusciamo ancora a capire.» «E che cosa potrebbe essere?» «Un atto di vandalismo o qualcosa di simile.» Wallander scosse il capo. «La porta d'acciaio è stata aperta con le chiavi. Da quello che posso capire, c'è una terza alternativa: che la persona che ha forzato il cancello non sia la stessa che ha aperto la porta della cabina dei trasformatori.» Martinsson sembrava poco convinto. «Come lo spieghi?» «Non lo spiego affatto. Sto solo prendendo in considerazione un'ipotesi.» La conversazione si esaurì. Martinsson tornò nel suo ufficio. Era ormai mezzogiorno. Wallander continuava ad aspettare. A mezzogiorno e venticinque arrivò Ann-Britt Höglund. «Non si può certo accusare Eva Persson di avere fretta» disse. «Come è possibile che una ragazza così giovane parli così lentamente?» «Forse aveva paura di dire qualcosa di sbagliato» disse Wallander. Ann-Britt si sedette. «Le ho fatto le domande che mi hai detto di fare» disse. «Sostiene di non avere visto alcun cinese.» «Io non ho detto cinese. Ho detto asiatico.» «In ogni caso, Eva Persson dice di non avere visto nessuno. Ha dichiara-
to che avevano cambiato posto perché la Hökberg era infastidita dalla corrente d'aria che proveniva dalla finestra.» «Come ha reagito alla domanda?» Ann-Britt Höglund si fece più seria. «Esattamente come avevi immaginato tu. Non se l'aspettava. E quando ha risposto, era chiaro che stava mentendo.» Wallander batté la mano sul ripiano della scrivania. «Bene» disse. «Adesso sappiamo che c'è un legame con quell'uomo che è entrato nella pizzeria più tardi.» «Che tipo di legame?» «Non lo sappiamo ancora» rispose Wallander. «Comunque, non si tratta del semplice omicidio di un tassista.» «Non riesco a capire quello che possiamo fare per mandare avanti l'indagine.» Wallander le parlò della risposta che attendeva dall'American Express. «A breve avremo un nome» disse. «E quel nome ci farà compiere un grande passo avanti. Nel frattempo vorrei che tu facessi una visita a casa di Eva Persson. Devi controllare la sua camera e voglio sapere dove è suo padre.» Ann-Britt Höglund sfogliò il suo bloc-notes. «Si chiama Hugo Lövström. I suoi genitori non si sono mai sposati.» «Abita qui in città?» «Sembra che abiti a Växjö.» «Che cosa significa "sembra"?» «Significa che, secondo Eva Persson, suo padre è un ubriacone e un vagabondo. Quella ragazza è piena di odio. È difficile dire se detesti di più suo padre o sua madre.» «Hanno dei contatti?» «Non sembrerebbe.» Wallander rifletté. «Non riusciamo ad arrivare al fondo di questa storia» disse. «Dobbiamo scoprire che cosa c'è dietro. O forse mi sto sbagliando. Forse i giovani di oggi, e non solo i ragazzi, ritengono veramente che un omicidio non sia niente di eccezionale. In questo caso mi arrenderei. Ma non sono ancora pronto a farlo. Qualcosa deve averle spinte ad agire.» «Forse dovremmo vederlo come un dramma a tre.» «Che cosa vuoi dire?» «Forse dovremmo controllare Johan Lundberg più da vicino.»
«Per quale motivo? Non potevano certo sapere quale tassista avrebbe risposto alla loro chiamata.» «Sì, naturalmente hai ragione.» Wallander notò che Ann-Britt Höglund stava pensando a qualcosa. «Ma forse possiamo capovolgere la cosa» disse incerta. «Ammettiamo che si sia trattato di un gesto impulsivo. Le ragazze hanno chiamato un taxi. Forse riusciremo a sapere dove volevano essere portate. Ma supponi che una di loro o forse entrambe abbiano reagito quando hanno scoperto che era stato proprio Lundberg a rispondere alla chiamata.» Wallander annuì. «Hai ragione» disse. «È una possibilità.» «Le ragazze erano armate. Questo lo sappiamo. Con un coltello e un martello. Chiamiamola la dotazione standard che oggigiorno puoi trovare nelle borse dei giovani, ragazze incluse. Le nostre due vedono che al volante c'è Lundberg e lo uccidono. Può essere andata così. Anche se è un'ipotesi azzardata.» «Non più di tante altre» disse Wallander. «Controlliamo se abbiamo mai avuto a che fare con Lundberg.» Ann-Britt Höglund si alzò e uscì dalla stanza. Wallander prese un blocnotes e cercò di scrivere un riepilogo di quello che gli aveva detto. All'una, posò la penna insoddisfatto. Non era riuscito a concludere molto e sentiva i morsi della fame. Andò alla mensa per vedere se era rimasto qualche panino. Non c'era più niente. Wallander tornò a prendere la sua giacca e lasciò la centrale di polizia. Questa volta aveva preso il suo cellulare e aveva detto a Irene di passargli la telefonata dell'American Express. Andò fino al ristorante più vicino. Entrando si accorse che la gente lo riconosceva. La fotografia sul giornale era sicuramente stata oggetto di commenti fra gli abitanti di Ystad. La cosa lo infastidiva e mangiò il più rapidamente possibile. Il cellulare squillò non appena Wallander tornò in strada. Era Anita. «L'abbiamo trovato» disse. Wallander cercò invano un pezzo di carta e una penna nelle sue tasche. «Posso richiamarti?» disse. «Fra dieci minuti.» Anita gli diede il suo numero diretto. Wallander si affrettò a tornare nel suo ufficio e, appena arrivato, la richiamò. «La carta di credito è intestata a un certo Fu Cheng.» Wallander prese nota. «È stata emessa a Hong Kong. Questo Fu Cheng ha un indirizzo a Kowloon.»
Wallander le chiese di fare lo spelling. «C'è solo un problema» continuò Anita. «La carta di credito è falsa.» Wallander sussultò. «Vuoi dire che è bloccata?» «No, peggio. Non è una carta di credito rubata. È stata falsificata. L'American Express non ha mai emesso una carta di credito a una persona di nome Fu Cheng.» «Che cosa significa?» «Per prima cosa che è stato un bene scoprire che è falsa. Per il resto, che purtroppo il proprietario della pizzeria non sarà pagato. A meno che non abbia un'assicurazione.» «Quindi questo significa che non c'è nessun Fu Cheng?» «Non necessariamente. Ma la carta di credito è falsa. Lo stesso vale per il suo indirizzo.» «Perché non me lo hai detto subito?» «Ho cercato di farlo.» Wallander ringraziò per le informazioni e posò il ricevitore. Un uomo che forse era originario di Hong Kong era comparso nella pizzeria di Istvan a Ystad e aveva pagato con una carta di credito falsificata. Un uomo che aveva avuto un contatto visivo con Sonja Hökberg. Wallander cercò di individuare una connessione che gli permettesse di fare un passo avanti. Ma non riuscì a trovarne nessuna. Non c'era alcun legame. Forse sto fantasticando, pensò. Forse Sonja Hökberg ed Eva Persson sono dei mostri del nostro tempo, mostri che tolgono la vita ad altri esseri con indifferenza. La sua scelta di parole lo fece sussultare. Le aveva definite dei mostri. Una ragazza di diciannove anni e una di quattordici. Chiuse il bloc-notes. Non poteva più rimandare. Doveva preparare l'intervento che aveva promesso di fare quella sera stessa. Anche se aveva deciso di raccontare senza tante perifrasi del suo lavoro e dell'indagine sull'omicidio nella quale era attualmente coinvolto, doveva elaborare i pochi appunti che aveva scritto. In caso contrario, il nervosismo avrebbe preso il sopravvento. Iniziò a scrivere, ma aveva difficoltà a concentrarsi. L'immagine del cadavere carbonizzato di Sonja Hökberg continuava a tornargli in mente. Prese il telefono e chiamò Martinsson. «Vedi se riesci a trovare qualcosa sul padre di Eva Persson» disse. «Hugo Lövström. Dovrebbe essere a Växjö. Alcolista e senza fissa dimora.»
«In questo caso sarà più facile trovarlo telefonando ai colleghi di Växjö» rispose Martinsson. «Comunque, sto occupandomi di Lundberg.» «Di tua iniziativa?» chiese Wallander sorpreso. «No. È stata Ann-Britt Höglund a chiedermelo. Lei è andata a casa di Eva Persson. Mi chiedo che cosa pensa di trovare lì.» «Ho un altro nome per i tuoi pc» disse Wallander. «Fu Cheng.» «Che cosa hai detto?» Wallander ripeté facendo lo spelling. «Chi diavolo è?» «Te lo spiegherò più tardi. Sarebbe opportuno fare una riunione nel pomeriggio. Diciamo verso le quattro e mezza. Sì, a quell'ora.» «Si chiama proprio Fu Cheng?» chiese Martinsson incredulo. Wallander non rispose. Per il resto del pomeriggio, preparò il discorso che avrebbe fatto quella sera. Gli interventi di quel tipo erano una delle cose che detestava maggiormente. L'anno prima era stato invitato alla Scuola di polizia e aveva tenuto una conferenza sulla sua esperienza di investigatore. Personalmente aveva considerato il suo intervento un insuccesso. Ma alla fine, molti allievi poliziotto erano andati a congratularsi con lui. Wallander non era mai riuscito a capire perché lo avessero fatto. Alle quattro e mezza smise di scrivere. Vada come vuole, si disse. Raccolse le sue carte e si avviò verso la sala riunioni. Quando entrò non c'era nessuno. Cercò di fare un riepilogo mentale. Ma aveva difficoltà a concentrarsi. Questa storia non ha senso, pensò. Non c'è alcun nesso fra l'assassinio di Lundberg e le due ragazze. Tutta questa indagine non segue alcuna logica. Anche se sappiamo quello che è accaduto, ciò che ci manca è un grande e risolutivo perché. Hansson arrivò in compagnia di Martinsson e pochi minuti dopo anche Ann-Britt Höglund prese posto. Wallander non aveva informato Lisa Holgersson della riunione. Non si trattennero a lungo. Ann-Britt Höglund era andata a casa di Eva Persson. «Niente fuori dall'ordinario» disse. «Un appartamento a Stödgatan. La madre lavora come cuoca all'ospedale. La camera della ragazza era come ci si può aspettare.» «Hai notato dei poster appesi ai muri?» «Uno di un gruppo pop che non conosco» rispose Ann-Britt Höglund.
«Ma niente di preoccupante. Perché me lo chiedi?» Wallander non rispose. La trascrizione dell'interrogatorio di Eva Persson era già pronta. AnnBritt Höglund distribuì le copie. Wallander fece un resoconto del suo colloquio con Istvån che aveva portato alla scoperta della carta di credito falsificata. «Dobbiamo trovare quell'uomo» concluse Wallander. «Se non altro per poterlo eliminare dall'indagine.» Continuarono la riunione esaminando i risultati del lavoro del giorno. Martinsson intervenne per primo, e poi Hansson, che aveva parlato con Kalle Ryss che, secondo Eva Persson, era uno degli amici di Sonja Hökberg. Ma il ragazzo sembrava estraneo alla storia e, in verità, non sembrava conoscere Sonja Hökberg molto bene. «Ha detto che era misteriosa» concluse Hansson. «Ma non ho capito in che senso.» Dopo venti minuti, Wallander fece un breve riepilogo. «Lundberg è stato assassinato da una delle ragazze o da entrambe» iniziò. «Sostengono che il motivo sia stato il denaro. Il denaro in senso generale. Ma io non credo che sia così semplice e per questo dobbiamo continuare a cercare. Sonja Hökberg è stata assassinata a sua volta. Deve esserci un legame fra questi due avvenimenti. Un legame che non siamo ancora riusciti a scoprire. Un legame che è alla base di questa storia. Per questo siamo costretti a lavorare senza un vero obiettivo. Naturalmente, alcune domande sono più importanti di altre. Chi ha portato Sonja Hökberg fino alla centrale elettrica? Perché è stata uccisa? Dobbiamo trovare e interrogare tutti quelli che conoscevano le ragazze. Credo che questa indagine richiederà più tempo di quello che abbiamo immaginato. Ci vorrà molto per arrivare a trovare una soluzione definitiva.» La riunione terminò pochi minuti prima delle cinque. Ann-Britt Höglund gli augurò buona fortuna per la serata che lo aspettava. «Mi accuseranno sicuramente di essere un uomo che maltratta le donne» disse Wallander. «Non lo credo. Tu hai un'ottima reputazione.» «Credevo che fosse stata rovinata da tempo.» Wallander andò a casa. Era arrivata una lettera di Per Åkesson dal Sudan. Wallander la mise sul tavolo della cucina. L'avrebbe letta più tardi. Fece una doccia e si cambiò. Alle sei e mezza uscì di casa e si avviò verso il luogo in cui avrebbe incontrato tutte quelle donne che non conosceva.
Quando arrivò, rimase per qualche minuto nell'ombra a osservare le finestre illuminate prima di trovare il coraggio di entrare. Quando tornò a casa erano le nove passate. Era ancora teso e sudato. Aveva parlato più a lungo del previsto. Anche le domande erano state più numerose di quello che si era aspettato. Ma le donne che avevano partecipato lo avevano ispirato. La maggior parte avevano la sua età, e la loro attenzione lo aveva lusingato. Quando aveva finito, per un attimo aveva provato il desiderio di rimanere. Era tornato a casa camminando lentamente. Ricordava a malapena quello che aveva detto. Ma lo avevano ascoltato. Quella era la cosa più importante. Inoltre, una delle presenti, una donna della sua età, aveva attirato la sua attenzione in modo particolare. Prima di andarsene, Wallander le si era avvicinato e aveva scambiato qualche parola con lei. Si chiamava Solveig Gabrielsson. Rientrando non riusciva a smettere di pensare a lei. Quando arrivò a casa, scrisse il suo nome sul bloc-notes in cucina. Si chiese perché lo avesse fatto, ma non riuscì a darsi una spiegazione. Stava togliendosi la giacca quando il telefono squillò. Era Martinsson. «Com'è andata la serata?» chiese. «Bene. Ma non credo che sia per questo che mi telefoni.» Martinsson non rispose immediatamente. «Sono ancora in ufficio» disse. «Ho ricevuto una telefonata dall'Istituto di patologia di Lund e non so bene che cosa fare.» Wallander trattenne il respiro. «Tynnes Falk» continuò Martinsson. «Lo ricordi?» «L'uomo morto davanti ai Bancomat. Certamente lo ricordo.» «Sembra che il suo corpo sia sparito.» Wallander aggrottò la fronte. «Un corpo può sparire solo quando viene messo in una bara.» «Dovrebbe essere così. Ma in questo caso, qualcuno ha rubato il cadavere.» Wallander non riuscì a trovare le parole. «Ma non è tutto» disse Martinsson. «Il cadavere è sparito ma al suo posto è stato trovato qualcos'altro.» «Che cosa?» «Un relè guasto.»
Wallander non era sicuro di sapere cosa fosse realmente un relè. A parte che aveva qualcosa a che fare con l'elettricità. «Non si tratta di un normale relè» continuò Martinsson. «Ma di uno grande.» Wallander sentì che il suo cuore aveva iniziato a battere più forte. Aveva intuito la risposta. «Dove viene usato un relè grande?» «In una cabina di trasformatori. Come quella dove abbiamo trovato il corpo di Sonja Hökberg.» Wallander rimase in silenzio. C'era un nesso. Ma non del tipo che si era aspettato. 12. Martinsson lo aspettava seduto in mensa. Erano le dieci di giovedì sera. A parte il debole suono di una radio dalla sala operativa dove tutte le chiamate notturne venivano registrate e smistate, la centrale di polizia era immersa nel silenzio. Martinsson stava bevendo una tazza di tè e mangiando un biscotto. Wallander si mise a sedere senza togliersi la giacca. «Com'è andata la conferenza?» «Me lo hai già chiesto.» «Fino a qualche tempo fa, mi piaceva parlare in pubblico. Oggi non so se riuscirei a farlo.» «Lo faresti sicuramente meglio del sottoscritto. Ma se vuoi proprio saperlo, ho contato diciannove donne di mezza età che ascoltavano religiosamente, o forse con un po' di raccapriccio, quando ho toccato gli aspetti più cruenti del nostro lavoro al servizio della comunità. Sono state molto gentili e hanno fatto domande cortesi e futili alle quali ho risposto in un modo che avrebbe incontrato l'approvazione del nostro caro capo. Ti basta?» Martinsson annuì, spazzò via le briciole di biscotto dal tavolo e aprì il suo bloc-notes. «Dunque, alle nove meno nove minuti l'agente di turno riceve una telefonata che mi passa, perché non si tratta di una richiesta di intervento e sa che io sono ancora nel mio ufficio. Se non ci fossi stato, l'agente avrebbe chiesto alla persona che ha telefonato di richiamare domani mattina. L'uo-
mo che ha telefonato si chiama Pålsson. Sture Pålsson. Non sono riuscito a capire che titolo avesse. Ma deve essere qualcosa come il responsabile della camera mortuaria dell'Istituto di patologia di Lund. Probabilmente non si chiama più camera mortuaria, ma tu capisci senz'altro quello che voglio dire. Il locale frigorifero dove i corpi sono conservati in attesa dell'autopsia o di essere prelevati dall'impresa di pompe funebri. Verso le otto, Pålsson ha notato che una delle celle frigorifere non era completamente chiusa. Quando l'ha aperta ha scoperto che al posto del corpo c'era un relè elettrico. A quel punto, ha telefonato all'assistente che era stato in servizio durante il giorno. Un uomo che si chiama Lyth. Questi ha affermato di essere certo che il corpo era ancora al suo posto quando se ne era andato a casa verso le sei. Quindi, il corpo è scomparso fra le sei e le otto di sera. C'è un secondo ingresso dal giardino sul retro dell'edificio. Pålsson va a controllare e scopre che la porta è stata forzata. Telefona subito alla centrale di polizia di Malmö. Il tutto si svolge rapidamente. Una pattuglia della polizia arriva sul posto dopo quindici minuti. Quando gli agenti vengono a sapere che il corpo sparito è stato mandato da Ystad per un esame medico-legale, chiedono a Pålsson di contattarci. Cosa che ha fatto.» Martinsson posò il bloc-notes. «Dunque, è un caso per i colleghi di Malmö» continuò. «Cercare il corpo, voglio dire. Ma non c'è dubbio che riguarda anche noi.» Quello che era accaduto era a dir poco bizzarro. Ma anche inquietante. Wallander sentì l'ansia crescere dentro di sé. «Possiamo presumere che i colleghi penseranno a rilevare le impronte» disse. «Mi sto chiedendo come si possa definire il reato di sequestro di un cadavere. Furto aggravato? O violazione della pace eterna? Non è facile, e c'è il rischio che nessuno lo prenda sul serio. Nyberg deve avere rilevato delle impronte nella cabina dei trasformatori.» Aggrottò la fronte. «Credo di sì. Vuoi che gli telefoni?» «Non ora. Ma sarebbe bene che i colleghi di Malmö cercassero delle impronte su quel relè. Chiamali.» «Adesso?» «Sì. Per tutta sicurezza.» Martinsson andò a telefonare. Wallander andò a prendere una tazza di caffè cercando di trovare una spiegazione a quello che era successo. C'era un nesso. Ma assolutamente non quello che aveva sperato. Era ancora possibile che si trattasse di una strana coincidenza. Gli era capitato altre volte.
Ma qualcosa gli diceva che questa volta non era così. Qualcuno si era introdotto nella camera mortuaria e aveva portato via un cadavere. In cambio, aveva lasciato un relè elettrico. Wallander pensò a una frase che Rydberg aveva detto molti anni prima, proprio all'inizio della loro collaborazione. Spesso, i delinquenti lasciano un messaggio sul luogo del crimine. A volte lo fanno di proposito. Ma altre volte, il loro messaggio è la conseguenza di un errore. Questo non è un errore, pensò Wallander. Nessuno si porta dietro un grande relè elettrico per sbaglio. Nessuno lo dimenticherebbe su una barella in una camera mortuaria. Qualcuno voleva che fosse scoperto. E non è certamente un messaggio per i patologi. Il messaggio era per noi. Anche la seconda domanda era ovvia. Perché portare via un cadavere? Naturalmente, a volte capitava che i corpi dei membri di alcune sette fossero portati via. Ma non era il caso di Tynnes Falk. Anche se, naturalmente, non potevano esserne sicuri al cento per cento. Rimaneva dunque una sola risposta. Il cadavere era stato portato via per nascondere qualcosa. Martinsson tornò in mensa. «La fortuna è dalla nostra parte. Il relè non è stato gettato in un angolo. I colleghi lo hanno messo subito in un sacchetto di plastica.» «Impronte digitali?» «Stanno rilevandole.» «Nessuna traccia del corpo?» «No.» «Nessun testimone?» «Non che io sappia.» Wallander gli spiegò le conclusioni alle quali era arrivato. Martinsson era d'accordo. Il relè non era frutto di una coincidenza. Il corpo era stato portato via per nascondere qualcosa. Wallander gli parlò anche della visita di Enander e del colloquio che aveva avuto con la ex moglie di Tynnes Falk. «Confesso di non avere preso le loro dichiarazioni troppo seriamente» disse Wallander. «Ho sempre creduto nelle capacità dei patologi.» «Il solo fatto che il corpo di Tynnes Falk sia stato portato via non significa che sia stato assassinato.» Wallander annuì. Naturalmente Martinsson poteva avere ragione. «Eppure, non posso credere che l'unico motivo sia il timore che venga scoperta la vera causa della morte di Tynnes Falk.» «Può darsi che Tynnes Falk avesse ingoiato qualcosa?»
Wallander inarcò le sopracciglia. «Ingoiato cosa?» «Diamanti. Droga. Quello che vuoi.» «Sarebbe risultato dall'autopsia.» «Che cosa possiamo fare allora?» «Capire chi era Tynnes Falk» disse Wallander. «Dato che il caso era stato archiviato, non ci siamo preoccupati di indagare sulla sua persona e sulla sua vita. Ma Enander si è preso la briga di venire qui e di mettere in dubbio la causa della sua morte. Durante il nostro colloquio, l'ex moglie di Tynnes Falk mi ha detto che era preoccupato. E che aveva molti nemici. Ha detto anche molte altre cose che possono far pensare che il suo ex marito fosse una persona complessa.» Martinsson fece una smorfia. «Un consulente di informatica con tanti nemici?» «È quello che ha detto Marianne. Nessuno di noi le ha mai parlato prima.» Martinsson aveva preso con sé la cartella che conteneva le scarse informazioni su Tynnes Falk. «Non abbiamo mai parlato con i figli» disse. «Non abbiamo parlato con nessuno. Non lo abbiamo fatto perché credevamo che fosse una morte naturale.» «È quello che crediamo ancora» disse Wallander. «O meglio, è plausibile quanto qualsiasi altra ipotesi. Ma quello che dobbiamo ammettere è che esiste un legame fra Tynnes Falk e Sonja Hökberg. Forse anche con Eva Persson.» «Perché non anche con Lundberg?» «Hai ragione. Forse anche con il tassista.» «In ogni caso, possiamo essere sicuri che Tynnes Falk era morto quando Sonja Hökberg è rimasta carbonizzata» disse Martinsson. «Quindi non può essere stato lui a ucciderla.» «Se accettiamo l'ipotesi che, dopo tutto, qualcuno ha assassinato Falk, allora possiamo credere che sia la stessa persona che ha ucciso Sonja Hökberg.» Wallander fu colto da una forte sensazione di disagio. Erano incappati in qualcosa che non riuscivano a capire. C'è sotto qualcos'altro, pensò. Dobbiamo scavare in profondità. Martinsson sbadigliò. Wallander sapeva che a quell'ora il suo collega spesso dormiva già.
«Non credo che possiamo fare molto di più questa sera» disse. «In fondo, non è nostro compito mandare in giro gente alla ricerca di un cadavere che è sparito.» «Dovremmo dare un'occhiata all'appartamento di Tynnes Falk» disse Martinsson trattenendo un nuovo sbadiglio. «Viveva da solo. Dovremmo iniziare con quello e poi parlare con sua moglie.» «Con la sua ex moglie. Erano divorziati.» Martinsson si alzò. «Adesso vado a dormire. Come va con la tua auto?» «È pronta domani.» «Vuoi un passaggio?» «No, grazie. Rimango ancora un po'.» Martinsson rimase in piedi di fianco al tavolo. «Capisco che ti ha turbato» disse. «Quella fotografia sul giornale, voglio dire.» Wallander lo fissò socchiudendo gli occhi. «Tu cosa ne pensi?» «Di cosa?» «Sono colpevole oppure no?» «Che tu le abbia dato uno schiaffo è indubbio. Ma io credo che i fatti si siano svolti come hai detto tu. Che prima, Eva Persson si era scagliata contro sua madre.» «In ogni caso, ho deciso» disse Wallander. «Se avrò una nota di biasimo, mi dimetterò.» Wallander rimase sorpreso dalle proprie parole. Il pensiero di dimettersi se l'inchiesta disciplinare interna si fosse rivelata pregiudizievole nei suoi confronti, non lo aveva mai sfiorato. «In quel caso, ci scambieremo i ruoli» disse Martinsson. «Che cosa vuoi dire?» «Che sarò io quello che ti convincerà a rimanere.» «Non ce la farai.» Martinsson non rispose. Prese la cartella e se ne andò. Wallander rimase seduto. Qualche minuto dopo, due poliziotti di turno entrarono nella sala. Si scambiarono un cenno di saluto. Wallander ascoltò distrattamente la loro conversazione. Uno dei due stava dicendo che aveva in programma di comprarsi una motocicletta in primavera. I due poliziotti uscirono dalla mensa con le rispettive tazze di caffè. Wallander rimase nuovamente solo. Quasi inconsciamente, una decisione
stava prendendo forma nella sua mente. Guardò l'orologio. Mancavano pochi minuti alle undici e mezza. In verità, avrebbe dovuto aspettare il mattino dopo. Ma l'inquietudine non lo lasciava. Poco prima di mezzanotte, Wallander uscì dalla centrale di polizia. In tasca, aveva i grimaldelli che solitamente teneva nell'ultimo cassetto della sua scrivania. Impiegò dieci minuti per arrivare ad Apelbergsgatan. C'era un debole vento e la temperatura era di alcuni gradi sopra lo zero. Il cielo era coperto. La città dava l'impressione di essere stata abbandonata. Due autocarri diretti al terminal dei traghetti per la Polonia gli passarono di fianco. Wallander pensò che era stato proprio verso quell'ora, intorno a mezzanotte, che Tynnes Falk era morto. Era caduto a terra con il suo estratto conto macchiato di sangue in mano. Arrivato in Apelbergsgatan, Wallander rimase nell'ombra a osservare la casa al numero 10. Le finestre dell'ultimo piano erano al buio. Era lì che Tynnes Falk aveva abitato. Ma una delle finestre dell'appartamento sottostante era illuminata. Wallander rabbrividì. Era stato in quell'appartamento che una notte si era addormentato fra le braccia di una donna sconosciuta, ubriaco al punto da non sapere dove si trovasse. Mise la mano in tasca e sentendo il metallo dei grimaldelli esitò. Quello che stava facendo era tanto illegale quanto inutile. Avrebbe potuto aspettare fino al mattino dopo e procurarsi le chiavi dell'appartamento. Ma l'inquietudine continuava a metterlo sotto pressione. E Wallander la rispettava. Era una sensazione che provava soltanto quando il suo intuito gli diceva che non c'era tempo da perdere. Il portone non era chiuso a chiave. Wallander si era ricordato di portare con sé una torcia elettrica. L'androne era immerso nel buio. Prima di salire le scale, rimase in ascolto per qualche minuto, cercando di ricordare quando era stato lì, in compagnia di quella donna sconosciuta. Ma non rimaneva un solo ricordo. Salì fino all'ultimo piano. C'erano due porte, quella dell'appartamento di Falk era sulla sua destra. Rimase nuovamente in ascolto. Appoggiò l'orecchio alla porta di sinistra. Niente. Poi, mise la piccola torcia elettrica fra i denti e prese i grimaldelli dalla tasca. Se la porta è blindata, non potrò fare nulla, pensò Wallander. Ma si trattava di una normale serratura. Non coincide con quello che sua moglie ha detto, pensò. Tynnes Falk era preoccupato, le aveva riferito di avere dei nemici.
Marianne Falk deve essersi lasciata prendere dalla propria fantasia. Impiegò più tempo del previsto per aprire la porta. Forse non era solo con la pistola che era a corto di esercizio. Mentre si dava da fare, aveva iniziato a sudare. Muoveva le dita in modo maldestro, come un principiante. Ma alla fine udì lo scatto della serratura. Spinse la porta cautamente e rimase in ascolto. Per un attimo, ebbe l'impressione di udire un respiro che si avvicinava nel buio. Ma poi svanì. Wallander entrò nell'ingresso e chiuse lentamente la porta dietro di sé. La prima cosa che notava sempre quando entrava in un appartamento sconosciuto era l'odore. Ma in quell'ingresso non ce n'era. Era come se l'appartamento fosse stato appena costruito e non ancora abitato. Fece una nota mentale di quella sensazione e iniziò a muoversi con la torcia elettrica in mano, teso e pronto a trovarsi davanti qualcuno. Quando fu sicuro di essere solo, si tolse le scarpe, e prima di accendere la luce tirò tutte le tende. Wallander era appena entrato nella camera da letto quando il telefono squillò. Sussultò. Il telefono continuava a squillare. Wallander trattenne il fiato. Poi udì il suono secco della segreteria telefonica nel buio del soggiorno e si mosse rapidamente in quella direzione. Ma nessuno lasciò un messaggio. Da qualche parte qualcuno aveva agganciato. Chi poteva avere telefonato? Di notte, a una persona morta? Wallander si avvicinò a una delle finestre che davano sulla strada. Scostò leggermente la tenda e guardò in basso. La strada era deserta. Cercò di penetrare le zone d'ombra con lo sguardo. Ma non c'era nessuno. Accese la lampada sulla scrivania e iniziò a controllare il soggiorno. Arrivato al centro della stanza si fermò e si guardò intorno. Un uomo che si chiamava Tynnes Falk ha vissuto in questo appartamento, si disse. La sua storia inizia in un soggiorno dove tutto sembra pulito e in ordine, assolutamente niente fuori posto. Divani e poltrone in pelle, quadri con paesaggi di mare appesi alle pareti e una libreria. Wallander andò alla scrivania. Sulla destra del ripiano c'era un'antica bussola di ottone e sul lato opposto una lampada a olio. Quattro penne erano disposte con cura sul sottomano verde. Wallander andò in cucina e accese la luce. Sul lavandino c'era una tazza da caffè. Sul tavolo, coperto da una tovaglia a quadretti, c'era un blocnotes. Si chinò e lesse. Porta del balcone. Tynnes Falk e io abbiamo le stesse abitudini, pensò. Entrambi scriviamo i nostri promemoria e li lasciamo sul tavolo della cucina. Tornò nel soggiorno e aprì la porta del balcone. Per richiuderla fu costretto a fare uno sforzo. Tynnes Falk non a-
vrebbe mai più avuto modo di ripararla. Wallander passò nella camera da letto. Si mise in ginocchio e guardò sotto il letto a due piazze. C'era solo un paio di pantofole. Si rialzò, aprì l'armadio e controllò i cassetti in basso. Dappertutto regnava un ordine perfetto. Tornò nel soggiorno e si mise a sedere alla scrivania. Sotto la segreteria telefonica c'era un manuale di istruzioni. Wallander si mise i guanti di gomma che si era ricordato di prendere con sé e iniziò a leggere. Quando fu sicuro di poter sentire i messaggi senza cancellarli, spinse il tasto di ascolto. Il primo messaggio era di un certo Jan, che voleva sapere come stava. Wallander prese nota dell'ora. Seguirono due chiamate dove tutto quello che si udiva era il respiro di una persona. Wallander ebbe la sensazione che fosse la stessa persona in entrambi i casi. La quarta telefonata era quella di un sarto di Malmö che informava Tynnes Falk che i suoi pantaloni erano pronti. Wallander scrisse il nome del sarto. Poi un'altra telefonata e nuovamente solo il respiro di qualcuno. Era l'ultima, quella che Wallander aveva sentito dalla camera da letto. Wallander riascoltò i messaggi, chiedendosi se Nyberg e i suoi tecnici sarebbero riusciti a stabilire che il respiro era quello della stessa persona tutte e tre le volte. Rimise il manuale al suo posto. C'erano anche tre fotografie sul ripiano della scrivania. Con tutta probabilità, due ritraevano i figli di Tynnes Falk. Un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo era seduto su un masso e sorrideva. Sullo sfondo un paesaggio tropicale. Poteva avere diciotto anni. Wallander girò la fotografia. Jan 1996, Amazzonia. Quindi, la prima telefonata registrata era stata la sua. La ragazza, ritratta seduta su una panchina attorniata da piccioni, era più giovane. Ina, Venezia 1995, Wallander lesse sul retro. La terza fotografia ritraeva un gruppo di uomini in piedi davanti a un muro bianco. La fotografia era sfocata. Sul retro non c'era alcuna scritta. Wallander aprì il primo cassetto della scrivania e trovò una lente d'ingrandimento. Prese la fotografia e studiò i volti degli uomini. Erano tutti di età diversa. All'estrema sinistra, c'era un uomo dai lineamenti asiatici. Wallander posò la fotografia e cercò di pensare. Ma non riuscì ad arrivare ad alcuna conclusione. Mise la fotografia in tasca. Poi, alzò il sottomano. Sotto c'era una ricetta per una zuppa di pesce ritagliata da un giornale. Iniziò a controllare i cassetti. In tutti regnava lo stesso ordine esemplare. Nel terzo cassetto c'era uno spesso volume. Wallander lo prese. Sulla copertina in pelle c'era una scritta in lettere dorate. Giornale di Bordo. Wallander lo aprì all'ultima pagina scritta. Tynnes Falk aveva scritto i suoi ultimi appunti di quello che evidentemente era il suo
diario, domenica, 5 ottobre. Aveva annotato che il vento si era calmato e c'erano tre gradi sopra lo zero. Inoltre, il cielo era sereno. Aveva riordinato l'appartamento impiegando tre ore e venticinque minuti. Dieci in meno della domenica precedente. Wallander aggrottò la fronte. L'annotazione sui tempi per rimettere in ordine l'appartamento lo aveva lasciato perplesso. Poi lesse l'ultima frase. Alla sera, breve passeggiata. Wallander rimase sorpreso. Quando Tynnes Falk era morto davanti al Bancomat erano passati pochi minuti dopo la mezzanotte, era il 6 ottobre. Quell'annotazione, significava che aveva già fatto la breve passeggiata? E che si accingeva a farne un'altra? Wallander tornò alle annotazioni del 4 ottobre: Sabato, 4 ottobre 1997. Il vento ha soffiato a raffiche tutto il giorno. Secondo il Servizio meteorologico nazionale, soffiava a 8-10 metri al secondo. Brandelli di nuvole si rincorrevano nel cielo. Alle sei di mattina, la temperatura era di 7 gradi. Alle due aveva raggiunto gli 8 gradi. Di sera è scesa a 5. Oggi, lo spazio è vuoto e abbandonato. Nessun messaggio. C. non risponde alle chiamate. Tutto è calmo. Wallander rilesse le ultime frasi. Non riusciva a capirle. Contenevano un messaggio misterioso che non era in grado di interpretare. Continuò a sfogliare. Ogni giorno, Tynnes Falk annotava le condizioni del tempo. Inoltre parlava di «spazio». Talvolta era vuoto. Altre volte aveva ricevuto un messaggio. Ma quegli appunti non permettevano a Wallander di decifrare i messaggi. Alla fine, chiuse il giornale di bordo. Un'altra cosa lo aveva colpito. Da nessuna parte Tynnes Falk aveva mai scritto il nome di una persona. Neppure quello di suo figlio o di sua figlia. In generale, il diario parlava esclusivamente del tempo e di messaggi dallo spazio ricevuti oppure no. Ogni domenica, Tynnes Falk annotava con precisione, in ore e minuti, quanto tempo impiegava per riordinare l'appartamento. Wallander ripose il giornale di bordo nel cassetto. Si chiese se Tynnes Falk fosse veramente a posto con la testa. Le annotazioni davano l'impressione di essere state scritte da un uomo maniaco e confuso. Wallander si alzò e andò nuovamente alla finestra. La strada era ancora deserta. Era l'una passata. Tornò alla scrivania e continuò a controllare il contenuto dei cassetti. Tynnes Falk aveva una società per azioni della quale era il solo azionista.
In un classificatore, Wallander trovò una copia dell'atto costitutivo della società. Tynnes Falk si occupava di consulenze e di controllo di sistemi informatici installati di recente. Non c'era una descrizione dettagliata di quello che l'attività comportasse, e questo gli rendeva tutto incomprensibile. Ma notò che fra i clienti della società vi erano diverse banche e anche la Sydkraft. Chiuse l'ultimo cassetto. Anche in questo non aveva trovato nulla di sorprendente. Tynnes Falk è un uomo che non lascia alcuna traccia dietro di sé, pensò. Tutto è esemplare e impersonale, tutto è in perfetto ordine e senza vita. È impossibile farsi un'idea di chi fosse. Wallander si alzò, andò davanti alla libreria e iniziò a controllare i libri sugli scaffali. C'era diversa narrativa e saggistica varia in svedese, inglese e tedesco. C'erano anche una trentina di volumi di poesia. Quando Wallander ne prese uno a caso, le pagine si staccarono. Il volume era stato letto molte volte. Su un altro scaffale notò diversi spessi tomi di storia delle religioni e di filosofia. Ma anche trattati di astronomia e sull'arte della pesca al salmone. A quel punto, la sua attenzione fu attirata dall'impianto stereo. Si accovacciò e iniziò a controllare la collezione di musica di Tynnes Falk. C'era di tutto, dalle Cantate di Bach all'opera, da Elvis Presley a Buddy Holly, oltre a una speciale sezione di compilation di musica elettronica dallo spazio e dal fondo del mare. C'era una sezione speciale di vecchi lp. Wallander scosse il capo nostalgicamente. Cantanti svedesi dimenticati da tempo e un lp di John Coltrane. Sul televisore di fianco all'impianto stereo c'erano alcune cassette: un documentario sugli orsi in Alaska, un altro a cura della Nasa sulle conquiste dello spazio all'epoca del Challenger. Su tutte spiccava un video pornografico. Wallander si rialzò massaggiandosi le ginocchia. Aveva fatto il possibile. Non era riuscito a trovare alcun nesso. Eppure, dentro di sé, era sicuro che doveva essercene uno. In qualche modo, l'assassinio di Sonja Hökberg doveva avere un legame con la morte di Tynnes Falk. E anche con la sparizione del suo cadavere. E forse anche con la morte di Johan Lundberg. Wallander prese la fotografia che aveva messo in tasca e la rimise al suo posto sulla scrivania. Non voleva che la sua visita notturna fosse scoperta. Con tutta probabilità, la ex moglie di Tynnes Falk aveva una copia delle chiavi e nel futuro avrebbe potuto scoprire che qualcosa non era più al suo posto.
Wallander spense tutte le luci che aveva acceso e riaprì le tende. Aprì la porta d'ingresso e rimase in ascolto. Accese la torcia e si assicurò che i grimaldelli non avessero lasciato traccia. Appena uscito dal portone, rimase immobile nell'ombra guardandosi intorno. Non c'era nessuno, la città era avvolta dal silenzio. Si avviò verso il centro. Era l'una e venticinque. Non si accorse mai dell'ombra che lo seguiva silenziosamente da lontano. 13. Wallander fu svegliato dallo squillo del telefono. Aprendo gli occhi ebbe l'impressione di essere rimasto in attesa di quel suono sin da quando si era messo a dormire. Afferrando il ricevitore guardò automaticamente l'orologio. Erano le cinque e un quarto. La voce al telefono era sconosciuta. «Kurt Wallander?» «Sono io.» «Chiedo scusa per averti svegliato.» «Non importa. Ero già sveglio.» Perché devo mentire su una cosa simile?, pensò. Non ho alcun motivo di vergognarmi per essere ancora addormentato alle cinque di mattina. «Vorrei farti delle domande riguardo l'aggressione a Eva Persson.» Wallander si mise a sedere sul letto, completamente sveglio. L'uomo continuò dicendo il proprio nome e quello del giornale per cui lavorava. Wallander si disse che, prima o poi, avrebbe dovuto aspettarsi una telefonata di un giornalista a quell'ora del mattino. Avrei dovuto evitare di rispondere, pensò. Se qualcuno dei suoi colleghi avesse avuto bisogno di parlargli con urgenza, lo avrebbe chiamato al suo cellulare. Fino ad allora era riuscito a mantenere quel numero segreto. Ma ormai era troppo tardi. Era costretto a rispondere. «Ho già chiarito che non si è trattato di un'aggressione.» «Vuoi dire che la fotografia non rispecchia la verità?» «Voglio dire che non dice tutta la verità.» «In questo caso perché non la racconti tu?» «Perché l'indagine è ancora in corso.» «Ma qualcosa puoi ben dirla?» «L'ho già fatto. Non si è trattato di un'aggressione.»
Wallander riagganciò e staccò rapidamente la spina. Poteva già immaginare i titoli. «Wallander sbatte la cornetta in faccia a un nostro corrispondente. La polizia si rifiuta testardamente di commentare». Wallander affondò la testa sui cuscini. In strada, il vento faceva oscillare il lampione. La luce che filtrava attraverso le tende si muoveva irrequieta lungo la parete della stanza. Lo squillo del telefono aveva interrotto un sogno. Le immagini emersero lentamente dal suo subconscio. Era l'autunno dell'anno precedente e Wallander si era recato nell'arcipelago dello Östergötland, la regione a nord della Scania. Era stato invitato da un uomo che viveva su una delle isole e che distribuiva la posta nell'arcipelago. Si erano conosciuti durante una delle più terribili indagini che Wallander avesse mai seguito. Indeciso fino all'ultimo, alla fine, Wallander aveva accettato l'invito ed era partito. Un mattino, molto presto, era arrivato su una delle ultime isole dell'arcipelago, dove le rocce che si stagliavano dal mare avevano le sembianze di animali preistorici pietrificati. Fermo in riva al mare su quella minuscola isola, Wallander aveva provato una strana sensazione di pace e di totale controllo di sé. Spesso, nella sua mente, era tornato a quell'attimo. E in diverse occasioni, aveva sentito un impellente bisogno di poter rivivere quel momento magico. C'è qualcosa che il sogno ha cercato di dirmi, pensò. Ma non so cosa. Wallander rimase a letto fino alle sei meno un quarto. Si alzò e riattaccò il telefono. Il termometro fuori della finestra segnava tre gradi. Il vento soffiava a raffiche. Mentre beveva il caffè, pensò ancora una volta a quello che era successo. Era venuto alla luce un legame, che non si era aspettato, fra l'aggressione al tassista, la morte di Sonja Hökberg e Tynnes Falk, l'uomo il cui appartamento Wallander aveva visitato la sera prima. Che cosa c'è che non riesco a vedere?, pensò. È come essere immersi nel mare senza riuscire a distinguere il fondo. Quali sono le domande che dovrei pormi? Alle sette, Wallander si arrese. L'unica conclusione alla quale era riuscito ad arrivare, forse la più importante di tutte, era che dovevano fare in modo che Eva Persson dicesse la verità. Perché avevano cambiato posto nella pizzeria? Chi era l'uomo che era entrato? Qual era il vero motivo che le aveva spinte ad assassinare il tassista? Come era venuta a sapere che Sonja Hökberg era morta? Erano le quattro domande da cui doveva iniziare. Camminando in direzione della centrale di polizia, Wallander si disse
che avrebbe dovuto indossare un maglione pesante. Faceva più freddo di quanto si era aspettato e non si era ancora abituato al clima autunnale. Dopo qualche minuto, sentì che il suo piede sinistro era bagnato. Si fermò e, sollevandolo, vide che c'era un buco nella suola della scarpa. Quella scoperta lo fece andare su tutte le furie. Con uno sforzo, riuscì a vincere la tentazione di cogliersi le scarpe e di continuare a piedi nudi. Dopo tutti questi anni da poliziotto, questo è tutto quello che mi rimane, pensò. Un paio di scarpe bucate. Un uomo gli passò di fianco e lo fissò meravigliato. Wallander si rese conto di avere parlato ad alta voce. Arrivato alla centrale, si fermò da Irene e le chiese chi fosse già arrivato. Martinsson e Hansson erano già al loro posto. Wallander le chiese di avvertirli che li aspettava nel suo ufficio. Ma cambiò subito idea e scelse una delle sale riunioni. Contemporaneamente, chiese a Irene di avvertire AnnBritt Höglund non appena fosse arrivata. Martinsson e Hansson entrarono nella sala insieme. «Com'è andata la conferenza?» chiese Hansson. «Lasciamo perdere la conferenza» rispose Wallander irritato, pentendosi immediatamente di avere risposto con un tono brusco. «Sono stanco» aggiunse subito per scusarsi. «Chi diavolo non è stanco? Specialmente dopo avere letto roba simile» disse Hansson agitando il giornale che aveva in mano. Wallander si disse che doveva fermarlo immediatamente. Non avevano tempo di occuparsi di quello che Hansson aveva letto sul giornale. Ma non disse nulla e si mise a sedere. «Il ministro della Giustizia ne ha sparata una delle sue» disse Hansson. «Stiamo mettendo in atto una più che necessaria riforma dei compiti del nostro corpo di polizia. È stato un lavoro che ha richiesto notevoli sforzi. Ma ora la polizia è sulla strada giusta.» Hansson sbatté il giornale sul tavolo. «Sulla strada giusta? Che cosa diavolo vuole dire? Stiamo girando in tondo senza sapere dove stiamo andando. Continuano a mandarci indicazioni su nuove priorità. Oggi dobbiamo dare la precedenza ai crimini violenti, agli stupri, alla lotta alla pedofilia e ai reati di natura economica. E domani? Domani le priorità saranno completamente diverse.» «Il problema non è questo» obiettò Martinsson. «Tutto cambia con una tale rapidità che è impossibile indicare giorno per giorno cosa non abbia priorità. Ma dato che continuano a ridurre il personale, dovrebbero invece
specificare i tipi di reati che possiamo trascurare.» «Quello che hai detto è vero» disse Wallander. «Ma dobbiamo renderci conto che oggi a Ystad abbiamo 1456 casi in sospeso e non possiamo permetterci che se ne aggiungano altri.» Wallander batté la mano sul tavolo per indicare che era ora di chiudere l'argomento. Sapeva meglio di chiunque altro che sia Martinsson sia Hansson avevano ragione. Ma, allo stesso tempo, dentro di sé sentiva una forte volontà di stringere i denti e di portare avanti il lavoro. Forse era troppo esausto e non aveva più la forza di protestare contro i continui e sempre più frequenti cambiamenti che avevano luogo nel corpo di polizia. Ann-Britt Höglund entrò nella sala. «Che vento» disse togliendosi la giacca. «È l'autunno» disse Wallander. «Adesso iniziamo. Ieri sera è successo qualcosa che ha cambiato drammaticamente il corso dell'indagine.» Con un cenno del capo, Wallander diede la parola a Martinsson che raccontò della scomparsa del corpo di Tynnes Falk. «Mai sentito niente di simile» disse Hansson, quando Martinsson terminò. «In tutti questi anni non mi è mai capitato. Ricordo la sparizione di un canotto di salvataggio. Ma non quella di un cadavere.» Wallander fece una smorfia. Anche lui ricordava quel canotto di salvataggio che era arrivato alla deriva sulla spiaggia di Mossby e che poi, per un motivo mai del tutto chiarito, era scomparso dalla centrale di polizia. Ann-Britt Höglund fissò Wallander. «Dunque, vuoi dire che esiste un legame fra l'uomo che è morto davanti al Bancomat e l'assassinio di Lundberg? Non ti sembra un'ipotesi assurda?» «Sì» rispose Wallander. «Ma non possiamo tralasciarla e dobbiamo iniziare a lavorare basandoci su questa possibilità. Credo inoltre che dobbiamo metterci in testa che non sarà facile. Eravamo convinti di avere a che fare con il caso di un omicidio incredibilmente brutale di un tassista che si era risolto in tempi brevissimi. Ma poi tutto è cambiato d'improvviso con la fuga e la morte di Sonja Hökberg. Sapevamo che un uomo era stato colpito da infarto ed era crollato a terra davanti a un Bancomat. Abbiamo archiviato il caso perché non c'era niente che indicasse che era stato commesso un crimine. E poi, il corpo dell'uomo scompare e qualcuno lascia un relè per l'alta tensione sulla barella.» Wallander fece una pausa e pensò alle quattro domande che aveva for-
mulato nella sua mente qualche ora prima. In quel momento, si rese conto che doveva iniziare da tutt'altra parte. «Qualcuno entra illegalmente nell'obitorio e porta via un corpo. Non ne siamo sicuri, ma possiamo presumere che lo abbia fatto per nascondere qualcosa. Ma perché lascia un relè? È certo che non è stato dimenticato, come è certo che non è stato lasciato per errore. Il relè è stato lasciato di proposito. Qualcuno voleva che lo trovassimo.» «Il che, a sua volta, può significare una sola cosa» disse Ann-Britt Höglund. Wallander annuì. «Qualcuno vuole farci collegare Sonja Hökberg a Tynnes Falk.» «Può essere una falsa pista» obiettò Hansson. «Può essere qualcuno che ha seguito il caso della ragazza trovata carbonizzata.» «Se ho capito bene, secondo i colleghi di Malmö, il relè è pesante» disse Martinsson. «Non è qualcosa che si può portare in giro in una borsa.» «Dobbiamo procedere facendo un passo alla volta» lo interruppe Wallander. «Nyberg deve controllare se quel relè proviene dalla cabina dei trasformatori della nostra centrale elettrica. Se è così, allora tutto sarà chiaro.» «Non necessariamente» disse Ann-Britt. «Può essere una traccia simbolica.» Wallander scosse il capo. «Io credo che sia proprio come immagino.» Mentre gli altri andavano a prendere un caffè, Martinsson telefonò a Nyberg. Alla mensa, Wallander raccontò ad Ann-Britt della telefonata del giornalista che lo aveva svegliato. «Passerà» disse Ann-Britt. «Spero che tu abbia ragione. Ma non ne sono affatto sicuro.» Tornarono nella sala riunioni. «Due cose» disse Wallander. «Eva Persson. A questo punto, il fatto che sia minorenne non ha più importanza. Adesso la interrogheremo seriamente. Te ne occuperai tu, Ann-Britt. Inutile dirti quali sono le domande importanti. Devi insistere finché non ti darà le risposte corrette.» Continuarono a programmare il lavoro dell'indagine per un'altra ora. Il raffreddore era passato e Wallander si sentiva nuovamente in forma. La riunione terminò poco dopo le nove e mezza. Hansson e Ann-Britt tornarono nei loro uffici. Wallander e Martinsson sarebbero andati a controllare l'ap-
partamento di Tynnes Falk. Per un attimo, Wallander fu tentato di dire al collega che c'era già stato, ma lasciò perdere. Uno dei suoi lati deboli era sempre stato di tenere i suoi colleghi all'oscuro di certe sue iniziative. Ma ormai da tempo aveva perso la speranza di riuscire a cambiare quella peculiarità del suo carattere. Mentre Martinsson cercava di trovare le chiavi dell'appartamento di Tynnes Falk, Wallander andò nel suo ufficio con il giornale che Hansson aveva lasciato sul tavolo della sala riunioni. Iniziò a sfogliarlo per vedere se ci fosse un articolo che lo riguardava. Trovò soltanto un trafiletto di poche righe con la notizia che un poliziotto famoso era sospettato di avere colpito una minorenne. Il suo nome non era indicato, ma Wallander ebbe ugualmente uno scatto di rabbia. Stava per richiudere il giornale quando il suo sguardo fu attirato dalla pagina degli annunci personali. Iniziò a leggere distrattamente. Donna divorziata, cinquant'anni appena compiuti, vuole vincere la solitudine. Amante dei viaggi e della musica classica. Wallander cercò di immaginare il volto della donna, ma l'unico che riuscì a ricordare fu quello di una donna che si chiamava Erika. L'aveva incontrata l'anno prima in un caffè nelle vicinanze di Västervik. Di tanto in tanto, senza veramente sapere perché, gli capitava di pensare a quella donna. Irritato, gettò il giornale nel cestino della carta. Ma poco prima che Martinsson entrasse nella stanza, Wallander raccolse il giornale, staccò la pagina e la mise in uno dei cassetti della scrivania. «L'ex moglie di Tynnes Falk ci sta aspettando con le chiavi» disse Martinsson. «Prendiamo l'auto o preferisci andare a piedi?» «Andiamo in auto. Ho un buco nella suola di una scarpa.» Martinsson lo fissò divertito. «Che cosa dirà il capo della polizia quando lo saprà?» «È probabile che, dopo il poliziotto di quartiere, gli venga in mente di introdurre un servizio di poliziotti a piedi nudi.» Lasciarono la centrale di polizia con l'auto di Martinsson. «Come vanno le cose?» chiese Martinsson. «Sono infuriato» rispose Wallander. «Uno pensa di riuscire ad abituarsi, ma non è così. In tutti gli anni passati nel corpo di polizia, sono stato accusato di tutto. Forse l'unica eccezione è che nessuno ha mai sostenuto che sono pigro. Credevo di averci fatto il callo, ma non è così. O almeno non come vorrei.» «Parlavi sul serio ieri?»
«Che cosa ho detto?» «Che in caso di una nota di biasimo, ti saresti dimesso.» «Non lo so. Ma ora come ora, non ho voglia di pensarci.» Martinsson capì che Wallander non voleva tornare sull'argomento. Si fermarono davanti ad Apelbergsgatan 10. Una donna li stava aspettando, ferma di fianco a un'auto. «Ecco Marianne Falk» disse Martinsson. «Ha voluto conservare il cognome del marito anche dopo il divorzio.» Martinsson stava per aprire la portiera dell'auto, quando Wallander lo bloccò. «È al corrente di quello che è successo? Sa che il corpo è sparito?» «Sembra che qualcuno si sia preso la briga di informarla.» «Come ti è sembrata quando le hai parlato? È rimasta sorpresa dalla tua telefonata?» Martinsson ci pensò un attimo prima di rispondere. «Non credo.» Scesero dall'auto. La donna che li aspettava vestiva con eleganza. Era alta e slanciata e ricordava vagamente Mona. Si salutarono. Wallander ebbe l'impressione che Marianne Falk fosse preoccupata. «Hanno ritrovato il corpo? Come è possibile che accada una cosa simile?» Wallander avrebbe voluto che fosse Martinsson a rispondere. «Naturalmente è un fatto deplorevole.» «Deplorevole? Direi piuttosto sconvolgente. A cosa serve avere un corpo di polizia?» «È una domanda pertinente» interruppe Wallander. «Ma non in questo momento.» Entrarono nella casa e salirono le scale. Wallander provava un senso di disagio. Aveva forse dimenticato qualcosa la sera prima? Marianne Falk li precedeva. Quando arrivò all'ultimo piano, si fermò di colpo e indicò con la mano. Martinsson era dietro di lei. Wallander lo scostò. E poi rimase come paralizzato: la porta dell'appartamento era aperta. La serratura, che aveva avuto problemi ad aprire senza però lasciare alcun segno, era stata forzata brutalmente. La porta era socchiusa. Wallander rimase in ascolto. Martinsson si era messo al suo fianco. Nessuno dei due era armato. Wallander ebbe un attimo di esitazione. Poi fece cenno verso la scala e il piano terra. «Può esserci qualcuno lì dentro» sussurrò. «Sarà meglio chiedere rinfor-
zi.» Martinsson prese il suo cellulare dalla tasca. «Scendi subito, sali in auto e aspetta lì» disse Wallander a Marianne Falk. «Che cosa è successo?» «Fa come ho detto. Va e aspetta nell'auto.» Marianne Falk ubbidì. Martinsson finì di parlare con la centrale. «Stanno arrivando.» Rimasero in attesa immobili sulla scala. Nessun suono proveniva dall'appartamento. «Ho detto di non usare le sirene» sussurrò Martinsson. Wallander annuì. Otto minuti dopo, Hansson li raggiunse insieme ad altri tre agenti. Hansson era armato. Wallander chiese una pistola a uno degli agenti. «Adesso entriamo» disse. Si divisero in due gruppi, uno davanti alla porta e l'altro al fondo del pianerottolo. Wallander si rese conto che la mano con la quale impugnava la pistola gli tremava. Aveva paura. La stessa paura che provava ogni volta che si trovava in una situazione in cui poteva accadere qualsiasi cosa. Si girò verso Hansson e fece un cenno con il capo. Poi, spinse cautamente la porta con la punta della scarpa e chiamò ad alta voce. Non ebbe alcuna risposta. Chiamò nuovamente. Quando la porta dell'appartamento dietro di lui si aprì, Wallander si voltò di scatto. Apparve il viso di un'anziana signora. Martinsson la fece rientrare immediatamente. Wallander chiamò una terza volta senza ottenere risposta. Poi entrarono. L'appartamento era vuoto. Ma era completamento diverso da come Wallander l'aveva trovato la sera prima, quando la cosa che lo aveva sorpreso maggiormente era stata il perfetto ordine. Ora, invece, i cassetti erano stati aperti e il loro contenuto giaceva dappertutto sul pavimento. Nel soggiorno, i quadri erano storti e i dischi erano sparsi sul tappeto. «Qui non c'è nessuno» disse Wallander. «Chiamate Nyberg e ditegli di venire con i suoi tecnici il più presto possibile. Prima del loro arrivo, non deve entrare nessuno.» Hansson e i tre agenti se ne andarono. Martinsson andò a parlare con i vicini. Wallander rimase fermo sulla porta del soggiorno. Cercò di ricordare, senza successo, in quanti appartamenti in quello stato fosse entrato. Senza capire per quale motivo, si disse che questa volta c'era qualcosa di
diverso. Lasciò scorrere lo sguardo nella stanza. Mancava qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Controllò nuovamente tutto. Quando il suo sguardo si fermò sulla scrivania per la seconda volta capì. Si tolse le scarpe e si avvicinò. Una delle fotografie era scomparsa. Quella che ritraeva un gruppo di uomini, fra i quali uno dai lineamenti asiatici, con sullo sfondo un muro bianco illuminato dal sole. Wallander si chinò e guardò sotto la scrivania. Con la massima cautela, spostò le carte che giacevano sul pavimento. La fotografia non c'era. In quello stesso istante, osservando i cassetti svuotati sparsi sul pavimento, Wallander si rese conto che mancava qualcos'altro. Anche il giornale di bordo era sparito. Wallander fece un passo indietro e respirò profondamente. Qualcuno sa che sono stato qui, pensò. Qualcuno mi ha visto entrare e uscire. Era stato solo l'istinto a spingerlo ad andare alla finestra per controllare la strada, la sera prima? Lì, da qualche parte, c'era qualcuno che non era riuscito a vedere. Qualcuno nascosto nell'ombra. Martinsson interruppe il filo dei suoi pensieri. «La vicina è vedova e si chiama Håkansson. Afferma di non avere visto o sentito nulla.» Wallander pensò alla notte che aveva passato, ubriaco fradicio, nell'appartamento sottostante. «Parla con tutti gli inquilini della casa. Forse qualcuno ha avuto modo di notare qualcosa.» «Non puoi chiedere a qualcun altro? Io ho un sacco di cose da fare.» «È importante interrogarli meticolosamente» disse Wallander. «In ogni caso gli inquilini non sono molti.» Martinsson se ne andò. Wallander rimase in attesa. Dopo venti minuti arrivò un tecnico della scientifica. «Nyberg sarà qui a momenti. Sta finendo di controllare qualcosa di importante nella cabina dei trasformatori della centrale elettrica.» Wallander annuì. «La segreteria telefonica» disse. «Voglio una lista di tutte le chiamate registrate.» Il tecnico fece un cenno di assenso. «E filmate tutto nei minimi dettagli» continuò Wallander. «Chi abitava in questo appartamento?» chiese il tecnico. «L'uomo che è morto davanti al Bancomat l'altra sera» rispose Wallan-
der. «È importante che controlliate tutto con la massima cura.» Wallander lasciò l'appartamento e scese in strada. In cielo non c'era una sola nuvola. Marianne Falk era seduta nella sua auto e stava fumando. Quando vide Wallander avvicinarsi, aprì la portiera e scese. «Che cosa è successo?» «Un tentativo di furto.» «Come si fa a essere così spudorati da entrare nell'appartamento di una persona morta di recente?» «So che eravate divorziati» disse Wallander. «Ma devo chiederti se conoscevi il suo appartamento.» «Tynnes e io avevamo un ottimo rapporto. Venivo a trovarlo regolarmente.» «Più tardi dovrò chiederti di tornare nell'appartamento» disse Wallander. «Lo faremo insieme, quando i tecnici della scientifica avranno finito il loro lavoro. Forse potrai dirmi se manca qualcosa.» Marianne Falk rispose con tono deciso. «Non credo.» «Perché?» «Siamo stati sposati per molti anni. All'inizio lo conoscevo bene. Ma non dopo.» «Che cosa è successo?» «Niente. Ma Tynnes è cambiato.» «In che senso?» «Non sapevo più quello che pensava.» Wallander la fissò incerto. «A parte tutto, dovresti essere in grado di notare se qualcosa è sparito dall'appartamento.» «Forse un quadro o una lampada. Ma nient'altro. Tynnes aveva molti segreti.» «Che cosa vuoi dire?» «Mi sembra chiaro. Io non sapevo quello che faceva o pensava. Ho già cercato di spiegartelo al telefono.» Wallander ricordò quello che aveva letto nel giornale di bordo la sera prima. «Sai se tuo marito tenesse un diario?» «Sono sicura di no.» «Non lo hai mai fatto?» «Mai.»
Fin qui ci siamo, pensò Wallander. Marianne Falk non sapeva di che cosa si occupasse il suo ex marito. O almeno non sapeva niente del giornale di bordo. «Sai se si interessasse allo spazio?» L'espressione di sorpresa che si dipinse sul volto di Marianne Falk sembrava genuina. «Perché avrebbe dovuto farlo?» «La mia era una semplice domanda.» «Quando eravamo giovani, è capitato qualche volta di osservare le stelle. Ma mai più dopo.» Wallander cambiò argomento. «Al telefono, mi hai detto che Tynnes aveva molti nemici. E anche che era preoccupato.» «È quello che mi ha detto lui.» «Ti ha detto qualcosa di più dettagliato?» «"Quelli come me hanno dei nemici."» «È tutto?» «Sì.» «Quelli come me hanno dei nemici?» «Sì.» «Che cosa voleva dire con questa frase?» «Ti ho già detto che non lo conoscevo più.» Un'auto si fermò di fianco al marciapiede e scese Nyberg. Wallander decise di interrompere momentaneamente la conversazione. Chiese alla donna il numero di telefono e le disse che l'avrebbe contattata più tardi. «Un'ultima domanda. Ti viene in mente qualcuno che possa avere avuto un motivo per sottrarre il suo corpo?» «Assolutamente no.» Wallander annuì. Per il momento non aveva altre domande. Marianne Falk salì nella sua auto e se ne andò. Nyberg si avvicinò a Wallander. «Che cosa è successo?» chiese. «Un tentativo di furto.» «Abbiamo davvero tempo di occuparci di cose simili proprio ora?» «In qualche modo, esiste un legame con gli altri avvenimenti. Ma quello che mi interessa sapere ora è cosa hai scoperto laggiù.» Prima di rispondere, Nyberg si soffiò il naso. «Avevi ragione. Quando i colleghi di Malmö sono arrivati con quel relè
tutto è stato chiaro. I tecnici della Sydkraft hanno indicato da dove è stato prelevato.» Wallander sentì la tensione salire. «Nessun dubbio?» «Nessuno.» Nyberg sparì dietro al portone. Wallander volse lo sguardo verso i grandi magazzini e il Bancomat. Il legame fra Sonja Hökberg e Tynnes Falk era confermato. Ma Wallander non capiva che significato potesse avere. Lentamente, iniziò ad avviarsi in direzione della centrale di polizia. Ma dopo alcuni metri, aumentò l'andatura. L'inquietudine lo spingeva. 14. Appena tornato nel suo ufficio alla centrale di polizia, Wallander si mise subito al lavoro per cercare di dare un ordine provvisorio alla massa di dettagli che si erano accumulati. Ma le conclusioni cui erano arrivati fino a quel momento erano, per così dire, in caduta libera. Si scontravano per poi disperdersi immediatamente in direzioni diverse. Poco prima delle undici, Wallander andò nel bagno e si sciacquò il viso con acqua fredda. Era un'abitudine che aveva imparato da Rydberg. Quando l'impazienza diventa insopportabile, non c'è niente di meglio dell'acqua fredda. Poi, Wallander andò alla mensa per prendere una tazza di caffè. Come capitava spesso, il distributore automatico del caffè era guasto. In un'occasione, Martinsson aveva proposto di fare un appello alla cittadinanza per avere un contributo per un distributore automatico nuovo. A giustificazione della richiesta, avrebbero fatto capire che la polizia non era in grado di portare avanti il proprio lavoro se non fosse stata assicurata una continua disponibilità di caffè. Wallander fissò la macchina, sconsolato, e si ricordò di avere una confezione di caffè solubile in uno dei cassetti della sua scrivania. Tornò in ufficio e la trovò nell'ultimo cassetto insieme a una spazzola per le scarpe e a un paio di vecchi guanti. Poi fece un elenco di tutto quanto era successo. A margine scrisse una data, sforzandosi senza sosta di individuare che cosa si nascondesse sotto la superficie. A quel punto, sapeva che doveva scavare per riuscire ad arrivare alla verità e trovare una soluzione.
Alla fine, tutto quello che era riuscito a ottenere fu una sequenza complicata e incomprensibile. Una sera, due ragazze vanno in un locale a bere una birra. Una di loro è talmente giovane che non dovrebbe essere servita. A un certo punto, le due ragazze si scambiano il posto. Lo fanno non appena un uomo dai lineamenti asiatici entra nella pizzeria e si siede a un tavolo. L'uomo paga il conto con una carta di credito falsificata, intestata a un certo Fu Cheng, residente a Hong Kong. Un paio di ore dopo, le due ragazze chiamano un taxi e chiedono di essere portate a Rydsgård. Aggrediscono il tassista, gli rubano il portafoglio e il cellulare, poi entrambe tornano alle proprie case. Dopo essere state arrestate, confessano immediatamente, assumendosi la colpa insieme e dichiarando quale movente il bisogno di denaro. Durante un attimo di mancata sorveglianza, la più grande riesce a fuggire dalla centrale di polizia e viene poi ritrovata carbonizzata nella cabina dei trasformatori della centrale elettrica nelle vicinanze di Ystad. Con tutta probabilità, la ragazza è stata assassinata. La cabina dei trasformatori è importante per l'approvvigionamento di corrente elettrica di una vasta parte della Scania. Quando Sonja Hökberg muore, un quarto del territorio della regione, da Trelleborg a Kristianstad, rimane immerso nel buio. Contemporaneamente, la ragazza più giovane cambia la propria versione e ritratta la sua confessione. In parallelo con questa sequenza di eventi, si svolge una vicenda secondaria. Esiste una possibilità che proprio tale vicenda si riveli determinante e rappresenti l'anello mancante che stiamo cercando, si disse Wallander. Una domenica, Tynnes Falk, un consulente d'informatica, finisce di riordinare il proprio appartamento, poi esce per fare una o forse due passeggiate serali. Durante la notte, viene trovato morto davanti a un Bancomat non lontano dalla sua abitazione. L'esame medico preliminare effettuato sul posto e la successiva autopsia escludono ogni sospetto di morte violenta, e il caso viene archiviato. In seguito, il corpo dell'uomo sparisce dall'obitorio; al suo posto qualcuno lascia sulla barella un relè che proviene dalla cabina dei trasformatori della centrale elettrica nelle vicinanze di Ystad. Qualcuno si introduce nell'appartamento di Tynnes Falk forzando la porta, e spariscono una fotografia, un giornale di bordo e, forse, qualcos'altro. A margine di questi avvenimenti c'è un uomo dai lineamenti asiatici che è stato nella pizzeria. Uno degli uomini ritratti nella fotografia sparita? Wallander rilesse quello che aveva scritto. Ovviamente sapeva che era troppo presto per trarre delle conclusioni, anche se provvisorie. Ma lo fece ugualmente. Mentre faceva un riepilogo dei fatti, era rimasto colpito da
una possibilità alla quale non aveva ancora pensato. Se Sonja Hökberg era stata veramente assassinata, significava che qualcuno lo aveva fatto per impedirle di parlare. Il corpo di Tynnes Falk non poteva essere stato prelevato dall'obitorio se non per nascondere qualcosa. Quello era il comune denominatore. Due fatti che indicavano il bisogno di nascondere qualcosa. La domanda è che cosa deve essere tenuto nascosto, pensò Wallander. E da chi? Portò avanti il ragionamento lentamente e con cautela, come se si stesse muovendo in un campo minato. Cercava ostinatamente un punto centrale, senza riuscire a trovarlo. Da Rydberg aveva imparato che i fatti non devono essere necessariamente interpretati prendendo in considerazione la loro cronologia. Il punto più importante poteva trovarsi all'inizio come alla fine. O anche da qualche parte nel mezzo. Wallander stava per chiudere il bloc-notes quando fu colpito da un pensiero. All'inizio non sapeva cosa fosse. Ma poi si ricordò. Era qualcosa che gli aveva detto Erik Hökberg. Qualcosa sulla vulnerabilità della società. Voltò pagina e riprese a scrivere dall'inizio. Che cosa sarebbe successo se avesse utilizzato la cabina dei trasformatori come punto di partenza? Qualcuno, usando il corpo di una ragazza, aveva privato di corrente elettrica un quarto della Scania. Il blackout era stato totale. Era stata un'azione di sabotaggio compiuta da qualcuno che sapeva dove colpire. Perché il relè era stato lasciato al posto del corpo di Tynnes Falk? L'unica spiegazione plausibile era che qualcuno voleva che il legame fra Sonja Hökberg e Tynnes Falk risultasse evidente. Ma che cosa si nascondeva dietro quel legame? Irritato, Wallander spinse il bloc-notes lontano da sé. Era troppo presto per arrivare a una eventuale interpretazione. Era ancora costretto a continuare la ricerca, meticolosamente e senza pregiudizi. Sorseggiò il caffè dondolandosi distrattamente sulla sedia. Poi prese la pagina del giornale e iniziò a leggere gli annunci personali. Come potrebbe essere il mio?, pensò. Chi potrebbe essere veramente interessato a un poliziotto sulla cinquantina, diabetico, che soffre di una crescente avversione per il proprio lavoro? Un uomo che non ama le passeggiate nei boschi, le serate davanti a un camino acceso o le barche a vela? Rimise la pagina del giornale nel cassetto e iniziò a scrivere. La prima bozza dell'annuncio non era del tutto veritiera. Poliziotto, 50 anni, divorziato, una figlia adulta, vuole sfuggire alla solitudine. Il tuo aspetto e la tua età non hanno alcuna importanza. Ma devi essere amante
della casa e della musica lirica. Risposta a "Poliziotto 97". Sto mentendo, pensò. È chiaro che l'aspetto è molto importante. Inoltre, non sto cercando di sfuggire alla solitudine. Quello che cerco è una compagna. Qualcosa di completamente diverso. Voglio qualcuno al mio fianco nel letto, qualcuno che ci sia quando lo voglio io. E qualcuno che mi lasci in pace quando voglio stare tranquillo. Wallander strappò il foglio e ricominciò da capo. Questa volta, l'annuncio era fin troppo veritiero. Poliziotto, 50 anni, diabetico e divorziato, una figlia adulta, cerca una persona con cui stare quando lo desidera. La donna che cerco deve essere attraente, avere un bel corpo ed essere sensuale. Rispondere a: "Vecchio lupo". Chi risponderebbe a un annuncio simile?, si chiese. Qualcuno che non è del tutto a posto con la testa. Wallander prese un altro foglio e ricominciò da capo. Ma venne subito interrotto da qualcuno che bussava alla sua porta. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Era Ann-Britt. Wallander si rese conto troppo tardi che la pagina degli annunci era ancora sulla scrivania. La prese e la gettò nel cestino. Ma intuì, irritato, che Ann-Britt aveva avuto il tempo di vederla. Non farò mai pubblicare un annuncio, pensò con rabbia. C'è il rischio che persino Ann-Britt possa rispondere. Ann-Britt aveva l'aria stanca. «Ho appena finito con Eva Persson» disse sedendosi pesantemente. Wallander scacciò tutti i pensieri degli annunci personali. «Come ti è sembrata?» «Non ha cambiato versione. Continua a sostenere che è stata Sonja Hökberg da sola a colpire Lundberg con il martello e il coltello.» «Ti ho chiesto come ti è sembrata.» Ann-Britt rifletté prima di rispondere. «L'ho trovata diversa. Mi ha dato l'impressione di essere più preparata.» «Come te ne sei accorta?» «Ha parlato con maggiore rapidità. Molte delle sue risposte davano l'impressione di essere preparate in precedenza. Solo quando ho iniziato a fare delle domande che non si aspettava, la sua indifferenza è tornata a galla. È il suo modo di difendersi. Prende il suo tempo per rispondere. Non so se sia particolarmente intelligente, ma sicuramente non è confusa. Ricorda perfettamente le sue menzogne. Nelle due ore dell'interrogatorio, si è contraddetta una sola volta. È veramente notevole.» Wallander prese il bloc-notes. «Per ora, parliamo solo della cosa più importante. Le tue impressioni. Il
resto potrò leggerlo quando la trascrizione dell'interrogatorio sarà pronta.» «Per me è più che ovvio che Eva Persson mente. Onestamente, non capisco come una ragazza di quattordici anni possa essere così dura.» «Perché si tratta di una ragazza?» «Persino oggigiorno, è difficile trovare ragazzi così duri.» «Non sei riuscita a smuoverla?» «A dire il vero no. Continua a sostenere di non avere preso parte all'aggressione, e anche che aveva paura di Sonja Hökberg. Ho cercato di farle dire perché avesse paura. Ma senza risultato. L'unica cosa che ha detto è che Sonja era molto dura.» «E in questo ha sicuramente ragione.» Ann-Britt consultò i suoi appunti. «Nega che Sonja le abbia telefonato dopo essere fuggita dalla centrale di polizia. E afferma che nessun altro le ha telefonato.» «Quando ha saputo che Sonja era morta?» «Erik Hökberg ha telefonato alla madre di Eva Persson e le ha dato la notizia.» «Ma la morte di Sonja deve averla scossa in qualche modo.» «È quello che sostiene. Ma non ho avuto modo di notare granché. Anche se, naturalmente, è rimasta sorpresa. Quando le ho chiesto perché, ha detto che non riusciva a spiegarsi per quale motivo Sonja fosse andata nella cabina dei trasformatori. Ha anche affermato di non sapere chi potesse averla portata fin là in auto.» Wallander si alzò e andò alla finestra. «A parte la sorpresa, nessun'altra reazione? Nessun segno di rammarico o di dolore?» «No. È sempre stata calma e fredda. Era ovvio che aveva preparato molte delle sue risposte, e che altre erano chiaramente menzogne. Ho avuto la sensazione che anche quel po' di sorpresa che ha dimostrato per quello che è accaduto non fosse genuina.» Wallander fu colpito da un pensiero che gli sembrò immediatamente importante. «Ti ha dato l'impressione di avere paura che anche a lei possa capitare qualcosa?» «No. Ci ho pensato. Non sembra preoccupata dalla possibilità che quello che è successo a Sonja possa accadere anche a lei.» Wallander tornò alla scrivania. «Ammettiamo che sia veramente così. Che conclusione possiamo trar-
ne?» «Che forse, in parte, Eva Persson sta dicendo la verità. Non sull'aggressione a Lundberg. Io sono convinta che vi abbia partecipato. Ma è possibile che sapesse molto poco di quello che Sonja stava facendo.» «E che cosa sarebbe?» «Non lo so.» «Perché hanno cambiato posto nella pizzeria?» «Perché Sonja si lamentava dello spiffero d'aria dalla finestra. L'ha detto ripetutamente.» «Che cosa ha detto dell'uomo dai lineamenti asiatici?» «Continua a dire di non averlo notato. Inoltre, afferma di non avere mai visto Sonja volgere lo sguardo in quella direzione.» «Neppure quando sono passate di fianco al tavolo dell'uomo uscendo dal ristorante?» «No. Può anche essere la verità. Non si può certo affermare che Eva Persson sia una persona molto attenta.» «Le hai chiesto se conosceva Tynnes Falk?» «Sì. Ha risposto di non avere mai sentito parlare di Falk.» «Ti è sembrato che stesse dicendo la verità?» Ann-Britt non rispose immediatamente. «Mi è sembrato di notare un attimo di esitazione. Ma non ne sono sicura.» Avrei dovuto interrogarla io stesso, pensò Wallander rassegnato. Sarei sicuramente riuscito a notare quell'attimo di esitazione. Ann-Britt sembrava avergli letto nel pensiero. «Io non sono certo alla tua altezza, ma ho fatto del mio meglio.» «Prima o poi, in un modo o nell'altro, riusciremo a farle dire la verità.» «Sto cercando di capire» disse Ann-Britt. «Ma è tutto così confuso.» «Ci vorrà tempo» disse Wallander. «Quello che mi chiedo è se non sia necessario chiedere un aiuto. Siamo in pochi. Anche se è chiaro che possiamo dare la priorità a questo caso e tralasciare tutto il resto.» Ann-Britt lo fissò sorpresa. «Nel passato hai sempre sostenuto che eravamo in grado di concludere le indagini da soli. Hai cambiato idea?» «Forse.» «C'è qualcuno che può spiegare che conseguenze avrà la riorganizzazione che è stata messa in atto? Non io, in ogni caso.» «Qualcosa sappiamo, a parte tutto» obiettò Wallander. «Il distretto di
polizia di Ystad è stato soppresso. Oggi, noi facciamo parte delle forze di polizia della Scania del sud.» «Il che significa duecentoventi poliziotti in servizio per otto comuni. Da Simrishamn a Vellinge. Nessuno sa se funzionerà. Nessuno sa se le cose miglioreranno.» «Al momento non m'importa. Quello che mi chiedo è come riusciremo a portare avanti questa indagine. Nient'altro. Devo parlarne con Lisa al più presto. Ammesso che non mi sollevi dall'incarico.» «In ogni caso, Eva Persson continua a sostenere che i fatti si sono svolti come affermano lei e sua madre. In altre parole, che tu l'hai colpita senza motivo.» «Non ne dubito. Visto che mente su tutto il resto, perché non può continuare a mentire anche su questo?» Wallander si alzò e raccontò ad Ann-Britt quello che era successo nell'appartamento di Tynnes Falk. «Il corpo è stato ritrovato?» «Per quanto ne so, non ancora.» Ann-Britt scosse il capo. «Riesci a capirci qualcosa?» «No. Niente» rispose Wallander. «Ma sono preoccupato. Continuo a pensare al blackout che ha colpito un quarto della Scania.» Uscirono dalla stanza insieme. Mentre passavano nel corridoio, Hansson si affacciò alla porta del suo ufficio e li informò che la polizia di Växjö era riuscita a rintracciare il padre di Eva Persson. «Hanno comunicato che vive in una stamberga fra Växjö e Vislanda. Hanno chiesto che cosa vogliamo sapere.» «Niente, per il momento» disse Wallander. «Ora dobbiamo occuparci di cose più importanti.» Decisero di riunirsi all'una e mezza, non appena Martinsson fosse tornato. Wallander tornò nel suo ufficio e telefonò all'officina. L'auto era pronta e poteva ritirarla in qualsiasi momento. Lasciò la centrale di polizia e si avviò in direzione di Surbrunnsplan. Le raffiche di vento andavano e venivano. Il capo officina si chiamava Holmlund e riparava le automobili di Wallander da anni. Era un patito delle moto e parlava con un accento della Scania quasi incomprensibile. In tutti quegli anni, Holmlund non era cambiato per nulla. Wallander non era mai riuscito a capire se avesse passato la sessantina o la cinquantina.
«La riparazione è costata parecchio» disse Holmlund con il suo sorriso sdentato. «Ma ne vale la pena. Ammesso che tu la venda il più presto possibile.» Wallander salì nell'auto e lasciò l'officina. Il motore girava normalmente. Il pensiero di un'auto nuova lo eccitava. L'unico problema era se rimanere fedele alla Peugeot o se cambiare marca. Decise di chiedere un consiglio a Hansson che conosceva le auto come i cavalli. Wallander si fermò a mangiare in un self-service a Österleden. Iniziò a sfogliare un giornale, ma aveva difficoltà a concentrarsi. Un pensiero lo colpì. Aveva continuato a cercare un punto centrale seguendo diversi approcci. L'ultimo era stato il blackout. Si era chiesto se quello che era successo nella cabina dei trasformatori non fosse soltanto un omicidio, ma anche un vero e proprio sabotaggio programmato. Ma che cosa avrebbe ottenuto se, invece, avesse cercato di individuare quel punto centrale partendo dall'uomo che era entrato nella pizzeria? Ed era per questo che Sonja Hökberg aveva cambiato posto. Un uomo che usava una falsa identità. L'uomo che era ritratto nella fotografia scomparsa dall'appartamento di Tynnes Falk. Ora, Wallander si diede dell'idiota per non avere preso quella fotografia. Se lo avesse fatto, forse István sarebbe riuscito a riconoscere l'uomo dai lineamenti asiatici. Wallander posò la forchetta, prese il cellulare e chiamò Nyberg. Dopo una decina di segnali, Wallander stava per spegnere il cellulare, quando Nyberg rispose. «Avete trovato una fotografia di un gruppo di uomini?» domandò. «Vado a chiedere. Aspetta.» Wallander rimase in attesa. Prese un boccone di pesce che non aveva alcun gusto. Nyberg tornò. «Abbiamo una fotografia di tre uomini con in mano alcuni salmoni. È stata scattata in Norvegia nel 1983.» «Niente altro?» «No. E come fai a sapere che c'era una fotografia di gruppo?» Nyberg non è stupido, pensò Wallander. Ma si era preparato a quella domanda. «Non lo sapevo. Ma cercavo una fotografia delle persone che Tynnes Falk frequentava.» «Fra poco avremo finito» disse Nyberg. «Avete trovato qualcosa?»
«Sembra un normale tentativo di furto. Possono benissimo essere stati dei drogati.» «Nessuna traccia?» «Abbiamo un bel po' di impronte digitali. Ma naturalmente, possono essere quelle di Tynnes Falk. È impossibile controllare visto che il suo corpo non c'è più.» «Prima o poi lo ritroveremo.» «Non ne sarei così sicuro. Quando qualcuno fa sparire un cadavere, non lo fa per fargli un funerale.» Wallander si rese conto che Nyberg aveva ragione. In quello stesso istante fu colpito da un pensiero. Ma Nyberg lo aveva preceduto. «Ho parlato con Martinsson e gli ho chiesto di dare una controllata. Non potevamo escludere che Tynnes Falk fosse nei nostri registri.» «E lo era?» «Sì. Ma niente impronte digitali.» «Che cosa aveva fatto?» «Secondo Martinsson, era stato condannato a risarcire dei danni.» «Che tipo di danni?» «Questo devi chiederlo a Martinsson» concluse Nyberg irritato. Wallander spense il cellulare. Era l'una e dieci. Dopo avere fatto benzina, tornò alla centrale di polizia. Martinsson arrivò qualche secondo dopo. «Nessuno dei vicini ha visto o sentito nulla» disse Martinsson mentre attraversavano il parcheggio. «Sono riuscito a parlare con tutti. Quasi tutti gli inquilini di quella casa sono anziani e rimangono in casa. C'è anche una fisioterapista della tua età.» Evitando di commentare, Wallander chiese informazioni su quello che gli aveva detto Nyberg. «Parlami del risarcimento danni.» «Ho tutto nel mio ufficio. Qualcosa a che fare con dei visoni.» Wallander lo fissò sorpreso. Ma non disse nulla. Arrivato nell'ufficio di Martinsson, prese posto e iniziò a leggere il rapporto. Nel 1991, Tynnes Falk era stato arrestato dalla polizia a pochi chilometri a nord di Sölvesborg. Nella notte, un allevatore di visoni aveva scoperto un uomo che stava aprendo le gabbie degli animali. L'allevatore aveva telefonato alla centrale di polizia che aveva inviato due auto. Tynnes Falk era in compagnia. Ma era stato il solo a essere arrestato. Durante l'interrogatorio, aveva immediatamente ammesso il fatto. Aveva sostenuto di essere contrario all'uccisione di animali per fare pellicce. Ma aveva negato
di appartenere a un'organizzazione, e si era rifiutato di fare i nomi di quelli che erano riusciti a dileguarsi con il favore del buio. Wallander posò il rapporto sulla scrivania. «Credevo che solo i giovani facessero cose simili. Nel 1991, Tynnes Falk aveva più di quarant'anni.» «Personalmente, trovo che siano da ammirare» disse Martinsson. «Mia figlia si è iscritta a un'associazione che si chiama Bird Watchers.» «Studiare gli uccelli mi sembra diverso dal sabotaggio di un allevamento di visoni, non mi sembra la stessa cosa.» «Si tratta sempre di imparare a rispettare gli animali.» Wallander non voleva rimanere impelagato in una discussione alla quale non era preparato. Ma Tynnes Falk era rimasto coinvolto nel tentativo di liberare dei visoni. Si ritrovarono pochi minuti dopo l'una e mezza. La riunione non durò a lungo. Wallander aveva pensato di ripresentare i risultati delle sue riflessioni. Ma decise di aspettare. Era troppo presto. Alle due e un quarto avevano finito. Hansson avrebbe parlato con il pm. Martinsson tornò ai suoi pc, mentre Ann-Britt sarebbe andata a casa della madre di Eva Persson per un nuovo colloquio. Wallander andò nel suo ufficio e chiamò Marianne Falk. Al terzo segnale, udì il suono metallico della segreteria telefonica, ma quando Wallander disse il suo nome dopo il segnale acustico, Marianne Falk alzò il ricevitore. Decisero di incontrarsi nell'appartamento in Apelbergsgatan alle tre. Quando Wallander arrivò con buon anticipo, Nyberg e i suoi tecnici se ne erano già andati. Un'auto della polizia era parcheggiata vicino alla casa. Mentre Wallander saliva per le scale, la porta dell'appartamento che avrebbe preferito dimenticare si aprì d'improvviso. Una donna apparve nel vano della porta. Wallander la riconobbe o, almeno, pensò di averla riconosciuta. «Ti ho visto arrivare dalla finestra» disse la donna sorridendo. «Volevo salutarti. Ti ricordi di me?» «Naturalmente» rispose Wallander. «Ma non hai mai fatto quello che mi avevi promesso.» Wallander non ricordava di avere fatto alcuna promessa. Ma non dubitava di averla fatta. Quando era sufficientemente ubriaco e attratto da una donna, era capace di fare qualsiasi promessa. «Ho avuto un sacco di lavoro e altro» disse Wallander. «Sai com'è.» «Lo so?»
Wallander borbottò qualcosa di incomprensibile. «Posso offrirti una tazza di caffè?» «Temo di non avere tempo. Come saprai, c'è stato un tentativo di furto al piano superiore.» La donna indicò la porta. «Ho fatto installare una porta blindata diversi anni fa. Quasi tutti gli altri inquilini hanno fatto la stessa cosa. Eccetto Falk.» «Lo conoscevi?» «Era molto riservato. Quando ci incrociavamo per le scale ci salutavamo. Nient'altro.» Wallander ebbe la sensazione immediata che la donna non stesse dicendo la verità. Ma non si curò di fare altre domande. La sola cosa che voleva, era andarsene. «Puoi offrirmi un caffè un'altra volta» disse. «Vedremo.» La donna chiuse la porta. Wallander si accorse di essere sudato. Si affrettò a salire l'ultima rampa di scale. Allo stesso tempo, pensò che la donna aveva fatto un'osservazione importante. La maggior parte degli inquilini della casa aveva fatto installare porte blindate. Ma non Tynnes Falk, il quale, secondo la sua ex moglie, aveva paura e affermava di essere circondato da nemici. La porta non era ancora stata riparata. Wallander entrò nell'appartamento. Nyberg e i suoi tecnici avevano lasciato tutto com'era. Sedette in cucina. L'appartamento era avvolto nel silenzio. Guardò l'orologio. Erano le tre meno dieci. Ebbe l'impressione di sentire i passi di Marianne Falk sulle scale. È probabile che Tynnes Falk fosse un uomo avaro, pensò. Una porta blindata costa fra le diecimila e le quindicimila corone. L'ho letto su un volantino pubblicitario. Ma può anche essere che Marianne Falk si sbagli. Suo marito non aveva nemici. Eppure, ricordando gli strani appunti che aveva letto sul giornale di bordo, Wallander era incerto. Il corpo di Tynnes Falk è stato prelevato dall'obitorio. Quasi contemporaneamente, qualcuno forza la porta del suo appartamento. Una fotografia e il suo diario personale spariscono, e forse anche qualcos'altro. D'un tratto, gli fu tutto molto chiaro. C'era qualcuno che non voleva essere riconosciuto, oppure che voleva impedire che il contenuto del giornale di bordo fosse letto e analizzato. Ancora una volta, Wallander si maledì silenziosamente per non avere preso quella fotografia. Gli appunti sul giornale di bordo gli erano sembrati
strani, come se fossero stati scritti da una persona in stato confusionale. Ma, se Wallander avesse avuto il tempo di studiarli, forse sarebbe riuscito a capire e scoprire qualcosa. I passi sulle scale si stavano avvicinando. La porta si aprì. Wallander si alzò per andare incontro a Marianne Falk. Uscì dalla cucina e raggiunse l'ingresso. Istintivamente percepì il pericolo e si girò. Ma era troppo tardi. Una violenta detonazione echeggiò nell'appartamento. 15. Wallander si era gettato di lato. Solo più tardi si rese conto che quel movimento improvviso gli aveva salvato la vita. Allora, Nyberg e i suoi tecnici avevano già recuperato la pallottola che si era conficcata nella parete a qualche centimetro dalla porta. Solo dopo la ricostruzione e in particolare dopo il controllo della giacca di Wallander, era stato possibile chiarire quello che era successo. Wallander aveva raggiunto l'ingresso per andare incontro a Marianne Falk. Era rivolto verso la porta, quando aveva sentito istintivamente che qualcuno dietro di lui costituiva una minaccia. Qualcuno che non era Marianne Falk. Wallander si era girato ed era inciampato nel bordo di un tappeto. Quel movimento era stato sufficiente perché la pallottola passasse fra il suo braccio sinistro e il torace. La pallottola aveva sfiorato la giacca e aveva lasciato una piccola ma evidente traccia sul tessuto. Quella sera stessa, appena arrivato a casa, Wallander cercò un metro. Aveva lasciato la sua giacca ai tecnici della scientifica. Ma voleva misurare la distanza dall'interno dell'avambraccio al punto in cui pensava che iniziasse il suo cuore. Sette centimetri. Wallander si versò un bicchiere di whisky e si disse che l'orlo del tappeto gli aveva salvato la vita. Per un attimo, rivisse quel momento agli inizi della sua carriera a Malmö, quando era stato accoltellato. La lama del coltello era penetrata nel torace a otto centimetri a destra del cuore. Quella volta aveva formulato un motto. C'è un tempo per vivere e un tempo per morire. Ripensando a quel momento si rese conto con inquietudine che, in quei trent'anni, il margine era diminuito di un centimetro. Wallander non aveva alcuna idea della dinamica dei fatti, così come non sapeva chi gli avesse sparato. Aveva solo intravisto un'ombra. E poi c'era
stato il rapido fruscio di un movimento seguito subito dopo dal boato violento dello sparo e da quello della sua caduta fra i soprabiti di Tynnes Falk. Wallander credeva di essere stato colpito. Per un attimo fu sicuro che l'urlo che udì frammisto al rumore dello sparo che echeggiava ancora nelle sue orecchie fosse il suo. Ma alzando lo sguardo, vide Marianne Falk che era stata gettata a terra dall'ombra che fuggiva. Quando Martinsson l'aveva interrogata, Marianne Falk gli aveva detto che aveva l'abitudine di tenere lo sguardo fisso sui suoi piedi mentre saliva una rampa di scale. Udendo lo sparo, aveva avuto l'impressione che provenisse dal basso. Per questo si era fermata e si era girata. In quello stesso momento, aveva sentito il rumore di qualcuno che correva verso di lei. Aveva appena avuto il tempo di voltarsi, quando era stata colpita al volto ed era caduta sulle scale. Ma la cosa più strana era stata che nessuno dei due poliziotti seduti nell'auto ferma a pochi metri dalla casa si era accorto di quello che era accaduto. L'uomo che aveva sparato a Wallander era quasi sicuramente uscito dall'entrata principale. La porta della cantina era chiusa a chiave. Ma i due poliziotti non avevano visto nessuno uscire dalla casa. Avevano visto Marianne Falk entrare. Alcuni secondi dopo avevano udito lo sparo, senza però capire immediatamente che cosa fosse. Né avevano visto qualcuno uscire dal portone. Martinsson, che non era per niente convinto, aveva controllato tutta la casa. Aveva chiesto a tutti gli anziani inquilini spauriti di aprire le porte, ordinando a diversi poliziotti di entrare negli appartamenti, controllare ogni armadio e guardare sotto ogni letto. Ma non trovarono nulla. Se non fosse stato per la pallottola conficcata nella parete, persino Wallander avrebbe potuto credere di avere immaginato tutto. E si immaginava anche un'altra cosa che, per il momento, decise di tenere per sé. Sapeva che poteva ringraziare il bordo del tappeto perché lo aveva fatto inciampare. Ma credeva anche che proprio quel suo movimento avesse convinto l'uomo che gli aveva sparato di averlo colpito. La pallottola che Nyberg aveva estratto dalla parete era del tipo che provoca una ferita a cratere. Quando Nyberg gliela fece vedere, Wallander capì perché l'uomo aveva sparato un solo colpo. Era convinto che sarebbe stato mortale. Dopo una prima parentesi di confusione, la caccia ebbe inizio. Le scale della casa brulicavano di poliziotti con Martinsson in testa. Ma nessuno sapeva chi dovevano cercare, e né Marianne Falk né Wallander erano in grado di fornire la ben che minima indicazione. Le auto della polizia setac-
ciavano le strade di Ystad, fu dato l'allarme su scala regionale, ma naturalmente tutti sapevano che non sarebbero riusciti ad arrestare l'uomo che aveva sparato. Mentre Nyberg e i suoi tecnici cercavano di estrarre la pallottola dalla parete, Martinsson e Wallander rimasero in cucina. Marianne Falk era tornata a casa per cambiarsi. Wallander aveva consegnato la sua giacca ai tecnici. Continuava ad avere male alle orecchie dopo il colpo. Lisa Holgersson arrivò insieme ad Ann-Britt, e Wallander fu costretto a ripetere per l'ennesima volta come si erano svolti i fatti. «La domanda è perché ti ha sparato» disse Martinsson. «Prima qualcuno forza la porta di questo appartamento e ora torna armato e ti spara.» «Quello che dobbiamo chiederci è se si tratti della stessa persona» disse Wallander. «Perché è tornato? L'unico motivo plausibile è che cercasse qualcosa. Qualcosa che non aveva preso la prima volta.» «Non stiamo dimenticando un altro particolare?» disse Ann-Britt. «A chi ha sparato?» Wallander si era posto la stessa domanda. Era possibile che quello che era successo potesse essere collegato alla notte in cui era entrato nell'appartamento da solo? Aveva avuto ragione quando, in due occasioni, era andato alla finestra per controllare la strada? C'era qualcuno nascosto nell'ombra? Wallander pensò che era arrivato il momento di dire la verità. Ma qualcosa lo fece desistere. «Perché qualcuno avrebbe voluto spararmi?» disse Wallander. «Semplicemente perché la sorte ha voluto che ci fossi io in casa quando è tornato. Quello che dobbiamo chiederci è che cosa stesse cercando. Il che, a sua volta, significa che Marianne Falk deve tornare qui il più presto possibile.» Martinsson lasciò l'appartamento insieme a Lisa Holgersson. I tecnici avevano praticamente finito il loro lavoro. Ann-Britt rimase seduta in cucina insieme a Wallander. Marianne Falk aveva telefonato dicendo che stava tornando. «Come ti senti?» «Non potrei sentirmi peggio. Tu ne sai qualcosa.» Alcuni anni prima, Ann-Britt Höglund era stata ferita in un campo fangoso poco lontano da Ystad. In parte, era stata colpa di Wallander, perché le aveva ordinato di avanzare senza accorgersi che l'uomo che dovevano arrestare aveva trovato la pistola che Hansson aveva lasciato cadere poco prima. Ann-Britt Höglund era stata ferita gravemente ed era passato molto tempo prima che tornasse al lavoro. Quando era tornata in servizio era cambiata. Diverse volte, aveva parlato a Wallander della paura che conti-
nuava a perseguitarla nei suoi sogni. «Io ho avuto fortuna» continuò Wallander. «Una volta sono stato accoltellato. Ma fino a ora ho evitato di prendermi una pallottola in corpo.» «Devi parlarne con qualcuno» disse Ann-Britt. «Abbiamo dei gruppi di terapia proprio per questo.» Wallander scosse il capo irritato. «Non ce n'è bisogno. Non voglio più parlarne con nessuno.» «Non capisco perché devi essere sempre cosi testardo. Sei un bravo poliziotto, ma nonostante questo, non sei un essere sovrumano. È chiaro che puoi andare avanti e pensare quello che diavolo vuoi. Ma sappi che ti sbagli.» Wallander rimase sorpreso dalla sfuriata di Ann-Britt. Sapeva che aveva ragione. Il ruolo di poliziotto che interpretava ogni giorno nascondeva un essere umano che aveva quasi dimenticato. «E comunque, dovresti almeno andare a casa.» «A che pro?» In quello stesso istante Marianne Falk entrò nell'appartamento. Wallander vide l'occasione di sbarazzarsi di Ann-Britt e delle sue considerazioni imbarazzanti. «Le parlerò io» disse. «Grazie per l'aiuto.» «Che aiuto?» Ann-Britt se ne andò. Alzandosi dalla sedia, Wallander fu colto da un momentaneo capogiro. «Che cosa è successo?» chiese Marianne Falk. Wallander notò che la mascella destra di Marianne Falk era livida e gonfia. «Sono arrivato qualche minuto prima delle tre. Mentre salivo, ho sentito qualcuno aprire la porta. Credevo fossi tu. Ma non era così.» «Chi era?» «Non lo so. Ovviamente non lo sai neppure tu.» «Non ho avuto il tempo di vederlo in faccia.» «Sei sicura che fosse un uomo?» La domanda la sorprese e Marianne Falk rifletté prima di rispondere. «Sì» disse. «Era un uomo.» Pur senza poterlo provare, Wallander sapeva che Marianne Falk aveva ragione. «Iniziamo dal soggiorno» disse. «Voglio che ti guardi intorno per vedere se manca qualcosa. Poi faremo la stessa cosa con le altre stanze. Fa' pure
con calma. Puoi aprire i cassetti e scostare le tende.» «Tynnes non me lo avrebbe mai permesso. Era un uomo dai mille segreti.» «Ne parleremo dopo» la interruppe Wallander. «Comincia dal soggiorno.» Wallander era rimasto sulla porta del soggiorno e vide che Marianne Falk stava veramente facendo uno sforzo. Più la guardava e più la trovava attraente. Si chiese a quale tipo di annuncio avrebbe potuto rispondere una donna come lei. Passarono nella camera da letto. Wallander cercava senza sosta di cogliere in lei un attimo di esitazione. Questo avrebbe significato che mancava qualcosa. Quando tornarono in cucina era passata più di mezz'ora. «Ho notato che non hai aperto gli armadi» disse Wallander. «Non sapendo che cosa c'è all'interno, non sarei stata in grado di dire che cosa manchi.» «Hai potuto notare se manca qualcosa nelle stanze?» «No, niente...» «Puoi dire di conoscere questo appartamento molto bene?» «Non abbiamo mai abitato insieme qui. Tynnes l'ha preso in affitto quando abbiamo divorziato. Di tanto in tanto mi telefonava. Abbiamo cenato insieme qualche rara volta. I nostri figli lo venivano a trovare più spesso di me.» Wallander cercò di ricordare quello che Martinsson gli aveva detto quando gli aveva parlato per la prima volta dell'uomo morto davanti al Bancomat. «Vostra figlia è a Parigi, non è così?» «Ina ha diciassette anni e lavora come ragazza alla pari all'ambasciata danese. È là per imparare il francese.» «E tuo figlio?» «Jan? Ha diciannove anni e studia a Stoccolma.» Wallander cambiò argomento e tornò a parlare dell'appartamento. «Credi che saresti stata in grado di notare se mancava qualcosa?» «Solo qualcosa che avevo visto in precedenza.» Wallander annuì. Si scusò, tornò nel soggiorno e tolse uno dei tre galli di ceramica dal davanzale della finestra. Tornò in cucina e chiese a Marianne Falk di controllare il soggiorno una seconda volta. Lei si accorse immediatamente che mancava il gallo. Wallander capì che non c'era speranza. La donna aveva una buona memoria visiva ed era chia-
ro che non conosceva il contenuto degli armadi. Quando tornarono a sedersi in cucina erano quasi le cinque. Il buio dell'autunno era calato sulla città. «Che cosa faceva?» chiese Wallander. «Da quello che ho capito mandava avanti una società nel settore dell'informatica.» «Tynnes era un consulente.» «Che cosa significa?» Marianne lo fissò sorpresa. «Oggi il nostro paese è dominato dai consulenti. Presto anche i membri del governo saranno sostituiti da consulenti. I consulenti sono esperti pagati profumatamente che viaggiano continuamente e che trovano soluzioni a problemi diversi. Se le cose vanno male devono accollarsi anche il ruolo di capri espiatori. Ma sono ben pagati per i loro eventuali fastidi.» «Dunque, tuo marito era un consulente nel settore dell'informatica.» «Ti sarei grata se non chiamassi Tynnes "mio marito". Non lo era più.» Wallander non nascose un gesto di impazienza. «Puoi spiegarmi dettagliatamente quello che faceva?» «Tynnes era molto abile a creare sistemi di controllo interni.» «Che cosa significa?» Per la prima volta, Marianne Falk sorrise. «Non credo che sia possibile spiegartelo se non hai le conoscenze più elementari di come funzioni un computer.» Wallander si rese conto che la donna aveva ragione. «Chi erano i suoi clienti?» «Da quello che so, per lo più si trattava di banche.» «Qualcuna in particolare?» «Non saprei.» «Chi può saperlo?» «Tynnes aveva un commercialista.» Wallander mise la mano nella tasca alla ricerca di un pezzo di carta per scrivere quel nome. L'unica cosa che trovò fu la fattura dell'officina. «Si chiama Rolf Stenius e ha un ufficio a Malmö. Non conosco né l'indirizzo, né il numero di telefono.» Wallander posò la penna. Per un attimo ebbe l'impressione di avere trascurato qualcosa. Cercò di capire che cosa fosse, ma senza successo. Marianne Falk aveva preso un pacchetto di sigarette. «Ti dà fastidio se fumo?» «Per niente.»
Marianne Falk si alzò, prese un piattino dal lavandino e accese una sigaretta. «Tynnes si rivolterebbe nella tomba. Odiava le sigarette. Durante tutto il nostro matrimonio, sono stata costretta a uscire in strada per fumare. Adesso posso prendermi una piccola rivincita.» Wallander colse l'occasione per affrontare un altro argomento. «Quando ci siamo parlati la prima volta, mi hai detto che Tynnes affermava di avere dei nemici. E che era preoccupato.» «Dava quell'impressione.» «Sono sicuro che tu capisci che è molto importante.» «Naturalmente, se sapessi qualcosa, te lo direi. Ma la verità è che non so a cosa si riferisse.» «È possibile notare quando una persona è preoccupata. Ma si può notare anche quando ha dei nemici? Tynnes deve averti detto qualcosa.» Marianne Falk non rispose subito. Portò la sigaretta alle labbra e volse lo sguardo verso la finestra. Fuori era buio. Wallander rimase in attesa. «Tutto è iniziato qualche anno fa» disse la donna. «Mi sono accorta che Tynnes era preoccupato. Ma era anche, come posso dire, esagitato, quasi maniaco. Poi, ha iniziato a fare strane dichiarazioni. Mi invitava a bere il caffè e improvvisamente diceva cose quali: "Se la gente sapesse, mi ammazzerebbero." Oppure: "Non si può mai sapere quanto vicini siano gli inseguitori."» «Ha detto veramente queste frasi?» «Sì.» «E non ti ha dato alcuna spiegazione?» «No.» «Gli hai chiesto che cosa volesse dire?» «Se lo avessi fatto, si sarebbe adirato e non avrebbe più parlato.» Wallander cercò di riflettere prima di continuare. «Parliamo dei vostri figli.» «Naturalmente sanno che Tynnes è morto.» «Credi che tua figlia o tuo figlio abbiano avuto la stessa impressione? Che Tynnes era preoccupato? Sapevano che aveva iniziato a parlare di nemici?» «Ne dubito. Non avevano un rapporto così stretto. Per prima cosa, vivevano con me. Inoltre, a Tynnes non piaceva che andassero a trovarlo troppo spesso. Non dico questo per criticarlo. Sia Jan che Ina possono confermarlo.»
«Ma Tynnes deve pur avere avuto qualche amico.» «Non molti. Pochi mesi dopo il matrimonio, mi sono resa conto di avere sposato un uomo solitario.» «A parte te, chi lo conosceva bene?» «So che incontrava una donna che faceva il suo stesso lavoro di consulenza nel settore dell'informatica. Si chiama Siv Eriksson. Non conosco il suo numero di telefono. Ma so che ha un ufficio in Skansgränd, all'altezza di Sjömansgatan. Hanno lavorato insieme a diversi progetti.» Wallander scrisse un appunto. Marianne Falk spense la sigaretta. «Un'ultima domanda» disse Wallander. «Almeno per il momento. Alcuni anni fa, Tynnes Falk è stato arrestato dalla polizia mentre stava liberando dei visoni da un allevamento. È stato condannato a pagare un'ammenda.» Marianne Falk lo fissò con un'espressione sorpresa che sembrava genuina. «Non ne ho mai sentito parlare.» «Ma che cosa ne pensi?» «Del fatto che abbia cercato di liberare dei visoni da un allevamento? Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa simile?» «Sai se Tynnes avesse dei contatti con organizzazioni che si occupano di cose di quel genere?» «Che tipo di organizzazioni?» «Quelle per la difesa dell'ambiente. O il Wwf.» «Non credo proprio.» Wallander annuì. Era certo che Marianne Falk dicesse la verità. «Avrò bisogno di parlarti ancora» disse Wallander alzandosi. «Quando abbiamo divorziato, Tynnes ha accettato di pagare un assegno mensile molto generoso. Questo mi permette di evitare di fare la cosa che odio maggiormente.» «Che cosa sarebbe?» «Lavorare. Passo le mie giornate leggendo libri. E ricamando rose su piccoli centrini di lino.» Wallander si chiese se Marianne Falk lo stesse prendendo in giro. Ma non disse nulla. La accompagnò alla porta. La donna si fermò davanti al buco nella parete. «Dunque, oggi i ladri di appartamenti si sono messi anche a sparare alle persone?» «Succede.»
Marianne Falk lo squadrò da capo a piedi. «Ma tu non porti un'arma per difenderti?» «No.» Marianne Falk scosse il capo, gli porse la mano e si accomiatò. «Ancora una cosa» disse Wallander. «Tynnes era interessato allo spazio?» «Che cosa vuoi dire?» «Astronavi o astronomia?» «Me lo hai già chiesto. La risposta è la stessa. Tynnes alzava molto raramente la testa per guardare il cielo. Se lo faceva era esclusivamente per controllare se le stelle fossero sempre al loro posto. Non si può certo affermare che fosse una persona romantica.» Marianne Falk rimase ferma sul pianerottolo. «Chi riparerà la porta?» «C'è qualcuno che si occupa di questo stabile?» «Non saprei. Devi chiederlo a qualcun altro.» Marianne Falk si avviò verso le scale. Wallander tornò nell'appartamento e si mise a sedere su una sedia in cucina. Nello stesso luogo dove aveva avuto la sensazione di avere trascurato un particolare. Era stato Rydberg a insegnargli ad ascoltare sempre i campanelli d'allarme interiori. Nel mondo razionale e tecnologico nel quale i poliziotti vivevano, ed erano costretti a vivere, l'intuito continuava ad avere una propria, determinante importanza. Wallander rimase seduto immobile per alcuni minuti. Poi capì. Ancora una volta, si trattava di capovolgere i fatti per riuscire a metterli nella loro prospettiva corretta. Marianne Falk non era stata in grado di vedere se mancasse qualcosa nell'appartamento, ma era possibile che l'uomo che era entrato forzando la porta e aveva sparato a Wallander fosse invece tornato per lasciare qualcosa? Wallander scosse il capo negativamente. Stava per alzarsi dalla sedia quando qualcosa lo fece sussultare. Qualcuno aveva bussato alla porta. Wallander sentì i battiti del cuore aumentare. Solo quando udì nuovamente bussare si rese conto che non poteva essere qualcuno che era venuto per cercare di ucciderlo. Andò nell'ingresso e aprì la porta. Si trovò di fronte un uomo anziano con un bastone da passeggio in mano. «Sto cercando il signor Falk» disse l'uomo con tono deciso. «Sono venuto a fare una lamentela.» «Il suo nome?» chiese Wallander. «Mi chiamo Carl-Anders Setterkvist e sono il proprietario di questa ca-
sa. Ho ricevuto diverse lamentele per il baccano proveniente da questo appartamento. E anche per i militari che vanno avanti e indietro sulle scale. Se il signor Falk è in casa voglio parlargli personalmente.» «Il signor Falk è morto» disse Wallander, con tono esageratamente brusco. Setterkvist lo fissò incredulo. «Morto? Che cosa significa?» «Io sono un poliziotto» disse Wallander. «Polizia criminale. Qui c'è stato un tentativo di furto. In ogni caso, Tynnes Falk è morto lunedì notte. E quelli che sono andati su e giù per le scale non erano dei militari, ma poliziotti.» Per un attimo, Wallander ebbe l'impressione che Setterkvist stesse valutando se dicesse la verità oppure no. «Esigo di vedere il distintivo» disse con tono deciso. «I distintivi non sono più in uso da anni» rispose Wallander. «Ma posso farle vedere la mia tessera.» Wallander la prese di tasca e gliela porse. Setterkvist la controllò accuratamente. «Un fatto veramente increscioso» disse Setterkvist. «Che cosa succederà con gli appartamenti?» Wallander sussultò. «Gli appartamenti?» «Alla mia età, i nuovi inquilini sono sempre un problema. Devo stare attento a chi li affitto. Specialmente in una casa dove la maggior parte degli inquilini sono persone anziane.» «Abita anche lei in questa casa?» Setterkvist assunse un'espressione offesa. «Io abito in una villa fuori città.» «Ha detto appartamenti?» «Che cos'altro avrei dovuto dire?» «Vuole dire che Tynnes Falk aveva preso in affitto più di un appartamento?» Setterkvist fece un cenno con il bastone per indicare che voleva entrare. Wallander si scostò. «Voglio solo ricordarle che c'è stato un tentativo di furto e che l'appartamento non è particolarmente ordinato.» «Anche da me sono venuti i ladri» disse Setterkvist impassibile. «So in che stato può essere.»
Wallander lo fece andare verso la cucina. «Il signor Falk era un inquilino modello» disse Setterkvist. «Mai in ritardo con il pagamento degli affitti. Alla mia età non c'è più molto che possa sorprendermi. Ma devo ammettere che le lamentele che ho ricevuto in questi ultimi giorni mi hanno sorpreso. È per questo che sono venuto.» «Dunque, Falk affittava più di un appartamento?» chiese Wallander. «Sono proprietario di un altro immobile, una magnifica casa d'epoca in Runnerströms Torg» disse Setterkvist. «In quella casa, Falk aveva preso una mansarda. Aveva detto che gli serviva per il suo lavoro.» Questo spiega l'assenza di computer in questo appartamento, pensò Wallander. Qui non c'è molto che indichi lo svolgimento di una qualche attività. «Avrei bisogno di vedere quella mansarda» disse Wallander. Setterkvist ci pensò su. Poi prese di tasca il più grande mazzo di chiavi che Wallander avesse mai visto. Ma Setterkvist scelse la chiave senza esitazione e la tolse dal mazzo. «Naturalmente le darò una ricevuta» disse Wallander. Setterkvist scosse il capo. «Bisogna fidarsi della gente» disse. «O meglio, bisogna fidarsi del proprio giudizio.» Setterkvist se ne andò. Wallander telefonò alla centrale di polizia e chiese di inviare qualcuno con il necessario per aiutarlo a sigillare la porta dell'appartamento. Appena finito, andò direttamente in Runnerströms Torg. Mancavano pochi minuti alle sette. Il vento continuava a soffiare. Wallander era intirizzito. La giacca che Martinsson gli aveva prestato era leggera. Ripensò al colpo di pistola. Continuava a trovarlo irreale. Si chiese come avrebbe reagito più tardi, quando si sarebbe veramente reso conto di quanto fosse stato vicino alla morte. La casa di tre piani in Runnerströms Torg era stata costruita all'inizio del secolo. Wallander si fermò sul marciapiede opposto e alzò lo sguardo verso le finestre della mansarda. Nessuna luce era accesa. Prima di muoversi si guardò intorno. Un uomo passò in bicicletta. Quando rimase solo, attraversò la strada e aprì il portone. Accese la luce e iniziò a salire le scale. Passando udì una musica dall'interno di uno degli appartamenti. Arrivato all'ultimo piano, si trovò davanti un'unica porta blindata, senza targhetta. Wallander rimase in ascolto qualche secondo e poi aprì la porta. Rimase fermo sulla soglia con lo sguardo fisso nel buio. Per un attimo ebbe l'impressione di udire un respiro dall'interno, si irrigidì pronto a scappare, ma
poi capì che era stata la sua immaginazione. Accese la luce e chiuse la porta alle sue spalle. La stanza era grande e praticamente vuota, a parte una scrivania e una sedia. Sul ripiano della scrivania c'era un pc. Wallander si avvicinò. Di fianco c'era un foglio di carta con un disegno. Wallander accese la lampada sul tavolo. Dopo qualche secondo capì. Il disegno riproduceva la cabina dei trasformatori dove Sonja Hökberg era stata trovata carbonizzata. 16. Wallander rimase con il fiato sospeso. Per un secondo, pensò di essersi sbagliato. Forse quel disegno riproduceva qualcos'altro. Ma l'incertezza scomparve subito. Non vi era il minimo dubbio. Posò cautamente il disegno di fianco al pc. Alla luce della lampada vide il proprio volto rispecchiarsi sullo schermo spento. Sul ripiano della scrivania c'era un telefono. Wallander si disse che avrebbe dovuto telefonare a qualcuno. A Martinsson, o forse ad Ann-Britt. O a Nyberg. Ma non alzò il ricevitore. Si alzò e iniziò ad aggirarsi per la stanza lentamente. È qui che Tynnes Falk veniva a lavorare, pensò. Dietro una porta blindata che era quasi impossibile forzare. È proprio qui che veniva a svolgere il suo lavoro di consulente. E io non so ancora nulla di quel lavoro. Ma una notte, Tynnes Falk viene trovato morto davanti a un Bancomat. Il suo corpo scompare dall'obitorio. E adesso io trovo un disegno della cabina dei trasformatori della centrale elettrica di fianco al suo pc. Per un istante vertiginoso, Wallander pensò di avere intuito una spiegazione. Ma la massa di dettagli era troppo grande. Continuò ad aggirarsi per la stanza. Che cosa c'è?, pensò. E che cosa manca? Un pc, una sedia, una scrivania e una lampada. C'è anche un telefono, e un disegno. Nessuno scaffale. Nessuna cartella, nessun libro. Neppure una penna. Fece un secondo giro della stanza e poi tornò alla scrivania. Sollevò la lampada e iniziò a illuminare lentamente le pareti. La luce era forte. Ma non riuscì a individuare alcun segno di un nascondiglio. Si mise a sedere. Il silenzio intorno era assordante. Le pareti e i vetri delle finestre erano spessi. La porta blindata non lasciava trapelare alcun suono. Se avesse avuto Martinsson con sé, gli avrebbe chiesto di accendere il pc. Wallander non se la sentiva di farlo. Pensò nuovamente che avrebbe dovuto telefona-
re al collega. Ma esitava. Devo riuscire a capire, pensò. In questo momento, è la cosa più importante. In un periodo di tempo più breve di quello che avrei osato sperare, una serie di dettagli hanno trovato un legame. Il problema, è che non riesco a interpretare quello che vedo. Quando si accorse che erano ormai quasi le otto, Wallander decise di telefonare a Nyberg. Non poteva farne a meno, anche se sapeva che era sera e che Nyberg era rimasto al lavoro per diversi giorni praticamente senza dormire. Molti altri avrebbero scelto di rimandare tutto al giorno dopo. Ma non Wallander. La sensazione di non poter perdere tempo continuava ad assillarlo. Prese il suo cellulare e chiamò. Nyberg ascoltò senza fare alcun commento. Quando disse di avere preso nota dell'indirizzo, Wallander spense il cellulare e scese in strada per aspettarlo. Nyberg arrivò da solo con la sua auto. Wallander lo aiutò a portare le sue borse nella mansarda. «Che cosa devo cercare?» chiese Nyberg entrando nell'appartamento. «Impronte digitali. Nascondigli.» «In questo caso, per il momento non chiamerò nessun altro. Ammesso che le fotografie e le riprese video possano aspettare.» «Sarà sufficiente farlo domani.» Nyberg annuì e si tolse le scarpe. Da una delle sue borse prese un paio di soprascarpe di plastica speciali. Per anni, Nyberg aveva criticato le protezioni per i piedi che erano date in dotazione. Alla fine, aveva ideato un proprio modello e lo aveva fatto produrre. Wallander era certo che avesse pagato di tasca propria. «Te ne intendi di computer?» chiese. «Come tanti altri non so come funzioni veramente» rispose Nyberg. «Ma posso accenderlo se vuoi.» Wallander scosse il capo. «È meglio che se ne occupi Martinsson» disse. «Se permettessi che qualcun altro si occupasse dei computer, non me lo perdonerebbe mai.» Poi indicò il disegno sulla scrivania. Nyberg capì immediatamente quello che rappresentava. Fissò Wallander meravigliato. «Che cosa significa? È stato Falk a uccidere la ragazza?» «Quando Sonja Hökberg è stata uccisa, Falk era già morto» rispose Wallander. Nyberg annuì. «Sono stanco» disse. «Sto facendo confusione con i giorni, le ore e i fat-
ti. Non vedo l'ora di andare in pensione.» Non ci credo neanche per un minuto, pensò Wallander. L'idea della pensione ti terrorizza. Nyberg andò a prendere una lente di ingrandimento da una delle borse e si mise a sedere al tavolo. Studiò il disegno per alcuni minuti. Wallander rimase in attesa in silenzio. «Questa sicuramente non è una copia» disse alla fine. «È un originale.» «Ne sei sicuro?» «Non al cento per cento. Ma quasi.» «Questo significa che è stata sottratta da un archivio?» «Non sono certo di avere capito bene» disse Nyberg. «Ma ho parlato a lungo con Andersson, uno degli addetti alle riparazioni delle linee elettriche. Soprattutto della sicurezza di quelle ad alta tensione. Sembra che sia improbabile che un estraneo possa copiare un disegno come questo. Ed è praticamente impossibile mettere le mani su un originale.» Wallander si rese conto che il commento di Nyberg era importante. Se il disegno era stato rubato da un archivio, si trattava di un nuovo indizio. Nyberg sistemò la lampada sul tavolo. Wallander decise di lasciarlo lavorare in pace. «Io torno alla centrale. Se hai bisogno di me, puoi telefonarmi in ufficio.» Nyberg non rispose. Era assorto nel suo lavoro. Quando Wallander arrivò in strada, una nuova idea aveva preso forma nella sua mente. Non sarebbe andato alla centrale di polizia. Non subito in ogni caso. Marianne Falk aveva parlato di una donna che si chiamava Siv Eriksson. Abitava poco lontano, e lei avrebbe potuto spiegargli in che cosa consistesse veramente il lavoro di Tynnes Falk. Seguì Långgatan in direzione del centro della città e quando arrivò a Skansgränd prese a destra. La città era deserta. Wallander si fermò due volte e si guardò alle spalle. Non lo seguiva nessuno. Il vento che continuava a soffiare lo faceva rabbrividire. Camminando, iniziò a pensare al colpo di pistola. Si chiese quando si sarebbe veramente reso conto di quanto fosse stato vicino alla morte. E subito dopo, si chiese come avrebbe reagito in quel momento. Quando si fermò davanti alla casa che Marianne Falk gli aveva descritto, vide immediatamente l'insegna di fianco al portone. Sercon. È l'acronimo di "Siv Eriksson, Consulente", pensò. L'ufficio era al secondo piano. Wallander suonò il campanello augurandosi di avere fortuna. Se era solo un ufficio, sarebbe stato costretto a cerca-
re l'indirizzo di casa della donna. La risposta fu quasi immediata. Wallander si chinò in avanti e disse il proprio nome e il motivo della sua visita. La donna che aveva risposto, rimase in silenzio. Poi udì lo scatto metallico del portone che si apriva ed entrò. Quando arrivò sul pianerottolo, Siv Eriksson lo stava aspettando sulla porta. A dispetto della luce dall'ingresso che gli colpiva gli occhi, la riconobbe immediatamente. L'aveva incontrata la sera prima, quando aveva parlato del lavoro della polizia al circolo. Ricordava di averle anche stretto la mano. Ma di non avere fatto caso al suo nome. È strano che non si sia fatta viva, pensò per un attimo. Dopotutto, sapeva che Tynnes Falk era morto. Wallander fu colto da un attimo di incertezza. Forse Siv Eriksson non aveva ancora appreso la notizia? Forse sarebbe stato costretto a informarla? «Chiedo scusa per il disturbo» disse. Siv Eriksson lo fece entrare. C'era un piacevole odore di legna che bruciava. Ora, Wallander riusciva a vedere la donna chiaramente. Era sulla quarantina, aveva capelli scuri non troppo lunghi e i lineamenti del volto delicati. La sera prima, era stato troppo nervoso per notare quei dettagli. Ma ora, la donna che gli stava di fronte gli faceva provare una sensazione di imbarazzo, che provava sempre quando si trovava in presenza di una donna attraente. «Lascia che ti spieghi il motivo della mia visita» disse. «Sono al corrente della morte di Tynnes. Marianne mi ha telefonato.» Wallander notò un'espressione di tristezza sul volto della donna. Allo stesso tempo, si sentì sollevato. In tutti i suoi anni da poliziotto, non era mai riuscito ad abituarsi a dare la notizia di una morte. «Come colleghi di lavoro, dovevate essere molto vicini l'uno all'altra» disse. «Sì e no» rispose Siv Eriksson. «Lo eravamo e anche molto. Ma solo sul lavoro.» Wallander si chiese se dopotutto quella vicinanza non avesse implicato qualcosa di diverso. Per un attimo provò una vaga sensazione di gelosia. «Presumo che ci sia un motivo importante se sei venuto a quest'ora di sera» disse Siv Eriksson porgendogli un attaccapanni. La donna lo fece accomodare in un soggiorno arredato con buon gusto. Il fuoco era acceso nel camino. Guardandosi intorno, Wallander ebbe l'im-
pressione che i mobili e i quadri fossero costosi. «Posso offrirti qualcosa da bere?» Whisky, pensò Wallander. Ne avrei bisogno. «Non è necessario» disse. Wallander si mise a sedere in un angolo di un divano blu. Siv Eriksson occupò una poltrona di fronte a lui. Wallander notò che aveva delle magnifiche gambe. In quello stesso istante, si accorse che la donna aveva seguito il suo sguardo. «Sono appena stato nell'ufficio di Tynnes Falk» disse Wallander. «A parte la scrivania e il pc non c'è altro.» «Tynnes era una persona ascetica. Quando lavorava non voleva avere niente intorno a sé.» «A dire il vero, non è per questo che sono venuto. Vorrei sapere che cosa faceva. O meglio, quello che facevate.» «Lavoravamo insieme. Ma non sempre.» «Iniziamo con quello che Tynnes Falk faceva quando lavorava da solo.» Wallander si pentì di non avere telefonato a Martinsson. C'era un chiaro rischio che non riuscisse a capire tutte le spiegazioni che Siv Eriksson gli avrebbe dato. Non era ancora troppo tardi per chiamare Martinsson. Ma per la terza volta quella sera, Wallander non lo fece. «Devo ammettere che non me ne intendo molto di informatica» disse Wallander. «Perciò devo chiederti di essere molto chiara. Altrimenti, c'è il rischio che io non riesca a capire.» Siv Eriksson lo fissò sorridendo. «Questo mi stupisce» disse. «Ieri sera, quando ho ascoltato la tua conferenza, ho avuto l'impressione che oggi i computer siano i migliori collaboratori della polizia.» «Non per il sottoscritto. Alcuni di noi devono ancora dedicare il proprio tempo a parlare con la gente. Perciò, ne rimane poco per controllare i file. O per inviare e ricevere e-mail.» Siv Eriksson si alzò, si avvicinò al camino e smosse la legna. Wallander la osservò con interesse. Quando la donna si girò, spostò rapidamente lo sguardo sulle sue mani. «Che cosa vuoi sapere? E per quale motivo?» Wallander decise di rispondere prima alla seconda domanda. «Perché non siamo più sicuri che Tynnes Falk sia morto per cause naturali. Anche se in un primo momento, i medici hanno diagnosticato un in-
farto.» «Un infarto?» L'espressione di sorpresa sul volto di Siv Eriksson sembrava genuina. Wallander pensò al medico che era andato a parlargli per contestare il referto. «Mi sembra molto strano che Tynnes avesse dei problemi di cuore. Faceva regolarmente del moto e si manteneva in forma.» «Mi è stato detto anche da altri. È per questo che stiamo verificando il tutto. Se escludiamo un infarto, la domanda è che cosa può avere causato la sua morte. Naturalmente, la risposta più immediata potrebbe essere un qualche tipo di violenza. Oppure un puro e semplice incidente. Può essere caduto inciampando e avere avuto la sfortuna di battere la testa malamente e morire.» Siv Eriksson scosse il capo incredula. «Tynnes non avrebbe mai permesso che qualcuno gli si avvicinasse.» «Che cosa vuoi dire?» «Era sempre molto attento. Diceva spesso di non sentirsi sicuro quando era in strada. Per questo era sempre pronto. Era molto rapido. Inoltre, aveva imparato una qualche arte marziale asiatica di cui non ricordo il nome.» «Riusciva a rompere mattoni a mani nude?» «Più o meno.» «Dunque, credi che si sia trattato di un incidente?» «È quello che penso.» Wallander annuì. «C'è un altro motivo se sono qui» disse. «Ma al momento, purtroppo, non posso entrare nei dettagli.» Siv Eriksson si versò un bicchiere di vino e lo posò cautamente sul bracciolo della poltrona. «Sono sicura che capirai che tutto questo mi incuriosisce.» «Purtroppo, non posso dire nulla.» Sto mentendo, pensò Wallander. Niente mi impedisce di dire molto di più. Sto semplicemente seduto cercando di esercitare una specie di potere. Siv Eriksson interruppe il corso dei suoi pensieri. «Che cosa volevi sapere?» «Quello che faceva.» «Tynnes era un innovatore di programmi molto competente.» Wallander alzò una mano. «Ferma un attimo. Che cosa significa?»
«Tynnes realizzava programmi informatici per diverse aziende. Oppure adattava e migliorava programmi già esistenti. Quando dico che era molto competente, non esagero. Ha avuto diverse richieste di portare a termine lavori importanti in Asia e negli Stati Uniti. Avrebbe potuto guadagnare molto, ma ha sempre rifiutato.» «Per quale motivo?» Improvvisamente, Siv Eriksson sembrò esitare. «Onestamente non saprei.» «Ma ne avete parlato?» «Tynnes mi ha parlato delle diverse richieste. E anche del compenso che gli veniva offerto. Se fossi stata io, avrei accettato immediatamente. Ma non Tynnes.» «Ti ha detto perché?» «Non voleva. Diceva che non ne aveva bisogno.» «Dunque, non aveva bisogno di denaro?» «In realtà credo di sì. Di tanto in tanto mi chiedeva dei prestiti.» Wallander aggrottò la fronte. Aveva la sensazione di essere arrivato vicino a qualcosa di importante. «È tutto quello che ha detto?» «Niente altro. Pensava di non averne bisogno. Quello che faceva gli bastava. Se cercavo di fare altre domande, Tynnes mi interrompeva. A volte sapeva essere molto brusco. Non ammetteva che qualcuno andasse oltre i limiti che lui aveva fissato.» Che cosa poteva essere invece?, pensò Wallander. Che cosa c'era dietro a quei suoi rifiuti? «Che cosa vi ha spinti a lavorare insieme?» La risposta di Siv Eriksson lo stupì. «La monotonia.» «Non credo di capire.» «In tutti i lavori ci sono sempre degli aspetti monotoni e noiosi. Tynnes non aveva pazienza, così lasciava che me ne occupassi io. In quel modo, lui poteva dedicarsi alle parti più difficili e impegnative. Specialmente quelle innovative. Quelle che nessuno aveva mai realizzato prima.» «E quella parte del tuo lavoro era soddisfacente?» «Una persona deve capire i propri limiti. Personalmente, non lo trovavo così noioso. Sapevo di non avere la competenza di Tynnes.» «Come vi siete incontrati?» «Fino a trent'anni ho fatto la casalinga. Poi ho divorziato e ho iniziato a
studiare. Un giorno, ho sentito Tynnes parlare durante una conferenza e sono rimasta affascinata. Allora, gli ho chiesto se avesse del lavoro per me. Inizialmente disse di no. Ma un anno dopo, mi telefonò. Come primo lavoro insieme, abbiamo creato un sistema di sicurezza per una banca.» «Che cosa comportava?» «Oggi, i trasferimenti di denaro fra una banca e l'altra avvengono a una velocità incredibile. Fra persone fisiche e società, fra banche e istituti di credito in tutto il mondo. C'è sempre qualcuno che sogna di riuscire a entrare nei sistemi delle banche. È una sfida che continua senza sosta.» «Si direbbe un lavoro molto complicato.» «E lo è.» «Allo stesso tempo, però, devo ammettere che lo trovo strano. Voglio dire, che un consulente di informatica di Ystad riesca a risolvere problemi così complicati.» «Uno dei più grandi vantaggi di queste nuove tecnologie è che, dovunque uno si trovi, è sempre al centro del mondo. Tynnes chiedeva sempre informazioni ai produttori di componenti e si consultava con altri programmatori in tutto il mondo.» «Dal suo ufficio a Ystad?» «Sì.» Come posso continuare?, si chiese Wallander incerto. Non era ancora sicuro di avere capito di che cosa Tynnes Falk si occupasse veramente. Allo stesso tempo, si rendeva conto che era inutile cercare di andare più a fondo nel mondo dell'informatica senza la presenza di Martinsson. Inoltre, Wallander si disse che avrebbe dovuto contattare la divisione di informatica della direzione generale della polizia. Wallander decise di cambiare argomento. «Aveva dei nemici?» Dopo avere fatto la domanda, tenne lo sguardo fisso sul volto della donna. Ma non riuscì a scoprire alcun segno di sorpresa. «Non per quanto ne sappia.» «Hai avuto modo di notare qualcosa di diverso in lui negli ultimi tempi?» «No. Era come sempre.» «E cioè, come?» «Di umore variabile. E, come sempre, lavorava troppo.» «Dove vi incontravate?» «Qui. Mai nel suo ufficio.»
«Perché?» «Se devo essere sincera, credo che Tynnes avesse la fobia dei batteri. Inoltre, non sopportava che qualcuno potesse sporcare il suo pavimento. Era un maniaco della pulizia.» «Ho l'impressione che Tynnes Falk fosse una persona difficile.» «Bisognava farci l'abitudine. Si comportava come tutti gli uomini.» Wallander la fissò sorpreso. «Come si comportano gli uomini?» Siv Eriksson sorrise. «È una domanda personale o riguarda Tynnes?» «Non faccio domande personali.» Ha capito il mio gioco, pensò Wallander. Ma non posso farci niente. «Gli uomini si comportano in modo infantile e sono vanitosi. Eppure, continuano a sostenere il contrario.» «Non ti sembra di generalizzare un po' troppo?» «Per niente. Ne sono più che convinta.» «Dunque, Tynnes Falk era così.» «Sì. Ma non solo. Tynnes sapeva anche essere generoso. Mi pagava più di quanto dovesse. Ma non era facile seguire i suoi cambiamenti di umore.» «È stato sposato e ha avuto un figlio e una figlia.» «Non parlavamo mai di queste cose. È passato sicuramente un anno prima che venissi a sapere che Tynnes era sposato e che aveva due figli.» «Aveva altri interessi al di fuori del suo lavoro?» «Non che io sappia.» «Nessun interesse?» «Nessuno.» «Ma aveva degli amici?» «I suoi amici erano quelli con cui dialogava tramite il computer. Nei quattro anni della nostra collaborazione, Tynnes non ha mai ricevuto una sola cartolina.» «Come fai a saperlo? Hai detto che non andavi mai a trovarlo.» Siv Eriksson applaudì. «Ottima domanda. Tynnes mi aveva chiesto di usare il mio indirizzo. Il problema è che non è mai arrivato nulla.» «Niente di niente?» «Devi prendere le mie parole alla lettera. In tutti questi anni, Tynnes non ha mai ricevuto una sola lettera. Neppure una bolletta. Niente.»
Wallander aggrottò la fronte. «Non riesco a capire. Ti chiede di usare il tuo indirizzo, ma in quattro anni non ricevi niente?» «Come tutti, di tanto in tanto riceveva opuscoli pubblicitari. Ma niente altro.» «Questo significa che usava un altro indirizzo?» «È probabile. Ma io non lo conosco.» Wallander pensò ai due appartamenti che Falk affittava. Nella mansarda in Runnerströms Torg non aveva trovato posta e, per quanto ricordasse, neppure nell'appartamento in Apelbergsgatan. «Forse, Tynnes era una di quelle persone che non amano ricevere posta.» Wallander non sapeva più che domande fare. Tynnes Falk era un uomo avvolto nel mistero. Sto procedendo troppo rapidamente, pensò. Forse l'unico modo per scoprire chi fosse veramente Tynnes Falk, è controllare i file nel suo computer. Siv Eriksson si versò un altro bicchiere di vino e gli chiese se avesse cambiato idea. Wallander scosse il capo. «Se ho capito bene quello che mi hai detto, Tynnes Falk non aveva amici. Voi due però lavoravate insieme a stretto contatto. Davvero non ti ha mai parlato di sua moglie e dei suoi figli?» «Molto raramente.» «E quelle rare volte che cosa diceva?» «Per esempio una volta, mentre eravamo impegnati a discutere un problema piuttosto complesso, improvvisamente Tynnes mi disse che quel giorno sua figlia compiva gli anni. Quando gli chiesi quanti anni, Tynnes riprese immediatamente a parlare del problema.» «Sei mai stata nel suo appartamento?» «Mai.» La risposta fu immediata e decisa. Un po' troppo immediata. E un po' troppo decisa, pensò Wallander. La domanda è se, al di là di tutto, non ci fosse qualcosa di più del lavoro fra Tynnes Falk e la sua collaboratrice. Wallander guardò l'orologio. Erano le nove. Il fuoco nel camino stava esaurendosi. «Suppongo che non sia arrivata posta a suo nome negli ultimi giorni?» «Niente.» «Che cosa pensi possa essergli successo?» «Non lo so. Credevo che Tynnes avrebbe raggiunto un'età veneranda. In
ogni caso, era quello che voleva. Deve essere stato un incidente.» «Può essere che soffrisse di una malattia della quale non eri al corrente?» «Sì, può essere, ma ho difficoltà a crederlo.» Wallander valutò l'opportunità di dire a Siv Eriksson che il corpo di Falk era scomparso. Ma decise di non farlo per il momento. Scelse di seguire una tattica diversa. «Nell'ufficio di Tynnes Falk c'era il disegno di una cabina dei trasformatori per l'alta tensione. Ne sai qualcosa?» «Non so neppure che cosa sia.» «Si trova nella centrale elettrica della Sydkraft, vicino a Ystad.» Siv Eriksson rifletté per un attimo. «So che Tynnes aveva avuto diversi incarichi da parte della Sydkraft. Ma io non ho mai lavorato a quei progetti.» Wallander ebbe un'idea. «Vorrei una lista dei progetti che avete seguito insieme. E anche di quelli che Falk seguiva da solo.» «Da che data?» «Cominciamo con gli ultimi dodici mesi.» «Naturalmente, Tynnes può avere avuto degli incarichi che io non conoscevo.» «Parlerò con il suo commercialista» disse Wallander. «Controllerò le fatture che ha emesso. Ma voglio ugualmente quella lista.» «Adesso?» «Andrà bene anche domani.» Siv Eriksson si alzò e smosse la brace nel camino. Osservandola, Wallander cercò di immaginare il tipo di annuncio al quale la donna avrebbe potuto rispondere. «Hai fame?» chiese Siv Eriksson. «No. Fra poco me ne andrò.» «Ho l'impressione che le mie risposte non ti siano state d'aiuto.» «Adesso, so più su Tynnes Falk di quanto ne sapessi quando sono arrivato. Il nostro lavoro richiede molta pazienza.» Wallander si rese conto di non avere altre domande e si alzò. «Purtroppo, dovrò disturbarti ancora» disse. «Ma ti sarò grato se mi farai avere quelle due liste domani mattina. Puoi mandarmele per fax alla centrale di polizia.» «Perché non per e-mail?»
«Per due motivi. Il primo è che non so come usare l'e-mail e il secondo è che non conosco l'indirizzo di posta elettronica della centrale di polizia.» «Lo posso rintracciare senza problemi.» Siv Eriksson lo accompagnò fino all'ingresso. «Tynnes Falk ti ha mai parlato di visoni?» chiese Wallander infilandosi la giacca. «Perché avrebbe dovuto parlarmi di visoni?» «Mi stavo solo chiedendo se lo avesse mai fatto.» Siv Eriksson aprì la porta. Wallander sentì che, più di ogni altra cosa, avrebbe voluto rimanere. «Il tuo intervento è stato interessante. Ma si notava che eri molto nervoso.» «Capita» rispose Wallander. «Specialmente quando uno si trova solo alla mercé di così tante donne.» Si salutarono. Wallander scese in strada. Proprio mentre stava chiudendo il portone alle sue spalle, udì il cellulare squillare. Era Nyberg. «Dove sei?» «Non molto lontano. Perché?» «Credo che sia meglio che tu venga qui.» Nyberg interruppe la conversazione. Wallander sentì che il suo cuore batteva più rapidamente. Nyberg telefonava solo se c'era qualcosa di importante. Doveva avere scoperto qualcosa. 17. Wallander impiegò meno di cinque minuti per tornare alla casa in Runnerströms Torg. Quando arrivò sul pianerottolo, Nyberg era fermo davanti alla porta e stava fumando una sigaretta. Wallander vide che era esausto. Lo vedeva fumare solo quando era sul punto di svenire dalla stanchezza. Wallander si ricordò dell'ultima volta che era successo. Era stato alcuni anni prima, durante la tormentata indagine sulla serie di delitti culminata con l'arresto di Stefan Fredman. Nyberg era in piedi su un pontile, intento a seguire l'operazione di recupero di un cadavere da un lago, quando era crollato improvvisamente a terra. Wallander aveva creduto che fosse stato vittima di un infarto e fosse morto. Ma pochi secondi dopo, aveva aperto gli occhi e si era messo a sedere. Aveva chiesto una sigaretta e l'aveva fumata in silenzio. Finita la sigaretta, si era rimesso al lavoro imme-
diatamente. Nyberg spense la sigaretta e fece cenno a Wallander di seguirlo. «Mi sono messo a controllare le pareti» disse Nyberg. «C'era qualcosa che non quadrava. È una cosa normale nelle case vecchie. Spesso, i diversi proprietari effettuano modifiche alla struttura originale. Ho controllato più da vicino e ho scoperto questo.» Nyberg si avvicinò a una delle due pareti più corte. Uno degli angoli era incavo, come se in origine vi fosse stato un camino. «Ho iniziato a battere» continuò Nyberg. «Suonava vuoto. Poi ho notato questo.» Nyberg indicò il listello sul bordo del pavimento. Wallander si accovacciò e vide una vaga fessura che dal listello continuava in due fessure parallele lungo la parete fino a un'altezza di un metro e mezzo. Il tutto era coperto da nastro adesivo e da un tenue strato di vernice. «Hai visto che cosa c'è dietro?» «No. Ho voluto aspettare il tuo arrivo.» Wallander annuì. Nyberg tolse lentamente il nastro adesivo e poi si scostò. Wallander spinse la porta che si aprì senza rumore. Nyberg accese la torcia elettrica alle sue spalle. La stanza segreta era più grande di quello che Wallander aveva immaginato, e si chiese se Setterkvist fosse al corrente della sua esistenza. Chiese la torcia elettrica a Nyberg e cercò l'interruttore. La stanza era di circa otto metri quadrati. Non c'erano finestre, ma soltanto una presa d'aria. A parte un tavolo che ricordava un altare, la stanza era vuota. Due candelabri troneggiavano sul tavolo e, appesa alla parete dietro alle candele, c'era una fotografia di Tynnes Falk. Wallander ebbe l'impressione che fosse stata scattata proprio in quella stanza. Chiese a Nyberg di tenere la torcia elettrica e iniziò a studiare la fotografia. Tynnes Falk aveva un'espressione seria e teneva lo sguardo fisso sull'obiettivo. «Che cos'ha in mano?» chiese Nyberg. Wallander cercò gli occhiali, se li infilò e studiò la fotografia attentamente. «Non so cosa ne pensi tu» disse raddrizzandosi. «Ma si direbbe un telecomando.» Cambiarono posto e Nyberg arrivò alla stessa conclusione. Non c'era dubbio, in mano Tynnes Falk teneva un telecomando. «Non chiedermi che cosa significhi tutto questo» disse Wallander. «Non
ne ho la minima idea.» «Che cosa diavolo faceva? Venerava se stesso?» disse Nyberg scuotendo il capo. «Era pazzo?» «Non so» rispose Wallander. Si guardarono intorno. Non c'era altro. Wallander infilò un paio di guanti di gomma che aveva chiesto a Nyberg e staccò cautamente la fotografia dalla parete. Sul retro non c'era scritto nulla. Wallander la porse a Nyberg. «Falla controllare.» «Forse questa stanza fa parte di un sistema di scatole cinesi» disse Nyberg incerto. «Forse ne nasconde altre.» Iniziarono a controllare, ma le pareti erano solide. Non c'erano altre porte. Tornarono nella stanza più grande. «Hai scoperto altro?» chiese Wallander. «Nient'altro. Si direbbe che questa stanza sia stata pulita di recente.» «Tynnes Falk era un maniaco della pulizia» disse Wallander ricordandosi quello che aveva letto nel giornale di bordo e quello che gli aveva detto Siv Eriksson. «Credo che per questa sera non possiamo fare molto di più» disse Nyberg. «Naturalmente, continueremo domani mattina presto.» «Farò venire anche Martinsson» disse Wallander. «Voglio sapere che cosa c'è in quel computer.» Wallander aiutò Nyberg a riporre tutto nelle borse. «Come fa una persona a venerare se stessa?» disse Nyberg con rabbia prima di lasciare la mansarda. «Ce ne sono più di quello che immagini» rispose Wallander. «Ancora qualche anno e non sarò più costretto a vedere cose di questo genere» disse Nyberg. «Pazzi che creano un altare e che pregano davanti al proprio ritratto.» Caricarono le borse nell'auto di Nyberg. Il vento ora era molto forte. Wallander rimase a guardare l'auto di Nyberg che si allontanava. Erano le dieci e mezza. Aveva fame, ma il pensiero di andare a casa a prepararsi da mangiare non lo entusiasmava. Salì nell'auto e guidò fino a un locale aperto di notte in Malmövägen. Alcuni ragazzi stavano giocando chiassosamente a flipper. Wallander avrebbe voluto dire loro di stare zitti. Ma lasciò perdere. Guardò cautamente la prima pagina di un giornale posato su un tavolo. Il suo nome non appariva. All'interno c'era sicuramente un articolo che io riguardava, ma non ebbe il coraggio di sfogliare il giornale. Forse il
fotografo era riuscito a scattare altre fotografie? Forse la madre di Eva Persson aveva fatto nuove dichiarazioni e aveva detto altre menzogne? Ordinò due wurstel con purè di patate e portò il contenitore nell'auto. Al primo boccone, macchiò la giacca di Martinsson di ketchup. Il suo primo impulso fu di aprire la portiera e gettare fuori tutto. Ma riuscì a controllarsi. Quando finì di mangiare rimase seduto, incerto se andare a casa o tornare alla centrale di polizia. Aveva bisogno di dormire. Ma l'inquietudine continuava ad assillarlo. Tornò alla centrale. La mensa era deserta. Il distributore di caffè era stato riparato. Ma qualcuno aveva lasciato un cartello scritto con rabbia che esortava a non fare forza sulle leve. Quali dannate leve?, pensò Wallander irritato. Tutto quello che si deve fare è mettere la tazza sul ripiano e spingere un pulsante. Mai vista una leva. Prese la tazza di caffè e si avviò verso il suo ufficio. I corridoi erano deserti. Wallander si chiese quante sere solitarie avesse passato nel suo ufficio in tutti quegli anni, senza riuscire a darsi una risposta. Ricordò una sera tardi, quando era ancora sposato. Linda era piccola, e Mona era piombata nel suo ufficio come una furia e gli aveva detto che doveva scegliere fra il lavoro e la famiglia. Quella volta, Wallander era tornato immediatamente a casa con sua moglie. Ma molte altre volte si era rifiutato di farlo. Andò nel bagno con la giacca di Martinsson e cercò di ripulirla senza successo. Tornò nel suo ufficio, si mise a sedere e prese un bloc-notes. Iniziò a scrivere un riepilogo del colloquio che aveva avuto con Siv Eriksson. Quando finì, erano ormai le undici e mezza. Wallander sbadigliò a lungo. Avrebbe dovuto andare a casa. Se voleva avere la forza di andare avanti, doveva dormire. Ma invece, testardamente, rilesse quello che aveva scritto. Dopo, rimase seduto cercando di capire la strana personalità di Tynnes Falk. Un uomo che aveva preparato un altare in una stanza segreta e che aveva appeso alla parete la propria immagine come una divinità. Inoltre, nessuno sapeva dove ricevesse la posta. Poi tornò con il pensiero a una frase che Siv Eriksson aveva detto e che gli era rimasta impressa nella mente. Tynnes Falk aveva rifiutato tutte le proposte di lavoro economicamente allettanti che gli erano state fatte. Non ne aveva bisogno. Wallander guardò l'orologio. Mancavano venti minuti a mezzanotte. Era troppo tardi per telefonare. Ma qualcosa gli diceva che Marianne Falk era ancora sveglia. Cercò fra i suoi appunti finché non trovò il suo numero di telefono. Al quinto segnale, si disse che era ormai troppo tardi. In quello
stesso momento, Marianne Falk rispose. Wallander si presentò scusandosi per avere telefonato a quell'ora. «Io non vado mai a dormire prima dell'una» disse Marianne Falk. «Ma non capita spesso che qualcuno mi telefoni a mezzanotte.» «Volevo farti una domanda» disse Wallander. «Tynnes Falk ha lasciato un testamento?» «Non che io sappia.» «È possibile che lo abbia fatto senza che tu lo sappia?» «Naturalmente. Ma non credo.» «Perché no?» «Quando abbiamo divorziato abbiamo sottoscritto un documento per la separazione dei beni molto vantaggioso per me. Ho avuto l'impressione che fosse una specie di anticipo di un'eredità alla quale non avrei mai più avuto diritto. Naturalmente, i nostri figli saranno gli eredi universali.» «È tutto quello che volevo sapere.» «Il corpo di Tynnes è stato ritrovato?» «Non ancora.» «E l'uomo che ti ha sparato?» «Neppure lui. Il problema è che non abbiamo nessun dettaglio sui suoi connotati. Non siamo neppure sicuri che si tratti di un uomo. Anche se entrambi crediamo che lo sia.» «Mi dispiace di non poterti dare una risposta migliore.» «Naturalmente, se c'è un testamento cercheremo di trovarlo.» «Ho avuto molto denaro» disse Marianne Falk improvvisamente. «Diversi milioni di corone. Credo che i nostri figli possano contare su altrettanto.» «Dunque, Tynnes era ricco?» «Per me, ricevere tanti soldi dopo il divorzio, è stata una sorpresa enorme.» «Ti ha detto in che modo era riuscito ad accumulare tutto quel denaro?» «Sì. Tynnes mi ha spiegato che aveva seguito dei progetti molto lucrativi negli Stati Uniti. Ma, naturalmente, non ha detto la verità.» «Non ha detto la verità?» «Tynnes non è mai stato negli Stati Uniti.» «Come fai a saperlo?» «Dal suo passaporto. Non c'è né visto, né timbro d'ingresso negli Stati Uniti.» Può ugualmente avere fatto affari con qualcuno negli Stati Uniti, pensò
Wallander. Erik Hökberg sta seduto nel suo appartamento e tratta con tutto il mondo. Falk può avere fatto la stessa cosa. Wallander si scusò ancora una volta e terminò la conversazione. Mancavano due minuti a mezzanotte. Sbadigliando, si infilò la giacca e spense la luce. Quando passò davanti alla centrale operativa, uno degli agenti lo chiamò. «Credo di avere qualcosa per te» disse. Wallander chiuse gli occhi. Speriamo che non sia qualcosa che mi tenga sveglio tutta la notte, pensò entrando nella stanza. L'agente gli porse il ricevitore. «C'è un uomo che afferma di avere trovato un cadavere» disse l'agente. Non un altro, pensò Wallander. Non ora. Non ce la caveremo più. «Sono Kurt Wallander. Che cosa è successo?» L'uomo sembrava fuori di sé. Non parlava, urlava. Wallander scostò il ricevitore dall'orecchio. «Cerca di calmarti e parla lentamente» disse. «Altrimenti non potremo aiutarti.» «Mi chiamo Nils Jönsson. Per terra, c'è un uomo morto.» «Dove esattamente?» «A Ystad. Sono inciampato nel suo corpo. È nudo ed è morto. È uno spettacolo terribile. Perché doveva capitare proprio a me? Io che sono malato di cuore.» «Parla lentamente» ripeté Wallander. «Cerca di calmarti. Hai detto che c'è un uomo morto, nudo per strada?» «Non senti cosa dico?» «Sì, ti sento. Dimmi il nome della strada.» «Come diavolo faccio a sapere il nome del parcheggio.» Wallander scosse il capo. «Si tratta di un parcheggio? Non di una strada?» «È una via di mezzo.» «Dove si trova?» «Sono solo di passaggio. Vengo da Trelleborg e sto andando a Kristianstad. Mi sono fermato per fare benzina. E lì c'era quello.» «Stai parlando di un distributore di benzina? Da dove stai telefonando?» «Dalla mia auto.» C'è solo da sperare che sia ubriaco, si disse Wallander. E che sia tutto frutto della sua immaginazione. Ma il suo affanno sembrava genuino. «Che cosa riesci a vedere dal finestrino dell'auto?»
«Sembra un grande magazzino.» «Come si chiama?» «Non riesco a vedere l'insegna. Ma sono alla prima uscita.» «Quale uscita?» «Quella di Ystad, naturalmente.» «Da Trelleborg?» «No. Quella dall'autostrada da Malmö.» Quasi inconsciamente, un pensiero prese forma nella mente di Wallander. Ma non voleva credere che potesse essere vero. «Riesci a vedere un Bancomat?» chiese. «È lì. Proprio lì davanti.» Wallander trattenne il respiro. Quando l'uomo riprese a parlare, Wallander porse il ricevitore all'agente di turno che aveva seguito la conversazione incuriosito. «È lo stesso luogo dove è stato trovato il corpo di Tynnes Falk» disse Wallander. «La domanda è se si tratta ancora di lui.» «Do l'allarme generale?» Wallander scosse il capo. «No. Telefona a Martinsson. E anche a Nyberg. Penso che sia ancora sveglio. Quante auto sono di pattuglia in questo momento?» «Due. Una è a Hedeskoga, dove c'è stata una lite familiare. Una festa di compleanno che si è trasformata in rissa.» «E l'altra?» «In città.» «Chiamali e digli di andare al parcheggio di Missunnavägen immediatamente. Di' che sto arrivando.» Wallander uscì dalla centrale di polizia con indosso la leggera giacca di Martinsson, Il freddo lo fece rabbrividire. Durante i pochi minuti che impiegò per arrivare in auto, continuò a chiedersi che cosa lo aspettasse. Ma dentro di sé non aveva dubbi. Tynnes Falk era tornato nel luogo dove era stato trovato morto. Wallander e l'auto di pattuglia arrivarono quasi contemporaneamente. Appena sceso, vide un uomo che agitava freneticamente un braccio di fianco a una Volvo rossa. Era Nils Jönsson da Trelleborg, che stava andando a Kristianstad. Wallander rimase in attesa. L'uomo si avvicinò urlando e continuando a indicare un punto con la mano. «Aspetta qui» disse Wallander con tono perentorio.
Poi si diresse verso il Bancomat. L'uomo disteso a ventre in giù sull'asfalto era nudo. Aveva le mani sotto il corpo e la testa rivolta sulla sinistra. Era Tynnes Falk. Wallander disse agli agenti di disporre i nastri di delimitazione e di parlare con Nils Jönsson. Sapeva che l'uomo non avrebbe avuto molto da dire e non se la sentiva di interrogarlo. Quello o quelli che avevano lasciato il cadavere di Tynnes Falk avevano certamente scelto il momento in cui nessuno li poteva notare. Era chiaro che conoscevano gli orari dei passaggi degli addetti alla vigilanza notturna. Ed era stata proprio una guardia notturna a scoprire il corpo senza vita di Tynnes Falk la prima volta. Wallander non aveva mai visto nulla di simile. Una morte che si ripeteva. Un cadavere che tornava nello stesso luogo. Non riusciva a capire. Iniziò a muoversi intorno al cadavere come se si aspettasse che Tynnes Falk si rialzasse da un momento all'altro. Forse non è lui, ma la sua icona, la sua immagine sacra, pensò. Tu ti idolatravi, Tynnes Falk. E secondo Siv Eriksson credevi che avresti raggiunto una venerabile età. Ma non sei riuscito a raggiungere neppure la mia. Nyberg arrivò con la sua auto. Rimase a lungo a osservare il cadavere, poi fissò Wallander. «Non era già morto una volta? Come ha fatto a tornare qui? Vuole essere seppellito davanti a questo Bancomat?» Wallander non rispose. Non sapeva cosa dire. In quello stesso istante, vide l'auto di Martinsson fermarsi dietro all'auto di pattuglia e gli andò incontro. Martinsson indossava una tuta sportiva. Fissò la macchia sulla giacca di Wallander con una smorfia. Ma non disse nulla. «Che cosa è successo?» «Tynnes Falk è tornato.» «Stai scherzando?» «Sai che non è una mia abitudine. Tynnes Falk è tornato nel luogo dove è morto.» Si avvicinarono al Bancomat. Nyberg parlava al telefono. Stava svegliando uno dei suoi tecnici. Wallander si chiese cupamente se Nyberg sarebbe svenuto ancora una volta per la stanchezza. «Una cosa è importante» disse Wallander. «Voglio che tu cerchi di ricordare se si trova nella stessa posizione nella quale lo avete trovato la prima volta.»
Martinsson annuì e iniziò a muoversi lentamente intorno al corpo. Wallander sapeva che il suo collega aveva una buona memoria. Ma Martinsson scosse il capo. «Era più lontano dal Bancomat. E poi, una gamba era piegata.» «Ne sei sicuro?» «Sì.» Wallander rifletté. «Non penso che ci sia bisogno di aspettare il medico legale» disse dopo qualche secondo. «Tynnes Falk è stato dichiarato morto meno di una settimana fa. Credo che possiamo girare il corpo senza essere accusati di negligenza in servizio.» Martinsson sembrava incerto. Ma Wallander aveva deciso. Non vedeva alcun motivo per aspettare. Quando Nyberg finì di scattare le foto, Wallander girò il corpo. Martinsson fece un passo indietro sussultando. Wallander impiegò alcuni secondi per capire perché. Da ciascuna delle mani era stato reciso un dito. L'indice della mano destra e il medio della sinistra. Wallander si rialzò. «Chi può avere fatto una cosa simile?» bisbigliò Martinsson. «Chi può accanirsi su un cadavere?» «Non so. Ma naturalmente questo significa qualcosa. Così come il fatto che qualcuno si sia preso la briga di prelevarlo dall'obitorio per poi riportarlo qui.» Martinsson era impallidito. Wallander lo prese in disparte. «Dobbiamo parlare con la guardia notturna che l'ha trovato la prima volta. Dobbiamo procurarci gli orari dei turni davanti al Bancomat. Ci aiuterà a stabilire quando è stato portato qui.» «Chi l'ha trovato questa volta?» «Un uomo che si chiama Nils Jönsson, di Trelleborg.» «Doveva fare un prelievo?» «Sostiene di essersi fermato per fare benzina. Ha anche detto di avere il cuore debole.» «Ci manca solo che cada stecchito qui proprio adesso» disse Martinsson. «Non so se riuscirei a sopportare una cosa simile.» Wallander andò a parlare con l'agente che aveva raccolto la testimonianza di Nils Jönsson. Come si era aspettato, l'uomo non aveva notato nient'altro. «Che cosa ne facciamo?» «Mandalo via. Non ci serve più.»
Nils Jönsson salì nella sua auto e partì sgommando. Wallander si chiese se l'uomo sarebbe mai riuscito ad arrivare a Kristianstad o se il suo cuore avrebbe smesso di battere a metà strada. Nel frattempo, Martinsson aveva parlato con la guardia notturna. «Uno di loro è passato qui davanti alle undici» disse. Era mezzanotte e mezza. Nils Jönsson aveva telefonato a mezzanotte, dicendo di essere inciampato nel corpo verso mezzanotte meno un quarto. «Il corpo di Tynnes Falk era qui da quarantacinque minuti o al massimo un'ora. E io sono certo che quelli che lo hanno portato qui conoscevano gli intervalli dei passaggi della guardia notturna.» «Quelli?» «Non può essere stato un uomo solo» disse Wallander. «Ne sono convinto.» «Credi che ci sia qualche possibilità di trovare dei testimoni?» «Ben poche direi. Non ci sono case nelle vicinanze. Chi si avventura da queste parti così tardi di sera?» «Quelli che portano a spasso i cani.» «Forse.» «Qualcuno può avere notato un'auto. O qualcosa di insolito. I proprietari di cani sono persone abitudinarie che fanno lo stesso percorso tutti i giorni e sempre alla stessa ora. E sono persone che notano i cambiamenti.» Wallander annuì. Valeva la pena fare un tentativo. «Domani sera mettiamo qui qualcuno che dovrà fermare le persone che portano a spasso i cani. E anche quelli che fanno jogging.» «Hansson ha un debole per i cani» disse Martinsson. Anch'io, pensò Wallander. Ma preferisco evitare di andare avanti e indietro da queste parti domani sera. Un'auto si fermò al di là dei nastri di delimitazione. Un uomo che indossava una tuta sportiva simile a quella di Martinsson scese dall'auto. Wallander si chiese se l'avessero acquistata nello stesso negozio di articoli sportivi. «La guardia notturna» disse Martinsson. «Quello che era di turno domenica notte. Oggi non era in servizio.» Mentre Martinsson andava a parlargli, Wallander tornò al cadavere. «Qualcuno gli ha amputato due dita» disse Nyberg. «Si va di male in peggio.» Wallander annuì. «So che non sei un medico. Ma perché hai usato la parola amputato?»
«La pelle è stata tagliata con precisione. Non presenta slabbrature. Ma sarà il medico legale a decidere. Sarà qui fra breve.» «Susann Bexell?» «Non ne ho idea.» Il medico legale arrivò dopo mezz'ora. Era Susann Bexell. Wallander le fece un resoconto della situazione. Qualche minuto più tardi arrivò anche un agente con un cane. Era stato chiamato da Nyberg per cercare le due dita. «Devo ammettere che non capisco quello che devo fare» disse Susann Bexell, quando Wallander finì di parlare. «Quest'uomo è morto, e questo è tutto.» «Vorrei che tu controllassi le sue mani. Due dita sono state tagliate.» Nyberg accese una sigaretta. Wallander si chiese chi dei due fosse il più stanco. L'agente con il cane aveva iniziato la ricerca. Osservandoli, Wallander si ricordò vagamente di un altro cane che aveva trovato un dito nero. Quanti anni erano passati? Non riusciva a ricordare. Potevano essere cinque, o forse anche dieci. Susann Bexell si mise al lavoro. «Devono avere usato delle grosse pinze» disse. «Ma non saprei dire se sia stato fatto qui o altrove.» «Certamente non qui» disse Nyberg con tono deciso. Nessuno lo contraddisse. E nessuno gli chiese perché fosse così sicuro della sua affermazione. Susann Bexell aveva finito. Il cadavere di Tynnes Falk fu caricato sull'ambulanza. «Non vorrei che sparisse un'altra volta dall'obitorio» disse Wallander. «Adesso quest'uomo deve essere finalmente sepolto.» L'ambulanza con a bordo Susann Bexell partì. Wallander si avvicinò all'agente con il cane. «Niente di niente» disse l'agente. «Se ci fossero state due dita qui intorno le avrebbe sicuramente trovate.» «Capisco. Ma voglio che sia fatto un controllo di tutta l'area circostante» disse Wallander pensando alla borsetta di Sonja Hökberg. «Quello che le ha tagliate può averle gettate lontano per renderci la vita difficile.» Erano le due meno un quarto. La guardia notturna era tornata a casa. «Ha confermato» disse Martinsson. «La prima volta, il corpo era in una posizione diversa.» «Questo può avere almeno due spiegazioni» disse Wallander. «La prima
è che non si sono curati di sistemare il corpo. La seconda è che non conoscevano la posizione originale.» «Ma perché? Perché riportare il corpo proprio qui?» «Non lo so. Adesso è inutile rimanere qui. Abbiamo bisogno di dormire.» Per la seconda volta in poche ore, Nyberg richiuse le sue borse. I nastri di delimitazione sarebbero rimasti fino al giorno dopo. «Ci vediamo domani mattina alle otto» disse Wallander. Si separarono. Arrivato a casa, Wallander si preparò una tazza di tè. Ne bevve metà e poi andò a letto. La schiena e le gambe gli dolevano. Il vento faceva dondolare il lampione al di là della finestra. Proprio mentre stava per addormentarsi, un pensiero lo riportò alla superficie. Dapprima non capì che cosa fosse. Rimase in ascolto. Poi capì. Era qualcosa che aveva a che fare con le due dita recise. Si mise a sedere sul letto. Erano le due e venti. Devo saperlo adesso, pensò. Non posso aspettare fino a domani mattina. Si alzò e andò in cucina. L'elenco telefonico era sul tavolo. Dopo meno di un minuto, aveva trovato il numero che cercava. 18. Siv Eriksson stava dormendo. Spero di non farla emergere da un sogno che non vuole lasciare, pensò Wallander. All'undicesimo segnale la donna alzò il ricevitore e rispose. «Sono Kurt Wallander.» «Chi?» «Sono venuto a casa tua ieri sera.» Siv Eriksson sembrò svegliarsi lentamente. «Ah, il poliziotto. Che ore sono?» «Le due e mezza. Non avrei telefonato se non si trattasse di qualcosa di importante.» «È successo qualcosa?» «Abbiamo ritrovato il corpo.» Wallander udì un brusio e pensò che la donna doveva essersi messa a sedere sul letto. «Ripeti.» «Abbiamo ritrovato il corpo di Tynnes Falk.»
In quello stesso istante, Wallander capì che Siv Eriksson non sapeva che il corpo era scomparso dall'obitorio. Era talmente stanco che si era dimenticato di non averglielo detto durante la sua visita. Wallander iniziò a raccontarle quello che era accaduto. Siv Eriksson lo ascoltò senza interromperlo. «Devo crederci?» chiese quando Wallander finì di parlare. «Mi rendo conto che può sembrare una storia bizzarra. Ma è la verità.» «Chi può avere fatto una cosa simile? E perché?» «È quello che ci chiediamo anche noi.» «E avete ritrovato il suo corpo nel luogo dove Tynnes era morto?» «Sì.» «Dio mio!» Wallander udì Siv Eriksson respirare pesantemente. «Ma chi e come può averlo riportato lì?» «Non lo sappiamo ancora. Ma ora ti ho telefonato perché devo farti una domanda.» «Vuoi venire qui?» «No. Posso farla al telefono.» «Che cosa vuoi sapere? Ma non dormi mai?» «A volte, il nostro lavoro è un po' frenetico. La domanda che devo farti ti sembrerà un po' bizzarra.» «Tutta questa storia mi sembra bizzarra. Specialmente quello che mi hai appena raccontato. E, se mi permetti di essere sincera a quest'ora della notte, lo sei anche tu.» Wallander rimase sconcertato. «Non credo di capire quello che vuoi insinuare.» Siv Eriksson scoppiò in una risata. «Non devi prendere le cose così seriamente. Ma trovo strano che una persona che ha chiaramente sete rifiuti un drink. E trovo altrettanto strano che la stessa persona rifiuti un'offerta di cibo quando si vede lontano un miglio che ha fame.» «Io non avevo né fame né sete. Se è di me che stai parlando.» «E di chi altro?» Wallander si chiese perché non le avesse detto la verità. Di che cosa aveva paura? Inoltre, era sicuro che Siv Eriksson non avesse creduto alle sue parole. «Ti sei offeso?» «Per niente» rispose Wallander. «Ma adesso, posso fare la mia doman-
da?» «Sono pronta.» «Puoi dirmi in che modo Tynnes Falk scriveva sulla tastiera del computer?» «È questa la domanda?» «Sì. E vorrei avere una risposta.» «Be', lo faceva come tutti.» «Le persone usano la tastiera in modi diversi. Nell'immaginario del normale cittadino, ad esempio, i poliziotti scrivono lentamente con un solo dito sulle tastiere di vecchie macchine da scrivere.» «Adesso capisco quello che vuoi dire.» «Tynnes Falk usava tutte le dita?» «Le persone che lavorano al computer e che usano tutte le dita non sono molte.» «Dunque, Tynnes Falk usava solo alcune dita?» «Sì.» Wallander trattenne il respiro. «Quali dita usava?» «Devo riflettere. Non vorrei sbagliare.» Wallander attese con impazienza. «Tynnes usava i due indici» disse Siv Eriksson. «Ne sei proprio sicura?» «A dire il vero, no.» «È importante che la risposta sia corretta.» «Sto cercando di ricordare.» «Fa' con calma.» Wallander era certo che la donna stesse veramente facendo uno sforzo. «Posso richiamarti?» disse Siv Eriksson. «C'è qualcosa che mi rende insicura. Credo che sarà più facile ricordare se vado a mettermi davanti alla tastiera del mio computer.» Wallander le diede il suo numero di telefono di casa. Poi, andò a sedersi al tavolo della cucina. Aveva un terribile mal di testa. Devo cercare di dormire una notte intera, qualsiasi cosa accada, si disse. Chissà come sta Nyberg? Sarà riuscito ad addormentarsi o starà girandosi e rigirandosi senza riuscire a prendere sonno? Dieci minuti dopo, il telefono squillò. Il timore che potesse essere un giornalista lo fece sussultare. Ma era troppo presto. Normalmente, i giornalisti non telefonavano mai prima delle cinque di mattina. Wallander alzò
il ricevitore. Era Siv Eriksson. «L'indice della mano destra e il dito medio della sinistra.» Wallander sentì la tensione salire. «Ne sei sicura?» «Sì. È un modo molto insolito di usare le dita per scrivere su una tastiera. Ma era così che Tynnes scriveva.» «Molto bene» disse Wallander. «È una risposta importante.» «Era quella che ti aspettavi?» «Sì. Conferma un mio sospetto» disse Wallander. «Spero che capirai che tutto questo mi incuriosisce.» Per un attimo, Wallander fu tentato di parlarle delle dita recise. Ma alla fine, decise di non farlo. «Purtroppo non posso aggiungere altro. Almeno, non per il momento. Forse più in là.» «Che cosa è accaduto?» «È quello che stiamo cercando di scoprire» disse Wallander. «Non dimenticare le liste che ti ho chiesto. Buona notte.» «Buona notte.» Wallander si alzò e andò alla finestra. La temperatura era aumentata di qualche grado. Il termometro ne segnava sette. Il vento soffiava ancora a raffiche e una pioggia sottile aveva iniziato a cadere. Mancavano quattro minuti alle tre. Wallander andò a letto. Le dita recise danzarono a lungo davanti ai suoi occhi prima che riuscisse ad addormentarsi. L'uomo che aspettava nell'ombra in Runnerströms Torg iniziò a contare lentamente i propri respiri. Lo aveva imparato da bambino. La respirazione e la pazienza avevano qualcosa in comune. Un uomo doveva sapere quando la pazienza era della massima importanza. Inoltre, ascoltando il proprio respiro riusciva a controllare la sensazione di inquietudine che provava. Troppi eventi non programmati si erano succeduti. Sapeva che non poteva prendere precauzioni contro tutto. Ma la morte di Tynnes Falk aveva causato un danno enorme. Ora, era costretto a riorganizzare ogni cosa. Presto avrebbero avuto tutto sotto controllo. Ormai, c'era poco tempo a disposizione. Ma se non si fosse verificato alcun nuovo imprevisto, sarebbero stati in grado di rispettare i tempi programmati. Pensò all'uomo che si trovava lontano nell'oscurità tropicale. L'uomo che aveva tutto in pugno. L'uomo che non aveva mai incontrato. Ma che rispet-
tava e temeva. Non era permesso commettere errori. Lui non lo avrebbe tollerato. Ma niente poteva andare storto. Nessuno avrebbe potuto avere accesso a quel computer che era il cervello stesso. La sua inquietudine non era giustificata. Era unicamente dovuta a una mancanza di autocontrollo. Non essere riuscito a uccidere il poliziotto che era entrato nell'appartamento di Tynnes Falk era stato un errore. Ma non metteva in pericolo la sicurezza. Molto probabilmente, il poliziotto non sapeva nulla. Anche se non potevano esserne certi al cento per cento. Era stato lo stesso Tynnes Falk a dirlo: niente è mai completamente sicuro. La sua morte gli aveva dato ragione. Nulla era veramente del tutto sicuro. Dovevano essere cauti. L'uomo che ora doveva prendere tutte le decisioni da solo gli aveva detto di aspettare. Cercare nuovamente di uccidere quel poliziotto avrebbe provocato uno scalpore inutile. Inoltre, niente faceva presumere che la polizia avesse la ben che minima idea di quello che stava per accadere. Aveva continuato a sorvegliare la casa in Apelbergsgatan. Quando il poliziotto se ne era andato, lo aveva seguito fino a Runnerströms Torg. Era successo quello che si era aspettato. L'ufficio segreto era stato scoperto. Poco tempo dopo era arrivato un altro uomo. Un uomo che aveva con sé delle borse. Il poliziotto era uscito dalla casa ed era tornato un'ora dopo. Prima di mezzanotte, i due avevano lasciato l'ufficio di Tynnes Falk insieme. Aveva continuato a rimanere in attesa ascoltando pazientemente il proprio respiro. Erano le tre di notte e la strada era deserta. Il vento gelido lo faceva rabbrividire. Ormai era improbabile che qualcuno venisse sul posto. Si staccò cautamente dall'ombra e attraversò la strada. Aprì il portone e salì rapidamente le scale con passo felpato. Prima di aprire la porta, infilò un paio di guanti. Accese la torcia elettrica e illuminò le pareti. Come aveva sospettato, erano riusciti a scoprire la porta della stanza segreta. Senza capire veramente perché, provava rispetto per quel poliziotto che per poco non era riuscito a uccidere nell'appartamento di Tynnes Falk. Anche se non era più giovane, aveva reagito con grande rapidità. E questo gli aveva fatto ricordare un'altra cosa che aveva imparato molto tempo prima. Sottovalutare un avversario era un peccato capitale, al pari dell'avarizia. Si avvicinò al computer e schiacciò un pulsante. Lo schermo del video si
accese. Si mise a sedere e avviò il pannello di controllo. L'ultima data di utilizzo risaliva a sei giorni prima. Questo significava che la polizia non aveva ancora cercato di accedere ai file. Il senso di sollievo non durò molto. Sapeva che era solo una questione di tempo. La polizia si sarebbe sicuramente avvalsa di qualche specialista. L'inquietudine lo colse nuovamente. Anche se, dentro di sé, sapeva che non sarebbero mai riusciti a decifrare i codici. Neppure in mille anni. Ovviamente, era possibile che un poliziotto dotato di un'intelligenza e di una perspicacia fuori del comune ci riuscisse. Ma sapeva che era del tutto improbabile. Soprattutto perché non sapevano che cosa cercare. Neppure una persona dotata della più fervida immaginazione sarebbe stata in grado di intuire quali enormi forze fossero racchiuse in quel computer in attesa di essere liberate. Uscì dalla stanza e scese le scale silenziosamente come quando era salito. Poi fu nuovamente inghiottito dall'ombra. Quando Wallander aprì gli occhi ebbe la sensazione di essersi svegliato in ritardo. Ma guardando l'orologio, vide che erano le sei e cinque. Aveva dormito tre ore. Si lasciò cadere sul cuscino. Un cerchio di dolore gli stringeva la testa per il sonno. Ancora dieci minuti, si disse. Anche solo sette. Non ce la faccio ad alzarmi adesso. Poi si alzò e andò barcollando in bagno. Gli occhi arrossati gli bruciavano. Si mise sotto la doccia appoggiandosi pesantemente contro la parete. Lentamente iniziò a svegliarsi. Alle sette meno cinque parcheggiò l'auto nello spiazzo davanti alla centrale di polizia. Continuava a piovigginare. Quel mattino, Hansson era arrivato insolitamente in anticipo. Era seduto in mensa e stava leggendo un giornale. Wallander lo fissò sorpreso. Hansson indossava un vestito e si era messo la cravatta. Normalmente portava dei pantaloni di velluto sformati e camicie mal stirate. «È il tuo compleanno?» chiese Wallander. Hansson scosse il capo. «Ieri mi sono guardato allo specchio e non è stata una bella vista. Perciò, ho deciso di cercare di migliorare il mio aspetto. E poi oggi è sabato. Vedremo quanto dura.» Mentre bevevano il rituale caffè del mattino, Wallander gli fece un resoconto di quello che era successo durante la notte.
«È pazzesco» disse Hansson quando Wallander finì. «A chi diavolo può venire in mente di riportare il cadavere di un uomo nello stesso punto dove è morto?» «È quello che dobbiamo scoprire. È per questo che siamo pagati» disse Wallander. «Fra l'altro, questa sera dovrai andare a caccia di cani.» «Che cosa diavolo significa?» «A dire il vero è un'idea di Martinsson. Qualcuno che ha portato a spasso il cane a Missunnavägen ieri sera può avere notato qualcosa. Abbiamo pensato di mandare qualcuno lì per fermare i proprietari di cani che si trovano a passare da quelle parti. E fare delle domande.» «Perché proprio io?» «I cani ti piacciono. Non è così?» «Questa sera ho un impegno. Oggi è sabato, ricordi?» «Avrai tempo per tutte e due le cose. Basta che tu sia sul posto poco prima delle undici.» Hansson annuì. Anche se a Wallander il collega non era mai stato particolarmente simpatico, non poteva certo lamentarsi della sua disponibilità ad accettare incarichi quando ce n'era veramente bisogno. «Ci riuniremo alle otto» disse Wallander. «Dobbiamo analizzare quello che è accaduto. Nei minimi particolari.» «Mi sembra che sia quello che facciamo continuamente. Ma senza alcun risultato.» Wallander andò nel suo ufficio e prese un bloc-notes. Ma dopo qualche minuto lo scostò irritato. Non aveva la minima idea di che cosa scrivere. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare di essersi mai trovato in una situazione simile. Non gli era mai capitato di non riuscire a formulare un piano su come portare avanti l'indagine. Avevano un tassista morto, e anche la sua assassina era morta. Avevano un uomo morto davanti a un Bancomat il cui cadavere era scomparso per poi riapparire davanti a quello stesso Bancomat, ma questa volta con due dita recise. Esattamente le due dita che l'uomo usava sulla tastiera del computer. Avevano quel massiccio blackout che aveva colpito parte della Scania e un misterioso nesso che univa tutte quelle morti e quegli eventi. Eppure, niente collimava. Inoltre, qualcuno aveva sparato a Wallander. Era inutile illudersi che si fosse trattato di un tentativo per spaventarlo. L'intenzione era stata di ucciderlo. Non c'è niente di sensato in tutto questo, pensò Wallander. Non so dove sia l'inizio e tanto meno la fine. E la cosa più terribile è che non so perché quelle persone siano morte. Da qualche parte deve esserci un motivo.
Wallander si alzò e si avvicinò alla finestra con la tazza in mano. Che cosa avrebbe fatto Rydberg?, si chiese. Che consigli avrebbe potuto darmi? Come si sarebbe mosso? O forse, avrebbe provato la stessa sensazione di smarrimento che provo io? Ma per una volta non ebbe alcuna risposta. Rydberg rimaneva in silenzio. Erano le sette e mezza. Wallander si rimise a sedere. Doveva preparare la riunione della squadra investigativa. Dopotutto, la responsabilità di mandare avanti il lavoro era sua. Nel tentativo di esaminare i fatti da una nuova prospettiva, riprese tutto dall'inizio. Quali erano gli avvenimenti più significativi? Quali altri avevano un'importanza secondaria? Era come creare un sistema planetario nel quale i diversi satelliti seguivano le proprie orbite intorno a un nucleo centrale. Ma Wallander non riuscì a trovare alcun nucleo. C'era solo un grande buco nero. Da qualche parte deve esserci un personaggio principale, pensò. Non tutti i ruoli hanno la stessa importanza. Alcuni di quelli che sono morti avevano dei ruoli minori. Ma quali? E in quale recita? E qual è la trama? Era tornato al punto di partenza. La sola cosa di cui si sentiva assolutamente certo era che il tentativo di ucciderlo non costituiva alcun punto centrale. E non credeva neppure che l'assassinio del tassista potesse essere il punto d'avvio di tutti gli altri avvenimenti. Rimaneva Tynnes Falk. Fra lui e Sonja Hökberg era stato trovato un legame. Un relè rubato e un disegno della cabina dei trasformatori. Un legame tenue e incomprensibile. Ma che non si poteva negare. E per questo dovevano tenerlo sempre ben presente. Spinse lontano il bloc-notes. Non riesco a capire quello che vedo, si disse rassegnato. Rimase seduto ancora per qualche minuto. Dal corridoio udì Ann-Britt ridere. È la prima volta da tanto tempo, pensò. Raccolse le sue carte e si avviò verso la sala riunioni. Quel sabato mattina fecero un'accurata verifica che durò quasi tre ore. L'iniziale atmosfera pesante e spenta si era dissipata lentamente. Alle otto e mezza Nyberg fece la sua comparsa. Senza dire una parola, si mise a sedere sul lato corto del tavolo. Wallander lo fissò e Nyberg scosse il capo. Quello che aveva da dire poteva aspettare. Cercarono nuove strade praticabili, approcci diversi. Ma senza successo. «C'è qualcuno che vuole portarci su una falsa pista?» chiese Ann-Britt
durante una pausa per sgranchirsi le gambe e cambiare l'aria. «Forse, in fondo, è tutto molto semplice. Se solo riuscissimo a trovare il movente.» «Quale movente?» disse Martinsson. «La persona che rapina un tassista non può certo avere lo stesso movente di chi uccide una ragazza provocando un blackout in gran parte della Scania. E non siamo ancora certi che Tynnes Falk sia stato veramente assassinato. Io sono ancora convinto che sia morto per cause naturali. O che sia stato un incidente.» «A dire il vero, sarebbe più semplice se fosse stato assassinato» disse Wallander. «In questo caso, avremmo la conferma che si tratta di una catena unica di crimini.» Chiusero la finestra e ripresero posto. «Il fatto più grave è che ti abbiano sparato» disse Ann-Britt. «È molto raro che un ladro di appartamenti sia pronto a sparare quando viene disturbato.» «Non so se sia più grave di altri fatti» obiettò Wallander. «Ma, in ogni caso, è la prova che gli individui che sono dietro tutto questo non si fermano davanti a niente. Qualunque sia il loro obiettivo.» Continuarono ad analizzare e discutere il materiale raccolto. Wallander si limitava ad ascoltare con grande attenzione. Sapeva per esperienza che spesso un'indagine che sembrava essersi arenata, improvvisamente poteva riprendere il giusto corso grazie a una semplice frase o a un banale commento. Proseguirono cercando approcci diversi per riuscire a individuare un punto centrale. Un nucleo che potesse riempire quello che al momento era solo un grande buco nero. Era un lavoro duro e stressante, in continua salita. Ma non avevano alternativa. Usarono l'ultima ora per fare un riepilogo. L'uno dopo l'altro, controllarono i propri promemoria e gli incarichi che si erano assunti. Poco prima delle undici, Wallander si rese conto che tutti erano esausti. «Questa indagine sarà lunga» disse. «È probabile che saremo costretti a chiedere dei rinforzi. Ne parlerò con Lisa. Adesso non ha alcun senso continuare. Comunque, rimarremo in servizio anche durante il fine settimana. Dobbiamo lavorare sodo.» Hansson uscì per primo per andare dal pm che aveva chiesto di essere informato su eventuali sviluppi. Qualche ora prima, durante una pausa, Wallander aveva chiesto a Martinsson di seguirlo nell'appartamento di Tynnes Falk alla fine della riunione. Martinsson era andato nel suo ufficio per telefonare a casa. Nyberg era rimasto seduto qualche minuto passandosi una mano fra i capelli. Poi, si era alzato ed era uscito senza dire una pa-
rola. Era rimasta solo Ann-Britt. Wallander capì che voleva parlargli a tu per tu. Si alzò e andò a chiudere la porta. «Ho pensato a una cosa» disse Ann-Britt. «Quell'uomo che ti ha sparato...» «Continua.» «Ti ha visto. E non ha esitato a spararti.» «Preferirei non pensarci troppo.» «Invece, è quello che dovresti fare.» Wallander la fissò incuriosito. «Come dovrei interpretare questa tua frase?» «Penso soltanto che dovresti essere un po' più cauto. Naturalmente, è possibile che si sia sentito in pericolo. Ma non è neppure da escludere che creda che tu sappia qualcosa. E che ci provi nuovamente.» Wallander si stupì di non averci pensato. D'un tratto, sentì la paura crescere dentro di sé. «Non voglio spaventarti» disse Ann-Britt. «Ma dovevo dirtelo.» Wallander annuì. «Lo terrò presente. La domanda è cosa crede che io possa sapere.» «Forse sospetta che tu abbia capito qualcosa di cui non sei ancora completamente consapevole?» Esitò. «Dovremmo far sorvegliare Apelbergsgatan e Runnerströms Torg. In modo molto discreto, niente auto o simili. Una semplice misura di sicurezza.» Ann-Britt fece un cenno di assenso e tornò nel suo ufficio. Wallander rimase solo con la sua paura. Pensò a Linda. Poi, scrollò le spalle e andò ad aspettare Martinsson all'entrata della centrale. Entrarono nell'appartamento di Runnerströms Torg poco prima di mezzogiorno. Alla vista del computer, Martinsson si avvicinò incuriosito alla scrivania ma Wallander gli chiese di seguirlo per vedere la stanza segreta con l'altare. «Lo spazio elettronico può fare brutti scherzi alla mente umana» disse Martinsson scuotendo il capo. «Questo appartamento-fortezza mi fa venire la nausea.» Wallander non rispose. Qualcosa nel commento di Martinsson lo aveva colpito. Una sola parola. Spazio. La stessa che Tynnes Falk aveva scritto nel suo giornale di bordo.
Oggi, lo spazio è vuoto e abbandonato. Nessun messaggio. C. non risponde alle chiamate. Che tipo di messaggio?, pensò Wallander. Darei qualsiasi cosa per saperlo. Martinsson si era tolto la giacca e si era seduto davanti al computer. Wallander rimase in piedi alle sue spalle. «Contiene programmi molto avanzati» disse Martinsson dopo avere acceso. «E questo computer è estremamente veloce. Non sono sicuro di riuscire a usarlo come si deve.» «In ogni caso, devi provare. Se non funziona, chiameremo gli esperti di informatica da Stoccolma.» Martinsson non rispose. Continuava a fissare il computer in silenzio. Dopo qualche minuto si alzò e controllò la parte posteriore. Wallander seguiva i suoi movimenti con lo sguardo. Martinsson si rimise a sedere. Una moltitudine di simboli si susseguirono rapidamente sullo schermo. Alla fine, apparve un cielo stellato. «Sembra che, appena acceso, si connetta automaticamente con un server» disse Martinsson. Ancora lo spazio, pensò Wallander. È una costante nella vita di Tynnes Falk. «Vuoi che ti spieghi quello che sto facendo?» chiese Martinsson. «Puoi provare, ma sono certo che non capirò.» Martinsson diede il comando di apertura del disco fisso. Una serie di file in codice apparve sullo schermo. Wallander mise gli occhiali e si chinò in avanti. Ma la massa di codici e sigle non aveva alcun significato per lui. Martinsson scelse il primo file e cercò di aprirlo. Schiacciò il tasto d'invio. Dopo qualche secondo si irrigidì sulla sedia. «Che cosa succede?» Martinsson indicò l'angolo a destra in basso dello schermo. Un segnale luminoso aveva iniziato a lampeggiare. «Non sono sicuro» disse Martinsson lentamente. «Ma credo che proprio in questo momento, qualcuno sappia che stiamo cercando di aprire un file senza autorizzazione.» «Come è possibile?» «Questo computer è collegato ad altri computer.» «E così qualcuno si è accorto di cosa stiamo cercando di fare?» «Proprio così.» «Dov'è questo qualcuno?»
«Può essere in qualsiasi posto» disse Martinsson. «In un ranch in California. O su un'isola dell'Australia. Ma anche in un appartamento al piano di sotto.» Wallander scosse il capo incredulo. «Mi sembra incredibile» disse. «Oggi, grazie a Internet, si è al centro del mondo dovunque ci si trovi.» «Credi di riuscire ad aprire quel file?» Martinsson si rimise al lavoro. Wallander aspettava impaziente. Dopo circa dieci minuti, Martinsson si appoggiò allo schienale della sedia. «È tutto protetto da una serie di codici complicati» disse. «Inoltre, ognuno di questi codici è protetto a sua volta da un sistema di sicurezza.» «Questo vuol dire che ti arrendi?» Martinsson sorrise. «Non ancora» rispose. «Non ancora.» Martinsson si chinò in avanti e riprese a digitare sulla tastiera. Qualche secondo dopo, lanciò un grido di sorpresa. «Che cosa c'è?» chiese Wallander. Martinsson rimase con lo sguardo incollato sullo schermo. «Non ne sono del tutto sicuro. Ma credo che qualcuno abbia acceso questo computer solo qualche ora fa.» «Come fai a vederlo?» «Non credo che valga la pena cercare di spiegarti.» «Ma sei sicuro?» «Ancora un po' di pazienza.» Wallander teneva lo sguardo fisso su Martinsson che continuava a lavorare. Dopo dieci minuti, si alzò. «Avevo ragione» disse. «Qualcuno è entrato nel sistema ieri. Oppure questa notte.» «Ne sei sicuro? «Sì.» Wallander lo fissò. «Questo significa che qualcun altro, a parte Tynnes Falk, ha accesso ai dati contenuti in questo computer.» «E non è qualcuno che è abilitato a farlo» disse Martinsson. Wallander annuì. «Che cosa possiamo dedurne?» chiese Martinsson. «Non so» rispose Wallander. «È troppo presto per dirlo.» Martinsson si chinò in avanti e riprese a lavorare.
Alle quattro e mezza fecero una pausa. Martinsson invitò Wallander a cenare a casa sua. Poco dopo le sei e mezza tornarono nell'appartamento. Wallander si rendeva conto che la sua presenza era inutile. Ma non voleva lasciare Martinsson solo. Alle dieci, Martinsson si arrese. «Non ce la faccio» disse. «In vita mia, non ho mai visto sistemi di sicurezza così sofisticati. È come se all'interno di questo computer ci fossero chilometri di filo spinato. Impossibile trovare un varco.» «Adesso almeno lo sappiamo» disse Wallander. «Chiederemo aiuto a Stoccolma.» «Forse...» disse Martinsson incerto. «Quale alternativa abbiamo?» «A dire il vero, ne abbiamo una» disse Martinsson. «C'è un giovane che si chiama Robert Modin. Abita a Löderup. Non molto lontano da dove abitava tuo padre.» «Chi è?» «Un giovane in gamba che ha diciannove anni. Da quello che ho sentito dire, è uscito di prigione un paio di settimane fa.» Wallander fissò Martinsson meravigliato. «E perché dovrebbe essere un'alternativa?» «Perché l'anno scorso è riuscito a entrare nel sistema del Pentagono. È considerato uno degli hacker più ingegnosi al mondo.» Wallander esitava. Eppure, la proposta di Martinsson lo attirava. Poi prese la decisione. «Vallo a prendere» disse. «Nel frattempo, io andrò a vedere come se la sta cavando Hansson con i suoi cani.» Martinsson e Wallander lasciarono l'appartamento. Wallander rimase finché l'auto di Martinsson non scomparve. Prima di muoversi, si guardò intorno. Un'auto era parcheggiata a due isolati di distanza. Wallander alzò una mano e fece un cenno di saluto. Poi, si ricordò le parole di Ann-Britt. Doveva cercare di essere più cauto. Si guardò intorno una seconda volta. Poi si avviò verso Missunnavägen. La pioggia aveva smesso di cadere. 19.
Hansson aveva parcheggiato la sua auto davanti all'Ufficio delle imposte. Wallander vide il collega fermo sotto un lampione a un centinaio di metri di distanza, intento a leggere un giornale. Anche a questa distanza si capisce che è un piedipiatti, pensò Wallander. Chiunque capirebbe che è in servizio e che sta sorvegliando qualcuno. Indossa gli abiti sbagliati. Troppo leggeri. A parte la regola d'oro, tornare a casa vivo dopo il lavoro, la seconda regola più importante per un poliziotto è di vestirsi adeguatamente. Hansson sembrava totalmente immerso nella lettura del suo giornale. Si accorse della presenza di Wallander solo quando gli fu di fianco. Wallander notò che stava leggendo un giornale specializzato in corse di cavalli. «Non ti ho sentito arrivare» disse Hansson. «Forse dovrei farmi vedere da uno specialista, credo di essere un po' sordo.» «Come va con i cavalli?» «Come tutti, anch'io vivo con la speranza di azzeccare il cavallo da cento a uno. Ma naturalmente non capita mai. I cavalli corrono come gli fa comodo.» «E con i cani come va?» «Sono appena arrivato. Finora non c'è stato nessuno.» Wallander si guardò intorno. «Quando sono arrivato a Ystad, qui c'erano solo campi» disse. «Non c'era un solo edificio.» «Svedberg ne parlava spesso» disse Hansson. «Diceva che la città era cambiata. Ma lui era nato qui.» Rimasero in silenzio ricordando il loro collega scomparso. Wallander ricordava ancora il gemito di Martinsson che era alle sue spalle quando avevano scoperto il corpo inerme di Svedberg disteso sul pavimento del suo soggiorno. «Fra pochi mesi, avrebbe compiuto cinquant'anni» disse Hansson. «Tu quando li compi?» «Il mese prossimo.» «Spero che mi inviterai.» «A cosa? Non darò alcuna festa.» Si avviarono insieme. Wallander gli parlò dei vani tentativi di Martinsson di avere accesso ai file di Tynnes Falk. Arrivati davanti al Bancomat, si fermarono. «Ci si abitua rapidamente» disse Hansson. «Non riesco neppure a ricordare i tempi in cui i Bancomat non esistevano. Eppure, ancora oggi, non è
che capisca bene come funzionano. Immagino che ci sia un piccolo cassiere all'interno. Uno che conta le banconote e che controlla che tutto sia in regola.» Wallander pensò a quello che gli aveva detto Erik Hökberg. Di quanto fosse divenuta vulnerabile la società. Il blackout di alcune notti prima era stato una conferma di quella frase. Si avviarono verso l'auto di Hansson. Non c'era ancora nessuno che portava il proprio cane a prendere aria. «Adesso io vado. Com'è andata la cena?» «Non ci sono andato. Cenare senza poter bere un paio di bicchieri non ha molto senso, non credi?» «Avresti potuto chiedere a qualcuno di darti un passaggio.» Hansson gli lanciò uno sguardo meravigliato. «Pensi che sarei dovuto venire qui a interrogare delle persone con l'alito che puzzava d'alcol?» «Un bicchiere o due» disse Wallander. «Non stavo parlando di una sbronza.» Wallander stava per andarsene, quando si ricordò che Hansson aveva parlato con il pm nel pomeriggio. «Quali sono stati i commenti di Viktorsson?» «In pratica nessun commento.» «Deve averti pur detto qualcosa.» «Ha detto che per il momento non c'era alcun motivo per seguire una particolare pista nell'indagine. Dobbiamo continuare a lavorare su un vasto fronte. Senza alcun pregiudizio.» «È quello che facciamo sempre» disse Wallander. «Viktorsson dovrebbe saperlo.» «In ogni caso, è quello che ha detto.» «Nient'altro?» «No.» Istintivamente, Wallander ebbe l'impressione che Hansson stesse rispondendo evasivamente. Come se volesse nascondere qualcosa. Wallander aspettò. Ma Hansson rimase in silenzio. «A mezzanotte e mezza puoi andartene» disse Wallander. «Adesso vado. Ci vediamo domani.» «Avrei dovuto vestirmi meglio. Inizia a fare freddo.» «L'autunno è arrivato. Presto sarà inverno.» Wallander si avviò verso il centro della città. Più ci pensava, più era si-
curo che Hansson avesse evitato volutamente di dire qualcosa. Arrivato a Runnerströms Torg si rese conto che poteva trattarsi di una sola cosa. Viktorsson aveva parlato di lui. Del presunto maltrattamento e dell'inchiesta interna che era in corso. Il fatto che Hansson glielo avesse nascosto lo irritava enormemente. Ma non era sorpreso. Hansson viveva cercando di restare sempre in buoni rapporti con gli altri. In quello stesso momento, Wallander si accorse di essere esausto. E forse anche demoralizzato. Si guardò intorno. A parte l'auto anonima della polizia che era al suo posto, la piazza era deserta. Wallander aprì la portiera e si mise al posto di guida. Proprio mentre stava per mettere in moto, il cellulare squillò. Lo prese dalla tasca. Era Martinsson. «Dove sei?» «Sono tornato a casa.» «Perché? Non sei riuscito a rintracciare Modin?» «Modin. Robert Modin. Improvvisamente ho avuto un dubbio.» «Su cosa?» «Be', sai com'è. Il regolamento dice che non dobbiamo utilizzare consulenti esterni a nostro piacimento. Dopo tutto, Modin è stato condannato a una pena detentiva. Anche se solo di pochi mesi.» Wallander si rese conto che Martinsson si era lasciato prendere dalla paura. Non era la prima volta. E ogni volta, lui aveva perso la pazienza. Martinsson si muoveva troppo cautamente. Wallander non aveva mai usato la parola vigliaccheria, ma era quello che in fondo pensava. «Prima, dovremmo chiedere l'autorizzazione del pm» continuò Martinsson. «O dovremmo almeno parlarne con Lisa.» «Tu sai che me ne prendo io la responsabilità» disse Wallander. «Sì, ma...» Wallander capì che Martinsson non avrebbe cambiato idea. «Dammi l'indirizzo di Modin» disse. «In questo modo ti libero da ogni responsabilità.» «Non sarebbe meglio aspettare?» «No» disse Wallander. «Non possiamo perdere tempo. Voglio sapere che cosa c'è dentro a quel computer.» «Se vuoi la mia opinione personale, dovresti andare a dormire. Ti sei guardato allo specchio?» «Sì, lo so» disse Wallander. «Ma adesso, dammi quell'indirizzo.» Wallander cercò una penna nel vano portaoggetti che era stracolmo di
scontrini e piatti di carta piegati di pizzerie e chioschi. Wallander scrisse quello che Martinsson gli dettava sul retro della ricevuta di un benzinaio. «Ormai è quasi mezzanotte» disse Martinsson. «Lo so, lo so» ripose Wallander. «Ci vediamo domani.» Wallander spense il cellulare e lo posò sul sedile di fianco. Stava per girare la chiave di accensione, ma si fermò di colpo. Martinsson aveva ragione. Quello di cui aveva più bisogno in quel momento era dormire. Aveva davvero senso andare a Löderup a quell'ora? Molto probabilmente, Robert Modin stava dormendo. Tanto vale aspettare fino a domani, pensò. Ma, quasi inconsciamente, mise in moto e prese la direzione di Löderup. Guidava ad alta velocità come se volesse sfogarsi. Per evitare di pensare e forse cambiare idea. Wallander aveva posato la ricevuta con l'indirizzo di fianco al cellulare. Ma non ne aveva bisogno perché sapeva esattamente dove abitava Robert Modin. Era a pochi chilometri dalla casa dove aveva vissuto suo padre. Era praticamente sicuro di avere già incontrato il padre del giovane, ma non ricordava il suo nome. Abbassò il finestrino, si affacciò e lasciò che l'aria fredda gli sferzasse il viso. Continuava a pensare a Martinsson e a Hansson con crescente irritazione. Non fanno altro che strisciare, pensò cupamente. Di fronte ai loro capi, di fronte a tutti. Quando lasciò la strada principale era mezzanotte e mezza. Naturalmente, c'era il rischio di arrivare davanti a una casa dove tutti dormivano. Ma la rabbia e l'irritazione avevano scacciato la stanchezza. Voleva incontrare Robert Modin e voleva portarlo con sé nell'appartamento di Runnerströms Torg. La strada secondaria finiva davanti a una fattoria con un grande giardino. I fari dell'auto illuminarono un solitario cavallo immobile in un campo recintato. La casa era dipinta di bianco. Una jeep e un'utilitaria erano parcheggiate nello spiazzo antistante. La luce era accesa in diverse finestre al pianterreno. Wallander fermò l'auto, spense il motore e scese. In quello stesso istante, una lampada si accese sopra la porta di ingresso. Un uomo uscì. Wallander lo riconobbe. La memoria non lo aveva tradito. Si erano già incontrati in passato. Wallander si avvicinò e lo salutò. L'uomo era sulla sessantina, magro e curvo. Ma dalle sue mani, capì che non era un contadino. «Ti riconosco» disse Modin. «Tuo padre abitava laggiù.» «Ci siamo già incontrati» disse Wallander. «Ma non ricordo in che occa-
sione.» «La notte in cui tuo padre vagava per i campi» disse Modin. «Con una valigia in mano.» Wallander si ricordò. Una notte, suo padre era stato colto da un temporaneo attacco di squilibrio mentale e aveva deciso di partire per l'Italia. Aveva preparato una valigia e si era messo in cammino. Modin lo aveva visto vagare in un campo fangoso e aveva telefonato alla centrale di polizia. «Non credo che ci siamo più incontrati da quando tuo padre è morto» disse Modin. «E la casa è stata venduta.» «Gertrud si è trasferita a Svarte da sua sorella. Non so neppure chi abbia comprato la casa.» «È un tipo che viene dal nord del paese e che sostiene di essere un uomo d'affari. Ma io ho il sospetto che sia uno che distilla illegalmente.» Per un attimo, Wallander vide davanti a sé il vecchio atelier di suo padre trasformato in distilleria clandestina. «Presumo che tu sia venuto a causa di Robert» disse Modin interrompendo il filo dei pensieri di Wallander. «Non ha pagato abbastanza?» «Non c'è dubbio» disse Wallander. «Ma hai ragione, è per lui che sono venuto.» «Che cosa ha fatto adesso?» L'angoscia era palpabile nel tono di voce dell'uomo. «Non ha fatto nulla. Invece, credo che forse potrà aiutarci.» Sul viso di Modin si dipinse un'espressione di meraviglia e di sollievo allo stesso tempo. Fece un cenno verso la porta e Wallander lo seguì all'interno. «Mia moglie dorme» disse Modin. «Usa i tappi per le orecchie.» In quello stesso istante, senza sapere come, Wallander si ricordò che Modin lavorava come agrimensore. «Robert è in casa?» «No, è andato a una festa con alcuni amici. Ma ha portato il suo cellulare con sé.» Modin fece accomodare Wallander nel soggiorno. Appena entrato, Wallander si fermò sui suoi passi con un sussulto. Sulla parete al di sopra del divano troneggiava uno dei quadri di suo padre. Un paesaggio senza gallo cedrone. «Me lo ha dato tuo padre» disse Modin. «Quando c'erano grandi nevicate, gli davo una mano a spalare la neve. A volte andavo a trovarlo e face-
vamo due chiacchiere. A modo suo, era una persona eccezionale.» «Questo è indubbio» disse Wallander. «Tuo padre mi piaceva. Non ce ne sono più molti come lui.» «Talvolta era difficile avere a che fare con lui» disse Wallander. «Ma devo dire che mi manca. Hai ragione, gli uomini del suo stampo sono sempre più rari. Un giorno spariranno del tutto.» «Esiste qualcuno che non sia difficile?» disse Modin. «Tu forse? Il sottoscritto? Prova a chiedere a mia moglie.» Wallander si mise a sedere sul divano. Modin iniziò a pulire la sua pipa. «Robert è un bravo ragazzo» disse. «Personalmente, trovo che la pena sia stata troppo severa. Anche se è stata solo di un mese. Non era che un gioco.» «A dire il vero, non so molto di quella storia» disse Wallander. «A parte il fatto che Robert è entrato nel sistema del Pentagono.» «Robert è molto bravo con il computer» disse Modin. «A nove anni ha comprato il suo primo pc con i soldi che aveva guadagnato raccogliendo fragole. Da quel momento, si è perso nel mondo dell'informatica. Finché andava bene a scuola, io non avevo niente in contrario. Mia moglie invece la pensava diversamente. E ora, naturalmente, sostiene che aveva ragione.» Wallander ebbe l'impressione che Modin fosse un uomo molto solo. Un uomo al quale mancava un vero interlocutore. «Come ho detto, ho bisogno di parlare con Robert» disse Wallander. «È possibile che le sue conoscenze di informatica possano aiutarci.» Modin accese la pipa. «Posso chiedere in che modo potrebbe farlo?» «Posso solo dire che si tratta di un problema informatico complicato.» Modin annuì e si alzò. «Questo mi basta.» Modin uscì dalla stanza. Qualche secondo dopo, Wallander lo udì parlare con qualcuno al telefono. Si girò e osservò il paesaggio che suo padre aveva dipinto. Chissà dove sono finiti i mercanti d'arte?, si chiese. Quegli uomini che arrivavano con le loro scintillanti auto americane per comprare i quadri di suo padre a prezzi stracciati. Dove saranno finiti? Quegli uomini dai vestiti di seta e pieni di arroganza? Forse sono sepolti in un cimitero speciale per mercanti d'arte? Insieme ai loro portafogli rigonfi di banconote e alle loro automobili sfavillanti? Modin tornò nel soggiorno.
«Il ragazzo sta arrivando» disse. «È a Skillinge. Ci vorrà un po' di tempo.» «Che cosa gli hai detto?» «Gli ho detto la verità e di non allarmarsi. Gli ho detto che la polizia ha bisogno del suo aiuto.» Modin si mise a sedere. La pipa si era spenta. «Se sei venuto qui in piena notte, deve trattarsi di una questione importante.» «Ci sono cose che non possono aspettare.» Modin capì che Wallander preferiva non andare oltre. «Posso offrirti qualcosa?» «Berrei volentieri un caffè.» «A quest'ora della notte?» «Voglio lavorare ancora un paio d'ore. Ma il caffè non è necessario.» «Avrai il tuo caffè.» Erano seduti in soggiorno quando udirono un'auto fermarsi nel cortile della casa. La porta si aprì ed entrò Robert Modin. Si direbbe un ragazzino di tredici anni, pensò Wallander fissandolo. Robert Modin aveva i capelli tagliati corti, portava un paio di occhiali dalle lenti rotonde e non era molto alto. Con gli anni la somiglianza con suo padre si sarebbe certamente accentuata. Indossava un paio di jeans, una camicia e una giacca di pelle. Wallander si alzò e gli strinse la mano. «Mi dispiace averti rovinato la festa.» «Non ha importanza, stavamo tornando tutti a casa.» Il padre di Robert Modin si alzò. «Vi lascio parlare tranquilli» disse uscendo dalla stanza. «Sei stanco?» chiese Wallander. «Non particolarmente.» «Volevo chiederti di venire con me fino a Ystad.» «Per fare cosa?» «Vorrei che tu dessi un'occhiata a una certa cosa. Ti spiegherò tutto in auto.» Robert Modin si era irrigidito. Wallander cercò di sorridere. «Non devi preoccuparti.» «Devo solo cambiare gli occhiali» disse Robert Modin. Wallander lo udì salire al piano superiore e tornò nel soggiorno. «Grazie per il caffè» disse al padre. «Robert viene con me a Ystad, ma
non preoccuparti, lo farò riportare a casa fra un paio d'ore al massimo.» Il padre aveva cambiato espressione. «Sei sicuro che Robert non abbia fatto nulla di...» «Te lo assicuro. Abbiamo bisogno di lui e basta.» Robert Modin entrò nel soggiorno. Quando partirono era l'una e venti. Prima di prendere posto, Robert Modin gli porse il cellulare. «Qualcuno ti ha chiamato» disse. Wallander controllò il numero. Era quello di Hansson. Avrei dovuto portare il cellulare in casa, pensò. Wallander compose il numero di Hansson che rispose dopo diversi segnali. «Ti ho svegliato?» «È chiaro che mi hai svegliato. Che cosa credevi? È l'una e mezza. Sono rimasto fino a mezzanotte e mezza. Ero così stanco che credevo di cadere a terra da un momento all'altro.» «Mi hai chiamato sul cellulare?» «Sì. Sono riuscito a parlare con qualcuno.» Wallander si irrigidì sul sedile. «Con chi?» «Una donna con un pastore tedesco. Se ho capito bene, sostiene di avere visto Tynnes Falk quella sera poco prima che morisse.» «Ottimo. Ha potuto notare qualcosa di particolare?» «Sembra avere una buona memoria. Si chiama Alma Högström. Dentista in pensione. Ha detto che incontrava spesso Tynnes Falk alla sera. Sembra che fosse un abitudinario delle passeggiate serali.» «E la sera in cui il corpo di Falk è stato riportato lì?» «Dice di avere notato un furgone. Se gli orari corrispondono, dovevano essere le undici e mezza. Il furgone era parcheggiato davanti al Bancomat. Sostiene di averlo notato perché era parcheggiato malamente.» «Ha visto delle persone?» «Crede di avere visto un uomo.» «Crede?» «Non ne era sicura.» «E in grado di identificare il furgone?» «Le ho chiesto di venire alla centrale domani mattina.» «Bene» disse Wallander. «È un buon passo avanti.» «Dove sei? A casa?» «Non proprio» rispose Wallander. «Ci vediamo domani.»
Quando Wallander parcheggiò l'auto davanti alla casa in Runnerströms Torg, erano ormai le due. C'era un'altra auto della polizia parcheggiata nello stesso punto della precedente. Wallander si guardò intorno lentamente. Voleva assolutamente evitare che Robert Modin potesse correre qualche pericolo. Ma la strada era deserta. Durante il tragitto da Löderup, aveva spiegato al ragazzo il motivo della sua visita. Voleva semplicemente che cercasse di aprire i file di Tynnes Falk. «So che sei in gamba» aveva detto. «La faccenda del Pentagono non mi interessa. Per me, la cosa più importante è la tua competenza informatica.» «In verità, non avrei mai dovuto essere scoperto» disse improvvisamente Robert Modin. «Ma è stata solo colpa mia.» «Perché?» «Perché non ho eliminato tutte le tracce correttamente.» «Che cosa vuol dire?» «Quando si entra in un sistema protetto, si lasciano sempre tracce. È come quando uno si apre un varco in un recinto. Dopo, per evitare che l'effrazione sia scoperta, bisogna riparare il recinto. Io sono stato negligente. Per questo sono riusciti ad arrivare fino a me.» «Vuoi dire che c'era qualcuno al Pentagono in grado di scoprire che aveva ricevuto visite da un minuscolo paesino come Löderup?» «Non potevano sapere chi fossi o come mi chiamassi. Ma sapevano che era stato il mio computer.» Wallander cercò di ricordare se avesse mai sentito parlare di quel fatto. Avrebbe dovuto, dato che a quei tempi Löderup era di competenza del distretto di polizia di Ystad. Ma la sua mente era vuota. «Chi ti ha arrestato?» «Due poliziotti di Stoccolma. Due della direzione generale di polizia.» «Poi, che cosa è successo?» «Sono venute due persone dagli Stati Uniti per interrogarmi.» «Per interrogarti?» «Volevano sapere come avevo fatto. Ho spiegato tutto.» «E poi?» «Poi sono stato condannato.» Wallander avrebbe voluto fare altre domande, ma il ragazzo seduto al suo fianco sembrava riluttante a rispondere. Entrarono nella casa e salirono le scale. Wallander procedeva con caute-
la. Prima di aprire la porta rimase in ascolto per alcuni secondi. Robert Modin lo osservava in silenzio. Entrarono nell'appartamento, Wallander accese la luce e indicò con un cenno del capo la scrivania e il computer. Robert Modin prese posto sulla sedia e accese il computer senza esitazione. Una serie di frasi e simboli si avvicendarono sullo schermo. Wallander era fermo immobile alle sue spalle. I movimenti delle mani di Robert Modin sulla tastiera gli ricordavano quelli di un pianista. Di tanto in tanto, si chinava in avanti come se cercasse di vedere al di là di quello che appariva sullo schermo. Robert Modin continuò a battere i tasti per circa un minuto, poi improvvisamente spense il computer e si voltò verso Wallander. «Non ho mai visto niente di simile» disse semplicemente. «Non riuscirò mai ad aprire un solo documento.» Wallander fu invaso da un acuto senso di delusione e si rese conto che anche Robert Modin provava la stessa sensazione. «Ne sei sicuro?» Il ragazzo scosse il capo. «Prima di riprovare devo dormire» disse con tono deciso. «E ho bisogno di tempo.» Wallander si rese conto che aver chiesto a Robert Modin di fare un tentativo nel mezzo della notte era stato perfettamente inutile. Naturalmente Martinsson aveva ragione. Anche se malvolentieri, fu costretto ad ammettere di avere agito testardamente solo perché spinto dall'incertezza del collega. «Hai tempo domani?» chiese Wallander. «Tutto il giorno.» Wallander spense la luce e i due lasciarono l'appartamento. Accompagnò il ragazzo dal poliziotto in borghese seduto nell'auto parcheggiata poco lontano dalla casa, e gli chiese di chiamare un'auto di pattuglia per riportare a casa il ragazzo. «Manderò qualcuno a prenderti a mezzogiorno» disse Wallander. Pochi minuti prima delle tre, Wallander raggiunse il suo appartamento a Mariagatan e si infilò sotto le coperte. Si addormentò quasi subito. Deciso comunque a essere alla centrale di polizia alle undici. La donna era entrata nella centrale di polizia poco prima dell'una di venerdì. Aveva chiesto timidamente una cartina di Ystad. L'agente di turno le aveva risposto gentilmente che poteva acquistarla da un giornalaio o da un
tabaccaio. Poi la donna aveva chiesto di poter usare il bagno. L'agente le aveva indicato la porta dei servizi per i visitatori. La donna aveva chiuso la porta alle sue spalle e aveva aperto la finestra. E poi l'aveva richiusa. Ma prima aveva bloccato il catenaccio con del nastro isolante. L'addetta alle pulizie che aveva preso servizio alla sera non si era accorta di nulla. Poco prima delle quattro della notte fra la domenica e il lunedì, un uomo si era avvicinato a uno dei muri esterni della centrale di polizia, aveva spinto la finestra dei servizi ed era entrato. I corridoi erano deserti e avvolti nel silenzio, a parte il vago suono di una radio che proveniva dalla stanza dell'agente di guardia. In mano, l'uomo aveva una pianta della centrale. Se l'era procurata entrando nel sistema informatico del catasto di Ystad. L'uomo sapeva esattamente dove andare. Aprì la porta dell'ufficio di Wallander. Una giacca con un'evidente macchia rossa era appesa all'attaccapanni. L'uomo si avvicinò al computer sulla scrivania. Prima di accenderlo, rimase immobile a osservarlo per un attimo. Per fare quello che voleva, aveva bisogno di venti minuti. Ma l'uomo sapeva che il rischio che qualcuno entrasse in quell'ufficio a quell'ora di notte era praticamente inesistente. Non aveva avuto problemi a scaricare tutti i file salvati nel computer di Wallander. Quando finì, l'uomo spense la luce e aprì la porta di qualche centimetro. Il corridoio era deserto. L'uomo lasciò silenziosamente la centrale di polizia da dove era entrato. 20. La mattina di domenica 12 ottobre, Wallander si svegliò alle nove. Anche se aveva dormito solo sei ore, si sentiva riposato. Prima di raggiungere la centrale di polizia, fece una passeggiata di mezz'ora. Era una bella giornata autunnale con cielo sereno. La temperatura aveva raggiunto i nove gradi. Alle dieci e un quarto, entrò nella centrale di polizia. Prima di andare nel suo ufficio, fece capolino nell'ufficio del responsabile del turno di notte e chiese se fosse successo qualcosa di particolare. A parte un tentativo di scasso nella chiesa di Santa Maria, in cui i ladri avevano desistito quando era scattato l'allarme, la notte era stata eccezionalmente tranquilla. Anche gli agenti in borghese che avevano sorvegliato Apelbergsgatan e Runnerströms Torg non avevano notato niente di insolito. Wallander chiese se qualcuno dei suoi colleghi fosse già al lavoro.
«Martinsson è nel suo ufficio. Hansson doveva andare a prendere qualcuno. Non ho ancora visto Ann-Britt.» «Eccomi qua.» Wallander udì la voce di Ann-Britt alle sue spalle. «Mi sono persa qualcosa?» chiese. «No» rispose Wallander. «Ma andiamo nel mio ufficio.» «Vado a togliermi la giacca e arrivo subito.» Wallander spiegò al responsabile di turno che verso mezzogiorno avrebbe avuto bisogno di qualcuno che andasse a prendere Robert Modin a Löderup, e gli diede le indicazioni necessarie per arrivarci. «Deve essere un'auto civile» disse per finire. «È importante.» Qualche minuto dopo, Ann-Britt entrò nel suo ufficio. Sembrava meno stanca degli ultimi giorni. Wallander avrebbe dovuto chiederle come stesse procedendo la pratica di divorzio. Ma, come al solito, era incerto se fosse il momento adatto. Invece le disse che Hansson sarebbe tornato presto con un testimone. Poi, le parlò del giovane di Löderup che forse avrebbe potuto aiutarli ad aprire i file del computer di Tynnes Falk. «Mi ricordo il caso» disse Ann-Britt quando Wallander finì di parlare. «Robert Modin ha detto di essere stato interrogato da esperti della direzione generale di polizia di Stoccolma. Perché lo hanno fatto?» «Probabilmente a Stoccolma erano preoccupati. Dopotutto, si trattava di un cittadino svedese che aveva accesso ai segreti militari degli americani. Un fatto abbastanza imbarazzante per il governo.» «In ogni caso, è strano che non ne abbia sentito parlare.» «Forse eri in ferie?» «Strano ugualmente.» «Sì. Non capita spesso che tu non sia al corrente di quello che succede nel nostro distretto.» Wallander ricordò la sensazione che aveva provato la sera prima. Era sicuro che Hansson gli avesse nascosto qualcosa. Stava per chiedere ad AnnBritt, ma lasciò perdere. Ma non si faceva illusioni. Una ragazza, con il supporto di sua madre, lo aveva accusato di maltrattamenti. Di solito i poliziotti si spalleggiavano a vicenda. Ma quando un collega si metteva in guai di quel tipo, non esitavano a voltargli le spalle. «Allora, tu credi che la soluzione si trovi in quel computer?» chiese Ann-Britt. «Io non credo niente. Ma dobbiamo riuscire a sapere di che cosa si occupasse veramente Tynnes Falk. Chi era? Oggi, sembra che le persone si nascondano dietro a identità elettroniche.»
Poi le parlò della donna con il pastore tedesco che Hansson stava portando alla centrale. «Finalmente una persona che ha avuto modo di notare qualcosa» disse Ann-Britt. «Speriamo.» Ann-Britt era rimasta in piedi, appoggiata allo stipite della porta. Era un'abitudine che aveva preso di recente. Prima, ogni volta che entrava nell'ufficio di Wallander, prendeva sempre posto sulla sedia. «Ieri sera non riuscivo a smettere di pensare. I bambini erano a letto e io stavo guardando uno spettacolo alla tv. Ma non riuscivo a concentrarmi.» «E tuo marito?» «Il mio ex marito, vuoi dire. Si trova nello Yemen. Almeno credo. Comunque, ho spento il televisore e sono andata a sedermi in cucina con un bicchiere di vino. Ho cercato di pensare a tutto quello che è successo nel modo più semplice possibile. Eliminando i dettagli irrilevanti.» «È un approccio impossibile» obiettò Wallander. «Almeno finché non si è certi di quello che è irrilevante oppure no.» «Tu mi hai insegnato che bisogna andare avanti per tentativi. Cercando di capire ciò che è importante o meno.» «A che conclusione sei arrivata?» «Che certi particolari possono essere considerati ovvi. Per prima cosa, non dobbiamo dubitare che esista un legame fra Tynnes Falk e Sonja Hökberg. Il relè elettrico ne è la conferma. Ma c'è qualcosa nei tempi che fa pensare a un'eventualità che non abbiamo preso in considerazione.» «Quale?» «Che forse Tynnes Falk e Sonja Hökberg non abbiano avuto a che fare l'uno con l'altra in maniera diretta.» Wallander capì quello che Ann-Britt voleva dire e si rese conto che poteva essere importante. «Vuoi dire che il legame fra i due può essere stato indiretto? Tramite qualcun altro?» «Forse dobbiamo cercare il movente da tutt'altra parte. Questo perché Tynnes Falk era già morto quando Sonja Hökberg è stata carbonizzata. Ma la persona che l'ha uccisa può essere stata la stessa che ha trafugato il corpo di Tynnes Falk.» «Però, non sappiamo ancora che cosa stiamo cercando» disse Wallander. «Non esiste alcun movente comune. Nessun comune denominatore. A parte che quando si è verificato il blackout, tutti sono rimasti al buio.»
«È una coincidenza oppure no che il blackout è stato provocato nella centrale elettrica più importante?» Wallander indicò la carta appesa al muro. «È la centrale più vicina a Ystad» disse. «E Sonja è fuggita proprio da Ystad.» «Ma siamo d'accordo che deve avere contattato qualcuno. Qualcuno che poi ha scelto di portarla lì?» «Ammesso che non sia stata lei a chiederlo» disse Wallander lentamente. «È più che possibile.» Osservarono la carta in silenzio. «Mi sto chiedendo se non sia necessario partire da Lundberg» disse Ann-Britt, pensierosa. «Il tassista.» «Abbiamo scoperto qualcosa su di lui?» «Lundberg non compare nei nostri registri. Ho parlato con alcuni dei suoi colleghi. E con la vedova. Nessuno ha parlato male di lui. Era un uomo che guidava il taxi e passava il tempo libero con la famiglia. La vita normale e irreprensibile di uno svedese che finisce brutalmente. Ieri, mentre ero in cucina, improvvisamente mi sono detta che era troppo perfetta. Deve esserci una macchia da qualche parte. Se non hai niente in contrario, vorrei continuare a scavare nella vita di Lundberg.» «Sono più che d'accordo. Dobbiamo riuscire ad arrivare al centro, ammesso che ce ne sia uno. Lundberg aveva figli?» «Due. Uno vive a Malmö. L'altro abita qui in città. À dire il vero, avevo pensato di contattarli oggi stesso.» «Fallo. Se non altro, sarebbe bene se potessimo archiviare il caso del suo omicidio come un normale omicidio per rapina.» «Hai programmato una riunione per oggi?» «No. Ma nel caso decida ti farò sapere.» Ann-Britt se ne andò. Wallander rimase seduto riflettendo su quello che gli aveva detto. Dopo qualche minuto si alzò e andò alla mensa a prendere un caffè. Qualcuno aveva lasciato un giornale sul tavolo. Wallander lo prese, lo portò nel suo ufficio e iniziò a sfogliarlo distrattamente. Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. La pubblicità di un'agenzia per incontri che aveva scelto il nome poco fantasioso di «Contatti informatici». Quando finì di leggere l'annuncio, quasi inconsciamente Wallander accese il computer e ne formulò uno lui stesso. Sapeva che se non lo avesse fatto in quel momento, non lo avrebbe fatto mai più. In ogni caso, nessuno sarebbe mai venuto a saperlo. Poteva mantenere
l'anonimato fino a quando desiderava. Poteva ricevere tutte le risposte senza svelare la propria identità. Cercò di formulare l'annuncio nel modo più semplice possibile. Poliziotto, cinquant'anni, divorziato, una figlia, cerca una compagna. Non per matrimonio, ma per amore. Come firma non scelse «Vecchio lupo» ma «Labrador». Stampò una copia dell'annuncio e salvò il testo nel computer. Aprì il cassetto superiore della scrivania e prese una busta e un francobollo. Scrisse l'indirizzo, chiuse la busta e la mise nella tasca della giacca. Quando ebbe finito fu costretto a confessare a se stesso di provare un certo senso di euforia. Probabilmente non avrebbe ricevuto una sola risposta. Oppure ne avrebbe ricevute alcune che avrebbe gettato immediatamente nel cestino. Ma non poteva negare di sentirsi eccitato. Hansson apparve sulla porta. «È qui» disse. «La nostra testimone, Alma Högström, dentista in pensione.» Wallander si alzò e seguì Hansson in una delle sale riunioni più piccole. Accucciato sul pavimento ai piedi della donna c'era un pastore tedesco che alzò immediatamente la testa. Wallander si presentò. Osservandola, ebbe l'impressione che la donna si fosse vestita con particolare attenzione per la sua visita alla centrale di polizia. «Ti ringrazio per essere venuta anche se è domenica» disse Wallander. Appena pronunciata la frase, Wallander si chiese perché, dopo tanti anni, continuasse a esprimersi in modo così impacciato. «Se si è avuta la possibilità di osservare qualcosa che può tornare utile alla polizia, è nostro dovere di cittadini presentarci.» Si esprime peggio di me, pensò Wallander sconsolato. Sembra una replica di un film degli anni trenta. Wallander lasciò che Hansson facesse le domande limitandosi a prendere appunti. Alma Högström era lucida e rispondeva senza alcuna esitazione. Quando era insicura, lo diceva chiaramente. Ma forse, la cosa più importante era la sua sicurezza sugli orari. Alle undici e mezza, aveva notato il furgone. Ne era certa perché aveva guardato il suo orologio qualche secondo prima. «È una vecchia abitudine» disse sospirando. «Non riesco a togliermela. Un paziente era seduto sulla sedia e la sala di attesa era stracolma. Non c'era mai abbastanza tempo.» Hansson cercò di farle riconoscere il modello di furgone che aveva visto. Aveva portato con sé un classificatore, una specie di manuale che aveva
preparato anni prima dove aveva raccolto diversi modelli di auto e una tabella di colori che si era fatto dare da un negozio di ferramenta. Naturalmente avrebbe potuto trovare una lista più aggiornata su Internet. Ma Hansson, al pari di Wallander, aveva difficoltà ad abbandonare le vecchie abitudini. Dopo avere controllato a lungo, Alma Högström affermò che, con tutta probabilità, si trattava di un furgone Mercedes di colore nero oppure blu scuro. Alma Högström non aveva avuto modo di notare né il numero di targa né se qualcuno fosse stato seduto al posto di guida. Però, aveva intravisto un'ombra dietro al furgone. «In realtà, non sono stata io» disse. «Ma Fedele, il mio cane. Si è fermato, ha raddrizzato le orecchie e ha guardato in direzione del furgone.» «Sappiamo che è difficile descrivere un'ombra» disse Hansson. «Ma puoi fare uno sforzo. Ad esempio, era un uomo o una donna?» Alma Högström rifletté a lungo prima di rispondere. «In ogni caso, l'ombra non indossava una gonna» disse. «Doveva essere un uomo. Ma non ne sono sicura al cento per cento.» «Hai avuto modo di udire qualcosa?» chiese Wallander. «Qualche rumore?» «No. A parte forse qualche auto che passava sulla statale.» Hansson continuò. «Che cosa è successo dopo?» «Ho fatto il mio solito giro.» Hansson aprì sul tavolo una mappa della città. La donna indicò il percorso. «Dunque, sei passata davanti al Bancomat una seconda volta? E il furgone non c'era più?» «Sì.» «Che ora era?» «Doveva essere circa mezzanotte e dieci. Di solito, impiego un quarto d'ora per tornare a casa dai grandi magazzini, e quando sono arrivata a casa, era mezzanotte e venticinque.» Alma Högström indicò la sua casa. Wallander e Hansson si guardarono e annuirono. Gli orari coincidevano. «Ma non hai notato niente per terra» disse Hansson. «E il cane non ha reagito?» «No.»
«Non ti sembra strano?» disse Hansson rivolto a Wallander. «All'obitorio, il corpo era conservato in una cella frigorifera» disse Wallander. «Forse è per questo che il cane non ha sentito l'odore. Chiederemo a Nyberg o a qualcuno della squadra cinofila.» «Sono felice di non avere visto nulla» disse Alma Högström con tono deciso. «È terribile pensare che qualcuno vada in giro a trasportare cadaveri in piena notte.» Hansson le chiese se avesse notato qualcuno quando era passata davanti al Bancomat. Ma la risposta fu negativa. Passarono a parlare delle sere in cui aveva visto Tynnes Falk. Wallander alzò una mano e interruppe Hansson. «Sapevi che l'uomo che incontravi si chiamava Falk?» La risposta della donna lo stupì. «Anni fa, era stato mio paziente. Niente di serio, aveva buoni denti. È venuto alcune volte per semplici controlli. Ma io ho un'ottima memoria per i volti e per i nomi.» «Aveva l'abitudine di fare passeggiate di sera?» chiese Hansson. «Lo incontravo diverse volte la settimana.» «Capitava che fosse in compagnia di qualcuno?» «Mai. Era sempre solo.» «Vi parlavate qualche volta?» «Di tanto in tanto, gli facevo un cenno di saluto. Ma dava l'impressione di voler essere lasciato in pace.» Hansson non aveva altre domande. Si volse verso Wallander e gli fece un cenno con il capo di continuare. «Hai notato qualcosa di diverso in Falk negli ultimi tempi?» «In che senso?» Wallander non era sicuro di avere formulato la domanda in modo corretto. «Dava l'impressione di avere paura? Si guardava intorno?» Alma Högström rifletté e poi rispose. «Se c'era qualcosa di diverso, allora bisogna dire che era il contrario.» «Contrario di cosa?» «Della paura. Negli ultimi tempi, Falk sembrava di ottimo umore e pieno di energia. Prima avevo l'impressione che si muovesse con passo pesante e che fosse forse anche un po' abbattuto.» Wallander aggrottò la fronte. «Ne sei sicura?»
«Come si può essere sicuri di quello che passa per la testa di una persona? Io sto solo dicendo quello che immagino.» Wallander annuì. «Certamente. Ti ringrazio per essere venuta» disse. «Può darsi che ci faremo ancora vivi. Ma naturalmente, se ti viene in mente qualcos'altro, ti prego di farcelo sapere immediatamente.» Hansson accompagnò Alma Högström all'uscita. Wallander rimase seduto nella sala riflettendo su una frase della donna. Negli ultimi tempi, Tynnes Falk le era sembrato singolarmente di buon umore. Wallander scosse il capo. Il quadro era sempre più confuso. Hansson tornò nell'ufficio. «Ho capito bene? Ha detto che il cane si chiama Fedele?» «Sì.» «Che strano nome.» «Non saprei. Un cane fedele. Ne ho sentiti di peggio.» «Ma come si fa a chiamare un cane Fedele?» «La signora Högström lo ha fatto. Personalmente non ci trovo niente di male.» Hansson scosse il capo. «Un furgone Mercedes di colore nero o blu» disse. «Possiamo iniziare controllando se qualcuno ha sporto denuncia per il furto di un furgone di quel tipo.» Wallander annuì. «Chiedi anche a qualcuno della squadra cinofila per quanto riguarda l'odore. Comunque, ora abbiamo almeno un'ora precisa sulla quale basarci. E da come stanno le cose, è già molto.» Wallander tornò nel suo ufficio. Era mezzogiorno meno un quarto. Telefonò a Martinsson e gli raccontò quello che era successo durante la notte. Martinsson ascoltò senza dire una sola parola. Wallander stava per reagire ma riuscì a controllare la sua rabbia. Invece, gli chiese di andare ad aspettare Robert Modin all'entrata della centrale. Li avrebbe raggiunti con le chiavi dell'appartamento. «Sarà sicuramente interessante» disse Martinsson. «Voglio dire, vedere un esperto superare i sistemi di sicurezza di un programma.» «Ti posso assicurare che me ne assumo tutta la responsabilità» disse Wallander. «Ma non voglio che il ragazzo rimanga lì da solo.» Martinsson captò immediatamente la sottile ironia di Wallander e reagì iniziando a difendersi.
«Non tutti possono essere come te, Kurt» disse. «Non tutti riescono ad adattare le regole ai propri fini.» «Lo so» rispose Wallander pazientemente. «Hai perfettamente ragione. Ma non ho alcuna intenzione di andare a chiedere il permesso al pm o a Lisa.» La conversazione terminò. Wallander aveva fame. Lasciò la centrale e andò a pranzo nella pizzeria di Istvån. C'erano molti clienti nel locale e Wallander non riuscì a parlare di Fu Cheng e della carta di credito falsa come avrebbe voluto fare. Tornando, si fermò alla Posta e imbucò la lettera indirizzata all'agenzia di incontri. Riprese a camminare con la certezza che nessuno avrebbe risposto al suo annuncio. Era appena entrato nel suo ufficio quando il telefono squillò. Era Nyberg. Wallander uscì e si diresse verso l'ufficio di Nyberg, che era al piano inferiore. Quando entrò, vide il martello e il coltello che erano stati usati per la rapina a Lundberg posati sul ripiano della scrivania. «Oggi, sono esattamente quarant'anni che lavoro nella polizia» disse Nyberg acidamente. «Ho iniziato un lunedì mattina. Ed eccomi qui di domenica a celebrare un anniversario che non ha alcun senso.» «Visto che sei così disgustato da tutto, non capisco perché non te ne vai in pensione immediatamente» sibilò Wallander. Per un attimo, rimase sorpreso di avere perso la pazienza. Non gli era mai successo prima con Nyberg. Al contrario, aveva sempre cercato di controllarsi con il suo efficiente ma collerico collega della scientifica. In ogni caso, Nyberg sembrava non essersela presa. Fissò Wallander con uno sguardo incuriosito. «Credevo di essere il solo di cattivo umore in questo posto» disse. «Non era mia intenzione...» mormorò Wallander. Nyberg andò su tutte le furie. «Dannazione, certo che era tua intenzione. Non capisco perché la gente abbia paura di dire quello che pensa. Hai ragione. Non faccio altro che lamentarmi.» «Alla fine, forse è l'unica cosa che ci rimane» disse Wallander lentamente. Nyberg afferrò con rabbia il sacchetto di plastica che conteneva il coltello. «Ho ricevuto il rapporto sulle impronte digitali» disse. «Ce ne sono due diverse.»
Wallander sentì la tensione salire. «Quelle di Eva Persson e Sonja Hökberg?» «Esattamente.» «Questo significa che Eva Persson non ha mentito su questo punto?» «È una possibilità.» «Vuoi dire che, a parte tutto, la responsabile della violenza è stata Sonja Hökberg?» «Io non voglio dire niente. Sto solo dicendo che c'è una possibilità.» «E il martello?» «Sul martello ci sono solo le impronte di Sonja Hökberg. Nient'altro.» Wallander annuì. «Bene, adesso lo sappiamo.» «E sappiamo qualcos'altro» continuò Nyberg cercando fra una pila di carte. «A volte i medici legali superano se stessi. Scrivono che è molto probabile che i colpi siano stati inferti in due momenti diversi. Prima con il martello. E poi con il coltello.» «Cioè, non al contrario.» «No. E non allo stesso tempo.» «Come possono essere arrivati a questa conclusione?» «Credo di capire come. Ma non credo che sia possibile spiegartelo.» «Questo significa che Sonja Hökberg può avere cambiato arma?» «Sì, o almeno è quello che penso. Forse Eva Persson aveva il coltello nella sua borsa. E a un certo punto, Sonja Hökberg se lo è fatto dare.» «Come durante un'operazione» disse Wallander con una smorfia. «Come un chirurgo che chiede uno strumento diverso.» Rimasero in silenzio per un attimo pensando a quel paragone sgradevole. «C'è un'altra cosa» disse Nyberg rompendo il silenzio. «Ho pensato a quella borsetta. Giù alla centrale elettrica. Che era nel posto sbagliato.» Wallander rimase in attesa che continuasse. Oltre a essere un tecnico della scientifica competente e meticoloso, in diverse occasioni Nyberg aveva dato prova di una capacità analitica inaspettata. «Sono andato alla centrale elettrica» continuò Nyberg. «Ho portato con me la borsetta e ho cercato di gettarla contro il recinto da posizioni diverse. Ma non sono mai riuscito a lanciarla così lontano.» «Perché non ci sei riuscito?» «Cerca di ricordare quel luogo. Piloni, filo spinato e pali di cemento. La borsetta rimaneva impigliata ogni volta. Ho provato a lanciarla venticinque
volte. E ci sono riuscito una sola volta.» «Questo può significare che qualcuno si è preso la briga di andare con la borsetta fino al recinto?» «Può essere andata così. Ma per quale motivo?» «Hai qualche idea?» «Naturalmente, la spiegazione può essere che qualcuno l'abbia messa lì perché fosse ritrovata. Ma forse non lo ha fatto subito.» «Qualcuno voleva che il corpo potesse essere identificato, ma non immediatamente?» «Ero arrivato anch'io alla stessa conclusione. Ma poi ho scoperto qualcos'altro. Il punto dove è stata messa è bene illuminato da uno dei riflettori.» Wallander intuì dove Nyberg voleva arrivare, ma non disse nulla. «Quello che voglio dire è che forse la borsetta è stata messa lì perché qualcuno aveva bisogno di luce per esaminare quello che c'era all'interno.» «E probabilmente ha trovato qualcosa.» «Lo penso anch'io. Ma naturalmente sei tu quello che deve trarre le conclusioni.» Wallander si alzò. «Bene» disse. «È più che probabile che il tuo ragionamento sia giusto.» Wallander salì al piano superiore e andò nell'ufficio di Ann-Britt che era intenta a leggere un rapporto. «La madre di Sonja Hökberg» disse Wallander. «Voglio che ti metta in contatto con lei per chiederle se sa quello che la figlia teneva nella borsetta.» Wallander le raccontò quello che gli aveva detto Nyberg. Ann-Britt annuì e si mise a cercare il numero di telefono della madre di Sonja Hökberg. In preda a un vago senso di inquietudine, Wallander uscì dall'ufficio senza aspettare. Camminando, si chiese quanti chilometri avesse percorso lungo quei corridoi in tutti i suoi anni di servizio. Non appena si mise a sedere nel suo ufficio, il telefono squillò. Era Martinsson. «Credo sia meglio che tu venga qui.» «Perché?» «Robert Modin è un giovane molto in gamba.» «Che cosa è successo?» «È successo quello che speravamo. Siamo entrati. Abbiamo abbattuto le porte.» Wallander posò il ricevitore.
Finalmente siamo a una svolta, pensò. C'è voluto tempo. Ma alla fine ci siamo arrivati. Wallander prese la giacca e lasciò la centrale di polizia. Erano le due meno un quarto. Domenica, 12 ottobre. II Muro di fuoco 21. Carter si svegliò all'alba quando l'impianto dell'aria condizionata smise di funzionare. Rimase in ascolto, immobile sotto il lenzuolo. Udì il canto delle cicale e un cane che abbaiava in lontananza. La corrente era venuta a mancare per l'ennesima volta. Cosa che a Luanda accadeva regolarmente. I banditi Savimbis cercavano sempre di provocare dei blackout nella capitale. In quei casi, tutti gli impianti dell'aria condizionata si fermavano. Carter rimase immobile sotto il lenzuolo. Passavano alcuni minuti prima che l'aria nella stanza diventasse soffocante. Si chiese se valesse veramente la pena di alzarsi per andare nella stanza adiacente alla cucina e attivare il generatore. Non riusciva mai a decidere cosa fosse peggio: il rumore del generatore o il caldo opprimente che presto avrebbe invaso la stanza. Volse il capo e guardò l'orologio. Le cinque e un quarto. Udì uno dei sorveglianti notturni russare da qualche parte all'esterno della casa. Era sicuramente José. Ma finché Roberto, il secondo sorvegliante, era sveglio, non aveva molta importanza. Carter mosse la testa e sentì il calcio della pistola che teneva sempre sotto il cuscino. Al di là dei sorveglianti e del recinto, la pistola era l'unica sicurezza che gli rimaneva, nel caso che uno dei rapinatori impazienti nascosti al buio decidesse di agire. Non poteva biasimarli. Era un bianco, ed era anche benestante. In un paese povero e sottosviluppato come l'Angola, la criminalità era endemica. Se fosse stato uno di loro, avrebbe sicuramente agito come loro. Improvvisamente, l'impianto dell'aria condizionata riprese a funzionare. Talvolta i blackout erano di breve durata. In quei casi, non erano stati provocati dai banditi ma da problemi tecnici. Le linee elettriche erano obsolete. Risalivano ai tempi del colonialismo portoghese. Non sapeva quanti anni fossero passati senza che fosse stata effettuata la ben che minima manutenzione. Carter rimase disteso e sveglio al buio. Pensò che presto avrebbe com-
piuto sessant'anni. Considerando il tipo di vita che aveva vissuto, era molto strano che fosse arrivato a quell'età. Una vita intensa e movimentata. Ma anche pericolosa. Scostò il lenzuolo e lasciò che l'aria fresca gli accarezzasse il corpo. Non amava svegliarsi all'alba. Era consapevole di essere più vulnerabile durante le ore prima del levare del sole. In quei casi, era solo nel buio con tutti i suoi ricordi. Allora si agitava e iniziava a pensare a tutte le ingiustizie che aveva subito. Si calmava solo quando riusciva a concentrare i suoi pensieri sulla vendetta, che era sempre più vicina. Ma allora erano già passate diverse ore. Il sole era già apparso all'orizzonte. I sorveglianti avevano iniziato a parlottare e presto avrebbe udito il rumore del catenaccio che Celina apriva per entrare in cucina a preparargli la colazione. Si coprì nuovamente con il lenzuolo. Sapeva che quando iniziava a sentire un prurito al naso, avrebbe starnutito. Era una cosa che detestava. Così come odiava tutte le forme allergiche, perché le considerava un segno di debolezza. E lui la disprezzava. Specialmente quando iniziava a starnutire nel momento meno adatto. Come quella volta, quando una serie di starnuti lo aveva costretto a interrompere una conferenza che stava tenendo. Altre volte, eczemi improvvisi gli procuravano un prurito intollerabile, oppure i suoi occhi iniziavano a lacrimare abbondantemente. Tirò il lenzuolo fin sulla bocca. Questa volta era stato lui a vincere. Il bisogno di starnutire era passato. Rimase disteso pensando agli anni che erano passati. Alla successione di avvenimenti che avevano fatto sì che si trovasse disteso in quel letto in una casa a Luanda, la capitale dell'Angola. Erano passati più di trent'anni da quando, giovane economista, aveva iniziato a lavorare per la Banca mondiale a Washington. A quei tempi aveva ancora una totale fiducia nelle capacità di quell'istituto di contribuire a migliorare il mondo. O, se non altro, a renderlo più equo. Il crescente bisogno di prestiti dei paesi sottosviluppati, che le singole nazioni o le banche private non riuscivano a soddisfare da sole, era stato la motivazione per l'istituzione della Banca mondiale durante una riunione a Bretton Woods. Anche se molti dei suoi amici dell'Università della California sostenevano che stava facendo una scelta sbagliata, asserendo che la Banca mondiale non avrebbe potuto fornire una soluzione sensata ai problemi economici del mondo, Carter non si era lasciato convincere. Ideologicamente, non era meno radicale di altri. Aveva partecipato a dimostrazioni di protesta, soprattutto a quelle contro la guerra in Vietnam. Ma non era mai stato convinto che la disobbedienza civile in sé potesse creare un mondo miglio-
re. Inoltre, non aveva alcuna fiducia nei piccoli e troppo limitati partiti socialisti. Era giunto alla conclusione che l'unica scelta era di lavorare per gli enti esistenti. Per riuscire a smuovere il potere era necessario agire al suo interno. Carter aveva un segreto. Ed era a causa di questo che aveva lasciato la Columbia University a New York e si era trasferito in California. Era stato in Vietnam un anno. Quel periodo gli era piaciuto. Aveva fatto parte di un'unità di prima linea con base permanente ad An Khe, lungo l'importante via di comunicazione a ovest di Qui Nhon. Era consapevole di avere ucciso, nel corso di quell'anno, non pochi soldati nemici, ma sapeva anche di non essersene mai pentito. Mentre gran parte dei suoi commilitoni si era dedicata all'uso di sostanze stupefacenti, Carter era rimasto un soldato modello. E non aveva mai dubitato nemmeno per un attimo che sarebbe sopravvissuto. Non sarebbe mai stato rispedito a casa in un sacco di plastica. Fu allora, durante le notti soffocanti quando era di pattuglia nella giungla, che Carter aveva formulato il suo credo. Per riuscire ad attaccare il potere, era necessario essere al suo fianco o nelle sue vicinanze. E ora, mentre era disteso al buio in Angola in attesa del levarsi del sole, provava la stessa sensazione di quei giorni. Ora si trovava nuovamente in una giungla di caldo soffocante, e pensò che quella volta, trent'anni prima, aveva avuto ragione. A un certo punto, quando aveva capito che presto sarebbe stato promosso di grado e inviato in Angola come rappresentante locale della Banca mondiale, si era subito messo a imparare il portoghese. La sua carriera era stata rapida e senza intoppi. I suoi superiori avevano intuito le sue capacità. A dispetto di un gran numero di candidati con qualifiche ed esperienze maggiori, Carter era stato designato responsabile dell'ambita sede della Banca mondiale a Luanda. Era la sua prima visita in Africa. Per la prima volta, Carter metteva piede in un paese povero e devastato dell'emisfero sud. L'anno passato in Vietnam era stato di un'importanza relativa. Carter era stato in quel paese come ospite non gradito. In Angola invece era il benvenuto. Aveva trascorso i primi tempi ascoltando, osservando e imparando. Era rimasto sorpreso dall'allegria e dalla dignità che gli abitanti dimostravano a dispetto dell'estrema povertà. Poi, aveva impiegato due anni per rendersi conto che quello che la Banca mondiale stava facendo era completamente sbagliato. Invece di appoggiare il paese a prepararsi per l'indipendenza, invece di facilitare la rico-
struzione di un paese devastato dalla guerra, la Banca mondiale non faceva altro che ingrassare i ricchi. Carter non poté fare a meno di notare che, grazie alla sua posizione, aveva a che fare con persone caute e servili. Si rese conto che dietro la facciata integra si nascondevano corruzione, vigliaccheria e interessi personali malamente celati. C'erano altri - intellettuali non schierati e qualche ministro - che condividevano le sue vedute. Ma continuavano a essere una minoranza. Nessuno, a parte Carter, dava loro ascolto. Alla fine non riuscì più a sopportare la situazione. Aveva cercato di far capire ai suoi superiori che le strategie della Banca mondiale erano completamente sbagliate. Ma nessuno gli aveva dato retta, neppure dopo una visita oltreoceano, fatta nel tentativo di influenzare l'alta direzione della Banca. Successivamente, aveva continuato a scrivere rapporti allarmanti. Ma ogni volta riceveva risposte piene di benevola indifferenza. Durante un incontro, Carter ebbe per la prima volta la sensazione di essere considerato un funzionario scomodo. Uno che stava uscendo dai binari. Una sera ne parlò con il suo più vecchio mentore, un analista finanziario che si chiamava Whitfield, che lo aveva seguito sin dai tempi dell'università e che aveva appoggiato la sua assunzione. Si erano incontrati in un piccolo ristorante a Georgestown e Carter era andato dritto al punto: stava rendendosi scomodo? non c'era veramente nessuno che capisse che lui aveva ragione, e che la Banca aveva torto? Whitfield aveva risposto che la domanda era stata formulata in modo errato. Il fatto che Carter avesse ragione oppure no, non aveva alcuna importanza. La Banca aveva deciso di seguire una data politica. Sbagliata o no che fosse, doveva essere portata avanti ugualmente. Quella sera stessa Carter prese l'aereo per tornare a Luanda. Mentre era seduto comodamente in prima classe, una decisione drammatica iniziò a prendere forma nella sua mente. A quella decisione seguirono molte notti insonni prima che riuscisse a formulare quello che voleva veramente fare. Fu in quello stesso periodo che Carter incontrò l'uomo che lo avrebbe convinto di avere ragione. Da allora, sapeva che la vita è sempre governata da una strana combinazione di decisioni consapevoli e di imprevisti. Le donne che aveva amato avevano incrociato il suo cammino nelle maniere più strane. E lo avevano lasciato nello stesso identico modo. Era accaduto una sera di marzo, a metà degli anni settanta, in un periodo
di notti insonni, quando cercava una via di uscita al suo dilemma. Quella sera, in preda all'inquietudine aveva deciso di andare in uno dei ristoranti che si affacciavano sul porto di Luanda. Il ristorante si chiamava Metropol. Carter lo frequentava perché non correva quasi mai il rischio di incontrare gli altri dipendenti della sede della Banca mondiale. E neppure persone che appartenevano all'élite del paese. Al Metropol era sicuro di restare tranquillo. Seduto a un tavolo accanto al suo c'era un uomo che parlava solo qualche parola di portoghese. Dato che il cameriere non conosceva l'inglese, Carter si era offerto di tradurre. Poi, avevano iniziato a parlare. L'uomo aveva dichiarato di essere svedese e di trovarsi a Luanda per un lavoro di consulenza per la Società nazionale delle telecomunicazioni, che si trovava in pessime condizioni. Carter non era mai riuscito a capire perché quell'uomo avesse suscitato il suo interesse. Di solito, teneva le distanze. Era sospettoso e considerava un potenziale nemico chiunque incontrasse. Ma c'era stato qualcosa in quell'uomo che aveva immediatamente attirato la sua attenzione. Non era stato necessario scambiare molte parole per capire che l'uomo che aveva aiutato, e che poco dopo aveva invitato al suo tavolo, era estremamente intelligente. Non era il solito tecnico dalle vedute ristrette e con interessi limitati. Era colto, e conosceva bene la storia coloniale dell'Angola e la complicata situazione politica che sconvolgeva il paese in quel momento. Quell'uomo si chiamava Tynnes Falk. Così si era presentato quando i due si erano lasciati a tarda notte. Erano stati gli ultimi a uscire dal ristorante. Fuori, i loro rispettivi autisti li stavano aspettando. Falk alloggiava all'Hotel Luanda, e avevano deciso di incontrarsi anche la sera successiva. Falk era rimasto a Luanda tre mesi. Verso la fine del suo soggiorno, Carter gli aveva offerto un nuovo incarico di consulenza. In realtà, era solo un pretesto per dare la possibilità a Falk di tornare e poter continuare le loro discussioni. Falk era tornato due mesi dopo. Solo allora gli aveva detto di essere scapolo. Neppure Carter si era mai sposato. Ma aveva vissuto con diverse donne dalle quali aveva avuto tre figlie e un figlio che vedeva solo raramente. A Luanda aveva due amanti di colore che alternava. Una insegnava all'università, l'altra era la ex moglie di un ministro. Come per tutto il resto, nessuno, a parte la servitù, era al corrente di quelle due relazioni. Aveva evitato di allacciare relazioni con donne che lavoravano per la Banca mondiale. Quando aveva capito che Tynnes Falk soffriva la solitudine,
Carter lo aveva aiutato a trovare una compagnia femminile adeguata, una donna che si chiamava Rosa, la figlia di un commerciante portoghese e della sua cameriera di colore. Falk si trovava sempre più a proprio agio in Africa. Carter gli aveva procurato una casa con giardino e vista sulla magnifica baia di Luanda. Inoltre, aveva stilato un contratto che prevedeva un cospicuo compenso per il poco lavoro che Falk effettuava. I due uomini continuarono a discutere. Presto, parlando di argomenti diversi, si erano resi conto che le loro opinioni, sia in materia di politica che di morale, erano estremamente vicine. Per la prima volta, Carter aveva incontrato un uomo con il quale poteva confidarsi. E lo stesso valeva per Tynnes Falk. Ascoltavano le parole l'uno dell'altro con crescente interesse e con lo stupore che derivava dal constatare quanto le loro convinzioni fossero vicine. Entrambi erano radicali disillusi, ma nessuno dei due si era lasciato prendere da un'amarezza passiva e introversa. Fino al momento del loro incontro, ognuno aveva cercato una propria via di uscita. Ora, potevano farlo insieme. Formularono alcune semplici condizioni, riuscendo a raggiungere un accordo in modo del tutto naturale. Che cosa c'era al di là delle ideologie sorpassate? Che cosa rimaneva in un mondo brulicante di persone e di idee, che vedevano sempre più corrotto? Come sarebbe stato possibile costruire un mondo migliore? Era possibile farlo finché rimanevano le vecchie fondamenta? Col tempo, e forse anche stimolandosi a vicenda, erano giunti alla conclusione che non ci sarebbe mai stato un mondo migliore finché veniva a mancare un requisito fondamentale. Per prima cosa, era necessario distruggere tutto e ripartire da zero. Il progetto iniziò a prendere forma durante le loro conversazioni notturne. Procedendo pazientemente, cercarono di trovare il modo di unire le loro diverse conoscenze ed esperienze. Carter ascoltava sempre più affascinato le spiegazioni di Tynnes Falk sul mondo dell'elettronica nel quale viveva e lavorava. Grazie a Falk, aveva capito che niente era impossibile. I detentori del vero potere erano le persone che controllavano le comunicazioni elettroniche. E quando Falk gli parlava della guerra futura, Carter ascoltava con particolare attenzione. Per i conflitti che sarebbero scoppiati in un futuro molto prossimo, l'informatica avrebbe assunto l'importanza che i carri armati avevano avuto durante la prima guerra mondiale e la bomba atomica nella seconda. Allora, le bombe a scoppio ritardato non sarebbero state altro che virus informatici programmati, immessi segretamente nei sistemi del nemico. Impulsi elettronici avrebbero creato il caos
nel mercato azionario e nei sistemi di comunicazione del nemico. Con la nuova tecnologia, la lotta per il potere sul futuro non si sarebbe decisa su campi di battaglia sofisticati, ma con le tastiere e nei laboratori. I tempi dei sottomarini a testate nucleari erano agli sgoccioli. Ora, la vera minaccia era costituita dai cavi di fibre ottiche che avvolgevano il globo terrestre con la loro ragnatela sempre più fitta. Durante le calde notti africane, il piano iniziò lentamente a prendere forma. Sin dall'inizio avevano deciso di prendersi il tempo necessario ed evitare in tutti i modi di fare le cose frettolosamente. Un giorno i tempi sarebbero stati maturi. E allora, sarebbero stati pronti. I due uomini si completavano l'un l'altro. Carter aveva i contatti giusti. Sapeva come funzionava la Banca mondiale. Conosceva il sistema finanziario nel dettaglio ed era consapevole della fragilità dell'economia globale, anche se altri sostenevano che l'intreccio sempre più fitto fra tutte le economie del mondo costituisse una forza. Falk era un tecnico in grado di trasformare idee in realtà pratiche. Mese dopo mese si incontrarono quasi ogni sera per perfezionare il loro grande progetto. Da allora, si erano mantenuti costantemente in contatto per più di vent'anni. All'inizio avevano capito che i tempi non erano ancora maturi. Ma un giorno lo sarebbero stati e allora avrebbero agito. Un giorno, l'elettronica avrebbe offerto loro gli strumenti e quel giorno le maglie del mondo della finanza sarebbero state così fitte da permettere di distruggere l'intero sistema con un solo colpo. Qualcosa lo distolse dai suoi pensieri. Istintivamente, Carter afferrò la pistola da sotto il cuscino. Ma si rese conto che era Celina che cercava goffamente di aprire la porta della cucina. Irritato, si disse che avrebbe dovuto licenziarla. Quando preparava la colazione faceva un fracasso infernale. Era anche brutta, grassa e stupida. Aveva nove figli e un marito che, quando non era ubriaco, non faceva altro che rimanere seduto all'ombra di un albero a spettegolare. Un tempo, Carter si era detto che quelle sarebbero state le persone che avrebbero potuto creare un mondo nuovo. Ma non lo credeva più. Allora, tanto valeva distruggerlo. Farlo a pezzi. Il sole aveva iniziato a fare capolino all'orizzonte. Carter rimase disteso sotto il lenzuolo. Pensò a quello che era successo. Tynnes Falk era morto. Quello che non doveva accadere era accaduto. La consapevolezza che potesse accadere qualcosa di inaspettato, di incontrollabile era sempre stata
presente nei loro piani. Avevano incluso quel concetto nei loro calcoli, avevano creato un sistema di difesa e preparato soluzioni alternative. Ma non avevano mai immaginato che uno di loro potesse morire di una morte completamente insensata e imprevista. Eppure era quello che si era verificato. Quando Carter aveva ricevuto la telefonata dalla Svezia, inizialmente aveva rifiutato di credere che la notizia fosse vera. Ma alla fine era stato costretto a farlo. Il suo amico era morto. Tynnes Falk non c'era più. Questo lo aveva addolorato e aveva sconvolto tutti i loro piani. Ed era accaduto nel peggiore momento possibile, proprio quando, finalmente, stavano per attuare il loro progetto. Ora era il solo che avrebbe potuto assistere al grande momento. Ma la vita non era fatta unicamente di decisioni consapevoli e di piani minuziosi. Nella vita, c'era anche posto per gli imprevisti. Nella sua mente, aveva ideato un nome per la grande operazione: La palude di Jakob. Carter ricordava ancora come Falk, in una delle rare occasioni in cui si era lasciato andare e aveva bevuto troppo vino, avesse improvvisamente iniziato a parlare della sua infanzia. Era cresciuto in una tenuta dove suo padre era una specie di amministratore. Più o meno l'equivalente di un vigilante di una piantagione ai tempi del colonialismo portoghese in Angola. Poco lontano dalla tenuta, c'era una sorta di palude. Secondo Falk, in quel luogo la flora era diversa, caotica e affascinante. Da bambino, andava a giocare ai bordi di quella palude dove volavano miriadi di libellule dai mille colori, e quello era stato uno dei periodi più belli della sua vita. Falk gli aveva anche spiegato perché quel luogo si chiamasse La palude di Jakob. Un tempo, molti anni prima, un uomo che si chiamava Jakob vi era andato una notte e si era annegato per una delusione d'amore. Quando era diventato adulto, quella palude aveva assunto un altro significato per Falk. Specialmente dopo l'incontro con Carter, quando entrambi credevano di avere capito cosa significasse veramente la vita. Allora, la palude era diventata il simbolo del mondo caotico nel quale vivevano, dove la sola cosa che un uomo potesse fare era annegarsi. O almeno, fare in modo che gli altri scomparissero. La palude di Jakob. Era un buon nome. E ora era arrivato il momento di dare un nome all'operazione. E Carter l'avrebbe chiamata così in onore di Falk. E sarebbe stato il solo a conoscere il suo significato. Rimase disteso a letto continuando a pensare a Falk. Ma quando si accorse che stava diventando sentimentale si alzò immediatamente. Fece una doccia e poi scese in cucina a fare colazione.
Decise di passare il resto della mattinata nel soggiorno. Iniziò ad ascoltare una sinfonia di Beethoven, ma il baccano che Celina faceva in cucina gli impediva di concentrarsi. Uscì di casa e si avviò verso la spiaggia. Alfredo, il suo autista e guardia del corpo, lo seguiva a pochi passi di distanza. Ogni volta che Carter attraversava Luanda e vedeva il degrado, i cumuli di rifiuti, la povertà e la miseria, si diceva che quello che voleva fare era giusto. Falk era stato con lui quasi fino al traguardo finale. Ma ora Carter era costretto a completare l'opera da solo. Camminava lungo la spiaggia e osservava la città in rovina. Provava un grande senso di calma. Qualsiasi cosa fosse nata dalle ceneri dopo la furia dell'incendio non avrebbe certamente potuto essere altro che un miglioramento. Poco prima delle undici tornò nella sua villa. Celina se ne era andata. Carter bevve una tazza di caffè e un bicchiere d'acqua. Poi salì nel suo studio al piano superiore. La vista sul mare era affascinante. Ma Carter tirò le tende. Preferiva la luce del crepuscolo africano. Inoltre, le morbide tende tenevano lontano il sole dai suoi occhi sensibili alla luce. Si mise a sedere davanti al computer e iniziò a seguire tutte le procedure meccanicamente. Da qualche parte nello spazio elettronico, un orologio invisibile stava scandendo il tempo. Falk lo aveva elaborato seguendo le sue istruzioni. Ora era domenica 12 ottobre, e mancavano soltanto otto giorni al grande momento. Alle undici e un quarto, Carter aveva finito tutti i controlli. Stava per spegnere il computer quando qualcosa lo fece irrigidire. Una spia luminosa aveva iniziato a lampeggiare in un angolo dello schermo. Gli impulsi erano regolari, due brevi, uno lungo, due brevi. Carter prese il manuale che Falk aveva preparato e cercò il codice corrispondente. Dapprima pensò di essersi sbagliato. Poi, si rese conto che non era così. Qualcuno, in Svezia, era riuscito a decifrare la prima serie di codici di sicurezza nel computer di Falk. In quella cittadina che si chiamava Ystad e che Carter aveva visto solo in alcune fotografie. Rimase con lo sguardo fisso sullo schermo. Non riusciva a credere ai propri occhi. Falk gli aveva garantito che nessuno sarebbe stato in grado di superare i suoi sistemi di sicurezza. Eppure, era ovvio che qualcuno c'era riuscito. Carter iniziò a sudare. Respirò profondamente. Doveva restare calmo. Falk aveva attivato un grande numero di funzioni di sicurezza. Il nucleo centrale nel suo sistema, i microscopici missili informatici, era nascosto da
una serie di fortezze invisibili e da mura che nessuno poteva abbattere. Ciononostante, qualcuno stava cercando di farlo. Carter analizzò la situazione. Dopo la morte di Falk, aveva mandato una persona a Ystad per controllare e tenerlo informato su quello che stava accadendo. Si erano verificati alcuni episodi imprevisti. Ma fino a quel momento, dato che aveva reagito rapidamente e senza esitare, Carter aveva creduto di avere la situazione sotto controllo. Decise che era ancora tutto sotto controllo. Ma rimaneva il fatto che qualcuno era riuscito ad arrivare al computer di Falk. Era una realtà che non poteva negare. Ed era un imprevisto che doveva essere affrontato. Carter si concentrò. Chi poteva essere? Aveva problemi a credere che si potesse trattare di uno dei poliziotti che, secondo i rapporti che aveva ricevuto, stavano indagando sulla morte di Falk e su una parte degli altri episodi. Ma chi poteva essere allora? Anche se ormai il crepuscolo era sceso su Luanda, non riusciva a trovare una risposta. Quando si alzò dalla sedia era ancora calmo. Ma era successo qualcosa e doveva riuscire a sapere che cosa fosse per prendere i provvedimenti del caso senza perdere tempo. Poco prima di mezzanotte, tornò al computer. Falk gli mancava come non gli era mai mancato prima. Poi, inviò il suo messaggio nello spazio informatico. Poco meno di un minuto dopo ebbe la risposta. Wallander era in piedi di fianco a Martinsson. Robert Modin era seduto al computer. Colonne di cifre diverse scorrevano sullo schermo a grande velocità. Poi tutto si fermò per qualche secondo. Seguirono alcuni uno e zero e poi nulla. Robert Modin alzò lo sguardo verso Martinsson che annuì. Schiacciò un tasto. Nuovi blocchi di cifre apparvero sullo schermo. Poi si fermarono di colpo. Martinsson e Wallander si chinarono in avanti contemporaneamente. «Non ho la minima idea di cosa sia» disse Robert Modin. «Non ho mai visto nulla di simile.» «Non potrebbe essere una semplice forma di calcolo?» chiese Martinsson. Robert Modin scosse il capo. «Non credo. Si direbbe un sistema di cifre che necessita di un ulteriore comando.»
Questa volta fu Martinsson a scuotere il capo. «Puoi spiegare più chiaramente?» chiese. «È quasi certo che non si tratta di un calcolo. Non ci sono somme né conteggi. Inoltre, le cifre sono unicamente in relazione a se stesse. Mi sbaglierò, ma mi sembra un cifrario.» Wallander provò un senso di delusione. Non sapeva affatto quello che si era aspettato, ma non un risultato simile. Una sequenza insensata di cifre. «Credevo che avessero smesso di usare cifrari dopo la seconda guerra mondiale» disse senza ottenere alcuna risposta. Continuarono a fissare le cifre. «Questo ha qualcosa a che fare con il 20» disse Robert Modin improvvisamente. Martinsson si chinò in avanti ma Wallander non si mosse. Aveva mal di schiena. Robert Modin indicò lo schermo con una mano e iniziò a spiegare. Martinsson ascoltava con attenzione mentre Wallander pensava a tutt'altra cosa. «Può avere qualcosa a che fare con l'anno 2000?» chiese Martinsson. «Non prevedono che il passaggio al nuovo secolo possa mandare in tilt tutti i computer?» «Non ha niente a che vedere con l'anno 2000» disse Robert Modin testardamente. «È la cifra 20. In ogni caso, non credo a quell'ipotesi.» «Fra otto giorni» disse Wallander pensieroso, ma senza sapere veramente perché lo avesse detto. Robert Modin e Martinsson continuarono a discutere. Nuove cifre apparvero sullo schermo. Finalmente, Wallander riuscì a capire che cosa fosse un modem. Aveva sempre avuto solo una vaga idea di qualcosa di indefinito che serviva a collegare il mondo tramite i cavi telefonici. D'un tratto sentì che iniziava a spazientirsi. Ma allo stesso tempo sapeva che Robert Modin stava facendo qualcosa di importante. Il cellulare nella sua tasca si mise a squillare. Wallander andò in ingresso e rispose. Era Ann-Britt. «Forse ho trovato qualcosa» disse. Wallander uscì sul pianerottolo. «Che cosa?» «Ti avevo detto che volevo scavare nel passato di Lundberg» continuò Ann-Britt. «Per prima cosa, avevo pensato di parlare con i suoi due figli. Il più vecchio si chiama Carl-Einar Lundberg. D'un tratto, avevo avuto la sensazione di avere già sentito quel nome. Ma non riuscivo a ricordare
quando e in che circostanza.» «Quel nome non mi dice niente» disse Wallander. «Allora ho iniziato a controllare sul computer.» «Credevo che solo Martinsson sapesse usarlo.» «Diciamo piuttosto che tu sei il solo a non saperlo usare.» «Che cosa hai trovato?» «Avevo ragione. Alcuni anni fa, Carl-Einar Lundberg è comparso in un processo. Se ricordo bene, in quel periodo tu eri in malattia.» «Che cosa aveva fatto?» «Apparentemente niente, è stato assolto. Ma era stato accusato di stupro.» Wallander rifletté. «Non saprei» disse. «Comunque vale la pena controllare gli atti del processo. Ma non vedo che legame possa avere con Tynnes Falk. E ancora meno con Sonja Hökberg.» «Forse, ma io vado avanti come siamo rimasti d'accordo» disse AnnBritt. La conversazione terminò. Wallander tornò nell'appartamento. Siamo bloccati, pensò in preda a un improvviso senso di rassegnazione. Non sappiamo neppure quello che stiamo cercando. Stiamo brancolando nel buio. 22. Poco dopo le sei, Robert Modin era arrivato al limite dello sfinimento. Si lamentava di avere un atroce mal di testa. Ma non voleva arrendersi. Aveva alzato lo sguardo e, fissando Martinsson e Wallander, aveva detto che era pronto a continuare il giorno dopo. «Ma ho bisogno di pensare» spiegò. «Devo preparare una strategia e voglio consultarmi con alcuni miei amici.» Martinsson portò Robert Modin alla centrale di polizia e lo fece accompagnare a casa a Löderup. «Che cosa ha voluto dire?» chiese Wallander quando Martinsson tornò. «Che ha bisogno di pensare e preparare una strategia proprio come facciamo anche noi» rispose Martinsson. «Dobbiamo risolvere un problema. Non è per questo che abbiamo chiesto l'aiuto di Robert Modin?» «Quando ha detto che deve consultarsi con alcuni amici, ha parlato come
un vecchio medico che si trova davanti un paziente con sintomi strani.» «Vuole semplicemente dire che farà un giro di telefonate ad altri hacker. Oppure li contatterà per e-mail. Il paragone con il medico calza a pennello.» Martinsson sembrava non curarsi più della mancanza di un benestare ufficiale per l'utilizzo della consulenza di Robert Modin. Wallander si guardò bene dal ricordarglielo. Sia Ann-Britt che Hansson erano nei loro uffici. Per il resto, nella centrale di polizia di Ystad regnava una quiete domenicale ingannevole. Wallander non riusciva a fare a meno di pensare a tutte le altre indagini, il cui numero continuava ad aumentare. Poi, chiamò i colleghi per una breve riunione. Simbolicamente stavano terminando una settimana di lavoro. Ma le incertezze erano molte. «Ho parlato con Norberg, uno degli agenti della squadra cinofila» disse Hansson. «A proposito, sta cambiando cane. Herkuies è ormai troppo vecchio.» «Ma non era già morto?» chiese Martinsson sorpreso. «È stato con la squadra cinofila per anni e anni.» «Sì, ma adesso è decrepito. Sta diventando cieco.» Martinsson scoppiò in una risata stanca. «Vi immaginate i giornali?» disse. «L'unità cinofila della polizia usa cani ciechi.» Wallander fece una smorfia di disapprovazione. Il vecchio Herkuies gli sarebbe mancato. Forse anche più di alcuni colleghi. «Questo mi fa pensare ai nomi che si danno ai cani» continuò Hansson. «Con un po' di sforzo, posso capire che si possa chiamare un cane Herkuies. Ma chiamarlo Fedele...» «Non mi risulta che ci sia un Fedele nella squadra cinofila» disse Martinsson sorpreso. Wallander sbatté perentoriamente la mano sul tavolo. Era il gesto più autoritario che gli riuscì di fare in quel momento. «Adesso basta. Che cosa ha detto Norberg?» «Ha detto che un oggetto o un corpo congelati, o che lo sono stati, perdono l'odore. In inverno ad esempio, nelle giornate di grande freddo i cani hanno difficoltà a individuare i cadaveri.» Wallander annuì e passò subito a un altro argomento. «E il furgone? Hai avuto tempo di occupartene?» «Alcune settimane fa, un furgone Mercedes nero è stato rubato ad Ån-
ge.» Wallander cercò di fare uno sforzo di memoria. «Dove si trova Ånge?» «A nord, poco lontano da Luleå» disse Martinsson. «Neanche per sogno» obiettò Hansson. «Ånge è vicino a Sundsvall.» Ann-Britt si alzò e si avvicinò alla carta geografica appesa alla parete. «Hansson ha ragione» disse. «È una bella distanza, ma può benissimo essere il furgone in questione» continuò Hansson. «La Svezia è un paese piccolo.» «Non ne sono così sicuro» disse Wallander. «Può darsi che ne siano stati rubati altri e che le denunce non siano ancora state registrate. Continuiamo a controllare.» Poi, Ann-Britt iniziò il proprio rapporto. «I due figli di Lundberg sono due persone completamente diverse. NilsEmil, quello che abita a Malmö, lavora come bidello in una scuola. Quando ho telefonato, non era in casa. Sua moglie mi ha detto che era uscito per allenarsi. È membro di un club che pratica gare di orientamento. Mi ha anche detto che la morte del padre lo aveva scosso in modo particolare. Da quello che ho potuto capire, Nils-Emil è molto religioso. Direi che quello che ci può interessare maggiormente è Carl-Einar, il fratello minore. Nel 1993, è stato accusato di avere stuprato una ragazza di Ystad che si chiama Englund. Ma è stato prosciolto.» «Mi ricordo quel caso» disse Martinsson. «Una brutta storia.» Wallander ricordava soltanto che quello era stato il periodo del suo vagabondaggio sulle spiagge di Skagen in Danimarca. Poi, un avvocato era stato assassinato e Wallander era tornato in servizio, sorprendendo perfino se stesso. «Sei stato tu a occuparti dell'indagine?» chiese Wallander. Martinsson fece una smorfia. «No. È stato Svedberg.» Il silenzio piombò nella stanza. Per un attimo tutti pensarono al collega morto. «Non ho ancora avuto tempo di leggere tutti i documenti» continuò Ann-Britt. «Per questo non so ancora perché sia stato prosciolto.» «Nessuno è mai stato condannato per quello stupro. Non siamo mai riusciti a trovare altri sospetti. Ma ricordo molto chiaramente che Svedberg era convinto che Lundberg fosse veramente il colpevole. Devo comunque ammettere che non ho mai pensato potesse essere il figlio del tassista.»
«Supponiamo che abbia commesso lo stupro» disse Wallander. «In che modo questo potrebbe spiegare l'assassinio di suo padre? Oppure la morte di Sonja Hökberg? O la mutilazione delle dita di Tynnes Falk?» «Si è trattato di uno stupro brutale» disse Ann-Britt. «Dobbiamo tenere presente che chi lo ha commesso è una persona che non si ferma davanti a nulla. La ragazza è rimasta in ospedale per un lungo periodo. L'uomo le aveva inferto gravi lesioni alla testa e in altre parti del corpo.» «Naturalmente controlleremo il passato di Carl-Einar Lundberg più da vicino» disse Wallander. «Ma non credo che possa avere qualche legame con l'indagine in corso. Dietro a quello che è successo c'è qualcos'altro. Ma non sappiamo ancora che cosa.» Passarono a parlare di Robert Modin e del computer di Tynnes Falk. Né Hansson né Ann-Britt ebbero da ridire sul fatto che fosse stato chiesto aiuto a un giovane che in precedenza era stato condannato per avere commesso un reato di pirateria informatica. «Devo ammettere di non capirci molto» disse Hansson quando Wallander finì di parlare. «Che cosa pensi di trovare in quel computer? Una confessione? Un resoconto di come si sono svolti i fatti? E anche il movente?» «Può darsi che non ci sia nulla in quel computer» disse Wallander semplicemente. «Ma dobbiamo scoprire di cosa si stava occupando Tynnes Falk. E dobbiamo capire chi era. Dobbiamo scavare nel suo passato. Ho l'impressione che fosse un uomo abbastanza strano.» Hansson continuava a essere convinto che non valesse la pena perdere tanto tempo con il computer di Falk. Ma non disse nulla. Wallander vide che la riunione non aveva più senso. Tutti erano sfiniti e avevano bisogno di riposare. «Dobbiamo portare a termine quello che abbiamo iniziato» disse. «Dobbiamo considerare i singoli fatti in sé e poi confrontarli per cercare di individuare un denominatore comune. Dobbiamo scoprire chi era veramente Sonja Hökberg. Sappiamo che ha lavorato all'estero e che si è occupata di tutto un po'. Ma sappiamo ancora troppo poco.» Wallander si interruppe e si rivolse ad Ann-Britt. «Ci sono novità sul contenuto della borsetta?» le chiese. «Me ne ero dimenticata» rispose Ann-Britt scusandosi. «Sua madre dice che forse potrebbe mancare l'agendina con i numeri di telefono e gli indirizzi.» «Forse?» «Sì, e le credo. Sonja Hökberg si confidava solo con Eva Persson. E an-
che questo non è sicuro. Sua madre ricorda vagamente un'agendina nera che Sonja usava per gli indirizzi e per i numeri di telefono. L'agendina non era nella borsetta. Ma la madre di Sonja non ne è proprio sicura.» «Se l'agendina esiste è un'informazione importante. Eva Persson dovrebbe saperlo.» Wallander rifletté prima di continuare. «Credo che sia arrivato il momento di procedere a una riorganizzazione degli incarichi. Da questo momento, Ann-Britt si occuperà esclusivamente di Sonja Hökberg e di Eva Persson. La Hökberg deve avere avuto qualche amico. Qualcuno che può averle dato un passaggio in auto per lasciare Ystad. Inoltre, voglio che indaghi a fondo nel suo passato. Chi era veramente Sonja Hökberg? Martinsson continuerà a tenere compagnia a Robert Modin. Qualcun altro si occuperà del figlio di Lundberg. Il sottoscritto ad esempio. Allo stesso tempo, cercherò di saperne di più su Tynnes Falk. Hansson continuerà a coordinare il tutto e terrà Viktorsson informato, agendo da retroguardia. Inoltre, dovrà cercare di rintracciare testimoni, interrogarli e scoprire come è possibile che un cadavere scompaia dall'Istituto di patologia di Lund. Qualcuno deve andare a Växjö per parlare con il padre di Eva Persson. Così non dovremo pensarci più.» Prima di concludere la riunione, Wallander si guardò intorno. «Tutto questo richiederà molto tempo. Ma prima o poi troveremo qualcosa che ci indicherà questo misterioso denominatore comune che sicuramente esiste.» «Non stiamo dimenticando qualcosa?» disse Martinsson quando Wallander finì. «C'è qualcuno che ha cercato di ucciderti.» «No, non lo abbiamo dimenticato» disse Wallander. «E questo dimostra tutta la gravità di questo caso. Alla base di tutto c'è qualcosa di molto più complesso di quello che riusciamo a immaginare.» «Oppure di molto più semplice» obiettò Hansson. «Anche se non riusciamo ancora a vederlo.» La riunione era terminata. Wallander sentiva il bisogno di lasciare la centrale di polizia il più rapidamente possibile. Erano le sette e mezza. Anche se aveva mangiato molto poco durante tutto il giorno, non aveva fame. Salì nell'auto e si diresse verso Mariagatan. Il vento si era calmato, ma la temperatura era la stessa. Arrivato davanti al portone, si guardò intorno prima di entrare. Appena entrato in casa, dedicò un'ora a riordinare l'appartamento e a preparare gli indumenti da lavare. Di tanto in tanto si fermava e dava
un'occhiata al telegiornale. Un servizio attirò la sua attenzione. Un colonnello dello stato maggiore americano stava spiegando come si sarebbero svolte le guerre del futuro. Quasi tutto sarebbe stato controllato dai computer. L'era degli eserciti era praticamente finita. O almeno, la loro importanza sarebbe diminuita drasticamente. Un pensiero lo colpì. Cercò un numero di telefono e, dato che erano solo le otto e mezza, andò in cucina e lo compose. Erik Hökberg rispose al secondo segnale. «Come vanno le cose?» chiese. «Come capirai, siamo straziati dal dolore. Ma vogliamo sapere quello che è veramente successo a Sonja.» «Stiamo facendo del nostro meglio» disse Wallander. «Ma state facendo dei passi avanti? Sapete chi l'ha uccisa?» «Non ancora.» «È così difficile scoprire chi abbia fatto morire carbonizzata una povera ragazza?» Wallander non rispose. «Ti telefono perché ho bisogno di farti una domanda. Sai dirmi se Sonja sapeva usare il computer?» «È chiaro che lo sapeva usare. Tutti i giovani lo sanno usare al giorno d'oggi.» «Ma i computer le interessavano?» «Navigava su Internet. Ed era brava. Ma non quanto Emil.» Wallander non sapeva quali altre domande fare. Sono incompetente, pensò. Dovrei lasciare a Martinsson il compito di fare questo tipo di domande. «Sono sicuro che in questi giorni hai riflettuto su quello che è successo» disse. «Devi esserti chiesto perché Sonja abbia ucciso il tassista. E perché anche lei sia stata assassinata.» Erik Hökberg rispose con un tono di voce pieno di angoscia. «Tre o quattro volte al giorno vado nella sua camera» disse. «Mi siedo e mi guardo intorno. E non riesco a capire.» «Come descriveresti Sonja?» «Era una ragazza forte e testarda. Non era una persona facile. Se la sarebbe cavata bene nella vita. Come si usa dire? Una persona pronta a tutto? E Sonja lo era senza ombra di dubbio.» Wallander pensò alla stanza di Sonja che gli era apparsa come quella di una ragazza che aveva smesso di crescere. Quasi la stanza di una bambina
e non della persona che il patrigno gli aveva appena descritto. «Aveva un ragazzo?» chiese Wallander. «Non che io sappia.» «Non ti sembra un po' strano?» «Perché?» «Dopotutto, Sonja aveva diciannove anni ed era una bella ragazza.» «Comunque non ha mai invitato nessuno a casa.» «Riceveva telefonate da qualche ragazzo?» «Aveva un suo numero di telefono. Lo ha voluto come regalo di compleanno quando ha compiuto diciotto anni. Si sentiva suonare spesso. Ma naturalmente non so chi la chiamasse.» «Aveva una segreteria telefonica?» «Sì. L'ho ascoltata. Non c'era nessun messaggio.» «Se nei prossimi giorni arriva qualche chiamata, fammelo sapere. Vorrei sentire i messaggi.» D'improvviso, Wallander si ricordò del poster del film L'avvocato del diavolo appeso all'interno dell'armadio. A parte gli indumenti, era stato l'unico segno che in quella stanza viveva una ragazza che presto sarebbe diventata una donna. «Sarete contattati da una mia collega, l'ispettore Ann-Britt Höglund» disse Wallander. «Vi farà molte domande. Se volete che riusciamo a scoprire che cosa è successo a Sonja, dovete collaborare al massimo.» «Le mie risposte non ti sono forse bastate?» Improvvisamente, Erik Hökberg aveva usato un tono di voce aggressivo. Per Wallander era una reazione comprensibile. «Ci state aiutando in un modo esemplare» disse. «Adesso non ti disturberò più a lungo.» Wallander posò il ricevitore e rimase seduto immobile, continuando a pensare a quel poster del film attaccato all'interno dell'armadio. Guardò l'orologio. Erano le nove e mezza. Riprese il telefono e compose il numero del ristorante di Stoccolma dove Linda lavorava. Un uomo chiaramente stressato rispose in uno svedese stentato. Passarono alcuni minuti prima che Linda prendesse la cornetta. Quando udì la voce di Wallander non nascose la propria irritazione. «Ti avevo detto di non telefonare a quest'ora. Il ristorante è sempre pieno di sera e il proprietario va su tutte le furie.» «Lo so» disse Wallander. «Ma dovevo farti una domanda.» «Basta che sia breve.»
«Lo è. Hai visto un film che si intitola L'avvocato del diavolo? Con Al Pacino?» «E mi telefoni a quest'ora per chiedermi una cosa simile?» «Come ti ho detto dovevo farti una sola domanda.» «Adesso attacco.» Wallander non riuscì a nascondere a sua volta la propria irritazione. «Non deve essere così difficile rispondere alla mia domanda. Hai visto quel film o no?» «Sì, l'ho visto» sibilò Linda. «Di che cosa tratta?» «Buon dio!» «Un film su dio?» «In un certo senso. È la storia di un avvocato che in verità è il diavolo.» «È tutto?» «Non ti basta? Perché vuoi saperlo? Hai degli incubi?» «No. Ma sto svolgendo un'indagine su di un omicidio. Quello che mi interessava sapere è perché una ragazza di diciannove anni tenga un poster di quel film nella sua stanza.» «Probabilmente perché trova che Al Pacino è affascinante. O forse perché ama il diavolo. Come cavolo faccio a saperlo io?» «Devi proprio rispondere in questo modo?» «Sì.» «Quel film non tratta di altro?» «Perché non lo noleggi? È sicuramente disponibile in videocassetta.» Wallander si sentì un idiota. Avrebbe dovuto pensarci. Invece di irritare Linda, avrebbe potuto andare nella videoteca più vicina e noleggiare il film. «Mi dispiace di averti disturbata» disse. Linda si era calmata. «Non fa niente. Ma adesso devo lasciarti.» «Lo so. Ciao.» Il telefono squillò non appena posò il ricevitore. Wallander lo riprese con molta esitazione. Era possibile che fosse un giornalista. In quel momento sentiva che non avrebbe avuto la forza di affrontarlo. Dapprima non riconobbe la voce. Ma dopo qualche secondo si rese conto che era quella di Siv Eriksson. «Spero di non disturbare» disse. «Per niente.»
«Ho riflettuto cercando di trovare qualcosa che possa aiutarti.» Se vuoi veramente aiutarmi, pensò Wallander, puoi invitarmi a casa tua. Ho fame e ho sete e non ne posso più di rimanere in questo dannato appartamento da solo. «Che cosa sei riuscita a ricordare?» chiese invece il più formalmente possibile. «Niente, purtroppo. Presumo che sua moglie sia la persona che conosceva Tynnes meglio di altri. O forse anche i suoi figli.» «Se ho capito bene quello che mi hai riferito, Tynnes Falk svolgeva incarichi diversi. Sia qui in Svezia che all'estero. Era competente e aveva molte richieste. Ti ha mai detto qualcosa del suo lavoro che ti ha meravigliata? Qualcosa di inaspettato?» «Tynnes non parlava molto. Era molto cauto con le parole che usava. Era molto cauto con tutto.» «Puoi cercare di approfondire?» «A volte avevo l'impressione che fosse in un altro mondo. Iniziavamo a discutere di un problema, e Tynnes ascoltava e rispondeva. Eppure, sembrava che fosse altrove.» «Dove?» «Non lo so. Era molto riservato, misterioso. Me ne sto rendendo conto solo ora. Allora, credevo che fosse timido. O assente. Ma ora non più. L'opinione che ci si fa di una persona cambia quando la persona muore.» Per qualche secondo, Wallander pensò a suo padre. Ma non gli sembrava che da morto fosse diverso da come lo ricordava quando era ancora in vita. «E non sai niente di quello che gli passava veramente per la testa?» continuò Wallander. «In realtà, no.» Wallander ebbe l'impressione che la risposta fosse stata incerta. Aspettò che Siv Eriksson continuasse. «Riesco soltanto a ricordare un episodio strano. Considerando che ci conoscevamo da anni, non è molto.» «Racconta.» «È successo due anni fa. A ottobre o all'inizio di novembre. Tynnes è venuto qui da me ed era sconvolto. Per una volta, non riusciva a nasconderlo. Stavamo lavorando a una consulenza molto urgente. Se ricordo bene, era per la Camera di commercio. Io chiesi a Tynnes che cosa fosse successo. Mi disse di avere assistito a un litigio fra alcuni adolescenti e un uomo anziano chiaramente ebbro. Quando l'uomo aveva cercato di difen-
dersi, i giovani lo avevano colpito facendolo cadere a terra. Poi, mentre era disteso sul marciapiede, avevano iniziato a prenderlo a calci.» «Nient'altro?» «Non ti basta?» Wallander cercò di riflettere. Tynnes Falk aveva reagito vedendo un uomo vittima di una violenza. Ma che cosa poteva significare?, si chiese. In ogni caso, non aveva niente a che vedere con l'indagine. «È intervenuto?» «No. Ma era rimasto sconvolto.» «Che cosa ha detto?» «Ha detto che era il caos. Che il mondo era in preda al caos e che non valeva più la pena.» «Che cosa non valeva più la pena?» «Non lo so. Ho avuto la sensazione che volesse dire che non valesse più la pena essere uomini. Che la bestialità aveva preso il sopravvento. Quando gli ho chiesto di spiegarmi, ha tagliato corto. Non ne abbiamo mai più parlato.» «Era sconvolto. Come consideri la sua reazione?» «Abbastanza naturale. Tu non avresti reagito allo stesso modo?» Forse, pensò Wallander. Ma la domanda è se anch'io sarei arrivato alla conclusione che il mondo è in preda al caos. «Presumo che tu non sappia chi fossero quei giovani? O l'uomo che hanno aggredito?» «Come potrei saperlo?» «Io sono un poliziotto e ho l'abitudine di fare domande.» «Mi dispiace di non averti potuto aiutare più concretamente.» Wallander voleva che Siv Eriksson continuasse a parlargli. Ma con quale scusa? «Ti ringrazio per avermi telefonato» disse semplicemente. «Se ti viene in mente qualcos'altro, chiamami in qualsiasi momento. Domani ti richiamerò io.» «Sto ultimando un programma per una catena di ristoranti. Domani sarò in ufficio tutto il giorno.» «Come farai a fare fronte a tutte le commesse in sospeso?» «Non lo so. Posso solo sperare di riuscire a sopravvivere senza Tynnes. In caso contrario dovrò cercarmi un altro lavoro.» «Del tipo?» Siv Eriksson si mise a ridere.
«Ti serve saperlo per la tua indagine?» «La mia era solo curiosità.» «Forse andrò a fare un giro del mondo.» Tutti lasciano il paese, pensò Wallander. Alla fine rimarrò solo con tutti i piccoli e grandi criminali. «Ci ho pensato anch'io» disse. «Ma come tutti, rimango bloccato qui.» «Io non sono bloccata» rispose lei allegramente. «Sta a ognuno di noi decidere.» Quando la conversazione terminò, Wallander pensò all'ultima frase che Siv Eriksson aveva detto. Sta a ognuno di noi decidere. Naturalmente aveva ragione. Era quello che sia Per Åkesson che Sten Widén avevano fatto. Improvvisamente sentì di avere fatto bene a scrivere all'agenzia di incontri. Anche se non si aspettava una sola risposta, almeno aveva intrapreso qualcosa. Si mise la giacca e andò alla videoteca situata in fondo a Stora Östergatan. Ma quando arrivò davanti all'entrata lesse che la domenica il negozio chiudeva alle nove di sera. Wallander si avviò in direzione della piazza principale, fermandosi di tanto in tanto davanti alle vetrine dei negozi. In preda a una sensazione indefinibile, si fermò sui suoi passi e si girò di scatto. A parte un gruppo di giovani e una guardia notturna, la strada era deserta. Pensò nuovamente alle parole di Ann-Britt. Doveva muoversi con cautela. Sto lasciando correre la mia immaginazione, pensò. Nessuno è così idiota da cercare di uccidere lo stesso poliziotto due volte di seguito. Attraversata la piazza, prese Hamngatan e poi Österleden che lo avrebbe portato a Mariagatan. L'aria era fresca. Wallander sentì che muoversi gli faceva bene. Alle dieci e un quarto rientrò nel suo appartamento. Preparò alcuni panini e trovò una solitaria bottiglia di birra nel frigorifero. Accese il televisore e iniziò a seguire un dibattito sull'economia svedese. L'unica cosa che gli sembrò di capire era che il paese andava male e bene allo stesso tempo. Chiuse gli occhi e si appisolò per un attimo. Finalmente riuscirò a dormire una notte intera, si disse. L'indagine era scivolata via dalla sua mente. Alle undici e mezza, andò nella camera da letto e spense la luce. Si era appena addormentato quando il telefono squillò. I segnali echeggiavano nel buio.
Wallander contò fino a nove prima che si interrompessero. Staccò la spina e aspettò. Se fosse stato qualcuno dalla centrale, avrebbe richiamato sul suo cellulare. Ma sperava che non fosse così. Qualche secondo dopo udì il brusio del cellulare che aveva posato sul comodino. Era uno degli agenti della pattuglia che controllava Apelbergsgatan. L'agente si chiamava Elofsson. «Non so se sia veramente importante» disse. «Ma ho notato la stessa auto passare diverse volte nell'ultima ora.» «Hai avuto modo di vedere il conducente in volto?» «È proprio per questo che ti telefono. Ho seguito le tue istruzioni.» Wallander si mise a sedere sul letto. «L'uomo al volante potrebbe essere un cinese» continuò Elofsson. «Ma non ne sono del tutto sicuro.» Wallander non ebbe bisogno di riflettere. La notte di calma era già finita. «Sto arrivando» disse. Spense il cellulare e guardò l'orologio. Era da poco passata mezzanotte. 23. Wallander lasciò Malmövägen. Poi attraversò Apelbergsgatan e parcheggiò in Jörgen Krabbes Väg. Scese dall'auto e in meno di cinque minuti raggiunse la casa dove Tynnes Falk aveva abitato. Non c'era vento. Il cielo era sereno e Wallander sentì che la temperatura si stava gradualmente abbassando. Ottobre nella Scania era sempre un mese di tempo incerto e capriccioso. L'auto dove Elofsson e il suo collega stavano aspettando era parcheggiata a breve distanza dalla casa di Falk. Quando Wallander arrivò all'altezza dell'auto, la portiera si aprì e lui prese posto sul sedile posteriore. All'interno c'era odore di caffè. Pensò a tutte le notti che aveva passato nelle auto di pattuglia combattendo contro il sonno o gelando dal freddo durante i deprimenti turni di sorveglianza. Si salutarono. Il collega di Elofsson era in forza alla polizia di Ystad da sei mesi. Si chiamava El Sayed ed era immigrato dalla Tunisia. Era il primo poliziotto di origine straniera arrivato a Ystad dalla Scuola di polizia. Wallander aveva temuto che El Sayed sarebbe stato accolto con animosità e pregiudizi. Non si faceva illusioni su quello che molti dei suoi colleghi pensavano di un collega dalla pelle più scura. E le sue previsioni si erano
avverate. Non passava giorno che non udisse commenti offensivi e maligni. Aveva cercato di capire, senza riuscirvi, quanto El Sayed fosse consapevole di quell'animosità e se in qualche modo se la fosse aspettata. A volte Wallander si era sentito in colpa per non averlo mai invitato a casa sua. Era praticamente certo che nessun altro lo avesse fatto. A dispetto di tutto, il giovane poliziotto con il suo sorriso e i suoi modi gentili era riuscito a farsi accettare in qualche modo. Ma c'era voluto tempo. Più volte, Kurt Wallander si era chiesto che cosa sarebbe successo se El Sayed avesse reagito malamente a quei commenti anziché comportarsi sempre in modo affabile. «È arrivato da nord» disse Elofsson. «Da Malmö verso il centro città. Tre volte.» «Quando è passato l'ultima volta?» «Poco prima che ti chiamassi. Prima ho provato sul tuo telefono fisso. Hai il sonno pesante?» Wallander non ripose. «Dimmi come è andata.» «Sai com'è. È solo quando si vede passare la stessa auto per una seconda volta che la si nota.» «Che tipo di auto era?» «Una Mazda. Colore blu scuro.» «Ha rallentato quando è passata di qui?» «Non so se lo abbia fatto la prima volta. Ma senza dubbio lo ha fatto la seconda.» El Sayed intervenne. «Ha rallentato anche la prima volta.» Wallander notò che Elofsson si era irrigidito. Ovviamente, non gli andava a genio che il collega fosse stato più attento di lui. «Ma non si è fermato?» «No.» «Vi ha notati?» «La prima volta non direi. La seconda è molto probabile.» «E poi?» «È ripassato venti minuti dopo. Ma non ha più rallentato.» «Voleva controllare se eravate ancora qui. Avete avuto modo di notare se ci fosse più di una persona nell'auto?» «Ne abbiamo parlato. Naturalmente non possiamo esserne sicuri. Ma crediamo che ci fosse una sola persona.»
«Avete parlato con i colleghi di turno a Runnerströms Torg?» «Sì. Dicono di non avere notato la Mazda.» Wallander rimase sorpreso. La persona che era passata davanti alla casa di Falk avrebbe dovuto interessarsi anche al suo ufficio. Cercò di riflettere. L'unica spiegazione possibile era che l'uomo al volante della Mazda non conoscesse l'esistenza dell'ufficio di Falk. Ammesso che i due agenti che sorvegliavano l'ufficio non si fossero addormentati. Era un'eventualità che non voleva escludere a priori. Elofsson si girò e gli diede un biglietto con il numero di targa dell'auto. «Presumo che l'abbiate già fatta controllare.» «Sembra che il computer centrale sia bloccato. Ci hanno detto di aspettare.» Wallander abbassò il finestrino, lesse il numero di targa alla luce del lampione e lo memorizzò. MLR 331. «Quando pensano che riprenderà a funzionare?» «Non lo sanno.» «Ma più o meno.» «Forse domani.» «Che cosa significa?» «Che forse riusciranno a rimetterlo in funzione domani.» Wallander scosse il capo. «Dobbiamo avere l'informazione il più rapidamente possibile. Quando vi daranno il cambio?» «Alle sei.» «Prima di andare a casa a dormire, voglio che scriviate un rapporto. Lasciatelo nell'ufficio di Martinsson o di Hansson. Se ne occuperanno loro.» «Che cosa facciamo se torna?» «Adesso che sa che siete qui, non tornerà» disse Wallander. «Ma se tornasse? Dobbiamo fermarlo?» «No. Percorrere Apelbergsgatan in auto non è un reato.» Wallander rimase seduto ancora qualche minuto. «Se torna, voglio che mi telefoniate sul cellulare.» Wallander salutò i due agenti, tornò alla sua auto in Jörgen Krabbes Väg e raggiunse Runnerströms Torg. La situazione non era così grave come si era immaginato. Solo uno dei due agenti stava dormendo. Non avevano notato una Mazda di colore blu scuro. «Tenete gli occhi aperti» disse Wallander dando loro il biglietto con il numero di targa.
Tornato verso la sua auto, si accorse di avere in tasca le chiavi di Setterkvist. Avrebbe dovuto lasciarle a Martinsson che ne avrebbe avuto bisogno per continuare a controllare il computer di Falk insieme a Robert Modin. Quasi inconsciamente, andò fino al portone, lo aprì e salì fino alla mansarda. Prima di entrare, appoggiò l'orecchio alla porta e rimase in ascolto. Poi entrò, accese la luce e si guardò intorno come aveva fatto la prima volta. C'era qualcosa che non aveva visto allora? Qualcosa che poteva essere sfuggito sia a lui che a Nyberg? Non scoprì nulla di nuovo. Si mise a sedere alla scrivania e fissò lo schermo spento. Robert Modin aveva parlato di una combinazione cifrata con il numero 20. Wallander aveva avuto la netta impressione che il giovane avesse realmente notato qualcosa nella sequenza confusa di cifre che scorreva rapidamente sullo schermo. Qualcosa che né Martinsson né lui avevano visto. L'unica cosa che gli veniva in mente era che fra esattamente una settimana sarebbe stato il 20 ottobre. Inoltre, 20 erano le prime due cifre dell'anno 2000. Ma la domanda rimaneva sempre senza risposta. Che cosa poteva significare? E un eventuale significato avrebbe veramente avuto una qualche importanza per l'indagine? Durante tutto il periodo scolastico, Wallander era sempre stato estremamente debole in matematica. Fra tutte le altre materie nelle quali non se la cavava per pura pigrizia, la matematica era il vero problema. Per quanto cercasse, non riusciva a capire a fondo diversi concetti. I numeri e le cifre erano un mondo nel quale non era mai riuscito a entrare. D'improvviso, il telefono di fianco al computer iniziò a squillare. Wallander sussultò. I segnali echeggiavano nella stanza. Rimase con lo sguardo fisso sul ricevitore. Al settimo segnale lo alzò e lo portò all'orecchio. Udì un brusio prolungato. Come se la telefonata provenisse da un luogo remoto. «Pronto?» disse Wallander. Una volta, due volte. Ma il solo suono che riusciva a udire era il respiro di qualcuno distinguibile fra il lontano brusio. Poi udì un secco click e il contatto si interruppe. Wallander posò il ricevitore. Il cuore gli batteva all'impazzata. Aveva già udito quel tipo di brusio. Era lo stesso che aveva sentito ascoltando la segreteria telefonica di Falk nell'appartamento in Apelbergsgatan. C'era qualcuno, pensò. Qualcuno che ha telefonato per parlare con Falk. Ma Falk è morto. Falk non c'è più. Poi, Wallander si rese conto che esisteva un'altra possibilità: qualcuno lo
aveva visto salire nell'ufficio di Falk e aveva telefonato per parlare con lui. Ricordò come quella sera stessa si fosse fermato per strada come se qualcuno fosse alle sue spalle, e fu nuovamente assalito dall'inquietudine. Fino a quella sera, Wallander era riuscito a tenere lontana dalla sua mente l'ombra che solo qualche giorno prima gli aveva puntato contro una pistola e sparato. Ma ora le parole di Ann-Britt continuavano a echeggiare nella sua testa. Si alzò dalla sedia, andò alla porta e rimase in ascolto. Ma tutto era calmo. Tornò alla scrivania e, senza un particolare motivo, alzò la tastiera. Sotto, c'era una cartolina. Puntò la lampada che era sul tavolo e si mise gli occhiali. La cartolina era vecchia e i colori erano sbiaditi. Rappresentava un lungomare. Palme e un molo. Il mare e barche da pesca. E, sullo sfondo, una fila di case a schiera. Wallander girò la cartolina. Era indirizzata a Tynnes Falk ad Apelbergsgatan. Questo significa che Siv Eriksson non riceve tutta la posta di Falk. Mi ha mentito?, si chiese Wallander. Oppure non sapeva che, dopotutto, Falk ritirava posta indirizzata a casa sua? Il testo era breve. Incredibilmente breve. Consisteva in una sola lettera. «C». Non rimaneva praticamente nulla del francobollo. Wallander cercò di decifrare il timbro postale. Le uniche lettere leggibili erano L e D. Con tutta probabilità, questo significava che le rimanenti lettere potevano essere delle vocali. Ma non era possibile capire quali. Anche la data era illeggibile. Inoltre, sul retro della cartolina non c'era il nome della località. A parte l'indirizzo e la lettera C c'era soltanto una macchia giallastra che copriva parte dell'indirizzo. Come se la persona che l'aveva spedita stesse mangiando un'arancia mentre la scriveva. Wallander cercò di abbinare le lettere L e D con altre senza risultato. Girò nuovamente la cartolina. In un angolo dell'immagine si intravedevano delle persone. Ma non erano che puntini ed era impossibile distinguere il colore della loro pelle. Wallander osservò le palme sulla cartolina e si ricordò di un caotico viaggio nei Caraibi che aveva fatto anni prima. Ma la spiaggia non gli ricordava nulla. E c'era quella lettera. La stessa C che aveva visto nel giornale di bordo di Falk. Quella C rappresentava un nome. Il nome di qualcuno che Tynnes Falk conosceva, ed era per questo che aveva conservato la cartolina. In quella stanza nuda dove, a parte il computer, c'era solo il disegno di una cabina di trasformatori, c'era anche quella cartolina. Un saluto da Curt o da Conrad. Wallander la mise in tasca. Poi, si chinò e guardò sotto il compu-
ter. Non c'era niente. Alzò il telefono ottenendo lo stesso risultato. Prima di alzarsi, rimase seduto ancora qualche minuto, poi spense la lampada e se ne andò. Quando arrivò a casa a Mariagatan era esausto. Ma andò ugualmente in cucina, prese la lente di ingrandimento e studiò la cartolina ancora una volta. Ma non c'era niente di più di quello che aveva già visto. Poco prima delle due andò a letto. Si addormentò subito. Il lunedì mattina, Wallander rimase alla centrale di polizia poco più di mezz'ora. Consegnò il mazzo di chiavi a Martinsson e gli parlò dell'automobile che El Sayed e Elofsson avevano visto passare. Il loro rapporto con il numero di targa era già sulla scrivania di Martinsson. Wallander non parlò della cartolina. Non perché volesse tenerlo all'oscuro, ma perché aveva fretta. Voleva evitare di farsi coinvolgere in discussioni inutili. Prima di lasciare la centrale di polizia, fece due telefonate. Una a Siv Eriksson. Le chiese se il numero 20 le faceva venire in mente qualcosa e se Falk le avesse mai parlato di una persona il cui nome o cognome iniziava con la lettera C. Sul momento, disse Siv Eriksson, non ricordava. Ma promise di pensarci. Poi, Wallander le aveva parlato della cartolina che aveva trovato nell'ufficio a Runnerströms Torg, indirizzata però ad Apelbergsgatan. Il tono di sorpresa della donna non poteva essere che genuino. Quando Falk le aveva detto che usava il suo indirizzo per tutta la sua posta, Siv Eriksson non ne aveva mai dubitato. Tuttavia, qualcuno, come il misterioso signor C, aveva usato l'indirizzo di Apelbergsgatan e lei non ne era mai stata al corrente. Wallander le spiegò quello che c'era sulla cartolina. Ma né il paesaggio, né le due lettere che Wallander era riuscito a identificare le facevano venire in mente qualcosa. «Forse Tynnes usava anche altri indirizzi» disse lei. Wallander udì un sottofondo di delusione nella voce della donna. Come se si sentisse tradita da Falk. «Controlleremo» rispose Wallander. «Non lo escluderei.» Siv Eriksson disse di non avere dimenticato la lista che le aveva chiesto. Gliela avrebbe portata alla centrale di polizia quel giorno stesso. Quando la conversazione terminò, Wallander si rese conto che gli aveva fatto piacere sentire la sua voce. Ma scacciò quel pensiero e compose un altro numero di telefono senza perdere altro tempo. Quando Marianne Falk
rispose, Wallander le disse brevemente che sarebbe arrivato a casa sua entro mezz'ora. Poi, controllò rapidamente le carte accumulate sulla scrivania. Gran parte dei rapporti richiedevano un intervento immediato. Non aveva tempo. La montagna di carte avrebbe continuato a crescere. Prima delle otto e mezza, Wallander uscì dalla centrale di polizia senza dire dove stava andando. Nelle ore che seguirono, rimase seduto su un divano a casa di Marianne Falk a fare domande sull'uomo con il quale era stata sposata. Quando si erano incontrati? Come era avvenuto il loro incontro? Come si era comportato Falk? Marianne Falk si rivelò una donna con un'ottima memoria. Solo in rare occasioni ebbe attimi di esitazione o fu costretta a fare uno sforzo per rispondere. Wallander si era ricordato di portare con sé un bloc-notes. Ma non fece alcuna annotazione. Molto poco di quello che Marianne Falk gli stava raccontando quel mattino avrebbe richiesto ulteriori approfondimenti. Sapeva di essere ancora al primo stadio del suo tentativo di procurarsi una veduta d'insieme della storia personale di Tynnes Falk. Secondo la moglie, Falk era cresciuto in una fattoria poco lontano dalla città di Linköping che era amministrata da suo padre. Era figlio unico. Dopo il diploma, e prima di studiare all'Università di Uppsala, aveva fatto il servizio di leva a Skövde in un reggimento di carristi. All'inizio degli studi non sapeva decidersi su quale indirizzo seguire. Aveva seguito sia corsi di giurisprudenza che di storia della letteratura. Ma già al secondo anno, si era trasferito a Stoccolma e si era iscritto alla facoltà di economia e commercio. E si erano incontrati a un ballo organizzato dall'unione degli studenti. «Tynnes non amava ballare» disse Marianne Falk. «Ma era venuto ugualmente. A un certo punto, qualcuno ci presentò. Ricordo che all'inizio lo trovavo un tipo noioso. Non si può certo dire che sia stato amore a prima vista. In ogni caso, non da parte mia. Alcuni giorni dopo, Tynnes mi telefonò. Non ho mai saputo come fosse riuscito ad avere il mio numero di telefono. Mi disse che voleva incontrarmi. Ma non per fare una passeggiata o per andare al cinema. La sua proposta mi sorprese enormemente.» «Che cosa voleva?» «Voleva che andassimo all'aeroporto di Gromma a guardare gli aerei.» «Per quale motivo?» «Aveva detto che gli aerei gli piacevano. E siamo andati all'aeroporto.
Tynnes sapeva tutto sugli aerei che decollavano e atterravano. Ho trovato tutto molto strano. Forse perché non era così che mi ero immaginata di incontrare l'uomo della mia vita.» Si erano incontrati nel 1972. Wallander capì che Tynnes aveva continuato a insistere, mentre Marianne era rimasta in dubbio a lungo. Wallander rimase sorpreso dalla franchezza della donna. «Tynnes non ha mai fatto delle avance» aveva detto. «Ricordo che passarono tre mesi prima che mi desse il primo bacio. In quel momento stavo perdendo la pazienza e se non lo avesse fatto l'avrei mollato. Ma poi arrivò quel bacio.» Negli anni seguenti, dal 1973 al 1977, Marianne Falk aveva seguito un corso da infermiera. In verità, il suo sogno era di diventare giornalista. Ma non era mai riuscita a superare l'esame di ammissione alla facoltà. I suoi genitori abitavano a Spånga, un sobborgo di Stoccolma dove suo padre aveva una piccola officina meccanica. «Tynnes non parlava mai dei suoi genitori» continuò. «Ho dovuto cavargli le parole di bocca per riuscire a sapere qualcosa della sua adolescenza. Sapevo a malapena che i suoi genitori erano ancora vivi. L'unica cosa certa era che non aveva né fratelli né sorelle. Io ne avevo cinque. Mi ci è voluta un'infinità di tempo per riuscire a trascinarlo a casa dei miei genitori. Tynnes era molto timido. O almeno fingeva di esserlo.» «Che cosa vuoi dire?» «Tynnes aveva un'enorme fiducia in se stesso. In verità, credo che detestasse profondamente gran parte dei suoi simili. Anche se asseriva il contrario.» «In che senso li detestava?» «Naturalmente, quando torno indietro nel tempo, riconosco che la nostra relazione può sembrare molto strana. Tynnes viveva in una camera in affitto a Odenplan. Io continuavo ad abitare a Spånga. Non avevo molti soldi e non intendevo chiedere un prestito per gli studi troppo elevato. Ma Tynnes non mi propose mai di prendere un appartamento insieme. Ci incontravamo tre o quattro sere la settimana. A parte gli studi e il suo interesse per gli aerei, non sapevo molto di come occupasse il suo tempo. Poi, un giorno ho iniziato ad avere dei dubbi.» Era un giovedì pomeriggio di aprile o forse all'inizio di maggio, circa sei mesi dopo il loro primo incontro, ricordò Marianne Falk. Quel giorno, non avevano potuto incontrarsi. Tynnes aveva detto di avere delle lezioni importanti e non poteva mancare. Marianne ne aveva approfittato per fare al-
cune commissioni per sua madre. Tornando alla stazione centrale per prendere il treno locale per Spånga, era rimasta bloccata in Drottninggatan da un corteo di dimostranti. Era una manifestazione di protesta contro la Banca mondiale e contro la guerra coloniale condotta dai portoghesi. Marianne non si era mai interessata di politica. La sua era una famiglia di socialdemocratici convinti. Ma lei non si era lasciata sedurre dalla nuova ondata di entusiasmo per la sinistra. Neppure Tynnes aveva mai espresso qualcosa di più di una vaga simpatia per i movimenti radicali. Ma quando Marianne gli aveva fatto delle domande al proposito, Tynnes aveva sempre risposto risolutamente. Gli piaceva fare sfoggio della propria conoscenza delle varie teorie politiche. Ma quel giorno, quando lo aveva scorto fra la massa di dimostranti, non era riuscita a credere ai propri occhi. Tynnes portava un cartello con la scritta «Viva Cabrai». Più tardi, era venuta a sapere che Amílcar Cabral era il leader del movimento di liberazione della Guinea Bissau. Sorpresa e quasi imbarazzata, Marianne se ne era andata immediatamente da Drottninggatan. Tynnes non l'aveva vista. Più tardi, gli aveva parlato di quella manifestazione. Quando Tynnes intuì che Marianne era fra le persone ferme sul marciapiede senza che lui la scorgesse, andò su tutte le furie. Ma si calmò quasi subito. Marianne non riuscì mai a capire il motivo di quella reazione violenta. Ma da quel giorno, capì che in realtà non sapeva molto di Tynnes Falk. «A giugno, decisi di farla finita» disse. «Non perché avessi incontrato un altro, ma semplicemente perché non credevo più in quella relazione. Quella sua reazione violenta aveva avuto una certa importanza per la mia decisione.» «E Tynnes come ha reagito?» «Non lo so.» «Non lo sai?» «Ci siamo incontrati in un bar a Kungsträdgården. Io gli ho detto senza mezzi termini che volevo lasciarlo e che, in ogni caso, la nostra relazione non aveva alcun futuro. Tynnes ha ascoltato. Poi si è alzato e se n'è andato.» «Tutto lì?» «Non disse una sola parola. Ricordo che rimase impassibile. Quando finii di parlare, si alzò e se ne andò. Ma prima lasciò il denaro per il caffè sul tavolo.» «Dopo cos'è successo?» «Non ci siamo visti per qualche anno.»
«Quanti anni?» «Quattro.» «Che cosa ha fatto nel frattempo?» «Non lo so.» Wallander era sempre più sorpreso. «Vuoi dire che è scomparso per quattro anni? Senza che tu sapessi dove fosse o che cosa stesse facendo?» «Capisco che può sembrare incredibile. Ma è la verità. Una settimana dopo il nostro incontro nel bar a Kungsträdgården, ho pensato di andarlo a trovare. Ma aveva lasciato la stanza in affitto senza dare un altro indirizzo. Alcune settimane dopo sono riuscita a rintracciare i suoi genitori a Linköping. Ma neppure loro sapevano dove fosse. Non ho avuto sue notizie per quattro anni. Aveva persino interrotto gli studi. Nessuno sapeva più niente di lui, fino al giorno in cui è ricomparso.» «Quando fu?» «Era il 2 agosto del 1977. Lo ricordo esattamente. Avevo iniziato da poco il mio primo lavoro, dopo avere conseguito il diploma di infermiera. All'ospedale Sabbatsberg. Stavo andando al lavoro e mi sono trovata davanti Tynnes che mi aspettava all'entrata. Aveva un mazzo di fiori e sorrideva. Per quattro anni avevo sofferto per quella relazione fallita. E quando lo vidi, provai un senso di sollievo e felicità. Allora, stavo attraversando un periodo di incertezza e di solitudine. Fra l'altro, mia madre era morta da poco tempo.» «Dunque, avete ricominciato a vedervi?» «Sì. Tynnes voleva che ci sposassimo. Me lo disse pochi giorni dopo.» «Ma deve averti detto quello che aveva fatto durante quei quattro anni.» «Non lo fece. Mi disse che non voleva sapere niente della mia vita. E io non gli ho fatto domande sulla sua. Dovevamo fingere che quei quattro anni non fossero mai esistiti.» «Era cambiato in qualche modo?» «No, a parte il colore della pelle più scuro.» «Vuoi dire che era abbronzato?» «Sì. A parte quello non era cambiato. Più tardi, sono venuta a sapere dove era stato in quei quattro anni per una semplice coincidenza.» A quel punto, il cellulare di Wallander iniziò a squillare. Per un attimo esitò a rispondere. Ma alla fine lo prese dalla tasca della giacca. Era Hansson. «Martinsson mi ha lasciato il biglietto con quel numero di targa. Il com-
puter centrale ha ripreso a funzionare da poco. È stata rubata.» «L'auto o la targa?» «La targa. È quella di una Volvo parcheggiata in Nobeltorget a Malmö. È stata rubata la settimana scorsa.» «Bene» disse Wallander. «Elofsson ed El Sayed avevano ragione. Quell'auto è passata per controllare se qualcuno stesse sorvegliando la casa.» «Come vuoi che proceda?» «Parla con i colleghi di Malmö. Chiedi che diramino un avviso di ricerca per quell'auto in tutta la regione.» «Di che cosa è sospettato il conducente?» Wallander ci pensò su. «In parte di essere implicato nell'assassinio di Sonja Hökberg. E in parte di sapere chi mi ha sparato.» «È stato lui a spararti?» «È tutto da vedere» rispose Wallander evasivamente. «Dove sei?» «Sono a casa di Marianne Falk. Ci sentiamo più tardi.» Marianne Falk servì il caffè. Il servizio di porcellana gli ricordò quello che sua madre usava quando era bambino. «Parlami di come sei venuta a sapere dove era stato» disse Wallander quando Marianne Falk si rimise a sedere. «Fu circa un mese dopo la sua ricomparsa. Aveva comprato un'auto e veniva a prendermi quando finivo di lavorare. Un giorno, uno dei medici del reparto dove lavoravo lo vide. Il giorno dopo, quel medico mi chiese se l'uomo che era venuto a prendermi si chiamasse Tynnes Falk. Quando gli risposi affermativamente, mi disse di averlo incontrato l'anno prima in Africa.» «Dove in Africa?» «In Angola. Il medico ci aveva lavorato come volontario. Il paese aveva appena conquistato l'indipendenza dal Portogallo. Una sera tardi, si erano incontrati in un ristorante per caso. Erano seduti a tavoli diversi. Ma quando Tynnes prese il suo passaporto svedese dove teneva il denaro, il medico vide che era un connazionale e gli rivolse la parola. Tynnes rispose bruscamente, si presentò dicendo il suo nome e niente più. Il medico mi disse che ricordava quell'incontro soprattutto perché aveva avuto l'impressione che Tynnes si fosse irritato per essere stato identificato come cittadino svedese.»
«A quel punto non hai chiesto a Tynnes di dirti che cosa facesse in Angola?» «Ho pensato di farlo più di una volta. Avrei voluto sapere perché fosse andato proprio in quel paese e per fare cosa. Ma fra di noi c'era una specie di tacito accordo. Nessuno dei due doveva fare domande su quei quattro anni. Così, ho cercato di scoprirlo usando altri canali.» «Quali canali?» «Ho iniziato a telefonare alle diverse organizzazioni che gestivano gli aiuti umanitari e il volontariato in Africa. Ho avuto la risposta quando ho contattato la Sida, l'Ente svedese per lo sviluppo internazionale. Tynnes era veramente stato in Angola per un periodo di due mesi. Il suo compito era di aiutare a installare un certo numero di radiotrasmittenti.» «Ma Tynnes è stato assente per quattro anni» disse Wallander. «Tu hai parlato di due mesi.» Marianne Falk rimase in silenzio per qualche minuto, immersa in pensieri che Wallander non voleva disturbare. «Ci siamo sposati e abbiamo avuto dei bambini. A parte quel periodo in Angola, non ho mai saputo che cosa Tynnes avesse fatto in quei quattro anni. E non glielo ho mai chiesto. Solo ora che Tynnes è morto, e dopo molti anni dalla nostra separazione, sono venuta a saperlo.» Marianne Falk si alzò e uscì dalla stanza. Quando tornò, in mano aveva un pacchetto avvolto in un pezzo di tela cerata che posò sul tavolino davanti a Wallander. «Dopo la sua morte, sono andata in cantina dove Tynnes aveva un armadio blindato. Sono riuscita a rompere la serratura. A parte questo, all'interno c'era solo polvere.» Marianne Falk gli fece cenno di aprire il pacchetto. Wallander tolse l'involucro di tela cerata. All'interno c'era un album di fotografie con la copertina di pelle marrone. Sulla prima pagina c'era scritto Angola 1973-1977. «Ho guardato quelle fotografie» disse Marianne Falk. «Non so quale storia raccontino. Ma è quasi certo che Tynnes non è stato in Angola solo per i due mesi in cui ha lavorato per la Sida. Deve esserci stato per tutti quei quattro anni.» Wallander stava per iniziare a sfogliare l'album, ma si fermò. «Devo ammettere la mia ignoranza» disse. «Non so neppure il nome della capitale dell'Angola.» «Luanda.» Wallander annuì. In tasca, aveva ancora la cartolina che aveva trovato
sotto la tastiera. Le uniche lettere che era riuscito a identificare erano state L e D. La cartolina è stata spedita da Luanda, si disse. Che cosa è successo laggiù? E chi era quell'uomo o quella donna il cui nome iniziava con una C? Si passò un tovagliolo di carta sulle mani. Poi si chinò in avanti e iniziò a sfogliare l'album. 24. La prima fotografia ritraeva lo scheletro di un autobus incenerito a lato di una strada di colore rosso. Poteva essere il colore della sabbia o anche quello del sangue. La fotografia era stata scattata da una certa distanza. L'autobus ricordava il cadavere di un animale preistorico. Di fianco alla foto, qualcuno aveva scritto a matita: A nord-ovest di Huambo 1975. In un angolo della fotografia c'era la stessa macchia giallastra che Wallander aveva notato sulla cartolina. La fotografia successiva ritraeva un gruppo di donne nere ferme davanti a uno stagno. Il paesaggio intorno appariva arso dal sole e arido. Non si vedeva una sola ombra. Quando la fotografia era stata scattata, il sole doveva essere a picco. Nessuna delle donne rivolgeva lo sguardo verso il fotografo. Non rimaneva molta acqua nello stagno. Wallander osservò la fotografia. Tynnes Falk, se era stato lui a scattarla, aveva voluto riprendere un gruppo di donne. Ma il centro dell'immagine era lo stagno quasi prosciugato. Era questo che il fotografo voleva mostrare. Presto non ci sarebbe stata più acqua per quelle donne. Wallander continuò a sfogliare l'album. Marianne Falk rimaneva seduta in silenzio all'altro lato del tavolino. Wallander udì un orologio che ticchettava da qualche parte nella stanza. Seguirono altre foto di paesaggi inariditi. Un villaggio di capanne basse e rotonde. Bambini e cani. In ogni fotografia, sempre la stessa terra rossa. Nessuno ha lo sguardo rivolto verso il fotografo. Poi, non più villaggi ma campi di battaglia. O i resti di campi di battaglia. La vegetazione è più folta, più verde. Un elicottero giace a terra su un fianco come un enorme insetto calpestato. Cannoni abbandonati puntati contro un nemico invisibile. Nelle fotografie ci sono solo armi. Nessun essere umano, né vivo né morto. Date e nomi di località e niente altro. Seguono due pagine di antenne radio. Alcune fotografie sono sfocate. Una foto di gruppo. Wallander fissò attentamente i volti dei nove uomini in posa davanti a una specie di bunker. Nove uomini, un ragazzo e sulla destra una capra. Uno degli uomini ha il braccio alzato come se volesse
fermare il fotografo. Il ragazzo ha lo sguardo fisso in avanti. Sorride. Sette degli uomini sono bianchi e due neri. I bianchi hanno un'espressione seria, mentre i neri sembrano felici. Wallander indicò la fotografia e chiese a Marianne Falk se riconosceva qualcuno. La donna scosse il capo. Di fianco alla fotografia c'era il nome illeggibile di una località e la data: Gennaio 1976. Falk doveva avere finito da tempo il lavoro di installazione delle antenne radio. Forse era tornato per controllare che fossero ancora in funzione. È tornato in Angola. O forse non ha mai lasciato il paese. Nessuno può provare il contrario. Ma a quella data, il suo incarico è sconosciuto. Nessuno sa come si guadagni da vivere. Wallander voltò pagina. Fotografie di Luanda un mese dopo, febbraio 1976. Un oratore sta parlando in uno stadio. Gente con stendardi rossi. E anche bandiere. Wallander pensò che fossero le bandiere dell'Angola. Falk continua a disinteressarsi dei singoli individui. Questa folla è ripresa da una tale distanza che è impossibile riconoscere qualcuno. Ma Falk era lì. Era forse il giorno della festa nazionale? Stanno celebrando l'indipendenza della giovane Angola? Perché ha scattato queste fotografie? Senza curarsi troppo della messa a fuoco e sempre a una distanza troppo grande? Che cosa voleva che gli ricordassero? Seguivano alcune pagine di vedute della città. Luanda, aprile 1976. Wallander voltò le pagine rapidamente. Si fermò di colpo. Una fotografia interrompe la sequenza. È più vecchia. In bianco e nero, e ritrae un gruppo di europei. Le donne sono sedute, gli uomini invece sono tutti in piedi. È una fotografia di fine Ottocento. Sullo sfondo c'è un grande edificio. Si intravedono domestici neri con grembiuli bianchi. Sorridono quasi tutti. I bianchi invece sono seri. Di fianco alla fotografia, la scritta: Missionari scozzesi, Angola, 1894. Wallander si chiese perché Falk avesse scelto di mettere nell'album anche quella fotografia. Lo scheletro di un autobus incenerito, delle donne che presto non avranno più acqua, antenne radio e quella fotografia di missionari scozzesi. Nella pagina successiva Falk ritorna al presente, al periodo in cui viveva sicuramente in Angola. Per la prima volta le fotografie sono state scattate da vicino. Le persone sono al centro delle immagini. Si direbbero scattate durante una festa utilizzando il flash. Solo uomini bianchi. Il lampo del flash ha reso i loro occhi rossi come quelli di animali. Marianne Falk si chinò in avanti e indicò un uomo con un bicchiere in mano. Intorno a lui
solo uomini giovani. Hanno il bicchiere alzato per un brindisi e stanno dicendo qualcosa al fotografo. Ma Tynnes Falk ha un'espressione seria. È lui l'uomo che Marianne Falk sta indicando. È magro e indossa una camicia bianca abbottonata fino al collo. Gli altri sono a torso nudo e sono abbronzati e sudati. Wallander chiese nuovamente alla donna se riconoscesse qualcuno. Ma lei scosse il capo. Da qualche parte in queste fotografie c'è una persona il cui nome inizia con la lettera C. Falk è rimasto in Angola. Falk è stato lasciato da una donna che ama. O forse è stato lui a lasciarla? E allora decide di accettare un lavoro che lo porti il più lontano possibile. Forse per dimenticare. O per prendere tempo. Ma poi, succede qualcosa che lo fa rimanere in Angola. Wallander voltò pagina. Tynnes Falk è fermo davanti a una chiesa imbiancata. Sta fissando il fotografo. Ora, per la prima volta, sta sorridendo e ha sbottonato la camicia. Chi sta scattando la foto? Può essere C? Nella pagina successiva, Falk torna a essere il fotografo. Wallander si chinò in avanti per vedere meglio. Per la prima volta, riappare un volto già visto. La fotografia è stata scattata da pochi metri. L'uomo è alto, magro e abbronzato. Ha uno sguardo deciso. I capelli sono tagliati corti. Deve essere originario di un paese del nord Europa. Forse è tedesco. O russo. Wallander si concentrò sullo sfondo della fotografia. In lontananza si intravede una catena di montagne coperte da una fitta vegetazione. Ma più vicino, dietro le spalle dell'uomo c'è qualcosa che ricorda una costruzione che Wallander ha già visto da qualche parte. Ci vuole qualche secondo prima che capisca che cosa sia. È una cabina di trasformatori dell'alta tensione. Ecco un legame, pensò Wallander. Che significato può avere? Ma se è stato Falk a scattare questa fotografia, ha scelto di far posare quell'uomo davanti a una cabina di trasformatori dell'alta tensione non molto diversa da quella dove è morta Sonja Hökberg. Wallander voltò pagina lentamente, come se sperasse di trovare la risposta in quella successiva. Come se quell'album di fotografie potesse raccontare la verità su tutto quello che era successo. Ma si trovò davanti un elefante e più lontano alcuni leoni che stanno sonnecchiando. Falk deve avere scattato la fotografia da un'auto. Di fianco la scritta: Parco Kruger, agosto 1976. Manca ancora un anno al suo ritorno in Svezia, a quando attenderà Marianne, fermo davanti all'entrata dell'ospedale. I quattro anni di assenza non sono ancora finiti. Leoni assonnati. Falk è sparito. Wallander si ricordò che il parco Kruger era in Sudafrica. E poi ricordò il caso dell'omicidio della titolare di un'agenzia immobiliare nel quale era stato coinvolto qualche anno prima, quando le in-
dagini portavano in Sudafrica. Wallander aveva temuto a lungo di non riuscire a risolvere quel caso difficile. Falk ha lasciato l'Angola. È su un'automobile e fotografa animali dal finestrino. Seguono otto pagine di animali e uccelli. C'è anche un folto gruppo di ippopotami che sembrano sbadigliare. Ricordi di un turista. Falk non è un fotografo ispirato. Poi, torna in Angola. Luanda, giugno 1976. L'uomo magro ricompare. Lo stesso sguardo deciso, gli stessi capelli tagliati corti. È seduto su una panchina in riva al mare. Per una volta Tynnes Falk è riuscito a scattare una fotografia decente. Era l'ultima. Rimanevano ancora delle pagine vuote, dalle quali non era stata tolta alcuna foto né alcuna scritta cancellata. L'ultima fotografia ritrae un uomo che fissa il mare, seduto su una panchina. Sullo sfondo, lo stesso profilo della città della cartolina. Wallander si appoggiò allo schienale della sedia. Marianne Falk lo fissò incuriosita. «Non so quale storia queste foto raccontino» disse Wallander. «Ma devo chiederti di lasciarmi questo album per un po'. Forse avremo bisogno di fare degli ingrandimenti di alcune fotografie.» Marianne Falk lo accompagnò in ingresso. «Perché credi che quello che Tynnes ha fatto allora sia così importante? È passato ormai tanto tempo.» «È successo qualcosa» rispose Wallander. «Non so cosa. Ma è successo qualcosa che lo ha seguito per tutta la vita.» «Che cosa potrebbe essere stato?» «Non lo so.» «Chi è stato a spararti lassù nel suo appartamento?» «Non lo sappiamo. Non sappiamo né chi sia né che cosa facesse lì.» Wallander si alzò e le porse la mano. «Adesso vado. Se vuoi, posso mandarti una ricevuta per l'album.» «Non sarà necessario.» Wallander aprì la porta. «C'è ancora una cosa» disse Marianne Falk. Wallander si voltò e vide che la donna era molto incerta. «Forse la polizia vuole solo sentire cose concrete» disse esitando. «Quello che sto per dire è poco chiaro anche per me.» «In questo momento, ogni dettaglio può essere importante.» «Ho vissuto a lungo insieme a Tynnes» disse Marianne Falk. «E ho creduto di conoscerlo. Non so quello che abbia fatto durante i quattro anni
della sua assenza. Ma lo consideravo qualcosa da accantonare. Non me ne sono mai curata, perché Tynnes ha sempre trattato me e i miei figli in modo ineccepibile.» Si interruppe. Wallander rimase in attesa. «A volte avevo l'impressione di essere sposata con una persona fanatica» continuò. «Un uomo dalla doppia personalità.» «Un fanatico?» «A volte Tynnes dava strani giudizi.» «A proposito di cosa?» «Della vita. Degli esseri umani. Del mondo. Praticamente di tutto. Di colpo, si lasciava andare e lanciava accuse terribili. Accuse contro nessuno in particolare. Era come se stesse inviando messaggi nel vuoto.» «Non ti ha mai spiegato?» «Mi faceva paura. Non avevo il coraggio di chiedere. Era come se d'improvviso fosse pieno di odio. E poi tutto finiva con la stessa rapidità con cui era iniziato. A volte avevo l'impressione che si fosse tradito. O almeno credo che fosse quello che pensava. Si lasciava andare e diceva cose che avrebbe preferito nascondere.» Wallander annuì. «Hai detto che non era schierato politicamente. Ne sei sicura?» «Tynnes odiava i politici. Non credo che abbia mai votato.» «Sai se aderisse a qualche altro movimento?» «No.» «Ammirava qualcuno?» «Non che io sappia.» Appena pronunciate quelle parole, Marianne Falk scosse il capo. «Aspetta. Credo che, in qualche modo, ammirasse Stalin.» Wallander aggrottò la fronte. «Perché lo ammirava?» «Non ne sono sicura. Ma Tynnes diceva spesso che Stalin aveva avuto un potere senza limiti. O meglio, che lo aveva preso per riuscire a dominare senza limiti.» «Tynnes ha detto questo?» «Sì.» «Ha mai approfondito quel concetto?» «No.» Wallander annuì. «Se ti viene in mente altro, telefonami senza esitazione.»
«Lo farò» disse Marianne Falk chiudendo la porta. Wallander entrò nella sua auto. Poggiò l'album delle foto sul sedile di fianco. All'interno c'era la fotografia di un uomo davanti a una cabina di trasformatori. La fotografia era stata scattata nella lontana Angola vent'anni prima. Poteva essere lo stesso uomo che aveva spedito la cartolina? L'uomo il cui nome iniziava con la lettera C? Wallander scosse il capo. Non riusciva a capire. Spinto da uno strano impulso, lasciò la città alle sue spalle e tornò nel luogo dove era stato ritrovato il corpo carbonizzato di Sonja Hökberg. Non c'era anima viva. Il cancello era chiuso. Wallander scese dall'auto e si guardò intorno. Solo cornacchie che si posavano gracchiando sulla terra marrone dei campi. Tynnes Falk era morto davanti a un Bancomat e non aveva potuto uccidere Sonja Hökberg. Ma c'erano altri legami ancora invisibili le cui ramificazioni collegavano i diversi eventi. Wallander pensò alle dita recise. Qualcuno aveva voluto nascondere qualcosa. Lo stesso valeva per Sonja Hökberg. Ma non c'era alcuna spiegazione logica. Sonja Hökberg era stata uccisa perché non potesse parlare. Wallander fu colto da un brivido. La temperatura si era abbassata. Risalì in auto, mise in moto e accese il riscaldamento. Poi prese la strada per tornare a Ystad. Quando arrivò all'ultima rotonda prima di entrare in città, il cellulare squillò. Si accostò al ciglio della strada e fermò l'auto. Era Martinsson. «Stiamo andando avanti» disse. «Come va?» «Ci troviamo davanti a un muro di cifre. Modin sta cercando di scavalcarlo. Se devo essere onesto, non so cosa stia facendo.» «Dobbiamo avere pazienza.» «Presumo che la polizia gli pagherà il pranzo...» «Fatti dare una ricevuta, poi dalla a me» disse Wallander. «Mi sto chiedendo se, dopotutto, non sia meglio contattare gli esperti della direzione generale. Vale veramente la pena rinviare ancora?» Naturalmente Martinsson ha ragione, pensò Wallander. Ma voleva aspettare e dare ancora un po' di tempo a Robert Modin. «Lo faremo» disse. «Ma non subito.» Quando Wallander arrivò alla centrale di polizia, Irene gli disse che Gertrud lo aveva cercato. Wallander andò nel suo ufficio e la chiamò.
Qualche volta andava a trovarla di domenica. Ma non spesso, e questo gli faceva provare un senso di colpa. Dopotutto, Gertrud aveva avuto la pazienza di condividere gli ultimi anni di vita di suo padre, un uomo dal carattere non facile. Sicuramente, senza di lei, non sarebbe vissuto così a lungo. Ma ora che suo padre non c'era più, Gertrud e Wallander non avevano molto da dirsi. Fu la sorella a rispondere. Era una persona curiosa che amava dilungarsi in chiacchiere. Wallander chiese subito di parlare con Gertrud. Ma passarono diversi minuti prima che venisse al telefono. Non era successo nulla. Si era preoccupato senza motivo. «Volevo solo sapere come stavi» disse Gertrud. «Ho molto lavoro. Per il resto va tutto bene.» «È passato tanto tempo dalla tua ultima visita.» «Lo so. Verrò non appena avrò tempo.» «Forse sarà troppo tardi» disse Gertrud. «Alla mia età non si sa mai quanto si può vivere.» Aveva compiuto sessant'anni da poco. Wallander notò che aveva preso da suo padre. Usava lo stesso ricatto emotivo. «Non appena posso, prometto che verrò a trovarti» disse gentilmente. Poi si scusò, dicendo che doveva partecipare a una riunione importante. Ma quando la conversazione terminò andò a prendere una tazza di caffè alla mensa. Nyberg era seduto a un tavolo e stava bevendo una tazza di tè: eccezionalmente, sembrava riposato. Si era persino pettinato i capelli, cosa che non faceva spesso. «I cani non sono riusciti a trovare le dita» disse Nyberg. «Ma abbiamo rilevato impronte nel suo appartamento. Devono essere quelle di Falk. Le abbiamo controllate.» «Avete trovato qualcosa?» «No. Non compaiono nei nostri registri.» Wallander ci pensò un attimo, poi prese una decisione. «Mandatele all'Interpol. Sai se l'Angola sia affiliata?» «Come diavolo faccio a saperlo?» «Stavo solo riflettendo.» Nyberg si alzò e se ne andò. Wallander prese alcuni biscotti e tornò nel suo ufficio. Era mezzogiorno. La mattinata era passata rapidamente. L'album di fotografie era sulla sua scrivania. Non era certo su come procedere. Nelle ultime ore, era riuscito a sapere molto su Tynnes Falk. Ma niente che potesse aiutarlo a spiegare il misterioso legame con Sonja Hökberg.
Prese il telefono e compose il numero di Ann-Britt, ma non ebbe risposta. Anche Hansson non era nel suo ufficio. E Martinsson era impegnato con Robert Modin. Wallander cercò di pensare a quello che avrebbe fatto Rydberg. Questa volta gli fu più facile sentire la sua voce. Rydberg avrebbe riflettuto. Era la cosa più importante che un poliziotto potesse fare dopo avere raccolto informazioni. Wallander appoggiò i piedi sulla scrivania e chiuse gli occhi. Per l'ennesima volta pensò a tutto quello che era successo. Per tutto il tempo, cercò di mantenere il suo sguardo interiore fisso su un immaginario specchietto retrovisore che in qualche modo riconduceva ogni cosa a vent'anni prima in un paese chiamato Angola. Ancora una volta, cercò di utilizzare forme e punti di partenza diversi per arrivare a una ricostruzione plausibile. La morte di Lundberg. E quella di Sonja Hökberg. Senza dimenticare il colossale blackout. Quando riaprì gli occhi, provò la stessa sensazione che aveva avuto alcuni giorni prima. La soluzione era vicina, a portata di mano. Ma Wallander non riusciva a vederla. Lo squillo del telefono interruppe il filo dei suoi pensieri. Era Irene. Siv Eriksson voleva vederlo. Wallander si alzò di scatto, si aggiustò i capelli con una mano e andò al centralino. È veramente una donna attraente, pensò Wallander quando la vide. Le propose di seguirlo nel suo ufficio, ma lei rispose di non avere tempo e gli diede una busta. «All'interno c'è la lista che mi hai chiesto.» «Spero che non ti abbia creato dei problemi.» «Non molti. Ma non è stato facile.» Wallander le chiese se gradisse un caffè, ma Siv Eriksson scosse il capo. «Tynnes ha lasciato non poche cose in sospeso» spiegò. «Ho cercato di sbrogliarle.» «Sei riuscita a capire se avesse altri incarichi?» «Non credo. Negli ultimi tempi li rifiutava quasi sempre. Lo so perché spesso mi chiedeva di rispondere alle diverse richieste.» «Ti sei mai chiesta perché?» «Forse aveva bisogno di un periodo di riposo.» «È mai successo prima? Voglio dire che Falk rifiutasse un numero così elevato di incarichi?» «Non ricordo che lo abbia mai fatto. È stata la prima volta.» «Ti ha mai spiegato il motivo?» «No.» Wallander non aveva altre domande. Siv Eriksson se ne andò. Un taxi la
stava aspettando davanti alla centrale di polizia. Quando il tassista le aprì la porta, Wallander vide che portava il lutto al braccio. Wallander tornò nel suo ufficio e aprì la busta. La lista era lunga. Molte delle imprese per le quali Falk e Siv Eriksson avevano svolto diversi incarichi gli erano sconosciute. Tutte avevano le loro sedi nella Scania eccetto una. Era una società con indirizzo in Danimarca. Fra le imprese che Wallander conosceva di nome vi erano diverse banche. Ma non trovò né la Sydkraft, né altre aziende elettriche. Wallander allontanò la lista e iniziò a pensare. Tynnes Falk era stato trovato morto davanti a un Bancomat. Quella sera, era uscito di casa per fare una passeggiata. Una donna con il suo cane lo aveva visto. Falk si era fermato al Bancomat e aveva chiesto l'estratto conto ma non aveva fatto alcun prelievo. Subito dopo era caduto a terra morto. Improvvisamente, Wallander ebbe la sensazione di avere trascurato qualcosa. Se Tynnes Falk non era morto per un infarto o perché vittima di un'aggressione, quale poteva essere stata la causa della morte? Dopo avere riflettuto ancora qualche minuto, telefonò alla filiale della Nordbanken di Ystad. In alcune occasioni, era stato costretto a chiedere un prestito per acquistare un'auto nuova e aveva sempre negoziato con lo stesso funzionario che si chiamava Winberg. Chiese alla centralinista di potergli parlare. Quando la ragazza gli disse che era occupato, Wallander posò il ricevitore e decise di andare direttamente alla banca. Winberg stava parlando con un cliente. Quando scorse Wallander gli fece cenno di sedersi e di aspettare. Dopo cinque minuti, si liberò. «A cosa devo l'onore?» chiese Winberg. «È di nuovo ora di cambiare auto?» Wallander rimaneva sempre sorpreso di trovarsi di fronte impiegati di banca così giovani. La prima volta che aveva chiesto un prestito, si era chiesto se Winberg, che glielo aveva concesso, avesse già raggiunto l'età per prendere la patente. «Sono venuto in veste ufficiale per tutt'altra cosa. L'auto può aspettare.» Winberg smise di sorridere e assunse un'espressione preoccupata. «Qualcosa a che vedere con la nostra banca?» «In questo caso sarei andato dal tuo capo. Ho solo bisogno di alcune informazioni. Sui vostri Bancomat.» «Ovviamente, capirai che per motivi di sicurezza non potrò dirti molto.» Ha usato la stessa frase evasiva che avrei usato anch'io, pensò Wallan-
der. «Si tratta principalmente di domande di carattere tecnico. La prima è molto semplice. Quante volte capita che un Bancomat faccia errori quando registra un prelievo o stampa un estratto conto?» «Succede molto raramente. Ma naturalmente dovrei controllare le statistiche.» «Per me "molto raramente" significa che in pratica non succede mai.» Winberg annuì. «Anche per il sottoscritto.» «Quindi, non dovrebbe esserci alcun rischio che l'indicazione dell'ora possa essere sbagliata?» «Non ne ho mai sentito parlare. Con tutta probabilità può succedere. Ma non molto spesso. Quando si tratta di denaro, il livello di sicurezza è molto elevato.» «Dunque, ci si può fidare dei Bancomat?» «Hai avuto dei problemi?» «No. Ma avevo bisogno di una risposta a queste domande.» Winberg aprì uno dei cassetti della sua scrivania, prese un foglio e lo porse a Wallander. Era una caricatura che ritraeva un uomo che veniva lentamente inghiottito da un Bancomat. «Naturalmente è un'esagerazione. Ma è una buona caricatura» disse Winberg sorridendo. «È chiaro che i computer delle banche sono vulnerabili come qualsiasi altro computer.» Ci risiamo, pensò Wallander. La questione della vulnerabilità torna a galla. Osservò la caricatura e dovette ammettere che era simpatica. «La Nordbanken ha un cliente che si chiama Tynnes Falk» disse. «Ho bisogno di un elenco di tutti i movimenti effettuati sul suo conto negli ultimi anni, incluse le operazioni che Falk ha effettuato usando il Bancomat.» «In questo caso, dovrai rivolgerti alla direzione» disse Winberg. «Quando si tratta del segreto bancario, non sono autorizzato a prendere decisioni.» «Con chi devo parlare?» «Con Martin Olsson. Il suo ufficio è al primo piano.» «Puoi vedere se è libero?» Winberg uscì. Wallander pensò che ora sarebbe stato costretto a districarsi fra i meandri di una lunga ed estenuante procedura burocratica. Ma quando Winberg lo portò nell'ufficio del direttore della filiale, anche
lui sorprendentemente giovane, questi si dimostrò molto disponibile. L'unica cosa necessaria era una richiesta formale da parte della polizia. Quando venne a sapere che l'intestatario del conto era morto, Martin Olsson aggiunse che anche la vedova avrebbe dovuto fare la stessa richiesta. «Tynnes Falk era divorziato» disse Wallander. «Una richiesta scritta da parte della polizia sarà sufficiente» disse Martin Olsson. «Prometto che farò in modo di accelerare le procedure.» Wallander lo ringraziò e tornò nell'ufficio di Winberg. Voleva fargli ancora una domanda. «Puoi controllare se Tynnes Falk avesse una cassetta di sicurezza qui da voi?» «Non credo di essere autorizzato a dirlo» rispose Winberg incerto. «Il tuo capo ha dato l'okay» mentì Wallander. Winberg uscì dall'ufficio. Dopo pochi minuti era di ritorno. «Non c'è alcuna cassetta di sicurezza a nome di Tynnes Falk.» Wallander si alzò. Ma si rimise a sedere immediatamente. Visto che si trovava in banca tanto valeva negoziare il prestito per quella nuova auto che molto presto sarebbe stato costretto ad acquistare. «A proposito dell'automobile» disse. «Avevi ragione. Presto sarà ora di cambiarla.» «Di che somma hai bisogno?» Wallander fece un rapido calcolo mentale. Sapeva di non avere altri debiti. «Centomila corone. Se possibile.» «Nessun problema» rispose Winberg prendendo un modulo. All'una e un quarto tutto era sistemato. Winberg stesso aveva approvato il prestito senza bisogno del beneplacito dall'alto. Wallander lasciò la banca con la dubbia sensazione di essere diventato improvvisamente ricco. Passando davanti alla libreria nella piazza centrale, si ricordò del libro che aveva ordinato per Linda e che avrebbe dovuto ritirare da giorni. In quello stesso istante si ricordò anche che il suo portafoglio era vuoto. Si fermò sui suoi passi, tornò al Bancomat di fianco all'Ufficio postale e si mise in coda. Prima di lui c'erano quattro persone. Una donna con una carrozzina, due giovani ragazze e un uomo anziano. Wallander osservò distrattamente la donna che digitava il suo codice, prendeva il denaro e l'estratto conto. In quel momento iniziò a pensare a Tynnes Falk. Vide le due ragazze ritirare cento corone e poi discutere animatamente su quello che c'era scritto
sull'estratto conto. Prima di inserire la carta di credito e digitare il proprio codice, l'uomo anziano si guardò intorno. Prelevò cinquemila corone e se ne andò. Ora era arrivato il turno di Wallander. Prelevò mille corone e controllò l'estratto conto. Il saldo, la data e l'ora erano corretti. Appallottolò il foglietto e lo gettò nel cestino per la carta. Poi, d'un tratto rimase immobile. Pensò al blackout che aveva lasciato al buio un quarto della Scania. Qualcuno sapeva quali erano i punti deboli della rete di approvvigionamento elettrico. Punti deboli che continuavano a esistere nonostante gli sviluppi tecnologici. Meccanismi delicati in cui i diversi flussi che tutti consideravano inarrestabili potevano improvvisamente rimanere bloccati. Wallander pensò al disegno posato di fianco al computer di Falk. Non era stato messo lì per caso. Come non era stato un caso che il relè fosse stato trovato sulla sua lettiga all'obitorio. Quella visione era stata immediata. Non significava niente di nuovo. Ma improvvisamente, Wallander aveva afferrato qualcosa che fino ad allora era stato sfumato e incerto. Niente di quello che era accaduto era stato frutto di una coincidenza. Il disegno si trovava sulla scrivania perché Tynnes Falk lo aveva usato. Questo significava, a sua volta, che Sonja Hökberg non era stata semplicemente assassinata. Ma che, in qualche modo, era stata sacrificata. Per evitare che la vulnerabilità e il punto debole fossero scoperti. Qualcuno aveva messo una cappa sulla Scania e l'aveva fatta fermare. A quel pensiero, Wallander rabbrividì. La sensazione che lui e i suoi colleghi brancolassero nel buio continuava a dominare. Wallander rimase a fissare le persone che utilizzavano il Bancomat. Ovviamente, se è possibile interrompere l'approvvigionamento di corrente elettrica, è altrettanto possibile mettere fuori uso un Bancomat, pensò. E dio solo sa quante altre funzioni potevano essere bloccate. I computer dei controllori di volo, degli scambi ferroviari, delle centrali idriche e di quelle elettriche. Ma a una sola e unica condizione: sapere quali fossero quei punti deboli. Dove la vulnerabilità si trasforma da minaccia in realtà. Wallander si avviò. Lasciò perdere la libreria e tornò alla centrale di polizia. Irene cercò di parlargli, ma lui fece un cenno negativo con la mano. Gettò la giacca sulla sedia, prese un bloc-notes e si mise a sedere dietro la scrivania. Per diversi minuti, scrisse una nuova versione di tutto quello che era accaduto. Questa volta, Wallander cercò di analizzare gli avvenimenti da una prospettiva completamente nuova. Era possibile, a dispetto di tutto, che alla base dell'intera vicenda vi fosse una qualche forma di piano di sa-
botaggio ben pianificato? Era possibile che quello che stava cercando avesse a che vedere con un sabotaggio? Pensò a quando Falk era stato arrestato per aver fatto fuggire i visoni. Quell'episodio nascondeva forse qualcosa di molto più grande? Era stata un'azione preliminare per quello che sarebbe stato messo in atto in un secondo tempo? Quando Wallander posò la penna e si appoggiò allo schienale della sedia, non era affatto sicuro di avere individuato il punto che gli avrebbe permesso di arrivare a una svolta tale da accelerare i tempi dell'indagine. Ma aveva la sensazione che ci fosse la possibilità di riuscirci. Anche se, in quell'ottica, il delitto di Lundberg rimaneva completamente estraneo al resto. Eppure, tutto ha avuto inizio da lì, pensò. È possibile che sia stato l'inizio di qualcosa che è sfuggito dal controllo? Di qualcosa che non era previsto dai piani? Che ha dovuto essere immediatamente rettificato? Abbiamo subito sospettato, o almeno così crediamo, che Sonja Hökberg sia stata uccisa per evitare che potesse svelare qualcosa. E perché qualcuno ha reciso due dita a Tynnes Falk? Perché c'era qualcosa da nascondere. A quel punto, Wallander si rese conto che esisteva un'altra possibilità. Se l'ipotesi che Sonja Hökberg fosse stata sacrificata era corretta, anche la mutilazione delle dita che Falk utilizzava quando usava la tastiera poteva far parte di un rituale. Wallander riprese a scrivere. Ma questa volta cercò di andare oltre. E se l'assassinio di Lundberg non avesse avuto niente a che fare con quello che era successo dopo? E se la morte di Lundberg fosse stata un errore? Dopo un'altra mezz'ora, iniziò a scoraggiarsi. Era troppo presto. L'ipotesi non reggeva. Ma, a parte tutto, aveva l'impressione di avere fatto un passo avanti. Aveva capito che le possibilità di interpretare gli avvenimenti e i legami che li univano erano più di quante avesse immaginato. Si era appena alzato per andare al bagno quando Ann-Britt bussò alla sua porta. «Avevi ragione» disse Ann-Britt senza perdere tempo. «Sonja Hökberg aveva un ragazzo.» «Come si chiama?» «So come si chiama. Ma non so dove trovarlo.» «Perché?» «È come se fosse sparito nel nulla.» Wallander la fissò. Poi lasciò perdere il bagno e si rimise a sedere. Erano le tre meno un quarto del pomeriggio.
25. In seguito, ripensando a quel pomeriggio in cui era rimasto ad ascoltare quello che Ann-Britt gli diceva, Wallander avrebbe continuato a ripetere a se stesso di avere commesso uno dei più gravi errori della sua vita. Quando Ann-Britt gli disse di avere scoperto che Sonja Hökberg aveva avuto un ragazzo, avrebbe dovuto capire che c'era qualche cosa di strano in quella storia. Quello che Ann-Britt era riuscita a scoprire non era tutta la verità. Ma solo una mezza verità. E, come Wallander sapeva, tutte le mezze verità hanno la tendenza a trasformarsi in menzogne totali. In altre parole, Wallander non vide quello che doveva vedere. Vide tutt'altra cosa. Che, solo in parte, lo portò sulla pista giusta. Wallander pagò il suo errore a caro prezzo. Nei momenti più bui, non riusciva a fare a meno di dirsi che quell'errore era stato la causa principale della morte di un essere umano. Non solo, avrebbe anche potuto contribuire a rendere concreta un'altra catastrofica realtà. Quel lunedì mattina del 13 ottobre, Ann-Britt si era assunta l'incarico di rintracciare il ragazzo che, con tutta probabilità, era stato il compagno di Sonja Hökberg. Ann-Britt aveva iniziato interrogando nuovamente Eva Persson. La confusione su come comportarsi con Eva Persson durante l'indagine preliminare continuava. Ora però, il pm e i responsabili dei servizi sociali erano riusciti a raggiungere un accordo. Temporaneamente, la ragazza era stata rimandata a casa, pur rimanendo sotto sorveglianza. Uno dei motivi alla base di quella decisione era dovuto a quell'istante nella stanza degli interrogatori, quando il fotografo aveva scattato quella disgraziata fotografia. In alcuni ambienti, il fatto che la ragazza fosse rimasta agli arresti nella centrale di polizia aveva sollevato un coro di proteste. Di conseguenza, Ann-Britt l'aveva interrogata a casa sua. Ann-Britt aveva spiegato a Eva Persson, che ora sembrava meno fredda e sfuggente, che non avrebbe avuto nulla da temere dicendo la verità. Ma lei aveva continuato testardamente ad affermare di non conoscere nessun ragazzo intimo di Sonja Hökberg. Kalle Ryss era stato l'unico compagno della ragazza. AnnBritt continuava a non essere certa che dicesse la verità. Ma non era riuscita a raggiungere alcun risultato e si era arresa. Prima di andarsene, aveva parlato a tu per tu con la madre di Eva Persson. Erano andate in cucina e avevano chiuso la porta. Dato che la donna aveva continuato a parlare a voce bassa, aveva pensato che temesse che Eva stesse origliando dietro al-
la porta. Ma anche la donna aveva dichiarato di non sapere nulla. Inoltre, aveva sostenuto che Sonja era la sola colpevole. Era stata lei a uccidere quel povero tassista. Sua figlia era innocente. Senza dimenticare che era stata aggredita da quell'orribile poliziotto che si chiamava Wallander. Ann-Britt aveva interrotto la conversazione bruscamente e se ne era andata. Tornando alla centrale di polizia si era immaginata come Eva Persson avesse immediatamente controinterrogato la madre. Che cosa ti ha chiesto? Che cosa le hai detto? Era andata direttamente al negozio di ferramenta dove lavorava Kalle Ryss. Nel retrobottega, ingombro di casse di chiodi e di motoseghe, avevano parlato. Al contrario di Eva Persson, che dava l'impressione di mentire senza sosta, Kalle Ryss aveva risposto alle domande in modo franco e diretto. Anche se la loro relazione era finita più di un anno prima, il ragazzo non nascose di avere ancora voluto bene a Sonja. Gli mancava, la sua morte lo aveva addolorato e quello che era successo lo spaventava. Ma da quando si erano lasciati, non sapeva molto di quello che Sonja aveva fatto. Anche se Ystad era una piccola città, non capitava che si vedessero molto spesso. E poi, lui passava i fine settimana a Malmö dove aveva una nuova ragazza. «Ma credo che Sonja se la facesse con un altro ragazzo» disse improvvisamente. In verità, Kalle Ryss sapeva poco o quasi nulla del suo successore. Si chiamava Jonas e abitava da solo in una casa in Snapphanegatan. Kalle non ricordava il numero civico, ma disse che poteva essere all'angolo di Friskyttegatan, sulla sinistra arrivando dal centro della città. Non sapeva nient'altro di Jonas Landahl. Ann-Britt era andata immediatamente sul luogo. La prima casa sulla sinistra era una bella villetta moderna. Oltrepassò il cancello e suonò alla porta. Aspettando, ebbe l'impressione che la villetta fosse abbandonata. Aveva suonato diverse volte, ma nessuno aveva aperto. Poi, era andata sul retro e aveva bussato alla porta posteriore, cercando di guardare all'interno dalle diverse finestre. Quando era tornata sui suoi passi, Ann-Britt si era fermata di colpo. Un uomo che indossava una vestaglia e un paio di stivali alti era fermo davanti al cancello. Quando si era avvicinata, le aveva detto di abitare nella casa di fronte e di averla vista arrivare. L'uomo aveva affermato di chiamarsi Yngve, senza dire il proprio cognome. «Non c'è nessuno in quella casa» aveva detto categoricamente. «Neppure il ragazzo.»
La conversazione era stata breve ma interessante. Ovviamente, Yngve teneva sotto stretto controllo i suoi vicini. Aveva immediatamente informato Ann-Britt di essere andato in pensione qualche anno prima, dopo essere stato il responsabile della sicurezza in un ospedale di Malmö. La famiglia Landahl era a dir poco stramba. Si erano trasferiti in quella villa con il loro figlio da una decina di anni. L'avevano comprata da un ingegnere che si era trasferito a Karlstad. Yngve non aveva mai saputo di che cosa si occupasse il signor Landahl. Quando avevano preso possesso della villetta non si erano curati di presentarsi ai vicini. Erano arrivati con i loro mobili e il figlio, e da allora si facevano vedere molto raramente. A quei tempi, il ragazzo doveva avere dodici o tredici anni ed era spesso lasciato solo. I genitori partivano per lunghi periodi, ma nessuno sapeva dove andassero. Di tanto in tanto tornavano per ripartire altrettanto improvvisamente. E il ragazzo rimaneva nuovamente solo. Era gentile, salutava ma non andava mai oltre. Faceva la spesa, ritirava la posta e rimaneva sempre alzato fino a tardi. In una delle ville del quartiere, abitava una professoressa che insegnava nella scuola che Jonas frequentava. La donna aveva detto che il ragazzo era un buon alunno. Le cose erano andate avanti in quel modo. Il ragazzo cresceva e i suoi genitori continuavano a partire per viaggi con destinazioni ignote. Per un certo periodo, visto che non sembravano lavorare, si era sparsa la voce che avessero vinto una grossa somma al totocalcio o forse al lotto. In ogni caso, il denaro non gli mancava. L'ultima volta che qualcuno li aveva visti era stato a settembre. Da allora il ragazzo, che era ormai cresciuto, era rimasto solo come sempre. Ma alcuni giorni prima, un taxi si era fermato davanti alla casa e Jonas se ne era andato. «Dunque la casa è vuota?» aveva chiesto Ann-Britt. «Non c'è nessuno.» «Quando è arrivato il taxi?» «Mercoledì scorso. Nel pomeriggio.» Ann-Britt immaginò quel pensionato di nome Yngve seduto alla finestra della sua cucina a controllare i movimenti dei suoi vicini. C'è chi, per far passare il tempo, guarda i treni e c'è chi spia i propri vicini, pensò AnnBritt. «Ricorda di quale società di taxi si trattava?» «No.» Risposta fasulla, pensò Ann-Britt. Lo ricordi benissimo. Forse anche il modello dell'auto e il numero di targa. Ma non vuoi che io pensi quello che ho già capito. Che ti diverti a spiare i tuoi vicini.
«Ancora una cosa» disse Ann-Britt. «Le sarei grata se ci telefonasse non appena Jonas torna a casa.» «Che cosa ha fatto?» «Assolutamente niente. Abbiamo solo bisogno di parlargli.» «Di cosa?» La curiosità dell'uomo non aveva limiti. Ann-Britt scosse il capo. L'uomo non ripeté la domanda. Ma era chiaro che era irritato. Come se AnnBritt avesse in qualche modo infranto le regole del buon vicinato. Quando tornò nel suo ufficio fu fortunata. In meno di quindici minuti riuscì a localizzare la società dei taxi e il tassista che aveva effettuato la corsa in Snapphanegatan. Una decina di minuti dopo, il tassista, che si chiamava Östensson, era seduto nell'ufficio di Ann-Britt. Era sulla trentina e portava il lutto al braccio. Capì che era per Lundberg. Sin dalla prima domanda, Ann-Britt aveva capito che l'uomo aveva una buona memoria. «Ho ricevuto la chiamata poco prima delle due. Ha dato il nome Jonas.» «Niente cognome?» «Credevo che quello fosse il cognome. Oggi la gente porta i cognomi più strani.» «Un solo passeggero?» «Sì. Un uomo giovane. Educato.» «Aveva molti bagagli?» «Una piccola valigia con le ruote. Nient'altro.» «Dove ti ha chiesto di portarlo?» «Al terminal dei traghetti.» «Andava in Polonia?» «È lì che vanno tutti i traghetti da Ystad.» «Che impressione ti ha fatto?» «Nessuna, a parte che, come ho detto, era gentile.» «Ti è sembrato preoccupato?» «No.» «Ti ha detto qualcosa?» «No. È rimasto seduto a guardare fuori dal finestrino. Mi ricordo che mi ha lasciato la mancia.» Östensson non ricordava altro. Ann-Britt lo ringraziò per la collaborazione. Poi, aveva deciso di chiedere l'autorizzazione per entrare nella villa in Snapphanegatan. Aveva parlato con il pm che aveva dato il proprio consenso.
Mentre stava per lasciare il suo ufficio, ricevette una telefonata dall'asilo nido. Suo figlio più piccolo stava male e vomitava. Ann-Britt era andata a prenderlo e lo aveva portato a casa. Dopo qualche ora, il malessere era passato. A quel punto, aveva chiesto a una sua vicina fidata se poteva prendersi cura del bambino, quindi era tornata alla centrale di polizia ed era andata immediatamente da Wallander. «Abbiamo le chiavi?» chiese Wallander. «Avevo pensato di far intervenire un fabbro.» «Neanche per sogno. È una porta blindata?» «No, c'è una normale serratura di sicurezza.» «Nessun problema. Me la caverò da solo.» «È bene che tu sappia che c'è un vicino che indossa vestaglia e stivali che controlla tutto quello che succede dalla finestra della sua cucina.» «Dovrai andare a parlargli. Tienilo occupato con una bella storia. Digli che il suo spirito di osservazione ci è stato di grande aiuto. Chiedigli di continuare a controllare. Naturalmente non dire una sola parola di quello che abbiamo intenzione di fare. Se esiste un vicino curioso, ce ne sono certamente altri.» Ann-Britt scoppiò in una risata. «Sono sicura che ci cadrà. È proprio il tipo.» Salirono nell'auto di Ann-Britt e si diressero verso Snapphanegatan. Come sempre, Wallander trovava che Ann-Britt fosse una pessima guidatrice. Aveva pensato di parlare dell'album di fotografie che aveva sfogliato quella mattina. Ma la paura di un incidente non gli permetteva di concentrarsi. Mentre Wallander si occupava della serratura, Ann-Britt era andata a distrarre l'attenzione del vicino curioso. Anche Wallander ebbe l'impressione che la casa fosse abbandonata. Era appena riuscito ad aprire la porta, quando Ann-Britt lo raggiunse. «Da questo momento, l'uomo in vestaglia è in forza alla squadra investigativa» disse. «Spero che tu non gli abbia detto che stiamo cercando il ragazzo in relazione all'assassinio di Sonja Hökberg.» «Che opinione hai di me?» «Solo la migliore.» Wallander aprì la porta e scivolarono all'interno. «C'è qualcuno in casa?» gridò Wallander. Le parole echeggiarono nel vuoto. Nessuno rispose.
Iniziarono a controllare lentamente stanza dopo stanza. Tutto era ben ordinato e al suo posto. Anche se il ragazzo se ne era andato in fretta, non c'era traccia di scompiglio. L'ordine era esemplare. Ma i mobili e i quadri davano una sensazione di impersonalità. Come se tutto fosse stato comprato in una sola volta solo per riempire un certo numero di stanze vuote. Su un ripiano c'era una fotografia di una coppia giovane con un bambino. Era l'unico oggetto personale. Su un tavolo c'era un telefono. La spia della segreteria telefonica lampeggiava. Wallander schiacciò il tasto dell'ascolto. Un negozio di informatica di Lund avvertiva che il modem ordinato era disponibile. Poi qualcuno si scusava per avere sbagliato numero ma senza dire il proprio nome. Il terzo messaggio era quello che Wallander aveva sperato di sentire. Era la voce di Sonja Hökberg. Wallander la riconobbe immediatamente. Ann-Britt ebbe bisogno di qualche secondo per capire chi fosse. «Ti richiamo. È importante. Ti richiamo.» Ascoltarono il breve messaggio una seconda volta. «Molto bene» disse Wallander. «Ora siamo sicuri che Sonja e questo Jonas si conoscevano. E lei non ha neppure detto il suo nome.» «Può essere questa la telefonata che cercavamo? Quella che Sonja ha fatto quando è fuggita?» «È probabile.» Wallander andò in cucina, aprì la porta che dava sul retro della casa e raggiunse il garage. All'interno c'era un'auto. Una Golf di colore blu scuro. «Telefona a Nyberg» disse ad Ann-Britt. «Voglio che quest'auto sia controllata minuziosamente.» «È in questa auto che Sonja è andata incontro alla sua morte?» «Forse. Non possiamo escluderlo.» Ann-Britt iniziò a cercare Nyberg. Nel frattempo, Wallander salì al piano superiore. C'erano quattro stanze da letto. Ma solo due erano state usate. Quella dei genitori e quella del figlio. Wallander aprì l'armadio nella stanza dei genitori. Tutto era in perfetto ordine. Ann-Britt entrò nella stanza. «Nyberg sta arrivando» disse, avvicinandosi e guardando all'interno dell'armadio. «Hanno buon gusto. E i soldi per permetterselo.» Sul fondo dell'armadio, Wallander aveva trovato un guinzaglio per cani e una frusta di cuoio.
«Forse hanno anche buon gusto per certi passatempi trasgressivi» disse Wallander con una smorfia. «Sembra che sia di moda oggigiorno» disse Ann-Britt sorridendo. «Dicono che si scopi meglio con un sacchetto di plastica in testa, corteggiando un po' la morte.» Wallander rimase colpito dalle parole usate da Ann-Britt. Si sentiva imbarazzato. Ma, naturalmente, non disse nulla. Entrarono nella stanza del ragazzo. Era insolitamente spartana. Pareti nude, un letto. Una grande scrivania e un computer. «Chiederemo a Martinsson di dargli un'occhiata» disse Wallander. «Vuoi che lo accenda?» «No. Aspettiamo.» Tornarono al pianterreno. Wallander iniziò a controllare le carte e le ricevute nei cassetti della cucina finché non trovò quello che cercava. «Non so se lo hai notato» disse. «Ma non c'era alcun nome sulla porta. Il che è una cosa abbastanza strana. Qui ci sono alcune offerte pubblicitarie intestate a Harald Landahl. Il padre di Jonas.» «Facciamo diramare un avviso di ricerca?» «Non ancora. Prima dobbiamo riuscire a saperne qualcosa di più.» «Pensi che sia stato lui a ucciderla?» «Non è sicuro. Ma pare che la sua partenza sia stata molto improvvisa. Quasi una fuga.» Mentre aspettavano che arrivasse Nyberg, controllarono gli altri cassetti e gli armadi. Ann-Britt trovò diverse fotografie che ritraevano una casa di recente costruzione in Corsica. «Era lì che andavano i suoi genitori?» «Può essere.» «Ci si può chiedere dove prendessero i soldi.» «Per il momento è il figlio che ci interessa.» Qualcuno suonò alla porta. Nyberg e i suoi tecnici erano arrivati. Wallander fece loro strada fino al garage. «Le impronte digitali» disse. «Eventualmente rilevate anche altrove. Sulla borsetta di Sonja Hökberg ad esempio. Ma anche nell'appartamento di Tynnes Falk. O in Runnerströms Torg. Ma soprattutto guarda se ci sono tracce che indichino che l'auto è stata alla centrale elettrica. E se Sonja vi sia mai salita.» «Allora inizieremo dai pneumatici» disse Nyberg. «Non ci vorrà molto. Se ricordi, abbiamo trovato tracce di pneumatici che non siamo riusciti a
identificare.» Wallander rimase in attesa. Nyberg impiegò meno di dieci minuti per dargli la risposta che sperava di sentire. «Le tracce dei pneumatici corrispondono» disse Nyberg dopo avere controllato le fotografie di quelle rilevate nella centrale elettrica. «Ne sei sicuro?» «È ovvio che no. Ci sono migliaia di pneumatici che sono quasi esattamente simili. Ma come puoi vedere quello posteriore di sinistra era leggermente sgonfio. Inoltre è più consumato sulla parte interna, segno che le ruote non erano equilibrate correttamente. Questo aumenta notevolmente la possibilità che si tratti della stessa auto.» «In altre parole, ne sei sicuro?» «Non potrei esserlo di più.» Wallander lasciò il garage. Ann-Britt stava controllando il soggiorno. Wallander rimase in cucina. Sto facendo la cosa giusta?, si chiese. O forse devo far diramare un avviso di ricerca senza perdere altro tempo? In preda a un'improvvisa inquietudine, tornò al piano superiore. Entrò nella stanza di Jonas Landahl e si guardò intorno. Poi si alzò e aprì l'armadio. Niente di particolare attirò la sua attenzione. Si alzò in punta di piedi e passò la mano sui ripiani superiori. Niente. Tornò alla scrivania e fissò il computer. Spinto da un impulso sollevò la tastiera. Niente. Rimase a riflettere un attimo, poi andò verso la scala e chiamò Ann-Britt. Tornarono insieme nella stanza. Wallander indicò il computer. «Vuoi che lo accenda?» Wallander annuì. «Allora, non vuoi aspettare Martinsson?» Nella voce di Ann-Britt c'era una chiara sfumatura di ironia. Forse poco prima, Wallander l'aveva offesa. Ma in quel preciso momento non se ne curò. Quante volte era stato offeso in tutti i suoi anni di carriera? Da altri poliziotti, dai criminali, dai pm e dai giornalisti, e ancor più da quelli che appartenevano a quella che chiamava "la cittadinanza". Ann-Britt si sedette alla scrivania e accese il computer. Dopo alcuni secondi, lo schermo si illuminò e apparve una sequenza di icone. «Cosa vuoi che cerchi?» «Non lo so.» Ann-Britt attivò una delle icone a caso. A differenza del computer di Falk, non ci fu bisogno di alcuna password. Ma il file era vuoto. Wallander si era messo gli occhiali e si era chinato in avanti sopra le
spalle di Ann-Britt. «Prova ad aprire il file che si chiama Corrispondenza.» Anche questa volta, il file era vuoto. «Che cosa significa?» chiese Wallander. «Significa che il file è vuoto.» «Che è stato svuotato. Continua.» Ann-Britt continuò ad aprire i documenti, ma sempre con lo stesso risultato. «È molto strano. Non c'è assolutamente nulla.» Wallander si guardò intorno alla ricerca di dischetti o di qualcosa di simile. Ma non trovò nulla. Ann-Britt spostò il cursore sull'icona che indicava le risorse del computer. «Il pc è stato usato il 9 ottobre» disse. «Il 9 era giovedì.» Si scambiarono uno sguardo. «Il giorno dopo la partenza di Jonas per la Polonia?» «Il tassista ha detto di averlo portato al terminal dei traghetti e non credo che abbia mentito.» Wallander si mise a sedere sul letto. «Che cosa ne pensi?» «Mi sembra che ci possano essere solo due ipotesi. O Jonas è tornato, o qualcuno è stato qui.» «E quel qualcuno che è stato qui ha eliminato tutti i file dal computer?» «Senza alcuna difficoltà. Non occorre alcuna password.» Wallander cercò di usare le poche e scarse conoscenze di informatica e della relativa terminologia che conosceva. «È possibile che anche un'eventuale password possa essere stata rimossa?» «Naturalmente la persona che ha eliminato i file ha potuto eliminare anche la password.» «E azzerare tutto?» «Naturalmente, può avere lasciato delle tracce» disse Ann-Britt. «Che cosa significa?» «È qualcosa che Martinsson può spiegarti meglio della sottoscritta.» «Cerca di farlo comunque.» «Immaginiamo che questo computer sia come una casa che è stata svuotata di tutti i mobili, e questi mobili hanno lasciato delle tracce. Le gambe
delle sedie hanno lasciato dei graffi sul parquet. Oppure il legno è più chiaro o più scuro, a seconda della posizione e dei raggi del sole.» «È come quando uno toglie un quadro da una parete» disse Wallander. «E questo che vuoi dire?» «Martinsson mi ha parlato di una cassaforte dei computer. Da qualche parte rimane qualcosa di quello che c'era una volta. Niente sparisce del tutto. A meno che l'hard disk non venga distrutto, è possibile ricostruire quello che in teoria è stato eliminato. È stato eliminato ma c'è ancora.» Wallander scosse il capo. «Capisco senza essere convinto» disse. «Quello che mi interessa di più al momento è sapere se qualcuno ha usato questo computer al più tardi il 9 di questo mese.» «Per tutta sicurezza lascia che controlli i giochi» disse Ann-Britt spostando il cursore sull'unica icona che non aveva ancora utilizzato. «Ecco un gioco che non ho mai sentito nominare» disse. «Si chiama La palude di Jakob.» Ann-Britt provò a lanciare il gioco, ma scosse il capo. «Qui non c'è assolutamente nulla. Mi chiedo perché l'icona sia rimasta.» Iniziarono a rovistare nella stanza alla ricerca di dischetti. Ma non ne trovarono. Wallander sapeva per intuito che il fatto che il computer fosse stato utilizzato il 9 ottobre era determinante per l'indagine. Qualcuno aveva eliminato tutti i file. Ma Wallander non sapeva se fosse stato Jonas Landahl a farlo o qualcun altro. Alla fine si arresero. Wallander andò nel garage e chiese a Nyberg di passare al setaccio tutta la casa alla ricerca di dischetti. Era importante, e doveva farlo dopo avere terminato di controllare l'auto. Quando tornò nella casa, Ann-Britt stava parlando al telefono con Martinsson. Gli passò il cellulare. «Come va?» chiese Wallander. «Robert Modin è un giovane molto ostinato» disse Martinsson. «Per pranzo ha mangiato una specie di strano panino, e prima che io avessi finito di masticare, mi ha chiesto di ricominciare.» «Risultati?» «Si ostina a dire che il numero 20 è importante. Continua a riapparire qua e là. Ma non è ancora riuscito a superare il muro.» «Cosa significa?» «È un suo modo di dire. Non è ancora riuscito a superare i blocchi. Ma è sicuro che la password è formata da due parole, o da una combinazione di
una cifra e una parola. Non chiedermi come fa a saperlo.» Wallander spiegò brevemente dove si trovava e quello che era successo. Terminata la conversazione, chiese ad Ann-Britt di andare nuovamente a parlare con il vicino. Era sicuro della data? Aveva visto qualcun altro muoversi nelle vicinanze della casa giovedì 9 ottobre? Ann-Britt se ne andò. Wallander si mise a sedere sul divano e cercò di riflettere. Ma quando Ann-Britt tornò dopo venti minuti, non era riuscito ad arrivare a una conclusione. «Prende appunti» disse Ann-Britt. «Roba da non crederci. È questo che la gente sogna di fare quando va in pensione? In ogni caso ha detto di essere sicuro. Jonas Landahl se ne è andato mercoledì.» «E il 9?» «Nessuno si è avvicinato alla casa. Ma ha confessato che non sta tutte le ore del giorno seduto alla finestra della cucina.» «E questo è già qualcosa» disse Wallander. «Può essere stato Jonas Landahl. Ma può anche essere stato qualcun altro. L'unica cosa che siamo riusciti ad appurare è che tutto è ancora poco chiaro.» Erano ormai le cinque. Prima di andare a prendere i figli, Ann-Britt avvertì che avrebbe potuto tornare più tardi. Ma Wallander le disse che non era necessario. Se fosse accaduto qualcosa di importante le avrebbe telefonato. Wallander tornò per la terza volta nella stanza del ragazzo, si mise in ginocchio e guardò sotto il letto. Ann-Britt lo aveva già fatto. Ma voleva controllare con i propri occhi che non ci fosse niente. Poi, si rialzò e si distese sul letto. Supponiamo che nasconda qualcosa di importante nella stanza, pensò. Qualcosa che vuole vedere per prima quando si alza al mattino. Lasciò scorrere lo sguardo lungo le pareti. Niente. Stava per alzarsi quando notò che una libreria di fianco all'armadio aveva una strana inclinazione. Si vedeva chiaramente rimanendo distesi sul letto. Wallander si mise a sedere. L'inclinazione sparì. Si avvicinò alla libreria e si accovacciò. La base della libreria era stata sollevata con due minuscoli cunei. Passò la mano sotto il ripiano più basso. Lo spazio non era di più di tre centimetri, ma sentì subito qualcosa. Con uno sforzo lo estrasse, ma aveva già capito che si trattava di un dischetto. Prima di tornare alla scrivania, prese il cellulare e chiamò Martinsson. Gli diede l'indirizzo e gli disse che per un po' Robert Modin poteva continuare a lavorare al computer di Tynnes Falk da solo. Martinsson arrivò dopo un quarto d'ora. Accese il computer e inserì il
dischetto. Un titolo apparve sullo schermo, Wallander si chinò in avanti e lesse: La palude di Jakob. Il gioco che Ann-Britt non aveva mai sentito nominare. Il senso di delusione fu immediato. Martinsson aprì il dischetto. C'era un unico documento. Era stato usato per l'ultima volta il 29 settembre. Martinsson diede un nuovo comando. Sullo schermo apparve una strana frase. I visoni devono essere liberati. «Che cosa significa?» chiese Martinsson. «Non saprei» ripose Wallander. «Ma questa frase conferma un ulteriore legame. Questa volta fra Jonas Landahl e Tynnes Falk.» Martinsson lo fissò senza capire. «Ti sei dimenticato che, anni fa, Falk è stato condannato a pagare un'ammenda per avere partecipato a un'incursione di ambientalisti contro un allevamento di visoni?» Martinsson annuì lentamente. «Mi chiedo se Jonas Landahl non fosse uno di quelli che riuscirono a dileguarsi nel buio. La polizia non fu mai in grado di identificarli.» Martinsson non sembrava convinto. «Si tratta di visoni?» «No» disse Wallander. «Non credo proprio. Ma dobbiamo trovare Jonas Landahl il più presto possibile.» 26. Alle prime luci dell'alba di martedì 14 ottobre a Luanda Carter fu costretto a prendere una decisione importante. Aveva aperto gli occhi nella penombra e aveva ascoltato il sibilo dell'aria condizionata. Udendo un vago rumore estraneo misto al brusio dell'aria fredda che soffiava nella stanza, Carter si disse che presto sarebbe venuto il momento di far pulire le ventole dell'impianto. Si era alzato, aveva preso le pantofole e le aveva scosse nel caso qualche insetto si fosse infilato all'interno, aveva indossato la vestaglia ed era sceso in cucina. Attraverso la grata della finestra vide uno dei guardiani notturni, con tutta probabilità José, che dormiva raggomitolato sulla vecchia sedia a sdraio. Roberto, al contrario, era fermo immobile al suo posto, lo sguardo fisso al di là del cancello. Presto, avrebbe preso una delle grandi ramazze e avrebbe iniziato a ripulire il viale. Quando udiva quel suono, Carter provava un profondo senso di sicurezza. C'era qualcosa di eterno e rassicurante in un gesto che si ripeteva giorno dopo
giorno. Roberto e la sua scopa erano il simbolo di una vita che scorre tranquilla. Senza sorprese o tensioni. Solo una sequenza di movimenti e suoni ritmici quando la scopa spazzava via la sabbia, la ghiaia e i rami caduti. Carter prese la bottiglia dell'acqua bollita che era rimasta nel frigorifero tutta la notte. Riempì due grandi bicchieri e li bevve a piccoli sorsi. Poi, andò al piano superiore e si mise a sedere davanti al computer che lasciava sempre acceso. Era collegato a una potente batteria di riserva, ed era dotato di uno stabilizzatore di corrente per bilanciare i cali di tensione. Carter notò subito di avere ricevuto un'e-mail da Cheng. La scaricò e la lesse lentamente e poi rimase seduto appoggiato allo schienale della sedia. Le cose non andavano bene. Il testo del messaggio lo confermava chiaramente. Cheng aveva fatto tutto quello che Carter gli aveva ordinato di fare. Ma era chiaro che il poliziotto continuava le sue ricerche sul computer di Falk. Carter non temeva che riuscisse a entrare nel sistema. E se, contro ogni aspettativa, vi fosse riuscito, non avrebbe capito nulla di ciò che avrebbe visto. Ma nel messaggio che aveva inviato durante la notte, Cheng aveva fatto un'altra osservazione inquietante. Evidentemente, la polizia aveva reclutato un giovane che l'aiutasse. I giovani esperti di informatica erano una fonte di preoccupazione per Carter. In diverse occasioni aveva discusso con Falk il problema di questi piccoli geni emergenti. Erano quelli che riuscivano a introdursi nella rete segreta ed erano in grado di leggere e interpretare i protocolli elettronici più complicati. Ora, Cheng diceva di sospettare che il giovane, che a quanto sembrava si chiamava Robert Modin, fosse uno di quei geni. Inoltre, nel suo messaggio Cheng faceva presente che alcuni hacker svedesi erano riusciti a entrare nei programmi dei ministeri della Difesa di diversi paesi. Può essere uno dei pericolosi giovani eretici, pensò Carter. Gli eretici dei nostri tempi. Che rifiutano di lasciare in pace l'informatica e i suoi segreti. Nel passato, persone come Modin sarebbero state messe al rogo. A Carter questa storia non piaceva per niente, come non gli piaceva tutto quello che era successo negli ultimi tempi. Tynnes Falk era morto troppo presto e lo aveva lasciato solo ad affrontare tutti i problemi e a prendere le decisioni necessarie. Carter era stato costretto a effettuare un immediato repulisti e non aveva avuto molto tempo per riflettere. Anche se non aveva preso alcuna decisione senza prima consultare il programma speciale che aveva rubato dall'Università di Harvard e avere richiesto una valutazione delle misure che aveva deciso di prendere, quel controllo non era stato suf-
ficiente. Trafugare il corpo di Falk era stato un errore. Forse non sarebbe stato neppure necessario uccidere la ragazza. Ma lei avrebbe potuto parlare. Nessuno sapeva. E la polizia non sembrava arrendersi. Non era la prima volta che gli capitava. Aveva già visto altri seguire una pista testardamente. Come quelli che inseguivano un animale ferito nella macchia. Già da alcuni giorni ormai si era reso conto che il poliziotto che si chiamava Wallander era a capo di tutto. Cheng era stato molto chiaro su quel punto. Per questo avevano deciso di eliminare il poliziotto. Ma avevano fallito. E il poliziotto continuava la sua ricerca con la stessa tenacia. Carter si alzò e andò alla finestra. La città non si era ancora svegliata. L'alba africana era piena di profumi. Cheng è affidabile, pensò. Dimostrava quel tipo di devozione asiatica che, un tempo, Carter e Falk avevano capito sarebbe potuta tornare utile. Ma la questione era se questo fosse sufficiente. Carter si mise a sedere davanti al computer e iniziò a scrivere. Il programma doveva dargli alcuni consigli. Impiegò meno di un'ora per immettere tutti i dati, per definire le alternative che aveva scelto e per chiedere una prognosi. Il programma non aveva nulla di umano. Non dimostrava alcuna esitazione o altri sentimenti che potevano offuscare il suo giudizio. La risposta arrivò dopo pochi secondi. Non vi era alcun dubbio. Carter aveva inserito il lato debole che aveva individuato in Wallander. Una debolezza che rappresentava un'occasione. L'occasione per colpire il poliziotto in modo concreto. Tutti gli esseri umani hanno dei segreti, pensò Carter. Così è anche per quest'uomo che si chiama Wallander. Segreti e debolezze. Carter riprese a scrivere. Era ormai pieno giorno e quando finì, Celina aveva cessato di fare baccano giù in cucina. Prima di ritenersi soddisfatto, Carter rilesse tre volte quello che aveva scritto. Schiacciò il pulsante dell'invio e il suo messaggio svanì nello spazio elettronico. Non riusciva a ricordare chi avesse usato il paragone per primo. Con tutta probabilità era stato Falk a parlare di un nuovo tipo di astronauti che navigavano nel nuovo spazio che li circondava. «Gli amici nello spazio» aveva detto. «Siamo noi.» Scese in cucina a fare colazione. Ogni mattina, aveva l'abitudine di osservare Celina di nascosto per vedere se fosse di nuovo incinta. In quel caso, aveva deciso di licenziarla. Entrò e le diede una lista che aveva compilato la sera prima. Era la lista della spesa che Celina doveva fare al merca-
to. Come ogni volta, per assicurarsi che capisse, Carter le fece leggere ad alta voce quello che aveva scritto. Le diede il denaro e poi andò ad aprire le due porte di entrata. Aveva calcolato che ogni mattina doveva aprire sedici serrature diverse. Celina uscì di casa. La città si era svegliata. Ma la casa, che un tempo era stata fatta costruire da un medico portoghese, aveva mura spesse. Finita la colazione, Carter tornò al piano superiore in completo silenzio. Quello strano silenzio nel mezzo del baccano africano. Vide subito la luce intermittente sullo schermo. Aveva ricevuto un saluto dallo spazio. Si mise a sedere e lesse il messaggio. Rimase seduto a lungo con gli occhi fissi sullo schermo. Alla fine, si alzò e andò a vestirsi. Mancava poco meno di una settimana. Poi l'onda elettronica avrebbe cominciato a travolgere il mondo. Poco dopo le sette di lunedì sera, Wallander e Martinsson erano esausti. Avevano lasciato la casa a Snapphanegatan ed erano tornati alla centrale di polizia. Nyberg aveva continuato a lavorare nel garage insieme ai suoi uomini con il suo solito ritmo e la solita efficienza, ma anche in preda a una sorta di rabbia latente che veniva alla superficie solo di rado. A volte, nella sua mente, Wallander aveva paragonato Nyberg a una mina vagante che per circostanze fortuite non esplodeva mai. Insieme a Martinsson, Wallander aveva cercato di capire che cosa fosse successo. Era stato Jonas Landahl a svuotare il suo computer? In questo caso, se veramente non voleva che qualcuno potesse accedere ai suoi documenti, perché aveva lasciato il dischetto sotto la libreria? Forse pensava che fosse stato cancellato anche il contenuto del dischetto? Ma allora, perché si era preso la briga di nasconderlo sotto la libreria? Le domande erano tante, ma non c'era alcuna vera risposta. Martinsson avanzò cautamente l'ipotesi che il messaggio incomprensibile - i visoni devono essere liberati fosse stato lasciato con intenzione. Perché fosse trovato e per portarli su una falsa pista. Ma è veramente una falsa pista?, pensò Wallander avvilito. Di piste giuste, non ne abbiamo nemmeno una. Avevano anche valutato se fosse veramente necessario emettere un avviso di ricerca per Jonas Landahl quella sera stessa. Ma Wallander esitava. Non avevano ancora un vero motivo per farlo. Almeno non prima che Nyberg avesse finito di controllare a fondo l'auto. Martinsson non era d'accordo, e fu proprio in quel momento, mentre non riuscivano a raggiungere un'intesa, che iniziarono a
provare un senso di terribile stanchezza. O era forse qualcosa di più simile all'amarezza? Wallander si sentiva in colpa perché non riusciva a portare l'indagine sulla strada giusta. E sospettava che Martinsson pensasse la stessa cosa. Tornando alla centrale di polizia, erano passati davanti a Runnerströms Torg. Mentre Martinsson saliva nella mansarda per dire a Robert Modin che per quel giorno poteva bastare, Wallander era rimasto ad aspettare in macchina. I due erano scesi insieme e dopo alcuni minuti era arrivata l'auto che avrebbe portato il giovane a casa. Martinsson aveva riferito a Wallander che Modin avrebbe preferito rimanere davanti a quell'enigma informatico per tutta la notte. Forse, aveva aggiunto Martinsson, perché non era ancora riuscito a fare dei passi avanti. Ma continuava a sostenere testardamente che la cifra 20 era importante. Arrivati alla centrale di polizia, Martinsson controllò subito se il nome di Landahl compariva nei registri, in particolare in quelli relativi ai vari gruppi che si battevano contro il commercio di animali da pelliccia, e prendevano di mira gli allevamenti di visoni. Ma non era riuscito a ottenere alcun risultato: accesso impossibile. A quel punto, aveva spento il suo computer ed era andato alla mensa dove Wallander era seduto con uno sguardo assente davanti a una tazza di caffè freddo. I due decisero di andarsene a casa. Wallander rimase nella mensa ancora qualche minuto, troppo stanco per pensare, troppo esausto per riuscire a trovare la forza di alzarsi. L'ultima cosa che fece fu chiedere di cosa si stesse occupando Hansson. Irene gli disse che Hansson era andato a Växjö. Poi, Wallander aveva telefonato a Nyberg: il lavoro dei suoi tecnici stava andando avanti e per il momento non c'erano novità. Prima di tornare a casa, si era fermato a fare la spesa in un negozio vicino a Mariagatan. Quando arrivò alla cassa si accorse di avere dimenticato il portafoglio sulla scrivania dell'ufficio. Ma la cassiera lo conosceva e gli fece credito. La prima cosa che fece appena tornato a casa fu scrivere in stampatello, su un foglio di carta, un promemoria: tornare al negozio per pagare. Poi posò il foglio sul tappeto davanti alla porta d'ingresso. Quindi si preparò un piatto di spaghetti alla bolognese che mangiò nel soggiorno davanti alla tv. Per una volta, era riuscito a cucinare un piatto decente e gustoso. Passò da un canale all'altro e alla fine decise di guardare un film. Ma, visto che era iniziato da più di mezz'ora, non riuscì a seguire la trama. Pensò distrattamente che in realtà voleva guardare un altro film. Un film con Al Pacino. Alle undici, staccò il telefono e andò a letto. Il lampione fuori dalla finestra era immobile. Wallander si addormentò in pochi minu-
ti. Il martedì mattina si svegliò riposato poco prima delle sei. Durante la notte aveva sognato suo padre. E Sten Widén. Tutti e tre si stavano muovendo in uno strano paesaggio pietrificato. Nel sogno, Wallander era stato sempre in preda al timore di perderli di vista. Sono anch'io in grado di interpretare un sogno di questo genere, si disse alzandosi. Come un bambino, ho ancora paura di essere lasciato solo. Il telefono squillò. Era Nyberg. Come sempre non perse tempo. A qualsiasi ora telefonasse, Nyberg presumeva che la persona con la quale voleva parlare fosse già sveglia. Mentre, dal canto suo, continuava a lamentarsi che i colleghi gli telefonavano alle ore più inconsuete per fargli le domande più strane. «Sono tornato da poco al garage in Snapphanegatan» iniziò. «E ho trovato qualcosa infilato nel sedile posteriore che ieri ci era sfuggito.» «Che cos'è?» «Una gomma da masticare. Spearmint. Al gusto di limone.» «Era incollata sotto il sedile?» «No. È ancora nel suo involucro, infilata fra il sedile e lo schienale. Se fosse stata sotto, l'avremmo trovata ieri. Wallander andava avanti e indietro a piedi nudi sul pavimento gelido della cucina. «Bene» disse. «Ci sentiamo più tardi.» Mezz'ora dopo, aveva fatto una doccia e si era vestito. Decise di bere il caffè alla mensa della centrale di polizia. Quando arrivò in strada, non c'era vento. Aveva pensato di andare al lavoro a piedi quel mattino. Ma cambiò idea e prese l'auto, scacciando i rimorsi di coscienza. Quando entrò nella centrale, notò che Irene non era ancora arrivata. Ebba sarebbe sicuramente stata al suo posto, pensò, anche se ufficialmente iniziava a lavorare alle sette. Ebba sapeva sempre per istinto quando avevo bisogno di parlarle. Poi, mentre si versava una tazza di caffè alla mensa, Wallander si disse che era stato ingiusto nei riguardi di Irene. Nessuno poteva essere paragonato a Ebba. Quel giorno era in programma un esteso controllo del traffico a Ystad. Wallander scambiò alcune parole con un agente, secondo il quale la gente non rispettava i limiti di velocità e guidava dopo avere bevuto, spesso e volentieri senza patente. Wallander ascoltò pazientemente, pensando che i membri del corpo di polizia fossero una categoria speciale di esseri che si lamentavano in continuazione. In quello stesso momento scorse Irene.
«Ricordi che giorni fa ti ho chiesto se avevi da prestarmi una gomma da masticare?» «La gomma da masticare non è una cosa che si presta. Te l'ho regalata. O l'ho regalata a quella ragazza, se preferisci.» «Di che marca era?» «Era una normale Spearmint.» Wallander annuì. «È tutto?» chiese Irene sorpresa. «Proprio così.» Wallander si avviò con la tazza di caffè in mano. Aveva fretta di sedersi e seguire il filo dei suoi pensieri. Compose il numero di casa di Ann-Britt. Quando lei rispose, Wallander udì il pianto di un bambino non molto lontano. «Devo chiederti un favore» disse. «Voglio che tu chieda a Eva Persson quale gusto di gomma da masticare preferisce. E devi chiederle anche cosa preferiva Sonja Hökberg. È importante.» «Perché è importante?» «Te lo spiegherò quando arrivi.» Ann-Britt richiamò dopo dieci minuti. Il bambino non si era ancora calmato. «Ho parlato con sua madre. Ha detto che la figlia cambia continuamente il gusto delle gomme da masticare. Non posso immaginare che menta su una cosa simile.» «Dunque, controlla i gusti che sua figlia sceglie.» «Le madri riescono a sapere quasi tutto delle loro figlie.» «Oppure assolutamente nulla.» «Proprio così.» «E Sonja?» «Possiamo partire dal presupposto che Eva Persson avesse l'abitudine di spartire le sue gomme da masticare con lei.» Wallander schioccò la lingua. «Perché diavolo questa storia delle gomme è così importante?» chiese Ann-Britt. «Te lo dirò appena arrivi.» «Che casino» disse Ann-Britt. «Per qualche strano motivo, i martedì mattina sono sempre i peggiori per me.» Wallander attaccò. Tutte le mattine sono terribili, pensò. Senza eccezione. O perlomeno, tutte le volte che uno si sveglia alle cinque e non riesce
più a riprendere sonno. Poi, compose il numero di Martinsson ma non ebbe risposta. Con tutta probabilità si trovava in Runnerströms Torg insieme a Robert Modin. Neppure Hansson rispose. Non era ancora tornato dalla sua visita, probabilmente inutile, a Växjö. Wallander rimase seduto nel suo ufficio cercando di fare il punto dell'indagine da solo. Non vi era praticamente alcun dubbio che Sonja Hökberg avesse fatto l'ultimo viaggio della sua vita nell'auto blu parcheggiata nel garage in Snapphanegatan. Jonas Landahl l'aveva portata fino alla centrale elettrica dove era stata uccisa, poi aveva preso un traghetto per la Polonia. Tuttavia c'erano lacune e dettagli confusi. Non necessariamente era stato Jonas Landahl a guidare l'auto. Inoltre, non era assolutamente certo che fosse stato lui a uccidere Sonja. Ma era seriamente indiziato. Era di fondamentale importanza rintracciarlo per poterlo interrogare. Il computer rappresentava un problema molto più complicato. Se non era stato Jonas Landahl a cancellarne il contenuto, doveva averlo fatto qualcun altro. Inoltre, rimaneva il mistero del dischetto nascosto sotto la libreria. Wallander cercò di arrivare a una conclusione logica. Dopo alcuni minuti, si rese conto che esisteva un'altra possibilità. Di fatto, Jonas Landahl aveva svuotato il computer. Ma qualcun altro era entrato nella casa in un secondo tempo, per controllare che lo avesse veramente fatto. Wallander aprì un bloc-notes e prese una penna. Poi scrisse una serie di nomi. Seguendo una cronologia provvisoria, li elencò secondo il loro ordine di apparizione. Lundberg, Sonja ed Eva. Tynnes Falk. Jonas Landahl. Un legame fra tutte queste persone era stato accertato. Ma non avevano ancora scoperto moventi plausibili per i crimini. Stiamo ancora cercando cosa possa esserci alla base di tutto. È questo che ci manca. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da Martinsson che si era affacciato alla porta. «Robert Modin è già al lavoro» disse. «Ha chiesto di essere prelevato alle sei. Oggi, ha portato con sé il pranzo. Tutta roba strana, biologica, e un termos con tè speciale. Inoltre ha con sé un walkman. Ha detto che lavora meglio ascoltando musica. Ho dato un'occhiata ai suoi cd. Ho scritto alcuni titoli.» Martinsson prese un foglio dalla tasca.
«Il Messia di Händel e il Requiem di Verdi. Che cosa ne dici?» «Dico che Robert Modin ha ottimi gusti musicali.» Wallander gli fece un resoconto delle telefonate di Nyberg e di AnnBritt. Ora potevano essere abbastanza certi che Sonja era stata su quell'automobile. «Non è detto che sia stato il suo ultimo viaggio» disse Martinsson. «Per ora ipotizziamo che lo sia stato. E questo può spiegare la partenza precipitosa di Landahl.» «Allora è venuto il momento di diramare un avviso di ricerca?» «Sì. Parlane con il pm.» Martinsson fece una smorfia. «Non puoi chiedere a Hansson di farlo?» «Hansson non è ancora tornato.» «Dove diavolo è?» «Qualcuno sostiene che sia andato a Växjö.» «A fare cosa?» «Sembra che il padre alcolizzato di Eva Persson viva da quelle parti.» «È così importante parlargli?» Wallander scrollò le spalle. «Non ho avuto e non ho il tempo di decidere cosa deve avere priorità.» Martinsson si era alzato. «Parlerò con Viktorsson. E dopo, vedrò quello che riesco a sapere di Landahl. Ammesso che il computer centrale funzioni.» Wallander gli fece cenno di restare. «Che cosa sappiamo di questi gruppi? Ad esempio di quelli che si fanno chiamare "Veganer". Senza dimenticare tutti gli altri.» «Hansson sostiene che si tratta di una banda di motociclisti un po' raffinati. Hanno l'abitudine di fare dei raid nei laboratori che conducono esperimenti sugli animali.» «Questo non è proprio corretto» disse Wallander. «Chi ha mai potuto sostenere che Hansson sia corretto?» ribatté Martinsson. «Credevo che, a parte tutto, fossero dei gruppi pacifisti. Disobbedienza civile senza violenza» continuò Wallander. «Infatti, spesso è così.» «Ma in qualche modo, Falk era coinvolto.» «Non è ancora certo che sia stato assassinato. Non dimenticarlo» gli ricordò Martinsson.
«Ma Sonja Hökberg è stata assassinata. E anche Lundberg» disse Wallander. «E questo conferma che non abbiamo la ben che minima idea di quello che c'è dietro a tutto» aggiunse Martinsson. «Credi che Robert Modin ce la farà?» «È difficile dirlo. Ma naturalmente lo spero.» «Continua a sostenere che il numero 20 è importante?» «Sì. Ne è sicuro. Quando mi spiega, capisco solo la metà di quello che dice. Ma è molto convincente.» Wallander diede un'occhiata al calendario. «Oggi è il 14 ottobre. Fra circa una settimana sarà il 20.» «Ammesso che il 20 sia la chiave. Per ora non lo sappiamo.» Wallander cambiò argomento. «Abbiamo avuto notizie dalla Sydkraft? Devono avere effettuato una specie di inchiesta. Come è stato forzato il cancello? E perché solo il cancello è stato forzato, ma non la porta d'acciaio?» «Se ne sta occupando Hansson. Mi ha detto che quelli della Sydkraft considerano l'incidente molto grave. Hansson è sicuro che molte teste salteranno.» «La domanda è se noi lo abbiamo considerato altrettanto seriamente» disse Wallander. «Come ha fatto Falk a procurarsi il disegno? E perché lo ha fatto?» «È tutto troppo vago» si lamentò Martinsson. «Naturalmente non possiamo escludere che si sia trattato di un sabotaggio. Forse, la differenza fra liberare visoni e provocare un massiccio blackout non è poi così grande. Dipende dal grado di fanatismo.» Wallander sentì l'inquietudine crescere dentro di sé. «C'è una cosa che mi fa paura» disse. «È quel numero 20. Ammettiamo che si riferisca veramente al 20 ottobre. Cosa potrà accadere quel giorno?» «Anch'io provo la stessa paura» rispose Martinsson. «Ma come te, non ho alcuna risposta.» «La domanda è se non sia necessario organizzare un incontro con i responsabili della Sydkraft. Se non altro per consigliarli di tenersi pronti.» Martinsson annuì incerto. «Ma possiamo anche seguire un'altra logica. Prima ci sono stati i visoni. Poi i trasformatori. E dopo?» Nessuno dei due aveva una risposta. Martinsson uscì dall'ufficio. Wallander iniziò a controllare le pile di do-
cumenti e rapporti che si erano accumulati sulla sua scrivania. Ora dopo ora, cercò di individuare dei particolari che potevano essergli sfuggiti in precedenza. Ma tutto quello che riuscì a ottenere fu la conferma che stavano ancora brancolando nel buio. Nel tardo pomeriggio, la squadra investigativa si riunì. Martinsson aveva parlato con Viktorsson. Jonas Landahl era ricercato sia in Svezia che all'estero. La polizia polacca aveva risposto rapidamente con un telex. Landahl era realmente entrato nel paese il giorno stesso in cui il suo vicino lo aveva visto in Snapphanegatan per l'ultima volta. Sempre secondo la polizia polacca, non c'erano segnalazioni che indicassero che Landahl avesse lasciato il paese. A dispetto di questo, Wallander continuava a non credere che Landahl fosse veramente in Polonia. Qualcosa gli diceva che non era così. Prima della riunione, Ann-Britt aveva parlato della questione delle gomme da masticare con Eva Persson. La ragazza aveva confermato che talvolta Sonja Hökberg prendeva quelle al gusto di limone. Ma non ricordava quando lo avesse fatto l'ultima volta. Nyberg aveva finito di controllare l'auto e aveva mandato un certo numero di sacchetti di plastica contenenti fibre e capelli al laboratorio centrale. Solo al termine delle analisi avrebbero potuto essere assolutamente certi che Sonja Hökberg e Jonas Landahl erano stati insieme, e che Sonja era veramente salita nella sua auto per quell'ultimo viaggio. Proprio su questo punto, Ann-Britt e Martinsson iniziarono una vivace discussione. Anche se era possibile constatare che erano stati insieme, non c'era nulla che provasse che Jonas avesse portato Sonja nella sua auto per l'ultimo viaggio della sua vita. Mentre i due colleghi litigavano, Wallander non diceva nulla. Nessuno dei due aveva ragione. Ma entrambi erano esausti. Alla fine lo scambio di opinioni si esaurì da solo. Come previsto, Hansson aveva fatto un viaggio del tutto inutile fino a Växjö. Il padre di Eva Persson viveva in una baracca a Vislanda, poco lontano dalla città. Quando Hansson era finalmente riuscito a localizzarlo, l'uomo era talmente ubriaco da non essere in grado di dargli alcuna informazione valida. Inoltre, ogni volta che Hansson aveva nominato sua figlia e il destino che la attendeva, l'uomo era scoppiato in lacrime. Alla prima occasione Hansson se ne era andato il più rapidamente possibile. Le ricerche di un furgone Mercedes non avevano dato alcun risultato. Wallander aveva ricevuto un fax da Hong Kong nel quale un funzionario della polizia di nome Wang gli comunicava che nessuno di nome Fu Cheng abitava all'indirizzo indicato dai registri dell'American Express.
Mentre la riunione procedeva, Robert Modin continuava a lottare con il computer di Tynnes Falk. Dopo una lunga e, secondo Wallander, totalmente inutile discussione, decisero di aspettare ancora qualche giorno prima di chiedere l'intervento degli esperti di informatica da Stoccolma. Alle sei, nessuno aveva più la forza di continuare. Guardandosi intorno, Wallander vedeva solo volti pallidi e stravolti. Sapeva che, a quel punto, l'unica cosa che poteva fare era interrompere. Decisero di riunirsi nuovamente il mattino dopo alle otto. Wallander tornò nel suo ufficio e continuò a lavorare. Ma alle otto e mezza si arrese e tornò a casa. Riscaldò e mangiò quello che rimaneva degli spaghetti della sera prima, poi si distese sul letto con un libro che parlava delle guerre napoleoniche e che era di una monotonia mortale. Dopo pochi minuti, Wallander si addormentò con il libro in mano. Quando il tono smorzato del cellulare lo svegliò, non sapeva dove si trovasse né che ora fosse. Rispose. Udì la voce di uno degli agenti di turno della centrale di polizia. «Abbiamo ricevuto una chiamata da uno dei traghetti in arrivo a Ystad.» «Che cosa è successo?» chiese Wallander. «Sembra che abbiano avuto dei problemi con gli assi delle eliche. Quando sono scesi per cercare di localizzare il guasto hanno avuto una sorpresa.» «Cioè?» «Il problema era provocato dal corpo di un uomo.» Wallander respirò profondamente. «Dov'è il traghetto?» «È a poche miglia dal porto.» «Vengo subito.» «Avviso qualcun altro?» Wallander rifletté. «Sì. Martinsson e Hansson. E Nyberg. Di' loro che li aspetto al terminal dei traghetti.» «È tutto?» «No. Telefona anche a Lisa Holgersson.» «Sta partecipando a una conferenza a Copenaghen.» «Me ne frego. Telefonale.» «Che cosa devo dire?» «Dille che un sospetto omicida sta arrivando a Ystad dalla Polonia. Ma
purtroppo è morto.» Wallander spense il cellulare. Ora, non aveva più bisogno di chiedersi dove fosse finito Jonas Landahl. Venti minuti dopo, i tre uomini della squadra investigativa aspettavano al terminal che uno dei grossi traghetti attraccasse. 27. Scendendo lungo la scala che portava alla sala macchine, Wallander provava la sensazione che lo aspettasse una specie di inferno. Anche se il traghetto era ormeggiato e immobile, e l'unico suono che si poteva udire era un vago sibilo, qualcosa di orribile lo stava aspettando nelle viscere della nave. Erano stati accolti dal capitano in seconda e da due macchinisti pallidi come cadaveri. Da quel poco che gli avevano detto, Wallander aveva capito che il corpo di Jonas Landahl giaceva in una pozza d'acqua mista a olio, ed era in uno stato praticamente irriconoscibile. Qualcuno, forse Martinsson, l'aveva avvisato che il medico legale stava arrivando. Anche un mezzo dei pompieri con personale specializzato era arrivato al terminal dei traghetti. Ma era stato comunque Wallander a scendere per primo. Martinsson non aveva voluto, e Hansson non era ancora tornato da Växjö. Wallander aveva chiesto a Martinsson di parlare con il personale di bordo per cercare di fare una ricostruzione di quello che era accaduto, e di farsi aiutare da Hansson non appena fosse arrivato. Poi, era salito a bordo seguito a pochi passi da Nyberg. Il macchinista che aveva scoperto il cadavere aveva avuto l'ordine di seguirli. Arrivati all'ultimo ponte, l'uomo fece loro strada fino a poppa. Wallander rimase sorpreso dalle dimensioni della sala macchine. Il macchinista si fermò e indicò l'ultima rampa di scale. Wallander iniziò a scendere e, al quarto gradino, Nyberg calpestò la sua mano. Wallander inveì per il dolore e per un attimo stava per perdere la presa. Ma riuscì a non cadere. Quando arrivarono in fondo, videro immediatamente il cadavere che giaceva su uno dei due enormi assi delle eliche lucide di olio. Il macchinista non aveva esagerato. Wallander ebbe l'impressione che quella massa immobile che stava fissando non fosse un essere umano. Era come se qualcuno avesse gettato la carcassa di un animale appena macellato sul fondo della nave. Dietro di sé udì Nyberg sussultare e poi bofonchiare qualcosa a proposito della pensione. Wallander fu sorpreso di non pro-
vare un senso di nausea. Durante la sua carriera, era stato costretto ad assistere a scene orribili. Resti di esseri umani dopo violenti incidenti d'auto. O cadaveri di persone rimaste chiuse in appartamenti per mesi o anni. Ma questa era fra le scene peggiori che avesse mai visto. A Snapphanegatan su uno scaffale della libreria inclinata, c'era una fotografia di Jonas Landahl. Un giovane dall'aspetto comune. Ora, Wallander cercava di decidere se le cose stessero effettivamente come aveva pensato dal momento in cui aveva risposto al telefono. Quelli che giacevano nella pozza di acqua e olio erano veramente i resti di Landahl? Il volto era quasi completamente irriconoscibile. Tutto quello che rimaneva era una massa informe priva di qualsiasi tratto. Il giovane nella fotografia aveva i capelli biondi. Sulla testa, praticamente staccata dal corpo, che Wallander stava fissando, rimanevano alcuni capelli impregnati di olio. Ma erano biondi. Wallander ne era sicuro senza però averne la prova. Si spostò di fianco per permettere a Nyberg di vedere. In quello stesso istante, il medico legale, Susann Bexell, arrivò insieme a due pompieri. «Come diavolo è finito quaggiù?» chiese Nyberg. Anche se le macchine giravano al minimo, gridare non gli sarebbe servito a nulla, pensò Wallander scuotendo il capo. Poi si rese conto che voleva tornare in coperta e lasciare quell'inferno immediatamente. Si girò e risalì lungo la scala lasciando Nyberg, il medico legale e i pompieri. Quando arrivò in coperta respirò profondamente. Martinsson apparve al suo fianco, come se sbucasse dal nulla. «Com'era?» «Peggio di quanto si possa immaginare.» «Era Landahl?» Non avevano parlato di quella possibilità. Ma Martinsson aveva pensato immediatamente la stessa cosa di Wallander. Il corpo di Sonja Hökberg nella cabina dei trasformatori aveva causato un blackout. Landahl era morto nella sala macchine di un traghetto dalla Polonia. «Non è stato ancora possibile accertarlo» disse Wallander. «Ma sono sicuro che si tratta di Jonas Landahl.» Martinsson si era informato ed era venuto a sapere che il traghetto sarebbe salpato solo il mattino dopo. C'era il tempo necessario per permettere a Nyberg e al medico legale di ultimare il proprio lavoro e per portare via il corpo. «Ho chiesto una lista dei passeggeri» aggiunse Martinsson. «Ma non c'è
traccia di alcun Jonas Landahl.» «È lui in ogni caso» disse Wallander con decisione. «Che si trovi o meno nella lista.» «Dopo la tragedia dell'Estonia, credevo che fossero entrate in vigore norme più severe sulle generalità e sul numero dei passeggeri.» «Può essere salito a bordo con un altro nome» disse Wallander. «Controlleremo quella lista. Chiedi anche una lista con i nomi di tutti i membri dell'equipaggio. Vedremo se salta fuori un nome conosciuto. O quello di qualcuno da collegare a Landahl.» «Dunque, escludi che si possa trattare di un incidente?» «Sì» disse Wallander. «Così come escludo che quello che è successo a Sonja Hökberg sia stato un incidente. E sono sicuro che le persone coinvolte sono le stesse.» Poi chiese se fosse arrivato Hansson. Martinsson rispose che stava parlando con il personale della sala macchine. Lasciarono la coperta ed entrarono. Il traghetto sembrava abbandonato. Qua e là, alcuni addetti alle pulizie erano al lavoro nei diversi locali. Wallander fece cenno a Martinsson di seguirlo nella caffetteria. Non c'era anima viva, ma dalla cucina proveniva il rumore di piatti e tazze. Dalle finestre si intravedevano le luci di Ystad. «Vai a chiedere se è possibile avere un paio di tazze di caffè» disse. «Dobbiamo parlare.» Martinsson si avviò verso la cucina. Wallander prese posto a un tavolo. Che cosa significava la morte di Jonas Landahl? Lentamente, iniziò a formulare nella sua mente due possibili teorie che voleva discutere con Martinsson. Improvvisamente, un uomo in uniforme apparve al suo fianco. «Perché non hai ancora lasciato la nave?» Wallander vide che l'uomo aveva una folta barba e un colorito rubicondo. Sulle spalline notò alcuni galloni dorati. Questo è un grosso traghetto, pensò. Non tutti possono sapere quello che accade nella sala macchine. «Sono un poliziotto» disse Wallander. «E tu chi sei?» «Io sono il comandate in terza di questa nave.» «Bene» disse Wallander. «Va a parlare con il capitano o il capo macchina, così ti diranno perché sono qui.» L'uomo sembrò esitare. Ma quando capì che Wallander diceva la verità e che non era un passeggero rimasto a bordo del traghetto, se ne andò. Martinsson riemerse dalla cucina con un vassoio.
«Stavano mangiando» disse sedendosi. «Non sapevano niente di quello che è successo. Ma si sono accorti che il traghetto ha viaggiato a velocità ridotta per un buon tratto della traversata.» «È passato un ufficiale» disse Wallander. «Anche lui non ne sapeva nulla.» «Non credi che abbiamo commesso un errore?» chiese Martinsson. «In che senso?» «Non avremmo dovuto permettere a nessuno di lasciare la nave. Per poter controllare tutti i passeggeri e anche le auto.» Martinsson aveva ragione. Ma allo stesso tempo, sarebbe stata un'operazione talmente complicata da richiedere l'intervento di un gran numero di agenti. Wallander dubitava che sarebbero riusciti a ottenere un risultato concreto. «Forse» disse semplicemente. «Ma quello che è fatto è fatto.» «Da giovane sognavo di lavorare su una nave» disse Martinsson. «Anch'io» rispose Wallander. «Non è forse il sogno di tutti i giovani?» Poi passò ad argomenti più seri. «Torniamo un attimo indietro» disse. «Avevamo pensato che Landahl avesse portato Sonja Hökberg alla centrale elettrica in auto per poi ucciderla. E che questo fosse il motivo della sua fuga da Snapphanegatan. Ora anche lui è stato assassinato. La domanda è come conciliare la sua morte con quell'ipotesi.» Martinsson girò il cucchiaino nella sua tazza di caffè. «Secondo me, esistono due possibilità» continuò Wallander. «La prima è che Jonas Landahl abbia veramente ucciso Sonja Hökberg. Per motivi che non conosciamo. Ma possiamo immaginare che lo abbia fatto per impedirle di parlare. Sonja sapeva qualcosa che poteva danneggiarlo. Poi, Landahl fugge. Non sappiamo se lo abbia fatto perché preso dal panico o se avesse pianificato la fuga. In seguito viene ucciso a sua volta. Per vendetta? O forse perché è diventato a sua volta improvvisamente pericoloso per qualcuno che vuole cancellare le tracce.» Wallander fece una pausa. Martinsson rimase in silenzio. Wallander riprese il suo ragionamento. «L'altra possibilità è che tutto si sia svolto in maniera completamente diversa. Cioè, che qualcuno abbia ucciso sia Sonja sia Landahl.» «Come spieghi la fuga precipitosa di Landahl?» «Landahl viene a sapere quello che è successo a Sonja, è preso dal panico e fugge. Ma qualcuno lo raggiunge.»
Martinsson annuì. Stiamo seguendo la stessa logica, si disse Wallander. «Sabotaggio e morte» disse Martinsson. «Il corpo di Sonja Hökberg viene gettato sui trasformatori e si verifica un blackout. Poi, quello di Landahl viene a sua volta gettato fra gli assi delle eliche di un traghetto.» «Ricordi cosa abbiamo detto?» disse Wallander. «Prima abbiamo la liberazione dei visoni. Poi il blackout. E adesso un traghetto per la Polonia. Quale sarà il prossimo incidente?» Martinsson scosse il capo. «Eppure non ha alcun senso» disse. «Posso capire il caso dei visoni. Un gruppo contrario allo sfruttamento degli animali da pelliccia compie un raid. Posso anche capire il blackout. Qualcuno vuole dimostrare la vulnerabilità della società in cui viviamo. Ma non vedo che cosa abbiano voluto dimostrare creando il caos nella sala macchine di un traghetto.» «È come la teoria del domino. Basta una tessera per far cadere tutte le altre. È una reazione a catena. Tynnes Falk è il pezzo che l'ha innescata.» «E dove collochi l'assassinio di Lundberg?» «Il problema è proprio questo. E inizio a pensare a un'altra possibilità.» «Che Lundberg non abbia niente a che fare con gli altri?» Wallander annuì. Quando voleva, Martinsson era in grado di pensare rapidamente. «Non è la prima volta che ci capita» disse Wallander. «Due eventi che si sono incrociati per una strana coincidenza. E poi non siamo riusciti a separarli. Siamo andati avanti credendo che avessero un legame quando si trattava di un puro caso.» «Stai dicendo che dovremmo condurre due indagini separate? Ma non dimentichiamo che Sonja Hökberg ha un ruolo principale in entrambe.» «È proprio quello che dobbiamo chiederci» disse Wallander. «Immaginiamo che non sia così, ma che sia il contrario. Cioè che il suo ruolo sia meno importante di quello che abbiamo creduto finora.» In quello stesso istante, Hansson entrò nella caffetteria. Guardò con invidia le tazze di caffè davanti ai colleghi. Era in compagnia di un uomo dai capelli brizzolati, dallo sguardo gentile e con diversi galloni sulle spalline. Wallander si alzò e si presentò al capitano Sund. Il capitano parlava con una marcata cadenza dialettale tipica della Dalarna. «Cose terribili» disse Sund. «Nessuno ha visto» disse Hansson. «Ma in qualche modo, Landahl deve essere sceso nella sala macchine.» «Dunque, non abbiamo testimoni.»
«Ho parlato con i due macchinisti che erano di turno durante il viaggio dalla Polonia. Ma non hanno notato nulla.» «Le porte di accesso alla sala macchine rimangono chiuse a chiave?» chiese Wallander. «Le norme di sicurezza non lo permettono. Naturalmente sono provviste di cartelli che proibiscono l'accesso ai non addetti. Tutti quelli che lavorano nella sala macchine reagirebbero immediatamente vedendo un estraneo. Ovviamente, di tanto in tanto capita che un passeggero alticcio si avventuri fin lì. Ma non avrei mai potuto immaginare che potesse accadere una cosa simile.» «Suppongo che in questo momento la nave sia vuota» disse Wallander. «È possibile controllare se è rimasta un'auto a bordo?» Sund aveva un radiotelefono in mano. Chiamò il ponte auto. Rispose una voce frammista a un crepitio metallico. «Non è rimasto nessun veicolo. Il ponte è vuoto.» «E le cabine? È possibile vedere se è stata trovata una borsa o una valigia che qualche passeggero può avere dimenticato?» Sund lasciò la caffetteria per controllare. Hansson si mise a sedere. Dal suo rapporto, Wallander notò che era stato insolitamente accurato nel raccogliere le informazioni su come si erano svolti i fatti. Il tempo normale per la traversata dal porto polacco di Swinoujscie a Ystad era di circa sette ore. Wallander chiese se i macchinisti erano stati in grado di dire quando il corpo di Landahl era finito sugli assi delle eliche. Poteva essere successo mentre il traghetto era ancora ormeggiato nel porto polacco? Oppure poco prima che ne avessero avuto le prime avvisaglie? Hansson aveva fatto esattamente quella domanda ai macchinisti. Le risposte erano state unanimi. Il corpo poteva essere finito nella sala macchine già nel porto polacco. A parte questo, non c'era molto altro da dire. Nessuno aveva visto nulla. Nessuno sembrava avere notato Landahl. A bordo viaggiavano un centinaio di passeggeri, per lo più camionisti polacchi. C'era anche una delegazione di rappresentanti dell'industria del cemento svedese che tornava in patria dopo avere discusso la possibilità di fare investimenti in Polonia. «Dobbiamo riuscire a sapere se Landahl fosse in compagnia di qualcuno» disse Wallander. È la cosa più importante. Useremo una fotografia. Domani, qualcuno dovrà fare un viaggio di andata e ritorno sul traghetto. Dovrà mostrare la fotografia a tutto il personale e vedere se qualcuno lo riconosce.»
«Spero di non essere io» disse Hansson. «Soffro il mal di mare.» «Trova qualcun altro» disse Wallander. «Tu invece andrai a Snapphanegatan con un fabbro e prenderai quella fotografia dalla libreria. Poi andrai da quel ragazzo che lavora nel negozio di ferramenta, e gli chiederai se quella fotografia possa andare bene per riconoscere Landahl.» «Quel ragazzo che si chiama Ryss?» «Proprio lui. Dovrà avere pur visto il suo successore qualche volta.» «Il traghetto salpa domani mattina alle sei.» «Devi cercare qualcuno questa sera stessa» disse Wallander deciso. Hansson stava per andarsene quando Wallander si ricordò di un dettaglio. «C'era un asiatico sul traghetto ieri sera?» Controllarono la lista dei passeggeri. Ma non trovarono alcun nome di origine asiatica. «Di' al collega che domani farà il viaggio di andata e ritorno di chiedere se qualcuno ha notato un passeggero dai lineamenti asiatici» disse Wallander. Hansson se ne andò. Wallander e Martinsson rimasero seduti al tavolo. Susann Bexell arrivò qualche minuto dopo e prese posto di fianco a loro. Era estremamente pallida. «Non ho mai visto niente di simile. Prima abbiamo una ragazza carbonizzata in una cabina dei trasformatori. E adesso questo.» «Possiamo essere sicuri che si tratti di un uomo giovane?» chiese Wallander. «Sì.» «Ma naturalmente non puoi dirci la causa della morte? O l'ora in cui è avvenuta?» «Sei stato laggiù e hai potuto vedere di persona. Il corpo è completamente maciullato. Uno dei pompieri si è sentito male.» «Nyberg è ancora là?» «Credo di sì.» Susann Bexell se ne andò. Il capitano Sund non era ancora tornato. Il cellulare di Martinsson iniziò a squillare. Era Lisa Holgersson che telefonava da Copenaghen. Martinsson porse il cellulare a Wallander che scosse decisamente il capo. «Parlale tu» disse. «Che cosa le dico?» «Dille come stanno le cose. Cos'altro?»
Wallander si alzò e iniziò ad andare avanti e indietro nella caffetteria deserta. La morte di Landahl aveva sbarrato una strada che era sembrata accessibile. Ma quello che lo preoccupava maggiormente era che forse si poteva evitare. Forse Landahl non era fuggito perché aveva commesso un omicidio, ma perché lo aveva commesso qualcun altro. E questo lo aveva spaventato. Wallander si biasimava. Era stato superficiale. Si era accontentato del movente più logico. Invece, avrebbe dovuto considerare ipotesi diverse. Ora Jonas Landahi era morto. Forse non sarebbe stato possibile evitarlo. Ma Wallander non ne era certo. Martinsson aveva finito di parlare. Wallander tornò al tavolo. «Non mi è sembrata completamente sobria» disse Martinsson. «Sta partecipando a una festa per i capi distretto» disse Wallander. «In ogni caso, adesso sa come stiamo passando la serata.» Il capitano Sund entrò nella caffetteria. «Abbiamo trovato una valigia lasciata in una cabina.» Wallander e Martinsson si alzarono contemporaneamente. Seguirono il capitano lungo diversi corridoi fino a una cabina dove stava aspettando una donna con l'uniforme della società di navigazione. Era polacca e parlava uno svedese stentato. «Secondo la lista dei passeggeri, questa cabina è stata prenotata da qualcuno che si chiama Johansson.» Wallander e Martinsson si guardarono. «Sapresti descrivere l'aspetto di quell'uomo?» Il capitano Sund iniziò a parlare alla donna in polacco come se fosse la sua seconda lingua. Quando finì, la donna scosse il capo. «Era solo?» «Sì.» Wallander si guardò intorno. La cabina era stretta e senza oblò. Wallander rabbrividì al pensiero di essere costretto a passare un'intera notte di tempesta rinchiuso in un luogo simile. Sulla cuccetta fissata al muro c'era una valigia con le ruote. Wallander si infilò un paio di guanti di gomma che Martinsson gli aveva dato e aprì la valigia. Era vuota. Per dieci minuti cercarono senza risultato in tutta la cabina. «Qui non c'è altro» disse Wallander. «Nyberg dovrà controllare questa valigia. Chiederemo al tassista che ha portato Landahl al terminal dei traghetti se la riconosce.» Wallander uscì nel corridoio. Martinsson chiese al capitano di non far
ripulire la cabina. Wallander osservò le porte delle cabine adiacenti, la 309 e la 311. Ai piedi di ognuna c'era una pila di lenzuola e asciugamani, «Voglio i nomi dei passeggeri che hanno occupato queste due cabine» disse. «Può darsi che abbiano avuto modo di sentire qualcosa. Oppure che abbiano visto qualcuno entrare e uscire da questa cabina.» Martinsson prese nota, poi iniziò a parlare alla donna. Wallander aveva sempre invidiato l'ottimo inglese di Martinsson. Personalmente pensava di parlarlo molto male. Quando si erano recati all'estero insieme, sua figlia Linda lo prendeva spesso in giro per la sua atroce pronuncia. Il capitano Sund fece cenno a Wallander di seguirlo. Era ormai quasi mezzanotte. «Posso offrire al commissario qualcosa di forte da bere dopo questa dura prova?» chiese il capitano. «Purtroppo no» rispose Wallander. Il radiotelefono del capitano Sund iniziò a gracchiare. Sund ascoltò e si scusò. Wallander era più che contento di rimanere da solo. Continuava a provare rimorsi di coscienza. Se fosse stato più pronto, Landahl sarebbe stato ancora vivo? Wallander sapeva che non esisteva alcuna risposta. Solo la fredda accusa che rivolgeva contro se stesso e contro la quale non aveva alcuna difesa. Venti minuti dopo Martinsson riapparve. «La cabina 309 è stata prenotata da un cittadino norvegese che si chiama Larsen. Con tutta probabilità, in questo momento sta tornando a casa con la sua auto. Ma ho il suo numero di telefono. La cabina 311, a sua volta, è stata prenotata da una coppia di Ystad. Il signore e la signora Tomander.» «Chiamali domani» disse Wallander. «Non si può mai sapere.» «Ho incontrato Nyberg sulla scala. Aveva la tuta macchiata d'olio fino alle ginocchia. Ma ha detto che controllerà la cabina non appena si sarà cambiato.» «Temo che non riusciremo a fare molti passi avanti» disse Wallander. Attraversarono insieme il terminal deserto. Alcuni giovani si erano stesi a dormire sulle panche. Le biglietterie erano chiuse. «Domani mattina dobbiamo riesaminare tutto da capo» disse Wallander quando arrivarono alla sua macchina. «Ci riuniremo alle otto.» Martinsson lo fissò attentamente. «Mi sembri preoccupato.» «Sì. E lo sono sempre quando non riesco a capire quello che sta succedendo.»
«Come va con l'inchiesta interna?» «Non ho più sentito niente. E anche i giornalisti hanno smesso di telefonare. Ma forse è dovuto al fatto che ogni sera stacco il telefono.» «Quando succedono cose simili, è sempre un problema» disse Martinsson. Wallander captò un doppio significato nelle parole di Martinsson. Prima si irrigidì. Poi si arrabbiò. «Che cosa vuoi dire?» «Non è quello che tutti noi temiamo costantemente? Di perdere il controllo? Di diventare violenti?» «Le ho solo dato uno schiaffo. E solo per proteggere sua madre.» «Sì» disse Martinsson. «Però...» Non mi crede, pensò Wallander aprendo la portiera della sua auto. Forse, come tutti gli altri, anche lui non mi crede. Quella constatazione fu uno shock. Non gli era mai successo prima. Non si era mai sentito tradito o abbandonato dai suoi collaboratori più stretti. Wallander rimase seduto nell'auto senza mettere in moto. Improvvisamente quella sensazione sopraffaceva tutto. Annullava persino l'immagine di quello che rimaneva del corpo maciullato del giovane sul fondo della sala macchine. Per la seconda volta negli ultimi sette giorni, Wallander si sentiva ferito e provava un senso di profonda amarezza. Mi dimetto, pensò. Domani presento le mie dimissioni. Poi potranno risolvere questo maledetto caso da soli. Quando tornò a casa era ancora sconvolto. Nella sua mente, condusse una discussione accesa con Martinsson. Che continuò a lungo prima che riuscisse a prendere sonno. Si riunirono alle otto di mercoledì mattina. Oltre a Nyberg che aveva ancora tracce di olio sotto le unghie, era presente anche Viktorsson. Quando Wallander si era svegliato, il suo umore non era più così battagliero. Non avrebbe dato le dimissioni. Non quel giorno. E aveva anche deciso di non mettersi a discutere con Martinsson. Prima voleva sapere a che punto fosse veramente arrivata l'inchiesta interna. Dopo, avrebbe scelto un'occasione idonea per far sapere ai suoi colleghi quello che pensava della loro sfiducia nei suoi riguardi. Iniziarono analizzando accuratamente gli avvenimenti della sera precedente. Martinsson era già riuscito a parlare con il signor Tomander. Né lui
né sua moglie avevano sentito qualcosa dalla cabina 310. Larsen, il cittadino norvegese, non era ancora tornato a Moss, la città dove viveva. Quando Martinsson aveva telefonato, sua moglie aveva detto che sarebbe tornato a casa nel pomeriggio. Poi, Wallander aveva esposto le due diverse teorie che aveva sviluppato durante la sua conversazione con Martinsson. Nessuno aveva avanzato alcuna obiezione. La riunione della squadra investigativa andava avanti lentamente, ma molto metodicamente. Wallander intuiva che tutti erano impazienti di tornare ai propri compiti. Quando la riunione terminò, Wallander aveva deciso di concentrare tutti i propri sforzi su Tynnes Falk. Era ormai più che convinto che tutto avesse avuto inizio da quell'uomo. Capire in che modo l'assassinio di Lundberg fosse collegato al resto degli avvenimenti assumeva a questo punto un'importanza secondaria. Wallander si era posto una domanda molto semplice. Quali erano le forze occulte che si erano messe in moto quando Falk era morto davanti al Bancomat dal quale aveva appena ritirato l'estratto conto? Si trattava di un semplice caso di morte naturale? Wallander telefonò all'Istituto di patologia di Lund e chiese di parlare con il medico che aveva eseguito l'autopsia. Era possibile che, dopotutto, la morte di Falk fosse dovuta a un atto di violenza? Avevano preso in considerazione quella possibilità? Subito dopo, Wallander telefonò anche a Enander, il medico di Tynnes Falk che era venuto a parlargli nel suo ufficio. Le opinioni dei due medici su quello che poteva essere successo e sulle cause della morte erano completamente diverse. Era ormai pomeriggio avanzato; lo stomaco di Wallander brontolava dalla fame e l'unica conclusione alla quale era riuscito ad arrivare era che Falk era morto per cause naturali. Ma quella morte naturale davanti a un Bancomat aveva messo in moto altri processi. Wallander prese un bloc-notes e iniziò a scrivere. Falk. Visoni. Angola. Rilesse quello che aveva scritto e poi aggiunse: 20. Le quattro parole sembravano nascondere ognuna un proprio segreto. Cosa non riusciva a scoprire? Per calmare la propria irritazione e impazienza, uscì dalla centrale di polizia e iniziò a camminare per cercare di schiarire la mente. Si fermò a mangiare nella prima pizzeria che trovò. Poi tornò nel suo ufficio. Alle cinque era pronto ad arrendersi. Non riusciva
assolutamente a capire quello che stava dietro alla serie di avvenimenti, e non aveva individuato alcun movente che avrebbe potuto indicargli quale strada seguire. Si era arenato. Era appena tornato dalla mensa con una tazza di caffè quando squillò il telefonò. Era Martinsson. «Ti sto telefonando da Runnerströms Torg» disse. «Ci siamo.» «Cosa?» «Robert Modin c'è riuscito. Ha aperto i file di Falk. Quello che appare sullo schermo è incredibile.» Wallander lasciò cadere il ricevitore. Finalmente, pensò. Finalmente siamo alla svolta. 28. Quando Wallander arrivò a Runnerströms Torg e scese dalla sua auto, avrebbe dovuto guardarsi intorno. Se lo avesse fatto, forse avrebbe notato un'ombra che scivolava rapidamente nel buio di un portone poco lontano, e si sarebbe reso conto che non si trattava semplicemente di qualcuno che li teneva d'occhio. Avrebbe capito che quella persona sapeva in ogni momento dove si trovavano, quello che facevano e forse anche quello che pensavano. Le auto che sorvegliavano costantemente Apelbergsgatan e Runnerströms Torg non erano riuscite in alcun modo a impedire che quella persona si muovesse nell'ombra. Ma Wallander non si era guardato intorno. Aveva chiuso la portiera dell'auto e si era affrettato a raggiungere la casa dove, secondo Martinsson, stavano succedendo cose incredibili con il computer di Tynnes Falk. Quando Wallander entrò nella stanza, Martinsson e Robert Modin rimasero con lo sguardo fisso sullo schermo, rispondendo a malapena al saluto di Wallander, che notò con sorpresa che Martinsson non solo si era procurato una sedia pieghevole, ma anche altri due computer. I due continuavano a indicare lo schermo e a confabulare fra loro. Wallander ebbe l'impressione di essere entrato in una stanza dove si stava svolgendo una complicata operazione elettronica. O forse una specie di rituale religioso? Per un attimo pensò all'altare che Falk aveva predisposto per venerare se stesso. Ora lo schermo era diverso. Le colonne di cifre apparentemente insensate che avevano continuato a inseguirsi per sparire rapidamente nel vuoto erano scomparse. Certamente, anche ora sullo schermo apparivano delle cifre. Ma non si muovevano. Robert Modin si era tolto gli auricolari del
walkman. Le sue dita si muovevano su tre diverse tastiere a grande velocità, come quelle di un artista virtuoso che suona tre diversi strumenti contemporaneamente. Wallander rimase in attesa. Martinsson era pronto con un bloc-notes davanti a sé. Di tanto in tanto Modin gli chiedeva di scrivere qualcosa e Martinsson ubbidiva. Era più che ovvio che era Modin ad avere il controllo totale in quella stanza. Solo dopo circa dieci minuti, i due sembrarono essersi veramente accorti della presenza di Wallander. Le dita di Robert Modin si fermarono. «Che cosa è successo?» chiese Wallander. «E perché avete altri due computer?» «Quando non si riesce a scalare una montagna, si è costretti a girarle intorno» disse Robert Modin. Aveva il volto sudato, ma sorrideva felice. Era un giovane uomo che era riuscito ad aprire delle porte sbarrate. «È meglio che sia Robert a spiegarti» disse Martinsson. «Non sono riuscito a trovare la password per accedere ai file» disse Robert Modin. «Ma ho usato i miei computer per collegarmi a quello di Falk. Questo mi ha permesso di entrare, per così dire, dalla porta di servizio.» Sin dall'inizio, la spiegazione era troppo astratta per Wallander. Sapeva che i computer avevano finestre. Ma non che avessero porte. «Continuavo a cercare di aprire la porta principale» continuò Modin. «Ma in realtà stavo forzando quella posteriore.» «In che modo?» «Non è una cosa facile da spiegare. E poi, diciamo che è una specie di segreto professionale.» «In questo caso lascia perdere. Che cosa siete riusciti a scoprire?» Martinsson prese la parola. «Ovviamente, Falk era collegato a Internet. In un file chiamato La palude di Jakob ha salvato una serie di numeri di telefono che seguono una sequenza particolare. O almeno così credevamo inizialmente. Ma ora, abbiamo capito che non si tratta di numeri di telefono. Sono dei codici. Divisi in due gruppi. Composti da una parola e da una combinazione di cifre. Ora, stiamo cercando di decifrarli.» «In verità, si tratta sia di numeri di telefono sia di cifre» aggiunse Modin. «Inoltre, abbiamo un gran numero di gruppi cifrati che sono i nomi in codice di enti e organizzazioni sparsi in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. Ecco, qui c'è qualcosa in Brasile. E in Nigeria.» «Che tipo di organizzazioni?» «È quello che stiamo cercando di scoprire» disse Martinsson. «Ma ne
abbiamo trovata una che Robert conosce bene. È a quel punto che ti abbiamo telefonato.» «Qual è?» «Il Pentagono» rispose Robert Modin. Wallander non riuscì a capire se Robert Modin avesse usato un tono di voce trionfale. Oppure se avesse paura. «Cosa significa tutto questo?» «Non lo sappiamo ancora» rispose Martinsson. «Ma sappiamo che questo computer ha in memoria informazioni molto importanti e, forse, anche illegali. Questo può significare che Falk aveva accesso a tutte queste organizzazioni.» «Ho la sensazione che Falk abbia fatto esattamente quello che ho fatto io» disse Robert Modin. «Vuoi dire che è entrato illegalmente in sistemi informatici protetti?» «Sembra proprio di sì.» Wallander aveva l'impressione di capire sempre meno. Ma allo stesso tempo sentì un senso di inquietudine crescere dentro di sé. «Che uso poteva farne?» chiese Wallander. «Avete un'idea per quale scopo possa averlo fatto?» «È troppo presto per dirlo» disse Martinsson. «Prima dobbiamo identificare tutte queste organizzazioni. Solo allora, forse, riusciremo a capire. Ma ci vorrà tempo. È tutto molto complesso. Ricordiamoci che Falk ha fatto di tutto perché nessuno potesse accedere ai suoi file.» Martinsson si alzò. «Devo andare a casa un'oretta» disse porgendo il bloc-notes a Wallander. «Teresa compie gli anni. Ma tornerò.» «Salutala» disse Wallander. «Quanti anni compie?» «Sedici.» Wallander la ricordava quando era ancora molto piccola. Quando aveva compiuto cinque anni, era stato a casa di Martinsson per la festa di compleanno. E ora, ha due anni più di Eva Persson, pensò. Martinsson uscì dalla stanza. Ma tornò quasi subito. «Ho dimenticato di dirti che ho parlato con Larsen a Moss» disse. Ci volle qualche secondo prima che Wallander si ricordasse chi fosse. «Ha detto di avere sentito qualcosa dalla cabina adiacente» continuò Martinsson. «Le pareti non sono spesse. Ma non aveva visto nessuno. Era stanco e ha dormito per tutta la traversata.» «Che cosa ha sentito?»
«È quello che gli ho chiesto anch'io. Ma ha detto che non era niente che potesse far pensare a una baruffa.» «Ha sentito delle voci?» «Sì. Ma non sa dire quante persone si trovavano in quella cabina.» «Non sono molte le persone che parlano da sole ad alta voce» disse Wallander. «Questo significa che c'erano almeno due persone.» «Gli ho chiesto di contattarci nel caso gli venisse in mente qualcos'altro.» Martinsson se ne andò. Wallander prese posto sulla sedia pieghevole. Robert Modin riprese a lavorare. Wallander sapeva che sarebbe stato inutile fare domande. A mano a mano che i computer assumevano sempre più il controllo della società, la necessità di un nuovo tipo di poliziotto si faceva sempre più impellente. L'evoluzione era già in corso, ma era ancora insufficiente. Come sempre, la criminalità era più avanti. Le organizzazioni criminali negli Stati Uniti avevano capito già da tempo l'utilità dell'elettronica. Anche se non era ancora possibile dimostrarlo, correva voce che i potenti cartelli dei trafficanti di droga sudamericani si servissero delle comunicazioni satellitari. In tal modo riuscivano a essere informati sui movimenti di controllo alle frontiere degli Stati Uniti e su quelli degli aerei che sorvegliano lo spazio aereo americano. E, naturalmente, usavano i telefoni cellulari. Spesso li distruggevano dopo avere fatto una sola chiamata. Così era impossibile localizzarli. Robert Modin schiacciò un tasto, poi si appoggiò allo schienale della sedia. La spia del modem a fianco del computer iniziò a lampeggiare. «Cosa stai facendo adesso?» chiese Wallander. «Sto cercando di inviare una e-mail per vedere eventualmente l'indirizzo di chi la riceve. La sto inviando da uno dei miei computer.» «Hai usato il computer di Falk per farlo?» «Sì, li ho tutti collegati.» Lo schermo iniziò a lampeggiare. Robert Modin si raddrizzò sulla sedia e si chinò in avanti. Poi riprese a battere i tasti. Wallander aspettò. Improvvisamente tutto scomparve dallo schermo che, per qualche secondo, divenne completamente buio. Poco dopo riapparve una serie di cifre. Modin aggottò la fronte. «Che cosa succede ora?» «Non ne sono sicuro. Ma mi è stato negato l'accesso. Adesso devo cancellare tutto. Questione di un paio di minuti.» Modin riprese a pigiare sulla tastiera. Wallander rimaneva in attesa sem-
pre più impaziente. «Adesso riprovo» mormorò Robert Modin. Qualche secondo dopo accadde qualcosa che lo fece sussultare. Rimase a osservare a lungo quello che era apparso sullo schermo. «La Banca mondiale» disse dopo qualche minuto. «Che cosa significa?» «Significa che una delle organizzazioni codificate nel computer di Falk è la Banca mondiale. Se ho capito bene, si tratta della sezione che si occupa di una qualche forma di ispezione finanziaria globale.» «Dunque, abbiamo il Pentagono e la Banca mondiale» disse Wallander. «Non proprio i tabaccai della città.» «Credo che sia arrivato il momento di fare un piccolo consulto» disse Modin. «Devo chiedere consigli ai miei amici. Li ho già avvertiti e sono pronti.» «Chi sono?» «Uno abita a Rättvik. L'altro in California.» Wallander capì che era arrivato il momento di chiedere l'intervento degli specialisti d'informatica della direzione generale della polizia. A malavoglia fu costretto ad ammettere di essersi messo nei guai. Era inutile farsi illusioni. Le critiche per essersi avvalso dei servizi di un estraneo come Modin sarebbero state dure. Le sue capacità non sarebbero bastate come scusa. Mentre Modin dialogava con i suoi amici, Wallander si alzò e iniziò ad andare avanti e indietro nella stanza. Pensò al corpo di Jonas Landahl in fondo alla sala macchine. Al cadavere carbonizzato di Sonja Hökberg. E a quello strano ufficio in Runnerströms Torg dove si trovava in quel momento. Inoltre, era tormentato dal continuo timore di avere portato l'indagine su una pista completamente sbagliata. Il suo compito era quello di guidare la squadra investigativa. Continuava ad avere la sensazione che i suoi colleghi non avessero più fiducia in lui. Forse non era solo dovuto allo schiaffo che aveva dato a Eva Persson, immortalato da un fotografo. Forse, quando non era presente, dicevano che stava perdendo colpi? Forse pensavano che era arrivato il momento che Martinsson assumesse la responsabilità delle indagini per i casi più importanti? Quei pensieri lo ferivano e lo inducevano ad autocommiserarsi. Ma, allo stesso tempo, un senso di rabbia pulsava dentro di lui. Non si sarebbe arreso così facilmente. Nel suo caso, non ci sarebbe stato nessun Sudan dove poter iniziare una nuova vita, né una scuderia da vendere. Nel suo futuro
c'era soltanto una misera pensione di stato. Il rumore della tastiera si era interrotto dietro di lui. Robert Modin si era alzato dalla sedia e si stava stirando. «Ho fame» disse. «Che cosa hanno detto i tuoi amici?» «Abbiamo deciso di fare una pausa per pensare. Fra un'ora riprenderemo.» Anche Wallander aveva fame. Propose di andare a mangiare una pizza. Modin lo fissò facendo una smorfia. «Non mangio mai la pizza. Non è salutare.» «Che cosa preferisci mangiare allora?» «Verdure biologiche.» «Nient'altro?» «Le uova all'aceto non mi dispiacciono.» Wallander si chiese quale ristorante a Ystad offrisse un menu che potesse incontrare l'approvazione di Robert Modin. Dubitava che ne esistesse uno. Modin iniziò a rovistare nei sacchetti di plastica che aveva portato con sé da casa. Ma non trovò nulla. «Una normale insalata sarà sufficiente» disse. Lasciarono la casa. Wallander propose di raggiungere il centro città in auto. Ma Robert Modin disse che preferiva camminare. L'auto degli agenti in borghese era parcheggiata al solito posto. «Chissà chi stanno aspettando» disse Modin quando passarono di fianco all'auto. «È proprio il caso di chiederselo» rispose Wallander. Si fermarono all'unico ristorante vegetariano che Wallander conosceva a Ystad. Wallander aveva appetito e mangiava con gusto. Modin, da parte sua, sembrava controllare ogni foglia di insalata prima di metterla in bocca. Wallander non aveva mai visto nessuno masticare con tanta lentezza. «Stai veramente attento a quello che mangi» disse. «La mia mente deve rimanere lucida» rispose Modin. E il sedere pulito, pensò Wallander malignamente. E fin lì posso essere d'accordo. Durante il pasto, Wallander cercò di portare avanti una conversazione, ma Modin rispondeva a monosillabi. Alla fine, capì che il giovane continuava a essere impegnato mentalmente con i codici cifrati e i segreti di Falk.
Poco prima delle sette erano di ritorno a Runnerströms Torg. Martinsson non era ancora tornato. Robert Modin si mise a sedere davanti al computer e riprese a dialogare con i suoi consulenti in Dalarna e in California. Wallander pensò che i due dovevano avere lo stesso aspetto del giovane seduto al suo fianco. «Nessuno mi ha rintracciato» disse dopo avere effettuato un'operazione lunga e complicata con la tastiera. «Ne sei sicuro?» «Certamente.» Wallander si mosse per cercare la posizione più comoda sulla sedia pieghevole. È come essere a una partita di caccia agli alci. Alci elettronici. Sappiamo che sono da qualche parte. Li aspettiamo, ma non sappiamo da dove sbucheranno. Il cellulare di Wallander squillò. Modin si irrigidì. «Detesto i telefoni cellulari» disse risoluto. Wallander si alzò e andò sul pianerottolo: era Ann-Britt. Le disse dove si trovava e fece un resoconto di quello che erano riusciti a scoprire fino a quel momento sul computer di Falk. «La Banca mondiale e il Pentagono» ripeté Ann-Britt. «Due dei maggiori centri di potere del mondo.» «Naturalmente conosco l'importanza del Pentagono. Ma non so molto della Banca mondiale. Anche se una volta, Linda me ne ha parlato. Non certo bene, devo dire.» «È il termine usato per indicare la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Concede prestiti soprattutto ai paesi poveri. Ma sostiene anche le economie di altri paesi. È molto criticata. Soprattutto per gli interessi e, più in generale, per le condizioni esorbitanti che impone per i prestiti che concede.» «Come fai a sapere tutto questo?» «Me ne ha parlato il mio ex marito. Durante i suoi viaggi per lavoro in tutto il mondo, ha sentito molte persone lamentarsi dell'attività di quella organizzazione.» «Non sappiamo ancora cosa significhi tutto questo» disse Wallander. «Tutto è ancora molto vago. Ma perché mi hai chiamato?» «Ho seguito il mio istinto e sono andata nuovamente a parlare con Ryss. Dopo tutto è stato lui a metterci sulle tracce di Landahl. E poi comincio a credere che, in realtà, Eva Persson sapesse molto poco sul conto di Sonja Hökberg anche se la ammirava. Sappiamo che sta mentendo. Ma, con tutta
probabilità, parte di quello che dice è la verità.» «Che cosa ha detto Ryss? Si chiama Kalle, non è così?» «Sì, Kalle Ryss. Ho deciso di chiedergli perché la storia con Sonja fosse finita. Chiaramente, non si aspettava quella domanda. Ho notato che non voleva rispondere. Ma ho insistito. E devo dire che la risposta mi ha sorpresa. Si erano lasciati perché Sonja non ne aveva mai voglia.» «Voglia di cosa?» «Che cosa credi? Di sesso, naturalmente.» «Ha detto proprio così?» «Quando ha deciso di rispondere, ha detto tutto. Quando l'aveva incontrata per la prima volta, Sonja gli era subito piaciuta. Ma dopo, Sonja aveva dimostrato un totale disinteresse per il sesso. Alla fine Kalle si è stancato. Ma, naturalmente, il dettaglio più importante è il motivo alla base del disinteresse di Sonja.» «Qual era?» «Sonja gli aveva detto di essere stata violentata alcuni anni prima. Le conseguenze di quella esperienza continuavano a tormentarla.» «Sonja Hökberg è stata violentata?» «Così mi ha detto. Sono andata a controllare nei registri. Vecchie indagini. Ma non ho trovato niente che riguardi Sonja Hökberg.» «Ed è successo a Ystad?» «Sì. Ma ho iniziato a pensare a qualcos'altro.» Wallander intuì quello che Ann-Britt voleva dire. «Il figlio di Lundberg? Carl-Einar?» «Proprio così. Naturalmente è un'ipotesi un po' azzardata. Ma non del tutto impossibile.» «Continua.» «Carl-Einar Lundberg è stato arrestato perché sospettato di essere coinvolto in una storia di stupro. È stato assolto. Ma molti dettagli lasciano pensare che sia stato lui a commettere lo stupro. In questo caso, niente ci dice che non possa avere fatto la stessa cosa in precedenza. Ma Sonja Hökberg non ha denunciato il fatto.» «Perché non lo ha fatto?» «Esistono molti motivi che inducono le donne a non denunciare una violenza. Tu dovresti saperlo.» «Immagino che tu sia arrivata a una conclusione.» «Sì. Ma è molto provvisoria.» «In ogni caso, mi interessa conoscerla.»
«Qui viene il difficile. Ammetto che è una conclusione forzata. Ma dopo tutto, Carl-Einar era il figlio di Lundberg.» «Vuoi dire che Sonja ha voluto vendicarsi uccidendo il padre del suo stupratore?» «In questo caso, avremmo un movente. E noi conosciamo un lato molto importante del carattere di Sonja Hökberg.» «Quale?» «Era testarda. Da quello che mi hai detto, il suo patrigno lo ha confermato. Non ha detto che era una persona forte?» «Eppure, non mi sembra plausibile. Le due ragazze non potevano sapere che Lundberg sarebbe stato alla guida del taxi che avevano chiamato. E come potevano sapere che era il padre di Carl-Einar?» «Ystad è una città piccola. E noi non sappiamo quello che è passato per la testa di Sonja in quel momento. Può essere stata ossessionata dal desiderio di vendetta. Per una donna subire uno stupro è una tragedia. Molte si rassegnano. Ma abbiamo esempi di donne che si sono vendicate brutalmente.» Ann-Britt fece una pausa prima di continuare. «Noi stessi ne sappiamo qualcosa.» Wallander annuì. «Ti stai riferendo a Yvonne Ander?» «Chi, se non lei?» Wallander ritornò con il pensiero al caso di alcuni anni prima, quando una donna aveva commesso una serie di brutali omicidi, quasi esecuzioni vere e proprie, di uomini diversi che avevano usato violenza contro alcune donne. Era stato nel corso di quell'indagine che Ann-Britt era stata ferita in modo grave da un colpo di pistola. Wallander si rese conto che, a dispetto di tutto, era possibile che AnnBritt avesse scoperto qualcosa che avrebbe potuto dimostrarsi determinante. Coincideva con le sue stesse congetture che collocavano l'assassinio di Lundberg ai margini, per così dire, mentre al centro c'era Tynnes Falk. Falk con il suo giornale di bordo e i suoi computer. «In ogni caso, dobbiamo cercare di sapere al più presto se Eva Persson è al corrente di tutto questo» disse Wallander. «Ho pensato la stessa cosa. Poi, dobbiamo cercare di sapere se, e in quale occasione, Sonja Hökberg è tornata a casa con segni di percosse. Dagli atti, risulta che lo stupro per il quale Carl-Einar Lundberg era sospettato è stato particolarmente brutale.»
«Hai ragione.» «Me ne occuperò io stessa.» «Dopo ci riuniremo ed esamineremo tutti i fatti alla luce di questa ipotesi.» Ann-Britt promise di farsi viva non appena avesse avuto ulteriori informazioni. Wallander mise il cellulare in tasca e rimase immobile sul pianerottolo al buio. Un pensiero stava lentamente prendendo forma nella sua mente. Stavano cercando un punto centrale intorno al quale ruotavano tutti gli altri avvenimenti. Fra tutte le possibili strade che Wallander aveva cercato di percorrere, ne esisteva un'altra. Qual era il vero motivo che aveva spinto Sonja Hökberg a fuggire dalla centrale di polizia? Wallander non aveva dato molta importanza a quella domanda. La risposta era rimasta un semplice dubbio nel suo subconscio. Sonja era fuggita perché voleva essere libera da ogni responsabilità, anche se aveva confessato. Ma ora, Wallander si rese conto che esisteva un'altra possibile spiegazione. Sonja Hökberg era fuggita perché voleva nascondere qualcos'altro. Ma cosa? Istintivamente, Wallander sentì che, formulando quell'ipotesi, si era avvicinato a qualcosa di importante. Ma un altro pensiero stava prendendo forma nella sua mente. Dopo qualche secondo, il pensiero si concretizzò. Sonja Hökberg era fuggita dalla centrale di polizia nella futile speranza di riuscire a cavarsela. Poteva essere l'interpretazione corretta. Ma lì fuori, c'era stato qualcun altro che temeva che Sonja non avesse confessato unicamente l'omicidio di Lundberg, ma avesse raccontato altro. Qualcosa che non aveva assolutamente niente a che fare con una vendetta per uno stupro che aveva subito. Sembra logico, pensò Wallander. In questo caso, Lundberg rientra nel quadro. E abbiamo una spiegazione ragionevole di quello che è successo. Qualcosa doveva essere tenuto segreto. Qualcosa che Sonja Hökberg era probabilmente stata sospettata di averci svelato. O che, forse, ci avrebbe potuto rivelare. Sonja è stata uccisa perché non potesse parlare. E la persona che l'ha uccisa è stata assassinata a sua volta. Proprio come Robert Modin ha cercato di cancellare le proprie tracce, altri hanno cercato di eliminare quelle lasciate dopo la morte di Falk. Cosa è successo a Luanda?, pensò. Chi si nasconde dietro alla lettera C? Che cosa significa la cifra 20? Che cosa si nasconde nel computer di Falk? Wallander si rese conto che la scoperta di Ann-Britt lo aveva aiutato a uscire dallo stato d'animo tetro in cui era piombato. Rientrò nella stanza di fianco a Robert Modin, con rinnovata energia.
Un quarto d'ora dopo, Martinsson era di ritorno. Iniziò a parlare della magnifica torta che avevano mangiato. Wallander ascoltò con malcelata impazienza. Poi chiese a Robert Modin di raccontare a Martinsson quello che aveva scoperto durante la sua assenza. «La Banca mondiale? Cosa può avere a che fare con Falk?» «È proprio quello che dobbiamo cercare di scoprire.» Martinsson si tolse la giacca, riprese possesso della sua sedia pieghevole e sputò simbolicamente sui palmi delle mani. Wallander gli fece un resoconto della sua conversazione con Ann-Britt e notò che Martinsson aveva immediatamente afferrato l'importanza di quell'ipotesi. «In ogni caso, ci offre una nuova prospettiva» disse Martinsson quando Wallander finì di parlare. «Non solo» disse Wallander. «Finalmente, iniziamo a intravedere una logica in tutto questo.» «Se devo essere sincero, non ho mai visto niente di simile» disse Martinsson aggrottando la fronte. «Ma allo stesso tempo, rimangono dei vuoti enormi. Non siamo ancora riusciti ad avere una spiegazione ragionevole della presenza del relè sulla lettiga di Falk. E non sappiamo neppure perché il suo corpo è stato riportato davanti al Bancomat. Non posso credere che sia stato fatto soltanto per tagliargli le dita.» «Sono questi i vuoti che dobbiamo cercare di colmare» disse Wallander. «Adesso vi lascio. Cercherò di fare un riepilogo. Chiamatemi immediatamente se scoprite altro.» «Andiamo avanti fino alle dieci» disse Robert Modin. «Poi devo andare a dormire.» Quando Wallander arrivò in strada, per un attimo rimase indeciso. Avrebbe veramente avuto la forza di continuare a lavorare ancora per qualche ora? O avrebbe dovuto tornare a casa? Decise di fare entrambe le cose. Avrebbe potuto lavorare seduto al tavolo della cucina di casa sua. Doveva analizzare a fondo quello che Ann-Britt aveva detto. Salì nell'auto e si diresse verso casa. Aprì la dispensa e sul fondo trovò una confezione di minestra di pomodoro. Seguì le istruzioni alla lettera. Ma la minestra era praticamente senza gusto. L'aggiunta di tabasco l'aveva resa troppo piccante. Con uno sforzo riuscì a mangiarne metà, e gettò il resto. Poi, preparò un caffè e si mise a sedere con le sue carte al tavolo della cucina. Lentamente iniziò per l'ennesima volta ad analizzare gli avvenimenti che, in modi diversi, si incrociavano fra loro. Sollevò tutte le pietre e andò avanti e indietro sul terreno,
cercando senza sosta di ascoltare il proprio intuito. La teoria di Ann-Britt era una costante invisibile in ogni suo pensiero. Nessuno telefonò, nessuno lo disturbò. Alle undici, Wallander si alzò e si sgranchì le gambe. I vuoti sono ancora lì, pensò. Ma la domanda è se Ann-Britt non abbia trovato una traccia che ci aiuterà a fare un passo avanti. Poco prima di mezzanotte, Wallander andò a coricarsi. Si addormentò quasi subito. Alle dieci in punto, Robert Modin disse di averne avuto abbastanza. Scollegò e imballò i suoi computer. Martinsson stesso lo portò a Löderup con la sua auto. Quando lo lasciò davanti a casa, gli disse che qualcuno sarebbe andato a prenderlo il mattino dopo alle otto. Ma Robert Modin non andò a dormire come aveva detto. Aveva deciso di finire quello che si era prefisso. Il ricordo di quello che era accaduto quando era riuscito a forzare le difese telematiche del Pentagono era ancora vivo nella sua mente. Ma la tentazione era troppo grande. Ora aveva imparato. Ora avrebbe agito con cautela. Ora avrebbe cancellato le tracce dei suoi attacchi con estrema cura. I suoi genitori dormivano. Tutta Löderup era avvolta nel silenzio. Martinsson non aveva notato che Robert Modin aveva trasferito una parte dei file di Falk che era riuscito ad aprire sui suoi computer. Li collegò e iniziò a controllarli ancora una volta alla ricerca di nuovi segreti. Nuove crepe nelle ermetiche porte elettroniche. Quella sera un banco di nuvole cariche di pioggia aveva raggiunto Luanda. Carter era rimasto sveglio a leggere un rapporto che analizzava criticamente l'attività del Fondo monetario internazionale nei paesi dell'Africa orientale. La critica era spietata e formulata con chiarezza. Carter stesso non avrebbe potuto esporla in modo più efficace. Ma, allo stesso tempo, confermava nuovamente la sua convinzione. Non c'erano più vie di uscita. Con l'attuale sistema finanziario mondiale non era assolutamente possibile sperare in cambiamenti reali. Posò il rapporto sulla scrivania e si avvicinò alla finestra, osservando i lampi che squarciavano il cielo. I guardiani notturni erano accovacciati al buio, al riparo della veranda. Stava per andare a letto, quando qualcosa lo spinse ad andare nel suo studio. Il brusio dell'aria condizionata rompeva il silenzio. Si avvicinò al computer e notò immediatamente che qualcuno stava cer-
cando di entrare nel sistema. Ma qualcosa era cambiato. Carter si mise a sedere. Dopo qualche minuto capì. Improvvisamente, qualcuno non era stato sufficientemente cauto. Carter si asciugò le mani con il fazzoletto. Poi, iniziò a dare la caccia alla persona che minacciava di svelare il segreto. 29. Il giovedì mattina, Wallander rimase a casa fino a pochi minuti prima delle dieci. Si era svegliato presto e si sentiva riposato. La soddisfazione di essere riuscito a dormire una notte intera indisturbato era stata in parte rovinata da un senso di colpa. Avrebbe dovuto andare al lavoro invece di rimanere a casa. Anzi, avrebbe dovuto alzarsi alle cinque e approfittare delle prime ore del mattino per fare qualcosa di utile. Si era chiesto spesso da chi avesse ereditato quel suo atteggiamento verso il lavoro. Per tutta la vita, sua madre era stata una casalinga che non si era mai lamentata di rimanere tutto il giorno fra le quattro mura di casa. O almeno, Wallander non l'aveva mai sentita farlo. Per quanto ricordasse, suo padre non aveva mai intrapreso nulla che non fosse di suo gradimento. Nelle rare occasioni in cui riceveva ordini per un buon numero di quadri, si era sempre lamentato di non poter lavorare al proprio ritmo. Ma non appena uno degli uomini che indossavano vestiti di seta veniva a ritirare una partita di quadri, riprendeva immediatamente il suo consueto ritmo di lavoro rilassato. In verità, ogni mattina di buon'ora andava nel suo atelier e vi rimaneva sempre fino a sera tardi. Ritornava soltanto all'ora dei pasti. Più di una volta Wallander si era avvicinato di nascosto a una delle finestre e aveva visto che non sempre suo padre rimaneva seduto davanti al cavalletto a dipingere. A volte era disteso su un vecchio materasso a dormire o a leggere. Altre volte lo aveva visto seduto all'unico tavolo intento a fare un solitario. Quando rifletteva sul proprio atteggiamento verso il lavoro, Wallander era costretto ad ammettere di non averlo ereditato dai suoi genitori. Al contrario, se il suo aspetto assomigliava sempre più a quello di suo padre, le forze interiori che lo spingevano erano paragonabili a furie in un continuo e mai del tutto soddisfacente movimento. Alle otto, Wallander aveva telefonato alla centrale di polizia. Era riuscito a parlare soltanto con Hansson. Tutti gli altri membri della squadra in-
vestigativa erano impegnati a svolgere i rispettivi compiti. Wallander disse a Hansson che la riunione si sarebbe svolta nel primo pomeriggio. Poi scese nella lavanderia condominiale, e con sua sorpresa vide che era vuota e che nessuno si era prenotato per le ore successive. Aveva immediatamente scritto il proprio nome sulla lista ed era risalito in casa a prendere una prima parte del bucato. Avviata la lavatrice, era tornato nel suo appartamento per la seconda volta, e aveva trovato la lettera sul pavimento dell'ingresso. Il suo nome e indirizzo erano scritti a mano. Sul retro non c'era il nome del mittente. Wallander aveva posato la lettera sul tavolo della cucina, pensando che si trattasse di un invito o di qualche ragazzino che era interessato a corrispondere con un poliziotto. Non era la prima volta che riceveva lettere consegnate a mano. Poi, aveva aperto la finestra della camera da letto e aveva messo le lenzuola a prendere aria. La temperatura si era abbassata. Ma non c'erano ancora state gelate. Soffiava un leggero vento, e il cielo era coperto da qualche nuvola. Solo dopo avere bevuto due tazze di caffè, aprì la lettera, e solo allora scoprì che all'interno c'era una seconda busta. Bianca. La aprì e lesse. Dapprima non capì niente. Poi si rese conto di avere ricevuto una risposta all'annuncio che aveva inviato con una e-mail all'agenzia di annunci. Posò la lettera, girò intorno al tavolo e la rilesse. La donna che aveva risposto si chiamava Elvira Lindfeldt. Non aveva inviato la sua fotografia. Ma Wallander decise rapidamente che era una donna molto bella. La sua calligrafia era chiara e decisa. Niente di fiorito e rotondeggiante. L'agenzia le aveva inviato il suo annuncio. La donna lo aveva letto, lo aveva trovato interessante e aveva risposto il giorno stesso. Aveva trentanove anni, era anche lei divorziata, e viveva a Malmö. Lavorava per una ditta di trasporti che si chiamava Heinemann & Nagel. Aveva concluso il messaggio lasciando il proprio numero di telefono, augurandosi che potessero incontrarsi al più presto. Wallander si sentiva come un lupo affamato che è riuscito a individuare una preda. Afferrò il telefono per chiamare immediatamente. Ma cambiò parere e decise di gettare la lettera. Sarebbe stato un incontro disastroso. Sicuramente, Elvira Lindfeldt sarebbe rimasta delusa vedendolo. E poi non aveva tempo. Era impegnato in un'indagine che era una delle più complicate che avesse mai dovuto condurre. Fece un altro giro intorno al tavolo. Poi si convinse dell'inutilità di quell'annuncio. Prese la lettera, la fece a pezzi e la gettò nel cestino della carta. Quindi riprese a pensare alle conclusioni alle quali era arrivato la sera precedente, dopo che Ann-Britt
gli aveva telefonato. Prima di andare alla centrale di polizia, era andato nella lavanderia, si era occupato del bucato e aveva riempito una seconda lavatrice. La prima cosa che fece quando arrivò in ufficio fu scrivere un promemoria. Doveva ricordarsi di svuotare la lavatrice e l'asciugatrice al più tardi a mezzogiorno. Nel corridoio incontrò Nyberg che stava andando da qualche parte con un sacchetto di plastica in mano. «Oggi avremo un bel po' di risultati» disse Nyberg. «Fra l'altro abbiamo fatto dei controlli incrociati con un sacco di impronte digitali per vedere se sono state trovate da altre parti.» «Che cosa è successo nella sala macchine del traghetto?» «Non invidio Susann Bexell. Il corpo è stato così schiacciato, che non credo sia rimasto intatto un solo osso. Hai potuto vedere tu stesso.» «Sonja Hökberg era morta o aveva già perso conoscenza quando è finita nella cabina dei trasformatori» disse Wallander. «Mi chiedo se lo fosse anche Jonas Landahl. Ammesso che sia lui.» «È lui» disse Nyberg senza esitazione. «Dunque è stato confermato.» «Sembra che sia stato possibile identificarlo grazie a una voglia su una caviglia.» «Chi ha fatto controllare?» «Credo sia stata Ann-Britt. In ogni caso, è lei che me lo ha detto.» «Dunque, non c'è alcun dubbio che sia Jonas Landahl?» «No, almeno da quanto ho capito. Sono riusciti a rintracciare i suoi genitori.» «Adesso sappiamo anche questo» disse Wallander. «Prima Sonja Hökberg. E adesso il suo ragazzo.» Nyberg lo fissò sorpreso. «Credevo che foste arrivati alla conclusione che fosse stato lui a ucciderla. In quel caso potrebbe trattarsi di un suicidio. Anche se, naturalmente, è un modo atroce di togliersi la vita.» «Ci sono altre possibilità» disse Wallander. «Ma la cosa più importante in questo momento è sapere che si tratta veramente di Jonas.» Wallander andò nel suo ufficio. Ebbe appena il tempo di togliersi la giacca e di pentirsi di avere gettato la lettera di Elvira Lindfeldt quando il telefono squillò. Era Lisa Holgersson. Voleva incontrarlo immediatamente. Wallander lasciò il suo ufficio in preda a cattivi presentimenti. Nel passato aveva sempre parlato volentieri con il suo capo. Ma da quando, una settimana prima, Lisa Holgersson gli aveva dimostrato apertamente la propria
sfiducia, Wallander aveva cercato di evitarla. Lo aspettava seduta dietro la sua scrivania. Non c'era più l'atmosfera amichevole di un tempo. Il suo sorriso solitamente cordiale era appena abbozzato ed evidentemente forzato. Wallander si mise a sedere. Era teso, pronto a difendersi da qualsiasi attacco. «Andrò dritta al punto» disse Lisa Holgersson. «È iniziata l'inchiesta interna su come si sono veramente svolti i fatti fra te ed Eva Persson.» «Chi conduce l'inchiesta?» «Un uomo di Hässleholm.» «Un uomo di Hässleholm? Sembra il titolo di una serie televisiva.» «È un ispettore della polizia criminale. Sei stato denunciato anche al difensore civico. E non solo tu, ma anche la sottoscritta.» «Tu non hai mai dato uno schiaffo a Eva Persson.» «Io sono responsabile di quello che succede qui dentro.» «Chi ha sporto le denunce?» «L'avvocato di Eva Persson. Si chiama Klas Harrysson.» «Bene, adesso so anche questo» disse Wallander alzandosi in preda all'ira. La sensazione di energia che lo aveva pervaso da quando si era alzato stava svanendo, e lui non voleva perderla. «Non ho ancora finito» disse Lisa Holgersson. «Stiamo seguendo un'indagine complicata, e io sono il responsabile.» «Questa mattina ho parlato con Hansson. Sono al corrente di tutto.» Quando gli ho parlato, Hansson non mi ha detto niente, pensò Wallander. La sensazione che uno dei suoi colleghi parlasse alle sue spalle e che non gli dicesse come stavano le cose riemerse con prepotenza. Wallander si rimise a sedere pesantemente. «È una situazione difficile» disse Lisa Holgersson. «In realtà non è così» disse Wallander. «Quello che è successo in quella stanza fra me, Eva Persson e sua madre è esattamente come lo ho descritto sin dall'inizio. Non ho mai cambiato una sola parola della mia versione. E l'ho sempre riferita con calma, senza agitarmi, arrossire o sudare. Quello che mi fa andare in bestia è il fatto che tu non mi creda.» «Che cosa vuoi che faccia?» «Voglio che tu mi creda.» «Ma la ragazza e sua madre sostengono il contrario. E loro sono in due.» «Potrebbero essere anche in mille. Tu avresti dovuto credermi in ogni caso. Inoltre, hanno dei buoni motivi per mentire.» «Li hai anche tu.»
«Li ho anch'io?» «Se hai colpito la ragazza senza motivo.» Per la seconda volta Wallander si alzò. Ma questa volta di scatto. «Non intendo commentare questa tua ultima frase. Ma sappi che lo considero un vero e proprio insulto.» Lisa Holgersson cercò di protestare. Ma Wallander la interruppe. «Volevi dirmi altro?» «Sì. Non ho ancora finito.» Wallander rimase in piedi. Era teso e furibondo. Non aveva alcuna intenzione di arrendersi. Ma voleva andarsene da quella stanza appena possibile. «La situazione è talmente grave che sono costretta a prendere un provvedimento» disse Lisa Holgersson. «Per tutta la durata dell'inchiesta interna sarai sospeso dal servizio.» Wallander aveva ascoltato le parole e aveva capito. In due occasioni diverse, prima il povero Svedberg e in seguito Hansson erano stati oggetto di inchieste disciplinari interne in quanto sospettati di soprusi, ed erano stati sospesi dal servizio per tutta la durata delle inchieste. Nel caso di Hansson, Wallander era convinto che le accuse fossero false. Per quanto riguardava Svedberg, qualche dubbio lo aveva avuto. Poco tempo dopo, l'accusa si era rivelata fondata. Tuttavia, in entrambi i casi Wallander era stato contrario alla sospensione dal lavoro dei due colleghi, dicendo chiaramente a Björk, che all'epoca era il loro capo, che non spettava a lui giudicarli colpevoli prima che l'inchiesta fosse portata a termine. Improvvisamente la sua rabbia svanì. Ora era completamente calmo. «Fai quello che credi» disse. «Ma se mi sospendi dal servizio, darò immediatamente le dimissioni.» «La considero una minaccia.» «Puoi pensare quello che diavolo vuoi. Ma è quello che farò. E puoi essere certa che quando arriverete alla conclusione che stanno mentendo, non ritirerò le dimissioni.» «La fotografia costituisce un'aggravante.» «Invece di prestare ascolto a quello che dicono Eva Persson e sua madre, sia tu che l'uomo di Hässleholm dovreste verificare se quel fotografo non abbia commesso un reato aggirandosi per i corridoi della nostra centrale.» «Vorrei che ti dimostrassi un po' più disposto a collaborare, invece di minacciarmi con le dimissioni.» «Sono nella polizia da molti anni» disse Wallander. «E una delle cose
che questo mestiere mi ha insegnato è che la tua decisione non è assolutamente necessaria. È chiaro che qualcuno molto in alto si è innervosito per una fotografia apparsa su un giornale, e ha deciso di dare un esempio. E tu hai scelto di non opporti.» «Non è affatto così» rispose Lisa Holgersson. «Tu sai quanto me che quello che ho detto è vero. Quando avevi pensato di sospendermi dal servizio? Adesso? O quando sarò uscito dal tuo ufficio?» «Farò in modo che l'ispettore di Hässleholm non perda tempo. Dato che ci troviamo nel bel mezzo di un'indagine difficile, avevo pensato di rimandare la sospensione.» «Perché? Puoi benissimo lasciare la responsabilità dell'indagine a Martinsson. Se la caverà ottimamente.» «Avevo pensato di lasciare le cose come sono fino alla fine di questa settimana.» «No» disse Wallander. «Niente da fare. O mi sospendi ora, oppure non lo fai affatto.» «Non capisco perché mi devi minacciare. Credevo che fra noi ci fosse un buon rapporto.» «Lo credevo anch'io. Ma evidentemente mi sono sbagliato.» Rimasero in silenzio. «Sto aspettando» disse Wallander. «Sono sospeso dal servizio o no?» «Non sei sospeso» rispose Lisa Holgersson. «In ogni caso non per ora.» Wallander uscì dall'ufficio. Nel corridoio si rese conto di essere in un bagno di sudore. Tornò nel suo ufficio e chiuse la porta a chiave. Improvvisamente fu colto dallo sconforto. Tanto valeva scrivere immediatamente la lettera di dimissioni, mettere in ordine l'ufficio e lasciare la centrale di polizia per sempre. La riunione della squadra investigativa si sarebbe svolta senza di lui. Non avrebbe mai più partecipato a una riunione. Ma, allo stesso tempo, c'era qualcosa che lo bloccava. Le sue dimissioni in quel momento avrebbero potuto essere interpretate come un'ammissione di colpa. In seguito, le conclusioni alle quali sarebbe giunta l'inchiesta interna non avrebbero avuto molta importanza. Avrebbero continuato a considerarlo colpevole. Lentamente, nella sua mente prese forma una decisione. Per il momento sarebbe rimasto in servizio. Ma avrebbe informato i suoi colleghi durante la riunione del pomeriggio. La cosa più importante era stata non darla vinta a Lisa Holgersson. Wallander non aveva alcuna intenzione di piegarsi,
di sottomettersi o di chiedere la grazia. La calma era tornata. Aprì la porta, la lasciò volutamente spalancata e si mise al lavoro. A mezzogiorno andò a casa, svuotò la lavatrice e appese le camicie nell'armadio essiccatore. Salì nell'appartamento e raccolse i frammenti della lettera dal cestino. Non sapeva perché avesse deciso di farlo. Pensò che almeno Elvira Lindfeldt non faceva parte del corpo di polizia. Andò a pranzo nella pizzeria di Istvån e parlò con uno dei pochi amici di suo padre che era ancora vivo, un ex negoziante in pensione che per anni aveva fornito a suo padre le tele, i pennelli e i colori. Finito il pranzo, tornò alla centrale di polizia. Spinse le porte a vetri provando una vaga sensazione di suspense. Forse Lisa Holgersson aveva cambiato idea. O forse si era irritata e aveva deciso di sospenderlo con effetto immediato. Wallander si chiese come avrebbe reagito in quel caso. In verità, il pensiero di dare le dimissioni lo faceva inorridire. Non aveva neppure il coraggio di immaginare come sarebbe stata la sua vita dopo. Ma quando entrò nel suo ufficio, trovò solo messaggi telefonici che potevano aspettare. Lisa Holgersson non lo aveva cercato. Wallander si sentì sollevato, almeno temporaneamente, e telefonò a Martinsson che rispose da Runnerströms Torg. «Stiamo andando avanti» disse Martinsson. «Robert Modin è riuscito a decifrare altri due codici. Aspetta.» Wallander udì il fruscio di fogli di carta. Poi udì nuovamente la voce di Martinsson. «Uno dei codici si riferisce a qualcuno che sembra essere un agente di Borsa a Seul e l'altro a una società inglese che si chiama Lonrho. Ho telefonato a un funzionario del reparto contro le frodi economiche a Stoccolma. È uno che sa praticamente tutto sulle grandi società straniere. Mi ha detto che la Lonrho ha le sue radici in Africa. Ai tempi delle sanzioni contro la Rodesia del Sud, la società ha svolto attività a dir poco illegali.» «Ma che cosa significa tutto questo?» chiese Wallander. «Un agente di Borsa in Corea? E quella società inglese? Come diavolo si chiama? Che cosa significa?» «È quello che mi chiedo anch'io. Ma Robert Modin ha detto che ci sono un'ottantina di ramificazioni. Bisognerà avere pazienza prima di riuscire a scoprire cosa colleghi tutto.» «Pensando ad alta voce, ora come ora, cosa vedi?» «Denaro. Ecco quello che vedo.» «Cos'altro?»
«Non basta? La Banca mondiale, un agente di Borsa coreano e una società con radici in Africa hanno comunque un comune denominatore. Il denaro.» «Hai ragione» disse Wallander. «Ma chissà. Forse il ruolo principale di questo gioco è interpretato dal Bancomat davanti al quale Falk è morto.» Martinsson scoppiò in una risata. «Troviamoci alle tre» disse Wallander. Finita la conversazione, Wallander rimase seduto immobile. Pensò a Elvira Lindfeldt cercando di immaginare che aspetto avesse. Ma nella sua mente vedeva il volto di Baiba. E poi quello di Mona. A un certo punto gli sembrò di intravedere un'altra donna che aveva incontrato brevemente l'anno prima in un bar poco lontano da Västervik. Fu interrotto da Hansson che apparve improvvisamente nel vano della porta aperta. Wallander sussultò come se i suoi pensieri fossero stati visibili. «Le chiavi» disse Hansson. «Abbiamo rintracciato le chiavi.» Wallander lo fissò senza capire. Ma non disse nulla e aspettò che Hansson continuasse. «Ho ricevuto una lista dalla Sydkraft» continuò Hansson. «Hanno controllato tutte le persone che hanno le chiavi della cabina dei trasformatori. Nessuna manca all'appello.» «Bene» disse Wallander. «Un particolare in meno da controllare.» «Ma non sono riuscito a rintracciare il furgone Mercedes.» Wallander si appoggiò allo schienale della sedia. «Credo che possiamo lasciar perdere per il momento. Anche se prima o poi dovremo trovarlo, ora dobbiamo occuparci di cose più importanti. Ci riuniremo alle tre.» Hansson annuì, chiuse il suo taccuino e se ne andò. Il pensiero di Elvira Lindfeldt svanì. Wallander si chinò in avanti e prese il bloc-notes, riflettendo su quello che gli aveva detto Martinsson. Il telefono squillò. Era Viktorsson che voleva sapere a che punto fosse l'inchiesta. «Credevo che Hansson ti informasse regolarmente.» «In ogni caso, il responsabile dell'inchiesta sei tu.» Wallander rimase sorpreso dalle parole di Viktorsson. Era sicuro che prima di parlargli, Lisa Holgersson si fosse consultata con Viktorsson. Wallander ebbe la sensazione che il pm fosse sincero. Lo considerava veramente il responsabile dell'indagine. Quel pensiero lo gratificava e usò un
tono di voce più gentile. «Pensavo di venire a farti un rapporto domani mattina.» «Alle otto e mezza non ho impegni.» Wallander prese nota. «Ma come sta andando avanti l'indagine?» «Lentamente» disse Wallander. «Siete riusciti a sapere quello che è successo sul traghetto?» «Sappiamo che si tratta di Jonas Landahl. E abbiamo potuto stabilire un legame fra Landahl e Sonja Hökberg.» «Hansson mi ha detto che è probabile che Landahl abbia ucciso Sonja Hökberg. Ma la sua spiegazione non mi è sembrata particolarmente logica.» «Ne parleremo domani» disse Wallander evasivamente. «Lo spero. Ho l'impressione che vi siate arenati.» «Vorresti darci altre direttive?» «No. Ma vorrei avere un rapporto completo.» Dopo la conversazione, Wallander passò un'altra mezz'ora a prepararsi per la riunione. Alle tre meno venti andò in mensa a prendere un caffè. Il distributore automatico era nuovamente guasto. Wallander pensò a quello che Erik Hökberg aveva detto sulla vulnerabilità della società moderna. In quel momento gli venne un'idea. Decise di telefonare a Hökberg prima che la riunione iniziasse. Tornò nel suo ufficio con la tazza di caffè vuota. Hökberg rispose subito. Wallander gli fece un parziale resoconto di quello che era successo da quando si erano parlati l'ultima volta. Poi gli chiese se avesse mai sentito nominare Jonas Landahl. Hökberg rispose di no con tono deciso. Wallander rimase sorpreso. «Ne sei assolutamente certo?» «È un nome talmente insolito che me lo ricorderei sicuramente. È stato lui a uccidere Sonja?» «Non lo sappiamo. Ma si conoscevano. Pensiamo che avessero una relazione.» Per un attimo, Wallander fu tentato di parlare dello stupro. Ma poi si rese conto che non era il momento adatto. Non era qualcosa di cui poteva parlare al telefono. Invece, passò alla domanda che lo aveva spinto a telefonare. «Quando sono stato a casa tua, mi hai parlato di tutte le transazioni che riesci a fare con il computer. Ho avuto l'impressione che non vi fosse alcun limite.»
«Se uno riesce a collegarsi con i più importanti database in giro per il mondo, si trova sempre vicino al centro. Non importa dove si trovi fisicamente.» «Questo significa che, volendo, si possono fare affari con un agente di Borsa a Seul, per esempio?» «In linea di massima, sì.» «Cosa devi sapere per poterlo fare?» «Per prima cosa, devo conoscere il suo indirizzo e-mail. Poi devono essere verificate le nostre condizioni di credito. Lui deve riuscire a identificarmi e viceversa. Per il resto, non ci sono problemi. Non problemi tecnici, perlomeno.» «Che cosa significa?» «Che, naturalmente, in ogni nazione lo scambio di azioni è regolato da leggi diverse. Leggi che devono essere rispettate. A meno che uno non intenda agire illegalmente.» «Immagino che, viste le somme di denaro in gioco, il livello di sicurezza debba essere molto alto.» «Infatti lo è.» «Pensi che sia possibile aggirarlo?» «Non sono la persona giusta per risponderti. Non ne so abbastanza. Ma tu, da buon poliziotto, saprai che in pratica è possibile fare qualsiasi cosa. Dipende da quanto si è abili e potenti. Come dice quel detto? Se uno vuole veramente assassinare il presidente degli Stati Uniti, può riuscire benissimo a farlo. Mi chiedo perché mi fai tutte queste domande.» «Quando ci siamo incontrati, mi sei sembrato molto ferrato in queste cose.» «Solo all'apparenza. Il mondo dell'elettronica è complicato ed è in continuo sviluppo, e mi chiedo se ci sia veramente qualcuno a conoscenza di tutto quello che succede. E qualcuno che ne abbia il controllo.» Wallander promise di richiamare il giorno stesso o, al più tardi, il mattino dopo. Poi andò nella sala riunioni. Hansson e Nyberg erano già arrivati. Stavano parlando del distributore automatico delle bevande che ormai era sempre più spesso fuori servizio. Wallander fece un cenno di saluto e si mise a sedere. Ann-Britt e Martinsson arrivarono insieme. Wallander era indeciso se iniziare o terminare la riunione raccontando della discussione che aveva avuto con Lisa Holgersson. Alla fine decise di aspettare. Dopotutto stava conducendo, insieme ai suoi colleghi, un'indagine complessa e non voleva assillarli con ulteriori problemi.
Iniziarono analizzando quello che erano riusciti a sapere sulla morte di Jonas Landahl. Non avevano raccolto praticamente alcuna testimonianza di valore. Nessuno sembrava avere notato i movimenti di Jonas Landahl a bordo del traghetto. Nessuna lo aveva visto scendere nella sala macchine. Ann-Britt aveva ricevuto il rapporto del poliziotto che aveva fatto il viaggio di andata e ritorno dalla Polonia con la foto di Landahl. Una cameriera aveva detto di avere l'impressione di riconoscerlo. Se la memoria non la tradiva, Landahl era entrato nella caffetteria al momento dell'apertura e aveva mangiato un panino. Nient'altro. «È tutto molto strano» disse Wallander. «Nessuno lo ha visto. Nessuno lo ha notato pagare la sua cabina, né muoversi a bordo. Nessuno lo ha visto scendere nella sala macchine. È un vuoto che trovo incomprensibile.» «Deve essere stato in compagnia di qualcuno» disse Ann-Britt. «Per tutta sicurezza, prima di venire ho parlato con uno dei macchinisti. Secondo lui, è impossibile che Landahl si sia infilato fra gli assi delle eliche da solo.» «Dunque, qualcuno ce l'ha messo» disse Wallander. «E dato che possiamo escludere a priori che il colpevole sia uno degli addetti alla sala macchine, deve trattarsi di un estraneo. Qualcuno che nessuno ha visto né in compagnia di Landahl né quando ha lasciato la sala macchine. A questo punto, possiamo trarre un'ulteriore conclusione. Landahl lo ha seguito volontariamente. Non vi è stato costretto. Altrimenti qualcuno lo avrebbe notato. Inoltre, la scala è stretta e non sarebbe stato possibile trascinarvi Landahl contro la sua volontà.» Continuarono a parlare dell'indagine per altre due ore. Quando Wallander presentò le proprie conclusioni che, a loro volta, si basavano sulle riflessioni di Ann-Britt, la discussione si fece a tratti vivace. Ma nessuno poteva negare che, dopotutto, la pista che forse portava a Carl-Einar Lundberg, e quindi a suo padre, poteva costituire una svolta nell'indagine. Wallander continuava a insistere che Tynnes Falk era la chiave di tutto quello che era successo. Anche se non aveva molti argomenti concreti per provarlo, ne era certo. Alle sei, Wallander capì che era venuto il momento di chiudere la riunione. La stanchezza stava prendendo il sopravvento e le richieste di pause per cambiare l'aria erano sempre più frequenti. Decise di non parlare della conversazione che aveva avuto con Lisa Holgersson. Martinsson uscì per primo per andare a Runnerströms Torg dove Robert Modin stava lavorando da solo. Secondo Hansson, avrebbero dovuto proporre alla direzione generale di ricompensare il ragazzo in qualche modo.
Forse pagando un onorario per la sua consulenza. Nyberg continuava a sbadigliare, Wallander notò che aveva le dita ancora sporche di olio. Rimase nel corridoio per qualche minuto insieme ad Ann-Britt e Hansson, per decidere chi doveva occuparsi di cosa nell'immediato. Poi tornò nel suo ufficio e chiuse la porta dietro di sé. Rimase a lungo con lo sguardo fisso sul telefono senza riuscire a capire la propria indecisione. Ma alla fine, sollevò il ricevitore e compose il numero di Elvira Lindfeldt a Malmö. Al settimo segnale la donna rispose. «Lindfeldt.» Wallander posò immediatamente il ricevitore. Inveì ad alta voce. Aspettò alcuni minuti e ricompose il numero. Ora, la risposta fu immediata. Ha una bella voce, pensò Wallander. Wallander si presentò. Iniziarono parlando del tempo. A Malmö, si era alzato il vento. Elvira Lindfeldt si lamentò del fatto che molti dei suoi colleghi erano influenzati. Quell'autunno, il clima era rigido. Wallander era d'accordo. Anche lui aveva avuto mal di gola. «Sarebbe bello incontrarci» disse la donna. «Se devo essere sincero, non credo molto a queste agenzie di incontri» disse Wallander pentendosi subito. «È un modo non necessariamente peggiore di un altro» disse Elvira Lindfeldt. «Dopotutto, siamo adulti.» Poi, aggiunse qualcosa che sorprese Wallander. Gli chiese che cosa avrebbe fatto quella sera. Se non era occupato, potevano vedersi da qualche parte a Malmö. Non posso, pensò Wallander. Ho troppo da fare. E poi è troppo presto. Ma alla fine disse di sì. Decisero di incontrarsi alle otto e mezza al bar del Savoy. «Non abbiamo bisogno di fiori» disse Elvira Lindfeldt ridendo. «Credo che non avremo problemi a riconoscerci a vicenda anche senza.» La conversazione terminò. Wallander si chiese in che situazione si fosse messo. Ma allo stesso tempo, si sentiva eccitato. Erano le sei e mezza. Ora, Wallander aveva fretta. 30. Alle otto e ventisette, Wallander parcheggiò davanti all'Hotel Savoy a
Malmö. Per arrivare in tempo aveva guidato da Ystad senza rispettare i limiti di velocità. Aveva perso troppo tempo per decidere come vestirsi. Forse Elvira Lindfeldt si aspettava un uomo in uniforme. Come quella dei giovani cadetti dei tempi passati. Ma naturalmente, Wallander non si mise l'uniforme. Prese invece la camicia meno stropicciata dal cesto del bucato pulito, ma poi perse tempo a cercare la cravatta adatta. Alla fine decise di lasciar stare. Quando si infilò le scarpe, vide che richiedevano un intervento drastico. Tra una cosa e l'altra uscì dall'appartamento di Mariagatan in ritardo. Aveva ricevuto una telefonata di Hansson, il quale gli aveva chiesto se sapesse dove rintracciare Nyberg. Wallander non riuscì a capire perché Hansson avesse tanta urgenza di trovare Nyberg e aveva risposto bruscamente, tanto che Hansson gli aveva chiesto se avesse fretta. Era stato così enigmatico da lasciare Hansson senza parole. Aveva attaccato e stava per uscire, quando il telefono squillò nuovamente. Fermo, con la mano sulla maniglia della porta, dapprima pensò di non rispondere. Ma cambiò idea. Era Linda. Nel ristorante c'erano pochi clienti: il proprietario era in vacanza e, per una volta, Linda aveva la possibilità e il tempo di parlargli. Wallander fu tentato di dirle dove stava andando. Dopotutto, era stata lei a dargli quel consiglio, che aveva testardamente rifiutato così a lungo. Linda aveva capito che andava di fretta. Per esperienza, Wallander sapeva che era praticamente impossibile ingannarla. Ma invece le disse con tono deciso che doveva rispondere a una chiamata urgente della centrale di polizia. Linda promise di richiamare la sera seguente. Quando Wallander aveva ormai lasciato Ystad alle sue spalle, si accorse che la spia della benzina aveva iniziato a lampeggiare. Per un istante, pensò che sarebbe bastata per arrivare a Malmö. Ma non ebbe il coraggio di rischiare di rimanere a piedi lungo la strada. Inveendo, si fermò a un distributore poco lontano da Skurup, ormai rassegnato ad arrivare in ritardo. In verità, non capiva perché fosse così importante essere puntuale. Ma ricordava ancora quella volta che era arrivato in ritardo di dieci minuti a uno dei primi appuntamenti con Mona, e lei se ne era andata. Finalmente era arrivato a Malmö. Diede un rapido sguardo allo specchio. Era dimagrito. I lineamenti del suo volto erano più marcati e assomigliava sempre più a suo padre. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Non voleva farsi illusioni. Anche se io non rimarrò deluso, lei lo sarà certamente, pensò. Si sarebbero incontrati al bar, avrebbero scambiato i soliti convenevoli e le solite frasi, poi tutto sarebbe finito. Sicuramente, prima di
mezzanotte sarebbe tornato a Mariagatan. Il mattino dopo, appena sveglio, avrebbe dimenticato l'intero episodio. Inoltre, avrebbe avuto conferma di quello che aveva sempre sospettato. Non sarebbe certamente stato tramite un'agenzia che avrebbe trovato la sua donna ideale. A parte tutto, era arrivato a Malmö in orario. Ma ora rimase seduto nella sua auto fino alle nove meno venti. A quel punto scese, respirò profondamente ancora una volta e attraversò la strada. Si riconobbero contemporaneamente. Elvira Lindfeldt era seduta a un tavolo in un angolo. A parte alcuni uomini che bevevano birra al bancone, c'erano pochi clienti. Elvira Lindfeldt era l'unica donna nel locale. I loro sguardi si incrociarono. La donna si alzò sorridendo. Era alta e indossava un vestito blu. La gonna era sopra le ginocchia e Wallander notò subito le sue belle gambe. «Spero di non sbagliarmi» disse Wallander porgendole la mano. «Sei tu Kurt Wallander? Io sono Elvira Lindfeldt.» Wallander prese posto di fronte alla donna. «Io non fumo» disse lei. «Ma non dico no a un drink.» «Come il sottoscritto» disse Wallander. «Ma questa sera devo guidare. Prenderò un'acqua tonica.» In verità, Wallander avrebbe preferito un bicchiere di vino. Seguito da altri. Ma anni prima, anche quella volta a Malmö, aveva bevuto troppo durante una cena con Mona. Erano ormai separati, ma Wallander l'aveva pregata di tornare a vivere insieme a lui. Mona aveva rifiutato e quando se ne era andata, l'aveva vista salire nell'auto di un uomo che la stava aspettando. Wallander era salito nella sua auto e si era addormentato. Il mattino dopo, mentre tornava a casa era stato fermato da due colleghi, Peters e Norén, che lo avevano lasciato andare. Ma il suo tasso di alcol nel sangue era tale che, in caso di verbale, avrebbe rischiato il licenziamento. Wallander non voleva più correre quel rischio. Il cameriere si avvicinò al tavolo. Elvira Lindfeldt vuotò il bicchiere e ne ordinò un altro. Wallander si sentiva a disagio. Fin dalla prima adolescenza si era immaginato di essere più attraente di profilo che di fronte, quindi spostò la sedia di lato. «Sei scomodo?» chiese Elvira Lindfeldt. «Se vuoi puoi spostare il tavolo.» «Non ce n'è bisogno» disse Wallander. «Va bene così.» E adesso che cosa diavolo dico?, pensò. Che mi sono innamorato appena
l'ho vista entrando? O forse che ho ricevuto la sua lettera? «È la prima volta che metti un annuncio?» chiese la donna. «Sì. E devo dire che ho esitato a lungo.» «Io invece l'avevo già fatto» disse lei sorridendo. «Ma senza risultati.» Wallander notò che Elvira Lindfeldt, a differenza di lui che si preoccupava del proprio profilo, era una persona molto aperta e naturale. «Per quale motivo?» chiese Wallander. «Persona sbagliata. Momento sbagliato. Atteggiamento sbagliato. Aspettative deluse. Presunzioni sbagliate. Drink sbagliato. Tutto sbagliato, insomma.» «Forse lo stesso vale già anche per me?» «Tu, almeno, sembri gentile.» «Non capita spesso che la gente mi consideri un poliziotto gentile» disse Wallander. «Ma forse neppure cattivo.» In quello stesso istante, Wallander pensò alla fotografia apparsa sul giornale. La fotografia che smascherava il poliziotto violento di Ystad che colpiva un'adolescente indifesa. Wallander si chiese se Elvira Lindfeldt l'avesse vista. Ma durante tutte le ore che passarono insieme seduti al tavolo in un angolo del bar, Elvira Lindfeldt non ne parlò mai. Wallander iniziò a credere che non l'avesse vista, forse era una di quelle persone che non comprano mai, o solo raramente, i giornali della sera. Wallander sorseggiava l'acqua tonica sognando qualcosa di più forte. Elvira Lindfeldt continuava a bere vino e a parlare. Gli chiese che cosa si provava a fare il poliziotto. Wallander cercò di rispondere il più onestamente possibile. Ma si rese conto che di tanto in tanto esaltava alcuni lati difficili del suo lavoro. Come se cercasse di guadagnarsi una stima che non era affatto motivata. Le domande di lei, al contrario, erano equilibrate. A volte anche inaspettate. Wallander fu costretto a fare uno sforzo per dare risposte concrete. Quella sera, lei gli parlò anche del suo lavoro. La ditta in cui era impiegata curava, fra l'altro, il trasporto in tutto il mondo degli effetti personali dei missionari svedesi che partivano o ritornavano in patria. Il suo capo era spesso assente per viaggi di affari, e Wallander capì che svolgeva un lavoro di grande responsabilità e che lo faceva con passione. Il tempo passò in un baleno. Quasi senza accorgersene, Wallander aveva iniziato a parlare di Mona e del suo matrimonio fallito. Raccontò di come si fosse reso conto troppo tardi della svolta negativa che aveva preso la loro relazione. Questo a dispetto delle ripetute lamentele da parte di Mona e
delle altrettante promesse da parte di Wallander di migliorare. Ma un giorno tutto finì all'improvviso e in modo irrevocabile. Non c'era più futuro insieme. Rimaneva solo Linda. E una ridda di ricordi disordinati, e in parte penosi, che Wallander non era mai riuscito a cancellare del tutto. Elvira Lindfeldt ascoltava con attenzione, cercando anche di incoraggiarlo. «E dopo?» chiese quando Wallander finì. «Se ho capito bene, sei divorziato da molti anni.» «Per lunghi periodi, la mia è stata una vita vuota» disse Wallander. «Una volta c'è stata una donna a Riga, in Lettonia, che si chiamava Baiba. Per qualche tempo ho vissuto con la speranza di tornare a una vita normale. Ma non è stato così.» «Perché?» «Baiba non voleva lasciare Riga. E io volevo che si trasferisse a Ystad. Avevo dei grandi progetti. Una casa in campagna. Un cane. Un'altra vita.» «Forse i tuoi progetti erano troppo ambiziosi» disse Elvira Lindfeldt. «E spesso si paga per questo.» Wallander ebbe la sensazione di avere parlato troppo. Si era lasciato andare, e forse non era corretto nei confronti di Mona, né di Baiba. Ma la donna seduta di fronte a lui gli ispirava una grande fiducia. Poi Elvira Lindfeldt iniziò a raccontare la propria storia, che non era molto diversa da quella di Wallander. Nel suo caso i matrimoni falliti erano stati due, con un figlio avuto dal primo marito e una figlia dal secondo. Senza dirlo apertamente, aveva fatto capire a Wallander che il primo marito la picchiava, non spesso, ma abbastanza per renderle la vita impossibile. Il suo secondo marito era un argentino. La loro era stata una storia piena di passione che però si era esaurita poco per volta con il passare del tempo. «È sparito due anni fa» concluse Elvira Lindfeldt. «Alcuni mesi dopo si è fatto vivo da Barcellona, dove sosteneva di essere rimasto al verde. Gli ho mandato quanto bastava perché potesse almeno tornare in Argentina. Ora è un anno che non ho più sue notizie. E naturalmente, sua figlia non è felice.» «Quanti anni hanno i tuoi figli?» «Alexandra ha diciannove anni e Tobias ventuno.» Alle undici e mezza Wallander chiese il conto. Elvira Lindfeldt aveva insistito per pagare la sua parte. «Come si sta a Ystad?» chiese quando furono per strada. «Non ci sono mai stata.» «Io mi trovo bene» disse Wallander impacciato. Aveva pensato di chie-
derle quando avrebbe potuto telefonarle. Ma ora le sue parole avevano cambiato tutto. Wallander non era ancora sicuro di quello che provava. Era chiaro che Elvira Lindfeldt lo aveva trovato almeno simpatico. Ma per il momento lui non voleva andare oltre. «Potrei venire a trovarti. In auto oppure in treno. Se hai tempo.» «Sto seguendo un caso molto difficile» rispose Wallander. «Ma anche i poliziotti hanno il diritto di riposare di tanto in tanto. Ti telefonerò.» Elvira Lindfeldt abitava in un quartiere di villette. Wallander le propose di portarla a casa con la sua auto. Ma lei rispose che voleva camminare un po' e poi prendere un taxi. «Mi piace camminare» aggiunse. «Ma odio correre.» «Anch'io faccio lunghe passeggiate» disse Wallander, senza dirle che lo faceva per il diabete. Si strinsero la mano e si salutarono. Wallander restò fermo a osservarla finché non sparì all'angolo dell'isolato. Poi, salì nella sua auto e partì in direzione di Ystad. Dopo qualche chilometro si fermò e mise una cassetta di musica lirica. Quando passò il bivio che portava a Stjärnsund dove Sten Widén aveva la sua scuderia, pensò che l'invidia che aveva provato in precedenza non era più così intensa. A mezzanotte e mezza, parcheggiò l'auto davanti casa a Mariagatan. Entrò nell'appartamento, andò nel soggiorno e si mise a sedere sul divano. Era da tanto tempo che non provava una sensazione di felicità come in quel momento. L'ultima volta doveva essere stato quando aveva capito che Baiba ricambiava i suoi sentimenti. Quando infine andò a coricarsi, si addormentò senza avere pensato per un solo momento all'indagine. Per la prima volta, il lavoro poteva aspettare. Il venerdì mattina, Wallander entrò nel suo ufficio pieno di energia. La prima cosa che fece fu revocare l'ordine di sorvegliare Apelbergsgatan. Ma la sorveglianza a Runnerströms Torg doveva continuare. Poi telefonò a Martinsson, ma non ebbe risposta. Andò nell'ufficio di Hansson, ma anche lui non era ancora arrivato. Tornando nel suo ufficio incontrò Ann-Britt nel corridoio. I segni della stanchezza e della depressione erano più chiari che mai sul suo volto. Wallander si disse che avrebbe dovuto dirle qualche parola di incoraggiamento, ma sapeva che non sarebbe riuscito a usare un tono naturale. «La rubrica telefonica» disse. «Quella che Sonja Hökberg teneva nella
borsetta. È sparita.» «Siamo sicuri che l'avesse davvero con sé?» «Eva Persson l'ha confermato. Era blu con un elastico al centro.» «Allora possiamo ipotizzare che la persona che l'ha uccisa e che poi ha gettato via la borsetta abbia preso la rubrica telefonica.» «È possibile.» «Se solo potessimo sapere i numeri di telefono che conteneva. E i nomi.» Ann-Britt scrollò le spalle. Wallander la fissò attentamente. «Vorrei sapere come stai.» «Le cose vanno come vanno» rispose Ann-Britt. «Ma a volte il prezzo da pagare è troppo alto.» Ann-Britt si girò, entrò nel suo ufficio e chiuse la porta. Wallander esitò un attimo. Poi fece un passo avanti, bussò alla porta ed entrò senza aspettare una risposta. «Non abbiamo finito di parlare» disse. «Lo so. Scusami.» «Non devi scusarti. Come hai detto tu stessa, a volte il prezzo da pagare è troppo alto.» Wallander prese posto sulla sedia. Come sempre nell'ufficio di Ann-Britt regnava un ordine perfetto. «Dobbiamo chiarire la storia dello stupro» disse Wallander. «Non ho ancora parlato con la madre di Sonja Hökberg.» «È una persona complessa» disse Ann-Britt. «Si capisce che piange la morte della figlia. Ma io ho avuto l'impressione che avesse paura di Sonja.» «Perché?» «È solo una mia sensazione. Niente di più.» «E il fratello di Sonja? Erik?» «Emil. Sembra un ragazzo forte. Ma naturalmente è stato uno shock anche per lui.» «Alle otto e mezza devo incontrare Viktorsson» disse Wallander. «Ma dopo voglio andare a parlare con loro. Presumo che la madre sia tornata da Höör.» «Stanno occupandosi dei preparativi per il funerale. È atroce.» Wallander si alzò. «Se vuoi parlarmi sono a tua disposizione.» Ann-Britt scosse il capo.
«Non ora.» Arrivato sulla porta, Wallander si girò. «Che cosa ne sarà di Eva Persson?» chiese. «Non lo so.» «Anche se Sonja Hökberg sarà considerata la sola colpevole, la vita di Eva Persson è rovinata per sempre.» Ann-Britt fece una smorfia. «Non so se sarà così. Eva Persson dà l'impressione di essere una di quelle persone che riescono a scrollarsi di dosso qualsiasi cosa. Ma non capisco come si possa diventare così duri.» Wallander rifletté in silenzio sul significato di quelle parole, senza successo. Forse lo avrebbe capito col tempo. «Hai visto Martinsson?» chiese. «L'ho incontrato quando sono arrivata.» «Ma non è nel suo ufficio.» «Ho visto che andava da Lisa.» «Lisa non arriva mai così presto.» «Dovevano parlarsi.» Qualcosa nel tono di voce di Ann-Britt fece irrigidire Wallander. AnnBritt alzò lo sguardo e sembrò esitare. Poi, gli fece segno di chiudere la porta e di sedersi. «Parlarsi di cosa?» «Alle volte mi stupisci» disse, Ann-Britt. «Tu vedi tutto e senti tutto. Sei un ottimo poliziotto che sa come motivare i propri colleghi. Ma allo stesso tempo dai l'impressione di essere all'oscuro di tutto.» Wallander provò un nodo allo stomaco. Ma non disse nulla. Aspettò che Ann-Britt continuasse. «Hai sempre parlato bene di Martinsson. E lui dice la stessa cosa di te. E poi, lavorate bene insieme.» «Sono sempre preoccupato per Martinsson. Temo che possa dare le dimissioni da un giorno all'altro.» «Non lo farà.» «In ogni caso, è quello che mi dice di tanto in tanto. Ma è vero che è un poliziotto in gamba.» Ann-Britt lo fissò per qualche secondo. «Forse non dovrei dirtelo. Ma lo farò ugualmente. Tu ti fidi troppo di lui.» «Che cosa vuoi dire?»
«Quello che voglio dire è che agisce alle tue spalle. Che cosa credi che stia facendo nell'ufficio di Lisa? Forse stanno dicendo che è ora di effettuare dei cambiamenti qui dentro. Cambiamenti per preparare la strada a Martinsson.» Wallander non riusciva a credere a quello che aveva sentito. «In che senso agisce alle mie spalle?» Ann-Britt scrollò il capo irritata. «Mi ci è voluto un bel po' di tempo per capirlo. Ma Martinsson è un intrigante. È scaltro e abile. Va da Lisa e si lamenta di come stai conducendo questa indagine.» «Che cosa dice? Che non faccio il mio dovere?» «Non lo dice in modo così diretto. Fa solo insinuazioni vaghe. Parla di priorità assurde, di disorganizzazione. Oltretutto, quando hai deciso di chiedere a Robert Modin di aiutarti, è andato immediatamente a informare Lisa.» Wallander rimase sbalordito. «Non riesco a crederci.» «Invece dovresti. Ma spero che quello che ti ho detto rimanga fra noi. È confidenziale.» Wallander annuì. «Volevo che tu lo sapessi. Nient'altro.» Wallander la fissò. «Forse tu pensi le stesse cose?» «Te lo avrei detto. Direttamente. E non alle tue spalle.» «E Hansson? E Nyberg?» «È un'iniziativa di Martinsson. Di nessun altro. Quello che vuole è conquistare il trono.» «Ma continua ad asserire di non essere certo di avere la forza di continuare a fare il poliziotto.» «Tu dici spesso e volentieri che bisogna scoprire quello che c'è dietro le apparenze. Ma continui a non farlo con Martinsson. Io l'ho fatto, e quello che vedo non mi piace per niente.» Wallander si sentiva come paralizzato. La sensazione di felicità che aveva provato svegliandosi era svanita. Poi sentì la rabbia crescere dentro di sé. «Lo affronterò. E lo farò adesso, subito.» «Te lo sconsiglio.» «Ma come potrò continuare a lavorare con un individuo simile?»
«Non lo so. Ma devi scegliere un'altra occasione. Attaccarlo adesso significherebbe offrirgli nuovi argomenti. Affermerebbe che non hai più il controllo delle tue azioni. Che lo schiaffo che hai dato a Eva Persson non era un episodio casuale.» «Forse, tu sai anche che Lisa ha preso in considerazione la possibilità di sospendermi dal servizio.» «Non è un'idea di Lisa» disse Ann-Britt. «È stato Martinsson a suggerirglielo.» «Come sai tutto questo?» «Martinsson ha un punto debole» disse Ann-Britt. «Si fida di me. Crede che io sia d'accordo con lui. Anche se gli ho detto di smetterla di complottare alle tue spalle.» Wallander si alzò. «Non affrontarlo ora» ripeté Ann-Britt. «Pensa invece che quello che ti ho detto ti offre un vantaggio. E lo potrai usare quando arriverà il momento opportuno.» Ann-Britt aveva ragione. Andò direttamente nel suo ufficio. Ora provava non solo rabbia ma anche tristezza. Forse avrebbe potuto aspettarsi una cosa simile da chiunque altro. Ma non da Martinsson. Assolutamente non da lui. Lo squillo del telefono interruppe i suoi pensieri. Era Viktorsson che si chiedeva dove fosse finito. Wallander si avviò, sperando di non incontrare Martinsson nei corridoi della centrale. Ma Martinsson era sicuramente insieme a Robert Modin in Runnerströms Torg. La conversazione con Viktorsson fu relativamente breve. Wallander rimosse tutti i pensieri di quello che Ann-Britt gli aveva detto e fece un breve ma accurato resoconto dell'indagine, parlò delle conclusioni alle quali erano arrivati e di quali fossero le piste che intendevano seguire. Viktorsson fece alcune domande. Ma per il resto non aveva nulla da obiettare. «Se ho capito bene, non avete ancora individuato un diretto indiziato?» «È così.» «Credi veramente di poter trovare qualcosa nel computer di Falk?» «Non lo so. Ma tutto ci fa presumere che sia almeno possibile trovare un qualche movente.» «Falk ha commesso qualcosa di illegale?» «Non per quanto ne sappiamo.» Viktorsson aggrottò la fronte.
«Siamo all'altezza di questo tipo di cose? Non sarebbe meglio chiedere l'assistenza degli esperti della direzione generale?» «Al momento, stiamo usando un esperto locale. Ma abbiamo deciso di informare Stoccolma.» «Fatelo al più presto possibile. È meglio evitare critiche. Chi è questo esperto locale?» «Si chiama Robert Modin.» «E se ne intende di queste cose?» «Meglio di tanti altri.» Wallander si rese conto di avere appena commesso un grave errore. Avrebbe dovuto dire a Viktorsson che in verità Robert Modin era stato giudicato colpevole di un reato informatico ed era stato condannato. Ma ormai era troppo tardi. Wallander aveva scelto di proteggere l'inchiesta, non se stesso. Aveva fatto il primo passo che poteva portarlo a una catastrofe personale. Ora rischiava veramente di essere sospeso dal servizio. E Martinsson avrebbe avuto gli argomenti che gli mancavano per distruggerlo. «Sono sicuro che sai di essere oggetto di un'inchiesta disciplinare interna, mi riferisco a quello sgradevole episodio che si è verificato durante l'interrogatorio di quella ragazza» disse Viktorsson improvvisamente. «Il difensore civico ha ricevuto una denuncia contro di te, e c'è anche una richiesta di citazione in giudizio.» «Quella fotografia non rispecchia la verità» rispose Wallander. «Io ho agito in difesa della madre della ragazza, non importa quello che dice.» Viktorsson non rispose. Chi mi crede?, pensò Wallander. A parte io stesso? Alle nove, Wallander lasciò la centrale di polizia e andò direttamente a casa della famiglia Hökberg. Non aveva telefonato per annunciare la sua visita. Voleva evitare i corridoi, per non rischiare di incontrare Martinsson. Prima o poi sarebbe successo. Ma in quel momento era ancora troppo presto. Non era sicuro che sarebbe riuscito a controllarsi. Wallander aveva appena parcheggiato, quando il suo cellulare squillò. Era Siv Eriksson. «Spero di non disturbarti» disse. «No, dimmi.» «Ti telefono perché devo assolutamente parlarti.» «Ora come ora non ho molto tempo.»
«È una cosa urgente.» Dal suo tono di voce, Wallander capì che era sconvolta. Si girò per evitare il vento e sentire meglio. «Che cosa è successo?» «Non voglio parlarne al telefono. Preferirei che venissi qui da me.» Wallander capì che si trattava di una cosa importante. Promise di andare immediatamente. La visita alla madre di Sonja Hökberg poteva aspettare. Tornò verso il centro e parcheggiò in Lurendrejargränd. Un vento gelido aveva iniziato a soffiare da est. Wallander suonò il campanello. Siv Eriksson lo stava aspettando. Appena entrato, notò che la donna aveva paura. Quando si misero a sedere nel soggiorno, Siv Eriksson si accese una sigaretta. Le mani le tremavano. «Che cosa è successo?» chiese Wallander. «Mia madre abita a Simrishamn. È anziana. Ieri sono andata a trovarla. Si è fatto tardi, così ho deciso di rimanere a dormire da lei. Questa mattina, quando sono tornata a casa, ho scoperto qualcosa di terribile.» Si interruppe e si alzò di scatto dal divano. Wallander la seguì nello studio. «Mi sono messa al lavoro» disse indicando il computer. «Ma quando l'ho acceso non è apparso niente sullo schermo. Dapprima ho pensato che si fosse staccata la spina. Ma poi ho capito cosa è successo.» Indicò lo schermo. «Non sono sicuro di capire» disse Wallander. «Qualcuno ha svuotato il computer. L'hard disk è vuoto. Ma non è tutto.» Siv Eriksson si avvicinò a un armadio per i documenti e aprì le porte. «Tutti i miei dischetti sono spariti. Non ne è rimasto uno. Niente. Avevo anche un secondo hard disk. Ma anche quello è sparito.» Wallander si guardò intorno. «Dunque, questa notte c'è stato un furto?» «Ma non c'è alcuna traccia. E chi poteva sapere che proprio questa notte non sarei rimasta a casa?» Wallander si fermò a riflettere. «Non avevi lasciato una finestra aperta per caso? Ci sono dei segni sulla porta d'ingresso?» «No. Ho controllato.» «Sei tu la sola ad avere le chiavi?» Siv Eriksson non rispose immediatamente.
«Sì e no» disse poi. «Tynnes aveva un paio di chiavi di riserva.» «Perché le aveva?» «Nel caso succedesse qualcosa mentre ero assente. Ma Tynnes non le ha mai usate.» Wallander annuì. Ora capiva perché era così sconvolta. Qualcuno aveva usato le chiavi per entrare nell'appartamento. E l'uomo che le aveva avute era morto. «Sai dove teneva quelle chiavi?» «Mi aveva detto che le avrebbe tenute nell'appartamento in Apelbergsgatan.» Wallander fece un cenno con il capo. Pensò all'uomo che gli aveva sparato e poi era fuggito. Forse, finalmente era riuscito a capire quello che quell'uomo cercava in quell'appartamento. Le chiavi di riserva dell'appartamento di Siv Eriksson. 31. Per la prima volta dall'inizio dell'indagine, Wallander si trovava di fronte a un avvenimento che non lasciava dubbi. Dopo avere controllato la porta d'ingresso e le finestre dell'appartamento, era certo che Siv Eriksson avesse ragione. La persona che aveva svuotato il suo computer per entrare nell'appartamento aveva usato le chiavi. Quasi contemporaneamente, giunse a un'altra conclusione. In qualche modo, Siv Eriksson era stata sorvegliata. La persona che si era impadronita delle chiavi di riserva aveva atteso il momento opportuno per agire. Ancora una volta, Wallander rivide nella sua mente il profilo dell'uomo che fuggiva dopo avergli sparato nell'appartamento di Falk. Quel pensiero gli ricordò la raccomandazione di Ann-Britt: doveva stare attento. Tornarono nel soggiorno. Siv Eriksson era ancora scossa e continuava ad accendere una sigaretta dopo l'altra. Wallander decise di aspettare prima di telefonare a Nyberg. Prima, voleva chiarire un altro dettaglio. «Hai un'idea di chi possa essere? Sospetti qualcuno?» «No. Per me, quello che è accaduto è del tutto incomprensibile.» «I tuoi computer sono sicuramente di grande valore. Ma quell'individuo non se ne è curato. Quello che lo interessava era il contenuto.» «Non è rimasto niente. Assolutamente niente. Tutti quei dati erano la base del mio lavoro. Come ti ho detto, avevo un hard disk di riserva. Ma an-
che quello è sparito.» «Non c'era una password? Per evitare che potesse accadere una cosa simile?» «Sì. Naturalmente usavo una password.» «Ma quell'individuo la conosceva?» «In qualche modo deve essere riuscito a entrare nel sistema.» «Il che significa che non si tratta di un ladruncolo qualsiasi. Ma di qualcuno che con i computer ci sa fare.» Siv Eriksson alzò lo sguardo. Aveva capito quello che Wallander cercava di dire. «Non ci avevo ancora pensato. Ero troppo sconvolta.» «È più che naturale. Qual era la password?» «Biscotto. Mi chiamavano così da piccola.» «Chi altro la conosceva?» «Nessuno.» «Neppure Tynnes Falk?» «Neppure lui.» «Ne sei assolutamente certa?» «Sì.» «L'avevi scritta da qualche parte?» Siv Eriksson rifletté prima di rispondere. «Non l'ho scritta da nessuna parte. Ne sono certa.» Wallander sapeva che questo punto poteva essere determinante. «Chi conosceva il tuo soprannome da bambina?» «Mia madre. Ma è molto avanti con gli anni.» «Nessun altro?» «Una mia amica. Ma si è trasferita in Austria molti anni fa.» «Le hai scritto delle lettere?» «Sì. Ma da qualche anno usiamo esclusivamente la posta elettronica.» «E tu firmi i tuoi messaggi con il tuo soprannome?» «Sì.» «Non so come funzioni» disse Wallander dopo avere riflettuto un attimo. «Ma presumo che quei messaggi vengano conservati nel computer?» «Sì.» «Quindi, è possibile che qualcuno che sa usare il computer abbia letto i tuoi messaggi e abbia intuito che la password era il tuo soprannome?» «È impossibile! Per poter leggere i miei messaggi è necessario usare la mia password. E non viceversa.»
«È proprio quello a cui pensavo» disse Wallander. «Se per caso qualcuno sia riuscito a entrare nel tuo sistema e abbia scaricato dei dati.» Siv Eriksson scosse il capo ostinatamente. «Per quale motivo?» «Solo tu puoi rispondere a questa domanda. È una domanda importante. Che cosa c'era nel tuo computer che potesse interessare a qualcuno?» «Non mi sono mai occupata di informazioni riservate.» «Pensaci bene. È importante.» «Lo so, lo so. Non c'è bisogno di ricordarmelo.» Wallander aspettò. Vide che Siv Eriksson si stava veramente sforzando. «Non c'era niente» disse. «Però, può esserci stato del materiale riservato senza che ne fossi al corrente?» «Non vedo proprio che cosa avrebbe potuto essere.» «Tu sei la sola che può saperlo.» Siv Eriksson rispose senza esitazione. «Sono una persona metodica e ho sempre cercato di condurre una vita ordinata» disse. «E questo vale anche per i miei computer. Inoltre, non ho mai accettato incarichi di lavoro complessi. Te l'avevo già detto.» Wallander decise di cambiare approccio. «Parliamo di Tynnes Falk» disse. «Voi due lavoravate insieme. Ma per lo più vi occupavate di cose diverse. È mai successo che Falk abbia usato il tuo computer?» «Perché avrebbe dovuto farlo?» «Mettiamola in un altro modo. È possibile che lo abbia fatto senza che tu lo sapessi? Dopotutto aveva le chiavi del tuo appartamento.» «Me ne sarei accorta.» «Come?» «Ci sono diversi modi. Non so fino a che punto tu ti intenda d'informatica.» «Molto superficialmente. Comunque, sappiamo che Falk era un vero esperto in questo campo. Lo hai confermato tu stessa. Non può voler dire che era in grado di eliminare qualsiasi traccia? La questione è sempre la stessa. Chi è il più abile? Quello che cerca le tracce? O quello che riesce a eliminarle?» «Comunque, continuo a non capire perché avrebbe dovuto fare una cosa simile.» «Forse voleva nascondere qualcosa. Il cuculo lascia sempre le sue uova
nel nido di altri uccelli.» «Ma perché lo avrebbe fatto?» «È una domanda alla quale non possiamo rispondere. Però, qualcuno può avere creduto che Falk lo abbia fatto. E ora che Tynnes Falk è morto, quel qualcuno ha voluto controllare se ci fosse qualcosa nel tuo computer che prima o poi avresti potuto scoprire.» «Chi potrebbe essere?» «È quello che mi chiedo anch'io.» Deve essere andata così, pensò Wallander. Non può esserci un'altra spiegazione logica. Falk è morto. E per un motivo molto preciso, qualcuno vuole fare pulizia. C'è qualcosa che deve essere nascosto a tutti i costi. Wallander ripeté quella frase nella sua mente. Qualcosa che deve essere nascosto a tutti i costi. Ecco il nodo cruciale. Se riusciamo a scioglierlo, tutto sarà chiaro. Non c'era tempo da perdere. «Tynnes Falk ti ha mai parlato del numero 20?» chiese. «Perché avrebbe dovuto farlo?» «Per favore, rispondi solo alla mia domanda.» «Non che io ricordi.» Wallander compose il numero di Nyberg ma non ebbe risposta. Telefonò a Irene e le chiese di cercarlo. Siv Eriksson lo accompagnò in ingresso. «Arriveranno dei tecnici della scientifica» disse Wallander. «Ti prego di non toccare nulla nello studio. Possono esserci delle impronte digitali.» «Che cosa farò adesso?» disse Siv Eriksson con un filo di voce. «Non c'è più niente. Tutto il mio lavoro è sparito in una notte.» Wallander non sapeva come consolarla. Ripensò a quello che Erik Hökberg aveva detto sulla vulnerabilità della società. «Sai se Tynnes Falk fosse religioso?» chiese. La domanda indubbiamente sorprese Siv Eriksson. «Tynnes non mi ha mai detto qualcosa che potesse farlo pensare.» Wallander non aveva altre domande. Promise di farsi vivo. Quando arrivò in strada rimase immobile. Ora aveva assolutamente bisogno di mettersi in contatto con Martinsson. La questione era se doveva seguire il consiglio di Ann-Britt. Oppure se doveva affrontare Martinsson e chiedere spiegazioni. Per un attimo, Wallander fu pervaso da un'improvvisa stanchezza. Il tradimento di Martinsson era troppo grande, troppo inaspettato. Faceva fatica a credere che fosse vero. Ma dentro di sé sapeva che era così.
Non erano ancora le undici. Wallander decise di aspettare prima di affrontare Martinsson. Il senso di indignazione che provava si sarebbe attenuato e avrebbe potuto ragionare più lucidamente. Per prima cosa, sarebbe tornato dalla famiglia Hökberg. In quello stesso momento si ricordò di qualcosa che aveva dimenticato e che aveva in parte a che fare con la sua precedente visita agli Hökberg. Parcheggiò davanti alla videoteca e questa volta riuscì a noleggiare il video del film di Al Pacino. Lasciò l'auto davanti alla casa degli Hökberg e, proprio quando stava per suonare il campanello, la porta si aprì. «Ti ho visto arrivare» disse Erik Hökberg. «Ti ho anche visto quando ti sei fermato qui davanti un'ora fa. Ma te ne sei andato subito.» «Ho dovuto rispondere a una chiamata urgente.» Entrarono. La casa era avvolta nel silenzio. «A dire il vero sono venuto per parlare con tua moglie.» «È su in camera. Riposa. O piange. O fa entrambe le cose.» Wallander notò che il volto di Erik Hökberg era grigio per la stanchezza e i suoi occhi erano arrossati. «Il ragazzo è tornato a scuola. È meglio per lui.» «Non sappiamo ancora chi abbia ucciso Sonja» disse Wallander. «Ma nutriamo buone speranze di arrestare presto il colpevole.» «Prima ero contrario alla pena di morte» disse Erik Hökberg. «Ma adesso non ne sono più sicuro. Assicurati solo che quel bastardo non mi venga vicino. In quel caso non posso garantirti nulla.» Wallander annuì. Erik Hökberg salì al piano superiore. Wallander rimase nel soggiorno guardandosi intorno. Il silenzio era opprimente. Passò un quarto d'ora prima che udisse dei passi sulla scala. Erik Hökberg tornò da solo. «È distrutta dalla stanchezza» disse. «Ma verrà giù fra poco.» «Sono spiacente, ma non potevo rimandare oltre questa visita.» «Lo capiamo sia io che lei.» Rimasero in attesa in silenzio. Improvvisamente Ruth Hökberg apparve sulla porta. Era vestita di nero ed era scalza. Wallander le strinse la mano e le fece le condoglianze. La donna vacillò per un attimo e poi si mise a sedere. Gli ricordava Anette Fredman. Ancora una volta, aveva di fronte una madre che aveva perso un figlio. Fissando la donna, Wallander si chiese quante volte si era trovato in quella stessa situazione. Era costretto a fare delle domande che avrebbero avuto l'effetto di un artiglio su ferite recenti. Ora era anche peggio di tante altre volte. Non solo perché Sonja
Hökberg era morta. Ora, Wallander era costretto a fare domande su una violenza che la ragazza aveva subito molto tempo prima. Rimase indeciso per qualche secondo prima di iniziare. «Per catturare il criminale che ha tolto la vita a Sonja, dobbiamo scavare nel passato. È accaduto un fatto di cui devo sapere di più. Probabilmente solo voi potete dirmi come si sono svolti veramente i fatti.» Erik e Ruth Hökberg lo fissavano attentamente. «Dobbiamo tornare indietro di tre anni» continuò Wallander. «A un certo punto del 1994 o 1995. Ricordate se in quel periodo è successo qualcosa di strano a Sonja?» Ruth Hökberg parlava con un filo di voce. Wallander fu costretto a chinarsi in avanti per sentire quello che diceva. «Che cosa dovrebbe essere successo?» «Sonja è mai arrivata a casa con un aspetto che avrebbe potuto far pensare che fosse stata vittima di un incidente? Con lividi?» «Una volta si è fratturata un piede.» «Era una slogatura» disse Erik Hökberg. «Non si è fratturata il piede. Se l'è slogato.» «Mi riferivo piuttosto a lividi sul volto. O su altre parti del corpo?» La risposta di Ruth Hökberg fu inattesa. «Mia figlia non andava in giro nuda in questa casa.» «Diciamo allora che potesse sembrare sconvolta. O depressa.» «Sonja era di umore molto volubile.» «Dunque, non ricordate un momento particolare?» «Non capisco il motivo di queste domande.» «Lui deve farle» disse Erik Hökberg. «È il suo lavoro.» Wallander gli fu grato per l'aiuto. «Non ricordo che Sonja sia mai tornata a casa con dei lividi.» Wallander si rese conto che non aveva più senso girare intorno alla questione. «Abbiamo delle informazioni che fanno supporre che Sonja sia stata violentata in quel periodo. Ma non ha mai sporto denuncia.» Ruth Hökberg fece uno scatto in avanti. «Non è vero.» «Non ve ne ha mai parlato?» «Di essere stata violentata? Mai.» Ruth Hökberg scoppiò in una risata isterica. «Chi ha affermato una cosa simile? È una menzogna. Una menzogna pu-
ra e semplice.» Wallander ebbe l'impressione che, a dispetto di tutto, la donna sapesse qualcosa. O che lo avesse intuito quando il fatto era accaduto. Le sue obiezioni erano troppo veementi. «Comunque, molti indizi fanno supporre che quello stupro sia realmente avvenuto.» «Chi lo afferma? Chi mente sul conto di Sonja?» «Purtroppo non posso dirlo.» «Perché no?» intervenne Erik Hökberg. Nel suo tono di voce, Wallander percepì un improvviso accenno di aggressività. «Per motivi tecnici legati all'indagine.» «Che cosa significa?» «Significa che per il momento considero che la persona o le persone che mi hanno dato l'informazione devono essere protette.» «Chi protegge mia figlia?» urlò Ruth Hökberg. «Lei è morta. Nessuno la può proteggere.» Wallander stava perdendo il controllo della situazione. Si pentì di non avere lasciato quel compito ad Ann-Britt. Erik Hökberg cercava di calmare sua moglie che era scoppiata in lacrime. Wallander aspettò provando un certo imbarazzo. Dopo qualche minuto riprese a fare domande. «Dunque, Sonja non ha mai detto di essere stata violentata?» «Mai.» «E nessuno di voi due ha mai notato qualcosa di insolito nel suo comportamento?» «Spesso non era facile capirla.» «In che senso?» «Sonja era molto particolare. Era spesso di cattivo umore. Ma forse è una caratteristica degli adolescenti.» «E come si sfogava?» «Per lo più con il suo fratellino.» Wallander ricordò l'unica conversazione che aveva avuto con Sonja Hökberg. A un certo punto si era lamentata dicendo che suo fratello non lasciava mai le sue cose in pace. «Torniamo al 1994 e 1995» disse Wallander. «Sonja era stata in Inghilterra e poi era tornata a casa. Non avete notato nulla? Qualcosa che non vi aspettavate?» Erik Hökberg si alzò con un tale scatto che fece cadere la sedia.
«Una notte, Sonja è tornata a casa e sanguinava sia dalla bocca che dal naso. Era il febbraio del 1995. Le abbiamo chiesto che cosa fosse successo, ma Sonja si è rifiutata di rispondere. Aveva gli abiti sporchi ed era chiaramente in stato di shock. Non siamo mai riusciti a sapere che cosa fosse successo. Ci disse di essersi fatta male cadendo. Ma naturalmente non era vero. Adesso capisco. Adesso che tu sei venuto qui a dirci che Sonja è stata violentata. Non vedo perché non dobbiamo crederlo.» Ruth Hökberg era nuovamente scoppiata in lacrime. Cercò di dire qualcosa. Ma Wallander non capì le parole. Erik Hökberg gli fece segno di seguirlo nel suo studio. «Non dirà altro.» «Ma tu puoi rispondere alle mie domande.» «Sapete chi l'ha violentata?» «No.» «Sospettate qualcuno?» «Sì. Ma se mi chiedi il nome non ti risponderò.» «È la stessa persona che l'ha uccisa?» «È molto improbabile. Ma questo può aiutarci a capire tutto quello che è accaduto.» Erik Hökberg rimase in silenzio. «È stato alla fine di febbraio» disse poi. «Quel giorno aveva iniziato a nevicare. Alla sera tutto era coperto di neve. Sonja è tornata a casa e sanguinava. Il mattino dopo c'erano ancora tracce di sangue sulla neve.» Improvvisamente, Erik Hökberg sembrò in preda allo stesso senso di impotenza che sua moglie aveva provato pochi minuti prima. «Voglio che troviate chi l'ha violentata. Un individuo simile deve essere punito.» «Stiamo facendo il possibile» rispose Wallander. «Possiamo prendere il colpevole, ma dobbiamo avere il vostro aiuto.» «Devi cercare di capire Ruth» disse Hökberg. «Ha perso sua figlia. Come può avere la forza di affrontare il pensiero che in precedenza Sonja sia stata anche brutalmente violentata?» Wallander annuì. «Alla fine di febbraio del 1995. Ricordi altro? Aveva un ragazzo allora?» «Non sapevamo mai quello che faceva.» «C'erano auto che si fermavano ad aspettarla in strada? Hai mai visto un uomo insieme a lei?»
Erik Hökberg lo fissò con uno sguardo torvo. «Un uomo? Pochi secondi fa hai parlato di un ragazzo.» «Volevo dire la stessa cosa.» «Dunque è stato un uomo a violentare Sonja?» «Ti ho già detto che non risponderò.» Hökberg fece una smorfia. «Ti ho detto tutto quello che so. Adesso devo tornare da mia moglie.» «Prima di andarmene, vorrei dare un'occhiata alla camera di Sonja ancora una volta.» «È come l'hai vista la prima volta. Non è stato toccato niente.» Hökberg tornò nel soggiorno. Wallander salì fino al piano superiore. Quando entrò nella stanza di Sonja provò la stessa sensazione che aveva provato la prima volta. Era la camera di una ragazzina e non quella di una persona che stava diventando una donna. Wallander aprì l'armadio. Il poster era al suo posto. L'avvocato del diavolo. Chi è il diavolo?, si chiese. Qui, all'interno dell'anta dell'armadio di Sonja Hökberg, c'è un poster del diavolo. Ma non ho mai sentito parlare di un gruppo di giovani satanisti qui a Ystad. Chiuse l'armadio. Non c'era altro da vedere. Stava per uscire quando il ragazzo apparve nel vano della porta. «Che cosa stai facendo qui?» chiese. Wallander si presentò. Il ragazzo lo fissò con uno sguardo di disapprovazione. «Se sei veramente un poliziotto perché non catturi quello che ha ucciso mia sorella?» «Lo faremo» rispose Wallander. Il ragazzo non si mosse. Wallander non riusciva a capire se avesse paura o se stesse solo aspettando. «Tu sei Emil, non è così?» Il ragazzo non rispose. «Volevi bene a tua sorella?» «A volte.» «Solo a volte?» «Non basta? Perché si deve volere bene sempre alle persone?» «No. Non si deve volere bene sempre alle persone.» Wallander sorrise. Il ragazzo non ricambiò il suo sorriso. «Io credo di sapere quando le hai veramente voluto bene» disse Wallander.
«Quando?» «Alcuni anni fa. Quella volta che Sonja è tornata a casa sanguinante.» Il ragazzo sussultò. «Come fai a saperlo?» «Sono un poliziotto» disse Wallander. «Il mio lavoro è sapere le cose. Ti ha mai raccontato che cosa era successo?» «No. Ma qualcuno l'aveva picchiata.» «Come fai a saperlo se non ti aveva detto niente?» «Non te lo dirò.» Wallander rifletté attentamente prima di continuare. Doveva evitare che il ragazzo si chiudesse in se stesso. «Poco fa mi hai chiesto perché non abbiamo ancora preso quello che ha ucciso tua sorella. Se vogliamo riuscirci, abbiamo bisogno di aiuto. E adesso tu puoi aiutarmi, dicendomi come hai saputo che qualcuno ha picchiato Sonja.» «Sonja ha fatto un disegno.» «Sonja disegnava?» «Sì. Ed era anche brava. Ma non faceva mai vedere i suoi disegni. Li faceva e poi li strappava. Ma a volte, quando non era in casa, io venivo qui nella sua stanza.» «E hai trovato qualcosa?» «Sonja aveva disegnato quello che era successo.» «Te lo ha detto lei?» «No. Ma perché avrebbe disegnato un uomo che la colpiva al viso?» «Per caso hai ancora quel disegno?» Il ragazzo non rispose. Si girò e uscì. Dopo qualche minuto tornò. In mano aveva un disegno a matita. «Lo rivoglio.» «Ti prometto che te lo riporterò.» Wallander si avvicinò alla finestra con il disegno. Rimase immediatamente scosso. Allo stesso tempo, constatò che Sonja Hökberg sapeva veramente disegnare bene. Il suo volto era riconoscibile. Ma l'intero disegno era dominato dalla figura minacciosa di un uomo che la colpiva al naso con un pugno. Se il volto dell'uomo era riprodotto come quello di Sonja non sarebbe stato impossibile identificarlo. Ma c'era qualcos'altro sul polso destro dell'uomo che attirò l'attenzione di Wallander. Dapprima pensò che fosse una specie di braccialetto. Ma poi vide che era un tatuaggio. «Hai fatto bene a conservare questo disegno» disse Wallander. «Ti pro-
metto che te lo restituirò.» Il ragazzo lo accompagnò fino all'ingresso. Wallander aveva piegato con cura il disegno e lo aveva messo in tasca. Passando davanti alla porta del soggiorno udirono dei singhiozzi. «Per quanto tempo continuerà così?» chiese il ragazzo. Wallander sentì un nodo in gola. «Ci vuole tempo. Ma passerà. Prima o poi.» Wallander non ebbe il coraggio di andare a salutare Erik Hökberg e sua moglie. Accarezzò rapidamente la testa del ragazzo e uscì chiudendo cautamente la porta dietro di sé. Il vento era aumentato e aveva anche iniziato a piovere. Arrivato alla centrale di polizia, Wallander andò immediatamente da Ann-Britt. Ma il suo ufficio era vuoto. Compose il numero del suo cellulare ma non ebbe risposta. Alla fine, Irene gli disse che Ann-Britt era stata costretta ad andare a casa. Uno dei suoi bambini stava male. Wallander non esitò. Riprese l'auto e andò direttamente a casa di Ann-Britt. La pioggia era aumentata di intensità. Mise una mano sulla tasca per proteggere il disegno dall'acqua. Ann-Britt aprì la porta con la bambina in braccio. «Non ti disturberei se non fosse una cosa importante» disse Wallander. «Non fa niente. Ha solo un po' di febbre. Purtroppo, la mia vicina può occuparsene solo fra qualche ora.» Wallander entrò. Era passato molto tempo dalla sua ultima visita in quella casa. Quando entrò nel soggiorno, notò che alcune maschere giapponesi erano sparite da una delle pareti. Ann-Britt seguì il suo sguardo. «Mio marito si è portato via i souvenir dei suoi viaggi» disse. «Abita ancora a Ystad?» «No. Si è trasferito a Malmö.» «E tu continuerai ad abitare in questa casa?» «Non so se potrò permettermelo.» La bambina si era quasi addormentata. Ann-Britt la posò delicatamente sul divano. «Sono venuto per farti vedere un disegno» disse Wallander. «Ma prima devo farti una domanda su Carl-Einar Lundberg. Tu non hai avuto l'occasione di incontrarlo. Ma hai visto le sue fotografie. E hai letto i verbali. Ricordi se da qualche parte si parlava di un tatuaggio sul polso destro?» Ann-Britt non ebbe bisogno di riflettere prima di rispondere. «Sì. Il tatuaggio di un serpente.» Wallander batté la mano sul tavolino. La bambina sussultò e iniziò a
piangere, ma si calmò presto e si riaddormentò. Finalmente qualcosa di concreto, pensò Wallander posando il disegno sul tavolo. «Non c'è dubbio. Questo è Carl-Einar Lundberg. Anche se non l'ho mai visto di persona. Come sei riuscito ad averlo?» Wallander le raccontò del suo incontro con Emil Hökberg. E del talento, fino ad allora sconosciuto, di Sonja Hökberg per il disegno. «Con tutta probabilità non riusciremo a portarlo davanti a un tribunale» disse Wallander. «Ma forse, ora come ora, non è così importante. Però, questo prova che avevi ragione. La tua teoria regge. Non è più provvisoria.» «Eppure, ho difficoltà a credere che sia per questo che Sonja ha ucciso il padre.» «Non sappiamo ancora tutto. Ma adesso possiamo fare pressione su Lundberg. E partiremo dal presupposto che Sonja si sia veramente vendicata sul padre. Forse, dopotutto, Eva Persson sta dicendo la verità. È stata Sonja ad accoltellare e a colpire Lundberg con il martello. Come Eva Persson riesca a restare ancora così impassibile è un mistero che risolveremo più tardi.» Rimasero a riflettere in silenzio su quella nuova svolta nelle indagini. Alla fine fu Wallander a interrompere il silenzio. «Qualcuno temeva che Sonja Hökberg sapesse qualcosa che avrebbe potuto dirci. Da questo momento, le domande fondamentali sono tre: che cosa sapeva Sonja? in che modo aveva a che fare con Tynnes Falk? e chi ha avuto paura?» La bambina distesa sul divano iniziò a lamentarsi. Wallander si alzò. «Hai incontrato Martinsson?» «No. Ma intendo farlo adesso. E ho deciso di seguire il tuo consiglio. Non dirò nulla.» Wallander uscì dalla casa e salì nella sua auto. Pioveva a dirotto. Arrivato a Runnerströms Torg rimase a lungo seduto nell'auto. Poi scese ed entrò nella casa per andare a parlare con Martinsson. 32. Martinsson accolse Wallander con il suo miglior sorriso. «Ho cercato di telefonarti» disse. «Qui le cose si stanno muovendo.» Wallander era entrato nella stanza dove Modin e Martinsson erano chini davanti al computer di Falk; evidentemente erano stanchi. Wallander a-
vrebbe preferito colpire Martinsson con un pugno in faccia e poi accusarlo di averlo tradito e di avere cospirato alle sue spalle. Ma Martinsson aveva sorriso e aveva dirottato l'attenzione di Wallander sulle nuove scoperte. Era stata una mossa efficace. Wallander guadagnava tempo. Prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontarlo a tu per tu per l'inevitabile regolamento dei conti. Allo stesso tempo, il sorriso di Martinsson gli aveva fatto intravedere un barlume di possibile assoluzione per il suo collega. Forse Ann-Britt aveva interpretato erroneamente la situazione? Martinsson poteva avere avuto dei motivi legittimi per andare a parlare con Lisa Holgersson. Era anche possibile che Ann-Britt avesse frainteso il tono brusco che Martinsson usava alle volte per esprimersi. Ma dentro di sé, Wallander sapeva che non era così. Ann-Britt non aveva esagerato. Gli aveva detto la verità perché era rimasta indignata. Wallander sapeva che stava cercando una giustificazione. Ma la resa dei conti era inevitabile. Presto o tardi, sarebbe arrivato il giorno in cui non sarebbe stato più possibile rimandarla. Si avvicinò al tavolo e salutò Robert Modin. «Che cosa è successo?» «Robert sta abbattendo una difesa elettronica dopo l'altra» disse Martinsson soddisfatto. «Stiamo penetrando sempre più a fondo nello strano ma affascinante mondo di Falk.» Martinsson indicò la sedia pieghevole. Ma Wallander preferì restare in piedi. Martinsson iniziò a sfogliare il suo bloc-notes mentre Robert Modin beveva un liquido che poteva essere succo di carote da un bicchiere di plastica. «Siamo riusciti a identificare altre quattro organizzazioni presenti nella rete di Falk. La prima è la Banca centrale indonesiana. Quando Robert cerca di avere una conferma dell'identità, riceve continuamente un rifiuto. Ma sappiamo ugualmente che si tratta della Banca centrale a Giacarta. Non chiedermi di spiegarti come. Quando si tratta di trovare scorciatoie, Robert è un mago.» Martinsson continuò a sfogliare i suoi appunti. «La seconda è una banca nel Liechtenstein che si chiama Lyders Privatbank. Ma poi, le cose si complicano. Se abbiamo capito bene, una delle identità in codice si riferisce a una società di telecomunicazioni francese, e l'altra a una società commerciale di Atlanta che si occupa di satelliti.» Wallander aggrottò la fronte.
«Che cosa può significare?» «L'ipotesi iniziale che si trattasse di denaro regge ancora. Ma non riusciamo a capire il ruolo che la società francese di telecomunicazioni e i satelliti ad Atlanta possono avere in tutto ciò.» «Niente di quello che c'è qui è casuale» disse Robert Modin. Wallander si voltò verso il giovane. «Puoi spiegarlo in modo più comprensibile?» «Ognuno di noi ha un modo del tutto personale di ordinare i libri sugli scaffali o i propri documenti nelle cartelle. Anche in un computer si può individuare un modello. La persona che ha organizzato quello che c'è qui dentro è stata molto precisa. Ha creato un ordine perfetto. Non c'è niente di superfluo. Non c'è alcuna sequenza convenzionale di lettere o di cifre.» Wallander lo interruppe. «Spiegati meglio.» «Di solito, i metodi più comuni secondo cui le persone organizzano la propria vita seguono o un ordine alfabetico o un ordine numerico. A viene prima di B, B prima di C. 1 viene prima di 2 e 5 prima di 7. Qui non c'è niente di tutto questo.» «Che cosa c'è invece?» «Qualcosa di diverso. Qualcosa che mi fa capire che l'ordine alfabetico e quello numerico non hanno importanza.» Wallander intuì quello che Modin voleva dire. «Dunque, c'è un modello diverso.» Modin annuì e indicò lo schermo. Wallander e Martinsson si chinarono in avanti. «Ci sono due componenti che continuano a ripetersi» continuò Modin. «Il primo è la cifra 20. Ho cercato di scoprire che cosa succede se aggiungo due zeri. O se inverto le cifre. E ho scoperto qualcosa di interessante.» Modin indicò la cifra 20 sullo schermo. Schiacciò un tasto. Le cifre furono evidenziate, poi scomparvero. «Sono come degli animali impauriti che corrono a nascondersi» disse. «Come se fossero spaventati da una luce improvvisa. Allora si affrettano a tornare nelle tenebre. Ma se li lascio in pace, tornano a farsi vivi. Nello stesso posto.» «Come lo interpreti?» «Direi che sono in qualche modo importanti. Ma c'è un altro componente che si comporta allo stesso modo.» Modin indicò nuovamente lo schermo. Questa volta era una combina-
zione di due lettere: J P. «Si comportano allo stesso modo» disse. «Se cerchi di accarezzarli, corrono a nascondersi.» Wallander annuì. Fin lì capiva. «Continuano ad apparire» disse Martinsson. «Ogni volta che riusciamo a identificare un organismo sono lì. Ma Robert ha scoperto qualcosa di veramente interessante.» Wallander gli fece cenno di aspettare mentre puliva gli occhiali. «Si nascondono quando cerco di toccarli» disse Modin. «Ma se li lascio in pace ho scoperto che si muovono.» Modin fece una pausa. «Il primo codice che siamo riusciti a decifrare era nell'organizzazione di Falk. Allora questi animali notturni si trovavano in cima alla prima colonna.» «Animali notturni?» «Li abbiamo battezzati così» disse Martinsson. «Ci è sembrato un nome adatto.» «Continua.» «La seconda identità che siamo riusciti a scoprire è in una posizione più bassa nella seconda colonna. Allora si sono spostati a destra e obliquamente verso il basso. Continuando a scorrere la lista, abbiamo scoperto che si muovono con grande regolarità. Come se sapessero dove stanno andando, si potrebbe dire. E vanno verso l'angolo in basso a destra.» Wallander si raddrizzò. «Ma questo non ci spiega affatto che cosa significhi tutto ciò.» «Non abbiamo ancora finito» disse Martinsson. «Ma è adesso che diventa veramente interessante. E inquietante.» «Improvvisamente ho trovato un componente di tempo» disse Modin. «Da ieri, questi animali si sono mossi. Questo significa che qui dentro, da qualche parte, c'è un orologio invisibile. Allora ho voluto provare a fare un calcolo. Supponiamo che l'angolo in alto a sinistra rappresenti lo zero e che nella rete ci siano in tutto settantaquattro identità. E supponiamo che la cifra 20 stia a indicare una data. Il 20 ottobre ad esempio. Ecco che cosa appare.» Modin spinse i tasti finché sullo schermo non apparve un nuovo testo. Wallander lesse il nome della società ad Atlanta. Modin indicò i due componenti. «Questa è al quarto posto dalla fine» disse. «E oggi, per quanto ne so, è
il 17 ottobre.» Wallander annuì lentamente. «Vuoi dire che il termine è questo lunedì? Che, allora, tutti questi animali avranno raggiunto la fine del loro cammino? Fino al punto indicato con 20?» «In ogni caso, è una possibilità.» «E l'altro componente? J P? Come possiamo definirlo? 20 rappresenta una data. Ma che cosa significa J P?» Nessuno seppe dare una risposta. Wallander continuò. «Lunedì 20 ottobre. Che cosa succederà allora?» «Non lo so» disse Modin. «Ma è chiaro che c'è una specie di processo in corso. Un conto alla rovescia.» «Forse basterebbe togliere la spina» disse Wallander. «Dato che siamo seduti a un terminale, non servirebbe a niente» obiettò Martinsson. «Non possiamo vedere la rete. Questo significa che non sappiamo se le informazioni sono fornite da uno o più server.» «Supponiamo che qualcuno voglia far scoppiare una specie di bomba» disse Wallander. «Da dove può farlo, se non da qui?» «Da qualsiasi altro luogo. Non c'è neppure bisogno di un centro di controllo.» Wallander cercò di riflettere. «Questo significa che stiamo iniziando a capire qualcosa. Però non sappiamo assolutamente cosa.» Martinsson annuì. «In altre parole, dobbiamo scoprire il legame che esiste fra la banca e la società di telecomunicazioni. Dopo potremo cercare un comune denominatore.» «Non è detto che sia il 20 ottobre» disse Modin. «Ovviamente, può trattarsi di qualcos'altro. La mia era solo una proposta di interpretazione.» Improvvisamente, Wallander ebbe la sensazione che stessero seguendo una pista completamente sbagliata. Forse l'idea che la soluzione fosse nascosta nei computer di Falk era errata? Ora sapevano che Sonja Hökberg era stata violentata. L'assassinio di Lundberg poteva essere un atto di vendetta disperato e fuori luogo. Ed era anche possibile che Tynnes Falk fosse morto per cause naturali. Tutti gli altri avvenimenti, ivi inclusa la morte di Landahl, potevano avere spiegazioni ancora sconosciute, ma che a un certo punto nel tempo si sarebbero dimostrate completamente logiche.
Wallander era incerto. Il dubbio che lo aveva assalito appariva reale. «Dobbiamo esaminare nuovamente tutto» disse. «Dall'inizio alla fine.» Martinsson lo fissò sorpreso. «Dobbiamo interrompere?» «Dobbiamo analizzare tutto questo meticolosamente. Sono emersi particolari che tu non conosci ancora.» Uscirono sul pianerottolo. Wallander fece un riepilogo di quello che era venuto a sapere su Carl-Einar Lundberg. Parlando, si rese conto di sentirsi insicuro in compagnia di Martinsson, ma cercò di non farlo trapelare. «Dobbiamo considerare Sonja Hökberg sotto un'altra ottica» concluse. «Sono sempre più propenso a pensare che qualcuno temeva che Sonja sapesse qualcosa.» «Come spieghi la morte di Landahl?» «Erano stati insieme. È possibile pensare che anche Landahl fosse a conoscenza di quello che Sonja sapeva. Qualcosa che, in qualche modo, può avere a che fare con Falk.» Wallander raccontò quello che era successo a casa di Siv Eriksson. «Anche questo può essere collegato al resto» disse Martinsson. «Ma non spiega il relè. Non spiega perché il corpo di Falk sia stato portato via dall'obitorio. E non spiega neppure perché Sonja Hökberg e Jonas Landahl siano stati assassinati. In una cabina di trasformatori e nella sala macchine di un traghetto. C'è un qualcosa di disperato in tutto questo. Qualcosa di disperato ma anche di freddo e calcolato. Una persona cauta, ma anche senza scrupoli. Quale essere umano può agire in questo modo?» Martinsson rifletté. «I fanatici» disse. «Persone con una convinzione. Persone che perdono il controllo delle proprie convinzioni. Membri di una setta.» Wallander indicò la porta dell'ufficio di Falk. «Lì dentro c'è un altare davanti al quale un uomo venerava se stesso. Abbiamo anche pensato che la morte di Sonja Hökberg potesse essere un rito sacrificale.» «Questo ci riporta ugualmente al contenuto del computer» disse Martinsson. «Un processo è in corso. Prima o poi accadrà qualcosa.» «Robert Modin ha fatto un lavoro eccellente» disse Wallander. «Ma è arrivato il momento di contattare la direzione generale a Stoccolma. Non possiamo correre il rischio che lunedì succeda qualcosa che i loro esperti avrebbero forse potuto scoprire.» «Dunque, Robert Modin esce di scena?»
«Credo che sia la cosa migliore. Mettiti immediatamente in contatto con Stoccolma. Preferibilmente devono mandare qualcuno oggi stesso.» «Ma oggi è venerdì.» «Non ha alcuna importanza. Quello che ci interessa è lunedì 20 ottobre.» Rientrarono nell'ufficio di Falk. Wallander elogiò Modin per l'ottimo lavoro svolto. Ma aggiunse che il suo aiuto non era più necessario. Wallander notò un'espressione di delusione dipingersi sul volto del giovane. Ma non disse nulla. Invece iniziò le operazioni per terminare il proprio lavoro. Wallander e Martinsson si appartarono e iniziarono a discutere a bassa voce sulla ricompensa da offrire a Modin per il lavoro svolto. Wallander promise di occuparsene. Nessuno dei due si accorse che, nel frattempo, Modin aveva trasferito rapidamente tutti i file sul suo computer. Si salutarono sotto la pioggia. Martinsson avrebbe portato Modin a Löderup con la sua auto. Wallander gli strinse la mano e lo salutò. Poi, tornò alla centrale di polizia. Una ridda di pensieri si susseguiva nella sua mente. Quella sera stessa, Elvira Lindfeldt sarebbe arrivata in visita da Malmö. Quel pensiero lo rendeva euforico e nervoso allo stesso tempo. Ma prima doveva riuscire a riesaminare tutto il materiale dell'indagine. Lo stupro di Sonja Hökberg aveva modificato drammaticamente i presupposti. Quando Wallander entrò alla centrale, un uomo che stava aspettando seduto si alzò. Si avvicinò e si presentò, dicendo di chiamarsi Rolf Stenius. Wallander conosceva quel nome, ma fu solo quando l'uomo disse di essere stato il commercialista di Tynnes Falk che si ricordò di lui. «Naturalmente, avrei dovuto telefonare prima di venire» disse Stenius. «Ma visto che ero a Ystad per partecipare a una riunione che è stata annullata, ne ho approfittato.» «Purtroppo oggi sono molto impegnato» disse Wallander. «Ma posso dedicarti qualche minuto.» Wallander lo fece accomodare nel suo ufficio. Rolf Stenius aveva più o meno la sua età, aveva i capelli radi e un fisico asciutto. Wallander ricordava di avere letto in un promemoria che Hansson era stato in contatto con l'uomo. Rolf Stenius aprì la sua borsa e prese una cartella di plastica. «Naturalmente ero già al corrente della morte di Falk quando mi avete contattato.» «Da chi l'hai saputo?»
«Dalla ex moglie di Falk.» Wallander gli fece cenno di proseguire. «Ho preparato un riepilogo dei bilanci degli ultimi anni. Inoltre, ho portato altri documenti che forse possono interessarvi.» Wallander prese la cartella senza aprirla. «Falk era un uomo ricco?» chiese. «Naturalmente dipende da cosa s'intende per ricco. In tutto, il patrimonio di Falk ammontava a dieci milioni di corone.» «In questo caso lo considero un uomo ricco. Aveva debiti?» «Si tratta di importi insignificanti. Oltretutto, le spese che sosteneva non erano particolarmente elevate.» «Quali erano le fonti dei suoi redditi? Le consulenze?» «È tutto spiegato in dettaglio nei bilanci.» «Aveva dei clienti che pagavano grosse somme?» «Lavorava per diverse società negli Stati Uniti. Pagavano bene ma non si trattava di somme ingenti.» «Che tipo di lavoro svolgeva per loro?» «Falk lavorava per la Moseson & Sons, una catena di agenzie pubblicitarie su scala nazionale. Li ha aiutati a migliorare diversi programmi di grafica.» «Chi altro?» «Un importatore di whisky che si chiama DuPont. Se ricordo bene gli era stato dato l'incarico di creare un programma per un magazzino altamente automatizzato.» Wallander cercò di riflettere ma aveva problemi a concentrarsi. «Il suo patrimonio è cresciuto più lentamente negli ultimi anni?» «Non direi. Falk ha sempre fatto degli investimenti oculati. Non ha messo sempre le uova nello stesso paniere. Fondi in Svezia, nel resto della Scandinavia e negli Stati Uniti. Una riserva di capitale relativamente consistente. Voleva sempre una buona liquidità. Qualche azione, soprattutto della Ericsson.» «Chi curava i suoi investimenti?» «Lo faceva personalmente.» «Aveva dei beni in Angola?» «Dove?» «In Angola.» «Non che io sappia.» «Poteva averli senza che tu ne fossi a conoscenza?»
«Naturalmente. Ma non lo credo.» «Perché no?» «Tynnes Falk era un uomo estremamente onesto. Secondo Falk, tutti dovevano pagare le tasse. In alcune occasioni gli avevo suggerito di trasferire la sua residenza all'estero, vista la pressione fiscale in Svezia. Ma Falk è sempre stato contrario.» «Com'è andata a finire?» «Si arrabbiò molto. Mi minacciò dicendomi che si sarebbe affidato a un altro commercialista se avessi provato a dargli ancora un consiglio del genere.» Wallander non aveva più la forza di proseguire. «Leggerò i tuoi bilanci» disse. «Non appena avrò tempo.» «La sua morte mi rattrista» disse Stenius chiudendo la borsa. «Falk era una persona gradevole. Forse, troppo riservato. Ma gradevole.» Wallander lo accompagnò all'uscita. «Una società per azioni deve avere un consiglio di amministrazione» disse. «Chi ne faceva parte?» «Naturalmente Falk stesso. Inoltre il procuratore. E il mio segretario.» «Suppongo che si riunissero regolarmente.» «Io organizzavo tutto per telefono.» «Quindi non avevate bisogno di incontrarvi?» «Bastava scambiare documenti e firmarli.» Stenius uscì dalla centrale di polizia. Wallander tornò nel suo ufficio chiedendosi se qualcuno aveva avuto tempo di parlare con i figli di Falk. Non riusciamo neppure a seguire le cose più importanti, pensò. Anche se continuiamo a lavorare fino allo sfinimento, le pile di documenti crescono a vista d'occhio. L'apparato giudiziario svedese si sta trasformando in un triste deposito le cui pareti cominciano a curvarsi all'esterno per il peso dei reati irrisolti. Alle quattro e mezza di venerdì pomeriggio la squadra investigativa si riunì. Nyberg aveva comunicato di non poter essere presente. Secondo Ann-Britt, era stato colto da un violento capogiro. Iniziarono la riunione chiedendosi chi sarebbe stato il primo a essere colpito da un infarto. Poi, cominciarono a valutare quali conseguenze potesse avere per l'indagine il fatto che, molto probabilmente, Sonja Hökberg era stata violentata da CarlEinar Lundberg. Su richiesta di Wallander, Viktorsson era presente alla riunione. Il pm ascoltava senza fare domande. Quando Wallander propose
che Lundberg fosse interrogato il prima possibile, Viktorsson fece un cenno di assenso. Wallander chiese anche ad Ann-Britt di controllare se il padre di Lundberg potesse essere coinvolto in qualche modo in quello che era accaduto. «Anche lui?» chiese Hansson sorpreso. «Che famiglia!» «Dobbiamo riuscire a sapere tutto nel modo più esatto» disse Wallander. «Tutti i dettagli devono essere chiari.» «Un padre che subisce una vendetta per le colpe del figlio» disse Martinsson. «Faccio fatica a credere che sia così.» «Non stiamo parlando di quello che credi tu» rispose Wallander. «Stiamo parlando di quello che è realmente accaduto.» Wallander si rese conto di avere usato un tono brusco. Anche i colleghi seduti intorno al tavolo se ne erano accorti. Wallander si affrettò a rompere il silenzio. Continuò a parlare con Martinsson sforzandosi di usare un tono più cordiale. «Gli esperti della direzione generale» disse. «Che cosa hanno detto?» «Ovviamente si sono lamentati, ma io ho insistito affinché mandassero qualcuno già domani. Qualcuno arriverà in aereo domani mattina alle nove.» «Come si chiama?» «Hans Alfredsson.» Martinsson si incaricò di andare a prenderlo all'aeroporto di Sturup e di metterlo al corrente di quello che era stato fatto. «Sai come continuare con il computer di Falk?» chiese Wallander. «Ho sempre preso appunti.» Continuarono a lavorare fino, alle sei. Anche se c'erano ancora molti punti oscuri, discordanti e, in generale, sospesi nell'aria, Wallander aveva la sensazione che il morale dei membri della squadra investigativa fosse migliorato. Sapeva che era estremamente importante chiarire gli eventi del passato di Sonja Hökberg. Avevano individuato la via giusta per raggiungere dei risultati. Come tutti, dentro di sé, Wallander sperava che l'intervento dell'esperto di Stoccolma potesse essere determinante. Terminarono la riunione parlando di Jonas Landahl. Hansson aveva avuto l'increscioso incarico di informare i genitori del giovane, che si trovavano in Corsica. Ora, stavano tornando a casa. Nyberg aveva lasciato un rapporto scritto ad Ann-Britt, nel quale affermava di essere sicuro che Sonja Hökberg era stata nell'auto di Landahl, e di avere rilevato le impronte del giovane nella cabina dei trasformatori. Sapevano anche che Landahl non
aveva mai avuto a che fare con la giustizia. Ma questo non escludeva, come Wallander aveva fatto notare, che fosse stato insieme a Falk quando questi era stato arrestato per avere liberato i visoni dall'allevamento a Sölvesborg. Wallander aveva l'impressione che si trovassero davanti a un abisso dove un tempo c'era stato un ponte che era crollato. Il passo da liberare visoni a uccidere o essere uccisi era enorme. Quel pomeriggio, Wallander ripeté diverse volte il proprio parere su quello che era successo. C'era qualcosa di brutale e allo stesso tempo di ponderato in ogni avvenimento. Non potevano scartare neppure l'ipotesi della vittima sacrificale. Verso la fine della riunione, Ann-Britt chiese se non fosse anche opportuno chiedere aiuto a Stoccolma per avere informazioni sui diversi gruppi radicali di ambientalisti. E Martinsson, la cui figlia Terese era vegana e apparteneva a una famosa associazione di verdi, intervenne dicendo che era assurdo pensare che organizzazioni di quel genere potessero avere qualcosa a che fare con degli omicidi così brutali. Per la seconda volta quel giorno, Wallander gli rispose con tono brusco. Non potevano escludere alcuna ipotesi. Finché non fossero riusciti a individuare un movente ben definito, dovevano seguire tutte le piste possibili allo stesso tempo. A quel punto, la riunione perse vigore. Wallander batté la mano sul tavolo per indicare che era arrivato il momento di finire. Si sarebbero riuniti nuovamente anche sabato. Aveva fretta di andarsene. Prima che Elvira Lindfeldt arrivasse, doveva mettere in ordine il suo appartamento. Ma prima andò nel suo ufficio e telefonò a Nyberg. Al settimo segnale, cominciava ad avere cattivi presentimenti. Alla fine, Nyberg rispose con il suo solito tono irritato. Wallander tirò un sospiro di sollievo. Nyberg stava meglio. Non aveva più il capogiro. Il giorno dopo sarebbe tornato al lavoro. Con rinnovata energia. Wallander aveva appena finito di riordinare l'appartamento e di cambiarsi quando squillò il telefono. Era Elvira Lindfeldt. Aveva appena imboccato la deviazione per Sturup e aveva preso la strada per Ystad. Wallander aveva prenotato un tavolo in un ristorante della città. Le spiegò il percorso da seguire per arrivare alla piazza centrale. Quando posò la cornetta, lo fece in modo talmente affrettato e nervoso da far cadere l'apparecchio a terra. Lo raccolse inveendo e in quello stesso istante si ricordò che aveva promesso a Linda di ritelefonarle quella sera stessa. Imbarazzato e incerto, dettò un messaggio nella propria segreteria telefonica lasciando il numero
di telefono del ristorante. Naturalmente c'era il rischio che telefonasse qualche giornalista. Ma era poco probabile. Sembrava che, per il momento, i giornali avessero perso interesse nella storia dello schiaffo che aveva dato a Eva Persson. Wallander uscì di casa. Aveva deciso di non usare l'auto. Aveva smesso di piovere e il vento era diminuito. Si avviò verso il centro. In qualche modo, provava un vago senso di delusione. Elvira Lindfeldt non aveva preso il treno. Questo indicava che aveva deciso di tornare a Malmö. Non c'era dubbio che si era aspettato che rimanesse per la notte. Ma la delusione non era poi così grande. Dopotutto stava andando a cena con una donna, ed era da tanto tempo che non lo faceva. Arrivato nella piazza, Wallander si fermò ad attendere davanti alla libreria. Cinque minuti dopo vide Elvira Lindfeldt entrare nella piazza da Hamngatan. La soggezione che aveva provato la sera prima era tornata. I suoi modi diretti lo avevano confuso. Improvvisamente, mentre percorrevano Norregatan in direzione del ristorante, lei lo aveva preso sottobraccio. In quel momento stavano passando davanti alla casa dove aveva abitato Svedberg. Wallander si fermò e le raccontò rapidamente quello che era successo quella volta. Lei lo ascoltò con attenzione. «E ora, quando ci pensi, che cosa provi?» chiese quando Wallander finì. «Non lo so. Mi sembra una specie di sogno. Come se fosse qualcosa che non è realmente accaduto.» Il ristorante era piccolo ed era aperto da un anno. Wallander non c'era mai stato. Ma Linda gliene aveva parlato. Quando entrarono, rimase sorpreso. Si era aspettato che tutti i tavoli fossero occupati. Ma c'erano pochi clienti seduti qua e là. «Ystad non è una città dove la gente esce molto» disse come per scusarsi. «Ma dicono che sia un buon ristorante.» Una cameriera, che Wallander aveva già visto al Continental, li fece accomodare. «Sei venuta in auto» disse Wallander fissando la lista dei vini. «Sì, e tornerò a Malmö questa sera.» «Allora sarò io a bere il vino questa volta» disse Wallander. «Qual è il limite secondo la polizia?» «Quando si guida, la cosa migliore è non bere affatto. Ma un bicchiere a cena non è un problema. Naturalmente, possiamo andare alla centrale e farti soffiare nel famoso palloncino.»
Il cibo era preparato con cura. Wallander aveva ordinato un bicchiere di vino e, quando lo finì, ne ordinò subito un altro. La conversazione era per lo più concentrata sul suo lavoro. Per una volta, si sentiva orgoglioso di quello che faceva. Raccontò a Elvira come avesse iniziato la carriera a Malmö da poliziotto di pattuglia. Le raccontò di quando era stato accoltellato e non era morto per qualche centimetro, e come quell'episodio fosse stato traumatico per lui. Lei gli chiese di che cosa si stesse occupando in quel momento e Wallander era sempre più convinto che non avesse visto quella orribile fotografia sul giornale della sera. Le parlò della terribile morte della ragazza nella cabina dei trasformatori, dell'uomo trovato morto davanti al Bancomat, del giovane maciullato dagli assi delle eliche del traghetto dalla Polonia. Avevano appena ordinato il caffè quando la porta del ristorante si aprì. Robert Modin entrò. Wallander lo scorse immediatamente. Il giovane si guardò intorno. Quando vide che Wallander non era solo, esitò. Ma Wallander gli fece cenno di avvicinarsi. Presentò Elvira Lindfeldt. Robert Modin disse il suo nome. Wallander notò che era nervoso e si chiese cosa potesse essere successo. «Credo di avere scoperto qualcosa» disse Modin. «Se volete parlare da soli posso spostarmi» disse Elvira Lindfeldt. «Non è necessario.» «Ho chiesto a mio padre di portarmi da Löderup» disse Modin. «Ho sentito il tuo messaggio sulla segreteria telefonica. E il numero di telefono di questo ristorante.» «Hai detto che hai scoperto qualcosa?» «È difficile spiegare senza un computer. Ma credo di essere riuscito a capire come aggirare i codici che non siamo ancora riusciti a decifrare finora.» Wallander capì che Modin era convinto di quello che diceva. «Telefona a Martinsson domani» disse. «Gliene parlerò anch'io.» «Sono sicuro di esserci riuscito.» «Non era necessario che venissi fin qui» disse Wallander. «Avresti potuto lasciare un messaggio sulla segreteria telefonica.» «Mi sono lasciato prendere dall'entusiasmo. Mi capita a volte.» Modin fece un timido cenno di saluto a Elvira Lindfeldt. Wallander pensò che avrebbe dovuto parlargli più a lungo. Ma non avrebbero potuto fare niente fino al mattino seguente. E poi, in quel momento voleva restare in
pace. Robert Modin aveva capito e se ne andò. La conversazione non era durata più di due minuti. «È un giovane molto dotato» disse Wallander. «Robert Modin è un genio dell'informatica. Ci sta aiutando con un'indagine.» Elvira Lindfeldt sorrise. «Sembrava molto nervoso. Ma è sicuramente in gamba.» Lasciarono il ristorante a mezzanotte. Tornarono camminando lentamente verso la piazza principale di Ystad. Elvira Lindfeldt aveva lasciato la sua auto a Hamngatan. «È stata una serata piacevole» disse quando raggiunsero l'auto. «Allora, non ti sei ancora stancata di me?» «No. E tu di me?» Wallander avrebbe voluto trattenerla. Ma non era possibile. Decisero di telefonarsi durante il fine settimana. Wallander la abbracciò. Elvira Lindfeldt salì nell'auto e partì. Wallander iniziò ad avviarsi verso casa. Ma si fermò dopo pochi passi. È possibile?, pensò. È davvero possibile che abbia incontrato qualcuno? Proprio quando avevo smesso di sperarlo? Tornò a casa a Mariagatan e si addormentò subito. Elvira Lindfeldt guidava in direzione di Malmö. Appena oltrepassato Rydsgård si fermò in una piazzola e prese il cellulare. Il numero che compose era quello di un abbonato di Luanda. Fu costretta a provare tre volte prima di prendere la linea. Quando Carter rispose, Elvira Lindfeldt sapeva esattamente quello che doveva dire. «Fu Cheng aveva ragione. La persona che sta cercando di entrare nel sistema si chiama Robert Modin. Abita a Löderup, un centro poco lontano da Ystad.» Elvira Lindfeldt ripeté il messaggio due volte per essere sicura che l'uomo che si trovava a Luanda avesse capito correttamente. La conversazione si interruppe. Elvira Lindfeldt uscì dal parcheggio e riprese la strada per Malmö. 33. Il sabato mattina, Wallander telefonò a Linda. Come sempre, si era svegliato presto. Ma era riuscito a riaddormentarsi e
si era alzato poco dopo le otto. Dopo avere fatto colazione, aveva composto il numero di sua figlia a Stoccolma e l'aveva svegliata. Linda gli chiese immediatamente dove fosse stato la sera prima. Gli aveva telefonato una prima volta a casa e poi aveva provato due volte al numero del ristorante, ma era sempre occupato. Decise di dirle la verità. Linda lo ascoltò senza interromperlo. «Non avrei mai creduto che lo avresti fatto» disse lei alla fine. «Veramente, non avrei mai creduto che avresti seguito il mio consiglio.» «Ho esitato a lungo.» «Ma alla fine ti sei deciso.» Gli chiese di raccontarle di Elvira Lindfeldt. Si parlarono a lungo. Linda era entusiasta; Wallander però continuava a dire che non voleva farsi troppe illusioni. Era ancora troppo presto. Per il momento, era più che felice di essere riuscito, per una volta, a non cenare da solo. «Non ti credo» disse Linda decisa. «Ti conosco. Tu speri che tutto questo si ripeta e continui. E lo spero anch'io.» Poi Linda cambiò argomento senza usare mezze parole. «Voglio che tu sappia che ho visto la tua fotografia sui giornali. Naturalmente è stato uno shock. È stato uno dei miei colleghi al ristorante a farmela vedere e mi ha chiesto se eri mio padre.» «E tu che cosa hai risposto?» «Dapprima ho pensato di dire di no. Ma non l'ho fatto.» «Hai fatto bene.» «Non l'ho fatto perché ho deciso che non poteva essere vero.» «Infatti, non lo è.» Wallander le descrisse come si erano svolti i fatti. Le parlò dell'inchiesta interna che era in corso e le disse di essere fiducioso che alla fine la verità sarebbe venuta a galla. «È importante che io sappia tutto questo» disse Linda. «Al momento è veramente importante.» «Perché?» «Non posso dirtelo ora. Non ancora.» Wallander si incuriosì. Negli ultimi mesi, aveva avuto il sospetto che Linda avesse cambiato per l'ennesima volta i piani per il proprio futuro. Forse aveva trovato la strada giusta. Aveva provato a chiederglielo, ma non aveva mai avuto una risposta chiara. Prima di terminare la conversazione le chiese quando sarebbe venuta a trovarlo a Ystad. Non prima di metà novembre, aveva risposto Linda.
Quando Wallander posò il ricevitore, si ricordò del libro che doveva ritirare. Il volume sulla storia del restauro dei mobili. Ma ora, dubitava che Linda avesse deciso di studiare seriamente per realizzare il suo sogno e poi cercare di stabilirsi a Ystad. Sta pensando ad altro, si disse. E per qualche motivo non vuole ancora dirmi di che cosa si tratta. Era inutile lambiccarsi il cervello. Invece, si mise l'uniforme invisibile e tornò a essere un poliziotto. Guardò l'orologio. Erano le otto e venti. Presto, Martinsson sarebbe arrivato a Sturup per accogliere Alfredsson. Wallander pensò alla sera prima, quando Robert Modin era improvvisamente entrato nel ristorante. Gli era sembrato convinto. Continuò a riflettere per qualche minuto. Qualcosa dentro di sé gli diceva di limitare il più possibile i contatti con Martinsson. Era ancora indeciso se credere a quello che Ann-Britt gli aveva detto oppure no. Anche se, in cuor suo, sperava che non fosse vero. La perdita dell'amicizia di Martinsson avrebbe significato una situazione di lavoro praticamente impossibile. Il senso di delusione sarebbe stato troppo duro da sopportare. Allo stesso tempo, Wallander continuava a temere che qualcosa fosse realmente in atto. Qualcosa che non riusciva a vedere. Un complotto che poteva avere effetti drammatici per la sua posizione. Quel pensiero lo sconvolgeva e lo amareggiava. Si sentiva ferito nel proprio orgoglio. Così come Rydberg un tempo aveva fatto con lui, Wallander era stato il mentore di Martinsson, aiutandolo a diventare un buon poliziotto. Ma Wallander non aveva mai complottato per sminuire o mettere in dubbio l'autorità di Rydberg. Il corpo di polizia è un covo, pensò con rabbia. Un covo pieno di gelosia, pettegolezzi e intrighi. Finora mi sono illuso di essere riuscito a starne fuori. Ma ora, di colpo, mi sembra di esserne al centro. Come un re il cui pretendente al trono inizia a essere impaziente. Vincendo la riluttanza compose il numero di cellulare di Martinsson. La sera prima, Robert Modin aveva costretto suo padre a portarlo in auto da Löderup a Ystad. Dovevano considerare seriamente quello che aveva detto. Forse aveva già telefonato a Martinsson. Se non lo aveva ancora fatto, Wallander avrebbe chiesto a Martinsson di contattarlo immediatamente. Martinsson rispose subito. Aveva appena parcheggiato la sua auto a Sturup. Modin non gli aveva telefonato. Wallander fu breve. «Mi sembra un po' strano» disse Martinsson. «Come ha potuto scoprire qualcosa senza avere accesso al computer di Falk?»
«Questo devi chiederlo a lui.» «Ha fatto il furbo» disse Martinsson. «Scommetto che ha trasferito tutti i dati nel suo computer.» Martinsson promise di telefonare a Modin e di chiamare Wallander verso la fine della mattinata. Finita la conversazione, Wallander pensò che Martinsson gli era sembrato lo stesso di sempre. Forse è più bravo a interpretare la parte di quanto abbia potuto immaginare, pensò. Oppure c'è qualcosa che non va in quello che Ann-Britt mi ha detto. Alle nove meno un quarto, Wallander varcò la porta di ingresso della centrale di polizia. Quando entrò nel suo ufficio trovò un messaggio sulla scrivania. Hansson doveva parlargli appena possibile. «È successo qualcosa» aveva scritto in stampatello. Wallander sospirò. Hansson non riusciva mai a essere preciso. «Qualcosa» succedeva sempre. La domanda era: che cosa? Il distributore automatico del caffè era stato riparato. Nyberg era seduto a un tavolo intento a mangiare uno yogurt. Wallander si mise a sedere di fronte a lui. «Se mi chiedi come sto, me ne vado» disse Nyberg. «Ti prometto che non lo farò.» «Sto bene» disse Nyberg. «Ma non vedo l'ora di andare in pensione. Anche se non sono molti soldi.» «Che cosa farai quando sarai in pensione?» «Farò le parole incrociate. Leggerò libri. Andrò in montagna.» Wallander sapeva che niente di quello che Nyberg aveva detto era vero. Non dubitava che fosse malconcio ed esausto. Ma sapeva anche che Nyberg aveva il terrore di quel momento. «Il patologo ha fatto sapere qualcosa su Landahl?» «Landahl è morto circa tre ore prima che il traghetto attraccasse. Il che significa che la persona che l'ha ucciso era ancora sul traghetto. Ammesso che non si sia gettata in mare.» «È chiaro che ho commesso un errore» confessò Wallander. «Avremmo dovuto controllare tutte le persone prima che sbarcassero.» «Avremmo dovuto scegliere un altro mestiere» disse Nyberg. «Ci sono notti in cui rimango sveglio, cercando di contare quante volte sono intervenuto con gli altri a tirare giù quelli che si erano impiccati. Solo quelli. Senza neanche contare quelli che si sono sparati, o quelli che sono annegati o hanno fatto il grande salto, o si sono fatti saltare in aria o avvelenati.
Solo quelli che si sono impiccati. Con corde, con strisce di lenzuola, con filo di ferro e una volta persino con filo spinato. Non riesco mai a ricordare quanti siano stati. So che poi mi dimentico quasi tutto. E poi mi dico che è una pazzia. Perché devo rimanere sveglio cercando di ricordare tutta la miseria che sono stato costretto a vedere?» «Bisognerebbe evitarlo» disse Wallander. «Altrimenti c'è il rischio di andare fuori di testa.» Nyberg posò il cucchiaio e fissò Wallander. «Stai dicendo che lo sono già? Fuori di testa?» «Spero di non esserlo io.» Nyberg annuì. Wallander decise che la cosa migliore da fare era lasciarlo solo. Sapeva che non era necessario controllare cosa faceva. Nyberg era meticoloso ed era in grado di organizzare il suo lavoro. In ogni occasione, sapeva quello che doveva essere fatto subito e quello che poteva aspettare. «Ho riflettuto» disse Nyberg improvvisamente. «Su diversi punti.» Per esperienza, Wallander sapeva che Nyberg poteva dare prova di un'inaspettata perspicacia anche per fatti che non erano di sua stretta competenza. Più di una volta, le sue riflessioni avevano portato un'indagine sulla pista giusta. «Su cosa hai riflettuto?» «Su quel relè sulla lettiga. Sulla borsetta gettata vicino al recinto. Sul cadavere che è stato riportato davanti al Bancomat. Senza due dita. Stiamo cercando di capire che cosa possa significare tutto questo. Ci sforziamo di far combaciare tutti i pezzi per avere un quadro completo. Non è così?» Wallander annuì. «È quello che cerchiamo di fare. Ma non ci riusciamo molto bene. Non ancora almeno.» Prima di continuare, Nyberg finì lo yogurt. «Ann-Britt mi ha raccontato della riunione di ieri, quella a cui non sono venuto. Mi ha detto che hai parlato della presenza di una doppia realtà in quello che è successo. Come se qualcuno cercasse di parlare due lingue diverse allo stesso tempo. Hai detto che c'era qualcosa di calcolato e di casuale in quello che è successo. Qualcosa di brutale e cauto allo stesso tempo. Ho capito bene?» «Sì, più o meno è quello che ho detto.» «Per quanto mi riguarda, è una delle riflessioni più sensate che abbia sentito fare finora nel corso di questa indagine. Che cosa succede se la adottiamo? Se accettiamo che esiste un elemento di calcolo e uno casuale?»
Wallander scosse il capo. Non aveva niente da dire. Preferiva ascoltare. «Ho pensato che forse stiamo cercando di interpretare troppe cose. Improvvisamente scopriamo che probabilmente l'omicidio del tassista non ha niente a che fare con il resto. A parte il fatto che Sonja Hökberg è la colpevole. In realtà, siamo noi ad avere il ruolo principale. La polizia.» «Per quello che avrebbe potuto dirci? E quindi qualcuno ha avuto paura?» «Non solo. Che cosa succede se iniziamo a vagliare questi avvenimenti? E se ci chiediamo se una parte di quello che è successo non abbia in realtà nulla a che fare con il resto? Che si tratti in verità di false piste predisposte ad arte?» Wallander intuiva che Nyberg stava elaborando congetture che potevano rivelarsi importanti. «A che cosa stai pensando?» «Per prima cosa al relè sulla barella vuota.» «Con questo vuoi dire che Falk non ha niente a che vedere con l'assassinio di Lundberg?» «Non proprio. Ma qualcuno vuole farci credere che Falk abbia molto di più a che vedere di quanto non sia in realtà.» Wallander iniziava a essere seriamente interessato. «Oppure il corpo che riappare all'improvviso» continuò Nyberg. «Con due dita recise. Forse stiamo scervellandoci troppo per cercare di capire perché è accaduto. Supponiamo che non significhi nulla. Dove arriveremo allora?» Wallander rifletté. «In mezzo a una palude, senza sapere dove mettere i piedi.» «Un ottimo paragone» disse Nyberg soddisfatto. «Solo Rydberg avrebbe potuto fare di meglio per descrivere una situazione. Forse tu sei persino riuscito a batterlo. È vero, stiamo girando in tondo in una palude. Proprio quello che qualcuno vuole che facciamo.» «Quindi, dobbiamo tornare sulla terraferma? È questo quello che vuoi dire?» «Sto pensando al cancello. Quello della centrale elettrica. Quello che è stato forzato. E noi continuiamo a scervellarci per capire perché la porta della cabina dei trasformatori sia stata invece aperta con le chiavi.» Wallander annuì. Nyberg aveva analizzato i diversi fatti razionalmente. Avrei dovuto farlo anch'io, pensò, inveendo contro se stesso. «Vuoi dire che la persona che ha aperto la porta della cabina ha fatto la
stessa cosa con il cancello. Ma che lo ha forzato per creare confusione?» «Non può esserci una spiegazione più logica.» Wallander annuì sconsolato. «Bravo» disse. «Mi fai sentire imbarazzato. Avrei dovuto considerare questa possibilità già da tempo.» «Non puoi pensare a tutto» rispose Nyberg evasivamente. «Hai pensato ad altri dettagli che possono essere riconsiderati? A parte quelli creati apposta per confonderci?» «Bisogna procedere cautamente» disse Nyberg. «Per non eliminare quello che è importante e allo stesso tempo per trascurare i dettagli di nessuna importanza.» «Tutte le ipotesi possono essere importanti.» «Gli esempi che ho fatto sono i più significativi. Non voglio dire di avere ragione. Sto solo pensando ad alta voce.» «In ogni caso, è stata una buona idea» disse Wallander. «Adesso abbiamo una nuova prospettiva che ci permette di vedere le cose da un altro punto di vista.» «Spesso ho considerato il nostro lavoro come se fossimo pittori davanti ai nostri cavalletti» disse Nyberg. «Facciamo degli schizzi, iniziamo a riempirli di colore e poi facciamo un passo indietro per controllare il risultato nell'insieme. Poi torniamo al cavalletto e continuiamo a dipingere. Penso che quel passo indietro sia il più importante. È solo allora che vediamo veramente quello che abbiamo davanti agli occhi.» «L'arte di vedere ciò che si ha davanti agli occhi» disse Wallander. «Dovresti farlo presente alla Scuola di polizia.» Nyberg rispose con un'espressione piena di disprezzo. «Credi che i giovani aspiranti poliziotto si interessino a quello che ha da dire un tecnico della scientifica vecchio e stanco?» «Più di quello che tu credi. Sono stati molto attenti quando, qualche anno fa, ho tenuto una conferenza.» «Andrò in pensione» disse Nyberg con tono deciso. «Intreccerò tappeti e farò camminate in montagna. Nient'altro.» Al diavolo, non lo farai mai, pensò Wallander. Ma naturalmente non lo disse. Nyberg si alzò per fargli capire che la conversazione era terminata. Posò il suo piatto sul carrello delle stoviglie sporche. L'ultima cosa che Wallander udì prima di uscire fu Nyberg che inveiva perché il carrello era stracolmo. Wallander si avviò verso l'ufficio di Hansson. La porta era socchiusa e
vide che il collega era occupato a compilare una delle sue solite schedine. Hansson viveva nell'attesa, sempre più impaziente, che uno dei suoi complicati sistemi lo facesse diventare ricco. Il giorno in cui i cavalli dei suoi sogni avessero vinto avrebbe ricevuto la tanto invocata grazia. Wallander bussò e aspettò un attimo per dargli la possibilità di nascondere le schedine, poi entrò. «Ho visto il tuo messaggio» disse. «Abbiamo avuto notizie del furgone Mercedes.» Wallander si appoggiò al vano della porta aspettando che Hansson finisse di cercare fra il caos di carte sulla sua scrivania. «Ho fatto quello che mi hai detto. Sono tornato a controllare. Ieri un'agenzia di noleggio di Malmö ha denunciato il furto di un furgone. Un Mercedes blu scuro. Avrebbe dovuto essere riconsegnato mercoledì. La ditta noleggia sia auto che furgoni. Ha la sua sede al porto.» «Chi lo ha noleggiato?» «La risposta ti farà sicuramente piacere» disse Hansson. «Un uomo dai lineamenti asiatici.» «Che si chiama Fu Cheng? E che ha pagato con una carta di credito dell'American Express?» «Proprio così.» Wallander annuì soddisfatto. «Ha lasciato un indirizzo?» «Sì. Hotel St. Jörgen. Naturalmente, quando hanno cominciato a pensare che non fosse tutto a posto, la ditta ha telefonato per controllare. Quelli dell'hotel hanno risposto di non avere mai avuto un ospite con quel nome.» Wallander aggrottò la fronte. C'era qualcosa che non quadrava. «Non ti sembra strano? È possibile che l'uomo che si fa chiamare Fu Cheng corra il rischio che il noleggiatore controlli se abita veramente all'indirizzo che ha dato?» «C'è una spiegazione» disse Hansson. «Un uomo che si chiama Andersen ha soggiornato al St. Jörgen. Un danese. Ma di origini in parte asiatiche. Abbiamo telefonato all'hotel e sembra che si tratti della stessa persona.» «Come ha pagato la sua camera? «In contanti.» Wallander cercò di pensare. «Di norma, gli hotel richiedono l'indirizzo di casa. Che cosa ha scritto questo Andersen?»
Hansson cercò fra le sue carte. Una schedina cadde per terra senza che se ne accorgesse. Wallander non disse nulla. «Eccolo qui. Andersen ha scritto un indirizzo di Vedbæk.» «È stato controllato?» «Quelli del noleggio sono stati diligenti. Il furgone ha un certo valore. La via che Andersen ha indicato non esiste.» «Fine della pista» disse Wallander. «E il furgone non è ancora stato ritrovato.» «In ogni caso, siamo riusciti a sapere qualcosa.» «Adesso la questione è come dobbiamo procedere.» Wallander decise senza perdere tempo. «Aspettiamo. Non sprecare tempo con quel furgone. Hai cose più importanti da fare.» Hansson indicò le pile di carte sulla sua scrivania. «Non so proprio come riuscirò a smaltirle.» Wallander sentì di non avere la forza di essere coinvolto in un'ennesima discussione sulle sempre più esigue risorse del corpo di polizia. «Ci sentiamo più tardi» disse uscendo rapidamente dalla stanza. Dopo avere controllato alcuni documenti nel suo ufficio, prese la giacca. Era arrivato il momento di andare a Runnerströms Torg a salutare l'esperto della direzione generale, Hans Alfredsson. Wallander era anche curioso di vedere come avrebbe reagito incontrando Robert Modin. Ma quando salì nella sua auto e girò la chiave dell'accensione, il motore non volle saperne di avviarsi. Wallander tornò con il pensiero alla sera precedente. Era da tempo che non si era sentito così di buon umore. Trovava ancora difficile credere che fosse veramente accaduto. Ma Elvira Lindfeldt esisteva. Non era un miraggio. Non riuscì a resistere all'impulso di telefonarle. Prese il cellulare e compose il numero che aveva imparato a memoria. Elvira Lindfeldt rispose al terzo segnale. Anche se sembrò felice di sentire la sua voce, Wallander ebbe l'impressione di avere scelto il momento sbagliato per telefonare. Era una sensazione che non capiva del tutto, ma era reale. Fu colto da un'inaspettata vampata di gelosia. Ma riuscì a controllare il tono di voce. «Volevo solo ringraziarti per ieri.» «Non avevi bisogno di farlo.» «Il viaggio di ritorno è andato bene?» «Per poco non investivo una lepre. Per il resto tutto bene.» «Sono seduto qui nel mio ufficio e mi stavo chiedendo che cosa stessi
facendo il sabato mattina. Ma mi rendo conto che forse ti disturbo.» «Per niente. Sto facendo le pulizie.» «Forse non è il momento adatto. Ma volevo chiederti se possiamo vederci questo fine settimana.» «Per me domani potrebbe andare bene. Puoi richiamarmi? Nel pomeriggio?» «Certamente» disse Wallander. Rimase seduto con il telefono in mano. Era sicuro di averla disturbata. Aveva captato qualcosa di diverso nella sua voce. Sto lasciando correre la mia immaginazione, pensò. Una volta ho commesso lo stesso errore con Baiba. Ero persino andato a Riga senza avvertirla per controllarla. Per vedere se c'era un altro uomo nella sua vita. Ma non era così. Wallander decise che le cose stavano come Elvira Lindfeldt aveva affermato. Stava facendo le pulizie. Quando le avrebbe telefonato nel pomeriggio, il suo tono di voce sarebbe stato sicuramente diverso. Wallander riuscì a mettere in moto e si avviò in direzione di Runnerströms Torg. Il vento aveva praticamente cessato di soffiare. Aveva appena imboccato Skansgatan quando fu costretto a frenare di colpo e a sterzare bruscamente. Una donna era improvvisamente scesa barcollando dal marciapiede davanti alla sua auto. Wallander riuscì a fermare l'auto urtando però un lampione. Stava tremando. Aprì la portiera dell'auto e scese. Era sicuro di non averla investita, ma vide che era caduta a terra. Quando si chinò su di lei vide che era molto giovane, non doveva avere più di quattordici o quindici anni. Era chiaramente ubriaca o drogata. Wallander cercò di parlarle ma, come risposta, ebbe solo dei monosillabi incomprensibili. Un'auto si fermò a qualche metro. Il conducente arrivò correndo e chiese se la ragazza fosse stata investita. «No» disse Wallander. «Ma dammi una mano a farla alzare.» Non ci riuscirono. La ragazza non riusciva a reggersi in piedi. «È ubriaca?» chiese l'uomo con una smorfia di disgusto. «Carichiamola nella mia auto» disse Wallander. «La porterò all'ospedale.» Riuscirono a portarla fino all'auto e a spingerla sul sedile posteriore. Wallander ringraziò l'uomo per l'aiuto e partì. La ragazza iniziò a lamentarsi. Poi vomitò. Wallander stesso non si sentiva bene. Da tempo aveva smesso di indignarsi alla vista di giovani ubriachi. Ma quella ragazza era in pessime condizioni. Arrivato davanti all'entrata del pronto soccorso si girò. La ragazza aveva vomitato sulla sua giacca. Non appena l'auto si
fermò, la ragazza iniziò a tirare la maniglia per uscire dall'auto. «Rimani lì seduta» urlò Wallander. «Io vado a cercare qualcuno.» Suonò il campanello e in quello stesso istante un'ambulanza si fermò di fianco a lui. Wallander riconobbe l'autista. Si chiamava Lagerbladh e faceva quel lavoro da anni. Si salutarono. «Hai un paziente o sei venuto a prendere qualcuno?» chiese Wallander. Il collega di Lagerbladh scese dall'ambulanza. Wallander fece un cenno con il capo. Non lo aveva mai visto prima. «Siamo venuti a prendere qualcuno» disse Lagerbladh. «Prima datemi una mano con una ragazza» disse Wallander. I due lo seguirono fino alla sua auto. La ragazza era riuscita ad aprire lo sportello ma non aveva avuto la forza di scendere. Ora giaceva riversa con il busto fuori dall'auto. Wallander non aveva mai visto niente di simile. I capelli sporchi della ragazza toccavano l'asfalto umido. La sua giacca imbrattata di vomito. L'incapacità di articolare parole comprensibili. «Dove l'hai trovata?» chiese Lagerbladh. «Ho evitato di investirla per un pelo.» «Di solito sono ubriachi persi solo verso sera.» «Non sono sicuro che si tratti di alcol» disse Wallander. «Può essere qualsiasi cosa. In questa città puoi trovare tutto quello che vuoi. Eroina, cocaina, ecstasy, qualsiasi cosa.» Il collega di Lagerbladh era andato a prendere la barella. «Mi sembra di riconoscerla» disse Lagerbladh. «Credo di averla già portata al pronto soccorso non molto tempo fa.» Lagerbladh si chinò e aprì la giacca della ragazza che protestò debolmente. Non senza fatica, riuscì a trovare la sua carta d'identità. «Sofia Svensson» lesse. «Il nome non mi dice niente. Ma mi ricordo il suo viso. Ha solo quattordici anni.» La stessa età di Eva Persson, pensò Wallander. Che cosa sta succedendo in questa città? Il collega di Lagerbladh arrivò con la barella. Distesero la ragazza. Lagerbladh si girò, fissò il sedile posteriore e fece una smorfia. «Non sarà facile ripulirlo» disse. «Telefonami» disse Wallander. «Voglio sapere come se la cava. E anche che cosa ha preso.» Lagerbladh annuì e poi se ne andò spingendo la barella. Aveva ripreso a piovere. Wallander fissò il sedile posteriore. Poi vide le porte del pronto soccorso richiudersi. Fu colto da un'infinita tristezza. Questa società sta
andando a pezzi davanti ai miei occhi, pensò con amarezza. Un tempo Ystad era un cittadina circondata da campi fertili. C'erano un porto e alcuni traghetti che ci legavano al continente. Ma non troppo. Malmö era lontana. Quello che succedeva in quella città non succedeva quasi mai a Ystad. Quel tempo ormai è passato. Ora non esiste alcuna differenza. Ystad è al centro della Svezia. Fra poco sarà anche al centro del mondo. Erik Hökberg rimane seduto davanti ai suoi computer e può fare affari con paesi lontani. E qui, come nelle grandi città, un sabato mattina, una ragazza di quattordici anni se ne va in giro ubriaca fradicia o drogata persa. Riesco a malapena a capire quello che vedo. Ma questa nazione è diventata un regno desolato, vittima della propria vulnerabilità. Una vulnerabilità che ha colpito profondamente ogni singolo essere umano. Sofia Svensson è il simbolo di tutto questo. Esattamente come Eva Persson. E come Sonja Hökberg. Ma la domanda è se posso fare qualcosa di più o se posso solo caricarle sul mio reale o simbolico sedile posteriore, e portarle al pronto soccorso o alla centrale di polizia. Wallander si avvicinò a un cassonetto, trovò alcuni giornali bagnati e ripulì alla meglio il sedile posteriore. Poi andò a controllare il radiatore ammaccato. Ora pioveva a dirotto. Ma Wallander non si preoccupava di bagnarsi. Salì nell'auto e si diresse verso Runnerströms Torg per la seconda volta. Senza motivo, gli venne in mente Sten Widén che aveva venduto tutto e se ne era andato. La Svezia è diventata un luogo dal quale la gente fugge, pensò. Quelli che possono se ne vanno. Rimangono solo quelli come il sottoscritto. E Sofia Svensson. Ed Eva Persson. Quel pensiero gli fece provare un senso di tristezza. Non solo per se stesso, ma anche per le due ragazze. Stiamo defraudando un'intera generazione del futuro, pensò. Giovani che frequentano scuole dove gli insegnanti combattono invano con classi troppo numerose e risorse sempre più esigue. Giovani che non riusciranno neppure ad avvicinarsi a un lavoro decente. Giovani che non sono soltanto superflui, ma che si sentono anche non bene accetti. Nel proprio paese. Rimase seduto a lungo a rimuginare. Ma improvvisamente qualcuno bussò al finestrino. Wallander sussultò. Era Martinsson che gli sorrideva. In mano aveva un sacchetto con delle brioche. Wallander fu contento di vederlo suo malgrado. In casi normali gli avrebbe sicuramente raccontato di quella ragazza che aveva portato al pronto soccorso. Ma ora non disse nulla. Scese semplicemente dall'auto. «Credevo che ti fossi addormentato.»
«Stavo pensando» disse Wallander per tagliare corto. «Alfredsson è arrivato?» Martinsson si mise a ridere. «La cosa strana è che assomiglia al suo omonimo.* Ma non si può accusarlo di essere una persona spassosa.» «E Robert Modin?» «Devo andare a prenderlo all'una.» Attraversarono la strada e salirono verso l'ufficio di Falk. «È venuto un tipo che si chiama Settervkist» disse Martinsson. «Un signore anziano e burbero. Ha chiesto chi avrebbe pagato gli affitti nei prossimi mesi.» «L'ho incontrato anch'io» rispose Wallander. «È grazie a lui che siamo venuti a sapere che Falk aveva un altro appartamento.» Continuarono a salire le scale in silenzio. Wallander pensava alla ragazza che aveva portato al pronto soccorso. Era ancora scosso. Si fermarono sul pianerottolo davanti alla porta. «Alfredsson sembra un tipo prolisso» disse Martinsson. «Ma è sicuramente competente. Sta analizzando quello che abbiamo scoperto finora. Fra l'altro, sua moglie ha già telefonato un paio di volte.» «Forse mi limiterò a salutarlo» disse Wallander. «Poi vi lascerò soli con Modin.» «Che cosa ha detto di avere scoperto?» «Non lo so esattamente. Ma sembrava convinto di avere trovato un modo per svelare più a fondo i segreti di Falk.» Entrarono nell'appartamento. Martinsson aveva visto giusto. L'uomo inviato dalla direzione generale assomigliava davvero al suo più famoso omonimo. Wallander non riuscì a trattenere un sorriso. Almeno temporaneamente aveva scacciato i pensieri cupi. Wallander si presentò. «Ti siamo grati per essere venuto con così poco preavviso» disse Wallander. «Non è che abbia avuto molta scelta» rispose Alfredsson acidamente. «Ho comprato delle brioche» disse Martinsson. «Forse ti tireranno su il morale.» Wallander decise di andarsene immediatamente. La sua presenza sarebbe stata necessaria solo all'arrivo di Modin. «Telefonami quando arriva Modin» disse a Martinsson. «Adesso vado.» Alfredsson continuava a lavorare. D'improvviso lanciò un urlo. «C'è un messaggio per Falk» disse.
Wallander e Martinsson si avvicinarono e fissarono lo schermo. Una spia intermittente segnalava l'arrivo della posta elettronica. Alfredsson spinse un pulsante. «È per te» disse Alfredsson volgendosi verso Wallander sorpreso. Wallander mise gli occhiali e lesse il messaggio. Era stato inviato da Robert Modin. Mi hanno scoperto. Ho bisogno di aiuto. Robert. «Maledizione» disse Martinsson. «Mi aveva assicurato di avere cancellato tutte le tracce.» Non un altro, pensò Wallander disperatamente. Non ce la farei. Un secondo dopo, stava scendendo le scale. Martinsson lo seguiva. L'auto di Martinsson era la più vicina. Wallander mise la sirena. Quando lasciarono Ystad alle loro spalle erano le dieci del mattino. Pioveva a dirotto. * Alfredsson, famoso comico svedese [N.d.T.] 34. Quando arrivarono a Löderup dopo aver guidato a velocità folle, Wallander incontrò la madre di Robert Modin per la prima volta. La donna era indiscutibilmente obesa e sembrava molto nervosa. Ma quello che lo stupì maggiormente fu vederla distesa sul divano con due batuffoli di cotone nelle narici e un panno sulla fronte. Appena si erano fermati davanti alla casa, era stato il padre di Robert Modin ad aprire la porta. Wallander cercò inutilmente di ricordare se avesse mai sentito il nome di battesimo dell'uomo. Lo chiese a Martinsson. «Si chiama Axel.» Quando gli furono davanti, la prima cosa che disse fu che Robert aveva preso l'auto. Ripeté le stesse parole due volte. «Il ragazzo ha preso l'auto. E non ha neppure la patente.» «L'importante è che sappia guidare» disse Martinsson. «A malapena. Ho cercato di insegnargli. Non riesco a capire perché ho un figlio così maldestro.» Ma non per quanto riguarda i computer, pensò Wallander. E chissà perché. Si affrettarono a entrare in casa per ripararsi dalla pioggia violenta. Nell'ingresso, Axel Modin disse sottovoce che sua moglie era distesa sul
divano nel soggiorno. «Ha perso sangue dal naso» aggiunse. «Le capita sempre quando è preoccupata.» Wallander e Martinsson entrarono nel soggiorno per salutare. Quando Wallander le disse di essere un poliziotto, la donna scoppiò immediatamente in lacrime. «Sarà meglio andare a parlare in cucina» disse Axel Modin. «Lasciamola tranquilla. È sempre stata un po' nervosa.» Wallander captò un senso di angoscia, forse una certa tristezza, nel tono di voce dell'uomo mentre parlava della moglie. Entrarono in cucina. Axel Modin spinse la porta senza chiuderla completamente. Durante tutta la conversazione, Wallander ebbe l'impressione che l'uomo ascoltasse i suoni che provenivano dal soggiorno. Axel Modin chiese se gradivano una tazza di caffè. Entrambi dissero di no. Non volevano perdere tempo. Durante tutto il tragitto, Wallander era rimasto seriamente preoccupato, quasi terrorizzato. Non aveva alcuna idea di quello che stava accadendo. Ma era convinto che Robert Modin fosse in pericolo. Due giovani erano già stati uccisi e Wallander non avrebbe sopportato la morte di un terzo. Se non fosse riuscito a proteggere il giovane che aveva messo a sua disposizione le sue vaste conoscenze d'informatica, sarebbe stato come passare quaranta giorni nel deserto rischiando di diventare un monumento della propria incompetenza. Durante il viaggio verso Löderup, Martinsson aveva guidato a una velocità pazzesca e Wallander aveva avuto paura più di una volta, ma non aveva detto nulla. Solo durante l'ultima parte del tragitto, quando le pessime condizioni della strada lo avevano costretto a rallentare, aveva cominciato a fare le sue domande. «Come ha fatto a sapere che eravamo a Runnerströms Torg? E come ha potuto inviare un'e-mail al computer di Falk?» «Può avere cercato di telefonarti» disse Martinsson. «Avevi il cellulare con te?» Wallander lo prese dalla tasca. Era spento. Imprecò ad alta voce. «Deve avere immaginato che eravamo lì» continuò Martinsson. «Ovviamente deve essersi scritto l'indirizzo e-mail di Falk. Oppure può averlo memorizzato.» Prima di arrivare davanti alla casa dei Modin, non erano riusciti ad andare oltre. Ora, erano seduti nella cucina. «Che cosa è successo?» chiese Wallander. «Abbiamo ricevuto quella che si potrebbe chiamare una richiesta di soccorso da Robert.»
Axel Modin lo fissò sorpreso. «Richiesta di soccorso?» «L'ha mandata per posta elettronica. Ma ora, la cosa importante è che tu ci dica brevemente e chiaramente quello che è successo.» «Non so niente» disse Axel Modin. «Non sapevo neppure che stavate arrivando. Ultimamente, ho sentito che Robert stava alzato fino a notte fonda. Ma non so che cosa facesse. Probabilmente era occupato con quei maledetti computer. Questa mattina, quando mi sono alzato verso le sei, ho sentito che era ancora sveglio. Deve essere rimasto sveglio tutta la notte. Ho bussato alla sua porta e gli ho chiesto se voleva un caffè. Ha risposto di sì. Poi, gli ho gridato dalla scala che il caffè era pronto. È sceso solo dopo mezz'ora. Era completamente assorto nei suoi pensieri.» «Lo era spesso?» «Sì. Per questo non sono rimasto sorpreso. Ma si vedeva che non aveva dormito.» «Ti ha detto a che cosa stava lavorando?» «Non lo faceva mai. Ma sarebbe stato inutile. Io sono un uomo anziano che non capisce niente di informatica.» «E dopo che cosa ha fatto?» «Ha bevuto il caffè e un bicchiere d'acqua ed è tornato su.» «Non credevo che bevesse caffè» disse Martinsson. «L'ho sempre visto bere bevande speciali.» «È vero, il caffè è la sola eccezione. Robert è vegano.» Wallander era incerto su cosa significasse essere vegani. Un giorno, Linda aveva cercato di spiegarglielo. Aveva parlato di ambiente, lenticchie e grano saraceno. Ma al momento capire non aveva importanza. «Dunque, Robert è tornato nella sua camera. A che ora?» «Alle sette meno un quarto.» «Qualcuno ha telefonato questa mattina?» «Robert ha un cellulare. Io non lo sento suonare.» «Che cosa è successo dopo?» «Alle otto ho portato la colazione a mia moglie. Quando sono passato davanti alla porta della camera di Robert non ho sentito alcun rumore. Ho cercato di capire se si fosse addormentato.» «Dormiva?» «Non c'era rumore. Ma non credo che dormisse. Credo che stesse pensando.» «Come facevi a saperlo?»
«Non lo sapevo. Ma si capisce quando una persona sta pensando dietro a una porta chiusa. Non credete?» Martinsson annuì. Wallander riuscì a malapena a nascondere una smorfia di irritazione per il gesto di approvazione di Martinsson. Al diavolo se riesci a capire che sto pensando quando passi davanti alla porta chiusa del mio ufficio, pensò. «Andiamo avanti. Hai portato la colazione a tua moglie che era a letto.» «Non era a letto. Rimane seduta a un tavolino nella camera da letto. Al mattino è sempre irrequieta e deve prendere le cose con calma.» «E dopo?» «Sono sceso, ho lavato i piatti e dato da mangiare ai gatti. E alle galline. Abbiamo anche qualche oca. Sono andato a prendere il giornale dalla cassetta della posta. Poi, mentre sfogliavo il giornale, ho bevuto un altro caffè.» «E lassù continuava a esserci silenzio?» «Sì. Ed è stato allora che è successo.» Martinsson e Wallander concentrarono l'attenzione. Axel Modin si alzò e andò verso la porta socchiusa, la aprì di qualche centimetro e guardò nel soggiorno. Poi la riaccostò, tornò al tavolo e si mise a sedere. «Improvvisamente, ho sentito la porta della camera di Robert aprirsi e l'ho visto scendere di corsa. Non ho avuto il tempo di alzarmi, ero seduto dove sono adesso, e Robert era già in cucina. Aveva un'espressione terrorizzata, come se avesse visto un fantasma. Prima che potessi aprire bocca, è corso alla porta d'ingresso e l'ha chiusa a chiave. Poi è tornato in cucina e mi ha chiesto se avevo visto qualcuno. Urlava. Poi è uscito dalla cucina.» «Ha proprio detto così? Ti ha chiesto se avevi visto qualcuno?» «Sembrava fuori di sé. Gli ho domandato che cosa stesse succedendo. Ma non mi ascoltava. Allo stesso tempo, mia moglie ha iniziato a chiamare da sopra. Si era spaventata. Per qualche minuto c'è stata una gran confusione. Ma il peggio doveva ancora venire.» «Continua.» «Robert è tornato con il mio fucile da caccia. Mi ha detto urlando che voleva le cartucce. Ho avuto paura e gli ho chiesto che cosa fosse successo. Ma non mi ha risposto. Continuava a chiedermi le cartucce. Ma io non gliele ho date.» «E poi?» «Ha gettato il fucile sul divano del soggiorno ed è andato nell'ingresso a prendere le chiavi dell'auto. Ho cercato di fermarlo. Ma mi ha spinto e se
n'è andato.» «Che ora era?» «Non lo so. Mia moglie era sulle scale e urlava. Ho dovuto occuparmi di lei. Ma dovevano essere circa le nove e un quarto.» Wallander guardò l'orologio. Poco meno di un'ora fa, pensò. Robert Modin ha inviato la sua richiesta di aiuto e poi se n'è andato. Wallander si alzò. «Hai visto che direzione ha preso?» «Verso nord.» «Un'altra cosa. Hai visto qualcuno quando sei uscito a prendere il giornale e a dare da mangiare alle galline?» «Chi avrebbe dovuto esserci? Con questo tempo?» «Forse un'auto. Ferma qui vicino. O una che passava per strada.» «Non c'era nessuno.» Wallander fece un cenno a Martinsson. «Dobbiamo dare un'occhiata alla camera di Robert.» Axel Modin si era accasciato sulla sedia. «Qualcuno può spiegarmi che cosa sta succedendo?» «Non ora» disse Wallander. «Ma cercheremo di rintracciare Robert.» «Era terrorizzato» disse Axel Modin. «Non l'ho mai visto in quello stato.» E poi, dopo un breve silenzio, aggiunse: «Aveva la stessa paura che ha sempre sua madre.» Martinsson e Wallander salirono al piano superiore. Martinsson indicò il fucile da caccia che era appoggiato contro la ringhiera della scala. Quando entrarono nella stanza, videro i due schermi accesi. Diversi indumenti erano sparsi sul pavimento. Il cestino della carta di fianco alla scrivania era stracolmo. «In un dato momento, poco prima delle nove, è successo qualcosa» disse Wallander. «Robert Modin si spaventa. Ci manda un messaggio e poi se ne va. È disperato. È spaventato a morte. Vuole delle cartucce. Suo padre non gliele da. Allora esce e prende l'auto.» Martinsson indicò il cellulare posato sulla scrivania. «Può avere ricevuto una telefonata» disse. «O può averla fatta lui stesso ed essere venuto a sapere qualcosa che lo ha terrorizzato. Peccato che abbia dimenticato il cellulare nella fretta di andarsene.» Wallander si avvicinò alla scrivania. «Ha potuto mandarci un messaggio ma può anche averne ricevuto uno.
Ha scritto di essere stato scoperto e di avere bisogno di aiuto.» «Ma non ha voluto aspettare e se ne è andato.» «Questo significa che è successo qualcos'altro dopo che ci ha inviato il messaggio. Oppure che non ha avuto il coraggio di aspettare.» Martinsson si mise a sedere alla scrivania. «Lasciamo stare questo qui, per il momento» disse indicando il più piccolo dei due computer. Wallander non chiese a Martinsson come potesse sapere quale dei due computer fosse il più importante. Per il momento era nelle sue mani. Per lui era una situazione insolita. Uno dei colleghi gli era superiore almeno in quel campo. Martinsson si mise alla tastiera. La pioggia scrosciava contro i vetri della finestra. Wallander si guardò intorno. Su una delle pareti c'era un poster che rappresentava un'enorme carota. Era la sola cosa in quella stanza che non avesse niente a che fare con il mondo dell'elettronica. Manuali, dischetti, accessori. Cavi che si intrecciavano come serpenti avvinghiati. Modem, stampanti, un televisore, due videoregistratori. Wallander si avvicinò a Martinsson, si piegò sulle ginocchia e si accucciò. Che cosa aveva potuto vedere Robert Modin dalla finestra mentre era seduto davanti ai computer? In lontananza c'era una strada. Può avere visto un'auto arrivare, pensò Wallander. Si guardò nuovamente intorno. Martinsson continuava a pigiare i tasti, borbottando fra sé. Wallander alzò cautamente una pila di carte. Sotto c'era un binocolo. Lo portò agli occhi e si voltò verso la finestra striata di pioggia. Una gazza si alzò in volo da un campo. Wallander fu colto da un brivido. Ma non c'era altro. Uno steccato in rovina, alcuni alberi. E una strada che si snodava fra i campi. «Come va?» chiese. Martinsson non rispose. Continuava a borbottare qualcosa di incomprensibile. Wallander si mise gli occhiali e iniziò a controllare i fogli posati vicino ai computer. Robert Modin aveva una calligrafia poco leggibile. C'erano calcoli e frasi scritte in fretta, spesso non complete, senza un inizio o una fine. Una parola ricorreva spesso. Rinvio. A volte la parola era seguita da un punto interrogativo. Altre volte era sottolineata. Wallander continuò a controllare. Su un foglio, Robert Modin aveva disegnato un gatto nero con lunghe orecchie appuntite e una coda che finiva in una specie di matassa di cavi. L'ha buttato giù mentre pensava, si disse Wallander. O mentre ascoltava qualcuno al telefono. Sul foglio seguente, Robert Modin aveva fatto un'altra annotazione. Quando è stata terminata la programmazio-
ne? E sotto, altre due parole. Insider necessario? Ci sono tanti punti interrogativi, pensò Wallander. Sta cercando una risposta. Proprio come noi. «Eccoci» disse Martinsson improvvisamente. «Ha ricevuto un'e-mail. Subito dopo ha chiesto aiuto.» Wallander si chinò in avanti e lesse. You have been traced. Nient'altro. Solo quello. Sei stato rintracciato. «Non c'è altro?» chiese Wallander. «Dopo questo non ci sono altri messaggi nella casella della posta.» «Chi ha inviato il messaggio?» Martinsson indicò lo schermo. «Il mittente ha usato cifre e combinazioni di lettere a casaccio. È chiaro che non vuole farsi riconoscere.» «Ma da dove è stato inviato il messaggio?» «Il server si chiama Vesuvius» disse Martinsson. «Naturalmente è possibile sapere dove si trova. Ma può richiedere tempo.» «Vuol dire che non è in Svezia?» «Ne dubito.» «Il Vesuvio è un vulcano in Italia» disse Wallander. «Può essere stato inviato da lì?» «Non è possibile avere una risposta immediata. Ma possiamo provarci.» Martinsson preparò una risposta usando cifre e lettere del mittente. «Che cosa scrivo?» Wallander rifletté. «Per favore, ripetere il messaggio» disse. «Scrivi così. In inglese.» Martinsson annuì. «Firmato Robert Modin?» «Esatto.» Martinsson schiacciò il tasto d'invio. Il testo sparì nello spazio cibernetico. Poco dopo, sullo schermo apparve il messaggio: destinatario sconosciuto. «Almeno questo lo sappiamo» disse Wallander. «Adesso devi dirmi cosa vuoi che faccia» disse Martinsson. «Vuoi che cerchi di sapere dove si trova questo Vesuvius?» «Cerca su Internet» disse Wallander. «O chiedi a qualcuno che se ne intende.» Ma cambiò subito idea. «Poni la domanda in un altro modo. Chiedi se Vesuvius si trova in An-
gola.» Martinsson rimase sorpreso. «Credi ancora che quella cartolina spedita da Luanda sia importante?» «Credo che la cartolina in se stessa non sia importante. Però sappiamo che molti anni fa, Tynnes Falk ha incontrato qualcuno proprio a Luanda. Non so che cosa sia successo allora. Ma sono convinto che si tratta di qualcosa di importante. Qualcosa che può essere determinante.» Martinsson lo fissò. «A volte credo che tu sopravvaluti il tuo intuito. Scusa se te lo dico.» Wallander fu costretto a fare uno sforzo per non perdere il controllo. L'indignazione per quello che Martinsson aveva fatto ritornò con forza. Ma riuscì a controllarsi. Robert Modin era più importante in quel momento. Si sarebbe ricordato di quelle parole al momento giusto. Quando era necessario sapeva essere vendicativo. E lo sarebbe stato. Ma qualcos'altro lo fermò. Non appena Martinsson aveva pronunciato le sue parole, gli era venuta in mente una cosa. «Robert Modin si consultava con alcuni amici» disse Wallander. «Uno in California e l'altro a Rättvik. Hai per caso preso nota dei loro indirizzi email?» «Ho scritto tutto» rispose Martinsson acidamente. Con tutta probabilità è irritato per non averci pensato per primo, si disse Wallander. Quel pensiero gli faceva piacere. Era un piccolo inizio della sua vendetta. «Non credo che abbiano qualcosa in contrario se chiediamo informazioni su Vesuvius» continuò Wallander. «Informali che lo stai facendo per Robert. Nel frattempo, io inizierò a cercarlo.» «Ma che cosa significa il messaggio che ha ricevuto?» disse Martinsson. «Che non ha eliminato tutte le sue tracce? È così?» «Sei tu l'esperto di informatica» rispose Wallander. «Non io. Ma ho una sensazione che è sempre più forte. Correggimi se sbaglio. È una sensazione che non ha niente a che fare con il mio intuito, ma con semplici dati di fatto. Continuo ad avere l'impressione che qualcuno sia sempre stato bene informato di quello che stavamo facendo.» «Sappiamo che qualcuno ha tenuto sotto sorveglianza Apelbergsgatan e Runnerströms Torg. Qualcuno che ti ha anche sparato.» «Non si tratta di questo. Non sto parlando di una persona. Che può chiamarsi Fu Cheng e che ha lineamenti asiatici. Almeno non direttamente. Piuttosto, direi che è come se avessimo una fuga di informazioni dalla cen-
trale.» Martinsson scoppiò in una risata. Wallander non riuscì a capire se fosse sarcastica oppure no. «Stai seriamente dicendo che qualcuno dei nostri possa essere coinvolto in tutto questo?» «No. Ma mi chiedo se ci sia una falla da qualche parte. Dalla quale, di tanto in tanto, fuoriesce dell'acqua.» Wallander indicò il computer. «Il computer di Falk è senza dubbio molto sofisticato. Mi sto chiedendo se qualcuno non stia facendo la stessa cosa con noi. Prelevando informazioni dai nostri computer.» «La banca dati della polizia è estremamente sicura.» «E i nostri computer? Sono veramente a prova di intrusione per qualcuno che ha le risorse tecniche e la volontà di cercare di inserirsi nei nostri programmi? Tu stesso e Ann-Britt scrivete tutti i vostri rapporti con il computer. Non so se Hansson lo faccia. Io lo faccio solo raramente. Nyberg lo usa fino allo sfinimento. Riceviamo i rapporti dei medici legali sia su copia cartacea che sui computer. Che cosa succede se qualcuno entra nei nostri sistemi e controlla? Senza che noi ce ne accorgiamo?» «Non mi sembra possibile» disse Martinsson. «I livelli di sicurezza sono molto alti.» «Il mio era solo un pensiero» disse Wallander. «Fra i tanti.» Lasciò Martinsson e scese al pianterreno. Dalla porta socchiusa del soggiorno vide Axel Modin: era seduto e teneva la mano di sua moglie che aveva ancora i batuffoli di cotone nelle narici. Quell'immagine lo riempì di compassione e di una non ben definita sensazione di felicità. Non sapeva decidere quale delle due fosse quella dominante. Bussò discretamente alla porta. Axel Modin lo raggiunse. «Ho bisogno di usare il telefono» disse Wallander. «Che cosa è successo? Perché Robert aveva così paura?» «È quello che stiamo cercando di capire. Ma non ti devi preoccupare.» Wallander pregò in silenzio che quello che aveva detto fosse vero. Il telefono era su un tavolino nell'entrata, Wallander si mise a sedere. Prima di alzare il ricevitore, pensò a quello che doveva fare. In primo luogo doveva decidere se la sua inquietudine fosse veramente giustificata. Ma il messaggio era stato sufficientemente reale, chiunque lo avesse inviato. L'intera indagine aveva sempre avuto a che fare con qualcosa che doveva essere
nascosto a qualsiasi prezzo. Con persone che non esitavano a uccidere. Wallander sapeva che la minaccia contro Robert Modin era concreta. Non osava correre il rischio di arrivare a una conclusione sbagliata. Alzò il ricevitore e compose il numero della centrale di polizia. Questa volta fu fortunato. Ann-Britt rispose immediatamente. Wallander le spiegò la situazione. Prima di tutto aveva bisogno di diverse auto per controllare l'area più vicina a Löderup. Se era vero che Robert Modin non era un guidatore esperto, non poteva essere andato lontano. Inoltre, c'era il rischio che potesse provocare un incidente. Wallander chiamò Axel Modin e gli chiese di descrivere l'auto e di dargli il numero di targa. Ann-Britt prese nota e promise di inviare delle auto di pattuglia. Wallander posò il ricevitore e tornò al piano superiore. Martinsson non aveva ancora avuto risposta dai due amici di Robert. «Ho bisogno della tua auto» disse Wallander. «Le chiavi sono nel quadro» disse Martinsson senza togliere gli occhi dallo schermo. Wallander corse verso l'auto chinato in avanti sotto la pioggia. Aveva deciso di dare un'occhiata alla strada che si vedeva dalla finestra della camera di Robert Modin. Con tutta probabilità, non avrebbe ottenuto alcun risultato. Ma voleva assicurarsi che fosse realmente così. Salì in auto e partì alla ricerca di uno svincolo che portasse a quella strada. Qualcosa stava rodendo il suo subconscio. Un pensiero che cercava di arrivare alla superficie. Aveva compiuto dieci anni. O forse dodici. Ma era sicuro che era un numero pari. E otto anni sarebbero stati troppo pochi. Era stato suo padre a dargli i libri. Ma non ricordava il regalo di sua madre. E neppure quello di sua sorella Kristina. Ma, a colazione, aveva trovato i libri avvolti in una carta verde sul tavolo. Aveva scartato il pacchetto e aveva visto che era quasi perfetto. Non proprio, ma quasi. E comunque non era sbagliato. Aveva chiesto I figli del capitano Grant di Jules Verne perché il titolo lo attirava. Ma ora aveva ricevuto L'isola misteriosa in due volumi. Ed erano veri libri, rilegati in rosso e pieni di illustrazioni. Proprio come I figli del capitano Grant. Quella sera stessa aveva iniziato a leggere il primo volume. E aveva incontrato quel magnifico e misterioso benefattore che era arrivato in soccorso agli uomini che erano rimasti senza niente sull'isola. Il mistero era sempre più fitto. Chi era quell'uomo che li aveva aiutati quando erano ormai arrivati allo stremo delle forze? Quell'uomo che ave-
va portato anche il chinino. Quando il giovane Pencroff stava morendo di malaria e nessuna forza al mondo avrebbe potuto salvare la sua vita. E improvvisamente c'era il chinino. E Top, il cane, aveva iniziato a ringhiare laggiù nel pozzo profondo e si erano chiesti perché fosse così irrequieto. Alla fine, quando il vulcano si era svegliato, il loro benefattore sconosciuto era ritornato. Avevano trovato il cavo segreto collegato al filo del telegrafo che portava dalla grotta fino al corallo. Lo avevano seguito e lo avevano visto sparire in fondo al mare. E là, nel suo sottomarino e nella sua grotta, alla fine avevano trovato il Capitano Nemo, il loro benefattore sconosciuto... Wallander si fermò sulla strada sterrata. La pioggia era diminuita di intensità. Un banco di nebbia stava salendo dal mare. Pensò ai libri. E al benefattore laggiù in fondo al mare. Questa volta è il contrario, pensò. Qualcuno sta tenendo costantemente un orecchio invisibile contro le nostre pareti e ascolta le nostre conversazioni. Questa volta non c'è alcun benefattore. E nessuno che porta il chinino, ma piuttosto qualcuno che porta via quanto ci è più necessario. Riprese a guidare. A velocità troppo alta. Ma era l'auto di Martinsson e Wallander stava continuando a mettere in atto la sua vendetta. Ora la praticava sull'auto. Quando arrivò al punto che riteneva di avere visto con il binocolo, si fermò e scese dall'auto. La pioggia era quasi cessata. La nebbia avanzava rapidamente. Wallander si guardò intorno. Se Martinsson avesse alzato la testa, avrebbe potuto vedere la sua automobile. E Wallander. Usando il binocolo avrebbe potuto vedere anche il suo volto. C'erano tracce di pneumatici sulla strada. Era possibile che un'auto si fosse fermata in quel punto. Ma le tracce non erano chiare. La pioggia le aveva praticamente cancellate. Qualcuno può essersi fermato qui, pensò. In un modo che non riesco a capire, qualcuno ha mandato un messaggio a Robert Modin. E allo stesso tempo, qualcuno su questa strada lo stava sorvegliando. La paura lo attanagliò. Se qualcuno era fermo in questo punto ha sicuramente potuto vedere quando Robert Modin è uscito di casa. Wallander sentì il sudore freddo lungo la schiena. La responsabilità è mia, pensò. Non avrei mai dovuto coinvolgerlo in questa indagine. È troppo pericolosa e ho agito da incosciente. Si costrinse a pensare con calma. Robert Modin era stato colto dal panico e aveva voluto portare un fucile con sé. Poi aveva preso l'auto del padre. La questione era sapere dove si fosse diretto.
Si guardò intorno una seconda volta. Poi tornò alla casa. Axel Modin lo aspettava sulla porta. «Non ho ancora trovato Robert» disse Wallander. «Ma continuiamo a cercarlo. Non c'è motivo di preoccuparsi.» Axel Modin non gli aveva creduto. Wallander lo capì dall'espressione del suo volto. Ma Modin non disse nulla. Distolse semplicemente lo sguardo. Come se la sua incredulità fosse stata offensiva. Dal soggiorno non giungeva alcun suono. «Sta meglio?» chiese Wallander. «Dorme. È la cosa migliore per lei. La nebbia che si alza le fa paura.» Wallander fece un cenno in direzione della cucina. Modin lo seguì. Un grosso gatto nero sdraiato sul davanzale della finestra lo osservò con gli occhi socchiusi. Wallander si chiese se fosse il gatto che Robert aveva disegnato. Il gatto la cui coda era diventata una matassa di cavi. «Dobbiamo capire dove Robert può essere andato» disse Wallander fissando la nebbia al di là della finestra. Axel Modin scosse il capo. «Non lo so.» «Ma ha degli amici. Quando sono venuto qui la prima volta, Robert era a una festa.» «Ho telefonato ai suoi amici. Nessuno lo ha visto. Hanno promesso di telefonare se si fa vivo.» «Cerca di riflettere» disse Wallander. «È tuo figlio. Ha paura e scappa. Può avere un nascondiglio?» Modin si concentrò. Il gatto non staccava gli occhi da Wallander. «Gli piacciono le spiagge» disse Modin incerto. «Specialmente quelle a Sandhammaren. O i campi intorno a Backåkra. Non riesco a pensare ad altro.» Wallander era incerto. Una spiaggia era una zona troppo aperta, così come i campi nella zona di Backåkra. Ma ora c'era la nebbia. Non poteva esserci un nascondiglio migliore in tutta la Scania. «Continua a pensare» disse Wallander. «Può darsi che ti venga in mente altro. Un nascondiglio di quando Robert era bambino.» Wallander andò nell'entrata e telefonò ad Ann-Britt. Le auto stavano arrivando. La polizia di Simrishamn era stata informata e aveva promesso di aiutare. Wallander le parlò della spiaggia di Sandhammaren e dei campi di Backåkra. «Io vado a Backåkra» disse. «Chiedi a qualcuno di andare a
Sandhammaren.» «D'accordo» disse Ann-Britt. «Io verrò a Löderup.» Wallander posò il ricevitore. In quel momento Martinsson arrivò scendendo la scala due gradini alla volta. Wallander capì che era successo qualcosa. «Ho avuto una risposta da Rättvik» disse Martinsson. «Avevi ragione. Il server Vesuvius è nella capitale dell'Angola. A Luanda.» Wallander annuì. Non era sorpreso. Ma la paura era tornata. 35. Wallander aveva l'impressione di trovarsi davanti a una fortezza inespugnabile le cui mura non solo erano troppo alte, ma anche invisibili. Mura elettroniche, si disse. Mura di fuoco. La nuova tecnologia è come uno spazio inesplorato dove le possibilità sono infinite. Ma in questo momento, io mi trovo davanti a una roccaforte che non sono in grado di espugnare. Erano riusciti a identificare il server di posta elettronica che si chiamava Vesuvius. Si trovava in Angola. Martinsson era riuscito anche a scoprire che dietro all'installazione e ai servizi della società c'erano alcuni imprenditori brasiliani. Ma non erano riusciti a sapere chi fosse il socio di Falk, anche se Wallander aveva buoni motivi per credere che si trattasse dell'uomo che fino a quel momento erano riusciti a identificare con la lettera C. Martinsson, che era più aggiornato di Wallander sulla situazione in Angola, aveva detto che nel paese regnava il caos. L'Angola aveva ottenuto l'indipendenza dal colonialismo portoghese a metà degli anni settanta. Ma da allora si era scatenata una guerra civile che era tuttora in corso. Era difficile credere che in Angola esistesse un corpo di polizia efficiente. Inoltre, non conoscevano l'identità dell'uomo che si faceva chiamare C e non erano certi che C non si riferisse a diverse persone. A dispetto di questo, Wallander aveva la sensazione che qualcosa aveva iniziato a prendere forma, anche se non sapeva che cosa questo implicasse. Cosa fosse successo quella volta a Luanda, quando Tynnes Falk era scomparso per quattro anni, era ancora un mistero. Per ora, avevano semplicemente smosso un formicaio. Ora le formiche correvano qua e là all'impazzata. Ma non sapevano ancora quello che si nascondeva all'interno del formicaio. Wallander era fermo nell'ingresso e fissava Martinsson. Sentiva la paura aumentare ogni secondo che passava. L'unica cosa di cui era certo era che
dovevano trovare Robert Modin prima che fosse troppo tardi. Ammesso che non lo fosse già. Il ricordo del corpo carbonizzato di Sonja Hökberg e di quello massacrato di Jonas Landahl era ancora intenso. Wallander avrebbe voluto uscire nella nebbia sempre più fitta e correre a cercare il giovane. Ma tutto era vago e incerto. Robert Modin era lì fuori. Era terrorizzato ed era in fuga. Proprio come Jonas Landahl, che aveva cercato di scappare prendendo un traghetto per la Polonia. Ma non era mai tornato. Non erano riusciti a raggiungerlo in tempo. E ora era la volta di Robert Modin. Mentre aspettava Ann-Britt, Wallander cercò di fare più pressione su Axel Modin. Non aveva proprio un'idea di dove fosse andato suo figlio? C'erano gli amici di Robert che avevano promesso di informarli se si fosse fatto vivo. Era sicuro che non vi fosse altro? Un possibile nascondiglio? Mentre Wallander cercava disperatamente di fare in modo che Axel Modin si facesse venire in mente quella che avrebbe potuto essere la parola liberatoria, Martinsson era tornato nella camera del ragazzo. Wallander gli aveva chiesto di continuare a dialogare con i due amici a Rättvik e in California. Forse potevano essere a conoscenza di un possibile nascondiglio. Axel Modin continuava a parlare di Sandhammaren e di Backåkra. Wallander ascoltava tenendo lo sguardo fisso all'esterno, sulla nebbia che era sempre più fitta. Quella nebbia che portava con sé quello strano silenzio che Wallander aveva incontrato solo nella Scania e mai in altri luoghi. Proprio nei mesi di ottobre e novembre. Quando tutto sembrava trattenere il respiro in attesa dell'inverno che rimaneva lì fuori in agguato. Wallander udì le auto arrivare. Andò ad aprire la porta, proprio come Axel Modin aveva fatto con lui. Ann-Britt entrò. Salutò Axel Modin, e Wallander chiamò Martinsson. Si misero a sedere in cucina. Axel Modin era tornato nel soggiorno da sua moglie, sempre distesa sul divano con i batuffoli di cotone nelle narici e le sue paure segrete. In quel momento, le cose per Wallander erano molto semplici. Dovevano trovare quel ragazzo. Tutto il resto non aveva importanza. Ma le pattuglie che si muovevano nella nebbia non bastavano. Wallander disse a Martinsson di dare l'allarme su scala regionale. Tutti i distretti di polizia dovevano partecipare alla ricerca dell'auto. «Non sappiamo dove sia» disse Wallander. «Ma sappiamo che è fuggito in preda al panico. Non possiamo sapere se il messaggio che ha ricevuto sia solo una minaccia. Non sappiamo se questa casa sia stata tenuta sotto sorveglianza. Ma dobbiamo partire da questa premessa.»
«Devono essere estremamente abili» disse Martinsson, appoggiato alla porta. «Sono convinto che Robert ha eliminato tutte le tracce.» «Ma forse non è bastato» obiettò Wallander. «Non è bastato se ha trasferito tutto sui suoi computer e poi ha continuato a lavorare qui su quel materiale questa notte. Anche dopo che lo avevamo ringraziato per il suo aiuto.» «Non ho trovato nulla» disse Martinsson. «Ma naturalmente, può essere così.» Quando fu dato l'allarme regionale, decisero che per il momento Martinsson sarebbe rimasto nella casa dei Modin, che era diventata una specie di quartier generale provvisorio. Era possibile che Robert cercasse di mettersi in contatto con i suoi genitori. Ann-Britt sarebbe andata a Sandhammaren insieme a una delle pattuglie, e Wallander decise di andare a Backåkra. Mentre raggiungeva la sua auto, Wallander notò che Ann-Britt era armata. La lasciò partire e poi rientrò in casa. Axel Modin era seduto in cucina. «Il fucile da caccia» disse Wallander. «E qualche cartuccia.» Wallander vide l'inquietudine dipingersi sul volto dell'uomo. «Lo prendo solo per sicurezza» disse Wallander in un tentativo di calmarlo. Modin si alzò e uscì dalla cucina. Dopo qualche minuto tornò con il fucile e alcune cartucce. Wallander salì nuovamente nell'auto di Martinsson e partì per Backåkra. C'era poco traffico sulla strada principale invasa dalla nebbia. Intravide i fari di un'auto nello specchietto retrovisore. Ma poi sparirono. Wallander cercava continuamente di capire dove potesse essere Robert Modin. Che cosa aveva pensato quando se ne era andato? Aveva in testa un piano oppure la sua fuga era stata così precipitosa come suo padre l'aveva descritta? Non poteva dare una risposta a queste domande. Non conosceva Robert Modin. Nella nebbia riuscì a malapena a distinguere il cartello per Backåkra. Riuscì a girare in tempo e aumentò l'andatura, anche se la strada era più stretta. Ma era quasi sicuro che non avrebbe incrociato altre auto. In quel periodo dell'anno, Backåkra era deserta e la sede dell'Accademia svedese era chiusa. Fermò l'auto nel parcheggio e scese. Udì il gemito della sirena di una nave. E sentì anche l'odore del mare. Ora, la visibilità era ridotta a qualche metro. Wallander si guardò intorno. Nel parcheggio c'era soltanto
la sua auto. Si avvicinò al complesso di case di legno. Erano tutte chiuse per l'inverno. Che cosa faccio qui?, pensò. Non c'è nessun'altra auto, quindi non c'è neppure Robert Modin. Ma si avviò ugualmente finché non arrivò a un gruppo di massi disposti in cerchio che formavano quello che veniva chiamato "luogo di meditazione". Udì il verso di un uccello in lontananza. O forse era molto vicino. La nebbia non gli permetteva di giudicare le distanze. Aveva il fucile sottobraccio e aveva messo le cartucce in tasca. Ora riusciva a sentire il brusio delle onde. Raggiunse il gruppo di massi. Non c'era nessuno e non sembrava che ci fosse mai stato qualcuno. Prese il cellulare di tasca e chiamò Ann-Britt che gli rispose da Sandhammaren. Non avevano ancora trovato tracce dell'auto di Robert Modin. Ma AnnBritt aveva parlato con Martinsson, il quale le aveva confermato che il distretto di polizia al confine con la regione di Småland aveva iniziato le ricerche. «La nebbia è limitata a questa zona» disse Ann-Britt. «All'aeroporto di Sturup gli aerei atterrano e decollano regolarmente. A nord di Brösarp la visibilità è perfetta.» «Non può essere arrivato così lontano» disse Wallander. «È qui da qualche parte, non molto lontano. Ne sono sicuro.» Finita la conversazione Wallander tornò sui suoi passi. D'improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Rimase in ascolto. Era il rumore di un'auto che si stava avvicinando al parcheggio. Rimase ancora in ascolto. Robert Modin se ne era andato con una Golf. Ma quel rumore era diverso. Senza sapere veramente perché, Wallander caricò il fucile. Poi, si rimise a camminare. Il rumore del motore cessò. Wallander si fermò. Udì la portiera di un'auto che si apriva. Era sicuro che non fosse Robert Modin. Molto probabilmente era qualcuno che veniva a vedere le case. O forse a controllare l'auto di Wallander. C'era sempre il rischio che qualcuno entrasse nelle case deserte. Wallander continuò a camminare. Ma si fermò nuovamente cercando di vedere attraverso la nebbia. Di sentire un rumore. Qualcosa lo aveva messo in allarme. Non sapeva che cosa fosse. Lasciò il sentiero e tornò verso il gruppo di case e il parcheggio percorrendo un semicerchio. Di tanto in tanto si fermava. Se qualcuno avesse aperto la porta di una casa, lo avrei sentito, pensò. Ma intorno c'era solo silenzio. Troppo silenzio. Ora riusciva a vedere il retro delle case. Fece alcuni passi indietro. Le case scomparvero. Wallander si avviò in direzione del parcheggio. D'un tratto, si trovò davanti a uno steccato. Riuscì a scavalcarlo a fatica. Poi, i-
niziò a controllare il parcheggio. La visibilità sembrava essere diminuita ulteriormente. Decise di non avvicinarsi all'auto di Martinsson. Era meglio farlo girandole intorno. Si mosse rimanendo vicino allo steccato per non perdere l'orientamento. Arrivato a breve distanza dall'ingresso del parcheggio, si fermò di colpo alla vista di un'auto. O forse era un furgone. Per un attimo non riuscì a credere ai propri occhi. Poi si rese conto che si trattava di un furgone Mercedes di colore blu. Fece immediatamente alcuni passi all'indietro e scomparve nella nebbia. Controllò la sicura del fucile e rimase immobile. Il suo cuore batteva rapidamente. Non c'era alcun dubbio. Il furgone fermo all'entrata del parcheggio era quello che stavano cercando. Era quello che aveva riportato il corpo di Tynnes Falk davanti al Bancomat. Ora, c'era qualcuno che stava dando la caccia a Robert Modin. Ma Robert Modin non è qui, pensò Wallander. In quello stesso istante, capì che c'era un'altra possibilità. La persona a cui stavano dando la caccia non era Modin. Poteva benissimo essere lui stesso. Se avevano visto Modin uscire dalla casa, potevano benissimo avere visto anche lui. Non sapeva se qualcuno lo avesse seguito nella nebbia. Ma ricordò i fari di un'auto dietro di lui. Un'auto che non lo aveva sorpassato. Wallander udì il brusio del cellulare nella tasca della giacca. Si irrigidì e rispose a bassa voce. Ma non era Ann-Britt e neppure Martinsson. Era Elvira Lindfeldt. «Spero di non disturbarti» disse. «Ma avevo pensato che potevamo vederci domani. Se hai voglia.» «Adesso sono un po' preso» disse Wallander. Elvira Lindfeldt gli chiese di parlare più forte, non riusciva a sentirlo bene. «Posso chiamarti più tardi? Adesso sono impegnato» disse Wallander. «Ripeti per favore, non ti sento bene.» Wallander alzò leggermente la voce. «Adesso non posso parlare. Ti richiamerò più tardi.» «Sono a casa» rispose Elvira Lindfeldt. Wallander ripose il cellulare. Questa è pura follia, pensò. Non ha capito. Ha creduto che non volessi parlarle. Perché ha telefonato proprio ora che non posso parlarle? Per un attimo Wallander fu colto da un pensiero sconvolgente. Non sa-
peva da dove venisse. Era stato talmente fulmineo da non permettergli di afferrarlo pienamente. Ma quel pensiero non era stato immaginario, era stato reale. Perché ha telefonato proprio ora? Era stata una coincidenza? O c'era un altro motivo? Wallander scosse il capo con forza. Era un'ipotesi impossibile. Era frutto della stanchezza e della sua paranoia di essere al centro di cospirazioni. Riprese il telefono e rimase immobile chiedendosi se dovesse richiamarla. Ma decise di aspettare. Stava per rimettere il cellulare in tasca ma in qualche modo gli scivolò di mano. Si chinò in avanti per cercare di afferrarlo prima che cadesse sull'asfalto umido. Quel movimento gli salvò la vita. Non appena si chinò, lo sparo echeggiò dietro di lui. Il cellulare scivolò sull'asfalto. Wallander si girò tenendo il fucile puntato. Qualcosa si mosse nella nebbia. Wallander avanzò il più rapidamente possibile, rimanendo chinato. Il telefono rimase dov'era caduto. Il cuore gli batteva all'impazzata. Non sapeva chi gli avesse sparato e neppure perché. Deve avere sentito la mia voce, pensò. Mi ha sentito parlare e mi ha localizzato. Se il cellulare non mi fosse sfuggito di mano, mi avrebbe colpito. Quel pensiero lo terrorizzò. Le mani gli tremavano. Non riuscirò a ritrovare il cellulare, pensò. Allo stesso tempo, non sapeva più dove si trovava in quel momento. Anche lo steccato non era più visibile. Ma voleva andarsene di lì. Rimase accovacciato pronto a sparare. L'uomo doveva essere da qualche parte nella nebbia. Wallander cercò di vedere attraverso il muro bianco e di captare dei rumori. Ma c'era solo silenzio. Capì che non poteva rimanere in quel luogo. Doveva andarsene. Si alzò di scatto, sollevò il fucile e sparò in aria. Il suono fu assordante. Fece alcuni metri di corsa e si fermò. Rimase in ascolto. Ora riusciva a intravedere lo steccato e sapeva in che direzione doveva muoversi per uscire dal parcheggio. In quello stesso momento, udì un altro suono. Il suono inconfondibile di sirene che stavano avvicinandosi. Qualcuno deve avere sentito gli spari, si disse. In questo momento, ci sono molti poliziotti nei dintorni. Wallander si affrettò a raggiungere l'entrata del parcheggio. Dentro di lui, una sensazione diversa stava prendendo il sopravvento. La paura si stava trasformando in collera. Per la seconda volta in pochi giorni, qualcuno gli aveva sparato. Ma allo stesso tempo, cercò di pensare chiaramente. Il furgone era ancora lì, avvolto dalla nebbia. E c'era una sola uscita. Se l'uomo che gli aveva sparato sceglieva di fuggire con il furgone, sarebbero riusciti a bloccarlo. Se lo faceva a piedi sarebbe stato più difficile.
Wallander raggiunse l'uscita e si mise a correre lungo la strada. Le sirene si stavano avvicinando. C'era più di un'auto, forse due o persino tre. Quando vide i fari, si fermò e iniziò a muovere le braccia. Hansson era nella prima auto. Wallander non riusciva a ricordare di essere mai stato così felice di vederlo. «Che cosa sta succedendo?» urlò Hansson. «Ci hanno detto di avere sentito degli spari. Ann-Britt ci ha informati che eri venuto qui.» Wallander spiegò quello che era accaduto con poche parole. «Tutti devono indossare i giubbotti antiproiettile» concluse. «Fai venire anche una squadra cinofila. Ma prima, dobbiamo assicurarci che non riesca a fuggire.» I blocchi furono organizzati in poco tempo. Ann-Britt e persino Martinsson arrivarono poco dopo. «La nebbia si alzerà» disse Martinsson. «Ho telefonato al servizio meteorologico. Dicono che interessa solo una zona limitata.» Rimasero in attesa. Era l'una di sabato 18 ottobre. Wallander aveva preso in prestito il cellulare di Hansson e si era appartato. Aveva composto il numero di Elvira Lindfeldt ma aveva cambiato idea prima che rispondesse. Continuarono ad attendere. Ma non accadde nulla. Ann-Britt allontanò alcuni giornalisti che in qualche modo erano arrivati sul luogo. Nessuno aveva visto, né avuto notizie di Robert Modin e della sua Golf. Wallander cercò di arrivare a una spiegazione plausibile. Era successo qualcosa a Robert Modin? O era riuscito a cavarsela fino ad allora? Wallander non lo sapeva. Non c'era alcuna risposta soddisfacente. E lì, nascosto nella nebbia, c'era un uomo armato. E non sapevano chi fosse, né perché avesse sparato. Verso le due, la nebbia iniziò a diradarsi. Accadde con grande rapidità: in poco tempo era sparita. Il sole fece capolino. Il furgone Mercedes era ancora al suo posto, così come l'auto di Martinsson. Ma non c'era anima viva. Wallander andò a raccogliere il suo cellulare. «Ha abbandonato il furgone ed è fuggito a piedi» disse. Hansson telefonò a Nyberg che promise di venire al più presto. Iniziarono a controllare il furgone. La sola cosa che trovarono all'interno fu una scatoletta di latta mezza vuota che conteneva qualcosa che sembrava pesce. Un'elegante etichetta indicava la Thailandia come paese di origine e Plakapong Pom Poi come il contenuto. «Forse abbiamo trovato quel Fu Cheng» disse Hansson. «Forse» rispose Wallander. «Ma non possiamo esserne sicuri.» «Sei riuscito a vederlo?» chiese Ann-Britt.
Wallander prese la domanda come una critica e reagì immediatamente. «No» disse bruscamente. «Non ho visto niente. E non lo avresti fatto neppure tu.» Ann-Britt reagì a sua volta. «La mia era una semplice domanda.» Siamo tutti stanchi, pensò Wallander. Sia lei che io. Per non parlare di Nyberg. Ma forse non Martinsson. Che sembra avere la forza di tramare alle mie spalle. Due agenti dell'unità cinofila iniziarono la ricerca con due cani che individuarono subito una pista che portava alla spiaggia. Nel frattempo Nyberg arrivò con i suoi tecnici. «Le impronte digitali» disse Wallander. «Sono le più importanti. Vedremo se corrispondono a quelle trovate negli appartamenti di Falk, quello di Apelbergsgatan e quello di Runnerströms Torg. E anche a quelle trovate nella cabina dei trasformatori e sulla borsetta di Sonja Hökberg.» Nyberg guardò all'interno del furgone. «Ogni volta che arrivo in un luogo dove non ci sono corpi massacrati o dove non devo sguazzare nel sangue, ringrazio il cielo» disse. Poi, si chinò in avanti e infilò la testa nella cabina. «C'è odore di fumo» disse. «Marijuana.» Wallander si avvicinò. Ma non percepì alcun odore. «Bisogna avere un buon olfatto» disse Nyberg soddisfatto. «Lo insegnano ancora alla Scuola di polizia? Insegnano che è importante avere un buon olfatto?» «Ne dubito» rispose Wallander. «Forse potresti andarci e condurre un seminario speciale sull'importanza del fiuto.» «Piuttosto vado all'inferno» disse Nyberg chiudendo l'argomento. Non trovarono alcuna traccia di Robert Modin. Alle tre, gli agenti dell'unità cinofila tornarono. La pista finiva improvvisamente a nord della spiaggia. «Ora, non dobbiamo cercare soltanto Robert Modin, ma anche un uomo dai lineamenti asiatici» disse Wallander. «Se mai lo trovate, non intervenite senza prima avere chiesto rinforzi. Quell'uomo è pericoloso. Ed è pronto a sparare. È stato sfortunato due volte. Ma la terza può essere quella buona. Inoltre, dobbiamo fare particolare attenzione alle denunce di auto rubate.» Quindi Wallander riunì i suoi più stretti collaboratori e li portò fino al "luogo di meditazione". Non c'era vento, e il sole splendeva.
«C'erano poliziotti nell'età del bronzo?» chiese Hansson. «Puoi starne certo» disse Wallander. «Ma non credo che ci fosse un direttore generale.» «I loro unici strumenti erano i corni» disse Martinsson. «Un anno fa sono stato a un concerto ad Ales Stenar, e il suono dei corni assomigliava a quello delle nostre sirene.» «Cerchiamo di fare il punto della situazione» disse Wallander. «L'età del bronzo può aspettare. Robert Modin riceve un messaggio, si sente minacciato e scappa. Ora sono passate da cinque a sei ore. Da qualche parte, qui intorno qualcuno gli sta dando la caccia. Ma possiamo essere certi che stava cercando anche il sottoscritto. Questo significa che anche voi siete in pericolo.» Si interruppe un attimo e si guardò intorno per sottolineare la gravità della cosa. «Dobbiamo chiederci perché» continuò. «Al momento, questa domanda è più importante di qualsiasi altra. La spiegazione può essere una sola. Questa persona crede che noi siamo riusciti a scoprire qualcosa. Ma non solo, teme che possiamo essere in grado di bloccare un piano non ben definito. Io sono assolutamente convinto che la spiegazione di tutto quello che è successo abbia a che fare con la morte di Tynnes Falk. E con quello che è nascosto nel suo computer.» Wallander fece una pausa e si rivolse a Martinsson. «Notizie da Alfredsson?» «Trova tutto molto strano.» «Digli che pensiamo la stessa cosa. Ma deve avere detto qualcos'altro.» «Ha detto che Robert Modin è veramente in gamba.» «Anche su questo siamo d'accordo. Ma è riuscito a fare dei passi avanti?» «Gli ho parlato due ore fa. Mi ha riferito quello che Modin ci aveva già detto. In quel computer c'è un orologio invisibile che scandisce il tempo. Qualcosa deve accadere. Adesso, sta inserendo dei calcoli delle probabilità e dei programmi speciali per vedere se riesce a individuare qualche forma di modello. Si è anche messo in contatto con le diverse sezioni informatiche dell'Interpol per cercare di scoprire se è stato riscontrato qualcosa di simile in altre nazioni. Dà l'impressione di essere una persona competente e metodica.» «Siamo nelle sue mani» disse Wallander. «Ma che cosa facciamo se davvero qualcosa deve accadere il 20? Cioè
lunedì. Mancano solo trentatré ore» chiese Ann-Britt. «Se devo essere sincero, non ne ho la ben che minima idea» disse Wallander. «Ma visto che siamo più che sicuri che qualcuno è pronto a uccidere per proteggere un segreto, deve trattarsi di qualcosa di una gravità estrema.» «Non escluderei che possa trattarsi di un atto terroristico» disse Hansson. «Sarebbe opportuno parlarne ai Servizi segreti.» La proposta di Hansson provocò una certa ilarità. Nessuno dei presenti, Wallander incluso, aveva la ben che minima fiducia nell'efficienza dei Servizi segreti. Ma Wallander si rese conto che Hansson aveva ragione. Come responsabile dell'indagine, avrebbe dovuto almeno chiedersi se fosse necessario. Sapeva che se fosse accaduto qualcosa che i Servizi segreti avrebbero potuto evitare, la prima testa a cadere sarebbe stata la sua. «Mettiti in contatto con loro» disse rivolto a Hansson. «Ammesso che lavorino durante il fine settimana.» «Il blackout» disse Martinsson. «La scelta della centrale elettrica più importante di qualsiasi altra. È possibile che vogliano provocare un blackout in tutta la Svezia?» «Non si può scartare alcuna ipotesi» rispose Wallander. «Fra l'altro, siamo riusciti a sapere in che modo il disegno della cabina dei trasformatori possa essere finito sulla scrivania di Falk?» «Dall'inchiesta interna condotta dalla Sydkraft, risulta che l'originale che abbiamo trovato da Falk è stato sostituito con una copia» disse Ann-Britt. «Ho avuto una lista delle persone che hanno accesso ai loro archivi. L'ho passata a Martinsson.» Martinsson allargò le braccia. «Non ho avuto tempo» disse. «Farò un controllo nei nostri registri appena possibile.» «Dovresti farlo immediatamente» disse Wallander. «Può esserci qualcosa che può aiutarci ad andare avanti.» Un debole vento freddo aveva iniziato a soffiare dalla campagna. Continuarono a discutere per decidere quali fossero le priorità, a parte ritrovare Robert Modin il più presto possibile. Martinsson fu il primo ad andarsene. Avrebbe portato i computer di Modin alla centrale di polizia, quindi avrebbe controllato la lista della Sydkraft. Wallander chiese a Hansson di coordinare le ricerche di Modin. Aveva bisogno di rimanere solo con AnnBritt per fare il punto della situazione con tutta calma. Prima avrebbe scelto di farlo con Martinsson. Ma ora sapeva che non ci sarebbe riuscito.
Wallander e Ann-Britt tornarono insieme al parcheggio. «Gli hai parlato?» chiese Ann-Britt. «Non ancora. Adesso, la cosa più importante è trovare Robert Modin e cercare di capire che cosa ci sia sotto tutta la faccenda.» «È la seconda volta in poco più di una settimana che qualcuno ti spara. Non riesco a capire come fai a essere così calmo.» Wallander si fermò e la fissò. «Chi ha detto che sono calmo?» «In ogni caso, è l'impressione che dai.» «Comunque è sbagliata.» Ripresero a camminare. «Fammi un quadro della situazione» disse Wallander. «Prenditi il tempo di cui hai bisogno. Che cosa pensi sia successo? Che cosa possiamo aspettarci?» Ann-Britt alzò il colletto della giacca e strinse le braccia. Wallander notò che aveva freddo. «Non posso dire molto più di quello che puoi fare tu» rispose. «Puoi dirlo con parole tue. Con la tua voce sentirò qualcosa di diverso da quello che sto pensando.» «Sonja Hökberg è stata sicuramente violentata» iniziò Ann-Britt. «Ora come ora è la sola spiegazione che riesco a dare per l'assassinio di Lundberg. Se scaviamo in profondità, io credo che scopriremo una giovane donna completamente accecata dall'odio. Sonja Hökberg non è la pietra gettata nell'acqua. Sonja Hökberg è uno dei cerchi periferici. Forse, il momento in sé è la cosa più importante.» «Cerca di approfondire.» «Che cosa sarebbe successo se Tynnes Falk non fosse morto quasi contemporaneamente all'arresto di Sonja Hökberg? Supponiamo che ci fosse stato un intervallo di un paio di settimane. E che non fosse stato così vicino al 20 ottobre. Ammesso che sia la data fatidica.» Wallander annuì. Aveva capito. «L'inquietudine aumenta e scatena azioni incontrollabili? È questo quello che vuoi dire?» «Non ci sono più margini. Sonja Hökberg è nelle mani della polizia. Qualcuno ha paura che sappia qualcosa che può dirci. Quello che Sonja sa può essere venuta a saperlo unicamente dalle persone che frequenta. Da Jonas Landahl in primo luogo, e anche lui è stato ucciso. È tutta un'azione di difesa per proteggere un segreto nascosto in un computer. Un certo nu-
mero di animali elettronici terrorizzati, per usare la definizione di Robert Modin, che vogliono continuare a muoversi in silenzio. Se trascuriamo i piccoli dettagli, può essere andata così. La minaccia a Robert Modin fa parte del quadro. Così come i tentativi di eliminarti.» «Ma perché proprio io? Perché non qualcun altro?» «Perché tu ti trovavi nell'appartamento quando è arrivato quell'uomo. Tu sei costantemente visibile.» «Anche se la penso come te, ci sono troppe lacune. Quello che mi preoccupa maggiormente è la sensazione che qualcuno ci stia ascoltando in continuazione e che perciò sappia esattamente quello che stiamo facendo.» «Forse dovresti ordinare un silenzio radio totale. Nessuno deve usare il telefono per comunicare informazioni importanti. Nessuno deve inviare rapporti e messaggi per e-mail.» Wallander diede un calcio a una pietra. «Una cosa simile non può accadere» disse. «Non qui in Svezia.» «Molte volte hai detto che non esiste più una periferia e che in qualsiasi luogo uno si trovi è al centro del mondo,» «In quel caso ho esagerato. Tutto questo è troppo.» Continuarono a camminare in silenzio. Ora, il vento soffiava a raffiche. Ann-Britt chinò la testa per ripararsi. «C'è ancora una cosa» disse. «Una cosa che noi sappiamo, ma non quelli che hanno avuto paura.» «Che cosa?» «Che Sonja Hökberg non ci ha mai detto nulla. Da questo punto di vista, si può dire che sia morta inutilmente.» Wallander annuì. Era un'osservazione corretta. «Che cosa può essere nascosto in quel computer?» disse dopo un attimo. «Martinsson e io siamo arrivati alla stessa conclusione. Esiste un solo comune denominatore: il denaro.» «Forse stanno preparando la rapina del secolo? Non è così che funziona oggi? Una banca inizia ad agire in modo strano e trasferisce incredibili somme di denaro su conti correnti fasulli.» «Forse. Ma ancora una volta, non abbiamo la risposta.» Avevano raggiunto il parcheggio. Ann-Britt indicò una delle case. «Anni fa sono venuta qui ad ascoltare la conferenza di un ricercatore. Non ricordo il suo nome. Ma parlava del futuro e di come la società moderna stesse diventando sempre più fragile. In apparenza, viviamo in un mondo dove gli scambi di comunicazioni sono sempre più intensi e rapidi.
Ma il rovescio della medaglia è che alla fine un solo computer può paralizzare tutto il mondo.» «Forse è quello che stanno cercando di fare con il computer di Falk» disse Wallander. Ann-Britt scoppiò in una risata. «Secondo quel ricercatore, ci vorrà ancora tempo.» Ann-Britt aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma non ebbe il tempo di farlo. Entrambi avevano visto Hansson che stava correndo verso di loro. «Lo abbiamo trovato» urlò. «Modin o l'uomo che mi ha sparato?» «Modin. È a Ystad. La sua auto è stata individuata da una delle auto di pattuglia.» «Dove?» «Era parcheggiata all'angolo di Surbrunnsvägen con Aulingatan. Vicino al parco divertimenti.» «Dov'è adesso?» «È alla centrale di polizia.» Wallander fissò Hansson e tirò un sospiro di sollievo. «È illeso» continuò Hansson. «Siamo arrivati in tempo.» «Grazie al cielo.» Erano le quattro meno un quarto. 36. A Luanda, alle cinque locali, Carter prese la telefonata che stava aspettando. La linea era disturbata ed ebbe difficoltà a capire quello che Cheng gli stava dicendo nel suo inglese approssimativo. Gli sembrò di essere tornato agli ormai lontani anni ottanta, quando le comunicazioni con l'Africa erano ancora pessime. Erano tempi in cui persino inviare o ricevere un semplice fax era un problema. Ma a dispetto dell'inglese stentato di Cheng e delle linee disturbate, Carter capì perfettamente il suo messaggio. Quando la conversazione finì, andò nel suo giardino a riflettere. Celina se ne era andata. Il pasto che, come sempre, gli aveva preparato, era nel frigorifero. Carter trovava difficile controllare la propria rabbia. Cheng non era stato all'altezza delle aspettative. Detestava essere costretto ad ammettere che le persone che aveva scelto non erano in grado di portare a termine i compiti che si erano assunte. Il rapporto telefonico che aveva ricevuto era inquietante. Ora era co-
stretto a prendere una decisione. Uscendo dalla casa, dove si era mantenuta una temperatura gradevole, trovò il caldo soffocante. Le lucertole corsero a nascondersi. Un uccello appollaiato sul ramo di un albero lo fissava. Quando raggiunse la parte anteriore della casa, scoprì che José stava dormendo profondamente. Carter fu colto da una collera incontrollabile e gli sferrò un calcio. José si svegliò di soprassalto. «La prossima volta che ti trovo addormentato, ti licenzio» disse. José aprì la bocca per rispondere. Ma Carter alzò una mano. Non aveva la pazienza di ascoltare scuse. Tornò sul retro della casa. Il sudore aveva iniziato a scorrere. Non era solo causato dal caldo, ma anche dall'inquietudine. Cercò di calmarsi e di pensare nel modo più razionale possibile. Cheng aveva fallito nella sua missione. La sola consolazione era che la donna invece se l'era cavata al di là delle aspettative. Ma la sua capacità di agire era limitata. Carter rimase immobile osservando una lucertola che rimaneva al sole sullo schienale di una delle sedie da giardino. Sapeva che non esistevano più alternative. Non era ancora troppo tardi. Guardò l'orologio. Alle undici c'era un volo per Lisbona. Aveva ancora sei ore di tempo. Non posso correre il rischio che accada qualcosa, pensò. Perciò devo assolutamente partire. Aveva preso la sua decisione. Tornò in casa, andò nello studio, accese il computer, inviò un'e-mail per informare del suo arrivo e impartì le istruzioni necessarie. Poi telefonò all'aeroporto e prenotò il biglietto. L'operatrice gli disse che non c'erano più posti liberi. Ma dopo avere chiesto di parlare con il direttore della compagnia aerea, il problema fu risolto. Mangiò il pasto che Celina gli aveva preparato. Poi fece una doccia e preparò la borsa da viaggio. Rabbrividì al pensiero di essere costretto ad andare in un paese freddo dove era già autunno. Poco prima delle nove raggiunse l'aeroporto di Luanda. Il volo della Tap per Lisbona decollò alle undici e dieci con dieci minuti di ritardo e sparì nel cielo stellato. Arrivarono alla centrale di polizia di Ystad poco dopo le quattro. Per qualche motivo, avevano fatto accomodare Robert Modin nell'ufficio che un tempo era stato di Svedberg e che ora era usato dai poliziotti che arrivavano a Ystad da altri distretti per missioni temporanee. Wallander entrò mentre Modin era seduto e stava bevendo un caffè. Quando lo vide, il gio-
vane sorrise imbarazzato. Ma Wallander capì che Modin era ancora in preda alla paura. «Andiamo nel mio ufficio» disse. Modin prese la tazza di caffè e lo seguì. Quando si mise a sedere, un bracciolo si staccò e cadde sul pavimento. Robert Modin trasalì. «Capita a tutti» disse Wallander. «Lascialo stare dov'è.» Wallander prese posto dietro alla scrivania e riordinò le carte sparse alla rinfusa. «Martinsson tornerà a momenti con i tuoi computer» disse. «L'ho mandato a prenderli a casa tua.» Robert Modin continuava a seguire ogni suo movimento con lo sguardo. «Tu hai trasferito buona parte dei file dal computer di Falk senza che nessuno se ne accorgesse? Non è così?» «Voglio parlare con un avvocato» disse Modin con tono forzatamente risoluto. «Non c'è alcun bisogno di avvocati» disse Wallander. «Non hai commesso alcun reato. In ogni caso, non per quanto mi riguarda. Ma io devo sapere per filo e per segno come si sono svolti i fatti.» Robert Modin dava l'impressione di non fidarsi delle sue parole. Non ancora in ogni caso. «Ti abbiamo portato qui per proteggerti» continuò Wallander. «È l'unico motivo. Non sei agli arresti e non sei sospettato di alcun reato.» Robert Modin dava ancora l'impressione di non essere sicuro di potersi fidare. Wallander aspettò pazientemente. «Puoi metterlo per iscritto?» chiese alla fine. Wallander prese un bloc-notes. Scrisse che garantiva che Robert Modin non era sospettato di alcun reato e firmò il foglio. «Non è su carta intestata» disse Wallander. «Ma c'è la mia firma.» «Questo non è sufficiente» disse Robert Modin. «Per noi due deve essere sufficiente» disse Wallander. «In caso contrario potrei cambiare idea.» Modin capì che Wallander stava parlando seriamente. «Che cosa è successo?» ripeté Wallander. «Hai ricevuto una minaccia per e-mail sul tuo computer. L'ho letta io stesso. E, improvvisamente, ti sei accorto che c'era un'auto parcheggiata fra i campi. Non è così?» Modin lo fissò sorpreso. «Come fai a saperlo?» «Lo so» disse Wallander. «Come faccio a saperlo non ha alcuna impor-
tanza. Ti sei spaventato e sei fuggito. La domanda è perché ti sei spaventato a tal punto.» «Mi avevano rintracciato.» «Dunque, non avevi eliminato completamente le tue tracce? Hai commesso lo stesso errore dell'altra volta?» «Sono molto abili.» «Ma anche tu lo sei.» Modin scrollò le spalle. «Forse non sei stato abbastanza prudente. Hai trasferito il materiale dal computer di Falk al tuo. E allora è successo qualcosa. La tentazione è stata troppo forte. La notte scorsa, hai continuato a elaborare il materiale. In qualche modo, loro sono riusciti a rintracciarti a Löderup.» «Non capisco perché mi fai queste domande quando sai già tutto.» Wallander pensò che era arrivato il momento di aumentare la pressione. «Spero che tu capisca che quello che è successo è una cosa seria.» «È chiaro che l'ho capito. Perché me ne sarei andato altrimenti? So guidare un'auto a malapena.» «Allora siamo d'accordo. Ti rendi conto che sei in una situazione pericolosa? D'ora in avanti, farai quello che ti dico. Hai telefonato a casa per dire che sei qui?» «Credevo che lo aveste fatto voi.» Wallander indicò il telefono. «Chiama i tuoi genitori e di' loro che è tutto a posto. Di' che sei alla centrale di polizia e che per il momento rimarrai qui.» «Forse mio padre ha bisogno dell'auto.» «La faremo riportare a Löderup da qualcuno.» Mentre Modin telefonava a casa, Wallander uscì dall'ufficio. Ma rimase in ascolto dietro la porta socchiusa. Vista la situazione, non voleva correre alcun rischio. La conversazione si protrasse a lungo. Robert Modin chiese come stesse sua madre. Wallander capì che la vita della famiglia Modin ruotava intorno a una madre che soffriva di gravi problemi psichici. Quando Robert posò il ricevitore, Wallander aspettò un minuto prima di rientrare nell'ufficio. «Hai mangiato qualcosa?» chiese. «So che segui una dieta speciale.» «Mangerei volentieri uno sformato di soia» rispose Modin. «E una spremuta di carote.» Wallander telefonò a Irene. «Abbiamo bisogno di uno sformato di soia» disse. «E anche di una
spremuta di carote.» «Puoi ripetere per favore?» disse Irene incredula. Ebba non avrebbe reagito, pensò Wallander. «Sformato di soia.» «Che cos'è?» «È cibo. Cibo vegetariano. Cerca di farcelo avere appena possibile.» Wallander posò immediatamente il ricevitore per evitare ulteriori domande. «Iniziamo parlando di quello che hai visto dalla finestra» disse Wallander. «Hai notato un'auto là fuori?» «Su quella strada non passano mai automobili.» «Hai preso il binocolo e hai controllato?» «Tu sai già tutto.» «No» disse Wallander. «Ma so alcune cose. Che cosa hai visto?» «Un'automobile di colore blu scuro.» «Era una Mercedes?» «Non conosco i modelli delle macchine.» «Era grande? Una specie di furgone?» «Sì.» «E qualcuno è sceso dal furgone e si è messo a osservare la casa?» «Ed è stato allora che ho avuto paura. Ho messo a fuoco il binocolo e ho visto quell'uomo portare agli occhi il suo binocolo.» «Hai potuto notare qualcosa dei lineamenti del suo viso?» «Avevo paura.» «Lo capisco. Ma il suo viso?» «Aveva i capelli scuri.» «Come era vestito?» «Indossava un impermeabile nero. Almeno credo.» «Hai notato altro? Lo avevi già visto in precedenza?» «No. E non ho notato altro.» «Allora sei uscito di casa. Ti ha seguito?» «Non credo. C'è una strada laterale poco lontano da casa nostra. È seminascosta da alcuni cespugli e non è facile vederla.» «Che cosa hai fatto dopo?» «Ti avevo inviato quel messaggio perché pensavo di avere bisogno di aiuto. Avevo pensato di andare a Runnerströms Torg, ma non ero sicuro. Non sapevo che cosa fare. Ho anche pensato di andare a Copenaghen. Ma non me la sentivo di attraversare Malmö. Non so guidare molto bene.»
«Allora sei venuto a Ystad. E dopo cosa hai fatto?» «Niente.» «Sei rimasto seduto nell'auto finché gli agenti non ti hanno trovato?» «Sì.» Wallander pensava a come continuare l'interrogatorio. Dentro di sé, avrebbe preferito che Martinsson fosse presente. E anche Alfredsson. Si alzò, uscì dall'ufficio e andò da Irene. «A che punto siamo con il cibo?» chiese bruscamente. «A volte penso che non siate del tutto a posto con la testa.» «È sicuramente vero. Ma nel mio ufficio c'è un giovane che ha fame e non mangia hamburger. Esistono anche tipi così.» «Ho telefonato a Ebba per chiedere aiuto» disse Irene. «Se ne occuperà lei.» Wallander cambiò immediatamente tono. Se Irene aveva parlato con Ebba, il problema sarebbe stato sicuramente risolto. «Sii gentile, cerca Martinsson e Alfredsson e di' loro che li voglio nel mio ufficio al più presto.» In quello stesso istante Lisa Holgersson entrò nella centrale di polizia. «Che cosa sta succedendo?» disse. «Un'altra sparatoria?» In quel momento, Lisa Holgersson era l'ultima persona con cui Wallander avrebbe voluto parlare. Ma sapeva che era inevitabile. Fece un breve resoconto di quello che era successo. «È stato dato l'allarme?» «Sì.» «Quando potrò avere un rapporto completo?» «Non appena tutti saranno rientrati.» «Ho l'impressione che tutta questa indagine sia uscita dai binari.» «Non ancora» disse Wallander senza nascondere la propria rabbia. «Ma naturalmente puoi togliermi l'incarico di condurla quando ti pare e piace. Hansson sta coordinando le ricerche.» Lisa Holgersson aprì la bocca per fare un'altra domanda. Ma Wallander le aveva voltato le spalle e se ne era già andato. Martinsson e Alfredsson arrivarono insieme alle cinque. Wallander aveva portato Robert Modin in una delle sale riunioni. Hansson aveva telefonato per dirgli che non erano ancora riusciti a trovare alcuna traccia dell'uomo che gli aveva sparato nella nebbia. Non sapeva dove fosse AnnBritt. Wallander si era praticamente barricato nella sala riunioni. Accesero
i computer di Robert Modin. Non c'erano nuovi messaggi. «Adesso riesamineremo tutto a fondo» disse Wallander quando tutti si furono seduti. «Dall'inizio alla fine.» «Dubito che sia possibile» disse Alfredsson. «Abbiamo accesso solo a una piccola parte del contenuto.» Wallander si rivolse a Robert Modin. «Hai detto che avevi scoperto qualcosa?» «Spiegarlo non è una cosa semplice» rispose Modin. «E poi ho sempre fame.» Wallander stava perdendo la pazienza. Era la prima volta che gli capitava con Modin. Era indubbio che la sua competenza informatica era notevole, ma questo non significava dover accettare certi suoi atteggiamenti. «Il cibo sta arrivando» disse Wallander. «Se proprio non puoi aspettare, dovrai accontentarti di qualche biscotto. O di una pizza.» Modin si mise a sedere davanti al computer. Gli altri si riunirono alle sue spalle. «Mi ci è voluto tempo per capire di che cosa si trattasse. Continuavo ad avere dei dubbi» iniziò Modin. «La cosa più probabile era che, in qualche modo, la cifra 20 che ritorna sempre avesse a che fare con il 2000. Sappiamo che, al cambio del secolo, molti sistemi informatici potranno avere dei grossi problemi se non si interviene in tempo. Ma non sono mai riuscito a trovare i due zeri mancanti. Inoltre, il programma è stato configurato in modo da avviare un processo a breve. Non si capisce che cosa possa essere. Ma sono arrivato alla conclusione che, dopotutto, la data è il 20 ottobre.» Alfredsson scosse il capo e stava per protestare. Ma Wallander alzò una mano e lo fermò. «Vai avanti» disse a Modin. «Ho iniziato a cercare altri dettagli. Sappiamo che qualcosa si muove da sinistra a destra. Questo significa che deve esserci un'uscita. Questo conferma che deve accadere qualcosa. Ma non sappiamo quando. A quel punto, mi sono collegato a Internet e ho cercato informazioni su quello che siamo riusciti a identificare finora. La Banca d'Indonesia, la Banca mondiale, l'agente di Borsa a Seul. Volevo vedere se ci fosse un comune denominatore. Quel punto che si cerca sempre.» «Quale punto?» «Il punto debole. Il punto dove il ghiaccio è più sottile. Il punto dove si può pensare di sferrare un attacco inaspettato. Prima che sia già troppo tar-
di.» «Sono stati fatti preparativi a tutti i livelli» obiettò Martinsson. «E sono stati attivati potenti antivirus.» «Gli Stati Uniti sono già in grado di affrontare una guerra con i computer» disse Alfredsson. «Prima si parlava di missili guidati con i computer. O di congegni di puntamento elettronici che dirigono i robot verso il loro bersaglio. Oggi sono obsoleti come una carica di cavalleria. Oggi è possibile inviare componenti radiocomandati nella rete del nemico per bloccare tutti i sistemi di controllo militari. E si possono persino deviare verso bersagli a propria scelta.» «È davvero così?» chiese Wallander scettico. «Questo è quello che sappiamo» spiegò Alfredsson. «Ma naturalmente possiamo essere certi che non sappiamo abbastanza. È più che probabile che i sistemi di attacco e difesa siano molto più sofisticati.» «Torniamo al computer di Falk» disse Wallander. «Sei riuscito a trovare uno di quei punti deboli?» «Non lo so» disse Modin incerto. «Ma se vogliamo possiamo considerare tutte queste organizzazioni come perle di una stessa collana. E, in ogni caso, hanno una cosa in comune.» «Che cosa?» Modin scosse il capo come se non credesse alle proprie conclusioni. «Sono le pietre angolari dei centri finanziari del mondo. Se venisse a crearsi il caos fra di loro, sarebbe possibile provocare una crisi economica che paralizzerebbe il sistema finanziario mondiale. Le quotazioni di Borsa impazzirebbero. E sarebbe l'inizio del panico. I risparmiatori ripulirebbero i loro conti bancari. Si scatenerebbe una guerra spietata fra le diverse valute e alla fine nessuno sarebbe più sicuro di nulla.» «Chi può essere interessato a provocare una cosa simile?» Martinsson e Alfredsson risposero quasi contemporaneamente. «Molti» disse Alfredsson. «Sarebbe il sabotaggio finale per un gruppo di persone che vogliono riformare il mondo.» «C'è gente che libera i visoni dalle loro gabbie» disse Martinsson. «In questo caso si potrebbe dire che libera il denaro. Il resto non è difficile da immaginare.» Wallander cercò di riflettere. «Volete dire che possiamo pensare a una sorta di vegani della finanza? O come si possono definire?» «Più o meno» disse Martinsson. «Chi libera i visoni dalle gabbie lo fa
perché non vuole che siano uccisi per le loro pellicce. Abbiamo altri gruppi che cercano di sabotare aerei da caccia. Tutto questo si può capire. Ma è ovvio che più in là si va più si arriva all'ossessione e alla follia. Paralizzare il sistema finanziario del mondo sarebbe veramente il sabotaggio estremo.» «Siamo tutti d'accordo sul fatto che ci troviamo davvero di fronte a una simile eventualità? Per quanto inverosimile possa sembrare? E che tutto questo potrebbe essere scatenato da un computer che si trova proprio qui a Ystad?» «In ogni caso, c'è qualcosa» disse Modin. «Non ho mai visto un sistema di sicurezza così avanzato.» «È più facile entrare nel sistema del Pentagono?» chiese Alfredsson. Modin socchiuse gli occhi e lo fissò. «In ogni caso è meno complicato.» «Non sono sicuro di come possiamo andare avanti in questa situazione» disse Wallander. «Parlerò con Stoccolma» disse Alfredsson. «Invierò un rapporto. Decideranno loro se mandarlo in tutto il mondo. O almeno alle organizzazioni che sono state identificate. Starà a loro prendere le contromisure necessarie.» «Se non è già troppo tardi» mormorò Robert Modin. Tutti udirono quello che aveva detto. Ma nessuno commentò. Alfredsson uscì dalla stanza in tutta fretta. «Eppure ho difficoltà a crederci» disse Wallander. «Non vedo di cosa altro possa trattarsi.» «A Luanda venti anni fa è successo qualcosa» disse Wallander. «Falk ha avuto un'esperienza che lo ha cambiato. Deve avere incontrato qualcuno.» «Qualsiasi cosa ci sia nel suo computer, alcune persone sono pronte a uccidere per fare in modo che il materiale rimanga integro e che il processo possa iniziare.» «Jonas Landahl era implicato in tutto questo» disse Wallander. «E dato che un tempo era stato insieme a Sonja Hökberg, anche lei ha dovuto morire.» «Il blackout può essere stato un esercizio di preparazione» disse Martinsson. «E lì fuori, c'è un uomo che ha tentato di ucciderti due volte.» Wallander fece un cenno con il capo in direzione di Modin per far capire a Martinsson di scegliere le sue parole con cura. «La domanda è che cosa possiamo fare» continuò Wallander. «Possiamo
veramente fare qualcosa?» «Possiamo immaginare la rampa di lancio di un razzo» intervenne Modin. «O un pulsante che deve essere schiacciato. Spesso, per evitare di essere scoperti quando si infetta un sistema informatico con un virus, si usa un comando normale continuando a ripeterlo. Molte cose devono coincidere o essere eseguite a una data ora e in un dato modo.» «Puoi fare un esempio?» «Praticamente può essere qualsiasi cosa.» «La cosa migliore che possiamo fare in questo momento è andare avanti come abbiamo fatto finora» disse Martinsson. «Trovare le organizzazioni nascoste nel computer di Falk e avvisarle di controllare le loro procedure di sicurezza. Alfredsson dovrà occuparsi del resto.» Martinsson prese carta e penna e scrisse alcune parole. Alzò lo sguardo e fissò Wallander che si chinò in avanti e lesse: La minaccia contro Modin deve assolutamente essere presa sul serio. Wallander annuì. Chiunque fosse l'uomo che si era fermato sulla strada che attraversava i campi, sapeva che Robert Modin era una persona importante. In quel momento, Modin si trovava nella stessa situazione di Sonja Hökberg. Il cellulare di Wallander squillò. Era Hansson. Voleva informarlo che la caccia all'uomo che gli aveva sparato non aveva ancora dato risultati. Ma continuavano a cercarlo tenacemente. «Come vanno le cose per Nyberg?» «Ha già iniziato a confrontare le impronte digitali.» Hansson era ancora nei dintorni di Backåkra e sarebbe rimasto lì. Non sapeva dove fosse Ann-Britt. Appena finì di parlare con Hansson, Wallander cercò di contattarla per telefono. Ma non ottenne risposta. Qualcuno bussò alla porta. Irene entrò con una scatola. «Ecco il cibo» disse. «Chi deve pagarlo? Per ora, ho anticipato i soldi io.» «Dammi la ricevuta» rispose Wallander. Modin cambiò posto e iniziò a mangiare. Wallander e Martinsson lo osservavano in silenzio. Il cellulare di Wallander squillò nuovamente. Era Elvira Lindfeldt. Wallander uscì nel corridoio e chiuse la porta dietro di sé. «Ho sentito alla radio che c'è stata una sparatoria non lontano da Ystad» disse. «Spero che tu non sia rimasto coinvolto.» «Non in modo diretto» rispose Wallander evasivamente. «Ma adesso so-
no molto preso.» «Ero preoccupata. Ma ora va meglio. Adesso sono curiosa, ma non ti farò domande.» «In ogni caso, non potrei dirti molto.» «Immagino che non avrai tempo per vederci durante il fine settimana.» «È ancora troppo presto per dirlo. Ma mi farò vivo.» Quando la conversazione terminò, Wallander pensò che era passato molto tempo da quando qualcuno si era veramente preoccupato per lui. Tornò nella sala. Erano le sei meno venti. Modin continuava a mangiare. Martinsson stava parlando con sua moglie. Wallander si mise a sedere e pensò alla situazione ancora una volta. Gli venne in mente la frase che Falk aveva scritto nel suo giornale di bordo. Lo spazio è vuoto e abbandonato. Fino ad allora, Wallander aveva sempre pensato che Falk si riferisse allo spazio come tale. Ma ora, per la prima volta, si rendeva conto che Falk si riferiva al mondo elettronico, allo spazio cibernetico. Qualcuno non risponde alle sue chiamate. Chi poteva essere? Il giornale di bordo conteneva qualcosa di determinante. Quindi, doveva sparire così come Sonja Hökberg doveva essere uccisa. E Jonas Landahl. Dietro a tutto c'era qualcuno che si faceva chiamare C. Qualcuno che Tynnes Falk aveva incontrato a Luanda. Martinsson finì di parlare. Modin si asciugò la bocca e poi si dedicò al succo di carote. Wallander e Martinsson andarono a prendere due tazze di caffè. «Mi sono dimenticato di dirti che ho controllato la lista del personale della Sydkraft. Ma non ho trovato niente.» «Era quello che mi aspettavo.» Il distributore automatico non funzionava bene. Martinsson staccò la spina e la reinserì. Riprese a funzionare. «Funziona elettronicamente?» chiese Wallander. «Ne dubito» rispose Martinsson. «Ma credo che i nuovi modelli funzionino così.» «Che cosa succederebbe se qualcuno si mettesse in testa di manipolare un distributore di quel tipo? Avresti del tè quando schiacci il pulsante del caffè? E del latte quando schiacci quello dell'espresso?» «Proprio così.» «Ma come avrebbe inizio? Che cosa metterebbe in moto il processo? Come si fa a provocare una slavina all'interno della macchina?» «Si può, ad esempio, programmare una certa data. E una certa ora. Di-
ciamo lo spazio di un'ora. Quando qualcuno schiaccia il pulsante del caffè per l'undicesima volta, la slavina parte.» «Perché proprio all'undicesima volta?» «Era solo un esempio. Può benissimo essere la nona o la terza se vuoi.» «E dopo, che cosa succede?» «Naturalmente, si può staccare la spina» disse Martinsson. «E appendere un cartello con su scritto "Guasto". Poi però bisogna cambiare il programma.» «È quello che voleva dire Modin?» «Sì, ma su scala più grande.» «Ma noi non sappiamo dove possa essere il simbolico distributore automatico di Falk?» «Può essere in qualsiasi luogo.» «Questo significa che la persona che scatena la slavina non è necessariamente consapevole di farlo?» «Naturalmente, questo è un vantaggio per l'individuo che ha pianificato tutto. Non deve essere presente personalmente.» «In altre parole, stiamo cercando un distributore automatico di caffè simbolico» disse Wallander. «È un modo come un altro per definire la cosa. Ma forse sarebbe meglio dire che stiamo cercando il proverbiale ago nel pagliaio. Senza neppure sapere dove si trovi il pagliaio.» Wallander si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Era già buio. Martinsson si mise al suo fianco. «Ammettiamo che quello che supponiamo sia vero, cioè che abbiamo a che fare con un gruppo di sabotatori efficienti e molto uniti» disse Wallander. «Sappiamo che sono competenti e senza scrupoli. Nessuno deve fermarli.» «Ma qual è il loro vero obiettivo?» «Forse Modin ha ragione quando dice che vogliono provocare un terremoto finanziario.» Martinsson rifletté in silenzio su quello che Wallander aveva detto. «Voglio che tu faccia una cosa» continuò Wallander. «Vai nel tuo ufficio e scrivi un rapporto su tutto questo. Fatti aiutare da Alfredsson. E poi manda il rapporto a Stoccolma. E a tutte le polizie straniere che ti vengono in mente.» «Se ci sbagliamo ci renderemo ridicoli.» «È un rischio che dobbiamo correre. Firmerò io il documento.»
Martinsson uscì. Wallander rimase nella mensa immerso nei suoi pensieri. Ann-Britt entrò senza che se ne accorgesse. Quando la vide al suo fianco, sussultò. «Mi è venuta in mente una cosa» disse Ann-Britt. «Una volta mi hai detto di avere visto il poster di un film appeso all'interno dell'armadio di Sonja Hökberg.» «L'avvocato dei diavolo. Ho la videocassetta a casa. Ma non ho ancora avuto tempo di vedere il film.» «Non stavo pensando tanto al film» disse Ann-Britt. «Ma ad Al Pacino. C'è una certa somiglianza.» Wallander la fissò incuriosito. «Somiglianza con chi?» «Pensa al disegno che Sonja aveva fatto. Di quando era stata colpita al viso. C'è qualcosa che non si può negare.» «Che cosa?» «Che Carl-Einar Lundberg assomiglia veramente ad Al Pacino. Anche se è una brutta copia.» Ann-Britt aveva ragione. Leggendo un rapporto, aveva visto la fotografia di Lundberg. Ma non aveva pensato alla somiglianza con l'attore americano. Un altro pezzo del puzzle trovava il suo posto. Si misero a sedere a un tavolo. Ann-Britt era stanca. «Sono andata a casa di Eva Persson» disse Ann-Britt. «Nella vana speranza che, a dispetto di tutto, avesse qualcosa da aggiungere.» «Come sta?» «La cosa peggiore è che sembra totalmente indifferente. Se almeno ci fossero segni che sta dormendo male. O se avesse gli occhi arrossati dal pianto. Ma lei continua a masticare il suo chewing-gum e ad avere l'aria irritata per essere costretta a rispondere alle domande.» «Nasconde tutto dentro di sé» disse Wallander con convinzione. «Sono sempre più convinto che dentro di lei sia in corso un'eruzione vulcanica. Che noi non possiamo vedere.» «Spero che tu abbia ragione.» «Volevi dirmi altro?» «No. Né lei né Sonja Hökberg si rendevano conto di quello che hanno scatenato quando Sonja ha portato a termine la sua vendetta.» Wallander le raccontò quello che era accaduto nel pomeriggio. «Non abbiamo mai dovuto nemmeno lontanamente seguire un caso di questo genere» disse Ann-Britt quando Wallander ebbe finito. «Ammesso
che sia come hai detto.» «Lunedì lo sapremo. Se non riusciremo a fare qualcosa prima di allora.» «Credi che ci riusciremo?» «Forse. Dopotutto, i contatti che Martinsson sta prendendo con le polizie di tutto il mondo possono esserci utili. Alfredsson sta facendo la stessa cosa con le organizzazioni che siamo riusciti a identificare.» «Se lunedì è il giorno prestabilito, c'è pochissimo tempo. Senza contare che è il fine settimana.» «Il tempo è sempre troppo poco» rispose Wallander. Alle nove, Robert Modin non aveva più la forza di continuare. Insieme decisero che non avrebbe dormito a casa dei genitori a Löderup. Quando Martinsson gli aveva proposto di dormire nella centrale di polizia, Modin aveva rifiutato. Wallander si chiese se non fosse il caso di telefonare a Sten Widén per chiedergli di ospitare Modin per la notte. Ma lasciò perdere. Per diversi motivi decise che sarebbe stato inopportuno farlo dormire a casa di un membro della squadra investigativa. Nessuno conosceva la reale entità della minaccia. Wallander aveva esortato tutti alla massima prudenza. Fu in quel momento che si ricordò di avere un'alternativa. Elvira Lindfeldt. Lei era estranea a tutto. E per di più, avrebbe avuto la possibilità di vederla, anche se per poco tempo. Wallander non menzionò il suo nome, disse solo che si sarebbe preso cura di Robert Modin e che avrebbe trovato un posto dove farlo dormire. Poco prima delle nove e mezza telefonò a Elvira Lindfeldt. «Devo chiederti una cosa che potrà sembrarti strana» disse. «Sono abituata a richieste strane.» «Puoi ospitare qualcuno per la notte?» «Chi sarebbe?» «Ricordi quel giovane che è entrato nel ristorante quando stavamo mangiando?» «Quello che si chiamava Kolin?» «Modin.» «Non ha un posto dove può dormire?» «Diciamo che ha bisogno di un letto per un paio di notti.» «Non c'è problema. Può dormire qui da me. Ma come arriverà?» «Lo porterò io. Partiamo subito.» «Vuoi che vi prepari qualcosa da mangiare?» «Un caffè basterà.»
Lasciarono la centrale di polizia poco prima delle dieci. Quando passarono l'aeroporto di Sturup, Wallander era certo che nessuno li avesse seguiti. A Malmö, Elvira Lindfeldt aveva posato il ricevitore lentamente. Era soddisfatta. Più che soddisfatta. Aveva avuto un colpo di fortuna incredibile. Pensò a Carter che presto sarebbe salito su un aereo a Luanda. Sarebbe sicuramente rimasto sorpreso. Avrebbe trovato esattamente quello che voleva. 37. La notte del 19 ottobre fu una delle peggiori che Wallander avesse mai vissuto. Ripensandoci più tardi, capì di avere avuto il presentimento che qualcosa sarebbe accaduto non appena si era messo al volante ed era partito per Malmö insieme a Robert Modin. Appena oltrepassata la deviazione per Svedala, un automobilista aveva effettuato un improvviso e azzardato sorpasso. In quello stesso momento, Wallander si era trovato davanti un enorme autotreno che arrivava in direzione opposta. Aveva sterzato bruscamente riuscendo a malapena a evitare di uscire di strada. Robert Modin, che stava dormendo al suo fianco, non si era accorto di nulla. Wallander aveva respirato profondamente. Il suo cuore batteva all'impazzata. Quell'attimo gli aveva fatto ricordare quello che era accaduto qualche anno prima, quando si era addormentato al volante ed era stato a un passo dalla morte. Era successo prima che scoprisse di avere il diabete e cominciasse a curarsi. Ora aveva avuto la stessa fortuna. Quando aveva riacquistato la calma era tornato con il pensiero all'indagine il cui esito era sempre più incerto. Ancora una volta, si chiese se avessero scelto la strada giusta. O se si fosse comportato come un pilota ubriaco facendo così arenare la squadra investigativa. Che cosa sarebbe successo se avessero scoperto che quello che c'era all'interno del computer di Falk non aveva niente a che fare con il caso? Se la verità fosse stata da tutt'altra parte? Nell'ultimo tratto prima di arrivare a Malmö, Wallander aveva cercato di trovare una spiegazione alternativa. Continuava a essere convinto che quando Falk era sparito in Angola fosse successo qualcosa. Ma poteva essere qualcosa di totalmente diverso da quello che si era immaginato fino ad allora? Era possibile che si trattasse di stupefacenti? Che cosa sapeva in
generale dell'Angola? Praticamente niente. Vagamente, intuiva che era un paese ricco di giacimenti petroliferi e di diamanti. Poteva essere quella la spiegazione? Oppure si trattava di un gruppo di sabotatori impazziti che stavano preparando un attacco contro l'intera rete elettrica svedese? Ma perché Falk aveva subito quello che doveva essere stato un enorme cambiamento proprio in Angola? Guidando nel buio della notte, Wallander aveva cercato una spiegazione senza riuscire a trovarla. Il suo senso di inquietudine continuava a essere accompagnato dalle parole di Ann-Britt. Su come Martinsson stesse tramando alle sue spalle. E questo gli faceva provare la sensazione che il fatto di essere messo in dubbio potesse essere motivato. L'inquietudine lo assaliva da diverse parti contemporaneamente. Quando si immise sulla strada che portava a Jägersro, Robert Modin si svegliò di soprassalto. «Siamo quasi arrivati» disse Wallander. «Ho sognato» disse Modin. «Ho sognato che qualcuno mi afferrava alla nuca.» Wallander trovò la via senza troppe difficoltà. La casa era esattamente all'angolo di un quartiere di villette. Pensò che doveva essere stata costruita nel periodo fra le due guerre mondiali. Parcheggiò e spense il motore. «Chi abita qui?» chiese Modin. «Un'amica» disse Wallander. «Si chiama Elvira. Qui potrai dormire tranquillo questa notte. Domani mattina qualcuno verrà a prenderti.» «Non ho neppure uno spazzolino da denti con me.» «Tutto si aggiusterà in qualche modo.» Mancavano pochi minuti alle undici. Wallander aveva pensato che forse avrebbe potuto rimanere fin verso mezzanotte, bere una tazza di caffè, guardare le belle gambe di Elvira Lindfeldt e poi tornare a Ystad. Ma niente si svolse come si era immaginato. Aveva appena avuto il tempo di suonare il campanello ed entrare, che squillò il suo cellulare. Quando rispose, udì la voce eccitata di Hansson. Finalmente avevano trovato una traccia dell'uomo che gli aveva sparato nella nebbia. Ancora una volta, era stata una persona che stava portando a spasso il cane a notare un uomo che sembrava stesse cercando di nascondersi e che si comportava in modo a dir poco strano. Dato che per tutto il giorno per le strade nelle vicinanze di Sandhammaren erano passate ripetutamente auto della polizia, aveva pensato che fosse il caso di avvertire. Alla domanda di Hansson, aveva subito risposto che quell'uomo indossava un impermeabile nero. Wallander ebbe appena il tempo di fare le presentazioni e di ringraziare
Elvira per la sua disponibilità. Poi ripartì. Aveva pensato che le persone che portavano il cane a prendere aria erano state importanti per l'indagine. Si trattava forse di una risorsa che la polizia avrebbe dovuto sfruttare attivamente nel futuro? Dopo avere guidato a velocità troppo alta, arrivò poco più a nord di Sandhammaren, nel punto in cui Hansson lo stava aspettando. Prima, era andato alla centrale di polizia a prendere la sua pistola di ordinanza. Aveva ripreso a piovere. Martinsson era arrivato poco prima di Wallander. Due pattuglie cinofile e alcuni poliziotti con giubbotti antiproiettile erano già sul posto. L'uomo a cui davano la caccia doveva essere in un bosco che costeggiava la strada per Skillinge e alcuni campi. Anche se Hansson aveva organizzato rapidamente una catena di sorveglianza, Wallander si rendeva conto che il rischio che l'uomo potesse dileguarsi con l'aiuto del buio era molto elevato. Cercarono di stabilire un piano di azione adeguato. Usare le pattuglie con i cani sarebbe stato troppo rischioso. Fermi sotto la pioggia e il vento, conclusero che l'unica cosa da fare era rimanere ai propri posti e aspettare l'alba. In quel momento, il radiotelefono di Hansson squillò. La pattuglia che si trovava più a nord credeva di essere riuscita a individuare qualcuno. Poi udirono uno sparo, seguito da un secondo. «Quel bastardo ci sta sparando addosso...» urlò l'agente alla radio. Poi silenzio. Wallander aveva immediatamente temuto il peggio e fu il primo a muoversi insieme a Hansson. Nel caos che si era creato, non aveva avuto il tempo di vedere quello che stava facendo Martinsson. Impiegarono sei minuti a raggiungere l'auto che aveva lanciato l'allarme. Quando ne scorsero i fari, si fermarono e scesero con le armi in pugno. Il silenzio era assordante. Wallander urlò il suo nome e, con suo grande sollievo, udì una voce rispondere. Hansson e Wallander raggiunsero l'auto di fianco alla quale El Sayed e Elofsson erano distesi nel fango con le armi in pugno. L'uomo che aveva sparato era nascosto in un bosco al di là della strada. El Sayed e Elofsson erano appena scesi dall'auto quando avevano udito il rumore di un ramo d'albero che si spezzava. Elofsson aveva acceso la sua torcia elettrica ed El Sayed si era messo in contatto radio con Hansson. Poi, l'uomo aveva sparato. «Che cosa c'è dietro al bosco?» chiese Wallander. «Un sentiero che porta al mare» rispose Elofsson. «Ci sono case nelle vicinanze?» Nessuno lo sapeva. «Formiamo un cerchio lì intorno» disse Wallander. «Adesso sappiamo
dove si sta nascondendo.» Hansson chiamò Martinsson con la radio e gli spiegò dove si trovavano. Nel frattempo, Wallander disse a El Sayed e a Elofsson di allontanarsi dall'auto e di nascondersi nel buio. In qualsiasi momento, l'uomo avrebbe potuto avvicinarsi all'auto con l'arma puntata. «Ci facciamo mandare un elicottero?» chiese Martinsson alla radio. «Sì. E deve essere uno con buoni riflettori. Ma non deve arrivare prima che tutti abbiano raggiunto le postazioni assegnate.» Wallander si girò e rimase con lo sguardo fisso al di là dell'auto. Ma non riusciva a vedere nulla. Il vento soffiava con forza e gli impediva di capire se i suoni che udiva erano reali o frutto della sua immaginazione. Quel momento gli ricordava una notte, quando era rimasto disteso in un campo fangoso insieme a Rydberg, mentre cercavano di individuare un uomo che aveva ucciso la sua ex fidanzata con un'accetta. Anche allora era autunno. Erano rimasti distesi nel fango umido battendo i denti, e Rydberg gli aveva spiegato che una delle cose più importanti per un poliziotto era imparare a distinguere se i rumori che sentiva erano veri o soltanto frutto dell'immaginazione. Wallander aveva avuto modo di ricordare le parole di Rydberg in diverse occasioni. Ma credeva di non avere mai imparato. Intanto Martinsson era tornato. «Stanno arrivando. Anche l'elicottero.» Wallander non ebbe mai il tempo di rispondere. In quello stesso istante qualcuno sparò. Entrambi si chinarono. Lo sparo proveniva da sinistra. Wallander non poteva sapere chi fosse il bersaglio. Chiamò Elofsson. Rispose El Sayed. Poi udì anche la voce di Elofsson. Doveva fare qualcosa. Alzò la testa e urlò nel buio. «Polizia. Deponi le armi.» Poi ripeté le stesse parole in inglese. Ma nessuno rispose. «Non mi piace» sussurrò Martinsson. «Perché continua a stare lì e spara? Perché non tenta di andarsene? Deve pur capire che i rinforzi stanno arrivando.» Wallander non rispose. Anche lui si poneva le stesse domande. Poi udirono l'urlo delle sirene in lontananza. «Perché non gli hai ordinato di mantenere il silenzio?» chiese Wallander senza nascondere la propria irritazione. «Avrebbe dovuto pensarci Hansson.» «Stai chiedendo troppo.»
In quello stesso istante, El Sayed lanciò un urlo. Wallander intravide vagamente un'ombra che si muoveva rapidamente in direzione dei campi che erano a sinistra dell'auto. «Sta scappando» sibilò Wallander. «Cosa?» Wallander fece un inutile cenno verso il buio. Martinsson non poteva vedere nulla. Wallander capì che doveva agire rapidamente. Se l'uomo riusciva ad attraversare i campi, avrebbe presto raggiunto una foresta più ampia e sarebbe stato molto più difficile circondarlo. Wallander urlò a Martinsson di spostarsi. Poi, saltò nell'auto e mise in moto. Sterzò bruscamente e partì senza sapere realmente se fosse la direzione giusta. Ma ora i fari dell'auto illuminavano i campi. Quando i fasci di luce lo colpirono, l'uomo si fermò e si girò. I lembi del suo impermeabile svolazzavano al vento. Wallander lo vide fare un movimento con il braccio e si gettò di lato. Il proiettile colpì il parabrezza. Wallander aprì la portiera e uscì dall'auto urlando agli altri di gettarsi a terra. Udì un altro sparo. Uno dei fari si spense. Wallander si chiese se l'uomo era stato solo fortunato a colpire il faro da quella distanza. Aveva difficoltà a vedere. Quando si era gettato a terra aveva battuto la fronte contro una pietra e si era procurato uno squarcio che aveva iniziato a sanguinare. Alzò cautamente la testa urlando nuovamente agli altri di rimanere a terra. L'uomo avanzava a fatica nel fango dei campi. Dove diavolo sono i cani?, pensò Wallander. Le sirene si stavano avvicinando. Si disse che dovevano assolutamente evitare che le auto arrivassero a portata di tiro dell'uomo. Urlò a Martinsson di dare l'ordine via radio a tutte le auto di fermarsi e di non avvicinarsi finché non ricevevano il via libera. «Il radiotelefono mi è caduto» rispose Martinsson. «Non riesco a ritrovarlo in questa dannata poltiglia di fango.» L'uomo che stava attraversando il campo stava per uscire dal fascio di luce del faro. Wallander lo vide inciampare diverse volte. Sapeva che doveva prendere una decisione. Si alzò di scatto. «Cosa diavolo pensi di fare?» urlò Martinsson. «Adesso andiamo a prenderlo» disse Wallander. «Prima dobbiamo circondarlo.» «No, avrebbe tutto il tempo di squagliarsela.» Wallander vide Martinsson scuotere il capo. Poi si avviò. Dopo pochi passi, il fango iniziò ad accumularsi sotto la suola delle sue scarpe. L'uomo
era sparito dal fascio di luce. Wallander si fermò, prese la pistola e tolse la sicura. Dietro di sé udì Martinsson che chiamava El Sayed ed Elofsson. Cercò di tenersi a meno di un metro dal fascio di luce dell'unico faro dell'auto ancora acceso e aumentò l'andatura. Qualche secondo dopo, una delle sue scarpe fu inghiottita dal fango. Si chinò e si tolse rabbiosamente anche l'altra. L'umidità e il freddo penetrarono immediatamente nei suoi piedi. Ma ora riusciva a procedere più rapidamente. D'un tratto vide l'uomo. Stava avanzando a fatica nel fango e sembrava avere difficoltà a tenersi dritto. Wallander si spostò ancora più lontano dal fascio di luce. In quel momento si ricordò che indossava una giacca di colore chiaro. Se la tolse e la lasciò cadere nel fango. Sotto aveva un maglione verde bottiglia che non era visibile. Fortunatamente, l'uomo non sembrava essersi accorto della sua presenza poco lontano alle sue spalle. Wallander alzò la pistola per sparare alle gambe dell'uomo, ma capì che era ancora troppo lontano. Poi, udì il rumore di un elicottero. Ma sembrava che avesse l'intenzione di rimanere in attesa a una certa distanza. Ora si trovavano in mezzo al campo. La luce del faro cominciava a perdere di intensità. Devo fare qualcosa, pensò Wallander. Ma cosa posso fare? Sapeva di non essere un buon tiratore. L'uomo a cui stava dando la caccia lo aveva mancato due volte. Ma era certo che sapesse usare la propria arma molto meglio di lui. Il fatto che avesse centrato il faro da una grande distanza ne era la prova. Wallander cercò febbrilmente di trovare una soluzione. Presto l'uomo sarebbe stato inghiottito dalle tenebre. Si chiese inveendo perché Martinsson e Hansson non chiedessero al pilota dell'elicottero di raggiungere il campo. All'improvviso l'uomo inciampò. Wallander si fermò di colpo. Poi vide l'uomo chinarsi in avanti e cercare qualcosa. In una frazione di secondo, capì che l'uomo aveva perso la pistola e che non riusciva a trovarla. È a circa trenta metri da me, pensò. Non ce la farò mai a raggiungerlo prima che trovi la sua pistola. Poi iniziò a muoversi cercando di correre fra i solchi fangosi del campo. Ma dopo pochi passi inciampò a sua volta, senza però perdere l'equilibrio. In quello stesso istante l'uomo lo scorse. A dispetto della distanza, Wallander vide che aveva lineamenti asiatici. Improvvisamente, Wallander scivolò. Era come se avesse messo il piede sinistro su una lastra di ghiaccio. Cadde in avanti. In quello stesso istante l'uomo trovò la sua pistola. Wallander era riuscito a mettersi in ginocchio. L'uomo puntava la pistola contro di lui. Wallander premette il grilletto. Ma la pistola si era inceppata. Premette il grilletto una seconda volta con lo
stesso risultato. In un ultimo disperato tentativo di salvarsi, Wallander si gettò a lato cercando di sprofondare nel fango. Poi udì lo sparo. Sussultò. Ma non era stato colpito. Rimase disteso immobile, aspettando che l'uomo gli sparasse una seconda volta. Ma non successe nulla. I secondi sembravano passare con estrema lentezza. Ma nella sua mente, Wallander vedeva a distanza un'immagine della situazione in cui si trovava. Dunque, tutto sarebbe finito in quel campo. Una morte insensata, disteso nel fango freddo e umido. Era arrivato lì con tutti i suoi sogni e i pochi progetti che gli rimanevano ancora. Ora non sarebbe rimasto più nulla. Ora, le tenebre eterne lo avrebbero inghiottito. Senza neppure un paio di scarpe ai piedi. Solo quando sentì il rumore dell'elicottero che stava avvicinandosi rapidamente. Wallander si disse che c'era una possibilità, anche se minima, di riuscire a sopravvivere. Alzò cautamente lo sguardo. L'uomo giaceva disteso nel fango con le braccia allargate. Wallander si alzò e si avvicinò lentamente. In lontananza vide il fascio di luce del proiettore dell'elicottero che ondeggiava sui campi. Udì anche dei cani abbaiare e Martinsson che urlava qualcosa. L'uomo era morto. Wallander non aveva bisogno di chiedersi come. L'ultimo sparo che ho udito non era destinato a me, pensò. L'uomo che giaceva disteso nel fango si era sparato alla tempia. Wallander fu colto da un improvviso capogiro. Si accovacciò per non cadere. Il freddo e l'umidità che gli erano penetrati nelle ossa lo facevano tremare. Fissò quel volto dai lineamenti asiatici. Non poteva dire da quale paese venisse. Ma non c'era alcun dubbio che fosse lo stesso uomo che, entrando nella pizzeria di Istvån due settimane prima, aveva fatto sì che Sonja Hökberg cambiasse di posto con Eva Persson. Lo stesso uomo che poi aveva pagato il conto con una carta di credito emessa a nome di Fu Cheng. Ed era stato sempre lui a raggiungere l'appartamento di Falk, dove Wallander stava aspettando la vedova. Lo stesso uomo che gli aveva sparato due volte mancandolo. Wallander non conosceva la vera identità di quell'uomo, né sapeva perché fosse venuto a Ystad. Ma la sua morte era un sollievo. Ora, poteva smettere di preoccuparsi per la sicurezza dei suoi colleghi e di Robert Modin. Era quasi certo che l'uomo disteso davanti a lui fosse la persona che aveva spinto Sonja Hökberg all'interno della cabina dei trasformatori e Jonas Landahl fra gli assi delle eliche nella sala macchine del traghetto dalla Polonia.
I punti oscuri erano molti. Molti di più di quelli che erano riusciti a chiarire. Ma mentre rimaneva accovacciato nel fango, Wallander si disse che, dopotutto, almeno qualcosa era finito. Ovviamente, non poteva sapere che non era affatto così. Ma lo avrebbe capito solo più tardi. Martinsson fu il primo a raggiungerlo. Elofsson lo seguiva a pochi passi di distanza. Wallander si alzò e gli chiese di cercare le sue scarpe e la giacca che erano da qualche parte nel fango. «Gli hai sparato?» chiese Martinsson incredulo. Wallander scosse il capo. «Si è suicidato. Se non lo avesse fatto, adesso sarei morto.» Anche Lisa Holgersson era arrivata sul posto. Wallander lasciò che Martinsson le spiegasse come si erano svolti i fatti. Elofsson si avvicinò con le sue scarpe e la sua giacca. Erano piene di fango. L'unica cosa che Wallander voleva fare in quel momento era andarsene il più rapidamente possibile da quel luogo. Non solo voleva andare a casa per ripulirsi e cambiarsi. Più di ogni altra cosa, voleva cercare di cancellare il ricordo di quel terribile attimo in cui era rimasto disteso nel fango in attesa della fine. Una fine da miserabile. Da qualche parte, dentro di lui, c'era anche una vaga euforia. Ma in quel momento, provava soprattutto un senso di vuoto. Hansson aveva detto al pilota dell'elicottero di tornare alla base. Anche gli uomini delle diverse pattuglie stavano rientrando. Sul luogo rimanevano soltanto quelli che erano stati incaricati di occuparsi dell'uomo morto. Hansson arrivò trascinando i piedi nel fango. Portava un paio di stivali di gomma gialli e un berretto da marinaio in testa. «Dovresti andare a casa» disse fissando Wallander. Wallander annuì, si girò e si avviò da dove era venuto. I fasci di luce delle torce elettriche danzavano tutt'intorno. Inciampò, ma riuscì a non cadere. Stava per arrivare alla strada, quando Lisa Holgersson lo raggiunse. «Credo di essermi fatta un'idea abbastanza corretta di come si sono svolti i fatti» disse. «Ma naturalmente domani dobbiamo parlarne a fondo. È stata una fortuna che sia finita bene.» «Presto sapremo chi ha ucciso Sonja Hökberg e Jonas Landahl» disse Wallander. «Non credi che quest'uomo abbia anche avuto a che fare con la morte di
Lundberg?» Wallander la fissò sorpreso. Spesso, aveva pensato che Lisa Holgersson aveva il dono di capire le cose rapidamente e di fare le domande corrette. Ma ora aveva fatto esattamente il contrario. «Lundberg è stato ucciso da Sonja Hökberg» disse Wallander. «È inutile perdere tempo con altre ipotesi.» «Ma perché è successo tutto questo?» «Non lo sappiamo ancora. Ma sappiamo che Falk ha un ruolo principale in tutto questo. O meglio, quello che è nascosto nel suo computer.» «Io continuo a pensare che sia ancora tutto da provare.» «Non esiste alcuna spiegazione diversa.» Wallander sentì di non avere più la forza di continuare. «Adesso, se vuoi scusarmi, devo veramente andare a casa a ripulirmi e mettermi addosso qualcosa di asciutto.» «Solo un'altra cosa» disse Lisa Holgersson. «Non posso fare a meno di dirtelo. Il fatto che tu sia andato dietro a quell'uomo da solo è imperdonabile. Avresti dovuto farlo insieme a Martinsson.» «Si è svolto tutto molto rapidamente.» «Ma tu non avresti dovuto impedire a Martinsson di seguirti.» Wallander, che stava togliendosi il fango dal viso con la mano, si fermò. «Impedire a Martinsson di seguirmi?» «Sì, non avresti dovuto impedirgli di seguirti. Una delle nostre regole fondamentali è che non bisogna mai intervenire da soli. E tu dovresti saperlo.» Wallander aveva perso ogni interesse per il fango appiccicaticcio. «Chi ha detto che ho impedito a qualcuno di seguirmi?» «Risulta più che evidente dai rapporti di quelli che erano presenti.» Wallander sapeva che ci poteva essere un'unica spiegazione. Poteva essere stato solo Martinsson ad affermare una cosa simile. In quel momento, El Sayed ed Elofsson erano troppo distanti. «Forse sarà meglio parlarne domani» disse Wallander irritato. «Sono costretta a fartelo presente. In caso contrario avrei commesso un'omissione in servizio. Inoltre, ora come ora la situazione è sufficientemente complicata.» Lisa Holgersson lo lasciò e si avviò verso la strada con la sua torcia elettrica. Wallander era furioso. Dunque Martinsson ha mentito, pensò. Ha affermato che gli ho impedito di seguirmi in quel campo. E io mi sono trovato con la faccia nel fango, sicuro che era arrivata la mia ultima ora.
In quello stesso momento vide i fasci di luce delle torce elettriche di Martinsson e Hansson che si stavano avvicinando. Poco più lontano udì Lisa Holgersson che metteva in moto la sua auto e se ne andava. Martinsson e Hansson si fermarono davanti a Wallander. «Puoi tenere la torcia elettrica di Martinsson?» chiese Wallander rivolto a Hansson. «Perché?» «Sii gentile e fai quello che ti dico.» Martinsson diede la sua torcia a Hansson. Wallander fece un passo avanti e sferrò un pugno dritto al viso di Martinsson. «Dannazione, che cosa diavolo ti salta in mente?» «Che cosa diavolo salta in mente a te?» urlò Wallander. Poi si gettò su Martinsson. I due rotolarono nel fango. Hansson fece un passo avanti per dividerli, ma scivolò e cadde a terra. Una delle torce elettriche si spense, l'altra rimase accesa nel fango. La rabbia furiosa di Wallander svanì con la stessa rapidità con cui era venuta. Wallander raccolse la torcia elettrica e illuminò il volto di Martinsson che sanguinava dalla bocca. «Sei andato a dire a Lisa che io ti ho impedito di seguirmi quando sono andato dietro a quell'uomo. Dici cose su di me che non sono vere.» Martinsson rimaneva seduto nel fango. Hansson si rialzò. Un cane si mise ad abbaiare da qualche parte. «Tu sparli alle mie spalle» continuò Wallander accorgendosi di avere usato un tono di voce normale. «Non so di che cosa stai parlando.» «Tu stai tramando alle mie spalle. Tu pensi che non so fare il mio lavoro. Vai da Lisa di nascosto credendo che nessuno ti veda entrare nel suo ufficio.» Hansson intervenne nella conversazione. «Che cosa diavolo state combinando?» «Stiamo discutendo per capire quale sia il modo migliore per collaborare» rispose Wallander. «Se lo si può fare cercando di essere il più leali e sinceri possibile l'uno con l'altro. O se il modo migliore è di congiurare alle spalle dell'altro.» «Continuo a non capirci niente» disse Hansson. Wallander non aveva più l'energia per continuare. Non valeva la pena di andare più in là del necessario. «Non ho altro da aggiungere» disse gettando la torcia elettrica ai piedi di
Martinsson. Poi, andò sulla strada e chiese a una delle auto di pattuglia di portarlo a casa. Arrivato a Mariagatan, fece un bagno caldo e poi si mise a sedere in cucina. Erano quasi le tre. Wallander cercò di pensare, ma la sua mente era vuota. Andò a coricarsi senza però riuscire ad addormentarsi. Continuava a tornare con il pensiero al campo. Alla paura che lo aveva attanagliato quando era rimasto disteso con la faccia nel fango. Alla strana sensazione di vergogna che aveva provato pensando che sarebbe morto senza le scarpe ai piedi. E poi pensò alla resa dei conti con Martinsson. Ho raggiunto il limite, pensò. Forse non solo con Martinsson. Anche con tutto quello che sto facendo. Non era la prima volta che si sentiva esausto e senza più energie. Ma mai come in quel momento. Per confortarsi, cercò di pensare a Elvira Lindfeldt. Ora stava sicuramente dormendo. E in un'altra camera c'era Robert Modin che ora non correva più alcun pericolo. Wallander si chiese anche a quali problemi sarebbe andato incontro per avere colpito Martinsson. Sarebbe stata la sua parola contro quella del collega. Esattamente come nel caso di Eva Persson e sua madre. Lisa Holgersson aveva già dimostrato di avere più fiducia in Martinsson. Inoltre, in meno di due settimane, Wallander aveva fatto ricorso alla violenza per ben due volte. Questo era innegabile. La prima volta, aveva colpito una minorenne durante un interrogatorio; la seconda volta lo aveva fatto con uno dei suoi colleghi di sempre. Un uomo insieme al quale aveva affrontato problemi e pericoli. Disteso al buio, si chiese se avrebbe dovuto pentirsi del proprio gesto. Ma non ci riusciva. In fondo, si trattava della sua dignità. Era stata una reazione contro il tradimento di Martinsson. Quello che Ann-Britt gli aveva raccontato in confidenza era improvvisamente salito alla superficie. Wallander rimase a lungo sveglio, continuando a pensare al suo limite di sopportazione. Ma si disse che anche la società sembrava avere raggiunto il proprio. Non riusciva però a immaginare quali fossero le conseguenze. A parte il fatto che i poliziotti del futuro, quelli che, come El Sayed, uscivano dalla Scuola di polizia, sarebbero stati in grado di seguire e affrontare le nuove tecnologie informatiche. Anche se non sono troppo in là con gli anni, sono già un vecchio. E come i vecchi cani ho difficoltà a imparare cose nuove. Si alzò due volte. Una per bere un bicchiere d'acqua, la seconda per urinare. Entrambe le volte, era andato alla finestra e aveva osservato la strada
deserta. Alle quattro, riuscì finalmente ad addormentarsi. Era domenica 19 ottobre. Alle sei e trenta in punto Carter atterrò a Lisbona con il volo 553 della Tap. L'aereo per Copenaghen sarebbe partito alle otto e quindici. Come sempre, quando arrivava in Europa, Carter non poteva fare a meno di provare un senso di inquietudine. In Africa si sentiva più sicuro. L'Europa era un territorio sconosciuto. Per il suo arrivo in Portogallo, aveva scelto una delle sue diverse identità e relativo passaporto. Passò il controllo come Lukas Habermann, cittadino tedesco, nato a Kassel nel 1939, e memorizzò il volto del funzionario addetto al controllo. Dopo, andò direttamente alla toilette, fece a pezzi il passaporto e lo gettò nel water. Poi, prese il passaporto inglese dalla sua borsa. Ora si chiamava Richard Stanton, nato a Oxford nel 1940. Cambiò giacca e pettinatura. Dopo il check-in tornò al controllo dei passaporti tenendosi il più lontano possibile dal funzionario che lo aveva visto passare come Lukas Habermann. Tutto si svolse senza problemi. Cercò un luogo appartato, si guardò intorno due volte e poi prese il suo cellulare. Elvira Lindfeldt rispose immediatamente. Carter non amava parlare al telefono. Come sempre, fece alcune brevi domande aspettandosi risposte altrettanto brevi e precise. Elvira Lindfeldt non sapeva dove fosse Cheng. Avrebbe dovuto farsi vivo la sera prima. Ma non aveva ricevuto alcuna telefonata. Poi, Carter ascoltò incredulo la notizia. Non gli sembrava vero. Un colpo di fortuna simile era praticamente impossibile. Alla fine però si convinse. Robert Modin era caduto, o meglio era stato spinto, dritto nella trappola. Quando la conversazione terminò, Carter rimase immobile. Il fatto che Cheng non avesse chiamato era inquietante. Doveva essere successo qualcosa. Ma, d'altro canto, neutralizzare Robert Modin, ormai la minaccia più grave, non costituiva un grosso problema. Carter mise il telefono nella borsa e controllò i battiti del polso. Erano di poco al di sopra del normale. Era una cosa naturale. Andò nella sala d'attesa riservata ai passeggeri della business class per rilassarsi. Mangiò una mela e prese una tazza di tè. Il volo per Copenaghen decollò alle otto e venti con cinque minuti di ri-
tardo. Carter era seduto al posto 3D. Corridoio. Evitava sempre con cura di rimanere bloccato vicino ai finestrini. Informò la hostess che non desiderava la colazione. Poi chiuse gli occhi e si addormentò quasi subito. 38. Wallander e Martinsson si incontrarono alle otto di domenica mattina. Arrivarono alla centrale di polizia contemporaneamente, come se si fossero messi d'accordo sull'ora e sul luogo esatto. Si trovarono faccia a faccia nel corridoio deserto che portava alla mensa. Dato che arrivarono da lati opposti, Wallander ebbe l'impressione di essere uno dei duellanti di un film western. Ma non successe nulla. Si salutarono con un cenno del capo ed entrarono insieme nella mensa dove il distributore automatico del caffè era nuovamente guasto. Martinsson aveva un livido blu sotto un occhio e il labbro inferiore gonfio. Per un attimo, rimasero con lo sguardo fisso sul cartello appeso sul distributore. «Puoi stare certo che te la farò pagare» disse Martinsson. «Ma prima porteremo a termine questa indagine.» «Ho sbagliato a darti quel pugno» rispose Wallander. «Ma è la sola cosa di cui mi pento.» Poi non parlarono più dell'episodio. Hansson era entrato nella mensa e aveva fissato i due colleghi fermi davanti al distributore automatico del caffè con uno sguardo apprensivo. Visto che la mensa era deserta, Wallander propose di rimanervi invece di usare una sala riunioni. Hansson andò a prendere il caffè solubile che aveva sempre di scorta e mise a scaldare una pentola d'acqua. Ann-Britt arrivò qualche minuto dopo. Wallander si chiese se Hansson le avesse già telefonato per informarla di quello che era successo. Ma poco dopo, capì che era stato Martinsson a raccontarle dell'uomo morto nel campo, e capì anche che non le aveva detto nulla dello scontro che avevano avuto. Wallander notò che Martinsson fissava Ann-Britt con uno sguardo gelido. Senza dubbio, aveva passato la notte cercando di capire chi avesse potuto fare la spia. Qualche minuto dopo arrivò anche Alfredsson. Hansson riferì che Nyberg era rimasto a lavorare nel campo. «Che cosa crede di poter trovare?» chiese Wallander sorpreso.
«Questa notte è andato a casa a dormire qualche ora» spiegò Hansson. «Ora è tornato là e pensa di riuscire a finire il suo lavoro in un paio d'ore.» La riunione fu breve. Wallander chiese a Hansson di andare a informare Viktorsson. Al punto in cui erano arrivati, era importante che il pm fosse tenuto al corrente di ogni sviluppo. Era chiaro che nel corso della giornata sarebbe stato necessario convocare i giornalisti per una conferenza stampa. Ma quello era il compito di Lisa Holgersson, disse Wallander. Eventualmente, Ann-Britt avrebbe potuto assisterla. «Ma io non c'ero questa notte» disse Ann-Britt stupita. «Non è necessario che tu dica qualcosa. Voglio che tu sia presente per sentire quello che Lisa dirà. In caso le salti in testa di fare qualche commento fuori luogo.» Tutti i presenti rimasero stupiti dalle parole di Wallander. Nessuno lo aveva mai sentito criticare così apertamente Lisa Holgersson. Wallander non aveva pronunciato l'ultima frase con uno scopo ben preciso. Inconsciamente aveva lasciato che le sue elucubrazioni notturne venissero a galla. La sensazione che provava, di essere logoro e forse anche vecchio. La certezza che i colleghi sparlassero alle sue spalle. Ma se era veramente invecchiato, allora poteva permettersi di dire quello che pensava. Senza curarsi delle reazioni degli altri. Poi iniziò a parlare di quello che era più importante in quel momento. «Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sul computer di Falk. Se è vero che qualcosa è stato programmato per il 20, allora abbiamo meno di sedici ore per cercare di scoprire che cosa possa essere.» «Dov'è Modin?» chiese Hansson. Wallander finì di bere il caffè e si alzò. «Vado a prenderlo. Diamoci da fare.» Uscendo dalla mensa, Ann-Britt disse a Wallander che voleva parlargli. Ma Wallander scosse il capo. «Non ora. Devo andare a prendere Modin.» «Dov'è?» «Da un buon amico.» «Non puoi mandare qualcun altro a prenderlo?» «Certo. Ma ho bisogno di pensare. Voglio capire come possiamo sfruttare al meglio le ore che ci rimangono. E voglio sapere che ruolo aveva l'uomo che è morto questa notte.» «È proprio di questo che volevo parlarti.» Wallander si fermò sulla porta.
«Ti concedo cinque minuti.» «Mi stupisce il fatto che nessuno abbia fatto la domanda più importante.» «Quale sarebbe?» «Perché quell'uomo ha rivolto la pistola contro se stesso invece di sparare a te?» Quando rispose, Wallander si rese conto di avere usato un tono aspro. Non aveva più pazienza. Era stanco di tutto e di tutti e non voleva fare nulla per nasconderlo. «Credi davvero che non mi sia posto la stessa domanda?» «Allora avresti dovuto farlo davanti a tutti.» Donnina ficcanaso, pensò Wallander. Ma non lo disse. Rimaneva ancora un limite invisibile che non era capace di oltrepassare. «Qual è la tua opinione?» «Io non c'ero, ricordi? Non so come si siano svolti i fatti. Ma penso che un uomo come quello non decida di togliersi la vita tanto facilmente.» «Perché lo pensi?» «Dopotutto, in tutti questi anni un po' di esperienza me la sono fatta.» Wallander non riuscì a evitare di reagire duramente. «La questione è se quell'esperienza abbia valore in questa indagine. Con tutta probabilità, quell'uomo ha ucciso almeno due persone. E non avrebbe esitato a ucciderne un'altra. Non sappiamo che cosa o chi ci sia dietro a tutto questo. Ma era sicuramente un uomo brutale e senza scrupoli. E anche incredibilmente freddo. Forse l'impassibilità è una caratteristica degli asiatici. Non so. Quando ha sentito l'elicottero avvicinarsi, si è reso conto che non aveva via di scampo. Questo ci può far pensare che le persone che stanno dietro a tutto quello che è successo siano dei fanatici. Forse è stato proprio il fanatismo a spingerlo a puntarsi la pistola alla tempia.» Ann-Britt aprì la bocca per dire qualcosa. Ma Wallander la fermò. «Devo andare a prendere Modin» disse. «Dopo potremo parlare. Ammesso che questo mondo esista ancora.» Alle nove meno un quarto, Wallander uscì dalla centrale di polizia. Aveva fretta. Il vento soffiava a raffiche. Aveva smesso di piovere. La coltre di nuvole si stava disperdendo rapidamente. Quella domenica mattina, la strada per Malmö era deserta. Wallander guidava a velocità troppo elevata. Da qualche parte fra Rydsgård e Skurup investì una, lepre. Aveva sterzato, ma la lepre era finita sotto una delle ruote posteriori. Nello specchietto retrovisore, vide le zampe posteriori dell'animale contrarsi spasmodicamen-
te. Alle dieci meno venti si fermò davanti alla casa a Jägersro. Appena suonò il campanello, Elvira Lindfeldt aprì la porta. Wallander intravide Robert Modin che stava bevendo del tè seduto al tavolo della cucina. La donna aveva l'aria stanca. In qualche modo, gli sembrò diversa dall'ultima volta che si erano incontrati. Ma il suo sorriso non era cambiato. Gli chiese se volesse una tazza di caffè. Wallander avrebbe voluto accettare, ma non aveva un minuto da perdere e disse di no. Elvira Lindfeldt scosse il capo, lo prese per un braccio e lo spinse in cucina. Wallander notò che aveva alzato lo sguardo e fissato furtivamente l'orologio appeso al muro. Si insospettì immediatamente. Vuole che rimanga, pensò. Ma non troppo a lungo. Dopo sarà il turno di un altro. Ripeté di non avere tempo di bere un caffè e disse a Modin di prepararsi a partire. «Le persone che hanno fretta mi innervosiscono» disse Elvira Lindfeldt non appena Robert Modin uscì dalla cucina. «Questo significa che hai scoperto un primo difetto in me» disse Wallander. «Ma oggi ho veramente fretta. Abbiamo bisogno di Robert a Ystad.» «È veramente così urgente?» «Non ho tempo di spiegarti» disse Wallander. «Posso solo dirti che il 20 ottobre è una data che mi preoccupa. Ed è domani.» Wallander notò una vaga espressione di preoccupazione nel volto della donna. Poi lei sorrise nuovamente. Wallander si chiese se potesse essere piuttosto un'espressione di paura. Ma scacciò quel pensiero. Modin scese dalla scala con i suoi due computer portatili sotto braccio. «Il mio ospite della notte tornerà questa sera?» «Non è più necessario.» «E tu? Tornerai?» «Ti telefonerò» disse Wallander. «Al momento non so ancora.» Salirono nell'auto e partirono. Wallander guidava con più calma. «Mi sono svegliato presto» disse Modin. «Mi sono venute in mente alcune idee nuove che voglio verificare.» Wallander si chiese se fosse opportuno dirgli quello che era successo durante la notte. Ma decise di aspettare. In quel momento, la cosa più importante di ogni altra era che Modin rimanesse concentrato. Continuarono il viaggio in silenzio. Wallander si rese anche conto che sarebbe stato inutile chiedere a Modin di spiegargli che cosa fossero queste sue nuove idee. Arrivarono al luogo in cui Wallander aveva investito la lepre. Quando
l'auto passò, uno stormo di cornacchie si alzò in volo. Altre auto avevano reso la lepre irriconoscibile. Wallander disse a Robert Modin che era stato lui il primo a investirla. «Ho visto decine di lepri schiacciate dalle auto» disse Wallander. «Ma questa è la prima volta che mi capita di investirne una, ed è solo ora che vedo in che stato questi poveri animali vengono ridotti.» Modin si girò di colpo e lo fissò. «Puoi ripeterlo? La storia delle lepri, voglio dire.» «Ci si rende conto di come vengono ridotte, solo dopo averle investite personalmente. Anche se lo si è visto decine di volte.» «Proprio così» disse Modin pensieroso. «È proprio così.» Wallander lo fissò a sua volta. «Forse è quello che dobbiamo fare» spiegò Modin. «Con quello che stiamo cercando nel computer di Falk. Qualcosa che abbiamo sempre visto senza notarlo veramente.» «Non sono sicuro di capire quello che vuoi dire.» «Forse stiamo cercando troppo in profondità. Forse quello che cerchiamo non è affatto nascosto, ma è proprio lì davanti ai nostri occhi.» Modin tornò a immergersi nei propri pensieri. Wallander non era ancora sicuro di avere capito bene quello che aveva detto. Alle undici si fermarono davanti alla casa in Runnerströms Torg. Modin salì le scale di corsa. Wallander lo seguiva ansimando. Sapeva che da quel momento doveva fare affidamento su quello che Alfredsson e Modin, assistiti da Martinsson, sarebbero riusciti a scoprire. La cosa migliore che poteva fare era cercare di mantenere un quadro generale della situazione. Non doveva sforzarsi di entrare nel mondo informatico insieme agli altri. Ma sentiva la necessità di ricordare ai tre la gravità della situazione. Doveva indicare le cose importanti e quelle che potevano aspettare. Allo stesso tempo, sperava che Martinsson e Alfredsson fossero abbastanza intelligenti da non raccontare a Modin quello che era accaduto durante la notte. Naturalmente, Wallander avrebbe dovuto prendere Martinsson in disparte e spiegargli che Modin non sapeva nulla. E che doveva continuare così. Ma non riusciva a parlare a Martinsson più dello stretto necessario. Non aveva più fiducia in lui. «Sono le undici» disse dopo avere ripreso fiato, dopo la folle corsa sulle scale. «Questo significa che abbiamo tredici ore fino alla mezzanotte. Abbiamo pochissimo tempo.»
«Ha telefonato Nyberg» lo interruppe Martinsson. «Che cosa ha detto?» «Non molto. La pistola è una Makarov 9 mm. Presume che si tratti della stessa che è stata usata nell'appartamento di Apelbergsgatan.» «Quell'uomo aveva documenti?» «Aveva tre passaporti diversi. Uno coreano, uno thailandese e, stranamente, anche uno rumeno.» «Niente relativo all'Angola?» «No.» «Parlerò con Nyberg.» Poi, Wallander fece il punto della situazione in generale. Modin aspettava impaziente davanti al computer. «Il 20 ottobre è fra tredici ore» ripeté Wallander. «In questo momento, due cose ci interessano più di ogni altra. Tutto il resto può aspettare. È probabile che quelle due cose ci portino a una terza. Ma ne parleremo più tardi.» Wallander si guardò intorno. Martinsson rimase con lo sguardo fisso sullo schermo. Il gonfiore al labbro stava diventando blu. «La risposta alla prima domanda potrebbe eliminare gli altri due interrogativi» continuò Wallander. «La data che ci interessa è veramente il 20 ottobre? Se la risposta è positiva, cosa succederà il 20 ottobre? Ed ecco allora la terza domanda: come è possibile bloccare tutto? Ogni altra cosa non ha importanza.» «Non abbiamo ancora ricevuto delle risposte dall'estero» disse Alfredsson. Wallander ricordò i documenti che avrebbe dovuto firmare prima che fossero inviati ai corpi di polizia internazionali. Martinsson gli aveva letto nel pensiero. «Li ho firmati io stesso. Per guadagnare tempo.» Wallander annuì. «Abbiamo avuto qualche reazione da parte delle organizzazioni che siamo riusciti a identificare?» «Nessuna per il momento. Ma non è passato molto tempo. Inoltre, non dimenticare che oggi è domenica.» «Questo significa che siamo soli» concluse Wallander. Poi fissò Modin. «Nell'auto, Robert mi ha detto che gli sono venute in mente alcune nuove idee. Speriamo che ci portino sulla strada giusta.»
«Sono convinto che si tratti del 20 ottobre» disse Modin. «In questo caso devi cercare di convincerci.» «Ho bisogno di un'ora.» «Ne abbiamo tredici» rispose Wallander. «Ma partiamo dal presupposto che siano meno.» Wallander se ne andò. La cosa migliore che poteva fare in quel momento era lasciarli lavorare in pace. Tornò alla centrale di polizia. Prima di tutto, andò al bagno. Negli ultimi giorni aveva avuto un continuo bisogno di urinare, e la bocca secca. Erano chiari sintomi che indicavano il riacutizzarsi del diabete. Uscì dal bagno e andò nel suo ufficio. Che cosa ho trascurato?, pensò. C'è qualcosa in tutto questo che in un solo colpo ci può far capire quello che stiamo cercando? Ma il suo cervello girava a vuoto. Per un attimo tornò con il pensiero a Malmö. Elvira Lindfeldt gli era sembrata un'altra persona quel mattino. Non poteva dire che cosa glielo avesse fatto pensare, ma ne era sicuro. Questo lo preoccupava. Forse aveva già trovato in lui dei difetti. O forse, chiedendole di ospitare Robert Modin per la notte, l'aveva coinvolta nella sua vita professionale troppo bruscamente. Scacciò quei pensieri e andò nell'ufficio di Hansson. Lo trovò seduto davanti al suo computer intento a controllare nei diversi registri la lista di organizzazioni che gli aveva dato Martinsson. «Non c'è nessun collegamento» disse Hansson rassegnato. «È come usare i pezzi di due puzzle diversi e sperare che possano miracolosamente formare un'immagine logica. Le organizzazioni finanziarie sono le sole con un denominatore comune. Poi abbiamo una società di telecomunicazioni e un'impresa che si occupa di satelliti.» Wallander sussultò. «Un'impresa di cosa?» «Un'impresa di Atlanta che si occupa di satelliti. Telsat Communications.» «Vuoi dire che non li producono?» «Da quello che sono riuscito a capire, si tratta di una società che affitta spazi per le teletrasmissioni di un certo numero di satelliti per comunicazioni.» «In questo caso ha qualcosa in comune con la società di telecomunicazioni.» «Naturalmente si può anche dire che ha qualcosa in comune con tutto il resto. Oggi, il denaro viene trasferito elettronicamente. Sono finiti i tempi
delle casse che vanno avanti e indietro. Almeno quando si tratta di transazioni di una certa consistenza.» Wallander aggrottò la fronte. «È possibile verificare se uno dei satelliti di quella società di Atlanta copre anche l'Angola?» Hansson si mise al lavoro alla tastiera. Wallander notò che era molto più lento di Martinsson. «I loro satelliti coprono tutto il mondo. L'Artico e l'Antartico compresi.» Wallander annuì. «Può essere importante» disse. «Telefona a Martinsson e informalo.» Hansson colse l'occasione. «Che cosa ti ha fatto reagire in quel modo la scorsa notte in quel campo?» «Martinsson sparla alle mie spalle» rispose Wallander laconicamente. «Ma adesso non è il momento di parlarne.» Quella domenica le ore passavano inesorabilmente. Non riusciamo ad arrivare a una svolta, pensò Wallander. Era rimasto nel suo ufficio nella vana attesa di una telefonata da Runnerströms Torg. Ma il telefono era muto. Alle due del pomeriggio Lisa Holgersson aveva tenuto una conferenza stampa. Prima di iniziare, lo aveva cercato. Ma Wallander si era defilato e aveva dato istruzioni ad Ann-Britt di dire che era uscito dalla centrale. A lungo, era rimasto immobile davanti alla finestra del suo ufficio, fissando il cielo. Le nuvole erano sparite. Era una bella, ma fredda giornata di ottobre. Alle tre, non riuscì più a sopportare di rimanere nella centrale. Lasciò l'ufficio e andò a Runnerströms Torg. Arrivò nel mezzo di una vivace discussione su come interpretare alcune combinazioni di cifre. Quando Robert Modin cercò di farlo partecipare alla conversazione, Wallander scosse il capo. Alle cinque lasciò i tre e andò a mangiare un hamburger. Poi tornò alla centrale di polizia e telefonò a Elvira Lindfeldt. Ma non ebbe risposta. La donna non aveva neppure attivato la segreteria telefonica. Il sospetto tornò con forza nella sua mente. Ma era troppo stanco e confuso per lasciare che prendesse il sopravvento. Alle sei e mezza, con sorpresa di tutti, Ebba arrivò alla centrale di polizia. Aveva portato un contenitore di plastica con del cibo per Robert Modin. Wallander chiese a Hansson di accompagnarla in auto a
Runnerströms Torg. Appena Ebba uscì, Wallander si rese conto di non averla ringraziata adeguatamente. Alle sette telefonò a Runnerströms Torg. Rispose Martinsson. La conversazione fu breve. Non erano ancora riusciti a trovare delle risposte alle domande che Wallander aveva fatto. Posò il ricevitore e andò nell'ufficio di Hansson che continuava a controllare lo schermo con gli occhi arrossati. Wallander gli chiese se fossero arrivate risposte dall'estero. Hansson replicò con una sola parola. Nessuna. Wallander fu colto da un improvviso scatto di collera. Afferrò la sedia che era nell'ufficio di Hansson e la scagliò contro il muro. Poi se ne andò. Alle otto, Wallander si affacciò alla porta dell'ufficio di Hansson. «Andiamo a Runnerströms Torg» disse. «Qui non stiamo concludendo nulla. Dobbiamo fare il punto della situazione.» Andarono a prendere Ann-Britt che era mezza addormentata nel suo ufficio. Poi raggiunsero in silenzio l'appartamento di Falk. Quando entrarono, Robert Modin era seduto sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Martinsson era seduto sulla sua sedia pieghevole. Alfredsson si era sdraiato sul pavimento. Wallander si chiese se avesse mai visto i membri di una squadra investigativa così esausti e rassegnati. Sapeva che, a parte gli avvenimenti della notte, la stanchezza fisica era soprattutto dovuta alla mancanza di successo nelle loro ricerche. Se solo fossero riusciti a fare un vero passo avanti, allora le loro energie sarebbero state ancora sufficienti. Ma in quel momento regnavano un'apatia e una rassegnazione praticamente senza fondo. Che cosa posso fare?, pensò Wallander. Qual è l'ultimo sforzo necessario prima che arrivi mezzanotte? Wallander si mise a sedere sulla sedia di fianco al computer. Gli altri gli si avvicinarono. Martinsson però era rimasto in disparte. «Riepiloghiamo» disse Wallander. «A che punto siamo?» «Siamo quasi certi che qualcosa accadrà il 20» disse Alfredsson. «Ma non sappiamo se sarà a mezzanotte o più tardi. Crediamo inoltre che le organizzazioni che siamo riusciti a identificare potranno avere dei problemi con i loro sistemi informatici. Questo vale anche per tutte le altre che non abbiamo identificato. Dato che si tratta di istituti finanziari importanti, dobbiamo presumere che il tutto abbia qualcosa a che fare con il denaro. Ma non sappiamo se si tratti di una sofisticata rapina elettronica o di al-
tro.» «Quale sarebbe lo scenario peggiore che potrebbe verificarsi?» «Il caos nei mercati finanziari di tutto il mondo.» «È davvero possibile?» «Ne abbiamo già parlato. Se si venisse a creare insicurezza o un cambiamento drammatico del valore del dollaro, ne seguirebbe una situazione di panico difficilmente controllabile.» «Personalmente credo che sarà proprio quello che si verificherà» disse Modin che si era spostato e si era seduto sul pavimento ai piedi di Wallander. Tutti lo fissarono. «Perché lo credi? Puoi provarlo?» «Io credo che sia una cosa talmente grande che non riusciamo neppure a immaginarla. Questo significa che non abbiamo né la fantasia né una spiegazione logica per riuscire a capire quello che accadrà prima che sia troppo tardi.» «Ma dove partirà tutto? Da che cosa sarà scatenato? Sarà sufficiente che qualcuno prema un pulsante?» «Con tutta probabilità avrà inizio con qualcosa di così banale da essere inimmaginabile per noi.» «Il simbolico distributore automatico del caffè» disse Hansson. «Ci risiamo.» Wallander stava in silenzio. Poi alzò lo sguardo e si guardò intorno. «La sola cosa che possiamo fare è continuare» disse. «Non abbiamo alternative.» «Ho dimenticato alcuni dischetti a Malmö» disse Modin. «Mi servono per poter continuare a lavorare.» «Mando un'auto a prenderli.» «Vado anch'io» disse Modin. «Ho bisogno di muovermi. A Malmö ci sono negozi aperti fino a tarda sera. Potrò comprare qualcosa da mangiare.» Wallander annuì e si alzò. Hansson telefonò alla centrale per chiedere un'auto che portasse Modin a Malmö. Wallander compose il numero di Elvira Lindfeldt. Il telefono era occupato. Aspettò un attimo e riprovò. Questa volta Elvira Lindfeldt rispose. La sua voce era normale. Wallander le spiegò che Robert Modin stava arrivando per prendere alcuni dischetti che aveva dimenticato. «Vieni anche tu?» chiese Elvira Lindfeldt.
«No. Sono troppo impegnato.» «Non ti chiederò con cosa.» «È meglio. Ci vorrebbero ore per spiegartelo.» Alfredsson e Martinsson ripresero a lavorare al computer di Falk. Wallander tornò alla centrale di polizia con Hansson e Ann-Britt. «Ci riuniremo fra mezz'ora» disse Wallander. «Adesso andate nei vostri uffici e pensate a tutto quello che è successo. Trenta minuti non sono molti. Ma è tutto quello che vi concedo. Poi riprenderemo dall'inizio e valuteremo la situazione.» Wallander andò nel suo ufficio e non ebbe il tempo di sedersi che il telefono squillò. Era Irene. «C'è una persona che vuole vederti» disse. «Chi è e che cosa vuole?» chiese Wallander. «Adesso non ho tempo.» «Dice di essere una tua vicina a Mariagatan. La signora Hartman.» Wallander provò immediatamente un senso di apprensione. Alcuni anni prima c'era stata una grave perdita d'acqua nel suo appartamento. La signora Hartman, che era vedova, abitava nell'appartamento sotto il suo. Quella volta era stata lei a telefonare alla centrale di polizia per dare l'allarme. «Vengo lì» disse Wallander. Quando lo vide, la signora Hartman lo rassicurò. Non c'era stata alcuna perdita d'acqua. Ma aveva una lettera per Wallander. «Il postino l'ha messa nella mia buca delle lettere per sbaglio» disse la signora Hartman. «Probabilmente è lì da venerdì. Ma io ero via e sono tornata solo questa mattina. Ho pensato che potesse essere importante.» «Non avresti dovuto disturbarti» disse Wallander. «Probabilmente non è così importante.» La donna gli diede la lettera e se ne andò. Wallander tornò nel suo ufficio. Sulla busta non c'era alcun mittente. La aprì e vide con sua grande sorpresa che era un messaggio dell'agenzia per incontri. Ringraziavano per l'annuncio e assicuravano che gli avrebbero inviato tutte le eventuali risposte. Wallander accartocciò la lettera e la gettò nel cestino della carta. Per alcuni secondi, non riuscì a pensare a nulla. Poi aggrottò la fronte e raccolse la lettera dal cestino. La spiegò e rilesse il messaggio. Si chinò e cercò la busta nel cestino senza veramente sapere perché. Rimase a lungo con lo sguardo fisso sul timbro postale. La lettera era stata spedita il giovedì. La sua mente era ancora vuota. L'inquietudine lo assalì dal nulla. L'agenzia aveva spedito la lettera gio-
vedì per ringraziarlo. Ma allora aveva già avuto la risposta di Elvira Lindfeldt con una lettera che era stata messa direttamente nella sua buca delle lettere. Una lettera priva del timbro postale. I pensieri si accavallarono nella sua mente. Poi si girò e fissò il suo computer. Rimase paralizzato. I pensieri si succedevano nella sua mente. Dapprima rapidamente e poi sempre più lentamente. Wallander si chiese se stava impazzendo. Poi si costrinse a pensare con calma e il più chiaramente possibile. Allo stesso tempo, continuava a tenere lo sguardo fisso sul suo computer. Un'immagine iniziava a prendere forma nella sua mente. Un legame. Ed era spaventoso. Wallander corse nel corridoio e raggiunse l'ufficio di Hansson. «Telefona all'auto» urlò appena entrato. Hansson sussultò e lo fissò impaurito. «Quale auto?» «Quella che ha portato Modin a Malmö.» «Perché?» «Fai quello che ti dico e basta. Presto.» Hansson afferrò il telefono. Dopo meno di due minuti ebbe una risposta. «Stanno tornando» disse posando il ricevitore. Wallander tirò un sospiro di sollievo. «Ma Modin è rimasto a Malmö.» Wallander sentì una morsa allo stomaco. «Perché?» «È andato sulla porta di casa e ha detto che avrebbe continuato a lavorare lì.» Wallander rimase immobile. Il cuore gli batteva all'impazzata. Non riusciva ancora a credere che fosse vero. Eppure era stato lui stesso a sostenere l'esistenza di quel rischio. Il rischio che il contenuto dei computer della polizia potesse essere letto da qualcuno. E questo non riguardava solo il materiale dell'indagine. Ma anche l'annuncio che Wallander aveva scritto nel suo computer. «Prendi la pistola» disse. «Partiamo fra un minuto.» «Per andare dove?» «A Malmö.» Mentre guidava, Wallander cercò di spiegare a Hansson quello che era successo. Ma non era facile. Poi, gli disse di comporre il numero di Elvira Lindfeldt. Ma non ebbe risposta. Wallander aveva attivato la sirena. In si-
lenzio, pregava tutti gli dei che conosceva per nome perché facessero in modo che non accadesse nulla a Robert Modin. Ma temeva il peggio. Poco dopo le dieci, si fermarono davanti alla casa immersa nel buio. Scesero dall'auto e Wallander disse a Hansson di restare nell'ombra vicino al cancello. Poi, tolse la sicura alla sua pistola e si avviò. Arrivato davanti alla porta si fermò ad ascoltare. Suonò il campanello. Nessuna risposta. Suonò una seconda volta. Poi mise la mano sulla maniglia. La porta non era chiusa a chiave. Wallander fece cenno a Hansson di avvicinarsi. «Dovremmo chiamare rinforzi.» «Non c'è tempo.» Wallander aprì cautamente la porta, entrò e rimase in ascolto. La casa era immersa nel buio. Si ricordò che alla sinistra della porta c'era un interruttore della luce. Allungò la mano e cercò a tastoni finché non lo trovò. Appena la luce si accese, fece un passo a lato e si addossò alla parete. L'ingresso era vuoto. La luce si proiettava nel soggiorno. Wallander riusciva a intravedere Elvira Lindfeldt seduta sul divano. Lo sguardo fisso su di lui. Wallander respirò profondamente. La donna non si mosse. Capì che era morta. Chiamò Hansson. Entrarono lentamente nel soggiorno. Qualcuno aveva sparato a Elvira Lindfeldt alla nuca. Il bordo superiore del divano giallo chiaro era intriso di sangue. Poi, Wallander e Hansson andarono di camera in camera. Ma non c'era nessun altro. Soprattutto non c'era Robert Modin. Wallander pensò che questo poteva significare una sola cosa. Qualcuno lo aveva aspettato in quella casa. L'uomo che si era sparato nel campo non era solo. 39. Wallander non riuscì mai a capire dove avesse trovato la forza di andare avanti quella notte. A un certo punto, pensò che forse gli veniva da un senso di autocondanna e di rabbia. Ma in realtà, ogni attimo era stato dominato dalla costante paura che fosse accaduto qualcosa a Robert Modin. Quando aveva visto il corpo inerme di Elvira Lindfeldt sul divano, il suo primo pensiero, paralizzante, era stato che anche Robert Modin fosse morto. Ma dopo avere constatato che la casa era vuota, aveva capito che Robert Modin era ancora vivo. Se tutto quello che era accaduto fino a quel
momento era stato un tentativo di nascondere o impedire qualcosa, doveva essere per questo motivo che Modin era stato in qualche modo sequestrato. Wallander non aveva bisogno di ricordarsi la fine che avevano fatto Sonja Hökberg e Jonas Landahl. Ma il paragone non era del tutto corretto. In quei due casi, non sapevano come si fossero svolti i fatti. Ora, nel caso di Modin c'era un chiaro movente. Questo significava che il loro punto di partenza era migliore. Anche se non sapevano ancora che cosa gli fosse successo. Quella notte, a spingerlo furono la collera e la tristezza che provava per essere stato ingannato. Tristezza, perché ancora una volta la vita gli aveva sbarrato la via per sfuggire alla solitudine. Ma, anche se la sua morte lo aveva sconvolto, Elvira Lindfeldt non gli sarebbe mancata. La donna lo aveva avvicinato sotto false premesse e aveva continuato a mentire. Wallander era stato una facile preda. Era caduto in una trappola di illusioni predisposta alla perfezione. Era ferito profondamente. La collera che provava scaturiva da tante fonti diverse dentro di lui. Eppure, più tardi, Hansson avrebbe affermato che Wallander sembrava singolarmente calmo. La sua analisi della situazione e le sue proposte sulle misure da prendere erano state estremamente chiare. Wallander si era reso conto che doveva tornare a Ystad il più rapidamente possibile. Lì c'era il punto centrale che stavano cercando, ammesso che esistesse veramente. Hansson sarebbe rimasto nella casa di Elvira Lindfeldt in attesa dei colleghi della polizia di Malmö per metterli al corrente della situazione. Ma Hansson doveva occuparsi anche di altro. Wallander fu molto categorico su quel punto. Anche se era notte, doveva scavare nel passato di Elvira Lindfeldt. C'era qualcosa che la potesse collegare all'Angola? Che persone frequentava a Malmö? «Non sarà facile a quest'ora della notte» obiettò Hansson. «Eppure deve essere fatto» insisté Wallander. «Non m'importa chi sarà svegliato e buttato giù dal letto. E non devi accettare alcun tentativo di rimandare tutto a domani mattina. Se necessario, devi andare personalmente a casa della gente e aiutarli a vestirsi. Voglio sapere il più possibile di quella donna prima dell'alba.» «Chi era?» chiese Hansson. «Come mai Modin ha dormito qui? La conoscevi?» Wallander non rispose. Hansson non ripeté le sue domande. Più tardi, quando Wallander non era presente, Hansson chiese ancora ai colleghi se
qualcuno sapeva chi fosse quella donna misteriosa. Wallander doveva averla conosciuta bene, altrimenti non avrebbe lasciato che Modin dormisse nella sua casa. Nella lunga indagine che seguì nessuno riuscì mai a chiarire come Wallander l'avesse incontrata. E nessuno venne mai a sapere cosa fosse successo. Wallander lasciò Hansson e tornò a Ystad. Per tutto il tragitto continuò a essere ossessionato da un'unica domanda: che cosa era successo a Robert Modin? La sensazione che la catastrofe fosse imminente lo accompagnò per tutto quel viaggio nel cuore della notte. Cosa avrebbe potuto fare per evitare che si verificasse, quando non sapeva neppure le conseguenze che la catastrofe avrebbe avuto? Ma la cosa più importante rimaneva salvare la vita di Robert Modin. Wallander continuava a guidare a una velocità pazzesca. Aveva chiesto a Hansson di telefonare e avvertire che stava arrivando. Quelli che eventualmente dormivano dovevano essere svegliati. Ma quando Hansson gli aveva chiesto se doveva avvertire anche Lisa Holgersson, Wallander aveva urlato la sua risposta negativa. Nel corso di quella notte, quell'improvviso scatto di collera fu la sola indicazione della terribile pressione alla quale era sottoposto. All'una e mezza, fermò l'auto nel parcheggio davanti alla centrale di polizia. Correndo verso l'entrata, il freddo lo faceva rabbrividire. Erano rimasti seduti ad aspettarlo nella sala riunioni. Martinsson, AnnBritt e Alfredsson. Nyberg stava arrivando. Osservando i colleghi, Wallander aveva pensato che davano l'impressione di essere i resti esausti di una squadra più che un gruppo pronto a combattere. Ann-Britt gli porse una tazza di caffè, e Wallander evitò di rovesciarla sui pantaloni per miracolo. Poi, iniziò senza perdere altro tempo. Robert Modin era scomparso. La donna che lo aveva ospitato per la notte era stata assassinata. «La prima conclusione è che l'uomo nel campo non era solo» disse Wallander. «Pensare il contrario, sarebbe un errore imperdonabile. Cosa che avrei dovuto intuire anch'io, ma non l'ho fatto.» Ann-Britt alzò una mano e fece l'inevitabile domanda. «Chi era quella donna?» «Si chiamava Elvira Lindfeldt» rispose Wallander. «Una mia vecchia amica.» «Ma come mai qualcuno sapeva che Modin sarebbe andato a casa sua questa sera?»
«Lo chiariremo più tardi.» Avevano creduto alle sue parole? Wallander aveva la sensazione di avere mentito in maniera convincente. In quel momento però, non era sicuro di essere veramente in grado di giudicare se stesso. Avrebbe dovuto dire la verità. Avrebbe dovuto confessare di avere usato il computer del suo ufficio per inviare un annuncio a un'agenzia. E che qualcuno aveva letto quell'annuncio e che Elvira Lindfeldt lavorava per quella persona. Ma non disse nulla di tutto questo. Come autodifesa per non averlo fatto, si era detto che in quel momento dovevano usare tutte le loro forze per ritrovare Robert Modin, sperando che non fosse troppo tardi. A quel punto, la porta si aprì e Nyberg entrò. Sotto la giacca si intravedeva quella del pigiama. «Cosa diavolo è successo?» chiese. «Hansson mi ha telefonato da Malmö e sembrava fuori di sé. Non sono riuscito a capire una sola parola di quello che cercava di dirmi.» «Siediti» disse Wallander. «Questa sarà una notte molto lunga. AnnBritt ti metterà al corrente.» «La polizia di Malmö ha una sua squadra scientifica, no?» disse Nyberg seccato. «Voglio che tu stia con noi questa notte» disse Wallander. «Non solo per averti vicino nel caso che salti fuori qualcosa a Malmö, ma soprattutto per avere il tuo parere.» Nyberg annuì rassegnato. Poi, prese un pettine di tasca e cercò di mettere in ordine la sua capigliatura ribelle. Wallander riprese l'analisi della situazione. «Anche se è meno sicura, possiamo arrivare a un'altra conclusione. Ma non possiamo trascurare alcuna ipotesi. Questa conclusione è molto semplice: accadrà qualcosa. E in qualche modo, avrà inizio qui a Ystad.» Wallander si voltò verso Martinsson. «Presumo che la sorveglianza di Runnerströms Torg stia continuando.» «No. È stata revocata.» «Chi diavolo ha dato l'ordine?» «Viktorsson. Ha detto che era solo uno spreco di risorse.» «La sorveglianza deve riprendere immediatamente. E voglio anche un'auto di sorveglianza ad Apelbergsgatan. L'avevo revocata io stesso e forse è stato uno sbaglio.» Martinsson uscì dalla stanza. Wallander era certo che avrebbe fatto in modo che la sorveglianza riprendesse il più rapidamente possibile.
Aspettarono in silenzio. Ann-Britt porse uno specchietto a Nyberg che stava ancora lottando con i suoi capelli, ma ebbe un secco rifiuto. Martinsson tornò nella stanza. «Fatto.» «Quello che stiamo cercando è il fattore che ha scatenato tutto» disse Wallander. «Può essere stata la morte di Falk. Secondo il mio parere, finché Falk era in vita, tutto era sotto controllo. Ma improvvisamente, Falk muore. Questo crea una situazione di panico che mette in moto la sequenza di avvenimenti che conosciamo.» Ann-Britt alzò una mano. «Sappiamo con certezza che Falk è morto per cause naturali?» «Deve essere stato così. Le mie conclusioni si basano sull'ipotesi che la morte di Falk sia sopraggiunta inaspettatamente. Il suo medico è venuto da me e ha detto che la morte di Falk non può assolutamente essere stata causata da un infarto. Falk era in ottima salute. Ma muore. Ed è proprio questo che scatena tutto il resto. Se Falk non fosse morto, possiamo supporre che Sonja Hökberg non sarebbe stata assassinata. Ovviamente sarebbe stata condannata per l'omicidio di Lundberg. Neppure Jonas Landahl sarebbe stato ucciso, e avrebbe continuato ad agire per conto di Falk. Se le cose fossero andate così, quello che Falk e i suoi accoliti hanno progettato sarebbe stato attuato senza che noi ne sapessimo nulla.» «In altre parole è grazie all'improvvisa, ma del tutto naturale morte di Falk che sappiamo che accadrà qualcosa che forse potrà scatenare una reazione a catena in tutto il mondo?» «Per me, è così. Se qualcuno è arrivato a una conclusione diversa, è meglio che lo dica qui e adesso.» Nessuno parlò. Wallander riprese la discussione con due domande alle quali non avevano ancora dato una risposta. In che circostanza Falk e Landahl si erano incontrati? Che cosa li legava? Ma al momento nessuno aveva trovato le risposte. Wallander aveva iniziato a intravedere i contorni di un'organizzazione invisibile, senza rituali, priva di segni esterni, che agiva tramite i suoi simbolici animali notturni. Forse, i suoi interventi appena percettibili avrebbero avuto l'effetto di far crollare l'intero mondo informatico. E da qualche parte nell'ombra, Falk e Landahl si erano incontrati. E per Sonja Hökberg, che un tempo era stata innamorata di Landahl, quell'incontro aveva significato la sua morte. Era tutto quello che sapevano, almeno per il momento.
Alfredsson aprì la sua borsa e prese diversi fogli di carta piegati in due. «Sono gli appunti di Robert Modin» disse. «Erano sparsi un po' dappertutto. Li ho raccolti. Forse vale la pena controllarli.» «Fallo insieme a Martinsson» disse Wallander. «Siete voi gli esperti di queste cose.» Il telefono sul tavolo squillò. Ann-Britt rispose e poi passò il ricevitore a Wallander. Era Hansson. «Uno dei vicini afferma di avere sentito un'auto partire sgommando verso le nove e mezza» disse Hansson. «Ma è tutto quello che siamo riusciti a sapere. Nessuno ha visto o sentito altro. Neppure gli spari.» «C'è stato più di uno sparo?» «Il medico ha parlato di due pallottole nella testa della donna. Due fori di entrata.» Wallander provò un senso di malessere. Fu costretto a deglutire diverse volte. «Sei ancora lì?» «Sì. Dunque, nessuno ha sentito gli spari?» «Almeno quelli con cui abbiamo parlato finora, e sono quelli che abitano nelle case più vicine.» «Chi coordina il lavoro?» «Si chiama Forsman. Non lo conosco.» Neppure Wallander ricordava di averlo mai incontrato. «Che cosa ne pensa?» «Ho cercato di spiegargli tutto, ma ha problemi a capire quale possa essere il movente.» «Rimani lì e fai del tuo meglio. Ora come ora non abbiamo tempo di parlargli.» «Un'altra cosa» disse Hansson. «Modin si è fatto portare qui per prendere i dischetti che aveva dimenticato. Non è così?» «E quello che ha detto.» «Credo di essere riuscito a capire in quale stanza ha dormito. Ho controllato, ma non ho trovato dischetti.» «Questo vuol dire che li ha portati con sé.» «Sembra di sì.» «Hai trovato qualcos'altro che gli appartiene?» «No.» «Avete trovato qualche traccia di altre persone che sono state in quella casa?»
«Uno dei vicini afferma di avere visto un taxi arrivare durante il giorno. Un taxi da cui è sceso un uomo.» «Può essere importante. Bisogna rintracciare quel taxi. Chiedi a Forsman di dargli la priorità.» «Sai benissimo che non posso dire ai colleghi di Malmö quello che devono o non devono fare.» «Lo so. Cerca di rintracciare quel taxi da solo. Quel vicino è riuscito a descrivere l'uomo?» «Ha solo detto che indossava abiti leggeri per la stagione in cui siamo.» «Ha detto così?» «Sì, se non ho capito male.» L'uomo da Luanda, pensò Wallander. L'uomo il cui nome inizia con la lettera C. «Devi assolutamente rintracciare quel taxi» ripeté Wallander. «È probabile che abbia preso il passeggero a uno dei terminal dei traghetti o all'aeroporto di Sturup.» «Farò il possibile.» Wallander fece agli altri un riepilogo della conversazione. «Presumo che siano arrivati dei rinforzi» disse alla fine. «Forse anche da un posto lontano come l'Angola.» «Non ho ricevuto una sola risposta alle mie domande» disse Martinsson. «Su gruppi terroristici che hanno dichiarato guerra ai sistemi finanziari mondiali. Nessuno sembra avere mai sentito parlare di associazioni di vegani radicali, come le chiami tu. Definizione che continuo a trovare piuttosto ingannevole. Nessuno sembra avere mai sentito parlare di sabotaggio informatico.» «C'è sempre una prima volta» disse Wallander. «Iniziando proprio qui a Ystad?» disse Nyberg acidamente. Wallander lo fissò. Di colpo Nyberg gli sembrò molto vecchio. Forse quando gli altri mi guardano pensano la stessa cosa anche di me, si disse. «Nel campo a Sandhammaren, un uomo di origine asiatica si è tolto la vita» rispose Wallander. «Era venuto in Svezia da Hong Kong usando tre passaporti falsi. Potremmo dire la stessa cosa anche in questo caso. Cose simili non succedono qui da noi. Ma invece è stato proprio così. Non esistono più angoli sperduti. Non c'è più alcuna differenza fra le città e la campagna. Con queste nuove tecnologie informatiche, qualsiasi luogo può diventare il centro del mondo.» Il telefono squillò nuovamente. Questa volta fu Wallander a rispondere.
Era ancora Hansson. «Forsman è in gamba» disse. «È uno che sa collaborare. Siamo riusciti a rintracciare il taxi.» «Dove ha caricato il passeggero?» «A Sturup. Avevi ragione.» «Avete parlato con il tassista?» «È qui di fianco a me. Era ancora in servizio. Fra l'altro, Forsman ti manda un saluto. Dice che vi siete incontrati a una conferenza all'inizio dell'anno.» «Ricambia» disse Wallander. «Fammi parlare con il tassista.» «Si chiama Stig Lunne. Te lo passo.» Wallander prese un bloc-notes e una penna. Il tassista parlava con un marcato accento della Scania. Ma le sue risposte erano eccezionalmente concise. Stig Lunne era un uomo che non sprecava le parole. Wallander si presentò e iniziò a fare le domande. «A che ora hai caricato il passeggero?» «Alle dodici e trentadue.» «Come fai a saperlo con tanta precisione?» «Con il computer.» «La corsa era stata prenotata?» «No.» «Dunque tu eri fermo all'aeroporto di Sturup?» «Sì.» «Puoi descrivere il passeggero?» «Era alto.» «Puoi dire altro?» «Magro.» «È tutto?» «Abbronzato.» «L'uomo era alto, magro e abbronzato.» «Sì.» «Parlava svedese?» «No.» «In che lingua ha parlato?» «Non lo so. Mi ha fatto vedere un biglietto con l'indirizzo.» «Non ha detto nulla durante tutto il viaggio?» «No.» «Come ha pagato?»
«In contanti.» «Con corone svedesi?» «Sì.» «Che bagaglio aveva?» «Una borsa a tracolla.» «Niente altro?» «No.» «Aveva i capelli chiari o scuri? Era un europeo?» Wallander rimase sorpreso dalla risposta di Stig Lunne. E non solo perché era la sua prima frase completa. «Mia madre dice che sembro un messicano. Ma io sono nato nella clinica ostetrica di Malmö.» «Dunque vuoi dire che non è facile rispondere alla mia domanda?» «Sì.» «Ma il colore dei capelli?» «Era calvo.» «Hai potuto notare il colore degli occhi?» «Blu.» «Come era vestito?» «Leggero.» «Che cosa vuol dire?» Stig Lunne si lasciò andare un'altra volta. «Indossava abiti estivi e senza soprabito.» «Abiti estivi?» «Un vestito bianco. Leggero.» A Wallander non vennero in mente altre domande da fare. Ringraziò Stig Lunne e gli chiese di farsi vivo in caso gli venisse in mente altro. Erano le tre. Wallander fece un breve riepilogo delle informazioni che Lunne gli aveva dato sul suo passeggero. Martinsson e Alfredsson andarono in un'altra stanza per controllare gli appunti di Modin. Pochi minuti dopo, Nyberg si alzò e uscì a sua volta. Wallander e Ann-Britt erano rimasti soli. «Cosa credi che possa essere successo?» «Non lo so. Ma temo il peggio.» «Chi può essere quell'uomo?» «Qualcuno mandato appositamente. Qualcuno che sa che Robert Modin è riuscito a penetrare a fondo nel mondo di Falk. Ma ovviamente non so chi sia.»
«Ma perché quella donna è stata uccisa?» «Non lo so. E ho paura.» Martinsson e Alfredsson tornarono dopo mezz'ora. Poco dopo, anche Nyberg tornò e si mise a sedere senza dire una parola. «Non è facile capire qualcosa degli appunti di Modin» disse Alfredsson. «Specialmente quando scrive che deve trovare "un distributore automatico del caffè che è davanti ai nostri occhi".» «Quello che vuole dire è che quel processo sarà scatenato da qualcosa del tutto ordinario» disse Wallander. «Qualcosa che facciamo ogni giorno senza pensarci. Come schiacciare un pulsante di un distributore automatico del caffè. E quando quel pulsante verrà schiacciato a un'ora prestabilita in un dato luogo seguendo una certa sequenza, allora succederà qualcosa.» «Quale pulsante?» disse Ann-Britt. «È quello che dobbiamo scoprire.» Cercavano una soluzione. Erano le quattro. Dov'era Robert Modin? Poco prima delle quattro e mezza, Hansson richiamò. Wallander lo ascoltò in silenzio prendendo appunti. Di tanto in tanto faceva una domanda. La conversazione durò più di un quarto d'ora. «Hansson è riuscito a rintracciare una delle amiche di Elvira Lindfeldt» disse Wallander. «Ha raccontato dei dettagli interessanti. Innanzitutto, ha detto che negli anni settanta Elvira Lindfeldt ha lavorato per un lungo periodo in Pakistan.» «Credevo che la pista portasse a Luanda» disse Martinsson sorpreso. «La cosa importante è quello che Elvira Lindfeldt ha fatto in Pakistan.» «Quante ramificazioni ha questa pista nel mondo?» chiese Nyberg. «Poco fa abbiamo parlato dell'Angola. Adesso è il Pakistan. Quale altro paese verrà fuori?» «Non lo sappiamo» disse Wallander. «Sono sorpreso quanto te. Ma l'amica di Elvira Lindfeldt ha dato una risposta interessante.» Wallander fece una pausa e controllò i suoi appunti. «Secondo quella donna, a quei tempi Elvira Lindfeldt lavorava per la Banca mondiale. E qui, abbiamo un legame. Ma non è tutto. A sentire l'amica, Elvira Lindfeldt aveva delle opinioni molto personali. Pensava che il sistema economico mondiale dovesse essere modificato drasticamente. E questo poteva essere fatto solo se prima si distruggeva quello attuale.» «Adesso, abbiamo un altro tassello» disse Martinsson. «E ci sono sempre più persone coinvolte in questa faccenda. Ma non sappiamo ancora dove sono e che cosa accadrà.»
«Stiamo cercando un pulsante» disse Nyberg. «Non è così? O un interruttore? Ma è all'interno o è all'esterno?» «Non lo sappiamo.» «Allora, in altre parole, non sappiamo niente.» L'atmosfera nella sala era tesa. Guardandosi intorno, Wallander poteva leggere sui volti dei suoi colleghi qualcosa che si avvicinava alla disperazione. Non ce la faremo, pensò. Troveremo Robert Modin morto. E non saremo stati capaci di impedire che accadesse. Il telefono squillò. Wallander non ricordava se fosse la terza o la quarta volta. «L'auto di Elvira Lindfeldt» disse Hansson. «Avremmo dovuto pensarci prima.» «Sì» disse Wallander. «Avremmo dovuto farlo.» «Ho saputo che la lasciava sempre in strada. Ma ora non c'è più. Abbiamo diramato un avviso di ricerca. È una Golf. Colore blu scuro. La targa è FHC 803.» Tutte le auto coinvolte in questo imbroglio sono di colore blu scuro, pensò Wallander. Hansson chiese se avessero fatto dei passi avanti a Ystad. Wallander rispose negativamente. Mancavano dieci minuti alle cinque. Rimanevano seduti in attesa senza sapere che cosa fare. Abbiamo perso, pensò Wallander. Martinsson si alzò. «Ho fame» disse. «Devo buttare giù qualcosa. Vado al chiosco giù a Österleden. Qualcuno vuole qualcosa da mangiare?» Wallander scosse il capo. Martinsson prese un foglio e scrisse quello che i colleghi volevano mangiare. Poi uscì dalla sala. Ma tornò quasi subito. «Sono senza soldi» disse. «Qualcuno può anticiparli?» Wallander aveva venti corone. Stranamente, nessun altro aveva del denaro. «Mi fermerò a un Bancomat» disse Martinsson uscendo. Wallander rimaneva seduto con lo sguardo fisso nel vuoto. Iniziava ad avere mal di testa. Ma allo stesso tempo, un pensiero stava prendendo forma nella sua mente senza che ne fosse veramente consapevole. D'un tratto sussultò. Gli altri lo fissarono sorpresi. «Che cosa ha detto Martinsson?» «Che andava a comprare qualcosa da mangiare.» «Non quello. Che cosa ha detto dopo?» «Che sarebbe passato da un Bancomat.»
Wallander annuì lentamente. «Può essere questo? Qualcosa che abbiamo davanti agli occhi ma che non vediamo? Il distributore automatico del caffè che stiamo cercando?» «Devo ammettere che non capisco» disse Ann-Britt. «Qualcosa che facciamo automaticamente senza pensare.» «Come comprare da mangiare?» «No. Piuttosto quando inseriamo la carta e poi prendiamo i soldi e l'estratto conto.» Wallander si rivolse ad Alfredsson. «Avete letto gli appunti di Modin» disse. «C'era qualche riferimento ai Bancomat?» Alfredsson si morse il labbro inferiore. Poi fissò Wallander. «Credo proprio di sì.» Wallander si irrigidì. «Che cosa c'era scritto?» «Non ricordo. Né Martinsson né io abbiamo pensato che fosse importante.» Wallander batté il pugno sul tavolo. «Dove sono i fogli?» «Sono nell'ufficio di Martinsson.» Wallander si era già alzato e aveva raggiunto la porta. Alfredsson lo seguì nell'ufficio di Martinsson. Gli appunti di Modin erano sulla scrivania di fianco al telefono. Alfredsson iniziò a sfogliarli mentre Wallander aspettava impaziente. «Eccolo» disse Alfredsson porgendogli un foglio. Wallander si mise gli occhiali e iniziò a leggere. Il foglio era pieno di disegni di gatti e di galli. In fondo, dopo una serie di combinazioni di cifre apparentemente astruse, Robert Modin aveva scritto una frase sottolineandola diverse volte fino a fare un buco nella carta. Il luogo di attacco idoneo può essere un Bancomat? «È questo quello che cercavi?» Ma non ebbe risposta. Wallander era già uscito per tornare nella sala riunioni. D'improvviso era convinto. Doveva essere così. Giorno e notte, la gente si fermava davanti agli sportelli della città. Da qualche parte, a un'ora precisa di quel giorno, una persona si sarebbe fermata per fare un prelievo e, senza saperlo, avrebbe messo in moto un processo che avrebbe avuto delle conseguenze che non conoscevano ancora ma che temevano. E non pote-
vano escludere che fosse già avvenuto. Wallander era rimasto in piedi. «Quanti Bancomat ci sono a Ystad?» chiese. Nessuno lo sapeva con esattezza. «Forse sono sull'elenco telefonico» suggerì Ann-Britt. «Se non è così, telefona a un direttore di banca e chiediglielo.» Nyberg alzò una mano. «Come fai a essere improvvisamente così sicuro che la tua ipotesi è quella giusta?» «Non lo sono» rispose Wallander. «Ma qualsiasi cosa è meglio che rimanere seduti con le braccia incrociate.» Nyberg non si diede per vinto. «Ma che cosa possiamo fare?» «Se ho ragione» disse Wallander, «è chiaro che non possiamo sapere di quale Bancomat si tratta. O forse possono essere più di uno. Inoltre, non sappiamo neppure quello che accadrà. La sola cosa che possiamo fare è cercare di evitare che accada.» «Significa che vuoi impedire alla gente di prelevare del denaro dai Bancomat?» «Sì, per il momento.» «Ti rendi conto di che cosa implica?» «Che la gente maledirà la polizia per un bel po' di tempo. Che ci saranno proteste.» «Non puoi fare una cosa simile senza l'approvazione del pm. E dopo esserti consultato con un certo numero di direttori di banca.» Wallander si mise a sedere di fronte a Nyberg. «In questo momento non ci penso neppure. Anche se sarà l'ultima cosa che farò come poliziotto a Ystad. O come poliziotto in generale.» Nel frattempo, Ann-Britt aveva consultato l'elenco telefonico. Alfredsson era rimasto seduto in silenzio. «Ci sono quattro sportelli a Ystad» disse Ann-Britt. «Tre in centro e uno vicino ai grandi magazzini. Dove abbiamo trovato Falk.» Wallander rifletté un attimo. «Martinsson è sicuramente andato a uno dei tre in centro. Sono i più vicini a Österleden. Telefonagli. Tu e Alfredsson sorveglierete gli altri due. Io andrò a quello vicino ai grandi magazzini.» Poi, Wallander si rivolse a Nyberg. «Tu, invece, devi telefonare a Lisa Holgersson. Svegliala. Dille esatta-
mente come stanno le cose. Poi dovrà occuparsi di tutto.» Nyberg scosse il capo. «Lisa bloccherà tutto.» «Telefonale» rispose Wallander. «Ma non farlo prima delle sei.» Nyberg lo fissò sorridendo. «Non dobbiamo dimenticare Robert Modin. E l'uomo alto, magro e abbronzato. Non sappiamo che lingua parli. Può anche parlare lo svedese o un'altra lingua. Ma dobbiamo aspettarci che usi il Bancomat che hanno scelto. Ammesso che io abbia ragione. Al minimo dubbio, al più piccolo sospetto dobbiamo contattarci a vicenda.» «Nella mia carriera sono rimasto a sorvegliare un sacco di cose» disse Alfredsson. «Ma mai un Bancomat.» «C'è sempre una prima volta. Hai un'arma?» Alfredsson scosse il capo. «Fagliene avere una» disse Wallander rivolto ad Ann-Britt. «Adesso andiamo.» Alle cinque e nove minuti, Wallander lasciò la centrale di polizia. Il vento aveva ripreso a soffiare e la temperatura si era abbassata. Salì in auto e si avviò versa i grandi magazzini in preda a un forte senso di angoscia. Molto probabilmente la sua teoria era sbagliata. Ma al momento era la sola ipotesi che era riuscito a formulare, ed era meglio che rimanere seduti intorno a un tavolo senza fare nulla. Wallander parcheggiò l'auto davanti all'Ufficio delle imposte. Alzò il colletto della giacca e si guardò intorno. Non c'era anima viva ed era ancora buio. L'alba era ancora lontana. Wallander si avvicinò al Bancomat. Non c'era alcun motivo di rimanere nascosto nell'ombra. Udì il brusio del cellulare che aveva messo in tasca. Appena arrivato, Alfredsson aveva avuto problemi. Alcuni ubriachi avevano continuato a insistere per prelevare del denaro. Alfredsson era stato costretto a chiamare un'auto di pattuglia in aiuto. «Di' che rimangano nelle vicinanze. Non appena la gente inizierà a svegliarsi, avrai molti più problemi.» «Martinsson ha fatto un prelievo prima che lo avvertissimo» disse Alfredsson. «Ma non è successo niente.» «Questo non possiamo saperlo» disse Wallander. «Qualsiasi cosa succeda non lo scopriremo immediatamente.» La conversazione terminò. Wallander volse lo sguardo verso il parcheggio dei grandi magazzini. C'erano solo un carrello della spesa rovesciato e un camioncino. Un cartello che reclamizzava un'offerta speciale rotolava
sospinto dal vento. Mancavano pochi minuti alle cinque e mezza. Un autotreno passò in lontananza sulla strada che portava a Malmö. Wallander iniziò a pensare a Elvira Lindfeldt, ma dopo qualche secondo capì di non avere la forza di affrontare quel pensiero. C'era tempo per capire come avesse potuto essere tanto ingenuo. Si sentiva così umiliato. Girò la schiena al vento e iniziò a battere i piedi per il freddo. Udì un'auto avvicinarsi. Era un'auto con sulle portiere il nome di una ditta che eseguiva riparazioni elettriche. L'auto si fermò e ne scese un uomo alto e magro. Wallander si irrigidì, mise la mano in tasca e strinse il calcio della pistola. Poi lasciò la presa. Aveva riconosciuto l'uomo. Qualche anno prima aveva effettuato delle riparazioni a casa di suo padre a Löderup. L'uomo fece un cenno di saluto con il capo. «Non funziona?» chiese. «Purtroppo non puoi fare un prelievo.» «Allora andrò in centro.» «Non sarà possibile neppure in centro.» «Che cosa è successo?» «Si tratta di un guasto temporaneo.» «Che richiede l'intervento della polizia?» Wallander non rispose. L'uomo risalì nell'auto e se ne andò. Wallander si rese conto di avere trovato una scusa accettabile. Perché non dire che si trattava di un guasto tecnico? Ma poi pensò alle conseguenze che avrebbe potuto avere. Come avrebbe potuto giustificarsi? Come avrebbe reagito Lisa Holgersson? E Martinsson avrebbe avuto un ulteriore argomento per sostenere che Wallander non era più all'altezza del proprio compito. Alzò lo sguardo e vide un uomo che stava attraversando il parcheggio. Era giovane. Era sbucato da dietro al camioncino. E stava camminando verso di lui. Wallander impiegò alcuni secondi per riconoscerlo. Era Robert Modin. Wallander rimase immobile trattenendo il respiro. Non riusciva a capire. Improvvisamente, Modin gli girò le spalle. Wallander capì. Si gettò a lato. La sua era stata una reazione puramente istintiva. L'uomo dietro di lui si era avvicinato dal retro dei grandi magazzini. Era alto, magro, abbronzato, e in mano aveva una pistola. Era a dieci metri di distanza. Wallander era bloccato, non poteva andare da nessuna parte. Chiuse gli occhi. Provava la stessa sensazione che aveva provato nel campo. Il tempo che finiva. Era arrivato fin lì ma non sarebbe andato oltre. Rimase in attesa dello sparo. Wallander riaprì gli occhi. L'uomo teneva la pistola puntata su di lui. Ma continuava a guardare l'orologio. È l'ora. Avevo ragione. Su co-
sa non lo so. Ma avevo ragione. Carter fece cenno a Wallander di avvicinarsi con le mani alzate. Prese la sua pistola e la gettò nel cestino di fianco allo sportello. Poi, prese una carta Bancomat di tasca con la mano sinistra e disse alcune cifre in uno svedese stentato. «Uno, cinque, cinque, uno.» L'uomo gettò la carta ai piedi di Wallander indicandola con la pistola. Wallander la raccolse. L'uomo indicò il Bancomat con un movimento improvvisamente nervoso. Wallander si avvicinò al Bancomat. Girò la testa e vide Robert Modin che rimaneva immobile. In quel momento, Wallander non si preoccupava di quello che sarebbe successo dopo avere inserito la carta e digitato il codice. Robert Modin era vivo. Quella era la cosa più importante di tutte. Ma come avrebbe potuto salvare se stesso? Quale poteva essere la via di uscita? Se avesse cercato di attaccarlo, l'uomo gli avrebbe sicuramente sparato. Robert Modin non sarebbe riuscito a scappare e avrebbe fatto la sua stessa fine. Wallander inserì la carta. In quello stesso istante udì uno sparo. La pallottola rimbalzò sibilando sull'asfalto. L'uomo si girò. Wallander vide Martinsson all'ingresso del parcheggio a più di trenta metri di distanza. Si gettò di lato, infilò la mano nel cestino e riuscì ad afferrare la sua pistola. L'uomo puntò la pistola verso Martinsson e sparò. Ma non lo colpì. Wallander sparò a sua volta. Il proiettile colpì l'uomo al torace. Cadde a terra e non si mosse più. Robert Modin era rimasto immobile. «Tutto a posto?» urlò Martinsson. «Sì. Puoi avvicinarti» rispose Wallander. L'uomo disteso sull'asfalto era morto. «Perché sei venuto qui?» chiese Wallander. «Ho pensato che la tua teoria era corretta, allora non poteva che essere questo il Bancomat» rispose Martinsson. «Mi sono chiesto perché Falk avrebbe dovuto usare questo sportello, quando ce ne sono tre vicino a casa sua. Ho chiesto a Nyberg di prendere il mio posto giù in centro.» «Ma gli avevo detto di telefonare a Lisa.» «Esistono i cellulari, ricordi?» «Rimani qui» disse Wallander. «Io vado a parlare con Robert Modin.» Martinsson indicò il corpo dell'uomo. «Chi è?» chiese. «Non lo so. Ma credo che il suo nome inizi con una C.» «È tutto finito, ora?»
«Forse. Almeno credo. Ma non saprei proprio dire che cosa è finito.» Wallander pensò che avrebbe dovuto ringraziare Martinsson. Ma non disse nulla. Invece si avviò verso Modin che era ancora fermo, immobile nello stesso punto. Presto o tardi Wallander e Martinsson si sarebbero incontrati in un corridoio deserto per regolare i conti in sospeso. Robert Modin aveva le lacrime agli occhi. «Mi ha detto di avvicinarmi a te e se non lo avessi fatto avrebbe ucciso mio padre e mia madre.» «Ne parleremo più tardi» disse Wallander. «Come stai?» «Prima mi ha detto che dovevo restare a Malmö e finire il mio lavoro. Ma poi ha sparato a quella donna. Mi ha rinchiuso nel bagagliaio dell'auto e siamo arrivati qui. Non c'era aria. Ma avevamo ragione.» «Sì» disse Wallander. «Avevamo ragione.» «Hai trovato il foglio con il mio appunto?» «Sì, l'ho trovato.» «È stato solo più tardi che ho iniziato a credere che fosse veramente così. Che si trattasse di un Bancomat. Dove la gente va e viene ogni giorno.» «Avresti dovuto parlarmene» disse Wallander. «Ma forse io avrei dovuto capirlo da solo. Già all'inizio eravamo convinti che fosse una questione di denaro. Avrei dovuto pensare che un Bancomat è il nascondiglio perfetto.» «Una rampa di lancio per un virus informatico» disse Modin. «Non si può certo dire che fossero degli stupidi.» Wallander fissò il giovane. Per quanto tempo sarebbe riuscito ancora a resistere? Improvvisamente, ebbe la sensazione di avere già vissuto quell'attimo con un altro ragazzo. Poi, capì che stava pensando a Stefan Fredman. Ma ora, quel ragazzo era morto e sepolto. «Che cosa è successo in quella casa a Malmö?» chiese Wallander. «Te la senti di rispondere?» «Quando la tua amica mi ha fatto entrare, lui era già lì. Mi ha minacciato, e poi mi ha chiuso nel bagno. Lo sentivo urlare e inveire contro quella donna. Parlava in inglese. E io lo capisco bene.» «Che cosa diceva?» «Che lei non aveva saputo portare a termine il proprio incarico. Che si era dimostrata debole e inaffidabile.» «Hai potuto sentire altro?» «No. Solo gli spari. Quando ha aperto la porta del bagno ho creduto che
volesse uccidere anche me. Impugnava la pistola. Ma mi ha solo detto che ero il suo ostaggio. E che dovevo fare quello che mi diceva. Altrimenti avrebbe ucciso i miei genitori.» Robert Modin aveva pronunciato l'ultima frase con voce rotta. «Continueremo più tardi» disse. «Adesso basta. È più che sufficiente.» «Ha detto che avrebbero distrutto l'intero sistema finanziario mondiale. E che tutto avrebbe avuto inizio da quel Bancomat.» «Lo so» disse Wallander. «Ma ne parleremo più tardi. Adesso devi dormire. Ti farò portare a casa a Löderup. Avremo tempo di parlare più tardi.» «A dire il vero è fantastico.» Wallander lo fissò incuriosito. «Che cosa vuoi dire?» «Quello che è possibile fare. Con un piccolo missile a tempo, nascosto in un Bancomat da qualche parte.» Wallander non rispose. Le auto della polizia si stavano avvicinando a sirene spiegate. Wallander alzò lo sguardo e vide una Golf blu scuro parcheggiata dietro al camioncino. Era impossibile vederla dal Bancomat. Anche se era sfinito, provava un grande senso di sollievo. Martinsson si era avvicinato. «Dobbiamo parlare» disse. «Sì» rispose Wallander. «Ma non adesso.» Erano le sei e nove minuti. Lunedì, 20 ottobre. Wallander si chiese come sarebbe stato l'inverno. 40. Martedì 11 novembre Wallander venne a sapere, con sua grande sorpresa, di essere stato scagionato dall'accusa di maltrattamenti nei confronti di Eva Persson. Era stata Ann-Britt a dargli la notizia. Proprio grazie al suo lavoro era stato possibile arrivare a quel risultato. Ma Wallander era venuto a sapere come si erano svolti i fatti solo molto più tardi. Alcuni giorni prima, Ann-Britt era andata a parlare con Eva Persson e con sua madre. Nessuno riuscì mai a sapere con esattezza quello che si erano dette. Tutto si era svolto senza testimoni e, contro ogni regola, non era stato redatto alcun verbale. Ma Ann-Britt aveva fatto capire a Wallander di avere usato «una forma benigna di ricatto emotivo», senza però spiegare di che cosa si trattasse realmente. Da altri dettagli che Ann-Britt gli aveva raccontato, Wallander era arrivato alla conclusione che Eva
Persson aveva iniziato a pensare al proprio futuro. Anche se fosse stata scagionata dai sospetti di avere partecipato attivamente all'assassinio di Lundberg, una falsa accusa contro un poliziotto avrebbe potuto avere delle conseguenze spiacevoli. Nessuno venne mai a sapere nel dettaglio quello che era stato detto. Ma il giorno dopo, l'avvocato di Eva Persson aveva formalmente ritirato la denuncia contro Wallander. Sia lei che la madre avevano ammesso che i fatti si erano svolti come Wallander aveva sempre sostenuto. Eva Persson aveva confessato di avere aggredito sua madre. A dispetto di ciò, un procedimento legale ordinario fu iniziato contro Wallander. Ma il caso fu rapidamente archiviato con grande sollievo di tutti. Ann-Britt aveva fatto in modo che un certo numero di giornalisti, scelti accuratamente, ne fosse informato. Ma nessun giornale diede molto spazio alla notizia che la denuncia nei confronti di Wallander era stata ritirata. Quel martedì era una giornata eccezionalmente fredda nella Scania, con raffiche di vento da nord che a tratti raggiungevano la forza di una tempesta. Dopo una notte agitata popolata da sogni inquietanti, Wallander si era svegliato presto. Sogni che non ricordava nel dettaglio. Ma era stato inseguito e quasi soffocato da ombre aggressive e da masse informi che minacciavano di schiacciarlo. Wallander arrivò alla centrale di polizia poco prima delle otto, ma non vi rimase a lungo. Il giorno prima aveva deciso di avere le risposte alle domande che lo avevano assillato così a lungo, una volta per tutte. Dopo aver letto alcuni rapporti ed essersi assicurato che l'album di fotografie fosse veramente stato restituito a Marianne Falk, lasciò la centrale di polizia e andò a casa della famiglia Hökberg. Il giorno prima, aveva informato Erik Hökberg della sua visita. Emil, il fratello di Sonja, era a scuola, e la madre di Sonja era andata, come spesso accadeva, a trovare sua sorella a Höör. Da quello che Wallander aveva sentito dire, il funerale di Sonja Hökberg era stato straziante. Appena entrato nella casa, Wallander disse a Erik Hökberg che non sarebbe rimasto a lungo. «Hai detto che vuoi vedere la camera di Sonja» disse Erik Hökberg. «Se devo essere sincero, non riesco a capire perché.» «Te lo spiegherò quando saliremo a vederla. In altre parole, voglio che tu venga su con me.» «Non abbiamo toccato niente. Non abbiamo ancora avuto la forza di farlo.» Salirono al primo piano ed entrarono nella camera rosa dove, già dalla sua prima visita, Wallander aveva avuto la sensazione che ci fosse qualco-
sa di molto strano. «Io credo che questa stanza non sia sempre stata così. Qualcuno ha fatto dei cambiamenti. Non è così?» Erik Hökberg lo fissò sorpreso. «Come fai a saperlo?» «Non lo sapevo. La mia era solo una domanda.» Erik Hökberg deglutì. Wallander rimase pazientemente in attesa. «È stato dopo quell'incidente» disse Erik Hökberg. «Dopo lo stupro. Un giorno, Sonja ha tolto tutto quello che c'era sulle pareti e ha rimesso quello che c'era prima. Quando era più giovane. Avevamo conservato le sue cose in soffitta in una scatola di cartone. Non siamo mai riusciti a sapere per quale motivo lo abbia fatto, e Sonja non ci ha mai detto nulla.» Le era stato sottratto qualcosa, pensò Wallander. E Sonja ha cercato di fuggire in due diversi modi. In parte tornando alla propria infanzia, dove niente era stato distrutto. E in parte vendicandosi per interposta persona. «È esattamente quello che volevo sapere» disse Wallander. «Perché per te è così importante saperlo proprio ora? Ormai niente può cambiare quello che è accaduto. Sonja non può ritornare. Per Ruth, per me e per Emil non rimane che una vita a metà. E forse neppure quella.» «Talvolta è necessario arrivare a una conclusione» disse Wallander incerto. «Le domande che rimangono senza una risposta possono diventare un tormento senza fine. Ma quello che dici è vero. Purtroppo le risposte non cambiano nulla.» Uscirono dalla stanza e scesero al piano terra. Erik Hökberg chiese se volesse un caffè, ma Wallander disse di no. Voleva andarsene da quella casa distrutta dal dolore il più rapidamente possibile. Raggiunto il centro di Ystad, parcheggiò in Hamngatan e andò a piedi fino alla libreria che aveva appena aperto, per prendere il libro che avrebbe dovuto ritirare da tempo. Rimase stupito dal prezzo, chiese una confezione regalo e tornò all'auto. Linda sarebbe arrivata a Ystad il giorno dopo e Wallander avrebbe potuto finalmente regalarle il libro. Tornò alla centrale di polizia poco dopo le nove. Raccolse tutto il materiale relativo all'indagine e venti minuti dopo si avviò verso la sala riunioni. Quel mattino, avevano in programma un ultimo riepilogo di tutto quello che era successo dopo la morte improvvisa di Tynnes Falk davanti al Bancomat. Avevano deciso di analizzare tutto il materiale dell'indagine, prima di consegnarlo al pm Viktorsson. Dato che l'assassinio di Elvira Lindfeldt era di competenza della polizia di Malmö, l'ispettore Forsman, che seguiva
il caso, era presente alla riunione. A quell'ora, Wallander non sapeva ancora che Eva Persson e sua madre avevano ritirato la denuncia per maltrattamenti. Ann-Britt glielo avrebbe comunicato solo nel pomeriggio. Ma in quel momento, la cosa non lo preoccupava eccessivamente. Per lui, la cosa più importante era che Robert Modin fosse sano e salvo. In qualche modo, quel fatto lo aiutava a sopportare un vago senso di colpa che lo assaliva di tanto in tanto. Se solo avesse analizzato i fatti in modo diverso, forse avrebbe anche potuto evitare la morte di Jonas Landahl. Dentro di sé era consapevole che quel senso di colpa era illogico. Sarebbe stato come chiedere l'impossibile. Ma quel pensiero ritornava regolarmente e continuava ad assillarlo. Per una volta, Wallander fu l'ultimo a entrare nella sala riunioni. Salutò Forsman e si ricordò di averlo incontrato a una conferenza anni prima. Hans Alfredsson era tornato a Stoccolma e Nyberg era a casa con l'influenza. Wallander prese posto. Iniziarono a esaminare il voluminoso materiale dell'indagine. La riunione continuò fino all'una. Solo allora riuscirono a scrivere la parola fine. Durante le tre settimane che erano passate dalla drammatica sparatoria davanti al Bancomat, i dettagli che prima erano ancora ambigui e nebulosi erano diventati più chiari e accessibili. In diverse occasioni, Wallander aveva potuto constatare come avevano avuto ragione, anche se le conclusioni alle quali erano riusciti ad arrivare erano più il risultato di congetture rischiose che di fatti reali noti. Inoltre, era chiaro per tutti che il contributo di Robert Modin era stato fondamentale. Era stato lui a identificare i sistemi di sicurezza e a trovare il modo di penetrarli. In quelle tre settimane avevano ricevuto un costante e sempre più intenso flusso di informazioni dall'estero. Alla fine erano riusciti a scoprire la vastità di quell'incredibile cospirazione. L'identità e la storia dell'uomo che era venuto da Luanda e che si chiamava Carter erano state stabilite. Finalmente, Wallander aveva avuto una risposta alla domanda che si era posto tante volte durante l'indagine: che cosa era successo in Angola? Ora, se non altro, erano riusciti a fare chiarezza su quell'interrogativo. Tynnes Falk e Carter si erano incontrati a Luanda negli anni settanta, probabilmente per puro caso. Naturalmente come si fosse svolto quell'incontro e quello che i due uomini si erano detti poteva solo essere intuito. Ma qualcosa aveva unito i due. Avevano creato un sodalizio nel quale un insieme di desiderio di vendetta, di presunzione e
ambigua sicurezza di essere i prescelti, erano state le caratteristiche predominanti. Falk e Carter avevano deciso di attaccare il sistema finanziario globale. Lo avrebbero fatto inviando il loro missile elettronico al momento opportuno. La conoscenza di Carter delle strutture finanziarie, e la competenza informatica di Falk avevano costituito una combinazione tanto ideale quanto pericolosa. Pianificando passo per passo il loro attacco, si erano gradualmente trasformati in due profeti con una missione. Avevano creato un'organizzazione segreta e saldamente controllata, nella quale individui come Fu Cheng da Hong Kong, Elvira Lindfeldt e Jonas Landahl dalla Scania, erano rimasti irrimediabilmente coinvolti. Lentamente si era venuta a creare una setta rigorosamente gerarchica. Carter e Falk prendevano tutte le decisioni. Le persone che erano ammesse nella loro cerchia erano considerate degli eletti. Anche se non vi erano ancora prove chiare, era possibile supporre che Carter avesse provveduto personalmente a giustiziare non pochi membri della setta che avevano dimostrato di non essere all'altezza della loro missione. O altri che avevano tentato di uscire dall'organizzazione. Fra i due, Carter era stato il missionario. Anche se aveva lasciato la Banca mondiale, continuava a prestare saltuari servizi di consulenza per quell'organizzazione. Era stato durante uno di questi che aveva avuto modo di incontrare Elvira Lindfeldt in Pakistan. Ma non riuscirono mai a sapere come fosse venuto in contatto con Jonas Landahl. Wallander era sempre più convinto che Carter fosse il capo folle di una setta. Un calcolatore senza scrupoli. La personalità di Falk era molto più complessa. Non erano riusciti a scoprire alcun segno di efferatezza. Ma era sempre più evidente che Falk era un uomo con un bisogno ben dissimulato di affermarsi. Un uomo che, alla fine degli anni sessanta e per un periodo relativamente breve, era stato membro di gruppi di estrema destra e di estrema sinistra. Ma che presto si era disimpegnato e aveva invece iniziato a sviluppare un suo profetico disprezzo per l'umanità. In Angola, le strade di Carter e Falk si erano incrociate. Si erano guardati e avevano scoperto la propria immagine riflessa nell'altro. La polizia di Hong Kong aveva trasmesso un lungo rapporto su Fu Cheng, il cui vero nome era Hua Gang. L'Interpol li aveva informati che le sue impronte corrispondevano a quelle rilevate su diverse scene di reati, fra i quali due rapine a mano armata a una banca di Francoforte e a una di Marsiglia. Anche se non era stato possibile provarlo, si poteva presumere che il denaro fosse stato usato per finanziare l'operazione che Falk e Carter
stavano organizzando. Inoltre, nel passato Hua Gang era stato un membro della criminalità organizzata clandestina. Senza essere mai stato condannato, era stato sospettato di svariati omicidi in Asia e in Europa, tutti commessi sotto falsa identità. Non vi era alcun dubbio che fosse stato lui a uccidere Sonja Hökberg e anche Jonas Landahl. Le impronte digitali e le testimonianze raccolte confermavano i sospetti. Ma era chiaro per tutti che Fu Cheng era stato un esecutore degli ordini di Carter, e forse anche di Falk. L'organizzazione sembrava avere ramificazioni in tutti i continenti. Ma per avere una mappa completa rimaneva ancora molto lavoro da fare. La conclusione che potevano già trarre al momento, era che non esisteva comunque alcun motivo per temere che il processo continuasse. Con la morte di Carter e di Falk, l'organizzazione aveva comunque cessato di esistere. A parte il frammento della frase che Robert Modin aveva udito mentre Carter accusava Elvira Lindfeldt, non riuscirono mai a capire per quale motivo l'avesse uccisa. Ovviamente, la donna era al corrente di troppe cose e non era più utile all'organizzazione. Wallander pensava che Carter fosse arrivato in Svezia in preda al panico. Carter e Falk avevano deciso di creare il caos nel mondo della finanza e le conclusioni alle quali la squadra investigativa era arrivata erano terrificanti. Un semplice gesto avrebbe potuto provocare la catastrofe. Se Robert Modin o Wallander avessero inserito la carta e digitato il codice esattamente alle cinque e trentuno di quel lunedì 20 ottobre, avrebbero scatenato la slavina elettronica. Gli esperti che in quelle tre settimane avevano avuto il tempo di eseguire un controllo provvisorio del programma che Tynnes Falk aveva ideato, erano impalliditi. Il livello di vulnerabilità delle organizzazioni che Falk e Carter avevano preso di mira segretamente era sorprendente. In tutto il mondo, i diversi gruppi di esperti stavano lavorando intensivamente per valutare le conseguenze che la slavina avrebbe potuto avere se fosse stata messa in moto. Ma né Modin, né Wallander avevano inserito la carta di Carter. Di conseguenza non era successo nulla, a parte il fatto che, quel lunedì, un notevole numero di Bancomat nella Scania aveva avuto problemi che nessuno era riuscito a spiegare. I controlli effettuati non avevano rilevato alcuna anomalia. Poi, improvvisamente, tutti i Bancomat avevano ripreso a funzionare normalmente. L'indagine e le conclusioni alle quali la squadra investigativa era gradualmente arrivata erano state tenute accuratamente segrete.
Gli omicidi di Sonja Hökberg, Jonas Landahl ed Elvira Lindfeldt erano stati chiariti. Fu Cheng si era suicidato. Forse quel gesto faceva parte dei rituali dell'organizzazione segreta che imponeva di non lasciarsi catturare. Ma anche a quella domanda, non avevano mai avuto una risposta. Carter era stato ucciso da Wallander. Ma non erano riusciti a scoprire per quale motivo Sonja Hökberg fosse stata gettata nella cabina dei trasformatori, o come Tynnes Falk fosse riuscito a procurarsi un disegno della principale installazione della Sydkraft. Al di là di questo, erano riusciti a risolvere il mistero della porta di acciaio della cabina che era stata trovata aperta. E questo grazie alla testardaggine di Hansson. Era riuscito a sapere che qualcuno era penetrato nella casa di Moberg, durante il suo periodo di vacanze. Ma le sue chiavi della centrale non erano state rubate. Secondo Hansson, la persona che si era introdotta in casa cercava quelle. Ma aveva semplicemente scritto il numero impresso sulle chiavi e poi, corrompendo qualcuno che lavorava nella fabbrica americana che produceva le serrature, era riuscita ad averne una copia. Controllando il passaporto di Jonas Landahl, avevano scoperto che il giovane era stato negli Stati Uniti un mese dopo il furto a casa di Moberg. Dopo le rapine alle banche di Francoforte e di Marsiglia, non erano sicuramente mancati i fondi per l'operazione delle chiavi. Pazientemente cercarono una risposta a tutti i quesiti dell'inchiesta ancora poco chiari. Fra le altre cose, avevano scoperto che Tynnes Falk aveva una casella in un Ufficio postale al centro di Malmö. Ma non riuscirono mai a capire perché avesse detto a Siv Eriksson che avrebbe fatto pervenire la sua posta al suo indirizzo. Il giornale di bordo e le dita di Tynnes Falk non furono mai ritrovati. Alla fine, i medici dell'Istituto di patologia erano arrivati alla conclusione che Falk era realmente morto per cause naturali. La teoria di Enander, il suo medico personale, secondo il quale non si era trattato di un infarto si era rivelata corretta. La morte di Tynnes Falk era stata provocata dalla rottura di un'arteria nel cervello difficilmente individuabile. Anche nel caso dell'assassinio del tassista non vi erano più dubbi. Sonja Hökberg aveva agito ciecamente, spinta da un ossessionante desiderio di vendetta. Lundberg era stato il sostituto di suo figlio. Nessuno riuscì mai a spiegare perché non avesse cercato di vendicarsi sull'uomo che l'aveva violentata. Inoltre, a dispetto di un attento esame psichiatrico, non riuscirono neppure a dare una spiegazione soddisfacente all'impassibilità di Eva Persson. Ma erano certi che la ragazza non avesse usato né il martello né il coltello. Alla fine chiarirono anche un altro punto oscuro. Eva Persson aveva cambia-
to la propria versione per il semplice motivo che non voleva addossarsi la responsabilità di un atto che non aveva commesso. E quando lo aveva fatto, non era a conoscenza della morte di Sonja Hökberg. Aveva semplicemente agito per istinto di conservazione. Nessuno sapeva dire quale sarebbe stato il suo futuro. Non tutte le domande avevano avuto una risposta. Un giorno, Wallander trovò sulla sua scrivania un lungo rapporto con il quale Nyberg confermava che la borsa che era stata trovata a bordo del traghetto per la Polonia apparteneva a Landahl. Purtroppo, non era stata trovata traccia di indumenti o di qualsiasi altro oggetto che Landahl poteva avere messo in quella borsa. Con tutta probabilità, Hua Gang li aveva gettati fuoribordo allo scopo di ritardare il riconoscimento di Landahl. Soltanto il suo passaporto era stato ritrovato. Con un sospiro, Wallander mise il rapporto su una pila di altri. La cosa più importante rimaneva capire a fondo la portata dei progetti di Carter e Falk. Wallander era certo che i due avevano avuto l'intenzione di non limitarsi all'attacco al sistema finanziario mondiale. Era chiaro che avevano progettato una serie di attentati a importanti centri di rifornimento energetico. E non erano stati capaci di resistere alla tentazione di fare sfoggio di tutta la loro presunzione, lasciando la prova della propria esistenza, come quando Carter aveva ordinato a Hua Gang di lasciare un relè sulla lettiga vuota e di riportare il cadavere di Falk davanti al Bancomat dopo avergli reciso due dita. Era possibile intuire connotazioni rituali e religiose nel macabro mondo in cui Carter e Falk erano assurti allo status di dei. A dispetto di tutta la brutalità e l'arroganza di considerarsi degli esseri superiori, Wallander non poteva negare che Falk e Carter avevano fatto capire qualcosa di molto importante. La vulnerabilità della società nella quale vivevano era più rilevante di quanto chiunque avrebbe mai potuto immaginare. Durante quel periodo, un'altra nozione era maturata nella mente di Wallander. Nel futuro, la società avrebbe avuto bisogno di un tipo di poliziotto completamente diverso. Questo non perché l'esperienza e la conoscenza che Wallander stesso rappresentava fossero superate. Ma perché vi erano nuove realtà che non conosceva per niente. In senso più generale, Wallander era stato costretto ad accettare l'idea di essere veramente vecchio. Un vecchio segugio che non riusciva più a imparare nuovi trucchi.
Spesso, durante le lunghe serate trascorse in solitudine nel suo appartamento a Mariagatan, aveva affrontato mentalmente il problema della vulnerabilità. Non solo quella della società, ma anche la sua. In qualche modo, sembrava che si intrecciassero. Wallander cercò di capire le proprie reazioni mettendole in relazione a due diversi aspetti. In parte, si era venuta a creare una società che non conosceva per niente. Nel suo lavoro, vedeva senza sosta esempi di forze brutali che emarginavano degli esseri umani senza alcuna pietà. Vedeva giovani che avevano perso ogni fiducia in se stessi ancora prima di avere finito la scuola dell'obbligo, vedeva l'abuso di droghe e alcol crescere sempre più, ricordava Sofia Svensson che aveva vomitato sul sedile posteriore della sua auto. La Svezia era una nazione dove le vecchie spaccature si allargavano e dove di nuove se ne creavano senza sosta, un paese dove barriere invisibili circondavano i sempre più ristretti gruppi di persone abbienti. Mentre mura sempre più alte si stavano alzando intorno alle persone che vivevano ai freddi margini della società: i disadattati, i tossicodipendenti, i disoccupati. In parallelo, un'altra rivoluzione era in atto. La rivoluzione della vulnerabilità, in cui i centri informatici, sempre più predominanti ma allo stesso tempo sempre più fragili, regolavano la società. Il prezzo da pagare per il costante incremento dell'efficienza era di rimanere senza difese contro le forze che si dedicavano al sabotaggio e al terrore. Poi, c'era anche la questione della sua stessa vulnerabilità. La solitudine, l'amor proprio vacillante. L'essere consapevole che Martinsson lo stava sorpassando. Il senso di insicurezza davanti a tutto ciò che era nuovo e che modificava in continuazione il suo lavoro, mettendo continuamente alla prova la sua capacità di adattamento e rinnovamento. Spesso, durante quelle sere a Mariagatan, Wallander arrivava alla conclusione di non avere più la forza di andare avanti. Ma sapeva che doveva continuare. Almeno per altri dieci anni. Ormai, non aveva più alternative. Era un poliziotto che conduceva indagini, che svolgeva ricerche. Passare la vita andando di scuola in scuola a parlare dei pericoli rappresentati dai vari abusi o a insegnare le regole del traffico gli sembrava impossibile. Quello era un mondo che non sarebbe mai stato suo. All'una la riunione finì e il materiale dell'indagine venne consegnato al pm. Dato che tutti i colpevoli erano morti, nessuno sarebbe stato condannato. Ma sul tavolo del pm c'era la bozza per la richiesta di revisione del processo a Carl-Einar Lundberg. Dopo la riunione, poco prima delle due, Ann-Britt entrò nell'ufficio di
Wallander e lo informò che Eva Persson e sua madre avevano ritirato la denuncia contro di lui. Ovviamente, Wallander provò una sensazione di sollievo, ma non di sorpresa. Anche se era sempre più incerto su come funzionava la giustizia in Svezia, in verità non aveva mai dubitato che alla fine la verità su quello che era realmente accaduto nella stanza degli interrogatori sarebbe venuta a galla. Rimasero a discutere sulla possibilità per Wallander di passare al contrattacco. Ann-Britt sosteneva che avrebbe dovuto farlo. Se non per se stesso, almeno per il corpo di polizia. Ma Wallander non voleva, si rifiutava, sostenendo che la cosa migliore da fare era dimenticare tutto. Quando Ann-Britt uscì dal suo ufficio, rimase seduto immobile a lungo. La sua mente era vuota. Poi, si alzò e andò a prendere un caffè. Sulla porta della mensa, incontrò Martinsson. In quelle tre settimane, Wallander aveva provato una strana e per lui insolita titubanza. In casi normali non avrebbe mai esitato ad affrontare il problema che era sorto, ma quello che era accaduto con Martinsson era più complesso e profondo. Si trattava di una comunanza perduta, di un tradimento, di un'amicizia spezzata. Quando vide Martinsson davanti a sé, capì che era arrivato il momento. Non era più possibile rinviarlo. «Dobbiamo parlarci» disse. «Hai tempo?» «Ti aspettavo.» Tornarono nella sala riunioni che avevano lasciato qualche ora prima. Wallander andò dritto al punto. «So che stai agendo alle mie spalle. So che stai cercando di screditarmi. Hai messo in dubbio la mia capacità di condurre questa inchiesta. Solo tu puoi spiegare il motivo che ti ha spinto a farlo di nascosto invece di venire a dirmelo direttamente. Naturalmente io ho una mia teoria. Tu mi conosci. Tu conosci il mio modo di pensare. L'unica spiegazione che riesco a dare al tuo comportamento è che vuoi preparare le basi per un avanzamento di carriera. E che sei disposto a fare qualsiasi cosa per ottenerlo.» Quando Martinsson rispose, lo fece con estrema calma. Wallander capì che si era preparato a sostenere quel confronto. «Non userò mezze parole. Tu non hai più il controllo delle situazioni. Ovviamente posso essere accusato di non averlo detto prima.» «Perché non sei venuto a dirmelo direttamente?» «Ho cercato di farlo. Ma tu non hai voluto ascoltare.» «Ora sono pronto ad ascoltarti.» «Tu credi di farlo. Non è la stessa cosa.»
«Perché hai detto a Lisa che ti ho impedito di seguirmi in quel campo?» «Lisa deve avere capito male le mie parole.» Wallander fissò Martinsson. Per un attimo fu tentato di colpirlo nuovamente, ma sapeva che non poteva farlo. Non ne valeva la pena. Non avrebbe fatto cambiare atteggiamento a Martinsson, che avrebbe continuato a credere alle proprie menzogne. O almeno non avrebbe smesso di difenderle. «Volevi dirmi altro?» «No» disse Wallander. «Non ho niente altro da dirti.» Martinsson si girò e se ne andò. Wallander aveva la sensazione che il mondo gli stesse crollando addosso. Martinsson aveva fatto la sua scelta. L'amicizia era svanita, distrutta. Con una sensazione di crescente terrore, si chiese se fosse mai veramente esistita. O se Martinsson fosse sempre stato in attesa di un'occasione per attaccarlo. Il dolore si riversava a fiotti nella sua mente. Improvvisamente, fu interrotto da un'ondata di rabbia. Non mi arrenderò mai, pensò. Continuerò a condurre le più complicate indagini qui a Ystad ancora per alcuni anni. Ma la sensazione di avere perso qualcosa per sempre era più forte della rabbia. Ancora una volta, Wallander si chiese che cosa avrebbe dovuto fare per trovare la forza di andare avanti. Subito dopo il colloquio con Martinsson, uscì dalla centrale di polizia. Lasciò il cellulare nell'ufficio e non disse a Irene dove stava andando né quando sarebbe tornato. Salì nell'auto e prese la statale per Malmö. Senza sapere perché, arrivato alla deviazione imboccò la strada che portava a Stjärnsund. Ma forse la perdita di due amicizie era un peso troppo difficile da sopportare. Wallander era tornato spesso con il pensiero a Elvira Lindfeldt, la donna che era entrata nella sua vita sotto false spoglie. Ma ogni volta era stato costretto ad ammettere che forse Elvira Lindfeldt non avrebbe esitato a ucciderlo. Eppure, non riusciva a dimenticare ciò che quella donna aveva rappresentato per lui. Una donna che era rimasta seduta davanti a lui ascoltando quanto le diceva. Una donna con delle belle gambe che per alcuni attimi lo aveva fatto uscire dalla sua solitudine. Si fermò davanti alla scuderia deserta di Sten Widén. Un cartello indicava che la tenuta era in vendita. Poco più lontano c'era un altro cartello che segnalava che la tenuta era già stata venduta. Wallander passò davanti alla casa che sembrava abbandonata. Arrivò alla scuderia. I box erano vuoti.
Un gatto disteso su una balla di fieno lo fissava attentamente. Provò un nodo in gola. Sten Widén se ne era andato. Senza neppure curarsi di dirgli addio. Risalì nell'auto e partì a tutta velocità. Quel giorno, non tornò più alla centrale di polizia. Per tutto il pomeriggio guidò senza una meta per le strade secondarie che attraversavano la campagna intorno a Ystad. Si fermava di tanto in tanto, scendeva dall'auto e rimaneva a fissare i campi. Quando iniziò a fare buio tornò in città, fece la spesa e poi andò a casa a Mariagatan. Quella sera, ascoltò La traviata di Verdi due volte di seguito. Poi, telefonò a Gertrud per dirle che sarebbe andato a farle visita il giorno dopo. Poco prima di mezzanotte il telefono squillò. Wallander si irrigidì. Speriamo che non sia successo qualcosa, pensò. Non adesso, non di nuovo. Nessuno avrebbe più la forza di seguire un nuovo caso. Ma quando rispose, udì la voce di Baiba che telefonava da Riga. Wallander si disse che era passato più di un anno da quando si erano parlati per l'ultima volta. «Volevo solo sapere come stavi.» «Sto bene. E tu?» «Anch'io.» Poi, rimasero entrambi in silenzio per diversi secondi. «Mi pensi qualche volta?» chiese Wallander. «Perché credi che ti abbia telefonato?» «Volevo solo saperlo.» «E tu?» «Io ti penso sempre.» Wallander si rese conto che Baiba aveva capito che non aveva detto la verità. Più che una menzogna, la sua frase era stata un'esagerazione. Non sapeva perché l'avesse detta. Baiba apparteneva a un passato ormai lontano. Eppure non riusciva a dimenticarla. O piuttosto a cancellare il ricordo dei momenti che avevano passato insieme. Si scambiarono alcune frasi di convenienza. Poi la conversazione finì. Wallander posò il ricevitore lentamente. Sento la mancanza di Baiba?, si chiese. Ma non riuscì a darsi una risposta. Le mura inviolabili non esistevano solo nei computer. Erano anche dentro di lui. E non sempre sapeva come fare per scavalcarle.
Il giorno dopo, mercoledì 12 novembre, il forte vento si era placato. Wallander si era svegliato presto. Aveva preso un giorno libero. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare l'ultima volta che non era andato al lavoro in un giorno feriale. Ma dato che Linda sarebbe arrivata all'aeroporto di Sturup all'una del pomeriggio, aveva deciso di prendere un giorno di ferie e di usare la mattina per cambiare auto. Aveva fissato un appuntamento con il concessionario alle dieci. Anche se avrebbe dovuto mettere in ordine l'appartamento, rimase disteso a letto a lungo. Aveva sognato ancora. Era tornato con Martinsson al mercato di Kivik. Stavano cercando di risolvere un caso lontano nel tempo. Un'indagine di sette anni prima. Nel sogno, tutto era come allora. Stavano dando la caccia ad alcune persone che avevano ucciso un vecchio contadino e sua moglie. Improvvisamente avevano scorto quelle persone che stavano vendendo giacche di pelle rubate. C'era stata una sparatoria. Martinsson aveva colpito uno degli uomini al braccio, o forse alla spalla. E Wallander aveva inseguito l'altro uomo fino alla spiaggia. Fino a quel punto, il sogno aveva rispecchiato la realtà. Ma poi, Martinsson era comparso su quella spiaggia e aveva puntato la sua arma contro di lui. In quel momento, Wallander si era svegliato. Ho paura, pensò Wallander. Ho paura perché non so cosa stia veramente pensando uno dei miei colleghi. Ho paura perché il tempo passa e mi lascia indietro. Sto diventando un poliziotto che non solo non capisce i propri colleghi, ma che non capisce neppure quello che sta succedendo in Svezia. Rimase a lungo disteso nel letto. Dopo tanto tempo, si sentiva veramente riposato. Ma quando iniziò a pensare al proprio futuro, un altro tipo di stanchezza invase il suo corpo. Avrebbe avuto paura di andare al lavoro alla centrale di polizia al mattino? E in quel caso, come avrebbe potuto affrontare gli anni che mancavano ancora alla pensione? Tutta la mia esistenza è circondata da mura, pensò. Sono dentro e intorno a me. Non sono solo nei computer. Esistono anche nella centrale di polizia, fra me e i miei colleghi, senza che me ne sia mai reso conto prima. Alle otto si alzò, si preparò il caffè, lesse il giornale e riordinò l'appartamento. Preparò il letto nella camera di Linda e poco prima delle dieci ripose l'aspirapolvere e uscì di casa. Il sole che splendeva lo fece sentire meglio. Arrivò dal concessionario della Peugeot che era nella zona industriale di Ystad. Scelse una 306 del 1996, con pochi chilometri e un unico
proprietario, e riuscì a ottenere un buon prezzo per la sua vecchia auto. Alle dieci e mezza salì nella sua nuova auto e se ne andò. Quando cambiava auto, provava sempre una sensazione piacevole. Come una specie di purificazione. Prese la strada per Österlen e si fermò davanti alla vecchia casa di suo padre a Löderup. Quando vide che non c'era nessuna auto parcheggiata, andò a bussare alla porta, ma nessuno aprì. Attraversò il cortile e si diresse verso il fienile che suo padre aveva trasformato in atelier. La porta non era chiusa a chiave. Wallander entrò. Era stato tutto cambiato. Con sua grande sorpresa vide che al centro del pavimento di cemento era stata ricavata una piccola piscina. Non era rimasta alcuna traccia di suo padre, neppure l'odore della trementina. Per un attimo, rimase costernato, come se avesse subito un sopruso. Era inammissibile che il ricordo di un uomo fosse cancellato in quel modo. Uscì dall'atelier. Dietro alla casa c'era un cumulo di terra e di pezzi di cemento, e in mezzo la vecchia caffettiera di suo padre. Wallander si chinò e la prese. Quando lasciò la casa alle sue spalle, decise che non sarebbe mai più tornato. Da Löderup prese la strada per Svarte dove Gertrud abitava con sua sorella. Bevve due tazze di caffè ascoltando distrattamente le parole delle due donne. Non disse nulla della sua visita a Löderup. A mezzogiorno meno un quarto si accomiatò. Quando arrivò a Sturup, mancava ancora mezz'ora all'arrivo del volo da Stoccolma. Come sempre quando doveva incontrare Linda, era nervoso. Si chiese se a un certo punto della loro vita, tutti i genitori iniziassero ad avere paura dei propri figli. Ma non riuscì a darsi una risposta. Entrò nel bar dell'aeroporto e ordinò un caffè. Improvvisamente scorse il marito di Ann-Britt seduto a un tavolo insieme a una donna che non aveva mai visto prima. Provò un senso di rabbia per conto di Ann-Britt. Per evitare che l'uomo lo vedesse si allontanò voltandogli le spalle. Perché ho reagito così?, si chiese. Ma non riuscì a darsi una risposta. Invece, iniziò a pensare a quello strano incidente che si era verificato nella pizzeria di Istvån. Quando Sonja Hökberg aveva cambiato posto per avere il contatto visivo con un uomo che allora si faceva chiamare Fu Cheng, ma che in verità si chiamava Hua Gang. Ne aveva discusso con Hansson e con Ann-Britt. Ma nessuno era riuscito a dare una spiegazione accettabile. Fino a che punto Sonja Hökberg era stata al corrente del legame che Jonas Landahl aveva con l'organizzazione segreta di Falk e di Carter? Fu Cheng la stava sorvegliando? Quelle due domande erano rimaste
senza risposta. Erano dettagli che non avevano più alcun significato. Due piccole schegge dell'indagine che sarebbero cadute nell'oblio. Alcune fra le tante che Wallander aveva lasciato dietro di sé. In ogni indagine rimanevano sempre dettagli oscuri, dettagli che sfuggivano e che continuavano a farlo. Era sempre successo e sarebbe successo ancora. Wallander spiò dietro di sé sopra alla spalla. Il marito di Ann-Britt e la donna se ne erano andati. Stava per alzarsi quando un uomo si avvicinò. «Mi sembra di riconoscerti» disse l'uomo. «Sei Kurt Wallander? Non è così?» «Sì, sono io.» «Spero di non disturbarti. Mi chiamo Otto Ernst.» Wallander ricordava quel nome, ma non aveva mai avuto modo di incontrare quell'uomo. «Ho una sartoria» continuò Otto Ernst. «Tempo fa, Tynnes Falk mi ha ordinato un paio di pantaloni. Sono venuto a sapere che purtroppo Falk è morto. Ma vorrei capire che cosa devo fare con quel paio di pantaloni. Ho chiesto a sua moglie. Lei non vuole assolutamente saperne.» Wallander fissò l'uomo. Stava prendendolo in giro? Credeva veramente che un commissario di polizia potesse dirgli che cosa fare di un paio di pantaloni che non erano stati ritirati? Ma Otto Ernst sembrava davvero preoccupato. «Ti consiglio di metterti in contatto con il figlio di Tynnes Falk» rispose Wallander. «Jan Falk. Forse lui potrà aiutarti.» «Per caso non hai il suo indirizzo?» «Telefona alla centrale di polizia di Ystad. Chiedi di parlare con AnnBritt Höglund. Dille che sono stato io a consigliarti di contattarla. Lei potrà darti l'indirizzo.» Otto Ernst sorrise e gli tese la mano. «Sapevo che mi avresti aiutato a risolvere il problema. Scusa il disturbo.» Wallander lo fissò a lungo. Aveva l'impressione di avere incontrato un essere umano che veniva da un mondo che era ormai scomparso. L'aereo atterrò in perfetto orario. Linda fu l'ultima a uscire. Si abbracciarono e l'inquietudine che Wallander aveva provato svanì immediatamente. Linda era la stessa di sempre, sorridente e aperta. Il suo modo di essere po-
sitivo era totalmente diverso da quello di Wallander. E questa volta non era vestita in maniera appariscente come durante i loro incontri precedenti. Ritirarono il suo bagaglio e uscirono dal terminal dell'aeroporto. Wallander le fece notare la sua auto nuova. Se non le avesse detto nulla, Linda non se ne sarebbe neppure accorta. Si avviarono verso Ystad. «Come stai?» chiese Wallander. «Che cosa stai facendo adesso? In questi ultimi tempi sei stata un po' misteriosa.» «C'è un tempo magnifico» disse Linda. «Non possiamo andare giù alla spiaggia?» «Non hai risposto alle mie domande.» «Lo farò.» «Quando?» «Dopo. Non adesso.» Wallander prese la strada che portava alla spiaggia di Mossby. Il parcheggio era deserto, il chiosco era chiuso. Linda aprì la sua valigia e prese un maglione pesante. Poi si avviarono verso la spiaggia. «Mi ricordo che quando ero bambina venivamo spesso qui» disse Linda. «È uno dei miei primi ricordi.» «Spesso venivamo qui da soli. Quando Mona voleva stare da sola.» Lontano all'orizzonte una nave stava dirigendosi a ovest. Il mare era quasi completamente calmo. «Parlami di quella fotografia sul giornale» disse Linda improvvisamente. Wallander si irrigidì. «È tutto finito ora» rispose Wallander. «La ragazza e sua madre hanno ritirato la denuncia. È acqua passata.» «Ho visto un'altra fotografia» disse Linda. «Su un settimanale che qualcuno ha lasciato nel ristorante. Si riferiva a un incidente che si è verificato a Malmö davanti a una chiesa. C'era scritto che hai minacciato un fotografo.» Wallander tornò con il pensiero al funerale di Stefan Fredman. Alla pellicola che aveva distrutto calpestandola. Non si era più ricordato di quell'episodio. Ora lo descrisse a Linda. «Hai fatto bene» disse Linda. «Spero di avere il coraggio di fare la stessa cosa.» «Non sarai mai costretta ad affrontare una situazione simile» disse Wallander. «Tu non sei una poliziotta.»
«Non ancora.» Wallander si fermò sui suoi passi e la fissò. «Che cosa hai detto?» Linda non rispose subito, ma continuò a camminare. Alcuni gabbiani passarono gracchiando rocamente sopra le loro teste. «Poco fa, hai detto che ultimamente sono stata un po' misteriosa» disse Linda. «E mi hai chiesto che cosa sto facendo adesso. Ma non volevo dire niente prima di avere preso una decisione.» «Che cosa vuoi dire?» «Che ho deciso di diventare una poliziotta. Ho fatto domanda alla Scuola di polizia. Credo che sarà accettata.» Wallander non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Lo hai fatto veramente?» «Sì» disse Linda fermandosi a sua volta. «Non me ne hai mai parlato prima.» «Sono mesi che ci penso.» «Perché non mi hai mai detto nulla?» «Perché non osavo.» «Ma non volevi diventare una restauratrice di mobili?» «Sì. Ma ho capito che non era quello che volevo veramente. È per questo che sono venuta a trovarti. Per dirtelo. E per chiederti che cosa ne pensi. Per avere la tua approvazione.» Ripresero a camminare. «È tutto così improvviso» disse Wallander. «Mi hai raccontato come ha reagito il nonno quando gli hai detto che avevi deciso di fare il poliziotto. Se ricordo bene, la sua reazione era stata immediata e negativa.» «Sì. Il suo è stato un no secco prima ancora che riuscissi a finire la frase.» «E tu che cosa ne dici?» «Concedimi un minuto prima di rispondere.» Linda si sedette su una roccia. Wallander fece alcuni passi in avanti e si fermò a un metro dal bagnasciuga. Il pensiero che Linda potesse decidere di fare la sua stessa carriera non lo aveva mai sfiorato. Era perplesso e non riusciva a capire quello che provava. Alzò lo sguardo. I raggi del sole sembravano giocare rincorrendosi sulla distesa di acqua. Linda gridò che il minuto era passato. Wallander tornò sui suoi passi.
«Direi che hai preso la decisione giusta» disse. «In un futuro molto vicino, il nostro paese avrà bisogno di buoni poliziotti e tu potrai essere uno di loro.» «È quello che pensi veramente?» «Sì.» «Avevo paura di dirtelo. Avevo paura delle tue reazioni.» «Non ce n'era alcun bisogno.» Linda si rialzò. «Dobbiamo parlare di tante cose» disse. «E adesso mi è venuta fame.» Risalirono in auto e ripresero la strada per Ystad. Guidando, Wallander cercava di assimilare la grande novità. Non aveva alcun dubbio che Linda sarebbe diventata un'ottima poliziotta. Ma continuava a chiedersi se si rendesse realmente conto di quello a cui andava incontro. Sarebbe riuscita ad affrontare tutto quello che lui stesso aveva dovuto affrontare? Ma allo stesso tempo, provava un'altra sensazione. In qualche modo, la decisione di Linda avvalorava quella che un tempo anche lui stesso aveva preso. Era una sensazione vaga e nebulosa. Ma la provava, ed era qualcosa di forte. Quella sera rimasero seduti a parlare fino a tardi. Wallander le parlò di quell'indagine che era iniziata e si era conclusa davanti a un normale Bancomat. «La gente parla spesso del potere» disse Linda, quando Wallander finì. «Ma sono pochi quelli che parlano di organizzazioni come la Banca mondiale e del potere che esercitano oggi. E di quanta sofferenza infliggono a dei poveri esseri umani con le proprie decisioni.» «Vuoi dire che quello che Carter e Falk volevano ottenere era giustificato?» «No» rispose Linda. «In ogni caso, non con il metodo che avevano scelto.» Wallander era sempre più convinto che la decisione di Linda fosse maturata lentamente. Non era un colpo di testa che avrebbe rimpianto più tardi. «Avrò sicuramente bisogno di chiederti dei consigli» disse Linda prima di andare a dormire. «Se fossi in te, non sarei così certa che sarò in grado di darteli.» Wallander rimase seduto nel soggiorno da solo. Erano le due e mezza del mattino. Sorseggiava un bicchiere di vino ascoltando un'opera di Puc-
cini con il volume al minimo. Chiuse gli occhi. Davanti a sé aveva un muro di fuoco. Prese la rincorsa mentalmente. Poi si gettò fra le fiamme. Ne uscì con qualche piccola bruciatura. Riaprì gli occhi. E sorrise. Qualcosa era finito. Qualcos'altro stava per iniziare. Il giorno dopo, giovedì 13 novembre, le Borse asiatiche subirono un crollo inaspettato. Le spiegazioni per quel crollo furono tante e contraddittorie. Ma nessuno riuscì mai a rispondere alla domanda più importante. Chi era stato a provocare quel drammatico crollo. EPILOGO Questo è un romanzo che si svolge in una terra di confine. Fra la verità, quello che è accaduto, e la finzione, quello che sarebbe potuto accadere. Questo significa che, di tanto in tanto, mi sono preso delle grandi libertà. Un romanzo è sempre un atto di creazione arbitrario. Questo significa che ho spostato case, cambiato numeri civici, e in un caso ho inserito una strada che non esiste. Ho fatto gelare le notti nella Scania per soddisfare i miei scopi. Ho creato i miei personali orari di arrivo e partenza dei traghetti. Per di più ho creato un mio proprio sistema di approvvigionamento elettrico per la Scania. Il che non significa che abbia qualcosa da ridire sul servizio della Sydkraft. Al contrario. Mi ha sempre fornito l'energia elettrica necessaria. Inoltre, mi sono permesso di muovermi molto liberamente nel mondo dell'informatica. Sospetto che quello che è stato scritto in questo romanzo possa accadere a breve. Sono stato aiutato da un gran numero di persone. Nessuno di loro ha chiesto di essere citato. Quindi, non citerò nessuno. Ma ringrazio tutti. Per quanto scritto, sono io il solo responsabile.
MAPUTO, aprile 1998 Henning Mankell FINE