R. A. SALVATORE LE LANDE DI FUOCO (The Halfing's Gem, 1990)
A mia sorella Susan, che non potrà mai rendersi conto dell'...
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R. A. SALVATORE LE LANDE DI FUOCO (The Halfing's Gem, 1990)
A mia sorella Susan, che non potrà mai rendersi conto dell'importanza che il suo appoggio ha avuto per me negli ultimi anni. Preludio Il mago abbassò lo sguardo incerto verso la giovane che gli voltava le spalle. Riusciva a vedere solo la folta chioma di riccioli castano ramati che le si appoggiava morbida sulle spalle pur percependo la tristezza che albergava nei suoi occhi. Era così giovane, poco più di una ragazzina, e così innocentemente bella. Tuttavia, quella graziosa ragazza aveva conficcato una spada nel cuore della sua amata Sydney. Harkle Harpell allontanò gli spiacevoli ricordi della sua amata e cominciò a scendere lungo il pendio. «Bella giornata» disse con voce gioviale quando raggiunse la giovane. «Credi che abbiano già finito di costruire la torre?» chiese Catti-brie senza mai allontanare lo sguardo da meridione. Harkle scrollò le spalle. «Se non hanno già terminato, mancherà poco.» Osservò Catti-brie e nel profondo del suo cuore non riuscì a scovare un briciolo di risentimento per quanto aveva fatto. Era vero che aveva ucciso Sydney, ma ad Harkle bastava guardarla per capire che la necessità, e non la malizia, le aveva guidato il braccio. Ed ora, non poteva fare altro che provare pietà per lei. «Come stai?» balbettò Harkle, meravigliato dal coraggio che aveva dimostrato ad affrontare il terribile destino che era toccato a lei ed ai suoi amici. Catti-brie chinò il capo e si voltò verso il mago. Il suo sguardo azzurro intenso era agitato dal dolore, ma bruciava di una profonda risolutezza che scacciava qualsiasi ombra di debolezza. Aveva perduto Bruenor, il nano che l'aveva adottata e l'aveva cresciuta come una figlia fin dalla più tenera fanciullezza. E in quel momento, gli altri amici di Catti-brie erano impe-
gnati nel disperato inseguimento di un assassino attraverso le terre meridionali. «Come cambiano in fretta le cose,» mormorò Harkle sottovoce provando una tenera compassione per la giovane donna. I ricordi ritornarono. Solo poche settimane prima, Bruenor Martello di guerra e la sua sparuta compagnia erano arrivati a Sella-lunga alla ricerca di Mithril Hall, la patria perduta del nano. Era stato un allegro incontro pieno di racconti e promesse di amicizia con il clan degli Harpell. Nessuno poteva sapere che un altro gruppo di persone capeggiate da un assassino malvagio e dalla stessa Sydney avevano preso Catti-brie in ostaggio e stavano inseguendo quell'allegra compagnia. Bruenor aveva trovato Mithril Hall e là era caduto. Sydney, la maga che Harkle aveva così teneramente amato, aveva avuto un ruolo ben preciso nella morte dell'amico nano. Harkle inspirò a fondo per sedare la tempesta dei ricordi che si agitava nel suo animo. «Bruenor verrà vendicato,» disse con una smorfia. Catti-brie lo baciò sulla guancia e si incamminò lentamente verso la collina e il Maniero dell'Edera. Capiva il dolore sincero che animava il mago e ammirava la sua decisione di aiutarla a compiere il suo voto di ritornare a Mithril Hall per restituirla al clan di Bruenor Martello di guerra. Per Harkle, però, non v'era stata altra scelta. La Sydney che lui aveva amato non era altro che una facciata, una stucchevole glassa che ricopriva un mostro insensibile e assetato di potere. Lui stesso era responsabile in parte di quel disastro poiché inconsapevolmente aveva rivelato a Sydney dove si trovavano gli uomini di Bruenor. Harkle rimase ad osservare Catti-brie mentre si allontanava lentamente, il passo appesantito dal fardello delle preoccupazioni. Non poteva certo covare alcun risentimento nei suoi confronti poiché Sydney era stata l'artefice della propria morte e Catti-brie il suo strumento. Il mago rivolse lo sguardo verso meridione in preda al dubbio e alla preoccupazione per l'elfo scuro e l'imponente barbaro. Avevano fatto la loro comparsa a Sellalunga tre giorni prima, esausti e sfiancati, alla disperata ricerca di un po' di riposo. Purtroppo non c'era stato tempo per il riposo, non in quel momento almeno, perché il malvagio assassino era fuggito con quanto rimaneva del gruppo. E Regis, il nanerottolo, era andato con loro. In poche settimane erano successe molte cose. Il mondo intero di Harkle era stato scosso da una strana orda di eroi provenienti da una terra lontana e sconosciuta chiamata Valle del Vento Ghiacciato, e da una donna bellis-
sima cui non poteva essere imputata nessuna colpa. Ma soprattutto da una menzogna che egli aveva considerato il suo grande amore. Harkle si adagiò sull'erba e rimase ad osservare a lungo le soffici nubi che veleggiavano nel cielo terso. *
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Oltre le nuvole, laddove le stelle brillano in eterno, Guenhwyvar, l'entità della pantera, camminava eccitato. Erano trascorsi molti giorni ormai da quando il suo padrone, l'elfo scuro di nome Drizzt Do'Urden, l'aveva evocato nel piano materiale. Guenhwyvar dipendeva dalla statuetta di onice che lo teneva in contatto con il padrone e con l'altro mondo. La pantera ne percepiva le vibrazioni lontane anche quando il suo padrone si limitava a sfiorarla. Guenhwyvar aveva avvertito che da tempo quel legame con Drizzt si era spezzato, ed ora il felino si sentiva nervoso, quasi che la sua intelligenza ultraterrena avesse intuito che l'elfo non possedeva più la statuetta. Guenhwyvar si ricordava il tempo in cui non c'era ancora Drizzt, quando un altro elfo, un essere malvagio, l'aveva posseduto. Nonostante la sua essenza animale, il felino possedeva la dignità, una qualità che quell'elfo gli aveva tolto. Ricordò i tempi in cui era stato obbligato a compiere azioni crudeli e turpi verso nemici indifesi solo per soddisfare il puro piacere del padrone. Molto era cambiato da quando Drizzt Do'Urden era entrato in possesso della statuetta. Egli era un essere dotato di una coscienza integra e da allora fra Guenhwyvar e Drizzt si era sviluppato un profondo legame di affettuosa onestà. Il felino si appoggiò ad un albero contornato di stelle ed emise un lungo grugnito che gli osservatori di quello spettacolo astrale avrebbero potuto intendere come un sospiro di rassegnazione. Ma quel grugnito si sarebbe trasformato in ruggito se solo Guenhwyvar avesse saputo che Artemis Entreri, l'assassino, era entrato in possesso della statuetta. LIBRO 1 IL CAMMINO
1 La torre del crepuscolo «Abbiamo perso un giorno di marcia, o forse più,» mugugnò il barbaro. Fermò il cavallo tirando le redini e si guardò alle spalle. L'ultima luce del sole stava scomparendo dietro all'orizzonte. «E l'assassino continua ad allontanarsi!» «Ci conviene seguire il consiglio di Harkle,» ribatté Drizzt Do'Urden, l'elfo scuro. «Non può averci indicato la strada sbagliata.» La luce stava scemando. Drizzt abbassò il cappuccio del mantello nero e scuotendo il capo si ravviò i riccioli candidi. Wulfgar puntò un dito verso alcuni pini altissimi. «Quello dev'essere il bosco di cui ci ha parlato Harkle Harpell,» disse, «ma non vedo nessuna torre, né alcun segno di qualcosa che sia stato mai costruito in questo posto dimenticato da tutti.» Drizzt spaziò l'orizzonte con i suoi occhi color lavanda più abituati alla notte incombente che alla luce del giorno, nel tentativo di trovare una prova per contraddire il suo giovane amico. Non v'era dubbio che quello era il luogo che Harkle aveva indicato loro poiché poco lontano si intravedeva un piccolo lago oltre al quale si estendeva il lussureggiante bosco di Neverwinter. «Rincuorati,» lo esortò Drizzt. «Il mago ha affermato che la pazienza è il miglior mezzo per trovare la dimora di Malchor. E noi siamo qui da meno di un'ora.» «La strada s'allunga,» mugugnò il barbaro, ignaro che l'udito acuto dell'elfo era in grado di avvertire anche un sommesso bisbiglio. Drizzt sapeva che dietro le parole di Wulfgar si celava la verità, perché secondo il racconto di un contadino di Sella-lunga che aveva visto un uomo misterioso avvolto in un mantello e un nanerottolo in groppa ad un solo destriero, l'assassino aveva un vantaggio di dieci giorni e i suoi spostamenti erano rapidi. Non era la prima volta che Drizzt affrontava Entreri e si rendeva conto della grandezza della sfida che lo attendeva. Desiderava avere quanto più aiuto poteva nel suo disperato tentativo di salvare Regis dalle malvagie sgrinfie di quell'uomo. A detta del contadino, Regis era ancora vivo e Drizzt era sicuro che Entreri non voleva fare alcun male al nano prima di raggiungere Calimport. E, soprattutto, Harkle Harpell non li avrebbe mandati in quel posto senza una buona ragione.
«Abbiamo intenzione di passare qui la notte?» chiese Wulfgar. «Secondo me, potremmo ritornare sul sentiero e cavalcare verso sud. Il cavallo di Entreri porta due persone e deve essere sfiancato ormai. Potremmo recuperare terreno se continuassimo a viaggiare.» «Avranno già oltrepassato la città di Waterdeep,» spiegò Drizzt sorridendo all'amico. «E là Entreri avrà sicuramente comperato cavalli riposati.» Drizzt lasciò cadere l'argomento serbando per sé il timore che l'assassino avesse preso la via del mare. «Allora aspettare sarebbe maggiormente da folli!» si affrettò ad aggiungere Wulfgar. Mentre il barbaro parlava, il cavallo, un destriero allevato dal clan degli Harpell, nitrì e si avvicinò al laghetto. Alzò lo zoccolo sfiorando la superficie quasi alla ricerca di un guado. Un secondo più tardi, il sole si eclissò dietro all'orizzonte occidentale. La luce svanì e nella magica penombra del crepuscolo, davanti ai loro occhi, si delineò una torre incantata che si ergeva su un isolotto in mezzo al lago. Le svettanti guglie contorte scintillavano nel cielo serotino pieno di stelle. Le pareti erano di un verde smeraldo così misteriosamente invitante quasi che i folletti e le fate avessero contribuito alla sua costruzione. E proprio a fior d'acqua, sotto lo zoccolo del cavallo di Wulfgar, apparve all'improvviso uno splendente ponte di luce verde. Drizzt scese da cavallo. «La Torre del Crepuscolo,» disse a Wulfgar con un tono di voce come se fin dall'inizio avesse dato per scontato quella apparizione. Allungò un braccio verso la torre invitando l'amico a proseguire. L'apparizione della torre aveva lasciato Wulfgar sgomento. Afferrò le redini con tale forza che fece impennare il cavallo. «Credevo che avessi vinto i tuoi timori verso la magia,» disse Drizzt con sarcasmo. Wulfgar, come tutti i barbari della Valle del Vento Ghiacciato, era cresciuto fra gente che considerava i maghi smidollati imbroglioni di cui non ci si poteva fidare. Il suo popolo, gli orgogliosi guerrieri della tundra, misurava un vero uomo dalla sua forza ed abilità nel combattere e non dalla sua bravura nelle arti magiche. Tuttavia, dopo le molte settimane di viaggio, Drizzt aveva visto Wulfgar superare i suoi preconcetti notando anche che l'amico aveva sviluppato una certa tolleranza, se non addirittura una vaga curiosità, nei confronti delle pratiche magiche. Con un rapido gesto che mosse i suoi muscoli scattanti, Wulfgar riportò il cavallo sotto controllo. «Certo,» ribatté a denti stretti scendendo dalla sella. «Sono gli Harpell che mi preoccupano!»
Il sorriso compiaciuto di Drizzt si fece più ampio quando avvertì il senso della trepidazione dell'amico. Egli stesso, nonostante fosse cresciuto fra i più potenti e terrificanti stregoni di tutti i regni, aveva più volte scosso la testa incredulo quando erano stati ospiti di quell'eccentrica famiglia a Sellalunga. Gli Harpell avevano un modo unico, e spesso disastroso, di considerare il mondo, anche se nei loro cuori non albergava il male. Usavano la magia in conformità con le loro opinioni, e normalmente contro la presunta logica degli uomini razionali. «Malchor non è come loro,» cercò di rassicurarlo Drizzt. «Non vive nel Maniero dell'Edera ed è stato consigliere dei re dei regni settentrionali.» «È pur sempre un Harpell,» ribatté il barbaro con tale risolutezza che Drizzt non ebbe il coraggio di aprire bocca. Wulfgar scosse il capo emettendo un lungo sospiro, e afferrò la briglia prima di avviarsi verso il ponte. Drizzt lo seguì sorridendo. «Harpell,» mormorò Wulfgar ancora una volta dopo avere raggiunto l'isolotto e girato attorno alla torre. La torre non aveva porte. «Pazienza,» gli ricordò Drizzt. Non dovettero attendere a lungo perché dopo qualche secondo si udì il rumore di un chiavistello e lo scricchiolio di una porta che si apriva. Subito dopo un fanciullo, simile ad uno spettro, uscì dalla parete di pietra verde e si avvicinò a loro. Wulfgar bofonchiò qualcosa abbassando Aegis-fang, il suo pesantissimo martello da guerra, dalla spalla. Drizzt gli afferrò il braccio per fermarlo, temendo che la stanchezza frustrata dell'amico potesse spingerlo a colpire prima ancora di conoscere le intenzioni del ragazzo. Quando il fanciullo li raggiunse, videro senza ombra di dubbio che era di carne ed ossa, e non uno spettro ultraterreno. I muscoli di Wulfgar si rilassarono. Il giovane li salutò con un profondo inchino e con un cenno della mano li invitò a seguirlo. «Malchor?» chiese Drizzt. Il fanciullo non rispose limitandosi a ripetere il muto invito e ad incamminarsi verso la torre. «Ti avrei creduto più vecchio, se tu sei Malchor,» proseguì Drizzt seguendo il fanciullo. «Che ne facciamo dei cavalli?» chiese Wulfgar, ma il fanciullo continuava a camminare in silenzio verso la torre. Drizzt guardò Wulfgar scrollando le spalle. «Portali dentro e lasciamoli in custodia a questo nostro amico muto!» rispose l'elfo scuro.
Scoprirono che la parete aveva tratto in inganno i loro occhi poiché nascondeva una porta che si apriva su un'ampia sala circolare che si trovava al piano più basso. Avevano avuto ragione a portare con loro i cavalli perché poco lontano videro le scuderie. Si affrettarono a legare i loro destrieri e si precipitarono a raggiungere il fanciullo che ormai aveva varcato un altro portale. «Aspettaci,» urlò Drizzt oltrepassando la soglia, ma davanti a sé non vide nessuno. Si ritrovò in un corridoio debolmente illuminato che si innalzava seguendo la struttura circolare della torre. «C'è solo una strada da seguire,» disse a Wulfgar che l'aveva appena raggiunto, prima di proseguire. Drizzt pensò di avere compiuto un giro completo e di avere raggiunto il secondo piano quando all'improvviso si ritrovarono davanti al fanciullo che li stava aspettando accanto ad un oscuro passaggio laterale che immetteva nella parte centrale della torre. La giovane guida, però, ignorò il pertugio e proseguì verso l'alto lungo il corridoio principale. Spazientito da questo gioco misterioso e preoccupato dalla fuga inarrestabile di Entreri con Regis, Wulfgar passò davanti a Drizzt ed afferrò il fanciullo per la spalla facendolo girare in modo brusco. «Sei Malchor?» chiese con tono reciso. Il fanciullo impallidì ma non rispose. «Lascialo,» disse Drizzt. «Non è Malchor, ne sono sicuro. Troveremo presto il padrone della torre.» Lanciò un'occhiata al fanciullo impaurito. «Vero?» Il fanciullo annuì e riprese a camminare. «Presto,» ripeté per tranquillizzare il borbottio di Wulfgar. Per prudenza Drizzt passò oltre il barbaro e si mise fra Wulfgar e la guida. «Harpell,» grugnì Wulfgar alle sue spalle. La salita si fece più erta e il corridoio più tortuoso e da ciò i due amici dedussero che la sommità della torre era vicina. Infatti, poco dopo, il fanciullo si fermò davanti ad una porta ed apertala, con un cenno li invitò ad entrare. Drizzt si mosse veloce ed entrò per primo, temendo che il volto del barbaro sconvolto dalla rabbia facesse un'impressione poco piacevole sul loro ospite mago. Dall'altra parte della stanza, seduto sopra un tavolo e apparentemente in loro attesa, videro un uomo alto e massiccio con le braccia incrociate sul petto, il cui viso era incorniciato da una chioma brizzolata. Drizzt aprì
bocca per proferire un cordiale saluto, ma Wulfgar si precipitò verso il tavolo con una foga inarrestabile, quasi travolgendolo. Il barbaro si fermò a pochi passi dall'uomo con lo sguardo fisso su di lui, una mano su un fianco mentre con l'altra brandiva Aegis-fang davanti a sé. «Sei tu il mago conosciuto con il nome di Malchor Harpell?» tuonò con voce che vibrava di una rabbia esplosiva. «E se non lo sei, dicci dove diamine possiamo trovarlo!» Nella stanza echeggiò una fragorosa risata. «Certo,» rispose l'uomo scendendo dal tavolo con un agile balzo. «Mi piacciono gli ospiti che non mascherano i propri sentimenti dietro parole falsamente cortesi!» esclamò dando a Wulfgar una amichevole manata sulla spalla. L'uomo passò oltre il barbaro sbalordito e si diresse verso la porta e il fanciullo. «Hai parlato?» chiese con voce imperiosa al ragazzo. Il fanciullo sbiancò in volto e scosse ripetutamente la testa. «Nemmeno una parola?» urlò Malchor. Il fanciullo tremò alla veemenza di quella domanda e scosse la testa ancora una volta. «Non ha detto nemmeno una...» si affrettò a dire Drizzt, ma Malchor lo zittì con un gesto della mano. «Se scopro che ha proferito una sola sillaba, io...» lo minacciò. Malchor si voltò verso la stanza e fece qualche passo, ma proprio quando immaginò che il fanciullo si era rilassato, si voltò di scatto facendolo sussultare. «Perché sei ancora qui?» tuonò Malchor. «Vattene!» La porta sbatté prima ancora che il mago avesse finito di urlare il suo ordine. Malchor rise ancora avvicinandosi al tavolo con incedere rilassato. Drizzt si avvicinò a Wulfgar e i due si guardarono sbalorditi. «Andiamo via da questo posto,» disse Wulfgar. Drizzt avvertì che l'amico stava disperatamente cercando di frenare il desiderio di balzare verso il tavolo e strangolare quel mago arrogante. Anche se non con l'intensità dell'amico, Drizzt condivideva quelle stesse sensazioni nonostante si rendesse conto che i misteri della torre e dei suoi abitanti sarebbero stati presto spiegati. «Salve, Malchor Harpell,» disse puntando il suo sguardo color lavanda sull'uomo. «Il tuo comportamento non si addice affatto alle descrizioni che tuo cugino Harkle ha fatto di te.» «Vi assicuro che io sono esattamente come Harkle mi ha descritto,» replicò Malchor con voce pacata. «Che tu sia il benvenuto, Drizzt Do'Urden, e anche tu, Wulfgar, figlio di Beornegar. È raro che io intrattenga ospiti così graditi nella mia umile dimora.» Malchor completò il suo saluto affa-
bile e diplomatico, anche se non del tutto accurato, con un profondo inchino. «Il ragazzo non ha fatto nulla di male,» disse Wulfgar frenando a stento l'ira. «No, si è comportato in modo eccellente,» concordò Malchor. «Temi forse per lui?» Il mago osservò il corpulento barbaro e i suoi muscoli ancora tesi dalla rabbia. «Ti assicuro che il fanciullo viene trattato bene.» «Non mi pare,» replicò Wulfgar asciutto. «Vuole diventare un mago,» spiegò Malchor per nulla turbato dall'espressione cupa del barbaro. «Suo padre è un potente possidente e mi ha chiesto di fare da tutore a suo figlio. Il ragazzo è dotato di una mente acuta e di un profondo amore per la magia. Ma devi capire, Wulfgar, che la magia non è molto diversa dall'arte del combattimento.» La smorfia che si formò sul volto di Wulfgar lasciava intendere una diversità di opinioni. «Disciplina,» proseguì Malchor imperterrito. «Qualsiasi cosa facciamo, la disciplina e il controllo delle nostre stesse azioni determina il successo. Il ragazzo nutre grandi aspirazioni e alberga il desiderio di conoscere un potere che non è ancora in grado di capire e controllare. E se non è in grado di non esternare i propri pensieri per un mese, io non ho intenzione di perdere anni del mio prezioso tempo con lui. Il tuo amico capisce queste cose.» Wulfgar guardò Drizzt che si trovava al suo fianco. «Capisco,» disse Drizzt a Wulfgar. «Malchor ha messo il fanciullo alla prova. Una prova che misura la sua capacità di eseguire gli ordini e che rivela la profondità dei suoi desideri.» «Ho il vostro perdono, allora?» chiese il mago agli ospiti. «È una cosa irrilevante,» bofonchiò Wulfgar. «Non siamo venuti qui per aiutare un ragazzino nelle sue battaglie.» «È vero,» replicò Malchor. «I vostri impegni incalzano. Harkle mi ha raccontato tutto. Ritornate alle scuderie e lavatevi. Il ragazzo vi sta preparando la cena e vi verrà a chiamare quando sarà il momento.» «Non ha un nome?» chiese Wulfgar con malcelato sarcasmo. «Nessun nome che si sia ancora guadagnato degnamente,» replicò Malchor laconico. *
*
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Nonostante il trepidante desiderio di riprendere subito il cammino, Wulfgar non poté negare che la tavola di Malchor Harpell fosse superba. Assieme a Drizzt, si saziò a volontà, consapevole del fatto che quello, forse, sarebbe stato l'ultimo pasto decente per molti giorni. «Dovreste fermarvi qui per la notte,» disse Malchor dopo che gli ospiti ebbero terminato di mangiare. «Un letto soffice vi farà bene,» aggiunse subito per neutralizzare lo sguardo contrariato di Wulfgar. «Vi sveglierò presto, ve lo prometto.» «Accettiamo e ti ringraziamo,» rispose Drizzt. «Sicuramente questa torre sarà più comoda della dura terra.» «Eccellente,» disse Malchor soddisfatto. «Seguitemi, allora. Ho alcuni oggetti che potrebbero aiutarvi nella vostra impresa.» Il mago li condusse fuori dalla stanza e accompagnandoli lungo il corridoio verso i piani sottostanti, li intrattenne discorrendo sulle caratteristiche della torre. Si fermarono davanti ad un passaggio laterale che a malapena si vedeva a causa del buio e oltrepassarono un pesante portale. Drizzt e Wulfgar dovettero fermarsi dopò pochi passi, sbalorditi alla vista delle meraviglie che si trovavano davanti ai loro occhi. Erano entrati nel museo dove Malchor conservava la sua collezione di oggetti rari, magici e non, che aveva raccolto nel corso dei suoi innumerevoli viaggi. La stanza era piena di spade e splendenti armature, uno scintillante scudo di mithril e la corona di un re morto da molti anni. Le pareti erano ricoperte da antichi e pregiati arazzi, mentre un contenitore di vetro contenente gemme e gioielli di inestimabile valore brillava nel tremolante luccichio delle torce. Malchor si era avvicinato ad un armadietto che si trovava dall'altra parte della stanza e quando gli sguardi di Wulfgar e Drizzt ritornarono su di lui, il mago vi si era seduto sopra giocherellando distrattamente con tre ferri di cavallo. Ne aggiunse un quarto mentre i due ospiti lo osservavano incuriositi, catturando i loro occhi con gli agili movimenti delle proprie mani. «Ho fatto un incantesimo su questi ferri che faranno correre i vostri destrieri più veloci del vento,» spiegò il mago. «Solo per poco, ma sarà sufficiente per raggiungere Waterdeep e farvi ricuperare il tempo che avete trascorso nella mia casa.» «Due ferri per cavallo?» chiese Wulfgar frastornato. «Certo che non bastano,» disse Malchor avvicinandosi con fare tollerante al giovane barbaro. «A meno che tu non voglia che il tuo cavallo si impenni e cominci a correre come un uomo!» Il mago rise di gusto, ma l'e-
spressione accigliata di Wulfgar non accennò a scomparire dal suo volto. «Non temere,» proseguì Malchor schiarendosi la voce per far passare inosservata la battuta non colta. «Ne ho molti altri ancora,» aggiunse osservando Drizzt. «Mi è stato riferito che pochi sono così agili come gli elfi scuri. E ho sentito dire, pure, da chi lo ha visto in combattimento e in azione, che Drizzt Do'Urden è di gran lunga più vispo anche rispetto ai suoi simili.» Senza mai smettere di giocherellare, il mago lanciò un ferro di cavallo a Drizzt che, senza mai distogliere lo sguardo da Malchor, prese e lo lanciò subito in aria. Arrivò il secondo ferro, e poi il terzo e senza mai battere ciglio, Drizzt li lanciò in aria con noncuranza. Il quarto ferro di cavallo arrivò radente al suolo e Drizzt dovette chinarsi per afferrarlo, ma si rialzò subito non perdendo nemmeno per un attimo la presa e il controllo dei propri movimenti. Wulfgar rimase ad osservare la scena con sguardo incuriosito e si chiese quali fossero gli arcani motivi che spingevano il mago a mettere alla prova il suo amico. Malchor si chinò e prese altri quattro ferri di cavallo. «Il quinto,» avvertì lanciandone uno a Drizzt. L'elfo lo afferrò imperterrito e lo lanciò in aria assieme agli altri senza il minimo sforzo. «Disciplina!» esclamò Malchor con veemenza diretto a Wulfgar. «Dimostrami la tua bravura, elfo!» aggiunse lanciando in rapida successione i rimanenti ferri. Drizzt li afferrò tutti abbozzando una leggera smorfia, più che mai deciso ad essere all'altezza della sfida. Le sue mani si muovevano febbrilmente e dopo pochi attimi gli otto ferri di cavallo piroettavano nell'aria in un moto armonico e inarrestabile. Solo allora Drizzt capì le vere intenzioni del mago. Malchor si avvicinò a Wulfgar e gli appoggiò una mano sulla spalla. «Disciplina,» ripeté l'uomo. «Osservalo, giovane guerriero, perché il tuo amico dalla pelle scura è veramente padrone dei propri movimenti e quindi è padrone delle sue stesse capacità. Forse non riesci ancora a capire, ma noi non siamo molto diversi l'uno dall'altro.» Il mago fissò il suo sguardo sugli occhi sgranati di Wulfgar. «Noi tre non siamo diversi, anche se ammetto che abbiamo metodi differenti, purtuttavia miranti allo stesso fine!» Stanco dei suoi strani giochi, Drizzt afferrò uno ad uno i ferri di cavallo e se li appoggiò all'avambraccio lanciando un'occhiata di approvazione al mago. Aveva notato che il suo giovane amico era sprofondato in misteriosi pensieri, ma l'elfo non era sicuro che il barbaro avesse recepito la lezione
impartita dal mago con quei ferri di cavallo incantati. «Basta per ora,» disse Malchor all'improvviso muovendosi di scatto verso una parete della stanza dove erano appoggiate decine di spade ed altre armi. «Ho visto che uno dei vostri foderi è vuoto,» disse rivolto a Drizzt sfilando dal supporto una scimitarra meravigliosamente cesellata. «Forse questa lo riempirà.» Drizzt avvertì i poteri di quell'arma nel momento in cui la brandì, e apprezzò la minuziosità del cesello e l'equilibrio perfetto. Nel pomo era incastonato uno splendente zaffiro blu a forma di stella. «Il suo nome è Lampo,» disse Malchor. «Forgiata dagli elfi di un'epoca ormai lontana.» «Lampo,» ripeté Drizzt con aria assorta e proprio in quel momento un bagliore azzurrognolo avvolse la lama. Drizzt percepì un leggero tremore e in quell'arma avvertì poteri immensi. La fece volteggiare a mezz'aria descrivendo azzurre curve sinuose. Era leggera da impugnare e con essa sarebbe stato facile affrontare il nemico! Drizzt la infilò nel fodero con movimento compassato. «È stata forgiata grazie ai magici poteri che tutti gli elfi di superficie custodiscono gelosamente,» proseguì Malchor. «Grazie ai poteri delle stelle e della luna, e dei misteri delle loro anime. Tu la meriti, Drizzt Do'Urden, e saprai trarne vantaggio.» Drizzt non riuscì a rispondere a quel grande complimento, ma Wulfgar, commosso dall'enorme fiducia che Malchor aveva riposto nel suo amico con cui spesso si trovava in disaccordo, parlò per lui. «I nostri più vivi ringraziamenti, Malchor Harpell,» disse cercando di mitigare la scontrosità che aveva contraddistinto il suo comportamento di pochi attimi prima, e si inchinò. «Rimani fedele al tuo cuore, Wulfgar, figlio di Beornegar,» rispose Malchor. «L'orgoglio può tornarti utile, ma può precludere la conoscenza della verità che ti circonda. Andate ora e riposate. Vi sveglierò all'alba perché riprendiate il vostro viaggio.» *
*
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Drizzt rimase seduto sul letto ad osservare il suo amico che si era già addormentato. Era preoccupato per Wulfgar. Si trovava così lontano dalla sconfinata tundra che era la sua patria. E nella loro ricerca di Mithril Hall,
avevano faticosamente attraversato quasi tutti i regni settentrionali, superando numerose prove. Tuttavia, l'avventura era appena iniziata, perché avevano dovuto farsi strada fra mille difficoltà nell'antica terra dei nani, dove Wulfgar aveva perduto il suo mentore e Drizzt il suo più caro amico. Si erano trascinati a fatica fino al villaggio di Sellalunga alla disperata ricerca di un lungo riposo. Ma la realtà non ammetteva interruzioni. Entreri aveva catturato Regis, e Drizzt e Wulfgar rappresentavano l'unica speranza per il loro amico nanerottolo. Sellalunga era la fine di una strada e l'inizio di una ancora più lunga e difficile. Drizzt era in grado di far fronte alla propria stanchezza, ma su Wulfgar sembrava essere calata una cappa di malinconia che lo sospingeva verso il pericolo. Era giovanissimo quando lasciò la Valle del Vento Ghiacciato, la sua patria, per la prima volta ed ora quella zona riparata della tundra dove soffiava un vento eterno si trovava a nord, mentre Calimport si trovava molto più a meridione. Drizzt appoggiò il capo sul guanciale ripensando che Wulfgar stesso aveva deciso di seguirlo e che lui non sarebbe mai riuscito a farlo desistere dalle sue intenzioni per quanto ci avesse provato. L'elfo chiuse gli occhi. La cosa migliore che poteva fare, per sé e per Wulfgar, era riposarsi ed essere pronto a fronteggiare quanto il nuovo giorno gli avrebbe riservato. *
*
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Il muto discepolo di Malchor li svegliò dopo alcune ore e li condusse nella sala da pranzo dove il mago li stava aspettando e dove era stata preparata una raffinata colazione. «La vostra direzione è verso meridione, secondo le parole di mio cugino,» disse Malchor. «All'inseguimento di un uomo che tiene in ostaggio il vostro amico, Regis il nanerottolo.» «Il suo nome è Entreri,» disse Drizzt, «e da quanto mi è dato conoscere sarà una preda difficile da catturare. È diretto a Calimport.» «E sarà ancora più difficile raggiungerlo ora,» aggiunse Wulfgar rivolto a Malchor, anche se Drizzt capì che quelle parole erano dirette a lui. «Non possiamo fare altro che sperare che non abbia cambiato itinerario.» «La sua direzione non era un segreto per nessuno,» commentò Drizzt. «Aveva puntato verso Waterdeep, sulla costa e sicuramente l'ha già oltre-
passata.» «Allora avrà proseguito il viaggio via mare,» ragionò Malchor a voce alta. Wulfgar non aveva valutato quella possibilità e per poco non sputò il boccone che stava masticando. «Temo che tu abbia ragione,» disse Drizzt. «E avevo pensato di fare la stessa cosa.» «È molto pericoloso e costoso,» aggiunse Malchor. «I pirati si riuniscono proprio in questo periodo per le ultime scorribande verso sud prima della fine dell'estate e se non si prendono i dovuti accorgimenti...» Il mago lasciò cadere l'argomento ma le sue terribili parole vibrarono nell'aria. «Voi però non avete altra scelta,» si affrettò ad aggiungere Malchor. «La velocità di un cavallo non è uguale a quella di un veliero e la rotta via mare è più diretta rispetto al percorso via terra. Vi consiglio di imbarcarvi. Forse riuscirò ad aiutarvi a sveltire il vostro viaggio. Il mio discepolo ha già ferrato i vostri cavalli, e con l'aiuto dei ferri incantati potrete raggiungere il porto principale in pochi giorni.» «Quanto dovremo viaggiare in nave?» chiese Wulfgar costernato. Non riusciva a credere che Drizzt avesse intenzione di seguire i suggerimenti del mago. «Il tuo giovane amico non capisce l'importanza di questo viaggio,» disse Malchor rivolto a Drizzt. Il mago appoggiò una forchetta sulla tavola e ne spostò un'altra a pochi centimetri dalla prima. «Qui c'è la Valle del Vento Ghiacciato,» spiegò a Wulfgar indicando la prima forchetta. «E questa è la Torre del Crepuscolo, dove ti trovi in questo momento. I due punti distano quasi quattrocento miglia.» Il mago lanciò una terza forchetta a Drizzt che l'appoggiò davanti a sé a circa una decina di centimetri da quella che rappresentava la dimora del loro ospite. «Sarà un viaggio cinque volte più lungo,» proseguì Malchor, «poiché la quarta forchetta rappresenta Calimport, duemila miglia e numerosi reami più a meridione.» «Allora abbiamo già perduto tutto,» gemette Wulfgar, incapace di concepire una simile distanza. «Non è vero,» disse Malchor. «La tramontana gonfierà le vostre vele e arriverete prima delle nevi dell'inverno. Troverete terre e popoli più ospitali a sud.» «Vedremo,» disse l'elfo scuro con aria titubante, poiché a suo parere i
popoli meridionali erano sinonimo di guai. «Ah!» esclamò Malchor consapevole delle difficoltà che senza ombra di dubbio un elfo scuro avrebbe dovuto affrontare in superficie. «Comunque, ho un altro regalo per voi: la mappa di un tesoro che potrete ricuperare proprio oggi.» «Un altro ritardo,» disse Wulfgar seccato. «Un piccolo prezzo da pagare,» aggiunse Malchor, «e questa piccola deviazione vi risparmierà molti giorni nei popolosi regni meridionali, dove un elfo scuro può muoversi solo durante la notte. Di questo ne sono sicuro.» Drizzt si sentì disorientato dal fatto che Malchor avesse capito subito le sue preoccupazioni e molto velatamente gli avesse offerto un'alternativa. Drizzt non avrebbe ricevuto il benvenuto in nessun posto nei regni meridionali. Le stesse città che avrebbero lasciato passare incolume il malvagio Entreri erano più che mai pronte ad incatenare l'elfo non appena avesse tentato di attraversarle, poiché da tempo ormai gli elfi scuri si erano guadagnati la fama di esseri disgustosamente malvagi e abietti. Poche persone in tutti i regni sarebbero state pronte a riconoscere in Drizzt Do'Urden un'eccezione. «In un luogo a occidente da qui, in fondo ad un sentiero tenebroso del bosco di Neverwinter, all'interno del tronco di un albero vive un mostro che i contadini del posto hanno chiamato Agatha,» disse Malchor. «Un tempo era un elfo, credo, e una potente maga secondo la leggenda. Questo essere disgraziato continua a vivere dopo la morte e di notte si rianima.» Drizzt era a conoscenza delle lugubri leggende raccontate su simili creature e ne conosceva il nome a memoria. «Uno spirito?» chiese. Malchor annuì. «Dovrete andare nella sua tana se siete dotati di coraggio, perché lo spirito ha raccolto un enorme tesoro, ma soprattutto possiede un oggetto che si rivelerà di inestimabile valore per te, Drizzt Do'Urden.» Malchor vide che era riuscito a catturare l'attenzione del suo ospite, perché l'elfo si era appoggiato al bordo della tavola e ascoltava rapito ogni parola che usciva dalla sua bocca. «Una maschera,» spiegò il mago. «Là troverai una maschera incantata che ti permetterà di nascondere la tua vera natura e di camminare liberamente come un elfo di superficie, o come un uomo se preferisci.» Drizzt si appoggiò allo schienale, vagamente innervosito per la minaccia che incombeva su di lui a causa della sua vera identità. «Capisco la tua esitazione,» proseguì Malchor. «Non è facile nasconder-
si da chi ti accusa ingiustamente e dare credibilità alle loro false idee. Ma non dimenticare il tuo amico rapito e sappi che ti propongo questa cosa solo per il suo bene. Puoi attraversare i regni meridionali così come sei, elfo scuro, ma a tuo rischio e pericolo.» Wulfgar si mordicchiò il labbro e non disse nulla. Sapeva che era giunto il momento per Drizzt di prendere una decisione importante e che la sua preoccupazione di un eventuale ritardo non era nulla al confronto del peso di una questione così personale. «Andremo in quella tana in mezzo al bosco,» disse infine Drizzt, «e se proprio devo, indosserò quella maschera.» L'elfo guardò Wulfgar per un attimo. «La nostra unica preoccupazione deve essere Regis.» *
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Drizzt e Wulfgar si sistemarono sopra le selle fuori dalla Torre del Crepuscolo con Malchor al loro fianco. «Prestate attenzione a tutto,» li ammonì Malchor porgendo la mappa per ritrovare la tana dello spirito ed un'altra pergamena dove era indicato il tragitto del loro viaggio verso sud. «Il suo tocco è mortale e secondo la leggenda il suo lamento è presagio di morte.» «Il suo lamento?» chiese Wulfgar. «Un gemito soprannaturale talmente terribile che le orecchie umane non possono sopportare,» disse Malchor. «State attenti!» «Non temere,» l'assicurò Drizzt. «Non dimenticheremo mai l'ospitalità e i doni di Malchor Harpell,» aggiunse Wulfgar. «Nemmeno la lezione, spero,» disse il mago ammiccando e suscitando in Wulfgar un sorriso imbarazzato. Drizzt scoprì con piacere che il suo amico era riuscito a scrollarsi di dosso un po' della sua scontrosità. Il sole sorse e la torre rapidamente svanì nel nulla. «La torre è scomparsa, ma è rimasto il mago!» esclamò Wulfgar. «La torre se n'è andata, ma è rimasta la porta che conduce all'interno,» precisò Malchor allontanandosi di alcuni passi. Il mago allungò un braccio e la sua mano scomparve. Wulfgar sussultò meravigliato. «Per chi sa dove trovarla,» aggiunse Malchor. «E per chi ha disciplinato la propria mente secondo i principi della magia.» Oltrepassò il portale che
lo conduceva in un'altra dimensione, ma la sua voce raggiunse le orecchie dei due uomini. «Disciplina!» disse la sua voce, e Wulfgar capì che quell'unica e ultima parola di Malchor era diretta solo a lui. Drizzt spronò il cavallo e spiegò la mappa davanti a sé. «Harpell?» disse verso l'amico che gli stava alle spalle, imitandone il tono derisivo della sera precedente. «Magari tutti gli appartenenti al clan degli Harpell fossero come Malchor!» aggiunse Wulfgar. Rimase ad osservare il nulla che pochi istanti prima aveva ospitato la Torre del Crepuscolo meditando che nello spazio di una notte aveva ricevuto da quel mago due importanti lezioni: una sul pregiudizio e una sull'umiltà. *
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All'interno della sua dimora della dimensione invisibili all'uomo, Malchor osservò i due ospiti mentre si allontanavano. In cuor suo desiderava unirsi a loro e viaggiare lungo i sentieri dell'avventura, proprio come aveva fatto in gioventù, trovando sempre la strada giusta anche contro ogni aspettativa. Malchor era conscio del fatto che Harkle aveva giudicato i principi che muovevano quei due con infallibile esattezza ed aveva fatto bene a chiedere il suo aiuto. Il mago si appoggiò alla porta. Ormai erano lontani i giorni avventurosi, il tempo in cui sulle sue spalle poggiava il vessillo della giustizia. Gli avvenimenti della notte lo rincuorarono. Se l'elfo e il suo amico barbaro erano veramente il segno inviato dal destino, allora lui aveva appena passato il testimone in mani capaci. 2 Mille migliaia di piccole candele L'assassino, affascinato, osservò il rubino che girava lentamente nella tremolante luce della candela catturandone la fiamma danzante in un'infinità di minuscole immagini riflesse nelle sfaccettature. Nessuna gemma al mondo era così piccola e così perfetta. Lo spettacolo era incredibile. Un baluginio di piccole candele lo stava trascinando sempre più nel rossore della pietra. Nessun gioielliere avrebbe mai potuto essere autore di un simile intaglio. La sua precisione andava oltre il livello di perfezione che si poteva raggiungere con uno strumento.
Si ripeté lentamente che quella gemma era frutto della magia, una sua creazione fatta per fagocitare l'osservatore nel vortice di luce, verso la serenità nascosta nelle profondità rossastre della pietra. Un'infinità di minuscole candele. Non c'era da meravigliarsi se, con estrema facilità, era riuscito a indurre il capitano a dargli un passaggio fino a Calimport. I suggerimenti che provenivano dalle arcane profondità di quella gemma difficilmente potevano essere ignorati. Erano suggerimenti che si tramutavano in parole di serenità e pace, in frasi che solamente un amico sapeva dire... Sul volto di Entreri un sorriso sostituì la sua abituale smorfia mentre indugiava con lo sguardo negli abissi di quel calmo mare purpureo. L'assassino si divincolò dal fascino del rubino e si stropicciò vigorosamente gli occhi, meravigliato dal fatto che persino una persona erudita come lui potesse essere vulnerabile all'insistente abbraccio della gemma. Lanciò un'occhiata in un angolo della cabina, dove Regis se ne stava accovacciato in preda a cupi pensieri. «Ora capisco la tua disperazione quando hai rubato questo gioiello,» disse al nano. Regis ebbe un sussulto perché Entreri, per la prima volta da quando erano saliti a bordo a Waterdeep, gli aveva rivolto la parola. «E ora so perché Pascià Pook cerca così disperatamente di riottenerla,» aggiunse rivolto più a se stesso che a Regis. Il nanerottolo chinò il capo per guardare meglio l'assassino. Era possibile che quel ciondolo riuscisse a catturare persino Artemis Entreri? «È vero che è una gemma meravigliosa,» disse fiducioso, ma incerto sul modo di gestire quella strana empatia che lo legava al terribile assassino. «È molto più di una gemma,» disse Entreri con aria assente rivolgendo lo sguardo al fascino irresistibile di quel magico vortice di ingannevoli sfaccettature. Regis riconobbe l'espressione calma del volto dell'assassino perché anche lui l'aveva avuta quando per la prima volta aveva visto il meraviglioso ciondolo di Pook. A quei tempi era un ladro baciato dal successo e conduceva una vita agiata a Calimport. Ma le promesse insite in quella pietra magica erano state di gran lunga più allettanti degli agi garantiti dall'arte del ladrocinio. «Forse è stato il pendente a rubare me,» disse quasi d'impulso. Regis aveva sottovalutato la forza di volontà di Entreri. L'assassino lo guardò con occhi glaciali abbozzando una smorfia con cui lasciava inten-
dere di avere capito cosa il nanerottolo volesse insinuare. Regis si aggrappò a qualsiasi brandello di speranza che riusciva a intravedere e continuò a parlare. «Credo che i poteri di quella gemma mi abbiano sopraffatto. Non è stato un crimine, io non avevo altra scelta...» La risata arcigna di Entreri gli paralizzò la lingua. «Tu sei un ladro, oppure un debole,» sibilò l'assassino. «E in tutt'e due i casi, il mio cuore non prova pietà per te. Ti sei meritato l'ira di Pook!» Afferrò il ciondolo per la catenina d'oro e lo lasciò cadere nella bisaccia estraendo subito dopo un altro oggetto: una statuetta di onice dalle fattezze di una pantera. «Dimmi quanto sai di questa,» ordinò a Regis. Il nanerottolo si chiese quando Entreri avesse sviluppato una simile curiosità per quella statuetta. Aveva visto l'assassino giocherellarvi ai bordi della Forra di Garumn di Mithril Hall, istigando Drizzt che si trovava dall'altra parte del baratro. E da quella volta Regis non aveva più visto Guenhwyvar, la pantera magica. Regis scrollò le spalle sconsolato. «Non ripeterò la domanda,» minacciò Entreri. La glaciale ineluttabilità della sorte avversa, l'inevitabile alone del terrore che tutte le vittime di Artemis Entreri imparavano presto a conoscere si impossessò ancora una volta del cuore di Regis. «Appartiene all'elfo,» balbettò il nanerottolo. «Si chiama Guen...» Regis non finì la parola perché la mano libera di Entreri aveva afferrato un pugnale tempestato di pietre preziose ed era pronta a lanciare. «Stai forse chiamando un alleato?» chiese Entreri con tono arcigno infilandosi la statuetta in tasca. «Conosco anch'io il nome di questa bestia, nanerottolo. E ti assicuro che quando arriverà, tu sarai già morto.» «Hai paura del felino?» si azzardò a chiedere Regis. «Non voglio rischiare,» aggiunse Entreri. «Ma tu chiamerai la pantera, vero?» continuò Regis cercando un modo per sovvertire l'equilibrio delle forze fra loro. «Un compagno per le strade solitarie che percorrerai?» Con una risata Entreri si beffò di quel pensiero. «Un compagno? E perché dovrei desiderare un compagno, piccolo stupido? Che vantaggio potrei sperare di trarne?» «Una forza ancora più grande,» cercò di ribattere Regis. «Stupido,» ripeté Entreri. «Questo è il tuo sbaglio. Lungo la strada i compagni portano intralcio e sfortuna. Guardati, amico dell'elfo! Che forza ti può venire da Drizzt Do'Urden? Sta accorrendo in tuo aiuto, per obbedi-
re alla responsabilità di essere un tuo amico.» Entreri proferì l'ultima parola con evidente disgusto. «E questo sarà il suo ultimo viaggio!» Regis reclinò il capo e non rispose. Le parole dell'assassino erano vere. I suoi amici stavano andando incontro a pericoli di cui non potevano nemmeno immaginare l'entità in nome dell'amicizia che li legava e a causa degli errori che lui stesso aveva commesso prima di conoscerli. Entreri infilò il pugnale nel fodero e balzò in piedi. «Goditi questa notte, ladruncolo. Assapora il freddo vento del mare e le deliziose sensazioni di questo viaggio come un uomo che si trova davanti alla morte perché Calimport è vicina e il tuo destino si sta per compiere. Il tuo e quello dei tuoi amici!» L'assassino uscì dalla stanza sbattendo violentemente la porta dietro di sé. Regis notò che non aveva chiuso a chiave. Non lo faceva mai perché non ce n'era bisogno! Regis provò un violento moto di rabbia. Il terrore era la sola corda con cui Entreri legava le proprie vittime, una corda molto più tangibile di una pesante catena. Non poteva nascondersi da nessuna parte e non poteva fuggire. Regis nascose il viso fra le mani e all'improvviso sentì il lento beccheggio della nave, il ritmico e monotono scricchiolare delle vecchie assi e il proprio corpo che seguiva quei movimenti. Provò un terribile senso di nausea. I nanerottoli come lui non amavano il mare e rispetto alla sua gente Regis lo amava ancor meno. Entreri non poteva trovargli un tormento migliore che un viaggio verso meridione in un vascello sul Mare della Spada. «Ancora!» gemette Regis barcollando verso l'oblò. Aprì la piccola finestra con un gesto veloce e vi infilò la testa per cercare refrigerio nella frizzante brezza notturna. *
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Entreri attraversò il ponte vuoto stringendosi nel mantello. Sopra la sua testa le vele si arcuavano nel precoce vento invernale che sospingeva il veliero lungo la rotta che portava a sud. Il cielo era illuminato da una miriade di stelle il cui tremolio dava consistenza alla pesante oscurità che si fondeva con la superficie piatta del mare in un orizzonte lontano. Entreri estrasse ancora una volta il ciondolo perché la gemma catturasse la luce delle stelle. Rimase ad osservare il tremolante caleidoscopio di luci studiandone i misteriosi giochi, mosso dalla determinazione di arrivare a
conoscerli bene prima della fine del viaggio. Pascià Pook avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riavere quel pendente perché gli avrebbe assicurato poteri smisurati! Entreri si rese conto in quell'attimo che il potere di quella gemma era maggiore di quanto avesse mai potuto immaginare. Grazie al pendente Pook aveva trasformato i nemici in amici, e gli amici in schiavi. «Anche a me è successo?» meditò Entreri sottovoce, affascinato dall'infinità di stelle che piroettavano nelle sfumature rossastre della gemma. «Anch'io sono una vittima? Oppure lo diventerò?» Era incredibile pensare che lui, Artemis Entreri, potesse mai diventare succube del fascino magico di quella pietra nonostante fosse consapevole del fatto che il rubino possedeva un potere cui era difficile resistere. Entreri scoppiò in una fragorosa risata. Il timoniere, l'unica persona che si trovava sul ponte, lo guardò incuriosito per un momento, ma ritornò subito ai suoi compiti. «No,» bisbigliò Entreri al rubino. «Non mi avrai. Conosco i tuoi inganni e riuscirò a dominarli! Percorrerò i sentieri verso gli abissi del tuo misterioso fascino e troverò il modo per ritornare in superficie!» Ridendo, chiuse la catenina d'oro attorno al collo e infilò il rubino sotto il farsetto di pelle. Infilò una mano nella bisaccia e strinse le dita attorno alla statuetta della pantera rivolgendo lo sguardo a nord. «Stai guardando, Drizzt Do'Urden?» chiese alla notte. Conosceva già la risposta. In qualche luogo, a molte miglia da lì, a Waterdeep o a Sellalunga, o in un posto fra le due città, gli occhi color lavanda dell'elfo stavano fissando l'orizzonte meridionale. Il destino voleva che dovessero incontrarsi di nuovo ed entrambi lo sapevano. Si erano già affrontati a Mithril Hall, ma nessuno dei due aveva potuto dirsi vincitore. Eppure doveva esserci un vincitore. Entreri non aveva mai incontrato in vita sua nessun essere che possedesse riflessi pronti quanto quelli dell'elfo, o un polso forte che brandiva la spada come quello di Drizzt Do'Urden. I ricordi del loro scontro gli avevano assillato l'animo. Erano così simili e i loro movimenti seguivano la stessa armoniosa danza. Purtuttavia, l'elfo, dall'animo compassionevole e attento, possedeva un'umanità che Entreri aveva da tempo dimenticato. Emozioni e debolezze non potevano trovare posto nell'arido e vuoto cuore del guerriero.
Le dita di Entreri si strinsero nervosamente a pugno al ricordo dell'elfo. L'assassino cercò di controllare il suo stato d'animo con uno sbuffo rabbioso nella gelida notte. «Vieni, Drizzt Do'Urden,» sibilò a denti stretti. «Vediamo chi dei due è il più forte!» La sua voce vibrò di una determinazione mortale agitata da una vena sottile e quasi impercettibile di ansia. Per entrambi quella sarebbe stata l'unica e vera sfida della loro vita, l'ultima prova dei principi così diversi che avevano guidato le loro azioni. Per Entreri, non ci sarebbe stata un'altra situazione di parità simile. Aveva venduto l'anima pur di riuscire ad ottenere l'abilità di cui si vantava e se Drizzt Do'Urden lo avesse sconfitto oppure se si fosse dimostrato un suo pari, l'esistenza stessa dell'assassino si sarebbe rivelata una squallida menzogna. Entreri non ne era convinto poiché lui era nato per la vittoria. *
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Anche Regis stava contemplando la notte. La corroborante brezza gli aveva calmato lo stomaco e le stelle avevano condotto i suoi pensieri lontano molte miglia, verso i suoi amici. Quante volte avevano trascorso insieme notti così simili a quella nella Valle del Vento Ghiacciato, a narrare storie di avventure oppure ad assaporare in silenzio la compagnia degli amici. La Valle del Vento Ghiacciato era una striscia desolata di tundra sferzata dal gelo, una terra afflitta da un tempo crudele e popolata da gente brutale, ma Bruenor e Catti-brie, Drizzt e Wulfgar, gli amici che Regis aveva trovato in quel luogo, avevano riscaldato le notti invernali più fredde e con la loro presenza avevano addolcito il soffio gelido dell'incessante tramontana. Tutto sommato, per Regis la Valle del Vento Ghiacciato rappresentava una breve pausa dei suoi innumerevoli viaggi. Là aveva vissuto per quasi dieci dei cinquanta anni della sua vita, ma ora, in viaggio verso i regni meridionali dove era nato, Regis si rese conto che la Valle del Vento Ghiacciato era la sua vera casa e che quegli amici che spesso aveva dato per scontato, erano la sua unica famiglia. Il nanerottolo scosse il capo per cercare di allontanare quei tristi pensieri e provò a considerare la strada che ancora doveva percorrere. Drizzt avrebbe cercato di raggiungerlo, e forse anche Wulfgar e Catti-brie. Non Bruenor, però. Il sollievo che Regis aveva provato quando Drizzt era ritornato illeso
dalle viscere di Mithril Hall era irrimediabilmente precipitato nella Forra di Garumn assieme al valoroso nano. Un drago li aveva intrappolati mentre un esercito di malvagi nani grigi aveva precluso ogni via di scampo. Ma Bruenor, a costo della sua stessa vita, aveva aperto un varco buttandosi sul drago con un barile di olio bollente, trascinando il mostro e se stesso in quel baratro senza fine. Regis non sopportava il ricordo di quella terribile scena. Nonostante i modi burberi e la parlata mordace, Bruenor Martello di guerra era stato il suo compagno più caro. Una stella cadente descrisse una striscia di luce nel cielo. Il movimento del veliero non accennava a diminuire e l'odore salmastro del mare gli pungeva le narici, ma là, appoggiato all'oblò e immerso nelle tenebre della notte, Regis non provò più nausea, ma una malinconica serenità cullata dai ricordi dell'allegro periodo passato con quel nano burbero. La vita di Bruenor Martello di guerra aveva bruciato come una torcia al vento, in una frenetica danza fra combattimenti e giochi, fino alla fine. Gli altri amici di Regis erano riusciti a salvarsi. Ne era sicuro, come lo era Entreri. Sarebbero accorsi in suo aiuto e Drizzt lo avrebbe salvato e sistemato ogni cosa. Regis doveva aggrapparsi a quella speranza. Per quanto lo riguardava, lo scopo della sua missione era lampante. Una volta arrivato a Calimport, Entreri avrebbe cercato alleati fra la gente di Pook. In quella città l'assassino si sarebbe trovato a casa poiché conosceva ogni angolo nascosto e il vantaggio sui suoi nemici sarebbe divenuto impareggiabile. Regis doveva fermarlo. Rinvigorito dalla forza che scaturiva da un obiettivo ancora indistinto, Regis osservò la cabina alla disperata ricerca di un indizio. Più e più volte il suo sguardo venne attratto dalla candela. «La fiamma,» mormorò fra sé abbozzando un tenue sorriso. Si avvicinò alla tavola e tolse la candela dal supporto. La cera liquefatta, trasparente promessa di un pungente dolore, ondeggiò attorno allo stoppino. Regis non esitò. Si rimboccò una manica e lasciò cadere alcune gocce di cera sul braccio, stringendo i denti per sopportarne il morso caldo. Doveva assolutamente rallentare la fuga di Entreri. *
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Regis fece una delle sue rare apparizioni sul ponte il mattino successivo.
L'alba aveva portato con sé un cielo terso e il nanerottolo voleva portare a termine il suo piano prima che il sole fosse alto nel cielo e che con i suoi raggi abbacinanti creasse strani giochi di luce con i flutti del mare. Rimase fermo vicino al parapetto a ripetersi quanto doveva fare e cercando di raccogliere tutto il coraggio che aveva per sfidare le tacite minacce di Entreri. L'assassino si avvicinò fermandosi al suo fianco. Regis si aggrappò al parapetto temendo che Entreri riuscisse ad indovinare le sue intenzioni. «Terra,» gli disse Entreri. Regis osservò l'orizzonte lontano e vide una sottile striscia scura. «Terra in vista,» continuò Entreri, «e non è molto lontana.» Rivolse lentamente lo sguardo verso Regis e gli diresse uno dei suoi perfidi sorrisi. Regis si strinse nelle spalle. «È troppo lontana.» «Forse,» ribatté l'assassino, «ma tu potresti arrivarci con facilità, anche se è risaputo che la tua gente alta mezza tacca non ama nuotare. Ci hai mai pensato?» «Io non so nuotare,» rispose Regis con aria distratta. «Un vero peccato,» ridacchiò Entreri. «Ma se decidi di provare a nuotare fino a riva, avvertimi.» Regis indietreggiò in preda alla confusione. «Non ti ostacolerei,» proseguì Entreri. «Mi divertirei un sacco.» L'espressione sconcertata del nanerottolo si tramutò in rabbia. Entreri si stava beffando di lui, ma non era in grado di capire dove volesse arrivare. «In queste acque vive uno strano pesce,» disse infine Entreri rivolgendo lo sguardo verso il mare. «Un pesce davvero intelligente. Segue le imbarcazioni in attesa che qualcuno si butti.» Entreri si girò per vedere l'effetto delle sue parole. «Si riconosce dalla pinna arcuata che ha sul dorso,» proseguì dopo avere notato di avere catturato l'attenzione di Regis. «Una pinna che fende l'acqua come la prua di un vascello. Se rimani qui ancora un po', sicuramente ne vedrai uno.» «Perché dovrei?» «Si chiamano squali,» disse Entreri fingendo di non sentire la domanda del nanerottolo. Estrasse lentamente il pugnale e si premette la punta acuminata contro un dito fino a far uscire una goccia di sangue. «Pesci meravigliosi. Hanno una fila di denti lunghi come questo pugnale, affilati e taglienti, e una bocca che riuscirebbe a mangiare mezzo uomo.» Entreri lo fissò con un'intensità perversa. «Oppure un nanerottolo intero.» «Io non so nuotare!» esclamò Regis con un filo di voce, disgustato dalla
persuasività macabra, ma efficace, dell'assassino. «Peccato, ma se cambi idea avvertimi subito,» ridacchiò l'assassino allontanandosi con uno svolazzo dell'ampio mantello. «Bastardo,» sibilò Regis riavvicinandosi al parapetto. Il suo sguardo si soffermò sulla superficie increspata del mare e ne immaginò la profondità. Cambiò idea e indietreggiò di nuovo verso la sicurezza del ponte. Ancora una volta Regis sbiancò in volto quando la vastità del mare parve fagocitarlo con il suo interminabile e nauseabondo ondeggiare. «Sei pronto per appoggiarti al parapetto, piccolino,» disse una voce allegra. Regis si voltò e vide un marinaio basso e dalle gambe storte, con pochi denti e gli occhi strabici. «Non ti sei ancora abituato al mare?» Regis scrollò le spalle e cercando di vincere la nausea ripensò alla sua missione. «Non è questo il motivo,» rispose laconico. Il marinaio non capì quelle parole e con un sorriso che gli increspò la pelle sporca indurita dal sole, si allontanò. «Comunque grazie per l'interessamento,» disse Regis con enfasi. «E per il coraggio che dimostrate nell'accompagnarci fino a Calimport.» Il marinaio si voltò perplesso. «Non è la prima volta che diamo un passaggio verso sud,» disse confuso. «Certo, ma se si considera il pericolo, anche se non credo che sia grande!» si affrettò ad aggiungere Regis dando l'impressione di non volere accennare a quel pericolo sconosciuto. «Non importa. A Calimport ci cureranno.» Smise di parlare, ma subito dopo aggiunse mormorando in modo che il marinaio sentisse: «Se ci arriviamo vivi.» «Ehi, cosa vuoi dire?» chiese il marinaio avvicinandosi con il volto serio. Regis gemette stringendosi il braccio come se fosse stato assalito da un improvviso dolore. Il suo volto venne storpiato da un'orribile smorfia mentre con gesti veloci grattava via le gocce indurite di cera e le pustole sottostanti. Un rivolo di sangue uscì lentamente da sotto la manica della camicia. Il marinaio gli afferrò il braccio e alzò la manica fino al gomito, sgranando gli occhi davanti alle piccole ferite. «Ti sei bruciato?» «Non toccarle!» urlò Regis in un gemito disperato. «Così potresti venire contagiato.» Il marinaio ritrasse le mani terrorizzato notando altre piccole ferite. «A bordo non c'è fuoco! Come hai fatto a bruciarti?» Regis si strinse nelle spalle, sconsolato. «Sono venute da sole, da dentro
il mio corpo.» Il marinaio sbiancò in volto. «Ma riuscirò a resistere fino a Calimport,» aggiunse con un tono dubbioso. «Questo male impiega molto tempo a consumarti, e le mie ferite sono recenti.» Regis abbassò lo sguardo e rimase ad osservare per qualche istante le lesioni purulente. «Vedi?» disse infine allungando il braccio verso il marinaio. Quando alzò il capo, Regis vide il marinaio dirigersi di corsa verso l'alloggio del capitano. «A noi due, Artemis Entreri,» sussurrò il nanerottolo con un sorriso trionfante. 3 L'orgoglio di Conyberry «Quelle devono essere le fattorie di cui ci ha parlato Malchor,» disse Wulfgar mentre assieme a Drizzt costeggiava una macchia d'alberi lungo il limitare della foresta. In lontananza, verso meridione, si intravedeva una decina di case costruite una vicina all'altra a ridosso del margine orientale della foresta, circondate sugli altri lati da estesi e ondulati campi. Wulfgar spronò il cavallo, ma Drizzt lo fermò con un gesto imperioso della mano. «Qui la gente è semplice,» spiegò l'elfo. «I contadini vivono in un mondo popolato di antiche superstizioni e non accoglierebbero di buon grado un elfo scuro. Aspettiamo la notte.» «Forse riusciremo a trovare la strada senza il loro aiuto,» propose Wulfgar temendo di sprecare un'altra giornata di viaggio. «È molto più probabile che ci perdiamo nella foresta,» ribatté Drizzt smontando da cavallo. «Riposati, amico. La notte è foriera d'avventura.» «Quella creatura si anima di notte, non scordarlo,» precisò Wulfgar ricordando quanto aveva detto Malchor sullo spirito. «Non stanotte,» mormorò Drizzt con un ampio sorriso. Wulfgar riconobbe subito il luccichio che era solito illuminare gli occhi dell'elfo prima di uno scontro e, obbediente, scese dalla sella. Drizzt si stava già preparando all'imminente battaglia flettendo ritmicamente gli agili muscoli del suo corpo. Nonostante avesse fiducia nella bravura del compagno, il giovane barbaro non riusciva a frenare il tremito che gli attraversava la schiena all'idea di affrontare l'orripilante mostro che li attendeva nella notte.
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Trascorsero la giornata fra il sonno e la veglia, assaporando il leggero vento che faceva danzare le fronde, il canto degli uccelli e l'allegro squittio degli scoiattoli che si preparavano con solerzia all'inverno. Quando però la notte calò sulla terra, il bosco di Neverwinter venne avvolto dà un'atmosfera diversa. Le tenebre si intrufolarono nella densa vegetazione e un inquietante silenzio ammutolì le creature che vi abitavano, come se il pericolo fosse in agguato. Drizzt svegliò Wulfgar e lo condusse subito verso sud senza nemmeno fermarsi per una cena frugale. Dopo alcuni minuti si avvicinarono alla prima fattoria a piedi, portando i loro cavalli per le redini. Fortunatamente era una notte illune e solo un occhio vigile avrebbe riconosciuto la vera identità di Drizzt. «Dite chi siete oppure andatevene!» ordinò una voce minacciosa che proveniva dal tetto prima ancora che i due si potessero avvicinare alla porta per bussare. Drizzt non ne fu sorpreso. «Siamo venuti qui per regolare un vecchio conto,» rispose senza esitazione. «Che razza di nemici due come voi possono avere qui a Conyberry?» chiese la voce. «Nel vostro bel villaggio?» chiese Drizzt. «Nessuno! Il conto da saldare riguarda un nemico anche vostro.» Si udì un fruscio e dopo alcuni istanti, da un angolo della fattoria, sbucarono due uomini con un arco in mano. Drizzt e Wulfgar sapevano che altri occhi, e molti altri archi, erano puntati su di loro sul tetto e fors'anche alle loro spalle. Per essere semplici contadini, sembravano avere una difesa ben organizzata. «Un nemico comune?» chiese uno dei due nella penombra, lo stesso che aveva parlato per primo. «Questa è la prima volta che vediamo un tuo simile, elfo, e uno come il tuo amico gigante.» Wulfgar si tolse Aegis-fang dalla spalla e quel gesto provocò un concitato fruscio sul tetto. «Non siamo mai entrati nel vostro villaggio prima d'ora,» ribatté il barbaro con voce severa, per nulla lusingato dal fatto di essere stato definito un gigante. Drizzt si affrettò a intromettersi nella conversazione. «Un nostro amico è stato ucciso qui, lungo un sentiero della foresta. Ci è stato detto che voi potete guidarci.»
All'improvviso la porta della casa si socchiuse e una vecchia dal volto grinzoso vi fece capolino. «Voi due, che volete dal fantasma della foresta?» gracchiò la donna inviperita. «Non disturbate chi invece la lascia in pace!» Drizzt e Wulfgar si guardarono esterrefatti dall'atteggiamento così ostile della vecchia. «Sì, lasciate Agatha in pace,» ripeté l'uomo che se ne stava immobile nell'angolo della casa. «Andatevene!» fece eco un uomo invisibile dal tetto. Temendo che quella gente fosse vittima di un potente incantesimo, Wulfgar strinse con forza il martello ma Drizzt avvertì nelle loro voci qualcosa di strano. «Mi hanno raccontato che il fantasma, questa Agatha insomma, un tempo era uno spirito malvagio,» disse Drizzt con voce pacata. «È possibile che io abbia capito male? Dopotutto un intero villaggio di gente per bene lo difende!» «Malvagio? Cosa vuol dire malvagio?» chiese con tono sprezzante la vecchia trascinando il proprio corpo rinsecchito verso Wulfgar. Il barbaro indietreggiò di qualche passo anche se il volto rugoso della donna gli arrivava all'altezza dell'ombelico. «Il fantasma difende da solo la propria dimora,» aggiunse l'uomo dall'angolo della casa. «E sia maledetto chi osa disturbarlo!» «Maledetti!» strillò la donna puntando un dito ossuto contro l'ampio torace di Wulfgar. Il barbaro aveva sentito abbastanza. «Indietro!» tuonò con voce possente alla vecchia brandendo Aegis-fang con la mano libera. Quel movimento fece muovere i possenti muscoli del suo corpo e la donna si precipitò verso la casa urlando in preda al terrore, sbattendo con violenza la porta. «Peccato,» sussurrò Drizzt consapevole di quanto quel gesto stava per scatenare. L'elfo si tuffò a terra rannicchiandosi proprio quando una freccia scoccata dal tetto si conficcò dove pochi attimi prima si trovava. Anche Wulfgar si aspettava di essere il bersaglio di una freccia, ma invece vide il profilo indistinto di un uomo lanciarsi dal tetto. Il barbaro lo afferrò con una mano e lo tenne sollevato a mezz'aria. Contemporaneamente Drizzt si era rialzato e si era precipitato verso i due uomini che si trovavano ancora nell'angolo buio della casa. Sfoderò la scimitarra e la puntò contro le loro gole non dandogli il tempo di incoccare le frecce che tenevano in mano. Terrorizzati, riconobbero subito la vera
identità di Drizzt e anche se la sua pelle fosse stata pallida come i suoi cugini di superficie, il fuoco che ardeva nello sguardo dell'elfo scuro avrebbe bruciato qualsiasi loro iniziativa. Passarono alcuni secondi che parvero un'eternità e l'unico movimento era il visibile tremore che scuoteva i tre uomini. «Un disdicevole malinteso,» disse infine Drizzt indietreggiando di qualche passo e rinfoderando la scimitarra. «Mettilo giù,» ordinò a Wulfgar. «Piano!» si affrettò ad aggiungere. Wulfgar appoggiò l'uomo a terra, ma il contadino terrorizzato ruzzolò nel fango tenendo lo sguardo intimorito sull'imponente barbaro che continuava a guardarlo con una smorfia per incutere la paura sufficiente per tenerlo a bada. La porta della casa si riaprì e la vecchia si fece avanti con passo titubante. «Non vorrete uccidere la povera Agatha?» chiese con voce implorante. «È innocua,» aggiunse uno dei due uomini con voce tremante e scandendo ogni sillaba. «No,» disse Wulfgar dopo avere scambiato una rapida occhiata con Drizzt. «Andremo a trovare Agatha e sistemeremo i nostri conti con lei, ma non temete. Non le faremo alcun male!» «Indicateci la strada,» disse Drizzt. I due uomini si guardarono e lasciarono passare alcuni secondi prima di rispondere. «Subito!» urlò Wulfgar all'uomo ancora disteso ai suoi piedi. «Il boschetto di betulle!» disse l'uomo d'un fiato. «Il sentiero parte da lì ed è diretto verso oriente. È tortuoso, ma ben segnato.» «Addio, Conyberry,» disse Drizzt con voce garbata facendo un profondo inchino. «Il nostro desiderio sarebbe stato quello di fermarci per fugare le vostre paure nei nostri confronti, ma dobbiamo fare molte cose e una lunga strada ci attende.» L'elfo e Wulfgar balzarono in sella e spronarono i cavalli. «Aspettate!» urlò la vecchia. I destrieri si impennarono quando i due si voltarono. «Diteci, temerari o stupidi guerrieri, quali sono i vostri nomi!» «Wulfgar, figlio di Beornegar!» esclamò il barbaro cercando di assumere un tono umile, anche se l'orgoglio gli aveva gonfiato il petto. «E Drizzt Do'Urden!» «Sono nomi che ho già sentito!» disse un contadino con voce sorpresa. «Nomi che sentirete ancora!» promise Wulfgar e dopo un attimo di attesa spronò il cavallo per raggiungere Drizzt che ormai si era allontanato.
L'elfo non riteneva una cosa saggia svelare i loro nomi e di conseguenza la loro ubicazione proprio quando Artemis Entreri cercava disperatamente di localizzarli, ma quando vide il sorriso soddisfatto sul volto di Wulfgar, tenne per sé le preoccupazioni e lasciò che il giovane amico avesse la propria parte di divertimento. *
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Appena le luci di Conyberry divennero punti indistinti all'orizzonte, il volto di Wulfgar si fece serio. «Non mi sembravano persone cattive,» disse a Drizzt, «ma proteggono lo spirito e lo hanno nominato più volte! Avremmo potuto neutralizzarli con un globo di tenebre.» «No,» replicò Drizzt. «Conyberry è un tranquillo villaggio di contadini umili e lavoratori.» «Che dici di Agatha, allora?» protestò Wulfgar. «Centinaia di villaggi simili a questo costellano questa terra,» spiegò Drizzt. «Di molti non se ne conosce nemmeno il nome, e tutti comunque sono dimenticati dai signori di questi regni. Tutti i villaggi e tutti i signori, però, hanno sentito parlare di Conyberry e del fantasma del bosco di Neverwinter.» «Agatha lo ha reso famoso,» concluse Wulfgar. «E indubbiamente lo ha protetto,» aggiunse Drizzt. «Quale bandito oserebbe mai avventurarsi lungo la strada per Conyberry sapendo che un fantasma vive nella foresta?» chiese Wulfgar ridendo. «Anche se mi pare uno strano connubio.» «Non sono affari nostri,» disse Drizzt fermando il cavallo. «Il boschetto di cui ci ha parlato quel contadino,» aggiunse indicando una macchia di betulle contorte, oltre la quale si intravedeva il misterioso bosco di Neverwinter avvolto nelle tenebre. Il destriero di Wulfgar abbassò le orecchie. «Siamo vicini,» disse il barbaro smontando dalla sella. Impastoiarono i cavalli e si diressero verso il boschetto. Drizzt si muoveva con un'agilità felina mentre i passi di Wulfgar, il cui corpo era troppo massiccio per passare con facilità nel fitto sottobosco, provocavano un continuo fruscio. «Hai intenzione di ucciderlo?» chiese il giovane barbaro. «Solo se siamo costretti a farlo,» ribatté l'elfo. «Siamo venuti qui solo per la maschera e abbiamo dato la nostra parola alla gente di Conyberry.» «Non credo che Agatha voglia consegnarci spontaneamente il suo teso-
ro,» volle precisare Wulfgar mentre oltrepassava l'ultima fila di betulle. Si fermò accanto a Drizzt, a pochi passi dall'inizio di un oscuro sentiero immerso nella lussureggiante foresta di querce. «Sta' zitto, adesso!» sussurrò l'elfo sguainando Lampo, la scimitarra magica, per far sì che il bagliore azzurro illuminasse il sentiero. Le fronde degli alberi sembravano essersi richiuse sopra le loro teste. L'inquietante silenzio che regnava in quel mondo aumentava il fruscio dei loro passi. Persino Drizzt, che aveva trascorso centinaia d'anni nelle caverne più profonde, sentì il peso delle tenebre del bosco di Neverwinter gravare sulle proprie spalle. Le forze del male si erano insinuate nella foresta e se lui stesso o Wulfgar avevano dubitato della veridicità delle leggende sullo spirito vivente, in quel momento potevano toccare con mano la cruda realtà. Drizzt tirò fuori una candela dalla bisaccia appesa al cinturone e dopo averla spezzata porse una metà a Wulfgar. «Tappati le orecchie,» sussurrò l'elfo d'un fiato ricordando l'ammonimento di Malchor. «Udire il suo gemito significa morire.» Percorsero il sentiero con facilità nonostante le dense tenebre e l'alito del male si facessero sempre più tangibili ad ogni passo. Dopo qualche minuto di cammino, in lontananza intravidero un crepitante fuoco e istintivamente i due compagni si accovacciarono per esaminare meglio la zona. Davanti a loro videro una cupola di rami, una sorta di caverna fatta di alberi. Avevano raggiunto la tana dello spirito vivente. Vi si poteva accedere da un unico pertugio, largo a sufficienza perché un uomo potesse entrarvi strisciando per terra. L'idea di doversi avvicinare all'alone di luce a quattro zampe non allettava nessuno dei due. Wulfgar sollevò Aegis-fang davanti a sé facendo intendere che avrebbe aperto un varco più ampio e con passo deciso si diresse verso la tana. Drizzt lo seguì con passo incerto, dubitando sulla validità dell'idea del giovane barbaro. L'elfo era convinto infatti che una creatura sopravvissuta alla stessa morte doveva essersi in qualche modo protetta da una tattica d'attacco così banale. L'elfo non aveva idee alternative e si fermò a qualche passo dal barbaro che si apprestava a colpire. Wulfgar allargò i piedi e bilanciò il peso del corpo portando il martello sopra la testa e dopo avere inspirato profondamente sferrò il colpo con quanta forza aveva in corpo. La cupola di alberi vibrò sotto il violento impatto di Aegis-fang. I tronchi si frantumarono e i ramoscelli schizzarono in aria. Solo allora i dubbi di Drizzt si tramutarono in una penosa certezza. Wul-
fgar aveva aperto un varco, ma il suo braccio e la sua arma erano rimasti impigliati in una rete invisibile impedendogli qualsiasi movimento. Drizzt vide un'ombra muoversi verso il fuoco e rendendosi conto della vulnerabilità dell'amico si precipitò in suo aiuto. Passò sotto le gambe divaricate di Wulfgar ed entrò nella tana sferzando l'aria con la scimitarra. Lampo cozzò contro qualcosa di impalpabile per la frazione di un secondo, e Drizzt ebbe la certezza di avere colpito quella creatura che proveniva dagli inferi. Abbagliato dall'inaspettata intensità della luce che rischiarava la tana, Drizzt fece fatica a rimettersi in piedi. Tenendo il capo rivolto verso terra era riuscito a vedere che lo spirito si era rifugiato nella penombra in un angolo della tana. Ruzzolò verso una parete e appoggiandovi la schiena riuscì ad alzarsi e roteando la scimitarra con veloci e agili gesti del braccio liberò Wulfgar dalla trappola. Un gemito squarciò il silenzio della notte e la debole protezione di cera con un'intensità raccapricciante che annullò la forza di Drizzt e Wulfgar avvolgendoli in una pesante coltre di tenebre. L'elfo venne sbattuto contro la parete mentre Wulfgar, finalmente libero dai misteriosi legami, indietreggiò con passo insicuro e cadde rovinosamente al suolo. Drizzt era solo all'interno della tana e sapeva di essere in pericolo. Cercò di vincere lo stordimento e le insopportabili fitte che gli facevano scoppiare la testa concentrando la propria attenzione sulla fiamma del fuoco. Si accorse però di vedere decine di falò danzare davanti ai suoi occhi ipnotizzati da terribili lingue di fuoco. Credette che gli effetti del gemito fossero svaniti, ma solo allora capì le insidie nascoste in quella tana. Agatha era una creatura magica, e frutto di magia erano le illusioni che proteggevano la sua dimora, una miriade di immagini speculari che gli confondevano la mente. Davanti ai suoi occhi si formarono decine e decine di volti contorti, riflessi di una giovane fata morta da tempo, la pelle sciupata tesa sul viso scarno, con gli occhi privi di colore e di qualsiasi lampo di vita. In quell'ingannevole labirinto di morte quegli occhi potevano vedere. Drizzt capì che Agatha sapeva dove esattamente lui si trovava. Lo spirito alzò una mano compiendo un ampio gesto circolare abbozzando un sorriso compiaciuto alla sua vittima. Drizzt riconobbe in quel gesto l'inizio di un incantesimo. Ancora intrappolato nell'insidiosa ragnatela dei miraggi del mostro, l'elfo aveva una sola possibilità. Chiamò a raccolta tutte le capacità innate della sua razza dalla pelle scura e sperando di avere individuato il vero falò, lanciò un globo di
tenebre sulla fiamma. All'improvviso la caverna sprofondò nel buio più assoluto e Drizzt cadde in avanti. Un lampo azzurro squarciò le tenebre rimbalzando nella caverna e andando a colpire un punto a pochi centimetri da dove si trovava l'elfo. L'aria che lo circondava sfrigolò e Drizzt si sentì accapponare la pelle. Lo strale di luce andò a conficcarsi nella foresta e scosse Wulfgar dallo stupore che lo paralizzava. «Drizzt!» urlò cercando disperatamente di rimettersi in piedi. Forse il suo amico era già morto! Il suo sguardo non riusciva a penetrare al di là del varco, ma sprezzante del pericolo Wulfgar si diresse barcollando verso la caverna. Drizzt percorse il perimetro della caverna al buio cercando di orientarsi grazie al calore del fuoco. Avanzava roteando la spada in aria, ma continuava a colpire il vuoto o la parete della tana. All'improvviso le tenebre scomparvero. Drizzt si ritrovò allo scoperto, a ridosso della parete a sinistra dell'entrata e l'immagine di Agatha incombeva su di lui mentre lo spirito si apprestava a lanciare un altro potente incantesimo. L'elfo si girò di scatto alla disperata ricerca di una via di scampo, ma notò che non era lui l'oggetto delle attenzioni di Agatha. Dall'altra parte della tana, riflessa in quello che gli parve un vero specchio, vide l'immagine di Wulfgar che, ignaro del pericolo, entrava a carponi. L'elfo non aveva un attimo da perdere. Aveva cominciato a dipanare l'intricata matassa di quel gioco di illusioni e capì le intenzioni della creatura. Si inginocchiò e, presa una manciata di terra umida, con un gesto circolare della mano la lanciò in aria. Tutte le immagini ebbero la stessa reazione, lasciando Drizzt sbalordito e all'oscuro di chi fosse il suo vero nemico. L'elfo vide però che Agatha, ovunque essa si trovasse, stava sputando fango e rincuorato capì di essere riuscito a neutralizzare l'incantesimo. Immediatamente Wulfgar si rialzò e colpì la parete a destra dell'entrata con il suo pesante martello. Sollevò Aegis-fang e mirò l'immagine che si trovava dalla parte opposta dell'entrata, proprio al di là del fuoco, ma ancora una volta l'arma colpì la parete aprendo un'ampia fessura oltre la quale si intravedeva la foresta tenebrosa. Mentre tentava invano di colpire un'altra immagine con la scimitarra, Drizzt scorse un bagliore strano proprio dove aveva visto l'immagine riflessa di Wulfgar. Aegis-fang era ritornata per magia fra le mani del giovane barbaro. Drizzt si precipitò verso il fondo della tana. «Fammi stra-
da!» urlò nella speranza che Wulfgar riuscisse a sentire la sua voce. «Tempos!» disse con voce tuonante per avvertire l'amico e scagliò Aegis-fang ancora una volta. Drizzt si accoccolò a terra. Il martello gli sibilò sopra la testa e andò a sbattere contro uno specchio mandandolo in mille pezzi. Metà delle immagini che avevano popolato la tana scomparvero ed Agatha lanciò un raccapricciante urlo di rabbia. Drizzt non indugiò e camminando sopra quanto era rimasto dello specchio, si precipitò verso la sala del tesoro. L'urlo della creatura si tramutò in un gemito che avvolse Drizzt e Wulfgar con il suo mortale messaggio. Entrambi erano pronti e furono in grado di respingerlo con tutte le loro forze. Drizzt si avventò sul luccicante mucchio, infilando avidamente gioielli e catene d'oro nella bisaccia, mentre Wulfgar si accaniva contro le pareti della tana in preda ad una furia distruttiva. Dopo poco cumuli di sterpi ricoprivano il suolo. Le muscolose braccia di Wulfgar erano striate di sottili rivoli di sangue, ma il barbaro non provava dolore, bensì un'inarrestabile rabbia. Drizzt aveva riempito per bene la bisaccia ed era pronto a fuggire quando il suo sguardo si posò su un strano oggetto. Fino a pochi istanti prima aveva provato una strana contentezza nel non averlo trovato ed aveva sperato che quell'oggetto non fosse mai esistito. E invece la sua attenzione era stata catturata da un'insignificante maschera dalle semplici fattezze che aveva una sottile stringa di cuoio per fissarla al volto di chi l'avrebbe indossata. Drizzt capì, senza ombra di dubbio, che quello doveva essere l'oggetto di cui Malchor gli aveva parlato e che se decideva di fingere di non vederla, la loro missione sarebbe fallita. Regis aveva bisogno di lui, e per salvare Regis, Drizzt aveva bisogno di quella maschera. L'elfo non riuscì a reprimere un lungo sospiro quando lentamente la sollevò dal mucchio. Fra le dita avvertì il formicolio dei suoi poteri magici, ma senza pensarci troppo la ripose nella bisaccia. Agatha non avrebbe concesso facilmente il suo tesoro, e lo spettro che Drizzt si ritrovò davanti quando uscì dalla sala fu la conferma ai suoi sospetti. La scimitarra brillò di una flebile luce quando Drizzt cercò di parare i frenetici colpi di Agatha. Wulfgar pensò che proprio in quel momento Drizzt doveva avere bisogno del suo aiuto e lasciata sbollire la rabbia, cercò di riprendere il controllo di sé per trovare un modo di uscire da quella situazione difficile. Osservò con estrema attenzione la tana, brandendo Aegis-fang pronto a colpire ancora, ma non era riuscito a decifrare il complicato mosaico di riflessi
incantati. Una miriade di immagini confuse e la paura di colpire Drizzt lo fecero indugiare. Drizzt piroettò attorno allo spirito infuriato riuscendo a farlo indietreggiare verso la sala del tesoro. Avrebbe potuto ferirlo mortalmente parecchie volte, ma aveva promesso ai contadini di Conyberry di non fargli del male. L'elfo si limitò a immobilizzare Agatha contro la parete e piroettando la scimitarra davanti a sé indietreggiò lentamente di qualche passo. Lo spirito, fra sputi e imprecazioni, inciampò sui frammenti di specchio rovinando a terra e scomparendo nell'oscurità. Drizzt si precipitò verso l'uscita. Con lo sguardo incollato sulla vera Agatha e sulle numerose immagini riflesse, Wulfgar finalmente capì il mistero della tana. Si diresse verso il punto in cui provenivano le urla e alzò Agisfang per sferzare il colpo mortale. «Basta!» urlò Drizzt passandogli vicino e colpendolo alla schiena con l'elsa della scimitarra per ricordargli il vero scopo del loro viaggio e la promessa fatta. Wulfgar si girò di scatto, ma l'agile elfo era già scomparso nella notte. Il giovane barbaro si voltò verso la terribile creatura e la vide rialzarsi digrignando i denti e serrando i pugni. «Ci scusi per l'intrusione,» disse con tono garbato facendo un profondo inchino che gli permise di uscire dalla tana senza difficoltà. Non appena fuori, si affrettò a raggiungere l'amico e la luce rassicurante della sua scimitarra. Agatha lanciò il suo mortale gemito per la terza volta. Drizzt si trovava ormai lontano, ma il terribile suono travolse Wulfgar che rischiò di perdere l'equilibrio. Drizzt si voltò e cercò di sorreggerlo, ma quella montagna di muscoli lo investì con la foga della sua fuga e barcollando andò a sbattere contro un albero. Prima ancora che l'elfo avesse il tempo di avvicinarsi per dargli una mano, Wulfgar era già in piedi e in preda al terrore e all'imbarazzo, si precipitò in una fuga disperata. Alle loro spalle, Agatha gemeva sconfitta. *
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Quando i lamenti di Agatha raggiunsero il villaggio di Conyberry tra-
sportati per molte miglia dal gelido vento notturno, i contadini capirono che Drizzt e Wulfgar avevano trovato la sua tana. Tutti, persino i bambini, erano usciti dalle loro case e ascoltavano assorti gli ultimi due gemiti echeggiare nella notte, seguiti da sconcertanti urla senza fine. «Li avevamo avvertiti, quei forestieri!» ridacchiò un uomo. «Ti sbagli,» disse la vecchia riconoscendo l'improvviso cambiamento dei gemiti della creatura. «Sono i lamenti della sconfitta. Hanno vinto e sono riusciti a sfuggirle.» Rimasero tutti ad ascoltare e in cuor loro capirono che la vecchia aveva ragione. Si guardarono con occhi increduli e sbigottiti. «Come si chiamavano?» chiese un uomo. «Wulfgar,» rispose un altro, «e Drizzt Do'Urden. Io avevo già sentito i loro nomi.» 4 La Città splendente Ripresero il cammino sulla strada principale prima dell'alba, al galoppo verso occidente, verso la costa e la città di Waterdeep. Dopo la visita a Malchor e sistemata la questione con Agatha, le menti di Drizzt e Wulfgar erano concentrate sulla strada che dovevano ancora percorrere e sul pericolo che l'amico nanerottolo correva se non fossero riusciti nei loro intenti. I cavalli, aiutati dai ferri incantati di Malchor, galoppavano ad una andatura incredibile, tanto che il paesaggio scorreva indistinto davanti ai loro occhi. Non si fermarono nemmeno a giorno inoltrato, né per mangiare un boccone quando il sole tramontò. «Ci riposeremo a volontà a bordo della nave che ci porterà verso sud,» disse Drizzt a Wulfgar. Il barbaro, più che mai deciso ad aiutare Regis, non aveva bisogno di incitamenti. Calò la notte, ma il suono assordante degli zoccoli non cessò, e allo spuntare del secondo giorno una brezza salmastra dette loro il benvenuto mentre le torri altissime di Waterdeep, la Città Splendente, si stagliavano contro l'orizzonte occidentale. I due cavalieri si fermarono sulla sommità di un dirupo che delimitava il confine orientale di quella città favolosa. Se Wulfgar era rimasto stupito appena un anno prima quando per la prima volta aveva veduto Luskan, a cinquecento miglia più a nord sulla costa, ora non riusciva ad articolare parola perché Waterdeep, il gioiello del nord, il
più grande porto di tutti i Reami, era dieci volte più grande di Luskan. Sebbene fosse circondata da altissime mura, la città si estendeva indolente e a perdita d'occhio verso la costa, con torri e bastioni indistinti nella foschia che aleggiava sul mare. «Quanti sono gli abitanti?» chiese Wulfgar con aria assorta. «Un centinaio delle tue tribù potrebbero trovarvi rifugio,» spiegò l'elfo, avvertendo in quella domanda di Wulfgar una particolare ansia. Il giovane barbaro non era abituato alla frenesia delle città e la sua entrata a Luskan si era conclusa con un disastro. Ora si trovavano alle porte di Waterdeep, una città che brulicava di gente, nei cui angoli si insidiava l'intrigo e dietro alle cui porte si celavano noie senza fine. Wulfgar si sistemò sulla sella e Drizzt sospirò pensando che non aveva altra scelta. Doveva fare affidamento sul giovane guerriero, consapevole del fatto di dover egli stesso ingaggiare una battaglia personale e tentare di vincerla. Con circospezione estrasse la maschera magica dalla bisaccia. Wulfgar avvertì la determinazione che guidava la mano esitante dell'elfo e guardò l'amico con sincera compassione. Ammirò il suo coraggio e si chiese se mai fosse riuscito a comportarsi come lui, nonostante la vita di Regis dipendesse da quella azione. Drizzt tenne la maschera fra le mani con aria meditabonda, chiedendosi quali potessero essere i limiti della sua potenza. Sentiva che non era una semplice maschera poiché ne avvertiva la forza che gli solleticava il palmo della mano. Quell'oggetto gli avrebbe camuffato il volto? Oppure l'avrebbe privato della sua stessa identità? Aveva sentito molti racconti su oggetti magici apparentemente utili, ma che una volta indossati non era più possibile togliere. «Forse ti accetteranno così come sei,» disse Wulfgar fiducioso. Drizzt sospirò abbozzando un sorriso rassegnato. «No,» rispose. «I soldati di Waterdeep non lascerebbero mai entrare un elfo scuro, né il capitano di un veliero mi darebbe un passaggio verso sud.» Senza dire altro, si allacciò la maschera sul viso. Non successe nulla, e Drizzt incominciò a dubitare della maschera e a pensare che tutte le preoccupazioni che avevano agitato il suo animo fossero infondate. «Niente,» ridacchiò nervosamente dopo alcuni secondi fingendosi tranquillo. «Non fa...» Drizzt non finì la frase perché vide che sul volto di Wulfgar si era dipinta una strana espressione meravigliata. Il giovane barbaro armeggiò dentro la bisaccia e, ammutolito, estrasse una coppa di lucidissimo metallo. «Guardati,» lo pregò Wulfgar porgen-
dogli quello specchio improvvisato. Drizzt afferrò la coppa con mano tremante, e quel fremito si accentuò quando l'elfo vide che la pelle della sua mano non era più nera. Alzò la coppa verso il viso. L'immagine riflessa non era nitida, resa maggiormente indistinta dai forti raggi del sole che pizzicavano gli occhi dell'elfo abituati alla notte, ma Drizzt non poteva sbagliarsi. I lineamenti del suo volto non erano mutati anche se la sua pelle nera ora aveva le sfumature dell'oro tipiche degli elfi di superficie. I suoi capelli fluenti, pochi attimi prima bianchi come la neve, erano ora diventati splendenti come se avessero catturato i raggi dorati del sole. Solamente gli occhi non avevano mutato colore ed erano rimasti due enormi gocce color lavanda. Nessuna forza magica avrebbe potuto modificarli e Drizzt sospirò di sollievo alla scoperta che almeno quella sua caratteristica non era stata sfiorata dalla magia. Tuttavia non sapeva reagire ad un cambiamento così appariscente e con sguardo imbarazzato guardò Wulfgar alla ricerca di approvazione. L'espressione del barbaro tradiva una velata irritazione. «Per quanto ne posso sapere io, assomigli ad un qualsiasi aitante guerriero elfo,» ribatté allo sguardo inquisitore di Drizzt. «E stai pur certo che le ragazze arrossiranno e si gireranno quando passerai per la strada.» Drizzt abbassò lo sguardo verso terra cercando di nascondere l'imbarazzo che quel complimento gli provocava. «Ma non mi piaci,» proseguì Wulfgar con tono sincero. «Non mi piaci affatto.» Drizzt ricambiò impacciato lo sguardo strano di Wulfgar. «E ancor meno mi piace la tua faccia e i tuoi occhi,» continuò a dire Wulfgar con aria leggermente perplessa. «Io sono un guerriero e ho affrontato coraggiosamente in battaglia giganti e draghi, ma ora impallidirei all'idea di dover combattere contro Drizzt Do'Urden. Non scordare chi sei, nobile vagabondo.» Drizzt abbozzò un sorriso. «Grazie, amico,» disse infine l'elfo. «Di tutte le prove che ho dovuto affrontare, forse questa è la più dura.» «Mi piaci di più senza quella cosa sul viso,» disse Wulfgar. «Anche a me,» disse una voce alle loro spalle. I due si voltarono di scatto e videro un uomo di mezza età, muscoloso e alto, che si stava avvicinando avvolto in semplici vestiti. Aveva l'aria tranquilla e una barba nera ben curata. Anche i capelli erano scuri, nonostante fossero striati da ciuffi argentei. «Salute a voi, Wulfgar e Drizzt Do'Urden,» li salutò con un profondo in-
chino. «Mi chiamo Khelben e sono un socio di Malchor. Il magnifico Harpell mi ha chiesto di attendere il vostro arrivo.» «Un mago?» chiese Wulfgar con malcelata sorpresa. «Un abitante delle foreste,» ribatté Khelben stringendosi nelle spalle, «che ama dipingere anche se devo ammettere di non essere un pittore molto capace.» Drizzt studiò l'uomo con attenzione. Khelben aveva un atteggiamento distinto, i modi e la sicurezza di un nobile che potevano fare di lui un pari di Malchor. E se quell'uomo amava dipingere, Drizzt non aveva dubbi che fosse in grado di destreggiarsi abilmente con i pennelli come qualsiasi abitante dei regni settentrionali. «Una guida per attraversare Waterdeep?» chiese infine l'elfo. «Una guida per una guida,» rispose Khelben. «Sono a conoscenza della vostra missione e delle vostre necessità. Non è facile trovare un passaggio su una nave quando ormai l'inverno è alle porte, a meno che non si sappia a chi chiedere. Venite con me alla porta meridionale dove potremo trovare qualcuno che sa.» Raggiunse il proprio cavallo a pochi passi di distanza e li condusse verso la parte meridionale della città trottando allegramente. Scesero ai piedi del dirupo che proteggeva il confine orientale della città, una trentina di metri più in basso, e dove la roccia digradava dolcemente verso il mare si ritrovarono davanti ad una cinta di massicce mura. Khelben si allontanò leggermente dalla città nonostante si intravedesse la porta meridionale e indicò ai due uomini una piccola collina erbosa sovrastata da un unico salice. Un omino balzò dall'albero non appena i tre uomini risalirono la collina non smettendo un attimo di roteare nervosamente gli occhi neri. Dagli abiti si intuiva che non doveva essere un miserabile, e il nervosismo causato dal loro arrivo fece pensare a Drizzt che Khelben fosse molto più importante di quanto aveva fatto credere. «Orlpar, è molto cortese da parte tua essere venuto,» disse Khelben con aria distratta. Drizzt e Wulfgar si scambiarono un sorriso complice perché capirono che a quell'uomo non era stata data nessuna alternativa. «Salve,» si affrettò a dire Orlpar, più che mai desideroso di concludere l'affare il più in fretta possibile. «Il passaggio è assicurato. Avete il denaro?» «Quando?» chiese Khelben. «Fra una settimana,» ribatté Orlpar. «L'Onda Danzante salpa fra una settimana.»
A Khelben non sfuggì l'espressione preoccupata che stravolse i volti di Drizzt e Wulfgar. «Troppo tardi,» disse a Orlpar. «Tutti i marinai che bazzicano per il porto ti devono almeno un favore. I miei amici non possono aspettare.» «Gli accordi richiedono molto tempo,» cercò di spiegare Orlpar con voce stridente. Ma ad un tratto, quasi si fosse improvvisamente ricordato con chi stava parlando, si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo a terra. «Troppo tardi,» ripeté Khelben pacato. Orlpar si grattò una guancia alla disperata ricerca di una soluzione. «Deudermont,» disse infine lanciando uno sguardo di vittoria a Khelben. «Il capitano Deudermont parte a bordo della Folletto del Mare stanotte. Non potete trovare un uomo più in gamba di lui, anche se non so quanto a sud abbia intenzione di spingersi. E poi, il prezzo sarà molto alto.» «Ah!» esclamò Khelben sorridendo. «Non temere, mio piccolo amico, perché oggi ti propongo un baratto vantaggioso.» Orlpar gli lanciò un'occhiata carica di sospetto. «Oro, avevate detto!» «Molto meglio dell'oro,» ribatté Khelben. «I miei amici hanno impiegato tre giorni per arrivare da Sellalunga e i loro destrieri non sono nemmeno sudati!» «Destrieri?» balbettò Orlpar. «No, non i cavalli,» precisò Khelben. «I loro ferri. Sono ferri magici che fanno correre un cavallo veloce come il vento!» «Io faccio affari con i marinai,» protestò Orlpar con la veemenza che la situazione gli poteva concedere. «Che vantaggio posso trarre dai ferri di un cavallo?» «Calmati, Orlpar,» mormorò Khelben ammiccando. «Ti sei forse scordato delle difficoltà di tuo fratello? Sono sicuro che troverai un modo per guadagnare da quei ferri di cavallo magici!» Orlpar dette sfogo alla sua rabbia con un lungo sospiro di rassegnazione. Khelben era riuscito a metterlo alle strette. «Accompagnate questi due alla locanda Coda della Sirena,» disse. «Vedrò cosa posso fare.» E senza aggiungere altro, si voltò e si diresse correndo giù per la collina verso la porta meridionale. «Lo hai sistemato con estrema facilità,» disse Drizzt. «Conosco il suo punto debole,» ribatté Khelben. «Il fratello di Orlpar gestisce un bordello in città e a volte Orlpar ne trae grossi guadagni, nonostante la situazione possa creare difficoltà perché deve stare attento a non causare scandali imbarazzanti per la sua famiglia.»
Khelben ebbe un attimo di esitazione, ma poi seguitò a dire: «Basta con queste inutili chiacchiere. Potete lasciarmi i vostri cavalli e dirigervi a piedi verso la porta meridionale. Le guardie vi indicheranno la strada per il porto e da lì troverete la taverna senza difficoltà.» «Non venite con noi?» chiese Wulfgar smontando dalla sella. «Ho molti altri affari da sbrigare,» spiegò Khelben. «È meglio che voi andiate da soli. Non correrete alcun pericolo. Orlpar non si azzarderà a giocarmi un brutto tiro e conosco il capitano Deudermont come una persona fidata e onesta. È normale che per le strade Waterdeep si aggirino gli stranieri, soprattutto giù al porto.» «Mentre due forestieri che vagano per la città accanto a Khelben, il pittore, possono attirare l'attenzione di tutti,» aggiunse Drizzt con tono sornione. Khelben sorrise ma non disse nulla. Drizzt scese dal proprio destriero. «I cavalli verranno riportati a Sellalunga?» «Certamente.» «Vi ringraziamo, Khelben,» disse l'elfo. «Con il vostro aiuto avete giovato alla nostra causa.» Drizzt osservò per un attimo il suo cavallo con aria pensosa. «Dovete sapere che l'incantesimo di Malchor non durerà a lungo. Orlpar non guadagnerà nulla dall'affare che ha fatto con voi oggi.» «Giustizia,» ridacchiò Khelben. «Vi assicuro che quell'individuo ha fatto molti affari disonesti, e forse questo gli insegnerà un briciolo di onestà e gli farà intravedere l'errore del suo comportamento.» «Forse,» disse Drizzt, e dopo averlo salutato con un inchino si incamminò giù per il pendio assieme a Wulfgar. «State in guardia, ma rimanete sempre calmi,» gridò Khelben mentre si allontanavano. «Il porto pullula di canaglie e ruffiani, ma le guardie sono onnipresenti. Non sareste i primi forestieri a trascorrere la loro prima notte a Waterdeep in prigione!» Khelben rimase ad osservare i due mentre scendevano verso la città e, come Malchor, ricordò i tempi ormai lontani in cui era lui a camminare lungo i sentieri dell'avventura. «Ha terrorizzato quell'uomo,» disse Wulfgar quando si sentì sufficientemente lontano da Khelben. «E dice di essere un semplice pittore?» «È molto più probabile che sia un mago, e molto potente per giunta,» ribatté Drizzt. «Non ringrazieremo mai abbastanza Malchor, che con la sua influenza ha appianato la nostra strada. Credimi! Non è stato un semplice pittore a tenere testa a un tipo come Orlpar.»
Wulfgar si girò verso la collinetta, ma Khelben e i cavalli erano scomparsi. Nonostante le sue conoscenze di negromanzia fossero alquanto limitate, il giovane barbaro si rese conto che solo la magia avrebbe potuto spostare quell'uomo e i tre cavalli da quel luogo così in fretta. Sorrise scuotendo leggermente il capo e si meravigliò ancora una volta dei personaggi eccentrici che il mondo continuava a presentargli davanti agli occhi. *
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Seguendo le indicazioni che le guardie della porta meridionale avevano dato loro, Drizzt e Wulfgar si ritrovarono ben presto a camminare lungo le vie del porto di Waterdeep, che si trovava nella zona sud della città. L'odore di pesce e una brezza salmastra pizzicavano le loro narici, i gabbiani stridevano nel cielo mentre le strade brulicavano di marinai e mercenari provenienti da ogni angolo dei Reami, alcuni al lavoro, altri invece oziavano prima di ripartire per un lungo viaggio verso sud. Le viuzze del porto erano l'ambiente adatto per quel bailamme. Ad ogni angolo c'era una taverna, ma a differenza di Luskan, dove i signori della città avevano abbandonato i moli alle canaglie, il porto di Waterdeep era un posto tranquillo. Quella era una città governata dalla legge e i membri della famosa Guardia cittadina si trovavano ovunque. Le strade abbondavano di avventurieri temerari e guerrieri induriti dalle battaglie che portavano le loro armi con una fredda familiarità. Nonostante quella molteplicità di individui, Drizzt e Wulfgar si ritrovarono parecchi sguardi incollati addosso. Molte teste si girarono ad osservarli mentre passavano. L'elfo portò una mano alla maschera, preoccupato dal fatto che potesse essersi slegata scoprendo la sua vera identità agli sguardi allibiti dei passanti. Una veloce occhiata dissipò le sue paure perché vide che la pelle della sua mano aveva ancora il pallore solare di un elfo di superficie. Dovette frenare a stento una fragorosa risata quando si girò per chiedere conferma a Wulfgar, poiché solo allora l'elfo capì di non essere lui il bersaglio degli sguardi incuriositi. Aveva passato molto tempo in compagnia di quel giovane barbaro negli ultimi anni e si era abituato al fisico possente di Wulfgar. Era alto oltre due metri e i suoi muscoli si facevano ogni anno più massicci. Wulfgar camminava per le vie del porto di Waterdeep con incedere sicuro e Aegis-fang appoggiato ad una spalla. Persino fra i più grandi guerrieri di tutti i Reami, quel giovane barbaro si sarebbe distinto. «Almeno per una volta, non mi sento trafitto da centinaia di occhi,» dis-
se Drizzt. «Togliti quella maschera, elfo,» sibilò Wulfgar arrossendo di rabbia. «Attira su di te gli sguardi di questi ficcanaso!» «Lo farei volentieri, ma andrebbe a discapito di Regis,» ribatté Drizzt ammiccando. La locanda Coda della Sirena non era molto diversa da tutti gli altri locali sparpagliati per le viuzze del porto. Dalla porta socchiusa provenivano urla e risate e zaffate di birra e vino a buon mercato. Un gruppo di scalmanati si era fermato davanti alla porta e fra di loro si scambiavano spintoni e sonore manate chiamandosi amici e imprecando abbondantemente. Drizzt guardò Wulfgar preoccupato. L'unica volta che il giovane era entrato in un posto simile, al Curtlass di Luskan, Wulfgar aveva distrutto la taverna e suonato di santa ragione la maggior parte degli avventori in una violenta rissa. Fedele ai suoi ideali di onore e coraggio, Wulfgar era un pesce fuor d'acqua in un ambiente privo di principi come quello dei bassifondi di una città di mare. Orlpar uscì proprio allora dalla taverna e si fece strada con fare sicuro in mezzo al chiassoso capannello. «Deudermont è seduto al bancone,» bisbigliò a denti stretti passando accanto a Drizzt e Wulfgar fingendo di non conoscerli. «Alto, giacca blu e barba bionda,» si affrettò ad aggiungere allontanandosi. Wulfgar stava per rispondere qualcosa, ma Drizzt lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla condividendo il desiderio di Orlpar per la segretezza. Il gruppo di uomini si scostò quando i due si diressero verso la porta, squadrando Wulfgar dall'alto al basso. «Bungo si divertirà con lui,» sussurrò uno quando i due amici si diressero verso il bancone. «Non dobbiamo perderci la scena,» aggiunse un altro ridacchiando. L'acuto udito dell'elfo colse quello scambio di battute. Guardò ancora una volta il corpo imponente del suo amico, pensando che madre natura gli aveva dato una caratteristica che non faceva altro che causargli grossi guai. L'interno della taverna non nascondeva sorprese. L'aria era greve di un denso profumo di verdure esotiche e di un afrore nauseabondo di birra stantia. Alcuni marinai ubriachi dormivano appoggiati ai tavoli, altri se ne stavano impalati contro la parete mentre altri ancora barcollavano per la stanza rovesciando i loro bicchieri, molto spesso su avventori un po' più sobri che reagivano scaraventando i malcapitati a terra. In cuor suo Wulfgar si chiese quanti di quei marinai avessero rinunciato ad imbarcarsi per rimanere in quella taverna finché i soldi non fossero finiti, ritrovandosi
senza quattrini e un tetto sopra la testa per il resto dell'inverno. «Questa è la seconda volta che capito nelle viscere di una città,» bisbigliò Wulfgar all'orecchio di Drizzt. «E devo dire che mai come adesso apprezzo i piaceri del cielo aperto!» «I goblin e i draghi?» ribatté Drizzt allegramente conducendo Wulfgar verso un tavolo vuoto vicino al bancone. «Molto meglio che questa gentaglia,» aggiunse Wulfgar. Una cameriera si avvicinò prima ancora che si fossero seduti. «Cosa vi porto?» chiese la donna con aria assente come se non vedesse i clienti che aveva davanti a sé. «Acqua,» rispose Wulfgar burbero. «E del vino,» si affrettò ad aggiungere Drizzt porgendo una moneta d'oro per addolcire l'improvviso sguardo torvo della donna. «Quello dev'essere Deudermont,» disse Wulfgar indicando un uomo altissimo che se ne stava appoggiato al bancone, per sviare il rimprovero che sentiva di meritarsi per avere trattato male la cameriera. Drizzt si alzò di scatto, ritenendo una cosa saggia concludere l'affare e uscire dalla taverna il più in fretta possibile. «Tienimi il posto,» disse a Wulfgar. Il capitano Deudermont non era l'avventore tipico di quella locanda. Era un uomo dal portamento distinto, una persona raffinata abituata a sedere a tavola con nobili e signore d'alto rango, ma come ogni buon capitano che approdava al porto di Waterdeep, soprattutto durante il giorno della partenza, Deudermont trascorreva la maggior parte del suo tempo a terra, con gli occhi ben aperti sulla sua valorosa ciurma nel tentativo di evitare che i suoi uomini andassero a popolare le già affollate carceri cittadine. Drizzt si avvicinò al capitano fingendo di non vedere l'occhiata incuriosita dell'oste. «Abbiamo un amico in comune,» disse con tono gentile a Deudermont. «Non amo annoverare fra i miei amici un tipo come Orlpar,» ribatté il capitano con aria assente. «Vedo comunque che non esagerava quando mi ha descritto la mole e la forza del tuo amico.» *
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Deudermont non era stato l'unico a notare Wulfgar. Come ogni locanda che si trovava lungo i moli di Waterdeep, e la maggior parte delle taverne dei Reami, la Coda della Sirena aveva il proprio campione. In un angolo,
appoggiato al bordo del bancone, un imponente e muscoloso zoticone di nome Bungo aveva incollato gli occhi addosso al giovane barbaro dal momento in cui aveva messo piede nella locanda. A Bungo il nuovo arrivato non piaceva affatto. Le braccia nodose e il passo aggraziato di Wulfgar, la sicurezza di sé che traspariva nel modo in cui teneva l'enorme martello sulla spalla tradivano un'esperienza nel combattimento molto più matura dell'età che dimostrava. I tifosi di Bungo si assieparono attorno al loro uomo anticipando l'imminente rissa. Si guardavano intorno abbozzando sorrisi che assomigliavano a smorfie e alitando in faccia al loro campione incitamenti puzzolenti di birra. Sicuro di sé per natura, Bungo dovette sforzarsi di controllare la propria ansia. Aveva incassato un'infinità di colpi nel corso del suo regno che durava ormai da sette anni in quella locanda. Le spalle erano leggermente ricurve, aveva una decina di ossa rotte e numerosi muscoli lacerati. Osservando con attenzione quel terribile spettacolo di muscoli e agilità, in tutta onestà Bungo si sorprese a dubitare che nemmeno nel fiore degli anni sarebbe mai riuscito a vincere un combattimento con un essere simile. Ma ormai gli avventori stavano aspettando col fiato sospeso. Quello era il loro regno, e lui era il loro campione. Erano loro a pagare i suoi pasti e le sue bevute, e Bungo non poteva piantarli in asso proprio in quell'occasione. Trangugiò il boccale di birra in un sol sorso e si allontanò dal bancone con un cupo grugnito quasi volesse tranquillizzare i suoi amici. Si fece strada a spintoni fra la folla che ormai si era accalcata in quella parte del locale e a lunghi passi Bungo si avvicinò a Wulfgar. Il barbaro aveva notato le intenzioni degli avventori prima ancora che il gruppo si formasse. Quella scena gli era ormai familiare e si aspettava da un momento all'altro, proprio come era avvenuto nella locanda di Luskan, di venire provocato a causa della sua mole. «Che ci fai qui?» sibilò Bungo piantandosi davanti al giovane con le mani sui fianchi mentre gli altri si sistemavano attorno al tavolo accerchiando Wulfgar. L'istinto del barbaro lo induceva ad alzarsi e allontanarsi da quel tronfio ubriacone. Non era affatto intimorito dagli otto amici di Bungo perché li considerava degli emeriti codardi che avevano bisogno di un capo per muovere un dito. Sarebbe bastato un semplice colpo ben assestato per scaraventare Bungo a terra e per gli altri, l'insuccesso del loro campione li avrebbe fatti desistere dai loro sogni di gloria. E quell'attimo di esitazione,
Wulfgar sapeva molto bene, sarebbe costato loro molto caro. Tuttavia, negli ultimi mesi, Wulfgar aveva imparato a tenere ben strette le briglie della propria rabbia e aveva appreso una definizione molto più elastica della parola onore. Il giovane si limitò a scrollare le spalle, un gesto disarmante che non aveva nessuna rassomiglianza ad una minaccia. «Cercavo un posto per sedermi e mangiare un boccone,» rispose Wulfgar con calma. «Con chi ho l'onore di parlare?» «Il mio nome è Bungo,» rispose l'energumeno sputando ad ogni parola. Gonfiò il petto inorgoglito, come se quel nome dovesse avere un particolare significato per Wulfgar. Il barbaro si asciugò la saliva dal volto mentre cercava di tenere a freno un'irresistibile voglia di menare le mani pensando che lui e Drizzt avevano una missione ben più importante da portare a termine. «Chi ti ha dato il permesso di venire nella mia locanda?» grugnì Bungo sperando di intimorire lo sconosciuto. Si guardò intorno cercando conferme negli sguardi degli amici che stavano lentamente chiudendo il cerchio attorno a Wulfgar per sottolineare l'incombente minaccia. Drizzt avrebbe sicuramente chiuso un occhio davanti ad una simile necessità, pensò Wulfgar serrando i pugni sotto il tavolo. «Un colpo solo,» sibilò guardando ad uno ad uno gli uomini che l'attorniavano, un gruppo di loschi individui che avrebbero fatto una figura migliore se si fossero trovati sparpagliati ai quattro angoli della locanda privi di sensi. Wulfgar concentrò la propria attenzione su Regis per dissipare la rabbia che minacciava di fargli perdere la pazienza, ma non poteva ignorare il fatto che le sue mani stavano stringendo il bordo della tavola con tale forza che le nocche erano diventate bianchissime. *
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«Sistemato tutto?» chiese Drizzt. «Sicuro,» ribatté Deudermont. «Ho posto a sufficienza per voi due sulla mia nave, e siano benvenute le vostre mani e spade, soprattutto di guerrieri esperti come voi, anche se temo che qualcosa intralcerà la vostra partenza.» La mano del capitano si appoggiò sulla spalla di Drizzt per invitarlo a voltarsi verso il brusio che si faceva sempre più forte attorno al tavolo di Wulfgar. «Il campione della locanda e i suoi scagnozzi,» spiegò Deudermont. «Anche se sono pronto a scommettere che vincerà il vostro amico.»
«Sarebbero soldi ben puntati,» disse Drizzt, «ma non abbiamo molto tempo...» Deudermont guidò lo sguardo di Drizzt con un cenno del capo, verso un angolo in penombra della taverna. In un cantuccio, quattro uomini se ne stavano seduti in silenzio ad osservare con interesse il crescente tumulto. «La Guardia,» spiegò il capitano. «Una rissa costerebbe al vostro amico una notte in prigione e io non posso ritardare la partenza,» Drizzt si guardò in giro alla ricerca di una via d'uscita. Gli occhi di tutti ormai erano rivolti verso il tavolo dove stava seduto Wulfgar attorniato dagli otto amici di Bungo che, vocianti, incitavano il loro uomo. L'elfo si rese conto che se si fosse avvicinato al tavolo del suo amico, forse avrebbe peggiorato la situazione. *
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Bungo si avvicinò minaccioso mettendo l'addome a pochi centimetri dal volto di Wulfgar per fargli notare una cintura di cuoio con numerose tacche. «Una tacca per ogni combattimento vinto,» si vantò l'uomo. «Dammi l'occasione di fare qualcosa stanotte in prigione,» aggiunse indicando un profondo taglio accanto alla fibbia. «Questo l'ho ucciso. Gli ho spappolato la testa. Ho passato cinque notti al fresco.» Wulfgar allentò la presa, non tanto perché la violenza di quello sconosciuto lo impressionasse, ma per paura delle potenziali conseguenze delle proprie azioni. Doveva imbarcarsi quella sera. «Forse sono venuto qui per vedere Bungo di persona,» disse incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi allo schienale della sedia. «Colpiscilo!» grugnì uno degli scagnozzi. Bungo lanciò al barbaro un'occhiata malvagia. «Sei venuto in cerca di grane?» «Penso proprio di no,» ribatté Wulfgar con tono asciutto. «Grane? Oh, no! Io sono un giovane che va in giro per il mondo.» Bungo riuscì a fatica a mascherare un moto di imbarazzo. Si guardò intorno e vide che i suoi amici scrollavano le spalle indispettiti. «Siediti con me,» disse Wulfgar, ma Bungo non si mosse. L'uomo che si trovava alle spalle di Wulfgar gli dette uno spintone e grugnì: «Che ci fai qui?» Wulfgar dovette chiamare a raccolta le proprie forze per impedirsi di stringere la propria mano contro le luride dita che si erano appoggiate sulla
sua spalla e lentamente stritolargliele. Si controllò e lentamente si avvicinò al capo. «Non sono venuto per cercare grane, ma per vedere,» disse con aria tranquilla. «Un giorno, forse, quando mi reputerò degno di sfidare un uomo come Bungo, ritornerò. Ma quel giorno è ancora lontano, anche se non dubito che per tutto questo tempo rimarrai il campione della taverna. Io invece ho ancora molte cose da imparare.» «Cosa ci sei venuto a fare qui, allora?» chiese Bungo con rinnovata sicurezza chinandosi con fare minaccioso su Wulfgar. «Sono venuto a imparare,» ribatté il barbaro. «A imparare osservando il più forte lottatore di Waterdeep. Per vedere come Bungo si presenta alla gente e come sbriga i suoi affari.» Bungo raddrizzò le spalle e osservò gli sguardi ansiosi dei suoi amici che ormai si erano appoggiati al tavolo. Bungo abbozzò il sorriso sdentato che aveva pochi attimi prima di colpire l'avversario, e i corpi dei suoi amici si irrigidirono. Ma il loro campione li sorprese, perché dopo un momento che parve loro un'eternità, Bungo dette una forte ma amichevole manata sulla spalla di Wulfgar. La taverna vibrò di un confuso vociare mentre Bungo prese una sedia e si sedette a bere un boccale in compagnia di quello strano forestiero. «Andatevene!» ruggì Bungo ai suoi amici che lo guardarono in preda alla delusione e allo smarrimento. Non osarono disobbedire l'ordine del loro campione e lentamente si allontanarono lasciandoli soli. *
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«Molto saggio,» disse Deudermont rivolto a Drizzt. «Per tutt'e due,» aggiunse l'elfo appoggiandosi al bancone e sospirando di sollievo. «Avete altri affari da sbrigare in città?» si informò il capitano. «No,» disse Drizzt scuotendo il capo. «Accompagnateci alla nave. Temo che Waterdeep ci possa riservare altre insidie.» *
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Un'infinità di stelle punteggiavano il cielo oscuro privo di nuvole e il loro luccichio si mescolava all'orizzonte con le tremolanti luci della città ormai lontana. Wulfgar trovò Drizzt seduto sul ponte ad assaporare l'armonioso ondeggiare del veliero.
«Mi piacerebbe tornare indietro,» disse Wulfgar osservando l'orizzonte lontano. «Per sistemare una questione con un ubriacone e i suoi amici?» chiese Drizzt con tono assente. Wulfgar rise di cuore, ma si interruppe subito quando si sentì gli occhi di Drizzt addosso. «A che scopo?» chiese l'elfo. «Hai intenzione di diventare il campione della Coda della Sirena?» «Quella non è una vita che fa per me,» ribatté Wulfgar ridendo a disagio. «Allora lasciala a Bungo,» concluse Drizzt rivolgendo lo sguardo alle indistinte luci della città. Il sorriso di Wulfgar svanì dal suo volto. Passarono minuti, forse ore. L'unico rumore che si udiva era il monotono sciabordio delle onde contro la prua della nave. All'improvviso, Drizzt sfoderò Lampo sovrapensiero. La scimitarra dai raffinati ceselli riprese vita fra le sue mani, la lama risplendette di una magica luce nel tenue bagliore delle stelle che aveva infuso a quell'arma il nome e il potere. «È un'arma che ti si addice,» disse Wulfgar. «Una fedele compagna,» riconobbe Drizzt esaminando l'intricato groviglio di disegni incisi nella lama ricurva. Ricordò un'altra scimitarra magica che un tempo possedeva, un'arma che aveva trovato nella tana di un drago che con l'aiuto di Wulfgar aveva ucciso. Anch'essa era stata una fedele compagna. Forgiata dal ghiaccio incantato per la rovina delle creature del fuoco, quella scimitarra aveva resistito alle fiamme come chi l'aveva brandita. Aveva servito Drizzt nel migliore dei modi, salvandolo dalla morte certa e dolorosa che il fuoco di un demone gli avrebbe causato. Drizzt rivolse lo sguardo verso Wulfgar. «Stavo pensando al nostro primo drago,» disse per rispondere allo sguardo incuriosito dell'amico. «Tu ed io soli nella caverna di ghiaccio contro Gelida Morte, un coraggioso nemico.» «Ci avrebbe sconfitto,» aggiunse Wulfgar, «se la fortuna non ci avesse arriso mettendo quell'enorme ghiacciolo sopra la testa del drago.» «Fortuna?» ripeté Drizzt. «Forse, anche se preferisco pensare che la fortuna si tramuta in vantaggio quando un vero guerriero esegue l'azione più giusta.» Wulfgar colse il complimento al volo perché ricordò di essere stato lui a far cadere l'acuminata stalattite di ghiaccio causando così la morte del drago.
«Peccato che non abbia la scimitarra frutto del bottino preso nella tana di Gelida Morte da accoppiare con Lampo,» disse Drizzt con rammarico. «Verissimo,» ribatté Wulfgar sorridendo al ricordo delle prime avventure al fianco dell'elfo. «Purtroppo è andata a finire in fondo alla Forra di Garumn assieme a Bruenor.» Drizzt ebbe un sussulto e socchiuse gli occhi come se il suo volto fosse stato spruzzato da acqua gelida. I ricordi riaffiorarono nella sua mente portando con sé immagini di speranza e di terrore, e la figura di Bruenor Martello di guerra che precipitava nei più profondi abissi in groppa ad un drago di fuoco. Un drago di fuoco! Quella fu la prima volta che Wulfgar notò una vibrante incertezza nella voce serena del suo amico. «Bruenor impugnava la mia scimitarra!» sussurrò l'elfo con voce rauca. 5 Ceneri Nella stanza vuota il fuoco languiva. La figura nella penombra sapeva che c'erano nani grigi, i duergar, nella sala laterale, oltre la porta socchiusa, ma doveva arrischiarsi. Quella parte del complesso groviglio di cunicoli pullulava di canaglie e non poteva avventurarsi lungo i cunicoli senza il suo travestimento. Si allontanò dal corridoio principale e in punta di piedi varcò la porta laterale per raggiungere il caminetto. Si inginocchiò davanti al fuoco appoggiandosi al fianco la sua ascia di mithril finemente intagliata. Il calore sprigionato dalle braci lo fecero ammiccare, anche se non provò alcun dolore quando tuffò le mani nella cenere. Udì aprirsi la porta alcuni secondi dopo e si affrettò a strofinarsi il viso con la cenere sperando in cuor suo di essere riuscito a coprire tutta la sua barba rossa che lo avrebbe smascherato e la pelle diafana del suo lungo naso. «Che fai?» gracchiò uno alle sue spalle. Il nano soffiò sulle braci e una timida lingua di fuoco ondeggiò nel camino. «Fa freddo,» rispose. «Avevo bisogno di un po' di riposo,» aggiunse alzandosi e girandosi lentamente con la mano stretta attorno all'ascia. Due nani grigi attraversarono la stanza e si fermarono a pochi passi di distanza non accennando a sfoderare le loro armi. «Chi sei?» chiese l'altro.
«Non certo del clan di McUduck, e non abiti nemmeno in questi cunicoli!» «Sono Tooktook del clan di Trilk,» mentì usando il nome del nano grigio che aveva dovuto uccidere la mattina precedente. «Ero di pattuglia e mi sono perso! È stata una fortuna che abbia trovato una stanza con un focolare!» I due nani grigi si scambiarono una veloce occhiata e subito dopo rivolsero i loro sguardi sospettosi verso lo straniero. Avevano sentito quanto era successo nelle ultime settimane. Dalla sconfitta di Shimmergloom, il drago ombra che era stato il loro dio, molti erano stati i duergar uccisi, la maggior parte decapitati, e tutti erano stati ritrovati lungo i cunicoli più esterni. Perché quello stupido temerario era da solo? Dov'era il resto della pattuglia? Era strano che quelli del clan di Trilk si fossero persi nei cunicoli che appartenevano al clan di McUduck. E perché mai, aveva notato uno dei due, c'era una macchia rossa nella barba di quello straniero? Il nano avvertì il gelido sospetto nei loro occhi e capì che non sarebbe riuscito a sostenere la menzogna ancora per molto. «Ho perduto anche i miei due compagni,» disse. «A causa di un elfo scuro.» Abbozzò un sorriso quando vide i due duergar sgranare gli occhi dal terrore. Era sufficiente nominare un elfo scuro ad un nano grigio per farlo sussultare di paura. «Ma ne è valsa la pena,» si affrettò ad aggiungere cercando di sfruttare l'attimo di esitazione dei due nani. «Ho guadagnato una micidiale arma! Vedete?» disse brandendo l'ascia e innalzandola a mezz'aria. Uno dei due duergar si avvicinò per esaminare con sguardo rapito la scintillante arma, ma il nano dalla barba rossa gli si avventò contro conficcandogli la lama nel viso. Il suo compagno aveva appena fatto in tempo ad appoggiare la mano sull'elsa della sua spada quando venne colpito all'occhio con il dorso della mano e l'impugnatura dell'ascia. Indietreggiò tramortito e in preda a fitte atroci, ma prima ancora che l'ascia di mithril affondasse la lama nel collo, il nano sapeva di essere spacciato. Altri due duergar piombarono nella stanza dal vestibolo con le armi in pugno. «Chiama rinforzi!» urlò uno preparandosi al combattimento, mentre il compagno si precipitava verso la porta. Ancora una volta la fortuna si schierò dalla parte del nano dalla barba rossa che dette un calcio ad un oggetto che si trovava per terra, lanciandolo contro il duergar in fuga proprio quando stava per parare il primo colpo del suo nuovo avversario con lo scudo dorato. Il fuggiasco si trovava a pochi passi dal corridoio quando qualcosa roto-
lò fra i suoi piedi facendolo inciampare e cadere rovinosamente a terra. Si affrettò a rimettersi in piedi, ma ebbe un attimo di esitazione. Cercò disperatamente di non vomitare perché solo allora vide cosa l'aveva fatto cadere. Era la testa del suo compagno. Il nano dalla barba rossa schivò un altro colpo con un'agile piroetta e attraversò la stanza per andare a colpire con lo scudo il duergar accasciato a terra. La violenza dell'impatto fu spaventosa perché la sfortunata creatura andò a sbattere contro la parete di roccia. L'impetuosità dell'attacco fece perdere l'equilibrio al nano che cadde su un ginocchio mentre l'altro duergar gli si precipitava addosso. L'intruso alzò velocemente lo scudo parando un micidiale colpo inferto dalla spada del nemico e contrattaccando con un saettante movimento circolare dell'ascia mirando alle ginocchia. Il duergar balzò indietro appena in tempo, ma la punta dell'arma gli scalfì la gamba, e prima ancora che riuscisse a riprendersi dalla violenta fitta e potesse difendersi, il nano dalla barba rossa si era già rialzato ed era pronto a colpire. «Le tue ossa diventeranno presto una carogna!» grugnì infuriato. «Chi sei?» chiese il duergar. «Tu non appartieni al mio clan!» Un sorriso smagliante gli illuminò il volto sporco di cenere. «Il mio nome è Bruenor Martello di guerra,» sibilò mostrando il blasone che ornava il suo scudo, il boccale pieno di spumeggiante birra del clan di Mithril Hall. «Io sono Bruenor Martello di guerra, legittimo re di Mithril Hall!» Bruenor ridacchiò sommessamente nel vedere il volto del nano grigio impallidire. Il duergar indietreggiò con passo malfermo verso il vestibolo, terrorizzato dall'idea di non avere speranze contro un nemico così temibile. In preda alla disperazione, si girò e fuggì verso la porta cercando di richiuderla con il chiavistello. Bruenor però aveva anticipato la reazione del suo avversario e riuscì a bloccare la porta con il suo pesante stivale e con un violento colpo con la spalla. Il duergar cadde rovinosamente a terra trascinando con sé un tavolo e una sedia. Bruenor entrò nel vestibolo con passo sicuro. Il nano grigio si guardò intorno alla disperata ricerca di una via di scampo. In preda al panico, si alzò di scatto e si precipitò contro Bruenor portando lo scudo davanti a sé e la spada sopra la testa. Bruenor parò con estrema facilità quel colpo e subito dopo la sua ascia colpì lo scudo del duergar. Ma anch'esso era fatto di mithril, e la lama non poté squarciarlo. L'urto fu talmente violento che le cin-
ghie di cuoio vennero tagliate e il braccio del duergar s'abbassò intorpidito. Il nano urlò di terrore e cercò di proteggere il fianco scoperto con la spada. Bruenor seguì il movimento del braccio dell'avversario colpendolo al gomito con lo scudo e facendolo sbilanciare. Con gesto fulmineo affondò la ferale lama nella spalla abbassata del duergar. Una seconda testa ruzzolò a terra. Bruenor digrignò i denti, soddisfatto dell'esito del suo lavoro e si incamminò verso la sala. Il duergar riverso contro la porta stava riprendendo i sensi quando Bruenor gli si avvicinò e lo finì con un colpo di scudo. «Ventidue,» mormorò per aggiornare il numero di nani che aveva ucciso nelle ultime settimane. Si affacciò al corridoio buio. Non vide nessuno. Richiuse la porta lentamente e si avvicinò al camino per ritoccare il suo travestimento. Dopo la terribile caduta nella Forra di Garumn in groppa ad un drago di fuoco, Bruenor era svenuto e quando riprese conoscenza stentò a credere a quanto gli era capitato. Si era guardato intorno con sguardo meravigliato. Il drago era morto, ma come mai lui, che si trovava ancora sopra quel mucchio di ceneri fumanti, non era stato consumato dalle fiamme? Il baratro era tranquillo e l'oscurità regnava sovrana. Non gli era possibile capire quanto tempo fosse rimasto in quello stato di incoscienza. In cuor suo era sicuro, però, che i suoi amici, se erano riusciti a fuggire, avevano trovato la salvezza ritornando sui loro passi verso la porta e verso la superficie. Drizzt era vivo! L'immagine degli occhi color lavanda dell'elfo fissi verso le misteriose profondità dell'abisso mentre il drago precipitava inesorabile erano impresse in modo indelebile nella mente di Bruenor. Persino in quel momento, a parecchie settimane di distanza, ripescava fra i ricordi il volto di Drizzt Do'Urden aggrappandosi a quell'immagine per rinfrancarsi lo spirito in quella orrenda situazione. Bruenor non poteva risalire l'abisso le cui pareti erano scoscese e lisce. Non aveva avuto altre alternative. Si era intrufolato nell'unico cunicolo che partiva dalla base del baratro e lo aveva percorso fino ad arrivare nelle gallerie più profonde, sbaragliando un esercito di nani grigi, uno stuolo di duergar inaspriti dalla morte del loro capo, il drago Shimmergloom, per mano di uno straniero. Aveva percorso molta strada e ogni suo passo lo portava verso la libertà della superficie, ma anche verso gli insediamenti più popolati dei duergar. Udiva il brusio monotono e ancora lontano delle fornaci della loro grande città sotterranea che senza dubbio pullulava di gentaglia dalla pelle grigia.
Bruenor doveva attraversarla se voleva raggiungere i cunicoli che l'avrebbero portato verso i livelli superiori. Ma anche in quel luogo, nell'oscurità delle miniere, il suo travestimento non avrebbe retto un attento esame. Sarebbe mai riuscito a camminare per le vie luminose di quella città attorniato da migliaia di nani e passare inosservato? Bruenor cercò di allontanare quel cupo pensiero e si strofinò vigorosamente il volto con la cenere. Era inutile preoccuparsene adesso. Avrebbe trovato un modo per salvarsi. Raccolti l'ascia e lo scudo, si diresse con passo deciso verso la porta. Scosse la testa abbozzando un sorriso rassegnato quando vide il duergar svenuto contro la porta risvegliarsi e tentare di rimettersi in piedi. Bruenor lo scaraventò contro la parete per la terza volta finendolo definitivamente con un colpo d'ascia alla testa. «Ventidue,» ripeté il possente nano con voce arcigna sbattendo la porta. Si avviò lungo la galleria. Il rumore della porta echeggiò nelle tenebre ma ben presto si dileguò e venne sostituito dal frenetico tramestio della città. La città sotterranea, la sua unica e ultima possibilità. Bruenor inspirò a fondo per tranquillizare il proprio animo e dopo avere colpito con gesto deciso l'ascia contro lo scudo, si incamminò con passo sicuro verso quel rumore indistinto e lontano. Era ormai giunto il momento di fare quanto doveva essere fatto. Dopo innumerevoli curve, il cunicolo lo portò sotto un ampio arco basso che si apriva su una caverna illuminata. Per la prima volta dopo duecento anni, Bruenor Martello di guerra spaziò con lo sguardo sulla meravigliosa città sotterranea di Mithril Hall. Adagiata su un grandioso abisso le cui pareti assomigliavano a gradini apostrofati da porte decorate, quella sconfinata sala aveva ospitato un tempo il popoloso clan di Bruenor Martello di guerra. Quel luogo era rimasto esattamente come se lo ricordava, e anche adesso, proprio come nel periodo ormai lontano della sua giovinezza, molte fucine rigurgitavano crepitanti lingue di fuoco mentre ovunque si intravedevano nani ricurvi sui loro lavori. Quante volte il giovane Bruenor e i suoi amici avevano guardato dall'alto la magnificenza di quella città ed erano rimasti ad ascoltare il battere monotono del martello del fabbro e il pesante ansimare del mantice? Bruenor scosse lievemente il capo per allontanare quei ricordi piacevoli
e pensò che quelle schiene ricurve e sudate appartenevano ai malvagi duergar, e non ai nani del suo clan. Cercò di concentrarsi sul presente e sulla sua missione. Avrebbe dovuto attraversare la città e raggiungere l'estremità opposta e il cunicolo che l'avrebbe riportato in superficie. Un scalpiccio di stivali fece indietreggiare Bruenor nella penombra. Afferrò l'ascia e trattenne il fiato, temendo che fosse giunto il momento della resa dei conti. Una pattuglia di duergar armati fino ai denti passò davanti all'apertura senza fermarsi e limitandosi a lanciare una veloce occhiata nel cunicolo buio. Bruenor sospirò sollevato e in cuor suo si rimproverò per avere indugiato troppo a lungo. Non poteva certo permettersi di perdere tempo! Ogni secondo di permanenza in quel posto avrebbe aumentato le sue possibilità di insuccesso. Si guardò attentamente intorno alla ricerca di una soluzione. Si trovava in mezzo ad una parete, a cinque gradini dal livello inferiore della città. Sul livello più alto intravide un ponte che congiungeva le due estremità dell'abisso, ma scartò l'ipotesi perché il ponte sicuramente rigurgitava di sentinelle. Arrivare fin lassù da solo, lontano dal brulichio dei nani del livello più basso, avrebbe indubbiamente attirato l'attenzione di tutti. Reputò migliore attraversare la città nel punto più affollato. I cunicoli dalla parte opposta a dove si trovava in quel momento lo avrebbero condotto nella parte occidentale della città e nella sala in cui era entrato per la prima volta al suo ritorno a Mithril Hall, e molto più in là, nella valle sconfinata di Keeper's Dale. Secondo i suoi calcoli, quella era la soluzione migliore, se mai fosse riuscito a raggiungere il livello inferiore della città. Dal suo nascondiglio sbirciò per controllare se la pattuglia stesse ritornando, ma non vide nessuno. Ricordandosi che lui era il legittimo re di quella città, uscì allo scoperto. Avrebbe voluto dirigersi a destra dove aveva veduto la scalinata più vicina che lo avrebbe condotto verso il basso, ma la pattuglia si stava lentamente avvicinando e Bruenor reputò più saggio starne alla larga. La fiducia in sé aumentava ad ogni passo. Si imbatté in un paio di nani e rispose al loro saluto distratto con un rapido cenno del capo, senza mai rallentare il passo. Scese di un livello, e poi di un altro ancora e, prima che riuscisse a rendersene conto, Bruenor si ritrovò immerso nella luce violenta delle imponenti fornaci, a quasi cinque metri dal livello più basso. Come d'istinto cercò di ripararsi dalla veemenza di quella luce, ma si ricordò subito che
quell'abbacinante chiarore era un suo alleato, a differenza dei duergar che erano creature delle tenebre e non sopportavano la luce. I nani che si trovavano sul fondo avevano i cappucci abbassati sul viso per proteggersi gli occhi. Bruenor seguì il loro esempio e si sentì improvvisamente più al sicuro. In mezzo alla frenetica attività che si svolgeva poco lontano, Bruenor cominciò a credere che sarebbe stato facile raggiungere la salvezza. Procedette lentamente, ma presto il suo incedere si fece più svelto. Le spalle ricurve, il capo chino, il collo del mantello tirato su fino alle guance e l'elmetto ammaccato con il suo piccolo corno calato sulla fronte, Bruenor si sforzò di mantenere un'aria disinvolta, stringendo lo scudo al fianco, ma impugnando stretto il manico dell'ascia appesa alla cintura. Se la sorte prevedeva un combattimento, lui era pronto. Passò accanto alle tre fucine centrali e al gruppo di duergar che vi lavoravano vicino senza problemi e si fermò dopo pochi passi per lasciar passare una piccola carovana di carriole cariche di minerale. Bruenor cercò di mantenersi calmo e salutò con un cordiale cenno del capo il gruppo di minatori che passava, ma si sentì invadere da una violenta rabbia al vedere quel carico di mithril e al pensiero che quella vile gentaglia estraeva quel prezioso metallo dalle pareti della sua venerata terra. «Me la pagherete!» sibilò a denti stretti asciugandosi la fronte sudata con una manica. Si era dimenticato il calore micidiale che regnava al livello più basso della città sotterranea quando le fornaci erano accese e come tutti gli altri, anche il suo viso cominciò a rigarsi di gocce di sudore. Bruenor non dette molto peso a quel caldo opprimente, ma si accorse che l'ultimo nano che era passato gli aveva lanciato un'occhiata incuriosita. Chinò il capo e riprese a camminare a passo spedito, rendendosi conto solo allora dell'effetto devastante che il sudore aveva sul suo precario travestimento. Quando raggiunse i primi gradini dall'altra parte dell'abisso, il suo volto era rigato e alcuni dei suoi ciuffi favoriti avevano riacquistato il loro vero colore. Forse sarebbe riuscito a farcela comunque, pensò fra sé. Ma fatti alcuni passi, successe il disastro. Con i nervi tesi per non tradire la propria identità, Bruenor inciampò andando a sbattere contro un soldato che si trovava a due passi da lui. Bruenor alzò lo sguardo sbigottito e i suoi occhi incontrarono quelli del duergar. L'espressione allibita del volto del nano grigio fece capire a Bruenor di essere stato scoperto. La mano del soldato si strinse attorno alla spada, ma Bruenor non aveva tempo da perdere in un duello. Si chinò di scatto e infi-
lò la testa fra le gambe del duergar, colpendogli violentemente il ginocchio con il corno del suo elmetto, e si rialzò subito scaraventando il soldato dietro le spalle e giù per la scalinata. Bruenor si guardò alle spalle. Pochi avevano notato quanto era successo e dopotutto le scaramucce erano comuni fra i duergar. Rassicurato, riprese a risalire, ma il soldato, nonostante fosse rimasto stordito dalla caduta, ebbe la forza di puntare un dito verso l'alto e urlare: «Fermatelo!» Bruenor sentì stringersi il cuore perché gli parve di essere perduto. Brandì la sua ascia di mithril dirigendosi precipitosamente verso il livello successivo. L'aria echeggiò di urla concitate. Bruenor si sentì attorniato dal rumore di carriole lasciate cadere, dallo sferragliare di armi e dallo scalpiccio frenetico di pesanti stivali. Proprio quando stava guadagnando terreno, due guardie gli sbarrarono il passo. «Qualcosa non va?» chiese uno dei due con aria meravigliata, non capendo di trovarsi davanti alla causa di quel pandemonio. Ma quando riconobbero Bruenor, i loro visi si contorsero in una smorfia di terrore. Quell'attimo di esitazione fu loro fatale. Bruenor colpì il volto di uno con l'ascia e scaraventò l'altro giù dalla gradinata con una violenta spallata. Corse verso gli scalini, ma dovette cambiare direzione quando in lontananza intravide una pattuglia. Centinaia di nani grigi sbucavano da ogni angolo della città e lo stavano accerchiando. Bruenor si diresse verso un'altra scalinata e arrivò al secondo livello, ma dovette fermarsi perché i nemici lo avevano intrappolato. Una decina di soldati stavano arrivando da ogni direzione con le armi in pugno. Esaminò la zona con aria disperata. L'incidente aveva fatto accorrere più di un centinaio di duergar che stavano avvicinandosi minacciosamente. Bruenor abbozzò un ampio sorriso. Aveva in mente un piano disperato. Non aveva scelta e guardò ancora una volta i soldati che incombevano su di lui dall'alto. Li salutò con un inchino e dopo essersi sistemato l'elmetto si lanciò sulla folla sottostante. Cercando di mantenere il controllo del proprio corpo, Bruenor rotolò sopra le teste di decine di duergar sbalorditi e cadde su un altro gruppo di nani che si trovava sul livello più basso. Si rialzò di scatto facendosi strada a colpi d'ascia mentre i nani si accalcavano l'uno contro l'altro cercando disperatamente di allontanarsi da quella creatura pazza e dalla sua mortale arma. Bruenor, illeso, riuscì a dirigersi verso il centro, dove si fermò per guardarsi intorno. Dove poteva fuggire adesso? Decine e decine di duergar si trovavano fra lui e qualsiasi uscita della città sotterranea e le sentinelle stavano organizzando la difesa.
Un soldato gli si avventò contro, ma rimase vittima dell'implacabile lama della sua ascia. «Venite!» urlò Bruenor con tono di sfida nella speranza di guadagnare tempo e uccidere altri nani. «Venite tutti ad assaggiare la rabbia del legittimo re di Mithril Hall!» Da un arco venne scoccata una freccia che colpì il suo scudo e la violenza dell'impatto ridimensionò le sue parole spavalde. Il nano si precipitò istintivamente verso l'unica direzione ancora possibile, verso le ruggenti fucine infilandosi l'ascia nella cintura. Il fuoco non lo aveva distrutto quando si trovava sulla schiena del drago e il calore della cenere con cui si era strofinato il viso non gli aveva ustionato la pelle. Ancora una volta, a pochi passi da una fornace aperta, Bruenor si sentì protetto dalle fiamme. Non aveva tempo per cercare di scoprire quel mistero, ma pensò che doveva essere una delle proprietà magiche dell'armatura che aveva indossato quando era entrato a Mithril Hall. La verità era che la scimitarra di Drizzt, accuratamente legata sotto la bisaccia di Bruenor, lo aveva salvato ancora una volta dalle fiamme. Il fuoco sibilò minaccioso e languì quando Bruenor si avvicinò con la sua arma magica, ma non appena cominciò a salire verso il camino, le fiamme ruggirono minacciose. Bruenor udì le urla concitate dei duergar che lo stavano osservando allibiti, assieme agli ordini delle guardie di spegnere il fuoco. All'improvviso una voce si udì distinta e coprì tutte le altre. «Affumichiamolo!» urlò imperiosa. Vennero bagnati numerosi stracci che furono gettati fra le crepitanti fiamme. Una densa colonna di fumo si innalzò e avvolse Bruenor mentre la fuliggine gli faceva lacrimare gli occhi. Gli mancava il respiro, ma doveva continuare a salire. Accecato, cercò disperatamente qualche fessura cui aggrapparsi per risalire. Sarebbe soffocato se avesse respirato quell'aria mefitica, e i suoi polmoni cominciarono a ribellarsi. All'improvviso trovò un'apertura nella parete e per poco non cadde dallo stupore. Un cunicolo nascosto? Si ricordò subito, però, che tutte le fornaci della città erano state collegate da una galleria per facilitarne la pulizia. Bruenor si infilò in quel passaggio allontanandosi il più possibile dalla mortale colonna di fumo. Si stropicciò vigorosamente gli occhi e inspirò a fondo, ma la fuliggine che si era depositata sulla manica peggiorò la situazione. Gli occhi non accennavano a smettere di lacrimare e Bruenor non vide il sangue che sgorgava copioso dalle mani, anche se intuiva la profondità delle ferite dalle terribili fitte che gli paralizzavano le dita. Nonostante la terribile stanchezza, non poteva permettersi di indugiare.
Procedette carponi lungo la stretta galleria sperando che la fornace verso cui si stava dirigendo fosse spenta. All'improvviso il pavimento della galleria scomparve e Bruenor quasi non cadde. Notò che non v'era fumo e che la parete era frastagliata e molto simile a quella che aveva risalito poco prima. Si sistemò l'equipaggiamento, si aggiustò l'elmetto e lentamente cercò un appiglio. Ignorò il dolore insopportabile che gli trafiggeva le spalle e le dita e cominciò ad arrampicarsi lungo la parete. I secondi gli parvero minuti, i minuti ore. Il nano ormai stravolto dalla fatica procedeva lentamente sostando di tanto in tanto per riprendere fiato e forza. Fu durante una di quelle pause che a Bruenor parve di sentire un leggero fruscio sopra la testa. Esaminò attentamente quello strano rumore. Quei pozzi non erano collegati con altri passaggi laterali più in alto e tantomeno con altre città ai livelli superiori. Portavano direttamente in superficie. Bruenor cercò di guardare sopra di sé. Quel suono si era ripetuto e lui voleva sapere. Il mistero venne subito svelato. Una forma mostruosa stava scendendo lungo il pozzo a poca distanza dal punto in cui Bruenor era aggrappato in modo precario. Lunghe zampe pelose cominciarono ad agitarsi, e il nano capì quale terribile pericolo doveva affrontare. Un ragno gigante! Chele grondanti di veleno aprirono una ferita nel braccio di Bruenor che ignorò il dolore stringendo i denti. Cercò di non pensare alle possibili conseguenze di quel morso e reagì con eguale prontezza. Si issò lungo il pozzo colpendo il corpo disgustoso di quell'insetto con la testa nel tentativo di spingerlo con quanta forza aveva ancora in corpo contro la parete per farsi strada. Il ragno lo afferrò con una chela per uno stivale agitando le altre zampe per rimanere attaccato alla parete. Bruenor non aveva altra scelta: doveva assolutamente far cadere il ragno. Si girò verso l'orribile animale e cercò di spezzargli le zampe o almeno staccarle dalla parete. Il veleno gli bruciava la ferita e la sua caviglia, nonostante lo stivale l'avesse protetta dalla micidiale presa del ragno, forse era slogata, se non addirittura fratturata. La situazione era disperata e non poteva certo fermarsi a pensare al dolore. Con un urlo disperato, afferrò un'altra zampa, la staccò dalla parete e senza rendersene conto cominciò a precipitare assieme a quell'orrenda creatura. Il ragno si rannicchiò mollando la parete e la sua vittima. Bruenor avver-
tì il vortice d'aria della caduta e vide la parete del pozzo sfrecciare davanti ai suoi occhi ancora annebbiati dalla fuliggine. In cuor suo sperò che le pareti fossero lisce e che nessun sperone di roccia ostacolasse la loro caduta. Cercò di sistemarsi in modo tale che l'imponente corpo del ragno attutisse l'impatto. Toccarono terra con un assordante tonfo. La violenza dell'urto fu tale che Bruenor si sentì soffocare, ma grazie al molle corpo del ragno che si era fracassato al suolo, il nano si rialzò stordito ma illeso. Faceva ancora molta fatica a vedere, ma capì subito di trovarsi al livello più basso della città sotterranea, anche se per fortuna in una zona quasi deserta, perché non udì nessun urlo di allarme. Frastornato ma imperterrito, il nano cercò di riacquistare l'equilibrio e lentamente si ripulì dal liquido limaccioso che gli lordava le mani. «Sicuramente domani ci sarà un bel temporale,» mormorò fra sé ricordando un'antica superstizione riguardo l'uccisione dei ragni. Cominciò a risalire il pozzo, incurante del dolore lancinante alle mani, delle fitte al torace e al piede e della bruciante ferita al braccio. Incurante anche dei possibili agguati di altri ragni, risalì per ore, mettendo testardamente una mano sopra l'altra e trascinandosi con la forza della disperazione. Il veleno cominciava a circolargli nel sangue causandogli violenti conati di vomito e indebolendogli le braccia. Avrebbe potuto morire per quella ferita, ma era più che mai deciso che la morte l'avrebbe colto fuori e che avrebbe esalato l'ultimo respiro con lo sguardo fisso sul cielo stellato oppure inondato dal sole. Sarebbe morto lontano da Mithril Hall. Un refolo gelido gli investì il viso. Alzò la testa speranzoso, ma non riusciva a vedere. Forse era notte fuori. Rimase ad ascoltare attentamente il sibilo del vento e capì di trovarsi a pochi metri dalla mèta. Con rinnovata forza riprese a salire verso l'apertura del camino... e verso la grata di ferro che la bloccava! «Che tu possa essere maledetta dal maglio di Moradin!» urlò Bruenor. Afferrò le sbarre con entrambe le mani insanguinate. Il metallo si piegò sotto il suo peso, ma non cedette. «Wulfgar la romperebbe facilmente,» disse Bruenor quasi delirando. «Dammi la tua forza, amico!» esclamò nelle tenebre tirando e cercando di divellere le sbarre. A centinaia di miglia di distanza, a bordo della Folletto del Mare Wulfgar si agitò sulla sua branda, in preda ad orribili incubi popolati dalle im-
magini di Bruenor, il suo amico perduto. Forse lo spirito del giovane barbaro accorse in aiuto dell'amico disperato, ma l'ostinata testardaggine del nano si dimostrò più tenace del ferro. All'improvviso una sbarra cedette e uscì dalla pietra. Bruenor la lasciò cadere nel vuoto che si apriva sotto i suoi piedi. Con un sorriso stanco sperò che ai piedi di quel pozzo, proprio in quel momento, si trovasse un duergar incuriosito dal corpo sfracellato del ragno e avesse alzato lo sguardo per tentare di individuarne la causa. Bruenor cercò di infilarsi nel minuscolo pertugio che era riuscito ad aprire, ma le forze lo stavano abbandonando e non riusciva a far passare i fianchi avvolti dalla pesante cintura. Esausto, si accontentò di quella posizione così dolorosamente conquistata, lasciando che i piedi penzolassero nel vuoto. Appoggiò la testa contro le sbarre e non vide più nulla. 6 La Città di Baldur «In mare! Anneghiamoli!» urlò una voce. «Buttiamoli in mare!» fece eco un'altra. La folla tumultuosa dei marinai continuava ad avvicinarsi minacciosa brandendo spade affilate e bastoni. Entreri se ne stava tranquillo nel mezzo di quella imminente burrasca, mentre Regis, in trepidante attesa dell'evolversi della situazione, si trovava al suo fianco. L'assassino non capiva la ragione di quella rabbia improvvisa, ma aveva intuito che l'infido nanerottolo doveva saperne qualcosa. Non aveva ancora impugnato nessuna arma. Poteva fare affidamento sulla sua spada e sul suo pugnale nel momento che riteneva più opportuno, anche se i marinai inviperiti, nonostante le minacce e gli improperi, non si erano ancora azzardati ad avvicinarsi troppo. Il capitano della nave, un uomo corpulento e goffo dai capelli grigi e irsuti, denti bianchissimi e occhi talmente piccoli che parevano due minuscole fessure, uscì dalla cabina per indagare sull'origine di quel tafferuglio. «Lasciate fare a me, Redeye,» disse con un cenno del capo al sudicio marinaio che per primo gli aveva portato la notizia che i due passeggeri erano affetti da una malattia orribile e che, subito dopo, aveva provveduto a spargere la voce fra gli altri membri dell'equipaggio. Redeye obbedì e seguì il capitano che si faceva strada fra la folla. Il capitano si fermò davanti a Entreri e Regis ed estrasse lentamente la
pipa dalla tasca. La riempì lentamente di tabacco senza mai distogliere lo sguardo penetrante dal viso di Entreri. «Buttiamoli in mare!» si sentiva urlare di tanto in tanto, ma ogni volta il capitano zittiva quell'esclamazione con un gesto risoluto della mano. Voleva osservare con calma quei due forestieri prima di decidere cosa fare. Indugiò con lo sguardo mentre si accendeva la pipa e aspirò una generosa boccata di fumo. Entreri sostenne lo sguardo del capitano con una calma colossale. Gettò indietro i lembi del mantello scoprendo i foderi appesi alla cintura e incrociò le mani a pochi centimetri dall'elsa delle sue armi, in un atteggiamento che esibiva profonda calma e sicurezza. «Avreste dovuto avvertirmi, signore,» disse il capitano dopo un lungo silenzio. «Le vostre parole mi stupiscono quanto il comportamento dei vostri uomini,» ribatté Entreri con voce pacata. «Infatti,» rispose il capitano aspirando un'altra boccata. Ma gli uomini non erano pazienti come il loro capitano. Un marinaio dall'ampio torace, dalle braccia muscolose e ricoperte di tatuaggi, perse la calma e con passo spavaldo si avvicinò all'assassino con l'evidente intenzione di buttarlo giù dal parapetto e di farla finita una volta per tutte. Proprio nell'attimo in cui le mani del marinaio si stavano appoggiando sulle esili spalle dell'assassino, Entreri si mosse piroettando su se stesso così velocemente che gli altri uomini lo videro pochi istanti dopo nella stessa posizione e dubitarono che si fosse mai mosso. L'uomo stramazzò a terra, perché in quel movimento fulmineo Entreri gli aveva sferrato un potente calcio al ginocchio e la sua mano implacabile aveva estratto il pugnale, lo aveva trafitto al cuore per riporlo subito dopo nel suo fodero. «La vostra bravura vi precede,» disse il capitano senza battere ciglio. «Spero di renderle giustizia,» ribatté Entreri con un ghigno sarcastico. «Infatti,» disse il capitano e con un cenno del capo indicò l'uomo disteso sul ponte. «I suoi amici possono medicarlo?» «È già morto,» rispose l'assassino con voce asciutta. «Se i suoi amici vogliono veramente aiutarlo, si facciano avanti.» «Hanno paura,» spiegò il capitano. «Hanno visto molte malattie terribili nei porti lungo la costa.» «Malattie?» ripeté Entreri. «Il vostro compagno dice di esserne stato colpito,» aggiunse il capitano.
Un ampio sorriso illuminò il volto di Entreri. Adesso tutto era chiaro. Muovendosi come un fulmine, strappò il mantello di Regis e afferrò il nanerottolo per un polso sollevandolo a mezz'aria. I suoi occhi fissarono il volto sconvolto di Regis in una muta promessa di morte lenta e terribile. Entreri abbassò lo sguardo e notò le ferite sul braccio. «Ustioni?» disse guardandolo allibito. «Sì, così dice quel piccoletto,» strillò Redeye nascondendosi dietro il capitano quando lo sguardo di Entreri lo fissò. «Bruciature che vengono dalle viscere, ecco cosa sono!» «Bruciature di candela, invece,» ribatté Entreri con voce secca. «Guardatele voi stesso!» esclamò al capitano. «Non c'è nessuna malattia qui, ma solo gli espedienti disperati di un ladruncolo alle strette,» aggiunse lasciando cadere Regis sul ponte con un pesante tonfo. Regis rimase immobile, col fiato sospeso. La situazione stava prendendo una piega inaspettata. «Buttiamoli in mare lo stesso!» tuonò una voce in mezzo alla folla. «Non rischiamo!» fece eco un'altra. «Di quanti uomini avete bisogno per governare questa nave?» chiese Entreri al capitano. «Quanti uomini potete permettervi di perdere?» Dopo averlo visto in azione e conoscendo quell'uomo dalle chiacchiere della gente, il capitano non dubitò nemmeno per un secondo che quelle parole potessero essere solo una banale minaccia. Lo sguardo imperturbabile di Entreri gli dava anzi la certezza di essere lui il primo bersaglio se i suoi uomini avessero osato minacciarlo. «Crederò alle vostre parole,» disse con un tono imperioso che zittì il brontolio nervoso della ciurma. «Non c'è nessun bisogno di controllare le ferite. Comunque, malattie o no, non ho più nessun impegno nei vostri confronti.» Il capitano fissò il cadavere del suo uomo. «Non ho nessuna intenzione di arrivare a Calimport a nuoto,» sibilò Entreri. «Infatti,» replicò il capitano. «Approderemo nel porto della città di Baldur fra due giorni e là cercherete un altro passaggio.» «E voi rifonderete il mio denaro,» ribatté Entreri con calma implacabile. Il capitano aspirò un'altra boccata dalla sua pipa. Non poteva rischiare di inasprire l'animo di quel forestiero. «Infatti,» ribatté con altrettanta calma e, giratosi per ritornare alla sua cabina, ordinò alla ciurma di ritornare ai propri posti.
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Ricordò i pigri pomeriggi d'estate sulle rive di Maer Dualdon nella Valle del Vento Ghiacciato. Quante ore aveva trascorso in quel luogo, a pescare sfuggenti trote o semplicemente a crogiolarsi sotto il tiepido sole estivo. Ripensando agli anni passati a Ten-Towns, Regis stentava a credere che il destino gli avesse riservato una simile sorte. Pensava di avere trovato il suo posticino e di riuscire a condurre un'esistenza tranquilla, e ancora più tranquilla con l'aiuto del ciondolo di rubino che aveva rubato. Una carriera remunerativa come fannullone che di tanto in tanto incideva le ossa dei pesci che pescava per farne meravigliosi gingilli. Ma arrivò il fatale giorno in cui Artemis Entreri fece la sua comparsa a Bryn Shader, la cittadina che Regis aveva cominciato a chiamare casa, facendo sgambettare il nanerottolo per le strade del mondo assieme ai suoi amici. Anche Drizzt, Bruenor, Catti-brie e Wulfgar non erano riusciti a proteggerlo da Entreri. I ricordi non lo confortarono mentre snervanti ore di solitudine scorrevano lente in quella cabina sprangata. Regis avrebbe voluto nascondersi dietro ad un passato che quel luogo gli rendeva così caro, ma immancabilmente la sua mente veniva attirata dal terribile presente e dal pensiero martellante della inevitabile punizione per il suo inganno. Entreri non si era arrabbiato e pareva addirittura divertito dall'incidente avvenuto sul ponte e aveva condotto Regis in cabina per poi scomparire subito dopo senza dire una sola parola. La reazione dell'assassino era preoccupante, pensò Regis, anche se ciò faceva parte della mistica di quell'uomo. Nessuno poteva affermare di conoscere Artemis Entreri tanto da chiamarlo amico, come nessun nemico poteva dire di averlo capito abbastanza per poterlo affrontare ad armi pari. Regis si strinse contro la parete quando Entreri entrò dalla porta. L'assassino attraversò velocemente la cabina lanciandogli una sfuggevole occhiata. Si sedette scostandosi i capelli corvini dalla fronte e fissando l'unica candela che ardeva sul tavolo. «Una candela,» mormorò con un sorriso divertito rivolgendo lo sguardo su Regis. «Ne sai una più del diavolo, tu!» esclamò ridacchiando. Regis non si divertiva affatto. Sapeva che il cuore di Entreri non era stato riscaldato da un tepore improvviso e sarebbe stato un emerito sciocco a lasciarsi gabbare dal fare gioviale con cui ora l'assassino lo trattava.
«Un'idea eccellente,» proseguì Entreri, «e molto efficace. Da Baldur ci impiegheremo una settimana per trovare un altro passaggio verso meridione. Il tempo sufficiente perché i tuoi amici recuperino un po' di strada. Non mi sarei mai aspettato che tu fossi così coraggioso.» Il sorriso svanì dal suo volto come d'incanto. «Non mi sarei mai immaginato che tu fossi pronto a sopportare le conseguenze di quanto hai fatto,» aggiunse con voce cupa. Regis chinò il capo da un lato per osservare meglio i movimenti dell'uomo. «Ci siamo,» sussurrò con un nodo alla gola. «Era chiaro che ci sarebbero state delle conseguenze, piccolo stolto. Lodo il tuo tentativo e spero anzi che provvederai a intrattenermi durante questo noioso viaggio! Ma non posso ritardare la punizione. Se così facessi, sciuperei l'arditezza, e quindi il divertimento, dei tuoi inganni.» Scivolò dalla sedia e lentamente aggirò il tavolo. Regis ricacciò in gola il terribile urlo, figlio del terrore, e chiuse gli occhi. Sapeva che non aveva alcun scampo. L'ultima cosa che vide fu l'agile mano dell'assassino che giocherellava con il pugnale tempestato di gemme. *
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Raggiunsero il fiume Chionthar il pomeriggio successivo e risalirono le correnti sospinti da una forte brezza di mare che gonfiava le loro vele. Sul far della sera, la parte alta della città di Baldur si profilò a oriente e quando gli ultimi bagliori del giorno scomparvero dal cielo, le luci del grande porto indicavano la rotta quasi fossero un faro. Ma in quella città non era possibile attraccare dopo il tramonto, e il veliero dovette gettare l'ancora a mezzo miglio dal porto. Incapace di dormire, Regis udì Entreri muoversi molto più tardi. Il nanerottolo chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal ritmico e lento respiro dell'assassino. Non immaginava nemmeno quali fossero le intenzioni di Entreri, ma qualsiasi cosa l'assassino avesse in mente di fare, Regis non voleva instillargli il sospetto di essere ancora sveglio. Entreri non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Silenzioso come un gatto foriero di morte, l'assassino uscì dalla cabina con un fruscio di vesti. L'equipaggio era formato da venticinque uomini, ma dopo una faticosa giornata di viaggio e con la città di Baldur che attendeva le prime luci dell'alba in lontananza, era possibile che al massimo quattro marinai fossero ancora
svegli. L'assassino attraversò gli alloggi della ciurma guidato dalla flebile luce di una candela che si intravedeva poco lontano. Nella cambusa, il cuoco era intento a preparare la colazione e rimestava indolente una densa zuppa in un enorme calderone. Cantava allegramente, come faceva sempre quando era al lavoro, non prestando attenzione a quanto gli succedeva intorno. Ma anche se fosse stato all'erta e nel più assoluto silenzio, non si sarebbe accorto del fruscio dei passi alle sue spalle. Il cuoco morì con la faccia immersa nella sua zuppa. Entreri ritornò verso gli alloggi dei marinai, dove altri venti uomini morirono senza accorgersene, e risalì furtivo sul ponte. La luna piena risplendeva nel cielo, ma anche un minuscolo spicchio argenteo sarebbe bastato all'assassino per vedere. Aveva passato molte notti a studiare i percorsi delle sentinelle, preparandosi, come era solito fare, al peggio. Contò i passi delle due guardie che presidiavano il ponte e scivolò verso l'albero maestro con il pugnale fra i denti. I suoi agili muscoli lo portarono in un lampo sulla coffa, dove uccise le due vedette. Ritornato sul ponte, Entreri si avvicinò calmo al parapetto. «Una nave!» esclamò puntando un dito nell'oscurità. «Ci sta attaccando!» Istintivamente le due sentinelle si precipitarono al fianco dell'assassino e aguzzarono lo sguardo per riuscire a vedere il pericolo che si nascondeva nelle tenebre, ma la lama fulminea del pugnale fece capire loro troppo tardi il terribile inganno. Rimaneva il capitano. Entreri avrebbe potuto forzare la porta della sua cabina e ucciderlo nel sonno, ma l'assassino voleva una fine più drammatica alla sua opera. Voleva che il capitano si avvedesse della tragedia che aveva investito la sua nave quella notte. Entreri scivolò verso la porta che dava sul ponte e dalla tasca estrasse i suoi arnesi e una matassina di filo finissimo. Alcuni minuti più tardi ritornò al proprio alloggio e svegliò Regis. «Se fai un solo rumore ti strappo la lingua,» lo minacciò Entreri con voce rauca. Regis finalmente capì cosa stava succedendo. Se la nave fosse approdata a Baldur, nelle bettole del porto la ciurma avrebbe raccontato ai quattro venti terribili storie su un implacabile assassino e sul suo amico malato, e ciò avrebbe seriamente ostacolato la loro ricerca di un passaggio verso meridione.
A nessun costo l'assassino poteva permettersi di rischiare una cosa simile. Regis provò un forte senso di angustia, perché in cuor suo si sentì responsabile della carneficina perpetrata quella notte. Camminava tranquillo e impotente al fianco di Entreri, passò davanti agli alloggi dei marinai e non udì il loro russare e il canto rauco che di solito rallegrava la cambusa. Mancava poco all'alba e il cuoco doveva essere indaffarato a preparare la colazione per tutti. Ma da dietro la porta socchiusa non proveniva nessun rumore. A Waterdeep avevano caricato olio sufficiente per tutto il viaggio fino a Calimport, e la stiva era piena di barili. Entreri aprì la botola e ne tirò fuori due. Ruppe il sigillo del primo e lo fece rotolare davanti alle camerate cospargendo ben bene il pavimento di olio. Poi trascinò l'altro assieme a Regis, che barcollava paralizzato dalla paura e dal ribrezzo, sopra coperta e cosparse le assi di legno vicino alla porta del capitano con concentrata precisione. «Entra là,» disse a Regis indicando l'unica scialuppa che dondolava sul lato destro del veliero. «E prendi questo,» disse porgendogli un minuscolo sacchetto. Regis si sentì stringere la gola dalla nausea quando pensò al contenuto, ma l'afferrò senza battere ciglio stringendolo al petto, convinto che se l'avesse perduto Entreri se ne sarebbe procurato un altro. L'assassino attraversò il ponte con passo leggero accendendo una torcia. Regis l'osservò terrorizzato, rabbrividendo quando vide il ghigno spiritato del suo volto nella penombra mentre lanciava la torcia sotto coperta. Il ghigno si tramutò in un sorriso soddisfatto quando il legno imbevuto di olio prese fuoco. Entreri si precipitò di corsa verso la porta del capitano. «Addio!» esclamò come sua unica spiegazione quando bussò con vigore e con due balzi si avvicinò alla scialuppa. Il capitano balzò dal letto cercando di svegliarsi dal pesante stordimento del sonno. Tutto era stranamente calmo ad eccezione di un inquietante crepitio e di un sottile filo di fumo che si faceva strada fra le fessure del pavimento. Impugnata la spada, il capitano sollevò il chiavistello e aprì la porta. Si guardò intorno disperato chiamando ad uno ad uno i suoi uomini. Le fiamme non avevano ancora raggiunto il ponte, ma aveva capito, come anche le sue sentinelle avrebbero dovuto capire, che era scoppiato un incendio a bordo. La terribile verità si fece strada nella sua mente sconvolta e, in preda al terrore, il capitano si precipitò sul ponte avvolto solo nella
sua camicia da notte. All'improvviso sentì qualcosa stringerglisi attorno alla caviglia nuda e solo allora, con una smorfia di dolore, capì di essere vittima di una trappola. Ruzzolò rovinosamente a terra e la spada gli sfuggì di mano. Un acre odore gli pizzicò le narici e capì le conseguenze mortali del denso liquido che gli imbeveva la camicia da notte. Allungò una mano nel disperato tentativo di afferrare l'elsa della spada, ma le sue unghie grattarono il legno del ponte finché non sanguinarono. Una lingua di fuoco si fece strada fra le assi. Il pauroso crepitio echeggiò sulla vastità dell'acqua facendo vibrare le tenebre della notte. Un unico urlo trafisse le orecchie di Entreri e Regis mentre l'assassino vogava contro corrente lungo il fiume Chionthar, squarciando persino il brusio vomitato dalle locande del porto di Baldur, a mezzo miglio di distanza. Quasi come se fosse amplificato dalle mute urla di disperazione della ciurma ormai priva di vita e dallo stesso veliero che lentamente si consumava, un unico grido d'agonia trafisse la notte che lentamente svanì nel vorace fragore delle fiamme. *
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Entreri e Regis entrarono a Baldur a piedi poco dopo lo spuntare del giorno. Avevano raggiunto riva in una piccola insenatura poche centinaia di metri a valle del porto e là avevano affondato la scialuppa perché Entreri non voleva lasciare nessuna traccia che potesse collegarlo al disastro avvenuto durante la notte. «Sarà meraviglioso ritornare a casa,» disse l'assassino con aria di scherno rivolto a Regis mentre camminavano lungo i moli della parte bassa della città. Con un cenno del capo gli indicò un imponente veliero mercantile attraccato poco lontano. «Ti ricorda nulla quello stendardo?» Regis alzò lo sguardo e vide la bandiera che sventolava al vento. Un campo dorato attraversato da due linee inclinate blu, il vessillo di Calimport. «I mercanti calimshan non prendono mai passeggeri a bordo,» mormorò il nanerottolo nella speranza di indebolire l'atteggiamento impertinente di Entreri. «Faranno un'eccezione,» ribatté Entreri estraendo il ciondolo da sotto il farsetto di cuoio e portandoselo davanti alla bocca atteggiata ad un sorriso inquietante.
Regis non ebbe il coraggio di replicare. Conosceva benissimo i poteri del rubino e non poteva certo mettere in dubbio l'affermazione dell'assassino. Con passo sicuro che tradiva la sua profonda conoscenza della città, Entreri condusse Regis alla capitaneria di porto, una piccola baracca poco lontano dai moli. Il nano lo seguì senza opporre resistenza. La sua mente, lontana dal presente, era ancora avviluppata dagli intriganti fili dell'incubo della tragedia della notte precedente. In preda a una cupa disperazione, Regis cercava di valutare la propria responsabilità per la morte di ventisei uomini e non vide nemmeno il capitano di porto, e tantomeno capì il suo nome. Dopo alcuni scambi di battute, Regis intuì che Entreri aveva catturato l'attenzione dell'uomo grazie al terribile incantesimo del rubino. Il nano si mise in un angolo, disgustato dall'abilità con cui Entreri si era impossessato dei poteri di quella gemma. I suoi pensieri ritornarono ancora una volta ai suoi amici e alla sua terra, ma questa volta non per attingervi speranza, bensì con un accorato fremito di tristezza. Drizzt e Wulfgar erano riusciti a sfuggire agli orrori di Mithril Hall per accorrere in suo aiuto? Aveva osservato Entreri in azione e sapeva che presto si sarebbero trovati ai confini del regno di Pook. Regis sperava con tutte le proprie forze che i suoi amici non avessero preso una decisione così avventata. Le sue piccole mani non potevano sporcarsi di altro sangue innocente. A poco a poco Regis si concentrò sul presente sforzandosi di ascoltare la conversazione poiché forse da essa avrebbe attinto notizie di vitale importanza. «Quando salpano?» stava dicendo Entreri. Regis tese l'orecchio. Il tempo era fondamentale. Forse i suoi amici lo avrebbero raggiunto là, lontano ancora un migliaio di miglia dalla fortezza di Pascià Pook. «Fra una settimana,» rispose il capitano con lo sguardo fisso sulla gemma che, in uno sfolgorio di riflessi, dondolava lentamente a mezz'aria. «Troppo tardi,» mormorò Entreri con un filo di voce. «Voglio parlare con il capitano del vascello,» si affrettò ad aggiungere subito dopo. «Si può accomodare.» «Stasera stessa... qui.» Il capitano scrollò le spalle assentendo. «Fatemi un altro favore, amico,» disse Entreri rivolgendogli un sorriso strano. «Voi registrate tutte le navi che entrano in porto, vero?»
«È il mio lavoro,» disse l'uomo con uno sguardo inebetito. «E senza dubbio controllate anche le porte della città?» chiese Entreri ammiccando. «Ho molti amici,» ribatté il capitano. «Non succede nulla nella città di Baldur senza che io non ne venga portato a conoscenza.» Entreri lanciò un'occhiata a Regis. «Daglielo,» gli ordinò. Regis guardò l'assassino con sguardo allibito. «Il sacchetto,» spiegò Entreri con lo stesso tono allegro che aveva avuto durante la conversazione con il capitano. Regis socchiuse gli occhi e non si mosse in un gesto di sfida e di rifiuto come mai aveva osato opporre al suo carceriere. «Il sacchetto,» ripeté Entreri con voce imperiosa. «Il nostro regalo per i tuoi amici.» Dopo un attimo di esitazione Regis gettò il minuscolo sacchetto sul tavolo del capitano. «Chiedete informazioni su qualsiasi nave o forestiero che arrivi in città,» spiegò Entreri. «Cercate un gruppo di viaggiatori, almeno due. Un elfo, che viaggia in incognito e ben nascosto, e un gigante, un barbaro dai capelli biondi. Scovateli, amico. Trovate l'avventuriero che si fa chiamare Drizzt Do'Urden. Quel regalo è solo per lui. E non dimenticate di dirgli che attendo il suo arrivo a Calimport.» Entreri smise di parlare e lanciò un'occhiata malvagia a Regis. «Con molti altri regali.» Il capitano ripose in tasca il sacchetto e assicurò che avrebbe fatto quanto Entreri gli aveva chiesto. «Devo andarmene,» disse infine l'assassino, alzando Regis a viva forza. «Arrivederci a stasera,» ricordò al capitano. «Un'ora dopo il tramonto.» *
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Regis sapeva che Pascià Pook aveva molte conoscenze a Baldur, ma si meravigliò quando scoprì con quanta facilità l'assassino si muoveva per quelle strade. In meno di un'ora, Entreri aveva trovato una stanza e aveva ingaggiato due forzuti delinquenti per sorvegliare Regis durante la sua assenza. «È arrivato il momento per il tuo secondo scherzo?» gli chiese con tono beffardo pochi attimi prima di uscire. Guardò i due uomini appoggiati alla parete della stanza che stavano discutendo animatamente sulle presunte virtù di una signora del posto. «Forse riesci a gabbarli,» gli sussurrò all'orecchio.
Regis si voltò disgustato dall'umorismo macabro dell'assassino. «Ma ricordati, mio piccolo ladro, che una volta fuori di qui ti ritroverai in strada, all'ombra dei vicoli dove tu non hai nessun amico e dove io posso nascondermi dietro ad ogni angolo.» Piroettò su se stesso con una risata malvagia scomparendo come un fulmine oltre la porta. Regis osservò le sue guardie ormai infervorate dalla discussione. Forse avrebbe potuto tentare di uscire dalla stanza in quel preciso momento. Si adagiò sul letto sospirando rassegnato, incrociando lentamente le dita dietro la testa, ma una lancinante fitta gli ricordò il prezzo che aveva dovuto pagare per la sua bravata. *
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La città di Baldur era divisa in due parti: la città bassa del porto e la città alta protetta dalla cinta di mura interne dove abitavano i cittadini più influenti. La città aveva allargato i suoi confini grazie al galoppante sviluppo del commercio lungo la Costa della Spada. Le vecchie mura costituivano un'efficiente protezione fra gli avventurieri e i marinai di passaggio che vi arrivavano senza interruzione e le imponenti case dell'entroterra. «Il centro del mondo,» era una frase ormai detta da tutti per descrivere quel famoso porto, equidistante da Waterdeep a nord e Calimport a sud, le due città più importanti che si trovavano sulla costa. In mezzo alla confusione e alla frenetica attività che quella definizione aveva attirato su quell'insediamento, Entreri si aggirò senza intralci lungo le viuzze che conducevano alla città alta. Là aveva un alleato, un potente mago di nome Oberon, amico di Pascià Pook. La sua incrollabile fedeltà nei confronti di Pook avrebbe assicurato ad Entreri che l'informazione del ritrovamento del ciondolo avrebbe raggiunto senza indugio il capo della corporazione di Calimport assieme al suo imminente ritorno. Ad Entreri, però, non interessava nulla se Pook veniva informato o meno del suo arrivo. Era Drizzt Do'Urden che gli stava a cuore, e in quel momento l'elfo galoppava alle sue spalle. Quel mago avrebbe potuto essergli d'aiuto per scoprire dove si trovavano i suoi inseguitori. Dopo un incontro che durò il resto della giornata, Entreri lasciò la torre di Oberon e si diresse verso la capitaneria di porto per andare all'appuntamento con il capitano del vascello di Calimport. Il suo volto aveva riacquistato la sicurezza di sempre. I ricordi dello spiacevole incidente notturno si erano dileguati con la luce del sole. Ora tutto scorreva liscio, senza intoppi,
e mentre si avvicinava alla baracca giocherellò con il rubino pensando che una settimana era un ritardo eccessivo. *
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Regis non si stupì affatto quando Entreri ritornò a notte inoltrata annunciando la notizia che era riuscito a 'convincere' il capitano di un vascello calimshan ad anticipare la partenza. Sarebbero partiti dopo tre giorni. Epilogo Wulfgar sollevò le cime e le tirò nel tentativo di far tendere la vela maestra al debole vento mentre la ciurma della Folletto del Mare osservava i suoi movimenti con meraviglia. Le forti correnti del fiume Chionthar ostacolavano l'avanzare del veliero e un capitano dotato di un minimo di buon senso avrebbe gettato l'ancora in attesa di una brezza favorevole. Ma Wulfgar, grazie anche agli insegnamenti di un vecchio lupo di mare di nome Mirky, stava facendo un lavoro meraviglioso. I moli di Baldur si intravedevano in lontananza e la nave, rallegrata dalle urla di incitamento di decine e decine di marinai, stava lentamente avvicinandosi al porto. «Avrei bisogno di dieci uomini come lui,» disse il capitano Deudermont rivolto a Drizzt. L'elfo sorrise, più che mai sorpreso anche lui dall'immane forza del suo giovane amico. «Sembra che si diverta. Non avrei mai immaginato che fosse un buon marinaio.» «Nemmeno io,» aggiunse Deudermont. «Speravo solo di avvalermi della sua forza se mai avessimo incontrato una banda di pirati. Ma Wulfgar ha imparato velocemente l'arte del mare.» «Gli piace il brivido della sfida,» aggiunse Drizzt. «Il mare aperto, la forza delle onde e del vento rappresentano per lui una prova che gli era finora sconosciuta.» «È molto più in gamba di molti altri,» ribatté Deudermont rivolgendo lo sguardo verso la foce del fiume e la vastità del mare aperto. «Voi e il vostro amico avete fatto un viaggio breve lungo la costa, ed è un peccato che non abbiate potuto apprezzare la vera bellezza del mare.» Drizzt guardò Deudermont con sincera ammirazione, non senza un briciolo d'invidia. Il capitano era un uomo che aveva forgiato il proprio orgo-
glio alla luce di una logica pratica. Deudermont rispettava il mare e lo accettava con l'obbedienza di un subalterno. Quell'accettazione e quella consapevolezza del proprio posto nell'universo gli conferiva un vantaggio sublime sulle forze scatenate del mare. Drizzt seguì il tenero sguardo del capitano affascinato dal misterioso richiamo che quell'immensità liquida aveva non solo su di lui, ma anche su molti altri uomini. Soppesò a lungo le ultime parole di Deudermont. «Un giorno, forse,» disse sottovoce. Il veliero era entrato in porto e Wulfgar mollò le cime accasciandosi esausto sul ponte. L'equipaggio lavorò duro per completare le operazioni di attracco, ma tutti, quando passarono accanto all'imponente barbaro, gli dettero un'affettuosa manata sulle spalle. Wulfgar era talmente stanco che non riusciva nemmeno a rispondere. «Ci fermeremo qui per due giorni,» disse il capitano a Drizzt. «I miei piani prevedevano una settimana, ma mi rendo conto della vostra fretta. Ne ho parlato con i miei uomini l'altra sera, e tutti sono stati d'accordo di ripartire subito.» «I nostri più vivi ringraziamenti a voi e ai vostri uomini,» ribatté Drizzt con voce accorata. Proprio in quell'istante un uomo magrissimo ed elegantemente vestito percorse con passo veloce il molo. «Ehi, voi della nave!» urlò. «Deudermont è il vostro capitano?» «Pellman, il capitano del porto,» spiegò Deudermont a Drizzt. «Sì,» urlò verso l'uomo. «È un piacere rivederti, Pellman!» «Benvenuto, capitano,» ribatté Pellman. «Una manovra splendida, la vostra! Quanto vi fermate?» «Due giorni,» rispose il capitano. «Poi ci rimettiamo subito in mare diretti verso sud.» Pellman ebbe un attimo di esitazione, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Prese fiato e formulò la domanda che Entreri gli aveva suggerito, come se nell'ultima settimana l'avesse fatta ad ogni capitano che era entrato in porto. «Sto cercando due stranieri,» disse a Deudermont. «Forse li hai visti?» Il capitano guardò Drizzt in modo strano, quasi che immaginasse, proprio come l'elfo stesso, che quella domanda non era una semplice coincidenza. «Si chiamano Drizzt Do'Urden e Wulfgar,» spiegò Pellman. «Anche se forse si presentano con altri nomi. Uno è piccolo e misterioso... assomiglia
a un elfo, mentre l'altro è un gigante forte come nessuno al mondo!» «Ci sono problemi?» chiese Deudermont. «No,» ribatté l'uomo. «Ho un messaggio per loro.» Wulfgar si avvicinò a Drizzt e riuscì a cogliere solo l'ultima parte di quella strana conversazione. Deudermont guardò Drizzt in attesa di una sua decisione. «Sta a voi!» Drizzt era sicuro che Entreri non aveva teso nessuna trappola per loro in quella città. Sapeva che l'assassino voleva affrontarli, o almeno aveva intenzione di affrontare lui, personalmente. «Parleremo a quell'uomo,» rispose con voce tranquilla. «Sono a bordo,» urlò Deudermont. «È stato il possente Wulfgar a fare quella meravigliosa manovra!» esclamò guardando il barbaro. Il capitano li condusse al parapetto. «Se ci saranno problemi, farò quanto mi sarà possibile per tirarvi fuori,» mormorò. «E se sarà necessario, potremo aspettare qui al porto anche per due settimane.» «Grazie,» ribatté Drizzt. «Orlpar di Waterdeep ci ha affidato in buone mani.» «Non nominate il nome di quel cane pidocchioso,» aggiunse Deudermont. «Ho fatto raramente buoni affari con lui! Arrivederci, allora. Potete ritornare sulla nave per la notte se lo desiderate.» Preceduto da Wulfgar, Drizzt si avvicinò lentamente al capitano di porto osservando attentamente la zona circostante alla ricerca dell'eventuale insidia di qualche trappola. «Siamo noi gli uomini che cercate,» disse Wulfgar con tono sprezzante fermandosi a pochi passi da Pellman che all'improvviso si sentì piccolissimo. «Salve,» li salutò lui con un sorriso disarmante rovistando nella tasca. «Ho incontrato un vostro conoscente,» spiegò, «un essere misterioso accompagnato da un nanerottolo.» Drizzt fece un passo avanti mettendosi al fianco di Wulfgar e scambiò con lui un'occhiata preoccupata. «Mi ha lasciato questo,» proseguì Pellman porgendo un minuscolo sacchetto a Wulfgar. «E mi ha chiesto di dirvi che aspetta il vostro arrivo a Calimport.» Wulfgar prese in mano il sacchetto con aria titubante quasi si aspettasse che esplodesse da un momento all'altro. «Grazie,» disse Drizzt. «Diremo al nostro conoscente che avete obbedito ai suoi ordini.»
Pellman annuì soddisfatto e li salutò con un profondo inchino. Si girò lentamente per ritornare ai propri lavori, ma si ricordò all'improvviso che prima doveva portare a termine un'altra missione, quasi che un ordine sovrannaturale cui non riusciva ad opporsi muovesse i sui passi. Proprio secondo le parole di Entreri, il capitano si allontanò dal porto e si diresse verso la città alta, verso la casa di Oberon. Drizzt condusse Wulfgar in un angolo, lontano dagli occhi di tutti. Aveva notato il pallore mortale sul volto del barbaro e senza indugio gli prese il sacchetto dalle mani e allontanatolo dal viso allentò la stringa con aria perplessa. Guardò sbigottito Wulfgar che era indietreggiato di qualche passo, e portò il sacchetto all'altezza della cintura per guardarvi meglio. Wulfgar si avvicinò incuriosito e al contempo preoccupato dal fatto che Drizzt aveva abbassato il capo. Guardandolo con impotente rassegnazione, l'elfo aprì il sacchetto del tutto per mostrare al giovane barbaro quanto vi era contenuto. Il dito di un nano. LIBRO 2 ALLEATI 7 Agitazioni La prima cosa che avvertì fu la completa assenza di vento. Aveva trascorso chissà quante ore aggrappato alla grata e nonostante il torpore dello svenimento, aveva avuto la sensazione che il suo corpo venisse sferzato da violente raffiche che gli avevano fatto ricordare la Valle del Vento Ghiacciato, la sua patria per oltre due secoli. Bruenor non aveva tratto nessuna forza dal languido lamento della bufera, ma in esso vi aveva intuito il suo tragico destino. Tutto era silenzio. Il crepitio di un fuoco rallegrava l'aria. Bruenor cercò di aprire un occhio e fissò lo sguardo assente sulla fiamma nel tentativo di capire. Si sentiva avvolto da un tepore rassicurante e avvertiva il piacevole peso di una soffice trapunta sul suo corpo. Si trovava in una casa riscaldata da un allegro fuoco e non vicino ad un falò all'aperto. Bruenor mosse il capo e il suo sguardo si posò sui suoi indumenti e sulle sue armi disposte ordinatamente accanto al focolare. L'elmetto, la scimitarra di Drizzt, l'armatura di mithril, l'ascia nuovissima e lo scintillante scudo
se ne stavano a pochi metri di distanza, mentre lui si trovava fra tiepide coltri, avvolto in una semplice camicia di seta. Si sentì terribilmente vulnerabile e cercò di alzarsi appoggiandosi sui gomiti, ma una violenta sensazione di nausea gli avvinghiò la gola. Si lasciò cadere sul cuscino esausto. Riaprì gli occhi dopo pochi istanti e riuscì a distinguere il profilo di una donna alta e bella china su di lui. I suoi lunghi capelli dalle sfumature argentee sottolineate dai bagliori provenienti dal focolare gli solleticavano una guancia. «Il veleno di un ragno avrebbe ucciso chiunque, ma non un nano,» disse la donna con voce gentile. Cullato da quelle dolci parole Bruenor ricadde in una voragine oscura. *
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Bruenor si risvegliò alcune ore più tardi rinvigorito dal riposo. Aprì gli occhi e cercando di non attirare l'attenzione esaminò la stanza. Il suo sguardo cadde sulla sua roba ammonticchiata accanto al focolare e, soddisfatto, con lentezza girò la testa dall'altra parte. Si trovava in una piccola stanza, forse la sola di tutta la casa perché ebbe l'impressione che l'unica porta esistente desse sull'esterno. A poca distanza, anche se aveva avuto l'impressione che fosse un sogno, Bruenor vide la stessa donna che gli aveva parlato prima che perdesse i sensi starsene immobile davanti alla finestra a guardare il cielo tenebroso della notte. I suoi capelli brillavano come l'argento e Bruenor capì che non era stato un gioco di luci. Aveva la certezza che quel meraviglioso colore che gli parve quasi vibrare di vita propria, non fosse l'eredità della vecchiaia. «Chiedo perdono, mia buona fata,» disse lo gnomo con voce rauca. La donna si girò e lo guardò incuriosita. «Potrei avere un boccone da mangiare?» chiese Bruenor provando un forte languore. La donna attraversò la stanza senza nemmeno un fruscio di vesti e, raggiunto il letto, aiutò Bruenor a sedersi. Il nano venne assalito da uno strano capogiro ma riuscì a vincerlo. «Solo un nano poteva farcela!» mormorò la donna meravigliata dalla veloce guarigione di Bruenor. Il nano la guardò intensamente. «Io vi conosco, signora, anche se non sono in grado di ricordare il vostro nome.» «Non importa,» rispose la donna. «Hai superato molte difficoltà, Brue-
nor Martello di guerra.» Il nano cercò di sollevare la testa, stupito dal sentirsi chiamare per nome, ma quella donna lo fece appoggiare ai cuscini con una lieve pressione della mano. «Ho temuto di essere arrivata troppo tardi e che il veleno ti avesse già ucciso, ma sono riuscita a medicarti e a guarirti.» Bruenor abbassò gli occhi e vide il braccio avvolto in candide bende. La sua mente ritornò ai terribili momenti dell'incontro con il ragno gigante. «Per quanto tempo?» chiese con un filo di voce. «Non so per quanto tempo sei rimasto avvinghiato alla grata,» rispose la donna, «ma hai dormito per più di tre giorni. Forse un po' troppo per il tuo povero stomaco. Ti preparerò qualcosa da mangiare.» La donna fece per alzarsi, ma Bruenor la prese per un braccio. «Dove sono?» La donna gli sorrise con tenerezza e Bruenor allentò la presa. «In una radura non molto lontano da dove ti ho trovato. Avevo paura di ucciderti se ti muovevo troppo.» «È la vostra casa?» chiese il nano non riuscendo a capire. «Oh, no,» rispose la donna con un sorriso allontanandosi con passo leggero. «È una mia creazione, e durerà fino all'alba se ti sentirai forte abbastanza da proseguire il tuo viaggio.» Quella velata allusione alla magia fece ritornare i ricordi. «Allora voi siete la Signora di Luna d'Argento!» esclamò Bruenor. «Clearmoon Alustriel,» disse la donna con un profondo inchino. «Salute a te, nobile re!» «Re?!» ripeté Bruenor con una smorfia di disgusto. «La mia città è in mano a un popolo di fuorilegge.» «Vedremo,» aggiunse Alustriel con tono misterioso. Bruenor però non colse l'ultima parola della donna perché nella sua mente erano riaffiorate le immagini dei volti di Drizzt e Regis e soprattutto di Catti-brie, la gioia della sua vita. «I miei amici,» disse rivolto alla donna. «Sapete nulla di loro?» «Riposati,» rispose la donna. «Sono riusciti a fuggire, tutti!» «Anche l'elfo?» Alustriel annuì. «Non era destino che Drizzt Do'Urden morisse nella terra del suo più caro amico.» Le parole di Alustriel innescarono una serie di ricordi nella mente del nano. «Voi avete incontrato Drizzt,» disse. «Sulla strada per Mithril Hall. Siete stata voi a indicarci la strada ed è così che conoscete il mio nome.»
«E sapevo dove venirti a cercare,» aggiunse Alustriel. «I tuoi amici sono disperati perché ti credono morto. Ma anch'io conosco le arti magiche e posso comunicare con mondi da cui spesso si possono attingere rivelazioni sorprendenti. Quando lo spettro di Morkai, un vecchio socio che trapassò a miglior vita alcuni anni fa, mi ha fatto vedere l'immagine di un nano ferito, che si aggrappava ai bordi di un buco sui fianchi di una montagna, allora ho capito qual era il destino di Bruenor Martello di guerra. Da allora ho vissuto nella speranza di non arrivare troppo tardi.» «Ah! Mi sento benissimo!» sbuffò Bruenor colpendosi il torace con un pugno. Si girò sul letto, ma una lancinante fitta alla natica lo immobilizzò. «La freccia di un arco,» spiegò Alustriel. Bruenor aggrottò la fronte. I suoi concitati ricordi si limitavano alla precipitosa fuga dalla città sotterranea e per quanto si sforzasse non ricordava affatto di essere stato ferito. Scrollò le spalle disorientato. «Questo vuol dire che uno di quei maledetti è riuscito a colpirmi e...» Bruenor non terminò la frase perché si sentì avvampare il viso. Quella donna aveva estratto la freccia dal suo fondoschiena e lo aveva medicato! Alustriel colse l'occasione per cambiare discorso. «Rifocillati e riposa,» gli ordinò con voce gentile. «I tuoi amici sono al sicuro, per adesso.» «Dove...» Alustriel bloccò l'irruenza del nano sollevando delicatamente una mano. «Le mie nozioni su queste cose non sono sufficienti,» spiegò. «Presto troverai la risposta a tutte le tue domande. Domattina ti accompagnerò a Sellalunga e da Catti-brie. Lei saprà rispondere meglio di quanto potrei fare io.» Bruenor avrebbe voluto mettersi in viaggio subito per raggiungere quella figlia di uomo che aveva raccolto fra i cumuli di macerie, in seguito a un saccheggio per mano di una banda di avidi goblin, e aveva nutrito come se fosse sua figlia. Desiderava stringerla fra le sue braccia e rassicurarla che tutto era finito. Ma si ricordò che da tempo disperava di rivederla e cercò di convincersi che poteva attendere ancora una notte. Le paure e l'irrequietezza svanirono quando un sonno ristoratore vinse il suo corpo. Bruenor si addormentò subito dopo aver mangiato e Alustriel rimase al suo fianco finché il suo respiro non si tramutò in un sonoro russare. La Signora di Luna d'Argento sorrise soddisfatta perché quel rumore era indice di salute, ed esausta appoggiò il capo contro la parete e chiuse gli occhi.
Quelli erano stati tre lunghissimi giorni di snervante attesa. *
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Bruenor rimase ad osservare sbalordito mentre la casupola, cui le tenebre della notte avevano dato consistenza, svaniva nel nulla non appena le prime luci dell'alba rischiararono il cielo. Il nano si girò per dire qualcosa ad Alustriel, ma la vide intenta a formulare un incantesimo. Se ne stava eretta rivolta verso il cielo rosato con una mano protesa verso l'orizzonte quasi volesse catturare la luce con le dita. Serrò il pugno e lo portò alle labbra. Dopo avervi sussurrato dentro una litania incomprensibile scagliò i raggi catturati davanti a sé proferendo l'ultima parte della formula. «Cavalli in fiamme!» Una roboante sfera di fuoco colpì una roccia dalla quale scaturì una fontana di scintille che all'istante presero la forma di un carro e due cavalli di fuoco. I loro contorni fluttuanti si appoggiarono a terra, ma non bruciarono l'erba. «Raccogli le tue cose!» ordinò la donna a Bruenor. «È tempo di metterci in marcia.» Bruenor indugiò per un attimo. Fino ad allora aveva apprezzato l'utilità delle arti magiche solo quando se ne era servito per infondere poteri soprannaturali alle armi e alle corazze. Raccolse le sue cose tralasciando di indossare l'armatura e salì sul carro dietro ad Alustriel con malcelata riluttanza. Con suo enorme stupore, non si bruciò le dita e sotto la sua mano sentì qualcosa della stessa consistenza del legno. Alustriel strinse le redini infuocate fra le dita affusolate e spronò i cavalli. Il carro si sollevò nel cielo mattutino con uno scossone. I cavalli ruppero il galoppo aggirando la montagna verso occidente puntando poi verso meridione. Il nano esterrefatto appoggiò lentamente l'armatura e si aggrappò al carro mentre le montagne scorrevano veloci sotto il suo sguardo. Vide le rovine di Settlestone, l'antica città dei nani, che ben presto si dileguò all'orizzonte. Il carro volò su prati sconfinati verso ovest e verso il limitare settentrionale delle Paludi dei Troll. Bruenor sibilò a denti stretti un'imprecazione quando riconobbe Nesme, al ricordo dell'ostilità con cui lui e i suoi amici erano stati accolti dalla ronda. Passarono sopra il sinuoso fiume Dessarin che pareva un enorme serpente che sgusciava insidioso fra i lussureggianti campi. Poco lontano, a nord, Bruenor intravide un enorme accampamento di barbari.
Alustriel diresse il carro verso meridione e dopo alcuni minuti il famoso Maniero dell'Edera sulla Collina di Harpell, nei pressi di Sellalunga, si profilò all'orizzonte. Una folla di maghi incuriositi si era radunata in cima alla collina per osservare l'arrivo del carro e dare il loro deferente benvenuto come era loro abitudine fare ogni volta che la Signora Alustriel li onorava di una sua visita. Un solo astante sbiancò completamente in volto quando vide Bruenor Martello di guerra, con la sua barba rossa, il naso appuntito e l'elmetto in testa. «Ma tu... non eri... morto?» balbettò Harkle Harpell mentre Bruenor scendeva con un balzo dal carro. «È un piacere rivederti,» lo salutò Bruenor vestito solo con la camicia da notte. Prese velocemente le sue cose dal fondo del carro e le buttò ai piedi di Harkle. «Dov'è mia figlia?» «Oh, sì! Certo... la ragazza... Catti-brie, ma dovrebbe essere là!» Allibito, l'uomo continuava a balbettare parole incomprensibili mentre con un dito giocherellava con il labbro inferiore. «Vieni con me!» Afferrò Bruenor per una mano e lo trascinò verso il Maniero dell'Edera. Incontrarono Catti-brie appena alzata, avvolta in una vaporosa vestaglia mentre attraversava un ampio salone. La giovane donna sgranò gli occhi dalla meraviglia non appena vide Bruenor che le si avvicinava di corsa. Lasciò cadere l'asciugamano e rimase impietrita dallo stupore. Bruenor l'abbracciò nascondendo il volto fra i suoi capelli e stringendola così forte che Catti-brie faceva fatica a respirare. La ragazza si riprese dall'inaspettata gioia e lentamente alzò le braccia per ricambiare quel tenero abbraccio. «Le mie preghiere sono state esaudite,» disse con la voce rotta da violenti singulti. «Ti credevo morto!» Bruenor non riusciva a rispondere e cercava con tutte le proprie forze di nascondere la propria commozione, ma copiose lacrime bagnarono le spalle di Catti-brie, nonostante si sentisse gli occhi di tutti gli Harpell puntati alle spalle. In preda all'imbarazzo, aprì la prima porta che vide al suo fianco. Si ritrovò davanti a un Harpell seminudo che lo guardò meravigliato. «Chiedo scusa, ma...» cominciò a dire il mago, ma Bruenor lo afferrò per la spalla e lo scaraventò in mezzo al salone mentre con l'altra mano sospingeva Catti-brie dentro la stanza. La porta si richiuse con fragore proprio nel momento in cui il mago frastornato e a torso nudo cercava di rientrare. Guardò ammutolito tutta la gente che aveva assistito alla scena quasi volesse tacitamente trovare appoggio per il torto subito, ma il sorriso
divertito di tutti e qualche risata meno discreta gli fecero capire che sarebbe stato inutile arrabbiarsi. Il mago si strinse nelle spalle e si allontanò come se non fosse successo nulla di strano. Quella era la prima volta che Catti-brie lo aveva veduto piangere come un bambino, ma Bruenor aveva provato una felicità così profonda che a nulla erano valsi i suoi sforzi di trattenere le lacrime. «Anche le mie preghiere sono state esaudite,» mormorò all'orecchio della sua amata figlia, quella ragazzina che aveva adottato più di una quindicina d'anni prima. «Se solo avessimo saputo,» cominciò a dire Catti-brie, ma Bruenor le appoggiò un dito sulle labbra per zittirla. Ormai non era più importante. Bruenor sapeva che Catti-brie e i suoi amici non lo avrebbero mai abbandonato se lo avessero creduto ancora vivo. «Non riesco a capire come sono riuscito a sopravvivere,» la interruppe il nano. «Le fiamme non mi hanno nemmeno sfiorato la pelle.» Bruenor rabbrividì al ricordo delle settimane trascorse in solitudine nei cunicoli delle miniere di Mithril Hall. «Basta parlare di quell'orribile posto. Ormai è passato tutto e ho lasciato Mithril Hall alle mie spalle.» Sapendo dell'avvicinarsi degli eserciti per reclamare la patria dei nani, Catti-brie scosse lievemente il capo, ma Bruenor non se ne accorse. «E i miei amici?» chiese lo gnomo alla ragazza. «Ho visto l'elfo che mi fissava dall'alto mentre io precipitavo nell'abisso.» «Drizzt è vivo,» lo rassicurò Catti-brie. «Come pure l'assassino che ha inseguito e catturato Regis. Si è avvicinato al bordo del precipizio e lo ha fatto prigioniero portandolo con sé.» «Pancia-che-brontola?» chiese Bruenor a fatica. «Sì, e anche il felino dell'elfo.» «È morto?» «Non credo,» si affrettò a rispondere Catti-brie. «Non ancora, almeno. Drizzt e Wulfgar si sono lanciati all'inseguimento dell'assassino diretti verso meridione poiché sapevano che la sua mèta era Calimport.» «Un viaggio lunghissimo,» mormorò Bruenor fissando Catti-brie in preda alla confusione. «Ma avrei immaginato che tu fossi con loro.» «So quello che devo fare,» ribatté Catti-brie con espressione severa. «Un debito che presto dovrà essere pagato.» Bruenor capì subito. «Mithril Hall?» chiese deglutendo a fatica. «Intendi forse ritornarvi per vendicarmi?» Catti-brie annuì senza proferire parola. «Tu sei folle, ragazza!» esclamò Bruenor. «E l'elfo ti lascia andare da
sola?» «Da sola?!» ripeté Catti-brie. Era giunto il momento di raccontare la verità al legittimo re di Mithril Hall. «No, e io non sarei così stolta da cercarvi la morte. Centinaia di soldati stanno arrivando da settentrione e da occidente seguiti anche dalla gente di Wulfgar.» «Non basteranno,» ribatté Bruenor. «Un folto esercito di duergar protegge la città sotterranea.» «E altri ottomila uomini dalla Fortezza di Adbar provenienti da oriente,» proseguì Catti-brie imperterrita come se non avesse sentito l'obiezione di Bruenor. «Re Harbromme di Adbar ha promesso che farà il possibile per liberare la città! Persino gli Harpell hanno promesso il loro aiuto.» Bruenor cercò di immaginarsi l'imponente esercito che si stava avvicinando. Un'orda di maghi, barbari e un fiume di nani capeggiati da Cattibrie! Il volto del nano si increspò in un debole sorriso. Sfiorò con uno sguardo tenero e orgoglioso la coraggiosa figlia frenando a stento lacrime di gratitudine. «Non potranno sconfiggermi,» sibilò Catti-brie con voce decisa. «Voglio rivedere il volto di mio padre intagliato nella Sala dei Re. Voglio che tu segga di nuovo sul tuo trono!» Bruenor l'attirò a sé e l'abbracciò con quanta forza e affetto aveva in corpo. Fra tutti i riconoscimenti e le glorie che aveva conosciuto in passato, o che avrebbe conosciuto in futuro, nulla poteva renderlo più felice che sentirsi chiamare padre. *
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Quella sera Bruenor si fermò sul pendio meridionale della Collina di Harpell ad osservare i pallidi colori del tramonto tingere l'orizzonte occidentale e le ondulate pianure che si perdevano nell'infinito verso meridione. I suoi pensieri corsero agli amici, soprattutto a Regis, Pancia-chebrontola per chi lo conosceva bene, quel noioso nanerottolo che era riuscito ad aprire una breccia nel suo cuore di pietra. Drizzt aveva sempre un modo per trovare una soluzione, come era il suo solito, e ora, con accanto Wulfgar, ci sarebbe voluto un intero esercito per fermarlo. Ma quel povero Regis! Bruenor non aveva mai pensato che il modo di vivere spensierato di quella creatura che sgattaiolava fra la gente con un'espressione dispiaciuta e al contempo divertita lo avrebbe trascinato in un
pantano talmente profondo e insidioso che le sue gambe tozze non sarebbero state sufficienti per salvarlo. Pancia-che-brontola era stato un folle a rubare il ciondolo di rubino della Gilda dei Ladri. Nonostante quella fosse la giusta ricompensa per quanto aveva compiuto, Bruenor non riusciva a non provare una profonda compassione per il dramma del suo amico. Il suo animo era agitato da un'impaziente rabbia perché si sentiva impotente. Ma in virtù del suo titolo, il suo posto era là e lui avrebbe condotto quell'esercito che si stava radunando ad una gloriosa vittoria che avrebbe annientato i duergar e avrebbe riportato Mithril Hall agli antichi splendori. Il suo nuovo regno avrebbe costituito l'invidia dei regni settentrionali e i suoi preziosi prodotti che per bellezza avrebbero rivaleggiato con quelli del passato, avrebbero ripreso la strada verso i mercati di tutti i reami. Quello era stato il suo sogno, lo scopo della sua vita da quel terribile giorno di quasi due secoli prima, quando il clan di Mithril Hall era stato quasi sterminato e i pochi superstiti, la maggior parte bambini, erano stati scacciati dalla loro patria e avevano trovato rifugio nelle gallerie sotterranee della Valle del Vento Ghiacciato. Il sogno che aveva accompagnato Bruenor per tutta la sua vita era ritornare, anche se quel tenero sogno assumeva tinte fosche alla luce dei fatti tramutandosi in qualcosa di inverosimile soprattutto a causa del disperato viaggio verso meridione dei suoi amici. Le ultime luci del giorno lasciarono spazio al buio e le prime stelle brillarono nel cielo. Era calata la notte, pensò Bruenor sospirando rassegnato ma provando un leggero sollievo. La notte... il tempo dell'elfo. Ma il sorriso che quel pensiero gli aveva suscitato si dissipò non appena Bruenor vide le incombenti tenebre con altri occhi. «La notte,» sussurrò con un filo di voce. La notte... il tempo dell'assassino. 8 Tetre e semplici vesti La semplice struttura di legno che chiudeva il Quartiere dei Ladri pareva ancora più dimessa persino rispetto alle zone più povere e decrepite della città di Calimport che si trovavano a meridione. La costruzione aveva poche finestre, tutte chiuse con assi di legno oppure murate, e non aveva né
terrazzi né balconata. Nessuna scritta identificava quella casa e nemmeno un numero sopra la porta, ma tutti in città la conoscevano e l'additavano perché, oltre le porte dai pesanti cardini di ferro, la scena mutava in modo drammatico. Se le pareti esterne mostravano solo il marrone sciacquato dalle intemperie del legno ormai vecchio, l'interno ospitava una miriade di colori vivaci e incantevoli tappezzerie, preziosi tappeti pesanti e grandiose statue d'oro. Là s'era insediata la potente Gilda dei Ladri e il palazzo rivaleggiava con quello dello stesso signore calimshan per le sue ricchezze e i decori. Dalla strada si innalzava su tre piani mentre sotto le fondamenta ne erano stati ricavati altri due. Il piano più alto era anche il più bello, con le sue cinque stanze, una sala centrale ottagonale e quattro anticamere attorno, tutto progettato per la comodità e convenienza di un solo uomo: Pascià Pook. Era il capo della corporazione, l'abile architetto di un'intricata rete di ladri che aveva fatto quanto era in suo potere per essere l'unico a godere per primo dei frutti dell'abilità manuale dei suoi soci. Pook camminava lungo il perimetro del salone centrale, la sua sala delle udienze, a passi lenti e distesi, fermandosi ad ogni giro ad accarezzare la pelliccia lucida del leopardo che se ne stava tranquillo accanto al suo enorme scranno. Una strana ansia segnava il volto dell'uomo che non appena smise di sfiorare il grosso felino prese a giocherellare nervosamente con le dita. I suoi abiti era fatti di seta pregiata, ma oltre alla spilla che teneva fermi i ricchi drappeggi delle sue vesti, non indossava nessun tipo di gioiello com'era abitudine fra i suoi pari, anche se i suoi denti risplendevano come se fossero d'oro zecchino. In verità, Pook sembrava la versione rimpicciolita di uno dei quattro eunuchi giganti che si trovavano accanto alle pareti, una presenza poco appariscente per il capo di una corporazione la cui grande facondia aveva fatto inginocchiare numerosi sultani e il cui nome aveva fatto tremare e correre a nascondersi i più incalliti manigoldi che abitavano nelle strade di quella città. Pook ebbe un sussulto quando qualcuno bussò con vigore alla porta principale, quella che portava ai piani inferiori. Ebbe un attimo di esitazione ripromettendosi che avrebbe fatto attendere quello sconosciuto. Doveva ricomporsi e con aria assente fece un gesto ad uno degli eunuchi e si diresse verso la pedana dove si trovava il trono imbottito, e vi si sedette appoggiando una mano sul suo amato felino. Entrò un guerriero alto e dinoccolato con passo baldanzoso che faceva
dondolare lo stocco appeso alla cintura. Indossava un ampio mantello nero con vaporosi drappeggi che partivano dal collo. I folti capelli ricci di un cupo color castano gli incorniciavano il viso. I vestiti erano tetri e semplici, ma adornati da una serie di stringhe e cinture alle quali erano appesi minuscole bisacce o pugnali nei loro foderi o altre armi sconosciute. I suoi stivali alti di cuoio, aderenti al polpaccio, non facevano nessun rumore, ma il suo avanzare era accompagnato dal ritmico tonfo del tacco. «Salute a te, Pook,» disse l'uomo senza tante cerimonie. Pook socchiuse gli occhi non appena si trovò davanti quell'uomo. «Rassiter,» disse rivolto al ratto mannaro. Rassiter si avvicinò al trono e si inchinò con scarso entusiasmo lanciando uno sguardo disgustato al leopardo comodamente adagiato accanto al trono. Abbozzò un sorriso disgustoso che mise in evidenza i denti cariati, tradendo il suo basso lignaggio, e appoggiò un piede sul primo scalino della pedana abbassandosi verso il capo della corporazione tanto da fargli sentire il fetore del suo alito. Pook fissò lo stivale infangato e poi il volto dell'uomo con un sorriso che riuscì a disarmare persino quello zoticone di Rassiter. Capendo che l'atteggiamento familiare che aveva avuto con il suo superiore aveva oltrepassato un certo limite, Rassiter sollevò il piede e indietreggiò di un passo. Il sorriso svanì dal volto di Pook, ma la sua espressione era soddisfatta. «Fatto?» chiese all'uomo. Rassiter piroettò su se stesso e frenò a stento una fragorosa risata. «Certo,» rispose estraendo una collana di perle dalla bisaccia. Pook aggrottò la fronte con un'espressione che l'astuto guerriero si aspettava. «Hai dovuto ucciderli tutti?» sibilò il capo della corporazione a denti stretti. Rassiter scrollò le spalle infilando la collana nella bisaccia. «Avevi detto di non voler essere ostacolato da quella ragazza. Quella ragazza non ti ostacolerà più.» Pook afferrò con forza i braccioli del trono. «Avevo detto che volevo toglierla di mezzo finché il lavoro non fosse finito!» «Sapeva troppe cose,» ribatté Rassiter guardandosi le unghie. «Era una ragazza valorosa,» disse Pook riprendendo il controllo di sé. Poche persone erano in grado di mandarlo in collera, e Rassiter era uno di loro. Ancora meno erano le persone che al suo posto sarebbero uscite vive da quella sala. «Una fra un migliaio,» ridacchiò con sarcasmo il guerriero.
All'improvviso si aprì un'altra porta dalla quale entrò un uomo anziano avvolto in ampie vesti porpora ricamate con stelle e spicchi di luna d'oro. Un enorme diamante fissava il turbante che portava in testa. «Devo vedere...» Pook gli lanciò un'occhiata di traverso. «Non adesso, LaValle.» «Ma Maestro...» Lo sguardo di Pook si fece minaccioso e le sue sottili labbra si serrarono in una smorfia raccapricciante. Il vecchio si inchinò profondamente in un gesto di tacita scusa e scomparve dietro la porta richiudendola lentamente e senza far rumore. Rassiter rise sguaiatamente. «Ben fatto!» «Dovresti fare tesoro dei modi di LaValle,» lo apostrofò Pook. «Suvvia, Pook! Noi due siamo soci!» ribatté Rassiter avvicinandosi ad una delle due finestre che davano sul lato meridionale del porto. «Stanotte ci sarà la luna piena,» disse emozionato voltandosi di scatto verso Pook. «Unisciti a noi, Pascià! Ci sarà una grande festa!» Pook rabbrividì al pensiero del macabro banchetto che Rassiter e la sua gente avevano organizzato. Forse la ragazza non era ancora morta! Scosse il capo meditabondo. «Temo che dovrò declinare l'invito,» disse con voce pacata. Rassiter aveva istigato di proposito il ribrezzo di Pook e capì di esserci riuscito. Si avvicinò al trono con passo agile e vi appoggiò un piede rivolgendo a Pook quel suo disgustoso sorriso. «Non sai cosa ti perdi,» disse. «Ma ormai hai deciso. Comunque, i patti sono stati rispettati.» Si allontanò di scatto e fece un profondo inchino. «In fin dei conti sei tu il maestro.» «Un accordo che sta bene a te e alla tua gente,» gli ricordò Pook. Rassiter sollevò i palmi delle mani in segno di accettazione di quelle parole e dopo un istante li batté rumorosamente. «Non posso discutere il fatto che la mia corporazione abbia tratto vantaggio dall'unione delle nostre forze,» disse facendo un altro inchino. «Perdona la mia insolenza, caro amico, ma trattengo a fatica l'allegria causata da tale fortuna. E stanotte ci sarà la luna piena!» «Allora vai alla tua festa, Rassiter.» Il guerriero si inchinò ancora una volta lanciando un'ultima occhiata al leopardo e scivolò fuori dalla sala. Non appena la porta si richiuse, Pook si passò una mano sulla fronte e lentamente infilò le dita fra i rimasugli elegantemente intrecciati di quella che un tempo era una folta chioma di capelli corvini. In preda a uno strano
disorientamento, appoggiò il mento sulla mano paffuta e rise con amarezza al disagio che aveva provato durante il colloquio con Rassiter, il ratto mannaro. Rivolse lo sguardo verso la porta dell'harem chiedendosi in cuor suo se là avrebbe potuto annullare il disgusto per quel suo socio, ma all'improvviso si ricordò di LaValle. Il mago non avrebbe mai osato disturbarlo, soprattutto alla presenza di Rassiter, se non aveva notizie importanti da comunicargli. Solleticò il leopardo sotto il mento e si diresse verso la porta sudorientale della sala che lo avrebbe condotto negli appartamenti semibui del mago. LaValle, intento a scrutare in una sfera di cristallo, non notò che qualcuno era entrato nella sua stanza. Pook non voleva disturbarlo e si sedette senza far rumore al tavolino e aspettò, osservando con curiosità l'immagine distorta dell'arruffata barba grigia del mago attraverso la sfera. LaValle alzò finalmente il capo e notò le profonde rughe sul volto teso di Pook, una cosa normale dopo la visita di quell'essere. «L'hanno uccisa, vero?» chiese pur conoscendo già la risposta. «Mi fa ribrezzo,» disse Pook. LaValle annuì lentamente. «Ma non puoi negare il potere che Rassiter ti ha dato!» Il mago diceva la verità. A due anni di distanza dall'alleanza di Pook con i ratti mannari, la sua corporazione era diventata la più importante e potente di tutta la città. Viveva agiatamente solo grazie alle decime che i mercanti del porto, e i membri della corporazione, sborsavano per avere la sua protezione. Persino i capitani di molte navi cariche di merci erano sufficientemente intelligenti da non allontanare gli uomini di Pook quando li incontravano lungo i moli, e quelli che si azzardavano a farlo imparavano molto presto il significato del loro stolto rifiuto. No, Pook non poteva negare i vantaggi di essersi attorniato da Rassiter e dai suoi seguaci, ma il capo della corporazione non nutriva nessuna simpatia per quei miserabili licantropi, uomini alla luce del giorno, esseri bestiali dalle fattezze di ratto di notte, nello stesso modo in cui non soffriva il loro modo di condurre gli affari. «Ne ho abbastanza di lui,» disse Pook appoggiando le mani sul manto di velluto nero che ricopriva il tavolino. «Dovrò trascorrere una decina d'ore nel mio harem per riavermi dal disgusto di quell'incontro!» Il sorriso malizioso che gli illuminò il volto fece capire a LaValle che quella possibilità non gli dispiaceva affatto. «Ma tu, cosa volevi?»
Il mago abbozzò un sorriso luminoso. «Oggi ho parlato con Oberon della città di Baldur,» disse quasi con orgoglio. «Ho appreso molte cose che forse ti faranno dimenticare la tua conversazione con Rassiter.» Pook attese incuriosito che LaValle facesse la sua solita pausa drammatica per sottolineare l'importanza di quanto stava per dire. Quel mago era un suo fedele aiutante, una persona che Pook avrebbe potuto definire amica. «L'assassino sta ritornando!» disse infine LaValle con solennità. Pook rimase a meditare a lungo sul significato e le implicazioni delle parole proferite dal mago, ma ad un tratto capì. «Entreri?» rantolò a fatica balzando dalla sedia. LaValle annuì con solennità abbozzando un sorriso. Pook si ravviò i capelli con lentezza. Tre anni! Entreri, il più terribile fra i terribili, stava ritornando da lui dopo tre lunghissimi anni. Pook guardò il mago con profonda curiosità. «Ha il nanerottolo con sé,» rispose LaValle alla sua tacita domanda. Un ampio sorriso di gioia illuminò il volto di Pook. L'uomo si appoggiò al tavolino con impazienza e i suoi denti dorati risplendettero nel fluttuante bagliore delle candele. LaValle fu contento di compiacere il suo maestro dandogli una notizia che aveva atteso a lungo. «Ed anche il ciondolo di rubino!» proclamò con enfasi battendo un pugno sul tavolino. «Sì!» sibilò Pook scoppiando in una fragorosa risata di vittoria. La sua gemma, l'oggetto più ambito con cui, grazie ai suoi poteri ipnotici, lui avrebbe potuto accrescere la propria prosperità e potenza. Non solo avrebbe vinto quanto ostacolava il suo potere, ma per i vinti quella sarebbe stata un'esperienza indimenticabile. «Ah, Rassiter!» mormorò pensando al vantaggio che avrebbe avuto sul suo socio. «Il nostro rapporto sta per cambiare, mio caro amico roditore!» «Per quanto tempo ancora avrai bisogno di lui?» si informò LaValle. Pook scrollò le spalle e lanciò un'occhiata furtiva verso un angolo della stanza e la piccola tenda che nascondeva alla vista di tutti il Cerchio di Taros. LaValle sbiancò in volto. Il Cerchio di Taros era una reliquia potente in grado di trasportare il suo proprietario o i suoi nemici in altri piani dell'esistenza. Tuttavia, la potenza di quell'oggetto aveva un prezzo. Era il prezzo del male, e tutte le rarissime volte che LaValle lo aveva usato, aveva avvertito che una parte di sé veniva succhiata via, come se il Cerchio di Ta-
ros attingesse la propria forza dalla sua energia vitale. LaValle odiava Rassiter, ma sperava che il capo della corporazione trovasse una soluzione migliore per sbarazzarsene. Il mago alzò lo sguardo su Pook e vide che lo stava fissando. «Dimmi tutto ciò che sai!» insistette lui con voce impaziente. LaValle si strinse nelle spalle e appoggiò le mani sulla sfera di cristallo. «Non ho potuto vederli con i miei occhi,» disse. «Artemis Entreri è sempre riuscito a sottrarsi ai poteri della mia sfera. Ma secondo le parole di Oberon, lui e il nanerottolo non sono molto lontani. Veleggiano sui mari settentrionali di Calimshan, se non hanno addirittura già avvistato terra. Viaggiano trasportati da forti venti, Maestro. È questione di una settimana o due, al più tardi.» «Regis è con lui?» «Sì.» «Vivo?» «Vivo e in buona salute,» disse il mago. «Ottimo!» esclamò Pook con un ghigno. Come desiderava rivedere quell'infido nano e stringergli le dita attorno a quel piccolo collo! La corporazione aveva passato un periodo orrendo dopo che Regis era fuggito con il ciondolo magico. I problemi erano nati soprattutto dall'insicurezza di Pook, dal suo atteggiamento titubante nei rapporti con la gente, poiché la gemma era garanzia di successo, e dalla conseguente caccia ossessiva e costosa organizzata da Pook stesso per riacciuffare il nanerottolo. La colpa era tutta di Regis. A causa sua, infatti, aveva dovuto allearsi con la corporazione dei ratti mannari, e se avesse avuto il pendente non avrebbe avuto bisogno dei servizi di Rassiter. Ora, però, tutto si sarebbe sistemato per il meglio. Sarebbe ritornato in possesso del pendente e avrebbe soggiogato i ratti mannari e forse avrebbe potuto cominciare a pensare di espandere i suoi poteri fuori dalle mura di Calimport, e reclutare alleati fra i suoi simili e i licantropi da mettere a capo della corporazione in tutte le terre meridionali. LaValle aveva un'espressione seria quando Pook gli rivolse lo sguardo. «Cosa credi che Entreri penserà dei tuoi nuovi soci?» chiese il mago con aria severa. «Non ne sa ancora nulla,» disse Pook prevedendo le conseguenze. «È stato lontano troppo a lungo,» aggiunse scrollando le spalle e sprofondando in cupi pensieri. «Dopotutto, sono della stessa risma. Entreri li accetterà.»
«Rassiter ha la capacità di infastidire chiunque incontri,» precisò il mago. «Supponi che infastidisca anche Entreri?» Pook abbozzò un sorriso arcigno. «Ti posso assicurare che Rassiter riuscirà a infastidire Artemis Entreri solamente una volta, amico!» «E poi stipulerai altri accordi con il nuovo capo dei ratti mannari,» insinuò LaValle con un sorriso. Pook gli dette un'amichevole manata sulle spalle. «Apprendi quante più cose puoi,» ordinò al mago dirigendosi verso la porta. «Se riesci a vederli nella tua sfera di cristallo, mandami a chiamare. Sono impaziente di vedere la faccia di Regis. Ho un grosso debito in sospeso con quel nanerottolo!» «Dove ti troverò?» «Nell'harem,» rispose Pook ammiccando. «Devo assolutamente rilassarmi.» LaValle si lasciò cadere sulla sedia quando Pook si richiuse la porta alle spalle e valutò con estrema attenzione l'imminente ritorno del suo peggior rivale. Durante gli anni dell'assenza di Entreri il suo prestigio era aumentato. Era stato innalzato agli onori del terzo piano e ciò gli aveva permesso di occupare quella stanza, la stessa stanza di Entreri, e diventare l'assistente di Pook. Nonostante tutto, il mago non aveva mai avuto problemi con l'assassino. Se non proprio amici, erano stati soci accondiscendenti e in passato si erano aiutati più di una volta. LaValle non riusciva più a contare le volte in cui aveva mostrato ad Entreri il modo più sicuro e rapido per ottenere certi risultati. Inoltre, c'era la situazione spiacevole con Mancas Tiveros, un suo collega stregone. Gli altri maghi di Calimport lo avevano definito 'Mancas il Potente' e avevano compatito LaValle quando lui e Mancas avevano aspramente disquisito sulle origini di un incantesimo. Entrambi sostenevano di essere gli autori della scoperta e tutti in città si aspettavano lo scoppio di una guerra spietata. All'improvviso e inspiegabilmente, Mancas se n'era andato lasciando un semplice messaggio con cui si ritirava dalla disputa e lasciava a LaValle il merito della scoperta. Nessuno aveva più veduto Mancas, né a Calimport né in nessun altro posto. «Ah, benissimo,» sospirò LaValle girandosi verso la sfera di cristallo. La presenza di Artemis Entreri poteva tornargli utile. La porta si riaprì all'improvviso e Pook fece capolino. «Manda un messaggero alla corporazione dei carpentieri,» disse a LaValle. «Dì loro che avremo immediatamente bisogno di parecchi operai.»
LaValle lo guardò esterrefatto. «L'harem e la sala del tesoro non possono essere spostati,» disse Pook con enfasi fingendosi dispiaciuto che il mago non avesse inteso il significato delle sue parole. «E io non posso rinunciare alle mie stanze!» LaValle aggrottò la fronte perché cominciava ad intuire quale destino gli si delineava all'orizzonte. «E non posso nemmeno negare ad Artemis Entreri il diritto di riavere la sua stanza,» disse Pook. «Soprattutto dopo che ha portato a termine la missione in modo così eccellente!» «Capisco,» disse il mago con espressione malinconica al pensiero che presto sarebbe stato relegato ai piani inferiori. «Si deve pertanto costruire una sesta stanza,» disse Pook ridendo divertito. «Fra quella di Entreri e l'harem,» aggiunse ammiccando al suo valido assistente. «La disegnerai tu stesso, mio caro LaValle, e non lesinare sulle spese!» Senza aggiungere altro, richiuse la porta e si allontanò. Il mago si asciugò una lacrima di riconoscenza. Pook aveva la capacità di sorprenderlo e non lo aveva mai deluso. «Sei un maestro generoso, mio Pascià Pook,» sussurrò rivolto alla stanza vuota. Oltre che generoso, Pascià Pook era anche un capo autoritario. LaValle si voltò verso la sfera di cristallo stringendo i denti, più che mai deciso che avrebbe trovato Entreri e il nanerottolo. Non poteva permettersi di deludere il suo generoso maestro. 9 Misteriosi messaggi di fuoco Sfruttando le correnti del fiume Chionthar e con una forte brezza proveniente da nord che gonfiava le vele, la Folletto del Mare veleggiava veloce allontanandosi dal porto di Baldur, lasciando dietro di sé una scia spumeggiante. «Raggiungeremo la Costa della Spada a metà pomeriggio,» disse Deudermont a Drizzt e Wulfgar. «Prenderemo il largo fino al Canale di Asavir, e poi costeggeremo la costa verso oriente fino a Calimport.» «Calimport,» ripeté l'uomo dopo un attimo di silenzio indicando con un cenno del capo il nuovo stendardo color oro attraversato da linee azzurre inclinate che fluttuava sul pennone. Drizzt guardò Deudermont con aria sospettosa, consapevole del fatto che quella era una consuetudine assai stravagante per un veliero.
«Issiamo la bandiera di Waterdeep quando ci troviamo a nord della città di Baldur,» spiegò il capitano, «e quella di Calimport a sud.» «Un'abitudine comprensibile, spero?» «Per chi ne conosce il prezzo,» ridacchiò Deudermont. «Waterdeep e Calimport sono rivali, due feudi popolati di gente cocciuta. Vorrebbero commerciare fra di loro, e ne trarrebbero enormi guadagni, ma non sempre permettono di attraccare ai velieri che battono la bandiera dell'avversario.» «Uno stupido orgoglio,» disse Wulfgar, ricordando le assurde abitudini che la sua gente era solita praticare un tempo. «Politica,» aggiunse Deudermont scrollando le spalle. «Ma i signori di quelle due città desiderano che le loro città siano ricche e alcune decine di navi si sono accordate per intrattenere i rapporti commerciali. La mia nave può gettare l'ancora in due porti e tutti ne traggono vantaggio.» «Ben due fiorenti mercati per il capitano Deudermont,» precisò Drizzt con malizia. «Un accordo saggio e molto pratico.» «E rende sicuro il viaggiare per mare,» proseguì Deudermont con un ampio sorriso. «I pirati che infestano le acque a nord di Baldur rispettano il vessillo di Waterdeep, mentre quelli a sud di questo mare stanno molto attenti a non stuzzicare l'ira di Calimport e della sua imponente flotta. I pirati che popolano il Canale di Asavir possono saccheggiare altre navi di mercanti, quelle che di solito battono bandiere meno importanti.» «Nessuno vi ha dato mai fastidio?» chiese Wulfgar con esitazione e con malcelato sarcasmo, quasi non riuscisse ad accettare quella strana usanza. «Mai?!» gli fece eco Deudermont. «Solo di rado, ma quando i pirati si azzardano ad assalirci, le nostre vele si tendono al vento e fuggiamo. Pochi sono riusciti a inseguire la Folletto del Mare quando viaggia con il vento in poppa.» «Ma se riescono a prendervi?» insistette Wulfgar. «Se riescono a prenderci vuol dire che è giunto il momento di guadagnarti il tuo passaggio,» disse Deudermont ridendo divertito. «Sono convinto che le armi che porti addosso faranno desistere un intero esercito di pirati assetati di bottino.» Wulfgar alzò Aegis-fang davanti a sé. «Spero di avere imparato a conoscere i movimenti di questo veliero perché un colpo male assestato potrebbe farmi cadere in acqua.» «Allora dovrai nuotare fino all'imbarcazione dei pirati,» aggiunse Drizzt sorridendo. «E cercare di capovolgerla!»
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Da una stanza buia nella sua torre di Baldur, il mago Oberon osservò la Folletto del Mare prendere il largo. Scrutò con attenzione dentro la sua sfera di cristallo e vide l'elfo e il forzuto barbaro accanto al capitano sul ponte della nave. Il mago sapeva che non erano di quelle parti. Dagli indumenti che portava e dalla sua carnagione si deduceva che il barbaro apparteneva a una di quelle tribù del lontano settentrione, oltre Luskan e al di là delle montagne della Spina Dorsale del Mondo, a quella terra desolata conosciuta con il nome di Valle del Vento Ghiacciato. Quant'era lontano dalla sua terra e che stranezza vedere viaggiare un essere simile in mare aperto! «Che ruolo potranno mai avere questi due nella restituzione della gemma di Pascià Pook?» mormorò Oberon fra sé mosso da una curiosità irrefrenabile. Entreri aveva raggiunto la tundra lontana alla ricerca di quel nanerottolo? E quei due, lo stavano inseguendo? Non erano questioni che dovevano interessarlo. Oberon era contento che Entreri avesse chiesto di essere ripagato del suo debito con un favore così banale e semplice. L'assassino aveva ucciso per Oberon più di una volta, molti anni prima, e nonostante durante le numerose visite di Entreri alla sua torre egli non avesse mai accennato alla ricompensa, al mago era parso che per tutto quel tempo Entreri lo avesse tenuto prigioniero con una pesante catena al collo. Ma quella notte, quel vecchio debito sarebbe stato cancellato per sempre, con un semplice gesto della mano. La curiosità di Oberon lo tenne con lo sguardo fisso sull'immagine della nave che si allontanava dal porto. Osservò l'elfo, un tale Drizzt Do'Urden, come Pellman, il capitano del porto, l'aveva chiamato. L'occhio esperto del mago notò che mancava qualcosa in quell'essere. Non pareva affatto fuori posto, come il suo amico barbaro. Ma avvertì qualcosa di misterioso nel suo portamento e nelle sue fattezze, sottolineate da due occhi color lavanda. Quegli occhi non si addicevano alle caratteristiche di quell'essere. Sicuramente erano frutto di un incantesimo, pensò Oberon. Il mago desiderò poter avere maggiori informazioni da comunicare a Pascià Pook, tanto che pensò di raggiungere il ponte di quella nave per indagare più a fondo, ma purtroppo non aveva l'incantesimo adatto per quell'impresa. In fin dei conti, quelli non erano affari suoi, pensò con aria resoluta. E soprattutto, non voleva intralciare la strada a Artemis Entreri.
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Quella stessa notte, Oberon salì sulla sommità della sua torre e da lì si innalzò nel cielo tenebroso con una bacchetta magica in mano. A parecchie centinaia di metri sopra la città, dalla punta della sua bacchetta vennero scoccate alcune sfere di fuoco. *
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Camminando nervosamente sul ponte di un veliero di Calimport, la Danza Maligna, duecento miglia più a sud, Artemis Entreri scrutava l'orizzonte lontano osservando quello spettacolo di luci. «Per mare,» mormorò decifrando la sequenza di fuoco e voltandosi lentamente verso il nanerottolo che gli stava accanto. «I tuoi amici ci inseguono per mare,» ripeté, «e si trovano a meno di una settimana di distanza! Sono stati molto bravi.» Il cuore di Regis non sussultò dalla gioia all'udire quella notizia. Il cambiamento del clima era diventato oltremodo evidente. Si erano lasciati alle spalle il gelido inverno ed ora i venti caldi dei regni meridionali avevano un effetto devastante sul suo umore. Nulla avrebbe interrotto il viaggio fino a Calimport, e nessuna nave, nemmeno con una distanza di una settimana, avrebbe mai potuto sperare di raggiungere la velocissima Danza Maligna. Regis lottò per vincere le emozioni contrastanti che agitavano il suo animo, nel tentativo di accettare l'ineluttabilità dell'incontro con il capo della sua corporazione. Pascià Pook era un essere che non conosceva il perdono. Regis lo aveva visto con i propri occhi dispensare orrendi castighi a tutti quei ladri che avevano osato rubare ad altri membri della corporazione. E Regis aveva commesso un reato molto più grave: aveva rubato a Pascià Pook in persona quel magico ciondolo di rubino, l'oggetto più prezioso ch'egli possedeva. Sconfitto e disperato, Regis chinò il capo e con passo stanco ritornò in cabina. La mestizia dei modi del nanerottolo non smorzarono affatto la frenesia che si era impossessata di Entreri. Pook avrebbe riavuto la sua gemma e anche Regis, ed Entreri sarebbe stato pagato profumatamente per i suoi servizi. Ma nella mente dell'assassino, l'oro di Pook non era una ricompen-
sa degna dei suoi sforzi. Entreri voleva Drizzt Do'Urden. *
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Drizzt e Wulfgar osservarono incuriositi quei fuochi d'artificio che illuminavano il cielo di Baldur. In mezzo al mare, ma ad oltre centocinquanta miglia più a nord della Danza Maligna, potevano solo immaginare l'arcano significato di quei fuochi. «È opera d'un mago,» precisò Deudermont avvicinandosi ai due passeggeri. «Forse sta dando battaglia a qualche belva dell'aria,» cercò di spiegare il capitano dando allo spettacolo l'aria di una storia interessante. «Un drago o forse un mostro celeste!» Drizzt aguzzò lo sguardo per vedere meglio quei rigurgiti infuocati, ma non notò nessun profilo strano illuminato da quella luce, né dedusse che fossero diretti contro un particolare bersaglio. Forse la sua nave si trovava troppo lontano per poter distinguere i particolari. «Non è un combattimento, ma un segnale,» bofonchiò Wulfgar cercando di decifrare quella strana sequenza. «Tre e uno, tre e uno.» «Mi pare un po' troppo elaborato per essere un semplice segnale,» aggiunse dopo un attimo di esitazione. «Non sarebbe stato più facile mandare un messaggero?» «No, se il segnale è diretto a una nave,» spiegò Deudermont. Drizzt aveva già valutato quella possibilità e cominciava a nutrire un terribile sospetto sull'origine e significato delle segnalazioni luminose. Deudermont osservò l'orizzonte a lungo. «Forse è un segnale,» concordò apprezzando l'acuta osservazione di Wulfgar. «Ogni giorno molte navi entrano ed escono dal porto di Baldur. Potrebbe essere l'accoglienza di un mago per un suo amico, oppure il grandioso addio ad un ospite importante.» «Oppure la comunicazione di informazioni importanti,» aggiunse Drizzt guardando Wulfgar. Il barbaro colse il significato della frase e dello sguardo strano dell'amico. Anche lui aveva cominciato a nutrire gli stessi sospetti. «Davanti ai nostri occhi non c'è altro che un ottimo spettacolo, nulla più,» disse Deudermont augurando la buona notte con un'affettuosa manata sulle spalle. «Un piccolo divertimento da godersi!» Drizzt e Wulfgar si guardarono attoniti, mettendo in dubbio l'afferma-
zione del capitano. *
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«A che gioco sta giocando Artemis Entreri?» disse Pook con tono retorico esternando i suoi pensieri a voce alta. L'immagine del mago Oberon scrollò le spalle nella sfera di cristallo. «Non ho mai preteso di capire i moventi di Artemis Entreri.» Pook annuì e continuò a camminare nervosamente dietro le spalle di LaValle. «Tuttavia credo che quei due non abbiano nulla a che fare con il vostro pendente,» aggiunse Oberon. «Forse una vendetta personale di Entreri maturata durante i suoi viaggi,» concordò Pook. «Amici del nanerottolo?» propose Oberon. «Allora perché Entreri li sta conducendo nella direzione esatta?» «Chiunque essi siano, sono sicuro che ci porteranno guai,» si intromise LaValle, seduto fra il capo della corporazione e la sfera di cristallo. «Forse Entreri medita di tendere loro un agguato,» suggerì Pook a Oberon. «Questo spiegherebbe la sua richiesta dei tuoi segnali di fuoco.» «Entreri ha chiesto al capitano di porto di riferire loro che li sta aspettando a Calimport,» ricordò Oberon a Pook. «Per confonderli,» disse LaValle. «Per fare credere loro che la via è libera fino al loro arrivo nel porto meridionale.» «Non è il modo di agire di Artemis Entreri,» obiettò Oberon facendo suo il pensiero di Pook. «Non mi pare che l'assassino abbia mai fatto uso di tranelli così banali per guadagnare il vantaggio in uno scontro. La gioia più grande per Entreri è sfidare e combattere faccia a faccia il proprio nemico.» I due maghi e il capo della corporazione che era riuscito a sopravvivere grazie alla sua abilità di decifrare enigmi simili stettero a lungo in silenzio per valutare tutte le possibilità. La cosa che stava maggiormente a cuore a Pook era la restituzione del suo prezioso pendente, grazie al quale avrebbe centuplicato i suoi poteri e forse avrebbe persino guadagnato i favori dello stesso signore di Calimport. «Questa storia non mi piace,» disse Pook con aria meditabonda. «Non voglio complicazioni che ostacolino il ritorno del nanerottolo, e tantomeno del mio pendente.»
Rimase zitto per un istante, desideroso di valutare tutte le implicazioni della propria decisione appoggiandosi alle spalle di LaValle per avvicinarsi all'immagine di Oberon. «Sei ancora in contatto con Pinochet?» chiese al mago con un sorriso malizioso. Oberon intuì il significato di quella domanda. «Il pirata non dimentica mai i suoi amici,» ribatté il mago abbozzando lo stesso sorriso. «Pinochet mi fa visita ogni volta che viene a Baldur. Chiede spesso di te per assicurarsi che tutto vada bene al suo vecchio amico.» «E adesso si trova nelle isole?» «L'inverno ha spinto il commercio a sud di Waterdeep,» ribatté Oberon ridacchiando. «Dove altro può trovarsi quel pirata?» «Ottimo,» mormorò Pook. «Devo organizzare un caloroso benvenuto per gli inseguitori di Entreri?» si affrettò a chiedere Oberon, desideroso di compiacere e servire il suo maestro. «Tre navi, nessuna via di scampo,» disse Pook. «Nulla dovrà ostacolare il ritorno del nanerottolo. Devo discutere molte cose con lui!» Oberon meditò a lungo. «Peccato!» esclamò rassegnato. «La Folletto del Mare era davvero un bel veliero.» «Era!» ripeté Pook quasi volesse sottolineare il suo ordine. Questa volta non avrebbe ammesso nessun tipo di errore. 10 Il peso del mantello reale Regis stava appeso per le caviglie, sospeso a testa in giù sopra un calderone di liquido che bolliva. Non era acqua, ma una sostanza più scura che emanava un lucore rossastro. Forse era sangue. L'argano emise uno scricchiolio minaccioso, e il nanerottolo s'abbassò di qualche centimetro. Il suo volto era una maschera di paura, la bocca aperta in un muto grido di terrore. Non si udì nulla ad eccezione dello sferragliare metallico dell'argano e la lugubre risata di un boia invisibile. La nebbia che gli offuscava la vista si dileguò, e riuscì a mettere a fuoco l'argano manovrato da una disgustosa mano che sembrava non essere attaccata a nessun corpo. La lenta discesa si interruppe, e un essere malvagio scoppiò in una risata
raccapricciante. La mano si mosse veloce e la manovella cominciò a roteare quasi fosse impazzita. Fu allora che un urlo echeggiò nella stanza, stridulo e disperato. Un urlo di agonia, un urlo di morte. *
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Un sudore freddo imperlava la fronte di Bruenor. Aprì gli occhi impastati dal sonno e si asciugò il viso con il palmo della mano. Scosse debolmente il capo quasi che con quel gesto volesse allontanare le terribili immagini del sogno. Si guardò intorno. Giaceva in un morbido letto che si trovava in una camera confortevole del Maniero dell'Edera. Le candele che aveva acceso prima di addormentarsi s'erano quasi consumate. La loro luce non lo aveva aiutato. Anche quella era stata una notte come tutte le altre, tormentata da incubi infausti. Bruenor si girò su un fianco e si sedette sul bordo del letto. Tutto era come lo aveva lasciato quando si era addormentato. L'armatura di mithril e lo scudo d'oro stavano su una sedia accanto al cassettone. L'ascia che aveva usato per aprirsi un varco in quella tana di duergar si trovava accanto alla scimitarra di Drizzt, entrambi appoggiati alla parete, mentre i due elmetti sul cassettone: quello ammaccato con un corno, compagno di tutte le avventure degli ultimi duecento anni, e la corona del re di Mithril Hall, tempestata di mille sfolgoranti gemme. Lo sguardo di Bruenor ripercorse la stanza. Non tutto era come lo aveva lasciato la sera prima. Guardò oltre la finestra e i suoi occhi si persero nelle tenebre della notte, ma riuscì a vedere solo il bagliore delle candele, la corona e l'armatura del re di Mithril Hall riflessi sulla vetrata. Era stata una settimana molto faticosa per Bruenor. Le ore del giorno erano state occupate dall'emozione di quel momento, dalle conversazioni sugli eserciti che stavano arrivando dalla Fortezza di Adbar e dalla Valle del Vento Ghiacciato per reclamare Mithril Hall. Le spalle del nano dolevano dopo le amichevoli manate di tutti gli Harpell e dei loro ospiti, tutti ansiosi di esternare la propria gioia riguardo il suo imminente ritorno al trono. Bruenor però aveva vissuto quei giorni con i pensieri che continuavano a volare lontano, accettando quel ruolo che gli era stato gettato addosso come un pesante fardello che lui non era ancora preparato a portare. Era
giunto il momento di organizzare la missione ch'egli stesso aveva desiderato dal giorno in cui era stato cacciato in esilio, ormai due secoli prima. Il padre di suo padre era stato re di Mithril Hall, e il padre prima di lui, fino a risalire nella notte dei tempi. Per diritto di nascita Bruenor doveva condurre quell'esercito e rivendicare Mithril Hall e il trono per cui era nato. Ma era stato laggiù, in quegli oscuri cunicoli dell'antica dimora dei nani che Bruenor Martello di guerra si era reso conto di quanto quella città sotterranea fosse importante per lui. Nel corso degli ultimi dieci anni, nella sua vita avevano fatto la loro comparsa quattro valorosi compagni, e nessuno di loro era un nano. L'amicizia che era nata fra loro era più preziosa dell'intero regno di cui era capo, e molto più preziosa ancora di tutto il mithril che quel mondo poteva contenere. Ora, il suo sogno di conquista e di giusta vendetta gli parevano vuoti e senza significato. La notte ormai si era impadronita del cuore e dei pensieri di Bruenor. I sogni, mai uguali ma sempre con epiloghi orribili, non sarebbero svaniti alla luce del sole. «Ancora?» disse una voce gentile alle sue spalle. Bruenor si girò lentamente e vide Catti-brie ferma contro lo stipite della porta. Qualsiasi risposta era inutile. Bruenor appoggiò la testa su una mano e si stropicciò gli occhi. «Hai sognato Regis?» chiese Catti-brie richiudendo silenziosamente la porta e avvicinandosi al letto. «Pancia-che-brontola,» la corresse Bruenor con un sussurro, usando quel buffo nomignolo che lui stesso aveva inventato per uno dei suoi più cari amici. Bruenor appoggiò le gambe sul letto. «Dovrei essere con lui,» disse con voce roca. «O almeno cercarlo assieme all'elfo e Wulfgar!» «Il tuo regno ti aspetta,» gli ricordò Catti-brie nel tentativo di sedare quell'atroce senso di colpa che lo torturava. «La gente della Valle del Vento Ghiacciato arriverà fra un mese, l'esercito di Adbar fra due.» «Sì, però non possiamo attaccare Mithril Hall se non dopo l'inverno.» Lo sguardo di Catti-brie spaziò sulla stanza alla ricerca di qualcosa che potesse ravvivare la conversazione che minacciava di languire. «Ti starà benissimo,» disse con voce allegra indicando la corona con un cenno del capo. «Cosa?» chiese Bruenor con sarcasmo. Gli occhi di Catti-brie scivolarono sull'elmetto pieno di ammaccature, un oggetto così squallido accanto a un gioiello così prezioso. Si girò lenta-
mente verso Bruenor e dall'espressione severa dipinta sul suo volto capì che il nano non aveva fatto quella domanda per burla, ma perché in quel momento considerava quel vecchio elmetto un oggetto infinitamente più prezioso della corona che era destinato ad indossare. «Sono quasi arrivati a Calimport,» disse Catti-brie provando compassione per lo struggimento del nano. «Forse più in là.» «Sì, e poche navi lasceranno Waterdeep dopo l'arrivo dell'inverno,» mormorò Bruenor con aria severa ripetendo la stessa argomentazione che Catti-brie gli aveva proposto il secondo giorno che si trovava al Maniero dell'Edera quando per la prima volta le aveva esternato il desiderio di partire alla ricerca dei suoi amici. «Dobbiamo fare molti preparativi ancora,» ripeté Catti-brie con ostinazione mantenendo inalterato il tono allegro della propria voce. «L'inverno passa veloce e riconquisteremo Mithril Hall in tempo per il ritorno di Drizzt, Wulfgar e Regis.» I lineamenti del viso non si addolcirono a quelle parole. Il suo sguardo rimaneva fisso sull'elmetto mentre la sua mente ritornava alla Forra di Garumn, nel luogo in cui aveva assistito alla tragica scena, rincuorato dal fatto che almeno si era riappacificato con Regis prima di venire separato da lui un'altra volta. Bruenor cercò di allontanare da sé quelle orribili immagini e lanciò un'occhiata stanca a Catti-brie. «Credi che ritorneranno in tempo per la battaglia?» Catti-brie si strinse nelle spalle. «Se partono subito,» ribatté lei incuriosita da quella domanda che le faceva intuire che Bruenor non pensava solo a combattere al fianco di Drizzt e Wulfgar. «Possono percorrere molte miglia attraverso le terre meridionali, anche d'inverno.» Bruenor balzò dal letto e si precipitò verso la porta afferrando di volata l'elmetto e infilandoselo in testa mentre correva. «Ma è notte fonda!» esclamò Catti-brie esterrefatta seguendolo lungo il corridoio. Bruenor non accennò a rallentare il passo e si fermò davanti alla porta di Harkle Harpell. Bussò con tale forza che avrebbe potuto svegliare quanti dormivano in quell'ala della casa. «Harkle!» urlò. Catti-brie non tentò nemmeno di dissuaderlo perché tutto sarebbe stato inutile e si limitò a fare un cenno di scusa a chi era uscito in corridoio per vedere cosa stava succedendo. Dopo alcuni istanti Harkle, avvolto in un'ampia camicia da notte e un
berretto, aprì la porta tenendo in mano una candela. Bruenor entrò con irruenza nella stanza seguito da Catti-brie. «Puoi farmi un carro?» «Cosa?» sbadigliò Harkle cercando di svegliarsi completamente. «Un carro?!» «Sì, un carro!» esclamò Bruenor. «Un carro di fuoco, come quello con cui la Signora Alustriel mi ha condotto qui! Un carro di fuoco, ho detto!» «Io... non ho mai...» balbettò Harkle imbarazzato. «Sai farlo?» tuonò Bruenor spazientito. «Sì... cioè, forse,» cercò di prendere tempo Harkle. «A dire la verità, l'incantesimo appartiene ad Alustriel e nessuno ha mai...» Harkle smise di parlare perché sentiva su di sé lo sguardo tagliente carico di frustrazione di Bruenor. Il nano se ne stava a gambe divaricate, i piedi nudi ben appoggiati sul pavimento, le braccia muscolose incrociate sul petto e le tozze dita che tamburellavano nervosamente sui suoi bicipiti. «Parlerò con la Signora domattina,» cercò di tranquillizzarlo Harkle. «Sono sicuro che...» «Alustriel si trova ancora qui?» lo interruppe Bruenor. «Certo,» ribatté Harkle. «Ha deciso di fermarsi ancora per qualche...» «Dov'è?» lo interruppe lui di nuovo con voce perentoria. «In fondo al corridoio.» «In che stanza?» «Ti accompagnerò io domattina,» cominciò a dire Harkle. Bruenor afferrò il mago per la camicia e lo attirò a sé. Il suo naso appuntito premette contro quello di Harkle facendolo piegare fino a toccargli la guancia. Bruenor continuava a fissarlo con uno sguardo determinato. «In quale stanza?» chiese scandendo le parole ad una ad una. «La porta verde accanto alla balaustrata,» rispose Harkle a fatica. Bruenor lanciò al mago un'occhiata benevola prima di lasciarlo andare. Passò davanti a Catti-brie ricambiando il suo sorriso divertito con un leggero cenno del capo e sgattaiolò lungo il corridoio. «Non dovresti disturbare la Signora Alustriel a quest'ora di notte,» protestò Harkle. Catti-brie non riuscì a trattenere una risata. «Allora fermalo, se ci riesci!» Harkle rimase ad ascoltare il tonfo sordo della corsa di Bruenor. «No,» disse Harkle dopo un attimo di esitazione con un ampio sorriso. «Credo proprio di no!»
Nonostante fosse stata svegliata di soprassalto nel cuore della notte, la Signora Alustriel non era meno bella di sempre con la sua chioma argentea illuminata della luce soffusa del fuoco. Al suo cospetto Bruenor si ricompose ricordando chi era e come avrebbe dovuto comportarsi. «Vi chiedo umilmente scusa.» disse imbarazzato, provando un'improvvisa vergogna per i suoi modi bruschi. «È molto tardi, re Bruenor,» disse Alustriel con gentilezza e un sorriso divertito alla vista del nano coperto solo dalla camicia da notte e con l'elmetto in testa. «Cosa vi ha portato alla mia stanza a quest'ora?» «Con tutta la confusione che c'è in questi giorni, non sapevo che v'eravate fermata a Sellalunga,» cercò di spiegare Bruenor. «Sarei venuta a salutarvi prima di partire,» disse Alustriel con voce cordiale. «Non dovevate disturbare il vostro sonno... e il mio.» «Non sono venuto a salutarvi,» disse Bruenor. «Sono venuto a chiedervi un favore.» «Così urgente?» Bruenor annuì con vigore. «Un favore che avrei dovuto chiedervi prima di arrivare qui.» Alustriel lo invitò ad entrare e richiuse lentamente la porta, intuendo la serietà della preoccupazione che agitava il cuore del nano. «Ho bisogno di un carro di fuoco come il vostro,» disse Bruenor. «Per andare verso sud.» «Intendete unirvi ai vostri amici e aiutarli nella loro ricerca del nanerottolo?» cercò di capire Alustriel. «Sì, so qual è il mio posto.» «Ma io non posso accompagnarvi,» obiettò Alustriel. «Ho la responsabilità di un regno e non posso viaggiare per gli altri regni senza prima farmi annunciare.» «Non vi sto chiedendo di accompagnarmi,» ribatté Bruenor. «Chi guiderà il carro, allora? Voi non avete esperienza con questo tipo di incantesimi.» Bruenor pensò per la frazione di un secondo. «Mi accompagnerà Harkle!» esclamò infine con sguardo trionfante. Alustriel stentò a nascondere una smorfia al pensiero di un inevitabile disastro. Harkle, come tutti gli appartenenti al clan degli Harpell, era solito ferirsi ogni volta che formulava un incantesimo. La Signora sapeva che non sarebbe mai riuscita a distogliere il nano dalle sue intenzioni, ma si sentì in dovere di metterlo al corrente della debolezza del suo piano.
«Calimport è molto lontana,» gli disse dopo un lungo attimo di esitazione. «Il viaggio in carro è molto veloce, ma il ritorno potrebbe durare alcuni mesi. Forse che il legittimo re di Mithril Hall non cavalcherà alla testa dell'esercito che combatterà per il suo trono?» «Ci sarò,» ribatté Bruenor deciso. «Se sarà possibile. Ma il mio posto è accanto ai miei amici. Gli sono debitore almeno di questo!» «Voi rischiate molto.» «Non più di quanto hanno rischiato per me, più di una volta.» Alustriel riaprì la porta. «Bene,» disse con voce placida. «Ammiro la vostra decisione. Vi dimostrerete un re dal cuore nobile, Bruenor Martello di guerra.» Bruenor arrossì in volto. «Andate ora, e riposatevi,» aggiunse Alustriel. «Vedrò cosa la notte mi consiglierà. Incontriamoci sul pendio meridionale della Collina di Harpell poco prima dell'alba.» Bruenor annuì soddisfatto e ritornò nella sua camera dove, per la prima volta dal suo arrivo a Sellalunga, dormì un sonno tranquillo. *
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Sotto il cielo rischiarato dall'imminente alba, Bruenor e Harkle raggiunsero Alustriel nel luogo dell'appuntamento. Harkle aveva subito acconsentito con entusiasmo al viaggio perché aveva sempre desiderato provare a condurre uno dei famosi carri della Signora Alustriel. La sua persona contrastava accanto al nano pronto per la battaglia, nonostante indossasse la tunica di mago, un paio di stivali alti di cuoio e un elmetto d'argento dalla forma strana con vaporosi pennacchi di pelliccia bianca ed una visiera che continuava ad abbassarglisi sugli occhi. Alustriel non aveva dormito per tutta la notte ed aveva trascorso le ore che mancavano all'alba scrutando nella sfera di cristallo che gli Harpell le avevano dato, per scandagliare lontani piani alla ricerca di indizi su dove si potevano trovare gli amici di Bruenor. Aveva appreso molte cose in quel breve lasso di tempo ed era persino riuscita a comunicare con il defunto stregone Morkai, nel mondo degli spiriti, ottenendo così informazioni preziose. E quanto aveva saputo l'aveva inquietata non poco. Se ne stava immobile con l'occorrente in mano, in attesa che spuntasse il giorno, con il volto rivolto verso oriente. Quando i primi raggi del sole
illuminarono l'orizzonte, li lanciò in aria e formulò l'incantesimo. Alcuni minuti più tardi, un carro di fuoco e due cavalli di fiamme apparvero sul pendio, magicamente sospesi a pochi centimetri da terra. Le lingue di fuoco lambivano l'erba appesantita dalla rugiada che evaporava emanando sottili pennacchi di fumo. «A Calimport!» esclamò Harkle precipitandosi verso il carro incantato. «No!» lo corresse Alustriel. Bruenor le lanciò un'occhiata confusa. «I vostri amici non sono ancora arrivati all'Impero delle Sabbie» spiegò la Signora. «Si trovano ancora in alto mare, e oggi incontreranno enormi pericoli. Viaggiate verso sud-ovest, verso il mare, poi verso sud costeggiando la terraferma.» Alustriel lanciò a Bruenor un medaglione a forma di cuore. Il nano lo prese e lo aprì trovandovi un'immagine di Drizzt Do'Urden. «Il medaglione si riscalderà quando vi avvicinerete alla nave che porta i vostri amici,» disse Alustriel. «L'ho creato io parecchie settimane fa per sapere quando il vostro gruppo avrebbe raggiunto Luna d'Argento al vostro ritorno da Mithril Hall.» La Signora evitò lo sguardo incuriosito di Bruenor, quasi fosse consapevole della miriade di domande che si agitava nel suo animo, e leggermente imbarazzata aggiunse: «Gradirei che mi sia restituito!» Bruenor tenne per sé tutte le domande che avrebbe desiderato fare. Aveva intuito che il legame che congiungeva la Signora Alustriel e Drizzt si faceva ogni giorno più forte. «Ve lo restituirò,» promise stringendo il medaglione nel pugno e avvicinandosi a Harkle. «Non indugiate,» li esortò Alustriel. «Il pericolo incombe su di loro!» «Aspettate!» urlò una voce alle loro spalle. I tre si girarono e videro Catti-brie, perfettamente abbigliata per il viaggio, che portava a tracolla Taulmaril, l'arco magico di Anariel che era riuscita a ricuperare fra le rovine di Mithril Hall. La ragazza li raggiunse correndo. «Non vorrai mica partire senza salutarmi, vero?» chiese a Bruenor. Il nano non fu in grado di sostenere il suo sguardo intenso, perché in cuor suo, anche se con dolore, aveva deciso di partire senza salutare la sua amata figlia. «Ah!» sbuffò Bruenor. «Non avresti fatto altro che tentare di fermarmi!» «Non l'avrei mai fatto!» sbottò Catti-brie con aria decisa. «Perché credo che tu stia facendo la cosa giusta. Ma faresti una cosa ancora più giusta se ti spostassi e mi facessi un po' di posto!» Bruenor scosse la testa rassegnato.
«Il mio diritto è uguale al tuo,» protestò Catti-brie. «Bah!» bofonchiò Bruenor. «Drizzt e Pancia-che-brontola sono amici miei!» «E anche miei!» «E Wulfgar è come un figlio per me!» ribatté Bruenor pensando di aver vinto quella ardua battaglia verbale. «Potrebbe essere qualcosa di ancora più importante per me,» ribatté Catti-brie resoluta, «se torna dal Sud!» Catti-brie non doveva nemmeno ricordare a Bruenor che era stata lei a fargli conoscere Drizzt. Seguì un lungo silenzio. Catti-brie aveva vinto. «Fatti in là, Bruenor Martello di guerra, e fammi posto! Il mio rischio è pari al tuo e non riuscirai a farmi cambiare idea!» «Chi riceverà gli eserciti?» chiese Bruenor. «Si arrangeranno gli Harpell. Non partiranno per Mithril Hall se non dopo il nostro ritorno, o almeno non prima dell'arrivo della primavera.» «Ma se partite insieme, e nessuno dei due ritornerà,» li interruppe Harkle lasciando quella terribile frase sospesa nell'aria. «Siete gli unici a conoscere la strada.» Bruenor vide l'espressione mortificata del volto di Catti-brie ed avvertì il suo profondo desiderio di unirsi a lui. Ne aveva tutti i diritti perché, come per lui, la posta in gioco di Catti-brie era molto alta. Rimase a pensare per un momento e poi, all'improvviso, decise di sostenere la richiesta della ragazza. «La Signora conosce la strada,» disse infine, indicando Alustriel. Alustriel chinò il capo in segno di assenso. «La conosco,» disse, «e sarò lieta di condurre gli eserciti a Mithril Hall. Purtroppo, però, il carro può portare solo due persone.» Il sospiro che sfuggì dalle labbra di Bruenor fu seguito da un flebile lamento di Catti-brie. Il nano scrollò le spalle rassegnato. «Sarà meglio che tu rimanga qui,» disse con dolcezza. «Ti prometto che tornerò con loro.» Catti-brie non si dette per vinta. «Quando dovrai combattere,» disse, «e di sicuro ce ne sarà bisogno, preferisci avere al tuo fianco Harkle con i suoi incantesimi, oppure me con il mio arco?» Bruenor lanciò una veloce occhiata a Harkle e subito capì dove la ragazza voleva arrivare. Il mago impugnava le redini del carro e cercava invano di trovare un modo per tenere la visiera sollevata. Rassegnato, Harkle chinò la testa indietro quanto gli bastava per vedere dalla fessura. «Ehi, hai perso un pezzo,» gli disse Bruenor. «È per questo che non sta su!»
Harkle si voltò e vide Bruenor che indicava qualcosa per terra, a poca distanza dal carro. Scese e si chinò per controllare, ma il peso dell'elmetto, che in realtà apparteneva a un suo cugino molto più grosso di lui, gli fece perdere l'equilibrio e il mago si ritrovò disteso a terra. Nello stesso istante, Bruenor tirò Catti-brie sul carro, al suo fianco. «Accidenti!» gemette Harkle. «Come mi sarebbe piaciuto venire con te!» «La Signora te ne farà un altro,» gli disse Bruenor per confortarlo. «Domattina,» disse Alustriel con aria divertita, avvertendo lo sguardo di implorazione di Harkle. «Lo saprete guidare?» chiese poi rivolta a Bruenor. «Secondo me, come lo sa guidare lui!» esclamò il nano afferrando le redini infuocate. «Tieniti forte, ragazza. Dobbiamo attraversare mezzo mondo!» Spronò i cavalli e il carro si sollevò nel cielo, lasciando dietro di sé un'abbacinante scia nei vapori perlacei del mattino. Il vento sferzava i loro volti mentre puntavano verso occidente, e il carro ondeggiava e sussultava selvaggiamente mentre Bruenor lottava con tutte le proprie forze per non perdere il controllo e Catti-brie cercava di non cadere. Tutto scuoteva in modo pauroso, la parte posteriore s'alzava e s'abbassava e una volta il carro descrisse persino un ampio cerchio nel cielo così velocemente che nessuno dei due venne sbalzato fuori. Erano partiti da poco quando all'orizzonte si profilò una minacciosa nuvola carica di pioggia. Bruenor la vide e Catti-brie urlò un avvertimento, ma il nano non aveva ancora imparato i segreti di quelle redini magiche. Si trovarono immersi in una pesante oscurità dove potevano udire solo il terribile sfrigolio del vapore contro il fuoco. Uscirono dalla nuvola veloci come saette e solo allora Bruenor, con il viso grondante d'acqua, riuscì a controllare il carro. Stabilizzò l'equilibrio e continuò a viaggiare lasciandosi il sole nascente dietro la spalla destra, mentre Catti-brie, con una mano appoggiata al bordo del carro e l'altra aggrappata al pesante mantello del nano, fu in grado di rimanere in piedi senza difficoltà. *
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Il drago argenteo si girò sulla schiena con gesto indolente e si lasciò trasportare dai dolci venti del mattino con le quattro zampe incrociate sull'addome e gli occhi socchiusi ancora pesanti di sonno. Il buon drago adorava
quell'allegra corsa durante la quale si allontanava dalla frenetica confusione del mondo per assaporare la piacevole carezza dei raggi di sole al di sopra del mare di nuvole. Ma il drago dovette aprire bene gli occhi quando vide una striscia di fuoco squarciare il cielo a oriente. Poiché temeva che quelle fiamme fossero il presagio del fuoco di un malvagio drago rosso, il drago balzò su una nuvola più alta e rimase in agguato per attaccarlo. L'ira svanì quando riconobbe quello strano oggetto: un carro di fuoco in cui vide un aggeggio simile a un elmo con un corno che sporgeva dalla parte anteriore del carro e una giovane figlia d'uomo dai fluenti capelli ramati scompigliati dal vento. A bocca aperta per la meraviglia, il drago rimase ad osservare il carro saettare nel cielo. Considerò a lungo la possibilità di seguirlo, poiché erano poche le cose in grado di stuzzicare la curiosità di quella creatura antica che aveva vissuto un'infinità d'anni. In quell'attimo, una lieve brezza gli solleticò il corpo spazzando via tutti i pensieri che gli occupavano la mente. «Umani!» mormorò rigirandosi sulla schiena e scuotendo scettico la testa. *
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*
Cattie-brie e Bruenor non videro mai il drago. I loro sguardi erano fissi davanti a loro, nel punto in cui il mare si delineava all'orizzonte occidentale come un'immensa distesa d'acqua ricoperta dalla pesante foschia mattutina. Mezz'ora più tardi, quando intravidero le alte torri di Waterdeep a nord, si allontanarono dalla Costa della Spada per dirigersi verso il mare. Bruenor ormai padroneggiava le redini e lanciò il carro verso meridione scendendo verso il mare. Troppo in basso! Immersi nella foschia, udirono il sciabordio delle onde e l'acuto sibilo dell'acqua che lambiva le fiamme del carro. «Vai più in alto!» urlò Catti-brie. «Siamo troppo bassi!» «Dev'essere così,» ribatté Bruenor stringendo le redini, nel tentativo di camuffare la propria inesperienza nonostante si rendesse conto che Cattibrie aveva ragione. Lottò con tutte le proprie forze e riuscì a portare il carro qualche metro più in alto. «Ecco fatto,» disse quasi volesse vantarsi. «Abbastanza basso e in equilibrio.» Bruenor si voltò leggermente e guardò Catti-brie. «Dobbiamo stare bassi,» ripeté quasi volesse rassicurare l'espressione dubbiosa che s'era dipinta
sul volto della ragazza. «Dobbiamo vedere quel maledetto veliero se vogliamo trovarlo!» Catti-brie si limitò a scuotere la testa e non disse nulla. Fu allora che videro una nave. Non la loro nave, ma una nave il cui profilo appariva loro indistinto nella nebbia, ad una trentina di metri di distanza. L'urlo di Catti-brie si confuse con quello di Bruenor. Il nano tirò a sé violentemente le redini nel tentativo di far salire il carro il più possibile. Il ponte della nave saettò sotto i loro occhi impauriti, ma gli alberi s'innalzavano minacciosi davanti a loro. Se i fantasmi di tutti i marinai morti in mare avessero abbandonato i loro liquidi sepolcri per vendicarsi su quel vascello, l'espressione di profondo terrore che sconvolse il viso della vedetta non avrebbe potuto essere più terribile. In preda al panico, l'uomo balzò dalla piattaforma e cadde in mare proprio nel momento in cui il carro investì la coffa e squarciò la punta dell'albero maestro. Catti-brie e Bruenor si ricomposero e si guardarono alle spalle. La punta dell'albero bruciava simile ad una candela gettando un debole chiarore nel grigiore circostante. «Stai troppo basso,» ripeté Catti-brie. 11 Venti caldi La Folletto del Mare veleggiava tranquilla sotto il cielo azzurro sospinta dai tiepidi venti dei regni meridionali che gonfiavano le sue vele. Dopo solo sei giorni dalla loro partenza dalla città di Baldur, quando in un viaggio normale avrebbero impiegato più di una settimana, si intravedeva all'orizzonte la punta occidentale della Penisola di Tethyr. Ma la voce di un mago viaggiava ancora più veloce. Il capitano Deudermont teneva la propria nave in mezzo al Canale di Asavir, cercando di mantenere una distanza di sicurezza fra il suo legno e le insenature riparate della penisola, baie che spesso nascondevano pirati appostati in attesa del passaggio dei vascelli dei mercanti, e fra il suo veliero e le isole occidentale, le Nelanther, le infami Isole dei Pirati. Il capitano si sentiva al sicuro in quel mare affollato, con la bandiera di Calimport che sventolava sul pennone e le vele di molti altri velieri che apostrofavano con i loro colori l'orizzonte davanti a lui e alle sue spalle.
Grazie a un trucco comune fra i marinai, Deudermont abbordò un vascello e ne seguì la rotta, facendo scivolare la Folletto del Mare sulla sua scia. Meno agile, e molto più lenta, quella nave batteva la bandiera di Murann, una città poco importante della Costa della Spada, e avrebbe costituito un bersaglio molto più facile e invitante per i pirati della zona. A otto piedi sopra la superficie del mare, dando il cambio alla coffa, Wulfgar poteva vedere il ponte di quella nave. Grazie alla sua agile forza, Wulfgar stava diventando un ottimo marinaio, desideroso di lavorare duramente assieme agli altri membri dell'equipaggio. Il compito che maggiormente preferiva era stare di vedetta, anche se la piattaforma era piccola per un uomo corpulento come lui. Si sentiva in pace in compagnia della tiepida brezza e del silenzio. Si appoggiò all'albero riparandosi con una mano gli occhi dal riverbero del sole e controllò l'attività degli uomini del veliero sconosciuto. Udì la loro vedetta urlare qualcosa di indistinto e l'equipaggio precipitarsi freneticamente verso prua per scrutare l'orizzonte. Wulfgar si irrigidì e appoggiatosi al parapetto aguzzò lo sguardo per guardare verso meridione. *
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«Cosa penseranno di noi?» chiese Drizzt al capitano che gli stava al fianco, sul ponte di comando. Mentre Wulfgar aveva solidarizzato con l'equipaggio lavorando con loro, Drizzt aveva instaurato un profondo rapporto d'amicizia con il capitano il quale, consapevole del valore delle opinioni dell'elfo, condivideva con lui le sue conoscenze del mare e del suo grado. «Hanno intuito che li stiamo usando come esca?» «Sanno benissimo cosa stiamo facendo e il loro capitano, se è un buon marinaio, avrebbe fatto lo stesso se si fosse trovato nei nostri panni,» spiegò Deudermont. «Tuttavia, noi siamo una garanzia di sicurezza per loro. Avere alle spalle un veliero su cui sventola la bandiera di Calimport può scoraggiare le intenzioni dei pirati.» «E forse sono sicuri del nostro aiuto in caso di attacco?» si affrettò a dire Drizzt. Deudermont avvertì l'interesse di Drizzt a scoprire se mai la Folletto del Mare sarebbe veramente accorsa in aiuto della nave. L'elfo era animato da un profondo senso dell'onore e Deudermont, anch'egli uomo d'onore, lo ammirava per questo. Tuttavia, le responsabilità di Deudermont in qualità di capitano del vascello non potevano perdersi in una simile situazione
ipotetica. «Forse,» ribatté l'uomo. Drizzt lasciò cadere la conversazione, soddisfatto che Deudermont tenesse in debita considerazione il proprio dovere e la propria moralità. «Navi a meridione!» L'urlo di Wulfgar dall'alto fece ammassare gran parte degli uomini lungo la battagliola di prua. Deudermont scrutò l'orizzonte e poi sollevò lo sguardo verso il barbaro. «Quante?» «Due!» replicò Wulfgar. «Veleggiano verso nord a velocità costante e ben distanziate fra loro!» «A babordo e a dritta?» chiese Deudermont. Wulfgar stette a guardare a lungo la rotta delle due navi e quindi confermò i sospetti del capitano. «Ci passeremo in mezzo!» «Pirati?» chiese Drizzt pur conoscendo già la risposta. «Così sembrerebbe,» replicò il capitano mentre le vele cominciavano a vedersi anche dal ponte. «Non vedo nessuna bandiera,» disse al capitano un uomo dal ponte di comando. Drizzt indicò la nave che stava loro davanti. «Sono loro il bersaglio?» Deudermont annuì lentamente. «Sembrerebbe di sì,» disse. «Avviciniamoci allora,» disse l'elfo. «Due contro due mi sembra più equo.» Deudermont fissò gli occhi lavanda di Drizzt e rimase stupito dalla luce che vi vide. Come poteva sperare che quel valoroso guerriero capisse la loro posizione? La sua nave batteva la bandiera di Calimport, mentre l'altra quella di Murann. Pertanto, le due navi non erano nemmeno alleate. «Forse lo scontro non sarà cruento,» disse a Drizzt. «Sarebbe una cosa saggia che il veliero di Murann si arrendesse senza opporre resistenza.» Drizzt intuì il significato di quell'affermazione. «Ciò significa che la bandiera di Calimport è una responsabilità nonostante i benefici che essa può garantire?» Deudermont si strinse nelle spalle. «Non scordatevi le corporazioni di ladri delle città che conoscete,» spiegò il capitano. «I pirati assomigliano a loro... Sono un inevitabile inconveniente. Se anche noi decidiamo di combattere, rischieremo di annullare la soggezione che essi provano per quella bandiera e forse causeremo molti più guai del necessario.» L'espressione dello sguardo dell'elfo s'era improvvisamente fatta cupa. «E metteremo in serio pericolo la posizione delle altre navi battenti la bandiera di Calimport che navigano lungo il Canale,» aggiunse Drizzt disto-
gliendo lo sguardo dal capitano e osservando la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Ispirato dalla forza dei principi di Drizzt, una forza che non senza difficoltà scendeva a compromessi con l'arroganza dei malvagi, Deudermont appoggiò una mano sulla spalla dell'elfo. «Se ce ne sarà bisogno,» disse il capitano, attirando su di sé lo sguardo di Drizzt, «la Folletto del Mare non si tirerà indietro.» Lo sguardo di Drizzt scivolò pensieroso lungo l'orizzonte, mentre la sua mano si appoggiava su quella del capitano. L'ardore che aveva animato i suoi occhi ritornò con pari intensità mentre Deudermont impartiva ai suoi uomini l'ordine di stare all'erta. Il capitano non si aspettava un battaglia. Aveva visto decine di situazioni simili durante la sua carriera e quando le forze dei pirati erano superiori a quelle della vittima designata, il saccheggio avveniva senza spargimento di sangue. Tuttavia, nonostante i molti anni trascorsi in mare, Deudermont avvertì un'inquietante stranezza in quanto stava accadendo. Le navi dei pirati si mantenevano distanziate, troppo lontane dal vascello di Murann per cercare di abbordarlo. Deudermont pensò che volessero attaccare la nave da lontano, poiché aveva intravisto una catapulta montata sul ponte di poppa che sarebbe stata utilizzata per indebolire la vittima, anche se Deudermont lo riteneva inutile. All'improvviso la cruda realtà folgorò il capitano. I pirati non stavano puntando contro il vascello di Murann. Erano loro il bersaglio! Dal suo posto di vedetta anche Wulfgar aveva capito che i pirati stavano puntando su di loro. «Si stanno armando!» urlò all'equipaggio sul ponte. «Puntano su di noi!» «Eccovi il combattimento che vi aspettavate,» disse Deudermont a Drizzt. «Questa volta ho l'impressione che la bandiera di Calimport non ci proteggerà a dovere.» Nonostante che allo sguardo di Drizzt abituato alle tenebre le navi lontane sembrassero nulla più che due minuscoli punti neri all'orizzonte contro la forte luce del sole riflessa sulla superficie del mare, l'elfo comprese il terribile significato della situazione. Gli sfuggiva la logica che aveva guidato la scelta dei pirati, anche se provava una strana sensazione che Wulfgar e lui fossero in qualche modo la causa di quegli eventi. «Perché proprio noi?» chiese a Deudermont. Il capitano scrollò le spalle. «Forse è giunta loro la voce che uno dei vascelli di Calimport ha le stive piene di un carico prezioso.»
L'immagine delle sfere di fuoco che ardevano nel cielo tenebroso di Baldur ritornò alla mente di Drizzt. Un segnale?, si chiese. Non erano ancora in grado di mettere insieme i pezzi di quell'intricato e misterioso mosaico, ma i suoi sospetti si facevano sempre più forti. In qualche imperscrutabile modo, Wulfgar e lui erano i veri bersagli di quei pirati. «Combatteremo?» chiese a Deudermont, ma vide che il capitano stava già elaborando un piano di battaglia. «Vira a dritta!» ordinò Deudermont al timoniere. «Portiamoci a occidente delle Isole dei Pirati. Vediamo se quei cani hanno il coraggio di avvicinarsi agli scogli!» Con un cenno imperioso della mano ordinò ad un uomo di dare il cambio a Wulfgar perché aveva bisogno della forza del barbaro sul ponte. La nave fendette le onde inclinandosi paurosamente. Il vascello pirata ad est, ora molto lontano, imitò la manovra mentre l'altro, il più grosso, continuava la sua rotta rettilinea, avvicinandosi in modo che il bersaglio fosse sotto il tiro della sua catapulta. Deudermont indicò la più grande delle isole che si intravedeva a occidente. «Avvicinati,» disse al timoniere, «ma attento a quello scoglio. La marea è bassa e riesci a vederlo.» Wulfgar raggiunse il capitano correndo. «Afferra quella cima!» gli ordinò Deudermont. «Con essa controlli la vela maestra. Se ti dico di tirare, fallo con quanta forza hai in corpo, perché non avremo una seconda possibilità.» Wulfgar afferrò la pesante fune con un grugnito di determinazione e se l'avvolse attorno al polso e alla mano. «Fuoco nel cielo!» urlò un marinaio indicando un punto verso sud, in prossimità del vascello più grande. Una palla di pece infuocata saettò nell'aria e cadde in mare poco lontano dalla nave con un raccapricciante sfrigolio. «Un segnale tracciante,» spiegò Deudermont. «Per comunicare la nostra distanza.» Il capitano calcolò la distanza e quanto i pirati si sarebbero avvicinati prima che la sua nave riuscisse a mettersi al riparo dietro l'isola. «Li eviteremo se riusciamo ad infilarci fra gli scogli e l'isola,» spiegò a Drizzt con un cenno di approvazione del capo, quasi volesse sottintendere che quella era una prospettiva allettante. Ma proprio nel momento in cui l'elfo e il capitano cominciavano ad assaporare il successo della fuga, gli alberi di una terza nave si delinearono
ad ovest, provenienti proprio dal canale in cui Deudermont pensava di trovare la salvezza. Il vascello aveva le vele ammainate e si preparava ad abbordare. Deudermont rimase a bocca aperta dallo stupore. «Ci stavano aspettando,» disse a Drizzt guardandolo con espressione affranta. «Ci stavano aspettando,» ripeté sconsolato. «Ma noi non trasportiamo un carico prezioso,» aggiunse dopo un lungo silenzio cercando di capire la ragione di quegli strani eventi. «Perché tre navi pirata contro una sola?» Drizzt purtroppo conosceva la risposta. *
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Il viaggio si era fatto più facile per Bruenor e Catti-brie. Il nano si destreggiava al comando del carro di fuoco e la foschia mattutina si era dileguata. Seguivano la Costa della Spada godendosi il panorama delle navi che sorvolavano e l'espressione meravigliata dei marinai che scrutavano il cielo. Ben presto sorvolarono le foci del fiume Chionthar, l'accesso alla città di Baldur. Bruenor ebbe un attimo di esitazione ma virò subito allontanandosi dalla costa. «La Signora ci ha chiesto di seguire la costa,» disse Catti-brie non appena si accorse della variazione di rotta. Bruenor strinse il medaglione magico che Alustriel gli aveva dato e scrollò le spalle con vigore. «Questo mi dice diversamente,» ribatté con tono serio. *
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Una seconda palla di fuoco affondò in mare, paurosamente vicino alla nave di Deudermont. «Possiamo evitarla,» disse Drizzt al capitano notando che la terza nave non aveva ancora spiegato le proprie vele. L'esperto capitano riconobbe subito la fragilità di quella proposta. L'obiettivo principale del vascello pirata che era sbucato da dietro l'isola era bloccare l'accesso al canale. La Folletto del Mare avrebbe potuto evitarla, ma Deudermont avrebbe dovuto allontanarsi dagli scogli pericolosi e ritornare in mare aperto, mettendo il proprio vascello sotto il tiro della catapul-
ta nemica. Deudermont si guardò alle spalle. L'altra nave pirata, quella che si trovava più a oriente, aveva le vele spiegate e viaggiava a grande velocità. Se un proiettile di fuoco avesse colpito la Folletto del Mare danneggiando le sue vele, non avrebbero più avuto scampo. All'improvviso un secondo problema attirò l'attenzione del capitano. Un fulmine sorvolò il ponte e bruciò alcune cime scheggiando l'albero maestro. La struttura scricchiolò in modo raccapricciante sotto la tensione delle vele tese dal vento. Wulfgar puntò i piedi e tirò con tutta la propria forza. «Tienila sotto controllo!» lo incoraggiò Deudermont. «Tienici in rotta!» «C'è un mago a bordo,» disse Drizzt intuendo la provenienza di quello strano fulmine. «Temevo anch'io la stessa cosa,» ribatté Deudermont con aria arcigna. Il fuoco che ardeva nello sguardo di Drizzt fece intuire al capitano che l'elfo aveva deciso quale sarebbe stato il proprio compito durante quella battaglia e, nonostante il loro netto svantaggio, provò compassione per il povero mago. Un'espressione astuta si dipinse sul volto di Deudermont poiché la reazione di Drizzt gli aveva ispirato un disperato piano. «Portaci a babordo di quella nave!» disse al timoniere. «Abbastanza vicino da sputargli addosso!» «Capitano!» cercò di protestare il marinaio. «Rischiamo di infrangerci contro gli scogli.» «È questo che vogliono, quei maledetti cani,» ribatté Deudermont con veemenza. «Facciamogli credere che non conosciamo queste acque e che quelle rocce faciliteranno il loro lavoro!» Drizzt sospirò di sollievo all'udire la sicurezza nella voce del capitano perché intuì che quel vecchio e astuto lupo di mare aveva un piano ben preciso. «Pronto?» chiese Deudermont a Wulfgar. Il barbaro annuì. «Quando te lo dirò io, tira ragazzo! La tua vita dipende dalla tua forza!» esclamò il capitano. «Davvero,» mormorò Drizzt al suo fianco. *
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Dal ponte di comando della sua nave ammiraglia, il veloce vascello a o-
riente, Pinochet, il pirata, osservava preoccupato le manovre della Folletto del Mare. Conosceva molto bene la fama di Deudermont per credere quel capitano tanto stupido da dirigersi verso gli scogli a mezzogiorno, con la marea bassa. Deudermont non aveva intenzione di arrendersi facilmente. Pinochet osservò l'imponente nave e ne misurò l'angolazione. La catapulta avrebbe potuto lanciare altri due colpi, forse tre, prima che il loro bersaglio accostasse la nave che bloccava il canale. Pinochet si trovava ancora a molti minuti di distanza dal luogo dello scontro e il pirata si chiese quanti danni Deudermont sarebbe riuscito ad infliggere prima che lui stesso avesse potuto raggiungere le altre due navi per dare man forte. Tuttavia, Pinochet allontanò da sé quei pensieri. Il prezzo di quella missione era irrilevante poiché stava facendo un favore personale al capo della corporazione di ladri più grande di tutta Calimport. Qualsiasi fosse stata l'entità della perdita, non dubitava che la ricompensa di Pascià Pook l'avrebbe risarcito ampiamente! *
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Catti-brie osservò attentamente davanti a sé e vide una alla volta le navi stagliarsi contro l'orizzonte. Bruenor, sicuro che il medaglione magico lo stava conducendo dall'elfo, non prestò molta attenzione. Il nano spronò i cavalli nel tentativo di accelerare il loro galoppo. Non riusciva a spiegarsene la ragione, forse la sensazione gli veniva infusa dal medaglione che portava al collo, ma Bruenor aveva la certezza che Drizzt era nei guai e che era essenziale arrivare subito. Il nano puntò un dito grassoccio davanti a sé. «Là!» esclamò non appena vide la Sea Sprite. Catti-brie non disse nulla e con un colpo d'occhio percepì la drammaticità della situazione. Un'altra palla di fuoco squarciò il cielo e sfiorò appena la linea di galleggiamento della nave. Catti-brie e Bruenor rimasero ad osservare atterriti mentre i marinai tendevano ancora una volta la catapulta per prepararla per un nuovo lancio. I loro sguardi si appoggiarono sul disgustoso equipaggio della nave che chiudeva il passaggio del canale, le spade in pugno, in attesa dell'arrivo della loro vittima, e sulla terza nave pirata che stava chiudendo il cerchio. Bruenor virò il carro verso sud, verso la nave più grande. «Prima la catapulta!» urlò il nano infuriato.
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Pinochet, proprio come la maggior parte degli uomini sulle due navi pirata, stette ad osservare il carro di fuoco scendere descrivendo una linea di fiamme nel cielo settentrionale, mentre i capitani e gli equipaggi della Folletto del Mare e dell'altra nave erano troppo presi dalla loro situazione disperata per accorgersi di quanto stava succedendo alle loro spalle. Drizzt lanciò una veloce occhiata e fra le fiamme notò il vivace riflesso di quello che avrebbe potuto assomigliare al corno su un elmetto ammaccato e il profilo di una fluente chioma di capelli che aveva un'aria vagamente familiare. Forse, però, quella visione era frutto di un gioco di luci e dell'eterna speranza che Drizzt nutriva in cuor suo. Il carro scivolò veloce nel cielo e Drizzt lo lasciò andare non avendo tempo per rimanere ad osservare il suo corso. La ciurma della Folletto del Mare si allineò sul ponte di prua da dove lanciò una gragnuola di frecce nella speranza di tenere il mago occupato con i loro colpi. Con un ruggito arrivò un secondo colpo, ma la Folletto del Mare beccheggiava furiosamente sospinta dalle onde che si frangevano con violenza contro la scogliera. Il proiettile magico aprì un piccolo foro nella vela maestra. Deudermont lanciò un'occhiata fiduciosa a Wulfgar che stava in attesa dei suoi comandi. All'improvviso passarono accanto ai pirati, ad una quindicina di metri dall'altra nave, in rotta di collisione con la mortale scogliera. «Tira!» tuonò Deudermont e Wulfgar tirò, i muscoli del suo corpo si tesero avvampando di un violento rossore per lo sforzo. L'albero maestro protestò con un violento scricchiolio, le assi stridettero e le vele gonfie di vento si ribellarono proprio quando Wulfgar si avvolse la corda attorno alla spalla e tirò in avanti. La nave si girò nell'acqua, la prua si innalzò sopra un'onda spumeggiante e puntò contro il vascello pirata. Nonostante avessero assistito alle prodezze di Wulfgar nel fiume Chionthar, gli uomini di Deudermont si aggrapparono disperatamente alla battagliola in preda ad un profondo sbigottimento. Non sospettando che una nave a vele spiegate riuscisse mai a virare a quel modo, i pirati non reagirono, paralizzati dalla meraviglia. Rimasero
ad osservare a bocca aperta la prua della Folletto del Mare colpire il loro fianco sinistro, unendo i due velieri in un abbraccio mortale. «Addosso!» tuonò Deudermont. Nell'aria sibilarono i grappini lanciati per assicurare la presa mentre lunghe assi di abbordaggio venivano calate e fissate ai loro posti. Wulfgar balzò in piedi e brandì la sua Aegis-fang mentre Drizzt sfoderò le sue scimitarre anche se non si mosse. Rimase immobile a scrutare il ponte dell'imbarcazione nemica. Il suo sguardo si fermò su un uomo, non vestito da mago, ma a quanto gli era dato vedere, non era armato. L'uomo gesticolava quasi stesse formulando un incantesimo mentre dalle sue mani venivano sprigionate piccole scintille misteriose. Drizzt si mosse veloce. Richiamando le capacità innate del suo lignaggio, l'elfo avvolse il mago in innocue fiamme purpuree, appena in tempo per vedere il suo corpo svanire nel nulla a causa di un incantesimo. Tuttavia, rimaneva ben visibile il profilo purpureo delle fiamme. «Wulfgar, un mago!» urlò Drizzt. Il barbaro si precipitò verso la battagliola e scrutò la nave nemica individuando subito il magico profilo luminoso. Il mago, consapevole del suo imminente destino, cercò rifugio dietro alcuni barili pieni d'acqua, ma Wulfgar non esitò. Con un poderoso sforzo, lanciò Aegis-fang. Il pesante martello piroettò nell'aria e colpì i barili facendoli esplodere in una nuvola di schegge che avvolse quel corpo invisibile contornato dalla luce magica dell'elfo. A causa della violenza dell'impatto il mago venne scaraventato in mare. Drizzt e Wulfgar si guardarono soddisfatti. Deudermont si passò una mano davanti agli occhi, incredulo. Forse avevano ancora una possibilità di salvarsi. *
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I pirati delle due navi rivolsero i loro occhi verso il cielo e stettero ad osservare quel misterioso carro di fuoco. Bruenor si portò verso la poppa della nave che ospitava l'imponente catapulta mentre Catti-brie tendeva la corda di Taulmaril. «Pensa ai tuoi amici,» la incoraggiò Bruenor notando la sua esitazione. Solo poche settimane prima, per necessità Catti-brie aveva dovuto uccidere un umano e non si era ancora rassegnata. Ora, mentre piombavano dall'alto sulla nave nemica, avrebbe potuto seminare la morte fra quei marinai.
Inspirò a fondo e mirò un uomo che se ne stava con il volto rivolto verso il cielo, esterrefatto e ignaro della propria sorte. Ma Catti-brie cambiò idea. Con la coda dell'occhio individuò un bersaglio migliore. Girò lentamente l'arco verso la poppa della nave e scoccò un'argentea freccia contro il braccio della catapulta. La forza magica del proiettile squarciò il legno aprendo un enorme foro. «Assaggiate il mio fuoco!» urlò Bruenor virando ancora una volta il carro. Diresse i cavalli verso la vela maestra e lasciò dietro di sé alcuni brandelli bruciacchiati. La mira di Catti-brie era spietata e le sue frecce continuavano a sibilare contro la catapulta. Quando il carro passò sopra il ponte per la seconda volta, i pirati cercarono di abbatterlo con una palla di pece in fiamme, ma il braccio della catapulta era stato compromesso dalle micidiali frecce di Catti-brie e il proiettile cadde sul ponte stesso della nave. «Passiamoci sopra ancora una volta!» urlò Bruenor guardando le voraci fiamme fagocitare l'albero maestro e il ponte della nave. Ma lo sguardo di Catti-brie era rivolto in avanti, nel punto in cui la Folletto del Mare si era scontrata con il veliero pirata e dove, poco più lontano, si intravedeva l'altra nave che presto si sarebbe unita alla battaglia. «Non abbiamo tempo!» urlò la ragazza. «Hanno bisogno di noi laggiù!» *
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Gii uomini della Folletto del Mare si lanciarono all'attacco e l'aria echeggiò del violento fragore delle spade. Un pirata, vedendo Wulfgar lanciare il suo martello, si precipitò brandendo la spada verso quel barbaro disarmato credendolo una preda facile. Wulfgar evitò il colpo con un'agile piroetta e afferrò il pirata per un polso con una mano mentre con l'altra gli strinse il cavallo dei pantaloni. Sfruttando la rincorsa dell'uomo, il barbaro lo sollevò in aria e lo lanciò oltre la battagliola di prua della nave. Vedendo la fine del loro sfortunato compagno, altri due pirati intenzionati ad attaccare quella massa di muscoli, si fermarono di botto e cercarono altri avversari armati, ma meno pericolosi. All'improvviso Aegis-fang ritornò magicamente fra le mani di Wulfgar, e fu la sua volta di attaccare. Mentre tentavano di abbordare la nave pirata, tre uomini di Deudermont vennero uccisi sull'asse centrale lasciando via libera ai pirati.
Ma Drizzt Do'Urden fermò quella marea. Brandendo le scimitarre, e con Lampo che sprigionava una violenta luce azzurra, l'elfo si fermò in mezzo all'asse in attesa del nemico. Vedendosi ostacolata la strada da un unico ed esile uomo, i pirati procedettero con aria baldanzosa, ma rallentarono subito quando videro i loro primi tre compagni venire sgozzati da un frenetico vortice di lame. Deudermont e il timoniere erano accorsi in aiuto di Drizzt, ma si fermarono in preda ad un profondo sbigottimento. Lampo e l'altra scimitarra fendevano l'aria ad una velocità impressionante e con una precisione mortale. Un altro pirata cadde sotto quei terribili colpi, mentre un altro, dopo essere stato disarmato, preferì trovare la salvezza gettandosi in mare. All'improvviso gli altri cinque pirati rimasero paralizzati dallo spavento e le loro bocche si aprirono in un muto grido di terrore. Deudermont e il timoniere sussultarono in preda ad una confusa sorpresa perché Drizzt, concentrato nel combattimento, non si era accorto che la maschera magica gli era scivolata dal volto rivelando a tutti la sua vera identità di elfo scuro. *
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«Anche se bruci le vele, la nave riuscirà ad avvicinarsi,» osservò Cattibrie notando la breve distanza che c'era fra il veliero pirata e le altre due navi che bloccavano l'entrata del canale. «Solo le vele?» rise Bruenor. «Ho intenzione di fare ben di peggio!» Catti-brie si mise alle spalle del nano. «Tu sei pazzo!» esclamò mentre Bruenor portava il carro rasente al ponte. «Fermerò quei cani! Tieniti forte, ragazza!» «Non ci penso nemmeno!» urlò Catti-brie di rimando toccando la testa di Bruenor. Aveva in mente un altro piano e si lasciò cadere dal carro tuffandosi in mare. «Che ragazza coraggiosa,» disse Bruenor con un sorriso soddisfatto osservando quel terribile salto, ma subito si concentrò sui pirati. Gli uomini che si trovavano a poppa l'avevano veduto arrivare e si tuffavano in mare per mettersi in salvo. A prua, Pinochet osservò quell'inaspettata confusione e vide Bruenor piombare sulla nave. «Moradin!»
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L'urlo di guerra del nano echeggiò sul ponte della Folletto del Mare e del terzo veliero pirata, squarciando il frastuono della battaglia. Gli uomini di Pinochet risposero con un urlo di terrore. I pirati e i marinai impegnati nel combattimento si voltarono per osservare la terribile esplosione sulla nave ammiraglia. Wulfgar ebbe un attimo di esitazione nell'udire quell'implorazione dei nani, perché gli ricordò un suo caro amico che era solito invocare quel nome nel momento dello scontro con i nemici. Drizzt sorrise. *
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Il carro si infranse contro il ponte e Bruenor balzò a terra, mentre l'incantesimo di Alustriel si trasformò in una sfera portatrice di distruzione. Le fiamme invasero il ponte, lambirono gli alberi e incenerirono le vele. Bruenor balzò in piedi brandendo la sua ascia di mithril mentre con l'altra mano impugnava il suo scudo d'oro, ma nessuno gli prestava attenzione, intenti com'erano a fuggire. Bruenor sputò per terra scrollando le spalle e con sommo stupore di tutti, si diresse verso le fiamme alla ricerca di qualche pirata da sfidare. Solo allora Pinochet comprese che la sua nave era irrimediabilmente perduta. Non era la prima volta, e forse nemmeno l'ultima. Con un gesto lento della mano invitò un ufficiale ad aiutarlo a slegare una piccola scialuppa. Altri due suoi uomini avevano avuto la stessa idea e stavano già abbassando l'imbarcazione in mare quando Pinochet si avvicinò. In quella situazione disperata, al grido di si salvi chi può, Pinochet si vide costretto a ucciderne uno e buttare in mare quell'altro. Bruenor emerse incolume dalle fiamme e vide il ponte di prua completamente deserto. Sorrise divertito quando notò la piccola imbarcazione che ospitava il capitano pirata appoggiarsi sulla superficie del mare. L'altro ufficiale, ricurvo sul parapetto, stava slegando le ultime cime. Quando l'uomo sollevò una gamba per scendere sulla scialuppa, Bruenor si avvicinò e con un calcio lo lanciò oltre il parapetto facendolo cadere in mare, lontano dalla scialuppa. «Ehi, fermati!» urlò Bruenor al capitano mentre si calava nella piccola imbarcazione. «C'è una ragazza da tirare in salvo.»
Con un gesto veloce Pinochet sguainò la spada e si girò di scatto. «Ehi, dico a te,» disse Bruenor. Pinochet completò il giro su se stesso e cercò di colpirlo violentemente. «Avresti potuto semplicemente dirmi di no,» lo motteggiò Bruenor parando il colpo con lo scudo e colpendo l'uomo alle ginocchia. *
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Nulla terrorizzò i pirati quel giorno più della visione di Wulfgar all'attacco. Il barbaro non usò nulla per abbordare la nave pirata. Il possente Wulfgar vi arrivò con un salto e buttandosi nella mischia falciò i nemici con la sua micidiale arma. Dall'asse centrale, Drizzt rimase ad osservare lo spettacolo. L'elfo non si era avveduto che gli si era slacciata la maschera e anche se se ne fosse accorto, non avrebbe avuto tempo per sistemarla. Si scagliò con veemenza contro i cinque pirati rimasti, intenzionato a raggiungere l'amico per aiutarlo, ma quelli fuggirono preferendo tuffarsi in mare piuttosto che cadere sotto i colpi mortali dell'elfo. I due amici furono di nuovo insieme a seminare distruzione e morte sul ponte del vascello pirata. Deudermont e i suoi uomini, anch'essi abili guerrieri, uccisero tutti i pirati che erano riusciti a salire a bordo. Con la vittoria ormai in pugno, rimasero in attesa lungo la battagliola, a mo' di scorta del fiume di prigionieri che si arrendevano mentre Drizzt e Wulfgar completavano la loro missione. *
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«Ti ucciderò, cane barbuto!» tuonò Pinochet oscillando minacciosamente la spada. Bruenor cercava di tenersi in equilibrio su quella scialuppa instabile parando i colpi del nemico e aspettando il momento più opportuno per sferrare l'attacco decisivo. Quel momento giunse inaspettato, quando il pirata che Bruenor aveva gettato in mare tentò di issarsi sulla scialuppa. Il nano seguì i suoi movimenti con la coda dell'occhio. L'uomo si aggrappò al bordo dell'imbarcazione e cercò di issarsi, ma l'ascia di mithril lo colpì alla testa con un violento fendente. Il pirata cadde riverso in mare tingendolo di rosso.
«Era un tuo amico?» lo schernì Bruenor. Pinochet gli si avventò contro con una furia inarrestabile, proprio come Bruenor aveva sperato, ma si sbilanciò. Il nano assecondò la sua caduta spostando il peso del suo corpo verso destra aumentando in quel modo l'inclinazione della barca e colpendo la schiena del capitano con il proprio scudo. «Se ti è cara la vita,» disse Bruenor quando Pinochet riaffiorò dall'acqua, «molla la spada e rema!» Pinochet non aveva alternative. Ubbidì a quell'ordine perentorio e nuotò verso la scialuppa. Bruenor l'aiutò a salire e lo sospinse verso i remi. «Girala!» ordinò. «E rema veloce!» *
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«La maschera,» sussurrò Wulfgar a Drizzt. L'elfo si nascose dietro un albero e si riallacciò il travestimento magico. «Credi che mi abbiano visto?» chiese Drizzt avvicinandosi a Wulfgar. Mentre parlava, aveva notato che tutta la ciurma si era allineata scivolando lungo il parapetto della nave pirata e lo stava guardando con sospetto, con le armi in pugno. «Sì, ti hanno visto,» mormorò Wulfgar. «Vieni,» aggiunse dirigendosi verso l'asse. «Ti accetteranno lo stesso!» Drizzt, però, non ne era sicuro. Si ricordò delle volte in cui, dopo aver salvato altri uomini, essi lo avevano attaccato solo perché avevano intravisto il colore della sua pelle sotto il cappuccio del suo mantello. Quello era il prezzo che doveva pagare per avere scelto di abbandonare il suo popolo e risalire in superficie. Drizzt afferrò Wulfgar per la spalla e insieme si diressero verso la Folletto del Mare. Lanciò un'occhiata di sfuggita al suo giovane amico e ammiccò leggermente togliendosi la maschera. Sguainò le due scimitarre e si voltò verso l'equipaggio. «Che tutti sappiano chi è Drizzt Do'Urden!» esclamò Wulfgar alle sue spalle infondendo nel suo amico tutta la forza di cui avrebbe avuto bisogno. 12 Compagni
Bruenor vide Catti-brie galleggiare al di là dei cadaveri degli uomini di Pinochet. Dal canto suo Pinochet non prestava attenzione alla giovane ragazza poiché, in lontananza, l'equipaggio superstite su quanto rimaneva della sua nave, un imponente vascello di artiglieria, aveva domato gli incendi scoppiati a bordo, ma aveva cambiato rotta e stava fuggendo a tutta velocità. «Credevo che ti fossi dimenticata di me,» disse Cattie-brie quando la scialuppa si avvicinò. «Avresti dovuto stare al mio fianco,» ribatté il nano ridendo. «Non amo il fuoco come te,» replicò Catti-brie con fare circospetto. Bruenor scrollò le spalle. «Mi succede così da quando sono stato a Mithril Hall. Forse dipende dall'armatura del padre di mio padre.» Cattie-brie si aggrappò al bordo della barca e proprio quando stava per salire vide la scimitarra che Bruenor teneva a tracolla ed ebbe un attimo di esitazione. «Ma tu hai la spada dell'elfo!» esclamò ricordando la storia della lotta contro un demone di fuoco che Drizzt le aveva raccontato, secondo la quale quella scimitarra magica forgiata dal ghiaccio lo aveva salvato dalle fiamme. «Sicuramente è stata la tua salvezza!» «Ha una buona lama,» mormorò Bruenor lanciando un'occhiata all'elsa che sporgeva sopra la sua spalla. «L'elfo dovrebbe darle un nome.» «La barca non può portare il peso di tre persone,» li interruppe Pinochet. Bruenor lo fulminò con un'occhiata di fuoco e sbottò: «Allora nuota!» Il volto gli si contrasse in una smorfia mentre Pinochet cominciava ad alzarsi. Bruenor si rese conto di avere stuzzicato l'orgoglio del pirata, e prima che l'uomo si fosse completamente messo in piedi lo colpì al petto con la testa, facendolo cadere in acqua. Senza perdere tempo, il nano afferrò il polso di Cattie-brie e la issò a bordo. «Tienilo a bada col tuo arco, ragazza,» urlò Bruenor abbastanza forte in modo che Pinochet, che tentava disperatamente di rimanere a galla, lo sentisse. «Se non riesce a starci dietro, uccidilo!» aggiunse lanciandogli una corda. Cattie-brie incoccò una freccia d'argento nel suo Taulmaril e prese la mira su Pinochet con un'espressione dura in volto, anche se non aveva nessuna intenzione di uccidere quel pover'uomo. «Mi chiamano l'Arco Spezzacuori,» lo ammonì. «Faresti meglio a nuotare.» L'orgoglioso pirata si legò la corda attorno ai fianchi e cominciò a nuotare vigorosamente.
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«Non vogliamo elfi scuri a bordo!» inveì uno degli uomini di Deudermont contro Drizzt. L'uomo sgranò gli occhi dal dolore quando la mano del capitano lo colpì con forza alla nuca e si spostò a capo chino per lasciare passare Deudermont. Il capitano osservò l'espressione dei volti dei suoi uomini mentre squadravano dall'alto al basso l'elfo che era stato loro compagno per settimane. «Cosa farà di lui?» si azzardò a chiedere uno. «Molti vostri compagni sono caduti in acqua,» ribatté il capitano evitando di rispondere a quella domanda. «Tirateli fuori, fateli asciugare e incatenate i prigionieri.» Deudermont attese in silenzio che l'equipaggio si muovesse, ma nessuno batté ciglio quasi il volto dell'elfo scuro li avesse ipnotizzati. «Vediamo di disincagliarci dalla nave pirata!» tuonò infine il capitano. Si girò lentamente verso Drizzt e Wulfgar, che si trovavano a pochi passi dalla plancia. «Ritiriamoci nella mia cabina,» disse con voce pacata. «Dobbiamo parlare.» Drizzt e Wulfgar non dissero nulla e seguirono il capitano in silenzio, incuranti delle occhiate miste di curiosità, paura e orrore che seguivano i loro passi. Deudermont si fermò in mezzo al ponte accanto ad un gruppo di marinai che stavano scrutando l'orizzonte verso sud, oltre la nave in fiamme di Pinochet, verso una piccola barca che stava remando energicamente nella loro direzione. «È quello che stava sul carro di fuoco!» esclamò un marinaio. «Ha fatto colare a picco quella nave!» esclamò un altro puntando un dito verso il relitto della nave di Pinochet, ora paurosamente inclinata e in procinto di inabissarsi. «E ha fatto fuggire la terza!» «Non c'è dubbio che è un amico nostro!» ribatté il capitano. «E anche nostro,» aggiunse Drizzt attirando su di sé gli sguardi degli uomini. Anche Wulfgar guardò il suo amico con occhi increduli. Aveva udito urlare il nome di Moradin, ma non aveva osato sperare che Bruenor Martello di guerra fosse accorso in loro aiuto. «Un nano dalla barba rossa, se non sbaglio,» proseguì Drizzt imperterrito. «E con lui c'è anche una giovane donna.» Wulfgar rimase a bocca aperta dallo stupore. «Bruenor?» riuscì a mor-
morare con un filo di voce. «Cattie-brie?» Drizzt alzò le spalle. «Almeno così credo.» «Lo sapremo presto,» li tranquillizzò Deudermont. Dopo avere dato ordine ai suoi uomini che i passeggeri di quella barca fossero accompagnati alla sua cabina non appena issati a bordo, il capitano si allontanò assieme a Drizzt e Wulfgar perché sapeva che la presenza dell'elfo sul ponte avrebbe distratto i suoi uomini. E in quel momento, dopo la battaglia con le navi pirata, dovevano portare a termine lavori ben più importanti. «Che ha intenzione di fare di noi due?» chiese Wulfgar non appena Deudermont chiuse la porta della cabina. «Abbiamo combattuto per...» Deudermont interruppe le animose parole del gigante con un sorriso disarmante. «Non lo metto in dubbio,» riconobbe con un cenno del capo. «Come vorrei avere marinai così forti in tutti i miei viaggi verso sud. Sarei sicuro che i pirati fuggirebbero non appena la mia nave si profila all'orizzonte.» L'atteggiamento aggressivo di Wulfgar svanì all'udire quel velato complimento. «Il mio travestimento non era inteso per arrecare danno,» disse Drizzt con espressione grave. «E solamente il mio aspetto era una menzogna. Rimane vero che ho bisogno di un passaggio verso meridione per andare ad aiutare un mio amico.» Deudermont annuì, ma prima che potesse rispondere si udì qualcuno bussare alla porta. «Mi scusi, capitano,» disse un marinaio entrando. «Cosa c'è?» chiese Deudermont. «Capitano, lei sa che noi la seguiamo dappertutto,» borbottò il marinaio. «Ma abbiamo pensato di comunicarle come la pensiamo sull'elfo.» Deudermont osservò il marinaio e poi Drizzt. Aveva sempre provato un profondo orgoglio per la propria ciurma. Molti dei suoi uomini erano insieme a lui da molti anni, ma si chiedeva cosa avessero deciso dopo quella strana e inaspettata scoperta. «Dimmi,» incalzò lui, aggrappandosi in modo testardo alla fiducia che provava per loro. «Insomma, sappiamo che è un elfo scuro,» proseguì il marinaio, «e sappiamo tutti cosa vuol dire.» L'uomo ebbe un attimo di esitazione, quasi volesse scegliere con cura le parole che stava per dire. Drizzt trattenne il fiato perché non era la prima volta che sentiva quella storia. «Ma questi due ci hanno tirato fuori da un bel pasticcio,» disse il marinaio tutto d'un fiato. «Non ci saremmo salvati senza di loro!»
«Questo vuol dire che possono rimanere a bordo?» chiese Deudermont abbozzando un ampio sorriso. Il suo equipaggio, anche quella volta, non lo aveva tradito. «Sissignore!» ribatté il marinaio con entusiasmo. «Tutti siamo d'accordo. E siamo orgogliosi di averli con noi!» Un altro marinaio, quello che aveva minacciato Drizzt sulla plancia qualche minuto prima, si affacciò alla porta. «Ho avuto paura, ecco tutto,» disse a Drizzt come per scusarsi. Esterrefatto, Drizzt non riusciva a parlare e con un cenno del capo accettò le scuse di quell'uomo. «Ci vediamo sul ponte, allora,» aggiunse il secondo marinaio scomparendo oltre la porta. «Pensavamo che lei lo dovesse sapere,» aggiunse il primo e subito dopo se ne andò richiudendo la porta. «Sono dei bravi ragazzi,» disse Deudermont rivolto a Drizzt e Wulfgar una volta rimasti soli. «E voi, come la pensate?» chiese Wulfgar. «Io giudico un uomo, e un elfo, dal suo comportamento e non dal suo aspetto,» disse il capitano con voce solenne. «E in questo caso, toglietevi la maschera, Drizzt Do'Urden. Siete molto più bello senza!» «Pochi sarebbero d'accordo con la vostra osservazione,» ribatté Drizzt. «Tutti, sulla Folletto del Mare, la pensano come me!» disse Deudermont con veemenza. «Ma adesso, anche se abbiamo vinto la battaglia, c'è ancora molto lavoro da fare. Ho l'impressione che la tua forza sarà apprezzata a prua, possente barbaro. Dobbiamo disincagliare le navi e andarcene prima che la terza nave pirata ritorni con i rinforzi!» «E voi,» proseguì rivolto a Drizzt con un sorriso sfuggente, «sono convinto che nessuno meglio di voi riesca a tenere a bada un carico di prigionieri.» Drizzt si sfilò la maschera e la ripose nella bisaccia. «Questi sono i vantaggi del colore della mia pelle,» ammise scuotendo i fluenti riccioli canuti. Si stava girando per andarsene con Wulfgar quando la porta si spalancò all'improvviso. «Bella spada, elfo!» esclamò Bruenor Martello di guerra con il viso madido di sudore lanciando a Drizzt la scimitarra magica. «Dagli un nome. Una lama come questa deve averne uno. Potrebbe servire persino ad un cuoco come spiedo per arrostire un maiale!» «Oppure ad un nano che dà la caccia ai draghi,» aggiunse Drizzt impu-
gnando la scimitarra con reverenza e ricordando la prima volta in cui l'aveva veduta, scintillante in mezzo al tesoro del drago morto. L'aveva riposta nel fodero, al posto della sua spada, pensando che poteva essere una degna compagna di Lampo. Bruenor si avvicinò all'amico e gli strinse i polsi con forza. «Quando ho visto che mi guardavi dal bordo di quella gola,» mormorò il nano cercando di ricacciare un nodo che minacciava di incrinargli la voce, «ero sicuro che i miei amici erano salvi.» «Non tutti,» ribatté Drizzt. «Regis è in pericolo.» Bruenor strizzò gli occhi. «Lo salveremo, elfo! Nessun assassino puzzolente riuscirà a nuocere a Pancia-che-brontola!» Stringendo con forza il polso dell'elfo, Bruenor si girò verso Wulfgar, il ragazzo che aveva svezzato alla vita. Wulfgar avrebbe voluto dire qualcosa, ma un nodo alla gola gli impedì di parlare. A differenza di Drizzt, il giovane barbaro non immaginava che Bruenor fosse ancora vivo e non riusciva a capacitarsi di trovarsi di fronte al proprio mentore, al nano che era diventato un padre per lui, ancora vivo e vegeto a pochi passi di distanza. Afferrò Bruenor per le spalle proprio nel momento in cui il nano stava per dire qualcosa e lo sollevò da terra stringendolo in un goffo ma tenero abbraccio. Bruenor impiegò alcuni secondi per divincolarsi da quella stretta e riprendere fiato. «Se tu avessi abbracciato il drago in questo modo,» tossì il nano, «non avrei dovuto scendere in quella gola!» Catti-brie entrò dalla porta, grondante d'acqua con i meravigliosi capelli incollati al collo e alle spalle seguita da Pinochet i cui abiti fradici gli conferivano un'espressione umiliata. Lo sguardo di Catti-brie si appoggiò su Drizzt con un'intensità che oltrepassava i confini della semplice amicizia. «Bentornato,» sussurrò la ragazza. «È di buon auspicio poter rivedere Drizzt Do'Urden. Il mio cuore è sempre stato al tuo fianco.» Drizzt abbozzò un fugace sorriso e distolse subito i suoi occhi lavanda. «Immaginavo che ti saresti unita alla nostra missione,» disse. «Bentornata e benvenuta fra noi.» Lo sguardo di Cattie-brie scivolò lentamente dall'elfo su Wulfgar. Già due volte si erano separati e anche adesso, come nelle volte precedenti, Catti-brie avvertì la profondità del sentimento che provava per il barbaro. Anche Wulfgar la vide. Le gocce di acqua brillavano sul suo volto accentuando il suo sfolgorante sorriso. Con lo sguardo fisso su Catti-brie, il
barbaro appoggiò Bruenor a terra, ma solo l'imbarazzo dell'amore li trattenne dal gettarsi l'uno fra le braccia dell'altro sotto gli occhi di Drizzt e Bruenor. «Capitano Deudermont,» disse infine Drizzt, «vi presento Bruenor Martello di guerra e Catti-brie, due carissimi amici e alleati insostituibili.» «E noi vi abbiamo portato un regalo,» disse Bruenor sorridendo divertito, «dato che non abbiamo denaro con cui pagarci il passaggio.» Bruenor si avvicinò a Pinochet con passo deciso e presolo per una manica lo scaraventò in mezzo alla cabina con uno strattone. «Credo che sia il capitano della nave che ho incendiato.» «Benvenuti a tutti,» disse Deudermont. «Vi assicuro che vi siete guadagnati molto di più di un semplice passaggio.» Il capitano si avvicinò a Pinochet, intuendo l'importanza e il grado di quell'uomo. «Sapete chi sono io?» sbuffò l'uomo convinto di trovarsi davanti ad una persona più ragionevole di quel nano scorbutico. «Un pirata,» disse Deudermont con voce pacata. Pinochet chinò il capo da un lato per studiare meglio l'espressione del capitano mentre le sue labbra abbozzavano un sorriso malizioso. «Avete mai sentito parlare di Pinochet?» Deudermont aveva creduto e temuto di riconoscere quell'uomo appena era entrato nella cabina. Il capitano della Folletto del Mare aveva sentito parlare più volte di Pinochet, come del resto tutti i mercanti lungo la Costa della Spada. «Pretendo l'immediato rilascio del sottoscritto e dei miei uomini!» tuonò il pirata. «A tempo debito,» ribatté Deudermont imperturbabile, mentre i quattro amici, ignari dell'influenza che i pirati avevano in quel tratto di mare, rimasero ad osservare Deudermont con espressione incredula. «Vi devo avvertire che le conseguenze delle vostre azioni saranno pesantissime!» proseguì Pinochet consapevole del vantaggio che aveva ottenuto sul proprio interlocutore. «Non sono un uomo che perdona, e tantomeno i miei amici.» Drizzt comprese il dilemma in cui si trovava il capitano poiché anche la sua gente era solita adattare i principi della giustizia alla situazione contingente. «Lasciatelo andare,» disse sguainando le sue scimitarre magiche. Il bagliore di Lampo era impressionante. «Lasciatelo andare e dategli una spada. Anch'io non perdono facilmente.» Bruenor notò lo sguardo terrorizzato che il pirata lanciò all'elfo scuro e
aggiunse: «Sì, capitano. Lasciate andare quel cane. Gli ho lasciato la testa attaccata al collo solo perché volevo farvi un regalo vivente. Se non vi piace...» Bruenor sfilò l'ascia dalla cintura e con gesto veloce se l'appoggiò contro il braccio. «A mani nude e sull'albero maestro!» ruggì il barbaro irrigidendo i possenti muscoli. «Il pirata ed io! Il vincitore assaporerà il gusto della gloria mentre il perdente cadrà verso la morte!» Pinochet rimase ad osservare esterrefatto quei tre guerrieri e lentamente rivolse uno sguardo supplicante a Deudermont. «Voi non sapete come divertirvi,» disse Catti-brie sorridendo. «Che gusto c'è nel fare a pezzi quel pirata? Dategli una scialuppa e lasciatelo andare.» L'espressione allegra del suo volto si fece improvvisamente arcigna. «Sì, dategli una scialuppa,» ripeté ammiccando, «e lasciatelo andare e vediamo come schiva le mie frecce d'argento!» «Molto bene, capitano Pinochet,» cominciò a dire Deudermont nascondendo a stento un sorriso. «Non ho nessuna intenzione di scatenare l'ira dei pirati. Siete un uomo libero e potete andare quando più vi aggrada.» Pinochet si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con Deudermont. «Oppure,» proseguì il capitano, «voi e la vostra ciurma potete rimanere nella mia stiva, sotto la mia protezione personale, finché non raggiungiamo un porto.» «Non riuscite a controllare i vostri uomini?» sbottò il pirata indignato. «Non sono i miei uomini,» ribatté Deudermont, «e se queste quattro persone decidono di uccidervi, ritengo di non poter fare quasi nulla per far cambiar loro idea.» «La mia gente non lascia vivere il nemico in questo modo!» sibilò Drizzt con un tono così malvagio che fece rabbrividire persino i suoi amici. «Ho bisogno di voi, capitano Deudermont, e della vostra nave,» aggiunse infilando le scimitarre nei foderi con gesto fulmineo. «Lascerò in vita questo pirata in cambio dell'esecuzione di quanto abbiamo pattuito.» «La stiva, capitano Pinochet?» chiese Deudermont mentre con un gesto della mano ordinava a due marinai di scortare il pirata. Pinochet rivolse lo sguardo verso Drizzt. «Se mai passerai un'altra volta per questo mare...» cominciò a minacciare il pirata. Bruenor gli rifilò un potente calcio nel sedere. «Se tiri fuori ancora quella tua dannata lingua di cane,» ruggì il nano, «ti assicuro che te la taglio.» Pinochet uscì dalla cabina a capo chino, accompagnato dai due marinai di Deudermont.
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Più tardi, mentre la ciurma era impegnata nei lavori di riparazione, gli amici riuniti si ritirarono nella cabina di Drizzt e Wulfgar per ascoltare le avventure di Bruenor a Mithril Hall. La luna sorse nel cielo stellato e il nano stava ancora raccontando delle splendide ricchezze che aveva veduto, dei luoghi antichi e sacri che aveva attraversato nella sua patria, delle schermaglie con le pattuglie di duergar e della rischiosa fuga finale dalla grande città sotterranea. Catti-brie era seduta davanti a Bruenor e osservava il nano attraverso la fiamma ondeggiante della candela che ardeva in mezzo al tavolo. Aveva già sentito quella storia, ma Bruenor aveva la capacità di raccontare come nessun altro e quelle vicende erano riuscite a catturare ancora una volta la sua attenzione. Wulfgar si era seduto al suo fianco e le aveva cinto le spalle con le sue forti braccia. Drizzt si era appoggiato alla finestra e guardava con occhi rapiti il cielo, proprio come ai vecchi tempi, come se quella sera avesse improvvisamente dato vita ad un angolo della Valle del Vento Ghiacciato. Quante notti avevano trascorso insieme a raccontarsi il loro passato o semplicemente ad assaporare la quiete notturna. A quei tempi il quinto amico era con loro e con le sue storie esotiche e bizzarre riusciva a rendere banali i loro racconti. Drizzt rivolse lo sguardo sugli amici poco lontano e lentamente si voltò verso il cielo stellato, sperando di ritornare tutti insieme, un giorno. Un colpo alla porta fece sussultare i tre seduti attorno al tavolo, tanto erano coinvolti nel racconto di Bruenor. Drizzt andò ad aprire. «Salve,» li salutò il capitano. «Non vorrei interrompervi, ma devo darvi alcune notizie.» «Proprio sul più bello,» mugugnò Bruenor contrariato, «anche se una pausa non guasta!» «Ho interrogato Pinochet,» proseguì Deudermont. «È un uomo molto influente in questa zona e non mi convince il fatto che sia venuto ad attaccarci con tre navi. Sta cercando qualcosa.» «Noi,» disse Drizzt. «Non mi ha detto nulla,» ribatté Deudermont, «ma anch'io ho pensato la stessa cosa. Cercate di capire che non posso metterlo sotto torchio.» «Lo farò cantare io, quel cane!» sbottò Bruenor.
«Non c'è bisogno,» disse Drizzt. «I pirati cercavano proprio noi.» «Come potevano sapere che eravate qui?» «Le sfere di fuoco nel cielo di Baldur,» aggiunse Wulfgar. Deudermont annuì ricordando quella scena. «A quanto pare avete attirato potenti nemici.» «L'uomo che stiamo cercando sapeva che saremmo arrivati a Baldur,» spiegò Drizzt. «Ci ha persino lasciato un messaggio. Non sarà stato difficile per uno come Artemis Entreri far sì che venisse lanciato un segnale per comunicare la notizia della nostra partenza.» «Oppure per organizzare l'imboscata in mare,» aggiunse Wulfgar con voce severa. «Sembra proprio che sia così,» disse Deudermont. Drizzt rimase in silenzio poiché un altro sospetto lo aveva assalito. Perché Entreri li aveva condotti fino a quel punto per farli uccidere dai pirati? Qualcun altro doveva aver tramato alle loro spalle, e Drizzt ebbe l'impressione che doveva trattarsi di Pascià Pook in persona. «Ma ci sono altre questioni di cui dobbiamo parlare,» proseguì Deudermont. «La mia nave è massiccia, ma ha subito danni seri come quelli della nave pirata che abbiamo catturato.» «Intendete trasportarla lontano da qui?» chiese Wulfgar. «Sì,» ribatté il capitano. «Libereremo Pinochet e il suo equipaggio non appena entriamo in porto. Da lì si imbarcheranno sulla loro nave.» «I pirati meritano ben di peggio,» bofonchiò Bruenor. «I danni rallenteranno il nostro viaggio?» chiese Drizzt preoccupato. «Certo,» rispose Deudermont, «ma spero di raggiungere il regno di Calimshan, e a Memnon, oltre il confine di Tethyr. La nostra bandiera ci aiuterà nel regno del deserto. Là potremo attraccare e fare le riparazioni.» «Per quanto tempo?» Deudermont scrollò le spalle. «Una settimana, forse un po' più a lungo. Non posso sapere per certo finché non avrò valutato il danno. E ci vorrà un'altra settimana per circumnavigare il promontorio fino a Calimport.» I quattro amici si scambiarono occhiate preoccupate. Quanti giorni il povero Regis poteva ancora resistere? Il nanerottolo avrebbe retto quel ritardo inaspettato? «Ma c'è un'altra possibilità,» aggiunse Deudermont. «Il viaggio da Memnon fino a Calimport, oltre la città di Teshburl, nel Mare Lucente è molto più lungo rispetto ad un viaggio via terra. Quasi ogni giorno partono carovane per Calimport, e anche se è molto duro attraversare il deserto di
Calim, il viaggio non sarà lungo più di alcuni giorni.» «Non abbiamo oro con cui pagarci il passaggio,» disse Catti-brie. Deudermont risolse il problema con un ampio gesto della mano. «È un piccolo costo,» disse. «Qualsiasi carovana diretta verso il deserto desidererà avervi come guardie del corpo. Inoltre, vi siete guadagnati una buona ricompensa per averci dato una mano,» proseguì facendo tintinnare una saccoccia piena di denari che penzolava dalla sua cintura. «Oppure, se preferite, potete rimanere a bordo finché vi fa comodo.» «Quanto ci impiegheremo per raggiungere Memnon?» chiese Drizzt. «Dipende dai venti che gonfieranno le nostre vele,» ribatté Deudermont. «Cinque giorni, forse una settimana.» «Dateci qualche notizia sul deserto di Calim,» si intromise Wulfgar. «Cos'è un deserto?» «Una terra desolata,» rispose il capitano con espressione severa, non nascondendo il pericolo che avrebbero dovuto sostenere se avessero scelto quella soluzione. «Una terra sferzata da torridi venti e da eterni uragani, dove i mostri governano gli umani e dove più di un viandante sfortunato ha trovato la morte ed è diventato il sostentamento degli avvoltoi.» I quattro amici alzarono le spalle all'udire la descrizione del capitano. Ad eccezione della differenza di temperatura, quella terra assomigliava alla Valle del Vento Ghiacciato. 13 Chi paga comanda Il porto si estendeva a perdita d'occhio e le vele di migliaia di navi rallegravano le acque azzurre del Mare Lucente. Avrebbero impiegato molte ore a percorrerlo tutto, indipendentemente dalla porta che stavano cercando. Calimport, la città più grande di tutti i Reami, era un immenso agglomerato di capanne e templi imponenti, di torri altissime che si ergevano sui tetti bassi delle case di legno. Era il centro della costa meridionale, un immenso mercato molto più grande della stessa Waterdeep. Entreri si allontanò dal porto trascinando Regis con sé ed entrò in città. Il nanerottolo non oppose resistenza tanto era affascinato dai profumi, dal panorama e dai suoni che animavano quella città. Persino il terrore che l'aveva colto al pensiero di dover affrontare Pascià Pook era svanito
nell'ondata di ricordi che il ritorno nella sua città gli aveva suscitato. Là aveva trascorso tutta la sua fanciullezza di orfano abbandonato, guadagnandosi un tozzo di pane per le strade e dormendo accoccolato accanto ai falò di immondizie che gli altri vagabondi come lui accendevano nei vicoli bui per riscaldare le notti gelide. Tuttavia, Regis era stato più fortunato degli altri pezzenti di Calimport. Persino da ragazzo, aveva un fascino irresistibile e una fortuna che lo faceva sempre cadere in piedi. La combriccola con cui si aggirava per le vie un bel giorno si vide privata di lui quando il loro compagno venne adottato dalle donne di uno dei tanti postriboli della città. Le 'signore' si dimostrarono molto gentili con lui e gli affidarono piccoli compiti di pulizia e cucina in cambio di uno stile di vita talmente agiato che i suoi vecchi amici potevano solo sognare. Intravedendo in lui potenzialità nascoste, le signore arrivarono al punto di presentare Regis all'uomo che poi divenne il suo mecenate e che lo avrebbe fatto diventare uno dei migliori ladri che la città ebbe a memoria d'uomo: Pascià Pook. Quel nome ritornò alla mente di Regis con la forza di uno schiaffo in pieno viso, ricordandogli la terribile realtà che doveva affrontare. Era diventato ben presto il piccolo borsaiolo preferito di Pook, l'orgoglio e la gioia del capo della corporazione, ma quella posizione altro non faceva che peggiorare l'attuale situazione di Regis, perché Pook non lo avrebbe mai perdonato per un simile tradimento. Ricordi ben più vividi agitarono l'animo di Regis facendogli vacillare le gambe quando Entreri lo trascinò verso il Quartiere dei Ladri. In fondo, a chiusura della strada che stavano imboccando, vide un edificio di legno dalle linee sobrie, con un unico portone liscio. Regis conosceva gli splendori nascosti oltre quella modesta facciata, e tutti gli orrori. Entreri lo afferrò per il bavero e continuò a camminare a passo spedito. «Ora, Drizzt! Adesso!» sussurrò Regis, nella speranza che l'amico arrivasse proprio in quel momento disperato ad aiutarlo. Ma Regis sapeva che quella preghiera non avrebbe trovato ascolto poiché si trovava invischiato fino al collo in un pantano dal quale non poteva più uscire. Due guardie travestite da vagabondi andarono incontro ai due mentre si avvicinavano al portone. Entreri non disse nulla, limitandosi a lanciare loro un'occhiata furiosa. Le due guardie riconobbero l'assassino. Una si allontanò inciampando sui propri piedi mentre l'altro si precipitò verso il portone e bussò con forza. Si aprì uno spioncino attraverso il quale la guardia sussurrò qualcosa al
portinaio, e in un baleno il portone si aprì. Varcare la soglia della corporazione dei ladri fu un'emozione fortissima per il povero nanerottolo. La sua mente venne ottenebrata da un'oscurità senza fine e la mano di Entreri lo sostenne quando le forze lo abbandonarono. Non tradendo emozione né sorpresa, l'assassino sollevò Regis e se lo mise in spalla, portandolo come un sacco lungo il corridoio e la scalinata oltre il portone. Altre due guardie si affiancarono per scortarlo, ma incurante della loro presenza Entreri proseguì con passo deciso. Erano passati tre anni da quando Pook lo aveva mandato alla ricerca di Regis, ma l'assassino si ricordava bene la strada. Attraversò numerose sale, scese un altro piano e poi cominciò a salire un'interminabile scala a chiocciola, verso il livello della strada e poi più su, fino a raggiungere le stanze più alte dell'intero edificio. Regis rinvenne, ma la sua mente era ancora offuscata da terribili presagi. Si guardò intorno con aria disperata. Le immagini acquistavano nitidezza e lentamente si ricordò di dove si trovava. Entreri lo teneva per le caviglie e la testa del nanerottolo penzolava dietro la schiena dell'assassino, mentre la sua mano si trovava a pochi centimetri dal suo pugnale tempestato di gemme. Ma anche se fosse riuscito a impugnare quell'arma con un gesto fulmineo, Regis non sarebbe mai riuscito a fuggire da quel labirinto... non certo con le caviglie imprigionate in quella morsa, con due guardie armate alle calcagna e gli sguardi incuriositi che seguivano il loro passaggio dalle fessure delle porte socchiuse. Le voci si erano sparse nella corporazione molto più velocemente dell'incedere spedito di Entreri. Regis riuscì a spostarsi e guardare oltre il fianco di Entreri per vedere cosa lo aspettava. Arrivarono su un pianerottolo, dove quattro guardie si spostarono senza obiettare per lasciarli passare in un corridoio che finiva davanti ad una massiccia porta con pesanti chiavistelli di ferro... La porta di Pascià Pook. A quella vista Regis si sentì sopraffare ancora una volta dalle tenebre che assediavano la sua mente. *
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Quando entrò nella sala, Entreri capì di essere atteso. Pook era mollemente seduto sul suo trono, LaValle al suo fianco e l'amato leopardo ai
suoi piedi. Nessuno dei presenti sembrò stupirsi dell'improvviso arrivo di quei due soci da tempo assenti. L'assassino e il capo della corporazione rimasero ad osservarsi a lungo. Entreri osservò quell'uomo con molta attenzione perché non si era aspettato un'accoglienza così glaciale, ed ebbe l'impressione che qualcosa non andasse per il verso giusto. Entreri si tolse Regis dalla spalla e lo tenne sollevato per le caviglie, porgendolo a Pascià Pook quasi fosse un trofeo. Consapevole che Regis era svenuto, mollò la prese e lo lasciò cadere pesantemente a terra. Pook ridacchiò divertito. «Sono passati tre lunghi anni,» disse infine il capo rompendo la tensione che aleggiava nell'aria. Entreri annuì lentamente. «Quando sono partito, te l'avevo detto che avrei potuto impiegare molto tempo. Questo ladruncolo si è rifugiato nell'angolo più sperduto del mondo.» «Ma non è riuscito a sfuggirti, vero?» disse Pook con velato sarcasmo. «Hai eseguito i miei ordini in modo eccellente, come sempre del resto, Maestro Entreri. Ti verrà data la ricompensa come promesso.» Pook si appoggiò allo schienale del trono assumendo un atteggiamento imperscrutabile e cominciò a lisciarsi le labbra con un dito mentre osservava Entreri con fare sospetto. Entreri non riusciva a capacitarsi della ragione per cui Pook lo trattasse così male, dopo anni di difficoltà durante i quali aveva condotto a buon fine la missione affidatagli. Regis era riuscito a sfuggire al capo della corporazione per più di cinque anni prima che Pook stesso non lo facesse inseguire da Entreri. Considerati gli anni in cui Pook aveva cercato di catturarlo, l'assassino non riteneva che tre anni fossero molto per avere portato a termine quella missione. Oltretutto, l'assassino era stanco e si rifiutava di dover interpretare quello strano comportamento di Pook. «Se c'è qualche problema, dimmelo,» disse con tono reciso. «C'è stato un problema,» ribatté Pook con fare misterioso. Entreri, per la prima volta in vita sua, indietreggiò di un passo. Regis riprese i sensi e riuscì a mettersi a sedere, ma i due uomini non si accorsero nemmeno di lui, tanto erano impegnati nella conversazione. «Ti hanno seguito,» spiegò Pook consapevole che sarebbe stato rischioso esasperare l'animo dell'assassino. «Erano amici del nanerottolo?» Regis ebbe un sussulto. Entreri rimase in silenzio per soppesare la risposta. Aveva intuito dove Pook aveva intenzione di arrivare. Sicuramente
Oberon lo aveva informato non solo del suo ritorno con Regis e si ripromise di fare una visita a quel mago la prossima volta che sarebbe passato da Baldur, per spiegare bene ad Oberon i compiti di una spia e il significato della riservatezza. Nessuno aveva mai osato fare uno sgarbo ad Artemis Entreri per due volte di fila. «Non importa,» disse Pook non ottenendo alcuna risposta. «Non possono più nuocerci.» Regis si sentì morire. Si trovava nelle terre meridionali, proprio nel cuore del regno di Pascià Pook. E se Pook aveva appreso che i suoi amici lo stavano cercando, senza ombra di dubbio aveva fatto quanto era in suo potere per eliminarli. Anche Entreri capì le implicazioni di quella frase e lottando per tenere a bada uno sbotto d'ira strinse i pugni. «Io faccio gli affari miei,» sibilò l'assassino rivolto a Pook, confermando al capo della corporazione il sospetto che fra Entreri e i propri inseguitori esistesse un misterioso gioco di forze. «E io i miei!» tuonò Pook irrigidendosi sul trono. «Non ho la più pallida idea di cosa ti leghi a quell'elfo e al suo amico barbaro, Entreri! Ma sono sicuro che non hanno nulla a che fare con il mio pendente!» Pook si appoggiò di nuovo allo schienale, ritornando improvvisamente calmo, consapevole del fatto che quella discussione stava diventando troppo pericolosa. «Non potevo correre inutili rischi!» La tensione si allentò nel corpo irrigidito di Entreri. Non desiderava una guerra con Pook e non poteva fare nulla per cambiare il passato. «Come?» chiese. «Pirati,» ribatté Pook. «Pinochet mi doveva un favore.» «Sei sicuro?» «Che te ne importa?» chiese Pook. «Tu sei qui, assieme al nanerottolo. Il mio penden...» La parola rimase sospesa nell'aria, perché si era reso conto solo allora che non aveva ancora visto il suo prezioso ciondolo di rubino. Fu la volta di Pook a cominciare a dubitare mentre la fronte gli si imperlava di sudore. «Sei sicuro?» ripeté Entreri non accennando a rendere il pendente magico nascosto sotto la sua veste. «No,» ribatté Pook con un filo di voce, «ma tre navi li hanno inseguiti. Non ci possono essere dubbi sull'esito.» Entreri frenò a stento un sorriso perché conosceva abbastanza bene quel potente elfo e il suo amico barbaro e non li avrebbe creduti morti finché non avesse veduto i loro cadaveri con i propri occhi. «Sì, non ci possono essere dubbi,» ripeté con un sibilo mentre si sfilava il rubino dal collo per
lanciarlo a Pook. Pook lo prese con mano tremante riconoscendone subito il bagliore familiare. Quale potere stava stringendo ora nelle sue mani! Grazie a quel rubino magico, con Artemis Entreri al suo fianco e i ratti mannari di Rassiter sotto il suo controllo, nessuno avrebbe più potuto fermarlo! La Valle appoggiò una mano sulla spalla del capo della corporazione. Quel gesto fece sollevare lo sguardo fremente di anticipazione di Pook verso l'uomo. «Riceverai la ricompensa che ti ho promesso,» ripeté Pook rivolto ad Entreri appena riuscì a trovare le parole, frastornato com'era da quella ridda di forti emozioni. «E molto di più!» «Salute a te, allora,» ribatté Entreri con un profondo inchino. «È bello ritornare a casa.» «E cosa c'è da dire su quell'elfo e il barbaro?» disse Pook covando improvvisamente dubbi sulla fiducia che aveva finora riposta sull'assassino. Entreri lo zittì alzando una mano. «Una tomba d'acqua ha la stessa funzione delle cloache di Calimport,» disse. «Non preoccupiamoci di quanto abbiamo lasciato alle nostre spalle.» Un sorriso illuminò il viso paffuto di Pook. «Esatto. Bentornato, assassino!» disse con sguardo raggiante. «Soprattutto quando dobbiamo sbrigare ancora molte cose interessanti.» Lanciò uno sguardo malevolo a Regis, ma il nanerottolo, piegato su se stesso sul pavimento accanto ad Entreri, non se ne accorse. Regis stava ancora cercando di farsi una ragione del destino dei suoi amici. In quell'attimo, non gli interessava come le loro morti avrebbero influenzato il suo futuro. Il suo cuore sanguinava per la loro dipartita. Prima Bruenor a Mithril Hall, poi Drizzt e Wulfgar, e fors'anche Catti-brie. Cos'erano le terribili minacce di Pascià Pook in confronto al dolore che provava per quella perdita? «Ho passato molte notti insonni in preda all'angustia che provavo per causa tua,» disse Pook rivolto a Regis. «E molte altre pensando a come avrei potuto ripagarti!» La porta si aprì all'improvviso interrompendo le parole di Pook. Il capo della corporazione non dovette alzare lo sguardo per vedere chi avesse mai osato entrare senza permesso. Solo un uomo in tutta la corporazione avrebbe avuto il coraggio di un'azione così sfrontata. Rassiter irruppe nella sala e si avvicinò descrivendo un semicerchio mentre con lo sguardo osservava i nuovi arrivati. «Salve, Pook,» disse con
aria distratta mentre ricambiava lo sguardo sdegnoso dell'assassino. Pook non disse nulla, ma appoggiò il mento sul palmo della mano e rimase ad osservare. Da tempo aveva cercato di immaginarsi quell'incontro. Rassiter era una trentina di centimetri più alto di Entreri, una caratteristica che acuiva l'atteggiamento impertinente di quell'essere. Come la maggior parte degli ignoranti che affollavano le strade di Calimport, Rassiter confondeva l'altezza con la forza e squadrando quell'uomo che ormai era diventato una leggenda, e per quella ragione suo acerrimo rivale, ebbe l'impressione di essere in netto vantaggio. «Allora, saresti tu il grande Artemis Entreri,» disse con voce sprezzante. Entreri non batté ciglio, ma nel suo sguardo balenò un lampo assassino mentre seguiva il movimento circolare di Rassiter. Persino Regis era rimasto paralizzato alla vista della sfrontatezza di quello straniero poiché nessuno aveva mai avuto il coraggio di rivolgersi a Entreri con quel tono. «Salve,» disse Rassiter, con aria soddisfatta e un inchino, dopo un lungo silenzio. «Mi chiamo Rassiter, il consigliere più intimo di Pascià Pook e padrone del porto.» Entreri continuò a non aprire bocca e lanciò uno sguardo interrogativo verso Pook. Il capo della corporazione sostenne lo sguardo di Entreri con una smorfia imbarazzata e alzò le mani in un gesto rassegnato. Rassiter si avvicinò all'assassino con consumata familiarità. «Tu ed io,» disse quasi sussurrando all'orecchio di Entreri, «possiamo fare grandi cose insieme.» Stava per appoggiare una mano sulla spalla dell'assassino quando Entreri lo fece desistere con uno sguardo glaciale, un'occhiata così terribile che persino l'impertinente Rassiter cominciò a intravedere la minaccia che vi si celava. «Scoprirai ben presto che posso offrirti molte cose,» disse Rassiter indietreggiando di un passo, ma non ottenendo risposta si rivolse a Pook. «Vuoi che mi prenda cura del tuo piccolo ladro?» chiese abbozzando un disgustoso sorriso. «Quello lì è mio,» ribatté Pook con fermezza. «Tu e quelli della tua risma tenete le vostre mani pelose lontano da lui!» Entreri avvertì la velata insinuazione nascosta nelle parole di Pook. «Ma certo,» ribatté Rassiter. «Me ne vado, allora. Ho parecchie cose da fare.» Salutò Pook con un veloce inchino e giratosi di scatto incrociò lo sguardo di Entreri per la seconda volta, ma non riuscì a sostenerlo perché la sua intensità lo fece rabbrividire.
Scosse il capo incredulo mentre si allontanava, poiché era convinto che Entreri non aveva ancora battuto ciglio da quando era entrato in quella sala. «Te n'eri andato e non avevo più il mio pendente,» cominciò a spiegare Pook non appena la porta si richiuse. «Rassiter mi ha aiutato a conservare e persino espandere il potere della mia corporazione.» «È un ratto mannaro,» precisò Entreri, come se solo quel fatto bastasse a concludere la discussione. «È il capo della loro corporazione,» aggiunse Pook. «Sono leali ed è abbastanza facile controllarli,» disse sollevando il pendente davanti agli occhi. «E sarà ancora più facile adesso!» Entreri stentava a credere, anche alla luce del goffo tentativo di spiegazione da parte di Pook. Aveva bisogno di tempo per considerare i nuovi sviluppi della situazione, per capire quante cose erano mutate fra le pareti di quell'edificio. «La mia stanza?» chiese. LaValle si mosse impacciato e guardò Pook. «L'ho usata io,» balbettò il mago, «ma ne stanno costruendo un'altra per me.» Il suo sguardo andò alla porta che da poco era stata aperta nella parete fra l'harem e la vecchia stanza di Entreri. «La finiranno a giorni, ma posso andarmene subito dalla tua.» «Non c'è alcun bisogno,» ribatté Entreri spazientito. Voleva allontanarsi da Pook per un po' per valutare la sua posizione alla luce delle nuove scoperte ed elaborare le sue prossime mosse. «Mi sistemerò in una stanza al piano inferiore dove potrò meditare sui nuovi modi che governano la corporazione.» LaValle si lasciò sfuggire un sonoro sospiro di sollievo. Entreri afferrò Regis per il bavero. «Che devo fare di questo?» Pook incrociò le mani davanti al petto e chinò il capo da un lato. «Ho pensato a migliaia di torture degne del tuo crimine,» sibilò diretto a Regis. «Troppe, devo dire, perché in verità non ho trovato ancora un modo con cui farti scontare quanto mi hai fatto.» Pook rivolse lo sguardo verso Entreri. «Non importa,» aggiunse ridacchiando. «Mi verrà in mente qualcosa. Mettilo nella Cella dei Nove.» Regis si sentì mancare quando udì il nome delle infami segrete. Era la cella preferita da Pook, la stanza degli orrori riservata ai ladri che avevano ucciso altri membri della corporazione. Entreri abbozzò un sorriso soddisfatto quando notò un'espressione terrorizzata sconvolgere il viso del nanerottolo. Lo sollevò di peso da terra e lo trascinò fuori dalla sala.
«Non è andata molto bene,» disse LaValle non appena Entreri se ne fu andato. «È stato splendido, invece!» esclamò Pook. «Non ho mai visto Rassiter così nervoso e l'intera scena mi ha dato un piacere più grande di quanto avessi mai potuto immaginarmi!» «Entreri lo ucciderà se non sta attento,» osservò LaValle con espressione cupa. Pook parve divertito da quella frase. «Allora verremo a sapere chi succederà a Rassiter,» disse sollevando lo sguardo verso LaValle. «Non temere, amico. Rassiter sa come sopravvivere. Ha fatto delle strade di Calimport la sua dimora e sa quando rifugiarsi nella penombra dei vicoli per mettersi in salvo. Imparerà presto come comportarsi con Entreri e troverà un modo per dimostrare il dovuto rispetto verso l'assassino.» La mente di LaValle non era concentrata però sulla salvezza di Rassiter. Più volte aveva lui stesso accarezzato l'idea di sbarazzarsi con le proprie mani di quel maledetto ratto mannaro. Quello che lo preoccupava maggiormente era la possibilità di una rottura più profonda all'interno della corporazione. «Cosa succede se Rassiter aizza i suoi alleati contro Entreri?» chiese con voce ancora più cupa. «Ne deriverebbe una guerra all'ultimo quartiere che spaccherebbe irrimediabilmente in due la corporazione.» Pook allontanò da sé quell'ipotesi con un ampio gesto della mano. «Rassiter non è uno stupido,» rispose giocherellando distrattamente con il rubino, confortato dalla ritrovata sicurezza. LaValle si rilassò, soddisfatto della calma padronanza di sé del suo maestro e della capacità di Pook di tenere sotto controllo quella situazione così delicata. Anche quella volta Pook aveva ragione, si sorprese a pensare LaValle. Entreri aveva soggiogato la tracotanza del ratto mannaro con un semplice sguardo, per il bene di tutti. Forse grazie a ciò, Rassiter ora avrebbe avuto un comportamento degno del suo rango e sarebbe rimasto al proprio posto. Presto Entreri sarebbe ritornato ad abitare in quello stesso piano, e forse le irruzioni di quella fetida creatura si sarebbero diradate. Dopotutto, era un sollievo che Entreri fosse ritornato. *
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La Cella dei Nove era conosciuta con quel nome per le nove celle scavate nel pavimento di un enorme salone. Solo la cella centrale era libera, mentre le altre otto contenevano la collezione più preziosa di Pascià Pook:
i voraci felini provenienti da ogni angolo dei Reami. Entreri consegnò Regis al carceriere, un uomo gigantesco con il volto coperto da una maschera, e rimase ad osservare la scena. Il carceriere legò attorno al nanerottolo un'estremità di una pesante corda che saliva verso una carrucola fissata sul soffitto, proprio sopra la cella centrale, e ridiscendeva verso una manovella che si intravedeva in un lato. «Slegati quando sei dentro,» bofonchiò il carceriere diretto a Regis sospingendolo avanti. «Cammina!» Regis camminò frettolosamente lungo le pareti che limitavano le celle più esterne, larghe non più di tre metri, nelle cui pareti erano state scavate gli anfratti dove le belve andavano a dormire. Purtroppo però in quel momento i felini non riposavano e sembravano invece molto affamati, come sempre. Regis decise di camminare sull'asse fra un leone bianco e una minacciosa tigre pensando che quelle due bestie gigantesche non avessero intenzione di risalire le pareti alte oltre sei metri per graffiargli le caviglie mentre lui passava. Ma mise un piede in fallo e scivolò giù dalla parete che separava le celle e rimase paralizzato dal terrore. Il carceriere dette uno strattone alla corda prima che Regis cadesse nella cella del leone. Il nanerottolo riprese a camminare con riluttanza, prestando molta attenzione a mettere un piede davanti all'altro nel disperato tentativo di non sentire i ruggiti e il rumore degli artigli contro la parete a pochi metri dai suoi piedi. Aveva quasi raggiunto la cella centrale quando la tigre si lanciò con tutto il peso del corpo contro la parete facendola oscillare in modo pauroso. Regis perse l'equilibrio e cadde nella cella lanciando un urlo raccapricciante. Il carceriere girò con vigore la manovella riuscendo a sollevare Regis all'ultimo momento salvandolo dai temibili artigli della tigre. Il nanerottolo ondeggiò a mezz'aria e andò a sbattere contro la parete, ma non sentì il dolore che parve squarciargli il torace. Risalì la parete con disperazione e continuò a camminare verso la cella centrale, dove si fermò e si lasciò calare dal carceriere. Non appena appoggiò i piedi sul pavimento, Regis si aggrappò a quella corda, rifiutandosi di pensare che essa rappresentasse l'unica e ultima sua salvezza da quel luogo spaventoso. «Slegati!» ordinò il carceriere. Il tono della sua voce lasciava intuire che se non avesse obbedito, Regis avrebbe sofferto pene indicibili. Lentamente si slegò e lasciò andare la corda.
«Sogni d'oro,» disse il carceriere con una risata raccapricciante ritirando la corda. L'uomo incappucciato se ne andò con Entreri spegnendo tutte le torce che rischiaravano quella sala e sbattendo la pesante porta di ferro. Regis rimase solo nelle tenebre più assolute, vicino a otto belve fameliche. Le pareti che separavano le celle delle belve erano sufficientemente solide da impedire che gli animali si nuocessero a vicenda, ma la cella centrale era delimitata da sbarre distanziate l'una dall'altra in modo che gli animali potessero infilarvi le loro temibili zampe fornite di terribili artigli. Inoltre, quella camera di tortura era perfettamente circolare e ciò permetteva alle belve di raggiungere facilmente l'ospite della nona cella. Regis non aveva il coraggio di muoversi. Il carceriere lo aveva appoggiato esattamente al centro della cella, l'unico punto in cui si sentiva al riparo dagli affilati artigli degli otto felini. Osservò quegli occhi fosforescenti che risplendevano nel buio. Sentì il grattare frenetico degli artigli contro il pavimento e i tentativi disperati di quelle belve di afferrarlo. Ogni volta che una zampa sbatteva a terra con un tonfo sordo, Regis doveva sforzarsi di non indietreggiare per non finire sotto gli artigli di un altro felino in agguato. Cinque minuti passarono con la lentezza di un'ora, e Regis rabbrividì all'idea dei giorni che avrebbe trascorso là per volere di Pook. Forse sarebbe stato meglio farla finita subito, si sorprese a pensare. Quello infatti era un pensiero molto comune fra gli ospiti della nona cella. Ma non appena il suo sguardo spaziò sulle belve che l'attorniavano, allontanò da sé quell'idea dettata dalla disperazione. Nonostante fosse convinto che una morte veloce fra le fauci di una tigre era di gran lunga migliore del destino che doveva indubbiamente affrontare, capì che non avrebbe mai trovato il coraggio per farla finita. Era sempre sopravvissuto alle situazioni più impensabili, e non poteva certo tacitare la parte testarda del suo essere che si rifiutava di soccombere nonostante il suo futuro fosse sospeso ad un filo sottilissimo. Rimase in piedi, fermo come una statua, e cercò di occupare la mente con le vicende del suo passato e dei dieci anni trascorsi lontano da Calimport. Quante cose aveva veduto durante i suoi viaggi, quanti pericoli aveva dovuto affrontare. Regis ripensò alle battaglie e alle fughe, soffermandosi sui particolari più insignificanti, nel tentativo di riassaporare l'ebrezza che aveva provato allora, nel disperato tentativo di rimanere sveglio. Se la stanchezza e il sonno si fossero impossessati del suo corpo, Regis sapeva che si sarebbe accasciato a terra e involontariamente avrebbe offer-
to una parte del suo corpo agli artigli di una di quelle bestie. Più di un prigioniero aveva trovato la morte in quel modo, trascinato contro le sbarre e dilaniato. Ma anche chi aveva avuto la fortuna di sopravvivere agli orrori della Cella dei Nove non avrebbe mai più dimenticato gli sguardi famelici di quelle belve indiavolate. 14 Serpi danzanti La fortuna sospinse la Folletto del Mare danneggiata e il vascello pirata catturato con un mare calmo e un vento costante e gentile. Il viaggio attorno alla penisola di Tethyr procedette monotono e tranquillo, forse troppo lento per i quattro amici impazienti perché ogni volta che le due navi sembravano avanzare, una delle due creava qualche problema. A meridione della penisola, Deudermont portò le navi in un tratto di mare conosciuto con il nome di Mare degli Inseguimenti perché proprio là le navi dei mercanti erano solite diventare il bersaglio dei pirati. Ma nessun vascello pirata infastidì Deudermont e i suoi uomini, e nemmeno la terza nave di Pinochet osò ritornare all'attacco. «Il nostro viaggio si avvicina alla fine,» disse il capitano ai quattro amici quando la costa frastagliata delle Colline Porpora si delinearono all'orizzonte all'alba del terzo giorno. «Dove finiscono le colline, là inizia Calimshan.» Drizzt si appoggiò al parapetto di prua e rimase ad osservare la pallida acqua dei mari meridionali, chiedendosi se mai sarebbero arrivati in tempo per salvare Regis. «C'è una colonia della vostra gente nell'entroterra,» gli disse Deudermont distogliendolo dai suoi pensieri, «in un fitto bosco chiamato Mir.» Il capitano non riuscì a nascondere un violento fremito. «Gli elfi scuri non sono ben visti in quella regione e vi consiglierei di indossare la maschera.» Drizzt infilò la maschera soprappensiero assumendo i lineamenti di un elfo di superficie. Quel gesto non lo turbò quanto invece turbò i suoi amici che rimasero ad osservarlo con rassegnato sdegno, anche se in cuor loro sapevano che Drizzt stava facendo il proprio dovere comportandosi con lo stesso paziente stoicismo che aveva governato la sua vita fin dal momento in cui aveva abbandonato il suo popolo. La nuova identità dell'elfo risultò strana agli occhi di Wulfgar e Catti-
brie, mentre Bruenor sputò sdegnosamente in acqua, disgustato dalla cecità di chi non riusciva a vedere oltre la scorza superficiale di un uomo. Nel primo pomeriggio, un centinaio di vele punteggiava l'orizzonte meridionale e la lunga linea del porto seguiva il profilo della costa dove si intravedevano i tuguri di argilla oltre i quali tende variopinte si estendevano a perdita d'occhio. Ma nonostante la grandezza del porto di Memnon, il numero di pescherecci e navi mercantili e di navi da guerra della potente flotta di Calimshan era impressionante. La Folletto del Mare e la nave catturata dovettero gettare l'ancora al largo in attesa che si liberasse un molo dove attraccare, un'attesa che, il capitano di porto si premurò di informare Deudermont, poteva durare anche una settimana. «Presto ci verrà a fare visita la flotta di Calimshan,» spiegò Deudermont mentre la lancia del capitano di porto si allontanava. «Vengono a ispezionare la nave pirata e ad interrogare Pinochet.» «Prenderanno in consegna quel cane?» chiese Bruenor. Deudermont scosse il capo. «È improbabile. Pinochet e i suoi uomini sono miei prigionieri e quindi devo sbrigarmela da solo. Calimshan desidera la fine delle attività dei pirati nei suoi mari e sta facendo passi da gigante per raggiungere il suo scopo, ma dubito che voglia avere a che fare con una persona potente come Pinochet.» «Che ne sarà di lui, allora?» bofonchiò Bruenor cercando di capire i risvolti politici di quell'affermazione. «Partirà con i suoi uomini all'inseguimento di qualche altra nave,» ribatté Deudermont. «E per avvertire quel sorcio di Entreri che gli siamo sfuggiti,» sbottò Bruenor indignato. Consapevole della situazione particolare in cui si trovava Deudermont, Drizzt avanzò una richiesta. «Quanto tempo di vantaggio ci potete garantire?» «Pinochet non può impossessarsi della sua nave prima della fine della settimana prossima,» disse il capitano ammiccando leggermente. «Ho controllato di persona. Quel legno non è più in grado di solcare i mari e forse riuscirò a ritardare di due settimane la loro partenza. Quando quel pirata riuscirà a mettere le mani sul timone della sua nave avrete riferito personalmente ad Entreri della vostra fuga.» «Che cosa avete guadagnato voi?» gli chiese Wulfgar incapace di capire i motivi che spingevano quell'uomo ad un'azione simile. «Avete sconfitto i pirati, ma loro salperanno presto e nei loro cuori albergherà il desiderio di
vendetta. Colpiranno la vostra nave al prossimo passaggio. Vi dimostreranno altrettanta pietà se al prossimo scontro essi vinceranno?» «Il nostro è uno strano gioco,» spiegò Deudermont con un sorriso stanco. «Tuttavia, ho rafforzato la mia posizione in mare risparmiando la vita a Pinochet e al suo equipaggio. In cambio della sua libertà, il capitano mi giurerà che rinuncerà ad ogni tipo di vendetta. Nessuno degli amici di Pinochet oserà avvicinarsi più alla Folletto del Mare, vale a dire la maggior parte dei pirati che veleggiano lungo il Canale di Asavir!» «E voi credete alle parole di quel cane?» chiese Bruenor sbigottito. «Sono anch'essi uomini d'onore,» ribatté Deudermont, «a modo loro. Sono stati firmati molti trattati cui i pirati si attengono alla lettera. Infrangerli significherebbe scatenare una guerra con i regni meridionali.» Bruenor sputò di nuovo in acqua. In tutte le città e in tutti i regni, persino in mare aperto, la storia era sempre la stessa. Le organizzazioni di ladri erano tollerate entro i limiti della decenza. Ma Bruenor la pensava diversamente. A Mithril Hall, il suo clan aveva costruito un apposito stanzino dove, su alcune mensole, venivano riposte le mani tagliate che erano state sorprese nelle tasche altrui. «Tutto è sistemato,» concluse Drizzt, desideroso di porre termine a quella discussione. «Il nostro viaggio per mare è finito.» Deudermont si era aspettato quell'annuncio e gli lanciò la borsa contenente l'oro. «Una scelta saggia,» disse il capitano. «Raggiungerete Calimport in una settimana, molto prima che la Folletto del Mare possa attraccare definitivamente in questo porto. Potete ritornare a bordo quando avrete finito i vostri affari in quella città. Salperemo per Waterdeep prima che le ultime nevi invernali si siano sciolte a nord. A mio avviso, vi siete meritati anche il passaggio di ritorno.» «Pensiamo di ritornare molto prima,» ribatté Bruenor, «ma grazie lo stesso per la vostra offerta!» Wulfgar fece un passo avanti e strinse il polso del capitano. «È stato un piacere servirvi e combattere al vostro fianco,» disse. «Non vedo l'ora che arrivi il giorno in cui ci incontreremo di nuovo.» «Come noi tutti speriamo,» aggiunse Drizzt sollevando la borsa davanti a sé. «Un giorno ve li restituiremo.» Deudermont fece un gesto vago con la mano e mormorò: «È un'inezia.» Conoscendo la fretta degli amici, ordinò a due marinai di abbassare una scialuppa in mare. «Addio!» urlò mentre i quattro amici si allontanavano remando con for-
za. «E cercatemi quando ritornate a Calimport!» *
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Di tutti i luoghi che avevano visto, di tutte le terre che avevano attraversato e in cui avevano combattuto, nessuna parve loro così disorientante come Memnon nel regno di Calimshan. Persino Drizzt, che proveniva dallo strano mondo degli elfi scuri, si guardava intorno meravigliato mentre attraversava le ampie strade della città e i mercati rigurgitanti di persone. Una strana musica, stridula e triste, simile a lamenti causati da un profondo dolore, li attorniava e sospingeva i loro passi. Le strade pullulavano di gente. Molti indossavano tuniche color sabbia, mentre altri vesti più colorate. Tutti portavano in testa una sorta di copricapo, bizzarri turbanti o strani cappelli con veli. Non riuscivano ad immaginare quanta gente popolasse quella città frenetica, e dubitavano che nessuno si fosse mai dato pena di contarne gli abitanti. Ma in cuor loro pensavano che se mai tutta la gente che viveva nelle città a nord della Costa della Spada, Waterdeep compresa, venisse raccolta in un'unica città, quell'assembramento di gente avrebbe assomigliato a Memnon. Una strana combinazione di odori veniva trasportata dal vento tiepido. Il tanfo delle fogne che fluivano lungo il ciglio della strada si mescolava agli odori del mercato e al puzzo acre del sudore e dell'alito dei passanti. I tuguri erano stati costruiti disordinatamente e davano l'impressione che Memnon non avesse una struttura precisa. C'erano strade ovunque, anche se i quattro amici erano giunti alla conclusione che le strade stesse fungevano da casa per molte creature. I mercanti rappresentavano il fulcro di quella frenetica attività. Allineati lungo le strade, vendevano armi, cibo, tabacchi esotici e persino schiavi, mettendo in mostra la mercanzia senza tanti pudori nel modo più adatto per attirare l'attenzione della folla. In un angolo intravidero i potenziali clienti di un enorme arco che provavano l'arma su bersagli viventi. Poco lontano, una donna coperta da un velo trasparente che lasciava intravedere il corpo danzava in sincronia con i contorcimenti di un serpente enorme mentre si lasciava avvolgere dalle spire del rettile per uscirne subito dopo con abili mosse. Con gli occhi sgranati dalla meraviglia e a bocca aperta, Wulfgar si fermò ad osservare la danzatrice, quasi fosse rimasto ipnotizzato da quella danza sensuale, ma venne distratto dalla potente sberla che Catti-brie gli
rifilò alla nuca e che suscitò una risatina sommessa da parte degli altri due amici. «Mai come adesso ho desiderato di trovarmi a casa,» sospirò il barbaro frastornato. «È un'altra avventura, nulla più,» gli ricordò Drizzt. «Puoi imparare molte cose in una terra così diversa dalla tua.» «È vero,» disse Catti-brie. «Ma secondo me, questa è gente decadente e corrotta.» «Vivono in modo diverso da noi,» ribatté Drizzt. «Forse rimarrebbero impressionati dallo stile di vita del nord.» Nessuno rispose a quella frase e Bruenor, divertito ma non sorpreso dai modi eccentrici degli uomini, scrollò il capo facendo ondeggiare la fluente barba rossa. Armati com'erano, gli amici non erano una novità per le strade di quella città, ma essendo stranieri attirarono una piccola folla di bambini seminudi e sporchi che chiedevano l'elemosina. I mercanti lanciarono occhiate di sfuggita a quegli avventurieri, perché sempre gli stranieri portavano ricchezza. Un mercante in particolare li squadrò con occhi lascivi e avidi. «Allora, cosa mi dici di quelli là?» chiese il mercante con fare viscido all'amico gobbo. «Magia, magia dappertutto, padrone,» sibilò il piccolo goblin ricurvo con rabbia, concentrandosi sulle sensazioni che la sua bacchetta magica gli comunicava. Infilò la bacchetta nella cintura. «È fortissima in quelle armi... su tutt'e due le scimitarre dell'elfo, e sull'ascia del nano, sull'arco della ragazza, ma soprattutto sul martello del gigante!» Il goblin ebbe un attimo di esitazione durante il quale pensò se svelare le strane sensazioni che la bacchetta gli aveva dato quando l'aveva puntata verso il volto dell'elfo, ma decise che non valeva la pena di agitare inutilmente il suo padrone. «Ha ha ha ha ha,» Il mercante scoppiò in una fragorosa risata e giocherellando con le dita si incamminò per andare incontro agli stranieri. Bruenor, che apriva la fila, si dovette fermare davanti a quell'uomo ossuto vestito con un'ampia tunica a strisce gialle e rosse e con la testa fasciata in un turbante rosa fiammante tenuto fermo da un enorme diamante sulla fronte. «Ha ha ha ha ha. Salve!» urlò l'uomo tamburellando con le dita contro il torace e con un sorriso che metteva in mostra l'alternanza di denti d'oro e di avorio. «Mi chiamo Sali Dalib, proprio così. Voi comprate, e io vendo. Facciamo buoni affari, ve l'assicuro!» Proferì quelle parole troppo veloce-
mente per essere inteso dai quattro amici che si guardarono esterrefatti e dopo una scrollata di spalle si allontanarono senza dire una parola. «Ha ha ha ha ha,» continuò il mercante inseguendoli. «Se avete bisogno di qualcosa, Sali Dalib ce l'ha. In abbondanza! Tookie, nookie, bookie!» «Tabacco, donne e libri in qualsiasi lingua esistente sulla terra,» si affrettò a tradurre il goblin biascicando. «Il mio padrone è mercante di tutto e di tutti!» «Il meglio del meglio!» incalzò Sali Dalib. «Se avete bisogno di qualcosa...» «Sali Dalib ce l'ha,» lo interruppe Bruenor. Il nano scambiò con Drizzt un'occhiata d'intesa perché entrambi erano sicuri di pensare la stessa cosa. Era opportuno uscire da quella città il più in fretta possibile e pertanto un mercante valeva l'altro. «Cavalli,» disse il nano al mercante. «Vogliamo raggiungere Calimport,» aggiunse Drizzt. «Cavalli? Cavalli! Ha ha ha ha ha!» ripeté Sali Dalib strofinandosi le mani. «Un viaggio troppo lungo, no! Troppo caldo, troppo secco! I cammelli fanno al caso vostro!» «Cammelli... i cavalli del deserto,» spiegò il goblin notando l'espressione sbalordita degli stranieri. Con un dito indicò un enorme dromedario adagiato a terra poco lontano il suo padrone. «Meglio per un viaggio nel deserto.» «E vada per i cammelli,» sbottò Bruenor squadrando l'imponente bestia con occhi sospettosi. «O qualsiasi altra cosa che possa andare bene!» Sali Dalib si sfregò le mani con energia. «Se avete bisogno di...» Bruenor alzò una mano spazientito. «Lo sappiamo!» Sali Dalib impartì al suo assistente alcune istruzioni bisbigliate all'orecchio e condusse i quattro attraverso il dedalo delle strade di Memnon a passo sostenuto, i piedi nascosti sotto la lunga veste, mentre giocherellava con le dita con disarmante allegria. Il mercante si fermò davanti ad un'enorme tenda ai confini occidentali della città, la zona più povera e squallida di tutta Memnon. Dietro alla tenda, Sali Dalib trovò quello che stava cercando. «Cammelli!» esclamò con orgoglio. «Quanti soldi per quattro?» sbuffò Bruenor, ansioso di concludere quell'affare e di rimettersi subito in strada, ma Sali Dalib sembrava non capire. «Il prezzo?» chiese lo gnomo con impazienza.
«Prezzo?!» «Vuole che tu faccia un'offerta,» disse Catti-brie. Anche Drizzt aveva capito. Nella lontana Menzoberranzan, la città degli elfi scuri, i mercanti avevano adottato la stessa tecnica. Invitando l'acquirente, e soprattutto una persona all'oscuro del valore di mercato della merce, a fare la prima offerta, i mercanti riuscivano a guadagnare molto di più. E se le contrattazioni portavano il prezzo troppo in basso, il mercante era sempre in grado di non rimetterci riportando l'offerta alla cifra desiderata. «Cinquecento monete d'oro per quattro cammelli,» offrì Drizzt credendo che quelle bestie valessero almeno il doppio. Le dita di Sali Dalib ricominciarono a tamburellare sul suo petto e un bagliore illuminò il suo sguardo grigio pallido. Drizzt si aspettava uno sbotto indignato e una controfferta esosa, ma Sali Dalib rimase improvvisamente immobile e sorrise. «Affare fatto!» disse. Drizzt frenò a stento un'esclamazione di meraviglia e lanciò un'occhiata esterrefatta al mercante, ma si voltò per contare le monete d'oro dalla borsa che gli aveva dato Deudermont. «E altre cinquanta monete d'oro se ci trovi una carovana in partenza per Calimport,» aggiunse Bruenor. Sali Dalib assunse un atteggiamento contemplativo e cominciò a lisciarsi la peluria sul mento con le sue dita affusolate. «Ce n'è una che sta partendo proprio adesso,» disse soprappensiero. «Potete unirvi a loro senza difficoltà. È l'ultima carovana diretta a Calimport di questa settimana.» «Finalmente verso sud!» urlò il nano raggiante di gioia. «A sud? Ha ha ha ha ha!» sbottò Sali Dalib. «Non verso sud, perché quella è terra di ladri!» «Calimport si trova a sud,» ribatté Bruenor insospettito. «E la strada è diretta verso sud, secondo il mio modesto parere!» «Certo, la strada è diretta verso sud,» disse Sali Dalib, «ma i furbi si dirigono verso ovest, perché quella è la strada migliore.» Drizzt porse la borsa di denari al mercante. «Come faremo a raggiungere la carovana?» «Andate ad ovest,» ripeté il mercante lasciando cadere la borsa in una tasca senza nemmeno contare il denaro. «Partirà fra un'ora. Sarà facile trovarla. Seguite i segnali lungo l'orizzonte. Non avrete problemi!» «Abbiamo bisogno di viveri,» fece notare Catti-brie. «La carovana è ben provvista,» ribatté Sali Dalib. «È il miglior posto per
fare affari. Andate, ora. Raggiungeteli prima che si dirigano verso sud lungo la Rotta dei Mercanti!» proseguì avvicinandosi per aiutare a scegliere gli animali: un grosso dromedario per Wulfgar, un cammello per Drizzt e due più piccoli per Catti-brie e per Bruenor. «Ricordate, buoni amici,» disse il mercante quando i quattro si furono sistemati in groppa agli animali. «Se avete bisogno di qualcosa...» «Sali Dalib ce l'ha!» risposero in coro. Con un sorriso smagliante il mercante li salutò prima di scomparire dentro la tenda. «Non aveva molta voglia di contrattare,» disse Catti-brie mentre si dirigevano sulle zampe rigide dei cammelli verso il primo segnale che si intravedeva in lontananza. «Avrebbe potuto guadagnare di più per questi animali.» «Rubati, per giunta!» rise Bruenor esternando quello che tutti pensavano. Drizzt però la pensava diversamente. «Un mercante come lui avrebbe cercato di trarre il maggior profitto anche da bestie rubate,» disse, «e secondo le mie scarse conoscenze del commercio, avrebbe dovuto contare il denaro prima di intascarlo.» «Bah!» sbuffò Bruenor cercando di far andare diritto il suo cammello. «Forse gli hai dato molto di più del valore di queste bestie!» «E allora?» chiese Catti-brie a Drizzt. «Dove, piuttosto!» ribatté Wulfgar. «Ha mandato via il suo goblin con un messaggio.» «Forse ci ha teso un agguato,» disse Catti-brie. Drizzt e Wulfgar annuirono contemporaneamente. «Così sembrerebbe,» disse il barbaro. Bruenor rimase per un attimo soprappensiero. «Bah!» sbottò di nuovo. «Aveva una faccia così stupida che non mi è parso capace di una cosa simile!» «Questo potrebbe renderlo ancora più pericoloso,» aggiunse Drizzt girandosi per lanciare un'ultima occhiata a Memnon. «Torniamo indietro?» chiese il nano continuando a pensare alla preoccupazione che agitava l'elfo. «Se i nostri sospetti si rivelano infondati e perdiamo la carovana...» ricordò Wulfgar con tono minaccioso. «Regis può forse aspettare?» incalzò Catti-brie. Bruenor e Drizzt si guardarono. «Andiamo avanti,» disse Drizzt dopo un attimo di silenzio. «Faremo del
nostro meglio per imparare molte cose.» «Puoi imparare molto in una terra così diversa dalla tua,» disse Wulfgar ricordando le parole di Drizzt. Quando oltrepassarono il primo segnale i loro sospetti non diminuirono. Su una tavola di legno inchiodata ad un palo lessero l'indicazione scritta in venti lingue e tutte dicevano: 'La strada migliore'. Gli amici analizzarono le possibilità che avevano e ancora una volta giunsero alla conclusione che il tempo stringeva. Decisero che avrebbero proseguito ancora per un'ora e se non avessero trovato la carovana sarebbero ritornati a Memnon e avrebbero discusso 'seriamente' con quel Sali Dalib. Il segnale successivo era identico al primo, e tutti gli altri dopo di quello. Quando passarono davanti al quinto, i vestiti erano ormai bagnati dal sudore e i loro occhi lacrimavano per il violento riverbero. La città non si vedeva più alle loro spalle, nascosta dalla sabbia rovente che si innalzava dalle dune. I cammelli non rendevano più agevole il viaggio, essendo animali bizzosi, indispettiti dall'incapacità di chi li guidava. Soprattutto quello di Wulfgar, che non accennava a seguire la volontà del barbaro che, con le sue potenti braccia e gambe, continuava a cercare di metterlo sulla rotta giusta. Per ben due volte il cammello inarcò la testa lanciando uno sputo schiumoso in faccia a Wulfgar. Il barbaro non perse la calma, ma si sorprese più volte a desiderare di far scomparire le gobbe di quell'animale a colpi di martello. «Fermi!» ordinò Drizzt mentre scendevano verso un avvallamento fra due dune. L'elfo allungò un braccio che fece sollevare gli sguardi degli amici verso il cielo dove numerosi avvoltoi volteggiavano indolenti descrivendo ampi cerchi. «Ci sono carogne qui vicino,» disse Bruenor. «Oppure ce ne saranno presto,» ribatté Drizzt con aria cupa. Mentre parlava la semplice linea di sabbie infuocate delle dune che li circondavano si trasformò all'improvviso in un esercito di cavalieri minacciosi le cui spade ricurve brillavano sotto la violenta luce del sole. «Un'imboscata,» disse Wulfgar con voce tranquilla. Bruenor si guardò intorno per osservare la scena, affatto sorpreso. «Cinque a uno,» sussurrò a Drizzt. «Sembra anche a me,» ribatté lui sfilandosi l'arco dalla spalla per incordarlo. I cavalieri rimasero immobili a guardare la loro preda. «Credi che abbiano voglia di parlare?» chiese Bruenor cercando di trovare il lato spiritoso
in quella situazione disperata. «No!» ribatté il nano quando nessuno dei tre amici abbozzò nemmeno un sorriso. Il capo dei cavalieri urlò un ordine e tutti si lanciarono in una rumorosa carica. «Maledizione,» sibilò Catti-brie saltando giù dal cammello con l'arco in mano. «Qui tutti vogliono combattere.» «Fatevi avanti, allora!» urlò verso i cavalieri. «Ma almeno combattiamo ad armi pari.» Incoccò una dopo l'altra le sue frecce magiche riuscendo a disarcionare uno ad uno i cavalieri che avevano la sfortuna di cadere sotto la sua mira infallibile. Bruenor guardò estasiato il volto cupo e selvaggio della figlia. «La ragazza ha ragione!» urlò scivolando dalla schiena del cammello. «È impossibile combattere sopra queste bestie!» Appena appoggiò i piedi a terra, il nano aprì le bisacce e tirò fuori due fiaschi di olio. Wulfgar seguì l'esempio del suo maestro e si protesse dietro al corpo del cammello. Ma il barbaro scoprì ben presto che doveva temere l'animale come se fosse un vero nemico, perché quella creatura bizzosa si voltò di scatto e gli morsicò l'avambraccio. L'arco di Drizzt si unì alla canzone di morte di Taulmaril, ma quando i cavalieri furono abbastanza vicini, l'elfo decise di cambiare tattica. Forte del terrore suscitato dalla fama del suo popolo, Drizzt si tolse la maschera e tirò indietro il cappuccio, in equilibrio con i piedi sulle gobbe del cammello. Il panico fece fermare i banditi più vicini, mentre gli altri tre fianchi si ritrassero subito, anche se la loro superiorità numerica continuava ad essere schiacciante. Wulfgar intanto era rimasto a guardare il suo cammello allibito e indeciso sul da farsi gli sferrò un potente pugno fra gli occhi. Frastornato dal colpo, l'animale mollò la presa e girò la testa da un'altra parte. Ma il giovane barbaro non gliel'avrebbe fatta passare liscia a quell'animale traditore. Quando Wulfgar vide avvicinarsi tre cavalieri decise di servirsi del cammello per fermarli e sollevatolo in aria, tendendo i suoi possenti muscoli, lo scaraventò contro i nemici, riuscendo a malapena a schivare la frana di cavalli, cavalieri, cammello e sabbia. Il giovane barbaro ripartì alla carica brandendo Aegis-fang, e si buttò nella mischia colpendo i banditi che cadevano a terra senza nemmeno rendersi conto di cosa era successo. Due banditi riuscirono a farsi strada fra i cammelli imbizzarriti e rag-
giungere Bruenor, ma fu Drizzt, da solo, a colpire per primo. Chiamò a raccolta tutte le sue capacità magiche e formò un globo di tenebre dietro al quale si riparò. I due cavalieri cercarono di fermarsi, ma caddero rovinosamente a terra. Bruenor ebbe il tempo necessario per accendere con il suo acciarino gli stracci che aveva infilato nelle due bottiglie di olio e lanciare le due bombe in fiamme nella sfera di tenebre di Drizzt. Le abbacinanti lingue di fuoco vennero annullate nel globo frutto dell'incantesimo di Drizzt, ma dalle urla di dolore che provenivano dal suo interno Bruenor capì di avere colpito il bersaglio. «Mille grazie, elfo!» urlò il nano. «È un piacere averti di nuovo vicino!» «Attento alle spalle!» fu la risposta di Drizzt perché mentre Bruenor parlava, un terzo bandito aveva oltrepassato il globo di tenebre e si stava precipitando verso il nano. Bruenor si rannicchiò a terra protendendo in avanti lo scudo d'oro. Il cavallo inciampò sul corpo di Bruenor e cadde sulla morbida sabbia disarcionando il bandito. Il nano coraggioso balzò in piedi e scosse il capo per togliersi la sabbia che gli era entrata nelle orecchie. Avrebbe provato dolore a causa delle ammaccature degli zoccoli una volta conclusa la battaglia, ma ora Bruenor provava solo una rabbia violenta. Si precipitò contro il bandito, che si stava rimettendo in piedi, innalzando l'ascia di mithril sopra la testa, ma proprio nel momento in cui stava per assestare il colpo, un guizzo argenteo gli sibilò sopra la spalla uccidendo il cavaliere nemico all'istante. Gli fu impossibile frenare l'impeto del colpo, e trascinato dalla rincorsa cadde a terra con un pesante tonfo tuffando il volto nella sabbia. «La prossima volta avvertimi, ragazza!» ruggì Bruenor verso Catti-brie sputando sabbia ai quattro venti. Ma Catti-brie era in difficoltà. Si era acquattata al suolo per scoccare le sue frecce, ma all'improvviso aveva sentito arrivare un cavallo al galoppo alle sue spalle. Una lama ricurva le aveva sfiorato l'orecchio con un sibilo raccapricciante, e il bandito le era passato a pochi centimetri di distanza. Avrebbe voluto lanciargli contro una freccia, ma mentre si trovava in quella posizione, vide un altro cavaliere che si precipitava verso di lei con una lancia puntata e aprendosi un varco con un pesante scudo. Catti-brie e Taulmaril furono più veloci. In un baleno, un'altra freccia venne scagliata dalla corda dell'arco magico e fendendo l'aria il dardo si conficcò nello scudo perforandolo e mandando l'uomo nel regno della morte.
Il cavallo senza cavaliere si impennò e scartò paurosamente, ma Cattibrie riuscì ad afferrargli le redini e a montare in sella per inseguire il bandito che aveva cercato di colpirla con la spada. Drizzt continuava a rimanere in equilibrio sul cammello, maestoso sopra i suoi nemici mentre con una danza di movimenti agili colpiva i nemici che gli passavano sotto roteando le due scimitarre magiche in un inebriante vortice di morte. I banditi, convinti di colpire un bersaglio facile, scoprirono ben presto che le loro lance e spade fendevano solo aria e che Lampo o l'altra scimitarra aveva aperto una sottile fessura nelle loro gole. All'improvviso due cavalieri nemici si avvicinarono al cammello, da dietro le spalle di Drizzt, ma l'agile elfo si voltò con un salto rimanendo perfettamente in piedi sul suo animale, e nel giro di pochi secondi riuscì a mettere i due avversari sulla difensiva. Wulfgar intanto dette il colpo di grazia al terzo cavaliere che aveva colpito e si allontanò dalla mischia per trovarsi davanti al cocciuto cammello che si era rimesso in piedi e gli sbarrava la strada. Il barbaro lo colpì ancora, questa volta con Aegis-fang, e l'animale cadde a terra accanto ai banditi. La battaglia si stava concludendo, e la prima cosa che il barbaro notò fu Drizzt. Rimase incantato a guardare l'agile danza delle lame dell'elfo che deviava i colpi di una spada ricurva o che disarcionava uno dei due cavalieri nemici. Drizzt li avrebbe uccisi nel giro di pochi secondi. Wulfgar si girò lentamente e vide un cavaliere che si avvicinava al trotto con la lancia puntata contro la schiena di Drizzt. «Drizzt!» urlò il barbaro mentre brandiva Aegis-fang con forza. Quell'urlo fece temere a Drizzt che Wulfgar fosse in difficoltà, ma quando si girò e vide il martello piroettare verso il suo ginocchio, capì subito. Senza esitare, spiccò un salto e compì un'impressionante capriola sopra la testa del nemico. Il lanciere non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto della mossa della propria vittima perché il pesante martello da guerra lo colpì in piena faccia. Il salto di Drizzt si rivelò provvidenziale, perché riuscì a cogliere di sorpresa i suoi due nemici. I due banditi ebbero un attimo di esitazione e l'elfo, ancora sospeso a mezz'aria, li colpì con forza con le scimitarre. Lampo affondò in un torace, ma l'altro bandito schivò la seconda scimitarra, avvicinandosi abbastanza a Drizzt perché l'elfo lo colpisse con l'elsa. I due nemici ruzzolarono a terra assieme a Drizzt, ma solo lui riuscì a ca-
dere in piedi. Con una velocità sorprendente, roteò le scimitarre due volte ponendo fine alle loro vite. Un altro bandito si accorse che l'imponente barbaro era disarmato e si lanciò all'inseguimento, ma Wulfgar anticipò le sue mosse e si preparò a difendersi. Mentre il cavallo si avvicinava, il barbaro finse di volersi buttare sulla destra per evitare la spada avversaria, proprio come si aspettava il nemico, ma all'ultimo momento Wulfgar rimase fermo dov'era, in mezzo alla traiettoria dell'animale. Il barbaro sopportò il violento impatto con l'animale e si aggrappò al suo collo stringendo le gambe attorno alle zampe anteriori per farlo cadere. Con uno sforzo immane, dette uno strattone e fece volare in aria cavallo e cavaliere. Paralizzato dalla sorpresa, il bandito si lasciò sfuggire un urlo mentre cadeva rovinosamente a terra assieme al cavallo, che dopo alcuni istanti trottò via lasciando il bandito sepolto fino alla cintola nella sabbia, con le gambe che penzolavano in modo grottesco da un lato. Bruenor intanto si guardava in giro alla ricerca di qualcuno con cui combattere. La sua barba e i suoi stivali erano pieni di sabbia. Protetto dagli animali, il piccolo nano passava inosservato ed era riuscito a combattere contro una manciata di banditi, e ora la maggior parte di loro era già morta. Bruenor si allontanò dagli animali e tempestò il proprio scudo di colpi per attirare l'attenzione. Con la coda dell'occhio vide un cavaliere allontanarsi dal campo di battaglia. «Ehi, tu!» gli urlò contro Bruenor. «Tua madre dev'essere una gran puttana!» Convinto di trovarsi in una posizione di vantaggio rispetto al nano, il bandito non si lasciò sfuggire l'occasione di rispondere a quell'insulto e si precipitò contro Bruenor roteando minacciosamente la propria spada. Bruenor alzò lo scudo dorato per parare il colpo e con passo agile si portò davanti al cavallo. Il cavaliere si girò per affrontarlo dall'altro lato del suo destriero, ma Bruenor sfruttò la sua bassa statura e chinando leggermente la testa si infilò sotto il cavallo e ritornò alle spalle del cavaliere colpendolo violentemente al fianco. Il bandito si piegò in due dal dolore. Bruenor alzò lo scudo e afferrò il nemico per il turbante e per i capelli, e scaraventatolo a terra gli ruppe il collo con un grugnito soddisfatto. «Troppo facile!» mugugnò osservando il cadavere. Si guardò intorno alla ricerca di un'altra vittima, ma ormai la battaglia era finita. I banditi era-
no fuggiti e Wulfgar, con Aegis-fang appoggiata a terra, e Drizzt guardavano tranquillamente la scena. «Dov'è la mia ragazza?» urlò Bruenor. Drizzt lo tranquillizzò con un cenno del mento e l'indice puntato in avanti. In cima ad una duna poco lontana, Catti-brie era seduta in sella al cavallo che era riuscita a catturare con Taulmaril stretto fra le mani mentre teneva lo sguardo fisso verso il deserto. Numerosi cavalieri fuggivano al galoppo mentre altri giacevano esanimi ai piedi della duna. Catti-brie puntò l'arco contro uno dei fuggitivi, ma all'improvviso si rese conto che alle sue spalle i combattimenti erano cessati. «Basta,» sussurrò muovendo l'arco di poco e scoccando la freccia in modo che passasse sopra la spalle del fuggiasco. C'erano stati abbastanza morti quel giorno, pensò. Catti-brie osservò i cadaveri sul campo di battaglia e i famelici avvoltoi che volteggiavano in paziente attesa nel cielo. Abbassò lentamente Taulmaril mentre l'espressione severa del suo viso svanì come d'incanto. 15 La guida «Proverai piacere,» motteggiò il capo della corporazione accarezzando la punta seghettata di una lancia che sporgeva da un blocco di legno messo al centro di un piccolo tavolo. Regis abbozzò di proposito un sorriso vacuo fingendo di assecondare le parole di Pook. «Appoggia la tua mano,» lo invitò Pook, «e assapora la gioia di ritornare in seno alla nostra famiglia.» Regis cercò di trovare un modo per uscire da quella trappola. Un'altra volta aveva usato quello stesso stratagemma, la menzogna nella menzogna, e aveva finto di essere stato catturato dall'influenza di una potente magia. Era riuscito a recitare alla perfezione, quella volta, ed aveva convinto un mago malvagio della propria fedeltà solo per voltargli le spalle all'ultimo momento per correre in aiuto dei suoi amici. Questa volta, però, Regis si era sorpreso di se stesso perché era riuscito a sottrarsi all'insistente attrazione mesmerica del rubino, anche se ciò gli causava un grosso problema: chiunque fosse soggiogato dalla gemma avrebbe lasciato cadere la propria mano sulla punta della lancia.
Regis portò la mano sopra la testa socchiudendo gli occhi nel tentativo di dare al proprio viso un'espressione adatta per portare a termine il suo inganno. Lasciò cadere il braccio in obbedienza al suggerimento di Pook, ma all'ultimo momento, la mano deviò e batté con forza contro il tavolo. Pook ruggì di rabbia perché aveva sospettato fin dall'inizio che Regis fosse riuscito a sottrarsi al potente influsso della gemma. Afferrò il nanerottolo per un polso e spinse la mano contro i barbigli della punta contorcendo il polso proprio quando la mano veniva trafitta. L'urlo di dolore si fece più acuto nel momento in cui Pook sollevò la mano da quell'oggetto di tortura. Pascià Pook lo lasciò andare all'improvviso e gli sferrò un violento ceffone in pieno viso mentre il povero Regis stringeva la mano ferita al petto. «Cane traditore!» urlò il capo della corporazione infuriato più per il tradimento della pietra che per l'inganno del nanerottolo. Sollevò la mano per colpirlo di nuovo, ma si calmò e decise di usare quella testarda resistenza contro di lui. «Un vero peccato,» disse con aria scherzosa, «perché se grazie al pendente fossi riuscito a riportarti dalla mia parte, avrei potuto ritrovarti un posto all'interno della corporazione. Meriteresti la morte, ladruncolo da quattro soldi, ma non ho certo dimenticato quanto mi sei stato utile in passato. Eri il ladro più in gamba di tutta Calimport, una posizione invidiabile e che avrei potuto garantirti ancora.» «Non angustiarti se la gemma non ha funzionato,» si azzardò a dire Regis intuendo il sottile gioco di Pook, «perché nessun dolore fisico potrebbe essere superiore al disgusto che proverei nell'essere un tirapiedi di Pascià Pook!» La reazione di Pook fu un violento colpo che fece ruzzolare Regis sul pavimento assieme alla sedia su cui si trovava. Il nanerottolo si rannicchiò nel tentativo di fermare il sangue che sgorgava copioso dalla mano e dal naso. Pook si appoggiò lentamente allo schienale e incrociò le mani dietro la testa indugiando con lo sguardo sul pendente che giaceva immobile sul tavolo, davanti a lui. Solo un'altra volta la gemma magica lo aveva abbandonato, quando aveva provato i suoi influssi su una volontà che mai nessuno avrebbe potuto piegare. Fortunatamente Artemis Entreri non si era accorto del suo tentativo quel giorno e Pook aveva ritenuto più saggio non provare il pendente una seconda volta sull'assassino. Lo sguardo di Pook scivolò su Regis svenuto dal dolore. Doveva ricono-
scere il coraggio del nanerottolo perché, anche se la familiarità di Regis con il ciondolo di rubino gli aveva dato un certo vantaggio in quella subdola battaglia, solo una volontà indomabile era in grado di resistere al terribile fascino della gemma! «Ma non ne trarrai alcun vantaggio,» sibilò Pook al corpo immobile. Si accomodò sulla sedia e chiuse gli occhi nella speranza di escogitare una nuova tortura per Regis. *
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Un braccio avvolto in un tessuto color sabbia si infilò oltre un lembo della tenda stringendo per una caviglia il corpo immobile di un nano dalla barba rossa. Le dita affusolate di Sali Dalib cominciarono la loro abituale danza mentre il suo volto si illuminava con un ampio sorriso d'avorio e oro e il goblin suo aiutante continuava a saltellare al suo fianco squittendo: «Magia, magia, magia!» Bruenor aprì un occhio e sollevò un braccio per scostare la fluente barba dal viso: «La scena vi diverte così tanto?» chiese il nano con un sorriso malizioso. Il sorriso scomparve dal volto di Sali Dalib e le dita si incrociarono contorcendosi. Il portatore di Bruenor, Wulfgar, avvolto nella tunica di uno dei banditi, entrò nella tenda seguito da Catti-brie. «Sei stato tu a mandarci incontro quei banditi,» sibilò la giovane donna. Un'incomprensibile esclamazione di terrore uscì dalle labbra del mercante mentre si voltava per fuggire, ma il tessuto della tenda si squarciò. Dall'apertura si fece avanti Drizzt Do'Urden che appoggiò la punta di una scimitarra a terra mentre teneva l'altra contro la spalla. Per aumentare lo spavento del mercante, Drizzt si era tolto la maschera magica. «Uh... um, la strada migliore?» balbettò il mercante. «Migliore per te e per i tuoi amici!» sbottò Bruenor. «O così credevano,» si affrettò ad aggiungere Catti-brie. Sali Dalib increspò le labbra in un sorriso disgustoso. Non era la prima volta che gli capitava di trovarsi in difficoltà ed era sempre riuscito a cavarsela, in un modo o nell'altro. Alzò le mani quasi volesse ammettere la propria colpa, ma le roteò in un gesto disorientante estraendo minuscole sfere di ceramica dalle numerose tasche nascoste nella sua veste. Le lasciò cadere ai suoi piedi e un susseguirsi di esplosioni multicolori riempì la
tenda di un denso fumo accecante che coprì la sua fuga. Istintivamente Wulfgar lasciò cadere Bruenor e si buttò in avanti per catturarlo, ma le sue braccia si strinsero attorno ad una voluta di fumo. Il nano ruzzolò a terra ma si rimise subito in piedi per sistemarsi l'elmetto. Il fumo si dileguò e il barbaro diresse uno sguardo imbarazzato verso Bruenor che stava scuotendo la testa rassegnato. «Questa sarà l'avventura più lunga della mia vita,» borbottò. Il vigile Drizzt non si era lasciato cogliere alla sprovvista. L'elfo si era protetto il volto con le mani e aveva seguito con lo sguardo la sagoma avvolta dal fumo del mercante che si precipitava verso il lato sinistro della tenda. Drizzt sarebbe riuscito a catturarlo se non fosse stato per l'aiutante di Sali Dalib che gli sbarrò la strada col proprio corpo. Drizzt lo colpì alla fronte con l'elsa di Lampo e il goblin cadde a terra svenuto. Precipitandosi nelle strade di Memnon all'inseguimento del mercante, l'elfo si infilò la maschera. Catti-brie seguì Drizzt correndo e Bruenor balzò in piedi. «Inseguiamolo, ragazzo!» urlò il nano a Wulfgar. Drizzt intravide il mercante che si tuffava nella ressa della strada. La variopinta tunica di Sali Dalib si sarebbe mescolata nel caleidoscopio di colori della città e Drizzt decise di agire con astuzia e, proprio come aveva fatto con il mago invisibile sul ponte della nave pirata, l'elfo lanciò un alone porpora di fiamme rutilanti sopra la testa del mercante. Drizzt continuò l'inseguimento, facendosi strada fra la gente con sorprendente agilità tenendo lo sguardo fisso sul cerchio di fiamme che avanzava poco lontano. I modi di Bruenor furono meno ortodossi perché sorpassò Catti-brie e si tuffò a capo chino fra la folla usando lo scudo per spostare i corpi che gli ostruivano il passaggio. Wulfgar lo seguiva a poca distanza e il suo corpo imponente apriva un varco ancora più grande fra la folla e non fu difficile per Catti-brie seguire i compagni. Percorsero decine di vicoli e strade, attraversarono un intero mercato dove Wulfgar travolse nell'impeto della corsa un intero carro pieno di meloni maturi. Urla di protesta e imprecazioni li accompagnarono per un breve tratto, ma continuarono a correre tenendo lo sguardo fisso davanti a loro per scrutare i volti dei passanti e per non perdersi in quella confusione di gente. Sali Dalib si rese conto ben presto di essere troppo visibile con quel cerchio di fuoco sopra la testa per riuscire a fuggire nel dedalo di strade della
città. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui e le dita di centinaia di passanti curiosi lo indicavano ad ogni angolo, svelando agli inseguitori il suo nascondiglio. Il mercante colse l'unica occasione che gli si presentava davanti agli occhi e girato un angolo entrò in un enorme edificio di pietra. Drizzt si voltò per assicurarsi che gli amici lo stessero seguendo e dopo un attimo di esitazione si infilò nella porta, oltre la quale cercò disperatamente di fermarsi con una lunga scivolata sul pavimento di marmo fradicio di vapore di un bagno pubblico. Due corpulenti eunuchi si avvicinarono per fermare l'elfo vestito, ma l'agile Drizzt riuscì a rimettersi in equilibrio e non si fermò. Continuò a scivolare lungo lo stretto corridoio fino alla stanza principale che fungeva da bagno. L'aria era greve di vapore e dell'odore di sudore e saponi profumati. Corpi nudi ostacolavano l'avanzare di Drizzt, ma aggrappandosi alle pareti l'elfo continuò ad andare avanti. Bruenor per poco non cadde quando appoggiò i piedi sul pavimento insidioso del bagno e gli eunuchi, ripresisi dallo sbalordimento, si fermarono davanti a lui. «Via i vestiti!» ordinò uno dei due, ma Bruenor non aveva tempo per stare a discutere simili facezie. Pestò con il suo pesante stivale un piede nudo dell'eunuco e dette uno spintone al secondo. Wulfgar entrò proprio in quel momento e spostò di forza chiunque gli si mettesse davanti. Il barbaro si chinò in avanti per guadagnare velocità ma scivolò e proprio quando Bruenor si stava girando per seguire il bordo della piscina Wulfgar gli piombò addosso. Caddero tutt'e due in acqua con un tonfo sordo e Wulfgar si rialzò subito, con l'acqua che gli arrivava ai fianchi. Il barbaro si ritrovò fra i corpi formosi e nudi di due donne che sorridevano divertite. Il giovane balbettò una scusa impacciato, arrossendo vistosamente, ma un violento colpo alla nuca lo riportò alla realtà. «Ti sei forse dimenticato che stiamo inseguendo il mercante?» lo apostrofò Catti-brie. «Certo che no!» cercò di tranquillizzarla Wulfgar. «E allora guardati in giro e cerca l'alone di fuoco!» incalzò la ragazza. Ripreso il controllo di sé, Wulfgar notò al suo fianco il corno di un elmetto fuoriuscire dalla superficie increspata dell'acqua. Si affrettò a tuffare una mano e dopo qualche istante afferrò Bruenor per il bavero e lo sollevò sul bordo della piscina. Il nano uscì dall'acqua con le braccia incrociate sul petto mentre scuoteva rassegnato la testa. Drizzt intanto uscì dalla porta posteriore del bagno pubblico e si ritrovò
in un vicolo deserto, forse l'unico angolo tranquillo in tutta Memnon. Si guardò intorno alla ricerca di un punto di osservazione e con agilità scalò la parete dell'edificio e camminò lungo il bordo del tetto. Sali Dalib rallentò il passo, convinto di essere riuscito a sfuggire all'inseguimento. Il contorno di fuoco dell'elfo si stava affievolendo e ciò aveva aumentato la sensazione di sicurezza del mercante. Lentamente ritornò nel dedalo di strade affollate, dove nemmeno gli impenitenti ubriaconi appoggiati mollemente alle case avrebbero informato i suoi inseguitori. Percorse vicoli sinuosi e finalmente raggiunse una via che lo avrebbe condotto nel più grande mercato di tutta Memnon dove chiunque sarebbe riuscito a far perdere le proprie tracce in un batter d'occhio. Ma fu proprio quando Sali Dalib stava per uscire da quella strada che un essere simile ad un elfo piombò davanti a lui dal cielo mentre due scimitarre venivano sfoderate con gesto fulmineo e incrociate davanti ai suoi occhi terrorizzati. Le lame affilate si appoggiarono sulle spalle dell'uomo e lentamente scivolarono lungo il collo. Quando i quattro amici ritornarono nella tenda del mercante con il loro prigioniero videro con enorme sollievo che il piccolo goblin giaceva ancora nello stesso posto in cui lo avevano lasciato. Con gesti bruschi Bruenor trascinò la creatura dietro a Sali Dalib e li legò insieme, schiena contro schiena. Wulfgar si avvicinò per dargli una mano, ma finì per legare anche un braccio di Bruenor. Il nano si liberò e allontanò il barbaro con uno spintone. «Avrei fatto meglio a rimanere a Mithril Hall,» bofonchiò Bruenor. «È più sicuro starsene accanto a quei musi grigi che vicino a te e alla ragazza!» Wulfgar e Catti-brie lanciarono un'occhiata sbigottita a Drizzt, ma l'elfo si limitò a sorridere spostandosi in un angolo della tenda. «Ha ha ha ha ha,» ridacchiò nervosamente Sali Dalib. «Nessun problema, qui. Facciamo un buon affare, eh? Ho molte ricchezze. Se avete bisogno di qualcosa...» «Chiudi il becco!» tuonò Bruenor ammiccando a Drizzt per far capire che voleva fare il duro. «Non voglio fare affari con uno che mi ha appena imbrogliato,» proseguì Bruenor con voce minacciosa. «Il mio cuore vuole la vendetta,» aggiunse guardando gli amici. «Tutti voi avete visto la faccia che ha fatto quando mi ha creduto morto. È stato lui a mandarci contro quei banditi.» «Sali Dalib non ha mai...» balbettò il mercante.
«Ho detto di tenere chiuso quel becco!» urlò Bruenor a pochi centimetri dal naso del prigioniero, sollevando l'ascia e appoggiandola alla spalla. Il mercante lanciò un'occhiata confusa a Drizzt perché l'elfo aveva indossato la maschera assumendo le sembianze di un elfo di superficie. Sali Dalib intuì la vera identità di Drizzt dalla pelle nera che aveva veduto poco prima sul volto terribile dell'elfo, e non si azzardò nemmeno a implorare pietà. «Aspetta un po',» disse Catti-brie afferrando l'elsa dell'arma di Bruenor. «Chissà se questo cane può ancora salvarsi il collo.» «Bah! Cosa potremmo chiedergli?» sbottò il nano ammiccando anche a Catti-brie. «Ci porterà a Calimport,» ribatté la ragazza lanciando un'occhiata gelida a Sali Dalib per fargli capire di non essere dal cuore tenero. «Sicuramente stavolta ci porterà sulla strada migliore.» «Sì, sì!... Ha ha ha ha ha,» sbottò il mercante. «Sali Dalib vi indicherà la strada!» «Non ci indicherai un bel niente!» ruggì Wulfgar. «Ci porterai tu stesso fino a Calimport.» «È un viaggio molto lungo,» obiettò il mercante. «Cinque giorni, forse più. Sali Dalib non può...» Bruenor alzò lentamente la sua ascia. «Sì, sì! Certo,» si affrettò a dire il mercante. «Sali Dalib vi porterà... Vi condurrà fino alle porte della città... Vi farà entrare in città. Sali Dalib provvederà anche all'acqua. Dobbiamo unirci alla carovana.» «Nessuna carovana,» lo interruppe Drizzt sorprendendo anche i suoi amici. «Viaggeremo da soli.» «Pericoloso,» obiettò Sali Dalib. «Molto, molto pericoloso. Il deserto di Calim è pieno di mostri... di draghi e di banditi.» «Nessuna carovana, stavolta,» ripeté Drizzt con un tono che non lasciava spazio a obiezioni da parte di nessuno. «Slegateli affinché possano preparare il necessario.» Bruenor annuì e subito dopo si avvicinò al viso di Sali Dalib. «Ho intenzione di sorvegliarti io stesso,» disse rivolto a Drizzt, ma tenendo lo sguardo fisso sul mercante e sul piccolo goblin. «Un solo scherzo e vi taglio la testa.» Meno di un quarto d'ora più tardi, cinque cammelli uscirono dai confini meridionali di Memnon diretti verso il deserto di Calim con gli orci di ceramica pieni d'acqua che rimbalzavano ritmicamente contro i fianchi degli
animali. In testa alla carovana Drizzt e Bruenor seguivano i segnali della Rotta dei Mercanti. Nonostante indossasse la maschera, l'elfo aveva tirato il cappuccio del mantello sugli occhi perché il violento riverbero del sole gli colpiva gli occhi abituati alle tenebre del sottosuolo. Sali Dalib si trovava al centro con il suo assistente in groppa ad un cammello davanti a lui, mentre Wulfgar e Catti-brie chiudevano la carovana. La ragazza teneva stretto Taulmaril sul grembo con una freccia incoccata per scoraggiare qualsiasi tentativo di fuga da parte dei due prigionieri. Col passare delle ore il caldo si fece insopportabile, soprattutto per Drizzt che aveva sempre vissuto nelle viscere della terra. Nemmeno una minuscola nuvola mitigò i raggi implacabili del sole, né un refolo di vento asciugò le fronti imperlate di sudore. Solo Sali Dalib, avvezzo al deserto, sapeva che quella era una vera benedizione perché il vento trasportava con sé la sabbia che accecava, diventando il vero assassino del deserto di Calim. Finalmente arrivò la notte, e con essa una temperatura più mite. La luna piena sorse nel cielo illuminando con la sua argentea luce lo scenario fantastico delle armoniose dune, simili a spumeggianti onde dell'oceano. La carovana si fermò per alcune ore e gli amici stabilirono i turni di guardia per le loro riluttanti guide. Catti-brie si svegliò poco dopo mezzanotte. Si mise a sedere e stiracchiò le braccia pensando che fosse giunto il suo turno. Con la coda dell'occhio vide Drizzt seduto nella penombra del falò e con lo sguardo rivolto al cielo stellato. Catti-brie era sicura che Drizzt aveva fatto il primo turno di guardia e osservò la posizione della luna per assicurarsi dell'ora. Non v'erano dubbi: era notte fonda! «Qualche guaio?» chiese sottovoce avvicinandosi a Drizzt, ma il sonoro russare di Bruenor fu l'unica risposta alla sua domanda. «Ti do il turno io, allora,» disse Catti-brie. «Anche un elfo scuro deve dormire.» «Posso riposarmi anche sotto il cappuccio del mio mantello quando il sole è alto nel cielo,» ribatté Drizzt ricambiando lo sguardo preoccupato della ragazza con i suoi occhi color lavanda. «Posso stare qui con te?» chiese Catti-brie. «È una notte meravigliosa.» Drizzt sorrise rivolgendo lo sguardo al cielo e all'irresistibile fascino della notte con un desiderio struggente nel cuore che nessun elfo di superficie avrebbe mai potuto provare.
Catti-brie fece scivolare le sue dita gentili fra quelle dell'elfo e rimase in silenzio al suo fianco, non volendo infrangere la sua beatitudine incantata con le parole, poiché, con il suo più caro fra gli amici, aveva già condiviso momenti simili. *
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Il caldo si fece ancora più opprimente il giorno successivo, e ancora peggio il terzo giorno di viaggio, ma i cammelli continuavano a procedere ondeggiando sulla sabbia senza evidente sforzo, e i quattro amici, che avevano superato insieme parecchie difficoltà, accettarono quel viaggio faticoso come uno dei tanti ostacoli che dovevano superare in un viaggio che dovevano ancora terminare. Non incontrarono più segni di vita e fu una vera fortuna, perché in una terra così desolata qualsiasi cosa vivente sarebbe stata loro ostile. Il caldo era il nemico principale. Avevano addirittura l'impressione che la pelle si seccasse e si lacerasse. Quando, nei momenti di crisi e di maggiore stanchezza causati dal sole implacabile o dalla sabbia rovente sospinta da un vento insopportabile, qualcuno era tentato di tornare indietro, il pensiero correva immancabilmente a Regis. Quali terribili torture stava subendo il nanerottolo per mano del suo vecchio maestro? Epilogo Nascosto nella penombra della porta, Entreri osservò Pascià Pook risalire la scala verso l'uscita dall'edificio della corporazione. Non era passata un'ora da quando Pook aveva riottenuto il suo pendente che già usciva per usarlo. Ma Entreri doveva riconoscere che il capo della corporazione, nonostante i suoi numerosi impegni, non arrivava mai tardi per la cena. L'assassino aspettò che Pook se ne fosse andato e quindi con passo furtivo salì al piano più alto. Le guardie che vigilavano davanti all'ultima porta non si mossero per fermarlo, anche se Entreri non riconobbe in quei volti le vecchie sentinelle di molti anni prima. Pook aveva sicuramente comunicato a tutti la presenza di Entreri all'interno della casa, accordandogli tutti i privilegi di cui era solito godere. Pascià Pook non arrivava mai tardi per cena, pensò Entreri con un ghi-
gno. Entreri si avvicinò alla porta della sua vecchia stanza dove ora risiedeva LaValle, e bussò con mano leggera. «Avanti, avanti,» disse il mago, affatto stupito del ritorno dell'assassino. «È bello essere ritornati a casa,» disse Entreri. «Ed è ancora più bello riaverti fra noi,» ribatté il mago con tono sincero. «Da quando sei partito la situazione è cambiata e negli ultimi mesi è addirittura peggiorata.» Entreri colse il significato nascosto della frase del mago. «Rassiter?» LaValle abbozzò una smorfia di disgusto. «Riparati le spalle contro il muro quando quell'essere si aggira per questa casa.» Il suo corpo venne scosso da un violento brivido, ma LaValle si ricompose subito. «Ma se ti proteggi le spalle sostenendo Pook, Rassiter imparerà presto qual è il suo posto.» «Forse,» replicò Entreri, «anche se non sono sicuro che Pook fosse contento di rivedermi.» «Devi cercare di capirlo,» disse LaValle con un ghigno. «È il capo della corporazione! Desiderava delimitare la sua zona per far valere la propria autorità. Tuttavia, quell'incidente ormai è acqua passata.» Lo sguardo di Entreri dette al mago l'impressione che non era molto convinto di quella ipotesi. «Pook dimenticherà,» gli assicurò LaValle. «Anche chi mi insegue non dimentica facilmente,» ribatté Entreri. «Pook ha chiesto a Pinochet di completare il lavoro,» aggiunse LaValle. «I pirati non hanno mai fallito.» «I pirati non si sono mai scontrati con nemici di quel genere,» rispose Entreri osservando la sfera di cristallo del mago sul tavolo. «Dovremmo accertarcene.» LaValle rimase un attimo soprappensiero e dopo un istante annuì. Anche lui aveva intenzione di scrutare nella sfera di cristallo. «Guarda nella sfera,» disse a Entreri. «Cercherò di evocare l'immagine di Pinochet.» La sfera magica si riempì lentamente di fumo. LaValle non aveva visto molte volte il viso di Pinochet, ma se lo ricordava a sufficienza per riconoscerlo. L'immagine di una nave all'attracco si delineò nelle volute di fumo, ma non si trattava di una nave pirata, bensì di un'imbarcazione di mercanti. Entreri capì che qualcosa non era andato per il verso giusto. L'immagine si ingrandì, la potenza della sfera oltrepassò lo scafo della nave, e gli atroci dubbi dell'assassino ricevettero una terribile conferma. In
un angolo buio della stiva, vide l'orgoglioso capitano pirata, con il viso nascosto fra le mani ai cui polsi dondolavano pesanti catene. LaValle lanciò ad Entreri un'occhiata esterrefatta, ma l'assassino non riusciva a staccare gli occhi da quella visione, mentre sul suo volto si intravedeva uno strano sorriso. LaValle formulò un incantesimo sulla sfera. «Pinochet,» disse con un filo di voce. Il pirata sollevò il capo e si guardò intorno. «Dove sei?» chiese LaValle. «Oberon?» chiese Pinochet. «Sei veramente tu, mago?» «No, sono LaValle, il mago di Pook a Calimport. Dove sei?» «A Memnon,» ribatté il pirata. «Puoi tirarmi fuori di qui?» «Chiedigli che ne è stato dell'elfo e del barbaro,» disse Entreri rivolto a LaValle, ma Pinochet aveva udito la domanda. «Li avevo in pugno!» sibilò il pirata. «Li avevo intrappolati nel canale e non avevano scampo. Ma all'improvviso è arrivato dal cielo un nano che stringeva le redini di un carro di fuoco assieme ad una donna con un arco infallibile... un arco mortale.» Il pirata rimase zitto, quasi dovesse ricacciare un conato di disgusto al ricordo di quell'incontro. «Cosa è successo?» lo incalzò LaValle, sbalordito da quella novità. «Una nave è fuggita, un'altra... la mia è colata a picco, mentre la terza è stata catturata,» gemette Pinochet con una smorfia. «Puoi tirarmi fuori di qui?» ripeté con maggiore enfasi. LaValle lanciò un'occhiata imbarazzata ad Entreri che si era irrigidito davanti alla sfera, intento ad ascoltare le parole del pirata. «Dove sono?» sibilò l'assassino con malcelata impazienza. «Se ne sono andati,» rispose Pinochet. «Assieme alla ragazza e al nano, per la città di Memnon.» «Quando?» «Tre giorni fa.» Con un gesto della mano Entreri fece capire a LaValle che aveva sentito abbastanza. «Dirò a Pascià Pook che invii immediatamente un messaggio a Memnon,» disse LaValle per rassicurare il pirata. «Verrai liberato.» Pinochet nascose di nuovo il volto fra le mani. Sapeva anche lui che sarebbe stato liberato perché ormai aveva già preso accordi con Deudermont. Aveva inutilmente sperato che LaValle in qualche modo riuscisse a farlo uscire dalla stiva della Folletto del Mare, evitandogli di prendere impegni
formali con il capitano di quella nave. «Tre giorni,» ripeté LaValle ad Entreri mentre la sfera di cristallo ritornava trasparente. «Saranno già a metà strada.» Quell'idea parve divertire Entreri. «Pascià Pook non deve sapere nulla,» si affrettò a dire. LaValle si appoggiò allo schienale della sedia con aria sbigottita. «Ma bisogna dirglielo.» «No!» tuonò Entreri. «Questo non è affar suo!» «La corporazione può essere in pericolo,» ribatté LaValle. «Vuoi forse insinuare che io non sono in grado di sistemare da solo questa storia?» chiese Entreri con voce minacciosa. LaValle sentì su di sé lo sguardo tagliente dell'assassino quasi lui fosse diventato un ostacolo da superare. Lo sguardo minaccioso si addolcì all'improvviso e Entreri sorrise. «Conosci la debolezza di Pascià Pook per i felini,» disse infilando una mano nella bisaccia che portava al fianco. «Dagli questo e digli che l'hai fatto con le tue mani appositamente per lui,» aggiunse lanciando un piccolo oggetto di onice sul tavolo. LaValle lo prese e non appena riconobbe cos'era sgranò gli occhi dalla meraviglia. Guenhwyvar. *
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In un piano dell'esistenza molto lontano, il grande felino si agitò quando la mano del mago si richiuse attorno alla statuetta e si chiese se, finalmente, il suo padrone avesse intenzione di chiamarlo al suo fianco. Ma dopo qualche istante, quando quella sensazione svanì, il felino reclinò la testa e si addormentò. Era trascorso molto tempo. *
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«Racchiude un'entità,» disse il mago sbigottito, avvertendo la forza sprigionata dalla statuetta di onice. «Un'entità potentissima,» aggiunse Entreri. «Quando imparerai a controllarla, avrai acquisito un nuovo alleato per la corporazione.» «Come posso ringraziarti...» prese a dire LaValle, ma si interruppe subi-
to rendendosi conto solo allora che il prezzo della pantera era già stato tacitamente pattuito. «Perché annoiare Pook con particolari che non lo riguardano?» disse il mago con un sorriso mentre copriva la sfera di cristallo con un panno. Entreri salutò LaValle con una manata sulle spalle e si diresse verso la porta. Erano passati tre anni, ma nulla aveva rovinato l'intesa che esisteva fra loro. Ma con l'avvicinarsi di Drizzt e dei suoi amici, Entreri aveva impegni ben più incalzanti. Doveva scendere nella Cella dei Nove e andare a trovare Regis. L'assassino aveva bisogno di un altro dono. LIBRO 3 GLI IMPERI DEL DESERTO 16 Mai conobbi luogo più sordido Entreri scivolò per i bui bassifondi di Calimport silenzioso come un gufo che attraversa in volo una foresta al crepuscolo. Quella era la sua dimora, il luogo che conosceva a memoria. Tutta la gente che viveva per quelle strade avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui Artemis Entreri era ritornato in mezzo a loro, o alle loro spalle. Entreri non poté fare a meno di sorridere quando avvertì i tenui bisbigli che accompagnavano il suo passaggio: veterani della malavita che ammonivano i più giovani ed inesperti del ritorno del loro re. Entreri non aveva mai permesso che la leggenda della sua fama, per quanto se la fosse guadagnata duramente, interferisse con il suo perenne atteggiamento guardingo che lo aveva tenuto in vita in tutti quegli anni. Nelle strade, la gloria del potere marchiava un uomo come facile bersaglio per chi, ambizioso di successo, cercava disperatamente di guadagnarsi una fama propria. Ne conseguiva che il primo dovere di Entreri in quella città, al di là delle sue responsabilità nei confronti di Pascià Pook, era di ristabilire la rete di informatori e soci che gli aveva finora garantito quella fama. Aveva già un lavoro da affidare ad uno dei suoi amici e con l'imminente arrivo di Drizzt e dei suoi compagni, sapeva già a chi si sarebbe rivolto. «Avevo sentito che eri ritornato,» strillò una creatura minuta che assomigliava a un ragazzo alle soglie della giovinezza quando Entreri dovette
chinare il capo per entrare nella sua casa. «Le notizie corrono veloci.» Entreri accettò quel complimento con un cenno del capo. «Cos'è cambiato in città, mio caro amico nanerottolo?» «Poco,» ribatté Dondon, «e molto.» Si diresse verso il tavolo che si trovava nell'angolo più buio della sua minuscola dimora, una stanza posteriore di una taverna scalcinata conosciuta come Il Serpente Attorcigliato. «Per la strada le regole del gioco sono sempre le stesse, ma sono i giocatori che cambiano.» Dondon alzò gli occhi dalla lanterna spenta sul tavolo per incontrare lo sguardo fisso di Entreri. «In fin dei conti, Artemis Entreri se n'era andato,» spiegò il nanerottolo desiderando che l'amico capisse il significato delle sue parole. «Il trono era vuoto.» Entreri annuì e Dondon si rilassò lasciandosi sfuggire un sonoro sospiro. «Pook continua a controllare i mercanti e il porto,» disse Entreri. «Chi controlla le strade?» «Pook,» rispose Dondon. «Almeno di nome. Ha trovato uno con cui sostituirti. A dire il vero, ha trovato un'intera orda.» Rimase zitto per un attimo, quasi volesse pensare, perché si rese conto che doveva stare molto attento a soppesare ogni parola che gli usciva di bocca. «Forse sarebbe il caso di dire che Pascià Pook non controlla le strade, ma piuttosto che le fa controllare.» Ancora prima di chiedere, Entreri sapeva cosa il nanerottolo voleva intendere. «Rassiter,» disse con voce severa. «Ci sarebbero molte cose da raccontare su di lui e sulla sua gentaglia,» ridacchiò Dondon cercando di accendere la lanterna. «Pook ha un trattamento di riguardo per i ratti mannari, e quei ruffiani stanno alla larga dalla corporazione,» disse Entreri. «Rassiter e i suoi uomini giocano duro.» «E passeranno tempi duri.» Il tono gelido della voce di Entreri fece distogliere lo sguardo di Dondon dalla lanterna e per la prima volta dal suo ritorno, il nanerottolo riconobbe il vecchio Artemis Entreri, il duro uomo di strada che aveva costruito il suo impero di ombra guadagnandosi gli alleati uno alla volta. Un improvviso brivido gli percorse la schiena e Dondon si alzò in piedi con evidente imbarazzo. Entreri avvertì l'effetto di quelle parole nel suo amico e cambiò subito argomento. «Basta,» disse. «Queste cose non devono preoccuparti, mio piccolo amico. Ho piuttosto un lavoretto che si addice alle tue qualità.»
Dondon riuscì finalmente ad accendere la lanterna e presa una sedia fece accomodare Entreri, soddisfatto di poter compiacere al suo vecchio capo. Parlarono per più di un'ora, finché il tremolante bagliore della lanterna non cominciò a trafiggere le tenebre insistenti della notte. Entreri si accomiatò dall'amico e uscì in strada. Non poteva credere che Rassiter fosse così stupido da colpire prima di rendersi conto dell'influenza dell'assassino o prima che quel ratto mannaro ne scoprisse la potenza. Tuttavia Entreri non riteneva che Rassiter fosse così intelligente. Forse era Entreri a non capire veramente chi fosse il suo nemico, oppure in che modo Rassiter e i suoi miserabili scagnozzi erano riusciti a prendere il completo controllo delle strade negli ultimi tre anni. Non erano passati che pochi minuti da quando Entreri se n'era andato che la porta di Dondon si riaprì di nuovo per lasciar passare Rassiter. «Cosa voleva?» chiese il borioso guerriero sedendosi su una sedia. Dondon si ritrasse sentendosi a disagio con lo sguardo fisso sui due esseri che erano rimasti a guardia della porta. Era già trascorso più di un anno, ma al cospetto di Rassiter il nanerottolo provava una violenta inquietudine. «Su, su!» lo incitò Rassiter. «Cosa voleva?» ripeté con voce arcigna. L'ultima cosa che Dondon desiderava era trovarsi fra il fuoco incrociato dei ratti mannari e dell'assassino, ma non poté fare altro che rispondere alla domanda di Rassiter. Se Entreri avesse saputo del suo doppio gioco, Dondon sapeva che la sua fine sarebbe presto arrivata. E se decideva di tenere la bocca chiusa con Rassiter, lo aspettava la stessa fine, anche se non sarebbe stata altrettanto veloce. Il nanerottolo sospirò rassegnato e raccontò a Rassiter tutta la storia, nei più piccoli particolari. Rassiter non impartì nessun contrordine alle istruzioni date da Entreri perché avrebbe lasciato che Dondon si comportasse esattamente come l'assassino gli aveva chiesto. Il ratto mannaro credeva di sfruttare la situazione a suo vantaggio e rimase seduto a lungo grattandosi il mento glabro assaporando l'anticipazione della vittoria. Le sue labbra sottili lasciavano intravedere i suoi denti rotti, resi ancora più gialli dalla luce tremolante della lampada. «Verrai con noi stanotte?» chiese a Dondon, soddisfatto di avere sistemato l'assassino. «La luna splenderà nel cielo,» aggiunse pizzicando le guance pienotte di Dondon. «La pelliccia sarà folta, eh?» Dondon si allontanò di scatto. «Non stanotte,» ribatté con voce dura. Rassiter chinò il capo da un lato e gli lanciò un'occhiata incuriosita. A-
veva sempre sospettato che il nanerottolo non si sentisse a proprio agio da quando lui aveva assunto il controllo delle strade e si sorprese a chiedersi se mai il tono di sfida nella sua voce fosse dovuto al ritorno del vecchio capo. «Stuzzicalo e sei sicuro di morire,» aggiunse Dondon aumentando il disorientamente nell'espressione del ratto mannaro. «Non hai ancora capito con chi hai a che fare,» continuò Dondon imperturbabile. «Non bisogna giocare con Artemis Entreri... Non è saggio. Lui sa tutto. E se un ratto mannaro nano viene visto correre con il resto del branco, allora la mia vita è in pericolo e i tuoi piani vanno in fumo.» Dondon vinse il ribrezzo per quell'uomo e si avvicinò a pochi centimetri dal suo volto con espressione grave. «In pericolo,» ripeté. «A dir poco!» Rassiter si alzò di scatto dalla sedia scaraventandola lontano. Per i suoi gusti, aveva sentito nominare quell'Artemis Entreri fin troppe volte in una sola giornata. Ovunque andasse, c'era sempre qualcuno che con labbra tremanti di paura sussurrava il nome dell'assassino. Nessuno sapeva forse che era Rassiter la persona di cui tutti dovevano avere paura? Rassiter avvertì il familiare prurito al mento e quella sensazione di irrequietezza sconvolgergli il corpo. Dondon indietreggiò allontanando lo sguardo perché non era mai riuscito ad abituarsi a quello spettacolo. Rassiter si tolse gli stivali scalciando l'aria, si sbottonò la camicia e si allentò i pantaloni. La peluria era visibile adesso e stava crescendo a ciuffi. La pelle cominciò a rigonfiarsi, soprattutto sul viso e Rassiter soffocò un urlo disumano mentre la testa si allungava anche se l'agonia non era meno intensa della prima volta in cui si era trasformato. Rimase fermo davanti a Dondon, su due gambe come un uomo, ma con il volto ricoperto di peluria e con una lunga coda rosa che gli usciva dai pantaloni, come un roditore. «Vieni con me?» chiese ancora una volta. Nascondendo a fatica il ribrezzo, Dondon scosse il capo. Con lo sguardo fisso sul ratto mannaro, si chiese come avesse potuto permettere a Rassiter di morderlo e lasciarsi infettare con l'orribile incubo del plenilunio. «Ti renderà potente!» gli aveva promesso Rassister. Ma qual era il prezzo che aveva dovuto pagare?, si chiese Dondon. L'apparire e il puzzare come un ratto? Quello non era certo una benedizione di potenza, bensì una malattia.
Rassiter intuì il disgusto del nanerottolo e abbozzò una smorfia con il suo muso da roditore dal quale fuoriuscì un sibilo minaccioso. Lentamente si girò e si diresse verso la porta, ma prima di uscire si voltò di scatto. «Tieniti lontano da questa storia!» lo ammonì. «Fa' come ti è stato chiesto e nasconditi!» «Non temere,» sussurrò Dondon non appena la porta si richiuse. *
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L'aria che rendeva accogliente Calimport per tanti abitanti di Calisham parve ripugnante agli stranieri provenienti da settentrione. Drizzt, Wulfgar, Bruenor e Catti-brie erano stanchi del deserto di Calim dopo cinque giorni di viaggio, ma quando i loro occhi si appoggiarono sulla città di Calimport provarono l'irresistibile desiderio di voltare i loro animali e ritornare fra le sabbie del deserto. Era di gran lunga più squallida di Memnon e per le vie della città la divisione dettata dall'opulenza era così tangibile che agli occhi dei quattro amici sembrò addirittura depravata. L'orizzonte era frastagliato da magnifiche case e monumenti elaborati che lasciavano immaginare una ricchezza infinita, mentre poco più in là, oltre quei palazzi, si estendeva a perdita d'occhio una miriade di vicoli lungo i quali si ergevano cadenti baracche d'argilla e tende di pelli consunte. Era impossibile indovinare quanta gente vagasse per quelle strade, forse molta di più che nelle città di Waterdeep e Memnon messe insieme, e come a Memnon, nessuno si era mai dato pena di contarne gli abitanti. Sali Dalib smontò dal cammello e invitò tutti a fare come lui, e condusse la carovana oltre l'ultima collina, in prossimità della città senza mura. Calimport non era certo più bella vista da vicino. Bambini nudi dalle pance rigonfie per mancanza di cibo sgattaiolavano per le vie o venivano travolti da carri carichi di schiavi che scorrazzavano per la città. Ben peggiori erano i lati di quelle strade, simili a piccoli fossati che servivano da fogne aperte nei quartieri più poveri e da tomba per i corpi dei miserabili che avevano esalato il loro ultimo respiro sul ciglio della strada. «Pancia-che-brontola non ci ha mai descritto queste cose quando raccontava della sua città,» mugugnò Bruenor coprendosi il viso con un lembo del mantello per proteggersi dal fetore. «Non riesco a capire come facesse ad avere nostalgia per questo posto!» «Questa è la città più grande del mondo, davvero!» disse Sali Dalib d'un
fiato alzando le braccia per sottolineare il suo apprezzamento. Wulfgar, Bruenor e Catti-brie gli lanciarono un'occhiata incredula perché, a parer loro, una moltitudine di accattoni e indigenti morti di fame non era certo simbolo di grandezza. Drizzt non stette nemmeno ad ascoltare le parole del mercante perché la sua mente era occupata dall'inevitabile confronto fra Calimport e un'altra città che conosceva: Menzoberranzan. Molte cose accomunavano quelle città perché per le loro strade la morte si aggirava senza sosta. Tuttavia, Calimport sembrava ancora più squallida della città degli elfi, dove anche il più debole degli elfi scuri disponeva di qualche mezzo con cui proteggersi, sia grazie ai forti legami familiari o alle terribili capacità magiche. Ma gli abitanti di Calimport, e ancor di più i loro figli, avevano un'aria derelitta e senza speranza. A Menzoberranzan, chiunque appartenesse ai ceti più bassi della gerarchia poteva risalire la scala e guadagnarsi un'esistenza più comoda. Per la maggior parte delle persone che popolavano Calimport, invece, esisteva solo la povertà e una squallida vita di stenti protratta di giorno in giorno finché i loro corpi non venivano ammassati assieme agli altri per la gioia dei famelici avvoltoi. «Portaci alla corporazione di Pascià Pook,» disse Drizzt interrompendo le lodi sconclusionate del mercante e badando al sodo. Desiderava concludere velocemente i suoi affari a Calimport e andarsene subito. «Poi ti lasceremo andare.» Sali Dalib sbiancò in volto. «Pascià Pook?» balbettò confuso. «Chi è?» «Bah!» sbottò Bruenor avvicinandosi con fare minaccioso. «Lo conosce benissimo, lui!» «Certo che lo conosce,» osservò Catti-brie, «e ne ha paura.» «Sali Dalib non...» cominciò a dire il mercante. Lampo uscì dal fodero con un sibilo raccapricciante e si fermò sotto il mento di Sali Dalib che serrò le labbra. Drizzt fece scivolare leggermente la maschera per ricordare al mercante le proprie origini. Ancora una volta l'improvviso comportamento arcigno dell'elfo inquietò gli amici. «Penso al mio amico,» disse Drizzt sottovoce spaziando con uno sguardo distratto sull'intera città, «e alle torture che deve subire a causa del nostro ritardo.» Il suo volto ritornò minaccioso e impenetrabile. «A causa del tuo ritardo! Ci porterai alla corporazione di Pascià Pook,» ripeté con veemenza, «e poi ti lasceremo andare.» «Pook? Ah, Pook,» ripeté il mercante con un sorriso. «Sali Dalib conosce quest'uomo. Sì, sì! Tutti conoscono Pook. Sì. Vi porto da lui e poi va-
do.» Drizzt si nascose dietro la maschera, ma l'espressione severa non abbandonò il suo volto. «Se tu o il tuo piccolo amico cercate di fuggire,» li avvertì con una voce così calma che né il mercante né il suo aiutante dubitarono della veridicità di quelle parole, «vi inseguirò in capo al mondo e vi ucciderò.» I tre amici dell'elfo si scambiarono occhiate confuse scrollando le spalle. Pur conoscendo il cuore di Drizzt, il tono della sua voce non lasciava dubbi. Quella promessa era molto più che una velata minaccia. *
*
*
I quattro amici si aggirarono costernati per più di un'ora per il labirinto di vie tortuose di Calimport. Non vedevano l'ora di andarsene da quella città per sottrarsi al rivoltante puzzo. All'improvviso Sali Dalib svoltò un angolo ed entrò nel Quartiere dei Ladri, a chiusura del quale indicò l'inconfondibile edificio: la sede della corporazione di Pascià Pook. «Là abita Pook,» disse Sali Dalib. «Ora Sali Dalib si riprende i cammelli e ritorna a Memnon.» Ma nessuno di loro aveva tanta fretta di sbarazzarsi del mercante. «Secondo me, Sali Dalib adesso si precipita da Pook per vendergli qualche racconto su quattro amici,» bofonchiò Bruenor. «C'è un modo per impedirglielo,» disse Catti-brie lanciando un'occhiata di sfuggita a Drizzt mentre si avvicinava al mercante impaurito e infilava una mano nella sua bisaccia. Il volto della ragazza si fece serio e così intenso che Sali Dalib indietreggiò quando Catti-brie gli appoggiò una mano sulla fronte. «Stai fermo!» gli ordinò la ragazza con tono reciso. Aveva preso una polvere bianca come la farina e bisbigliando una cantilena incomprensibile tracciò una scimitarra sulla fronte di Sali Dalib. Il mercante avrebbe voluto protestare, ma la paura gli aveva fatto perdere la voce. «E adesso sistemiamo il piccolo,» disse Catti-brie voltandosi verso il goblin. L'aiutante di Sali Dalib cercò di fuggire, ma Wulfgar lo afferrò per un braccio e lo porse alla ragazza, stringendo con forza finché il goblin non smise di dimenarsi. Catti-brie ripeté la formula e i gesti e poi si voltò verso Drizzt. «Adesso le loro anime sono unite alla tua,» disse con espressione cupa. «Li senti?» Drizzt capì le intenzioni della ragazza e annuì lentamente sguainando le
due scimitarre. Sali Dalib impallidì e barcollò, ma Bruenor lo afferrò per un braccio perché si era avvicinato per vedere cosa stava combinando sua figlia. «Potete lasciarli andare adesso. Ho già formulato l'incantesimo,» disse Catti-brie rivolta a Wulfgar e Bruenor. «L'elfo avvertirà la vostra presenza,» sibilò la ragazza a Sali Dalib e al suo aiutante. «Saprà se siete rimasti in città oppure se siete partiti. Se rimarrete in città, e se avrete intenzione di andare da Pook, l'elfo lo sentirà e vi inseguirà.» Catti-brie rimase in silenzio per un istante per essere sicura che capissero quali conseguenze terribili comportava la loro disobbedienza. «Vi ritroverà e vi ucciderà lentamente.» «Prendete i vostri cavalli con le gobbe e andatevene!» tuonò Bruenor. «Se avrò la sfortuna di rivedere le vostre facce rivoltanti, vi assicuro che l'elfo vi taglierà la testa!» Prima che il nano avesse finito, Sali Dalib e il goblin avevano riunito i cammelli ed erano partiti, uscendo frettolosamente dal Quartiere dei Ladri diretti verso i confini settentrionali della città. «Quei due arriveranno al deserto in men che non si dica,» disse Bruenor scoppiando in una fragorosa risata. «Bello scherzo, ragazza mia!» Drizzt indicò l'insegna di una taverna. Il Cammello che Sputa si trovava poco lontano. «Prendiamo una stanza per la notte,» disse agli amici. «Io intanto seguo quei due per essere sicuro che abbandonino la città.» «Perdi tempo,» gli urlò dietro Bruenor. «La ragazza gli ha messo le ali ai piedi, o io non sono più un nano dalla barba rossa!» Ma Drizzt si era già tuffato nel dedalo di strade di Calimport. Wulfgar, colto alla sprovvista dalle insospettate doti magiche della ragazza e non sicuro di quanto aveva appena assistito, squadrò Catti-brie con fare sospetto. «Impara, ragazzo,» lo schernì Bruenor. «Devi stare attento a quella ragazza se non vuoi che usi le sue arti contro di te!» Catti-brie colse al volo l'opportunità di divertire ancora Bruenor e si avvicinò all'imponente barbaro osservandolo con occhi taglienti. Wulfgar indietreggiò di due passi. «Semplice stregoneria,» disse con voce stridula. «Mi avverte quando i tuoi occhi guardano un'altra donna con lussuria!» Catti-brie si girò lentamente distogliendo lo sguardo da Wulfgar solo dopo avere fatto tre passi ed essersi avvicinata alla taverna che Drizzt aveva indicato. In punta di piedi Bruenor colpì la nuca del barbaro con un sonoro ceffo-
ne e si incamminò per raggiungere Catti-brie. «È una brava ragazza,» disse a Wulfgar. «Cerca di non farla ingelosire!» Wulfgar scosse il capo confuso e cercò di sorridere capendo finalmente che la 'stregoneria' di Catti-brie era servita solo per impaurire il mercante. Ma lo sguardo di Catti-brie mentre formulava l'incantesimo e l'intensità dei suoi occhi mentre lo minacciava rimasero impressi nella mente del giovane barbaro, e un tremito gli percorse la schiena mentre un leggero sudore gli imperlava la fronte. *
*
*
Il sole si stava eclissando oltre l'orizzonte occidentale quando Drizzt ritornò nel Quartiere dei Ladri. Aveva seguito Sali Dalib e il suo aiutante fino ai confini del deserto di Calim, nonostante avesse da tempo capito dai loro frettolosi passi che non avevano nessuna intenzione di ritornare a Calimport. Tuttavia, Drizzt non voleva rischiare perché era sicuro che presto avrebbero ritrovato Regis ed erano molto vicini anche ad Entreri. Grazie all'ormai consueto travestimento da elfo, Drizzt entrò nel Cammello che Sputa e si avvicinò al bancone del locandiere, un uomo ossuto e dalla carnagione scura, con le spalle appoggiate al muro e la testa che si girava nervosamente da tutte le parti. «Ci sono tre miei amici qui,» disse Drizzt con tono burbero. «Un nano, una donna e un gigante biondo.» «Al piano di sopra,» gli rispose l'uomo. «A sinistra. Due monete d'oro se intendi fermarti per la notte,» si affrettò ad aggiungere tendendo una mano. «Il nano ti ha già pagato,» ribatté Drizzt allontanandosi. «Per sé, per la ragazza e il grande...» cominciò a dire il locandiere afferrando Drizzt per una spalla, ma la frase gli morì in gola quando vide gli occhi lavanda dello straniero. «Ha già pagato,» borbottò l'uomo tremando di paura. «Sì, ha già pagato. Me lo ricordo.» Drizzt si allontanò senza aggiungere una parola. Le due stanze si trovavano una di fronte all'altra, in fondo al corridoio. Avrebbe voluto andare direttamente in camera di Wulfgar e Bruenor e riposarsi un po' nella speranza di uscire in strada non appena fosse calata la notte, momento in cui Entreri si aggirava in città. Trovò invece Catti-brie sulla porta, quasi come se lo stesse aspettando, che lo invitò ad entrare con un cenno della mano.
Drizzt si sedette sul bordo di una della due sedie che si trovavano in mezzo alla stanza e cominciò a battere il piede sul pavimento mentre Cattibrie richiudeva la porta. La ragazza rimase ad osservarlo per un po' e si sedette sull'altra sedia. Era da molti anni che conosceva Drizzt, ma mai lo aveva veduto così agitato. «Sembra che tu voglia distruggerti,» gli disse. Drizzt le lanciò un'occhiata gelida, ma Catti-brie cercò di addolcirlo con un sorriso. «Hai forse intenzione di colpirmi?» Quella frase ebbe il potere di rilassare l'elfo che si appoggiò allo schienale. «E non indossare quella stupida maschera quando sei con noi,» lo rimproverò Catti-brie con fare benevolo. Drizzt si sfiorò la maschera con una mano, ma esitò. «Toglitela!» ordinò la ragazza e l'elfo obbedì. «I tuoi modi sono stati un po' bruschi quando eravamo in strada,» proseguì lei con voce suadente. «Dobbiamo essere sicuri,» ribatté Drizzt con voce assente. «Non mi fido di Sali Dalib.» «Nemmeno io,» ammise Catti-brie, «ma ciò non toglie che tu sia un po' strano.» «Sei tu che hai architettato tutta quella storia con la farina,» cercò di difendersi Drizzt. «È stata Catti-brie a sembrarmi un po' strana.» Catti-brie si strinse nelle spalle. «Una scenata necessaria,» disse. «Una recita che ho lasciato perdere non appena il mercante se l'è battuta. Ma tu, invece,» proseguì chinandosi in avanti e appoggiando una mano sul ginocchio di Drizzt. «Tu stai meditando di combattere.» Drizzt si mosse inquieto sulla sedia ma si rese conto che l'osservazione di Catti-brie era vera e si sforzò di rilassarsi grazie al tocco di quella mano amica. Guardò un punto lontano, oltre la finestra, perché si sentì incapace di mitigare l'espressione dura del suo volto. «Cosa ti sta succedendo?» mormorò Catti-brie. Drizzt la guardò negli occhi e ricordò tutto il tempo che avevano trascorso insieme nella Valle del Vento Ghiacciato. La sua sincera preoccupazione gli fece rammentare il loro primo incontro, quando il sorriso di una bambina, perché allora non era che una bambina, aveva infuso nel disorientato e scoraggiato elfo una rinnovata speranza di vita fra gli abitanti della superficie.
Catti-brie conosceva i segreti del cuore di Drizzt come nessun altro al mondo, le cose che l'elfo riteneva importanti e che rendevano sopportabile la sua stoica vita. Lei era l'unica creatura che avvertiva le paure che si agitavano sotto la sua pelle nera e l'insicurezza mascherata dall'abilità della sua spada. «Entreri,» disse Drizzt lentamente. «Vuoi ucciderlo?» «Devo ucciderlo.» L'espressione di Catti-brie si fece pensosa. «Se intendi uccidere Entreri per liberare Regis,» disse dopo un lungo silenzio, «e impedirgli di continuare a nuocere, allora il cuore mi dice che è una cosa giusta.» Catti-brie si avvicinò al volto di Drizzt e aggiunse: «Ma se vuoi ucciderlo per metterti alla prova o per negare quello che lui rappresenta, allora il mio cuore piange di dolore.» Catti-brie avrebbe potuto dare un forte manrovescio a Drizzt e sortire lo stesso effetto. L'elfo si irrigidì e reclinò la testa, mentre sul suo volto si dipingeva un'espressione di furioso diniego. Tuttavia lasciò che Catti-brie continuasse a parlare, perché non poteva non tenere conto delle osservazioni di quella donna sensibile. «Tutti sanno che il mondo non è giusto, mio caro amico. Secondo il tuo grande cuore hai subito un torto, ma stai inseguendo l'assassino per soddisfare la tua rabbia? Sei sicuro che la morte di Entreri laverà l'onta?» Drizzt non rispose ma il suo volto si fece duro. «Guardati allo specchio, Drizzt Do'Urden,» continuò la ragazza, «ma senza la maschera! La morte di Entreri non cambierà il colore della sua pelle... e nemmeno il colore della tua!» Le parole di Catti-brie colpirono di nuovo Drizzt in pieno volto, ma quella volta nascondevano una grande verità. L'elfo si accasciò sulla sedia e guardò Catti-brie come se fosse la prima volta che la vedeva. Dov'era andata la piccola bambina di Bruenor? Davanti a sé vide una donna, bella e sensibile, in grado di mettere a nudo un'anima con poche parole. Avevano trascorso molto tempo insieme e avevano condiviso molte cose, ma come poteva conoscere gli angoli più nascosti della sua anima? «Puoi contare su veri amici,» disse Catti-brie, «e non per il modo con cui brandisci la spada. Altri invece si definiscono tuoi amici quando sono entrati nel raggio d'azione del tuo braccio, oppure non te ne sei accorto?» Drizzt pensò a quelle parole e si ricordò la Folletto del Mare e il capitano Deudermont con i suoi uomini che lo avevano sostenuto anche quando
avevano saputo della sua discendenza. «E se tu avessi imparato ad amare,» proseguì Catti-brie con un sussurro, «lasceresti che le cose vadano per il loro verso, Drizzt Do'Urden.» Drizzt rimase ad guardarla con intensità notando il bagliore che illuminava i suoi grandi occhi, nel tentativo di capire cosa volesse insinuare, quale fosse il segreto messaggio che voleva comunicargli. La porta si aprì all'improvviso e Wulfgar fece irruzione nella stanza con passo baldanzoso. Il suo viso era illuminato da un ampio sorriso e da uno sguardo azzurro assetato d'avventura. «Bentornato,» disse a Drizzt fermandosi alle spalle di Catti-brie e abbracciandola. «È calata la notte e la luna piena risplende verso oriente. La caccia comincia!» Catti-brie appoggiò una mano sul braccio di Wulfgar e gli diresse un sorriso smagliante. Drizzt provò gioia che quei due si fossero trovati perché insieme avrebbero avuto una vita benedetta e piena di gioia, allietata da figli che sicuramente sarebbero stati invidiati da quanti abitavano nelle terre settentrionali. Catti-brie rivolse lo sguardo a Drizzt. «Un'ultima cosa per darti da pensare, mio caro amico,» disse con voce pacata. «Ti preoccupa maggiormente il modo in cui il mondo ti considera oppure il modo in cui tu credi che il mondo ti consideri?» La tensione svanì dal corpo di Drizzt. Se le osservazioni di Catti-brie erano giuste, allora lui avrebbe dovuto pensarci su per parecchio tempo. «È ora di cacciare!» esclamò Catti-brie soddisfatta di essere riuscita a far capire certe cose all'amico. Si avvicinò a Wulfgar e insieme si diressero verso la porta, ma prima di uscire Catti-brie si girò e guardò Drizzt per un'ultima volta, quasi volesse dirgli che lui avrebbe dovuto chiederle più cose quando si trovavano ancora nella Valle del Vento Ghiacciato, prima che Wulfgar entrasse nella sua vita. Drizzt sospirò quando fu solo e istintivamente prese la maschera magica. Istintivamente?, si sorprese a pensare. Drizzt la lasciò cadere a terra e si appoggiò allo schienale con espressione pensosa incrociando le dita dietro la testa, mentre con lo sguardo esaminava le pareti, mosso da una strana speranza. Ma nella stanza non c'erano specchi. 17 Alleanze impossibili
LaValle indugiò a lungo con la mano nella tasca, quasi volesse prendersi gioco di Pook. Erano soli, a parte gli eunuchi che se ne stavano in disparte, come se non ci fossero, nella sala centrale del piano più alto. LaValle aveva promesso al suo padrone un dono la cui importanza era di gran lunga superiore alla notizia della restituzione del ciondolo di rubino, e in cuor suo Pook sapeva che la promessa del mago era dettata dall'accortezza poiché non era saggio deludere il capo della corporazione. LaValle aveva piena fiducia nel dono che teneva ancora nascosto, e non temeva per quanto aveva promesso. Estrasse lentamente la mano e lo porse a Pook con un ampio sorriso. Pook trattenne il fiato e quando la statuetta di onice gli sfiorò il palmo della mano avvertì un leggero sudore. «Magnifica,» mormorò esterrefatto. «Non ho mai visto tanta maestria, tanta cura del particolare! Ci si potrebbe affezionare ad un animaletto del genere!» «Certo,» sussurrò LaValle col fiato sospeso. Il mago non voleva svelare tutti i poteri del dono in una volta e aggiunse: «Sono contento che ti piaccia.» «Dove l'hai trovato?» LaValle si mosse innervosito. «Non ha importanza,» rispose. «È per te, padrone, a dimostrazione della mia fedeltà.» Il mago decise di cambiare subito argomento perché non voleva che Pook indagasse sull'origine del suo dono. «La bellezza della statuetta è solo una minima parte del suo vero valore,» disse suscitando in Pook un'espressione incuriosita. «Avrai sentito parlare di statuette simili,» proseguì LaValle contento di riuscire ancora una volta a sorprendere il capo della corporazione. «Possono rivelarsi magici amici per i loro padroni.» Le mani di Pook ebbero un leggero tremito. «Questa,» balbettò emozionato, «questa potrebbe evocare la pantera?» LaValle rispose con un sorriso malizioso. «Come? Quando posso...» «Ogni volta che lo desideri,» ribatté LaValle. «Dovrei forse preparare una gabbia?» chiese Pook. «Non ce n'è bisogno.» «Almeno finché la pantera non capisce chi è il suo vero padrone...» «Possiedi la statuetta,» lo interruppe LaValle. «La creatura che tu chiamerai è completamente soggiogata a te. Obbedirà ai tuoi ordini assecondando ogni tuo desiderio.» Pook strinse la statuetta e la portò al petto. Non poteva credere che la sua
fortuna fosse così grande. I grandi felini erano il suo primo e unico amore e possederne uno che gli obbedisse diventando così una propaggine della sua stessa volontà gli faceva provare un'emozione che mai prima d'allora aveva provato. «Adesso,» disse. «Voglio chiamare il felino ora. Dimmi le parole.» LaValle gli prese la statuetta dalle mani e l'appoggiò a terra, davanti a loro. Si avvicinò a Pook e gli sussurrò le parole all'orecchio, prestando attenzione che la sua voce non evocasse Guenhwyvar rovinando così la gioia di Pook. «Guenhwyvar,» chiamò Pook a bassa voce. Non successe nulla, ma i due uomini avvertirono che si era stabilito un collegamento con quell'entità lontana. «Vieni a me, Guenhwyvar!» ordinò Pook. Quella voce imperiosa scivolò oltre i portali dei piani dell'esistenza, fino ai cunicoli bui del piano astrale, dimora dell'entità della pantera. Guenhwyvar si risvegliò a quel comando e con passo felpato trovò la strada. «Guenhwyvar,» ripeté quella voce, ma il felino non la riconobbe. Erano passate molte settimane da quando il suo padrone l'aveva evocato nel piano materiale dove la pantera si era guadagnata un lungo e meritato riposo, foriero di una strana anticipazione. Una voce sconosciuta infatti la stava chiamando e Guenhwyvar capì che qualcosa era irrimediabilmente mutato. Con passo guardingo, ma incapace di resistere a quella voce, la grande pantera percorse il cunicolo. Pook e LaValle rimasero a guardare incantati mentre davanti ai loro occhi un denso fumo grigio avvolse la statuetta. Le volute danzarono indolenti per alcuni istanti prendendo lentamente forma. Guenhwyvar si materializzò a poco a poco e, immobile, si guardò intorno alla ricerca di un segno familiare. «Cosa ne faccio adesso?» Pook chiese a LaValle. Il felino irrigidì il corpo al suono della voce del suo padrone. «Quello che più desideri,» rispose LaValle. «Il grande felino siederà al tuo fianco, caccerà per te, seguirà i tuoi passi e... ucciderà per te.» Un bagliore strano illuminò gli occhi del capo della corporazione. «Quali sono i suoi limiti?» LaValle si strinse nelle spalle. «La maggior parte dei sortilegi di questo tipo svaniscono dopo un certo lasso di tempo, ma puoi evocare il felino dopo che si sarà riposato,» si affrettò a dire quando vide l'espressione sconsolata di Pook. «Non può venire ucciso. Ritorna al suo piano origina-
le, anche se la statuetta si può rompere.» Il volto di Pook si contorse in una smorfia di disgusto. Quell'oggetto gli era diventato troppo prezioso per correre il rischio di perderlo. «Ti avverto che non sarà facile distruggere la statuetta,» proseguì LaValle. «La sua magia è potente e il fabbro più muscoloso di tutti i Reami non sarebbe in grado di scalfirlo nemmeno con il maglio più pesante.» Pook parve soddisfatto. «Vieni a me,» ordinò al felino porgendogli una mano. Guenhwyvar obbedì abbassando le orecchie, mentre la mano di Pook gli accarezzava il morbido pelo nero. «Ho un compito da affidargli,» annunciò Pook all'improvviso guardando LaValle palesemente emozionato. «Un compito memorabile e meraviglioso! Il primo compito di Guenhwyvar.» Lo sguardo di LaValle brillò di contentezza al piacere sublime che tradiva l'espressione di Pook. «Portami Regis,» disse infine Pook. «Che la prima uccisione di Guenhwyvar sia il nanerottolo che più disprezzo!» *
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Sfinito dai tormenti della Cella dei Nove e dalle numerose torture che Pook gli aveva inflitto, Regis venne scaraventato ai piedi del trono di Pascià Pook. Il nanerottolo cercò di rimettersi in piedi, deciso ad accettare quella tortura con dignità, anche se avesse presupposto la sua morte. Pook fece uscire le guardie dalla sala con un gesto imperioso della mano. «Hai gustato il soggiorno presso la nostra casa?» lo motteggiò Pook. Regis scostò una ciocca di capelli dal viso. «È più che accettabile,» disse. «I vicini sono alquanto rumorosi e non smettono di grugnire e fare rumori per tutta la notte.» «Silenzio!» tuonò Pook lanciando un'occhiata a LaValle che si era avvicinato al trono. «Lo troverà poco divertente, questa volta!» disse il capo della corporazione con una risata velenosa. Il terrore di Regis si era tramutato in rassegnazione. «Hai vinto,» disse con voce calma nella speranza di compromettere il piacere di Pook. «Ho rubato il tuo pendente e sono stato catturato. Se credi che le mie azioni meritino la morte, allora uccidimi!» «Lo farò!» sibilò Pook. «Ho sempre pensato di ucciderti, ma finora non avevo trovato il metodo più adatto.»
Regis si sentì svenire e temette che le sue parole tradissero una velata supplica. «Guenhwyvar,» disse Pook. «Guenhwyvar?!» ripeté Regis trattenendo il fiato. «Vieni a me, mio piccolo cucciolo.» Il nanerottolo sgranò gli occhi non appena vide il magico felino scivolare fuori dalla porta socchiuse della stanza di LaValle. «Dove... dove l'hai trovato?» balbettò Regis. «Non è meraviglioso?» ribatté Pook. «Non preoccuparti, ladruncolo. Lo vedrai da molto vicino.» Pook si girò lentamente verso la pantera. «Guenhwyvar, mio piccolo Guenhwyvar,» mormorò Pook, «questo piccolo ladro ha fatto un grosso torto al suo padrone. Uccidilo, mio caro, ma fallo lentamente. Mi piace sentirlo urlare.» Regis fissò la pantera nei suoi enormi occhi. «Calma, Guenhwyvar,» disse mentre il felino si avvicinava con passo esitante. Regis provò un improvviso dolore al vedere la magnifica pantera agli ordini di un essere così sordido come Pook, perché Guenhwyvar apparteneva a Drizzt. Tuttavia, Regis non poteva perdere tempo a considerare le implicazioni della presenza del felino in quella stanza. Il proprio futuro era una questione molto più urgente. «È lui,» urlò Regis a Guenhwyvar puntando un dito contro Pook. «È lui che comanda il malvagio assassino che ci ha sottratto dal nostro vero padrone, quella creatura perfida che il tuo vero padrone sta cercando!» «Sublime!» rise Pook credendo che Regis annaspasse disperato alla ricerca di un'altra menzogna con cui confondere l'animale. «Questo spettacolo è all'altezza della pena che mi hai arrecato, Regis!» Tuttavia, LaValle provò un inquietante disagio all'udire le parole del nanerottolo. «Adesso, tesoro!» ordinò Pook. «Fagli male!» Guenhwyvar ringhiò socchiudendo gli occhi. «Guenhwyvar,» ripeté Regis indietreggiando di un passo. «Guenhwyvar, tu mi conosci.» La pantera parve non capire quelle parole e sospinta dalla voce del padrone si acquattò sulle zampe e avanzò lentamente. «Guenhwyvar!» urlò Regis scivolando lungo la parete nella disperata ricerca di una via d'uscita. «Esatto, Regis! Questo è il suo nome!» rise Pook non rendendosi conto che il nanerottolo conosceva veramente il felino. «Addio, Regis. Se ciò ti
può dare conforto, ricorderò questo momento per il resto dei miei giorni!» La pantera abbassò le orecchie e si acquattò al pavimento, immobile come una statua prima di spiccare il salto. Regis si precipitò verso la porta nonostante fosse sicuro che era chiusa a chiave. Guenhwyvar saltò, veloce e precisa, e Regis non si rese conto che il felino ormai era su di lui. La contentezza di Pascià Pook si rivelò effimera. Era scattato in piedi, nella speranza di assaporare fino in fondo quella scena, proprio quando Guenhwyvar aveva coperto Regis con il suo corpo, ma come d'incanto la pantera svanì nel nulla. Anche Regis era scomparso. «Cosa?» urlò Pook. «L'ha già ucciso? Senza sangue?» chiese piroettando verso LaValle. «È così che quell'animale uccide?» L'espressione terrorizzata del mago rivelò a Pook una realtà ben diversa. Solo allora Pook capì il significato delle implorazioni di Regis. «L'ha portato via!» tuonò indignato aggirando il trono e avvicinando il volto a quello di LaValle. «Dove? Dimmelo!» LaValle barcollò frastornato. «Non è possibile,» sibilò con un filo di voce. «La pantera deve obbedire al suo padrone, a chi possiede la statuetta.» «Regis conosceva quel felino!» urlò Pook. «Alleanze impossibili,» ribatté LaValle frastornato. Pook cercò di calmarsi e si lasciò cadere sul trono, capendo solo allora la natura del disorientamento del mago. «Dove l'hai trovato?» chiese a LaValle. «Entreri,» si affrettò a rispondere il mago non osando contrariare il suo padrone. «Entreri,» ripeté Pook grattandosi il mento. Il mosaico cominciava a ricomporsi e Pook conosceva abbastanza Entreri per capire che l'assassino non avrebbe mai ceduto un oggetto così prezioso senza chiedere in cambio un favore. «Apparteneva ad un amico del nano,» disse infine Pook ricordando che Regis aveva parlato del vero padrone della pantera. «Non gliel'ho chiesto,» disse LaValle. «Non dovevi chiederglielo!» ruggì Pook infuriato. «Apparteneva ad uno degli amici del nanerottolo, forse uno di quelli di cui Oberon ci ha parlato. Certo! Ed Entreri te lo ha dato in cambio di...» Pook lanciò a LaValle un'occhiata di fuoco. «Dov'è il pirata... quel Pinochet?» sibilò Pook socchiudendo gli occhi. LaValle si sentì mancare sentendosi improvvisamente impigliato in una ragnatela mortale.
«Ho capito,» disse Pook leggendo la risposta sul volto pallido come la morte del mago. «Entreri,» disse Pook meditabondo. «Sei sempre una spina nel fianco per quanto tu mi sia indispensabile.» «E tu,» sibilò a LaValle dopo un attimo di silenzio. «Dove sono andati quei due?» LaValle scosse il capo. «Nel piano di esistenza della pantera,» disse d'un fiato. «È l'unica possibilità.» «Il felino può ritornare in questo mondo?» «Solo se viene chiamato dal legittimo padrone della statuetta.» Pook indicò la statua che giaceva sul pavimento, davanti alla porta. «Chiamalo!» ordinò. LaValle si precipitò verso la statua. «No, aspetta!» disse Pook. «Fammi prima costruire una gabbia. Arriverà il momento in cui Guenhwyvar sarà mia. Imparerà presto la disciplina.» LaValle si avvicinò e afferrò la statuetta di onice, non sapendo da dove cominciare. Pook lo afferrò per una spalla quando il mago passò vicino al trono. «Ma il nanerottolo,» sibilò Pook premendo il naso contro quello di LaValle. «Se ti è cara la vita, mago, fallo ritornare!» Pook dette un violento spintone a LaValle e uscì dalla sala per raggiungere i piani inferiori. Doveva sguinzagliare fedeli servitori con occhi ben vigili per le strade per sapere quali erano le intenzioni di Artemis Entreri e raccogliere tutte le informazioni possibili su quegli amici del nano, vivi o morti che fossero nel canale di Asavir. Se si fosse trattato di un'altra persona, e non di Entreri, Pook avrebbe usato il pendente, ma quella possibilità era improponibile con il pericoloso assassino. Pook ebbe un moto di stizza mentre usciva dalla sala. Aveva sperato di non dover ricorrere a quei metodi dopo il ritorno di Entreri, ma LaValle era invischiato fino al collo negli sporchi raggiri dell'assassino e l'unica carta che Pook poteva ancora giocare era Rassiter. *
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«Vuoi eliminarlo?» chiese il ratto mannaro assaporando i risvolti del compito che Pook gli aveva assegnato. «Non sentirti lusingato inutilmente,» sibilò Pook. «Entreri non è affar tuo, Rassiter, e va ben al di là dei tuoi poteri.» «Sottovaluti la potenza della mia corporazione.»
«E tu sottovaluti la rete di amici dell'assassino che con ogni probabilità può contare su molti individui che tu così stupidamente chiami alleati,» lo ammonì Pook. «Non voglio guerre all'interno della mia corporazione.» «Allora cosa vuoi?» sbottò il ratto mannaro palesemente contrariato. Il tono di sfida nella voce di Rassiter spinse Pook a giocherellare nervosamente con il rubino che gli pendeva dal collo. Avrebbe potuto usare i suoi potenti influssi su Rassiter, ma preferiva lasciare che le cose andassero per il loro verso. Le persone incantate dalla gemma agivano con minor efficienza rispetto a quelle mosse dai loro veri istinti e se era vero che gli amici di Regis erano sfuggiti all'agguato di Pinochet, Rassiter e i suoi uomini dovevano agire nel pieno delle loro forze per sconfiggerli definitivamente. «Forse qualcuno ha seguito Entreri fino a Calimport,» spiegò Pook. «Sono amici del nanerottolo, credo... Un vero pericolo per la nostra corporazione.» Rassiter ebbe un sussulto e finse di essere sorpreso, anche se aveva già appreso da Dondon dell'arrivo di quei settentrionali. «Arriveranno presto in città,» proseguì Pook. «Non hai molto tempo.» Sono già arrivati!, pensò Rassiter frenando a stento un sorriso. «Vuoi che qualcuno li catturi?» «Li voglio morti,» lo corresse Pook. «Sono troppo forti e non voglio correre rischi inutili.» «Morti!» ripeté Rassiter. «Proprio come piace a me.» Pook si sentì percorrere la schiena da un violento brivido. «Informami quando hai portato a termine la missione,» disse scomparendo oltre la porta. Rassiter sorrise in silenzio alle spalle del padrone. «Pook, Pook,» mormorò quando fu sicuro di essere solo. «Tu non conosci ancora il mio potere.» Il ratto mannaro si sfregò le mani soddisfatto. Si stava facendo notte e presto i quattro forestieri si sarebbero aggirati per le strade della città, dove Dondon li avrebbe trovati. 18 Doppio gioco Accovacciato nel suo angolo preferito, poco lontano dal Cammello che Sputa, Dondon osservò l'elfo, l'ultimo dei quattro amici, entrare nella locanda per unirsi a loro. Il nanerottolo estrasse dalla tasca un piccolo spec-
chio per controllare il suo travestimento. Lo sporco era stato messo al posto giusto, i vestiti erano abbondanti come quelli che un ragazzino avrebbe sfilato dal corpo abbandonato al sonno di un ubriacone sul ciglio di un vicolo oscuro, i capelli arruffati come se non li avesse pettinati da anni. Dondon lanciò uno sguardo avido alla luna sfiorandosi il mento con le dita. Era ancora glabro, anche se avvertiva un lieve pizzicore. Inspirò a fondo e cercò di ricacciare gli irresistibili desideri del licantropo. Quando si era unito alla gente di Rassiter, Dondon aveva imparato a sublimare abbastanza bene quelle diaboliche sensazioni, ma quella sera sperava di portare in fretta a termine il compito che gli era stato affidato, perché la notte risplendeva di una meravigliosa luna piena. I passanti ammiccavano la loro approvazione quando gli passavano davanti, intuendo che il suo padrone era in cerca di preda. Grazie alla sua reputazione, Dondon era diventato un intoccabile per chiunque si aggirasse per le strade di Calimport e nessuno osava parlare del nanerottolo agli stranieri. Dondon era riuscito ad attorniarsi dei ceffi più duri di tutta la città, e svelare alla vittima designata il suo nascondiglio era un crimine punibile con la morte! Dondon si appoggiò contro il muro di un edificio per osservare meglio quando i quattro amici uscirono dalla locanda poco dopo. Agli occhi di Drizzt e dei suoi compagni, la notte di Calimport si rivelò di una stranezza innaturale, proprio come il giorno. Nelle città settentrionali, la notte portava con sé la calma e le attività venivano relegate nelle molte taverne, mentre per le strade di Calimport, invece, la frenesia era aumentata dopo il tramonto del sole. Persino i volti dei più miserabili avevano assunto un'aria sinistra e misteriosa. L'unica parte della strada che sembrava libera da quella moltitudine chiassosa era la zona antistante l'anonimo edificio: la casa della corporazione. A differenza del giorno, oltre ad alcuni scagnozzi seduti contro la parete ai due lati dell'unica porta, se ne intravedevano altri due poco lontano. «Se Regis si trova lì dentro dobbiamo escogitare un modo per entrarvi,» osservò Catti-brie. «È sicuramente là,» ribatté Drizzt. «Dobbiamo cominciare con Entreri.» «Siamo venuti per Regis,» gli ricordò Catti-brie lanciandogli un'occhiata di disapprovazione. «L'assassino ci porterà da Regis,» si affrettò a spiegare Drizzt. «Entreri ha manovrato tutto. Hai sentito anche tu le sue parole alla Forra di Ga-
rumn. Entreri non ci permetterà di trovare Regis se prima non lo affrontiamo.» La logica stringente delle parole dell'elfo era indiscutibile. Quando Entreri aveva catturato Regis a Mithril Hall, si era dato molta pena a spingere Drizzt all'inseguimento, come se la cattura di Regis fosse solo la parte di un gioco terribile. «Da dove cominciamo?» sbuffò Bruenor frustrato. Si era aspettato che le strade fossero più tranquille rendendo così più facile il loro compito e in cuor suo aveva sperato di concludere la missione quella notte stessa. «Da qui,» ribatté Drizzt suscitando in Bruenor una profonda sorpresa. «Annusiamo l'odore della strada,» spiegò l'elfo. «Osserviamo i movimenti della gente e ascoltiamo i rumori. Preparate le vostre menti a quanto dovrà accadere.» «Tempo, elfo!» bofonchiò Bruenor indispettito. «Il cuore mi dice che forse Pancia-che-brontola sta per essere frustato mentre noi stiamo qui a riempirci i polmoni del fetore di queste strade!» «Non dobbiamo cercare Entreri,» si intromise Wulfgar seguendo i pensieri di Drizzt, «perché sarà lui a trovarci.» Quasi come se le parole di Wulfgar avessero ricordato loro del luogo pericoloso in cui si trovavano, i quattro amici osservarono con fare circospetto l'attività frenetica che li circondava. Occhi misteriosi li stavano guatando da ogni angolo e i numerosi passanti lanciavano occhiate sinistre. Calimport era abituata ai forestieri perché era un porto molto frequentato, ma i quattro amici si sarebbero distinti fra la folla di qualsiasi città dei Regni. Consapevole della loro vulnerabilità, Drizzt decise di spostarsi e si incamminò invitando con un cenno gli altri a seguirlo. Prima che Wulfgar, l'ultimo a muoversi, avesse fatto un passo, una voce di fanciullo lo chiamò dalla lunga ombra gettata dalla locanda. «Ehi,» disse, «stai cercando un buon colpo?» Wulfgar si avvicinò a quella voce disorientato e aguzzò lo sguardo per penetrare le tenebre. Vide Dondon, un ragazzino umano ancora imberbe e con i capelli arruffati. «Che c'è?» chiese Bruenor avvicinandosi a Wulfgar che gli stava indicando un angolo. «Che c'è?» ripeté il nano rivolto al ragazzo ancora protetto nella penombra. «Cerchi un buon colpo?» chiese Dondon facendo un passo avanti. «Bah!» sbuffò Bruenor con un ampio gesto della mano. «È solo un ra-
gazzino. Vattene, piccolo. Non abbiamo tempo per giocare con te!» esclamò afferrando Wulfgar per un braccio. «Potrei tornarvi utile,» disse Dondon inseguendolo. Bruenor continuò a camminare con Wulfgar al suo fianco, ma Drizzt si era voltato per vedere la ragione dell'indugiare dei suoi compagni e aveva udito le ultime parole del ragazzo. «È solo un ragazzino,» cercò di scusarsi Bruenor non appena si avvicinò a Drizzt. «Un ragazzo di strada,» lo corresse l'elfo ritornando sui suoi passi, «provvisto di occhi ed orecchi che non si lasciano sfuggire nulla.» «E come potresti tornarci utile?» mormorò Drizzt all'orecchio di Dondon mentre si avvicinavano all'edificio per sfuggire agli occhi indiscreti della gente. Dondon si strinse nelle spalle. «C'è molto da rubare qui. Oggi sono arrivati molti mercanti. Cosa state cercando?» Bruenor, Wulfgar e Catti-brie si disposero in cerchio attorno a Drizzt e il ragazzo, con gli occhi rivolti verso la strada ma le orecchie attente a quella conversazione. Drizzt si accovacciò e con un cenno del capo indicò a Dondon l'edificio poco lontano. «La casa di Pook,» osservò Dondon con aria distratta. «La casa più inespugnabile di tutta Calimport.» «Ma ha un punto debole,» lo incitò Drizzt. «Tutte le case hanno un punto debole,» ribatté Dondon con aria imperturbabile. «Ci sei mai entrato?» «Forse sì.» «Hai mai visto cento monete d'oro?» Dondon sgranò gli occhi e con molta abilità si dondolò sui piedi. «Portiamolo dentro,» disse Catti-brie. «Stiamo attirando l'attenzione di tutti.» Dondon fu d'accordo, ma lanciò a Drizzt un'occhiata gelida quasi fosse un terribile avvertimento. «So contare fino a cento!» Una volta protetti dalle quattro mura della stanza, Drizzt e Bruenor dettero al ragazzo la somma promessa mentre Dondon svelava loro l'esistenza di un'entrata segreta. «Nemmeno i ladri ne sono a conoscenza!» esclamò Dondon. Gli amici si avvicinarono per ascoltare tutti i particolari, ma Dondon
rendeva facile l'intera operazione. Troppo facile! Drizzt voltò il viso per nascondere il suo sorriso all'informatore. Non avevano forse appena detto che Entreri avrebbe cercato di mettersi in contatto con loro? Solo pochi minuti prima quel ragazzino aveva fatto la sua comparsa! «Wulfgar, levagli le scarpe,» disse Drizzt. I tre amici lo guardarono interdetti mentre Dondon si mosse nervoso sulla sedia. «Le scarpe,» ripeté Drizzt indicando i piedi di Dondon. Bruenor, amico di un nanerottolo, capì al volo le parole dell'elfo e precedette Wulfgar. Afferrò lo stivale sinistro di Dondon e lo sfilò. Davanti agli sguardi allibiti di tutti, lo stivale rivelò un ciuffo di peli e il piede di un nanerottolo. Dondon rabbrividì e si rannicchiò nella sedia. Quell'incontro stava andando proprio come aveva immaginato Entreri. «Ha detto che poteva tornarci utile,» disse Catti-brie con sarcasmo. «Chi ti manda?» disse Bruenor con voce minacciosa. «Entreri,» disse Wulfgar. «Lavora per Entreri ed è stato mandato per tenderci una trappola.» Wulfgar si avvicinò a Dondon oscurando la luce della candela con il suo corpo massiccio. Bruenor spostò il barbaro con forza. I lineamenti innocenti di Wulfgar non incutevano lo stesso terrore del volto nasuto e coperto da una folta barba rossa del nano guerriero il cui capo era protetto dall'elmetto ammaccato in tante battaglie. «A noi due, ladruncolo da strapazzo,» tuonò Bruenor a pochi centimetri dal volto di Dondon. «Azzardati a tirare fuori quella tua linguaccia, e te la taglio!» Dondon sbiancò in volto e cominciò a tremare, dando maggiore verosimiglianza alla sua recitazione. «Calmati,» disse Catti-brie rivolta a Bruenor con voce più gentile. «Lo hai spaventato abbastanza.» Bruenor voltò le spalle a Dondon e ammiccò alla ragazza. «Spaventato?!» ruggì appoggiandosi l'ascia contro la spalla. «Ho intenzione di fare ben altro con lui!» «Aspetta!» implorò Dondon con tono supplichevole come solo lui sapeva fare. «Ho fatto quello che l'assassino mi ha chiesto di fare e ciò per cui mi ha pagato.» «Conosci Entreri?» chiese Wulfgar. «Tutti lo conoscono,» rispose Dondon. «A Calimport tutti obbediscono agli ordini dell'assassino!»
«Scordati di Entreri!» gli bofonchiò Bruenor in faccia. «La mia ascia ti proteggerà contro di lui.» «Credi forse di poterlo uccidere?» disse Dondon di rimando fingendo di non capire le parole di Bruenor. «Entreri non può nuocere a un cadavere,» ribatté Bruenor con sarcasmo. «La mia ascia lo colpirà quando ti sfracellerò la testa!» «Lui vuole te,» disse Dondon rivolto a Drizzt cercando di controllare la situazione. Drizzt annuì in silenzio. Finalmente qualcosa quadrava in quell'assurdo incontro. «Non parteggio per nessuno,» disse Dondon con tono supplichevole non vedendo nessuna reazione sul volto di Drizzt. «Faccio solamente quello che devo fare per sopravvivere.» «E se vuoi vivere a lungo, ora ci dirai come entrare,» lo apostrofò Bruenor. «La via più sicura.» «Quella casa è una fortezza,» disse Dondon scrollando le spalle. «Non esistono vie sicure.» Bruenor si avvicinò con fare minaccioso. «Ma se dovessi proprio tentare,» si affrettò ad aggiungere il nanerottolo, «proverei attraverso le fogne.» Bruenor si girò di scatto verso gli amici. «Mi sembra giusto,» disse Wulfgar. Drizzt soffermò lo sguardo sul nanerottolo per un attimo cercando di penetrare negli occhi enigmatici di Dondon. «È giusto,» disse infine l'elfo dopo un lungo silenzio. «Si è salvato la pelle,» disse Catti-brie, «ma cosa ne facciamo di lui? Verrà con noi?» «Esatto,» sibilò Bruenor con uno sguardo malizioso. «Ci farà da guida.» «No,» ribatté Drizzt meravigliando gli amici. «Ci ha detto quanto dovevamo sapere. Lasciatelo andare.» «Lasciarlo andare perché corra da Entreri a raccontare cosa è successo?» chiese Wulfgar. «Entreri non ammette l'insuccesso e il tradimento,» disse Drizzt guardando Dondon dritto negli occhi. Aveva capito le tresche di quell'essere, ma non glielo diede a vedere. «Tantomeno li perdonerebbe.» «Il cuore mi dice di tenerlo con noi,» insistette Bruenor. «Lascialo andare,» disse Drizzt con voce pacata. «Fidatevi di me.» Con uno sbuffo rumoroso Bruenor abbassò l'ascia, si avvicinò alla porta mugugnando e l'aprì. Wulfgar e Catti-brie si scambiarono un'occhiata pre-
occupata ma si spostarono per lasciar passare il nanerottolo. Dondon non si fece pregare e si precipitò verso la porta, ma Bruenor gli sbarrò il passo. «Se mi capita di vedere una sola volta ancora la tua faccia,» lo minacciò, «o qualsiasi tuo maledetto travestimento, ti assicuro che ti taglio il collo!» Dondon sgattaiolò via senza mai distogliere lo sguardo da quel pericoloso essere, fuggendo lungo il corridoio e giù dalle scale scuotendo la testa. Entreri aveva descritto quell'incontro alla perfezione e Dondon si stupì che l'assassino conoscesse così bene i suoi nemici, soprattutto l'elfo. Non lontano dalla verità sullo scopo di quell'incontro apparentemente casuale, Drizzt sorrise quando udì la terribile minaccia di Bruenor e capì che non avrebbe sortito alcun effetto sul piccolo Dondon. Il nanerottolo li aveva affrontati stretto fra due menzogne e mai per la frazione di un secondo si era tradito. Nonostante tutto, Drizzt diresse a Bruenor un cenno di approvazione con il capo perché sapeva che, se non altro, quella minaccia aveva rassicurato il suo amico. Su suggerimento di Drizzt, i quattro si adagiarono sui letti per riposarsi un po'. Le strade erano ancora troppo affollate per scivolare inosservati oltre le grate delle fogne. Avrebbero aspettato l'alba, il momento in cui, forse, le strade passavano dalle mani dei malviventi nottambuli a quelle dei miserabili pezzenti. Solo Drizzt vegliò, appoggiato alla porta, con l'orecchio teso in ascolto dei rumori della strada e cullato nelle sue meditazioni dal ritmico respiro dei suoi compagni. Abbassò lo sguardo e vide la maschera che gli penzolava al collo. Una bugia così semplice che gli permetteva di percorrere liberamente le strade del mondo! Correva forse il pericolo di rimanere imprigionato nella rete del suo stesso inganno? Lo sguardo di Drizzt si appoggiò sul corpo di Catti-brie, mollemente adagiato su un piccolo letto. Sorrise. Vide in quella creatura una saggezza innocente, una vena di verità in un idealismo di percezioni incontaminate. Non poteva deluderla. Drizzt avvertì che le tenebre si facevano più fitte. La luna stava tramontando. Si avvicinò lentamente alla finestra e guardò in strada dove la gente continuava a vivere, anche se in minor numero. La notte stava per finire. Drizzt svegliò i suoi compagni. Non potevano indugiare. Dopo aver controllato il loro equipaggiamento stiracchiandosi, scesero subito in strada.
Lungo le strade del Quartiere dei Ladri si intravedevano numerose grate delle fogne che sembravano voler tenere sottoterra la sporcizia piuttosto che servire come canali di deflusso dell'acqua durante i rari ma violenti acquazzoni che colpivano la città. Gli amici ne scelsero una che si trovava in un vicolo dietro la locanda, lontano dal brulichio di gente della strada principale, ma abbastanza vicino alla casa della corporazione in modo di riuscire a trovare la strada verso i suoi sotterranei senza molta difficoltà. «Il ragazzo può aprirla,» disse Bruenor invitando Wulfgar ad avvicinarsi con un cenno della mano. Wulfgar si chinò e afferrò la grata. «Aspetta,» sussurrò Drizzt guardandosi intorno con fare circospetto. Mandò Catti-brie in fondo al vicolo, verso la strada principale, mentre lui si appostò dall'altra parte, completamente nascosto nelle tenebre. Quando finalmente si sentì tranquillo avvertì Bruenor sventolando la mano. Il nano guardò verso Catti-brie che annuì lentamente. «Adesso, ragazzo,» disse Bruenor, «ma cerca di non fare rumore.» Wulfgar afferrò la grata con forza e piantò i piedi a terra inspirando a fondo. I muscoli della braccia si gonfiarono paurosamente e dalle sue labbra sfuggì un flebile gemito. Ma la grata non cedeva. Wulfgar lanciò un'occhiata incredula all'amico. Strinse i denti e tirò. Lo sforzo gli imporporò il volto, ma la grata protestò con un debole scricchiolio e cedette solo di poco. «Sicuramente c'è qualcosa che la ancora al terreno,» sibilò Bruenor chinandosi per esaminarla da vicino. Un inaspettato sferragliare fu l'unico avvertimento che il nano udì. La grata si divelse dai cardini e Wulfgar venne scaraventato, gambe all'aria, contro la parete della locanda. Il violento contraccolpo gli sollevò l'elmetto dalla testa e Bruenor si ritrovò seduto per terra. «Maledetto stupido...» cominciò a inveire Bruenor, ma Catti-brie e Drizzt accorsero in suo aiuto ricordandogli della segretezza e pericolosità della loro missione. «Perché devono incatenare la grata delle fogne?» si chiese Catti-brie. «Da dentro,» aggiunse Wulfgar togliendosi la polvere di dosso con sonore manate. «Sembra che vogliano impedire che qualcuno vi entri.» «Lo sapremo presto,» disse Drizzt infilando le gambe dentro l'apertura. «Accendete una torcia,» aggiunse. «Vi chiamo se la via è libera.» Catti-brie notò lo strano bagliore che illuminava lo sguardo dell'elfo e lo osservò preoccupata. «Per Regis,» la tranquillizzò Drizzt. «Lo faccio solo per Regis,» ripeté
scomparendo nelle tenebre di quel pertugio, così simili all'oscurità che regnava nei cunicoli della sua patria. I tre compagni udirono un tonfo sordo e poi più nulla. Il tempo trascorreva lento. «Accendi la torcia,» bisbigliò Bruenor con voce impaziente a Wulfgar. Catti-brie afferrò il gigante per un braccio. «Abbi fede,» disse a Bruenor. «È sotto da troppo tempo,» mormorò il nano con impazienza. «È tutto troppo tranquillo.» Catti-brie tenne stretto il braccio di Wulfgar ancora per un momento finché la voce pacata di Drizzt non raggiunse i loro orecchi. «Via libera,» disse l'elfo. «Scendete, presto.» Bruenor strappò la torcia dalla mano di Wulfgar. «Vieni giù per ultimo,» disse, «e rimetti la grata al suo posto. Al mondo non interessa dove siamo andati.» *
*
*
La tremula luce rischiarò con il suo alone la fogna e la catena quasi nuova che fissava la grata alla parete grazie ad un pesante lucchetto. «Ho paura che non siamo da soli,» sussurrò Bruenor. Drizzt si guardò attorno con fare circospetto, condividendo la sensazione di disagio del nano. Si sfilò la maschera ritornando un elfo nell'oscurità che tanto si addiceva alla sua natura. «Vado avanti io,» disse, «e mi terrò dentro l'alone di luce. State pronti a seguirmi.» Si allontanò con passo leggero, appoggiando un piede davanti l'altro sul rivolo d'acqua melmosa che fluiva lentamente al centro del cunicolo. Bruenor lo seguì con la torcia, e poi Catti-brie e Wulfgar che doveva tenere la testa china per non sbatterla contro il soffitto viscido. Al loro passaggio i topi fuggivano dalla strana luce con raccapriccianti squittii mentre creature sconosciute trovavano rifugio nelle acque fetide. Il cunicolo si dipanava come una matassa in un dedalo di passaggi laterali e la confusione era accresciuta dal rumore intermittente dell'acqua che fluiva negli scoli dando false indicazioni ai quattro amici. Bruenor cercò di astrarsi ignorando il fango ed il fetore e concentrò i propri pensieri sul cammino che doveva percorrere fingendo di non vedere gli esseri che sgattaiolavano furtivi nelle ombre gettate dalla luce della torcia. Seguì il tragitto sinuoso dei cunicoli fino a perdere l'orientamento, quando ad un tratto intravide un profilo strano con la coda dell'occhio.
Girò l'angolo pensando che Drizzt non doveva essere lontano. «Attenti!» urlò lanciando la torcia in un tratto di terra asciutta mentre sguainava l'ascia e si proteggeva con lo scudo. La sua prontezza di riflessi li salvò perché in un batter d'occhio da un cunicolo laterale sbucarono due creature coperte da ampi mantelli con le spade sguainate, digrignando minacciosamente i denti acuminati che brillavano in quei volti coperti di folta peluria. Avvolti in abiti simili ai loro, quelle creature avevano fattezze che lontanamente assomigliavano a quelle di un uomo, ma nelle notti di luna piena essi assumevano le caratteristiche dei licantropi. I loro visi erano allungati e ricoperti di irti peli marrone ed avevano lunghe code rosa, proprio come i ratti di fogna. Catti-brie prese la mira da sopra l'elmetto di Bruenor e scoccò la prima freccia il cui abbacinante bagliore argenteo illuminò il cunicolo rivelando la presenza di molte altre orribili creature che si stavano avvicinando. Un tonfo fece girare di scatto Wulfgar che vide una banda di ratti mannari avvicinarsi di corsa. Puntò i piedi nel pantano con forza e si preparò a combattere con Aegis-fang. «Ci stavano aspettando, elfo!» urlò Bruenor. Drizzt non aveva avuto bisogno delle parole dell'amico per capire la situazione. Al primo avvertimento del nano, si era sottratto alla luce della torcia per trarre vantaggio dall'oscurità completa e, svoltato un angolo, si era trovato davanti a due esseri la cui natura gli fu chiara prima ancora che la luce azzurra di Lampo avesse rischiarato le loro folte sopracciglia. I ratti mannari però non si aspettavano un'accoglienza simile, forse perché credevano che i loro nemici fossero armati solo di torcia, ma fu soprattutto la pelle nera dell'elfo scuro a gettarli nel panico. Drizzt sfruttò quell'attimo di smarrimento sgozzandoli con un sol colpo di scimitarra. L'elfo si rituffò nelle tenebre ritornando sui suoi passi nel tentativo di tendere un'imboscata agli avversari. Wulfgar teneva a bada gli assalitori roteando Aegis-fang con forza. Il pesante martello colpiva chiunque si azzardasse ad avvicinarsi troppo scalfendo le pareti sudice del cunicolo ogni volta che compiva un arco. I ratti mannari capirono ben presto la forza di quel barbaro e cessarono di attaccare perché compresero che il combattimento sarebbe continuato finché la forza avrebbe sostenuto il braccio del barbaro. Alle sue spalle, Bruenor e Catti-brie combattevano con foga. La ragazza decimava i ratti che si avvicinavano con la sua pioggia di frecce magiche
mentre i pochi superstiti che evitavano la sua mira cadevano sotto i colpi del nano. Tuttavia, la fortuna voltò le spalle agli amici ed essi capirono che un solo sbaglio poteva costar loro la vita. Fra squittii e sputi, i ratti mannari indietreggiarono davanti alla forza di Wulfgar che, consapevole di dovere lanciare un attacco più decisivo, avanzò di qualche passo. I ratti si dispersero lungo il cunicolo uscendo dall'alone di luce della torcia mentre Wulfgar ne vide uno fermo mentre abbassava una pesante balestra, pronto a scoccare. Il barbaro si appiattì contro la parete e con gesto fulmineo riuscì a deviare il tragitto della freccia, ma Catti-brie gli voltava le spalle e non vide nulla. La ragazza sentì un'improvvisa fitta di dolore e un fiotto di sangue caldo sgorgarle da un lato della testa. Una pesante oscurità le annullò i sensi e lentamente si accasciò contro la parete. *
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Drizzt scivolò lungo i cunicoli bui silenzioso come la morte tenendo Lampo nel fodero per paura di tradire la propria posizione a causa della sua luce, e facendosi strada con l'altra scimitarra magica. Si trovava in un vero labirinto, ma pensava di riuscire a riunirsi ai propri amici. Qualsiasi cunicolo decidesse di imboccare, però, si illuminava dalla parte opposta di una strana luce mentre dagli altri misteriosi cunicoli continuavano ad affluire numerosi ratti mannari per unirsi al combattimento. Protetto dall'oscurità l'elfo continuò ad avanzare, ma Drizzt aveva la vaga sensazione che i suoi movimenti fossero seguiti da un occhio occulto e addirittura anticipati. Attorno a lui si aprivano decine e decine di passaggi, ma le possibilità diminuivano ad ogni passo poiché dietro ad ogni angolo si nascondeva un nemico sempre più numeroso. Drizzt si allontanava sempre di più dai suoi amici e si rese conto di non avere altra scelta che andare diritto verso i compagni in difficoltà, mentre il cunicolo alle sue spalle pullulava di ratti mannari che lo stavano inseguendo. Drizzt si fermò in una nicchia scavata nella roccia e rimase ad osservare la distanza che aveva percorso e i passaggi alle sue spalle che erano illuminati dalla luce della torcia. Ebbe l'impressione che i ratti non fossero così numerosi come inizialmente aveva temuto poiché quelli che aveva
visto dietro ad ogni angolo forse non erano altro che le bande avversarie che percorrevano i cunicoli che aveva appena attraversato lui stesso, paralleli a quello di Drizzt e che sfociavano in uno nuovo proprio nel momento in cui lui arrivava all'altra estremità. Quella scoperta non fu di gran conforto per l'elfo perché la vaga sensazione si era lentamente tramutata in un profondo sospetto. Lo stavano braccando. *
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Wulfgar si precipitò verso la sua amata Catti-brie e i ratti mannari ne approfittarono per scagliarsi addosso a lui. Ma ormai la furia governava il suo cuore e il barbaro si lanciò contro i nemici con la forza della disperazione ferendo e fracassando ossa con il suo martello da guerra, o spezzando con le mani nude i colli di chiunque avesse avuto la sfortuna di essergli troppo vicino. I ratti riuscirono a colpirlo, ma le ferite non placarono certo l'ira devastatrice del barbaro. Wulfgar travolse i feriti uccidendoli con i suoi pesanti stivali mentre i superstiti fuggivano in tutte le direzioni per mettersi in salvo. In lontananza il balestriere cercava disperatamente di ricaricare l'arma, ma i suoi movimenti erano lenti perché non era in grado di distogliere lo sguardo dall'orribile spettacolo di quel corpo muscoloso che si avvicinava con l'evidente intento di vendicarsi. Gli avversari erano impegnati da Wulfgar e Bruenor ebbe più tempo per curarsi di Catti-brie. Si chinò sulla ragazza con il volto affranto mentre con una mano le scostava dal volto le ciocche di capelli appesantiti dal sangue. Catti-brie lo guardò con occhi meravigliati. «Un solo centimetro più in là, e la mia vita si sarebbe conclusa per sempre,» sussurrò con un debole sorriso. Bruenor si avvicinò per esaminare la ferita e vide che sua figlia aveva ragione. La freccia le aveva lacerato la pelle, ma la ferita era superficiale. «Sto bene,» insistette Catti-brie cercando di alzarsi. «Non ancora,» sussurrò Bruenor fermandola con mano decisa. «La battaglia non è ancora finita,» ribatté Catti-brie puntando i piedi con forza, ma gli occhi di Bruenor fissi in fondo al cunicolo, su Wulfgar e sui cadaveri che gli si accumulavano attorno la fecero desistere. «Lui è la nostra unica speranza,» sussurrò Bruenor. «Fagli credere che sei morta.»
Catti-brie si mordicchiò le labbra dalla sorpresa. Decine di ratti cadevano sotto gli incessanti colpi di Wulfgar il cui martello sfracellava i corpi di quegli sfortunati che non riuscivano ad allontanarsi in tempo. All'improvviso un inquietante scalpiccio dalla direzione opposta fece voltare Catti-brie di scatto. Il suo arco magico aveva cessato di scoccare le temibili frecce e i ratti mannari si erano lanciati all'attacco. «Sono miei,» le disse Bruenor. «Sta' giù!» «Se ti trovi nei guai...» «Se avrò bisogno di te, ti chiamerò,» disse Bruenor. «Ma per adesso, sta' giù! Da' a Wulfgar una ragione per cui combattere!» *
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Drizzt cercò di tornare indietro ma i ratti mannari gli ostruirono tutti i passaggi lasciandone libero solo uno laterale, ampio ed asciutto, che conduceva nella direzione opposta a quella che desiderava prendere. I ratti continuavano ad affluire sospingendolo in quel cunicolo e Drizzt si rese conto che avrebbe dovuto affrontarli da diverse direzioni. Si appiattì contro la parete e scivolò dentro il passaggio procedendo con passo guardingo. Due ratti si precipitarono all'imboccatura del cunicolo e scrutarono le tenebre mentre ordinavano ad un terzo di raggiungerli con una torcia. Ma la luce che essi bramavano non fu il tremolio giallastro di una torcia, bensì il bagliore azzurrognolo che Lampo sprigionò quando Drizzt la tolse dal fodero. Drizzt gli fu addosso prima ancora che i ratti riuscissero a sguainare le loro spade conficcando una lama nel torace di uno e sgozzando il secondo con l'altra scimitarra. Il lucore della torcia accompagnò la pesante caduta dei loro corpi e illuminò l'elfo eretto sui due cadaveri che brandiva le lame grondanti di sangue. Gli avversari più vicini a lui indietreggiarono terrorizzati, altri lasciarono cadere le armi e si lanciarono in una fuga disperata, ma la maggior parte di essi avanzò con passo minaccioso e bloccò tutte le entrate dei cunicoli. La superiorità numerica infondeva loro coraggio e scambiandosi fugaci occhiate continuavano ad avanzare lentamente verso Drizzt. L'elfo pensò di tentare di attaccare uno dei gruppi nella speranza di forzare le loro file e uscire da quell'accerchiamento, ma i ratti si erano assiepati numerosi e anche se i suoi movimenti erano agili e furtivi si rese conto che non sarebbe mai riuscito ad oltrepassarli senza correre il rischio di
venire colpito alle spalle. Drizzt si precipitò verso il cunicolo laterale da dove lanciò un globo di tenebre verso l'imboccatura indietreggiando di qualche passo per prepararsi all'attacco. Non appena l'elfo scomparve, i ratti corsero verso il cunicolo, ma si fermarono subito paralizzati dalla sorpresa. Forse le loro torce si erano spente, ma in un batter d'occhio si resero conto della vera natura di quelle tenebre. Si raggrupparono nel cunicolo principale e, fattisi coraggio, avanzarono insieme oltre l'imboccatura con passo lento e guardingo. Persino l'occhio abituato alla notte di Drizzt non era in grado di vedere oltre il globo di tenebre, ma grazie alla sua posizione di vantaggio, riuscì a intravedere la punta di una spada, poi una seconda. I primi due ratti si fecero avanti, ma non ebbero il tempo di uscire dal globo che l'elfo roteò le due scimitarre disarmandoli e ferendoli a morte. Le urla raccapriccianti che uscirono dalle loro labbra gettarono i ratti nel panico più totale facendoli indietreggiare verso il cunicolo principale dando così modo a Drizzt di considerare la situazione terribile in cui si trovava. *
*
*
Il balestriere capì che era giunto il suo momento quando venne travolto dai suoi due ultimi compagni messi in fuga dal gigante furioso. Riuscì a incoccare la freccia con mano malferma e ad appoggiare la balestra contro la spalla, ma Wulfgar era troppo vicino. Il barbaro afferrò la balestra e gliela strappò di mano con tale ferocia che si ruppe in due quando andò a sbattere contro la parete del cunicolo. Il ratto avrebbe voluto fuggire, ma l'intensità dello sguardo di Wulfgar lo paralizzò. Il nemico rimase a guardare terrorizzato mentre Wulfgar brandiva Aegis-fang con entrambe le mani. Il colpo fu sorprendentemente fulmineo, tanto che il ratto mannaro ebbe la sensazione che il movimento delle possenti braccia del barbaro non avesse mai avuto inizio. All'improvviso avvertì un'esplosione di dolore nella testa e gli parve che la terra si avvicinasse per accogliere la sua pesante caduta. La morte chiuse i suoi occhi prima ancora che il suo corpo ruzzolasse rovinosamente sul terreno melmoso mentre Wulfgar, con gli occhi pieni di lacrime, continuava a colpire quella creatura con ferocia finché del suo cadavere non rimase altro che un cumulo informe.
Lordato di sangue, fango e acqua sudicia, Wulfgar si appiattì contro la parete del cunicolo e sentì svanire lentamente la rabbia che gli aveva fatto ribollire il sangue. Il rumore della battaglia che infuriava alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Vide Bruenor che cercava di ricacciare l'attacco di due ratti mentre altri si assiepavano poco lontano. Ad alcuni passi da lui, Catti-brie giaceva rannicchiata contro la parete e quel corpo immobile e inerme rinfocolò la rabbia del giovane barbaro. «Tempos!» urlò Wulfgar al suo Dio della Guerra ripercorrendo il cunicolo con passo pesante. Gli avversari impegnati in combattimento con Bruenor indietreggiarono terrorizzati, ma nella fuga precipitosa inciamparono e Bruenor poté abbatterne molti mentre cercavano di mettersi in salvo nel dedalo di cunicoli. Wulfgar avrebbe voluto inseguirli, e ucciderli uno ad uno per appagare l'ardente sete di vendetta, ma Catti-brie si alzò e si rifugiò fra le sue braccia baciandolo con passione e trasporto come mai il giovane aveva immaginato di poter essere baciato. Wulfgar la scostò da sé continuando a guardarla stupito e borbottando parole incomprensibili finché un sorriso radioso gli illuminò il viso dissipando la ridda di penose emozioni che finora aveva agitato l'animo. Ricambiò l'abbraccio di Catti-brie e il suo tenero bacio. Bruenor li separò. «L'elfo!» ricordò agli amici incamminandosi lungo il cunicolo principale dopo aver raccolto la torcia che, inumidita dal fango, crepitava. Non osarono infilarsi in uno dei molti cunicoli laterali per paura di perdersi, soprattutto perché il cunicolo che stavano percorrendo parve loro la via più diretta, nella speranza di vedere qualcosa o di udire un suono che avrebbe potuto dirigere i loro passi verso Drizzt. Si trovarono invece davanti ad una porta. «La corporazione?» sussurrò Catti-brie. «Che altro potrebbe essere?» ribatté Wulfgar. «Solo nella casa dei ladri c'è una porta che si apre sulle fogne.» Sopra la porta, in un angolo segreto, Entreri rimase ad osservare i tre amici con curiosità. Aveva compreso subito che qualcosa non era andato secondo i suoi piani, quando i ratti mannari avevano cominciato a riunirsi nelle fogne all'imbrunire. Entreri aveva sperato che quegli esseri rivoltanti si sparpagliassero per la città, ma aveva capito ben presto che i ratti avevano intenzione di rimanere dov'erano. E poi, quei tre erano arrivati senza l'elfo.
Entreri appoggiò il mento nel palmo di una mano e cercò di pensare quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Bruenor osservò la porta con attenzione. Ad altezza degli occhi di un uomo, il nano vide una piccola scatola di legno inchiodata nella porta. Con gesto impaziente, non avendo tempo per inutili indovinelli, Bruenor divelse la scatola dai chiodi e vi sbirciò dentro. Il suo volto si contorse in una smorfia di stupore e disgusto quando ne vide il contenuto e, stringendosi nelle spalle, porse la scatola a Wulfgar e Catti-brie. Wulfgar non si sorprese poiché aveva visto un oggetto simile un'altra volta prima d'allora, nel porto della città di Baldur. Quello era un altro dono da parte di Artemis Entreri, un altro dito del nano. «Assassino!» urlò inferocito mentre colpiva la porta con una spalla. I cardini cedettero con un forte cigolio e Wulfgar entrò barcollando nella stanza tenendo la porta davanti a sé. Ma prima ancora che potesse girarsi e liberarsi del pesante legno, udì un rumore assordante alle sue spalle e solo allora comprese che la stoltezza aveva governato le sue azioni. Era caduto nella trappola di Entreri. Pesanti sbarre lo separavano da Bruenor e Catti-brie. *
*
*
La punta acuminata delle lance fecero breccia nel globo di tenebre di Drizzt. L'elfo riuscì ad abbattere uno dei ratti della prima fila, ma dovette indietreggiare lentamente, sospinto dalla retroguardia nemica che continuava ad avanzare, parando i loro colpi con un abile roteare delle scimitarre e ogni volta che intravedeva una zona scoperta riusciva a mietere numerose vittime. Ma all'improvviso uno strano odore si sostituì al fetore della fogna. Un profumo dolciastro attizzò ricordi lontani nella mente dell'elfo, mentre i ratti continuavano ad avanzare, quasi come se quell'odore aumentasse il loro desiderio di combattere. Drizzt ricordò. A Menzoberranzan, la città dov'era nato, alcuni elfi scuri avevano l'abitudine di tenere in casa animali che emanavano proprio quell'odore. Quelle creature mostruose erano chiamate drosere, una massa informe di viscidi tentacoli che scioglieva qualsiasi cosa su cui si appoggiava. Drizzt combatteva duramente passo dopo passo. Lo avevano accerchiato
e sospinto verso una morte atroce o forse solo per essere catturato, dato che le drosere amavano divorare le loro vittime con lentezza lasciando agire quei terribili liquidi che avrebbero annullato ogni sua resistenza. L'elfo avvertì un inquietante fruscio alle sue spalle. Si voltò e vide che la drosera si trovava ad un paio di metri di distanza e già stava allungando un centinaio di tentacoli viscidi. Le scimitarre di Drizzt fendettero l'aria, colpirono e rotearono in una danza sorprendente. Un ratto venne colpito quindici volte prima ancora che potesse rendersi conto che il primo colpo gli aveva squarciato la gola. Purtroppo gli avversari erano troppo numerosi perché Drizzt potesse ricacciarli indietro e la loro avanzata era incoraggiata dalla vista dell'orribile creatura alle sue spalle. Drizzt avvertì lo sferzare dei tentacoli a pochi centimetri dalla nuca. Non aveva più spazio per girarsi e ben presto le lance lo avrebbero sospinto verso il mostro. Drizzt sorrise e uno strano bagliore illuminò il suo sguardo. «È possibile morire in questo modo?» disse a voce alta scoppiando in una fragorosa risata che fece tremare i ratti. Brandendo Lampo con forza, l'elfo piroettò su se stesso e affondò la lama nel cuore della drosera. 19 Trappole e inganni Wulfgar si ritrovò in una stanza quadrata e spoglia scavata nella pietra, illuminata da due torce incassate alla parete su pesanti candelabri. Nella parete opposta alle sbarre il barbaro vide un'altra porta. «Coprimi le spalle,» disse a Catti-brie sbarazzandosi della porta che aveva appena abbattuto, ma la ragazza aveva già abbassato l'arco puntandolo davanti a sé. Wulfgar si sfregò le mani per prepararsi ad alzare le pesanti sbarre. Afferrò il freddo metallo, convinto che nulla avrebbe potuto resistere alla sua forza, ma indietreggiò subito dopo esterrefatto, ancor prima di avere tentato di sollevarle. Le sbarre erano state unte di grasso. «Questa è opera di Entreri, o io non sono più un nano dalla barba rossa,» sbottò Bruenor indispettito. «Ti trovi in cattive acque, ragazzo!» «Come facciamo a tirarlo fuori di lì?» chiese Catti-brie. Wulfgar si guardò alle spalle, verso la porta chiusa. Sapeva che i suoi
amici non potevano fare nulla per lui e temeva che il rumore delle sbarre avesse attirato l'attenzione di qualcuno che avrebbe potuto mettere in serio pericolo i suoi compagni. «Non vorrai cacciarti in guai ben peggiori,» protestò Catti-brie. «Ho altra scelta?» ribatté Wulfgar. «Forse dall'altra parte c'è un argano.» «O forse l'assassino,» lo incalzò Bruenor. «Devi provare.» Catti-brie tese la corda dell'arco mentre Wulfgar si avvicinava alla porta. Girò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Il barbaro si girò verso gli amici e scrollò le spalle. Indietreggiò di qualche passo e presa la rincorsa Wulfgar colpì la porta con il suo pesante stivale. Il legno cedette con un rumore secco e oltre la soglia il barbaro vide un'altra stanza completamente buia. «Prendi una torcia,» gli suggerì Bruenor. Wulfgar esitò perché c'era qualcosa di strano, o forse un odore che lo inquietava, quasi l'istinto del guerriero lo mettesse in guardia. Forse quella seconda stanza non era vuota come la prima, ma non aveva altra scelta. Lentamente si avvicinò alla parete e afferrò una torcia. Con lo sguardo fisso nelle tenebre, Bruenor e Catti-brie non videro una figura che scivolò dalla nicchia nascosta nella parete in fondo al cunicolo. Entreri li guardò per un attimo. Avrebbe potuto colpirli con facilità e ucciderli senza fare rumore, ma l'assassino voltò le spalle e scomparve con la complicità delle tenebre. Aveva già scelto il suo bersaglio. *
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Rassiter si chinò sui due corpi che giacevano esanimi davanti al cunicolo laterale. Gli atroci spasmi dell'agonia li avevano fatti ritornare umani, ma erano morti fra gli indicibili dolori che solo un licantropo può provare. Erano stati uccisi come tutti gli altri che aveva incontrato lungo il cunicolo principale, colpiti e sfigurati con una precisione incredibile. Se da un lato i cadaveri non erano riusciti a tratteggiare un percorso ben definito, il globo di tenebre tradì subito la presenza di qualcosa di strano oltre l'imboccatura di quel cunicolo laterale. A Rassiter parve che la sua trappola avesse funzionato, anche se il prezzo che aveva dovuto pagare era stato molto alto. Si appiattì contro la parete più bassa del cunicolo e avanzò lentamente oltrepassando il globo inciampando su altri cadaveri dei suoi uomini.
Il ratto mannaro scosse la testa incredulo mentre percorreva il cunicolo facendosi strada a stento fra i cumuli di corpi immobili stesi a terra. Quanti era riuscito ad ucciderne, quell'abile spadaccino? «Un elfo scuro!» esclamò Rassiter esterrefatto dopo avere aggirato una curva. Oltre ad un impressionante cumulo di cadaveri vide la ragione di tanta morte. Aveva pagato un prezzo molto alto, ma ne era valsa la pena perché aveva ottenuto in cambio un premio inestimabile. Era riuscito a catturare quel guerriero dalla pelle scura e ne aveva finalmente fatto un suo prigioniero che gli avrebbe fatto guadagnare il favore di Pascià Pook e lo avrebbe innalzato una volta per tutte molto al di sopra dello stesso Artemis Entreri. In fondo al cunicolo, Drizzt si era abbandonato all'abbraccio degli infiniti tentacoli della drosera. Le sue mani stringevano ancora l'elsa delle scimitarre, ma le sue braccia erano immobili lungo i fianchi e la testa reclinata su una spalla, gli occhi chiusi. Il ratto si avvicinò con passo guardingo nella speranza che l'elfo non fosse già morto. Controllò la sua ghirba nella speranza che contenesse abbastanza aceto da allentare la stretta del mostro e liberare l'elfo perché voleva avere il suo trofeo vivo. Pook avrebbe apprezzato meglio il regalo che intendeva offrirgli. Rassiter sguainò la spada per puntellare l'elfo ma un violento dolore gli sconvolse il corpo quando un pugnale saettò nell'aria ferendogli un braccio. Si voltò di scatto e vide Artemis Entreri che impugnava minaccioso il suo pugnale mentre lo fissava con uno sguardo di fuoco. Rassiter si vide prigioniero nella sua stessa trappola. Non poteva fuggire da nessuna parte. Si appiattì contro la parete stringendo al petto il braccio sanguinante e cercò di risalire il cunicolo lentamente. Entreri seguì i movimenti di quell'essere disgustoso senza battere ciglio. «Pook non ti perdonerà mai,» lo ammonì Rassiter. «Pook non lo saprà mai,» ribatté Entreri con un sibilo. In preda al terrore, Rassiter oltrepassò l'assassino temendo di venire infilzato dalla lama tagliente della sua arma, ma l'attenzione di Entreri era già altrove. Il suo sguardo si era spostato sul corpo di Drizzt Do'Urden, immobile e sconfitto. Entreri giocherellò con il pugnale tempestato di gemme, indeciso se liberare l'elfo oppure lasciarlo morire lentamente fra i tentacoli del mostro. «Muori, allora,» sussurrò infine mentre puliva la lama del pugnale.
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Tenendo la torcia davanti a sé, Wulfgar entrò nella seconda stanza che, come la prima, era quadrata e disadorna, ma in un lato intravide un paravento che raggiungeva il soffitto. Il barbaro sapeva che un misterioso pericolo si nascondeva oltre quell'ostacolo poiché anch'esso doveva far parte della trappola che Entreri aveva creato e nella quale lui era caduto così ciecamente. Tuttavia, non aveva tempo per rimproverarsi della propria avventatezza. Si fermò in mezzo alla stanza in modo che i suoi amici potessero vederlo e appoggiata la torcia a terra afferrò Aegis-fang con entrambe le mani. All'improvviso, però, vide quella cosa piombargli addosso e rimase a guardare meravigliato. Otto teste a forma di serpente fluttuavano nell'aria in una danza che frastornava i sensi, simile al movimento degli aghi di una donzella che ricamasse con gesti febbrili una veste. Wulfgar comprese che non poteva esitare perché dalle fauci di quell'essere orribile fuoriuscivano denti affilatissimi. Catti-brie e Bruenor capirono che Wulfgar si trovava in serie difficoltà quando lo videro indietreggiare di un passo. Si aspettavano di vedere Entreri, o un intero esercito di soldati, ma invece un'orripilante idra si fermò davanti alla porta. «Wulfgar!» urlò Catti-brie in preda alla disperazione mentre scoccava una freccia. Il dardo d'argento sibilò nell'aria e si conficcò profondamente in uno dei colli. L'idra ruggì ondeggiando sconvolta dal dolore e voltò una testa per vedere chi aveva osato attaccarla, mentre altre sette teste infierivano contro Wulfgar. *
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«Mi deludi, elfo,» proseguì Entreri. «Ti credevo un mio pari, o quasi, dopo tutti i rischi che ho corso e le difficoltà che ho dovuto superare per guidarti fin qui per vedere chi di noi due doveva morire! Per dimostrarti che le emozioni che albergano nel tuo cuore non trovano posto nel cuore di un vero guerriero. «Ma ora vedo che i miei sforzi sono stati vani,» si lamentò l'assassino. «È già stato tutto deciso, se c'era ancora qualcosa da decidere. Io non sarei mai caduto in un tranello simile!»
Drizzt socchiuse un occhio e osservò la scena alzando leggermente la testa per incontrare lo sguardo di Entreri. «Nemmeno io,» disse scrollandosi di dosso i tentacoli del mostro esanime. «Nemmeno io!» Quando Drizzt si scostò la ferita aperta dalla sua scimitarra divenne evidente. Con un solo colpo l'elfo aveva ucciso la drosera. Un ampio sorriso illuminò il volto di Entreri. «Ben fatto!» urlò brandendo la spada. «Sublime!» «Dov'è il nanerottolo?» sibilò Drizzt. «Queste cose non interessano al tuo nanerottolo,» ribatté Entreri, «né alla pantera, quel tuo stupido animale.» Drizzt cercò di frenare la rabbia che gli faceva ribollire il sangue. «Non preoccuparti, sono vivi,» lo motteggiò Entreri nella speranza di distrarre il suo nemico. «O almeno così credo.» Entreri sapeva che la rabbia era un valido aiuto contro un nemico più debole, ma nella lotta fra abili guerrieri i colpi dovevano essere misurati e la difesa non doveva mai venire abbassata. Drizzt gli si avventò contro con entrambe le scimitarre, ma Entreri deviò con la spada mentre tentava di colpirlo con il pugnale. Drizzt piroettò su se stesso compiendo un cerchio completo e abbassò Lampo che però venne bloccata dalla spada dell'assassino. Le due lame si incontrarono con un clamore assordante e le due else si incrociarono avvicinando i due nemici. «A Baldur hai ricevuto il mio dono?» chiese l'assassino con una risata raccapricciante. Drizzt non batté ciglio perché in quel momento non pensava a Regis e Guenhwyvar, bensì all'assassino, ad Artemis Entreri che gli stava davanti. «Una maschera?» insistette l'assassino con una smorfia. «Indossala, elfo, e fingi di essere quello che non potrai mai essere!» Drizzt fece forza sulla punta dei piedi e ricacciò Entreri. L'assassino accompagnò quella sua mossa, contento di continuare la battaglia allontanandosi da lui, ma quando cercò di lanciarsi all'attacco appoggiò un piede in una depressione melmosa e cadde in ginocchio. Drizzt gli fu addosso come un fulmine roteando minaccioso le due scimitarre, ma le mani di Entreri si mossero con eguale agilità in un turbinio di spada e pugnale per parare e deviare quei temibili colpi. Dimenando la testa e le spalle Entreri riuscì a ricuperare l'equilibrio. L'elfo capì di avere perso il vantaggio e di trovarsi in una posizione pericolosa, con la spalla troppo vicina alla parete. Entreri si rialzò lentamente e
Drizzt dovette indietreggiare. «Credi che sia così facile?» chiese Entreri mettendosi in guardia. «Credi che io abbia cercato questa battaglia per così tanto tempo e decida di cadere sotto la tua spada subito?» «Non credo un bel nulla quando ho a che fare con Artemis Entreri,» ribatté Drizzt. «Non ti conosco, assassino, e non oso nemmeno tentare di capire le tue ragioni, tantomeno desidero saperle.» «Ragioni?!» ripeté Entreri con un ruggito. «Io sono un guerriero, semplicemente un guerriero. Non mescolo la vocazione della mia vita con le menzogne della gentilezza e dell'amore.» L'assassino portò la spada e il pugnale davanti a sé. «Questi sono gli unici miei amici, solo con loro...» «Tu non sei nulla,» lo interruppe Drizzt. «La tua vita è una menzogna senza senso.» «Una menzogna?!» tuonò Entreri. «Sei tu che indossi una maschera, elfo. Sei tu che devi nasconderti.» Drizzt accettò quelle dure parole con un sorriso. Solo pochi giorni prima avrebbero potuto ferirgli l'anima, ma ora, dopo le dolci parole di Catti-brie, scivolarono nell'aria senza lasciare nessun segno. «Tu sei una menzogna, Entreri,» ripeté l'elfo con voce pacata. «Non sei altro che una freccia incoccata in un arco, un'arma senza sentimenti che non conoscerà mai il vero significato della vita.» Drizzt avanzò verso l'assassino serrando i denti, consapevole di quanto doveva fare. Entreri gli andò incontro con eguale sicurezza. «Fatti avanti e muori,» sibilò l'assassino. *
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Wulfgar indietreggiò lentamente roteando il martello in tutte le direzioni per parare l'insidioso attacco dell'idra. Era consapevole che non sarebbe riuscito a tenere a bada quella terribile creatura a lungo e che avrebbe dovuto trovare un modo per annullare la sua furia omicida. Purtroppo, contro sette fauci voraci che si dimenavano in una danza sfrenata, Wulfgar non era in grado di sferrare l'attacco decisivo. Ma grazie al suo arco, lontano dalle teste dell'idra, Catti-brie aveva maggior successo. Con gli occhi colmi di lacrime, la ragazza ingaggiò con il mostro un'aspra battaglia più che mai decisa a non arrendersi. Scagliò un'altra freccia contro la testa che si era girata verso di lei colpendola fra gli occhi. La testa tremò violentemente e cadde a terra con un tonfo sordo,
morta. Quell'attacco inaspettato, o forse il dolore causato dalla mortale freccia, parve paralizzare l'idra per qualche istante e il barbaro non si lasciò sfuggire quell'occasione. Avanzò verso il mostro e colpì un'altra testa con Aegisfang con quanta forza aveva in corpo. La testa venne scaraventata indietro e anch'essa cadde a terra priva di vita. «Tienilo davanti alla porta!» urlò Bruenor. «E urla quando ti fai avanti, altrimenti la ragazza ti ferisce!» L'idra parve capire le intenzioni dei suoi nemici e giratasi di scatto ostruì la porta con il suo imponente corpo impedendo a Wulfgar ogni possibilità di fuga. Una freccia fendette l'aria, e poi un'altra ed entrambe si conficcarono nel corpo del mostro. Wulfgar continuava a combattere con determinazione, ma la terribile battaglia contro i ratti mannari lo aveva spossato. Non riuscì a parare l'attacco di una testa le cui fauci si chiusero attorno al suo braccio aprendo una profonda ferita. L'idra cercò di strappargli il braccio, ma non aveva ancora assaggiato la vera forza di Wulfgar. Il barbaro strinse il braccio al fianco serrando i denti per sopportare l'atroce dolore, riuscendo ad immobilizzare il mostro, mentre con la mano libera afferrò Aegis-fang e colpì l'occhio dell'idra con l'estremità del manico. La bestia mollò la presa e Wulfgar si liberò cadendo all'indietro per evitare l'attacco delle altre teste. Il barbaro non poteva continuare a combattere, ma la ferita gli avrebbe rallentato i movimenti. «Wulfgar!» urlò Catti-brie sentendo il suo gemito. «Esci di lì, ragazzo,» tuonò Bruenor. Wulfgar si stava già muovendo. Si appoggiò alla parete e cercò di aggirare l'idra mentre le due teste a lui più vicine seguivano ogni suo movimento cercando di colpirlo sferzando l'aria. Balzò in piedi e cambiò improvvisamente direzione fracassandone una con un potente colpo. Catti-brie osservava la disperata lotta di Wulfgar e lanciò una freccia che si conficcò fra gli occhi della seconda testa. L'idra, sconvolta dal dolore e dalla rabbia, si girò di scatto, ma ormai quattro teste giacevano al suolo prive di vita. Wulfgar si avvicinò all'altra parete della stanza e cercò di sbirciare oltre il paravento. «Un'altra porta!» urlò agli amici. Catti-brie continuava a lanciare le sue potenti frecce mentre l'idra attraversava la stanza per inseguire Wulfgar. Udirono il fragore della porta scardinata e il sinistro stridore di un'altra grata.
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Entreri sferrò l'attacco cercando di colpire la gola di Drizzt mentre affondava il pugnale in avanti. Fu una mossa molto azzardata e se l'assassino non fosse stato così abile, Drizzt avrebbe potuto trovare un punto debole nella sua difesa e trafiggergli il cuore. Tuttavia, l'elfo aveva un avversario degno di lui e dovette alzare una scimitarra per bloccare la sua spada mentre abbassava l'altra per deviare il pugnale. Entreri continuò ad attaccarlo sui due fronti, ma Drizzt lo ricacciò con forza subendo una sola piccola ferita alla spalla. «La prima ferita è mia,» disse l'assassino con voce trionfante passando un dito sul filo della spada per mostrare la lama macchiata di sangue. «Conta di più l'ultima ferita,» ribatté Drizzt lanciandosi all'attacco. Le due scimitarre si abbassarono sull'assassino con un'angolazione incredibile. Una lama minacciò di ferirgli una spalla mentre l'altra si alzò di scatto per aprirsi un varco nel suo torace, ma Entreri, proprio come Drizzt, sventò quell'attacco con sorprendenti parate. *
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«Tutto a posto, ragazzo?» urlò Bruenor. Il nano udì il fragore della battaglia riprendere alle sue spalle, in un cunicolo lontano, e con suo enorme sollievo da quel rumore capì che Drizzt era ancora vivo. «Sto bene,» ribatté Wulfgar osservando con attenzione la stanza in cui era appena entrato. Vide numerose sedie attorno ad un tavolo che sembrava essere stato appena usato per qualche partita di gioco d'azzardo. Wulfgar non ebbe più dubbi. Si trovava nei sotterranei di un edificio, forse la casa della corporazione dei ladri. «Non posso tornare indietro,» urlò agli amici. «Trovate Drizzt e ritornate in strada. Io troverò un modo per raggiungervi!» «Non posso lasciarti qui,» urlò Catti-brie disperata. «Non posso più tornare indietro, vi dico,» ribatté Wulfgar. Catti-brie guardò Bruenor con occhi imploranti. «Aiutalo!» L'espressione di Bruenor si era fatta dura. «Non possiamo fare nulla se continuiamo a rimanere qui,» urlò Wulfgar. «Non potrò mai ritornare indietro, anche se riuscissi ad alzare questa grata e sconfiggere l'idra. Va', amore mio, e non disperare. Ci incontreremo pre-
sto!» «Ascoltalo,» disse Bruenor. «Il cuore ti dice di rimanere, ma non aiuterai certo Wulfgar se segui i tuoi sentimenti. Devi avere fiducia in lui.» Il sangue si mescolò al grasso quando Catti-brie appoggiò la testa contro le sbarre. Udì il rumore di un'altra porta che cedeva sotto il colpo violento del barbaro, e le parve che qualcosa di pesante le stesse opprimendo il cuore. Bruenor le strinse gentilmente un braccio. «Fatti forza,» le sussurrò all'orecchio. «L'elfo sta combattendo e ha bisogno del nostro aiuto. Abbi fiducia in Wulfgar.» Catti-brie si allontanò lentamente dalle sbarre e seguì Bruenor lungo il cunicolo. *
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Drizzt si lanciò in un nuovo attacco non distogliendo lo sguardo dal volto dell'assassino. Era riuscito a sublimare l'odio che provava verso quell'essere, facendo tesoro delle preziose parole di Catti-brie e ricordando a se stesso il vero scopo della sua missione. Entreri divenne per lui un mero ostacolo da superare nell'arduo sentiero che lo conduceva verso la salvezza di Regis. Con la testa sgombra da inutili animosità, Drizzt si concentrò sul proprio corpo parando i colpi dell'avversario con una calma adamantina come se improvvisamente fosse ritornato indietro nel tempo e si stesse allenando a Menzoberranzan. Entreri, l'uomo che si proclamava superiore a lui perché privo d'emozioni, si dimenava con una violenza che rasentava una rabbia esplosiva. Entreri provava odio verso Drizzt, il quale, grazie all'amore e all'amicizia che gli avevano riscaldato la vita, aveva raggiunto la perfezione nell'arte del combattimento. Ogni volta che Drizzt parava la sequenza di colpi di Entreri e si lanciava all'attacco con pari agilità, l'elfo metteva a nudo la vacuità dell'esistenza dell'assassino. Drizzt riconobbe la rabbia nei movimenti dell'avversario e cercò un modo per esasperarla. Si lanciò in un nuovo attacco, ma venne bloccato subito. Tentò un doppio colpo con le scimitarre affiancate, le lame distanziate di pochi centimetri, ma Entreri le deviò con una ampia parata della spada digrignando i denti, soddisfatto dell'ingenuo errore del suo avversario. L'assassino lanciò un urlo mentre si buttava in avanti nel tentativo di affondare la lama del pugnale nel cuore dell'elfo. Ma Drizzt aveva anticipato quella reazione, e quasi l'aveva provocata di
proposito. Abbassò con gesto repentino la prima scimitarra anche se la spada cercava di ostacolarne la traiettoria, scivolando sotto la lama di Entreri e ritornando verso l'alto veloce come un fulmine. Il braccio di Entreri stava per affondare il pugnale quando la scimitarra di Drizzt gli aprì una profonda ferita nei gomito. Il pugnale cadde nel fango ed Entreri afferrò il braccio ferito con una smorfia di dolore allontanandosi in fretta dal campo di battaglia. Serrò gli occhi, sconvolto dalla rabbia e dalla meraviglia. «La rabbia ti offusca la mente,» gli disse Drizzt avanzando lentamente. «Stanotte ci siamo guardati allo specchio e forse non ti è piaciuta l'immagine che hai visto.» In preda ad una rabbia sconvolgente, Entreri non riusciva a ribattere. «Non hai ancora vinto,» disse infine in tono di sfida pur sapendo che l'elfo aveva guadagnato un vantaggio insormontabile. «Forse no,» replicò Drizzt scrollando le spalle, «ma tu hai perso molti anni fa.» Entreri abbozzò un sorriso sinistro e con un profondo inchino ripercorse il cunicolo di corsa. Drizzt lo inseguì, ma si dovette fermare ben presto quando si trovò davanti al globo di tenebre. Aveva sentito uno strano scalpiccio dall'altra parte e tese i muscoli in attesa. Quel rumore era troppo forte perché si trattasse di Entreri e l'elfo temette che altri ratti mannari fossero accorsi in aiuto dei compagni. «Sei là, elfo?» disse una voce familiare. Drizzt attraversò il globo come una saetta e si fermò accanto agli amici che lo guardavano meravigliati. «Avete visto Entreri?» chiese nella speranza che l'assassino ferito non fosse riuscito a fuggire inosservato. Bruenor e Catti-brie si strinsero nelle spalle scambiandosi un'occhiata meravigliata e si voltarono subito per seguire Drizzt che aveva ripreso a correre lungo quel labirinto di cunicoli tenebrosi. 20 Bianco e nero Wulfgar, sfinito dagli aspri combattimenti e indebolito dal dolore lancinante che gli paralizzava il braccio, si appoggiò alla parete liscia di un cunicolo leggermente in salita stringendosi il braccio al petto nella speranza di frenare il sangue che usciva a fiotti dalla ferita.
Si sentì improvvisamente solo, ma in cuor suo sapeva di avere fatto la cosa giusta mandando via i suoi amici. Non avrebbero potuto fare nulla per aiutarlo, e se avessero continuato a rimanere allo scoperto in mezzo a quel cunicolo, a pochi passi dalla trappola che Entreri gli aveva teso, li avrebbe esposti ad un serio ed inutile pericolo. Wulfgar doveva avanzare da solo e forse si trovava proprio nel cuore dell'infame casa della corporazione dei ladri. Allentò la stretta attorno al braccio e osservò la ferita. Nonostante i denti dell'idra si fossero conficcati nei suoi muscoli provocando orribili lacerazioni, riusciva ancora a muovere il braccio. Cercò di roteare Aegis-fang con movimenti cauti. Si appoggiò alla parete cercando di elaborare un piano d'azione in una missione che all'improvviso gli parve senza speranza. *
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Drizzt percorse innumerevoli cunicoli rallentando di tanto in tanto il passo per ascoltare anche il più debole rumore che avesse tradito la presenza del suo nemico. Non che si aspettasse di udire qualcosa perché sapeva che Entreri si muoveva furtivo e silenzioso. L'assassino, proprio come lui stesso, si aggirava in quel dedalo di passaggi senza torcia. Ma l'ottimismo dell'elfo aumentava ad ogni angolo quasi come se sentisse che i suoi passi erano guidati dalla stessa logica che muoveva Entreri. Avvertiva la presenza dell'assassino poiché lo conosceva più di quanto osasse ammettere a se stesso ed Entreri non gli sarebbe sfuggito allo stesso modo in cui lui non sarebbe mai riuscito a sfuggire all'assassino. La loro battaglia era cominciata a Mithril Hall, molti mesi prima, o forse la loro era l'incarnazione stessa della continuazione di una lotta ancora più grande che affondava le proprie radici nella notte dei tempi. Tuttavia, per Drizzt ed Entreri, due semplici pedine in una partita senza tempo, quella guerra non poteva ritenersi conclusa finché uno dei due non si fosse dichiarato vincitore. Drizzt intravide un bagliore provenire da un lato. Non era il chiarore giallognolo di una torcia, bensì un'argentea luce. L'elfo si avvicinò con fare guardingo e vide una grata da cui filtrava la luce della luna che rischiarava i pioli umidi di una pesante scala di ferro infissa nella parete. Drizzt perlustrò la zona in fretta, forse troppo in fretta, e si precipitò verso la scala. Ma l'ombra alla sua sinistra si illuminò di un inquietante sfolgorio e
Drizzt intravide con la coda dell'occhio il luccichio di una lama in tempo per schivare il colpo. Avanzò di qualche passo provando una fitta insopportabile fra le spalle e sentendo un rivolo di sangue scendergli per la schiena. Drizzt ignorò il dolore, consapevole che la minima esitazione avrebbe decretato la sua morte, e si voltò di scatto proteggendosi le spalle contro la parete mentre le lame ricurve delle scimitarre fendevano l'aria in una danza difensiva. Entreri non perse tempo con inutili battute sarcastiche e gli si avventò contro mosso da un irrefrenabile furore roteando minacciosamente la spada, consapevole che avrebbe dovuto uccidere Drizzt prima che l'effetto di quell'attacco a sorpresa svanisse. La cattiveria si sostituì all'eleganza dei colpi avvolgendo l'anima dell'assassino ferito nella tormenta dell'odio. Entreri balzò su Drizzt immobilizzandogli un braccio con il suo, nonostante fosse ferito, e cercando di usare la forza bruta per affondare la spada nel collo del suo avversario. Drizzt riuscì a rimettersi in equilibrio e controllare quell'attacco inaspettato. Si lasciò imprigionare dalla morsa dell'assassino concentrando ogni suo sforzo sulla mano che impugnava la scimitarra ancora libera, pronta a parare il colpo. Le else si incrociarono con un raccapricciante fragore, bloccando le due lame a mezz'aria fra i due guerrieri. I volti di Drizzt e di Entreri sconvolti dallo sforzo si trovavano a pochi centimetri di distanza e i loro occhi si incontrarono in un'occhiata carica d'odio. «Quanti crimini punirò con la mia lama, assassino?» ghignò Drizzt e con rinnovato vigore sospinse la spada inclinando la scimitarra minacciosamente verso il volto di Entreri. L'assassino non rispose, né parve impaurito dalla forza che muoveva il polso del suo avversario. Un lampo selvaggio gli illuminò lo sguardo mentre le sue labbra abbozzarono una smorfia rivoltante. Drizzt comprese che l'assassino aveva un'altra carta da giocare in quella partita disperata. Ma prima ancora che l'elfo potesse intuire la mossa subdola dell'avversario, Entreri gli sputò una boccata d'acqua sporca delle fogne negli occhi viola. *
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Il rumore del combattimento guidava i passi di Bruenor e Catti-brie lungo i cunicoli. Videro i loro profili contro la luce lunare proprio nel momento in cui Entreri sputava qualcosa in faccia all'elfo. «Drizzt!» urlò Catti-brie sapendo che non sarebbe riuscita a raggiungerlo in tempo, tanto meno alzare l'arco per fermare Entreri. Bruenor si precipitò verso la luce digrignando i denti e mosso da un unico pensiero: se Entreri avesse ucciso Drizzt, avrebbe fatto a pezzi quel cane! *
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Drizzt girò la testa di scatto. Il bruciore e quella mossa inaspettata indebolirono la concentrazione e la determinazione di Drizzt per la frazione di un secondo, ma l'elfo era consapevole del rischio che correva se avesse esitato troppo a lungo. Entreri abbassò la spada ferendo la fronte di Drizzt e fracassando il pollice dell'elfo fra le due else incrociate. «Ti ho in pugno!» sibilò a denti stretti meravigliato dall'improvviso mutamento della situazione. In quel terribile istante, Drizzt si sentì perduto, ma la sua reazione fu talmente istintiva e fulminea che l'elfo si sorprese delle proprie risorse. Con un movimento impercettibile Drizzt appoggiò un piede dietro la caviglia di Entreri mentre con l'altro faceva perno contro la parete alle sue spalle. Il pavimento melmoso completò l'opera, ed Entreri non riuscì a sottrarsi a quello sgambetto e cadde rovinosamente nell'acqua sudicia trascinando con sé anche Drizzt. La pesante caduta di Drizzt infilzò il gavigliano della sua scimitarra nell'occhio di Entreri. Drizzt si riebbe dalla sorpresa della sua stessa reazione più velocemente dell'assassino e sfruttò quell'attimo di esitazione dell'avversario. Impugnò la scimitarra con forza e la liberò dall'elsa della spada di Entreri roteandola velocemente in aria e abbassandola contro il torace dell'assassino. Con cupa soddisfazione sentì che la punta lentamente affondava nel corpo del suo avversario. Fu la volta di Entreri a reagire mosso dalla disperazione. Non aveva tempo per parare il colpo e perciò dovette colpire il viso di Drizzt con l'elsa della sua arma. Il naso dell'elfo si piegò sotto la violenza dell'impatto. Una miriade di colori lo abbacinò mentre Drizzt si sentiva scaraventato da un lato, prima ancora che la lama della scimitarra finisse il suo lavoro. Entreri si allontanò ruzzolando nella melma, ma si rimise in piedi con
agilità. Anche Drizzt strisciò a terra nel disperato tentativo di riaversi dallo stordimento. Quando finalmente riuscì a alzarsi di nuovo si trovò faccia a faccia con Entreri il cui volto era sconvolto da una smorfia orribile. Entreri lanciò un'occhiata alle spalle dell'elfo, verso il fondo del cunicolo e vide il nano alla carica e Catti-brie che gli puntava il temibile arco contro il viso. Con un balzo felino si precipitò verso la scala di ferro e cominciò a risalirla per mettersi in salvo in strada. Catti-brie seguì i suoi movimenti con un gesto fluido tenendolo sotto mira. Nessuno, nemmeno Artemis Entreri, sarebbe mai riuscito a sfuggirle. «Ammazzalo!» urlò Bruenor. Drizzt non si era accorto dell'arrivo dei suoi amici. Si voltò di scatto e solo allora vide Bruenor che correva e Catti-brie in procinto di scoccare la sua freccia. «Ferma!» urlò Drizzt con una voce che paralizzò Bruenor e fece rabbrividire Catti-brie gelando i loro sguardi allibiti sull'elfo. «Lui è mio!» si affrettò ad aggiungere. Entreri si reputò fortunato. La strada era la sua dimora e là avrebbe trovato la salvezza. Drizzt lanciò una veloce occhiata agli amici ammutoliti dalle sue parole mentre si infilava la maschera, e in un batter d'occhio scomparve oltre l'apertura. *
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La consapevolezza che il suo indugio avrebbe potuto provocare un enorme danno ai suoi amici che si erano lanciati lungo il cunicolo alla ricerca di una via d'uscita da quei sotterranei per risalire nella strada dove lo avrebbero incontrato spinsero Wulfgar in azione. Afferrò Aegis-fang con la mano intorpidita dal dolore della ferita sforzandosi di piegare il braccio al suo volere. Il suo pensiero corse a Drizzt ed alla sua capacità di sublimare la paura di fronte alle più terribili avversità trasformandola in precisa determinazione. Lo sguardo del barbaro brillò di un fuoco inestinguibile. Rimase fermo in mezzo al cunicolo con le gambe divaricate mentre dalle sue labbra usciva un lungo sospiro e i suoi muscoli si contraevano e rilassavano nel moto armonico di un corpo in attesa dell'imminente battaglia. Si trovava nella corporazione dei ladri, forse la casa più inattaccabile di
tutta Calimport, si sorprese a pensare. Un sorriso illuminò il volto del barbaro. Il dolore era svanito come d'incanto e la stanchezza non intorpidiva più le sue membra, e lentamente il sorriso si tramutò in una risata gagliarda mentre con passo deciso si allontanava. Era giunta l'ora del combattimento. Aveva notato che il cunicolo si alzava gradatamente e capì che alla prossima porta che avrebbe incontrato si sarebbe trovata in prossimità del livello della strada. Ben presto si trovò davanti non ad una porta, bensì a tre. Una chiudeva il cunicolo, mentre le altre due erano disposte ai suoi lati. Wulfgar non rallentò il passo, poiché ritenne che la direzione non sarebbe stata decisiva, e travolse la prima porta con una violenta spallata. Si ritrovò nella stanza ottagonale della guardia dove quattro sentinelle si voltarono di scatto e lo guardarono sbigottite. «Ehi!» urlò una che si trovava in mezzo alla stanza mentre Wulfgar ruzzolava a terra coprendosi il volto con i pugni. Il barbaro intravide una porta poco lontano, proprio di fronte a quella che aveva appena abbattuto e vi si diresse senza indugiare nella speranza di evitare un combattimento estenuante. Ma una delle sentinelle, un ladro minuto e dai capelli scuri, fu più veloce del vento e si precipitò verso la porta, infilò una chiave nella serratura e la chiuse a doppia mandata. Si girò verso Wulfgar e abbozzando un sorriso che metteva in mostra mozziconi di denti cariati, tenne la chiave fuori dalla portata del barbaro. «La chiave,» mormorò lanciandola verso un compagno che gli stava accanto. La mano di Wulfgar si chiuse sulla camicia dell'uomo, strappando una manciata dei peli che gli ricoprivano il torace, e il ladro si sentì sollevare da terra. Wulfgar raccolse tutte le sue forze e si aprì un varco nella porta con il corpo esanime della sentinella. «La chiave,» ripeté il barbaro scavalcando il cumulo di legno frantumato e il corpo accasciato della guardia. Ma i pericoli che Wulfgar doveva ancora affrontare non erano finiti. Si ritrovò nell'enorme salone delle udienze da dove partivano decine di stanze. Urla di terrore e d'allarme seguirono la sua fuga e nel giro di pochi istanti venne attivato un complicato sistema difensivo. I ladri, i veri membri della corporazione di Pook, si misero in salvo negli angoli più bui trovan-
do rifugio nelle loro stanze perché erano stati esentati dalla responsabilità di inseguire gli intrusi più di un anno prima, dal momento in cui Rassiter e i suoi uomini si erano alleati alla corporazione. Wulfgar si diresse verso una piccola rampa di scale alla cui sommità vide una porta. Con un solo balzo la raggiunse e la travolse per trovarsi ancora una volta in un labirinto di corridoi e sale aperte dove era custodito un vero tesoro di statue, dipinti e arazzi. Una collezione che mai prima d'allora Wulfgar aveva veduto, ma numerose figure indistinte alle sue spalle lo stavano inseguendo e non poteva certo indugiare. Vide le creature ammassarsi ai lati e alle uscite dei corridoi per ostacolargli la fuga. Sapeva chi erano. Aveva appena vagato nella loro dimora e ormai conosceva il lezzo emanato dai ratti mannari. *
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Entreri puntò i piedi a terra in attesa che Drizzt uscisse dal pertugio, e quando l'elfo cominciò a salire in strada l'assassino lasciò cadere con forza la sua spada. Perfettamente in equilibrio sui pioli della scala, Drizzt non aveva usato le mani come appiglio e intuita la mossa dell'avversario aveva incrociato le scimitarre sopra la testa. Il colpo di Entreri venne parato fra le due lame ricurve e Drizzt riuscì a respingerlo. Salì velocemente in strada per affrontarlo ancora una volta. L'orizzonte orientale era rischiarato dalle prime luci dell'alba. La temperatura cominciava a farsi mite e la città si stava risvegliando. Entreri si lanciò all'attacco, ma Drizzt lo ricacciò con temibili parate e con una forza inaudita. L'elfo non batté nemmeno ciglio, il suo volto contratto in una smorfia determinata. Con metodica agilità si avvicinò all'assassino roteando entrambe le scimitarre infliggendo colpi terribili. Il braccio sinistro dell'assassino era quasi paralizzato dal dolore e il suo occhio sinistro accecato. Entreri comprese di non poter sperare di vincere. Anche Drizzt avvertì la debolezza dell'avversario e con instancabile ritmo continuò a colpire la lama della sua spada nel tentativo di indebolire ulteriormente l'unica difesa di Entreri. Ma mentre Drizzt era impegnato a combattere, i cordoni della maschera si allentarono e all'improvviso il suo viso venne sfiorato dalla luce del sole. Il volto di Entreri venne sconvolto da un'orribile smorfia di trionfo perché ancora una volta aveva trovato il modo per sfuggire alla morte.
«Hai rivelato a tutti la tua menzogna!» sibilò con sarcasmo, e solo allora Drizzt capì. «Un elfo scuro!» urlò Entreri alla folla invisibile che aveva assistito al loro combattimento nascosta negli angoli bui della strada. «Dalla Foresta di Mir! Una spia, forse l'avanguardia di un intero esercito! Un elfo scuro!» La curiosità fece uscire la gente dai nascondigli. Il combattimento li aveva tenuti col fiato sospeso, ma ora dovevano avvicinarsi per verificare le parole di Entreri. Lentamente attorno ai due combattenti si formò un cerchio, e Drizzt ed Entreri sentirono il rumore metallico delle spade sguainate. «Addio, Drizzt Do'Urden,» sibilò Entreri nell'assordante tumulto della folla inferocita. L'elfo dovette chinarsi di fronte all'astuzia dell'assassino. Si guardò intorno innervosito in attesa che la gente lo attaccasse. Sfruttando quell'attimo di confusione e mentre Drizzt si guardava alle spalle, Entreri si mise in salvo fra la folla urlando, «Uccidete quell'elfo scuro! Uccidetelo!» Drizzt incrociò le scimitarre davanti a sé girando su se stesso lentamente mentre la folla tumultuante continuava ad avvicinarsi con passo minaccioso. Catti-brie e Bruenor uscirono dalle fogne proprio in quell'istante e videro cosa era successo e quanto stava per accadere. Bruenor si precipitò al fianco di Drizzt mentre Catti-brie incoccava una freccia. «Indietro!» tuonò il nano. «Non c'è nessun malvagio qui, a parte quello che da stupidi vi siete lasciati sfuggire!» Un uomo si fece avanti fra la folla brandendo una lancia acuminata con ostentata spavalderia, ma una freccia d'argento la spezzò in due. Terrorizzato, l'uomo lasciò cadere la lancia e girò leggermente la testa verso il punto in cui Catti-brie si stava preparando a lanciare un secondo dardo. «Vattene,» urlò la ragazza. «Lascia in pace l'elfo, altrimenti la prossima volta non colpirò certo la tua arma!» L'uomo indietreggiò barcollando e la folla sembrò perdere la voglia di combattere e preferì credere alle parole di Bruenor. Ma all'improvviso uno strano frastuono in fondo alla strada attirò lo sguardo di tutti. Le due guardie che pattugliavano davanti alla casa della corporazione aprirono la porta oltre la quale avevano udito il rumore di un aspro combattimento e vi scomparirono dentro richiudendola con forza. «Wulfgar!» urlò Bruenor risalendo la strada di corsa. Catti-brie lo stava per seguire quando si girò verso Drizzt. L'elfo appariva affranto, dilaniato da emozioni contrastanti. Il suo sguar-
do continuava a passare dall'edificio della corporazione al punto in cui l'assassino era scomparso. Era riuscito a sconfiggere Entreri. Quell'uomo ferito non sarebbe mai stato in grado di affrontarlo, ma come poteva lasciarselo sfuggire a quel modo? «I tuoi amici hanno bisogno di te,» gli ricordò Catti-brie. «Se non per Regis, fallo per Wulfgar.» Drizzt scosse il capo, quasi volesse rimproverarsi. Come gli era passato per la testa di abbandonare i suoi amici in quel momento critico? Sorpassò Catti-brie di corsa raggiungendo Bruenor poco lontano. *
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Sul Quartiere dei Ladri il chiarore dell'alba aveva soffuso il cielo raggiungendo le sontuose stanze di Pascià Pook. LaValle si mosse con passo furtivo verso la tenda che chiudeva un angolo della stanza e la tirò lentamente. Persino lui, un mago esperto, non osava avvicinarsi a quel marchingegno fonte di terribili malvagità prima del sorgere del sole. Il Cerchio di Taros, il suo manufatto più potente e indescrivibilmente pauroso. Si aggrappò alla sua struttura metallica e lo tirò fuori dalla nicchia. Appoggiato su un piedistallo che lo innalzava a qualche decina di centimetri dal pavimento, l'enorme anello di metallo lavorato era molto più alto di lui ed era largo abbastanza perché un uomo lo potesse attraversare senza difficoltà. Pook aveva più volte osservato che assomigliava molto al cerchio che il domatore usava per addomesticare le sue belve. Ma persino un leone non sarebbe riuscito ad attraversare quell'anello e ricadere dall'altra parte incolume. LaValle girò l'anello da un lato per osservarlo meglio ed esaminare la ragnatela simmetrica che occupava la zona delimitata dal cerchio. Dava l'impressione di essere di una fragilità estrema, ma LaValle era a conoscenza della forza nascosta in quel tessuto trasparente e della potenza magica che trascendeva gli stessi piani dell'esistenza. LaValle infilò nella cintura la leva che azionava quello strumento di morte, un piccolo scettro sormontato da un'enorme perla nera, e trascinò il Cerchio di Taros nella sala centrale del piano. Avrebbe voluto avere abbastanza tempo per provare il suo piano perché non desiderava deludere ancora una volta il suo padrone, ma ormai il sole si era alzato ad oriente e Pook non amava i ritardi. Ancora avvolto nell'ampia veste da notte, Pook entrò nella sala non ap-
pena LaValle lo chiamò. Il suo sguardo rimase abbagliato dal Cerchio di Taros che lui, pur non essendo un mago e quindi all'oscuro dei pericoli nascosti in quell'arnese, non poteva fare altro che considerare un meraviglioso gingillo. LaValle si mise davanti all'anello stringendo in una mano lo scettro e nell'altra la statuetta di onice di Guenhwyvar. «Tieni questa,» disse a Pook lanciandogli la statuetta. «Possiamo chiamare la pantera più tardi. Non ho bisogno di quella bestia per il nostro lavoro.» Pook lasciò cadere la statuetta in una tasca con aria distratta. «Ho scandagliato i piani dell'esistenza,» spiegò il mago. «So che la pantera abita nel Piano Astrale, ma non ero sicuro che il nanerottolo fosse rimasto con lei. Avrebbe potuto trovare da solo la via del ritorno. E non bisogna dimenticare che il piano astrale è molto vasto.» «Basta con le chiacchiere!» ordinò Pook. «Procedi! Cosa vuoi mostrarmi?» «Solo questo,» disse LaValle ondeggiando lo scettro davanti al Cerchio di Taros. La ragnatela vibrò impercettibilmente e venne rischiarata da fugaci scintille. Lentamente la luce si fece più forte riempiendo tutto l'anello e facendo scomparire la ragnatela in uno sfondo azzurro screziato di grigio. LaValle proferì un ordine e l'anello si fece improvvisamente grigio e materializzò l'immagine del Piano Astrale, dove videro Regis, appoggiato ad un albero, una quercia contornata di stelle, con le dita incrociate dietro la testa e le gambe accavallate. Pook cercò di riprendersi dallo stordimento scuotendo la testa con violenza. «Prendilo,» urlò. «Ti ordino di prenderlo.» Prima che LaValle potesse aprire bocca, la porta si aprì di colpo e Rassiter irruppe nella stanza. «Si combatte, Pook,» disse ansimando, «nei piani inferiori. Un barbaro gigantesco.» «Mi hai promesso che ti saresti arrangiato da solo,» sibilò Pook frenando a stento l'ira. «Sono gli amici dell'assassino...» balbettò Rassiter, ma Pook non aveva tempo per ascoltare le spiegazioni di quell'essere immondo. Non ora! «Chiudi la porta!» ordinò a Rassiter. Rassiter zittì e fece come gli era stato comandato. Pook avrebbe sicuramente perso la calma quando lui gli avrebbe raccontato della battaglia disastrosa avvenuta nelle fogne. Il capo si voltò verso LaValle con uno sguardo che non ammetteva obie-
zioni. «Prendilo,» disse. LaValle cantilenò a bassa voce e ondeggiando lo scettro davanti al Cerchio di Taros protese una mano verso la superficie vitrea che separava i due piani e afferrò Regis addormentato per i capelli. «Guenhwyvar!» riuscì a urlare Regis, ma LaValle gli dette un violento strattone facendolo cadere sul pavimento della stanza e ruzzolare fino ai piedi di Pascià Pook. «Oh... salve!» balbettò il nanerottolo alzando uno sguardo contrito verso Pook. «Se ne potrebbe parlare, vero?» Pook gli sferrò un terribile calcio al petto e conficcò la punta del suo bastone da passeggio contro una spalla. «Invocherai la morte migliaia di volte prima che io decida di farti passare a miglior vita!» sibilò il capo della corporazione con odio. E Regis non ebbe dubbi che quella sarebbe stata la verità. 21 Dove non risplende il sole Wulfgar scansò i colpi sgattaiolando fra le file interminabili di statue e dietro a pesanti arazzi, ma i ratti mannari erano troppo numerosi e sbucavano da tutte le direzioni perché lui potesse sperare di mettersi in salvo. Stava passando davanti ad un corridoio quando vide avvicinarsi tre ratti. Fingendosi terrorizzato, il barbaro si rifugiò nel corridoio ma si appiattì contro la parete e rimase in attesa dietro l'angolo. Non appena le tre sentinelle si affacciarono al corridoio Wulfgar le colpì a morte con Aegis-fang. Ripercorse la strada da cui erano venute le sue vittime nella speranza di confondere le idee dei suoi inseguitori, ma si ritrovò in un'enorme sala dove erano allineate numerose sedie. Era entrato nel teatro privato dove Pook assisteva agli spettacoli di attori ambulanti. Un candelabro massiccio con migliaia di candele accese pendeva dal soffitto, in mezzo alla sala, mentre lungo le pareti si ergevano imponenti colonne di marmo dove erano finemente scolpite le immagini di famosi eroi e mostri esotici. Wulfgar non poteva permettersi di indugiare a lungo e notò subito una piccola scalinata che conduceva ad una galleria. I ratti continuavano a riversarsi nella sala dalle numerose porte. Wulfgar si guardò alle spalle, ma vide che il passaggio era bloccato. Scrollò le spalle e si precipitò verso la scala nella speranza di riuscire ad affrontare uno ad uno i suoi avversari dall'alto dell'ultimo scalino.
Due sentinelle gli si precipitarono addosso, ma quando Wulfgar appoggiò i piedi sul pianerottolo e si voltò verso di loro, essi si resero conto di essere in pericolo. Il barbaro torreggiava su di loro, imponente, e le sue ginocchia si trovavano all'altezza dei loro occhi. I ratti avrebbero potuto colpire le gambe indifese del barbaro, ma quando Aegis-fang discese su di loro descrivendo un terribile arco nessuno dei due fu in grado di deviarne la traiettoria e, trovandosi ancora sulla scalinata, non poterono spostarsi per evitare il colpo. Il martello fracassò il cranio di uno dei due con tale forza che l'impatto gli fratturò le gambe, mentre l'altro, paralizzato dal terrore, balzò oltre lo scorrimano per mettersi in salvo. Wulfgar provò un'irrefrenabile voglia di ridere, ma in lontananza vide abbassarsi le punte minacciose di molte lance. Percorse la galleria correndo nella speranza di trovare riparo dietro il parapetto e le sedie e, poco più in là, un'uscita, mentre i ratti mannari risalivano la scalinata lanciando urla terribili. Wulfgar non trovò nessuna porta e scuotendo il capo rassegnato, capì di essere in trappola. Allargò le gambe e brandì Aegis-fang con decisione, pronto a difendersi. Un tempo Drizzt gli aveva parlato di fortuna. Secondo le parole dell'elfo, un vero guerriero era in grado di trovare sempre l'azione giusta che gli avrebbe permesso di individuare l'unica via d'uscita apparentemente possibile, ma che ad un osservatore casuale poteva sembrare dettata dalla fortuna. Wulfgar non riuscì a frenare la risata che gli gorgogliava in gola. Aveva ucciso un drago facendogli cadere addosso un ghiacciolo e in quel frangente si chiese cosa sarebbe mai riuscito a scatenare un pesante candelabro con un migliaio di candele accese in una sala rigurgitante di ratti mannari. «Tempos!» tuonò il barbaro invocando il Dio della Guerra perché gli infondesse coraggio. Dopotutto, Drizzt non poteva accorrere in suo aiuto! Lanciò Aegis-fang con tutte le proprie forze fermandosi di scatto non appena le sue dita rilasciarono il manico. Aegis-fang piroettò nell'aria e colpì il bersaglio con una precisione stupefacente. Il colpo divelse il candelabro dai supporti e frantumò un pezzo consistente di soffitto. La folla sottostante cercò di mettersi in salvo nel disperato tentativo di sottrarsi alla terribile massa di cristallo e fuoco che toccò il pavimento con un frastuono assordante, mentre con una mossa felina Wulfgar balzava sul parapetto e spiccava un salto.
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Bruenor portò l'ascia sopra la testa lanciando un urlo possente con l'evidente intenzione di abbattere la porta di quella casa con un sol colpo, ma proprio nel momento in cui il nano si avvicinava correndo, una freccia gli sibilò a poca distanza dall'orecchio e si andò a conficcare nella porta facendo saltare il chiavistello. Bruenor, incapace di fermarsi, cadde ruzzolando giù per la scalinata oltre la porta ormai socchiusa trascinando con sé due guardie esterrefatte. Frastornato dalla caduta, Bruenor si inginocchiò e guardò verso l'alto. Drizzt arrivò sul pianerottolo e scese cinque scalini con un solo balzo, seguito da Catti-brie. «Benedetta ragazza!» urlò il nano inferocito. «Quante volte ti devo ripetere che devi avvertirmi prima di lanciare le tue frecce!» «Non c'era tempo,» lo interruppe Drizzt scendendo con un secondo balzo gli ultimi sette scalini per precipitarsi al lato del nano inginocchiato per fermare due ratti che lo stavano attaccando. Bruenor afferrò l'elmetto e se lo infilò in testa mentre si avvicinava all'amico per dargli man forte, ma le due sentinelle erano già morte prima che riuscisse a rimettersi in piedi. Drizzt si era già allontanato attirato dal rumore di una battaglia più cruenta che si svolgeva nel cuore di quell'edificio. Bruenor tese una mano per farsi afferrare da Catti-brie che nella sua agile e veloce corsa l'avrebbe aiutato a rialzarsi e continuare insieme quel disperato inseguimento. *
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Le gambe muscolose e agili di Wulfgar si appoggiarono lontano dal candelabro frantumato e proteggendosi la testa con un braccio si scagliò contro la folla che ancora gli sbarrava il passo. Frastornato dalla confusione, ma pur sempre consapevole della direzione che aveva intrapreso, il barbaro si fece strada verso una porta ed entrò in un'altra sala imponente. Davanti a lui intravide un'altra porta che si apriva su un dedalo di sale e corridoi, ma la porta era bloccata da una decina di ratti. Il barbaro si protesse le spalle contro la parete e scivolò verso la parte laterale della sala. Credendolo disarmato, le sentinelle gli si precipitarono contro urlando di gioia, ma Aegis-fang ritornò come per incanto fra le mani del barbaro che
con un violento colpo abbatté i primi due. Wulfgar si guardò intorno, nella speranza che la fortuna lo assistesse, ma ebbe l'impressione che quella volta gli avesse voltato le spalle. I ratti gli lanciavano inquietanti squittii da ogni lato digrignando i denti assetati di sangue ad una vicinanza raccapricciante. Non occorreva che fosse Rassiter a spiegare loro che la forza di quel gigante, e soprattutto di un ratto mannaro gigante, avrebbe accresciuto la potenza della loro corporazione. Il barbaro si sentì improvvisamente nudo dato che indossava una tunica senza maniche. Quei musi infetti si avvicinavano sempre più e i loro morsi mancarono di poco il bersaglio. Wulfgar aveva sentito raccontare parecchie storie su quelle creature per rendersi conto appieno delle terribili conseguenze di un semplice graffio, e continuò a combattere con rinnovato coraggio. Nonostante il terrore gli avesse infuso una nuova forza, il possente barbaro aveva trascorso metà della notte a combattere e aveva subito numerose ferite, la più profonda della quale si era riaperta quando aveva spiccato il salto dal parapetto della galleria. I suoi movimenti rallentarono e i suoi muscoli indolenziti si rifiutarono di obbedirgli. Wulfgar avrebbe combattuto fino allo stremo delle forze accumulando i cadaveri dei nemici davanti ai propri piedi con una canzone sulle labbra, sorridendo davanti ad una morte coraggiosa degna di un vero guerriero. Ma in quel terribile momento, quando la missione gli parve irrimediabilmente vana, con una fine che era ben peggiore della morte stessa, il suo sguardo spaziò sulla sala alla disperata ricerca di un modo con cui uccidersi. La fuga era impossibile, tantomeno la vittoria. L'unico pensiero e desiderio di Wulfgar era risparmiarsi l'ignobile ed angoscioso destino di un essere licantropo. Proprio in quell'istante Drizzt entrò nella stanza, assalendo i ratti alle loro spalle come una tromba d'aria improvvisa che coglie di sorpresa un intero villaggio. La sala si riempì di schizzi porpora e di ciuffi di peli recisi dalle lame affilate delle sue scimitarre. I pochi che riuscirono a sottrarsi all'implacabile ira dell'elfo fuggirono a gambe levate. Uno osò girarsi e alzare la spada per parare il colpo dell'elfo, ma Drizzt gli mozzò il braccio all'altezza del gomito e gli trafisse il petto con l'altra scimitarra. Finalmente l'elfo si mise al fianco dell'amico, e la sua presenza infuse nell'esausto Wulfgar una forza irresistibile e una coraggiosa deter-
minazione. Wulfgar urlò di gioia mentre colpiva un nemico con Aegisfang in pieno petto scaraventandolo contro la parete. Il licantropo, tramortito, giaceva riverso con metà del corpo in una stanza mentre le gambe, sfracellate contro la parete, penzolavano in modo grottesco oltre il buco aperto dal violento impatto, a testimonianza della potenza del barbaro. I ratti mannari si scambiarono occhiate confuse nel tentativo di farsi coraggio e si avvicinarono ai due guerrieri con passo titubante. Se le loro intenzioni vacillavano sotto il peso dell'indecisione, vennero completamente travolte dall'urlo raccapricciante che accompagnò la comparsa del nano e la pioggia di frecce magiche che falcidiò i nemici con infallibile precisione. Ai ratti mannari si ripresentò la stesse possibilità che avevano avuto nelle fogne poche ore prima, quando avevano perduto numerosi compagni durante i combattimenti. Non ebbero il coraggio di affrontare i quattro amici riuniti, e quelli che poterono, si lanciarono in una fuga disperata. I pochi che rimasero invece si trovarono di fronte ad una terribile scelta: la morte per opera di un possente martello, di una scimitarra esperta, di un'ascia violenta oppure di un arco infallibile. *
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Pook si sedette sul suo scranno e rimase ad osservare le immagini di distruzione all'interno del Cerchio di Taros. Non provava alcun dolore al vedere morire i ratti mannari perché sapeva che qualche morso ben assestato per le strade affollate della città avrebbe ripristinato le perdite di quelle anime maledette. Ma Pook temeva! Quegli eroi si sarebbero presto aperti un varco dentro la sua stessa casa e lo avrebbero raggiunto in quella sala. Anche Regis, tenuto per il fondo dei pantaloni da uno degli eunuchi giganti di Pook, guardava con sguardo rapito. La vista di Bruenor, che lui credeva morto nelle viscere di Mithril Hall, lo commosse profondamente. Non riusciva a capacitarsi che i suoi più cari amici avessero attraversato tutti i Regni per accorrere in suo aiuto ed ora stessero combattendo per lui con una forza di cui mai li avrebbe creduti capaci. Erano feriti, soprattutto Catti-brie e Drizzt, ma combattevano sprezzanti del dolore e del pericolo facendosi strada fra le file della milizia di Pook. Regis osservò i loro colpi infallibili e i corpi degli avversari che stramazzavano al suolo privi di vita, e non ebbe più dubbi sul fatto che sarebbero riusciti a raggiungerlo.
Il nanerottolo diresse lo sguardo verso la parte laterale dell'anello, dove si trovava LaValle che guardava la scena distratto, con le braccia incrociate sul petto mentre tamburellava lentamente lo scettro contro una spalla. «I tuoi seguaci si trovano in cattive acque, Rassiter,» osservò Pook. «Qualcuno potrebbe addirittura accusarli di vigliaccheria.» Rassiter si dondolò nervosamente sulla punta dei piedi. «Forse non sei in grado di attenerti agli accordi?» «I miei uomini hanno dovuto affrontare potenti nemici questa notte,» disse Rassiter con evidente imbarazzo. «Loro... Noi non abbiamo potuto... La battaglia non è ancora persa!» «Forse dovresti fare in modo che i tuoi uomini ci mettano un po' più di convinzione,» aggiunse Pook con voce pacata, e Rassiter non si lasciò sfuggire il comando e la velata minaccia che si celavano in quelle parole terribili. Con un profondo inchino si avvicinò alla porta e uscì come un fulmine richiudendola rumorosamente, pensando che l'esigente capo della corporazione non poteva ritenere responsabili i ratti mannari dell'imminente disastro. «Stupendo,» mormorò mentre Drizzt parò due colpi e contemporaneamente uccise i due avversari con una coppia di movimenti che parvero indipendenti, ma strettamente collegati l'uno all'altro. «Non ho mai veduto tanta grazia in un combattimento di spade.» Pook rimase soprappensiero un attimo prima di aggiungere, «Forse una volta.» Sorpreso dalle sue stesse parole, Pook lanciò un'occhiata a LaValle che chinò il capo in segno di assenso. «Entreri,» mormorò LaValle. «La somiglianza è inequivocabile. Ora sappiamo la ragione per cui l'assassino li ha attirati qui.» «Per sfidare l'elfo in combattimento?» rifletté Pook. «Ha trovato finalmente un guerriero degno di lui?» «Così sembrerebbe.» «E dov'è allora? Perché non sta combattendo?» «Forse ha già combattuto,» ribatté LaValle con aria truce. Pook ammutolì all'udire le sinistre parole del mago, ma esse erano prive di logica perché egli potesse crederle vere. «Entreri sconfitto?» disse con un filo di voce. «Entreri morto?» Quelle parole proferite a fatica suonarono come una dolce musica alle orecchie di Regis che aveva assistito alla nascita e alla crescita dell'inimicizia fra l'assassino e Drizzt. Per tutti quegli anni Regis aveva sospettato che tutto si sarebbe concluso con un duello all'ultimo sangue e non aveva
mai cessato di preoccuparsi per il suo amico elfo. La possibile morte di Entreri fece vedere a Pook la battaglia che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi sotto una nuova luce. All'improvviso si rese conto di avere di nuovo bisogno di Rassiter e dei suoi uomini e che la carneficina cui aveva assistito grazie al Cerchio di Taros metteva in serio pericolo la potenza della sua stessa corporazione. Si alzò dal trono di scatto e si avvicinò allo strumento del male con passo deciso. «Dobbiamo fermarli,» sibilò a LaValle. «Mandali in un luogo di tenebre!» Il mago abbozzò un sorriso malvagio e si allontanò per andare a prendere un enorme volume rilegato in pelle nera. L'aprì nel punto in cui aveva messo un segno e, avvicinatosi all'anello, cominciò a cantilenare la formula di un terribile incantesimo. *
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Bruenor fu il primo ad uscire dalla stanza e si mise subito alla ricerca di una possibile via che lo portasse da Regis e da altri ratti da uccidere. Corse lungo un breve corridoio e aprì una porta con un violento calcio. Si trovò davanti a due ladri dai volti sconvolti dal terrore. Nonostante fosse un guerriero indurito da molte battaglie, nel suo cuore albergava la pietà e poiché era lui l'invasore, Bruenor trattenne l'ascia e colpì i due ladri con lo scudo facendoli ruzzolare rovinosamente a terra. Ritornò veloce sui suoi passi per riunirsi agli amici. «Attento alla tua destra!» urlò Catti-brie notando un leggero fremito di un arazzo a pochi passi da Wulfgar. Il barbaro lo strappò dal muro con un violento strattone e si trovò davanti ad un uomo minuto, forse un nano, accovacciato sui piedi e pronto a saltare. Davanti a quella montagna di muscoli, il ladro si sentì mancare il coraggio e si strinse nelle spalle quasi volesse scusarsi di essersi fatto sorprendere in quel luogo, mentre Wulfgar lo disarmò del suo minuscolo pugnale. Il barbaro lo afferrò per il bavero e lo avvicinò al suo viso. «Cosa sei?» tuonò Wulfgar. «Uomo o ratto?» «Non sono un ratto!» strillò il ladro terrorizzato sputando a terra per dimostrare il proprio disgusto. «Non sono un ratto!» «Regis?» disse Wulfgar. «Lo conosci?» Il ladro annuì freneticamente. «Dove posso trovarlo?» ruggì il barbaro.
«Su,» strillò il ladro pallido in volto. «Nelle stanze di Pook. Su, nei piani superiori.» Mosso dall'istinto di sopravvivenza e desideroso di sgattaiolare via da quel mostruoso barbaro, il nano fece scivolare una mano verso un pugnale nascosto nella cintura, ma aveva fatto male i suoi conti. Drizzt gli colpì il braccio col piatto della scimitarra per far notare a Wulfgar le intenzioni del suo prigioniero. Wulfgar usò l'uomo per aprire la porta che aveva davanti, e l'inseguimento riprese. I ratti saettavano ai fianchi dei quattro compagni, ma pochi avevano il coraggio di affrontarli. Altre porte vennero scardinate e altre stanze attraversate e dopo alcuni minuti si trovarono davanti ad una scala, ampia e ricoperta da un sontuoso tappeto, con una elaborata balaustrata di legno verniciato che poteva portare ad un solo posto: le camere di Pascià Pook. Bruenor si lasciò sfuggire un urlo di trionfo e continuò a correre, seguito da Wulfgar e Catti-brie. Ma Drizzt ebbe un attimo di esitazione e si guardò intorno in preda ad uno strano timore. Gli elfi scuri erano creature magiche per natura e Drizzt percepiva nell'aria uno strano e pericoloso sfrigolio, quasi come se qualcuno stesse formulando un incantesimo contro di lui. All'improvviso vide il pavimento e le pareti ondeggiare, quasi avessero perso la loro consistenza, e solo allora comprese la vera natura della sua sensazione. Altre volte aveva viaggiato per i piani dell'esistenza in compagnia di Guenhwyvar, il suo felino magico, ed ora sapeva che qualcuno, o qualcosa, cercava di strapparlo dal suo posto nel piano materiale. Guardò avanti e vide che Bruenor e gli altri erano stati colti dalla stessa confusione. «Prendiamoci per mano!» urlò l'elfo precipitandosi verso gli amici prima che il potente incantesimo li bandisse per sempre dal mondo. *
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Impotente e terrorizzato, Regis rimase a guardare gli amici che si abbracciavano mentre l'immagine che si vedeva all'interno dell'anello scivolava dai piani inferiori della casa in un luogo più buio, pieno di fumo e di ombre, di demoni e di spiriti, un luogo dove non splendeva mai il sole. «No!» urlò Regis intuendo le vere intenzioni del mago, ma LaValle non gli prestò attenzione mentre Pook gli rivolgeva un sorrisetto beffardo. Dopo alcuni secondi Regis vide gli amici avvolti in dense volute di fumo, in un piano tenebroso.
Pook si appoggiò con tutto il peso del corpo sul suo bastone e rise. «Adoro distruggere le speranze altrui!» esclamò al mago. «Hai dimostrato per l'ennesima volta il tuo valore, mio prezioso e insostituibile LaValle!» Regis rimase paralizzato quando vide i suoi quattro compagni appoggiarsi spalla contro spalla per fronteggiare la miriade di inquietanti ombre che incombevano su di loro in quel mondo di grandi forze malvagie. Ma il suo cuore non resistette e lentamente abbassò lo sguardo a terra. «Oh, no! Continua a guardare, piccolo ladro,» lo esortò Pook con una risata rivoltante. «Guarda come muoiono e sii contento per loro perché ti assicuro che il dolore che dovranno sopportare sarà nulla al confronto dei tormenti che ho intenzione di infliggerti.» Regis provò odio per quell'uomo e per se stesso poiché a causa sua i suoi amici erano caduti vittime di un terribile sortilegio. Il nanerottolo lanciò un'occhiata di fuoco a Pook. Erano venuti per lui, dopo aver attraversato molte terre. Avevano combattuto contro Artemis Entreri e un intero esercito di ratti mannari, e forse molti altri nemici ancora. Avevano fatto tutto questo per lui! «Che tu possa essere maledetto,» sibilò Regis e la sua paura svanì all'improvviso. Con un violento colpo di reni si girò su se stesso e morse l'interno della coscia dell'eunuco che lo lasciò cadere a terra emettendo un urlo raccapricciante. Non appena appoggiò i piedi a terra, il nanerottolo cominciò a correre. Saettò davanti a Pook colpendo con un piede il bastone su cui poggiava il capo della corporazione, mentre con l'altra mano rovistava in una sua tasca alla ricerca di una statuetta. Con la velocità di una saetta si precipitò verso LaValle. Il mago aveva avuto il tempo di rendersi conto di quanto stava succedendo ed aveva già cominciato a formulare un incantesimo quando Regis gli si scagliò contro. Con un balzo raggiunse il viso del mago e gli infilò due dita negli occhi rendendo vano il potente sortilegio e facendolo cadere pesantemente a terra. Il mago cercò disperatamente di rimettersi in piedi, ma Regis gli sottrasse lo scettro e si avvicinò al Cerchio di Taros. Osservò la stanza per un'ultima volta mentre cercava disperatamente una soluzione più facile. Ma la figura di Pook dominava quella stanza. Con il volto paonazzo d'ira e sconvolto da una orribile smorfia, il capo della corporazione era riuscito a riprendersi dall'attacco inaspettato e stava impugnando il suo bastone come se fosse un'arma, e Regis sapeva per esperienza che poteva essere
mortale. «Ti supplico... Ho bisogno di aiuto,» sussurrò Regis a qualsiasi dio che fosse in grado di udirlo. Strinse i denti e abbassò la testa mentre balzava in avanti per farsi condurre dallo scettro all'interno del malefico Cerchio di Taros. 22 La Vallata oscura La terra stessa su cui sedevano trasudava uno squallido fumo che, sospinto da un'invisibile brezza in indolenti volute, si avviluppava attorno alle loro caviglie. Dal modo in cui scivolava verso il basso a poche decine di piedi di distanza per poi risalire in dense nuvole poco lontano, gli amici capirono di trovarsi su una sorta di stretta striscia di terra, un ponte su un abisso senza fine. Altri ponti simili, larghi non più di qualche spanna, si inarcavano sopra e sotto le loro teste e da quanto era dato loro vedere, erano gli unici sentieri che attraversavano quel piano. In nessuna direzione si vedeva un tratto di terra solida, ma solo quei sinuosi e serpeggianti ponti. I movimenti degli amici erano lenti, quasi si muovessero in un mondo onirico, in perenne lotta contro il peso dell'aria. Quello stesso luogo d'angoscia, un mondo tenebroso e indistinto di odori rivoltanti e di urla disperate, stillava malvagità. Sopra le loro teste e ai loro fianchi mostri deformi e orribili si libravano in quella cupa vacuità emettendo strida di gioia per la comparsa inaspettata di quei gustosi bocconi. I quattro amici, il cui animo indomito aveva affrontato innumerevoli pericoli nel loro mondo, sentirono il coraggio svanire nei loro cuori. «I Nove Inferi?» disse Catti-brie con un filo di voce per timore che le proprie parole potessero disturbare l'apparente inattività delle orde che continuavano a scivolare indolenti nelle onnipresenti tenebre. «L'Ade,» disse Drizzt, più abituato ai piani conosciuti. «Il Dominio del Caos.» Nonostante si trovasse accanto agli amici, le sue parole parvero provenire da lontano, proprio come era sembrato a tutti quando aveva parlato Catti-brie. Bruenor avrebbe voluto mugugnare qualcosa, ma le parole gli morirono in gola quando alzò lo sguardo verso Catti-brie e Wulfgar, i suoi figli, o così almeno lui li considerava. Ora, in quel luogo desolato, non poteva fare più nulla per aiutarli.
Wulfgar lanciò a Drizzt un'occhiata interrogativa. «Non c'è un modo per andarcene di qui?» insistette il barbaro. «Una porta? O una finestra attraverso la quale possiamo ritornare nel nostro mondo?» Drizzt scosse il capo sconsolato. Avrebbe desiderato tranquillizzarli, e fors'anche rallegrarli in quel momento di pericolo. Ma quella volta l'elfo non aveva più risposte per loro, poiché non vedeva nessuna via d'uscita, e nessuna speranza. Una creatura dalle ali di pipistrello e dal corpo simile a quello di un cane, ma dal volto umano in modo inequivocabile e grottesco, piombò su Wulfgar cercando di affondare gli artigli sulla spalla del barbaro. «A terra!» urlò Catti-brie all'ultimo momento. Il barbaro non obiettò nulla a quel comando e si gettò a terra, evitando quell'orribile mostro che gli passò sopra la testa descrivendo un ampio arco. Fermatosi poco lontano, a mezz'aria, si voltò per lanciarsi di nuovo contro Wulfgar e soddisfare così la sua fame di carne umana. Ma Catti-brie era pronta e non appena il mostro alato si avvicinò al gruppo, la ragazza scoccò la sua freccia. Il dardo fendette l'aria lentamente illuminando l'oscurità di un pallido grigio invece del solito sfolgorio argenteo, ma colpì il bersaglio con la sua abituale forza aprendo una profonda ferita e sbilanciando il volo di quell'orribile creatura che passò sopra le loro teste in un vortice di movimenti indistinti. Bruenor lo colpì con forza facendolo precipitare nell'oscurità senza fine ai loro piedi. Quella vittoria non fu di grande conforto per i quattro amici, poiché erano attorniati da centinaia di creature simili, se non più grandi e orribili di quella che Bruenor e Catti-brie avevano appena abbattuto. «Non possiamo stare qui in eterno,» mormorò Bruenor. «Dove andiamo, elfo?» Drizzt si sarebbe accontentato di rimanere dove si trovava, ma era consapevole che il movimento avrebbe confortato i suoi amici e avrebbe dato loro l'impressione di cercare una soluzione al terribile dilemma in cui si trovavano. Tuttavia, solo l'elfo era a conoscenza dell'infinito orrore che dovevano ancora affrontare e solo lui sapeva che qualsiasi direzione avessero intrapreso in quel piano di tenebre, nulla sarebbe mutato: non avevano scampo. «Da questa parte,» disse dopo avere finto per qualche istante di pensare. «Se c'è una porta, sento che si trova da questa parte.» Fece un passo lungo il ponte, ma si fermò all'improvviso perché il fumo turbinò davanti ai suoi occhi e si alzò lentamente.
Una forma umanoide, alta e sottile, con una testa enorme simile a quella di una rana, e mani a tre dita che terminavano in terribili artigli, si erse davanti ai loro occhi. Era più alta di Wulfgar e torreggiava inquietante su Drizzt. «Caos, elfo scuro?» farfugliò con voce gutturale. «Ade?» Lampo emise un bagliore impressionante, ma l'altra scimitarra, quella forgiata con il ghiaccio magico, quasi non balzò verso il mostro. «Tu sbagli,» gracchiò la misteriosa creatura. Bruenor si precipitò al fianco dell'amico. «Sta' indietro, demone,» tuonò il nano. «Non è un demone,» disse Drizzt intuendo il significato delle parole di quella creatura e ricordando gli insegnamenti ricevuti sui piani durante gli anni che aveva trascorso nella città degli elfi scuri. «È un demodand.» Bruenor gli lanciò un'occhiata incuriosita. «E non ci troviamo nell'Ade,» spiegò Drizzt. «Ma nel piano di Tarterus.» «Bravo, elfo scuro,» gracchiò il demodand. «La tua gente conosce bene i piani inferiori.» «Allora sei a conoscenza del potere della mia gente,» lo apostrofò Drizzt. «E sai come ripaghiamo persino i demoni più potenti se osano intralciarci il passo.» Il demodand rise, o almeno così parve loro, perché quel rumore assomigliava più al debole gorgoglio di morte di un annegato. «Un elfo scuro morto non si vendica. Sei troppo lontano da casa!» disse la creatura allungando lentamente una mano verso Drizzt. Bruenor si buttò in avanti. «Moradin!» urlò lasciando cadere la sua ascia di mithril sul demodand. Ma il mostro fu inaspettatamente veloce e con mossa agile e fulminea evitò il colpo contrattaccando con una zampata che mandò Bruenor a terra. Il demodand allungò una mano artigliata verso il nano, ma Lampo la recise prima ancora che potesse sfiorarlo. L'orribile creatura volse lo sguardo meravigliato verso Drizzt. «Mi hai fatto male, elfo scuro,» gracchiò nonostante la sua voce monotona non tradisse alcun sentimento. «Ma devi fare di meglio!» Con il braccio ferito la creatura sferzò l'aria nel tentativo di colpire Drizzt, ma quando l'elfo si chinò per schivare il colpo, il demodand completò l'opera aprendo tre profonde ferite sulla spalla del nano con la seconda mano. «Che tu possa essere maledetto!» ruggì Bruenor mettendosi in ginocchio. «Maledetto e sporco...» mugugnò lanciandosi in un secondo inutile
attacco. Alle spalle di Drizzt, Catti-brie cercava disperatamente di mirare con Taulmaril, mentre al suo fianco Wulfgar era immobile in attesa perché non aveva spazio sufficiente in cui muoversi e raggiungere l'elfo. Drizzt si muoveva con lentezza e le sue scimitarre seguivano una sequenza goffa e disarmonica. Forse a causa della stanchezza dopo un'intera notte di combattimenti oppure dell'insolito peso dell'aria di quel mondo, ma Catti-brie seguitava ad osservarlo incuriosita perché mai prima d'allora aveva veduto l'elfo così fiacco. Ancora inginocchiato sul ponte, Bruenor roteava la sua arma con debole convinzione. Catti-brie comprese cosa stava succedendo negli animi dei suoi amici. Non dipendeva dalla stanchezza né dall'aria, bensì dalla disperazione che era scesa nei loro cuori. Guardò Wulfgar per implorarlo di intervenire, ma l'espressione sconsolata del suo viso non le fu di conforto. Il barbaro teneva il braccio ferito lungo un fianco, mentre il pesante Aegis-fang era appoggiato a terra, avvolto nel fumo che scivolava rasente i suoi piedi. Quante altre battaglie avrebbe potuto combattere, e quanti mostri simili a quello che dovevano affrontare allora avrebbe potuto abbattere prima di trovare lui stesso la morte? E si sarebbe mai giunti ad una conclusione vittoriosa in un mondo di infinite battaglie? Drizzt provò un'infinita disperazione. Forgiato dalle innumerevoli prove che aveva dovuto sostenere nel corso della sua lunga vita, l'elfo credeva nella giustizia finale. Aveva creduto, anche se non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo, che la fede incrollabile nei suoi preziosi principi gli avrebbe portato la meritata ricompensa. Ma era giunto in quel luogo, dove la lotta si sarebbe inevitabilmente conclusa con la morte e dove una vittoria conduceva ad un altro conflitto. «Maledetti!» urlò Catti-brie. Non aveva mirato con precisione, ma scoccò ugualmente. La freccia aprì un piccola ferita sul braccio di Drizzt, ma andò a conficcarsi nel corpo del demodand che barcollò sotto la violenza dell'impatto dando a Bruenor il tempo di ritornare al fianco di Drizzt. «Dov'è andato a finire il vostro coraggio?» li rimproverò Catti-brie. «Calma,» ribatté Bruenor serio mentre cercava di colpire le ginocchia del mostro. La creatura saltò con agilità sopra l'arma del nano e attaccò di nuovo, ma Drizzt lo ricacciò.
«Bruenor Martello da guerra!» urlò Catti-brie. «E tu avresti la faccia tosta di chiamarti re del clan di Mithril Hall? Ah! Garumn si rivolterebbe nella tomba se ti vedesse combattere in questo modo!» Bruenor le lanciò un'occhiata di fuoco, ma un nodo alla gola gli impedì di ribattere. Drizzt abbozzò un sorriso perché aveva intuito le intenzioni di quella splendida ragazza. I suoi occhi color lavanda risplendettero di una vivida luce. «Va' da Wulfgar,» disse a Bruenor. «Copriamoci le spalle e guarda se veniamo attaccati dall'alto.» Drizzt osservò il demodand che aveva notato il suo repentino cambio d'umore. «Vieni, farastu,» disse lentamente l'elfo ricordando il vero nome di quella creatura. «Farastu,» ripeté con scherno. «Il più insignificante fra la specie dei demodand. Vieni e assaggia il filo della mia spada.» Bruenor si allontanò da Drizzt quasi ridendo. Una parte del suo cuore si chiedeva quale mai fosse la ragione del loro affannarsi, ma una parte ben più grande, quella che era stata risvegliata dalle parole di Catti-brie e dall'orgoglioso ricordo della propria storia, gli lanciava un altro messaggio. «Venite a combattere!» ruggì verso le tenebre che riempivano il profondo abisso. «Ne abbiamo per tutti!» In un lampo Drizzt ritornò padrone di se stesso. I suoi movimenti continuavano ad essere lenti a causa della pesantezza che gravava sulle sue spalle, ma non meno armoniosi di sempre. In un turbinio rallentato di parate e affondi, l'elfo riuscì a opporsi a qualsiasi attacco del demodand. Quasi istintivamente Wulfgar e Bruenor stavano per avvicinarsi per dare una mano all'amico, ma si fermarono ad osservarlo. Catti-brie scandagliava le tenebre tutt'intorno lanciando di tanto in tanto una freccia ogni volta che un essere disgustoso abbandonava il suo nascondiglio di fumo. All'improvviso alzò l'arco e mirò un corpo che cadeva a capofitto dall'alto, ma all'ultimo momento abbassò Taulmaril con lo sguardo sconvolto dalla meraviglia. «Regis!» urlò esterrefatta. Il nanerottolo cadde con un tonfo sordo nel mare di fumo che ricopriva un secondo ponte a pochi metri di distanza da quello in cui si trovavano i suoi amici. Si rialzò lentamente lottando contro un violento senso di vertigine e disorientamento. «Regis!» ripeté Catti-brie. «Come sei arrivato fin qui?» «Vi ho visto in quell'orribile anello,» spiegò il nanerottolo. «E ho pensa-
to che forse avevate bisogno del mio aiuto.» «Bah!» mugugnò Bruenor. «Ho l'impressione che ti abbiano sbattuto qui, Pancia-che-brontola!» «È un piacere rivederti,» ribatté Regis, «ma questa volta ti sbagli di grosso. Sono venuto qui di mia spontanea volontà.» Il nanerottolo impugnò lo scettro sormontato dalla perla affinché gli amici potessero vedere. «Per portarvi questo.» Bruenor aveva provato una profonda gioia al rivedere il suo piccolo amico anche se aveva nutrito qualche sospetto sulla verità della sua comparsa in quel luogo. Chiese scusa con un profondo inchino che gli fece strisciare la lunga barba nel turbinio di fumo. Un altro demodand sbucò dal nulla sul ponte dove si trovava Regis. Il nanerottolo mostrò ancora una volta lo scettro agli amici. «Prendetelo,» disse preparandosi a lanciare. «È la vostra unica possibilità per uscire di qui!» Raccolse tutte le sue forze perché sapeva che non poteva permettersi di sbagliare e portato il braccio dietro la testa lanciò con quanta forza aveva in corpo. Lo scettro vorticò nell'aria con una lentezza esasperante, descrivendo un ampio arco che si sarebbe concluso fra le mani di uno dei quattro amici. Ma l'aria densa e pesante rallentò il suo corso e la velocità diminuì in modo drastico non molto lontano dal ponte. «No!» urlò Bruenor vedendo svanire all'improvviso tutte le speranza. Catti-brie urlò la sua disperazione. Lasciò cadere la cintura e Taulmaril con un solo movimento e si buttò per afferrare lo scettro. Bruenor si distese a terra nel disperato tentativo di afferrarla per le caviglie, ma ormai era caduta troppo lontano. Uno sguardo di trionfo le illuminò il volto quando la sua mano si strinse attorno allo scettro. Piroettò su se stessa a mezz'aria e lo lanciò fra le mani aperte di Bruenor, prima di scomparire per sempre fra le tenebre senza proferire un solo lamento. *
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LaValle osservò l'anello con mano tremante. L'immagine dei quattro compagni e del piano di Tarterus era svanita in una macchia indistinta quando Regis vi era balzato dentro con lo scettro. Ma la preoccupazione del mago si tramutò in orrore quando notò una sottile fessura, appena visibile, che lentamente si stava irradiando dal centro del Cerchio di Taros. LaValle si voltò di scatto verso Pook e gli fu addosso afferrando il ba-
stone del padrone. Sorpreso da quell'inaspettato attacco, Pook si lasciò sottrarre la canna e indietreggiò di qualche passo sbalordito. Il mago si precipitò verso l'anello. «Dobbiamo distruggere la sua forza magica!» urlò colpendo l'immagine vitrea con il bastone. Ma le forze malvagie nascoste in quel manufatto malefico disintegrarono il bastone e LaValle venne scaraventato in mezzo alla stanza. «Rompilo! Rompilo!» supplicò il mago verso Pook in un pietoso lamento. «Fa' ritornare il nanerottolo!» urlò Pook preoccupato per Regis e la statuetta che era riuscito ad arraffare. «Tu non capisci!» gridò LaValle. «Il nanerottolo ha lo scettro e il portale non può venire chiuso dall'altra parte!» L'espressione incuriosita di Pook si tramutò lentamente in evidente angoscia nel momento in cui comprese la paura che faceva tremare la voce del mago. «Mio caro LaValle,» disse Pook con voce pacata. «Stai forse cercando di dirmi che nella mia stanza abbiamo una porta aperta su Tarterus?» LaValle abbassò lentamente il capo. «Allora rompetelo! Vi ordino di romperlo!» tuonò Pook verso gli eunuchi immobili al suo fianco. «Obbedite alle parole del mago! Distruggete quell'infernale anello!» Pook si chinò per afferrare quanto era rimasto del suo bastone da passeggio, una canna finemente lavorata che gli era stata data in dono personalmente dal Pascià del Regno di Calimshan. Il sole mattutino era ancora basso ad oriente, ma il capo della corporazione intuì che quel giorno non sarebbe stato foriero di buone notizie. *
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Drizzt, sconvolto dall'angoscia e dalla rabbia, inveì contro il demodand mentre i suoi colpi miravano ai punti deboli di quella creatura. L'essere mostruoso schivò con agili movimenti quel terribile assalto, ma non resistette a lungo. Lampo gli recise un braccio all'altezza del gomito mentre l'altra scimitarra gli trafisse il cuore. Drizzt si sentì inondare da una forza incredibile quando la lama della sua scimitarra risucchiò per sempre l'energia vitale del demodand, ma cercò di controllarsi cercando di contrapporla alla rabbia che provava. Quando finalmente il mostro stramazzò a terra privo di vita, Drizzt si voltò lentamente verso gli amici.
«Io non...» balbettò Regis dall'altra parte dell'abisso. «Lei... io...» Bruenor e Wulfgar erano rimasti senza parole, impietriti con lo sguardo fisso nelle tenebre sottostanti. «Scappa!» urlò Drizzt vedendo che il secondo demodand si avvicinava minaccioso al nanerottolo. «Troveremo un modo per raggiungerti!» Regis sollevò lo sguardo dall'abisso e si guardò intorno. «Non ce n'è bisogno!» urlò di rimando estraendo da una tasca la statuetta e mostrandola a Drizzt. «Guenhwyvar mi porterà lontano da qui, o forse la pantera potrebbe aiutarvi...» «No!» lo interruppe l'elfo intuendo quanto il suo piccolo amico avrebbe desiderato suggerirgli. «Chiama la pantera e vattene!» «Ci ritroveremo in un luogo migliore,» aggiunse Regis con voce rotta dal pianto. Appoggiò la statuetta davanti ai suoi piedi e sussurrò un nome. Drizzt prese lo scettro che Bruenor gli porgeva appoggiandogli una mano gentile sulla spalla. Lo portò lentamente al petto concentrando i propri pensieri sugli effluvi magici di quell'oggetto. Regis aveva ragione. Lo scettro era l'unico modo per raggiungere il portale e ritornare nel loro piano originale, un'apertura che Drizzt sentiva ancora aperta. Afferrò Taulmaril e la cintura di Catti-brie. «Venite,» disse ai due compagni che non avevano distolto lo sguardo da quell'abisso tenebroso, e li sospinse lungo il ponte con mano delicata ma decisa. *
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Guenhwyvar avvertì la presenza di Drizzt Do'Urden quando entrò nel piano di Tarterus. Il possente felino esitò quando Regis gli chiese di portarlo via, ma ora il nanerottolo possedeva la statuetta e Guenhwyvar sapeva che Regis era sempre stato un suo amico. All'improvviso Regis si ritrovò immerso in un'inquietante galleria di tenebre alla cui estremità più lontana si intravedeva la dimora luminosa di Guenhwyvar. Ma Regis sapeva di avere fatto un errore imperdonabile. La statuetta di onice, l'unico legame con Guenhwyvar stessa, era rimasta a Tarterus, sul ponte. Regis piroettò su se stesso cercando di opporsi alla forza delle correnti che lo trascinavano lontano. Davanti a sé vide che la galleria si perdeva nell'oscurità e pur essendo consapevole degli enormi rischi che avrebbe dovuto affrontare se intendeva tornare indietro, sapeva di non poter lasciare la statuetta dov'era. Non che temesse di perdere uno splendido amico,
ma piuttosto perché non sopportava l'idea che un essere malvagio dei piani inferiori, una volta impossessatosi della statuetta, potesse controllare Guenhwyvar. Raccolse tutto il coraggio che riuscì a trovare nel proprio cuore e allungò la mano con tre dita verso l'apertura che si stava lentamente ma inesorabilmente chiudendo. I suoi sensi vennero sconvolti da una sensazione violenta. Un rutilante vortice d'immagini proveniente dai due piani lo travolse come un violento maroso. Cercò di resistergli concentrando i propri pensieri e le proprie energie sulle sensazioni che avvertiva. E lentamente la sua mano si appoggiò su qualcosa di duro, un oggetto tangibile che si opponeva ostinatamente ai suoi disperati strattoni, quasi non volesse oltrepassare quella porta. Regis sentì il proprio corpo stirarsi sotto la forza incessante che lo attirava verso la luce mentre la sua mano stringeva la statuetta che non intendeva lasciarsi alle spalle. Raccolse le poche forze che gli erano rimaste e stringendo i denti riuscì a portare la statuetta oltre il portale. Il viaggio attraverso la galleria fra i due piani si tramutò in un incubo. Regis vorticò sbattendo contro le pareti e rimbalzando in modo pauroso quasi come se le forze che finora lo avevano trasportato gli negassero l'accesso al nuovo piano dell'esistenza. Ma Regis, stringendo con forza e determinazione la mano cui erano state amputate due dita, si aggrappò ad un solo pensiero: non lasciarsi sfuggire la statuetta. Regis si sentì sfiorare dalle dita gelide della morte perché mai nessuno era sopravvissuto a quel ferale turbinio. Ma quel vortice di morte svanì all'improvviso e Regis si ritrovò seduto accanto a Guenhwyvar, con le spalle appoggiate contro un albero astrale e la statuetta ancora stretta nella mano. Si guardò intorno ammiccando, incapace di credere a quanto era riuscito a superare. «Non preoccuparti,» disse alla pantera. «Il tuo padrone e gli altri ritorneranno nel loro mondo.» Abbassò lo sguardo verso la statuetta, il suo unico legame con il piano materiale. «Ma io, ci riuscirò mai?» Mentre Regis si abbandonava alla disperazione, Guenhwyvar reagì in modo diverso. La pantera si girò compiendo un ampio cerchio ed emise un possente ruggito nella vastità stellata del piano. Regis osservò sbalordito i movimenti del felino e vide Guenhwyvar saltellare nervosamente ed emettere un secondo ruggito, più forte del primo, e balzare nel nulla astrale. In preda alla più completa confusione, Regis osservò la statuetta. Un solo pensiero, e una sola speranza, offuscarono tutte le sue preoccupazioni
per la frazione di un istante. Guenhwyvar sapeva. *
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Sotto la guida determinata di Drizzt, i tre amici procedettero senza sosta uccidendo senza pietà chiunque cercasse di ostacolare la loro avanzata. Bruenor e Wulfgar combatterono selvaggiamente poiché credevano che l'elfo li stesse conducendo da Catti-brie. Il ponte si estendeva davanti a loro in una perenne salita, avviluppato in complicate curve tortuose. Quando Bruenor se ne accorse, cominciò a preoccuparsi. Avrebbe voluto protestare e dire all'elfo che Catti-brie era precipitata verso il basso, ma quando si guardò alle spalle vide che il punto da dove erano partiti si trovava sopra le loro teste. Bruenor era un nano abituato ad aggirarsi per i cunicoli privi di luce, e non poteva certo sbagliarsi. Stavano salendo lungo un sentiero sempre più ripido, e quel punto continuava ad innalzarsi sopra di loro. «Perché, elfo?» urlò. «I nostri piedi continuano a salire, mentre i miei occhi mi dicono che stiamo scendendo!» Drizzt si voltò e capì il significato delle parole di Bruenor, ma quello non era il luogo adatto per inutili disquisizioni filosofiche. L'elfo si limitava a seguire gli impulsi che lo scettro sprigionava e che li avrebbero condotti al portale. Drizzt si fermò ad esaminare la possibile stranezza di quel piano apparentemente circolare e privo di direzione. Un altro demodand comparve davanti a loro, ma Wulfgar lo sbalzò dal ponte con un colpo secco prima ancora che potesse prepararsi ad attaccare. Un'ira accecante guidava i movimenti del barbaro e annullava il dolore delle ferite e la stanchezza del combattimento. Si fermava ad ogni passo per guardarsi intorno alla ricerca di qualche avversario da colpire, per poi avvicinarsi subito a Drizzt per sgomberare la strada da qualsiasi ostacolo che impedisse loro di procedere. Ad un tratto le dense volute di fumo si scostarono lentamente davanti ai loro occhi e videro un'immagine luminosa, ma indistinta. Avevano raggiunto l'apertura che li avrebbe riportati nel loro piano. «Il portale,» disse Drizzt. «Lo scettro l'ha tenuto aperto. Bruenor passerà per primo.» Bruenor lanciò a Drizzt un'occhiata sconvolta. «Ce ne andiamo?» chiese con un filo di voce. «Come puoi chiedermi questo, elfo? Mia figlia è anco-
ra qui.» «Non c'è più nulla da fare, amico,» rispose Drizzt con voce pacata. «Bah!» sbottò Bruenor cercando di camuffare un gemito. «Non arrivare a conclusioni troppo affrettate!» Drizzt gli rivolse uno sguardo commosso, ma in cuor suo si rifiutò di ritrattare le proprie decisioni. «E se non c'è più nulla da fare per lei, rimarrò qui anch'io,» disse Bruenor. «Troverò il suo corpo e lo porterò via da questo inferno eterno.» Drizzt afferrò il nano per le spalle e lo avvicinò a sé. «Va', Bruenor! Ritorna nella terra cui noi tutti apparteniamo. Non vanificare il sacrificio che Catti-brie ha fatto per noi! Non svilire il significato della sua caduta!» «Come puoi chiedermi di fare questo?» gemette Bruenor con gli occhi pieni di lacrime. «Come puoi, tu...» «Non pensare a quanto è accaduto!» lo interruppe Drizzt con voce decisa. «Oltre quel portale c'è il mago che ci ha scaraventato in questo mondo, il mago che ha ucciso Catti-brie!» Quelle parole furono sufficienti per Bruenor Martello di guerra. Le lacrime vennero sostituite da un fuoco inestinguibile e con un urlo sovrumano Bruenor si lanciò oltre la porta, brandendo con forza la temibile ascia. «Adesso...» cominciò a dire Drizzt, ma Wulfgar lo zittì con un gesto della mano. «Vai tu per primo, Drizzt,» disse il barbaro. «Vendica Catti-brie e Regis e porta a termine la missione che abbiamo intrapreso insieme. Io non avrò più pace perché il vuoto che si è impossessato del mio cuore non mi abbandonerà mai più.» «È morta,» disse Drizzt. «Anch'io,» sussurrò il giovane chinando lentamente il capo. Drizzt cercò disperatamente un modo per confutare le parole del barbaro, ma si avvide che il dolore di Wulfgar era davvero inconsolabile. All'improvviso Wulfgar alzò la testa e rimase a bocca aperta a guardare, sgranando gli occhi dallo stupore. Drizzt si girò di scatto e rimase paralizzato davanti alla scena cui stava assistendo con sguardo incredulo. Il corpo immobile di Catti-brie stava scendendo lentamente dalla volta di tenebre che li sovrastava, il cielo di un piano perfettamente circolare. Wulfgar e Drizzt si appoggiarono l'uno contro l'altro, frastornati. Non riuscirono a vedere se fosse viva o morta, anche se le ferite erano evidenti. Mentre stavano guardando un demodand alato si avventò sul corpo della giovane afferrandole una gamba con i suoi terribili artigli.
Prima che Wulfgar riuscisse a muovere un dito, Drizzt aveva già teso la corda di Taulmaril. La freccia d'argento fendette l'aria con un inquietante sibilo e si conficcò nella tempia di quella creatura proprio nel momento in cui gli artigli si chiudevano attorno alla gamba della ragazza, uccidendolo all'istante. «Vattene!» urlò Wulfgar a Drizzt mentre avanzava di un passo. «Ora so qual è la mia missione. Ho capito cosa devo fare!» Ma Drizzt aveva già deciso. Allungò un piede fra le gambe del barbaro e si lasciò cadere girandosi su se stesso, portando l'altra gamba contro la schiena di Wulfgar e facendolo cadere al suo fianco, vicino al portale. Il barbaro intuì le intenzioni dell'elfo e cercò di rimettersi in piedi, ma Drizzt fu più veloce. La punta di una scimitarra gli si appoggiò contro una guancia sospingendolo nella direzione stabilita da Drizzt. A pochi passi dalla porta, nel punto in cui Drizzt si aspettava una reazione disperata, l'elfo alzò un piede e sferrò un potente calcio contro la spalla del barbaro. Stordito, Wulfgar ruzzolò nella stanza di Pascià Pook. Si rialzò in piedi e incurante del luogo dove si trovava, afferrò il Cerchio di Taros e lo scosse con tutte le proprie forze. «Traditore!» urlò. «Non dimenticherò quanto mi hai fatto, maledetto elfo!» «Rimani là!» ribatté Drizzt da quel mondo lontano. «Solo tu hai la forza di tenere aperta questa porta. Solo tu, Wulfgar! Non mollare, figlio di Beornegar. Se mai provi amicizia per Drizzt Do'Urden, e vero amore per Catti-brie, tieni aperto questo portale!» Con quelle parole Drizzt sperò di avere toccato il cuore del barbaro sconvolto dalla rabbia. L'elfo si allontanò infilandosi lo scettro nella cintura e mettendosi Taulmaril a tracolla. Il corpo immobile di Catti-brie ora si trovava sotto di lui, e continuava a cadere. Drizzt sguainò le due scimitarre. Quanto tempo avrebbe impiegato a trascinare Catti-brie su un ponte sicuro e ritrovare la strada verso quel magico portale? Oppure anche lui sarebbe caduto in eterno, in quell'oscurità senza fine? E per quanto tempo Wulfgar sarebbe riuscito a resistere? Cercò di allontanare da sé quelle terribili domande perché l'indugio avrebbe decretato la sua fine. Il fuoco della determinazione gli illuminò lo sguardo. Lampo brillava da un lato, mentre la lama dell'altra scimitarra lo spingeva avanti, alla ricerca
di un cuore di demodand da trafiggere. Drizzt raccolse tutto il coraggio che aveva contraddistinto la sua esistenza, e la rabbia che provava per il destino ingiusto di quella ragazza bella e coraggiosa che precipitava in quell'abisso infinito, e si lanciò nel vuoto. 23 Se mai provi vero amore per Catti-brie Bruenor era entrato nella stanza di Pook lanciando potenti imprecazioni e brandendo con veemenza la sua arma. Quando l'impeto della sua corsa svanì il nano si trovava lontano dal Cerchio di Taros e aveva oltrepassato i due imponenti eunuchi che vigilavano su Pook. Il capo della corporazione gli era molto vicino e lo stava guardando incuriosito più che terrorizzato. Ma Bruenor aveva ben altro a cui pensare. Il suo sguardo andò oltre quell'uomo grassoccio e si appoggiò su un essere avvolto in un'ampia tunica, seduto contro una parete: il mago che aveva decretato l'orrenda fine di Catti-brie nel piano di Tarterus. LaValle riconobbe nello sguardo del nano dalla barba rossa un moto di odio inarrestabile e, balzato in piedi, si precipitò verso la propria stanza. Il suo cuore in tumulto finalmente si calmò quando udì il rumore metallico dei chiavistelli magici, perché quella porta era protetta da numerosi incantesimi e potenti sortilegi. Si sentiva al sicuro, o almeno così credeva. Accecato dalla presunzione della propria superiorità rispetto a forme di forza meno sofisticate, LaValle non fu in grado di valutare l'ira che ribolliva nel sangue di Bruenor Martello di guerra e tantomeno di intuire la brutalità delle sue reazioni. Si sentì gelare il sangue quando vide la lama di un'ascia di mithril, simile ad un lampo scaturito dalle proprie mani, disintegrare la porta che riteneva invalicabile e il furente Bruenor farsi strada fra le schegge. *
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Wulfgar non prestò attenzione a dove si trovava e, mosso dall'unico desiderio di ritornare a Tarterus dalla sua Catti-brie, balzò verso il Cerchio di Taros nel momento in cui Bruenor usciva dalla stanza. Non poteva ignorare la voce di Drizzt proveniente dal lontano piano dell'esistenza che lo implorava di tenere aperta la porta. Nonostante la ridda di sentimenti che si agitavano nel suo animo per Catti-brie e per l'elfo, non poteva negare che il
suo vero posto era a guardia dell'anello. Tuttavia, l'immagine del corpo di Catti-brie che cadeva nel buio eterno di quel luogo terribile non accennava ad abbandonarlo, e avrebbe voluto varcare di nuovo quella soglia per correre in suo aiuto. Prima ancora che potesse decidere se seguire il proprio cuore o i propri pensieri, un pugno lo colpì con violenza alla tempia scaraventandolo a terra e facendolo ruzzolare fra le gambe adipose di un eunuco. Sarebbe stato molto difficile per Wulfgar ingaggiare un combattimento da quella posizione, ma l'intensità del suo furore non era certo inferiore a quella di Bruenor. I giganteschi eunuchi cercarono di immobilizzarlo con i piedi, ma il barbaro fu più agile e precedette la loro goffaggine. Spiccò un salto fulmineo e colpì un eunuco in piena faccia con un possente pugno. La violenza dell'impatto fece indietreggiare l'uomo che, con gli occhi sgranati dallo stupore perché gli sembrava impossibile che un essere potesse avere tanta forza, stramazzò a terra privo di sensi. Wulfgar si voltò per affrontare il secondo eunuco e gli spaccò il naso con l'impugnatura di Aegis-fang. L'eunuco si coprì il volto con le mani barcollando paurosamente. Per lui ormai la battaglia era finita. Il barbaro sfruttò quell'attimo di esitazione dell'avversario e lo colpì con un calcio al petto che lo scaraventò dall'altra parte della stanza. «Sono rimasto solamente io,» disse una voce alle sue spalle. Wulfgar osservò la stanza e, dietro allo scranno che serviva da trono al capo della corporazione, vide Pascià Pook. Pook afferrò una pesante balestra nascosta dietro lo schienale e dopo averla caricata prese la mira. «Sono grasso come quei due,» disse soffocando una risata. «Ma non così stupido,» aggiunse appoggiandola al bordo dello schienale. Wulfgar si guardò intorno. Era sotto tiro e non aveva nessuna possibilità di salvarsi, ma dopo un attimo capì che forse la fuga non era necessaria. Il giovane barbaro strinse i denti e gonfiò il petto. «Qui,» disse senza battere ciglio appoggiando un dito sul cuore. «Uccidimi.» Con la coda dell'occhio guardò oltre la spalla, nel punto in cui l'immagine all'interno dell'anello mostrava le inquietanti ombre dei demodand che si stavano radunando. «Ti arrangerai tu a difendere l'entrata al piano di Tarterus.» Il dito di Pook si sollevò dalla leva. Se le parole di Wulfgar avevano avuto la forza di stordirlo, esse si rivelarono un'atroce realtà dopo un solo attimo, quando una mano fornita di terribili artigli uscì dall'anello e si
chiuse sulla spalla di Wulfgar. *
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Drizzt nuotò nel nulla aiutandosi nella caduta con vigorose bracciate nonostante aumentasse in lui la consapevolezza della propria vulnerabilità. Era una consapevolezza condivisa anche da un demodand alato che aveva osservato il suo lento precipitare. L'orribile creatura balzò dal suo trespolo e con un colpo d'ali si precipitò sull'elfo e quando lo raggiunse allungò una zampa artigliata per dilaniargli le carni. Drizzt lo vide appena in tempo e con un colpo di reni si voltò su se stesso nel disperato tentativo di allontanarsi dalla traiettoria della creatura alata mentre preparava le scimitarre. Le possibilità di successo erano pressoché nulle, poiché quello era il mondo del demodand, un essere provvisto di potenti ali e abituato a cacciare in volo. Drizzt non si dette per vinto. Il demodand lo sorpassò lacerandogli il mantello, ma grazie a Lampo l'elfo riuscì a mozzargli un'ala. Il mostro sbandò paurosamente e precipitò verso il basso in un volo scomposto. Il desiderio di attaccare l'elfo scuro era svanito, e con un'ala sola non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo. Drizzt aguzzò gli occhi. Il suo obiettivo era vicino. Abbracciò Catti-brie con tutte le forze e la strinse al petto. Il suo corpo era freddo, ma si sforzò di non pensare perché doveva percorrere ancora molta strada. Non sapeva se il portale del piano materiale fosse ancora aperto e doveva escogitare un modo per fermare quella caduta senza fine. Un'idea gli balenò nella mente quando vide un altro demodand alato avvicinarsi lentamente. Drizzt intuì che la creatura non aveva intenzione di attaccare, bensì di volare al di sotto dei loro corpi per esaminare meglio l'eventuale preda. Drizzt non si lasciò sfuggire quell'occasione. Non appena l'essere alato fu abbastanza vicino, l'elfo protese una scimitarra e gli conficcò la punta nella schiena. Il demodand virò di scatto con un urlo raccapricciante per liberarsi della lama che gli dilaniava la carne. Quel movimento repentino ebbe la forza di una sferzata e Drizzt venne scaraventato assieme a Catti-brie in un volo diagonale che li avrebbe presto avvicinati ad un ponte.
Drizzt cercò di mantenere la traiettoria aprendo il mantello con la mano libera per farsi trasportare dalle deboli correnti di quel mondo, oppure avvicinandolo a sé per aumentare la velocità di caduta. All'improvviso piroettò su se stesso per proteggere Catti-brie dal violento impatto con il suolo e con un tonfo sordo atterrarono in mezzo ad un turbinio di fumo. L'elfo scivolò da sotto il corpo di Catti-brie e si mise in ginocchio per cercare di riprendere fiato. Catti-brie giaceva vicino a lui, pallida e immobile, il corpo dilaniato dalle profonde ferite subite durante il combattimento, soprattutto durante quello contro i terribili ratti mannari. Il sangue aveva inzuppato le sue vesti e le ciocche di capelli, ma il cuore di Drizzt non era stretto dall'angoscia perché gli era parso di sentire qualcosa quando i loro corpi avevano toccato il ponte. Dalle labbra di Catti-brie era sfuggito un debole lamento. *
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LaValle si rifugiò dietro al piccolo tavolo. «Sta' indietro, nano,» lo ammonì. «Sono un mago molto potente.» Il terrore sconvolse il volto di Bruenor, ma la sua ascia si abbatté sul tavolo facendolo esplodere in una nuvola di schegge e fumo che riempì la stanza. Quando la nebbia si dissipò, LaValle si trovò il viso di Bruenor a pochi centimetri dal suo, le mani e la folta barba del nano ancora avvolte nel denso vapore. Con la coda dell'occhio vide il tavolino completamente distrutto e la sfera di cristallo tagliata in due. «Era la più bella che avevi?» chiese Bruenor. Un opprimente nodo alla gola impedì a LaValle di rispondere. Bruenor avrebbe voluto ucciderlo, far cadere l'ascia fra le folte sopracciglia del mago, ma era Catti-brie che doveva vendicare, la sua dolce figlia che odiava gli inutili spargimenti di sangue. Bruenor non avrebbe mai osato disonorare la sua memoria vendicando la propria ira. «Maledizione!» ruggì sbattendo la fronte contro il viso di LaValle. Il mago venne scaraventato contro la parete e si accasciò al suolo, stordito. Bruenor gli fu addosso, lo afferrò per la tunica strappandogli una manciata di peli del petto e lo sbatté violentemente contro il pavimento. «I miei amici hanno bisogno del tuo aiuto, mago,» ruggì il nano. «Striscia, carogna. E sappi che se farai una sola mossa che non mi piace, la mia ascia ti squarce-
rà la testa!» LaValle, tramortito, udì il suono indistinto di quelle parole, ma ne comprese il significato e chiamando a raccolta le forze che gli erano rimaste, cercò di appoggiarsi sulle mani e sulle ginocchia. *
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Wulfgar agganciò i piedi al piedistallo di ferro del Cerchio di Taros e afferrò con la sua possente mano il gomito del demodand per contrastarne la forza, mentre nell'altra mano stringeva Aegis-fang in attesa che dall'anello sporgesse una parte più vulnerabile di quell'orrenda creatura. Gli artigli del demodand affondarono nei muscoli del barbaro aprendo profonde ferite, ma Wulfgar strinse i denti e cercò di non pensare al dolore. Drizzt gli aveva chiesto di tenere aperto il portale se amava veramente Catti-brie. E lui l'avrebbe tenuto aperto. Il tempo scorreva lento e Wulfgar vide che la sua mano scivolava inesorabilmente verso l'interno dell'anello. A stento era in grado di opporsi alla forza del demodand, ma la potenza di quell'essere era magica e non fisica, e il barbaro sapeva che non avrebbe retto a lungo. Era sufficiente un altro centimetro e la sua mano si sarebbe trovata nel piano di Tarterus dove altre creature mostruose erano in attesa del suo arrivo. Un'immagine attraversò la mente di Wulfgar, il corpo immobile e ferito di Catti-brie che sprofondava nelle tenebre. «No!» urlò mentre con uno sforzo sovrumano riportava la mano nel punto in cui si trovava pochi attimi prima. Il barbaro tirò selvaggiamente e muovendosi con agilità felina abbassò una spalla trascinando il demodand verso il basso. Quella mossa inaspettata sortì l'effetto desiderato. Il mostro perse l'equilibrio e uscì dall'anello nel piano materiale abbastanza a lungo perché Aegis-fang gli sfracellasse il cranio. Wulfgar indietreggiò di un passo e afferrò il martello con entrambe le mani proprio quando un altro demodand uscì dall'anello, ma il barbaro lo scaraventò indietro con un potente colpo. Pook osservava la scena da dietro il trono con la balestra puntata per uccidere. Si sentiva ipnotizzato dallo sfoggio di forza e coraggio di quel gigante e quando uno degli eunuchi rinvenne e si rialzò, Pook gli ordinò di allontanarsi da Wulfgar poiché non voleva che nulla disturbasse quello
spettacolo. Si udì un fruscio e LaValle entrò nella stanza camminando carponi seguito dal nano che lo spingeva in avanti con la lama dell'ascia. Bruenor comprese subito il terribile pericolo che Wulfgar stava affrontando e si rese conto che il mago avrebbe solamente complicato la situazione. Afferrò LaValle per i capelli e lo fece inginocchiare. «È una giornata ideale per una bella dormitina,» disse Bruenor fermandoglisi davanti e colpendolo violentemente alla fronte. Il mago cadde a terra riverso, svenuto, ma proprio in quel momento il nano udì uno scatto. Si girò proteggendosi con lo scudo appena in tempo per parare la terribile freccia che Pook aveva lanciato con la balestra. La freccia perforò l'insegna del boccale pieno di spumeggiante birra e sfiorò appena il braccio di Bruenor. Il nano sbirciò oltre il bordo del suo prezioso scudo, rivolse quindi lo sguardo verso la freccia. «Non avresti dovuto farlo!» sibilò lanciando un'occhiata di fuoco mentre si avvicinava a Pook, ma un eunuco si mosse per sbarrargli la strada. Wulfgar seguì la scena con la coda dell'occhio e avrebbe desiderato unirsi al suo amico, soprattutto ora che Pook era indaffarato a ricaricare la pesante balestra. Purtroppo aveva guai ben peggiori cui dover prestare attenzione. Un ennesimo demodand uscì dall'anello e saettò vicino a Wulfgar, ma grazie ai suoi riflessi pronti il barbaro allungò una mano e afferrò il mostro per una gamba. Il violento impatto minacciò di fargli perdere l'equilibrio, ma strinse i denti e scaraventò la creatura alata contro il pavimento uccidendolo con un solo colpo di martello. Decine di braccia stavano uscendo dal Cerchio di Taros, assieme a rivoltanti teste e possenti spalle, ma Wulfgar roteava furiosamente Aegis-fang nel disperato tentativo di tenere a bada quell'orribile orda. *
*
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Drizzt percorse il lungo ponte avvolto nella fosca nebbia con il corpo immobile di Catti-brie sulla spalla. Non incontrò alcun ostacolo, ma quando raggiunse l'apertura capì la ragione di tanta tranquillità. Ammassati contro il portale vide decine di demodand che gli sbarravano il passo. L'elfo si inginocchiò con aria sgomenta e appoggiò Catti-brie a terra. Per un attimo pensò di usare Taulmaril, ma si rese conto che se avesse manca-
to il bersaglio, e la freccia fosse passata oltre l'orda di mostri, avrebbe potuto uccidere Wulfgar. E quello era un rischio che non voleva assolutamente correre. «Così vicino,» sussurrò sentendosi improvvisamente impotente, con lo sguardo fisso su Catti-brie. La strinse forte fra le sue braccia e le accarezzò le guance che gli parvero terribilmente gelide. Drizzt si chinò su di lei per controllare il ritmo del suo respiro, se mai respirava ancora, ma quella vicinanza lo turbò e prima che potesse rendersene conto, le sue labbra si appoggiarono sulla bocca di Catti-brie in un tenero bacio. La ragazza ebbe un flebile sussulto, ma non aprì gli occhi. Quella reazione inaspettata rinfocolò le speranze nel cuore di Drizzt. «Troppo vicino,» mormorò con voce triste, «ma non morirai in questo lurido posto!» L'elfo appoggiò Catti-brie su una spalla assicurandola al suo corpo con il mantello e sfoderò le scimitarre. Passò le dita sulle else finemente lavorate diventando un tutt'uno con le loro lame che si trasformarono in ferali estensioni delle sue braccia nere. Inspirò a fondo e strinse i denti. Si scagliò contro i nemici, silenzioso come solo un elfo scuro è in grado di essere, per sorprenderli alle spalle. *
*
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Regis si sentì a disagio mentre osservava i profili neri delle pantere che saettavano attorno a lui nell'etere stellato che lo circondava. Quegli animali non avevano certo intenzione di minacciarlo, almeno per il momento, ma era evidente che si stavano riunendo, ed ebbe la sensazione che era lui l'oggetto di tanto interesse. All'improvviso Guenhwyvar si fermò davanti a lui con un balzo portando il suo muso a pochi centimetri dal naso del nanerottolo. «Tu sai qualcosa che io non so,» disse Regis cercando di decifrare la frenesia che agitava lo sguardo nero della pantera. Regis afferrò la statuetta, la esaminò attentamente e vide che il grande felino ebbe un sussulto. «Noi possiamo ritornare indietro con questa,» disse dopo un lungo silenzio. «La statuetta è la chiave del viaggio, e grazie a lei noi possiamo andare dove vogliamo!» Si guardò intorno, osservò la strana folla che lo circondava con aria esterrefatta e cercò di considerare lo strano evolversi degli eventi. «Tutti?» E se i felini potevano farlo, Regis ebbe l'impressione che Guenhwyvar
gli avesse sorriso. 24 Poltiglia interplanare «Togliti dai piedi, sacco di ciccia!» tuonò Bruenor. L'imponente eunuco divaricò le gambe e cercò di afferrarlo per il bavero, ma Bruenor gli morse prontamente la mano. «La servitù non ascolta mai,» bofonchiò indispettito chinando il capo e mettendosi fra le gambe dell'uomo. Bruenor si rialzò di scatto infilzando l'eunuco con il corno dell'elmetto e sollevandolo da terra. Per la seconda volta in quel giorno l'eunuco aveva incrociato gli occhi dal dolore ed era caduto. Con lo sguardo che ardeva di una rabbia incontrollabile, Bruenor si volse verso Pook. L'uomo pareva tranquillo ma, a dire il vero, il nano l'aveva notato appena. I suoi occhi infatti erano fissi sulla balestra, che era stata abbassata all'altezza della sua testa, ormai carica. *
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Spinto dalla collera per il dolore inflitto a Catti-brie dalle spregevoli creature di Tarterus, Drizzt si diresse verso l'obiettivo: la chiazza luminosa che squarciava le tenebre e attraverso la quale sarebbe ritornato nel suo mondo. Le scimitarre gli avrebbero aperto un varco fra i demodand, e l'idea di dilaniare i loro corpi lo fece sorridere, ma l'elfo ebbe un attimo di esitazione. La collera svanì davanti all'immensità dell'ostacolo che doveva superare. Drizzt sarebbe riuscito a passare oltre quell'orda malvagia con un turbinio di colpi senza difficoltà, ma Catti-brie sarebbe mai sopravvissuta agli artigli di quelle creature mentre lui cercava di varcare quella soglia magica? L'elfo escogitò un altro piano. Si avvicinò con passo furtivo e, allargate le braccia, colpì con la punta delle scimitarre le spalle dei due mostri più esterni. I demodand si voltarono per vedere chi li stava attaccando e Drizzt sgattaiolò nella mischia. Le scimitarre rotearono nell'aria in un sibilante vortice di morte. Mozzarono le braccia dei demodand che cercavano di ostacolarlo. Sentì che qualcosa aveva afferrato Catti-brie e la sua collera aumentò. Piroettò su se stes-
so e capì di avere colpito un nemico con Lampo perché un urlo raccapricciante squarciò l'aria. Non vedeva più la sua mèta, ma sentì un possente braccio colpirlo alla tempia. In una circostanza diversa quel colpo avrebbe potuto ucciderlo, ma una forza sovrannaturale lo animava. Drizzt si girò ancora e vide la luce del portale poco lontano e il profilo di un solo demodand che gli bloccava il passaggio. Purtroppo quelle creature della notte si erano riprese dall'attacco a sorpresa e si stavano avvicinando minacciose. Un'altra zampa calò sulla sua testa, ma Drizzt riuscì a schivare quel colpo mortale. Se il demodand lo avesse impegnato in una lotta facendolo indugiare ancora, Drizzt sarebbe rimasto imprigionato per sempre in quel mondo di morte. Fu l'istinto, e non il pensiero razionale, a dettare le sue reazioni. Drizzt recise le braccia del demodand con le scimitarre e abbassata la testa lo colpì con violenza al petto. Il terribile impatto sospinse la creatura oltre l'anello. *
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Wulfgar vide il volto nero e le spalle, e lentamente alzò Aegis-fang sopra la testa e colpì. La forza di quelle braccia muscolose ruppe la schiena al mostro che stramazzò a terra esanime a cavallo del Cerchio di Taros. Drizzt si sentì scaraventato oltre l'anello e ruzzolò nella stanza di Pook, accanto a quell'arnese malefico, fermandosi sotto il corpo di Catti-brie. Wulfgar impallidì ed ebbe un attimo di esitazione, ma Drizzt, rendendosi conto che altre creature mostruose avrebbero presto varcato quella soglia magica, alzò lentamente la testa dal pavimento. «Chiudilo!» urlò disperato. Wulfgar aveva già fatto una terribile scoperta. Non avrebbe mai potuto distruggere l'immagine vitrea all'interno dell'anello scagliando il suo martello perché Aegis-fang sarebbe rimasta per sempre a Tarterus. Il barbaro abbassò lentamente il martello al suo fianco e solo allora vide cosa stava succedendo nella stanza. *
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«Sei abbastanza veloce con il tuo scudo?» disse Pook agitando la balestra.
Bruenor aveva tenuto lo sguardo fisso sulla temibile arma di quell'uomo e non si era accorto della turbolenta entrata di Drizzt e Catti-brie. «Hai un colpo solo per uccidermi, carogna!» sibilò il nano, sprezzante del pericolo. «Uno solo!» aggiunse facendo un passo avanti. Pook scrollò le spalle. Era un abile tiratore e la sua balestra era l'arma più incantata di tutti i Regni. Un solo colpo sarebbe stato più che sufficiente. Ma il suo dito non premette mai quella leva. Un pesante martello sibilò nell'aria e andò a schiantarsi contro il trono che gli cadde addosso scaraventandolo contro la parete alle sue spalle. Bruenor si voltò per ringraziare il barbaro con un sorriso stanco, ma le parole gli morirono in gola e il sorriso svanì all'improvviso quando vide Drizzt e Catti-brie a terra, accanto al Cerchio di Taros. Il nano si alzò in piedi con lo sguardo fisso davanti a sé. A stento riusciva a respirare e a muovere un passo, quasi come se le forze lo avessero abbandonato, e cadde in ginocchio. Lasciò cadere l'ascia e lo scudo e si trascinò a fatica verso sua figlia. Wulfgar afferrò il bordo dell'anello e cercò di spezzarlo. I muscoli si gonfiarono per lo sforzo, le vene si fecero evidenti sulle braccia e il viso divenne paonazzo, ma il metallo non cedeva. Gli artigli di un demodand oltrepassarono quella magica soglia per impedire che la porta si chiudesse, ma quell'orribile visione incitò il barbaro. Invocò il dio della guerra e chiamò a raccolta le sue forze. Cercò disperatamente di avvicinare le mani, e l'anello si piegò. L'immagine si distorse paurosamente e il braccio del demodand cadde a terra, mozzato, mentre il cadavere del mostro che si trovava a cavallo fra i due piani cominciò a dimenarsi. Wulfgar distolse lo sguardo per non assistere all'orribile spettacolo di un altro demodand intrappolato nella tenebrosa galleria fra i due mondi. Fra orribili convulsioni di dolore il corpo disgustoso cominciò lentamente a squarciarsi. I sortilegi che impregnavano il metallo del Cerchio di Taros erano potenti e Wulfgar, nonostante la sua forza straordinaria, non poteva sperare di essere in grado di spezzare l'anello. Era riuscito a piegarlo e ad ostacolare l'avanzata delle creature mostruose, ma quando la stanchezza avrebbe vinto il suo corpo, e il Cerchio di Taros sarebbe ritornato alla sua forma originale, il portale si sarebbe aperto di nuovo. Quanto avrebbe resistito ancora? Il barbaro si aggrappò all'ultima sua speranza e lanciato un urlo girò la
testa in anticipazione del momento in cui quello specchio magico si sarebbe frantumato per sempre. *
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Bruenor osservò il pallore di quel volto, il colore terreo delle labbra e sfiorò quella pelle gelida. Le ferite erano orribili, ma il nano provò dolore non per le torture che avevano martoriato il corpo di Catti-brie. Gli parve che sua figlia avesse perduto la forza vitale che l'animava, come se con la caduta nell'abisso avesse per sempre rinunciato al desiderio di vivere. Il corpo dell'amata figlia giaceva immobile e freddo fra le sue braccia, avvolto in un terribile pallore mortale. Ancora steso a terra, Drizzt avvertì il pericolo. Scivolò da sotto il corpo di Catti-brie e alzato il mantello, protesse con il proprio corpo la ragazza e Bruenor che non si rendeva conto di quanto stava per succedere. In un angolo della stanza, LaValle si era mosso e aveva recuperato i sensi. Si mise lentamente in ginocchio scuotendo ripetutamente il capo e guardò intorno a sé con occhi ancora annebbiati dal dolore, ma vide subito che Wulfgar stava disperatamente cercando di chiudere la porta magica. «Uccidili,» sibilò Pook al mago non osando uscire da sotto il trono riverso. LaValle non gli prestò ascolto perché stava già biascicando la formula di un potente incantesimo. *
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Per la prima volta in vita sua, Wulfgar comprese di non essere abbastanza forte. «Non ci riesco!» esclamò costernato rivolgendo lo sguardo verso Drizzt, quasi volesse avere da lui una risposta. L'elfo ferito a stento si reggeva in piedi. Wulfgar avrebbe voluto arrendersi. Le ferite dell'idra gli bruciavano la carne, le gambe cominciavano a cedere sotto l'immane sforzo e i suoi amici non potevano aiutarlo. E lui non era abbastanza forte per quella prova decisiva. Il suo sguardo scivolò lungo l'anello, alla disperata ricerca di un modo per distruggerlo. Nonostante le potenti forze nascoste in quel metallo, l'anello doveva avere un punto debole, oppure mostrargli qualcosa che gli offrisse un brandello di speranza cui aggrapparsi. Wulfgar doveva credere.
Regis aveva varcato quella soglia e aveva trovato un modo per superare i poteri magici dell'anello. Regis! Wulfgar aveva trovato la risposta che cercava. Con un violento strattone, il barbaro fece tremare la struttura metallica, ma non rimase a guardare l'orribile spettacolo. Si precipitò verso Drizzt e senza indugio gli sfilò lo scettro dalla cintura. Non aveva un attimo da perdere! Sbatté con forza la perla nera dello scettro contro l'anello riducendola in una miriade di minuscole schegge. Proprio in quel momento LaValle proferì l'ultima parola della formula e dalle sue dita scaturì uno sfolgorante lampo di energia che oltrepassò Wulfgar bruciandogli i peli del braccio e colpì il Cerchio di Taros. L'immagine, la cui incrinatura si era allargata dal centro a forma di vortice dopo l'astuto colpo del barbaro, si frantumò. Una violenta esplosione scosse la casa fino alle fondamenta. Dense volute di fumo tenebroso invasero la stanza, una violenta raffica di vento sibilò nelle loro orecchie mentre il pavimento parve roteare su se stesso, quasi come se fossero stati sorpresi dallo scatenarsi degli elementi in un piano dell'esistenza lontano. Una nebbia nera e acri vapori li avvolsero con un manto di oscurità senza fine. All'improvviso tutto svanì, e la luce del sole ritornò a rischiarare la stanza. Drizzt e Bruenor si rialzarono e osservarono la devastazione che li circondava. Il malefico Cerchio di Taros si era trasformato in una massa informe e inutile di metallo contorto dalla quale pendevano brandelli di una sostanza appiccicosa. Un demodand giaceva a terra morto e poco lontano videro una zampa mozzata e il corpo tagliato a metà di un altro mostro che si contorceva in una terribile agonia mentre dalle sue vene usciva un putrido fluido scuro. Wulfgar se ne stava seduto in un angolo, appoggiato sui gomiti, e si guardava intorno con occhi straniti, un braccio ustionato dall'incantesimo di LaValle. Il suo corpo era stato imbrattato da una strana poltiglia gelatinosa e centinaia di macchioline rosse punteggiavano la sua pelle. Wulfgar osservò gli amici con sguardo assente, strizzò gli occhi più volte e cadde riverso a terra. LaValle gemette alla vista di Drizzt e Bruenor. Il mago cercò disperatamente di rimettersi in ginocchio, ma si rese conto che si sarebbe esposto all'ira dei vincitori. Si lasciò cadere a terra e giacque immobile. Drizzt e Bruenor si scambiarono una lunga occhiata, indecisi sul da farsi.
«La luce del sole è meravigliosa,» sussurrò una voce ai loro piedi. I loro visi si chinarono lentamente e i loro sguardi incontrarono gli occhi blu di Catti-brie. Con le guance rigate dalle lacrime, Bruenor cadde in ginocchio e strinse Catti-brie fra le braccia. Drizzt avrebbe voluto unirsi in quel tenero abbraccio, ma rimase in disparte per non disturbare quel magico momento fra padre e figlia. Appoggiò una mano sulla spalla di Bruenor e si allontanò per raggiungere Wulfgar e controllare le sue ferite. Un improvviso movimento lo sorprese mentre era chino sul barbaro. Il pesante trono che si trovava a ridosso della parete venne scaraventato in avanti. Drizzt riuscì a deviarlo e con la coda dell'occhio vide Pascià Pook uscire dal suo nascondiglio e precipitarsi verso la porta. «Bruenor!» urlò l'elfo, ma il nano non si era accorto di nulla. Drizzt scostò il trono e imbracciato Taulmaril si lanciò all'inseguimento mentre incoccava una freccia. Pook scomparve dietro la porta richiudendola con il peso del proprio corpo. «Rassit...» cominciò ad urlare mentre si precipitava verso le scale, ma quel nome gli morì in gola quando vide Regis, con le braccia incrociate sul petto, che lo aspettava poco lontano. «Tu!» ruggì Pook con una disgustosa smorfia di odio mentre stringeva i pugni dalla rabbia. «No, lui!» lo corresse il nanerottolo indicando l'agile animale nero che si preparava a spiccare un salto. Agli occhi sgranati dalla sorpresa di Pook, Guenhwyvar parve una macchia di colore armata di aguzzi denti e terribili artigli. Quando Drizzt arrivò, ormai il regno di Pook era ignominiosamente terminato. «Guenhwyvar!» esclamò l'elfo finalmente riunito al suo prezioso compagno dopo molto tempo. La pantera gli si avvicinò e gli strofinò il muso affettuosamente contro le gambe. Quel momento però durò poco perché Drizzt si accorse di Regis, comodamente appoggiato alla balaustra riccamente ornata, con le mani dietro la testa e i piedi pelosi a penzoloni. Drizzt provò una gioia infinita al rivedere l'amico, ma venne distratto dalle urla di terrore e dai sinistri ruggiti che echeggiavano lungo le scale. Anche Bruenor li aveva sentiti ed era uscito di corsa dalla stanza per vedere cosa stava succedendo. «Pancia-che-brontola!» esclamò avvicinandosi a Drizzt e all'amico ritrovato.
Guardarono verso il basso e rimasero ad osservare rapiti la terribile battaglia che infuriava sotto i loro occhi. Videro i ratti mannari inseguiti dalle pantere, mentre un gruppo di temerari cercava di formare un cerchio per difendersi con le spade dai terribili amici di Guenhwyvar, ma l'ondata nera li travolse e dilaniò i loro corpi. «Gatti!?» disse Bruenor guardando Regis allibito. «Hai portato i gatti?» Regis abbozzò un sorriso e scosse lentamente la testa. «Conosci forse un modo migliore per sbarazzarti dei topi?» Bruenor non riuscì a frenare una risata e scuotendo il capo rivolse lo sguardo verso il corpo dell'uomo che aveva cercato di fuggire. «Anche lui è morto,» disse con voce cupa. «Quello è Pook,» gli disse Regis anche se tutti avevano intuito la vera identità di quel corpo sfigurato. «È morto come spero lo saranno presto tutti i suoi amici.» Regis guardò Drizzt e capì di dover dare una spiegazione. «Gli amici di Guenhwyvar stanno solo cacciando i ratti mannari,» disse. «E lui, naturalmente,» si affrettò ad aggiungere indicando Pook. «I ladri si sono rifugiati nelle loro camere, se sono abbastanza furbi, e comunque le pantere non faranno loro del male.» Drizzt approvò la decisione di Regis e di Guenhwyvar con un cenno del capo. Dopotutto, la sua pantera non era crudele. «Siamo ritornati grazie alla statuetta,» proseguì Regis. «L'ho tenuta con me quando sono fuggito da Tarterus assieme a Guenhwyvar. Le pantere possono ritornare al loro piano dell'esistenza grazie a lei, non appena hanno finito la loro missione,» concluse lanciando la statuetta al legittimo proprietario. Una strana espressione si dipinse all'improvviso sul volto del nanerottolo. Regis schioccò le dita e balzò dalla balaustra, come se gli fosse venuta una brillante idea. Si precipitò verso il cadavere di Pook, gli voltò la testa cercando di non guardare la terribile ferita aperta sul collo e sfilò il ciondolo di rubino che era stato l'origine di quella terribile avventura. Con aria soddisfatta, si girò verso gli amici che lo stavano guardando incuriositi. «È giunto il momento di allearsi con qualcuno,» spiegò precipitandosi giù dalle scale. Bruenor e Drizzt si scambiarono un'occhiata incredula. «Si metterà a capo dell'intera corporazione,» disse Bruenor con un lieve sorriso, e Drizzt non dubitò per un solo istante sulla veridicità di quell'affermazione.
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Da un vicolo vicino al Quartiere dei Ladri, Rassiter, riacquistate le sembianze umane, ascoltava le urla di morte dei suoi compagni. Era stato abbastanza furbo da capire che la corporazione sarebbe caduta sotto l'impeto inarrestabile degli eroi provenienti dal nord, e quando Pook gli aveva ordinato di riunire i suoi uomini aveva preferito nascondersi nelle fogne. Le urla e il fragore dei combattimenti non accennavano a diminuire, e Rassiter si chiese quanti dei suoi uomini sarebbero sopravvissuti a quel giorno terribile. «Formerò una nuova corporazione,» giurò a se stesso anche se comprendeva la difficoltà di quel compito, soprattutto ora che era riuscito a guadagnarsi una certa notorietà nelle strade di Calimport. Forse avrebbe dovuto risalire la costa e insediarsi in un'altra città, a Memnon o a Baldur. Rassiter venne interrotto nelle sue meditazioni quando una lama ricurva si appoggiò sulla spalla e la lama affilata gli scalfì il collo. Rassiter sollevò lentamente un pugnale tempestato di gemme. «Questo dev'essere tuo, credo,» disse sforzandosi di apparire calmo. La spada si sollevò leggermente. Rassiter si voltò e si trovò faccia a faccia con Artemis Entreri. L'assassino allungò un braccio bendato per riprendersi il pugnale mentre rinfoderava la spada. «Ero sicuro che saresti stato sconfitto,» disse Rassiter con sarcasmo. «Temevo che tu fossi morto.» «Temevi?!» ripeté Entreri con un ghigno. «Oppure speravi?» «Siamo sempre stati rivali,» aggiunse Rassiter. Entreri rise. Non aveva mai considerato quel ratto nemmeno degno di essere un suo rivale. Rassiter finse di non capire. «Ma abbiamo servito lo stesso padrone,» aggiunse volgendo lo sguardo verso la casa dove finalmente le urla cominciavano a scemare. «Credo che Pook sia morto, o almeno destituito dalla sua carica.» «Se ha dovuto affrontare l'elfo, allora è morto,» sibilò Entreri provando l'amaro sapore dell'invidia ogni volta che pensava a Drizzt Do'Urden. «Le strade sono libere,» mormorò Rassiter lanciando un'occhiata maliziosa ad Entreri. «Per la conquista.» «Tu ed io?» disse l'assassino a denti stretti.
Rassiter scrollò le spalle. «Pochi qui a Calimport oserebbero resisterti,» disse il ratto, «e grazie al mio morso potremmo attorniarci di seguaci fedeli in poche settimane. Nessuno avrebbe mai il coraggio di contrastarci di notte.» Entreri gli si avvicinò e osservò la casa della corporazione rimanendo immobile al suo fianco. «Sì, mio avido amico,» disse con voce pacata. «Ma rimangono due problemi.» «Due?!» «Due,» ripeté Entreri. «Primo, lavoro da solo.» Il corpo di Rassiter venne scosso da un violento sussulto quando la lama del pugnale gli recise la spina dorsale. «E due,» proseguì Entreri senza battere ciglio, «tu sei un uomo morto.» L'assassino estrasse il pugnale insanguinato e si chinò sul corpo esanime di Rassiter per pulire la lama col suo mantello. Entreri rimase ad osservare la sua opera e le bende che proteggevano il suo braccio ferito. «Sono già più forte,» mormorò tra sé scivolando verso un angolo buio della strada. Il sole era ormai alto nel cielo e a causa delle ferite l'assassino non si sentiva ancora pronto ad affrontare le difficoltà delle strade durante il giorno. 25 Passeggiata al sole Bruenor bussò lievemente alla porta e rimase in attesa di una risposta. Ma anche quella volta non udì nulla. L'ostinato nano però non se ne andò e sollevato il chiavistello entrò nella stanza completamente buia. A torso nudo e con le mani affondate nei folti capelli canuti, Drizzt era seduto sul letto e gli voltava le spalle. Persino nella penombra Bruenor riuscì a distinguere la ferita che aveva sulla schiena. Il nano rabbrividì perché non immaginava che durante le terribili ore della battaglia Drizzt fosse stato così orrendamente ferito da Artemis Entreri. «Sono passati cinque giorni, elfo,» mormorò Bruenor. «Hai intenzione di rimanere chiuso qui per sempre?» Drizzt si voltò lentamente verso l'amico. «Dove altro potrei andare?» chiese. Bruenor rimase ad osservare quegli occhi color lavanda che brillarono della luce proveniente dal corridoio. Anche l'occhio sinistro si era final-
mente aperto, e il nano sospirò di sollievo perché aveva temuto che il colpo ricevuto dal demodand avesse accecato l'amico per sempre. Stava guarendo in fretta, ma quegli occhi meravigliosi avevano una strana espressione. A Bruenor parve che avessero perduto una luce che scaturiva dal cuore, per sempre. «Come sta Catti-brie?» chiese Drizzt preoccupato della salute della ragazza, ma desideroso di cambiare argomento. «Non può ancora camminare,» rispose Bruenor con un sorriso, «ma le è ritornata la favella e non sopporta di rimanere a lungo a letto!» Il nano rise sommessamente ricordando la scena cui aveva assistito poche ore prima, quando un servo si era avvicinato al letto della figlia e aveva cercato di sprimacciarle il cuscino. Era stata sufficiente un'occhiata per far impallidire il povero sventurato. «Ha una lingua tagliente come una spada quando la servitù non la lascia in pace.» «E Wulfgar?» chiese Drizzt con un sorriso tirato. «Il ragazzo sta bene,» rispose Bruenor. «Ci sono volute quattro ore per togliere tutte le schegge di quel maledetto anello e dovrà tenere il braccio fasciato per un mese intero. Ma ci vuole ben altro per abbattere quel barbaro! È forte e grosso come un orso!» Si guardarono a lungo e i loro sorrisi svanirono lentamente dai loro volti man mano che il silenzio si faceva insostenibile. «La festa di Regis sta per iniziare,» disse Bruenor. «Vieni? Con la pancia che si ritrova, sono sicuro che Pancia-che-brontola ha preparato un'ottima cenetta.» Drizzt si strinse nelle spalle. «Bah!» sbuffò Bruenor. «Non puoi rinchiuderti in una stanza buia per il resto dei tuoi giorni!» Il nano rimase in silenzio per un istante, come se uno strano pensiero gli avesse attraversato la mente. «Oppure esci di notte?» chiese con un sorriso malizioso. «Uscire?» «A caccia,» spiegò Bruenor. «Stai forse inseguendo Entreri?» Drizzt non riuscì a frenare una risata al pensiero che il suo amico avesse collegato il suo desiderio di solitudine con l'ossessione di rintracciare l'assassino. «Muori dalla voglia di riacciuffarlo,» disse Bruenor. «E per lui vale lo stesso, se è ancora in vita.» «Vieni,» disse Drizzt all'improvviso infilandosi un'ampia camicia. Mentre si alzava afferrò la maschera magica ma si fermò accanto al letto con aria meditabonda. Giocherellò nervosamente con i cordoni e dopo un atti-
mo di esitazione l'appoggiò su una sedia. «Non dobbiamo fare tardi.» Bruenor aveva ragione. La tavola fatta imbandire da Regis attendeva i due amici in uno sfolgorio d'argento e porcellane. Delicati aromi aleggiavano nell'aria e stimolarono il loro appetito non appena entrarono nella sala da pranzo. Regis sedeva a capotavola, avvolto in una tunica tempestata di gemme che riflettevano la luce delle candele ad ogni suo impercettibile movimento. Alle sue spalle si ergevano impettiti i due giganteschi eunuchi che avevano servito Pook fino alla fine, con i visi pesti avvolti nelle bende. Alla destra del nano sedeva LaValle, mentre alla sua sinistra un altro nano dagli occhi piccoli e un giovane dal volto paffuto, i due nuovi luogotenenti della corporazione. Più in là sedevano Wulfgar e Catti-brie, mano nella mano, quasi volessero trarre conforto alla loro debolezza da quel mutuo contatto. Nonostante il pallore dei loro volti, abbozzarono un sorriso radioso e felice, proprio come quello di Regis, non appena videro entrare Drizzt. Era la prima volta che usciva dalla sua stanza dopo un'intera settimana. «Benvenuti! Oh, benvenuti!» li salutò Regis con voce allegra. «Sarebbe stata una festa molto triste se non foste arrivati!» Drizzt si sedette accanto a LaValle e il mago gli lanciò un'occhiata preoccupata. Anche i due luogotenenti si mossero nervosamente sulle loro sedie all'idea di cenare seduti allo stesso tavolo con un elfo scuro. Drizzt abbozzò un debole sorriso. Quel loro disagio era affar loro, e non suo. «Sono stato molto occupato,» spiegò rivolto a Regis. «A pensare,» avrebbe voluto aggiungere Bruenor mentre si sedeva accanto all'elfo ma riuscì a frenare la lingua. Wulfgar e Catti-brie guardarono il loro amico dalla pelle scura dall'altro capo della tavola. «Hai giurato di uccidermi,» disse l'elfo a Wulfgar, con voce pacata. Il barbaro si agitò arrossendo violentemente e strinse forte la mano di Catti-brie. «Solo la forza di Wulfgar avrebbe potuto compiere il prodigio,» spiegò Drizzt con un ampio sorriso. «Ma io...» balbettò Wulfgar, ma Catti-brie tagliò corto. «Basta,» disse la ragazza battendo un pugno sulla coscia di Wulfgar. «Non parliamo più dei pericoli che abbiamo superato. Molte cose ancora ci aspettano!» «Mia figlia ha ragione!» sentenziò Bruenor. «I giorni passano inesorabili
mentre ce ne stiamo qui a guarire! Un'altra settimana e forse abbiamo perso un'altra guerra!» «Io sono pronto a partire subito,» dichiarò Wulfgar. «Stupidaggini!» lo apostrofò Catti-brie. «Nemmeno io sono pronta. Il deserto ci ucciderebbe.» «Scusate,» si intromise Regis attirando l'attenzione di tutti. «La vostra partenza...» Il nano zittì e rimase ad osservare gli sguardi incuriositi dei suoi ospiti, quasi stesse cercando il modo più innocuo con cui comunicare la notizia. «Io... pensavo che... Insomma, voglio dire...» «Sputa il rospo,» tuonò Bruenor intuendo le intenzioni del suo piccolo amico. «Insomma, mi sono preparato un bell'angolino qui,» proseguì Regis. «E vuoi rimanere,» proseguì Catti-brie. «I tuoi amici non ti biasimano, ma sentiranno molto la tua mancanza!» «Sì,» disse Regis. «Cioè, no! C'è molto posto in questa casa, e molte ricchezze. Con voi quattro al mio fianco...» Bruenor lo zittì alzando una mano. «È una proposta allettante,» disse. «Ma la mia casa si trova a settentrione.» «L'esercito aspetta il nostro ritorno,» aggiunse Catti-brie. Regis comprese la natura del rifiuto di Bruenor e capì che Wulfgar avrebbe seguito Catti-brie fino nel mondo di Tarterus, se la ragazza avesse deciso di ritornarci. Il nano volse lo sguardo verso Drizzt, l'amico che nessuno era più in grado di capire. Drizzt si appoggiò allo schienale della sedia, e meditò su quanto gli era stato proposto. Il suo indugio a declinare l'offerta suscitò in Bruenor, Wulfgar, e soprattutto in Catti-brie una profonda apprensione. Forse la vita a Calimport non sarebbe stata difficile per lui, e sicuramente l'elfo possedeva la capacità di adattarsi agli angoli più bui del regno in cui Regis aveva deciso di operare. Drizzt guardò Regis dritto negli occhi. «No,» disse dopo un lungo silenzio. L'elfo si girò verso Catti-brie che si era lasciata sfuggire un lungo sospiro, e i loro sguardi si incontrarono. «Finora ho camminato nelle tenebre,» proseguì. «Ma una nobile missione mi aspetta perché un nobile trono attende il suo legittimo re.» Regis si rilassò sulla sedia e si strinse nelle spalle. Si aspettava una risposta simile dal valoroso elfo. «Se tutti siete così decisi a ritornare in guerra, allora io sono un amico meschino se non mi offro di seguirvi.» Gli amici lo osservarono incuriositi e meravigliati. Regis non finiva mai di stupirli.
«Comunque,» proseguì il nanerottolo, «stamattina un mio agente mi ha comunicato l'arrivo a Calimport di una persona importante, almeno così credo dalle storie che Bruenor mi ha raccontato sul vostro viaggio verso sud.» Regis schioccò le dita e un giovane servo comparve da dietro una pesante tenda al fianco del capitano Deudermont. Il capitano salutò Regis con un profondo inchino, e con un inchino ancora più profondo ai cari amici che lo avevano accompagnato durante il pericoloso viaggio dal porto di Waterdeep. «Il vento ci ha fatto volare,» spiegò il capitano, «e la Folletto del Mare è più veloce di prima. Possiamo partire all'alba di domani. Il rollio gentile di una nave è il modo più bello per guarire le ferite!» «Ma il vostro commercio,» obiettò Drizzt. «I mercati di Calimport, e la stagione. Voi non avevate intenzione di partire prima dell'arrivo della prossima primavera.» «Forse non riuscirò a portarvi fino a Waterdeep,» disse Deudermont. «I venti e il ghiaccio ce lo impediranno, ma sicuramente sarò in grado di portarvi più vicino alla vostra mèta.» Il capitano guardò Regis e poi Drizzt. «Per quanto riguarda le perdite del mio commercio, ho già preso accordi.» Regis incrociò le mani su una cintura incastonata di pietre preziose. «Vi dovevo almeno questo!» «Bah!» sbuffò Bruenor con lo sguardo illuminato da una strana luce. «Dieci volte tanto, Pancia-che-brontola! Te lo dico io, dieci volte tanto!» *
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Drizzt guardò fuori dalla finestra nelle strade buie di Calimport. Quella notte sembravano più tranquille, ammantate in un silenzio sospettoso e intrigante, forse foriero delle aspre battaglie che sarebbero seguite alla caduta del potente Pascià Pook. Drizzt sapeva che gli angoli più oscuri pullulavano di occhi vigili che stavano osservando lui e la casa in cui si trovava, in attesa che uscisse l'elfo scuro e di una seconda occasione per muovere battaglia a Drizzt Do'Urden. Le ore trascorsero lentamente e Drizzt, immobile accanto alla finestra, osservò le tenebre della notte svanire alle deboli luci dell'alba, quando Bruenor bussò alla sua porta. «Sei pronto, elfo?» gli chiese il nano con voce impaziente chiudendosi la porta alle spalle.
«Abbi pazienza, mio buon amico,» rispose Drizzt. «Non possiamo partire prima dell'arrivo della marea e il capitano Deudermont mi ha assicurato che dovremo aspettare tutta la mattina.» Bruenor si lasciò cadere sul letto. «Meglio così,» disse dopo un lungo silenzio. «Avrò più tempo per chiacchierare con quel piccoletto.» «Temi per Regis,» osservò Drizzt. «Sì,» ammise Bruenor. «Quel nanerottolo mi ha reso un grande favore,» aggiunse indicando la statuetta di onice sul tavolo. «E anche a te. Panciache-brontola ha detto giusto. In questa città ci sono molte ricchezze. Pook è morto e il primo che arriverà ad arraffare tutto, farà un bel colpo. Ma con Entreri ancora in giro... Non mi piace affatto. E poi ci sono gli uomini di Rassiter, che sicuramente vorranno vendicarsi per le ferite subite. Non bisogna dimenticarsi del mago! Pancia-che-brontola mi ha assicurato di avere ottenuto la sua fedeltà con il pendente, ma mi sembra strano che un mago possa lasciarsi gabbare da un incantesimo.» «Anche secondo me,» disse Drizzt. «Quell'uomo non mi piace, e non mi fido di lui,» disse infine Bruenor. «E Pancia-che-brontola l'ha messo al proprio fianco.» «Forse dovremmo andare a trovare LaValle stamattina,» propose Drizzt, «e vedere da che parte sta.» *
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Il bussare delicato di Bruenor contro la porta di Drizzt si trasformò in una violenta gragnuola di colpi quando bussò alla porta del mago. LaValle balzò sul letto e si precipitò a vedere chi stesse cercando di demolire la porta che i falegnami gli avevano appena montato. «Buon giorno, mago,» bofonchiò Bruenor irrompendo nella stanza non appena il mago socchiuse la porta. «Lo immaginavo,» mormorò LaValle lanciando un'occhiata alla vecchia porta ridotta in un cumulo di ceppi accatastati accanto al caminetto. «Salute a te, buon nano,» disse con voce gentile. «E salute a te, maestro Do'Urden,» si affrettò ad aggiungere quando vide entrare Drizzt. «Non dovevate salpare a quest'ora?» «Abbiamo ancora tempo,» disse Drizzt. «E non partiremo finché non siamo certi della sicurezza di Pancia-chebrontola,» aggiunse Bruenor. «Pancia-che-brontola?!» ripeté LaValle.
«Regis,» sbottò Bruenor spazientito. «Il tuo padrone.» «Oh, sì!» esclamò LaValle congiungendo le mani al petto e rivolgendo uno sguardo assorto al soffitto. Drizzt chiuse lentamente la porta e osservò la stanza con occhi diffidenti. L'espressione di LaValle svanì quasi subito dal suo volto quando il mago si accorse dello sguardo imperturbabile dell'elfo. Si sfiorò il mento con una mano cercando un luogo dove nascondersi. Non poteva imbrogliare l'elfo. Forse il nano, o lo stesso Regis, ma non Drizzt Do'Urden. Per un attimo al mago parve che quegli occhi lavanda gli perforassero il volto. «Voi non credete che il vostro amico abbia lanciato un incantesimo su di me,» disse. «Un mago evita le trappole di un altro mago,» ribatté Drizzt. «Giusto,» disse LaValle sedendosi su una sedia. «Allora sei un bugiardo!» ruggì Bruenor appoggiando una mano sull'impugnatura dell'ascia appesa alla cintura, ma Drizzt lo fermò. «Se dubitate degli effetti dell'incantesimo,» disse LaValle, «non dubitate della mia fedeltà. Sono un uomo pratico e durante la mia lunga vita ho servito molti padroni. Pook era uno dei più grandi e potenti, ma Pook è morto, mentre LaValle continua a vivere per continuare a servire.» «Oppure per aspettare l'occasione buona per salire più in alto,» osservò Bruenor per provocarlo. Il mago scoppiò in una allegra risata. «L'arte che conosco è tutta la mia vita,» disse. «Conduco un'esistenza agiata e sono libero di andarmene quando voglio. Non ho bisogno delle preoccupazioni e dei pericoli che comportano un'alta carica all'interno della corporazione.» LaValle rivolse lo sguardo verso Drizzt, il più ragionevole e meno collerico dei due. «Servirò il vostro amico e se Regis scenderà da quel trono, servirò chi lo sostituirà.» La logica delle parole del mago soddisfecero Drizzt e lo convinsero della sua fedeltà a prescindere da qualsiasi effetto magico che il rubino avesse avuto sul suo cuore. «Andiamocene,» disse a Bruenor mentre si avvicinava alla porta. Bruenor si fidava del giudizio di Drizzt, ma non poté resistere dal lanciare un'ultima minaccia. «Non mi fido di te, mago,» bofonchiò dalla porta. «Hai quasi ucciso mia figlia. Se il mio amico fa una brutta fine, ti assicuro che ti costerà la testa.» LaValle annuì ma non disse nulla. «Trattalo bene,» concluse il nano socchiudendo gli occhi, e sbatté la por-
ta con quanta forza aveva in corpo. «Quello là odia la mia porta,» gemette il mago. *
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Si riunirono tutti nel vestibolo della corporazione un'ora più tardi. Drizzt, Bruenor, Wulfgar e Catti-brie si erano rimessi gli abiti da viaggio che avevano accompagnato la loro avventura. L'elfo scuro teneva la maschera magica appesa al collo. Arrivò anche Regis seguito da uno stuolo di servitori perché avrebbe accompagnato gli amici fino alla nave. Che i nemici vedano i miei amici in tutto il loro splendore, pensò il nuovo capo della corporazione con malizia, e soprattutto l'elfo scuro! «Un'ultima offerta prima della partenza,» disse Regis. «Non rimaniamo,» lo interruppe Bruenor. «Non stavo parlando con te,» disse Regis rivolgendo lo sguardo verso Drizzt. «Ma con te.» Drizzt attese con pazienza che il nanerottolo parlasse. «Cinquantamila monete d'oro,» disse Regis dopo un lungo silenzio sfregandosi le mani, «per la tua pantera.» Drizzt sgranò gli occhi dalla meraviglia. «Guenhwyvar verrà trattata con tutte le dovute cure, te lo assicuro...» Catti-brie colpì la nuca di Regis con un sonoro ceffone. «Vergognati,» lo rimproverò seria. «Queste non sono cose da chiedere all'elfo!» Drizzt cercò di calmarla con un sorriso. «Un tesoro in cambio di un altro tesoro?» disse a Regis. «Sai già che devo rifiutare. Guenhwyvar non può essere comperata per quanto le tue intenzioni siano buone.» «Cinquantamila,» sbuffò Bruenor. «Se avessimo voluto tanto denaro, ce lo saremmo preso prima di partire!» Solo allora Regis si rese conto dell'assurdità della propria richiesta e avvampò di vergogna. «Sei così sicuro che abbiamo attraversato il mondo per venire in tuo aiuto?» gli chiese Wulfgar. Regis guardò il barbaro con evidente imbarazzo. «Forse stavamo cercando solo la pantera,» proseguì Wulfgar con voce seria. L'espressione esterrefatta del volto di Regis fu irresistibile, e dopo tanti mesi tutti scoppiarono in una fragorosa risata, compreso Regis. «Aspetta,» disse Drizzt quando si calmarono, sfilandosi la maschera.
«Tieni questa,» aggiunse lanciandola al nanerottolo. «Non la tieni finché raggiungiamo la nave?» chiese Bruenor. Drizzt guardò Catti-brie quasi cercasse in lei una risposta, ma il suo sorriso di approvazione e ammirazione fugarono tutti i dubbi che ancora albergavano nel suo cuore. «No,» disse. «Che i popoli del regno di Calimshan mi giudichino come vogliono,» aggiunse aprendo le porte. «Che il mondo intero mi giudichi come vuole,» disse con lo sguardo illuminato dal sole mentre con espressione trionfante osservava ad uno ad uno i suoi amici. «Voi sapete chi sono io veramente.» Epilogo La Folletto del Mare risalì la Costa della Spada diretta a nord fra molte difficoltà e contro gelidi venti invernali, ma il capitano Deudermont e la sua ciurma di valorosi uomini erano più che mai decisi a far giungere sani e salvi i quattro amici a Waterdeep. La gente ammassata lungo il molo osservò con espressione sbalordita il resistente vascello mentre entrava nel porto di Waterdeep evitando i marosi e le banchise. Forte dell'esperienza di tanti anni trascorsi in mare, Deudermont attraccò la sua nave senza danni. Durante i due lunghi mesi di viaggio i quattro amici erano guariti e godevano di buona salute e di ottimo umore, nonostante le difficoltà del viaggio. Tutto andò per il meglio e persino le profonde ferite di Catti-brie si rimarginarono. Tuttavia, se l'attraversata verso nord fu difficile, ben più difficile e faticoso fu il viaggio attraverso le lande di ghiaccio. L'inverno stava per concludersi, ma il gelo non accennava ad allentare la sua morsa, e i quattro amici non potevano attendere il disgelo delle nevi. Salutarono il capitano Deudermont e i suoi uomini, si avvolsero in pesanti mantelli e indossarono stivali imbottiti. Varcarono la porta di Waterdeep e si incamminarono verso Sellalunga lungo il tratto nordorientale della Rotta dei Mercanti. Violente bufere e branchi di lupi famelici tentarono di fermarli. Il sentiero e i segnali erano scomparsi sotto lo spesso mantello di neve e procedere divenne una vera impresa simile ai disperati tentativi di un elfo scuro di leggere le stelle e i movimenti del sole. I loro sforzi e il loro ardimento vennero premiati dal successo, ed entra-
rono a Sellalunga pronti a riconquistare Mithril Hall. La gente di Bruenor proveniente dalla Valle del Vento Ghiacciato li accolse festosa assieme ai cinquecento uomini del clan di Wulfgar. Non erano trascorse due settimane dal loro arrivo che il generale Dagnabit della Fortezza di Abdar condusse i suoi ottomila soldati nani al fianco di Bruenor. Vennero studiati strategie e piani di battaglia. Drizzt e Bruenor lavorarono duramente per ricostruire, grazie ai loro ricordi, una piantina della città sotterranea e delle gallerie delle miniere e valutare il numero di nani grigi che il loro esercito doveva affrontare. Finalmente i primi tepori primaverili sconfissero le ultime gelide sferzate invernali e pochi giorni prima della partenza dell'esercito verso le montagne, arrivarono inaspettatamente altri due eserciti alleati: i contingenti di arcieri provenienti da Luna d'Argento e da Nesme. Bruenor avrebbe voluto rifiutare l'alleanza con le truppe di Nesme poiché nel suo cuore non erano ancora svaniti i ricordi dell'accoglienza che lui e il suo amico avevano ricevuto per mano di una loro pattuglia di ricognizione durante il primo viaggio a Mithril Hall, ma soprattutto perché il nano sospettava che quella dimostrazione di amicizia fosse dettata piuttosto dalla speranza di ricavare enormi ricchezze. Tuttavia, i suoi amici lo fecero ragionare e lo convinsero a prendere la decisione più saggia. Dopo la riapertura delle miniere i nani avrebbero infatti intrattenuto il loro commercio principalmente con Nesme, l'insediamento più vicino a Mithril Hall, e un bravo capo e saggio re poteva chiudere un occhio ogni tanto e fingere di non ricordare. *
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Il loro numero era sorprendente, la loro risolutezza d'animo adamantina, i loro condottieri senza pari. Bruenor e Dagnabit condussero l'esercito di coraggiosi nani e di indomiti barbari all'attacco, travolgendo con la loro potenza l'esercito di duergar. Catti-brie con il suo arco, assieme ai pochi membri del clan degli Harpel che avevano intrapreso il lungo viaggio e agli arcieri delle due città liberarono i cunicoli laterali per facilitare la loro avanzata. Drizzt, Wulfgar e Guenhwyvar, come avevano fatto spesso in passato, si fecero strada da soli, esplorando i cunicoli prima del passaggio dell'esercito e uccidendo un buon numero di nemici. Dopo tre giorni i cunicoli superiori erano liberi, e dopo due settimane di
combattimenti raggiunsero la città sotterranea. Quando la primavera finalmente rinverdì tutti i prati del nord e fece germogliare tutti i fiori, meno di un mese dopo la dipartita dell'esercito da Sellalunga, il rumore dei martelli del clan di Bruenor Martello di Guerra contro le incudini riprese a echeggiare nelle antiche gallerie di Mithril Hall. E il legittimo re poté finalmente sedersi sul suo trono. *
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Dall'alto delle montagne Drizzt spaziò con lo sguardo fino alle luci lontane della città incantata di Luna d'Argento. Era già stato allontanato da quella città una volta in passato, un rifiuto doloroso, ma non adesso. Ora poteva attraversare le terre che desiderava, a testa alta e con il cappuccio appoggiato sulle spalle. Molti non lo avrebbero trattato diversamente poiché non conoscevano ancora il nome di Drizzt Do'Urden. Ma ora Drizzt sapeva di non essere obbligato a dare nessuna spiegazione, né a cercare parole inutili con cui scusarsi per la pelle nera del suo corpo, e con chiunque fosse giunto ad un giudizio ingiusto nei suoi confronti, non avrebbe sprecato il suo tempo. Il peso dei pregiudizi del mondo gravavano ancora sulle sue spalle, ma, grazie alle sagge parole di Catti-brie, l'elfo aveva imparato a sopportarlo. Che amica meravigliosa era per lui! Drizzt l'aveva vista crescere e diventare donna, e il suo cuore provò una struggente tenerezza al pensiero che anche lei aveva trovato una casa. Accanto a Wulfgar, e uniti, al fianco di Bruenor. Quel pensiero commosse l'elfo scuro che non aveva mai conosciuto i forti legami della famiglia. «Come siamo cambiati tutti,» sussurrò al vento che spirava fra le cime deserte. Ma le sue parole non erano un lamento. *
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L'autunno vide i primi scambi di manufatti di Mithril Hall con la città di Luna d'Argento e quando l'inverno lasciò di nuovo il posto alla primavera il commercio era diventato fiorente grazie anche ad un gran numero di barbari che erano giunti dalla Valle del Vento Ghiacciato per offrire le loro muscolose braccia per trasportare le merci dei nani.
In primavera cominciò anche un altro lavoro nella Sala dei Re: una statua di Bruenor Martello di guerra. Per il nano che era andato così lontano dalla sua patria e aveva visto cose meravigliose ed orribili, la riapertura delle miniere e persino il suo stesso busto gli sembravano una sciocchezza al confronto di un altro ben più importante evento. «Vi avevo detto che sarebbe ritornato,» disse Bruenor a Wulfgar e Cattibrie che erano seduti al suo fianco nel salone delle udienze. «L'elfo non si sarebbe mai perduto il vostro matrimonio.» Il generale Dagnabit, che dopo avere ottenuto la benedizione e il permesso di re Harbromme della Fortezza di Adbar era rimasto a Mithril Hall a capo di duemila nani e aveva giurato fedeltà a Bruenor, entrò nella stanza scortando una figura che si era vista sempre più di rado negli ultimi mesi. «Salve,» disse Drizzt avvicinandosi agli amici. «Ce l'hai fatta finalmente,» disse Catti-brie con aria assente fingendosi disinteressata alla comparsa dell'elfo. «Non ce l'aspettavamo,» aggiunse Wulfgar con voce distratta. «Speriamo che ci sia un posto in più al tavolo delle nozze.» Drizzt abbozzò un sorriso e fece un profondo inchino in segno di scusa. Negli ultimi tempi se n'era andato spesso, per settimane a volte. Non poteva certo declinare gli inviti della Signora di Luna d'Argento a visitare il suo regno incantato. «Bah!» sbuffò Bruenor. «Ve l'avevo detto io che sarebbe ritornato! Per fermarsi, stavolta!» Drizzt scosse il capo. Bruenor appoggiò la testa su una spalla e si chiese cosa stesse mai succedendo al suo caro amico. «Sei forse sulle tracce dell'assassino, eh?» Drizzt sorrise e scosse di nuovo la testa. «Non ho nessun desiderio di rivederlo,» rispose rivolgendo lo sguardo verso Catti-brie, che capì, e poi ancora verso Bruenor. «Il mondo è grande, mio caro nano, e pieno di cose meravigliose che non possono essere ammirate se è buio. L'aria vibra di suoni molto più belli dell'incessante martellare contro l'incudine e profuma di odori molto più fragranti del puzzo di morte.» «Presto bisognerà preparare un altro banchetto,» mugugnò Bruenor. «Di sicuro l'elfo ha appoggiato gli occhi da qualche parte!» Drizzt non disse nulla. Forse nelle parole di Bruenor si nascondeva la verità, in un futuro lontano. Drizzt aveva imparato a non limitare le proprie speranze e i propri desideri. Avrebbe visto il mondo e avrebbe scelto fra la
rosa delle possibilità che si presentavano ai suoi occhi e non entro i limiti che finora si era imposto. Adesso, finalmente, aveva trovato qualcosa di troppo personale da condividere con gli altri. Per la prima volta in vita sua, l'elfo aveva trovato la pace. All'improvviso un nano entrò nella sala e si precipitò verso Dagnabit. Dopo essersi accomiatati, uscirono insieme, ma Dagnabit ritornò subito dopo. «Cosa c'è?» gli chiese Bruenor frastornato da tanta agitazione. «È arrivato un altro ospite,» spiegò il generale, ma prima che potesse finire e presentare il nuovo arrivato, nella stanza irruppe un nanerottolo. «Regis!» esclamò Catti-brie e assieme a Wulfgar si precipitò ad abbracciare l'amico. «Pancia-che-Brontola!» urlò Bruenor. «Cosa diamine combini...» «Credi forse che mi lascerei sfuggire un'occasione come questa?» disse Regis. «Il matrimonio dei due miei più cari amici?» «Come l'hai saputo?» gli chiese Bruenor. «Sottovaluti la tua fama, re Bruenor,» ribatté Regis con un profondo inchino. Drizzt osservò il nanerottolo con curiosità. Indossava la sua tunica tempestata di gemme e molti monili preziosi, oltre al pendente di rubino, più di quanti lui stesso riuscisse ad immaginare. E sicuramente le bisacce che pendevano alla cintura erano gonfie di monete d'oro e pietre preziose. «Ti fermi a lungo?» chiese Catti-brie. «Non ho fretta,» ribatté Regis stringendosi nelle spalle. Drizzt alzò un sopracciglio. Il capo di una potente corporazione di ladri non avrebbe mai abbandonato il centro del proprio potere per non correre il rischio di perderlo per mano dei nemici. Catti-brie fu contenta della risposta, e ancora più contenta del momento in cui Regis aveva scelto per ritornare. Il popolo di Wulfgar stava ricostruendo la città di Settleton, ai piedi delle montagne. Avevano deciso di rimanere a Mithril Hall, accanto a Bruenor, ma dopo il matrimonio avevano intenzione di viaggiare, e forse raggiungere la Valle del Vento Ghiacciato, quando la stagione l'avrebbe permesso e la nave del capitano Deudermont avrebbe riprese a solcare i mari diretta verso meridione. Catti-brie non osava dirlo a Bruenor, anche se si trattava di un viaggio di pochi mesi, perché temeva che la loro assenza unita a quella di Drizzt l'avrebbe fatto sentire terribilmente solo. Ma ora che Regis aveva intenzione di fermarsi per un po'...
«Posso avere una stanza,» disse Regis, «dove sistemerò le mie cose e mi riposerò del lungo viaggio?» «Ce ne occuperemo noi,» disse Catti-brie. «E i tuoi servi?» chiese Bruenor. «Oh...» balbettò Regis alla ricerca di una risposta. «Io... Veramente sono venuto solo. I meridionali non sopportano la fredda primavera del nord!» «Vai a sistemarti, allora,» disse Bruenor. «È arrivato il mio turno di far preparare un buon banchetto per il piacere della tua pancia.» Regis si sfregò le mani con vigore e uscì dal salone assieme a Wulfgar e Catti-brie, e subito i tre amici cominciarono a raccontarsi le loro ultime avventure. «Poca gente a Calimport conosce il mio nome, elfo,» disse Bruenor a Drizzt non appena furono soli. «E nessuno più a sud di Sellalunga può avere avuto notizia del matrimonio.» Bruenor lanciò un'occhiata maliziosa all'elfo. «Scommetto che il piccoletto si è portato dietro parte del suo tesoro!» Drizzt era giunto a quella conclusione non appena aveva visto entrare Regis in quella sala. «Sta fuggendo,» si limitò a dire. «Si è cacciato di nuovo nei guai,» sbuffò Bruenor. «O io non sono più un nano dalla barba rossa!» FINE