Preface v
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Alexander of Aphrodisias was a self-confessed champion of Aristotelianism1. He defended and elaborat...
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Preface v
Preface
Alexander of Aphrodisias was a self-confessed champion of Aristotelianism1. He defended and elaborated Aristotle’s philosophy, bringing it ‘up to date in relation to contemporary opponents’2. In adopting an approach that was both systematic and polemical, he provided posterity with what are acknowledged to be among the very best of the ancient commentaries3. It is of vital importance to the sustaining of the tradition of Aristotelian scholarship that the young scholars of each generation take up the interpretive task anew, building on the achievements of their precursors, enriching them through their fresh insights and perspectives, and showing the relevance of Aristotle’s philosophy to current controversies.
1
Jonathan Barnes, Susanne Bobzien, Kevin Flannery S.J. & Katerina Ierodiakonou, Alexander of Aphrodisias on Aristotle’s Prior Analytics 1.1-7, (Ithaca: Cornell University Press 1991), p. 1. 2 Richard Sorabji, ‘Introduction’ in Richard Sorabji, The Philosophy of the Commentators 200-600 AD, a sourcebook, Volume 3: Logic and Metaphysics (Ithaca: Cornell University Press 2005), p. 6. 3 Barnes, Bobzien, Flannery & Ierodiakonou, p. 4.
vi Preface
It is with great pleasure that I introduce this scholarly work on Alexander’s logic by Luca Gili, a new contributor to the tradition of which Alexander was such a significant part.
Paul Thom The University of Sydney
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 1
t£ te g¦r ¥lla t¦ ™n filosof…v p£shj ¥xia spoudÁj kaˆ prÕ tîn ¥llwn ¹ qewr…a te kaˆ ¹ gnîsij tÁj ¢lhqe…aj· o„keiot£th te g¦r to‹j ¢nqrèpoij ¹ ¢l»qeia kaˆ mšgiston ¢gaqÒn. Alessandro di Afrodisia, in Anal. Pr. p. 4, l. 33- p. 5, l. 2
2 Luca Gili
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 3
Indice 0. Introduzione
5
1. Alessandro di Afrodisia e il Commento agli Analitici Primi di Aristotele 1.1 Vita di Alessandro di Afrodisia 1.2 La strategia di commento di Alessandro di Afrodisia
10 10 11
2. Le fonti di Alessandro di Afrodisia 2.1 Teofrasto 2.2 Ermino 2.3 Sosigene
29 30 49 55
3. La logica come strumento 60 3.1 La logica come strumento in Aristotele 60 3.2 Il Proemio di Alessandro di Afrodisia al proprio commento agli Analitici Primi 62 4. La definizione di “proposizione” e la definizione di “sillogismo” 4.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 1) 4.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 1
87 87 92
5. La conversione delle proposizioni 5.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 2-3) 5.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 2-3
113 113 123
6. La sillogistica categorica 6.1 Il testo di Aristotele 6.1.1 A, 4. La prima figura 6.1.2 A, 5. La seconda figura 6.1.3 A, 6. La terza figura 6.1.4 A, 7. La riduzione dei modi validi alla prima figura 6.2 L’interpretazione di Alessandro di Afrodisia 6.2.1 La prima figura 6.2.2 La seconda figura 6.2.3 La terza figura 6.2.4 Il commento di Alessandro ad Anal. Pr. A, 7
151 151 151 153 155 156 157 158 183 187 190
4 Luca Gili 7. La sillogistica modale 7.1 La modalità in Aristotele e in Alessandro di Afrodisia 7.2 I sillogismi del “necessario” con due premesse necessarie 7.2.1 Aristotele, Anal. Pr. A, 8 7.2.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 8 7.3 I sillogismi misti del “necessario” 7.3.1 Aristotele, Anal. Pr. A, 9 7.3.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 9 7.4 La sillogistica del “contingente” 7.4.1 Aristotele, Anal. Pr., A, 13 7.4.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 13 7.4.3 I sillogismi del contingente di prima figura 7.4.3.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 14) 7.4.3.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia 7.5 I sillogismi misti di prima figura 7.5.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 15) 7.5.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 15
194 194 208 208 212 218 218 219 237 237 239 256 256 257 259 259 262
8. Conclusione
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9. Bibliografia
285
10. Indice dei luoghi citati
318
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 5 0. Introduzione Questo lavoro ha come oggetto una esposizione dei principali temi della sillogistica di Alessandro di Afrodisia, delineati a partire dal suo commento agli Analitici Primi di Aristotele. Il tema finora è stato poco studiato, sebbene negli ultimi anni siano fioriti gli studi dedicati alla filosofia tardoantica. In questa generale riscoperta di un periodo ingiustamente trascurato dalla storiografia precedente, anche Alessandro di Afrodisia è tornato al centro dell’attenzione. Fino ad ora tuttavia la sua sillogistica non è stata oggetto di una indagine complessiva. Dopo la fondamentale edizione critica del commento di Alessandro agli Analitici Primi curata da Maximilien Wallies (cfr. Wallies [1883]), l’unico testo che ha affrontato la logica di Alessandro di Afrodisia nel suo complesso è Volait [1907]. Questa monografia raramente si eleva dall’essere una parafrasi, peraltro utile, di alcune sezioni del commento di Alessandro agli Analitici Primi. Un limite non trascurabile del lavoro di Georges Volait è il non aver potuto profittare dei fondamentali contributi sulla logica aristotelica che sono stati inaugurati, per la sillogistica categorica, dagli studi di Jan Łukasiewicz, e, per la sillogistica modale, da quelli di Albrecht Becker. Questi studi, sebbene ci paiano oggi anch’essi superati, per la fiducia – allora comprensibile ed oggi declinante – nella logica matematica quale efficace strumento ermeneutico per la logica antica, hanno tuttavia modificato enormemente la nostra comprensione del pensiero logico dello Stagirita, dando il via ad una feconda linea di ricerca che continua tutt’ora1. Il punto di riferimento per la comprensione della logica aristotelica rimane per Volait la storia della logica di Carl Prantl (cfr. Prantl [1855]) e la ponderosa opera di Heinrich Maier sulla sillogistica (cfr. Maier [1896-1900]), lavori in seguito ingiustamente trascurati e criticati superficialmente, ma che senza dubbio mancano del fondamentale apporto di precisione che la logica matematica arrecò agli studi sulla logica antica. Albrecht Becker ebbe felici intuizioni sulla logica di Alessandro di Afrodisia, che tuttavia rimangono osservazioni rapsodiche e marginali all’interno del suo contributo giustamente celebre sulla sillogistica modale di Aristotele (cfr. Becker [1933]). Anche le eccellenti storie della logica di Joseph Bochenski e degli Kneale
1
Una efficace sintesi di tali analisi si può trovare nel commento di Ebert e Nortmann agli Analitici Primi: cfr. Ebert-Nortmann [2007]. Per quanto riguarda la sola sillogistica categorica è molto utile Dreschsler [2005], che passa in rassegna i sistemi logico matematici proposti per formalizzare le idee logiche di Aristotele.
6 Luca Gili si limitano a menzionare l’opera di commento di Alessandro (cfr. Bochenski [1956]; Kneale-Kneale [1962]). L’eccellente monografia di Tae-Soo Lee Die griechische Tradition der aristotelischen Syllogistik in der Spätantike passa in rassegna e paragona fra loro i commenti di Alessandro, di Ammonio e di Giovanni Filopono agli Analitici Primi di Aristotele, ma soltanto per una porzione ristretta di temi: lo statuto della logica, la definizione di “proposizione”, le regole di conversione, la definizione di “sillogismo”; è del tutto assente lo studio della sezione sistematica del commento di Alessandro di Afrodisia dedicata alla sillogistica categorica e alla sillogistica modale (cfr. Lee [1984]). Flannery [1995] è una ricerca che pure riguarda soltanto alcuni aspetti della logica di Alessandro: le dimostrazioni per esposizione, il problema dei sillogismi modali con premesse miste, il rapporto tra materia e forma logica. Questo lavoro, anche se contiene elementi innovativi e analisi condivisibili, non getta una luce unitaria sul pensiero logico di Alessandro di Afrodisia e, a mio parere, trascura di confrontare le posizioni di Alessandro con quelle di Aristotele, cosa che può migliorare notevolmente la nostra comprensione della particolare versione di aristotelismo che il commentatore di Afrodisia ha elaborato. Jonathan Barnes aveva dedicato un eccellente saggio ad uno dei temi affrontati da Flannery, quello della materia e della forma logica in Alessandro e in altri commentatori tardoantichi (cfr. Barnes [1991]; Barnes è poi tornato sull’argomento in Barnes [2006] e in Barnes [2007]). Paul Moraux, nel terzo volume del suo Aristotelismus bei den Griechen, pubblicato postumo, dedica un’ampia sezione al commento di Alessandro di Afrodisia agli Analitici Primi. Il volume, pur pregevole per la ricchezza dei testi affrontati e discussi, non li problematizza in modo analitico né li inserisce all’interno del contesto storico in cui furono composti: se da un lato si rivela uno strumento insostituibile per la ricerca, indica al tempo stesso l’esigenza di una più profonda comprensione del pensiero logico del commentatore di Afrodisia (cfr. Moraux [2001]). Ottima è l’introduzione alla sillogistica categorica che troviamo nel volume curato da J. Barnes, S. Bobzien, K. Ierodiakonou e K. Flannery, che contiene la traduzione inglese di in Anal. Pr. A, 1-7 (cfr. Barnes-Bobzien-FlanneryIerodiakonoou [1991]). Molto utili, per quanto riguarda la sillogistica modale, risultano le introduzioni di Ian Mueller alle sue traduzioni in lingua inglese del commento di Alessandro agli Analitici Primi (cfr. Mueller-Gould [1999] e [1999 a]), che formalizzano le regole logiche accolte da Alessandro. Manca tuttavia in questo utile lavoro una ricostruzione più propriamente storica del contesto in cui la teoria delle modalità che incontriamo in Alessandro di Afrodisia si formò e con cui tale teoria si confrontò.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 7 Ultimamente fioriscono gli studi sul pensiero logico tardoantico e anche Alessandro di Afrodisia è oggetto di tali indagini. Tra i contributi più recenti e significativi segnalo Barnes [2007 a], che cerca di analizzare le fonti dell’opera di Alessandro fra gli aristotelici anteriori alla sua attività, coniugando il rigore storico della ricerca con una apprezzabile acutezza logica. Una ricerca che abbia per proprio oggetto la sillogistica di Alessandro di Afrodisia nel suo complesso e che affronti sia la parte categorica che la parte modale potrebbe apparire troppo ampia ed ambiziosa per una trattazione esaustiva. Ho cercato tuttavia di portare a termine questa impresa, operando evidentemente delle scelte: i capitoli del commento di Alessandro esaminati analiticamente nella mia ricerca sono solo una parte di quelli pervenutici del suo commento. Ho scelto infatti i capitoli o i blocchi di capitoli che credo costituiscano il nocciolo più significativo per la ricostruzione della sillogistica categorica (in Anal. Pr. A, 1-2, 4-7) e modale (in Anal. Pr. A, 3, 8-9, 13-15) del commentatore di Afrodisia. Nel portare a termine questa ricerca mi sono fatto guidare da due principi metodologici, che Michael Frede aveva presentato con chiarezza nel saggio The study of ancient philosophy2. Per lo studioso tedesco nella lettura di un autore antico infatti: a) possiamo interrogarci sul contesto storico che ha determinato la formazione di un certo sistema di pensiero, mettendo in luce le relazioni che intratteneva con il clima culturale del suo tempo; b) possiamo valutare il valore filosofico di un pensatore, analizzando i suoi testi alla ricerca di incongruenze, al fine di saggiarne la tenuta logica e concettuale; cercare le premesse filosofiche di una certa posizione e le sue conseguenze. Ho cercato di seguire queste due indicazioni nel modo seguente. 1) In primo luogo ho tentato di ricostruire con cura il contesto di riferimento in cui Alessandro si trovò ad operare, mostrando come lo studio della sillogistica di Aristotele fosse già condotto sia dai peripatetici (e in particolare dai peripatetici che Alessandro cita esplicitamente), sia da scuole concorrenti a quella in cui si riconosceva il commentatore di Afrodisia, come la scuola stoica. Il principio metodologico che ha determinato questa linea di indagine è che, per la 2
Cfr. Frede [1987], pp. ix-xxvii. Cfr. in particolare p. x: “one can look at a philosophical view that someone has held in two different ways. One can look at it primarily as a philosophical view that someone might entertain; one may wonder whether or not it is true, for what kinds of reasons one might want to take this view, what its implication are […]. But one can also look at this view primarily as one that was actually held, be interested in the fact that it was the view of a certain person under certain circumstances, and try to understand it as such”. Nel corso della esposizione del pensiero logico di Alessandro di Afrodisia cercherò di mostrare la validità delle sue assunzioni logiche, ma la attenzione principale sarà costituita da ciò che nella presentazione di Frede è la seconda modalità di approccio ad un testo antico.
8 Luca Gili comprensione di un autore antico, che scrive in un’altra lingua e dal quale ci separano molti secoli, risulta essenziale la collocazione della sua attività nelle coordinate storiche in cui operò e lo stabilire le relazioni che intrattenne con i pensatori che lo affiancarono e che lo precedettero. Sotto questo aspetto una storia della logica come quella di Carl Prantl (cfr. Prantl [1855]) merita di essere presa ad esempio. Pur fra molte inesattezze e giudizi spesso avventati, Prantl seppe raccogliere una imponente mole di informazioni, fornendoci un quadro molto ricco dello sviluppo della logica antica, inserendola nella storia della filosofia e della cultura di quel periodo. Il mio tentativo è stato in qualche misura di fare, limitatamente al caso di Alessandro di Afrodisia, ciò che Prantl volle fare per l’intera storia della logica, ricostruire cioè nel modo più accurato possibile lo sfondo filosofico e culturale in cui l’impresa del commentatore si colloca. Non è infatti possibile comprendere un testo antico prescindendo dalla storia che lo ha portato alla luce, anche se l’analisi di questo testo fosse condotta con i più scaltriti strumenti che la moderna logica matematica può consegnarci 3. 2) In questa ricerca si troveranno però anche delle accurate analisi testuali, che non rifiutano la formalizzazione logica e che cercano di evidenziare, in questo modo, gli elementi di originalità e il positivo apporto di Alessandro di Afrodisia nella comprensione della logica aristotelica. Accostarsi ad un testo che è un commento di un altro testo può sollevare alcune difficoltà. Queste difficoltà aumentano quando il testo commentato è costituito dagli Analitici Primi di Aristotele, un’opera densa, spesso oscura e irta di complicazioni con le quali gli interpreti continuano ancora a confrontarsi. Prescindere dal testo aristotelico era impossibile, dato che il commento lemmatico di Alessandro lo segue frase per frase. Tuttavia anche dare conto schematicamente del contenuto degli Analitici Primi poteva sembrare poco proficuo: le interpretazioni più recenti sono state infatti in grado di mostrare con particolare efficacia le incongruenze e talvolta anche le contraddizioni che si incontrano nel testo di Aristotele. Capire i nodi problematici di questo testo poteva essere una pista per indagare in che misura Alessandro di Afrodisia li abbia scorti e come abbia cercato di porvi rimedio. I capitoli di questo lavoro quindi che analizzano il testo di Alessandro si articolano sempre in due sezioni. Nella prima affronto succintamente il tema in Aristotele, mettendo in luce le problematiche del testo. Nella seconda sezione esamino invece il testo del commento di Alessandro di 3
Si prenda ad esempio la celebre monografia di Jan Łukasiewicz sulla sillogistica aristotelica (cfr. Łukasiewicz [1958]): per molti aspetti questo libro è assai più utile per comprendere il pensiero del logico polacco che quello di Aristotele, come i successivi studi sulla logica dello Stagirita hanno mostrato (si vedano in particolare Frede [1974] e Corcoran [1973]), tornando in qualche misura alle intuizioni metodologiche – se non anche talvolta ai risultati – delle pionieristiche ricerche di Carl Prantl o di Heinrich Maier.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 9 Afrodisia, cercando di sottolinearne le peculiarità dottrinali e la strategia di commento. Dato che questa ricerca è principalmente un lavoro di ricostruzione storica, non imputerò ad Aristotele e ad Alessandro i loro presunti “errori” logici, secondo la prassi fino a qualche decennio fa abituale negli studi di storia della logica. Trovo infatti inutile l’abitudine interpretativa di pretendere dagli autori antichi ciò che essi non possono dare, in fatto di precisione e di rigore logico e concettuale. Credo anzi che sia assai più proficuo ricostruire le ragioni che li hanno condotti a certe scelte, in sé magari poco condivisibili se considerate dal nostro punto di vista, ma di cui non possiamo non tener conto, se vogliamo fornire un quadro completo del pensiero degli autori antichi che studiamo. Espongo ora in dettaglio la articolazione questa ricerca. Nel primo capitolo espongo le poche notizie in nostro possesso sulla vita di Alessandro ed esamino la sua strategia di commento al testo aristotelico. Nel secondo cerco di passare in rassegna le fonti dirette di Alessandro (Teofrasto, Ermino e Sosigene) e di dare conto schematicamente della loro presentazione della sillogistica e di come Alessandro si confronti con queste teorie logiche alternative a quella che egli intende rintracciare nel proprio commento. Nel terzo capitolo esamino alcune questioni preliminari, affrontate da Alessandro nel Proemio al suo commento agli Analitici Primi: la posizione dell’opera all’interno del corpus aristotelicum; lo statuto della logica (parte o strumento della filosofia?); l’utilità dello studio della logica; il motivo del titolo dell’opera. Nel quarto capitolo espongo il contenuto del primo capitolo degli Analitici Primi di Aristotele e in particolare discuto le definizioni che lo Stagirita fornisce di “proposizione”, di “termine” e di “sillogismo” (“συλλογισµÒj”); in seguito affronto il commento di Alessandro di Afrodisia a questo testo aristotelico e cerco di mostrare l’originalità della sua interpretazione dei passi più controversi e difficili. Nel quinto capitolo esamino il tema della conversione delle proposizioni categoriche e modali, per affronta nel sesto capitolo la sillogistica categorica e nel settimo il sistema della sillogistica modale. Anche in questo caso la trattazione sistematica del testo di Aristotele e del commento di Alessandro di Afrodisia è preceduta da alcune riflessioni preliminari: la definizione delle nozioni modali nel corpus aristotelicum e nel pensiero di Alessandro di Afrodisia. Poi passo ad esporre i capitoli cruciali della sillogistica del necessario (Anal. Pr. A, 8-9), e della sillogistica del contingente (Anal. Pr. A, 13-15).
10 Luca Gili 1. Alessandro di Afrodisia e il Commento agli Analitici Primi di Aristotele 1.1 Vita di Alessandro di Afrodisia Riguardo alla vita di Alessandro di Afrodisia possediamo informazioni molto scarse. Nacque attorno alla seconda metà del II secolo d.C. ed era di Afrodisia in Caria; suo padre si chiamava pure Alessandro. Alessandro fu insegnante di filosofia peripatetica, all’inizio del terzo secolo d. C.4, in una delle cattedre di filosofia istituite da Marco Aurelio5 nel 176 d. C. ad Atene6. Questo elemento è sufficiente per affermare che i suoi commenti nascevano principalmente da esigenze didattiche7 e che i suoi allievi, se avevano scelto di seguire i corsi impartiti dal professore di filosofia peripatetica, presumibilmente volevano essere introdotti nella dottrina genuina dello Stagirita. I testi scelti erano quindi quelli che Aristotele stesso aveva scritto per l’insegnamento nel Liceo e che erano stati editi da Andronico di Rodi circa due secoli e mezzo prima8. Gli scritti che Aristotele stesso aveva destinato alla pubblicazione non sono usati come testo didattico da Alessandro, che fa riferimento ad essi solo per chiarire passi oscuri dei testi essoterici9. In quest’ottica si può spiegare il desiderio di spiegare Aristotele con Aristotele alla luce dell’esigenza di un’offerta didattica sempre più specializzata. Proprio l’istituzione da parte di Marco Aurelio delle cattedre di filosofia secondo le quattro scuole egemoni (platonica, peripatetica, stoica ed epicurea) supera per 4
Come si inferisce dal suo De fato, I, p. 164, l. 1-p. 165, l. 13 (Bruns), egli ricevette la propria cattedra dagli imperatori Settimio Severo e Antonino Caracalla, in un anno tra il 198 d. C. e il 209 d. C. (quando Geta fu associato all’impero): queste sono le uniche date certe riguardo alla vita di Alessandro di Afrodisia. Una pregevole analisi di questo passo si trova in Mansfeld [1988], pp. 181207 e in Abbamonte [2000], pp. 182-184. Fazzo-Zonta [1998], p. 72 n. 118 cercano di estendere anche al periodo di Geta la cronologia del De fato, ma gli argomenti che producono appaiono poco persuasivi. 5 Cfr. Cassio Dione LXXII, 31, 3; Luciano, Eunuchus, 3; Filostrato, Vitae Sophist. II, 2, 566. 6 Esistevano cattedre di filosofia peripatetica anche altrove. Lynch [1972], p. 193 pensava che Alessandro insegnasse a Roma, per via dell’apertura del De fato, che sembra dover presupporre una attività dell’autore in quella città. Todd [1976], p. 2, osservava invece che l’accenno alla statua di Aristotele che sorgeva ad Atene (cfr. Hayduck [1891], p. 415, ll. 29-30) sembra indurre a credere che Alessandro fosse attivo nella città greca. Angelos Chaniotis ha pubblicato una epigrafe rinvenuta ad Afrodisia in Caria (nell’attuale Turchia) che dimostra che Alessandro fu insegnante di filosofia peripatetica in una delle cattedre istituite ad Atene (cfr. Chaniotis [2004], pp. 388-389). 7 Sull’importanza didattica dei commenti in età tardo antica cfr. Sluiter [1999], pp. 173-205. 8 Attualmente gli studiosi sono inclini a retrodatare la riscoperta degli scritti di scuola di Aristotele rispetto alla cosiddetta “edizione” di Andronico di Rodi. 9 Si pensi alle ampie citazioni del De Ideis di Aristotele che Alessandro ci conserva nel suo commento alla Metafisica.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 11 ampiezza l’offerta di insegnamenti che uno studente di filosofia poteva ricevere dagli esponenti della Seconda Sofistica10. Alessandro ci appare come un autore pienamente inserito nel dibattito esegetico e filosofico a lui contemporaneo. Polemizza di frequente con gli Stoici sia nelle sue opere di commento ad Aristotele, sia nei suoi trattati autonomi 11, ma ne è influenzato nella terminologia. La sua dottrina tuttavia rimane genuinamente aristotelica e restia ad una sintesi di elementi dottrinali stoici ed aristotelici, che pure avevano tentato alcuni peripatetici che lo precedettero. Reagì alla critica che il platonico Attico mosse ad Aristotele, usando i testi di Platone stesso per confutare i suoi interpreti12. Numerosi trattati di Alessandro furono infine rivolti contro Galeno. Alcune fonti arabe danno notizia di un incontro a Roma fra Alessandro e Galeno, in occasione del quale il primo avrebbe chiamato “testa di mulo” il medico greco; questa notizia tuttavia potrebbe nascere dalla confusione di Alessandro di Afrodisia con Alessandro di Damasco13. Le opere di Alessandro si dividono in commenti ad Aristotele e in opere autonome, nelle quali presenta sintesi monografiche della filosofia aristotelica o intraprende polemiche con le correnti di pensiero avverse all’aristotelismo. Per il quadro sulle opere composte da Alessandro rimando a Thillet [1984], pp. liiilxxiii, a Sharples [1987], pp. 1182-1199 e a Sharples [2001], pp. 621-650. Dei suoi commenti ad Aristotele ci sono pervenuti il commento ad Analitici Primi, A, il commento ai Topici e a Metafisica, A-D. Abbiamo frammenti di un suo commento al De Interpretatione, agli Analitici Posteriori, ai libri della Metafisica per i quali non ci è pervenuto il suo commento e alla Fisica. 1.2 La strategia di commento di Alessandro di Afrodisia Negli ultimi anni numerosi studi si sono concentrati sulla strategia di commento degli autori tardo antichi. Glenn Most ha osservato14 che lo studio di un commento 10
Aulo Gellio ad esempio, che frequentò le lezioni del “platonico” Calvesio Tauro, che fu un esponente della seconda sofistica, mostra conoscenze non solo dei testi platonici, ma anche delle dottrine stoiche e, sia pure in misura minore, di Aristotele, ma è una conoscenza approssimativa e non basata sulla lettura e il commento sistematico dei testi (su Calvesio Tauro all’interno dell’opera di Aulo Gellio cfr. Lakmann [1995]). 11 Una eccellente indagine delle relazioni fra Alessandro di Afrodisia e gli Stoici riguardo alla fisica è Todd [1976]. In questo lavoro cercheremo di evidenziare come Alessandro si sia confrontato con la logica stoica. 12 Cfr. Baltes [1976], pp. 71-76. 13 Per la questione cfr. Thillet [1984], pp. xxxii-xlix. 14 Cfr. Most [1999], pp. vii-viii.
12 Luca Gili può articolarsi su due livelli: a) si possono investigare le istituzioni culturali coinvolte nella produzione dei commenti; il commento nasce sempre per una richiesta o una esigenza ed è forse interessante chiarire dove e fra chi questa richiesta nasca; b) si possono individuare le strutture formali di un commento (il rapporto intrattenuto con il testo commentato, l’articolazione del commento in lemmi seguiti dalla spiegazione etc.). a) La prima pista si può facilmente percorrere nel caso di Alessandro: come si è visto, egli insegnava filosofia peripatetica e, quindi, la forma di commento era richiesta sia da chi lo aveva nominato a sedere sulla cattedra di filosofia, sia dagli allievi, che presumibilmente cercavano una istruzione ortodossa dal punto di vista dottrinale e filologicamente attenta ai testi autoritativi. Da qui discendono due caratteristiche fondamentali della attività di Alessandro: la sua attenzione all’esegesi letterale dei lemmi del testo aristotelico, che viene seguito secondo l’ordine stesso dell’opera, senza interruzioni; e, dall’altra parte, l’attitudine a “sistematizzare” l’opera di Aristotele, riferendosi per chiarire un passo oscuro ad altri passi del corpus e mai a opere di autori appartenenti ad altre scuole, se non per respingere le eventuali critiche che costoro mossero alla filosofia dello Stagirita. La cifra dell’esegesi alessandrista è in effetti la ricerca della “ortodossia” aristotelica, che, secondo il commentatore di Afrodisia, risiede nell’adesione al dato testuale. È stato recentemente posta in dubbio la funzione didattica dei commenti di Alessandro15. Tuttavia, anche se le evidenze in nostro possesso sulla esistenza di una “scuola di Alessandro” sono molto scarse ed è quindi ancor più difficile ricostruire quali attività fossero svolte in essa16, è comunque innegabile che i commenti di Alessandro fossero destinati a persone – lettori o studenti – che desideravano acquisire una conoscenza molto dettagliata del testo di Aristotele e dei problemi che sollevava. Probabilmente non volevano accostarsi a questo testo nella prospettiva di una particolare interpretazione o di una consolidata tradizione esegetica, ma volevano piuttosto una analisi filologicamente corretta del pensiero dello Stagirita. Questo dato appare innegabile, anche qualora si neghi la finalità didattica del commento di Alessandro. b) Il secondo aspetto che, secondo Glenn Most, può impegnare la ricerca che abbia per oggetto un commento, riguarda le strutture formali di questo genere letterario. Per quel che concerne le strutture del commento tardoantico a testi 15
Cfr. Abbamonte [2004], in cui è difesa la tesi secondo cui i destinatari dei commenti di Alessandro non fossero gli allievi della sua scuola, ma il pubblico dei lettori. 16 Sulla esistenza di una “scuola di Alessandro” cfr. Sharples [1990], in particolare pp. 97-101 che mostra come molti testi di Alessandro (o comunque a lui attribuiti), come le Quaestiones, siano la testimonianza di una discussione del testo aristotelico e della stessa esegesi fornita nei commenti che sembra presupporre l’esistenza di una scuola dove il commentatore di Afrodisia insegnava.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 13 filosofici o a testi di altre discipline scientifiche, esiste un ormai classico studio di Jaap Mansfeld17, che prende in esame i commenti neoplatonici ad Aristotele. Sebbene il contesto filosofico sia diverso rispetto a quello in cui operò Alessandro e il periodo storico sia successivo, si possono tuttavia osservare dei tratti comuni fra l’attività esegetica di Alessandro e quella dei neoplatonici, con la differenza che in questi ultimi il metodo scolastico di esegesi risulta descritto con maggiore consapevolezza e dettaglio. La storia della pratica di commento ai testi autoritativi ha portato infatti ad una progressiva presa di coscienza delle strutture proprie di questo genere letterario. La pratica di commento ai testi ebbe origine in modo sistematico con l’attività filologica degli alessandrini. In virtù del principio di commentare Omero con Omero (“Omhron ™x `Om»rou safhn…zein), essi proponevano una spiegazione del testo di Iliade e Odissea che facesse riferimento esclusivamente a questi testi, sottolineandone al tempo stesso la unità strutturale18. Nel II sec. a.C. l’esegesi dei testi letterari aveva reso canonici alcuni generi letterari, che vediamo praticati anche da Alessandro di Afrodisia: il commento continuo (ØpÒmnhma) e la monografia su un tema o un problema specifico che emerge dal testo (sύggramma). A codificare questi due generi pare sia stato il filologo alessandrino Aristarco di Samotracia (215 ca.-143 ca. a.C.)19, che produsse numerosi commenti omerici. Fu facile quindi trasferire principi analoghi anche all’esegesi dei testi filosofici, quando essa fu richiesta in una società intellettualmente sempre più raffinata come quella dell’Impero. L’introduzione dei principi dell’esegesi letteraria implicò anche la introduzione dei generi di commento nell’ambito della interpretazione dei testi filosofici. Abbiamo notizia anche di commenti a testi di altre discipline scientifiche, come commenti medici. È probabile che anche questi abbiano interagito con la formazione del genere del commento filosofico. Nonostante la scarsità delle fonti in nostro possesso renda difficile la ricostruzione del processo che ha portato alla nascita del commento filosofico, fu senza dubbio centrale l’opera di Tirannione di Amiso, che ebbe in cura la biblioteca di Teofrasto, che conteneva anche molti testi di Aristotele. Tirannione fu allievo infatti del celebre 17
Mansfeld [1994]. Per un quadro della questione è ancora attuale il classico Pfeiffer [1968]. Il principio esegetico menzionato si trova enunciato in questa forma per la prima volta nelle Quaest. Hom. di Porfirio: cfr. Sodano [1970], p. 56, ll. 3-6. Su questo principio cfr. in particolare Schäublin [1977]. Il pregevole studio di Filippomaria Pontani Sguardi su Ulisse getta una luce sulla tradizione di commento all’Odissea dall’antichità classica al periodo bizantino: per la modalità di esegesi all’Odissea nel periodo imperiale – età in cui si colloca anche la attività di Alessandro di Afrodisia – cfr. Pontani [2005], pp. 57-82. 19 Sull’esegesi di Aristarco cfr. Pfeiffer [1968], pp. 210-233. 18
14 Luca Gili grammatico Dionisio Trace. Dalla voce di Suida dedicata a Tirannione, il grammatico che ebbe in custodia la biblioteca di Teofrasto20, si può inferire che l’attività dell’allievo di Dionisio avesse come scopo migliorare gli scritti grammaticali e di esegesi del testo omerico del suo maestro. Era quindi un esponente che conosceva perfettamente i metodi della scuola filologica alessandrina e poté avvalersene quando, per casi fortuiti, si trovò ad occuparsi di Aristotele. È perciò piuttosto evidente – ed è stato indicato da una considerevole mole di studi21 – che non si può prescindere dal ruolo giocato dalla filologia alessandrina se si intende stabilire le coordinate del commento filosofico (e le opere di Alessandro costituiscono il primo esempio in larga parte conservatosi di questo genere letterario). Esistevano infatti altri testi di esegesi del testo omerico, che le fonti antiche attribuiscono ad Aristotele con il titolo APORHMATA OMHRIKA e i cui frammenti sono stati raccolti da Gigon (cfr. Gigon [1987], pp. 526-539, fr. 366404)22. Data la attribuzione aristotelica di quest’opera, sarebbe ragionevole aspettarsi che Alessandro o i commentatori peripatetici che lo precedettero si basassero sugli APORHMATA OMHRIKA per elaborare i principi esegeti alla luce dei quali commentare i testi di Aristotele, se si nega l’importanza costituita dal commento filologico alessandrino. Questa ipotesi tuttavia è confutata dalla prassi esegetica dei commentatori, che non sembra seguire i principi esegetici adottati da Aristotele nella sua interpretazione di Omero. In questi testi esegetici attribuiti allo Stagirita è limitato infatti l’uso della allegoria23 e il tentativo di Aristotele sembra piuttosto quello di dare una interpretazione “etica” dei poemi omerici 24, in modo da legittimarne la lettura (che Platone aveva sconsigliato). I poemi andrebbero cioè letti perché veicolerebbero un significato morale. Come risulterà evidente tra poco, Alessandro non poteva avere derivato da Aristotele stesso quei principi esegetici di cui si serve per interpretare l’opera dello stesso Stagirita: non sembra infatti che nelle APORHMATA OMHRIKA sia all’opera il principio ermeneutico “Omhron ™x `Om»rou safhn…zein, che pure il commentatore di Afrodisia adotta nel suo commento al testo aristotelico. Bisogna perciò concludere che l’esegesi che Alessandro fa propria 20
Cfr. Adler [1935], p. 607, ll. 15-25 (voce t 1184). Cfr. in particolare Donini [1994] e [1995], Abbamonte [2004]. 22 Sull’interpretazione che Aristotele diede di Omero cfr. Sanz Morales [1994], Ramelli [2003], pp. 434-437. L’esegesi omerica fu praticata, fra i discepoli di Aristotele, da Eraclide Pontico (cfr. Wehrli [1953], fr. 167-175). 23 Esiste nei testi conservati solo una “allegoria” propriamente detta. Commentando Odissea XII, 128-129 Aristotele avrebbe identificato le vacche del Sole con i giorni dell’anno (cfr. Gigon [1987], pp. 537-538, fr. 398; su questo testo cfr. Pontani [2005 a], p. 7). 24 Per questa interpretazione dell’esegesi aristotelica cfr. Ramelli [2003], pp. 434-437. 21
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 15 si avvicina molto a quella che avevano introdotto i filologi alessandrini e, in particolare, Aristarco di Samotracia, che codificò i generi letterari della tradizione esegetica. I principi stessi del commento filosofico non sono tuttavia esplicitati da Alessandro nelle sue opere: questo potrebbe essere una ulteriore evidenza a favore del fatto che il genere letterario del commento filosofico non sia nato con Alessandro, ma che già si fosse affermato. Alessandro infatti sembra usare con disinvoltura un genere letterario che non è stato da lui codificato: da ciò sembra legittimo inferire che il genere del commento ad un testo scientifico o dottrinale si era già formato prima di Alessandro ed aveva conosciuto una codificazione che permetteva ad Alessandro di usarlo con disinvoltura, senza tuttavia esserne il primo ideatore. A questo punto possiamo chiederci in cosa effettivamente consistano le strutture formali di base di questo genere letterario. Per trovarle codificate in modo esplicito, è utile tornare alle fonti che ci attestano il procedimento didattico ed esegetico dei commentatori neoplatonici, sebbene sulla base di ciò sia possibile ricostruire soltanto quali fossero le caratteristiche che il genere letterario del commento filosofico aveva assunto in una fase di molto posteriore al tempo di Alessandro. La codificazione dello schema isagogicum da loro seguito nel commento ad Aristotele è attribuita da J. Mansfeld a Proclo. Infatti Ammonio, allievo di Proclo, commentando l’Isagoge di Porfirio dice ad esempio che de‹ d8 ¹m©j e„pe‹n kaˆ t¦ prÕj tîn filosÒfwn oÛtw prosagoreuÒmena prolegÒmena ½toi protecnologoÚmena ™pˆ pantÕj bibl…ou (Busse [1891], p. 21, ll. 6-8). È molto plausibile supporre, come fa Mansfeld, che questi prolegÒmena ½toi protecnologoÚmena a ciascun libro (di Porfirio e di Aristotele) siano stati appresi da Ammonio mediante il contatto con il magistero di Proclo25. Si noti però che il termine protecnologoÚmena, di uso assai infrequente e di significato spiccatamente tecnico, si trova anche in esegeti precedenti anche di secoli rispetto a Proclo e ad Ammonio26. In ambito filosofico occorre nel commento di Alessandro di Afrodisia ai Topici di Aristotele (cfr. Wallies [1891], p. 124, l. 33 e p. 518, l. 3). Il termine prolegÒmena è meno raro e si trova in vari autori neoplatonici (Proclo, Olimpiodoro, David, Elias)27, ma ricorre anche in Alessandro di Afrodisia (cfr. Hayduck [1891], p. 138, l. 8 e p. 172, l. 20). Questo dato ci conforta perché è indice dell’appartenenza a una modalità di esegesi scolastica che caratterizza il periodo tardoantico nel suo complesso, 25
Cfr. Mansfeld [1994], p. 10. Fra i cristiani si prenda ad esempio Eusebio di Cesarea, In Psalmos, PG, XXIII, p. 1001, l. 31 e p. 1072, ll. 1-2; Gregorio di Nissa, Contra fatum, p. 60, ll. 14-15 (edizione di J. A. Mc Donough in Downing-Mc Donough-Hörner [1987], pp. 31-63). 27 Per alcuni esempi in questi autori, cfr. Mansfeld [1994], p. 10, n. 2. 26
16 Luca Gili almeno per ciò che riguarda la definizione di quelle “questioni preliminari” designate dal termine prolegÒmenon, che occorre, con lo stesso senso, tanto in Proclo quanto in Alessandro di Afrodisia. Naturalmente resta inteso che verosimilmente tali questioni non saranno necessariamente le stesse in entrambi gli autori. Per avere una idea di cosa i neoplatonici intendessero con tali “questioni preliminari”, è opportuno riprendere il commento di Ammonio all’Isogage di Porfirio: œsti d8 taàta [scilicet: prolegÒmena ½toi protecnologoÚmena]·Ð skopÕj tÕ cr»simon tÕ gn»sion ¹ t£xij tÁj ¢nagnèsewj ¹ a„t…a tÁj ™pigrafÁj ¹ e„j t¦ kef£laia dia…resij kaˆ ØpÕ po‹on mšroj ¢n£getai tÕ parÕn sÚggramma. taàta d8 ™penÒhsan oƒ filÒsofoi prolšgein, oÙc æj perittÒn ti prosepinooàntej aÙto‹j À kat¦ t¦j ¥llaj tšcnaj, ¢ll¦ proqumotšrouj poie‹n boulÒmenoi toÝj ¢naginèskontaj (Busse [1891], p. 21, ll. 8-13). Questo breve brano espone i punti fondamentali per la corretta lettura di un testo e che devono quindi ispirare l’esegeta. Questi punti sono: (1) il tema o scopo del testo che deve essere esposto, cioè l’intenzione che si prefiggeva l’autore quando compose l’opera (Ð skopÒj); (2) l’utilità dell’opera (tÕ cr»simon); (3) la autenticità dell’opera, qualora essa sia stata posta in dubbio (tÕ gn»sion)28; (4) la posizione dell’opera all’interno del corpus aristotelicum: questa posizione è determinata dall’ordine didattico di lettura nelle scuole (¹ t£xij tÁj ¢nagnèsewj), ma è anche la posizione che l’opera ha nell’ordine sistematico della filosofia aristotelica; (5) la spiegazione del titolo, specialmente quando non è evidente la corrispondenza fra titolo e opera cui il titolo è imposto (¹ a„t…a tÁj ™pigrafÁj); (6) la divisione in capitoli dell’opera, che corrisponde sempre a una struttura dottrinale e di contenuto dell’opera stessa (¹ e„j t¦ kef£laia dia…resij); (7) la riconduzione del trattato alla parte della filosofia a cui appartiene (ØpÕ po‹on mšroj ¢n£getai tÕ parÕn sÚggramma). A conferma del fatto che non siamo in presenza di una codificazione ignota prima di Ammonio, Ilsetraut Hadot e Bernhard Neuschäfer hanno notato che quattro di queste questioni preliminari si trovano anche in un testo molto più antico29: il commento grande di Origene (185-250 d.C.) al Cantico dei cantici, 28
La decisione di atetizzare opere aristoteliche ritenute inautentiche nacque molto presto: lo stesso Andronico di Rodi considerava spurio il De Interpretatione. 29 Per un’analisi di questo testo cfr. Neuschäfer [1987]. In questa monografia Neuschäfer mostra che Origene rappresenta un esempio della presenza degli studi di grammatica, retorica e di critica del testo nelle scuole del periodo imperiale. La tesi centrale che Neuschäfer difende è che nel lavoro di
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 17 composto dal grande esegeta cristiano verso il termine della sua vita e che è quindi databile attorno alla metà del terzo secolo d. C.30. Nel prologo di questo commento possiamo vedere che Origene considera essenziali la discussione: a) del tema o scopo dell’opera (trattato dall’autore cristiano nel secondo capitolo del suo commento); b) la posizione dell’opera all’interno degli scritti di Salomone (affrontata nel terzo capitolo del commento); c) la parte di filosofia a cui appartiene il Cantico dei cantici; d) la spiegazione del titolo del libro biblico (discussa nel quarto capitolo del commento di Origene). È quindi necessario retrodatare questo schema isagogicum almeno all’inizio del III sec. d. C., lo stesso periodo in cui si colloca probabilmente l’attività di commento di Alessandro di Afrodisia. Guido Bendinelli, in una monografia sulla strategia di commento di Origene31, ha mostrato la vicinanza e la dipendenza di quest’ultimo dalla prassi esegetica sia dei filologi alessandrini32 che delle scuole filosofiche, osservando numerosi paralleli strutturali fra Origene e Alessandro di Afrodisia (divisione del testo in lemmi, introduzione dei dubia, esame delle varianti del testo)33. Accogliendo i risultati della sua indagine, mi sembra lecito proporre che un rudimentale schema isagogicum dovesse essere presente anche nell’opera di Alessandro. Per quanto riguarda il commento agli Analitici Primi di Aristotele, mostrerò nel capitolo 3.2 che Alessandro si chiede a) la posizione della trattazione che sta per iniziare all’interno del sistema filosofico aristotelico34; b) l’utilità dello studio della logica; Origene c’è una forte abbondanza di terminologia tecnica propria della scuola stoica, ci sono definizioni stoiche e una certa conoscenza della filosofia del linguaggio stoica. Per Neuschäfer questo è coerente con l’ammodernamento della filologia alessandrina, che già con Dionisio Trace mostrerebbe dei notevoli punti di contatto con l’approccio ai testi e le tecniche interpretative in voga fra gli Stoici. In Origere sarebbe documentabile per Neuschäfer anche la presenza della grammatica stoica (cfr. in particolare Neuschäfer [1987], pp. 215-219). Per quanto concerne la nostra ricerca, è sufficiente sottolineare il contatto che Origene dovette avere non solo con le scuole filologiche presenti ad Alessandria, ma anche con le scuole filosofiche, da cui è lecito supporre che egli abbia derivato la struttura formale dei propri commenti biblici. Sulla grammatica stoica cfr. il fondamentale saggio di Michael Frede The origin of traditional grammar (Frede [1987], pp. 338-359). 30 Il commento di Origene al Cantico dei Cantici, perduto in greco, si è conservato nella versione latina di san Girolamo. 31 Cfr. Bendinelli [1997]. 32 Si veda ad esempio Bendinelli [1997], p. 101 e ss. 33 Cfr. per questi tre temi rispettivamente Bendinelli [1997], pp. 45-49; pp. 38-45; pp. 90-96. 34 Questa domanda avviene all’interno della questione se la logica sia una parte della filosofia (come sostenevano gli Stoici) o se invece ne sia uno strumento (come sostiene Alessandro con la tradizione peripatetica).
18 Luca Gili c) il motivo del titolo Analitici Primi; d) i rapporti fra questa opera e quella che la segue nell’ordine di lettura del corpus aristotelicum, cioè gli Analitici Posteriori. Accanto tuttavia a queste analogia relative alle “questioni preliminari” alla lettura di un testo, possiamo però individuare anche delle differenze fra lo stile esegetico di Alessandro e quello dei commentatori neoplatonici a lui posteriori. I neoplatonici spesso considerano il testo di Aristotele oscuro a causa delle dottrine che egli avrebbe lasciato implicite in accordo alla sua tecnica espositiva brachilogica (cfr. in proposito Vitelli [1897], p. 74, l. 3: taàta d8 æj safÁ Ônta parÁken Ð 'Aristotšlhj; secondo Giovanni Filopono talvolta Aristotele tralascia alcune spiegazioni perché le ritiene evidenti: compito del commentatore sarà quindi esplicitarle). In generale nel loro approccio ad Aristotele gli esegeti neoplatonici tendono spesso ad allontanarsi dalla lettera del testo, in nome del principio così enunciato da Siriano: § d8 m¾ lšgei m8n aÙtÒqen, ˜pÒmena dš ™stin ¢nagka…wj oŒj t…qhsi, taàt’¨n e‡h lšgein ¹mšteron (Kroll [1902], p. 11, ll. 11-13). L’idea è quindi che Aristotele sia spesso oscuro e fin troppo conciso e che compito dell’esegeta sia esplicitare ciò che in lui è implicito, aggiungendo alla lettera del testo tutto ciò che serva a chiarirla. I neoplatonici condividono con Alessandro di Afrodisia il principio ermeneutico “sistematico” (interpretare un autore alla luce della sua intera produzione, cogliendo l’unità di dottrina al di là della evoluzione del pensiero), ma l’insieme delle opere che commentavano non si limitava al corpus aristotelicum, estendendosi anche ai dialoghi di Platone. L’insieme dottrine che un esegeta neoplatonico si trovava ad armonizzare era indubbiamente più ampio di quello con cui si confrontò Alessandro e da ciò deriva che spesso i commentatori di età neoplatonica andarono molto al di là della lettera aristotelica. La differenza fra queste strategie di commento è stata messa in luce da Mansfeld, il quale nel suo libro sulla tradizione dossografica in Ippolito ha confrontato il commento di Alessandro di Afrodisia a quella sezione di Met. A in cui Aristotele presenta le dottrine dei presocratici con i commenti neoplatonici agli stessi passi. Mansfeld mostra35 che le analisi sono molto diverse e che in Alessandro non è possibile trovare quella modalità di commento che si ritrova in autori a lui più tardi (i neoplatonici), ma che è presupposta anche da esegeti a lui contemporanei come Ippolito. Lo stile del commento di Alessandro è sobrio e generalmente rispettoso dei testi: “l’illazione che è facile ricavarne” osserva Pierluigi Donini “è che o non approvava o non conosceva affatto il criterio metodico accettato dai commentatori posteriori”36. 35 36
Cfr. Mansfeld [1992], in particolare p. 251. Donini [1995], p. 108.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 19 Alessandro era certamente a conoscenza della tradizione del commento non letterale, che, almeno per quanto riguarda i testi letterari, aveva origini molto antiche. Ma la contemporanea esegesi che Origene applica al testo biblico, spesso distanziandosi dalla lettera di esso, ci lascia supporre che potesse conoscere anche una modalità di approccio non letterale anche a testi che avevano un valore dottrinale, come la Scrittura per Origene e il corpus aristotelicum per un professore di filosofia peripatetica come l’esegeta di Afrodisia. Evidentemente Alessandro rifiuta questa modalità di interpretazione non letterale del testo, che probabilmente doveva ritenere non fosse resa legittima per il carattere scientifico del testo aristotelico. Ciò non toglie che il suo commento non si limiti alla riesposizione parafrastica del testo aristotelico, come farà invece Temistio37: contiene infatti chiarimenti e discussioni raffinate e ricche di suggestioni, che, sebbene risultino a volte discutibili nel loro ingenuo affidamento al criterio della “sistematicità” che sarebbe stata seguita da Aristotele nel comporre le sue opere, quasi sempre capaci sono di evidenziare le difficoltà interne al testo aristotelico, spesso proponendo soluzioni che mostrano una indubbia conoscenza del corpus e una apprezzabile sottigliezza di analisi. Non di rado nelle pieghe del commento emergono risultati filosofici notevoli, che Alessandro attribuisce allo Stagirita, ma che oggi siamo in grado di ascrivere alla sua attività di rielaborazione38 . Ci siamo in qualche misura avvicinati alla pratica di commento di Alessandro di Afrodisia. Vediamone ora in concreto alcune caratteristiche39. Alessandro divide il testo in lemmi e commenta proposizione dopo proposizione il testo aristotelico senza interruzioni. La trattazione generale è preceduta da un ampio proemio in cui sono discussi problemi come lo statuto della disciplina affrontata da Aristotele 37
Sulla strategia di commento di Temistio cfr. Borgo [2009]. Abbamonte [1995] giunge in sostanza a risultati simili a quelli che sto ora esponendo. La ricerca di Abbamonte si concentra sul commento di Alessandro ai Topici di Aristotele e sulla struttura formale del commento. Abbamonte, pur sottolineando il principio fondamentale di interpretare Aristotele a partire da Aristotele, nota che talvolta il commento giunge a risultati originali, specialmente nelle precisazioni terminologiche riguardo ai lemmi filosofici che si incontrano nel testo di Aristotele: la ricchezza di sensi delle parole analizzate da Alessandro è tale che non autorizza a credere che egli stia semplicemente catalogando il senso che la lettera del testo aristotelico suggerisce. A conclusioni analoghe perviene Fazzo [2002], pp. 18-25, che sostanzialmente riprende i contributi di Donini e di Sharples sull’attività di commento di Alessandro. Più recentemente Abbamonte ha fornito un nuovo contributo sulla prassi esegetica di Alessandro di Afrodisia, mettendo in luce l’importanza della parafrasi del testo aristotelico per fornire la corretta interpretazione della littera, pur distinguendo la parafrasi alessandrista, che compare sempre all’interno del commento lemmatico, dal genere più propriamente parafrastico praticato in seguito da Temistio (cfr. Abbamonte [2004], pp. 25-34). 39 La critica finora ha preso in esame alcuni casi di studio del commento di Alessandro per enucleare a partire da essi la sua prassi esegetica. Segnalo Donini [1995], che parte dal De anima di Alessandro, esplorandone i rapporti con il modello costituito dall’opera omonima di Aristotele; Bendinelli [1997], pp. 38-45 prende in esame invece il commento alla Metafisica. 38
20 Luca Gili nell’opera che sta per essere letta; le ragioni del titolo; l’utilità e l’importanza dell’opera che si sta per leggere e la sua posizione all’interno del sistema aristotelico. I lemmi non sono raggruppati in capitoli e non ci sono titoli che suddividono un’opera nelle sue scansioni concettuali e argomentative. Queste caratteristiche si riscontrano in tutti i suoi commenti aristotelici a noi pervenuti. In questo senso il commento agli Analitici Primi non costituisce una tipologia a sé stante di commento, ma osserva gli stessi procedimenti che Alessandro mette in opera nell’esegesi di altri testi aristotelici. Nel commento agli Analitici Primi tuttavia è possibile farsi un’idea dell’articolazione interna dell’opera perché ogni sezione di contenuto è preceduta da un breve proemio: la trattazione sistematica della sillogistica categorica (Anal. Pr. A, 4), della sillogistica modale del necessario (Anal. Pr. A, 8) o delle premesse miste (Anal. Pr. A, 9). Questi brevi proemi sono di fatto delle digressioni che seguono immediatamente il primo lemma in cui il capitolo viene scomposto e segnalano quindi il passaggio da un nucleo concettuale dell’opera all’altro. Il commento al lemma ha come scopo principale il chiarimento del significato letterale del testo aristotelico. A questo proposito viene data talvolta una riesposizione parafrastica del testo, talvolta preceduta da alcune discussioni su punti controversi, in modo tale che la parafrasi indichi e riassuma la interpretazione che Alessandro fa propria. Ogni volta che Aristotele definisce un termine rilevante per la trattazione (“proposizione”, “termine”, “sillogismo” in Anal. Pr. A, 1; “necessario” e “contingente” in A, 3, 8, 13), Alessandro analizza tale definizione, confrontandola con altri luoghi del corpus aristotelicum in cui il termine occorra e cercando di appianare le incongruenze e le difficoltà, qualora Aristotele presenti in passi diversi definizioni non sovrapponibili di uno stesso termine. Spesso la strategia intrapresa da Alessandro è quella di distinguere i molteplici sensi che in contesti diversi uno stesso termine assume. Emblematico a questo proposito è il caso del termine “contingente”, che in A, 3 è definito come predicabile sia del “necessario”, che del “categorico”, che del “contingente” sensu stricto (che sarà poi definito nel commento ad Anal. Pr. A, 13). Nel corso del commento spesso sono intraprese polemiche contro autori che avevano criticato Aristotele o avevano cercato di alterarne la dottrina autentica: Alessandro espone e critica Teofrasto, Eudemo, i suoi maestri Ermino e Sosigene e gli stoici. Il criterio fondamentale che orienta le polemiche di Alessandro è l’autorità veritativa del testo di Aristotele, che deve quindi essere difesa dagli
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 21 attacchi che possano sminuirla o offuscarla40. Non di rado tuttavia Alessandro fa propri i rilievi di Teofrasto, che spesso sono difficilmente o per nulla rintracciabili in Aristotele: quando infatti la lettera dello Stagirita è difficilmente difendibile dalle critiche che le sono state rivolte (come nel caso delle regole per le conversioni delle proposizioni, le cui dimostrazioni, come vedremo, portano alla petitio principii), Alessandro interviene indebolendo le tesi di Aristotele e adottando non di rado una prospettiva alternativa, ma si premura sempre di mostrare come questa prospettiva sia già presente nel testo che commenta, giungendo a delle indubbie forzature. Nel caso delle dimostrazioni delle regole di conversione per le proposizioni modali, Alessandro, come vedremo, uscirà dal circolo vizioso dando una dimostrazione della validità della conversione delle proposizioni universali necessarie negative indipendente da altre leggi di conversione: la strategia ricalca la soluzione fornita da Teofrasto, ma si oppone in modo evidente al testo di Aristotele. L’ambizione di Alessandro è di individuare proprio nel testo la soluzione che intende proporre, ma la forzatura esegetica è inevitabile. È nota la tesi di Pierre Hadot, secondo la quale l’attività di esegesi di un testo filosofico autorevole costituirebbe una attività essa stessa filosofica41. Nella storia del pensiero antico e tardoantico indubbiamente la affermazione della pratica del commento, come mezzo di insegnamento – e di pratica – della filosofia segna senza dubbio una cesura, rispetto al periodo in cui erano elaborate filosofie programmaticamente originali. Un elemento comune a tutti i pensatori tardoantichi, qualunque fosse la loro scuola di appartenenza o la linea di pensiero da essi condivisa, è il desiderio di attenersi alla dottrina formulata dai fondatori delle scuole. Questo caratterizza anche i pensatori che l’odierna storiografia ritiene più originali – come Plotino o Proclo – con la probabile eccezione di Galeno, di cui è nota la pretesa di non essere considerato come appartenente ad alcuna scuola. Benché Plotino non abbia scritto dei commenti a Platone, egli intendeva le proprie elaborazioni concettuali – indubbiamente innovative – come una interpretazione del pensiero platonico capace di sciogliere le aporie di cui il filosofo ateniese era stato rimproverato nel corso della storia del pensiero42. Porfirio nella Vita di Plotino ci fornisce preziose informazioni riguardo alla attività di studio del circolo plotiniano, in cui un ruolo centrale era rivestito dalla lettura dei testi dei filosofi antichi – 40
Nel commento agli Analitici Primi è ad esempio frequente la polemica contro gli Stoici e la loro pretesa che le inferenze da loro studiate ampliassero la trattazione della sillogistica aristotelica. Alessandro si oppone con nettezza a questa pretsa. 41 Cfr. Hadot [1998], pp. 3-10. Il breve saggio, dal titolo “Philosophie, exégèse et contresens”, era stato pubblicato per la prima volta nel 1968. 42 Cfr. in proposito il giudizio di Chiaradonna [2009], p. 177: “tutto o quasi nasce, nella filosofia di Plotino, dall’esegesi dei dialoghi di Platone”.
22 Luca Gili soprattutto Platone e Aristotele – e dei commenti che erano stati composti intorno a questi testi: 'En d8 ta‹j sunous…aij ¢neginèsketo m8n aÙtù t¦ Øpomn»mata, e‡te Seb»rou e‡h, e‡te Kron…ou À Noumhn…ou À Ga…ou À 'Attikoà, k¢n to‹j Peripathtiko‹j t£ te 'Aspas…ou kaˆ 'Alex£ndrou 'Adr£stou te kaˆ tîn ™mpesÒntwn (Porph., Vita Plotini, p. 14, ll. 10-14). Alessandro di Afrodisia, nominato in questo passaggio di Porfirio, fu uno dei maggiori esponenti di questo nuovo modo di “fare filosofia”, che si pone come fortemente diverso rispetto alle elaborazioni dell’età di Platone e di quell’Aristotele i cui testi sono per Alessandro l’occasione e il punto di partenza per le proprie elaborazioni. A questo punto è opportuna tuttavia una precisazione. La tesi storiografica per la quale la prassi del commento costituisce un nuovo “modo di fare filosofia” ha indubbiamente un certo fascino e incontra oggi un certo favore tra gli studiosi. Questa tesi ha tuttavia due elementi che è bene sfumare. (i) Spesso si afferma che i filosofi tardoantichi non volevano essere originali, benché finirono per essere tali. Questo è in parte vero, ma è anche importante rilevare che un autore come Alessandro di Afrodisia, sebbene si considerasse un aristotelico, era tuttavia consapevole della novità di molte delle posizioni che assumeva e non di rado si opponeva ad insigini esponenti della sua stessa tradizione filosofica, come Teofrasto, per difendere la propria interpretazione del testo dello Stagirita. (ii) Alle volte si dice che il nuovo modo di fare filosofia nasce dal confronto con i testi degli antichi e non più in base ad una elaborazione autonoma. Tuttavia il confronto con le posizioni filosofiche degli autori precedenti non è certo una particolarità del periodo tardoantico: nella recente e giusta riscoperta del pensiero dei commentatori si trascura a volte il fatto che anche Aristotele si confrontava con Platone, Platone con Parmenide etc., come in tempi più recenti Hegel si è confrontato con Kant, Marx con Hegel e così via. Ciò che ha di peculiare la stagione filosofica del tardoantico è piuttosto il genere letterario del commento, nelle cui pieghe spesso si celano risultati originali; d’altra parte il genere stesso impone fedeltà e aderenza al testo interpretato. Con Alessandro assistiamo perciò indubbiamente ad un nuovo modo di fare filosofia, che tuttavia lascia la propria originalità celata all’interno di un genere che si propone di non essere affatto originale. Anche in questo aspetto è possibile apprezzare la statura filosofica di Alessandro. Il commentatore di Afrodisia era consapevole di questo cambiamento nel modo di praticare la ricerca filosofica e lo afferma commentando un brano dei Topici (cfr. Top. A, 2, 101 a26-35), in cui lo Stagirita descriveva la pratica dialettica delle discussioni filosofiche del suo tempo: Ãn d8 sÚnhqej tÕ toioàton edoj tîn lÒgwn to‹j ¢rca…oij, kaˆ t¦j sunous…aj t¦j ple…staj toàton ™poioànto tÕn trÒpon, oÙk ™pˆ bibl…wn ésper nàn (oÙ g¦r Ãn pw tÒte toiaàta bibl…a), ¢ll¦ qšseèj tinoj teqe…shj e„j taÚthn gumn£zontej aØtîn tÕ prÕj t¦j
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 23 ™piceir»seij eØretikÕn ™pece…roun, kataskeu£zontšj te kaˆ ¢naskeu£zontej di’™ndÒxwn tÕ ke…menon (cfr. Wallies [1891], p. 27, ll. 12-16). Secondo Alessandro Aristotele sostiene che la trattazione dialettica (dialektik¾ pragmate…a) è utile per le esercitazioni (prÒj te gumnas…an) che si dovevano svolgere per essere pronti a dibattere con le armi della dialettica. Questo modo di fare filosofia – che sembra quello testimoniato dai dialoghi di Platone43 – era proprio degli antichi, i quali trovavano perciò utile fare questi “esercizi dialettici”. Questa pratica sembra tuttavia dettata da una necessità estrinseca, non da ragioni concettuali: a differenza dei contemporanei di Alessandro, gli antichi non possedevano quei libri su cui sarebbe poi stato possibile studiare ed erano perciò costretti a rivolgersi ad una modalità alternativa di fare esercitazioni logiche. Gli antichi filosofi cercavano infatti, nei loro incontri di discussione, di stabilire o di confutare una affermazione con i mezzi offerti dalla dialettica, al fine di stabilire che cosa fosse corretto sostenere e che cosa fosse invece sbagliato. Al tempo di Alessandro ciò non era più necessario, perché questi argomenti dialettici erano stati raccolti negli scritti di Aristotele e di Teofrasto (cfr. Wallies [1891], p. 27, ll. 17-18: kaˆ œsti d8 bibl…a toiaàta 'Aristotšlouj te kaˆ Qeofr£stou gegrammšna œconta t¾n e„j t¦ ¢ntike…mena di' ™ndÒxwn ™pice…rhsin). Alessandro di Afrodisia nelle sue opere di commento ai trattati aristotelici ha cercato di ripresentare le dottrine dello Stagirita, seguendo la struttura che governa, secondo gli Analitici Posteriori, il discorso scientifico44: una serie di assiomi, un 43
Questa almeno sembra essere l’opinione di Alessandro, che poco più avanti riporta, approvandolo, un brano tratto dal Parmenide (cfr. Plat., Parm. 135 D), in cui si consiglia la pratica della dialettica per la conoscenza della verità (cfr. Wallies [1891], p. 29, ll. 2-5: sun®dei toÚtJ kaˆ tÕ ØpÕ Pl£twnoj e„rhmšnon ™n tù Parmen…dV tÕ “œqison sautÕn kaˆ gÚmnason m©llon di¦ tÁj dokoÚshj ¢cr»stou enai kaˆ kaloumšnhj ØpÕ tîn pollîn ¢dolesc…aj, ›wj œti nšoj e%i: e„ d8 m», diafeÚxeta… se ¹ ¢l»qeia”). Dato che la dialettica a cui Platone si riferisce sembra proprio quella che anima i discorsi di Socrate e di Parmenide in questo dialogo, sembra lecito concludere che il Parmenide (e probabilmente anche gli altri dialoghi platonici) dovevano costituire una testimonianza, per Alessandro, della pratica da parte dei filosofi antichi di quelle “esercitazioni dialettiche” di cui parla anche Aristotele in Top. A, 2, 101 a25-35. 44 Il contributo più importante in questo senso è costituito da Bonelli [2001], che prende in esame il commento di Alessandro a Metafisica G per rinvenire in esso questa struttura espositiva “assiomatica”, che si avvale della sillogistica come teoria di deduzione; questa interpretazione è stata poi ripresa e condivisa in un interessante contributo di Kevin Flannery (cfr. Flannery [2003], pp. 117-134). Nella sua pur pregevole monografia, Bonelli tuttavia non si domanda perché Alessandro abbia scelto una esposizione di questo tipo. Anche se è vero che una tale teoria della scienza si incontra negli Analitici Posteriori, ciò non implica che, nella spiegazione della Metafisica, non si possa fare ricorso ad una teoria della deduzione differente, come molti hanno sostenuto (si pensi agli studi di T. Irwin, secondo il quale la scienza dei principi si avvale di procedure argomentative dialettiche). Bonelli sembra anzi eludere il problema quando sostiene che l’interpretazione di Alessandro, che distingue la teoria della deduzione della metafisica dalla dialettica “permette di
24 Luca Gili genere “soggetto” della scienza, la deduzione degli attributi per se dell’ente studiato mediante inferenze sillogistiche a partire dagli assiomi propri della scienza. È stato giustamente notato che questo procedimento costituisce molto spesso una forzatura del testo aristotelico. La critica tuttavia non ha sufficientemente chiarito perché Alessandro abbia ritenuto legittimo e doveroso procedere in questo modo nella sua opera di commento. Il fatto che il commentatore abbia voluto dare una interpretazione “sistematica” dell’intero corpus aristotelicum non sembra una ragione sufficiente a spiegare la centralità rivestita, nell’intera produzione alessandrista, dal paradigma scientifico presentato da Aristotele negli Analitici Posteriori45. Il passo del commento di Alessandro ai Topici, richiamato poco sopra, contribuisce in modo decisivo alla risposta a questa domanda. Il commentatore di Afrodisia era infatti consapevole della proprio ruolo di “docente” di una dottrina di cui – a suo giudizio – egli non aveva contribuito alla elaborazione. Alessandro non distingue mai il proprio punto di vista da quello dello Stagirita e questo ci conferma nell’impressione che il commentatore non fosse consapevole di portare un contributo innovativo e originale alla filosofia – o comunque non ambisse a farlo. Egli trovava la dottrina che intendeva insegnare nei testi di Aristotele (e di Teofrasto). Ma dato che gli Analitici Posteriori dovevano costituire in qualche modo la linea guida che spiegava come ogni scienza dovesse essere insegnata – dato che Aristotele era abbastanza ottimista sul fatto che tutte le scienze, alla sua epoca, avessero dimostrato le verità a loro proprie, seguendo un metodo quasi mai coincidente con la struttura espositiva prevista dagli Analitici – Alessandro era dunque naturalmente spinto dal suo ruolo di “professore” di filosofia aristotelica a risolvere […] in modo elegante” il problema posto da Met. G, 2, 1004 b17-26, in cui Aristotele distingue l’attività dei dialettici da quella del filosofo (cfr. Bonelli [2001], p. 243). Bonelli sembra perciò credere che la posizione alessandrista sia una ricostruzione filologicamente corretta della posizione aristotelica circa la teoria della deduzione impiegata nella metafisica (cfr. Bonelli [2001], pp. 243-245). Certamente il fatto che Alessandro cerchi di riportare a una forma sillogistica la dimostrazione della validità del principio di non contraddizione conferma la lettura di Bonelli, ma ciò non toglie che l’interpretazione alessandrista possa essere considerata con buoni argomenti una forzatura del testo aristotelico, che non sembra presentare esplicitamente tale struttura sillogistica (cfr. in proposito Flannery [2003], pp. 120-121, n. 12). 45 Alessandro ha infatti interpretato opere come la Metafisica alla luce della teoria della scienza esposta negli Analitici Posteriori (cfr. Bonelli [2001], pp. 39-79). Ma in linea teorica era possibile anche fare l’operazione inversa: interpretare cioè la teoria della scienza presentata in particolare negli Analitici Posteriori, alla luce della Metafisica e del suo metodo “dialettico”: la teoria della deduzione, propria di ogni scienza, che ne risulterebbe dovrebbe essere capace in questa prospettiva di accogliere anche la “dialettica”. Questa linea senza dubbio costituisce una possibile interpretazione dell’aristotelismo, dato che lo Stagirita stesso si impegna a ridurre la dialettica alla sillogistica (cfr. Anal. Pr. A, 30-31). Credo quindi che il criterio della sistematicità non sia sufficiente di spiegare questa scelta di Alessandro, di considerare paradigmatico il modello di scienza offerto negli Analitici Posteriori.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 25 seguire il modello degli Analitici Posteriori nella ripresentazione delle scienze. In qualche modo la sua funzione sociale e il modo stesso in cui Alessandro concepisce l’attività didattica (come risulta in modo assai chiaro da Wallies [1891], p. 27, ll. 12-16) lo indussero ad assumere il modello di esposizione scientifica degli Analitici Posteriori come paradigma per i suoi stessi commenti, in cui egli spiegava i trattati che contenevano le varie scienze aristoteliche. Come vedremo, questa impostazione generale gioca un ruolo determinante nel commento agli Analitici Primi, in cui Alessandro legge la esposizione della sillogistica avendo in mente il modello assiomatico delle scienze: ciò che Aristotele propone all’inizio degli Analitici Primi è infatti funzionale alla dimostrazione di ciò che è proposto in seguito, come gli assiomi servono a dimostrare i teoremi e dai teoremi si derivano i corollari. L’attenzione di Alessandro è inoltre rivolta ad evitare che Aristotele si serva di elementi dottrinali non ancora esposti o dimostrati, proprio perché l’andamento del discorso deve essere scientifico. Le caratteristiche del commento alessandrista, che la letteratura critica ha già esplorato e messo in luce, trovano in questa prospettiva la loro ragion d’essere. La sillogistica d’altra parte è considerata da Alessandro la teoria deduttiva propria di tutte le scienze: qui riposa l’unità profonda degli Analitici Primi e Posteriori e ciò giustifica in generale l’importanza che gli Analitici Primi assumono nell’opera di esegesi di Alessandro di Afrodisia. Tornerò su questo tema nel seguito di questo lavoro. Un’altra caratteristica notevole del commento di Alessandro, già evidenziata da Robert Todd46, consiste nel fatto che egli consultava più manoscritti del testo aristotelico, alla ricerca di lezioni varianti che possano appianare la lettura di un passo difficile o controverso (cfr. ad esempio in Anal. Pr. p. 9, ll. 10-20; p. 144, ll. 5-6; p. 151, l. 15; p. 210, ll. 30-34; p. 304, ll. 13-17; p. 320 l. 14). Questa attenzione alle lezioni varianti doveva derivargli dalla tradizione di commento filologico ai testi letterari intrapresa dalla scuola di Alessandria in periodo ellenistico e diffusasi sempre più in periodo imperiale47. Alessandro in alcuni casi propone anche delle correzioni al testo tradito dai suoi manoscritti, quando gli sembra che nessuna interpretazione possa salvare il senso di un passo controverso48 (segnala spesso infatti che una frase o una parola è incoerente o oscura). Talvolta crede che si tratti di un banale errore del copista49; 46
Cfr. Todd [1976], p. 15. Sull’attività filologica di Alessandro cfr. Moraux [1986]. Anche Hermann Bonitz in Bonitz [1842], pp. 84-131 faceva interessanti osservazioni sull’attività filologica sul testo della Metafisica da parte dei commentatori antichi e di Alessandro di Afrodisia in particolare. Questo saggio di Bonitz è particolarmente prezioso per l’abbondante numero di testi che elenca e discute. 48 Cfr. in proposito Moraux [1986], pp. 136-137. 49 Si veda in proposito in Anal Pr. p. 151, ll. 14-22: œstai ¢lhqèj tÕ ‘d…poun tinˆ kinoumšnJ ™x ¢n£gkhj oÙc Øp£rxei’. prÒskeitai d8 tù ¢ntigr£fJ tÕ d…poun mšson kat¦ t¾n toà 47
26 Luca Gili spesso suggerisce lezioni alternative che possono appianare il testo, anche se non le ritrova nei suoi manoscritti (cfr. Hayduck [1891], p. 54, ll. 11-13; p. 186, l.31p. 187, l. 6; p. 223, ll. 23-28; p. 251, ll. 2-6; p. 267, ll. 14-21; p. 357, ll. 24-30; p. 368, ll. 7-15). Nel proprio commento alla Metafisica di Aristotele dice che molte lezioni sono state discusse ed emendate da altri esegeti: ciò dimostra l’esistenza di una attività filologica precedente ad Alessandro, almeno per ciò che riguarda la Metafisica, ed è un chiaro segno della volontà di Alessandro di attribuire a se stesso solo le congetture di cui è autore, ascrivendo ad altri quelle che sono state da lui trovate nei commenti che leggeva (cfr. di nuovo Hayduck [1891], p. 46, l. 23- p. 47, l. 1; p. 59, ll. 7-8, in cui la congettura, ascritta a Eudoro e a Evarmosto, è rifiutata da Alessandro, a favore della lezione attestata da Aspasio; p. 75, l. 26-p. 76, l. 1; p. 224, ll. 17-19). La discussione filologica delle varianti attestate dai manoscritti di cui Alessandro era in possesso non ha una funzione autonoma rispetto all’opera di esegesi filosofica. I criteri per stabilire la lezione migliore sono sempre fondati sul contenuto delle lezioni discusse, non su dati puramente materiali come richiesto dalla filologia odierna (posizione nello stemma codicum, lectio difficilior, codices antiquiores etc.)50. Simplicio in una occasione, citando il commento di Alessandro alla Fisica, afferma che il commentatore di Afrodisia avrebbe preferito la lezione scartata da Aspasio51. Simplicio non ci fornisce le ragioni per le quali Aspasio avrebbe gr£fontoj kat' ¢rc¦j tÕ bibl…on diamart…an· oÙ g¦r tÕ d…poun de‹ mšson Óron ¢ll¦ tÕ zùon enai. kaˆ toàto kaˆ ™n tÍ tîn Órwn paraqšsei dhloàtai· prîton g¦r toà d…podoj ™mnhmÒneusen œqoj œcwn a„eˆ ™pˆ toÚtou toà sc»matoj Ûsteron tiqšnai tÕn mšson Óron. de‹ oân ¹ge‹sqai lšgesqai ™p' aÙtoà oÙ d…poun mšson ¢ll¦ zùon mšson· e„ g¦r tÕ d…poun e‡h mšson, oÙdšteroj tîn e„rhmšnwn Órwn, oÜte tÕ kinoÚmenon oÜte tÕ zùon, tinˆ aÙtù ™x ¢n£gkhj oÙc Øp£rxei. 50 Il dato materiale nella critica del testo è valorizzato specialmente dal metodo di Lachmann, che “esige, per essere applicato con successo, una trasmissione dei testi puramente meccanica, perché è esso stesso prevalentemente e, direi, quasi puramente meccanico” (Pasquali [1934], p. 111). L’odierna critica del testo ha superato certe unilateralità un simile approccio, pur conservando comunque una notevole attenzione al dato materiale. Sui limiti del metodo di Lachmann cfr. Timpanaro [2004], pp. 129-160. 51 Cfr. Diels [1882], p. 422, l. 19-p. 423, l. 23: dicîj d8 fšretai ¹ tÁj lšxewj taÚthj graf¾ kat¦ m8n tÕn 'Asp£sion kaˆ Qem…stion kaˆ t¦ poll¦ tîn ¢ntigr£fwn oÛtwj· ¹ d8 toà dun£mei Ôntoj, Ótan ™ntelece…v ×n ™nergÍ, oÙc Î aÙtÕ ¢ll’Î kinhtÒn, k…nhs…j ™sti. kat¦ d8 'Alšxandron kaˆ PorfÚrion oÛtwj· ¹ d¾ toà dun£mei Ôntoj, Ótan ™ntelece…v ti ×n ™nergÍ, ½toi aÙtÕ À ¥llo, Î kinhtÒn, k…nhs…j ™st…n. ode d8 kaˆ t¾n 'Aspas…ou graf¾n Ð 'Alšxandroj, ¢ll’¢ršsketai taÚtV m©llon, æj prostiqe…sV tin¦ kaˆ diafor¦n tÁj kin»sewj. tÕ g¦r aÙtÕ À ¥llo proske…menon dhlwtikÒn ™sti toà tin¦ m8n k…nhsin ™x ˜autoà ™nšrgeian enai kat¦ tÕ dun£mei, æj t¾n aÜxhsin kaˆ me…wsin œndoqen oâsan, kaˆ t¾n kat¦ tÒpon
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 27 preferito la sua lezione – perché probabilmente non le riferisce Alessandro nel suo commento alla Fisica, che è sicuramente la fonte da cui Simplicio trae la notizia riguardo al testo stabilito da Aspasio. Simplicio critica la scelta di Alessandro principalmente per ragioni contenutistiche, ma ci informa anche che la lezione accolta da Aspasio (e da Temistio) era trasmessa da molti codici (t¦ poll¦ tîn ¢ntigr£fwn, Diels [1882], p. 422, l. 20). Probabilmente questa notizia era ricavata dallo stesso Alessandro, il quale presumibilmente la derivava da Aspasio, che sembra più interessato alla discussione del testo. Se questa ipotesi è corretta, Aspasio avrebbe perciò seguito in questo caso un criterio “materiale” per stabilire il testo. Alessandro al contrario ritiene preferibile la lezione alternativa perché aggiunge un particolare che l’altra non contiene e che gli sembra più opportuno nel contesto (cfr. Diels [1882], p. 422, ll. 24-26: o%ide d8 kaˆ t¾n 'Aspas…ou graf¾n Ð 'Alšxandroj, ¢ll’¢ršsketai taÚtV m©llon, æj prostiqe…sV tin¦ kaˆ diafor¦n tÁj kin»sewj). È quindi evidente in questo testo come il metodo di lettura del testo fosse sensibilmente diverso fra Aspasio e Alessandro. Pur nel comune desiderio di fornire una base filologica alla propria esegesi, il primo sembra privilegiare il dato materiale per stabilire il testo corretto, mentre il commentatore
fusik¾n for¦n kaˆ t¾n kaq' Ðrm¾n tîn zówn met£basin· Øp' ¥llou dš, æj t¦ b…v kinoÚmena kaˆ t¦ kat¦ tšcnhn p£nta ginÒmena. kaˆ œsti tÕ m8n ™nerge‹n tÕ d8 ™nerge‹sqai. koinÕn d8 ™p' ¢mfo‹n ¹ ™nšrgeia ¹ kat¦ tÕ dun£mei, ¼tij oÙd8n Âtton p£qoj ™stˆn À ™nšrgeia. ™pistÁsai d8 ¥xion, m»pote ¹ b…aioj kaˆ ¹ kat¦ tšcnhn oÙk œsti fusik¾ k…nhsij, nàn d8 perˆ tÁj fusikÁj ™stin Ð lÒgoj, Âj ¢rc¾ ¹ fÚsij. kaˆ g¦r ¹ b…aioj k…nhsij oŒon ¹ ™pˆ tÕ ¥nw tÁj bèlou oÙd8 kat¦ tÕ dun£mei kaˆ pefukÕj g…netai· oÙ g¦r ¨n Ãn b…aioj, e„ m¾ ¥ra œsti ti kaˆ prÕj tÕ b…v dun£mei kaˆ pefukÒj. oÙd8 g¦r bi£zesqai p©n e„j p©n dÚnatai. m»pote d8 t¦ ™x ˜autîn kinoÚmena oÙk œsti kinoÚmena mÒnwj, ¢ll¦ dipl© Ônta tÕ m8n kinoàn ™n ˜auto‹j œcei tÕ d8 kinoÚmenon· æj ™pˆ tÁj tîn zówn kaq' Ðrm¾n metabatikÁj kin»sewj safîj Ðr©tai kinoàsa m8n ¹ yuc¾ kaˆ ¢k…nhtoj oâsa, kinoÚmenon d8 tÕ sîma. oÛtwj d8 kaˆ tÕ aÙxÒmenon kaˆ tÕ kat¦ tÒpon metab£llon ¥llo m8n œcei tÕ aâxon kaˆ metafšron, e‡te t¾n fÚsin t¾n aÙxhtik¾n kaˆ kat¦ tÒpon kinhtik»n, e‡te kaˆ ¥llo ti Ö kaˆ t¾n fÚsin sunaÚxei kaˆ summetat…qhsin, e‡per kaˆ aÙt¾ kine‹tai oÙc Øf' ˜autÁj. kaˆ e„ taàta krato…h, p£ntwj tÕ kinoÚmenon ™x ¥llou kine‹tai kaˆ oÙk ™x ˜autoà. kaˆ m£lista kat¦ toÝj m¾ boulomšnouj tÕ aÙtok…nhton ™f' ˜nÕj toà aÙtoà qewre‹n, ¢ll¦ mer…zontaj e„j tÕ kinoàn kaˆ kinoÚmenon. kaˆ ‡swj ¢sfalestšra ™stˆn ¹ toà 'Aspas…ou graf». e„ d8 œcei tin¦ lÒgon kaˆ ¹ kat¦ tÕn 'Alšxandron prosq»kh, tÕ ™x ˜autoà oÙc æj ™f' ˜nÕj ¢koustšon, ¢ll’ æj œndon œcontoj tÕ kinoàn a‡tion, e„ kaˆ ¥llo par¦ tÕ kinoÚmenÒn ™stin, æj ¹ yuc¾ kaˆ ¹ fÚsij. kaˆ ¢ntidiaire‹tai toàto tù ™x ¥llou kaˆ œxwqen ™nargîj, æj ™pˆ tîn b…v kaˆ tîn tecnikîj kinoumšnwn Ðr©tai. m»pote d8 tÕ ™x ¥llou o„keiÒterÒn ™stin ™pˆ tîn œxwqen m8n ¢ll¦ fusikîj kinoumšnwn, oŒon Ótan ™x Ûdatoj puroumšnou ¢¾r g…nhtai kaˆ pàr, kaˆ ™pˆ tîn ¢lloioumšnwn. oÙk oda mšntoi, di¦ t… o‡etai Ð 'Alšxandroj taÚtV m©llon tÍ grafÍ sun®dein t¦ ™fexÁj legÒmena À tÍ ˜tšrv· oÙdamoà g¦r omai tÕ ™x aÙtoà ™n to‹j parade…gmasi diafa…nesqai tecniko‹j oâsin, e„ kaˆ ¹ Øge…a kaˆ ¹ nÒsoj œcei ti fusikÒn.
28 Luca Gili di Afrodisia è in generale più attento al contenuto che le lezioni esprimono per stabilire quale sia la migliore. In conclusione possiamo affermare che la struttura formale del commento alessandrista è in generale molto semplice. Non presenta la ricchezza e la varietà che si incontra nei neoplatonici e ignora la distinzione fra qewr…a (spiegazione generale del senso del testo) e ™xštasij (spiegazione più dettagliata) che questi ultimi praticavano52. Pur soffermandosi talvolta sui problemi di carattere teorico secondo le modalità che abbiamo visto, l’abitudine di Alessandro è di commentare lemma dopo lemma l’intero testo aristotelico, in modo continuato e focalizzandosi sul senso letterale53.
52 Per questa distinzione cfr. ad esempio le informazioni sulla modalità di insegnamento di Plotino che ci fornisce Porfirio, Vita Plot., p. 14, ll. 14-16: 'Elšgeto d8 ™k toÚtwn oÙd8n kaq£pax, ¢ll' ‡dioj Ãn kaˆ ™xhllagmšnoj ™n tÍ qewr…v kaˆ tÕn 'Ammwn…ou fšrwn noàn ™n ta‹j ™xet£sesin. Cfr. su questo testo Hadot [1998], pp. 4-5. 53 Cfr. a questo proposito Sharples [1990], pp. 95-96.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 29 2. Le fonti di Alessandro di Afrodisia Naturalmente il primo autore con cui Alessandro si confronta direttamente è Aristotele. Fra i testi dello Stagirita egli predilige le opere di scuola e cita solo raramente i dialoghi destinati alla pubblicazione. Nel commento agli Analitici Primi incontriamo citazioni soltanto dalle opere esoteriche: Categorie, De Interpetatione, Topici, Analitici Posteriori, Metafisica, Etica Nicomachea, Retorica, Historia animalium54. L’opera più citata, oltre agli stessi Analitici Primi, è il De Interpretatione, perché Alessandro è convinto che l’ordine con cui si presentano le opere logiche dello Stagirita55 è motivato da ragioni didattiche e pedagogiche. Probabilmente la consuetudine di scuola in cui erano lette le opere di Aristotele al tempo di Alessandro indusse quest’ultimo ad attribuire allo stesso Stagirita l’intenzione che fossero lette in quell’ordine, di modo che le nozioni di filosofia fossero apprese in modo graduale e conseguente. Alessandro, se deve spiegare un luogo oscuro, molto facilmente si riferisce a ciò che Aristotele ha detto in un passo precedente della stessa opera o in opere che precedono quella che sta commentando in quel momento. Il ricorso a tesi che lo Stagirita enuncia in seguito, per spiegare ciò che è detto prima, era evidentemente praticato dai commentatori antichi, perché Alessandro enuncia spesso la possibilità esegetica di spiegare un passo alla luce di un altro che lo segue. Tuttavia egli esclude sistematicamente la eventualità che questa sia la interpretazione corretta, proprio perché sarebbe immetodica e sbagliata da un punto di vista sia didattico che concettuale56.
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Cfr. Wallies [1883], pp. 424-426. Categorie, De Interpretatione, Analitici, Topici, Elenchi sofistici: lo stesso ordine che adottò I. Bekker per la sua edizione e che costituisce quindi anche il “nostro” organon. Sembra che Alessandro abbia commentato tutte le opere logiche di Aristotele. Todd pare escludere che Alessandro abbia mai commentato gli Elenchi sofistici (cfr. Todd [1976], p. 14), ma Sharples riferisce che questo commento era noto agli arabi (cfr. Sharples [1987], p. 1184). 56 Un esempio eloquente, come vedremo, è quello della dimostrazione che lo Stagirita propone delle conversioni delle proposizioni categoriche e modali (cfr. Anal. Pr. A, 2-3). È noto che, particolarmente nel caso delle proposizioni modali, Aristotele è stato accusato di circolarità, perché dimostra la conversione della universale negativa necessaria servendosi della regola di conversione della proposizione particolare affermativa contingente, mentre nella dimostrazione della conversione di quest’ultima si serve della conversione della proposizione universale negativa necessaria. Il vizio qui è concettuale, ma Alessandro nel suo commento si premura di sottolineare che, anche per ragioni didattiche, Aristotele non avrebbe mai potuto spiegare la conversione della proposizione universale negativa necessaria con una conversione che ancora non ha dimostrato (quella della particolare affermativa contingente): per la spiegazione di questa proposizione è possibile ricorrere infatti solo a passi precedenti nella esposizione della sillogistica. Questo esempio di strategia esegetico è paradigmatico perché il problema che il testo aristotelico presenta (almeno agli occhi dei commentatori moderni) è concettuale: la dimostrazione che Aristotele fornisce è scorretta e circolare. 55
30 Luca Gili Aristotele non è tuttavia il solo autore con cui Alessandro si confronta direttamente. Dalla lettura del suo commento emerge con chiarezza che egli si confronta con le diverse interpretazioni che sono state fornite del testo dello Stagirita. Cita esplicitamente Teofrasto e i suoi maestri Ermino e Sosigene. Nei capitoli seguenti cercherò di analizzare la presenza di ciascuno di questi autori nel commento di Alessandro agli Analitici Primi di Aristotele. 2.1 Teofrasto Teofrasto fu allievo di Aristotele e gli succedette come scolarca del Liceo. Le informazioni sulla sua vita ci sono fornite principalmente da Diogene Laerzio (cfr. FHS&G 1), che afferma che morì a 85 anni. Dato che Stratone divenne scolarca del Liceo nella 123° Olimpiade (tra il 288 e il 285 a.C.)57, si può supporre che Teofrasto nacque attorno al 370 a.C.. La sua città natale era Ereso, nella costa sudoccidentale dell’isola di Lesbo. È probabile che abbia conosciuto Aristotele già quando lo Stagirita era membro dell’Accademia. Dell’ampia produzione teofrastea ci sono pervenuti pochi trattati integrali (i Caratteri e il De plantibus). La sua logica deve perciò essere ricostruita sulla base dei frammenti. Dopo una prima monografia sulla logica teofrastea di Bochenski, che raccoglieva molti testi importanti per ricostruire le dottrine dell’Eresiano (cfr. Bochenski [1947]), Luciana Repici ha approntato una nuova raccolta (cfr. Repici [1977]), senza tuttavia produrre una interpretazione complessiva del pensiero logico di Teofrasto. La nuova raccolta con traduzione inglese di tutti i frammenti di Teofrasto, curata da Fortenbaugh, Huby, Sharples e Gutas, ha superato per l’ampiezza dei materiali raccolti le precedenti edizioni dei frammenti dell’Eresiano. Significativa è la presenza di molti testi arabi, che ci conservano importanti testimonianze non ricostruibili altrimenti. Sulla base di questa raccolta sono stati prodotti significativi contributi sulla logica di Teofrasto58. Sulla base di queste ricerche, oggi è possibile apprezzare con maggiore precisione l’importanza che Teofrasto rivestì nella storia dell’aristotelismo antico e tardoantico. Quasi a conferma di ciò, si potrebbe citare un aneddoto, riferito da Aulo Gellio e divenuto poi celebre, sulla scelta di Teofrasto come proprio successore da parte di Aristotele, ormai anziano e malato (cfr. Noct. Att. XIII, 5 = FHS&G 8). Pur lodando sia Eudemo che Teofrasto, lo Stagirita avrebbe preferito quest’ultimo, Per Alessandro questo nodo coincide con il problema che una lettura superficiale del testo attribuirebbe alla spiegazione dello Stagirita un andamento immetodico e disordinato. 57 La fonte di questa informazione è Apollodoro (cfr. F.Gr.Hist. 244 F40); probabilmente anche Diogene Laerzio dipendeva da Apollodoro per le sue notizie (cfr. Mejer [1998], p. 17, n. 50). 58 Cfr. in particolare Mignucci [1998] e l’ampio commento di Pamela Huby e di Dimitri Gutas ai frammenti logici in Huby-Gutas [2007].
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 31 affermando, metaforicamente, che il vino di Lesbo – isola da dove proveniva l’Eresiano – era più dolce di quello di Rodi. L’episodio si conclude rilevando che, dopo la morte di Aristotele, tutti i suoi allievi seguirono Teofrasto: “non diu post Aristotele vita defuncto ad Theophrastum omnes concesserunt” (Aul. Gell., Noct. Att., XIII, 5, 12). Questa osservazione è significativa perché ci mostra quale autorità Teofrasto guadagnò nel Peripato antico, se è vero che tutti gli allievi di Aristotele finirono per divenire suoi seguaci. Aulo Gellio è una fonte che deve essere maneggiata con cura, ma credo rimanga indubbia la tesi che l’aneddoto (verosimilmente inventato) veicolava: l’importanza cioè dell’opera di Teofrasto e la sua capacità di condizionare la storia dell’aristotelismo a lui successivo. È quindi necessario chiedersi quale sia l’influenza esercitata dall’Eresiano nei confronti di Alessandro di Afrodisia. Come ha mostrato Kevin Flannery in modo persuasivo, l’importanza che Teofrasto ricopre per il commento di Alessandro agli Analitici Primi è decisiva ed è seconda soltanto al testo stesso di Aristotele: la frequenza delle citazioni dal filosofo di Ereso sembra indicare un continuo confronto condotto dal commentatore di Afrodisia con le sue opere logiche nel corso di tutto il commento agli Analitici Primi. Nel corso della nostra ricognizione del commento di Alessandro cercherò di portare nuove evidenze testuali per la tesi che Flannery enuncia e che sostanzialmente verifica solo in un caso, quello delle prove per esposizione dei sillogismi validi59. L’esame più ampio dei testi ci porterà poi a definire in modo più chiaro l’attitudine del commentatore di Afrodisia nei confronti del filosofo di Ereso, rinunciando alla facile categoria storiografica della dipendenza priva di rielaborazione e di un vero esame critico su cui sembra fare affidamento Flannery60. Osserviamo in primo luogo che delle molte opere che Teofrasto dovette dedicare alla sillogistica si sono conservati ben pochi frammenti, tramandati per la maggior 59
Cfr. Flannery [1995], pp. 27-30. Flannery nella sua monografia intende accostare l’interpretazione, che Alessandro fornisce dei sillogismi con premesse modali miste, alla trattazione teofrastea del “necessario”. Tuttavia, non trattandosi in questo caso di evidenza testuale, ma di un corollario della più generale analisi che Flannery sviluppa della dottrina alessandrista riguardo ai sillogimi modali misti, credo opportuno rimandare la discussione di questa posizione alla indagine che sarà svolta, nel seguito di questo lavoro, intorno al commento del peripatetico di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 9. 60 Cfr Flannery [1995], p. xxi: “I was first surprised to turn up areas of substantial agreement between Alexander and Theophrastus – and particularly where the current wisdom speaks of disagreement and even oughtright rejection […]. The writings of Aristotle and Theophrastus […] are where Alexander has his roots […]. Alenxander’s thoughts grows out of Aristotle and Theophrastus too […]. In terms of influence in Alexander, Theophrastus is not to be put in the same category with other minor philosophers he might mention”.
32 Luca Gili parte da Alessandro di Afrodisia nel suo commento agli Analitici Primi61. Il nome del filosofo di Ereso occorre 36 volte nel commento agli Analitici Primi. Passi del commento di Alessandro di Afrodisia agli Analitici Primi in cui compare il nome di isogna p. 11, l. 14
p. 31, l. 4
p. 34, l. 15 (oƒ perˆ QeÒfraston)
p. 36, l. 28
Dottrina teofrastea riferita
Frammento nell’edizione FHS&G
Atteggiamento di Alessandro di Afrodisia nei confronti della dottrina teofrastea riferita
Il termine “proposizione” si dice in molti modi
81 A
Alessandro riferisce l’opinione di Teofrasto senza rifiutarla, come appoggio alla propria analisi del termine “proposizione” Alessandro riferisce questa dottrina approvandola
Dimostrazione “più semplice” della conversione delle proposizioni universali negative È superfluo mostrare che se A è disgiunto da B, anche B è disgiunto da A
90 A
90 A
Secondo Alessandro, sarebbe opportuna una ulteriore precisazione: la dottrina dei seguaci di Teofrasto appare infatti imprecisa
Teofrasto ha mostrato la differenza tra la necessità assoluta e la necessità ipotetica
100 A
Alessandro cita questa dottrina per chiarire che la conversione delle proposizioni necessarie vale solo per la
61 Il commento di Giovanni Filopono agli Analitici Primi, che pure ci conserva un buon numero di frammenti di Teofrasto, li deriva da Alessandro di Afrodisia, perché non riporta testi che non si trovino anche nel commento di quest’ultimo.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 33
p. 41, l. 22
p. 66, l. 7
p. 69, l. 27 e p. 70, l. 14
p. 110, l. 13 e l. 21
Teofrasto afferma, in opposizione ad Aristotele, la convertibilità della proposizione negativa del contingente Teofrasto introduce, elencando i sensi di “indefinito”, un senso secondo cui la proposizione particolare negativa può essere considerata indefinita Teofrasto ha aggiunto cinque sillogismi alla prima figura
102 A
Fapesmo e Frisesomorum sono aggiunti ai sillogismi di prima figura
91 B
82 A
91 A
necessità assoluta; evidentemente approva la distinzione teofrastea Alessandro si limita a richiamare la differenza dottrinale tra Aristotele e Teofrasto, rimandando al seguito del proprio lavoro la discussione delle loro posizioni Alessandro ritiene che Aristotele sviluppi la stessa distinzione proposta da Teofrasto e trova opportuno segnalare che anche quest’ultimo la registri nella sua opera “Sulla affermazione” Alessandro osserva che tali sillogismi sono noti anche ad Aristotele, che li menziona nel seguito degli Anal. Pr., ma precisa che i 5 sillogismi di Teofrasto non sono né perfetti né indimostrabili Alessandro sta commentando il cap. A, 7, 29 a19 degli Analitici Primi e rileva che Aristotele menziona in questo contesto due dei sillogismi aggiunti alla prima figura da
34 Luca Gili p. 123, l. 18
Teofrasto, nei suoi Anal. Pr., non dimostra la validità di Baroco LLL e Bocardo LLL per esposizione
104
p. 124, l. 9
Teofrasto (ed Eudemo) rifiutano la validità di Barbara LXL, introducendo, per i sillogismi modali misti, la regola della peiorem
106 A
p. 127, l. 1
Teofrasto (ed Eudemo) accettano la validità di Baroco LQQ
106 C
p. 132, l. 23
Argomenti
106 B
Teofrasto Alessandro approva il procedimento di Aristotele, che in Anal. Pr. A, 8 si avvale della esposizione per queste dimostrazioni di invalidità. Tuttavia l’idea di Teofrasto – che evidentemente sembra ad Alessandro logicamente corretta – è citata senza essere criticata Alessandro critica la posizione di Teofrasto ed Eudemo e sostiene invece la tesi aristotelica secondo cui Barbara LXL è un sillogismo valido, mentre Barbara XLL non lo è Alessandro osserva che accettando la validità di questo sillogismo, è possibile dimostrare per reductio ad impossibile la validità di Barbara LXL. Una dottrina condivisa da Teofrasto e da Aristotele è usata quindi per confutare la tesi che Teofrasto aveva avanzato in opposizione ad Aristotele Alessandro riferisce
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 35 e l. 32
p. 156, l. 29
addotti da Teofrasto a sostegno della regola della peiorem per i sillogismi misti Il terzo senso di “necessario”, per Teofrasto, è il categorico
p. 159, l. 10
Teofrasto accetta la conversione delle proposizioni contingenti negative
p. 173, l. 32 e p. 174, l. 18
Teofrasto (ed Eudemo) aplicano la regola della peiorem anche ai sillogismi misti con una premessa contingente e una categorica Teofrasto afferma che i sillogismi di prima figura con una premessa maggiore universale e una minore universale contingente hanno conclusione contingente
p. 199, l. 8
questi argomenti, ma non li condivide e si oppone ad essi
Il frammento non è registrato in FHS&G (fr. 20b Repici) Il frammento non è registrato in FHS&G (fr. 22b Repici) 107 A
103 B
Alessandro cita gli Analitici Primi di Teofrasto condividendone la distinzione e, altrove (cfr. in Anal. Pr. p. 141, ll. 1-6), la attribuisce ad Aristotele Alessandro segnala la opposizione di questa dottrina con quella difesa da Aristotele, che egli condivide Alessandro segnala la differenza di questa posizione rispetto a quella di Aristotele, ma osserva che la tesi dei seguaci di Teofrasto è ragionevole Alessandro critica questa tesi, difendendo il punto di vista di Aristotele, secondo cui la conclusione non è contingente secondo la definizione
36 Luca Gili
p. 220, l. 9
p. 248, l. 19
p. 263, l. 14
p. 326, l. 8 e l. 10
p. 326, l. 21 e p. 328, l. 3
secondo la definizione Teofrasto (ed Eudemo) affermano che la proposizione universale negativa contingente si converte, come si convertono la corrispondente categorica e necessaria Teofrasto fornisce una prova alternativa della validità di Bocardo QXQ, assumendo che la premessa maggiore sia categorica La premessa ausiliare di un sillogismo ipotetico è da dimostrare mediante un altro sillogismo secondo Teofrasto Teofrasto chiama “analoghi” i sillogismi “totalmente ipotetici” Teofrasto mostra nei suoi Analitici Primi un modo alternativo di ridurre i sillogismi “totalmente
102 A
Alessandro trova più corretta la posizione di Aristotele, secondo cui la proposizione universale negativa contingente non si converte
107 B
Alessandro riferisce questa proposta senza criticarla
112 A
Alessandro accetta questa tesi, che non compare nel testo di Aristotele
113 A
Alessandro si limita a riferire questa dottrina
113 B
Alessandro cita questa dottrina dei sillogismi “totalmente ipotetici” e si limita ad osservare, dopo un excursus ad essa
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 37 ipotetici” ai sillogismi categorici standard p. 340, l. 14 e l. 20
Teofrasto ha scritto due trattati sulla riduzione dei sillogismi alle figure e sull’analisi dei sillogismi
97
p. 367, l. 13
Riguardo al tema della predicazione è citato il trattato “Sulla affermazione” di Teofrasto
88
p. 378, l. 14 e l. 20; p. 379, l. 9
Si introduce la dottrina delle proposizioni “proslettiche” elaborata da Teofrasto
110 A
p. 388, l. 17 e p. 390, l. 2
Teofrasto, Eudemo e altri
111 E
dedicato, che è opportuno fornirne una trattazione a parte (cfr. in Anal. Pr. p. 328, l. 6) Alessandro condivide la dottrina contenuta in questi trattati, a noi nota tramite il suo riassunto, e sembra basarsi su di essi per strutturare il suo commento Alessandro afferma che Teofrasto esamina con maggiore ampiezza i temi che Aristotele ha trattato nel De Interpretatione: le dottrine dello Stagirita e dell’Eresiano sembrano quindi fra loro in accordo Alessandro cita il trattato “Sulla affermazione” del filosofo di Ereso, in cui si dice che secondo Aristotele le proposizioni proslettiche equivalgono alle proposizioni categoriche standard. Alessandro condivide la interpretazione di Aristotele fornita da Teofrasto Alessandro osserva che Aristotele accenna
38 Luca Gili compagni di Aristotele hanno sviluppato la sillogistica ipotetica
p. 397, l. 2
Si introduce la dottrina delle proposizioni “per trasposizione”
87 A
alla sillogistica ipotetica, ma non la affronta in nessuno dei testi di cui lui era in possesso e crede probabile che lo Stagirita non l’abbia mai trattata in modo esaustivo. Gli sembra quindi ragionevole ricorrere ai testi dei primi Peripatetici per ricostruirla Alessandro ritiene che Teofrasto abbia coniato soltanto il nome per proposizioni negative nella forma, ma affermative in realtà, che Aristotele ha trattato nel De Interpretatione. Anche in questo caso l’Eresiano e lo Stagirita sembrano sostenere la medesima dottrina
Dall’analisi di questi passi è possibile concludere che Alessandro di Afrodisia approva e condivide le tesi logiche proposte da Teofrasto quando esse, a suo giudizio, non contraddicono il testo aristotelico; Alessandro le fa proprie specialmente quando possono risultare utili per una lettura caritatevole degli Analitici Primi, tesa ad appianarne le contraddizioni interne. Al contrario il commentatore si distanzierebbe dal filosofo di Ereso principalmente in due occasioni: a) nel caso dei sillogismi modali misti (sia del necessario che del contingente), in cui Alessandro rifiuta la regola della peiorem, che costringe Teofrasto a negare la validità di sillogismi ritenuti validi dallo Stagirita, e b) nel caso della conversione delle proposizioni contingenti, in cui il peripatetico di Afrodisia rimane fedele al dettato di Anal. Pr. A, 3 e nega che le contingenti negative si convertano (tesi difesa invece da Teofrasto). Si potrebbe
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 39 perciò concludere che Alessandro si distacchi da Teofrasto, quando quest’ultimo si allontana dalla ortodossia aristotelica. Questa lettura, a prima vista ovvia, implica tuttavia dei presupposti che mi sembra legittimo porre in discussione. Occorrerebbe infatti concedere, nella prospettiva delineata da questa interpretazione, che la teoria sillogistica sviluppata da Teofrasto abbia in sé elementi aristotelici ed elementi antiaristotelici. Questa tesi è stata effettivamente avanzata da Bochenski, secondo il quale Teofrasto non intende proporre una interpretazione della sillogistica modale dello Stagirita, ma un sistema ad esso alternativo: “die teophrastische Theorie der modalen Syllogismen [ist] ein ganz neues System, das in den fundamentalen Annahmen jenem des Aristoteles, wie es scheint, entgegengesetzt ist”62. Il bisogno di novità e di contrapposizione alla sillogistica modale di Aristotele sembra effettivamente nascere da problemi interni a quest’ultima, specialmente nel caso dei sillogismi modali misti. È per risolvere queste contraddizioni che Teofrasto sviluppò il proprio sistema: questa è senza dubbio una plausibile ricostruzione dell’opera dell’Eresiano, confortata, oltre che dalla sua apparente ovvietà, dall’ampio numerosi di interpreti che l’hanno fatta propria. Altrove tuttavia lo stesso Bochenski afferma, all’opposto, che la logica di Teofrasto è sì il tentativo di continuare le ricerche di Aristotele, ma rimanendo ad esse fedele63. Lo storico della logica polacco non cerca nelle sue opere di mediare fra letture fra loro così diverse del pensiero del filosofo di Ereso ed è probabile che le abbia perfezionate in momenti diversi della sua ricerca storiografica. Il problema tuttavia, come sembra emergere dalle stesse citazioni che Alessandro nel commento agli Analitici Primi fa dall’opera di Teofrasto, sembra in qualche misura ineludibile. Anche per il commentatore di Afrodisia esisterebbe infatti una logica teofrastea in accordo con quella aristotelica – che anzi in molti punti risulta perfezionata dal contributo dell’Eresiano – accanto ad altre tesi logiche niente affatto compatibili col dettato degli Analitici Primi. La sillogistica dell’Eresiano si presterebbe quindi ad una duplice lettura per Alessandro di Afrodisia, tanto quanto per I. Bochenski. Questa interpretazione è naturalmente problematica per più fattori: a) in primo luogo sembrerebbe preferibile attribuire a Teofrasto una intenzione coerente nello sviluppare la sua logica (perché si afferma che ora Teofrasto intende essere fedele ad Aristotele, ora intende distanziarsene); b) sulla base delle informazioni in nostro possesso, come si chiarirà in seguito, non sembra poi legittimo attribuire a Teofrasto il desiderio di fondare un sistema filosofico e una logica alternativi rispetto a quelli di Aristotele. 62 63
Bochenski [1956], p. 116. Cfr. Bochenski [1947], pp. 125-126.
40 Luca Gili Per comprendere come Alessandro abbia recepito il pensiero di Teofrasto, occorre innanzi tutto chiedersi quale era l’idea che nel periodo tardoantico si aveva dei rapporti tra l’Eresiano e lo Stagirita. Si pensava forse che Teofrasto fosse un fedele interprete di Aristotele, le cui opere avrebbe letto secondo una “ermeneutica della continuità”? O la sua non fu piuttosto una “ermeneutica della rottura”, che portò deliberatamente alla creazione di un sistema filosofico radicalmente innovativo?64 Una lettura della logica di Teofrasto che tendeva ad evidenziare la continuità fra le sue ricerche e quelle del suo maestro, che sarebbero stati uniti da una dottrina logica comune, era stata proposta nella tarda antichità da Boezio. Accostarci alla lettura dei passi di Boezio in cui questo tema è affrontato è per noi essenziale; spero infatti di dimostrare che la fonte da cui il filosofo latino trae il proprio giudizio è proprio Alessandro di Afrodisia. Nel proprio commento al De Interpretatione dello Stagirita, il senatore romano formula questo giudizio: “et quod Theophrastus, ut in aliis solet, cum de simili bus rebus tractat, quae scilicet ab Aristotele tractata sunt, in libro quoque De adfirmatione et negatione isdem aliquibus verbis utitur, quibus hoc libro [scilicet: De interpretatione] Aristoteles usus est. Idem quoque Theophrastus dat signum hunc esse Aristotelis librum: in omnibus enim, de quibus ipse disputat post magistrum, leviter ea tangit quae ab Aristotele dicta ante cognomi, alias vero diligentius res non ab Aristotele tractatas exsequitur” (Meiser [1880], p. 12, ll. 312 = FHS&G 72 A). La testimonianza di Boezio, sebbene sia relativa al trattato “Sulla affermazione” di Teofrasto, che doveva trattare argomenti affini a quelli affrontati dallo Stagirita nel De Interpretatione, costituisce una preziosa informazione riguardo al modo in cui l’opera di Teofrasto era rapportata a quella di Aristotele nello periodo tardoantico. Boezio segnala la cura con cui Teofrasto evita di opporsi al maestro, qualora quest’ultimo si sia già pronunciato su un argomento; d’altra parte, secondo il filosofo romano, l’Eresiano tende ad ampliare i temi che lo Stagirita aveva toccato solo in modo cursorio o che potevano rimanere oscuri a causa dello stile estremamente conciso che era a lui proprio. Si direbbe in definitiva che Teofrasto agli occhi di Boezio appaia come un prosecutore dell’opera di Aristotele, senza dubbio dotato di notevole finezza interpretativa, ma non un filosofo con una 64
Come è noto le espressioni “ermeneutica della continuità” e “ermeneutica della rottura” sono entrate nell’uso a partire dal discorso del papa Benedetto XVI alla Curia romana del 22 dicembre 2005, che si riferiva, con queste parole, alle opposte recezioni del Concilio Vaticano II. Mi prendo la libertà di usarle anche in un contesto del tutto diverso, perché la dialettica fra opposte ermeneutiche, che le parole del papa sintetizzano così chiaramente, ritorna, a mio giudizio, anche nel contesto della recezione nel periodo tardoantico dei testi appartenenti alla tradizione aristotelica.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 41 elaborazione dottrinale autonoma, originale ed al limite in conflitto con quella dello Stagirita. Il dato forse più interessante che ci dà questo testo è il contesto entro il quale Boezio inserisce la propria osservazione storiografica. Le prime pagine del proprio commento al De Interpretatione di Aristotele sono infatti dedicate alla difesa dell’autenticità di quest’opera, che era stata messa in dubbio da Andronico di Rodi. Nello sviluppare queste riflessioni Boezio si attiene allo schema isagogicum del commento tardoantico, che prescriveva di stabilire l’autenticità di un’opera (tÕ gn»sion) qualora essa fosse stata contestata. Il filosofo latino osserva che Alessandro di Afrodisia aveva sostenuto, contro Andronico, l’autenticità di quest’opera (cfr. Meiser [1880], p. 11, ll. 13-15: “Andronicus enim librum hunc Aristotelis esse non putat, quem Alexander vere fortiterque redarguit”) ed aveva prodotto numerosi argomenti a sostegno della sua tesi (cfr. Meiser [1880], p. 11, ll. 30-32: “his Alexander multa alia addit argumenta, cur hoc opus Aristotelis maxime esse videatur”). Non sorprende quindi che anche Alessandro seguisse questo schema isagogicum, che, come abbiamo visto, era già noto sicuramente ad Origene nei suoi commentari biblici. Alla affermazione secondo cui Alessandro produsse “multa alia argumenta” segue una breve serie di tesi a sostegno dell’autenticità del De Interpretatione, che con ogni probabilità Boezio derivava proprio dal Proemio di Alessandro di Afrodisia al proprio commento, per noi perduto, a questa opera dello Stagirita. Tra gli argomenti che il filosofo romano elenca a sostegno dell’autenticità del De Interpretatione, figura anche la vicinanza dei temi del De Interpretatione con quelli affrontati nel trattato “Sulla affermazione” da Teofrasto: poiché quest’ultimo non si distacca mai, secondo Boezio, dalle dottrine del suo maestro, è legittimo supporre che anche il De Interpretatione sia un’opera di Aristotele. Da dove poteva derivare Boezio questo giudizio della vicinanza di Teofrasto allo Stagirita, se non dalla stessa fonte – che pensiamo essere Alessandro – da cui deriva tutti gli argomenti a favore dell’autenticità del De Interpretatione? In altre parole, ritengo che sia molto plausibile ipotizzare che Boezio derivi il suo giudizio sulla aderenza di Teofrasto alla dottrina di Aristotele dallo stesso Alessandro di Afrodisia. Supporre che sia stato Alessandro a formulare questo giudizio intorno al rapporto fra Teofrasto ed Aristotele non deve sorprendere. Nel suo commento ai Topici, infatti, Alessandro affiancava i testi dell’Eresiano a quelli di Aristotele e riteneva che la dialettica doveva essere appresa a partire da essi. Teofrasto non figura insomma come una figura secondaria, ma ai suoi scritti sembra assegnata la stessa autorità che rivestono per Alessandro i Topici dello Stagirita65. L’ipotesi che 65
Cfr. Wallies [1891], p. 27, ll. 12-18: Ãn d8 sÚnhqej tÕ toioàton edoj tîn lÒgwn to‹j ¢rca…oij, kaˆ t¦j sunous…aj t¦j ple…staj toàton ™poioànto tÕn trÒpon, oÙk ™pˆ bibl…wn ésper nàn (oÙ
42 Luca Gili Boezio dipenda da Alessandro nell’accostare e nell’avvicinare gli insegnamenti di Teofrasto a quelli di Aristotele è confermata poi dal fatto che nel suo trattato De syllogismo categorico Severino Boezio pronuncia un giudizio su Teofrasto piuttosto diverso, che sembra piuttosto mettere in luce l’apporto originale del filosofo di Ereso rispetto alla sillogistica sistematizzata da Aristotele. Il senatore romano afferma infatti che nel proprio trattato ha seguito per lo più lo Stagirita e in alcuni punti ha esposto le dottrine di Teofrasto (cfr. Thomsen Thörnqvist [2008], p. 101, ll. 6-8 = PL, t. 64, col. 829 D: “haec de categoricorum syllogismorum introductione Aristotelem plurimum sequens et aliqua de Theophrasto uel Porphyrio mutuatus, quantum parcitas introducendi permittebat, expressi”). Da ciò sembra seguire che, secondo Boezio, se le dottrine teofrastee sono complementari a quelle dello Stagirita, in molti punti non sono sovrapponibili. Non resta perciò che concludere che il giudizio sull’opera di Teofrasto che troviamo nel Proemio al commento di Boezio al De Interpretatione si debba alla fonte che il filosofo romano stava compendiando – molto verosimilmente ad Alessandro di Afrodisia. Questa evidenza, relativa al perduto commento al De Interpretatione di Alessandro, ci pone però nella necessità di spiegare l’atteggiamento spesso cauto da parte del commentatore di Afrodisia nei confronti della sillogistica modale dell’Eresiano. Il problema che ci si presenta sembra essere di difficile soluzione. È vero che Teofrasto sostenne una opinione diversa rispetto a quella dello Stagirita riguardo ai sillogismi modali misti e quindi, se Alessandro intendeva seguire la dottrina di Aristotele, non poteva che distaccarsi dall’Eresiano. Tuttavia il commentatore di Afrodisia avrebbe potuto mediare fra queste due posizioni configgenti, come era solito fare fra testi in interna tensione concettuale di Aristotele o anche, talvolta, fra le spiegazioni che l’Eresiano aveva fornito di una dottrina aristotelica e quelle genuinamente formulate dallo Stagirita66. Occorre comprendere le ragioni profonde di questo mutato atteggiamento, che lo indusse ad opporsi alle tesi teofrastee. Per ottenere questo obiettivo, sono necessarie alcune osservazioni preliminari.
g¦r Ãn pw tÒte toiaàta bibl…a), ¢ll¦ qšseèj tinoj teqe…shj e„j taÚthn gumn£zontej aØtîn tÕ prÕj t¦j ™piceir»seij eØretikÕn ™pece…roun, kataskeu£zontšj te kaˆ ¢naskeu£zontej di' ™ndÒxwn tÕ ke…menon. kaˆ œsti d8 bibl…a toiaàta 'Aristotšlouj te kaˆ Qeofr£stou gegrammšna œconta t¾n e„j t¦ ¢ntike…mena di' ™ndÒxwn ™pice…rhsin. 66 Si prenda ad esempio il caso della “dimostrazione” della conversione delle proposizioni universali negative categoriche. Molti degli elementi che Teofrasto aveva introdotto nella sua “prova più semplice”, come la “separazione” dei termini A e B che compaiono come soggetto e predicato nella proposizione da convertire, ritornano nella esegesi alessandrista della lettera di Aristotele, sebbene lo Stagirita non vi alluda affatto nel proprio testo (cfr. in Anal. Pr. p. 31, l. 4-p. 35, l. 19).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 43 È innanzi tutto necessario stabilire con maggiore esattezza quale fosse storicamente l’atteggiamento di Teofrasto nei confronti di Aristotele. Se la pregevole ma datata ricerca di Joseph Bochenski conservava le ambiguità della lettura di Alessandro di Afrodisia (da cui è probabile che inconsapevolmente dipendesse), alcuni contributi più recenti hanno permesso di considerare la questione sotto una nuova luce. Mario Mignucci, in un saggio documentato e stimolante, ha sostenuto l’originalità e la profondità delle dottrine logiche elaborate da Teofrasto67. Tuttavia, mentre possiamo considerare una acquisizione storiografica molto convincente il riconoscimento del notevole spessore del pensiero logico dell’Eresiano, mi sembra piuttosto un pregiudizio interpretativo la connessione che Mignucci tenta tra il valore dell’opera di Teofrasto e la sua originalità. La nuova prospettiva inaugurata da Marwan Rashed negli studi di storia della tradizione aristotelica sembra presentare una chiave interpretativa feconda anche in questo caso68. Quello di Teofrasto sembra essere uno dei molteplici “aristotelismi possibili” che si sono avvicendati nella storia del pensiero. In particolare la presentazione aporetica di molti temi concettuali è indicativa del tentativo teofrasteo di proseguire la ricerca filosofica nei settori che Aristotele non aveva affrontato o in quelle dottrine che risultavano problematiche nelle diverse trattazioni che ne aveva fornito lo Stagirita69 . La stessa controversa dottrina dei sillogismi modali misti del necessario, che Teofrasto considera invalidi, può essere vista come il tentativo di risolvere un problema che investe all’intero corpus aristotelicum, più che uno specifico contributo dell’Eresiano alla soluzione di una difficoltà logica che riguarda soltanto gli Analitici Primi. Fino ad ora gli interpreti hanno pensato che Teofrasto si opponesse ad Aristotele sul problema dei sillogismi modali misti, perché hanno ritenuto che l’Eresiano si preoccupasse soltanto di formulare la propria versione della dottrina che lo Stagirita ha espresso in Anal. Pr. A, 970. Questa particolare interpretazione è stata senza dubbio favorita 67
Cfr. Mignucci [1998]. Cfr. Rashed [2007], in particolare pp. 6-18 per la versione dell’aristotelismo sviluppata da Teofrasto. 69 Rashed segnala tra le dottrine su cui il pensiero di Aristotele è più difficile da interpretare la cruciale teoria metafisica della “sostanza”. Buona parte della Metafisica di Teofrasto è consacrata alla discussione della natura dei “principi” della realtà e la cifra dell’intero trattato è l’andamento aporetico. Marlein van Raalte, nel suo ampio commento a quest’opera, si sofferma sul carattere “dialettico” di questo procedimento (cfr. van Raalte [1993]). 70 Cfr. Prantl [1855], pp. 371-372; Maier [1900], vol. II, t. I, pp. 124-136; Bochenski [1947], pp. 7987; Łukasiewicz [1958], pp. 184-188; McCall [1963], pp. 15-18; Rescher [1964], pp. 172-175; Mignucci [1965], pp. 227-277; Patterson [1989], pp. 6-10; Mignucci [1998], pp. 44-65; Huby [2002], pp. 86-87; Thom [2003], pp. 23-24; Ebert-Nortmann [2007], pp. 117-118. Paul Thom tuttavia, pur inserendosi nella tradizione interpretativa secondo cui “the theory of Theophrastus and Eudemus 68
44 Luca Gili dall’ottica con cui molti commentatori si sono rivolti a questi testi: una prospettiva che ha indotto molti interpreti a considerare la teoria aristotelica dei sillogismi modali misti o come irrimediabilmente confusa, o come bisognosa di una interpretazione che ne salvasse la plausibilità. La interpretazione di Teofrasto, quindi, è vista come il primo segnale della difficoltà che questa specifica dottrina presenta dal punto di vista squisitamente logico. Ma non c’è ragione di pensare che l’Eresiano trovasse difficile sottoscrivere questa dottrina in se stessa: è infatti molto probabile che ciò che lo indusse alla propria manovra esegetica fosse la frizione tra il passo di Anal. Pr. A, 9 e la teoria della dimostrazione, che sembra richiedere che, se la conclusione è necessaria, le premesse devono essere necessarie71. Non si può d’altra parte sottovalutare il ruolo di Alessandro nel diffondere questa immagine della teoria di Teofrasto circa i sillogismi modali misti. Il commentatore di Afrodisia costituisce infatti la fonte principale per la nostra ricostruzione del pensiero dell’Eresiano intorno a questo tema e presenta deliberatamente la tesi di quest’ultimo nel contesto del proprio commento ad Anal. Pr. A, 9. Isolandola quindi dal contesto entro il quale la interpretazione di Teofrasto assumeva senza dubbio una sua “plausibilità aristotelica”, Alessandro riesce facilmente nel tentativo di dimostrare che l’allievo di Aristotele ha in realtà difeso (ed intendeva esplicitamente difendere) una dottrina differente rispetto a quella del maestro. Ciò giustifica, agli occhi del commentatore di Afrodisia, il rifiuto della interpretazione teofrastea ed inevitabilmente condiziona il lettore moderno, portato quasi inconsapevolmente a condividere la prospettiva alessandrista riguardo alla teoria di Teofrasto sui sillogismi modali misti, che proprio da Alessandro ci è descritta e riferita. L’estensione ai contesti modali della regola della peiorem (formulata da Aristotele in Anal. Pr. A, 24 per i sillogismi categorici), doveva invece essere un corollario di una riflessione di più ampio respiro sui testi dello Stagirita condotta dall’Eresiano72. Questo corollario aveva certamente l’implicita conseguenza di constitutes a clear and a principled challenge to Aristotle’s authority in modal syllogistic”, afferma anche – in accordo con la interpretazione che cerco di difendere – che l’intento di Teofrasto era comunque di rimanere fedele allo spirito della sillogistica modale dello Stagirita (cfr. Thom [2003], p. 23: “Theophrastus and Eudemus thought that […] the Aristotelian position should be that a necessity-conclusion follows only from premises all of which are necessity-propositions”). 71 Cfr. Anal. Post. A, 6, 74 b26-39. Aristotele ammette che si possa derivare una conclusione necessaria a partire da premesse non necessarie, ma la derivazione sembra accidentale, come quando si deriva il vero da premesse false (cfr. Anal. Post. A, 6, 75 a1-4). 72 La interpretazione che propongo in questa sede mi sembra difficilmente conciliabile con quanto Pamela Huby ha sostenuto in Huby [2002], in cui afferma che molto probabilmente Teofrasto ed Eudemo scrissero i loro trattati di logica quando Aristotele era ancora vivo. L’evidenza di questo fatto sarebbe data da alcuni brani degli Analitici Primi che sembrano fuori luogo e che, secondo
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 45 invalidare alcuni modi ritenuti validi da Aristotele (come ad esempio Barbara LXL), ma con ogni probabilità Teofrasto doveva ritenere tutto ciò ragionevole per fare senso di altri testi, che ai suoi occhi dovevano senza dubbio avere una maggiore importanza. Queste osservazioni potrebbero rimanere ipotesi senza un riscontro oggettivo se Aristotele non avesse effettivamente formulato negli Analitici Posteriori una teoria della scienza che sembra difficilmente conciliabile con la sua dottrina intorno ai sillogismi modali misti. Lo Stagirita sostiene infatti che la scienza ¡plîj ha per oggetto il necessario e perciò, se si vuole dimostrare una proposizione necessaria, occorre che il medio – che è la causa esplicativa della conclusione – sia anch’esso necessario. Ciò significa che il medio deve essere connesso di necessità sia all’estremo maggiore che all’estremo minore: il maggiore deve infatti inerire per se al medio e il medio deve inerire per se al minore73. È evidente che se il paradigma del sillogismo con conclusione necessaria viene ad essere la dimostrazione scientifica, quale è descritta dallo Stagirita negli Analitici Posteriori, non c’è più spazio per sillogismi come quelli modali misti del necessario introdotti in Anal. Pr. A, 9. Essi saranno certamente validi74 , ma inutili in una scienza che si avvale soltanto di sillogismi con premesse e conclusione necessarie. In un suo precedente studio sulla logica modale di Teofrasto Mario Mignucci aveva segnalato la plausibilità di questa interpretazione. “L’Eresiano” osserva Mignucci “nel tentativo di adeguare sempre più la sillogistica ad 3rganon della scienza, non considera più l’estremo minore del sullogismÒj come mero ed Huby, sono repliche dello Stagirita agli argomenti di Teofrasto e di Eudemo. I passi in questione sarebbero Anal. Pr. A, 15, 34 b7-18 (che, secondo Bochenski [1947], p. 81 non era noto a Teofrasto quando questi componeva i propri Analitici Primi), A, 3, 25 b19-24, A, 13, 32 b4-22. La tesi di Huby, per quanto affascinante, manca in verità di una solida difesa testuale, perché né Teofrasto né Eudemo sono mai citati negli Analitici Primi. Si potrebbe infatti anche ipotizzare che se i passi elencati dalla Huby fossero stati effettivamente scritti da Aristotele, probabilmente dovremmo concludere che le contraddizioni interne al testo che questi passi comportano sono il segno di un ripensamento dello Stagirita intorno ad un medesimo problema. Teofrasto potrebbe quindi avere scelto, come linea interpretativa, una delle possibili soluzioni al problema della sillogistica modale che Aristotele già aveva prospettato nel suo testo: con questa scelta era peraltro possibile evitare quelle difficoltà che indubbiamente questi passi comportano e che hanno spinto Becker ad atetizzarli. Questa lettura mi pare più plausibile di quella proposta da Huby perché, se quest’ultima ha ragione, sembrerebbe che Aristotele sposa in più punti le tesi dei propri allievi; ma se questo fosse vero, non si vede per quale ragione – secondo la stessa Huby – costoro abbiano sentito l’esigenza di elaborare una teoria logica alternativa alla sua. Bisognerebbe concludere, per evitare tale contraddizione, che Eudemo e Teofrasto composero i loro Analitici Primi prima della redazione definitiva di quelli dello Stagirita e che poi non siano più tornati sulle proprie opere dopo la morte del maestro. Per quanto Huby paia sposare proprio questa tesi, ritengo che una simile lettura sia altamente improbabile. 73 Cfr. in particolare Anal. Post. A, 4, 73 a21-24; A, 6, 74 b26-39; A, 6, 75 a28-37. 74 Cfr. Anal. Post. A, 6, 75 a1-11.
46 Luca Gili indeterminato soggetto del termine medio, ma lo concepisce come gšnoj Øpoke…menon, come il soggetto della dimostrazione che al limite coincide con l’oggetto stesso della scienza e della ricerca”75. In quest’ottica la interpretazione teofrastea dei sillogismi modali misti risulta pienamente giustificata e, paradossalmente, “aristotelica”: è legittimo infatti negare la validità di Barbara LXL (ammessa da Aristotele in Anal. Pr. A, 9), proprio perché, secondo lo stesso Aristotele, il medio deve essere il soggetto della dimostrazione e quindi deve appartenere necessariamente ad entrambi gli estremi, se le premesse esprimono l’inerenza al soggetto della scienza di alcune sue proprietà essenziali. Teofrasto volle dunque essere un fedele discepolo di Aristotele. Perché mai Alessandro non lo considerò tale? È molto probabile che Alessandro avesse intuito questa intenzione di Teofrasto, considerandolo sicuramente molto autorevole per la sua vicinanza ad Aristotele; ma al tempo stesso il commentatore di Afrodisia rimase consapevole che l’Eresiano fu (perché tale volle essere) soltanto un interprete del pensiero dello Stagirita e non una fonte autoritativa, come per il commentatore erano i testi stessi di Aristotele. Teofrasto era per Alessandro una sorta di interprete di Aristotele: come Alessandro riconosceva se stesso fallibile nel suo lavoro di esegesi del testo dello Stagirita, tale doveva essere ai suoi occhi anche un discepolo sicuramente privilegiato, perché conobbe il maestro, ma pur sempre fallibile, come fu Teofrasto. C’è tuttavia un ulteriore elemento che può illuminare il ruolo di mediazione svolto da Teofrasto nella recezione del pensiero aristotelico fra i peripatetici di età imperiale. L’edizione di Andronico di Rodi delle opere di Aristotele si 75
Mignucci [1965], p. 276. Mignucci proseguiva il suo studio osservando come questa impostazione sia in verità opposta alle vere intenzioni dello Stagirita, che avrebbe piuttosto voluto sviluppare la sua sillogistica in modo autonomo, prescindendo dall’impiego di essa come teoria deduttiva delle scienze. Teofrasto avrebbe quindi in questo senso “tradito” l’autentica filosofia della logica sviluppata da Aristotele. “La riduzione della logica aristotelica a semplice metodologia della scienza avvenuta nell’interpretazione di Teofrasto è infine confermata dal parallelo slittamento operato dall’Eresiano nell’ambito della metafisica del suo maestro: […] il discepolo di Aristotele ha caricato la problematica sull’essere, sulla sostanza, sulle cause di un dimensione cosmologica che gli ha fatto smarrire la prospettiva autenticamente metafisica in cui si muove la speculazione dello Stagirita. […] In questa componente scientista che emerge nei più vari aspetti della speculazione di Teofrasto è forse la chiave per spiegarne la personalità filosofica” (Mignucci [1965], p. 277). La prospettiva storiografica di Mignucci, che opera in questo quadro della logica teofrastea e lo porta a dipingerla come contrapposta a quella dello Stagirita (analisi che ritornerà in Mignucci [1998]), sembra superata dai più recenti contributi, che invece sottolineano la fedeltà allo spirito della filosofia aristotelica da parte dell’Eresiano e la possibilità di inserirlo all’origine dei vari “aristotelismi” che si sono avvicendati nella storia del pensiero. Tuttavia il dato testuale richiamato da Mignucci è molto significativo e, paradossalmente, sembra proprio confermare che per Teofrasto il punto di partenza fu sempre il testo di Aristotele.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 47 accompagnò infatti, molto probabilmente, ad una riscoperta degli scritti di Teofrasto. Dato che questi scritti appartenevano alla stessa biblioteca, poteva sembrare piuttosto naturale pensare, quando Andronico condusse il suo lavoro, che tali scritti esprimessero la stessa dottrina filosofica o comunque un sistema filosofico composito, ma omogeneo. Come ho cercato di mostrare altrove76, l’aristotelismo di Boeto di Sidone (contemporaneo di Andronico e forse suo discepolo), anche per ciò che riguarda la sillogistica, era senza dubbio fortemente influenzato dal pensiero di Teofrasto. Si può supporre che gli aristotelici del I sec. a.C. si sentissero parte di quella stessa tradizione interpretativa cui Teofrasto stesso era appartenuto e che il loro compito fosse formare un sistema compatto di dottrina, capace di raccogliere gli affinamenti concettuali dovuti a questa tradizione esegetica. Perché mai Alessandro si sentì in dovere di rompere tale tradizione e di giudicare i lavori di tutti questi esegeti (e di Teofrasto stesso) alla luce dei testi di Aristotele? Si sarebbe infatti tentati di dire che Alessandro fu pienamente inserito nella tradizione aristotelica a lui immediatamente precedente e che noi possiamo solo a fatica ricostruire, a causa della scarsità delle fonti. Alessandro, infatti, sicuramente leggeva i testi di questi aristotelici a lui più vicini e molto probabilmente si deve ai loro commentari se egli è spesso portato ad inserire nel proprio commento ad Aristotele distinzioni concettuali difficilmente rintracciabili negli scritti di quest’ultimo e la cui elaborazione il commentatore attribuisce in più di una occasione a Teofrasto. Per giustificare queste inserzioni di temi non direttamente affrontati nel testo commentato, l’esegeta di Afrodisia fa indubbiamente largo uso della categoria dell’“anticipazione”, secondo la quale Aristotele si mostrerebbe a conoscenza o alluderebbe in più punti a distinzioni e dottrine la cui compiuta elaborazione è in verità teofrastea. Ad esempio la fondamentale distinzione di due sensi di “necessario” (simpliciter ed ex hypothesi), che Alessandro deriva dall’Eresiano77, è rintracciata dal commentatore di Afrodisia anche in Aristotele, Anal. Pr. A, 10, 30 b31-33: “œti k¨n Órouj ™kqšmenon e‡h de‹xai Óti tÕ sumpšrasma oÙk œstin ¢nagka‹on ¡plîj, ¢ll¦ toÚtwn Ôntwn ¢nagka‹on”. In questo testo tuttavia lo Stagirita non parla in modo esplicito di diversi sensi di “¢nagka‹on” e, soprattutto, non usa gli stessi termini usati sia da Teofrasto che da
76
Cfr. Gili [2011]. Cfr. ad esempio in Anal. Pr. p. 36, ll. 27-29: aÛth g¦r oÙc ¡plîj ™stin ¹ prÒtasij ¢nagka…a· dšdeice d8 aÙtîn t¾n diafor¦n kaˆ QeÒfrastoj· oÙ g¦r a„eˆ grammatikÒj ™stin, ¢ll' oÙd' Ð ¥nqrwpoj grammatikÒj.
77
48 Luca Gili Alessandro78. Gli scritti di Teofrasto sono poi considerati determinanti per comprendere la intera struttura degli Analitici Primi (cfr. in particolare in Anal. Pr. p. 340, l. 14 e l. 20), che Alessandro afferma vertere principalmente intorno alla “analisi” delle deduzioni sillogistiche79, come pare sostenesse anche Teofrasto. L’importanza quindi che il pensiero logico del filosofo di Ereso riveste all’interno del commento agli Analitici Primi è certamente fondamentale. E resta evidentemente plausibile l’ipotesi che Alessandro derivi questa notevole attenzione all’opera di Teofrasto dalla tradizione peripatetica a lui precedente, 78
Cfr. in particolare in Anal. Pr. p. 139, l. 29-p. 140, l. 34, in cui viene esposta la distinzione dei sensi di “¢nagka‹on” e nel corso della cui esposizione Alessandro menziona la distinzione teofrastea: “Oti tÁj toiaÚthj oÜshj sumplokÁj oÙk ¢nagka‹on g…netai tÕ sumpšrasma, kaˆ tÍ tîn Órwn paraqšsei de…knusin. ¨n g¦r Ï tÕ m8n A zùon tÕ d8 B ¥nqrwpoj tÕ d8 G leukÒn, tÕ A, Ó ™sti zùon, pantˆ m8n ™x ¢n£gkhj tù B, Ó ™stin ¥nqrwpoj, oÙdenˆ d8 tù G, Ó ™sti leukÒn, Øp£rxei ¡plîj· Ö met¦ paramuq…aj œqhken e„pën ™ndšcetai g¦r tÕ zùon mhdenˆ leukù Øp£rcein· k¨n g¦r toàto m¾ toioàton Ï, ¢ll¦ ¥llo ti toioàton lhfq»setai· Ð d¾ ¥nqrwpoj oÙdenˆ m8n leukù Øp£rxei, oÙ m¾n ™x ¢n£gkhj. dhlîn d8 tÒ te oÙk ™x ¢n£gkhj, kaˆ t… shma…nei ¹ prÒtasij ¹ lšgousa ¥nqrwpon oÙdenˆ leukù, ™p»negken ™ndšcetai g¦r ¥nqrwpon genšsqai leukÒn. Ð g¦r lšgwn ¥nqrwpon mhdenˆ leukù lšgei ‘oÙd8n leukÕn ¥nqrwpoj’, Ö ‡son dÚnatai tù ‘oÙdeˆj ¥nqrwpoj leukÒj’. ¢ll¦ kaˆ e„ ¢lhq¾j e‡h ¹ lšgousa ‘oÙdeˆj ¥nqrwpoj leukÒj’, oÙk ½dh kaˆ ™x ¢n£gkhj œstai tˆj ¥nqrwpoj oÙ leukÒj· mšcri g¦r oá tÕ zùon m¾ Øp£rcei tù leukù, mšcri tÒte oÙd8 ¥nqrwpoj œstai leukÒj, oÙ m¾n ¢eˆ oÙd88 ™x ¢n£gkhj. Di¦ d8 toà e„pe‹n oÙ mšntoi ›wj ¨n zùon mhdenˆ leukù Øp£rcV, éste toÚtwn m8n Ôntwn ¢nagka‹on œstai tÕ sumpšrasma, ¡plîj d' oÙk ¢nagka‹on, di¦ d¾ taÚthj tÁj prosq»khj ™d»lwsen, Óti ™n ta‹j m…xesin, Ótan ¢nagka‹on lšgV g…nesqai tÕ sumpšrasma, tÕ ¡plîj ¢nagka‹on lšgei kaˆ oÙ tÕ met¦ diorismoà, Ó tinej tîn ™xhgoumšnwn tÕn perˆ tÁj m…xewj tîn prot£sewn tÒpon bohqe‹n o„Òmenoi tÍ dÒxV aÙtoà lšgousi f£skontej oÙ tÕ ¡plîj ¢nagka‹on sun£gesqai lšgein aÙtÕn ¢ll¦ tÕ met¦ diorismoà. lšgousi g£r, Ótan tÕ zùon pantˆ ¢nqrèpJ ™x ¢n£gkhj kaˆ ¥nqrwpoj, æj ™n prètJ sc»mati, pantˆ kinoumšnJ À peripatoànti, g…nesqai tÕ sumpšrasma tÕ met¦ diorismoà ¢nagka‹on· zùon g¦r pantˆ peripatoànti À kinoumšnJ, œst' ¨n Ð mšsoj Øp£rcV aÙtù, toàt' œstin ¥nqrwpoj. oÙkšti g¦r tÁj ™l£ttonoj ¢nagka…aj oÜshj g…nesqai toioàton tÕ sumpšrasma· oÙ g¦r e„ tÕ kine‹sqai pantˆ zóJ, kaˆ zùon pantˆ ¢nqrèpJ ™x ¢n£gkhj, kaˆ tÕ kine‹sqai ™x ¢n£gkhj pantˆ ¢nqrèpJ, ›wj ¨n aÙtù tÕ zùon Øp£rcV (yeàdoj g¦r toàto), ¢ll' ›wj d¾ pantˆ zóJ tÕ kine‹sqai. Óti d8 tÕ sumpšrasma mhd8 oÛtwj ¢nagka‹on enai boÚletai, ded»lwken aÙtÕj de…xaj toioàton m8n kaˆ oÛtwj ¢nagka‹on sumpšrasma ginÒmenon ™n deutšrJ sc»mati, <e„> ¹ katafatik», e‡te ¹ <me…zwn e‡te ¹> ™l£ttwn, ™stˆn ¢nagka…a, m¾ lšgwn d8 ™n tÍ toiaÚtV m…xei ¢nagka‹on ¡plîj g…nesqai tÕ sumpšrasma. À e„ kaˆ toàto œlegen ¢nagka‹on Ómoion ™ke…nJ, k¢ke…nJ ¨n proset…qei tÕ m¾ ¡plîj aÙtÕ ¢nagka‹on g…nesqai ¢ll¦ tÕ met¦ diorismoà, æj kaˆ ™pˆ toÚtou. 79 Cfr. in Anal. Pr. p. 7, ll. 25-31: sullogismoÝj e„j toÝj tele…ouj ¢n£gein ¢nalÚein kale‹tai. ¢ll¦ kaˆ t¾n tîn tiqemšnwn sullogismîn e„j t¦ o„ke‹a sc»mata ¢nagwg¾n ¢n£lusin lšgousi. kaˆ kat¦ toàto tÕ shmainÒmenon tÁj ¢nalÚsewj m£lista 'Analutik¦ kaˆ taàta ™pigšgraptai· Øpogr£fei g£r tina ¹m‹n mšqodon ™pˆ tšlei toà prètou, di' Âj toàto poie‹n dunhsÒmeqa. ¢ll¦ kaˆ pîj t¾n tîn ¡plîn sullogismîn e„j t¦j o„ke…aj prot£seij, ™x ïn aÙto‹j tÕ enai, kaˆ aÙtîn, ¢nagwg¾n poie‹n dunhsÒmeqa.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 49 molto permeabile alla recezione delle tesi logiche dell’Eresiano e alla loro integrazione con quelle sviluppate dallo Stagirita. Alessandro tuttavia non cessa di confrontarsi criticamente con questa tradizione. La prassi del commento dottrinale si era già affermata tra gli alessandrini, e il peripatetico di Afrodisia recepisce nella propria opera questa attenzione al testo, studiato con un metodo filologico. L’affidamento a questi strumenti gli consente anche una certa libertà nel confronti della mediazione della tradizione peripatetica. La stessa libertà che Alessandro aveva nei confronti delle tesi dei propri maestri Sosigene ed Ermino era sicuramente all’opera anche nel confronto con Teofrasto. Proprio l’affidamento al metodo filologico garantiva infatti al commentatore di Afrodisia una certa indipendenza da auctoritates diverse dal testo che stava commentando. Pur essendo quindi convinto della fedeltà di Teofrasto alla dottrina dello Stagirita – come sembra emergere dalle affermazioni di Boezio, che è legittimo attribuire alla sua fonte, cioè ad Alessandro – il commentatore di Afrodisia era tuttavia sempre attento a confrontare le opinioni dell’Eresiano con il testo degli Analitici Primi e a distaccarsene, quando esse si presentavano in disaccordo, come evidentemente accade nel caso delle proposizioni modali miste, in cui Teofrasto sembra avere proposto una soluzione a quella che dovette ritenere una aporia del testo aristotelico e non una dottrina affermata dallo Stagirita. Non ci sorprende quindi leggere nel De Interpretatione boeziano che Alessandro si era consapevolmente contrapposto alla tradizione esegetica precedente del testo aristotelico: “Alexander in commentariis suis hac se impulsum causam pronuntiat sumpsisse longissimum expositionis latore, quod in multis ille a priorum scriptorum sententiis dissideret” (Meiser [1880], p. 3, ll. 1-4). Questa opposizione poteva nascere solo dalla certezza che il metodo esegetico seguito da Alessandro lo assicurava circa la possibilità di ricostruire le dottrine autentiche di Aristotele e di potersi opporre a quelle interpretazioni che, alla luce di questa ricostruzione, si rivelavano inadeguate. 2.2 Ermino Ermino fu un aristotelico, che ebbe tra i suoi allievi Alessandro di Afrodisia80. Delle sue opere non ci sono pervenuti che frammenti 81. Difficile è anche stabilire il periodo della sua attività. Il cinico Demonace, che visse fra l’80 d.C. e il 175/180 d.C. ne compose un breve encomio82. Sulla base di alcuni frammenti di Alessandro 80
Cfr. Alex. Aphrod. apud Simpl. In De Coelo, p. 430, ll. 32-33. Cfr. Moraux [1984], pp. 361-398. 82 La notizia ci è conservata nella Vita di Demonace composta da Luciano (cfr. Luc. Vit. Demon. 63). 81
50 Luca Gili di Afrodisia riportati da Simplicio si è supposto che Ermino sia stato allievo di Aspasio83. Tuttavia Simplicio ci dice soltanto che “ `Erm…nou dš”, fhs…n, “½kousa, kaq¦ Ãn kaˆ ™n to‹j 'Aspas…ou ferÒmenon […]” (Simpl. In De Coelo, p. 430, ll. 32-33). Si può quindi ipotizzare che Ermino sia in qualche modo venuto a conoscenza dell’opera cosmologica di Aspasio (senza che ciò implichi un diretto discepolato) e che tale esposizione del pensiero di Aspasio sia stata proposta da Ermino durante le lezioni a cui attendeva anche Alessandro. Inferire da questa scarna notizia che Ermino sia stato allievo di Aspasio è piuttosto difficile. Sulla base comunque delle poche informazioni sicure in nostro possesso possiamo concludere che Ermino fu attivo attorno alla metà del II secolo d. C.. Alessandro è spesso severo nei confronti di Ermino, di cui stigmatizza le interpretazioni fuorvianti e semplicistiche del testo aristotelico. Il commentatore di Afrodisia è al tempo stesso la fonte che ci conserva le tre testimonianze principali riguardo al commento di Ermino agli Analitici Primi. Questi testi in realtà non costituiscono un’esegesi letterale del testo aristotelico, ma sono piuttosto problemi collaterali, che possono sorgere a partire da esso, e a cui Ermino cerca di dare risposta. Non sappiamo in che misura il commento di Ermino si occupasse anche dell’interpretazione della lettera del testo: Alessandro evidentemente seleziona il materiale a cui aveva accesso, e presenta testi in cui le proposte del suo maestro sembrano palesemente in conflitto con il testo di Aristotele. Tuttavia sembra ragionevole pensare che anche Erminio appartenesse a quella tradizione filosoficoesegetica, che comprendeva Boeto di Sidone e a cui apparterrà lo stesso Alessandro di Afrodisia, che si propone di essere esplicitamente “aristotelica” e, conseguentemente, di spiegare Aristotele con Aristotele. La prima testimonianza riportata da Alessandro84 ci conserva il pensiero di Ermino riguardo al rapporto termine maggiore e termine minore nella seconda figura: un tema che Aristotele espone in Anal. Pr. A, 5, 26 b37-38. 83
Cfr. Schmidt [1907], p. 6; Pauly, voce Aspasios 2, vol. II, 1722 (scritta da A. Gercke); der kleiner Pauly, voce Aspasios 1, I, 650 (scritta da H. Dörrie). 84 Cfr. in Anal. Pr. p. 72, l. 27-p. 74, l. 6: tÕ m8n oân lšgein, æj `Erm‹noj o‡etai, ™n deutšrJ sc»mati tÕn me…zona ¥kron enai, ™¦n m8n ¢mfÒteroi Ðmogene‹j ðsin, ïn Ð mšsoj kathgore‹tai, tÕn ™ggÚteron toà koinoà gšnouj aÙtîn (¨n g¦r ðsin oƒ ¥kroi Ôrneon kaˆ ¥nqrwpoj, ™ggutšrw toà koinoà gšnouj aÙtîn, toà zóou, tÕ Ôrneon toà ¢nqrèpou kaˆ ™n tÍ prètV diairšsei, diÕ kaˆ me…zwn ¥kroj tÕ Ôrneon, kaˆ kaqÒlou ™n to‹j Ðmogšnesin Ð oÛtwj œcwn prÕj tÕ koinÕn gšnoj me…zwn), e„ d' een ‡son ¢festîtej ¢mfÒteroi toà koinoà gšnouj æj †ppoj kaˆ ¥nqrwpoj, de‹n ™piskope‹n tÕn mšson tÕn kathgoroÚmenon aÙtîn, t…noj m8n di' aØtÕn kathgore‹tai, t…noj d8 di' ¥llon, k¨n Ï toà m8n di' aØtÕn toà d8 di' ¥llon kathgoroÚmenoj, sugkr…nein tÒn, di' Ön kathgore‹tai toà ˜tšrou, tù, di' Ön kaq' ˜autÕn kathgore‹tai, k¨n Ï ™ke‹noj, di' Ön toà ˜tšrou kathgore‹to, ™ggutšrw toà koinoà gšnouj aÙtîn, kaˆ toàton, oá kathgore‹tai Ð mšsoj di¦ tÕn ™ggutšrw toà koinoà gšnouj, me…zona
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 51 Nella seconda figura il termine medio è predicato in entrambe le premesse, per cui gli estremi non possono essere distinti, come avveniva nella prima figura, in virtù della loro funzione grammaticale (in prima figura, cioè, un estremo è soggetto della premessa e l’altro è predicato). Aristotele dice quindi che il termine maggiore è quello relativo al termine medio (me‹zon d8 ¥kron tÕ prÕj tù mšsJ ke…menon), mentre il termine minore è il più lontano dal termine medio (œlatton d8 tÕ porrwtšrw toà mšsou). Con ogni probabilità Aristotele si riferisce alla posizione spaziale che i termini hanno nei diagrammi che accompagnavano ciascuna figura85. Ermino vuole invece stabilire una priorità per natura dei termini: il maggiore è quindi quello più vicino al “genere”. Moraux ipotizza, alla base di questa teoria, che Ermino leggesse “me‹zon d8 ¥kron tÕ prÕj tù gšnei” invece di “me‹zon d8 ¥kron tÕ prÕj tù mšsJ”, come recano i manoscritti che conservano il testo degli Analitici Primi. È significativo tuttavia che Alessandro non riporti questa variante testuale: sembra quindi lecito supporre che l’intera teoria sia frutto dell’interpretazione di Ermino. Alessandro, piuttosto sbrigativamente, considera la proposta di Ermino inutile e sbagliata (tÕ d¾ taàta lšgein kaˆ zhte‹n kaˆ fÚsei
lšgein (oŒon e„ een oƒ m8n ¥kroi †ppoj kaˆ ¥nqrwpoj, kathgoro‹to d8 aÙtîn tÕ logikÕn kaˆ toà m8n †ppou ¢pofatikîj toà d8 ¢nqrèpou katafatikîj, ™peˆ tÕ logikÕn oÙ kaq' aØtÕ ¢pof£sketai toà †ppou ¢ll¦ di¦ tÕ ¥logon aÙtÕn enai, tÕ d8 logikÕn di' aØtÕ kataf£sketai toà ¢nqrèpou, ™ggutšrw toà koinoà gšnouj aÙtîn ™sti, toà zóou, Ð †ppoj ½per Ð ¥nqrwpoj· œstai d¾ kaˆ Ð †ppoj me…zwn toà ¢nqrèpou ¥kroj ka…toi ‡son ¢festîtoj toà gšnouj toà o„ke…ou aÙto‹j, Óti me…zwn, di' Ön aÙtoà tÕ kathgoroÚmenon kathgore‹to· æj g¦r ¢lÒgou aÙtoà oÙc æj †ppou tÕ logikÕn ¢pof£sketai, toà ¢nqrèpou katafaskomšnou toà logikoà kaq' aØtÒ), e„ d8 m¾ een Ðmogene‹j oƒ ¥kroi ¢ll¦ diaferÒntwn genîn, me…zona aÙtîn qetšon tÕn ™n tù o„ke…J gšnei ™ggutšrw Ônta aÙtîn (oŒon ¨n kathgorÁta… ti crèmatoj kaˆ ¢nqrèpou, me…zwn ¥kroj tÕ crîma· ™ggutšrw g¦r toàto tÁj poiÒthtoj À Ð ¥nqrwpoj tÁj oÙs…aj· ¥tomon g¦r edoj ¥nqrwpoj, tÕ d8 crîma oÜ), ¨n d8 ‡son p£lin ¢pšcwsin ¢mfÒteroi tîn o„ke…wn genîn, ™pˆ tÕn kathgoroÚmenon ™panišnai kaˆ zhte‹n, t…noj m8n aÙtîn di' aØtÒn, t…noj d8 di' ¥llon kathgore‹tai, k¨n Ï, di' Ön kathgore‹tai toà ˜tšrou, ™ggutšrw toà o„ke…ou gšnouj, kaˆ toàton, oá di' ™ke‹non kathgore‹to, me…zona ¹ghtšon ¥kron (oŒon e„ een Óroi leukÕn kaˆ ¥nqrwpoj, tÕ m8n ™n poiù ¥tomon edoj tÕ d8 ™n oÙs…v, kathgoro‹to d8 tÕ logikÕn katafatikîj m8n toà ¢nqrèpou ¢pofatikîj d8 toà leukoà, ™peˆ toà m8n ¢nqrèpou, kaq' Ö ¥nqrwpoj, kataf£sketai, toà d8 leukoà oÙ kaq' Ö leukÕn ¢pof£sketai, ¢ll¦ kaq' Ö ¥yucÒn ™stin, ™peˆ tÕ ¥yucon, di' Ö toà leukoà tÕ logikÕn ¢pof£sketai, koinÒteron kaˆ kaqolikèteron kaˆ ™ggutšrw tÁj oÙs…aj tÁj ¢yÚcou À Ð ¥nqrwpoj tÁj ™myÚcou, kaˆ tÕ leukÕn di¦ toàto me…zwn Óroj toà ¢nqrèpou), tÕ d¾ taàta lšgein kaˆ zhte‹n kaˆ fÚsei deiknÚnai ™n tù deutšrJ sc»mati tÕn me…zona ¥kron prÕj tù perierg…an œcein oÙd8 ¢lhqšj ™sti. 85 Benedict Einarson introdusse per primo l’idea che Aristotele derivasse la terminologia e la struttura delle proprie figure sillogistiche dalla pratica matematica a lui contemporanea (cfr. Einarson [1936]). Alcuni possibili diagrammi che rappresentano ciascuna delle tre figure sono stati proposti da Kneale-Kneale [1962], pp. 71-72, Rose [1968], pp. 23-24.
52 Luca Gili deiknÚnai ™n tù deutšrJ sc»mati tÕn me…zona ¥kron prÕj tù perierg…an œcein oÙd8 ¢lhqšj ™sti, in Anal. Pr. p. 74, ll. 5-6). Il secondo frammento del commento di Ermino agli Analitici Primi è relativo alle prove di refutazione delle connessioni non sillogistiche. Aristotele in queste prove propone sempre due terne di termini che possono essere sostituiti alle lettere che figurano nelle premesse (e nella conclusione). Entrambe le terne rendono vere le premesse, ma una terna rende vera una ipotetica conclusione universale affermativa, l’altra una ipotetica conclusione universale negativa. Evidentemente queste due conclusioni non possono essere simultaneamente vere, perché contrarie. Dunque la connessione non concludeva nulla dal punto di vista sillogistico. Inoltre la proposizione universale negativa, quale conclusione, impediva al tempo stesso ogni ipotetica conclusione particolare affermativa; come la ipotetica conclusione universale affermativa toglieva spazio ad una ipotetica conclusione particolare negativa. Ermino – assieme ad altri commentatori antichi che Alessandro non nomina – riteneva che si potesse dimostrare che queste connessioni non sono sillogistiche anche in un modo alternativo, proponendo cioè due terne di termini che rendessero vere le premesse e concludessero rispettivamente con una universale negativa e con una particolare affermativa. Dato che queste due proposizioni sono contraddittorie, secondo Ermino, per via delle leggi del quadrato, la connessione di premesse che, per terne diversi di termini, ammette entrambe queste proposizioni contraddittorie come ipotetiche conclusioni deve essere ritenuto non sillogistico86. La proposta di Ermino è tuttavia scorretta dal punto di vista logico, perché se fra le possibili conclusioni ottenibili dalle due terne ipotetiche non compare una proposizione universale affermativa, non è possibile escludere che le due premesse in oggetto abbiano, come conclusione sillogistica, una proposizione particolare negativa. Per le leggi del quadrato infatti le proposizioni subcontrarie (particolare affermativa e particolare negativa) possono essere entrambe vere: in altre parole la proposizione particolare affermativa, che Ermino intende derivare con le terne di termini che propone, non è sufficiente a respingere l’ipotesi che la coppia di premesse in oggetto ammetta come conclusione sillogistica una proposizione particolare 86 Cfr. in Anal. Pr. p. 89, l. 31-p. 90, l. 6: tÕ d8 ¹ge‹sqai dÚnasqai diab£llesqai t¦j proeirhmšnaj suzug…aj, k¨n de…xV tij, Óti mhdenˆ kaˆ tinˆ tÕ N tù X, diÒti ¢ntif£seij taàta, æj ¥lloi tš tinej tîn ¢rca…wn kaˆ `Erm‹noj d8 lšgei, (“™f' Âj g¦r suzug…aj, fhs…, t¾n ¢nt…fasin œnesti sunagomšnhn de‹xai, eÜlogon taÚthn mhd8n œlatton ¢sullÒgiston lšgein tÁj, ™n Î t¦ ™nant…a sun£getai· ¢sunÚparkta g¦r kaˆ taàta Ðmo…wj ™ke…noij”) kaˆ parat…qesqai Órouj toà tinˆ ¥yucon, œmyucon, sîma s£rkinon (tÕ g¦r ¥yucon ™myÚcJ oÙden…, sèmati d8 sark…nJ À kaˆ ¡plîj sèmati tinˆ oÙc Øp£rcei, tÕ œmyucon tinˆ sark…nJ sèmati kaˆ ¡plîj tinˆ sèmati Øp£rcei), toàto d¾ oÙdamîj Øgièj oÙd8 aÜtarkej e„j suzug…aj diabol»n.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 53 negativa (proposizione che naturalmente è compatibile anche con l’altra ipotetica conclusione derivata da Ermino, cioè con la universale negativa). Questa considerazione è sufficiente ad invalidare dal punto di vista logico la dimostrazione alternativa di invalidità avanzata da Ermino, ma Alessandro riporta anche dei controargomenti, presumibilmente avanzati da Ermino a sostegno della sua concezione; ad essi il commentatore di Afrodisia replica in dettaglio, mostrandone l’inconsistenza87. Paul Moraux ritiene plausibile che nel proprio commento Alessandro dia conto in modo succinto di una polemica che lo vide contrapporsi al suo maestro Ermino. Questi infatti cercava di argomentare la sua tesi (logicamente insostenibile) a partire dalla reductio ad impossibile, che comporta l’assunzione della contraddittoria della conclusione. Poiché nella prova di invalidità di Ermino una deduzione non sillogistica inferisce proposizioni contraddittorie per terne di termini diverse, la reductio ad impossibile, utile per validare un sillogismo, verrebbe ad essere inservibile in questo caso. Questo sarebbe un segno della invalidità della deduzione. Il ragionamento di Ermino si può esprimere in questo modo. Data una coppia di premesse (AxB e BxC), è possibile inferire rispettivamente, per terne di termini diversi, la conclusione AiC (particolare affermativa) e la conclusione AeC (universale negativa). Se il sillogismo fosse valido, si potrebbe dimostrarne la validità per assurdo. Ma se si assume la contraddittoria della conclusione AeC, non si deriva alcun assurdo (perché AiC è stata derivata, per una terna di termini, da AxB e da BxC); allo stesso modo se si assume la contraddittoria della conclusione AiC, cioè AeC, non si deriva alcun assurdo (perché anche AeC è stata derivata, per una diversa terna di termini, da AxB e da BxC). Ma se il sillogismo non ammette una validazione per riduzione all’assurdo, non può essere valido. Alessandro obietta asciuttamente che questo argomento non inficia la validità della confutazione che Alessandro stesso ha prodotto contro la tesi di Ermino. In effetti Ermino ha dimostrato soltanto che la coppia di premesse AxB e BxC non 87
Cfr. in Anal. Pr. p. 90, l. 28-p. 91, l. 8: Kaˆ pîj, fas…n, oÙk ¢naireq»setai ¹ di’¢dun£tou de‹xij, e„ ™n sullogistikÍ suzug…v dÚnaito de…knusqai t¦ ¢ntike…mena; oÙ g¦r toàto mÒnon œstai sunagÒmenon œti, oá tÕ ¢ntike…menon ¢dÚnaton, ¢ll¦ kaˆ ¥llo ti, oá oŒÒn te de…knusqai kaˆ tÕ ¢ntike…menon. oá Ôntoj oÙkšt’¨n ¹ di’¢dun£tou de‹xij cèran œcoi. e„ g¦r ™n tÍ suzug…v tÍ sunagoÚsV ™pˆ mšrouj katafatikÕn ™n prètJ sc»mati dÚnatai kaˆ kaqÒlou katafatikÕn kaˆ ™pˆ mšrouj ¢pofatikÕn sun£gesqai (oÙdšteron d8 toÚtwn oŒÒn te deicqÁnai di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÁj labÒntwn kaˆ Øpoqemšnwn tÕ ¢ntike…menon toà ™pˆ mšrouj katafatikoà), diab£lloit’¨n ¹ sunagwg¾ æj oÙ cr»simoj. œti doke‹ m8n p£shj sullogistikÁj sumplokÁj de…knusqai tÕ sumpšrasma kaˆ di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÁj, toàto d’oÙc oŒÒn te enai, ™n Î t¦ ¢ntike…mena ¢ll»loij sun£getai· oÙdšteron g¦r tîn ¢ntikeimšnwn ™p’aÙtÁj ¢dÚnaton. À oân oÙdem…a sumplok¾ sullogistik¾ sun£getai sullogistikîj, À oÙ kaˆ tÕ ¢ntike…menon oŒÒn te ¢lhq8j enai.
54 Luca Gili ammette, come conclusione, né AiC né AeC. Ma non ha dimostrato che non si possa costruire, da AxB e da BxC, un sillogismo (che può eventualmente avere una conclusione in AoC). Alessandro evita di esplicitare questa riflessione, ritenendola, probabilmente, pleonastica, perché ovvia. Il terzo ed ultimo frammento del commento di Ermino riportato da Alessandro è relativo ai sillogismi con premesse modali miste88. Alessandro non cita il nome del suo maestro in questa occasione, ma possiamo attribuire ad Ermino la dottrina che il commentatore di Afrodisia espone e confuta per una parallela testimonianza dello pseudo-Ammonio (cfr. Wallies [1899], p. 39, ll. 31-34: `Erm‹noj d' œlegen ¢nagka‹on g…nesqai tÕ sumpšrasma oÙk ¢e… pote, ¢ll' ™p… tinoj Ûlhj· e„ m8n g¦r l£bwmen zùon, ¥nqrwpon, peripatoàn, ¢nagka‹on sun£getai· e„ d8 zùon, ¥nqrwpon, kinoÚmenon, [yeÚdetai ¹] ™ndecÒmenon. di' Ö kaˆ Ð 'Aristotšlhj œfh sumba…nei dš pote). Ermino sostenne che i sillogismi misti del necessario ammessi da Aristotele sono validi solo per alcune terne di termini, ma non per tutte le possibili terne che rendano vere le premesse. Alessandro mostra come Ermino fraintenda il testo aristotelico – che in effetti sembra sostenere una tesi differente – ed è particolarmente duro con questa interpretazione, che in effetti annullerebbe il 88
Cfr. in Anal. Pr. p. 125, ll. 3-33: TÕ m8n oân lšgein mhd8 'Aristotšlhn ™ntaàqa e„rhkšnai ™n ta‹j toiaÚtaij m…xesin ¢nagka‹on g…nesqai tÕ sumpšrasma, ¢ll' ™f’Ûlhj tinÒj, kaˆ toàto pistoàsqai ™k toà oÛtwj e„rhkšnai aÙtÕn sumba…nei dš pote kaˆ tÁj ˜tšraj prot£sewj ¢nagka…aj oÜshj ***· tÕ g¦r pot8 oÙk ™pˆ tÁj m…xewj tÁj toiaÚthj ke‹tai æj pot8 m8n ™n tÍ toiaÚtV m…xei ¢nagka…ou ginomšnou toà sumper£smatoj pot8 d8 oÜ, ¢ll' ™pˆ tÁj m…xewj Ólwj· pot8 g¦r ™n tÍ m…xei tÍ ™x ¢nagka…aj kaˆ ØparcoÚshj ¢nagka‹on g…netai tÕ sumpšrasma· oÙ g¦r ¢e…, ™peˆ m¾ kaˆ tÁj ™l£ttonoj ¢nagka…aj lhfqe…shj ¢nagka‹on lšgei ti sun£gesqai. tÕ oân pot8 toà trÒpou tÁj m…xewj dhlwtikÒn ™stin, oÙ toà ™n tù aÙtù trÒpJ kaˆ tÍ aÙtÍ sumplokÍ pot8 m8n ¢nagka‹on g…nesqai pot8 d8 Øp£rcon tÕ sumpšrasma. kaˆ toàto aÙtÕj safîj ™d»lwse, di' ïn ™pifšrei, lšgwn pl¾n oÙc Ðpotšraj œtucen, ¢ll¦ tÁj prÕj tÕ me‹zon ¥kron, æj toÚtou c£rin tÕ pot8 prosqe…j. kaˆ g¦r gelo‹on tÕ ¹ge‹sqai aÙtÕn di¦ toàto tÕ pot8 lšgein, Óti ™pˆ Ûlhj tinÕj ™n tÍ toiaÚtV sumplokÍ ¢nagka‹on g…netai tÕ sumpšrasma. oÛtwj m8n g¦r oÙd8n ¨n kwlÚoi kaˆ t¦j ¢sullog…stouj suzug…aj sullogistik¦j lšgein potš· eØreq»sontai g¦r ™pˆ Ûlhj tinÕj sun£gousai. ™n goàn tù deutšrJ sc»mati ¹ ™k dÚo kaqÒlou katafatikîn, e„ een oƒ ¥kroi ™p' ‡shj ¢ll»loij, toioÚtwn Órwn e„lhmmšnwn kaqÒlou katafatikÕn sun£xei· ¨n g¦r Ï p©j ¥nqrwpoj zùon, ¢ll¦ kaˆ p©n gelastikÕn zùon, kaˆ p©j ¥nqrwpoj gelastikÕn sun£getai. ¢ll' oÙ diÒti pot8 sun£geta… ti ™pˆ Ûlhj tinÒj, ½dh sullogistik¾ ¹ sumplok». œti d8 e„ toàto ™boÚleto dhloàn, æj œdeixen, œdeixen ¥n, ™f' Âj Ûlhj toàto oÛtwj œcei· toàto g¦r Ãn toà di¦ toàto tÕ pot8 prosteqeikÒtoj. Ð d8 toàto m8n oÙ poie‹, ™pˆ d8 tîn stoice…wn pro£gei tÕn lÒgon, ™f' ïn t¦j kaqolik¦j de…xeij poie‹tai tù mhd8n m©llon tÍde À tÍde tÍ ÛlV dÚnasqai ™farmÒzein. diÕ toàto m8n paraithtšon æj kenÕn pant£pasi. paraithtšon d8 kaˆ t¾n ™pˆ plšon ™xštasin toà legomšnou· e‡rhtai g¦r ¹m‹n ™n to‹j Perˆ tÁj kat¦ t¦j m…xeij diafor©j 'Aristotšlouj te kaˆ tîn ˜ta…rwn aÙtoà gegrammšnoij. oŒj d8 'Aristotšlhj te ™cr»sato prÕj t¾n toà legomšnou p…stin kaˆ oŒj cr»saito ¥n tij parist£menoj tù tÕ legÒmenon Øp' aÙtoà Øgi8j enai, taàta paraqhsÒmeqa.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 55 carattere “logico” e “formale” (cioè valido per ogni materia logica) dei sillogismi misti ritenuti effettivamente validi dallo Stagirita. Nonostante la polemica con Ermino sia particolarmente dura, il fatto che in questa ultima occasione Alessandro eviti di nominarlo ha indotto Moraux a credere che nel commento agli Analitici Primi l’esegeta di Afrodisia abbia attutito i toni che doveva avere assunto nel più giovanile trattato Perˆ m…xewn, in cui verosimilmente Ermino – come pure Sosigene – erano citati per nome. Infatti è da questo trattato che, con ogni probabilità, lo pseudo-Ammonio trasse la propria informazione. 2.3 Sosigene Sosigene fu un peripatetico e, come Ermino, fu maestro di Alessandro di Afrodisia. La sua attività deve quindi essere ascritta attorno alla metà o alla seconda parte del II sec. d. C.. Ci sono pervenuti frammenti dei suoi commenti alle Categorie e agli Analitici Primi, di un trattato astronomico sulle sfere celesti e di un trattato sulla vista, che doveva essere articolato in otto libri89. Alessandro di Afrodisia si riferisce a Sosigene come al proprio maestro (cfr. Hayduck [1899], p. 143, l. 13: Ð did£skaloj ¹mîn Swsigšnhj), ma non per questo gli lesina critiche, nel corso del suo commento agli Analitici Primi, per quanto riguarda la controversa questione dei sillogismi modali con premesse miste. Alessandro aveva con ogni probabilità esposto e discusso le tesi del suo maestro nella monografia dedicata ai sillogismi con premesse miste dal titolo Perˆ tÁj kat¦ t¦j m…xeij diafor©j 'Aristotšlouj te kaˆ tîn ˜ta…rwn aÙtoà (cfr. in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31). Quest’opera, per noi perduta, fu conosciuta direttamente o con la mediazione di altre fonti da Giovanni Filopono, che ne presenta alcuni temi (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 122, l. 27-p. 126, l. 6). L’esegeta cristiano espone le due possibili posizioni di fronte al problema: la prima, avanzata da Aristotele, è di considerare i sillogismi di prima figura con una premessa necessaria e l’altra categorica come concludenti con una conclusione necessaria se e solo se la premessa necessaria è la maggiore; la seconda proposta, propria di Teofrasto e di Eudemo, ritiene invece che tali sillogismi abbiano una conclusione che ha la modalità più debole fra le modalità che compaiono nelle premesse (se quindi una delle due premesse è categorica, la conclusione sarà categorica). Dopo prima questa sezione (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 122, l. 27-p. 123, l. 20), Filopono espone gli argomenti che Aristotele produsse a sostegno della propria posizione (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 123, l. 21-p. 124, l. 8) e la confutazione di questi argomenti da parte di Teofrasto e di Eudemo, che, con il ricorso a controesempi, dimostrarono la 89
Per notizie sulla vita e sui frammenti pervenutici di Sosigene cfr. Moraux [1984], pp. 335-360.
56 Luca Gili insostenibilità di una posizione come quella di Aristotele (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 124, l. 9-p. 126, l. 6). Nell’ultima sezione del proprio commento al lemma Anal. Pr. A, 9, 30 a15-16, Filopono si chiede se non esista la possibilità di difendere la tesi di Aristotele, nonostante la forza degli argomenti che sono stati mossi contro di essa. L’argomento che il commentatore cristiano fa proprio è quello di Sosigene. Quest’ultimo difendeva infatti la tesi di Aristotele, circa la validità di sillogismi misti con conclusione necessaria: nel sostenere questa posizione aristotelica, concorderà con Sosigene anche il suo allievo Alessandro di Afrodisia. Tuttavia l’argomento che i due producono è radicalmente diverso. Per Sosigene occorre richiamare la distinzione dei sensi in cui si dice “necessario”, una distinzione che viene svolta da Aristotele nel De Interpretatione (cfr. De Interpr. 9, 19 a23-26: TÕ m8n oân enai tÕ ×n Ótan Ï, kaˆ tÕ m¾ ×n m¾ enai Ótan m¾ Ï, ¢n£gkh· oÙ mšntoi oÜte tÕ ×n ¤pan ¢n£gkh enai oÜte tÕ m¾ ×n m¾ enai· –oÙ g¦r taÙtÒn ™sti tÕ ×n ¤pan enai ™x ¢n£gkhj Óte œstin, kaˆ tÕ ¡plîj enai ™x ¢n£gkhj). In questo testo lo Stagirita avrebbe sostenuto, secondo Sosigene, che il “necessario” si dice in due modi: a) in senso proprio (kur…wj); b) in senso derivato, sulla base di una supposizione (™x Øpoqšsewj). Quest’ultimo senso a sua volta si divide in due: b.1) “necessario” ex suppositione, quando si ipotizza l’esistenza del soggetto (¨n Øp£rcV tÕ Øpoke…menon); b.2) “necessario” ex suppositione, quando si ipotizza l’esistenza del predicato (¨n Øp£rcV tÕ kathgoroÚmenon). “Necessario” in senso proprio è, secondo Sosigene, un enunciato come (i) “il sole si muove”, che non è legato a nessuna ipotesi (questa osservazione sembra fondarsi sul fatto che il movimento del sole è eterno, come è eterna la esistenza del sole stesso, secondo la cosmologia di Aristotele, e, verosimilmente, di Sosigene). Un esempio del “necessario” b.1) è dato dall’enunciato “Socrate è un animale”, che è necessariamente vero se Socrate esiste; il “necessario” di tipo b.2) si ha invece in un enunciato come “l’uomo seduto è sedente”, la cui necessità riposa sulla congiunzione del predicato: finché quest’ultimo sarà vero, l’intero enunciato sarà necessario. In verità sembra difficile scorgere nel passo del De Interpretatione le distinzioni che Sosigene invoca. Senza dubbio sono presenti nel testo aristotelico osservazioni che indicano la ambiguità del termine “necessario”, ma con ogni probabilità la elaborazione delle distinzioni che Sosigene legge in De Interpr. 9, 19 a23-26 deriva da Teofrasto (cfr. FHS&G 100A-D). È significativo che tutti questi frammenti ci siano conservati da Alessandro di Afrodisia90 , che è, con ogni 90
FHS&G 100A = in Anal. Pr. p. 36, ll. 25-32; FHS&G 100B = in Anal. Pr. p. 156, l. 26-p. 157, l. 2; FHS&G 100C = cod. Escorial 798 Deremburg f. 59r (il manoscritto contiene una versione araba
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 57 probabilità, la fonte di Giovanni Filopono, il quale a sua volta ci conserva l’argomento di Sosigene91. Anche Teofrasto parla di una distinzione fra “necessario” in senso assoluto (¡plîj) e in senso qualificato (met¦ diorismoà; cfr. FHS&G 100A); un terzo senso di “necessario” che individua è il senso del categorico, per cui, quando una cosa è, è impossibile che non sia (cfr. FHS&G 100B). I tre sensi non sono quindi corrispondenti a quelli che Sosigene elencava e se dobbiamo pensare che l’esposizione sia della distinzione di Teofrasto che di quella di Sosigene è stata formulata da Alessandro di Afrodisia, le stesse differenze terminologiche con cui le distinzioni sono formulate portano ad escludere che Sosigene riprendesse senza originalità il pensiero di Teofrasto92 . Pur con questa specificazione, credo tuttavia che sia corretto il rilievo di Paul Moraux, secondo il quale Sosigene, operando questa distinzione, si colloca in una tradizione esegetica del testo aristotelico che risale in ultima istanza a Teofrasto93. Questo rilievo è particolarmente significativo, perché getta una luce sulla stessa strategia di commento di Alessandro. Come abbiamo cercato di mostrare, Alessandro cerca di evitare le digressioni rispetto ai lemmi che commenta e, quando problematizza il testo, ponendolo a confronto con altre opere del corpus aristotelicum o mettendo in dubbio la tenuta logica di una tesi dello Stagirita, è guidato il più delle volte dai rilievi critici di Teofrasto. Quindi, anche se non condivide le conclusioni di quest’ultimo, qualora esse si discostino dalla lettera del testo aristotelico, Alessandro considera l’opera di Teofrasto una fonte preziosa per arricchire il proprio commento.
dell’opera di Alessandro di Afrodisia Confutazione del saggio di Galeno sul possibile); FHS&G 100D = in Anal. Pr. p. 140, ll. 14-18 e p. 141, ll. 1-6. Pamela Huby e Dimitri Gutas, nel loro commento a questi frammenti, aggiungono anche un quinto frammento tratto da una versione ebraica di una versione araba di un presunto commento di Temistio agli Analitici Primi di Aristotele (FHS&G 100E, cfr. Huby-Gutas [2007], pp. 93-94. Dal punto di vista del contenuto questo frammento poco aggiunge agli altri e non si può escludere che Temistio dipendesse da Alessandro di Afrodisia per le sue informazioni sulle distinzioni del “necessario” proposte da Teofrasto. 91 Cfr. Flannery [1995], pp. 99-105, in cui si trova una attenta esposizione della rielaborazione che Alessandro compie dei gradi di “necessità” che Teofrasto elencava. 92 Gli scoli dello pseudo-Ammonio agli Analitici Primi sembrano suggerire, almeno dal punto di vista terminologico, una identificazione fra la distinzione dei sensi di necessario operata da Teofrasto e quella che introdusse Sosigene: Swsigšnhj dé Ð toà 'Alex£ndrou did£skaloj ¢nagka‹on œfh sun£gesqai tÕ kat¦ tÕn diorismÒn· œst’¨n g¦r Ð mšsoj tù ™sc£tJ Øp£rcV, ¢n£gkh kaˆ tÕn me…zona tù ™l£ttoni Øp£rcein (Wallies [1899], p. 39, ll. 24-26). Questo elemento è un ulteriore indizio che indica come ad un certo punto la distinzione fra i sensi del “necessario” sia stata attribuita a Teofrasto e ogni altra distinzione, anche alternativa a questa, come la distinzione di Sosigene, sia stata espressa nei termini della distinzione teofrastea. 93 Cfr. Moraux [1984], p. 341, n. 29.
58 Luca Gili Questo frammento di Sosigene ci mostra come lo stesso maestro di Alessandro adottasse un approccio al testo aristotelico molto simile a quello del suo allievo. La posizione che Sosigene difende è infatti aristotelica e nel suo commento doveva porsi in opposizione alla soluzione offerta da Teofrasto al problema dei sillogismi misti; tuttavia la strumentazione logica che impiega nella propria risposta deriva, in ultima istanza, da alcune distinzioni sul senso di “necessario” tracciate da Teofrasto. Ora, secondo Sosigene la modalità della premessa maggiore di un sillogismo misto è necessaria in senso proprio (kur…wj), mentre la modalità della conclusione è necessaria ™x Øpoqšsewj (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 126, ll. 20-23: Ð 'Alšxandroj […] fhsin […] kaˆ tÕn aØtoà did£skalon Swsigšnhn taÚthj enai tÁj dÒxhj, æj Óti tÕ ™x Øpoqšsewj ¢nagka‹on sun£gei ™ntaàqa Ð 'Aristotšlhj). Sosigene riterrebbe quindi valido un sillogismo di questo tipo: (a) Tutti gli uomini sono necessariamente (kur…wj) animali; (b) Tutti gli italiani sono uomini; (c) Tutti gli italiani sono necessariamente (™x Øpoqšsewj) animali. La premessa maggiore, dato che esprime un rapporto fra essenze, deve essere necessaria in senso proprio. La premessa minore constata invece un dato di fatto: se gli italiani non esistessero, non sarebbero uomini. La conclusione deriva quindi la propria necessità dall’ipotesi che gli italiani esistano (dall’ipotesi cioè che esista il soggetto della premessa minore; e, con buona pace della retorica risorgimentale e poi fascista, l’esistenza degli italiani non è metafisicamente necessaria). Alessandro di Afrodisia, generalmente rispettoso delle tesi difese dal suo maestro Sosigene, critica tuttavia queste tesi nel suo commento agli Analitici Primi94. Secondo Alessandro infatti in un sillogismo misto del necessario la premessa necessaria è modalizzata allo stesso modo della conclusione necessaria e non è possibile ritenere che la conclusione sia necessaria kat¦ tÕn diorismÒn. Alessandro quindi non solo respinge la proposta di Teofrasto e di Eudemo, di estendere la regola della peiorem anche ai contesti modali 95, ma ritiene insufficienti 94
Cfr. in Anal. Pr. p. 140, l. 14-p. 141 l. 16. Il nome di Sosigene non compare (Alessandro non lo cita mai nella porzione pervenutaci del suo commento agli Analitici Primi). Bochenski ritenne che il riferimento polemico del commentatore di Afrodisia fosse Ermino (cfr. Bochenski [1947], p. 80, n. 259). Paul Moraux ha però dimostrato in modo convincente che i tinej tîn ™xhgoumšnwn citati da Alessandro (cfr. in Anal. Pr. p. 140, l. 18) devono essere identificati con Sosigene e con coloro che lo seguirono, come mostrano le testimonianze su Sosigene forniteci dallo psuedo-Ammonio (cfr. Wallies [1899], p. 39, l. 24) e da Giovanni Filopono (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 126, ll. 8-29). 95 I logici medievali codificarono la regola con questa espressione: peiorem semper sequitur conclusio partem. La regola, per la logica categorica, è ricavabile da Aristotele stesso (cfr. Anal. Pr. A, 24), che sostiene che se una premessa è negativa, anche la conclusione lo sarà e che se una premessa è particolare, anche la conclusione lo sarà. È tuttavia Teofrasto il primo a ritenere che la
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 59 a suffragare la tesi di Aristotele gli argomenti avanzati in difesi di quest’ultimo dal suo stesso maestro Sosigene.
regola valga anche per i sillogismi modali: se quindi almeno una delle premesse non è necessaria (non è importante quale), anche la conclusione non lo sarà.
60 Luca Gili 3. La logica come strumento 3.1 La logica come strumento in Aristotele Uno dei primi temi che Alessandro di Afrodisia affronta nel Proemio del suo commento agli Analitici Primi è lo statuto della logica. Si è tentati di cercare di stabilire da quale testo dello Stagirita egli derivi le proprie analisi e le proprie conclusioni, ma Aristotele non affronta mai esplicitamente lo statuto della logica nelle sue opere. A ben vedere non usa nemmeno il termine “logikή [™pist»mh]” o “logikÒj” in relazione a quella disciplina che successivamente, anche in ambito peripatetico, assumerà questo nome96. Aristotele inoltre in Met. E, 1, 1025 b3-1026 a33, dove fornisce una classificazione le scienze, non considera l’analitica, termine con il quale abitualmente designa la disciplina relativa ai sillogismi in generale. Tutte le scienze si dividono in teoretiche, pratiche, poetiche (Met. E, 1, 1025 b25: p©sa di£noia À praktik¾ À poihtik¾ À qewrhtik»). Sembra vano ricercare fra le scienze pratiche o poetiche la analitica. Ed anche la suddivisione interna alle scienze teoretiche non la comprende: troviamo infatti la matematica, la fisica e la teologia97, ma non l’analitica (cfr. Met. E, 1, 1026 a18-19: éste tre‹j ¨n e‹en filosof…ai qewrhtika…, maqhmatik», fusik», qeologik»). Rimane però indiscutibile il ruolo centrale che la analitica e la dialettica (che analizza i sillogismi con premesse endossali) assumono in sede scientifica. Possiamo perciò legittimamente affermare che Aristotele avesse fornito alcuni elementi che indirizzarono Alessandro a sostenere che la logica è strumento di tutte le scienze, ma tale conclusione rimane in larga misura una acquisizione autonoma 96 L’aggettivo “logikÒj” spesso è attribuito ad una ricerca di carattere dialettico: è perciò usato in un senso più ristretto rispetto al senso del termine italiano “logico”, con il quale ci sentiremmo di definire anche una ricerca che adotti la deduzione sillogistica. Per questo uso del termine “logikój” cfr. Top. Q, 12, 162 b27; Met. A, 6, 987 b29 e ss.; Met. L, 1, 1069 a26-28; Met. M, 4, 1078 b23-27. L’aggettivo sembra assumere un significato diverso in Top. A, 14: qui Aristotele specifica che i problemi che possono essere oggetto dell’indagine dialettica e filosofica sono ripartibili in tre settori: etico (ad esempio: “si deve obbedire ai genitori o alle leggi, se queste sono in disaccordo con quelli?”), logico (ad es.: “la scienza dei contrari è la medesima o no?”), fisico (ad es.: “il mondo è eterno o no?”). Ma da questa isolata distinzione di Aristotele non sembra che bisogna ricavare una divisione delle parti della filosofia analoga a quella degli Stoici: infatti nello stesso libro dei Topici, al cap. 11, lo Stagirita distingue chiaramente come parti della filosofia la filosofia teoretica e la filosofia pratica, coerentemente con la sua usuale classificazione delle scienze. Per la questione cfr. comunque Leszl [2004], pp. 71-72. Cfr. anche Weil [1975] per lo statuto della logica nel pensiero di Aristotele in generale a partire dai Topici. 97 Nella teologia sembra che debba essere vista la metafisica, cioè la scienza che ha come oggetto proprio l’oggetto più nobile e, in quanto tale, risulta relativa al divino: cfr. Met. E, 1, 1026 a19-21.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 61 dell’esegeta di Afrodisia, perché lo Stagirita non lo ha mai affermato esplicitamente. Un’altra questione che Alessandro discute nel suo Proemio è quella del titolo degli Analitici Primi. Ogni interprete di Aristotele, posto di fronte a quest’opera, si può infatti chiedere (a) quale sia l’oggetto di indagine degli Analitici Primi e se esso in qualche misura si differenzi dall’oggetto degli Analitici Posteriori, che hanno lo stesso titolo; (b) inoltre può cercare di capire se lo Stagirita concepisse Analitici Primi e Posteriori come parti di una ricerca unitaria, o se invece egli avesse già pensato alla divisione dei quattro libri degli Analitici in gruppi di due libri ciascuno, i Primi, cioè, e i Posteriori. Di seguito cerco di rispondere sinteticamente a questi due interrogativi. (a) All’inizio degli Analitici Primi Aristotele specifica su quale argomento verte la ricerca che sta per intraprendere e a quale disciplina appartiene: la indagine sarà relativa alla dimostrazione e quindi apparterrà alla scienza dimostrativa (prîton e„pe‹n perˆ t… kaˆ t…noj ™stˆn ¹ skšyij, Óti perˆ ¢pÒdeixin kaˆ ™pist»mhj ¢podeiktikÁj, Anal. Pr. A, 1, 24 a10-11). La scienza dimostrativa è l’oggetto della trattazione sviluppata negli Analitici Posteriori (è la scienza infatti che opera mediante [di¦] le dimostrazioni: cfr. Anal. Post. A, 2, 71 b20 e ss.; 4, 73 a21 e ss.; 6, 74 b5 e ss.; B, 19, 99 b16-17)98. Il sillogismo in generale (non il sillogismo dimostrativo) pare invece che debba precedere la trattazione relativa alla scienza della dimostrazione. All’inizio del capitolo 4 del primo libro degli Analitici Primi, Aristotele espone infatti il proprio piano di lavoro in questi termini: Diwrismšnwn d8 toÚtwn lšgwmen ½dh di¦ t…nwn kaˆ pÒte kaˆ pîj g…netai p©j sullogismÒj· Ûsteron d8 lektšon perˆ ¢pode…xewj (Anal. Pr. A, 4, 25 b26-28). Aristotele, con questo passo, sta per intraprendere la esposizione sistematica della sillogistica categorica (Anal. Pr. A, 47), dopo avere chiarito alcune questioni preliminari, come la definizione di “proposizione” o di “sullogismÒj” (Anal. Pr. A, 1) o le leggi per le conversioni delle premesse categoriche e modali (Anal. Pr. A, 2-3). La ragione per cui la trattazione relativa al sillogismo debba precedere quella sulla dimostrazione è spiegata subito dopo dallo Stagirita: prÒteron d8 perˆ sullogismoà lektšon À perˆ ¢pode…xewj di¦ tÕ kaqÒlou m©llon enai tÕn sullogismÒn· ¹ m8n g¦r ¢pÒdeixij sullogismÒj tij, Ð sullogismÕj d8 oÙ p©j ¢pÒdeixij (Anal. Pr. A, 4, 25 b28-31). Da questo testo emerge con chiarezza che la dimostrazione, che era stata menzionata all’inizio dell’opera come il centro della ricerca della trattazione, deve essere rinviata, per lasciare spazio alla discussione del sillogismo, che è più generale: la dimostrazione infatti è un tipo di sillgismo, ma non ogni sillogismo è 98
Cfr. per questo argomento Brunschwig [1981].
62 Luca Gili una dimostrazione. Se quindi gli Analitici Posteriori hanno per oggetto la dimostrazione, il sillogismo sarà dunque l’oggetto dei Primi. (b) Da quanto abbiamo detto, emerge con chiarezza che gli Analitici Primi e i Posteriori sono intesi come gli uni propedeutici agli altri. Ma dato che l’oggetto dei Posteriori è enunciato all’inizio degli Analitici Primi (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 a1011), è evidente che le due opere erano intese da Aristotele come componenti di un’unica trattazione. Non mancano infatti negli Analitici Primi accenni alla teoria della scienza (cfr. ad esempio Anal. Pr. A, 13, 32 b18-24) e sono frequenti nei Posteriori gli esempi che ricorrono ai tipi di sillogismo esposti nei Primi. Questo indurrebbe a credere che i quattro libri degli Analitici, almeno nella loro redazione definitiva, debbano essere intesi come strettamente collegati fra loro, come parti di un’unica esposizione. 3.2 Il “Proemio” di Alessandro di Afrodisia al proprio commento agli Analitici Primi La discussione che Alessandro di Afrodisia intraprende nel Proemio al proprio commento agli Analitici Primi è evidentemente più articolata rispetto alla presentazione degli stessi temi in Aristotele. Fra il tempo di Aristotele e quello di Alessandro, infatti, erano comparse molte esposizioni della logica, alternative a quelle dello Stagirita, e il commentatore di Afrodisia si sente in dovere di discuterle. Il contributo di Alessandro non si limita perciò a una presentazione organica di idee sparse negli scritti aristotelici circa lo statuto della sillogistica e il contenuto degli Analitici Primi. La logica era stata definita parte della filosofia con lo Stoicismo. Secondo questa scuola la logica è parte integrante della filosofia al pari della fisica e dell’etica99. È quindi con questa classificazione che Alessandro si trova a confrontarsi, e ciò giustifica l’ampiezza del Proemio e il suo essere in qualche misura distante rispetto alla materia che Aristotele tratta nella propria apertura degli Analitici Primi100. Alessandro inizia con l’osservare che la trattazione che sta per incominciare a commentare è relativa alla logica e alla sillogistica. All’interno di questa trattazione rientrano quattro metodi argomentativi: dimostrativo, dialettico, esaminativo (o
99
Cfr. ad esempio Sextus Emp., Adv. Mathem. VII, 22; Diog. Laert., VII, 39. Una dettaglia discussione delle opinioni della scuola stoica riguardo alla divisione del discorso filosofico nelle sue parti si trova in Ierodiakonou [1993]. 100 Aristotele evita infatti di discutere negli Analitici Primi lo statuto della logica (intesa come disciplina “analitica” che verte sui sillogismi).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 63 peirastico) e sofistico101. La disciplina che tratta questi metodi argomentatici è senza dubbio un prodotto (œrgon) della filosofia e del ragionamento filosofico, ma bisogna notare che anche altre scienze ed alcune arti usano la logica: la matematica e la fisica, che sono scienze nel senso che Aristotele pone in Anal. Post. A, 1-2, procedono infatti in modo sillogistico, a partire dai loro assiomi propri. Con l’efficace espressione proposta da John Corcoran, la sillogistica può essere perciò ritenuta la underlying logic delle scienze, cioè la teoria della deduzione comune a discipline distinte fra loro per i loro assiomi propri e il loro genere soggetto102. Questa lettura del testo aristotelico, oggi condivisa dalla totalità degli studiosi 103, è presente a mio giudizio in modo molto chiaro anche nel commento di Alessandro di Afrodisia. Il commentatore osserva infatti che se le scienze diverse dalla filosofia si servono della sillogistica, quale loro teoria della deduzione, esse la prendono dalla filosofia, a cui appartiene la scoperta, la costruzione e anche l’impiego della sillogistica, per le indagini più importanti, cioè per investigare ed esporre l’oggetto proporzionato del sapere filosofico. A questo punto Alessandro introduce il problema interpretativo che discuterà nel prosieguo del Proemio: dato che la logica è un prodotto (œrgon) della filosofia, agli stoici sembrò che ne sia anche parte, mentre i peripatetici dicono che non ne è parte, essendo soltanto uno strumento della filosofia. Prima di risolvere il dubbio e di determinare che la sillogistica è uno strumento della filosofia e non una sua parte, il commentatore di Afrodisia espone l’argomento avanzato a sostegno della tesi stoica. A suo giudizio, gli Stoici furono indotti a questa posizione dal fatto che le discipline, che tutti ritengono parti della filosofia, hanno a che fare con la logica, 101
Cfr. in Anal. Pr. p. 1, ll. 3-5: `H logik» te kaˆ sullogistik¾ pragmate…a ¹ nàn ¹m‹n prokeimšnh, Øf’ ¿n ¼ te ¢podeiktik¾ kaˆ ¹ dialektik» te kaˆ peirastik¾ œti te kaˆ ¹ sofistik¾ mšqodoj, œsti m8n œrgon filosof…aj. 102 Cfr. Corcoran [1974 c]. Questa stessa lettura della logica aristotelica si incontra anche in Boger [2004]. 103 Fa eccezione Łukasiewicz [1958]: secondo il logico polacco la sillogistica (categorica e modale) costituisce una scienza, con assiomi propri e una teoria della deduzione, che nella sua presentazione viene ad essere il calcolo enunciativo standard (espresso peraltro nella assiomatizzazione dello stesso Łukasiewicz). Questo aspetto della interpretazione globale che Łukasiewicz fornì della sillogistica è stato correttamente messo in ombra e abbandonato dagli studi successivi: nonostante l’accuratezza testuale con la quale il logico polacco cerca abitualmente di difendere le sue tesi, non poté produrre alcun testo aristotelico per sostenere l’idea che la sillogistica sia una scienza. Questa conclusione sembra piuttosto un corollario che egli derivò dalla presentazione della sillogistica nel modello assiomatico che ne propose; un corollario derivato forse per analogia con le scienze che effettivamente si presentano assiomatizzate. È interessante notare che anche Alessandro di Afrodisia si avvicina ad una presentazione della sillogistica secondo i canoni dell’assiomatica. Egli non la considera mai esplicitamente una scienza (sebbene non per questo possiamo escludere che a suo giudizio lo fosse). La presenta però sicuramente come una teoria della deduzione.
64 Luca Gili che le scopre, le ordina e le costruisce; di conseguenza, anche la logica sembra essere una parte della filosofia. La risposta a questa tesi, che agli occhi di Alessandro risulta essere una obiezione alla posizione aristotelica, è molto articolata. Secondo Alessandro, sebbene la logica sia indubbiamente è un prodotto (œrgon) della filosofia, non è parte di nessuna delle altre parti della filosofia: né della parte teoretica, né della parte pratica, né della parte poetica. Il soggetto materiale della logica e quello di ciascuna delle scienze classificate dallo Stagirita in Met. E, 1 è diverso. Inoltre lo scopo è differente per ciascuna di queste scienze (teoretiche, pratiche, poetiche) e per la logica. Lo scopo della logica infatti è dimostrare che qualcosa è inferito di necessità a partire da premesse poste o concesse, mediante una certa congiunzione delle premesse; questo non è invece il fine di nessuna di quelle altre discipline. Oltre a ciò anche il metodo di dialettica e sillogistica è differente dal metodo di ciascuna delle scienze e si oppone ad esse. Così dicendo sembrerebbe che Alessandro contraddica l’idea per cui la sillogistica costituisce l’autentica teoria della deduzione di ciascuna scienza: se così fosse infatti, a prima vista il “metodo” delle scienze dovrebbe essere costituito dalla sillogistica stessa. Come potrebbe allora essere diverso il metodo della sillogistica rispetto al metodo delle scienze? Probabilmente in questo contesto per “metodo” bisogna intendere il procedimento che effettivamente segue lo scienziato nella sua ricerca per giungere ai risultati che si prefigge di ottenere, non la struttura logica che, nella esposizione dottrinale, fa derivare, in accordo alle leggi della sillogistica, le conclusioni scientifiche a partire dagli assiomi propri della scienza. Il “metodo” è impiegato cioè nel procedimento di scoperta degli assiomi stessi, ma non si identifica con il successivo procedimento di derivare, a partire dagli assiomi, le proposizioni particolari proprie della scienza. Questo secondo momento, sembra sostenere Alessandro, è piuttosto usato nella presentazione “didattica” dei risultati che lo scienziato ha ottenuto, nel corso della propria ricerca, avvalendosi del “metodo” della sua scienza104. 104
Cfr. in Anal. Pr. p. 1, ll. 5-18: œsti m8n œrgon filosof…aj, crîntai d8 aÙtÍ kaˆ ¥llai tinèj ™pistÁmai kaˆ tšcnai, ¢ll¦ par¦ filosof…aj laboàsai· taÚthj g¦r ¼ te eÛres…j ™sti kaˆ ¹ sÚstasij kaˆ ¹ prÕj t¦ kuriètata crÁsij. oâsa d8 œrgon aÙtÁj to‹j m8n kaˆ mšroj filosof…aj enai doke‹, oƒ d8 oÙ mšroj ¢ll' Ôrganon aÙtÁj fasin enai. oƒ m8n oân mšroj aÙt¾n lšgontej ºnšcqhsan ™pˆ toàto, diÒti ésper perˆ t¦ ¥lla, § Ðmologe‹tai prÕj ¡p£ntwn mšrh filosof…aj enai, ¹ filosof…a katag…netai œrgon poioumšnh t»n te eÛresin aÙtîn kaˆ t¾n t£xin te kaˆ sÚstasin, oÛtw d¾ kaˆ perˆ t¾n pragmate…an t»nde. oâsa d8 taÚthj œrgon oÙdetšrou tîn loipîn tÁj filosof…aj merîn mÒriÒn ™stin oÜte toà qewrhtikoà oÜte toà praktikoà· ¥llo g¦r tÒ te Øpoke…menon taÚtV k¢ke…nwn ˜katšrv kaˆ diafšrousa ¹ prÒqesij kaq' ˜k£sthn aÙtîn, oŒj te diafšronta ™ke‹na ¢ll»lwn ¢ntidiaire‹tai ¢ll»loij, toÚtoij kaˆ ¹ mšqodoj aÛth ˜katšraj ™ke…nwn diafšrousa eÙlÒgwj ¨n ¢ntidiairo‹to aÙto‹j.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 65 Si può quindi continuare a ritenere che la sillogistica costituisca il procedimento logico usato nella esposizione didattica di ciascuna delle scienze; in altre parole, si può pensare che la sillogistica sia sempre la teoria della deduzione propria di ciascuna scienza. Manca, è vero, nel Proemio al commento agli Analitici Primi un argomento simile a quello che può essere ricavato dalle linee di apertura della Retorica, in cui la dialettica (che è affine per comportamento alla sillogistica) è posta come il “corrispettivo” della retorica, dato che, come quest’ultima, non è relativa ad una scienza particolare, ma è impiegata da tutte le discipline105. Da questo argomento si potrebbe inferire che la sillogistica, se si comporta come la dialettica, è comune ad ogni scienza, come solo una teoria deduttiva può essere comune a discipline che, di per sé, si occupano di argomenti fra loro differenti. Alessandro dà prova tuttavia di conoscere ed apprezzare questo ragionamento nel Proemio al suo commento ai Topici, che costituisce anche il più antico tentativo a noi pervenuto di mostrare che la “dialettica” non è una “parte” della filosofia a partire da Rhet. A, 1, 1354 a1-11. Questo passo del commento di Alessandro ai Topici merita una attenta analisi. L’iniziale accostamento che Alessandro propone fra dialettica e retorica è determinato dal fatto che entrambe le discipline sono relative a ciò che è verosimile e credibile, non riguardo a ciò che è vero: toiaÚthn d8 oâsan aÙt¾n e„kÒtwj kaˆ ¢nt…strofÒn fhsin 'Aristotšlhj enai tÍ ·htorikÍ, ™peid¾ k¢ke…nh perˆ t¦ piqan£, § tù œndoxa enai kaˆ aÙt£ ™sti toiaàta· tÕ g¦r ¢nt…strofon ¢ntˆ toà „sÒstrofÒn te kaˆ perˆ t¦ aÙt¦ strefomšnhn kaˆ kataginomšnhn lšgei (Wallies [1891], p. 3, ll. 25-28). Sembrerebbe quindi che l’accenno di Alessandro sia piuttosto deludente per i nostri scopi: le deduzioni sillogistiche infatti possono essere usate anche in contesto scientifico e sono vere “dimostrazioni” quando le 105
Cfr. Rhet. A, 1, 1354 a1-11: `H ·htorik» ™stin ¢nt…strofoj tÍ dialektikÍ· ¢mfÒterai g¦r perˆ toioÚtwn tinîn e„sin § koin¦ trÒpon tin¦ ¡p£ntwn ™stˆ gnwr…zein kaˆ oÙdemi©j ™pist»mhj ¢fwrismšnhj· diÕ kaˆ p£ntej trÒpon tin¦ metšcousin ¢mfo‹n· p£ntej g¦r mšcri tinÕj kaˆ ™xet£zein kaˆ Øpšcein lÒgon kaˆ ¢pologe‹sqai kaˆ kathgore‹n ™gceiroàsin. tîn m8n oân pollîn oƒ m8n e„kÍ taàta drîsin, oƒ d8 di¦ sun»qeian ¢pÕ ›xewj· ™peˆ d' ¢mfotšrwj ™ndšcetai, dÁlon Óti e‡h ¨n aÙt¦ kaˆ Ðdù poie‹n di' Ö g¦r ™pitugc£nousin o† te di¦ sun»qeian kaˆ oƒ ¢pÕ toà aÙtom£tou t¾n a„t…an qewre‹n ™ndšcetai, tÕ d8 toioàton ½dh p£ntej ¨n Ðmolog»saien tšcnhj œrgon enai. Da questo passo si potrebbe argomentare che se la retorica e la dialettica sono relative ad ogni cosa, non possono essere che strumenti di ogni disciplina, poiché ogni scienza deve avere un oggetto proprio. Solo la metafisica ha per oggetto l’ente in quanto ente, ma assumiamo che retorica e dialettica non siano identificabili con la metafisica. Stando così le cose, dato che l’oggetto qualifica la scienza, dialettica e retorica non possono essere scienze ulteriori rispetto alla metafisica. Se non sono scienze, non sono nemmeno parti di scienze (anche le parti hanno un oggetto proprio da indagare). Ci si può chiedere se questo ragionamento sia stato sviluppato anche da Alessandro in merito alla dialettica e l’impressione è che il commento ai Topici ci presenti effettivamente questa linea argomentativa.
66 Luca Gili loro premesse sono prime, vere e necessarie. La dimostrazione che Alessandro conduce nel commento ai Topici non può perciò valere, prima facie, anche per le deduzioni sillogistiche in generale, affrontate negli Analitici Primi: sembra infatti che riguardi solo quella specie di sillogismi, che è costituita dai sillogismi con premesse probabili (i sillogismi dialettici). Effettivamente è ragionevole interpretare questo passo come riferito alla “dialettica” in senso tecnico, che Aristotele sviluppa nei Topici e che parte effettivamente da premesse probabili (œndoxa): non sembra legittimo identificare la disciplina che Aristotele discute in questo passo con la “logica” in generale, cioè la teoria delle inferenze che comprende la materia affrontata dallo Stagirita nei Topici, negli Elenchi sofistici e negli Analitici Primi. Ora, per Alessandro la “sillogistica” è la disciplina che si occupa delle inferenze in generale. Le inferenze (o sillogismi) possono infatti essere classificate o secondo il tipo delle loro premesse (categoriche o ipotetiche), o secondo la posizione del medio e le figure che sono determinate da esso, o secondo la materia logica che compare al posto delle lettere. È quindi evidente che per Alessandro la “logica” in senso proprio è la sillogistica, che Aristotele espone negli Analitici Primi. I sillogismi che sono esposti in quest’opera, se classificati a partire dalla loro materia logica, possono essere considerati dimostrativi (e sono studiati negli Analitici Posteriori), dialettici (affrontati nei Topici) e sofistici (trattati negli Elenchi sofistici)106 . L’ordine di importanza di queste tre tipi di sillogismi determina l’ordine stesso di lettura delle opere dell’organon in cui sono trattati questi temi: in primo luogo si studieranno gli Analitici Primi, che trattano dei sillogismi in generale, senza stabilire che cosa compaia al loro interno come materia logica. Seguiranno gli Analitici Posteriori in cui sono affrontati i sillogismi con premesse vere, prime, più appropriate e più note (™x ¢lhqîn te kaˆ o„ke…wn tù prokeimšnJ kaˆ prètwn te kaˆ gnwrimwtšrwn): questi particolari sillogismi sono le “dimostrazioni” scientifiche. Seguono le proposizioni probabili e su cui i più sono disposti ad assentire (di'™ndÒxwn): con esse si formano i sillogismi 106
Si veda in proposito Wallies [1891], p. 2, ll. 15-29: ¹ d8 tr…th ¹ kat¦ t¾n Ûlhn toÝj m8n poie‹ ¢podeiktikoÝj toÝj d8 dialektikoÝj toÝj d8 ™ristikoÚj. æj g¦r aƒ tšcnai mhd8n ¢ll»lwn, kaq' Ö tšcnai e„s…, diafšrousai par¦ t¾n tÁj Ûlhj perˆ ¼n e„si diafor¦n kaˆ tÕn tÁj cr»sewj trÒpon t¾n diafor¦n lamb£nousin, æj enai t¾n m8n aÙtîn tektonik¾n t¾n d8 o„kodomik¾n t¾n d8 ¥llhn tin£, oÛtw kaˆ oƒ sullogismo…. Ð m8n g¦r ™x ¢lhqîn te kaˆ o„ke…wn tù prokeimšnJ kaˆ prètwn te kaˆ gnwrimwtšrwn deiknÝj kaˆ sun£gwn tÕ proke…menon sullogismÕj ¢podeiktikÕj ØpÕ tîn palaiîn kale‹tai, kaˆ ¢pÒdeixin lšgousi t¾n mšqodon t¾n di¦ toioÚtwn sullogistik»n, tÕn d8 di' ™ndÒxwn sullogizÒmenon dialektikÕn kaˆ dialektik¾n ¢koloÚqwj t¾n di¦ toioÚtwn sullogistik»n, tÕn d8 ™k fainomšnwn ™ndÒxwn sofistikÕn kaˆ sofistik¾n t¾n toÚtoij crwmšnhn. kat¦ g¦r tÕ edoj oÙd8n ¢ll»lwn diafšrontej oƒ sullogismo…, Ó te lšgwn ‘¹ ¹don¾ ¢telšj, oÙd8n ¢gaqÕn ¢telšj’ kaˆ Ð lšgwn ‘tÕ ¢gaqÕn ¢gaqoÝj poie‹, ¹ ¹don¾ d8 oÙ poie‹ ¢gaqoÚj’ (¢mfÒteroi g¦r ™n deutšrJ sc»mati), kat¦ t¾n Ûlhn œcousi t¾n diafor£n.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 67 dialettici, secondi per importanza alle dimostrazioni scientifiche. Coerentemente con questa gerarchia fra i temi trattati, i Topici seguiranno, nella spiegazione scolastica, gli Analitici Posteriori107. L’ultimo posto è occupato dai sillogismi sofistici, che hanno premesse solo apparentemente condivisibili (™k fainomšnwn ™ndÒxwn): per tale motivo gli Elenchi sofisitici saranno spiegati per ultimi. L’impressione che si ricava da questo ordine stabilito da Alessandro è che le stesse opere aristoteliche siano state divise per colmare ogni casella stabilita sulla base di questa gerarchia. È molto probabile infatti che Aristotele pensasse gli Analitici Primi e i Posteriori come un’unica opera, dato che nei rimandi a queste due opere le cita semplicemente con le parole t¦ 'Analutik¦. Altrettanto probabile è che gli Elenchi sofistici costituiscano il nono libro dei Topici. Non possiamo stabilire se il responsabile della divisione di queste opere sia Alessandro o qualche aristotelico a lui precedente e da cui egli dipende, ma l’ordine stabilito dal commentatore di Afrodisia ci consente di ipotizzare che la divisione delle opere di Aristotele sia stata attuata per facilitare la “sistematizzazione” ordinata dei temi trattati in esse. Ma da queste considerazioni si può anche trarre l’argomento che cercavamo, per negare la tesi stoica secondo la quale la logica (che per Alessandro abbiamo visto essere la sillogistica) è una parte della filosofia. Se infatti il sillogismo dialettico è un tipo di sillogismo, come Alessandro ha sostenuto in questo passo, e se la dialettica (che ha per oggetto questo particolare tipo di inferenza sillogistica) non è una parte della filosofia, come si è detto sulla scorta della Retorica, non sarà parte della filosofia nemmeno la sillogistica in generale, di cui la dialettica, in qualche misura, è parte. Alessandro sembra abbozzare questo argomento, quando ci informa che la dialettica, come la retorica, si distingue dalle scienze, poiché non possiede un genere delimitato del quale occuparsi108, né dimostra gli accidenti per se di questo genere soggetto, come avviene invece per ciascuna scienza: oÙ g¦r æj tîn ™pisthmîn ˜k£sth per… ti gšnoj ¢fwrismšnon oâsa t¦ o„ke‹a ™ke…nJ tù gšnei kaˆ kaq' aØt¦ Øp£rconta de…knus… te kaˆ lamb£nei di¦ tîn o„ke…wn ¢rcîn ™ke…nJ tù gšnei, oÛtwj kaˆ aátai (Wallies [1891], p. 3, ll. 28-31). Nel Proemio agli Analitici Primi, dopo avere confutato gli argomenti a sostegno della tesi stoica circa il fatto che la logica è parte della filosofia, Alessandro 107
Cfr. Wallies [1891], p. 2, l. 29-p. 3, l. 4: Ð m8n g¦r prîtoj ¢podeiktikÕj enai boÚletai· ™k g¦r toà ¢podedomšnou tÁj ¹donÁj Ðrismoà t¾n ¢rc¾n œcei· lšgousin g¦r t¾n ¹don¾n enai gšnesin e„j fÚsin a„sqht»n, ¹ d8 gšnesij ¢tel»j. Ð d8 deÚteroj di’™ndÒxwn prÒeisi· tÕ g¦r ¢gaqÕn ¢gaqoÝj poie‹n oÙk ×n ¢lhq8j œndoxÒn ™sti. 108 Per quel che riguarda il pensiero di Aristotele intorno a questo punto, oltre al passo citato della Retorica, si veda anche Anal. Post. A, 11, 77 a29 e Soph. Elench. 11, 172 a12-15: in questi luoghi si afferma che la “dialettica” non si limita a fare inferenze riguardo ad un genere determinato.
68 Luca Gili propone alcune riflessioni a favore della tesi peripatetica secondo la quale la logica è uno strumento della filosofia. Cerca al tempo stesso di risolvere i dubbi e le difficoltà che un simile assunto può suscitare. Questo metodo argomentativo evidenzia al contempo la procedura di esegesi scolastica che Alessandro segue nel proprio commento. La tesi da difendere è che (i) la logica non è una parte, ma uno strumento della filosofia. Il primo dubbio che una tale affermazione può suscitare, tenendo presente che la logica è stata definita un prodotto (œrgon) della filosofia, è il seguente: 1) tutto ciò che è un prodotto (œrgon) di una scienza fa parte di quest’ultima; 2) dunque la logica o è una parte della filosofia, o non ne è un prodotto (œrgon). La soluzione che Alessandro propone è sostanzialmente un indebolimento della tesi 1). Egli dice che non è sufficiente, perché qualcosa sia parte di una certa arte o scienza, che l’arte o la scienza abbiano a che fare con questa parte allo stesso modo in cui hanno a che fare con ciascuna delle altre parti, delle quali l’arte o la scienza in questione si occupano. Quali altri criteri individuare dunque perché una disciplina possa essere considerata una parte di una scienza? Alessandro rileva che qualcosa è ritenuto una parte non solo perché è oggetto di attenzione e di studio, ma perché il suo fine e la sua costruzione non si riferiscono a niente altro rispetto a ciò di cui la scienza stessa si occupa, né la parte è ricercata o costruita per qualche altro fine. Ma, come abbiamo visto, la logica ha un impiego anche per finalità diverse dallo sviluppo della filosofia (è infatti impiegata anche da altre scienze e da alcune arti); dunque, pur essendo prodotta dalla filosofia, non può esserne considerata una parte. Dopo avere guadagnato questa acquisizione, dobbiamo dimostrare che la logica è uno strumento della filosofia, pur non costituendone una parte. Alessandro inizia la sua argomentazione rilevando che, se qualche prodotto di una scienza si rivela utile alle sottodiscipline che cadono al di sotto della medesima scienza, non può essere classificato come opposto nella divisione diairetica a quelle discipline, per la cui utilità questo strumento è prodotto. Non può quindi essere parte della scienza nel modo in cui le sottodiscipline lo sono, poiché esiste in vista di queste ultime. Infatti ciò che si riferisce a qualcos’altro e il cui fine consiste nel contribuire alla scoperta e alla costruzione di altre discipline, viene ad essere lo strumento di queste ultime109, non una disciplina a sé stante, di pari rango rispetto alle discipline per le quali esiste. 109
Cfr. in Anal. Pr. p. 1, l. 18-p. 2, l. 22: kaˆ g¦r tù ØpokeimšnJ diafšrei ™ke…nwn (¢xièmata g¦r kaˆ prot£seij t¦ Øpoke…mena taÚtV) kaˆ tù tšlei kaˆ tÍ proqšsei· ¹ g¦r taÚthj prÒqesij tÕ di¦ tÁj poi©j tîn prot£sewn sunqšsewj ™k tîn tiqemšnwn te kaˆ sugcwroumšnwn ™x ¢n£gkhj ti sunagÒmenon deiknÚnai, Ö oÙdetšraj ™ke…nwn tšloj. Oƒ d8 m¾ mšroj aÙt¾n ¢ll’Ôrganon filosof…aj enai lšgontej oÜ fasin aÜtarkej enai prÕj tÕ mšroj
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 69 Marwan Rashed, in un recente saggio, ha sottolineato come la stessa ambizione alessandrista di presentare la filosofia aristotelica come un sistema spiega il tentativo di considerare la logica come strumento di tutte le altre scienze110. Il problema cruciale che l’interprete di Alessandro deve porsi, secondo Rashed, è il chiedersi quale opera di Aristotele sia stata presa come paradigma per strutturare in modo organico il complesso edificio filosofico di quel particolare aristotelismo di cui il commentatore di Afrodisia fu propugnatore. Attraverso alcuni paralleli testuali fra il Proemio del commento agli Analitici Primi e frammenti del Protrettico di Aristotele, Rashed ha proposto di considerare questa opera dello Stagirita come la fonte di ispirazione della ricostruzione alessandrista del “sistema” aristotelico. La tesi dello studioso francese sembra convincente, ma credo al tempo stesso che non si possa escludere che Alessandro avesse un duplice paradigma e facesse affidamento anche sulla mappa delle scienze che Aristotele presenta in Met. E, 1. Purtroppo è perduto il commento di Alessandro a questo libro della Metafisica, ma il testo aristotelico è in sé sufficiente a fornire un parallelo persuasivo alla discussione che Alessandro sviluppa nel proprio Proemio. Inoltre nel proprio commento al libro G della Metafisica l’esegeta di Afrodisia presenta una partizione del sapere perfettamente coerente con quanto Aristotele sostiene nel primo capitolo di Met. E, al quale rimanda esplicitamente, e sostiene che la filosofia generale, che ha per oggetto l’ente in quanto ente, si articola in una filosofia prima o teologia, in una fisica e in una filosofia che considera le azioni: ciascuna di queste ultime tre discipline considera solo una regione specifica dell’ente111. e%ina… ti tšcnhj tinÕj À ™pist»mhj tÕ t¾n tšcnhn À t¾n ™pist»mhn kaˆ perˆ ™ke‹no katag…nesqai tÕ mÒrion Ðmo…wj æj kaˆ perˆ ›kaston tîn ¥llwn merîn aÙtÁj, perˆ § pragmateÚetai· kr…netai g¦r tÕ mšroj oÙk ¢pÕ tÁj perˆ aÙtÕ spoudÁj te kaˆ pragmate…aj mÒnhj, ¢ll' Ótan prosÍ toÚtJ tÕ kaˆ tÕ tšloj aÙtoà kaˆ t¾n sÚstasin m¾ prÕj ¥llo ti tîn, perˆ § kaˆ aÙt¦ ¹ aÙt¾ ™pist»mh pragmateÚetai, t¾n ¢nafor¦n œcein mhd8 ™ke…nou c£rin zhte‹sqa… te kaˆ sun…stasqai. tÕ g¦r ™p' ¥llwn tinîn cre…an tîn ØpÕ t¾n aÙt¾n ™pist»mhn À tšcnhn Ôntwn t¾n ¢nafor¦n œcon oÜt' ¨n ¢ntidiairo‹to deÒntwj ™ke…noij, ïn c£rin ™st… te kaˆ g…netai, oÜt' ¨n mšroj Ðmo…wj ™ke…noij e‡h ×n toÚtwn c£rin· tÕ g¦r ™p… tina t¾n ¢nafor¦n œcon kaˆ oá tÕ tšloj æj prÕj t¾n ¥llwn eÛres…n te kaˆ sÚstasin sunteloàn di¦ toàto spoud£zetai Ôrganon ™ke…nwn. æj g¦r ™pˆ tîn diaferousîn tecnîn tÕ tšcnhj tinÕj œrgon ¥llhj tinÒj ™stin tšcnhj Ôrganon tù t¾n ¢nafor¦n œcein tÕ tšloj aÙtoà prÕj cre…an tîn ginomšnwn ØpÕ tÁj tšcnhj, Âj ™stin Ôrganon, oÛtwj e„ kaˆ ™pˆ tÁj aÙtÁj ™pist»mhj À tšcnhj ginÒmen£ tina t»nde t¾n t£xin œcoi prÕj ¥llhla, œstai tÕ m8n Ôrganon aÙtîn tÕ d8 prohgoÚmenon œrgon te kaˆ mšroj· oÙd8 g¦r ¹ sfàra kaˆ Ð ¥kmwn Ôrganon kwlÚetai tÁj calkeutikÁj enai, diÒti aÙtÁj ™stin œrga. 110 Cfr. Rashed [2007 a], p. 179. 111 Cfr. Hayduck [1891], p. 245, l. 33-p. 246, l. 13: di¦ d8 tîn nàn e„rhmšnwn dšdeiktai Óti tÁj prèthj filosof…aj ¹ e„j t¦ gšnh toà Ôntoj dia…resij, Ö pepo…hken aÙtÕj ™n ta‹j Kathgor…aij. ¤ma d8 kaˆ ™nede…xato ¹m‹n di¦ toÚtwn kaˆ pîj ™sti m…a ™pist»mh ¹ filosof…a· tù
70 Luca Gili Cerchiamo quindi di vedere le ragioni che corroborano la tesi di Rashed e quelle che spingono ad ampliare anche ad altre opere aristoteliche la fonte per l’edificio sistematico dell’aristotelismo alessandrista. Poche pagine dopo la presentazione della logica come strumento della filosofia, come vedremo fra poco, Alessandro discute la utilità della logica e spiega che la logica è necessaria per la dimostrazione e la dimostrazione per la conoscenza della verità. La capacità di conoscere la verità è ciò che ci qualifica come uomini e che ci distingue dagli altri animali. Il passo è echeggiato da una sezione del Protrettico di Giamblico, che Rashed ritiene con valide ragioni che sia un centone e che conservi frammenti del Protrettico dello Stagirita112. È possibile quindi tracciare la seguente tabella113: Alessandro di Afrodisia, in Anal. Pr. Giamblico, Protrept. V, p. 67, ll. 1-5, p. 5, ll. 13-20 Des Places (= Aristotele, Protrept., fr. 77 Schneeweiß, fr. 29/I Düring) œti d8 ™k toà tÍ toà ¢lhqoàj ú g¦r tîn ¥llwn diafšromen gnèsei m£list£ te kaˆ fanerètata zówn, ™n mÒnJ d¾ toÚtJ tù b…J tîn ¥llwn zówn tÕn ¥nqrwpon dial£mpei, ú oÙk Ãn ti tucÕn kaˆ oÙ diafšrein· tîn m8n g¦r ¢retîn kaˆ meg£lhn œcon ¢x…an. lÒgou m8n g¦r tîn kat’aÙt¦j pr£xewn œstin ‡cnh kaˆ fron»sewj mikr£ tina kaˆ ™n tin¦ eØre‹n kaˆ ™n to‹j ¢lÒgoij ™ke…noij a„qÚgmata, sof…aj d8 zóoij […] ¢lhqe…aj d8 kaˆ toà qewrhtikÁj taàta m8n pantelîj qewrhtikoà noà pant£pasin ¥geusta ¥moira … tugc£nei. Rashed mette in luce inoltre come l’accento di Alessandro sulla centralità della considerazione e della conoscenza della verità in filosofia (cfr. in Anal. Pr. p. 4, l. g¦r kaqÒlou. e‡dh d8 aÙtÁj Ósa t¦ toà Ôntoj· e‡dh g¦r aÙtÁj ¼ te prèth filosof…a, ¼tij kaˆ kur…wj sof…a kale‹tai, oâsa ™pist»mh tîn ¢id…wn te kaˆ ¢kin»twn kaˆ qe…wn. ¹ m8n g¦r sof…a ™stˆn ¹ kaqÒlou te kaˆ prèth, e‡ ge aÙt» ™stin ¹ perˆ tÕ ×n Î ×n ¢ll' oÙ tˆ Ôn· œsti d8 ØpÕ taÚthn ¹ mšn tij prèth filosof…a ¹ perˆ t¦j prètaj oÙs…aj, ¹ d8 fusik¾ oâsa perˆ t¦ fusik£, ™n oŒj ½dh k…nhsij kaˆ metabol», ¹ dš t…j ™sti tîn praktîn qewrhtik»· toiaàta g¦r kaˆ tîn Ôntwn tin£. Óti d8 m…a tù gšnei ¹ perˆ tÕ ×n Î ×n pragmateuomšnh filosof…a, ™d»lwse kaˆ ™x ïn eÙqÝj ¢rcÒmenoj toà bibl…ou e%i pen “aÛth dš ™stin oÙdemi´ tîn ™n mšrei legomšnwn ¹ aÙt»,” ¹ perˆ t¦j ¢rc¦j kaˆ t¦ prîta a‡tia kaˆ t¾n oÙs…an pragmateuomšnh. ¤ma tš ™sti prèth kaˆ kaqÒlou· ™n g¦r to‹j ¢f' ˜nÒj te kaˆ prÕj e! n legomšnoij tÕ prîton kaˆ kaqÒlou, tù kaˆ to‹j ¥lloij aÙtÕ enai a‡tion toà enai, æj kaˆ aÙtÕj ™n tù E tÁsde tÁj pragmate…aj ™re‹. 112 Marwan Rashed ha discusso in un suo precedente articolo la possibilità di identificare nel Protrettico di Giamblico citazioni dal Protrettico di Aristotele, di cui la prima opera sarebbe un centone (cfr. Rashed [1997], pp. 219-238). 113 Cfr. Rashed [2007 a], p. 167 e p. 183
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 71 33-p. 5, l. 1: t£ te g¦r ¥lla t¦ ™n filosof…v p£shj ¥xia spoudÁj kaˆ prÕ tîn ¥llwn ¹ qewr…a te kaˆ ¹ gnîsij tÁj ¢lhqe…aj) sia perfettamente compatibile con la dottrina della ¢l»qeia ricercata per fÚsij, che costituisce il nucleo filosofico della discussione condotta nel Protrettico114. La conclusione che Rashed ricava dalla propria ricostruzione è che questa scelta è particolarmente vantaggiosa per opporsi alla posizione stoica secondo la quale la logica costituiva una parte della filosofia ed aveva di conseguenza una validità in sé e non nella misura in cui era funzionale alla scoperta delle verità metafisiche, alle quali il Protrettico di Aristotele vorrebbe invitare. Se la ricostruzione di Rashed è corretta, Alessandro, nel tentativo di comprendere come la logica potesse essere definita “strumento” delle scienze teoretiche, aveva in mente il quadro proposto da Aristotele nel Protrettico per definire queste stesse scienze, la cui conoscenza porta non solo al compiacimento che segue sempre l’esercizio della facoltà intellettuale, ma ha anche un risvolto etico115. Il filosofo, quale è presentato nel Protrettico, è un sapiente che vive in modo onesto e lodevole: il possesso della scienza, come in Socrate – vero modello del “sapiente” – , non è perciò disgiunto dalla pratica delle virtù morali. La ipotesi di Rashed sembra richiedere che l’idea di “filosofia” che lo Stagirita descrive nel Protrettico sia in qualche misura diversa da quella proposta nella Metafisica e che Alessandro di Afrodisia, nel Proemio al suo commento agli Analitici Primi, prediliga la prima idea di “filosofia”, piuttosto che la seconda, in cui il “sapere filosofico” è visto come una costruzione in qualche misura indipendente dall’uomo che effettivamente lo possiede e intende acquisirlo. Nella apertura della Metafisica, lo Stagirita considera un segno del desiderio naturale di conoscere la predilezione, fra i vari sensi, della vista, che è preferita anche senza porsi lo scopo di “fare” alcunché (mhq8n mšllontej pr£ttein tÕ Ðr©n aƒroÚmeqa). È chiaro quindi che in Met. A, 1 Aristotele abbia già elaborato una concezione di “scienza teoretica” analoga a quella che emerge dalla classificazione di Met. E, 1: la conoscenza pura è anteposta alla conoscenza pratica (e, a maggior ragione, alla stessa prassi). Nel Protrettico al contrario il fine dell’uomo è considerato l’“agire bene” (eâ pr£ttein) e il “vivere bene” (eâ zÁn) per essere felici, cosa a cui tutti aspirano (tÁj eÙdaimon…aj ™f…entai p£ntej). Ciò non implica tuttavia un primato della prassi rispetto alla qewr…a, perché nel Protrettico Aristotele sottolinea il carattere “teoretico” della frÒnhsij: la prassi virtuosa, a cui lo Stagirita ci incoraggia, è, in altre parole, essa stessa teoresi (cfr. ad 114
Cfr. Rashed [2007 a], p. 186. Bisogna osservare che l’analisi di Rashed ed i testi che egli invoca a sostegno delle sue tesi non dicono nulla circa lo statuto della logica; il fatto che la logica e la sillogistica siano strumento delle scienze è piuttosto presupposto dalle riflessioni che Rashed sviluppa. 115
72 Luca Gili esempio fr. 66/n Schneeweiß = fr. 70 Düring). Questo dato è giustamente riferito da Rashed: “on a essayé […] de reconstituer les deux axes principaux de la lecture du Protreptique à laquelle s’est livré Alexandre: celui-ci à tenté de fonder sa conception de l’Organon logique sur la théorie aristotélicienne de l’¢l»qeia-fÚsij; il a accordé la plus grande importance à l’idée que l’accomplissement humain résidait dans l’exercice de la science théorétique et que cette pratique de la science ne pouvait en dernière instance que se confondre avec celle du bonheur, et donc des vertus”116. Come vedremo, questo elemento è decisivo per ridefinire le conclusioni dell’importante contributo di Rashed : dato che il contenuto del Protrettico, in virtù di questa equazione, è perfettamente armonizzabile con il quadro che emerge da altri passi del corpus aristotelicum, credo sia difficile concludere che solo il Protrettico possa essere considerato il testo che contiene la linea guida dell’opera esegetica di Alessandro di Afrodisia. Secondo Marwan Rashed, Alessandro si rivolge al Protrettico nel contesto della organizzazione delle scienze per tornare all’uomo, in opposizione alla classificazione delle scienze operata dagli stoici, che considera i vari saperi astrattamente, come ambiti di indagine in sé conclusi117. Ma come è possibile questo ritorno alla centralità dell’uomo nel quadro più generale della filosofia aristotelica? E, soprattutto, come può la sillogistica – cioè la disciplina che pare la più astratta – ad avere come centro l’uomo e la sua esistenza concreta? L’ipotesi che Rashed formula è la seguente: la teoria sillogistica è strumentale, nella presentazione di Alessandro, alla teoria della scienza esposta negli Analitici Posteriori; al termine di quest’opera lo Stagirita afferma che l’intellezione è l’habitus proprio della conoscenza dei principi (cfr. Anal. Post. B, 19, 99 b19-100 b17); secondo lo studioso francese questa affermazione è strettamente connessa alla teoria della scienza esposta nel corso dell’opera118 ; ma se il noàj di Anal. Post. B, 19 si identifica con la frÒnhsij del Protrettico, ed è quell’habitus in virtù di cui possediamo la scienza dimostrativa, è facile comprendere le ragioni che possono avere indotto Alessandro ad usare il Protrettico dello Stagirita nel Proemio del proprio commento agli Analitici Primi119.
116
Rashed [2007 a], p. 213. Cfr. Rashed [2007 a], pp. 189-190: “ainsi s’explique, chez Alexandre, le recours au Protreptique, qui est, du point de vue de la science, un retour à l’homme. La logique pure se déploierait sans lui, comme les mathématiques. La théorie aristotélicienne de la science démonstrative, au contraire, le postule. Le Protreptique et son effort pour fonder une nouvelle théorie de la science détachée de la doctrine des Idées offriront donc à l’aristotélisme “logique” de l’Exégète une sorte de schématisme grossier”. 118 Rashed cita a sostegno di questa interpretazione Brunschwig [1981], pp. 71 e ss.. 119 Cfr. Rashed [2007 a], pp. 188-189, in particolare p. 189, n. 26. 117
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 73 A mio parere, tuttavia, la conclusione che lo studioso francese intende trarre è difficilmente suffragabile sulla base dei soli testi da lui invocati. Il commento di Alessandro a Met. A, 1, 980 a21-27 induce infatti a credere piuttosto che l’aristotelico di Afrodisia subordinasse la prassi alla teoria, seguendo fedelmente Aristotele nell’assegnare alla scienza teorica, che non ha, a differenza della prassi, alcun fine esterno a sé, il primato di onore fra le scienze. Anteponendo la scienza teoretica a quella pratica e a quella poetica, Alessandro introduce un elemento assente nelle prime linee del testo della Metafisica, che Aristotele discute in dettaglio successivamente in Met. E, 1. Aristotele, Met. A, 1, 980 a24-27 oÙ g¦r mÒnon †na pr£ttwmen ¢ll¦ kaˆ mhqèn mšllontej pr£ttein tÕ Ðr©n aƒroÚmeqa ¢ntˆ p£ntwn æj e„pe‹n tîn ¥llwn. a‡tion d' Óti m£lista poie‹ gnwr…zein ¹m©j aÛth tîn a„sq»sewn kaˆ poll¦j dhlo‹ diafor£j.
Alessandro, in Met. (Hayduck [1891]), p. 2, ll. 10-21 p©sa d8 qewr…a kaˆ ™pist»mh oÙk ™p' ¥llo ti t¾n ¢nafor¦n œcousa fa…netai· ¹ goàn gnîsij tîn fÚsei sunestètwn, ésper oân kaˆ ¥llai ple…ouj, di' aØt»n ™stin aƒret». ¢ll' oÙ mÒnon, æj œfhn, ™k toÚtou deiknÚoito ¨n toàto ¢ll¦ k¢ke‹qen. kaˆ g¦r dÚo tinîn kataginomšnwn perˆ taÙtÒ, toà m8n e„dÒtoj aÙtÕ mÒnon, toà d8 poioàntÒj te kaˆ pr£ttontoj, Ð mÒnon e„dëj Ópwj de‹ pr£ssein toà pr£ssontoj aÙtÕ kaˆ poioàntoj timièteroj. e„ d8 ¡plîj gnîsij pr£xewj timièteron (timièteroi g¦r ¢rcitšktonej tîn tecnitîn, oƒ e„dÒtej tîn prassÒntwn te kaˆ poioÚntwn), kaˆ tÕ e„dšnai ¥ra toà pr£ssein ¡plîj ¥meinÒn te kaˆ timièteron. e„ d8 kaˆ ™n to‹j prakto‹j aÙto‹j ¹ gnîsij tÁj pr£xewj plšon fšretai, dÁlon æj timiètaton tÕ m£lista e„dšnai· Óper ¹ tîn ¢rcîn gnîsij paršcetai m£lista, ¿ kaˆ sof…a kale‹tai· timiwt£th ¥ra aÛth.
In questo contesto non è riferita l’idea di “filosofia” che emergerebbe dal Protrettico (in cui teoria e prassi sono equiparate), ed è qui che Alessandro formula
74 Luca Gili la tesi secondo cui l’uomo – e, nella fattispecie, la sua anima razionale – costituiscono in qualche misura il punto di riferimento dello studio della metafisica. L’anima razionale è infatti ciò che è reso perfetto dal possesso delle scienze teoretiche, come osserva Alessandro iniziando il proprio commento al primo lemma della Metafisica: 'epeid¾ ¹ gnîsij teleiÒthj ™stˆ tÁj yucÁj, kaqÒlou m8n tÁj ¡plîj gignwskoÚshj, m©llon d8 tÁj logikÁj, kaˆ taÚthj œti m©llon Âj qewr…a tÕ tšloj, p©sa d8 teleiÒthj ˜k£stou tÕ ˜k£stou ¢gaqÒn ™stin, ™n d8 tù ¢gaqù ›kaston œcei tÕ e%ina… te kaˆ sèzesqai, di¦ toàto kaqÒlou ™p»gagen Óti p£ntej ¥nqrwpoi toà e„dšnai Ñršgontai fÚsei (Hayduck [1891], p. 1, ll. 4-8). Perché mai Alessandro, dopo avere detto che la conoscenza (¹ gnîsij) è ciò che rende perfetta (teleiÒthj ™stˆ) l’anima che conosce, specifica che ad essere resa perfetta è soprattutto l’anima razionale (m©llon d8 tÁj logikÁj), cioè quell’anima che ci distingue dagli animali? Se l’ipotesi di Rashed è corretta, anche dietro questa affermazione di Aristotele si può trovare un’eco del frammento del Protrettico che costituirebbe il punto di riferimento del Proemio del commento agli Analitici Primi. Ciò però non esclude che anche altri testi del corpus aristotelicum possano avere suggerito questa chiave di lettura all’esegeta di Afrodisia. Ad esempio, lo stesso commento a Met. A, 1, 980 a27-b24 ci conferma che Alessandro considera il possesso della facoltà razionale l’elemento distintivo dell’uomo rispetto agli altri animali (¢ll’ œcei ti prÕj gnîsin plšon par¦ t¦ ¥lla zùa, tÕn lÒgon, oá tÕ gignèskein ‡dion, kaˆ Óti teleiÒteron di¦ toàto tîn ¥llwn zówn Ð ¥nqrwpoj, Hayduck [1891], p. 2, ll. 25-27) ed è in virtù di questa facoltà a lui propria che l’uomo può dedicarsi allo studio della “sapienza”, che è quindi giustamente ritenuta la conoscenza più nobile (¹ sof…a gnîsij enai p©si doke‹ oâsa timiwt£th, Hayduck [1891], p. 2, ll. 27-28). Il testo che tuttavia parla in modo più esplicito degli stessi temi affrontati nel passo di in Anal. Pr. p. 5, ll. 13-20 è tratto dal De anima di Alessandro e dal trattatello De anima contenuto nella Mantissa. Le facoltà che Alessandro attribuisce in questi testi agli animali diversi dall’uomo trovano una esemplificazione proprio in quel brano della Historia animalium a cui il commentatore fa verosimilmente riferimento nel Proemio al suo commento agli Analitici Primi. Alessandro di Afrodisia, Aristotele, Historia Alessandro di in Anal. Pr. p. 5, ll. 13-20 animalium, I, 488 b12-26 Afrodisia, De anima b (dalla Mantissa), p. 105, l. 34–p. 106, l. 5; De anima, p. 80, ll. 20-24 œti d8 ™k toà tÍ toà Diafšrousi d8 kaˆ toà d8 Ðrmhtikoà ™sti
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 75 ¢lhqoàj gnèsei m£list£ te kaˆ fanerètata tîn ¥llwn zówn tÕn ¥nqrwpon diafšrein· tîn m8n g¦r ¢retîn kaˆ tîn kat' aÙt¦j pr£xewn œstin ‡cnh tin¦ eØre‹n kaˆ ™n to‹j ¢lÒgoij zóoij (t¦ m8n g¦r aÙtîn ¢ndre…aj metšcein doke‹, t¦ d8 swfrosÚnhj, t¦ d8 dikaiosÚnhj, ½dh dš tina aÙtîn kaˆ frÒnima enai prosupe…lhptai, t¦ dš tina ™leuqšria, æj œnesti maqe‹n ™k tÁj Perˆ zówn ƒstor…aj 'Aristotšlei gegrammšnhj ™n bibl…oij ple…osin), ¢lhqe…aj d8 kaˆ toà qewrhtikoà noà pant£pasin ¥geusta tugc£nei.
ta‹j toia‹sde diafora‹j kat¦ tÕ Ãqoj. T¦ m8n g£r ™sti pr©a kaˆ dÚsquma kaˆ oÙk ™nstatik£, oŒon boàj, t¦ d8 qumèdh kaˆ ™nstatik¦ kaˆ ¢maqÁ, oŒon áj ¥grioj, t¦ d8 frÒnima kaˆ deil£, oŒon œlafoj, dasÚpouj, t¦ d' ¢neleÚqera kaˆ ™p…boula, oŒon oƒ Ôfeij, t¦ d' ™leuqšria kaˆ ¢ndre‹a kaˆ eÙgenÁ, oŒon lšwn, t¦ d8 genna‹a kaˆ ¥gria kaˆ ™p…boula, oŒon lÚkoj· eÙgenèj m8n g£r ™sti tÕ ™x ¢gaqoà gšnouj, genna‹on d8 tÕ m¾ ™xist£menon ™k tÁj aØtoà fÚsewj. Kaˆ t¦ m8n panoàrga kaˆ kakoàrga, oŒon ¢lèphx, t¦ d8 qumik¦ kaˆ filhtik¦ kaˆ qwpeutik£, oŒon kÚwn, t¦ d8 pr©a kaˆ tiqasseutik£, oŒon ™lšfaj, t¦ d'a„scunthl¦ kaˆ fulaktik£, oŒon c»n, t¦ d8 fqoner¦ kaˆ filÒkala, oŒon taèj. BouleutikÕn d8 mÒnon ¥nqrwpÒj ™sti tîn zówn.
tÒ t' ™piqume‹n kaˆ qumoàsqai kaˆ tÕ boÚlesqai. taàta g¦r Ñršxewj e‡dh. ïn ¹ boÚlhsij ½dh doke‹ metšcein kaˆ logismoà· œsti g¦r Ôrexij met¦ boulÁj. œsti dš tij kaˆ ¥llh dÚnamij tÁj yucÁj kritik¾ ¹ logistik», ¿ to‹j teleiotšroij tîn zówn ™gg…netai. toàto dš ™stin ¥nqrwpoj, oá tÒ te bouleÚesqai taÚthj tÁj dun£meèj ™sti kaˆ tÕ katalamb£nein kaˆ tÕ dox£zein. œstin d8 par¦ taÚtaj te kaˆ ™pˆ taÚtaij dÚnam…j tij yucÁj kaˆ ¹ logik», æj proe…rhtai, kritik» tij oâsa kaˆ aÛth, ¿n ¥nqrwpoj ™xa…reton œcwn par¦ t«lla zùa timièterÒn tš ™sti zùon kaˆ teleiÒteron, kaq' ¿n dÚnamin kaˆ logikÕj kale‹tai.
76 Luca Gili Da questo confronto credo risulti evidente che Alessandro ha inserito nelle proprie trattazioni di biologia e di psicologia – che possiamo ricostruire sulla base del De anima e dei trattati della Mantissa – la descrizione di quella differenza in virtù della quale l’uomo soltanto, fra tutti i viventi, desidera conoscere e “vivere bene”. È infatti il possesso di una ulteriore facoltà dell’anima, la facoltà razionale (dÚnam…j tij yucÁj kaˆ ¹ logik»), oltre a quelle che già possiedono gli animali, a rendere l’uomo l’animale più nobile e completo (par¦ t«lla zùa timièterÒn tš ™sti zùon kaˆ teleiÒteron). In virtù di questa facoltà l’uomo vuole, comprende ed opina (toàto dš ™stin ¥nqrwpoj, oá tÒ te bouleÚesqai taÚthj tÁj dun£meèj ™sti kaˆ tÕ katalamb£nein kaˆ tÕ dox£zein). Queste attività sono esclusive della specie umana (cfr. Arist., Hist. Anim. I, 488 b25-28; Alessandro di Afrodisia, De intellectu, p. 107, ll. 26-28; De anima, p. 82, ll. 1-3). L’attività stessa del “contemplare” (qewre‹n) è l’attività del noàj che astrae dalle determinazioni sensibili e dalla materia120; il noàj deve a sua volta essere identificato con la facoltà razionale dell’anima umana121. In questo senso – cioè come atto di una dÚnamij dell’anima umana –, il qewre‹n è identificato da Alessandro con una forma di pr©xij (cfr. in particolare Alessandro di Afrodisia, Mantissa, tr. 4: “Oti ple…ouj aƒ tÁj yucÁj dun£meij kaˆ oÙ m…a, p. 118, l. 38-p. 119, l. 3 e p. 119, ll. 17-19). Mi sembra quindi evidente l’opera di integrazione da parte del commentatore di Afrodisia delle opere psicologiche dello Stagirita con quegli elementi che Aristotele aveva espresso, probabilmente con maggiore diffusione, nel suo Protrettico: la centralità dell’uomo, la sua dignità come conseguenza della sua capacità di conoscere la verità mediante l’attività contemplativa, che conduce l’uomo alla vita felice. La conclusione che Rashed trae nel proprio articolo, cioè che Alessandro si sarebbe fatto guidare dall’impostazione che emerge nel Protrettico nella sua organizzazione del sistema aristotelico, rimane naturalmente probabile; ed è senza dubbio vero che l’impostazione stessa della filosofia aristotelica nella versione che il commentatore di Afrodisia ci offre è congruente con il progetto delineato nel 120
Cfr. Alessandro di Afrodisia, De anima, p. 84, ll. 6-9: oÙ p£scein ™st…n, ¢ll¦ kr…nein. oÜte oân æj Ûlh ginÒmenoj Ð noàj tîn e„dîn oÛtwj aÙt¦ lamb£nei oÜte æj met¦ Ûlhj Ônta æj t¦ a„sqanÒmena, ¢ll' aÙt¦ kaq' aØt¦ cwr…zwn aÙt¦ ¢pÕ p£shj ØlikÁj perist£sewj mÒna lamb£nwn qewre‹. 121 Cfr. Alessandro di Afrodisia, De intellectu, p. 107, ll. 21-29: ”Alloj dš ™stin Ð ½dh noîn kaˆ ›xin œcwn toà noe‹n kaˆ dun£menoj t¦ e‡dh tîn nohtîn kat¦ t¾n aØtoà dÚnamin lamb£nein, ¢n£logon ín to‹j t¾n ›xin œcousin tîn tecnitîn kaˆ dunamšnoij di' aØtîn poie‹n t¦ kat¦ t¾n tšcnhn. Ð g¦r prîtoj oÙ toÚtoij Ãn ™oikèj, ¢ll¦ m©llon to‹j dunamšnoij t¾n tšcnhn ¢nalabe‹n kaˆ genšsqai tecn…taij. kaˆ œstin oátoj Ð ØlikÕj ›xin ½dh kaˆ tÕ noe‹n te kaˆ ™nerge‹n proseilhfèj. Ð toioàtoj noàj ™n to‹j teleiotšroij ™stˆn ½dh kaˆ nooàsin.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 77 Protrettico. Ma questa prospettiva sembra essere rintracciata da Alessandro nelle opere psicologiche dello Stagirita, almeno secondo quanto emerge dai suoi trattati autonomi su questi temi. Sulla base degli elementi in nostro possesso credo perciò piuttosto problematico stabilire se il testo che costituì la linea guida e che suggerì all’esegesi alessandrista i suoi assi portanti sia stato il Protrettico e non piuttosto il De anima aristotelico, i Parva naturalia e opere biologiche come la Historia animalium. Quel che sembra sicuro è che la logica, quale emerge nel Proemio agli Analitici Primi, è vista come una teoria della deduzione, che può essere impiegata sia nelle scienze, qualora le premesse siano vere, prime e necessarie, sia nel ragionamento dialettico o sofistico. Le scienze a loro volta sembra si debbano identificare con quelle elencate dallo Stagirita in Met. E, 1. Senza dubbio questo elenco di scienze, per le quali la sillogistica costituisce la teoria deduttiva, comprende la filosofia teoretica, dato che Alessandro cerca, nel proprio commento alla Metafisica, di ridurre a forma sillogistica gli argomenti proposti dallo Stagirita in quest’opera122. Nel seguito del Proemio Alessandro si chiede quale sia l’utilità dello studio della logica, in accordo con quelle “questioni preliminari” alla lettura di un testo che si ponevano gli esegeti antichi (si veda la domanda n. 2 di Ammonio figlio di Ermina: qual è l’utilità dell’opera, tÕ cr»simon?). Ora, in generale, le cose degne di essere studiate o fanno riferimento a qualcos’altro che è desiderabile di per sé o hanno in sé il fatto di essere degne di studio. Che cosa è dunque degno in se stesso di essere conosciuto? Alessandro, coerentemente con la posizione che Aristotele sviluppa ad esempio in Eth. Nicom. X, 7, osserva che non è la conoscenza di ogni cosa o di ciò che capita ai nostri occhi che è degna di per sé di essere ricercata, perché anzi è meglio ignorare certe cose: sono degne in se stesse di essere conosciute le cose divine e le cose di valore e nobili, che, per Alessandro, sono prodotte dell’arte divina, che le plasma. “Contemplare” è infatti, secondo il commentatore, un vedere e un conoscere le cose divine. Perciò diciamo che la filosofia teoretica, il cui fine specifico è il qewre‹n, è la scienza delle cose divine e delle cose che sono effetto dell’arte divina; queste ultime, secondo Alessandro, sono le cose che avvengono per natura. La conoscenza di esse è evidentemente degna di per sé della massima attenzione da parte dell’uomo. Emerge qui con evidenza che Alessandro si inserisce in quella tradizione di pensiero che ha considerato la “contemplazione” del divino come l’oggetto proprio della filosofia. La domanda che occorre porsi è perché Alessandro abbia sollevato il tema della contemplazione, che nella tradizione aristotelica e platonica si connette alla 122
Cfr. al riguardo Bonelli [2001] e Flannery [2003].
78 Luca Gili filosofia teoretica, all’interno di una discussione sulla utilità dello studio della logica. La risposta è che ogni verità che l’uomo può contemplare, nell’ambito della filosofia teoretica, o è di per sé evidente, o è dimostrata a partire da ciò che è evidente di per sé. Ma la dimostrazione scientifica è un sillogismo che parte da premesse vere, necessarie, prime, in sé evidenti: di conseguenza se è necessaria la conoscenza della teoria della dimostrazione (trattata negli Analitici Posteriori) per conoscere qualcosa che in sé non è evidente, sarà necessaria anche la conoscenza della teoria della deduzione (trattata negli Analitici Primi) che è la struttura con la quale la dimostrazione è costruita. Questa osservazione si connette alla conclusione a cui Alessandro è giunto riguardo allo statuto della logica, che è detta strumento e prodotto della filosofia. L’importanza filosofica del ragionamento del commentatore risiede però nel fatto che la strumentalità della logica è fatta coincidere con il suo essere la teoria della deduzione di tutte le altre scienze. Alessandro ha presente il primo capitolo di Anal. Pr. A, dove Aristotele distingue i tipi di “premessa sillogistica” (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 a28-b12): essa può essere dimostrativa se è vera e costituisce il punto di partenza di una dimostrazione scientifica; è dialettica se è apparentemente vera ed è il punto di partenza di un sillogismo dialettico. È quindi evidente che esistono due tipi di sillogismo: scientifico e dialettico (Alessandro tornerà con maggiore chiarezza su questo punto nel suo commento ad Anal. Pr. A, 1, 24 a28-b12). Di conseguenza il sillogismo senza ulteriori qualificazioni, sarà quasi un genere rispetto alle classi delle deduzioni scientifiche e delle deduzioni dialettiche. Alessandro deriva questa conclusione da un confronto fra gli usi del termine “sullogismÒj” in Anal. Pr. A, 1 e in Top. A, 1: per il suo desiderio di sistematizzare l’opera aristotelica è quindi costretto a individuare due sensi distinti, sebbene le definizioni di “sullogismÒj” che occorrono in questi due passi siano sostanzialmente identiche. Questo fatto non inficia agli occhi di Alessandro la sua interpretazione, ma anzi la rafforza: egli infatti è convinto che le due definizioni corrispondano alla nozione generica di sullogismÒj, che egli ha individuato. L’esigenza della sistematizzazione delle dottrine sul sullogismÒj dei Topici e degli Analitici Primi è già presente, d’altra parte, nel testo dello Stagirita, che in Anal. Pr. A, 1, 24 b12 rimanda effettivamente ai Topici. Probabilmente in una fase di successiva rielaborazione e di nuova redazione dei due testi, prima fra loro non armonizzati e contenenti dottrine eterogenee, Aristotele avvertì la necessità di dare forma unitaria alle proprie convinzioni logiche ed inserì questo rimando ai Topici. Alessandro quindi dovette sentirsi perfettamente autorizzato nella propria opera di rielaborazione sistematica e di distinzione fra i sensi che il termine “sullogismÒj” assume.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 79 Da questo ragionamento sistematizzante segue perciò che la classe delle deduzioni scientifiche è inclusa nel “genere” dei sillogismi in senso lato: ¹ ¢pÒdeixij sullogismÒj tij (in Anal. Pr. p. 6, l. 12). Emerge al tempo stesso con evidenza l’idea che la sillogistica sia la underlying logic di ogni scienza: infatti ogni scienza si costruisce di dimostrazioni, che, per quanto si è detto, risultano essere una particolare specie di sillogismi. L’argomentazione che Alessandro propone nel Proemio per pervenire a questa conclusione è in parte diversa da quella da me ricostruita attingendo a sezioni successive del suo commento. La linea di Alessandro si innesta sul tema platonico della “contemplazione” come fine ultimo dell’uomo. Alessandro inizia con l’osservare che la geometria è utile allo studio della filosofia perché abitua al pensiero astratto (è proprio della filosofia infatti astrarre i concetti dai sensibili in cui si trovano). L’utilità della logica consiste invece nel suo essere strumento della filosofia. Ora, la attenzione che meritano gli strumenti è giudicata a partire dal valore di ciò che si ottiene mediante essi. Gli enti oggetto della contemplazione della filosofia sono degni della massima attenzione, come abbiamo dimostrato riprendendo un motivo platonico. Ma le proprietà e le caratteristiche di questi enti sono dimostrate mediante la sillogistica. Per questo motivo quest’ultima è utile e degna di essere studiata. In generale tutte le discipline filosofiche sono degne di ogni attenzione, secondo Alessandro, ma, prima delle altre, è degna di essere ricercata la considerazione e la conoscenza della verità, perché la verità è la cosa più appropriata agli uomini e il bene più grande a cui essi possano aspirare. Ciò risulta evidente per Alessandro per questi motivi: a) come per ciascuno degli altri animali c’è qualcosa di appropriato e secondo natura (correre, volare, cacciare etc.), così anche per l’uomo è appropriata e secondo natura la scienza e la contemplazione: Aristotele all’inizio della Metafisica aveva infatti detto che “p£ntej ¥nqrwpoi toà e„dšnai Ñršgontai fÚsei” (Met. A, 1, 980 a1). Alessandro riprende da Aristotele l’idea che l’amore delle percezioni e in particolare della vista, che è il senso più utile ai fini della conoscenza, sia il segno di questo amore del sapere; ma, coerentemente con la propria attitudine ad ampliare il testo aristotelico, aggiunge, come ulteriore segnale di questa tesi, il fatto che i bambini amano ascoltare i racconti, sebbene essi non ricevano dalle storie altro che la conoscenza dei fatti raccontati; b) l’uomo differisce dagli altri animali soprattutto e nel modo più manifesto per la capacità di conoscere il vero. È possibile infatti trovare qualche traccia delle virtù umane anche fra gli animali irrazionali (alcuni di essi infatti sono coraggiosi, altri generosi, altri temperanti, come lo stesso Aristotele sostiene nella Historia
80 Luca Gili animalium); ma per la conoscenza della verità e per la contemplazione teoretica gli animali irrazionali sono totalmente incapaci; c) la contemplazione è poi il più grande fra i beni a cui l’uomo possa aspirare. Alessandro cita espressamente Platone come autorità in questo contesto. Nelle Leggi il filosofo ateniese aveva detto infatti che “¢l»qeia d¾ p£ntwn m8n ¢gaqîn qeo‹j ¹ge‹tai, p£ntwn d8 ¢nqrèpoij” (Leges, V, 730 c1-2). Se la verità è ciò che guida uomini e dei alla virtù, recando loro ogni bene, evidentemente è degna della massima stima. Questa affermazione, perfettamente coerente con l’aristotelismo, trova però curiosamente come proprio sostegno una frase di Platone: segno non tanto della appartenenza di Alessandro a quella tendenza delle scuole ellenistiche, che la storiografia di inizio ‘900 catalogava come “eclettica”, quanto piuttosto della sua volontà di sottolineare come, dai postulati stessi del platonismo, si sia condotti a conclusioni in linea con il sistema aristotelico; d) le virtù etiche si accompagnano alla deliberazione; Aristotele ha detto infatti che sono disposizioni deliberative (cfr. Eth. Nicom. B, 6, 1106 b36: ”Estin ¥ra ¹ ¢ret¾ ›xij proairetik»); tuttavia la deliberazione è un desiderio della volontà e la volontà a sua volta è relativa agli eligibili. Noi vogliamo cose che non sappiamo se e come riusciremo ad ottenere; ma riguardo a ciò che è oggetto di scienza nessuno opera una deliberazione, perché già possiede – conoscendolo – un tale oggetto. Di conseguenza, poiché gli dei possiedono una conoscenza perfetta di ogni cosa, non eserciteranno la deliberazione riguardo a nulla. Ma se non c’è deliberazione in loro, non c’è nemmeno volontà: essi quindi non possiedono le virtù etiche che gli uomini invece esercitano. La contemplazione della verità invece per gli dei è continua e ininterrotta, mentre per gli uomini non è possibile essere attivi in modo continuo al loro stesso modo: molte sono infatti le circostanze della vita che la sorte assegna e che li allontanano dalle cose più nobili. Quando però l’uomo compie delle attività simili a quelle degli dei e si dedica alla contemplazione della verità, diventa simile a loro: emerge nuovamente il tema della Ðmo…wsij qeù kat¦ tÕ dunatÒn che Platone aveva affrontato in Theaet. 176a-b. Il diventare simile al dio è il massimo bene per l’uomo ed avviene mediante la contemplazione e la conoscenza del vero. Ora, la conoscenza del vero si ha per dimostrazione. La dimostrazione è quindi ritenuta degna di ogni onore e attenzione e, a causa della dimostrazione, anche la sillogistica, con la quale le dimostrazioni sono costruite. Infatti, come abbiamo visto, la dimostrazione è un certo sillogismo e il sillogismo è l’oggetto della trattazione degli Analitici Primi. Chiarita l’importanza della sillogistica, Alessandro passa ad esaminare il titolo che Aristotele ha dato a questo testo: siamo quindi al quinto dei prolegÒmena
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 81 individuati da Ammonio nel suo commento all’Isogage di Porfirio (¹ a„t…a tÁj ™pigrafÁj, cfr. Busse [1891], p. 21, l. 9). Dopo aver spiegato in primo luogo l’ordine fra Analitici Primi e Posteriori (che si occupano di argomenti uno preliminare all’altro: sillogismo e dimostrazione scientifica), Alessandro si sofferma con maggiore cura sul contenuto degli Analitici Primi123. Si può quindi supporre che, benché il Proemio abbia un carattere molto generale, il commento di Alessandro ad Analitici Primi e Posteriori non fosse continuo e contenesse un nuovo Proemio specifico per gli Analitici Posteriori, dove poteva trovare una sintetica esposizione il contenuto di questa seconda opera. Naturalmente questa ipotesi, pur probabile, è destinata a rimanere tale, dato che l’intero commento di Alessandro ai libri b, g, d degli Analitici è andato perduto. Per stabilire correttamente quale sia il contenuto dell’opera, Alessandro analizza i molteplici significati del sostantivo ¢n£lusij. Secondo il commentatore, infatti, Aristotele ha chiamato questi libri Analitici, perché in generale l’“analisi” è la riduzione di ogni composto negli elementi di cui è costituito. L’analisi è cioè l’inverso della composizione e della sintesi: mentre infatti quest’ultima è il metodo che parte dai principi per derivare le conclusioni che da essi si derivano, l’analisi invece è tornare dal termine del ragionamento ai principi da cui esso è stato tratto. Si dice infatti che i geometri facciano delle analisi quando, incominciando dalla conclusione, secondo l’ordine delle premesse assunte per la dimostrazione della conclusione, risalgono ai principi della dimostrazione stessa. Ma anche il fisico, che riconduce i corpi composti ai corpi semplici e riconduce questi ultimi ai quattro elementi, compie un’analisi; un’analisi metafisica è invece la riconduzione di ogni sostanza sensibile ai suoi costituenti fondamentali, cioè alla materia e alla forma124. 123
Cfr. in Anal. Pr. p. 6, ll. 13-29: ToàtÒ toi kaˆ prîton perˆ sullogismîn Ð 'Aristotšlhj prÕ toà perˆ ¢pode…xewj lšgein pragmateÚetai ™n toÚtoij, oŒj ¹ ™pigraf¾ Perˆ protšrwn ¢nalutikîn, did£skwn ¹m©j, t… ™sti sullogismÒj, kaˆ ™k t…nwn sÚgkeitai, kaˆ pÒsa sc»mat£ ™sti sullogistik£, kaˆ t…nej aÙtîn diafora…· tÚpJ g£r tini koinù t¦ sc»mata œoiken, ™n oŒj œstin ™narmÒsanta Ûlhn e%i dÒj ti ¢nam£xasqai taÙtÕn ™pˆ ta‹j diafÒroij Ûlaij· æj g¦r ™pˆ tîn tÚpwn tîn aÙtîn ¹ diafor¦ oÙ kat¦ tÕ edoj g…netai kaˆ tÕ scÁma to‹j ™narmozomšnoij ¢ll¦ kat¦ t¾n Ûlhn, oÛtw d¾ kaˆ ™pˆ tîn schm£twn tîn sullogistikîn. lšgei d8 ka…, pÒsai kaq' ›kaston scÁma suzug…ai, kaˆ t…nej toÚtwn e„sˆ sullogistikaˆ kaˆ t…nej ¢sullÒgistoi, kaˆ t…nej diaforaˆ tîn kaq' ›kaston scÁma sullogismîn prÕj ¢ll»louj, kaˆ t…nej m8n tšleioi tîn sullogismîn kaˆ aÙtÒqen gnèrimoi kaˆ oÙ deÒmenoi ¢pode…xewj, t…nej d8 ¢tele‹j kaˆ oÙk ¢napÒdeiktoi, kaˆ pÒqen to‹j ¢telšsin e‡rhtai tÕ enai sullogismo‹j. lšgei d8 ™n aÙto‹j kaˆ perˆ eØršsewj prot£sewn, pîj ¨n eØr…skoimen prot£seij prÕj tÕ kaq' ›kaston scÁma tîn o„ke…wn eÙpore‹n sullogismîn. lšgei d8 kaˆ perˆ ¢nalÚsewj sullogismîn kaˆ kaqÒlou, Ósa tÁj sullogistikÁj ™stin ‡dia pragmate…aj. 124 Questa analisi, alla quale Alessandro accenna soltanto in queste linee del Proemio, doveva con ogni probabilità costituire il procedimento che il commentatore doveva ritenere che Aristotele avesse
82 Luca Gili Accanto al fisico e al metafisico, anche il logico compie un’analisi, come mostreranno gli Analitici Primi. Questa analisi, secondo Alessandro, è a sua volta molteplice: a) si dice propriamente che fanno un’analisi coloro che riducono i sillogismi composti nei sillogismi semplici, cioè scompongono un polisillogismo nei sillogismi (formati fa una coppie di premesse + una conclusione) di cui il polisillogismo è composto; b) è un’analisi anche la riduzione dei sillogismi semplici (cioè con due premesse ed una conclusione) alle premesse, a partire dalle quali è stato formato il sillogismo; c) è un’analisi anche la riduzione dei sillogismi imperfetti ai perfetti; d) è infine una analisi la riduzione di un sillogismo dato alla sua figura appropriata. Per questo motivo, anche se altre discipline (come la geometria, la fisica e la metafisica) si servono dell’analisi, la trattazione della sillogistica è analitica per eccellenza, e perciò Aristotele ha chiamato a buon diritto Analitici Primi la propria opera relativa ai sillogismi125. adottato nel suo studio della sostanza in Met. ZH. Una buona evidenza a sostegno di questa tesi ci è offerta dal commento a Met. D, 28, 1024 b9-16, brano in cui Aristotele afferma che contrarie al genere sono le cose che non sono ulteriormente analizzabili, come il sostrato e la materia. Nel proprio commento a questo brano della Metafisica, Alessandro afferma che la analisi metafisica della sostanza termina infatti quando giunge alla materia: lšgwn prîton Øpoke…menon t¾n Ûlhn· oŒj g¦r m» ™stin ¹ aÙt¾ Ûlh Øpokeimšnh, m»te ¢nalÚetai ¹ toà ˜tšrou Ûlh e„j t¾n toà ˜tšrou, m»te ¹ ¢mfotšrwn e„j t¾n aÙt¾n tù e‡dei, taàta ›tera tù gšnei. Ûlhn d8 œoike lšgein t¾n ™nerge…v Øpokeimšnhn, ¿n kaˆ prèthn epe, lšgwn prèthn t¾n prosecÁ prÕj ¢ntidiastol¾n tÁj ™sc£thj kat¦ ¢n£lusin, ¿ kaˆ kur…wj ™stˆ prèth· oŒon tù ¢ndri£nti calkÕj ØpÒkeitai, tù d8 krustall…nJ ™kpèmati Ûdwr, kaˆ e„sˆn aátai diafšrousai, ¢ll' ¹ toà ¢ndri£ntoj Ûlh e„j t¾n toà krustall…nou ¢nalÚetai, e‡ ge thktÕn m8n Ð calkÒj, p£nta d8 t¦ thkt¦ ™x Ûdatoj. oÙc ›tera d¾ tù gšnei t¦ e„lhmmšna kat¦ tÕ shmainÒmenon toàto. p£lin e„ tù m8n e‡h crusÕj Øpoke…menoj tù d8 ¥rguroj, di£foroi m8n p£lin álai aátai, kaˆ oÙk ¢nalÚetai aÙtîn ¹ ˜tšra e„j t¾n ˜tšran· di¦ d8 tÕ ¢mfÒtera e„j m…an kaˆ t¾n aÙt¾n ¢nalÚesqai (e„j g¦r tÕ Ûdwr) oÙc ›tera tù gšnei t¦ lhfqšnta. ïn d¾ t¦ Øpoke…mena oÙd8n p£scei toioàton, taàta ›tera lšgetai tù gšnei, æj l…qou kaˆ calkoà· tù m8n g¦r gÁ tù d8 Ûdwr t¦ Øpoke…mena, § oÜte e„j ¥llhla oÜte e„j ¥llo ti ¢nalÚetai a„sqhtÕn Øpoke…menon taÙtÒn (Hayduck [1891], p. 430, ll. 1-16). 125 Cfr. in Anal. Pr. p. 7, l. 11-p. 8, l. 2: 'Analutik¦ dš, Óti ¹ pantÕj sunqštou e„j t£, ™x ïn ¹ sÚnqesij aÙtîn, ¢nagwg¾ ¢n£lusij kale‹tai. ¢ntestrammšnwj g¦r ¹ ¢n£lusij œcei tÍ sunqšsei· ¹ m8n g¦r sÚnqesij ¢pÕ tîn ¢rcîn ÐdÒj ™stin ™pˆ t¦ ™k tîn ¢rcîn, ¹ d8 ¢n£lusij ™p£nodÒj ™stin ¢pÕ toà tšlouj ™pˆ t¦j ¢rc£j· o† te g¦r gewmštrai ¢nalÚein lšgontai, Ótan ¢pÕ toà sumper£smatoj ¢rx£menoi kat¦ t¾n t£xin tîn e„j t¾n toà sumper£smatoj de‹xin lhfqšntwn ™pˆ t¦j ¢rc¦j kaˆ tÕ prÒblhma ¢n…wsin. ¢ll¦ kaˆ Ð t¦ sÚnqeta sèmata ¢n£gwn e„j t¦ ¡pl© sèmata ¢nalÚsei crÁtai kaˆ Ð tîn ¡plîn ›kaston e„j t£, ™x ïn aÙto‹j tÕ enai, Óper ™stˆn Ûlh kaˆ edoj, ¢nalÚei. ¢ll¦ kaˆ Ð tÕn lÒgon e„j
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 83 Questi quattro tipi di “analisi”, che Aristotele affronta negli Analitici Primi, non sono tuttavia sul medesimo piano, secondo Alessandro. Dato il paradigma generale per cui ogni “analisi” è una scomposizione di un composto nei suoi elementi costitutivi semplici, il senso più proprio di “analisi” in ambito sillogistico sembra quello della riduzione dei sillogismi composti ai sillogismi semplici (cfr. in Anal. Pr. p. 7, ll. 22-23: ¢nalÚein d8 „d…wj lšgontai kaˆ oƒ toÝj sunqštouj sullogismoÝj ¢nalÚontej e„j toÝj ¡ploàj). Ma il senso di “analisi” da cui maggiormente dipende la scelta del titolo è l’ultimo: la riduzione di un sillogismo dato a una delle figure sillogistiche (cfr. in Anal. Pr. p. 7, ll. 25-28: ¢ll¦ kaˆ t¾n tîn tiqemšnwn sullogismîn e„j t¦ o„ke‹a sc»mata ¢nagwg¾n ¢n£lusin lšgousi. kaˆ kat¦ toàto tÕ shmainÒmenon tÁj ¢nalÚsewj m£lista 'Analutik¦ kaˆ taàta ™pigšgraptai). È piuttosto difficile comprendere cosa intenda Alessandro per “sillogismi dati (o posti)” (tiqemšnwn sullogismîn). Si può trattare infatti di un sillogismo standard, del quale tuttavia ancora si ignora la figura di appartenenza, semplicemente perché non si è prestata attenzione alla posizione del termine medio. Una simile ipotesi mi pare però fragile, perché la disattenzione alla posizione del medio è un fatto tanto contingente che è piuttosto difficile che lo scopo degli Analitici Primi sia principalmente quello di superare tale distrazione, per far cogliere quale sia la figura in cui un sillogismo in forma standard deve essere collocato. A mio parere Alessandro, parlando di “sillogismi dati (o posti)” (tiqemšnwn sullogismîn), intende inferenze valide qualsiasi, ma che non si presentano ancora in forma sillogistica: la riconduzione alla forma sillogistica standard (cioè alle figure), viene dunque ad essere l’obiettivo primario degli Analitici Primi. Credo che una tale interpretazione sia suffragata da solide evidenze testuali. Aristotele effettivamente presenta in Anal. Pr. A, 32 il tentativo di ridurre ogni inferenza valida ad una inferenza della sillogistica categorica; questo capitolo si può leggere in parallelo ad Anal. Pr. A, 23, in cui Aristotele mostra che la sillogistica categorica è in grado di esprimere tutte e sole le inferenze deduttive t¦ mšrh toà lÒgou diairîn kaˆ Ð t¦ mšrh toà lÒgou e„j t¦j sullab¦j kaˆ Ð taÚtaj e„j t¦ stoice‹a ¢nalÚei. ¢nalÚein d8 „d…wj lšgontai kaˆ oƒ toÝj sunqštouj sullogismoÝj ¢nalÚontej e„j toÝj ¡ploàj. ¢ll¦ kaˆ oƒ toÝj ¡ploàj e„j t¦j prot£seij, ™x ïn aÙto‹j tÕ enai. ¢ll¦ kaˆ tÕ toÝj ¢tele‹j sullogismoÝj e„j toÝj tele…ouj ¢n£gein ¢nalÚein kale‹tai. ¢ll¦ kaˆ t¾n tîn tiqemšnwn sullogismîn e„j t¦ o„ke‹a sc»mata ¢nagwg¾n ¢n£lusin lšgousi. kaˆ kat¦ toàto tÕ shmainÒmenon tÁj ¢nalÚsewj m£lista 'Analutik¦ kaˆ taàta ™pigšgraptai· Øpogr£fei g£r tina ¹m‹n mšqodon ™pˆ tšlei toà prètou, di' Âj toàto poie‹n dunhsÒmeqa. ¢ll¦ kaˆ pîj t¾n tîn ¡plîn sullogismîn e„j t¦j o„ke…aj prot£seij, ™x ïn aÙto‹j tÕ enai, kaˆ aÙtîn, ¢nagwg¾n poie‹n dunhsÒmeqa. eØr»somen dš tina aÙtîn lšgonta, kaˆ pîj oƒ sÚnqetoi sullogismoˆ g…nontai ™k tîn ¡plîn, kaˆ pîj aÙtoÝj e„j ™ke…nouj ¢n£xomen. ™n oŒj m8n oân perˆ tÁj tîn sullogismîn ¢nalÚsewj pepragm£teutai, taàta 'Analutik¦ PrÒtera, ™n oŒj d8 perˆ tÁj tîn ¢pode…xewn, 'Analutik¦ m8n kaˆ aÙt£, “Ustera d8 ™pigr£fei.
84 Luca Gili valide. Molto probabilmente a questi capitoli deve essere connessa la affermazione di Alessandro, secondo cui Aristotele esporrà un metodo per effettuare una riduzione di sillogismi dati alle figure sillogistiche alla fine del primo libro degli Analitici Primi (cfr. in Anal. Pr. p. 7, ll. 28-29: Øpogr£fei g£r tina ¹m‹n mšqodon ™pˆ tšlei toà prètou, di’Âj toàto poie‹n dunhsÒmeqa). Sono notevoli le affinità tra queste linee del Proemio e il commento al primo lemma del capitolo A, 32 degli Analitici Primi. Si veda la seguente tabella: [Proemio] in Anal. Pr., p. 7, ll. 22-29 ¢nalÚein d8 „d…wj lšgontai kaˆ oƒ toÝj sunqštouj sullogismoÝj ¢nalÚontej e„j toÝj ¡ploàj. ¢ll¦ kaˆ oƒ toÝj ¡ploàj e„j t¦j prot£seij, ™x ïn aÙto‹j tÕ enai. ¢ll¦ kaˆ tÕ toÝj ¢tele‹j sullogismoÝj e„j toÝj tele…ouj ¢n£gein ¢nalÚein kale‹tai. ¢ll¦ kaˆ t¾n tîn tiqemšnwn sullogismîn e„j t¦ o„ke‹a sc»mata ¢nagwg¾n ¢n£lusin lšgousi. kaˆ kat¦ toàto tÕ shmainÒmenon tÁj ¢nalÚsewj m£lista 'Analutik¦ kaˆ taàta ™pigšgraptai Øpogr£fei g£r tina ¹m‹n mšqodon ™pˆ tšlei toà prètou, di' Âj toàto poie‹n dunhsÒmeqa.
[A, 32] in Anal. Pr. p. 340, ll. 5-6, 1113 Di¦ toÚtwn Øpogr£fei mšqodon ¹m‹n, di' Âj dunhsÒmeqa p£nta tÕn problhqšnta sullogismÕn ¢n£gein e„j tÕ o„ke‹on scÁma […]. ¢pÕ d8 tÁj meqÒdou tÁj nàn paradedomšnhj kaˆ 'Analutik¦ ™pigr£fetai t¦ bibl…a. oÙ tîn ¡plîn d8 mÒnwn ¢ll¦ kaˆ tîn sunqštwn Øpogr£fei t¾n ¢n£lusin.
Mi sembra evidente la vicinanza terminologica e di contenuto fra i due passi del commento di Alessandro. Altrettanto chiaro mi pare perciò che l’esegeta di Afrodisia, quando scrisse questo passo del proprio Proemio, avesse presente il capitolo A, 32 degli Analitici Primi e il proprio commento a quest’ultimo testo (è verosimile infatti che il Proemio sia stato composto per ultimo da Alessandro). Dato che la sezione del Proemio presa in esame è decisiva per comprendere l’economia che governa, secondo Alessandro, l’intero trattato aristotelico, è evidente che secondo il commentatore di Afrodisia il capitolo A, 32 costituiva un prezioso indizio per comprendere la struttura degli Analitici Primi. Con ogni probabilità Alessandro, commentando questo capitolo, era fortemente influenzato dalla prospettiva interpretativa di Teofrasto nel considerare cruciale la dottrina esposta da Aristotele in Anal. Pr. A, 32. Si può infatti ipotizzare che l’idea
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 85 della centralità dell’ultima nozione di “analisi” esposta dal peripatetico di Afrodisia (¢ll¦ kaˆ t¾n tîn tiqemšnwn sullogismîn e„j t¦ o„ke‹a sc»mata ¢nagwg¾n ¢n£lusin lšgousi) gli derivi da due trattati del filosofo di Ereso, per noi perduti, dal titolo significativo 'Anhgmšnwn lÒgwn e„j t¦ sc»mata (in due libri, cfr. FHS&G 68, 18b = in Anal. Pr. p. 340, ll. 14-15; cfr. anche FHS&G 97) e Perˆ ¢nalÚsewj sullogismîn (in un libro, cfr. FHS&G 68, 9a = in Anal. Pr. p. 340, l. 21). In questi due trattati, secondo la testimonianza di Alessandro, Teofrasto affrontava argomenti diversi. Nel primo ('Anhgmšnwn lÒgwn e„j t¦ sc»mata) il filosofo di Ereso spiegava come ridurre degli argomenti generici (lÒgoi) alle figure sillogistiche (sc»mata). Questa trattazione, ci informa Alessandro, è diversa rispetto a quella che delinea un metodo per mezzo del quale siamo in grado noi stessi di analizzare un qualsiasi argomento proposto e ridurlo. Chi possiede questo metodo infatti sarà in grado di ridurre alla figura appropriata ogni inferenza che si proponga di analizzare, mentre chi ha imparato alcune particolari riduzioni, ma non il metodo e la ragione in virtù della quale sono state ottenute, sarà in grado di operare la riduzione alle figure sillogistiche solo per le inferenze che ha studiato. Il metodo, secondo Alessandro, è esposto da Teofrasto nella seconda delle sue opere (Perˆ ¢nalÚsewj sullogismîn), relativa alla “analisi” delle deduzioni sillogistiche126. Il confronto con Teofrasto è a mio parere decisivo per illuminare l’intera economia del commento di Alessandro agli Analitici Primi. Rimane tuttavia da esplorare se il contesto culturale più vicino al periodo in cui il commentatore di Afrodisia fu attivo possa essere ritenuto in qualche misura uno stimolo a riscoprire il testo di Aristotele sotto l’aspetto che era stato illuminato da testi, come i due trattati di Teofrasto, che dovevano apparire ad Alessandro sicuramente autorevoli, ma a cui non si vede la necessità di ricorrere, se non sono utili ad illuminare passi oscuri del testo aristotelico. Si osservi anche che il confronto con la mediazione di Teofrasto è a volte critico nell’opera di Alessandro, quando non è possibile rintracciare nell’Eresiano distinzioni o chiarimenti che possano risolvere le contraddizioni presenti nel testo di Aristotele. Sono soprattutto due termini, che Alessandro usa in questo passo del Proemio, che possono essere considerati, a mio giudizio, un indizio del confronto che il commentatore di Afrodisia sta svolgendo con l’ambiente culturale e filosofico a lui contemporaneo: ¢n£lusij e mšqodoj (cfr. in Anal. Pr. p. 7, ll. 22-29). Galeno, ad esempio, aveva sviluppato una propria 126
Cfr. in Anal. Pr. p. 340, ll. 13-21: oÙ taÙtÕn dš ™stin ¢n£gein te lÒgouj e„j t¦ sc»mata, æj œcei t¦ Qeofr£stou dÚo t¦ ™pigrafÒmena 'Anhgmšnwn lÒgwn e„j t¦ sc»mata, kaˆ mšqodon Øpogr£yai, di' Âj p£nta t¦ problhqšnta ¢nalÚein aÙtoˆ kaˆ ¢n£gein dunhsÒmeqa. Ð m8n g¦r t¾n mšqodon toà ¢nalÚein kaˆ t¾n ™pist»mhn œcwn p£ntaj oŒÒj te œstai kaˆ toÝj m»pw gnwr…mouj ¢n£gein Ð dš tinaj œcwn ¢nhgmšnouj toÚtouj ¨n ¢n£goi mÒnouj æj ¨n œcwn t»rhsin aÙtîn ¢na…tion ¢ll' oÙk ™pist»mhn. Øpogr£fei d8 t¾n aÙt¾n taÚthn mšqodon kaˆ QeÒfrastoj ™n tù ™pigrafomšnJ Perˆ ¢nalÚsewj sullogismîn.
86 Luca Gili metodologia e una nozione di “analisi”, per certi versi alternativa a quella che ritroviamo nell’opera di Alessandro. Credo sia molto plausibile che l’attenzione che queste due nozioni incontrano nel commento agli Analitici Primi sia da attribuire all’attenzione che il dibattito filosofico dell’epoca doveva dedicare ad ¢n£lusij e mšqodoj. In quest’ottica il recupero della tradizione peripatetica e di Teofrasto poteva da un lato rafforzare la posizione di Alessandro; dall’altra parte, con il riferimento a questi due scritti di Teofrasto, Alessandro poteva trovare una dottrina cruciale, attorno alla quale rileggere gli Analitici Primi. Ciò garantiva una struttura coerente a questa opera – che ai lettori contemporanei sembra invece raccogliere materiali molto eterogenei ed essere il frutto di una redazione composita – e ripresentava gli Analitici Primi come il testo in cui Aristotele stesso proponeva la sua ¢n£lusij e il suo mšqodoj.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 87 4. La definizione di “proposizione” e la definizione di “sillogismo” 4.1
Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 1)
Aristotele, all’inizio degli Analitici Primi, introduce alcune importanti definizioni, che impiegherà nel seguito di tutta l’opera. Definisce infatti la “proposizione” e il “sillogismo”. Esaminiamo in dettaglio la struttura di questo primo capitolo degli Analitici Primi. 24 a10-15. [L’oggetto della ricerca] L’oggetto di questo trattato è la dimostrazione. Definiremo perciò la proposizione; i termini; il sillogismo; i tipi di sillogismo (perfetti o imperfetti); l’esser detto “kat¦ pantÒj” e l’esser detto “kat¦ mhdenÒj”. 24 a16-22. [Definizione di “proposizione”] Una proposizione è la affermazione o la negazione di qualcosa rispetto a qualcosa. Può essere: (i) universale, se qualcosa è detto di tutti o di nessuno; (ii) particolare, se qualcosa è detto o non è detto di qualcuno; (iii) indefinita, se si dice che qualcosa appartiene, senza specificare se a tutti o se a qualcuno. 24 a22--b16. [Distinzione fra premessa di un sillogismo e premessa dimostrativa] La premessa di un sillogismo è la affermazione o la negazione di qualcosa rispetto a qualcosa. La premessa dimostrativa è anche vera. La premessa è dialettica, quando, pur essendo una delle due proposizione di una coppia di contraddittorie, ci si chiede quale delle due sia vera; quando si fa una inferenza, la premessa è dialettica, se è l’assunzione di ciò che è apparente e probabile. 24 b16-18. [Definizione di “termine”] Un termine è ciò in cui si analizza la proposizione ed è possibile che sia o soggetto o predicato. Al termine si aggiunge la copula “è”, oppure “non è”. 24 b18-22. [Definizione di “sillogismo” (sullogismÒj)] Un “sillogismo” è un discorso (lÒgoj) in cui, essendo poste certe cose, segue di necessità qualcosa, a partire da esse, per il fatto che esse sono poste in un certo modo. 24 b22-26. [Definizione di “sillogismo perfetto”] Un sillogismo è perfetto quando non ha bisogno di nient’altro, oltre alle sue premesse, per rendere evidente la necessità della inferenza. Un sillogismo imperfetto, invece, per rendere evidente la necessità dell’inferenza, ha bisogno di una o di più premesse aggiuntive, che seguono di necessità dai termini assunti, ma che non sono state assunte come premesse. 24 b26-30. [Definizione dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj”] “B è nell’intero A” equivale a dire che “A è predicato di ogni B”. A è predicato di ogni
88 Luca Gili B quando non esiste un B di cui A non sia detto; “predicato di nessun B” ha un significato analogo. All’inizio degli Analitici Primi, Aristotele annuncia l’intenzione di studiare scientificamente la dimostrazione, a cui sono dedicati gli Analitici Secondi. I Primi, ed in particolare il primo libro, sono dedicati allo studio del “sullogismÒj”. La dimostrazione risulterà infatti un tipo particolare di sillogismo, che parte da premesse vere, prime, immediate, evidenti, tali cioè da essere cause della conclusione scientifica127. La logica, a differenza della teoria della scienza, è uno studio puramente formale delle inferenze, che prescinde dal loro contenuto. Per questo motivo, in un’ottica di lettura unitaria dell’opera, si può capire facilmente perché Aristotele abbia anteposto, alla trattazione del ragionamento scientifico, la trattazione dell’inferenza in generale. Di fatto le inferenze categoriche saranno studiate nei capp. A, 2 e 4-7; le inferenze in cui compaiono gli operatori modali nei capp. A, 3, 8-22. Mentre i capp. A, 23-24 sono dedicati a uno studio che si può intendere in qualche senso metalogico, relativo cioè al sistema della sillogistica in quanto tale, le parti restanti dell’opera (A, 25-46 e B) sono consacrate a problemi che esulano dalla costruzione del sistema formale della sillogistica128 . Di conseguenza è difficile pronunciarsi quindi sul carattere unitario dell’opera. Il punto che più ha diviso gli interpreti degli Analitici Primi è proprio la definizione di “sillogismo”: sullogismÕj dš ™sti lÒgoj ™n ú teqšntwn tinîn ›terÒn ti tîn keimšnwn ™x ¢n£gkhj sumba…nei tù taàta enai (Anal. Pr. A, 1, 24 b17-19). Nei Topici il sillogismo è definito in modo pressoché identico: ”Esti d¾ sullogismÕj lÒgoj ™n ú teqšntwn tinîn ›terÒn ti tîn keimšnwn ™x ¢n£gkhj sumba…nei di¦ tîn keimšnwn (Top. A, 1, 100 a25-26). Leggermente diversa la definizione che incontriamo negli Elenchi sofistici: Ð m8n g¦r sullogismÕj ™k tinîn ™sti teqšntwn éste lšgein ›teron ™x ¢n£gkhj ti tîn keimšnwn di¦ tîn keimšnwn (Soph. El. 1, 165 a1-2). Nonostante la indubbia somiglianza fra le tre formule, si può rilevare che, mentre la necessità logica dell’inferenza dipende esplicitamente dalle premesse, secondo i Topici e gli Elenchi sofistici (nei quali ricorre la stessa espressione: di¦ tîn keimšnwn), negli Analitici Primi lo Stagirita adopera un’altra espressione: tù taàta enai. Michael Frede129 ha rilevato che questa specificazione caratterizza il sillogismo rispetto alle inferenze valide sensu lato (nelle quali poste alcune premesse, segue qualcos’altro): la 127
Cfr. Anal. Post. A, 2, 71 b16-25. Incontriamo la discussione del problema dell’inventio medii, del rapporto con la dialettica e il metodo della divisione, del rapporto con l’induzione, il problema della deduzione sillogistica in rapporto all’inferenza necessaria in generale etc. 129 Frede [1987], p. 114. 128
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 89 clausola sumba…nei tù taàta enai, in altre parole, indica che la conclusione segue di necessità in virtù della stessa struttura del sillogismo. Da ciò non segue però che il sillogismo sia una implicazione, costituita da un’unica proposizione: secondo Frede, infatti, il sillogismo rimane una inferenza, che si compone di più proposizioni. È su questo punto che fra gli interpreti moderni della sillogistica non c’è consenso. Jan Łukasiewicz, ad esempio, era particolarmente ostile a considerare il sillogismo un’inferenza argomentativa che connetteva diverse proposizioni e non un’unica proposizione (assioma o tesi logica). Questa visione era stata fatta propria tuttavia da una lunga tradizione interpretativa. La lettura tradizionale si riteneva così pacifica e difficilmente oggetto di controversie, che anche alla voce Syllogistik della enciclopedia Pauly, scritta da Kapp, era tranquillamente registrata senza il minimo accenno a possibili interpretazioni alternative. Il volume di Łukasiewicz introdusse quindi una prospettiva radicalmente nuova, che dovette apparire rivoluzionaria rispetto all’esegesi tradizonale. Il logico polacco era tuttavia avvertito del fatto che si misurava con una tradizione antica e autorevole, ma non per questo si mostrava meno sicuro delle proprie tesi, che vedeva corroborate da solide evidenze testuali. “It must be said emphatically” scrive Łukasiewicz130 “that no syllogism is formulated by Aristotle as an inference with the word “therefore” (¥ra), as is done in the traditional logic […]. The difference between the Aristotelian and the traditional syllogism is fundamental. The Aristotelian syllogism as an implication is a proposition, and as a proposition must be either true or false. The traditional syllogism is not a proposition, but a set of propositions which are not unified so as to form one single proposition […]. Not being a proposition the traditional syllogism is neither true or false; it can be valid or invalid. The traditional syllogism is either an inference, when stated in concrete terms, or a rule of inference, when stated in variables”. In questo passaggio si può vedere che il sillogismo tradizionale, agli occhi di un logico raffinato come Łukasiewicz, si mostra come una regola di inferenza, cioè una struttura argomentativa valida a prescindere dai contenuti che figurano in essa (che sono appunto “variabili”), fatta di molte proposizioni: questa sarà in sostanza l’interpretazione che J. Corcoran fornirà del sillogismo aristotelico. La questione, schematizzata con particolare rigore da Łukasiewicz, è assai difficilmente districabile, perché le evidenze testuali sono assai poche e confuse. Come notò subito Austin, che pure ebbe parole di elogio per il lavoro del logico polacco, “it may certainly be doubted whether Aristotle was clearly aware of the distinction”131. Infatti Aristotele formula anche sillogismi in cui la conclusione è introdotta da ¥ra.
130 131
Łukasiewicz [1958], p. 21. Austin [1952], p. 397.
90 Luca Gili Łukasiewicz cita132 Anal. Post. B, 16, 98 b5-10 come esempio di un sillogismo che ne è privo, ma, aggiunge Austin, “within a line or two Aristotle gives a companion “syllogism” which has the ¥ra”133 . Accanto a interpretazioni logico-matematiche, seguite dalla maggioranza degli studiosi, si annoverano nella seconda metà del ‘900 anche letture più tradizionali della sillogistica, come quella autorevolmente suggerita da Michael Frede, che preferisce non considerare l’opera di Aristotele come un sistema logico assiomatico, né di deduzione naturale, ma una generale trattazione di “argomenti” la cui validità riposa sostanzialmente sui contenuti che compaiono in essi. Nel suo saggio apparso in Archiv für Geschichte der Philosophie del 1974134 , Frede si propone di tornare alla autentica concezione che Aristotele aveva della sillogistica. Lo scopo generale di Stoic vs. aristotelian syllogistic è istituire una comparazione fra le concezioni che la scuola stoica e peripatetica avevano della inferenza logica corretta. In questa prospettiva Frede dedica una porzione molto densa alla discussione della definizione di sillogismo nelle opere dello Stagirita. Nel farlo, lo studioso tedesco prende decisamente le distanze dalle interpretazioni logico-formali che già allora si erano affacciate. L’incipit del capitolo “The Peripatetic Position”135 intende collocare la discussione della posizione di Aristotele all’interno di un quadro più generale della idea peripatetica di sillogismo, dato che “Aristote’s definition of the syllogism […] seems to have been accepted by the Peripatetic school throught its history” 136. Questa osservazione si pone in polemica implicita con l’idea che Łukasiewicz delinea nel suo Aristotle’s syllogistic from the standpoint of modern logic, dove il logico polacco si premura di distinguere il genuino sillogismo aristotelico (considerato come un’unica proposizione, ottenibile come tesi logica a partire dagli assiomi del sistema), dal sillogismo di cui parla la tradizione aristotelica (che invece è fatto da un insieme di proposizioni, fra loro connesse per creare un argomento). Frede nella sua analisi intende sposare la interpretazione di sillogismo portata avanti dalla tradizione aristotelica. Il punto di partenza è la definizione di sillogismo fornita da Aristotele in Anal. Pr. A, 1, 24 b18-20. Secondo Frede, questa definizione è stata formulata all’interno delle discussioni dialettiche e quindi può essere spiegata nei suoi dettagli solo in riferimento a tale pratica137. Nell’ambito degli Analitici Primi, tuttavia, il sillogismo 132
Łukasiewicz [1958], p. 2. Austin [1952], p. 397. Stoic vs. Aristotelian Syllogistic (Frede [1974]), ora in volume in Frede [1987], pp. 99-124. 135 Frede [1987], pp. 110-122. 136 Frede [1987], p. 110. 137 Probabilmente Frede tiene presente, per derivare questa conclusione, il fatto che le due altre definizioni di sillogismo si trovano nei Topici (Top. A, 1, 100 a25-26) e nelle Confutazioni sofistiche (El. Soph. 1, 165 a1-2), opere nelle quali Aristotele espone la propria teoria dialettica. La presenza di 133 134
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 91 sembra avere una funzione univoca e autonoma dall’ambito in cui presumibilmente la sua definizione venne elaborata. Per comprenderla non si può comunque prescindere dalla definizione, nella quale, sottolinea Frede, compare il riferimento a un lÒgoj. Il lÒgoj non può intendersi come una proposizione all’interno della quale figurino delle variabili; allude invece a un argomento o comunque a uno schema di inferenze138. Inoltre le altre definizioni di sillogismo che si incontrano nel corpus aristotelicum “indicate that he [sc. Aristotle] defines a class of arguments (…). Since the definitions are almost identical with our definition in the Analytics, it would be surprising if Aristotle were not thinking of an argument here”139. La ragione che Frede invoca a sostegno della sua tesi è squisitamente filologica. Frede osserva che i diversi sillogismi (Barbara, Celarent, Darii, etc.) sono espressi in formulazioni molto diverse per ciò che riguarda la loro struttura linguistica. Di conseguenza, è difficile parlare di un linguaggio standardizzato e modellato sulla base di una serie di assiomi: siamo evidentemente di fronte ad argomentazioni, non a proposizioni espresse in linguaggio formalizzato. Il quadro che Frede delinea è fortemente persuasivo e personalmente ritengo che la sua interpretazione sia quella che meglio ha ricostruito l’idea aristotelica di “sillogismo”. Ai nostri scopi tuttavia è sufficiente mostrare quali siano le proposte interpretative avanzate in tempi recenti dagli studiosi riguardo al “sillogismo”, per mostrare, nel paragrafo immediatamente seguente, la particolare linea seguita da Alessandro nel dare conto del sillogismo, quasi ponendo la sua interpretazione a confronto con quella dei moderni, alla ricerca di analogie e differenze.
definizioni pressoché identiche di sillogismo in opere fra loro tanto diverse ha sempre causato problemi agli studiosi. Tradizionalmente gli interpreti attenti alla datazione relativa degli scritti dello Stagirita ascrivono le opere dialettiche alla prima fase della sua produzione. In quest’ottica la definizione di sillogismo che compare in Top. A, 1 è considerata come un rimaneggiamento successivo, forse di mano dello stesso Aristotele, volto a dare ex post una unità a una teoria logica in sé piuttosto eterogenea (cfr. al riguardo Maier [1896-1900], vol. II, tomo 2, pp. 78 e ss., nota 3; e poi Sainati [1993], p. 1 e ss.). Frede, sottolineando invece il carattere dialettico della definizione che compare negli Analitici Primi, sembra muoversi in un’altra direzione, considerando piuttosto la definizione di sillogismo come autenticamente risalente al primo periodo della attività dello Stagirita (il periodo dialettico dei Topici); il fatto che compaia all’interno di una delle ultime opere logiche che Aristotele compose, gli Analitici Primi, testimonia probabilmente il fatto che egli stesso la intese in un nuovo modo (“Aristotle himself in the Analytics no longer thought of the definition as dependent on this dialectical context”, Frede [1987], p. 110). 138 La linea interpretativa di Frede si colloca quindi nettamente in opposizione con interpreti come Thom, Łukasiewicz e Patzig, per i quali il sillogismo è sempre una proposizione, o meglio, uno schema di proposizioni all’interno del quale compaiono variabili. Al contrario per lo storico della filosofia tedesco “Aristotle here does not mean a proposition […], but an inference or an argument” (cfr. Frede [1987], p. 110). 139 Frede [1987], p. 111.
92 Luca Gili 4.2
Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 1
La trattazione di Aristotele inizia con la esposizione dell’argomento che sarà oggetto degli Analitici: Prîton e„pe‹n perˆ t… kaˆ t…noj ™stˆn ¹ skšyij, Óti perˆ ¢pÒdeixin kaˆ ™pist»mhj ¢podeiktikÁj (Anal. Pr. A, 1, 24 a10-11: così nel testo stampato da W. D. Ross). Alessandro di Afrodisia, commentando queste prime linee, ci mostra che possiede almeno due esemplari degli Analitici Primi, che portano lezioni differenti, o che, quantomeno, le fonti che consulta (probabilmente commenti precedenti al suo) erano a conoscenza di due lezioni differenti. Nel suo lemma compare infatti questa variante: Prîton e„pe‹n perˆ t… kaˆ t…noj ™stin ¹ skšyij, Óti perˆ ¢pÒdeixin kaˆ ™pist»mhn ¢podeiktik»n (in Anal. Pr. p. 9, ll. 34). Aristotele intende con “dimostrazione” e “scienza dimostrativa” il soggetto della trattazione contenuta negli Analitici. Più probabilmente però la sola “dimostrazione” ne è il soggetto, mentre la “scienza dimostrativa” costituisce l’habitus mediante il quale questo soggetto viene considerato. Questa distinzione sarebbe esplicitata dal ricorso a due casi diversi (accusativo e genitivo), scelti per indicare che “dimostrazione” e “scienza dimostrativa” non vanno poste sullo stesso piano. Di conseguenza, delle due lezioni tradite e note ad Alessandro, egli ritiene che sia da preferire quella che presenta “™pist»mhj ¢podeiktikÁj” al genitivo140. Aristotele passa poi a definire il termine “proposizione”. Alessandro coglie in questa definizione un ordine didattico: la dimostrazione è un particolare sillogismo, quindi occorre anteporre la trattazione del sillogismo (oggetto degli Analitici Primi) a quella relativa alla dimostrazione (oggetto degli Analitici Posteriori); il sillogismo a sua volta si origina a partire da proposizioni e quindi la trattazione del sillogismo
140 Cfr. in Anal. Pr. p. 9, ll. 5-23: E%ipe m8n di¦ bracšwn, t…j ¹ prÒqesij kaˆ t…j Ð skopÕj p£shj tÁj ¢nalutikÁj ™pist»mhj. prosqeˆj d8 tÒ te perˆ t…, Óper ™stˆn a„tiatikÁj ptèsewj ¢paithtikÒn, kaˆ tÕ t…noj genikÁj ptèsewj Ôn, t¾n ¢pÒdosin ™poi»sato kat¦ a„tiatik¾n ptîsin, mÒnon e„pën perˆ ¢pÒdeixin kaˆ ™pist»mhn, ¹m‹n katalipën tÕ metaschmat…sai kaˆ e„j genik¾n ptîsin t¦ e„rhmšna. gr£fetai œn tisin oÙ di¦ toà n, ¢ll¦ di¦ toà s ™pist»mhj ¢podeiktikÁj· kaˆ e‡h ¨n oÛtwj ™coÚshj tÁj grafÁj prÕj ˜k£teron tîn proteqšntwn ¢phnthkèj, prÕj m8n tÕ perˆ t… di¦ toà perˆ ¢pÒdeixin, prÕj d8 tÕ t…noj di¦ toà ™pist»mhj ¢podeiktikÁj. dÚnatai d', ¨n Ï di¦ toà s gegrammšnon ™pist»mhj ¢podeiktikÁj, t¦ proeirhmšna, tÕ perˆ t… kaˆ t…noj, m¾ e„rÁsqai perˆ toà Øpokeimšnou ¢mfÒtera, ¢ll¦ tÕ m8n ›teron tÕ perˆ t… perˆ toà Øpokeimšnou (p©n g¦r t… Øpoke…menon) tÕ d8 t…noj perˆ tÁj qewroÚshj tÕ Øpoke…menon ›xewj, æj enai perˆ m8n Øpoke…menon t¾n ¢pÒdeixin, qewroÚshj d8 taÚthn tÁj ¢podeiktikÁj ™pist»mhj. kaˆ e‡h ¨n prÕj ˜k£teron tîn proteqšntwn o„ke…wj oÛtwj ¢phnthkèj. œsti d8 ¹ m8n ¢pÒdeixij sullogismÕj ¢podeiktikÒj, ™pist»mh d8 ¢podeiktik¾ ›xij, ¢f' Âj oŒÒn tš ™stin ¢podeiktikîj sullog…zesqai tÕ g¦r perˆ ¢pode…xewj e„pe‹n ™pist»mhj ™stˆn ¢podeiktikÁj kaˆ toà taÚthn œcontoj.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 93 dovrà partire dalla definizione di “proposizione”141. Già da questo accenno risulta evidente come, per Alessandro, il sillogismo non è una proposizione, ma, pur essendo costituito da proposizioni, è qualcosa di diverso da esse. Mi sembra dunque corretta la interpretazione di Łukasiewicz, secondo il quale la scuola peripatetica (e quindi anche Alessandro) intese il sillogismo come un’inferenza piuttosto che come un assioma142. Il logico polacco riteneva questa lettura completamente fuorviante, perché a suo giudizio i sillogismi di Aristotele sono assiomi, ovvero tesi logiche esprimibili in forma proposizionale. In questa sede non intendo dare un bilancio di questa interpretazione, che fu avversata con buoni argomenti e oggi si può ritenere minoritaria, pur conservando alcuni elementi di plausibilità. Tuttavia mi sembra evidente che dal testo che Alessandro prende in esame sembra emergere con una certa chiarezza che Aristotele antepone alla trattazione del sillogismo la definizione di “proposizione”, quasi suggerendo che le due nozioni siano tra loro distinte. Alessandro, coerentemente con la sua prassi di esegesi “sistematica” dell’opera aristotelica, deve armonizzare le differenti definizioni di “proposizione” di cui il corpus aristotelicum è disseminato143 . Ad esempio, nel De Interpretatione Aristotele definisce la “asserzione” in questi termini: ¢pofantikÕj d8 oÙ p©j , ¢ll’ ™n ú tÕ ¢lhqeÚein À yeÚdesqai Øp£rcei (De Intepr. 4, 17 a2-3). Questa definizione si attaglia anche a “proposizione”, che, quanto al riferimento reale, è identica all’asserzione; tuttavia esiste una differenza nella definizione di “proposizione” e di “asserzione”. “Asserzione” si dice di tutto ciò che è suscettibile di essere o vero o falso; “proposizione” invece si dice di tutto ciò che è suscettibile di essere predicato in modo affermativo o in modo negativo. In modo simile Alessandro cerca di appianare le apparenti incongruenze che emergono considerando De Interpr., 5, 17 a8 e Anal. Post. A, 2, 72 a8-9 come possibili definizioni di “proposizione”. La tesi che difende Alessandro è che la definizione “in senso proprio” di proposizione è quella fornita in Anal. Pr. A, 1, 24 a16-17, ma che le altre indicazioni, che si incontrano nel corpus aristotelicum, sono sostanzialmente riconducibili a questa definizione e le sono equivalenti. Sbaglia quindi Teofrasto nel considerare “proposizione” un termine che si dice in molti
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Cfr. in Anal. Pr. p. 9, ll. 25-29: 'Epeˆ ¢nagka‹oj m8n e„j tÕn perˆ ¢pode…xewj lÒgon Ð perˆ sullogismoà, æj fq£nomen e„rhkÒtej, Ð d8 sullogismÕj ™k prot£sewn sÚgkeitai, aƒ d8 prot£seij ™x Órwn, e„kÒtwj perˆ toÚtwn lšgei prÕ toà perˆ sullogismoà lšgein, ™x ïn tù sullogismù tÕ enai· oÙd8 g¦r perˆ Ñnom£twn oŒÒn te e„dšnai tù m¾ e„dÒti perˆ sullabîn kaˆ stoice…wn. 142 Cfr. Łukasiewicz [1958], pp. 1-3. 143 Cfr. ad esempio Anal. Post A, 2, 72 a8; A, 12, 77 a37; De Interpr. 11, 20 b23; Soph. Elench. 6, 169 a8.
94 Luca Gili modi144. Esiste infatti una definizione generica di “proposizione”, che prescinde dalle sue differenze (che qualificano la proposizione dimostrativa o dialettica). Questa definizione generica è valida in ogni caso; in corrispondenza di essa, c’è anche una definizione generica di “sillogismo”, che indica l’inferenza in generale, senza specificare se si tratti di un’inferenza dialettica o sillogistica e, in quest’ultimo caso, se siamo in presenza di un sillogismo dimostrativo o meno. Queste riflessioni mi sembra che siano determinate dal primo libro dei Topici, nel quale si può leggere una lista di definizioni di termini d’uso nella dialettica: qualcosa di analogo a ciò che incontriamo in questo primo capitolo degli Analitici Primi. Anche nei Topici si incontra, ad esempio, una definizione di “sillogismo” molto simile a quella che Aristotele formula in Anal. Pr. A, 1. Proprio per tenere distinte le due nozioni, si può pensare che nei Topici Aristotele presenti il sillogismo dialettico, mentre in Anal. Pr. A, 1 definisce il sillogismo in genere.
144
Cfr. in Anal. Pr. p. 10, l. 13-p. 11, l. 16: E‡h m8n ¨n lÒgoj tÁj prot£sewj k¢ke‹noj, Ön tÁj ¢pof£nsewj ¢pšdwken ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj· lÒgoj g£r, “™n ú tÕ ¢lhqeÚein À yeÚdesqai Øp£rcei”. oÙ m¾n ¢ll¦ kaˆ „d…wj t¾n prÒtasin Ðr…zetai· kaˆ g¦r e„ taÙtÕn kat¦ tÕ Øpoke…menon prÒtas…j te kaˆ ¢pÒfansij, ¢ll¦ tù lÒgJ ge diafšrei. kaqÒson m8n g¦r À ¢lhq»j ™stin À yeud»j, ¢pÒfans…j ™sti, kaqÒson d8 katafatikîj À ¢pofatikîj lšgetai, prÒtasij, À Ð m8n ¢pofantikÕj lÒgoj ™n tù ¢lhq¾j À yeud¾j enai ¡plîj tÕ enai œcei, ¹ d8 prÒtasij ½dh ™n tù pwj œcein taàta. diÕ aƒ m¾ Ðmo…wj œcousai aÙt¦ lÒgoi m8n oƒ aÙto…, prot£seij d8 oÙc aƒ aÙta…. ¹ m8n g¦r lšgousa prÒtasij, Óti ¹ dikaiosÚnh ¢gaqÒn, Ðmo…wj œcei tÍ legoÚsV, Óti ¹ ¢dik…a kakÒn, ¢lhqe‹j d8 ¥mfw kaˆ kataf£seij, prot£seij d8 oÙc aƒ aÙta…, e‡ ge diafšrousin ™n aÙta‹j o† te Øpoke…menoi kaˆ oƒ kathgoroÚmenoi. ¢ll¦ kaˆ ¹ kat£fasij kaˆ ¹ ¢pÒfasij aƒ ¢lhqe‹j Ðmo…wj œcousi kat¦ toàto kaˆ e„sˆ lÒgoi oƒ aÙto…, prot£seij d8 oÙc aƒ aÙta…, e‡ ge di£foron tÕ poiÕn tÁj ¢pof£nsewj ™n aÙta‹j, kaˆ e„sˆ prot£seij m8n oÙc aƒ aÙta…, ¢pof£nseij d8 aƒ aÙta…. doke‹ d8 ¢pÕ tîn ØpÕ t¾n prÒtasin t¾n prÒtasin Ðr…zesqai. toÚtou d8 a‡tion· ™peˆ e%ipen ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj, Óti “œstin eŒj prîtoj lÒgoj ¢pofantikÕj kat£fasij, e%ita ¢pÒfasij”, ™n oŒj d8 t£xij ™stˆ kaˆ tÕ m8n prîtÒn ™sti tÕ d8 Ûsteron tîn Øpotetagmšnwn, æj ™n tù ØstšrJ tÕ prîton ™mfa…nesqai, ™n toÚtoij tÕ koinîj aÙtîn kathgoroÚmenon oÙc æj gšnoj aÙtîn kathgore‹tai· ™n g¦r to‹j gšnesi t¦ e‡dh t¦ prosecÁ aÙto‹j ¢ntidiaire‹tai ¢ll»loij, kaˆ oÙ tÕ m8n prîtÒn ™stin aÙtîn tÕ d' Ûsteron· ™peˆ to…nun oÙ gšnoj ¹ prÒtasij oÙdš ™sti fÚsij tij ¥llh par¦ t£, ïn kathgore‹tai, kaˆ ™n oŒj aÙtÍ tÕ enai, æj ™pˆ tîn genîn ™sti, di¦ toàto ™k tÁj kataf£sewj kaˆ tÁj ¢pof£sewj, ïn kathgore‹tai, ™d»lwsen aÙt»n. kaˆ g¦r tÕ ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj e„rhmšnon ‡son ™stˆ toÚtJ tÕ “œstin oân ¡plÁ ¢pÒfansij fwn¾ shmantik¾ perˆ toà Øp£rcein ti À m¾ Øp£rcein”. ¢ll¦ kaˆ tÕ “¢pof£nsewj tÕ ›teron mÒrion, 1n kaq' ˜nÒj”, æj ™n to‹j `Ustšroij ¢nalutiko‹j lšgei, ‡son toÚtoij, ú ÓrJ oÙkšti prosšqhke tÕ kat¦ tÕ poiÕn À toÝj crÒnouj, Óti ™n tÍ ¢ntif£sei taàta sune…lhptai· e„sˆ g¦r kat¦ taàta kaˆ aƒ ¢ntif£seij. Ómoion toÚtoij kaˆ tÕ ‘lÒgoj ¢pofantikÒj tinoj per… tinoj’, e„ m¾ ¥ra oátoj koinÒteroj, Óti ™n aÙtù oÜpw sumpare…lhptai oÜte ¹ kat£fasij oÜte ¹ ¢pÒfasij. æj d8 pollacîj legomšnhj tÁj prot£sewj œoike kaˆ QeÒfrastoj ™n tù Perˆ kataf£sewj frone‹n. aÙt¾n goàn oÙc Ðr…zetai, ¢ll¦ kat£fasin kaˆ ¢pÒfasin.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 95 Se le definizioni di sillogismo sono simili nelle varie opere aristoteliche, la definizione di “proposizione” è però decisamente diversa, se letta in passi differenti dello Stagirita; questa crux esegetica attira perciò l’attenzione di Alessandro. Aristotele scrive infatti nei Topici: œsti d8 prÒtasij dialektik¾ ™rèthsij œndoxoj À p©sin À to‹j ple…stoij À to‹j sofo‹j, kaˆ toÚtoij À p©sin À to‹j ple…stoij À to‹j m£lista gnwr…moij, m¾ par£doxoj (Top. A, 10, 104 a8-11). La proposizione dialettica sembra essere quindi una domanda. Per la nostra discussione non è ora importante che il contenuto di tale domanda sia endossale e non scientifico (cioè vero, immediato, primo e necessario). Per cogliere una tensione con ciò che Aristotele dice in Anal. Pr. A, 1, 24 a16-17, è sufficiente infatti rilevare che per lo Stagirita una domanda, come abbiamo visto, ha la forma: “è vero che A è detto di B o no?”. Invece una proposizione, quale è definita in Anal. Pr. A, 1, 24 a16-17, ha la forma “A è detto di B”. Sembra quindi che Aristotele abbia almeno due nozioni distinte di “proposizione”. È facile quindi supporre che Teofrasto sia stato motivato, sulla base di queste incongruenze nel testo del suo maestro, a considerare la “proposizione” un termine che si dice in molti modi (cfr. FHS&G 81 A). La soluzione che ci suggerisce Alessandro è invece diversa. Egli inizia con l’osservare che si danno sillogismi dimostrativi e dialettici, come afferma lo stesso Aristotele nel nostro capitolo. Tutti i sillogismi, come recita la loro definizione, si generano a partire da proposizioni. Esiste quindi un tipo di proposizione che è sillogistica (in italiano chiamiamo questa particolare proposizione “premessa”; la lingua greca di Aristotele e di Alessandro ha soltanto il termine prÒtasij). Si può quindi definire in generale la proposizione sillogistica, come si può in generale definire il sillogismo, prescindendo dal fatto che sia un sillogismo dimostrativo o dialettico: esisterà quindi una definizione generica di “proposizione”. Tuttavia, anche nel sillogismo dialettico, come Aristotele stesso riconosce nei Topici, il punto di partenza non è la domanda, ma un enunciato di forma “A si dice di B”. Un asserto in questa forma è piuttosto la risposta alla domanda dialettica, risposta che viene assunta nel contesto della discussione dialettica e su cui i disputanti si accordano. Quindi sia nei Topici che negli Analitici Primi la “proposizione sillogistica” ha come sua adeguata definizione ciò che Aristotele dice in Anal. Pr. A, 1, 24 a16-17 e non ha forma interrogativa (essendo piuttosto una risposta alla domanda dialettica). Questo fa cadere le apparenti contraddizioni dei due testi aristotelici145. 145
Cfr. in Anal. Pr. p. 12, l.7-p. 13, l. 25: E„pën tÕn koinÕn lÒgon tÁj prot£sewj prost…qhsi kaˆ t¦j diafor£j, aŒj diafšrousin ¢ll»lwn ¼ te ¢podeiktik¾ kaˆ ¹ dialektik», ¤ma m8n deiknÚj, Óti ™n taÚtaij ™stˆn Ð koinÒj te kaˆ ¢podedomšnoj lÒgoj tÁj prot£sewj kaˆ oÙ kat¦ toàtÒ ™stin aÙta‹j ¹ diafor£· ™n p£saij g¦r ta‹j prot£sesi ta‹j sullogistika‹j Ð ¢podedomšnoj lÒgoj· oÙ m¾n kaˆ ™n tÍ ™rwt»sei· oÙd8 g¦r ¡plîj ™ke…nh prÒtasij, ¢ll¦ tÕ
96 Luca Gili Si ha quindi anche in questo caso l’impressione che Alessandro derivi da Teofrasto il materiale per sollevare il problema esegetico, che, in quest’occasione, risulta riguardare le differenti definizioni di “proposizione”. Tuttavia il commentatore rifiuta la soluzione di Teofrasto, che sembra allontanarsi dal testo di Aristotele. Lo Stagirita infatti non afferma mai nel corpus che la proposizione si dice in molti modi. Da ciò si potrebbe quindi inferire che rifiutasse tale definizione Ólon dialektik¾ prÒtasij. ¤ma d8 kaˆ ™peˆ ™n to‹j Topiko‹j ÐrizÒmenoj t¾n prÒtasin lÒgon ¢podšdwken aÙtÁj, Óti ™stˆ prÒtasij dialektik¾ ™rèthsij œndoxoj, †na m» tij Øpol£bV tÁj kaqÒlou prot£sewj ™ke‹non enai lÒgon, kaˆ ™ntaàqa diastšlletai kaˆ tîn prot£sewn t¦j diafor¦j dhlo‹ deiknÚj, Óti tÁj koinîj legomšnhj prot£sewj tÁj prÕj tÕ koinîj sullog…sasqai lambanomšnhj Ð ¢podedomšnoj nàn lÒgoj ™stˆn ¢ll' oÙc Ð ™n to‹j Topiko‹j e„rhmšnoj· ™ke‹noj g¦r dialektikÁj ™sti prot£sewj lÒgoj kaˆ taÚthj oÙdšpw sullogistikÁj. kat¦ g¦r t¦j diafor¦j tîn sullogismîn diaforaˆ kaˆ prot£seèn e„sin, Ôntoj tinÕj koinoà prot£sewj lÒgou æsperoàn kaˆ sullogismoà. ™pˆ plšon m8n oân perˆ tÁj ¢podeiktikÁj prot£sewj, t…ni tîn ¥llwn diafšrei, ™n to‹j `Ustšroij ¢nalutiko‹j dialamb£nei· kaˆ g¦r tÍ ÛlV diafšrei aÙtîn (¢lhq¾j g¦r kaˆ protšra kaˆ gnèrimoj kaˆ ¢nagka…a) kaˆ tÍ cr»sei te kaˆ tÍ l»yei, Óti m¾ ™rwt´ Ð ¢podeiknÚj. nàn d8 ™nde…knutai aÙtÁj t¾n prÕj t¾n dialektik¾n prÒtasin diafor¦n ¢pÕ toà trÒpou tÁj l»yewj prîton, Óti m¾ ™n ™rwt»sei ke‹tai ¹ ¢podeiktik¾ mhd8 di' ™rwt»sewj lamb£netai. Ð m8n g¦r ™rwtîn t¾n ¢nt…fasin æj pareskeuasmšnoj pantˆ tù ØpokeimšnJ ØpÕ toà ¢pokrinomšnou ™nstÁnai kaˆ ¢nele‹n aÙtÕ di¦ toà ™somšnou Øp' aÙtoà sullogismoà, di' ïn ™ke‹noj ¢pokrinÒmenoj d…dwsin, oÛtwj ™rwt´. toioàtoj dš ™stin Ð dialektikÕj Ð ™x ™ndÒxwn sullogizÒmenoj· eÙporÁsai g¦r oŒÒn te ™ndÒxwn kaˆ prÕj t¦ ¢ntike…mena. Ð d8 ¢podeiknÝj oÙk ™k p£ntwn tîn doqšntwn ¢pode…xei· oÙ g¦r oŒÒn te t¦ ¢ntike…mena ¢ll»loij ¢lhqÁ enai. oÙk ™rwt´ oân Ð ¢podeiknÚj, ¢ll¦ par' ˜autoà lamb£nei· tÕ g¦r ¢kÒlouqon ta‹j ¢rca‹j lamb£nei kaˆ ta‹j Øpoqšsesin, æj ™n tÍ gewmetr…v ginÒmenon Ðrîmen· oÙ g¦r Ð boulÒmenoj de‹xai toà trigènou t¦j tre‹j gwn…aj dusˆn Ñrqa‹j ‡saj di¦ prot£sewn de…knusin ™x ™rwt»sewj doqeisîn. ™rèthsin d8 ¢ntif£sewj e%i pe t¾n dialektik¾n prÒtasin nàn ¢ntˆ toà ‘di' ™rwt»sewj ¢ntif£sewj lambanomšnhn’, æj dÁlon ™k toà ™piferomšnou toà oÙd8n d8 dio…sei· oÙd8 g¦r Ð ™rwtîn di¦ tÁj ™rwt»sewj sullog…zetai ¢ll¦ di¦ toà lhfqšntoj di¦ tÁj ™rwt»sewj. Øpoqšseij d8 tîn ¢pode…xewn aƒ ¢rca…, Óti oÙk œstin ¢pÒdeixij tîn toioÚtwn prot£sewn kaˆ tîn ¢rcîn, ¢ll' æj ™narge‹j kaˆ aÙtÒqen gnèrimoi t…qentai À æj to‹j toioÚtoij ˜pÒmenai· tÕ d8 m¾ di' ¢pode…xewj lambanÒmenon Øpoqes…n te kaˆ Øpot…qesqai kaloàsi kaˆ koinÒteron œti qšsin. ™k toÚtwn d¾ t¾n ¢pÒdeixin poie‹tai. e„pën d8 t¾n kat¦ crÁsin diafor¦n aÙtîn prost…qhsin ™fexÁj kaˆ t¾n kat¦ t¾n Ûlhn, prîton de…xaj, Óti koinÕj Ð ¢podedomšnoj prot£sewj lÒgoj kaˆ ™farmÒzwn kaˆ tÍ ¢podeiktikÍ kaˆ tÍ dialektikÍ, Ótan e„j sullogismoà gšnesin lamb£nhtai, e„pën oÙd8n d8 dio…sei prÕj tÕ genšsqai tÕn ˜katšrou sullogismÒn· kaˆ g¦r Ð ¢podeiknÚwn kaˆ Ð ™rwtîn sullog…zetai labèn ti kat£ tinoj Øp£rcein À m¾ Øp£rcein, Öj Ãn ¢podedomšnoj prot£sewj lÒgoj· kaˆ g¦r e„ Ð trÒpoj tÁj l»yewj aÙtîn di£foroj, ¢ll¦ t£ ge lambanÒmena kat¦ tÕn tÁj prot£sewj koinwne‹ lÒgon. tÍ lambanomšnV oân dialektikÍ prot£sei Ð e„rhmšnoj koinÕj tÁj prot£sewj lÒgoj ™farmÒzei, oÙ tÍ ™rwtwmšnV· kaˆ g¦r tÍ ¢podeiktikîj lhfqe…sV kaˆ tÍ dialektikîj koinÕn tÕ kat£fasin À ¢pÒfasin e%ina… tinoj kat£ tinoj, Î prot£sei prÕj tÕn koinîj kaˆ ¡plîj sullogismÕn crèmeqa tÕ g¦r katafatikÒn te kaˆ ¢pofatikÕn aÙtîn prÕj sullogismÕn cr»simon.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 97 omonima soltanto e silentio Aristotelis. Alessandro però, per quella fedeltà al dettato aristotelico che sempre ricerca, vuole evitare ogni interpretazione che non sia già in qualche modo contenuta nei testi che commenta e quindi rifiuta la proposta di Teofrasto, che probabilmente gli dovette apparire troppo interpretante. Purtroppo ci riferisce soltanto la conclusione che rifiuta, ma non gli argomenti che l’allievo di Aristotele dovette produrre a sostegno della sua tesi nella sua monografia per noi perduta146. Possiamo tuttavia sospettare che questa sezione costituisca un serrato confronto fra Alessandro e Teofrasto, perché il problema dell’omogeneità delle definizioni di “proposizione” è sollevato solo per essere risolto alla luce delle distinzioni che abbiamo visto. Proseguendo il proprio lavoro esegetico, Alessandro si sofferma sulla definizione di “termine” (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b16). Emerge con chiarezza, dal commento a questo passo, che Alessandro intenda ogni proposizione (che può entrare in un sillogismo) come esprimibile in questa struttura: (i) S è P, dove “S” è il soggetto e “P” il predicato. Soltanto “S” e “P” sono termini: la copula non è ritenuta tale, per cui è sbagliato dire che una proposizione si compone di più di due termini. La copula, se proprio deve entrare negli elementi in cui si scioglie la proposizione, si accompagnerà al predicato (cfr. in Anal. Pr. p. 15, ll. 1819: ‘Swkr£thj œstin’ ‡son dÚnatai tÍ ‘Swkr£thj Ôn ™stin’, ™n Î g…netai tÕ ×n met¦ toà ‘™st…n’ Ð kathgoroÚmenoj Óroj, oÙ tÕ ‘™st…n’; in questo passo il termine “™st…n” è parte chiaramente del predicato; tuttavia il dettato di Alessandro non è molto perspicuo, perché poco prima aveva detto che lo “™st…n” non è affatto un termine, ma significa piuttosto la connessione che esiste fra i termini: cfr. in Anal. Pr. p. 15, ll. 7-9). Alessandro solleva una questione che non è presente in questo testo aristotelico, ma che probabilmente gli poteva essere suggerita dal de Interpretatione (nel quale si distingue, all’interno della frase, fra Ônoma e ·Áma) o, più probabilmente, dal dibattito esegetico e filosofico a lui contemporaneo. È tuttavia interessante notare che Alessandro si sforza di leggere nel testo che commenta la soluzione del problema che condivide, cioè la negazione dello statuto di “termine” alla copula. Aristotele aveva scritto: “Oron d8 kalî e„j Ön dialÚetai ¹ prÒtasij, oŒon tÒ te kathgoroÚmenon kaˆ tÕ kaq’ oá kathgore‹tai, prostiqemšnou [À 146
Le altre fonti in nostro possesso non ci sono di aiuto: Giovanni Filopono nel commento allo stesso passo non cita Teofrasto (e, in generale, va osservato che Filopono trae le proprie informazioni su Teofrasto dal commento di Alessandro di Afrodisia, per cui è di poca utilità se già Alessandro ci fornisce poche informazioni); fra i frammenti di Teofrasto inoltre non è conservato nulla che possa darci un’idea della struttura argomentativa che il successore di Aristotele dovette seguire per concludere che la “proposizione” si dice in molti modi.
98 Luca Gili diairoumšnou] toà enai À m¾ enai (Anal. Pr. A, 1, 24 b16-18). Aristotele, dicendo che sono “termini” il predicato (tÒ kathgoroÚmenon) e il soggetto di cui il predicato è predicato (tÕ kaq' oá kathgore‹tai) sembra escludere che tutti gli altri elementi della proposizione siano “termini”. La copula “è” o “non è” (toà enai À m¾ enai) viene aggiunta ai due termini, per porli in connessione. Dato che è aggiunta, Alessandro può ritenere che si accompagni al predicato e formi una certa unità con esso; se proprio la si vuole isolare, dovremo dire, come sembra suggerirci il testo aristotelico, che la copula è appunto una “aggiunta” (cfr. in Anal. Pr. p. 16, ll. 7-10: taàta, tÕ enai À m¾ enai, oÙ mÒri£ ™sti tÁj prot£sewj oÙd8 Óroi, ¢ll’ œstin œxwqen tîn Órwn kaˆ tÕ enai kaˆ tÕ m¾ enai, À prostiqšmena to‹j kathgoroumšnoij Óroij œxwqen ™n tÍ tîn prot£sewn e„j toÝj Órouj diairšsei À cwrizÒmena aÙtîn). Dopo la definizione di “termine”, Aristotele definisce il sillogismo: sullogismÕj dé ™sti lÒgoj, ™n ú teqšntwn tinîn ›terÒn ti tîn keimšnwn ™x ¢n£gkhj sumba…nei tù taàta enai (Anal. Pr. A, 1, 24 b18-20). Come è noto, lo Stagirita considera ogni definizione composta dal genere e dalla differenza che individua all’interno del genere la specie a cui il definiendum appartiene (cfr. in proposito Top. Z, 6). Alessandro riassume questa dottrina, che pure non compare nel testo che commenta direttamente, in modo particolareggiato147. Alessandro ricerca quindi in primo luogo il genere del sillogismo, che scopre essere quello dei “discorsi” (sullogismÕj dš ™sti lÒgoj). Come però emerge dalla lettura del capitolo 4 del De Interpretatione, esistono “discorsi” che sono suscettibili di essere veri o falsi ed altri che non lo sono, come la preghiera o gli ordini: il commentatore specifica quindi che Aristotele in questo contesto si riferisce ai discorsi suscettibili di essere veri o falsi. A suo giudizio, ciò è sottolineato dal riferimento alle assunzioni che sono fatte nel sillogismo (teqšntwn tinîn): nella preghiera o nei comandi infatti non si fanno assunzioni (cfr. in Anal. Pr. p. 17, ll. 4-6: t… g¦r ™n tÍ eÙcÍ t…qetai À ™n tÍ ™ntolÍ À ™n tÍ kl»sei; doke‹ dš tisi tÕ teqšntwn m¾ ¡plîj shma…nein tÕ ‘lhfqšntwn’, ¢ll¦ kaˆ tÕn trÒpon dhloàn tîn lambanomšnwn). Il riferimento al De Interpretatione non è esplicito, ma questo testo è chiaramente richiamato con l’accenno alle distinzioni tra i tipi di “discorso” che sono presentate nel quarto capitolo di questo trattato. Il fatto che Aristotele parli al plurale di “cose 147 Cfr. in Anal. Pr. p. 16, ll. 24-31: labën d8 tÕ gšnoj aÙtoà, Ö tîn Ðristîn tÁj koinÁjfÚseèj ™sti dhlwtikÒn, kaq' ¿n tîn diaferÒntwn kat¦ tÕ gšnoj cwr…zetai· toàto g¦r ¹ toà gšnouj ™n to‹j Ðrizomšnoij qšsij dÚnatai· de‹ m8n g¦r ØpÕ toà Órou tÕ ÐrizÒmenon p£ntwj cwrisqÁnai· ™peˆ d8 tîn diaferÒntwn aÙtoà t¦ m8n ple‹on ¢fšsthke toÚtwn, Ósa oÙd8 taÙtoà kekoinènhken aÙtù gšnouj, t¦ d8 ™ggÚter£ tš ™sti kaˆ ÐmogenÁ aÙtù· tîn m8n oân ¢nomoiogenîn tÕ gšnoj aÙtÕ cwr…zei, tîn d8 Ðmogenîn aƒ diafora…, diÕ prîton ™n to‹j Ðrismo‹j lamb£netai tÕ gšnoj cwristikÕn ×n tîn ple‹ston diaferÒntwn.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 99 poste” (teqšntwn tinîn) porta poi Alessandro ad escludere, fra i candidati ad essere “sillogismi”, gli argomenti che si basano su una sola premessa. Questi “argomenti con una sola premessa” (monolήmmatoi) sembrano talvolta dei sillogismi per il fatto che quelli che li ascoltano aggiungono inconsapevolmente un’altra premessa, che è nota. Alessandro fa l’esempio dell’argomento: (i) Respiri, Quindi (ii) sei vivo. Tale argomento sembra un sillogismo, perché chi lo ascolta aggiunge inconsapevolmente l’altra premessa, grazie alla quale l’argomento può diventare effettivamente un sillogismo, cioè la proposizione (i) “Tutti quelli che respirano sono vivi”. Alessandro sembra avere in mente, nel corso di questa discussione, le osservazioni che Aristotele conduce in Anal. Pr. A, 32, 47 a10-14, dove si afferma che, per ridurre una inferenza qualsiasi ad un sillogismo standard, bisogna in primo luogo verificare se sono presenti entrambe le premesse e, qualora una manchi, occorre aggiungerla. Questo è il testo sulla base del quale Alessandro cerca di dimostrare che gli “argomenti con una sola premessa” (monol»mmatoi) degli Stoici non sono deduzioni sillogistiche. Del resto non è possibile ricondurli al sillogismo, nel quale, per definizione, devono essere “poste certe cose” (teqšntwn tinîn): le premesse, in altre parole, devono essere più di una. L’argomento con una sola premessa non è un sillogismo, nemmeno se la premessa viene duplicata, come in questo esempio: (a) È giorno; (b) non è vero che non è giorno; quindi (c) c’è luce. Alessandro osserva che le premesse (a) e (b) sono identiche, sebbene la loro espressione risulti differente, dal mero punto di vista linguistico. La conclusione che si può trarre da questa osservazione è che l’esempio di inferenza proposto è comunque un “argomento con una sola premessa” (monol»mmatoj) e la moltiplicazione delle premesse è solo apparente148. Questa considerazione di Alessandro potrebbe indicare che le “proposizioni” che figurano come premesse di una inferenza – sillogistica o non sillogistica – devono essere intese come espressioni linguistiche types e non come enunciati (utterances) tokens: questa indicazione è di notevole importanza per comprendere che cosa Alessandro avesse in mente quando parlava di “proposizioni”. Infatti, secondo il commentatore, il fatto 148
Cfr. in Anal. Pr. p. 18, ll. 1-7: ‡dion g¦r sullogismoà tÕ di¦ pleiÒnwn tÕ ¢nagka‹on deiknÚnai. diÕ oÙd' ¨n aƒ m8n lšxeij ðsi ple…ouj tîn tiqemšnwn, taÙtÕn d8 taàta shma…nV tù prètJ, oÙd' oÛtw sullogismÕj ™k tîn toioÚtwn œstai· kaˆ g¦r Ð oÛtwj œcwn lÒgoj tÍ dun£mei monol»mmatoj, æj Ð lšgwn ‘¹mšra ™st…n· ¢ll¦ kaˆ oÙcˆ oÙc ¹mšra ™st…n· fîj ¥ra ™st…n’· tÕ g¦r ‘oÙcˆ oÙc ¹mšra ™st…’ toà ‘¹mšra ™st…’ mÒnV tÍ lšxei diafšrei.
100 Luca Gili di avere un numero considerevole di enunciati tokens come premesse di una inferenza non altera la struttura logica di quest’ultima, che è sempre quella di un argomento monol»mmatoj, perché unica è la premessa (proposizione-type). Purtroppo non è possibile ricostruire con maggiore esattezza la teoria che Alessandro doveva avere riguardo alle “asserzioni”, che Aristotele ha definito in De Interpr. 4, 17 a2-3 e che a molti interpreti sono sembrate enunciati tokens149. Sappiamo però dal commento agli Analitici Primi che Alessandro riteneva che la “asserzione”, definita nel De Interpretatione, includeva tutte e sole le espressioni linguistiche indicate dalla “proposizione”, definita in Anal. Pr. A, 1, 24 a16-17 (cfr. in Anal. Pr. p. 10, l. 13-p. 11, l. 16). Se quindi la “asserzione” suscettibile di essere vera o falsa deve essere intesa come un enunciato token, Alessandro risulterebbe avere una nozione confusa di “asserzione” e “proposizione”: in questo contesto infatti emerge con chiarezza che le proposizioni sono espressioni linguistiche types. Credo tuttavia che il commento di Alessandro alle Categorie possa risolvere questo problema interpretativo, dato che emerge con una certa evidenza che per il peripatetico di Afrodisia anche le asserzioni, che Aristotele definisce in De Interpr. 4, 17 a2-3, devono essere intese come proposizioni-types: l’esegesi del testo aristotelico acquista quindi una notevole compattezza e coerenza, che sono la cifra dell’aristotelismo alessandrista. Esistono solo tre frammenti del commento di Alessandro di Afrodisia alle Categorie che sono stati conservati da un commento armeno, che Lorenzo Minio-Paluello cita a p. XII della sua edizione di Categorie e De Interpretatione e che è stato edito, con traduzione russa, ad Erevan nel 1961 150. I frammenti del testo di Alessandro, desunti dal commento armeno, sono poi stati raccolti e pubblicati in traduzione tedesca in un articolo di Ernst Günther Schmidt del 1966151. Il secondo frammento è relativo a Cat. 5, 4 a21-b19, dove Aristotele si chiede se anche il lÒgoj e la dÒxa siano recettivi dei contrari (nella fattispecie del vero e del falso). La risposta dello Stagirita è che, in effetti, lo sono, dato che uno 149
Cfr. Waterlow [1982], p. 135, Crivelli [2004], pp. 72-76. Una interpretazione opposta sembra quella difesa da Baeck [2000], p. 100, secondo il quale le asserzioni, che Aristotele definisce in De Interpr. 4, 17 a2-3, sono espressioni-types e non espressioni-tokens. 150 Per questi riferimenti cfr. E. G. Schmidt [1966], p. 277, n. 3. 151 Cfr. E. G. Schmidt [1966], in particolare p. 284 (che riferisce il commento di Alessandro a Cat. 5, 4 a21-b19): “Es gibt auch eine andere Art der Erklärung dafür, dass Behauptung und Meinung sich gleich bleiben und nichts Konträres annehmen. Denn eine Behauptung bleibt, sobald sie ausgesprochene ist, nicht erhalten; aber das, was nicht bleibt, wird gänzlich in Nichts verwandelt. Aber wie könnte das Nichts, das keine Substanz hat, Konträres annehmen und wahr oder falsch sein! Denn dazu wäre nötig, dass eine bestimmte Substanz vorhanden ist und dass diese Substanz Konträres annimmt. Und wie die Behauptung keine Dauer hat und nicht Substanz wird – wenn sie aber nicht Substanz ist, nimmt sie auch nicht Konträres an – ganz so findet der, der eine Meinung untersucht, dass sie nichts Konträres annimmt. Den gleiche Gedanken, wenn auch nicht mit den gleiche Worten, äußert über das Konträre auch Alexander”.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 101 stesso lÒgoj, come ad esempio “Socrate siede”, è vero in un tempo – finché cioè Socrate è seduto – e falso in un altro – quando Socrate si alza152. Il commento armeno osserva che un enunciato non può in verità accogliere i contrari, dato che, non appena è emesso, diventa nulla: perché li possa ricevere sarebbe invece necessario che permanesse. Il commentatore armeno aggiunge che questa era l’opinione anche di Alessandro. Di conseguenza, per il peripatetico di Afrodisia, non si può pensare che sia l’enunciato-token a ricevere i contrari (vero e falso): dovrà esserlo la proposizione-type. Questa tesi ha incontrato una certa fortuna fra i commentatori tardoantichi, indubbiamente anche a causa della autorità che fra essi godeva il commento di Alessandro di Afrodisia153. Se la riduzione degli “argomenti con una sola premessa” (monol»mmatoi) alla struttura sillogistica canonica si può considerare affrontata e risolta da Aristotele in Anal. Pr. A, 32, 47 a10-14, possono risultare indubbiamente più problematiche le inferenze proposizionali standard degli Stoici, agli occhi di chi, come Alessandro, 152
Cfr. Cat. 5, 4 a21-b19: ™pˆ d8 tîn ¥llwn oÙdenÕj fa…netai tÕ toioàton, e„ m» tij ™n…staito tÕn lÒgon kaˆ t¾n dÒxan f£skwn tîn toioÚtwn enai· Ð g¦r aÙtÕj lÒgoj ¢lhq»j te kaˆ yeud¾j enai doke‹, oŒon e„ ¢lhq¾j e‡h Ð lÒgoj tÕ kaqÁsqa… tina, ¢nast£ntoj aÙtoà Ð aÙtÕj oátoj yeud¾j œstai· æsaÚtwj d8 kaˆ ™pˆ tÁj dÒxhj· e„ g£r tij ¢lhqîj dox£zoi tÕ kaqÁsqa… tina, ¢nast£ntoj aÙtoà yeudîj dox£sei t¾n aÙt¾n œcwn perˆ aÙtoà dÒxan. e„ dš tij kaˆ toàto paradšcoito, ¢ll¦ tù ge trÒpJ diafšrei· t¦ m8n g¦r ™pˆ tîn oÙsiîn aÙt¦ metab£llonta dektik¦ tîn ™nant…wn ™st…n, – yucrÕn g¦r ™k qermoà genÒmenon metšbalen (ºllo…wtai g£r), kaˆ mšlan ™k leukoà kaˆ spouda‹on ™k faÚlou, æsaÚtwj d8 kaˆ ™pˆ tîn ¥llwn ›kaston aÙtÕ metabol¾n decÒmenon tîn ™nant…wn dektikÒn ™stin·– Ð d8 lÒgoj kaˆ ¹ dÒxa aÙt¦ m8n ¢k…nhta p£ntV p£ntwj diamšnei, toà d8 pr£gmatoj kinoumšnou tÕ ™nant…on perˆ aÙt¦ g…gnetai· Ð m8n g¦r lÒgoj diamšnei Ð aÙtÕj tÕ kaqÁsqa… tina, toà d8 pr£gmatoj kinhqšntoj Ðtè m8n ¢lhq¾j Ðtè d8 yeud¾j g…gnetai· æsaÚtwj d8 kaˆ ™pˆ tÁj dÒxhj. éste tù trÒpJ ge ‡dion ¨n e‡h tÁj oÙs…aj tÕ kat¦ t¾n aØtÁj metabol¾n dektik¾n tîn ™nant…wn enai, –e„ d» tij kaˆ taàta paradšcoito, t¾n dÒxan kaˆ tÕn lÒgon dektik¦ tîn ™nant…wn enai. oÙk œsti d8 ¢lhqèj toàto· Ð g¦r lÒgoj kaˆ ¹ dÒxa oÙ tù aÙt¦ dšcesqa… ti tîn ™nant…wn enai dektik¦ lšgetai, ¢ll¦ tù perˆ ›terÒn ti tÕ p£qoj gegenÁsqai· –tù g¦r tÕ pr©gma enai À m¾ enai, toÚtJ kaˆ Ð lÒgoj ¢lhq¾j À yeud¾j enai lšgetai, oÙ tù aÙtÕn dektikÕn enai tîn ™nant…wn· ¡plîj g¦r oÙd8n Øp' oÙdenÕj oÜte Ð lÒgoj kine‹tai oÜte ¹ dÒxa, éste oÙk ¨n e‡h dektik¦ tîn ™nant…wn mhdenÕj ™n aÙto‹j gignomšnou·– ¹ dš ge oÙs…a tù aÙt¾n t¦ ™nant…a dšcesqai, toÚtJ dektik¾ tîn ™nant…wn lšgetai· nÒson g¦r kaˆ Øg…eian dšcetai, kaˆ leukÒthta kaˆ melan…an, kaˆ ›kaston tîn toioÚtwn aÙt¾ decomšnh tîn ™nant…wn enai dektik¾ lšgetai. éste ‡dion ¨n oÙs…aj e‡h tÕ taÙtÕn kaˆ $en ¢riqmù ×n dektikÕn enai tîn ™nant…wn. perˆ m8n oân oÙs…aj tosaàta e„r»sqw. 153 Si confronti il commento di Alessandro a Cat. 5, 4 a21-b19 con quello dei commentatori neoplatonici riguardo al medesimo passo (Porfirio, in Cat., p. 98, ll. 7-9; Dexippo, in Cat., p. 60, ll. 1-15; Ammonio, in Cat., p. 53, ll. 22-24; Giovanni Filopono, in Cat. p. 82, ll. 19-20; Simplicio, in Cat. p. 118, ll. 19-25; Elia, in Cat., p. 183, l. 34-p. 184, l. 5). La affinità dottrinale è indubbia ed è perciò probabile che tutti i commentatori successivi ad Alessandro facessero riferimento direttamente o indirettamente al suo commento alle Categorie.
102 Luca Gili intende ridurre ogni inferenza valida alla forma sillogistica. Queste inferenze stoiche, infatti, si presentano generalmente con due premesse (una delle quali è una proposizione ipotetica) ed una conclusione, come in questo esempio (cfr. in Anal. Pr. p. 18, ll. 15-16): a) Se è giorno, allora c’è luce b) Ma è giorno Quindi c) c’è luce. Alessandro ribadisce che le deduzioni sillogistiche devono essere utili, perché sono impiegate in contesto scientifico. La logica, infatti, non ha un valore autonomo, come ritenevano invece gli stoici, che elaborarono questo tipo di argomenti. Di conseguenza, se una inferenza ripete nella conclusione ciò che già compare nelle premesse, non è di alcuna utilità in sede scientifica e, come tale, deve essere trascurata nella esposizione della sillogistica. La inutilità delle deduzioni che hanno per conclusione ciò che è già affermato dalle premesse è ottenuta con un ragionamento per casi. Alessandro infatti afferma che le specie del sillogismo sono tre: dimostrazioni, deduzioni dialettiche, deduzioni sofistiche. In nessuna di queste tre specie è utile inferire ciò che già c’è nelle premesse, perché, se si facesse così, non si dimostrerebbe ciò che è ignoto, né si persuaderebbe l’avversario ad ammettere ciò che non vuole concedere, a partire da ciò che concede. Le premesse infatti esprimono nelle dimostrazioni ciò che è primo e noto, nelle deduzioni dialettiche e sofistiche ciò che è ammesso anche dall’avversario nel corso della discussione. Ma se nessuna specie del sillogismo ha una conclusione di questo tipo, nemmeno il sillogismo in generale la ammetterà154. Alessandro commenta poi l’espressione “™x ¢n£gkhj sumba…nei”, che è la penultima delle parti di cui si compone la definizione di sillogismo. Il commentatore rileva che essa non significa che la conclusione è necessaria, ma piuttosto che esiste una certa relazione tra premesse e conclusione e che, se la connessione di premesse è sillogistica, la conclusione segue necessariamente dalle premesse. L’opinione secondo cui l’espressione “™x ¢n£gkhj sumba…nei” significa 154
Cfr. in Anal. Pr. p. 18, l. 22-p. 19, l. 3: Óti d8 oÙ cr»simon tÕ toioàton edoj, m£qoimen ¥n, e„ ™pšlqoimen t¦ e‡dh toà sullogismoà kaˆ ™xet£saimen, t…ni aÙtîn o„ke‹on tÕ tîn keimšnwn ti ™pifšrein. pÒteron g¦r tù ¢podeiktikù; ¢ll' oátÒj ge tÕ ¥dhlon peir©tai di¦ tîn fanerîn kaˆ gnwr…mwn ™kkalÚptein kaˆ tÕ Ûsteron di¦ tîn prètwn. ¢ll¦ tù dialektikù; ¢ll¦ kaˆ oátoj, Ö m¾ boÚletai sugcwre‹n Ð prosdialegÒmenoj, toàto peir©tai di¦ tîn ™ndÒxwn kaˆ ïn sugcwre‹ deiknÚnai e„j ¢nt…fasin peri£gwn. ¢ll¦ tù ™ristikù; ¢ll¦ kaˆ toÚtJ prÒkeitai kaˆ aÙtù À e„j ¢nt…fasin À e„j fainomšnhn ¢nt…fasin periagage‹n tÕn ¢pokrinÒmenon, ™x ïn d…dwsin· oÙc Ö d…dwsi goàn sumpera…netai, ¢ll' ™x ïn d…dwsin, Ö oÙ boÚletai doànai· dÁlon oân, æj ¥llo ti toà dedomšnou ™po…sei. e„ d' ™stˆ tÕ gšnoj ™n to‹j e‡desi to‹j aØtoà, kaˆ œstin Ð sullogismÕj gšnoj tîn aØtoà e„dîn, ™n oÙdenˆ d8 aÙtîn taÙtÕn tù e„lhmmšnJ tÕ ™piferÒmenon, oÙd' ¨n ™n sullogismù e‡h Ólwj.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 103 che alle premesse segue una proposizione necessaria era stata sostenuta da alcuni commentatori, che è difficile identificare, perché Alessandro non li nomina e le fonti antiche non ci forniscono informazioni al riguardo. Tuttavia la loro è una opinione sbagliata, secondo Alessandro, perché anche se la conclusione è categorica o contingente segue comunque di necessità dalle premesse da cui è inferita155. È forse l’assurdità della loro posizione ad avere indotto il commentatore a tacere la loro identità. L’ultima parte della definizione di sillogismo è data dall’espressione “tù taàta enai” e il commento di Alessandro a questa porzione di testo si rivela molto importante per stabilire quali fossero, secondo il commentatore, le relazioni fra la sillogistica e gli altri sistemi logici che erano stati sviluppati nella tarda antichità. Alessandro ritiene, infatti, che Aristotele abbia aggiunto la clausola “tù taàta enai” per indicare che le premesse sono in qualche misura la causa della conclusione. Ciò non deve essere inteso nel senso che gli eventi espressi dalle premesse siano causa dell’evento espresso nella conclusione. È possibile, infatti, avere sillogismi in cui ciò che è primo è inferito a partire da ciò che è posteriore, come nel caso dei sillogismi “per segni”: dato che ciò che è posteriore non è mai causa di ciò che è primo, evidentemente non sempre esisterà una relazione di dipendenza causale fra ciò che è espresso dalle premesse e ciò che è espresso dalla conclusione. Questo è proprio infatti della dimostrazione, che inferisce gli effetti a partire dalle cause. In generale si può perciò dire che la conclusione segue dalla premessa “tù taàta enai”, perché non c’è bisogno di alcuna assunzione aggiuntiva per derivare la conclusione. Alessandro osserva che, con questa clausola, Aristotele esclude quindi dalla sillogistica tutte le inferenze che hanno bisogno di una premessa ulteriore, affinché emerga che sono valide. Come esempi di inferenze di questo tipo, sono ricordati gli “argomenti con una sola premessa” degli Stoici (monol»mmatoi), ma anche il primo teorema degli Elementi di Euclide. Questo teorema è, infatti, una inferenza del tipo: a) A è uguale a B; b) C è uguale a B; quindi c) A è uguale a C. 155
Cfr. in Anal. Pr. p. 20, l. 30-p. 21, l. 9: TÕ d' ™x ¢n£gkhj sumba…nei oÙ toà ¢nagka‹on enai tÕ sumpšrasma dhlwtikÒn ™stin, æj ò»qhs£n tinej (toàto g¦r ™pˆ tîn ¢nagka…wn mÒnwn g…netai prot£sewn), ¢ll¦ toà ™x ¢n£gkhj ¢kolouqe‹n to‹j keimšnoij, ¥n te Øp£rcon Ï ¥n te ™ndecÒmenon ¥n te kaˆ ¢nagka‹on tÕ sumpšrasma. kaˆ g¦r ¨n ™ndecÒmenon Ï tÕ sumpšrasma, ¢ll' ™x ¢n£gkhj ge kaˆ aÙtÕ ›petai ta‹j prot£sesin ™n ta‹j sullogistika‹j suzug…aij· oÙ g¦r toà t¾n sumperainomšnhn prÒtasin de‹n ¢nagka…an enai ¹ lšxij ™stˆ dhlwtik», ¢ll¦ tÁj toà sumper£smatoj prÕj t¦j prot£seij poi©j scšseèj ™sti mhnutik»· ¨n goàn lhfqÍ prÒtasij ‘p©j ¥nqrwpoj kat£keitai’ kaˆ taÚtV proslhfqÍ ¹ lšgousa ‘p©j Ð katake…menoj koim©tai’, ™x ¢n£gkhj m8n ¢kolouq»sei tÕ ‘p©j ¥nqrwpoj koim©tai’, oÙ m¾n kaˆ ¢nagka‹on œstai tÕ p£nta ¥nqrwpon koim©sqai.
104 Luca Gili Questa è una inferenza valida all’interno della sillogistica relazionale, che troviamo esposta, ad esempio, nella Institutio Logica di Galeno; ma il teorema non è un sillogismo del tipo descritto da Aristotele in Anal. Pr. A, 4-6. Alessandro ritiene, quindi, che la validità del teorema sia provata solo se lo si riduce a forma sillogistica, aggiungendo una ulteriore premessa, come “cose uguali alla stessa cosa sono anche uguali tra loro”. Questa premessa figura tra le koinaì ;ennoίai elencate da Euclide (cfr. Heiberg-Stamatis [1969], p. 5, l. 9: t¦ tù aÙtù ‡sa kaˆ ¢ll»loij ™stˆn ‡sa). Con l’assunzione di questa premessa aggiuntiva, il primo teorema di Euclide viene ridotto alla struttura sillogistica secondo il procedimento esposto da Aristotele stesso in Anal. Pr. A, 32, 47 a10-14. Molto probabilmente questa osservazione di Alessandro, che sembra una digressione all’interno del commento della definizione di “sillogismo”, nasce nel quadro di un più ampio dibattito, che doveva essersi acceso, fra i logici suoi contemporanei, intorno alla sillogistica relazionale. Di questo dibattito ci dà notizia principalmente la Institutio Logica di Galeno (cfr. Galeno, Inst. Log. XVI, 1, Kalbfleisch [1897], p. 38, ll. 12-15: 1sti kaˆ ¥llo tr…ton edoj sullogismîn e„j ¢pode…xeij cr»simon, oÞj ™gë m8n Ñnom£zw kat¦ tÕ prÒj ti genšsqai, bi£zontai d’ aÙtoÝj oƒ perˆ tÕn 'Aristotšlhn to‹j kathgoriko‹j sunariqm<e‹n>). Galeno si oppone ai seguaci di Aristotele (oƒ perˆ tÕn 'Aristotšlhn), che vogliono considerare i sillogismi relazionali assieme ai categorici. Questa osservazione è preziosa, perché testimonia che molti dei temi logici, che Galeno riterrà opportuno sviluppare in modo autonomo nelle inferenze “kat¦ tÕ prÒj ti”, non erano ignoti alla tradizione aristotelica. È perciò ragionevole ipotizzare che le ricerche logiche che hanno portato alla elaborazione di una logica relazionale (testimoniata da Galeno) abbiano avuto origine in ambito peripatetico, probabilmente come un ampliamento della logica dei comparativi che Aristotele sviluppa in Top. G e Top. Z, 7. Alessandro, infatti, ci offre una preziosa testimonianza circa il tentativo di connettere la logica delle relazioni alla sillogistica categorica. Il commentatore di Afrodisia si serve degli strumenti che Aristotele stesso ha offerto in Anal. Pr. A, 32, 47 a10-14: qui lo Stagirita spiega che per ridurre una inferenza corretta alla forma sillogistica standard bisogna verificare se ci sono tutte le premesse necessarie e, qualora una manchi, aggiungerla. In questo modo Alessandro cerca, come gli altri peripatetici nella ricostruzione di Galeno, di “ridurre a forza” (bi£zontai d’ aÙtoÝj […] sunariqme‹n) una regione della logica alla sillogistica categorica. Essa infatti, secondo il dettato aristotelico, esaurisce da sola le possibili deduzioni valide (cfr. Anal. Pr. A, 23, 40 b20-22: Óti d' ¡plîj p©j sullogismÕj oÛtwj ›xei, nàn œstai fanerÒn, Ótan deicqÍ p©j ginÒmenoj di¦ toÚtwn tinÕj tîn schm£twn).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 105 Che Alessandro individui in Anal. Pr. A, 32 la soluzione del problema della riduzione delle inferenze non sillogistiche a quelle sillogistiche emerge anche dall’esempio che presenta di inferenza non sillogistica, che deve essere ridotta alla struttura sillogistica standard: a) Se si distrugge la non sostanza, la sostanza non è distrutta; b) Ma se le parti della sostanza sono distrutte, la sostanza è distrutta; quindi c) le parti della sostanza sono sostanze. Alessandro osserva che in questo argomento le premesse non si presentano nella loro forma standard e devono essere trasformate per ottenere un sillogismo (l’esempio è tratto da Anal. Pr. A, 32, 47 a22-31). Questo è un tipo di inferenza che il commentatore pone accanto agli “argomenti con una sola premessa” degli Stoici (monol»mmatoi) e agli argomenti che inferiscono in modo immetodico (¢meqÒdwj pera…nontej)156. Da queste considerazioni sulla riduzione di una inferenza qualsiasi alla forma sillogistica, emerge con chiarezza, a mio parere, la ragione per la quale Alessandro interpretò le deduzioni sillogistiche come inferenze, costituite da più proposizioni, e non come una unica proposizione condizionale. Laddove i commentatori moderni 156
Cfr. in Anal. Pr. p. 22, l. 3-p. 23, l. 2: toioàtÒn ™sti kaˆ tÕ ™n tù prètJ tîn EÙkle…dou Stoice…wn qeèrhma tÕ “e„ tÍde ‡sh· ¢ll¦ kaˆ ¼de tÍde· kaˆ ¼de ¥ra tÍde ‡sh”· kaˆ g¦r toàt' ¢lhq8j mšn, ¢ll' ™nde‹ ¹ kaqÒlou prÒtasij, †na sun£ghtai sullogistikîj· œsti d8 aÛth “t¦ tù aÙtù ‡sa kaˆ ¢ll»loij ™stˆn ‡sa”. oÛtwj œcei kaˆ tÕ par¦ Pl£twni ™n Polite…v tÕ “e„ qeoà Ãn pa‹j, oÙk Ãn a„scrokerd»j, e„ d8 a„scrokerd»j, oÙk Ãn qeoà pa‹j· oÙk ¥ra ¥mfw”· kaˆ g¦r kaˆ toàto oÙ di¦ tîn keimšnwn sun£getai ¢ll¦ prosl»yei kaqolikÁj prot£sewj· œsti d8 aÛth ‘ïn ˜katšrJ tîn ¢ntikeimšnwn tÕ qatšrJ ¢ntike…menon ›petai, taàta ¢dÚnaton ¥mfw ¤ma tù aÙtù Øp£rcein’· taÚtV g¦r tÍ prot£sei oÜsV kaqÒlou proslhfqe…shj tÁj ‘tù d8 qeoà pa‹da enai kaˆ tù a„scrokerde‹ ›petai ˜katšrJ aÙtîn tÕ ¢ntike…menon qatšrou’, ™f' oŒj sumpšrasma tÕ ‘oÙk ¥ra ¥mfw taàta tù aÙtù’· tù m8n g¦r qeoà pa‹da enai ›petai tÕ ¢ntike…menon tù a„scrokerde‹ (aÛth g¦r ¢pÒfasij aÙtoà), tù d8 a„scrokerde‹ p£lin ¹ ¢pÒfasij toà qeoà pa‹da enai. kaˆ Ólwj toioàton tÕ edÒj ™sti tîn lÒgwn, oÞj oƒ neèteroi lšgousin ¢meqÒdwj pera…nontaj, oŒÒn ™sti kaˆ tÕ ‘¹mšra ™st…n· ¢ll¦ kaˆ sÝ lšgeij, Óti ¹mšra ™st…n· ¢lhqeÚeij ¥ra’· oÙ g¦r sullogismÕj toàto· œstai d8 prosteqe…shj kaqÒlou prot£sewj tÁj ‘Ð tÕ ×n enai lšgwn ¢lhqeÚei’, Î prosteqe…shj tÁj ‘Ð d8 ¹mšraj oÜshj ¹mšran enai lšgwn tÕ ×n enai lšgei’· sumpšrasma g¦r ™pˆ to‹j keimšnoij ‘Ð ¥ra ¹mšraj oÜshj ¹mšran enai lšgwn ¢lhqeÚei’. di£ te oân toÝj lÒgouj toÝj monolhmm£touj kaˆ di¦ toÝj ¢meqÒdwj pera…nontaj prÒskeitai tÕ tù taàta enai, kaˆ œti di¦ toÝj m¾ œcontaj kur…aj prot£seij ¢ll' Ñfe…lontaj e„j ™ke…naj metalhfqÁnai, †na gšnwntai sullogistiko…, æj œcei Ð lÒgoj Ð lšgwn ‘m¾ oÙs…aj ¢nairoumšnhj oÙk ¢naire‹tai oÙs…a· tîn d8 merîn tÁj oÙs…aj ¢nairoumšnwn ¢naire‹tai oÙs…a· t¦ mšrh ¥ra tîn oÙsiîn oÙs…ai’, oá kaˆ aÙtÕj ™pˆ tšlei toà lÒgou mnhmoneÚei· oÙ g¦r tù taàta enai tÕ sumpšrasma, ¢ll¦ de‹ metalhfqÁnai t¦j prot£seij. paraito‹nto d’ ¨n di¦ tÁj prosq»khj taÚthj kaˆ oƒ paršlkon ti proske…menon œcontej, æj epon, ™n oŒj ™sti tîn sofism£twn t¦ tÕ m¾ a‡tion a„tièmena.
106 Luca Gili sembrano portati a privilegiare una soluzione piuttosto che l’altra, nell’interpretare la struttura del “sillogismo”, per ragioni che appaiono estranee al testo aristotelico157, Alessandro abbraccia la sua tesi per motivi dettati esclusivamente dall’esegesi letterale del testo. Infatti Alessandro deriva questa conclusione proprio dalla necessità di opporre, alle tesi della logica stoica, la proposta aristotelica. Naturalmente occorre chiedersi se Alessandro potesse essere al corrente della distinzione fra regola di inferenza e proposizione: forse che queste nozioni non erano assai confuse in Aristotele, nonostante i tentativi degli interpreti moderni di presentarlo ora come fautore di sillogismi-proposizioni, ora come fautore di sillogismi-inferenze? Certamente, per comprendere come Alessandro potesse avere ben chiara la distinzione, occorre presupporre la sua conoscenza dela elaborazione stoica. La sillogistica stoica158, infatti, si fondava su due tipi di regole: a) regole grazie alle quali era possibile stabilire se una qualsiasi inferenza era un sillogismo indimostrabile (lÒgoj ¢napÒdeiktoj); b) regole (qšmata) che permettevano di analizzare deduzioni non indimostrabili nei termini di una o più deduzioni indimostrabili. Gli “indimostrabili” sono particolari inferenze159 composte da proposizioni (¢xièmata). Gli argomenti che ricostruisce Alessandro, attribuendoli agli Stoici, non erano da essi considerati proposizioni, ma inferenze composte da proposizioni. Alessandro aveva perciò certamente la possibilità di leggere le deduzioni sillogistiche come inferenze: una possibilità che probabilmente non era stata esplorata da Aristotele (non possediamo infatti testi di Aristotele o di altri autori a lui precedenti o contemporanei che espongano esplicitamente la nozione di inferenza). Alessandro propende per la interpretazione del sillogismo come inferenza, principalmente perché il sillogismo non è una “prÒtasij”: Aristotele infatti afferma che la proposizione è ciò a partire da cui si origina il sillogismo (cfr. Anal. Post. B, 6, 92 a12-13: ¢eˆ g¦r Ólh À mšroj ¹ prÒtasij, ™x ïn Ð sullogismÒj). Il commento di Alessandro alle linee degli Analitici Posteriori in cui Aristotele fa questa affermazione è perduto, ma è molto probabile che egli interpretasse queste 157 John Corcoran ad esempio propose la sua interpretazione delle deduzioni sillogistiche come inferenze perché il modello formale con il quale Jan Łukasiewicz ricostruiva la sillogistica, presentando le deduzioni sillogistiche come proposizioni, comportava la assunzione della logica proposizionale standard – cosa che a Corcoran pareva immetodica (cfr. Corcoran [1973]). Łukasiewicz, al contrario, ritenne che i sillogismi siano proposizioni, anche perché pensa la sillogistica come una scienza assiomatica: nel sistema che egli ricostruì per esprimela, i sillogismi perfetti sono assiomi e gli imperfetti sono tesi logiche. Non era perciò possibile, all’interno di questo sistema, che i sillogismi fossero presentati come inferenze (cfr. Łukasiewicz [1958]). 158 Per una ricostruzione della sillogistica stoica cfr. Bobzien [1996], pp. 133-192. 159 Non sono schemi di inferenze: cfr. Frede [1974 a], pp. 167-171 su questo punto.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 107 linee come se esse introducessero una distinzione fra la “prÒtasij” e il “sullogismÒj”, stabilendo che la prima sia sempre una parte costitutiva del secondo. In questa prospettiva, Alessandro afferma che le inferenze non sillogistiche, che ha elencato commentando la definizione di “sillogismo”, sono spesso riducibili a quest’ultimo con la aggiunta di una “prÒtasij”: da ciò segue, evidentemente, che il sillogismo è costituito da più di una proposizione, ma non al modo di una implicazione (composta da un antecendente e da un conseguente). Le proposizioni che compongono il sillogismo sono infatti sue parti, hanno cioè una relativa autonomia, che consente loro di essere aggiunte o di essere mancanti, senza che l’inferenza che ne risulta sia insensata (come sarebbe invece un antecedente privo del conseguente). Dato che questa tesi deriva ad Alessandro dalla lettura di Anal. Pr. A, 32, possiamo dire che la distinzione fra proposizione e sillogismo è determinata, agli occhi del commentatore di Afrodisia, dal testo stesso di Aristotele. Ciò non toglie che questa distinzione corrisponda a quella che gli Stoici ponevano tra ¢xièmata e lÒgoi ¢napÒdeiktoi. È molto probabile, anzi, che Alessandro abbia recepito questa distinzione a causa del suo tentativo di opporsi alla sillogistica stoica, cercando di ridurla ai sillogismi categorici esposti da Aristotele. Considerando infatti le inferenze stoiche dei sillogismi a cui manca una premessa, Alessandro implicitamente accetta la distinzione fra “proposizioni” (prot£seij/¢xièmata), come elementi costitutivi dell’argomento, e il sillogismo stesso (sullogismÒj/lÒgoj ¢napÒdeiktoj). Infatti, solo accettando questa distinzione, formulata in modo esplicito dai suoi avversari, Alessandro è in grado di formulare la propria obiezione, circa il fatto che alle deduzioni stoiche manchi una premessa (prÒtasij). Dopo avere parlato della definizione di “sillogismo”, Aristotele distingue i sillogismi “perfetti” da quelli “imperfetti” (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b22-26). Alessandro finora ha parlato di sillogismi e di inferenze non sillogistiche, distinguendo queste ultime dalle prime per il fatto che hanno bisogno di una ulteriore assunzione per inferire ciò che intendono provare. Sembrerebbe quindi che la definizione che Aristotele fornisce di “sillogismo imperfetto” possa applicarsi alle inferenze non sillogistiche, dato che lo Stagirita afferma che sono imperfetti quei sillogismi che hanno bisogno di una o più cose perché risulti evidente la loro necessità (cfr. Anal. Pr. A, 1, b 24-25: ¢telÁ d8 tÕn prosdeÒmenon À ˜nÕj À pleiÒnwn [scilicet: prÕj tÕ fanÁnai tÕ ¢nagka‹on]). Alessandro riesce a presentare come una cattiva interpretazione di queste definizioni iniziali fornite dallo Stagirita la linea seguita da Boeto di Sidone, per il quale anche i sillogismi di
108 Luca Gili seconda e di terza figura sono perfetti160 . Il commentatore di Afrodisia si rivolge molto probabilmente al peripatetico del I sec. a.C. e a coloro che ne recepirono l’insegnamento quando parla di alcune persone che osservano in modo superficiale161 (proce…rwj skopoàsi) le definizioni fornite in questo passo da Aristotele. Se la interpretazione che costoro danno della definizione di “sillogismo imperfetto” fosse corretta, tutti i sillogismi sarebbero perfetti; ciò tuttavia è falso, sia perché Aristotele parla più volte, nel corso della propria esposizione della seconda e della terza figura, di “sillogismi imperfetti”, sia perché, introducendo all’inizio degli Analitici Primi i temi che avrebbe trattato in seguito, afferma che avrebbe ricercato quali sono i sillogimi perfetti e quali gli imperfetti (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 a12-13: ™sti prÒtasij kaˆ t… Óroj kaˆ t… sullogismÒj, kaˆ po‹oj tšleioj kaˆ po‹oj ¢tel»j), intendendo implicitamente che gli “imperfetti” sono sillogismi tanto quanto i “perfetti”, pur rimanendo distinti da essi162. Dato quindi 160
Ammonio, nel suo commento agli Analitici Primi, propone due schieramenti in merito alla dottrina della “perfezione” dei sillogismi. 1) Nel primo colloca Aristotele e coloro che come lui ritengono che solo i sillogismi categorici di prima figura sono perfetti (Temistio è annoverato in questa fazione). 2) Nel secondo pone invece come capostipite Boeto di Sidone, che ritenne invece che tutti i sillogismi di seconda e di terza figura fossero perfetti, seguito in questo da Porfirio e Giamblico e da Massimo. Così scrive il commentatore neoplatonico: „stšon d8 Óti Ð m8n 'Aristotšlhj taÚthj ™gšneto tÁj dÒxhj, Óti oƒ ™n deutšrJ kaˆ tr…tJ sc»mati sullogismoˆ p£ntej ¢tele‹j e„sin, Ð d8 BohqÕj ˜ndškatoj ¢pÕ 'Aristotšlouj genÒmenoj ™nant…wj tù 'Aristotšlei perˆ toÚtou ™dÒxasen, kaˆ kalîj ™dÒxasen kaˆ ¢pšdeixen Óti p£ntej oƒ ™n deutšrJ kaˆ tr…tJ sc»mati tšleio… e„sin. toÚtJ ºkoloÚqhsen PorfÚrioj kaˆ 'I£mblicoj, œti mšntoi kaˆ Ð M£ximoj, ¢kroat¾j Ãn `Ier…ou toà 'Iambl…cou ¢kroatoà. kaˆ Qem…stioj d8 Ð parafrast¾j tÁj ™nant…aj ™gšneto dÒxhj tÁj kaˆ tù 'Aristotšlei dokoÚshj. toÚtoij oân to‹j dÚo, tù te Max…mJ kaˆ tù Qemist…J, ™nant…a perˆ toÚtou dox£zousin kaˆ kataskeu£zousin, æj õonto, tÕ dokoàn aÙto‹j [kaˆ] diÇthsen aÙt¦ Ð basileÝj 'IoulianÒj, kaˆ dšdwken t¾n yÁfon Max…mJ kaˆ 'Iambl…cJ kaˆ Porfur…J kaˆ Bohqù. fa…netai d8 kaˆ QeÒfrastoj Ð 'Aristotšlouj aÙtoà ¢kroat¾j t¾n ™nant…an aÙtù perˆ toÚtou dÒxan œcwn. toÚtoij d8 to‹j ¢pÕ Bohqoà (Wallies [1899], p. 13, ll. 13-23). Ammonio vedeva quindi la dottrina proposta da Boeto come opposta a quella di Aristotele. 161 L’avverbio “proce…rwj” non ha sempre una accezione negativa e significa in generale “a portata di mano”, “semplicemente”. In Aristotele significa in un caso l’essere a portata di mano (cfr. Top. Q, 14, 163 b25), in un altro caso la rapidità con cui l’avversario è portato ad assentire (cfr. Top. Q, 1, 156 b39). In Alessandro il termine è usato per significare la facilità ad assentire ad una tesi falsa (cfr. Hayduck [1891], p. 64, l. 34), o a una tesi che è debole e priva di dimostrazione (cfr. in Anal. Pr. p. 334, l. 19; p. 338, l. 9), anche qualora fosse vera (cfr. in Anal. Pr. p. 337, l. 7); solo in un caso il termine compare in un contesto positivo: è facile (proce…rwj) da comprendere, a chi conosca un certo argomento dialettico, l’ambiguità sulla quale l’argomento è fondato (cfr. Wallies [1891], p. 149, l. 22). Mi sembra perciò ragionevole supporre che, comparendo nel contesto di una polemica con una interpretazione del testo che il commentatore non condivide, il “proce…rwj” di in Anal. Pr. p. 23, l. 17 abbia un valore negativo (“in modo superficiale”, “in modo avventato”). 162 Cfr. in Anal. Pr. p. 23, ll. 17-25: DÒxei proce…rwj skopoàsi toà tele…ou sullogismoà tÕn proeirhmšnon Óron ¢podedwkšnai· e%ipe g¦r ™p’aÙtoà tÕ mhdenÕj Órou prosde‹n aÙtù prÕj tÕ
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 109 che la proposta interpretativa di coloro che leggono il testo di Aristotele in modo superficiale (proce…rwj) si scontra con il testo stesso, è opportuno dare una lettura della definizione di sillogismo imperfetto che la distingua dalle inferenze non sillogistiche. Sulla base delle fonti in nostro possesso, è difficile stabilire se Boeto avesse ritenuto che tutti i sillogismi sono perfetti a causa di una interpretazione di Anal. Pr. A, 1, 24 b22-26 – che lo induceva verosimilmente ad identificare la definizione di “sillogismo imperfetto” con la inferenza non sillogistica e, conseguentemente, a considerare perfetti tutti i sillogismi in forma standard. Il commentatore di Afrodisia, in ogni caso, riesce abilmente a presentare la interpretazione di Boeto e di coloro che ne condivisero l’opinione come una mera esegesi di un brano specifico (Anal. Pr. A, 1, 24 b22-26); presentando in questi termini il problema, Alessandro riesce facilmente a mostrare la insufficienza di questa interpretazione, che non riesce a dare ragione di molti passi, nei quali Aristotele parla esplicitamente delle supposte inferenze “imperfette” chiamandole sillogismi. Certo, è probabile che Boeto avesse delle ulteriori ragioni a sostegno della propria teoria, che, secondo la testimonianza di Temistio e di Ammonio, godette di un certo favore nella tarda antichità; sfortunatamente non abbiamo fonti a sostegno di questa ragionevole ipotesi. Opponendosi a chi, come Boeto, considerava perfetti tutti i sillogismi, Alessandro si trova costretto a distinguere le inferenze non sillogistiche dai sillogismi imperfetti. Questi ultimi, se sono sillogismi, inferiscono la loro conclusione “tù taàta enai”. Ciò significa che non assumono nulla di esterno (œxwqen) per derivare la conclusione. Ma dato che Aristotele ha detto che i sillogismi imperfetti hanno bisogno di una o più cose perché risulti evidente il loro carattere necessario, evidentemente ciò che essi assumono è già contenuto nelle premesse, come in potenza e quasi implicitamente (cfr. in Anal. Pr. p. 24, ll. 9-11: oŒj d8 tÕ ™ndšon dun£mei ™n to‹j keimšnoij ™st…, bohqe…aj d8 dšontai kaˆ toà ™kkalufqÁnai, oátoi sullogismoˆ mšn e„sin, ¢ll' ¢tele‹j). Queste assunzioni contenute implicitamente nelle premesse sono, secondo Alessandro, le leggi di conversione: œxwqen g¦r aÙto‹j prost…qetai tÕ tÁj sunagwgÁj a‡tion. ˜nÕj m8n oân prosdšontai oƒ ¢tele‹j sullogismoˆ oƒ mi©j ¢ntistrofÁj deÒmenoi prÕj tÕ ¢nacqÁnai e‡j tina tîn ™n tù prètJ sc»mati tîn tele…wn kaˆ ¢napode…ktwn, pleiÒnwn dš, Ósoi di¦ dÚo ¢ntistrofîn e„j ™ke…nwn tin¦ ¢n£gontai […]. kaˆ oƒ di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton d8 ¢pagwgÁj deiknÚmenoi (in g…nesqai tÕ ¢nagka‹on, lšgei d8 ¢telÁ enai sullogismÕn tÕn prosdeÒmenon ˜nÕj À pleiÒnwn. e„ d8 toàto, oÙd' ¨n sullogismoˆ e‡hsan oƒ ¢tele‹j. toioàtoi d8 oƒ ™n deutšrJ kaˆ tr…tJ sc»mati sullogismo…, oÞj pantÕj m©llon lšgei kaˆ aÙtoÝj sullogismoÝj enai. ¢ll¦ kaˆ ¢rcÒmenoj æj perˆ sullogismîn tîn ¢telîn e‡rhken· tîn g¦r sullogismîn prošqeto zht»sein “po‹oj tšleioj kaˆ po‹oj ¢tel»j”, æj Ôntoj kaˆ toà ¢teloàj sullogismoà.
110 Luca Gili Anal. Pr. p. 24, ll. 2-6). Grazie alle leggi di conversione infatti i sillogismi imperfetti sono ridotti a sillogismi di prima figura e in questo modo si mostra il loro carattere necessario. Le inferenze non sillogistiche, come gli argomenti che inferiscono in modo immetodico (¢meqÒdwj pera…nontej) degli Stoici, assumono invece qualcosa di esterno alle premesse, come ad esempio una premessa aggiuntiva, che eventualmente è nota all’ascoltatore dell’argomento, ma non è logicamente derivabile dalle premesse dell’inferenza. Qui sta la differenza tra le inferenze non sillogistiche e i sillogismi imperfetti. È tuttavia piuttosto problematico il caso dei sillogismi imperfetti che sono resi perfetti con la riduzione ad impossibile, e non con le semplici regole di conversione (si prendano ad esempio i casi di Bocardo e di Baroco). Se tali sillogismi sono imperfetti e non sono inferenze non sillogistiche, bisogna ammettere che la riduzione ad impossibile è pure inclusa nelle premesse. Ma ciò sembra assai difficile da concedere. Alessandro osserva, in effetti, che in questo caso ci sono delle assunzioni esterne e che non sono derivabili dalle premesse, ma che queste assunzioni non sono impiegate per dimostrare la conclusione del sillogismo, bensì una conclusione assurda (perché contraddicente una delle premesse del sillogismo di partenza). Tale conclusione assurda è poi scartata assieme alla ipotesi che l’aveva generata; scartando l’ipotesi, si ottiene anche la conclusione del sillogismo che si desiderava provare (infatti, tale conclusione è la contraddittoria della proposizione assunta come ipotesi nella riduzione ad impossibile). L’idea di Alessandro sembra quindi essere che nelle riduzioni ad impossibile, anche se ci sono assunzioni esterne, le deduzioni che vengono ridotte rimangono sillogistiche, perché le assunzioni non sono impiegate per dimostrare – in modo sillogistico – la conclusione delle deduzioni sillogistiche stesse163. Il terzo procedimento di validazione che Aristotele impiega nella sillogistica categorica, l’œkqesij, non è menzionato in questa sezione da Alessandro, probabilmente perché le conversioni e la riduzione ad impossibile sono sufficienti a validare tutti i sillogismi imperfetti: l’œkqesij è perciò superflua. Anche se si sostenesse che essa fa ricorso a elementi non direttamente ricavabili dalle premesse, in ogni caso ciò non negherebbe che una deduzione imperfetta sia sillogistica, perché sarebbe comunque riducibile alla prima figura con almeno uno dei due metodi che Alessandro cita.
163
Cfr. in Anal. Pr. p. 24, ll. 12-18: pîj oân ™stin ™n to‹j ¢dun£toij oÙk œxwqen t¦ lambanÒmena; À œxwqen m8n t¦ lambanÒmena kaˆ oÙd8 dun£mei Ônta ™n to‹j keimšnoij, ésper aƒ ¢ntistrofa…, ¢ll¦ t¦ lambanÒmena oÙ toà prokeimšnou ™stˆ sullogistik¦ ¢ll' ¥llou tinÒj· ™ke…nou g¦r Ð sullogismÒj, Ö tù ¢dÚnatÒn ti enai ¢naireqèn tÁj toÚtou qšsewj a‡tion. diÕ toàto m8n oÙ di¦ sullogismoà famen ¢ll' ™x Øpoqšsewj de…knusqai· Ð d8 sullogismÕj ¥llou.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 111 Le ultime definizioni che Aristotele fornisce nel primo capitolo degli Analitici Primi riguardano la relazione “™n ÓlJ enai” e l’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” (cfr. in Anal. Pr. A, 1, 24 b26-30). Alessandro legge nel proprio codice che una cosa di dice di tutta un’altra cosa “Ótan mhd8n Ï labe‹n, kaq' oá q£teron oÙ lecq»setai” (in Anal. Pr. p. 24, ll. 28-29; cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b2930). Alessandro abitualmente verifica lezioni alternative, ma in questo caso non ne presenta e fornisce una parafrasi dell’esser detto “kat¦ pantÒj” con queste parole: “Ótan mhd8n Ï labe‹n toà Øpokeimšnou, kaq' oá tÕ kathgoroÚmenon oÙ ·hq»setai” (in Anal. Pr. p. 24, ll. 29-30). Questa osservazione sembra portare alla conclusione che la inserzione delle parole “toà Øpokeimšnou” nel testo aristotelico, attestata dal codice Urbinas 35 e difesa da Marko Malink in un suo recente articolo164, sia una glossa dettata probabilmente dalle stesse ragioni che mossero Alessandro alla sua riscrittura parafrastica dell’esser detto “kat¦ pantÒj”. Il commentatore di Afrodisia osserva che l’esser detto “kat¦ pantÒj” e la relazione “™n ÓlJ enai” non esprimono che il medesimo rapporto, osservato rispettivamente a partire dal predicato e a partire dal soggetto. Questa relazione si ha tra i termini della proposizione universale affermativa. Analogamente l’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, che Alessandro esplicita con le parole “non è possibile assumere nulla del soggetto di cui il predicato si dica” (cfr. in Anal. Pr. p. 25, ll. 18-19), corrisponde alla relazione “™n oÙdenˆ enai”, che Aristotele non esplicita; entrambi questi rapporti sono usati nella proposizione universale negativa per connettere il soggetto e il predicato. Il fatto che Alessandro stabilisca una relazione tra queste relazioni e le due proposizioni universali sembra comportare che anche le proposizioni particolari abbiano delle relazioni loro corrispondenti. Non è escluso che le fonti che Alessandro aveva presumibilmente presenti riguardo a questo capitolo si fossero espresse in questo senso. In effetti, sulla base di queste relazioni fondamentali, sarebbe possibile dare conto di tutta la sillogistica; non si può escludere, infatti, che aristotelici come Boeto, che consideravano un sillogismo perfetto se era derivabile dal principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj”, abbiano davvero posto alla base della sillogistica le relazioni “essere detto di tutti”, “essere detto di nessuno”, “essere detto di qualche elemento”, “non essere detto di qualche elemento”. In questo modo infatti tutti i sillogismi troverebbero una giustificazione e tutti potrebbero essere considerati perfetti, come Boeto effettivamente li considerava. Naturalmente questa ipotesi è destinata a rimanere tale, in mancanza di una evidenza testuale a suo sostegno. In ogni caso, 164
Cfr. Malink [2008], pp. 521-523. Malink intende fondare la sua lettura “mereologica” dell’esser detto “kat¦ pantÒj” sulla lezione che accoglie come valida. Anche se la generale interpretazione del dictum fornita da Malink è plausibile, essa rimane tuttavia compatibile anche con il testo ricostruito da W. D. Ross, che non stampa il “toà Øpokeimšnou” di Anal. Pr. A, 1, 24 b29.
112 Luca Gili l’impressione che si ricava dal commento di Alessandro è che egli stia in realtà trattando molto sinteticamente una dottrina che doveva essere piuttosto elaborata. Come cercherò di spiegare nel seguito di questo lavoro, il principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” costituisce in qualche modo l’ossatura di tutta la sillogistica, sia categorica che modale, secondo Alessandro di Afrodisia165. In questo brano tuttavia Alessandro evita di distanziarsi dal dettato aristotelico e si limita ad un conciso commento di esso. Il commentatore di Afrodisia doveva ritenere probabilmente che la introduzione della relazione “™n oÙdenˆ enai” e la esplicitazione dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj” fossero quanto maggiormente potesse essere aggiunto al testo aristotelico. Si sforza infatti di mostrare come Aristotele in verità alluda a questi rapporti, sebbene ne accenni soltanto. Il commentatore ottiene in questo modo la definizione dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj” negando quella dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e questa è a suo giudizio la lettura coerente con il testo aristotelico, che intenderebbe l’esser detto “kat¦ mhdenÒj” come contrario all’esser detto “kat¦ pantÒj”166. In questo modo Alessandro termina la spiegazione delle definizioni preliminari, esposte da Aristotele in Anal. Pr. A, 1.
165
È noto che in tempi recenti alcuni interpreti hanno suggerito di considerare due versioni dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj”. Secondo J. Barnes (cfr. Barnes [2007a], pp. 386-421) l’esser detto “kat¦ pantÒj” di A rispetto a B, secondo Aristotele, significherebbe che, per ogni C, se B si dice di C, allora anche A si dice di C. Alessandro sposerebbe, secondo Barnes, tale interpretazione. Altri interpreti (come Malink [2008], pp. 519-536) pensano invece ad una lettura mereologica del principio. In altre parole A si dice di ogni B se e solo se A si dice di ogni parte di B. A mio parere gli argomenti invocati dagli interpreti a favore dell’una o dell’altra lettura, nel caso del testo aristotelico, potrebbero essere replicati anche nel caso del testo alessandrista. Faticando a decidermi su quale interpretazione sia migliore – per i buoni argomenti a favore di ciascuna delle due proposte – lascio la questione aperta. Credo, tuttavia, che in entrambe le letture valga quanto sostengo circa la centralità del principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” nella sillogistica di Alessandro di Afrodisia. 166 Cfr. in Anal. Pr. p. 25, ll. 13-23: ¢podoÝj dš, t… potš ™sti tÕ kat¦ pantÒj, fhs…n, Óti kaˆ tÕ kat¦ mhdenÕj æsaÚtwj, oÙ toàto lšgwn, Óti taÙtÒn ™sti tÕ kat¦ pantÕj kaˆ tÕ kat¦ mhdenÒj (™nant…a g£r ™stin), ¢ll' Óti dunatÕn Ðr…sasqai aÙtÕ Ðrmwmšnouj ¢p' aÙtoà toà perˆ toà kat¦ pantÕj e„rhmšnou e„pe‹n perˆ toà kat¦ mhdenÒj· œstai g¦r ¢n£palin ¢podidÒmenon tÕ kat¦ mhdenÒj· Ótan g¦r mhd8n Ï labe‹n toà Øpokeimšnou, kaq' oá tÕ kathgoroÚmenon ·hq»setai, tÒte ™stˆ kaˆ tÕ kat¦ mhdenÕj ¢lhqîj, oŒon tÕ cremetistikÕn kat' oÙdenÕj ¢nqrèpou· oÙdeˆj g£r ™stin ¥nqrwpoj, kaq’ oá tÕ cremetistikÕn kathgore‹tai. kat' oÙdenÕj m8n oân toà ¢nqrèpou tÕ cremetistikÒn, ™n oÙdenˆ d8 Ð ¥nqrwpoj tù cremetistikù· ¢mfÒtera g¦r taàta lšgetai ™pˆ tÁj kaqÒlou ¢pofatikÁj prot£sewj.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 113 5. La conversione delle proposizioni 5.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 2-3) Aristotele affronta il problema della conversione delle proposizioni in Anal. Pr. A, 2-3. Prima esamina la conversione delle proposizioni categoriche (A, 2, 25 a126), poi quella delle proposizioni modali (A, 3, 25 a27-b25). Per maggiore chiarezza fornisco ora uno schema della sua trattazione. A, 2 25 a1-4. [Divisione delle proposizioni] Ogni proposizione a) stabilisce che un predicato appartiene, o appartiene di necessità, o appartiene contingentemente ad un soggetto; b) è affermativa o negativa; c) è universale, particolare o indefinita. 25 a5-13. [Le conversioni delle proposizioni categoriche] Fra le proposizioni categoriche, (1) la universale negativa si converte simpliciter; (2) la universale affermativa si converte in una particolare affermativa; (3) la particolare affermativa si converte in una particolare affermativa; (4) la particolare negativa non si converte. 25 a14-17. [Dimostrazione di (1)] Se nessun B è A, nessun A è B. Infatti se qualche A (poniamo C) fosse B, non sarebbe vero che nessun B è A, perché C sarebbe un B. 25 a17-19. [Dimostrazione di (2)] Se ogni B è A, qualche A è B. Infatti se nessun A fosse B, nessun B sarebbe A (per la (1) ); ma l’ipotesi era che ogni B fosse A. 25 a20-22. [Dimostrazione di (3)] Se qualche B è A, qualche A è B. Infatti se nessun A fosse B, nessun B sarebbe A (per la (1) ); ma ciò contraddice l’ipotesi. 25 a22-26 [Dimostrazione di (4)] Se qualche B non è A, non segue che qualche A non è B. Infatti non ogni “animale” è “uomo”, ma ogni “uomo” è “animale”. A, 3 25 a27-29. [Conversione delle proposizioni necessarie] Le proposizioni necessarie si comportano allo stesso modo delle proposizioni categoriche: (1) la universale negativa si converte in una universale, (2) la affermativa, universale o particolare, si converte in una particolare affermativa. 25 a29-33. [Dimostrazione della (1)] Se A appartiene di necessità a nessun B, B apparterrà di necessità a nessun A; infatti se fosse possibile che appartenesse a
114 Luca Gili qualche A, A apparterrebbe a qualche B; ma ciò è contro l’ipotesi che A necessariamente non appartenga ad alcun B. 25 a33-34. [Dimostrazione della (2)] Se A appartiene di necessità ad ogni o a qualche B, di necessità B appartiene a qualche A; se ciò infatti non fosse necessario, A non apparterrebbe di necessità ad alcun B. 25 a34-36. [Particolari negative necessarie] Le particolari negative necessarie non si convertono per la ragione suddetta (cfr. 25 a22-26). 25 a37-39. [I sensi di “contingente”]. “Contingente” ha più significati. Può significare il necessario, il non necessario e il possibile. 25 a39-b3. [La conversione delle proposizioni contingenti affermative] In tutti questi casi le proposizioni affermative sono convertibili come le proposizioni categoriche ad esse corrispondenti. Infatti se è contingente che A appartenga a tutti o a qualche B, è contingente anche che B appartenga a qualche A; se così non fosse, A non potrebbe appartenere ad alcun B. 25 b3-14. [La conversione delle proposizioni negative secondo i primi due sensi di “contingente”] Fra le proposizioni contingenti negative dobbiamo distinguere. La proposizione è convertibile quando dice che è possibile la non appartenenza di un attributo a un soggetto o (1) perché appartiene di necessità, o (2) perché non è necessario che non appartenga. La particolare negativa non è convertibile, come la corrispondente particolare negativa categorica. 25 b14-19. [La conversione delle proposizioni negative secondo il terzo senso di “contingente”] Quando qualcosa è detto “possibile” perché accade per lo più e secondo natura, le proposizioni negative contingenti secondo questo senso non sono più convertibili. Questo sarà spiegato in seguito. 25 b19-25. [Analogia tra contingenti negative e categoriche affermative] La proposizione “è contingente che A non appartenga ad alcun B o che appartenga a qualche B” ha la struttura delle proposizioni affermative e si converte allo stesso modo di queste ultime. Per chiarire le relazioni che intercorrono tra le proposizioni, è opportuno qualche richiamo sulla loro natura, dal quale emergerà anche quali sono le loro reciproche relazioni. Il trattato dedicato all’analisi delle coppie di proposizioni contraddittorie è il De Intepretatione167. Quest’opera, nell’ordine in cui ci è pervenuto il corpus aristotelicum, precede gli Analitici, tanto che un commentatore come Alessandro di 167
Questa almeno è la tesi proposta dal recente e apprezzato studio di Whitaker (cfr. Whitaker [1996]), che si oppone a una lunga serie di saggi (principalmente di I. Bochenski e di V. Sainati), che avevano sottolineato piuttosto le contraddizioni e la discontinuità del De Interpretatione. Per Whitaker al contrario l’idea unificante del trattato è l’analisi delle coppie di proposizioni contraddittorie e il comportamento del “non” aggiunto alle proposizioni.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 115 Afrodisia frequentemente si richiama ad essa, cogliendo nell’ordine di lettura in cui ci è offerto l’Organon un intento pedagogico da parte di Aristotele. Oggi, anche un’analisi più attenta alla stratificazione e alla Entwicklungsgeschichte fatica a formulare una cronologia relativa delle due opere, tanto che Burnyeat ha recentemente suggerito di leggere l’intero Organon come “simultaneo”168. In effetti, sebbene Aristotele non sia probabilmente riuscito nell’intento di fornire una presentazione unificata e coerente del sapere, si può rinvenire nella sua opera il desiderio di formulare un sistema169. È quindi opportuno leggere ancora nel De Interpretatione ciò che negli Analitici Primi è lasciato implicito170, seguendo in ciò l’esempio di Alessandro di Afrodisia. Nel capitolo 7 del De Interpretatione Aristotele aveva classificato gli enunciati quantificati, distinguendo 4 coppie di proposizioni, in ognuna delle quali compare una affermazione e una negazione. (a) “Ogni uomo è bianco” e “Nessun uomo è bianco” (17 b18-20, 18 a4-6);
168
Cfr. Burnyeat [2001]. Cfr. Barnes [1992], p. xii: “if the Aristotelian corpus is not, as it stands, an Encyclopaedia of Unified Science, it nevertheless forms – or was intended to form – the basis for such a large project”. 170 Un interprete come Sainati, più sensibile alla evoluzione storica del pensiero di Aristotele, forniva tre tappe nello sviluppo della sua logica modale, corrispondenti non a ripensamenti, ma a nuove esigenze di presentazione di una dottrina che, nel suo nucleo fondamentale, rimase la stessa. Per una breve presentazione della interpretazione di Sainati, cfr. Sainati [1981], pp. 32-33. Vedi anche Sainati [1968], pp. 70-125. La tesi di Sainati in sostanza è che ci sono stati tre periodi successivi nella formazione della logica modale aristotelica: a) la teoria dei predicabili, espressa nei Topici, in cui la necessità dell’inerenza dei predicati al soggetto è quasi analitica (la logica ha carattere intensionale ed esplora i rapporti tra termini categorematici); b) lettura “meta-predicativa” dei concetti modali in De Interpretatione, 12-13, in cui gli operatori modali si avvicinano al comportamento dei “meta-predicati” Vero e Falso, tanto è vero che Aristotele ne studia il comportamento nelle coppie di enunciati fra loro contraddittori; c) lettura “operativa o funtoriale dei concetti modali” che Aristotele svilupperebbe negli Analitici Primi A, 3, 8-22. Questa suggestiva proposta interpretativa si connette alla datazione standard delle opere logiche di Aristotele, la prima delle quali sarebbe costituita dai Topici (o almeno da Topici B-H, 3, secondo H. Maier: cfr. Maier [1896-1900], vol. II, 2, pp. 78-81, n. 3), l’ultima dagli Analitici Primi. All’interno degli Analitici Primi Bochenski per primo aveva parlato di una composizione stratificata: la congiunzione della sezione modale a quella categorica avrebbe seguito la stesura indipendente dei due trattati. Sainati discute problemi di datazione in Sainati [1992], p. 1 e ss. Rilevo che le incongruenze interne alla stessa sezione modale potrebbero essere pure spiegate con una composizione in fasi successive. Infatti Anal. Pr. A, 3 sembra trattare una modalità de dicto, mentre molti dei modi ritenuti validi da Aristotele nella sezione A, 8-22 sono validi solo de re. Per quanto non sia possibile riscontrare la distinzione de dicto/de re nel testo aristotelico, non è da escludere che due intuizioni tanto diverse debbano essere ascritte a momenti diversi di riflessione da parte dello Stagirita. 169
116 Luca Gili (b) “Socrate è bianco” e “Socrate è non bianco” (17 b28-29; 18 a2-3)171; (c) “Ogni uomo è bianco” e “Non ogni uomo è bianco” (17 b18-20, 18 a4-6); (d) “Nessun uomo è bianco” e “Qualche uomo è bianco” (17 b6; 17 b21). Definisce le proposizioni della coppia (a) come contrarie, le proposizioni delle coppie (b), (c), (d) come contraddittorie. Bisogna notare che tra queste proposizioni non compaiono termini singolari, né alcuna di tali proposizioni è indefinita (priva cioè del quantificatore): tali proposizioni sono tralasciate perché di scarsa o nessuna utilità per la sillogistica. Aristotele infatti considera le indefinite come logicamente equivalenti alle particolari (cfr. Anal. Pr. A, 7, 29 a27-29) e non include affatto i termini singolari nella sua sillogistica172. Rimangono perciò le quattro proposizioni del quadrato: universale affermativa (AaB, “Ogni A è B”), universale negativa (AeB, “Nessun A è B”), particolare affermativa (AiB, “Qualche A è B”) e particolare negativa (AoB, “Qualche A non è B”), che lo Stagirita aveva richiamato succintamente in Anal. Pr. A, 1. Nel capitolo A, 2 degli Analitici Primi si spiega, per ciascuna di queste proposizioni, come si possa invertire il soggetto con il predicato, mantenendo la qualità e il valore di verità della proposizione, pur cambiando talvolta la quantità. Abbiamo perciò tre tesi logiche, che possiamo esprimere in questo modo. (i) (CUN: Conversione dell’universale negativa) AeB → BeA. Le universali negative si convertono in universali negative (conversio simpliciter, secondo la terminologia logica medievale); (ii) (CUA: Conversione dell’universale affermativa) AaB → BiA. Le proposizioni universali affermative si convertono in particolari affermative (conversio per accidens); (iii) (CPA: Conversione della particolare affermativa) AiB → BiA. Le proposizioni particolari affermative si convertono in particolari affermative (conversio simpliciter); (iv) Le proposizioni particolari negative non si convertono. 171
Questa coppia naturalmente non è costituita da enunciati quantificati. Aristotele infatti aveva una comprensione piuttosto semplice della quantificazione, che espone nella maniera più esplicita in Anal. Post. A, 4, 73 b32-33. Circa il fatto che queste righe effettivamente presentino la teoria (ingenua) della quantificazione in Aristotele si consulti il commento di Jonathan Barnes a questo passo (cfr. Barnes [1992], p. 119). 172 Non è del tutto vero che nella sillogistica non compaiano affatto esempi di sillogismi con termini singolari, come sostenne Łukasiewicz [1958], pp. 5-7. Ad esempio in Anal. Pr. B, 27, 70 a16-20 si può trovare un sillogismo in Darapti con termine medio “Pittaco”; in Anal. Pr. A, 33, 47 b15-37 si incontra un sillogismo con “Aristomene” e “Miccalo” come termini delle premesse. Ciò non toglie che nella sua ricognizione delle forme proposizionali possibili Aristotele non menziona le proposizioni con termini singolari, che pure aveva trattato in De Interpretatione, 7; e ciò è coerente con il fatto che nella esposizione sistematica della sillogistica categorica (in Anal. Pr. A, 1-2, 4-7) non compaiono sillogismi con premesse che abbiano termini singolari.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 117 Aristotele cerca anche di “dimostrare” ciascuna di queste tesi logiche, ma la pretesa “dimostrazione” solleva alcune difficoltà e può essere accusata di circolarità, come cercherò di chiarire fra breve. Dopo la esposizione delle regole di conversione per le proposizioni categoriche, possiamo passare alla discussione delle relazioni che intercorrono tra le proposizioni modalizzate. Innanzi tutto, bisogna osservare che né nel De Interpretatione, né negli Analitici Primi si incontra una precisa definizione degli operatori modali. Le loro reciproche relazioni lasciano intendere che siano interdefinibili173, ma è vano cercare nel corpus una definizione squisitamente logica di un solo operatore, indipendetemente dagli altri. È certo che Aristotele non avesse una idea di modalità vicina a quella oggi più diffusa, dopo i saggi di Kripke, Hintikka e Barcan Marcus: l’idea cioè che una proposizione necessaria sia una proposizione vera in tutti i mondi possibili (accessibili dal mondo attuale) e che una proposizione possibile sia una proposizione vera in almeno un mondo possibile (accessibile dal mondo attuale). La nozione di “mondo possibile” si è infatti formata nell’ambito delle discussioni seicentesche sulla grazia e la predestinazione e si trova espressa per la prima volta in modo esplicito in Leibniz; è impossibile perciò attribuire ad Aristotele qualsiasi anticipazione, per quanto ingenua, della semantica a mondi possibili. Quale che sia la posizione aristotelica sul significato semantico degli operatori modali, limitiamo per ora la nostra indagine alle loro relazioni sintattiche (in seguito cercherò di chiarire quale potesse essere l’interpretazione semantica degli operatori modali secondo Alessandro di Afrodisia). Lo Stagirita esplora tali relazioni sintattiche tra le proposizioni modali proprio in Anal. Pr. A, 3. Possiamo notare che Aristotele pone tali rapporti in chiara correlazione con le leggi di conversione per le proposizioni categoriche. Ad esempio nel caso delle proposizioni particolari negative necessarie, Aristotele ci informa che esse non si convertono “di¦ t¾n aÙt¾n a„t…an di’ ¿n kaˆ prÒteron œfamen” (A, 3, 25 a35-36), riferendosi evidentemente alla spiegazione che aveva 173
Per la definizione della necessità nei termini della possibilità cfr. Met. D, 5, 1015 a33-35; L, 7, 1072 b11-13. Per la definizione della possibilità nei termini della necessità cfr. Anal. Pr. A, 3, 25 a27-39. Ad Aristotele non sfuggiva che il definiendum non può entrare nel definiens: in Top. Z, 2-3 questo procedimento è stigmatizzato come erroneo. Assumendo come una definizione (i) “◊p↔⌐□⌐p”, non eviteremmo il circolo vizioso, se fissiamo come definizione di “□ p” l’equivalente “⌐◊⌐p”. Per sostituzione, da (i) ottengo (ii) “◊p↔⌐⌐◊⌐⌐p”; cioè, banalmente, (iii) “◊p↔◊p”. Tuttavia la soluzione di Aristotele non sembra quella di dare una definizione logica di un operatore, che non includa l’altro, quanto piuttosto di darne una definizione metafisica, in cui la nozione metafisica dell’altro operatore non rientri (in questo senso “necessario”, ad esempio, è ciò che rientra nell’essenza della cosa, o che accade sempre, etc.: definizioni che non comprendono in sé alcun rimando al “contingente”). Cfr. al riguardo l’intero capitolo Met. D, 5.
118 Luca Gili dato per le proposizioni categoriche particolari negative (cfr. A, 2, 25 a22-26). Questo richiamo in filigrana del capitolo A, 2 si può leggere soprattutto nelle dimostrazioni che sono date delle conversioni delle proposizioni modali. Di seguito presento uno schema delle conversioni delle proposizioni modali. 1. Proposizioni necessarie a) (CUNL: Conversione dell’universale negativa necessaria). □AeB → □BeA. Le universali negative si convertono in universali negative (conversio simpliciter, secondo la terminologia logica medievale); b) (CUAL: Conversione della universale affermativa necessaria). □AaB → □BiA Le proposizioni universali affermative si convertono in particolari affermative (conversio per accidens); c) (CPAL: Conversione della particolare affermativa necessaria). □AiB → □BiA Le proposizioni particolari affermative si convertono in particolari affermative (conversio simpliciter); d) Le proposizioni particolari negative necessarie non si convertono. 2. Proposizioni contingenti174 e) (CUAQ: Conversione della universale affermativa del contingente). ◊AaB → ◊BiA. Le proposizioni universali affermative si convertono in particolari affermative (conversio per accidens); f) (CPAQ: Conversione della particolare affermativa del contingente). ◊AiB → ◊BiA. Le proposizioni particolari affermative si convertono in particolari affermative (conversio simpliciter); g) Le proposizioni universali negative del contingente presentano due casi: g.1) Si convertono secondo (almeno) un senso di contingente175 (CUNQ. ◊AeB → ◊BeA; cfr. A, 3, 25 b3-14); g.2) Non si convertono secondo il “contingente” inteso come “possibile” (cfr. A, 3, 25 b16-17); h) Le proposizioni particolari negative del contingente presentano a loro volta due casi: h.1) Non si convertono secondo quel senso di contingente secondo il quale le universali negative si convertivano (cfr. A, 3, 25 b13-14); 174
Di seguito uso l’operatore “◊” nel senso di “è contingente”. Così per i commentatori moderni. Secondo Alessandro di Afrodisia invece ci sono in totale tre sensi di contingente e la convertibilità vale per i primi due sensi di contingente (“contingente” inteso come “necessario” e come “categorico”).
175
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 119 h.2) Si convertono secondo il “contingente” inteso come “possibile” (CPNM. ◊AoB → ◊BoA; cfr. A, 3, 25 b17-18). Questo è il quadro delle relazioni sintattiche tra le proposizioni categoriche e modali, secondo lo Stagirita. Le dimostrazioni che Aristotele propone per la conversione delle proposizioni presentano problemi anche a questo livello, perché risulta difficile eludere il vizio della circolarità176. Questo vale nel caso delle conversioni delle proposizioni categoriche e delle proposizioni modali. Vediamo in dettaglio il perché. Iniziamo il nostro esame da CUA: “e„ d8 pantˆ tÕ A tù B, kaˆ tÕ B tinˆ tù A Øp£rxei· e„ g¦r mhden…, oÙd8 tÕ A oÙdenˆ tù B Øp£rxei· ¢ll' Øpškeito pantˆ Øp£rcein” Anal. Pr. A, 2, 25 a17-19). Aristotele adotta il metodo della dimostrazione per assurdo della regola AaB → BiA. In generale, la dimostrazione per assurdo inizia con l’assuzione della contraddittoria della conclusione e cerca di derivare, a partire da tale ipotesi, un assurdo, cioè una proposizione che contraddica o che comunque si opponga ad una dele premesse poste ed accolte come vere. In questo caso la contraddittoria della conclusione è BeA177 . Ma per CUN, BeA → AeB. Ma AeB è la proposizione contraria di AaB, per cui esse non possono essere entrambe vere. Poiché abbiamo assunto la verità della premessa AaB, dobbiamo rifiutare AeB e con essa l’ipotesi che l’ha generata. Di conseguenza sarà vero che AaB → BiA. La prova è sostanzialmente corretta, ma si avvale di CUN. Il problema non si porrebbe se Aristotele desse una dimostrazione della validità di CUN indipendente da CUA o se, più semplicemente, assumesse la validità di CUN. Aristotele sembra essersi accorto del problema, tanto è vero che CUN ha una giustificazione diversa da quella delle altre regole di conversione. La prova della validità di CUN, infatti, è assimilabile all’œkqesij, anche se il procedimento generale rimane quello della dimostrazione per assurdo. Dobbiamo dimostrare che AeB → BeA. Assumiamo quindi la contraddittoria della conclusione BeA (cioè la proposizione BiA) e cerchiamo di derivare un assurdo a partire da essa. Aristotele vorrebbe giungere ad una nuova coppia di proposizioni contraddittorie (AeB e AiB), ma per farlo non ricorre a CPA. Se lo facesse, il circolo vizioso sarebbe inevitabile (come vedremo, nella dimostrazione di CPA lo Stagirita si avvale, infatti, della validità di CUN, che sta cercando ora di validare). Egli argomenta perciò così: “e„ oân mhdenˆ tù B tÕ A Øp£rcei, oÙde tù A oÙdenˆ Øp£rxei tÕ B· e„ g£r tini, oŒon tù G, oÙk ¢lhqej œstai tÕ mhdenˆ tù B tÕ A Øp£rcein· tÕ g¦r G tîn B t… ™stin” (Anal. 176
Questo rilievo si può trovare in Mignucci [1997], pp. 88-91. Assumiamo infatti anche la validità del quadrato delle opposizioni tra le proposizioni, esposto in De Interpretatione, 7.
177
120 Luca Gili Pr. A, 2, 25 a15-17). Anche se non incontriamo il riferimento esplicito al metodo dell’œkqesij, il procedimento qui impiegato da Aristotele le è simile, perché viene esposto un certo termine G, che si dice essere uno degli A e uno dei B. In virtù di G possiamo dire sia che (i) “un A (ad esempio G) è B”, sia che (ii) “un B (ad esempio G) è A”: avremo di conseguenza che (i) ↔ (ii). La relazione tra (i) e (ii) non è dimostrata con una regola di conversione (in questo caso CPA), ma è assunta in virtù del fatto che G è un termine “percepibile”, come nel caso di ogni œkqesij: l’identità di uno degli A con B e di uno dei B con A non risiede dunque in una regola logica, ma in una percezione sensibile, riferita appunto a quel particolare G, che è, al tempo stesso, un elemento dei B e un elemento degli A. Ritorniamo perciò alla nostra dimostrazione per assurdo dela validità di CUN. Avevamo mantenuto la premessa BeA; ora abbiamo ottenuto la sua contraddittoria (BiA) dall’ipotesi della contraddittoria della conclusione AeB (cioè da AiB). Bisogna quindi scartare l’ipotesi AiB, assunta per derivare l’assurdo, ed ammettere che la sua contraddittoria AeB è compatibile con la premessa BeA. Abbiamo cioè dimostrato la validità della regola BeA → AeB. Lo stesso vizio di circolarità si incontra anche nella “dimostrazione” della conversione della proposizione particolare affermativa. La tesi da dimostrare è (iii) AiB → BiA. Procediamo per assurdo e supponiamo che sia vera la proposizione BeA (contraddittoria della conclusione BiA). Per CUN, BeA → AeB. Ma AeB è la contraddittoria della premessa AiB che avevamo mantenuto. Di conseguenza l’ipotesi per assurdo va scartata e dobbiamo ammettere la validità della formula AiB → BiA. Anche in questo caso ci siamo appoggiati alla validità di CUN. La circolarità della dimostrazione si può evitare quindi solo a patto che si ammetta una dimostrazione di CUN simile a quella sopra esposta: una dimostrazione, cioè, che non si serva di CPA. Occorre, in altre parole, valutare attentamente la tenuta logica della dimostrazione per “esposizione” di CUN. Nella trattazione della sillogistica categorica Aristotele si serve dell’œkqesij solo come dimostrazione accessoria della validità di Darapti (cfr. A, 6, 28 a24-26) e nel sommario di A, 7, 29 a30 e ss., in cui si dà uno schema della sillogistica categorica, Aristotele elenca fra le prove di riduzione alla prima figura solo la conversione e la riduzione ad impossibile. Si è perciò pensato che egli attribuisca all’œkqesij un valore molto limitato come metodo di dimostrazione178 . In effetti nella sillogistica 178 Cfr. Łukasiewicz [1958], p. 67; Maier [1896-1900], vol. II, 2, p. 147. H. Maier suggerisce che „diese Ekthesis [kann] nicht als stringentes Beweisverfahren für die Schlusskraft syllogistischer Modi dienen […] als Beweismethode wird sie nicht einmal eigentlich anerkannt“ (ibidem). Il rilievo di Maier, anche se plausibile per quel che riguarda la logica categorica, non vale nel caso della sillogistica modale, nella quale l’œkqesij è l’unico metodo di dimostrazione di Baroco e Bocardo con premesse e conclusione necessarie (cfr. Anal. Pr. A, 8, 30 a6-16 e la discussione della posizione di Maier in Patzig [1968], p. 157-158). Patzig, che rivendica la validità di questo procedimento in sede
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 121 categorica l’ œkqesij è un metodo ridondante, anche se ciò non toglie che possa avere una sua importanza. La difficoltà maggiore, tuttavia, non è l’eventuale ridondanza dell’œkqesij, ma sta nel coglierne il carattere logico e formale: il testo di Aristotele, specialmente nel caso di Darapti, sembra infatti suggerire che il termine esposto sia qualcosa di concreto e percepibile, tale cioè che risultino intuitivi i rapporti di inerenza o di non inerenza fra i termini del sillogismo e quelli del termine esposto. Ma la presenza di qualcosa di percepibile non può evidentemente essere espressa in termini logici e formali. Non per nulla, interpreti raffinati come W. D. Ross si riferivano piuttosto all’immaginazione179 come facoltà adeguata alla comprensione dell’œkqesij. La soluzione di J. Łukasiewicz e di G. Patzig, evidentemente insoddisfatti di una tale presentazione niente affatto formale dell’œkqesij, fu quindi quella di “logicizzare” la procedura180, rendendola equivalente a due leggi logiche: (a) AiB → (∃ C) (AaC ٨ BaC)181; (b) AoB → (∃ C) (AeC ٨ BaC)182. logica, si fonda sulla dimostrazione della validità di Baroco e Bocardo LLL, ma sembra non accorgersi che in questo contesto l’œkqesij è di tipo diverso rispetto a quella impiegata per la prova di Darapti (cfr. la discussione della differenza fra le due œkqesij nel commento di Alessandro di Afrodisia, p. 122, ll. 17-23: shmeiwtšon dš, Óti oÙc Ómoioj oátoj Ð trÒpoj tÁj ™kqšsewj ka…, Ön œlegen ™n tù tr…tJ sc»mati, Óte perˆ tîn ØparcÒntwn Ãn Ð lÒgoj aÙtù. ™ke‹ m8n g¦r ¡plîj ti tîn a„sqhtîn kaˆ m¾ deomšnwn de…xewj tÕ ™ktiqšmenon kaˆ lambanÒmenon Ãn, diÕ kaˆ aÜtarkej Ãn mÒnon lhfq8n prÕj tÕ faner¦n t¾n sunagwg¾n poiÁsai· ™ntaàqa d8 tÕ lambanÒmenon oÙ toioàton œti lamb£netai oÙd8 ¢rke‹tai tÍ a„sq»sei, ¢ll¦ prÕj aÙtÕ sullogismÕn poie‹). La lettura di Patzig incontra indubbiamente solide basi testuali nel caso delle deduzioni sillogistiche del “necessario”; ma per smentire la tesi di Maier occorrerebbe assumere che (i) il senso in cui œkqesij è impiegato in A, 8, 30 a6-16 sia il medesimo senso che il termine ha in A, 6, 28 a24-26. Questa tesi mi pare difficile da respingere o da accettare, perché valide ragioni possono essere avanzate sia in un senso che nell’altro. Sostengo infatti che a. (i) vale perché, per il principio di carità, assumiamo che le due occorrenze del termine œkqesij abbiano lo stesso significato negli Analitici; b. (i) non vale perché in A, 6 si parla di un elemento che viene esposto (“un certo <elemento> di Z, come N”, 28 a24-25), mentre in A, 8 si costruisce una nuova deduzione sillogistica relativa al termine esposto. Ma se si ha un sillogismo, non possiamo più trovarci di fronte ad un elemento singolo, perché i sillogismi validi vertono solo su termini che significano classi di oggetti. È perciò possibile condividere l’opinione di Mignucci, secondo il quale, per lo Stagirita “non esiste lo stacco fra universale e singolare che è caratteristico delle concezioni moderne della predicazione” (Mignucci [1997], p. 90). La soluzione quindi del problema se Aristotele intendesse il termine esposto come singolare o come universale non è quindi di grande importanza in sede di ricostruzione storica del suo pensiero. 179 Cfr. Ross [1949], p. 32. 180 Cfr. Patzig [1968], p. 161 e Łukasiewicz [1958], p. 59. 181 Se A appartiene a qualche B, allora esiste un C tale che sia A che B appartengono ad ogni C. 182 Se A non appartiene a qualche B, allora esiste un C tale che A non appartiene ad alcun C e B appartiene ad ogni C.
122 Luca Gili Con questa interpretazione il problema connesso all’œkqesij può considerarsi risolto; certo, è impossibile dimostrare che Aristotele abbia inteso l’œkqesij esattamente in questo modo, ma il fatto che, almeno in linea teorica, se ne possa dare una delucidazione puramente formale, consente di considerare l’œkqesij un metodo logico senza dubbio impiegabile nella sillogistica, senza che il carattere formale di essa ne sia stravolto; e in questo senso è possibile pensare che la dimostrazione della validità di CUN, che Aristotele fornisce, sia logicamente valida, e consenta di evitare il circolo vizioso, che altrimenti si avrebbe fra le varie dimostrazioni della validità delle leggi di conversione per le proposizioni categoriche. Passiamo ora ai problemi posti dalle leggi di conversione per le proposizioni modali. Innanzi tutto è bene notare che la conversione delle premesse necessarie si serve della conversione delle categoriche. Anche in questo caso si potrebbe accusare lo Stagirita di dare definizioni circolari; e l’accusa gli fu in effetti rivolta da Albrecht Becker, che riteneva indegne dell’ingegno di Aristotele le dimostrazioni delle conversioni modali e le espunse sistematicamente dal suo testo degli Analitici Primi183. Le prime righe cancellate dal critico tedesco si trovano in A, 3, 25 a29-34: Aristotele intende dimostrare la conversione dell’universale negativa necessaria e della universale e della particolare affermativa necessaria. Nella dimostrazione di CUNL Aristotele si serve di CPAQ. Il procedimento è infatti anche questa volta per assurdo. Dobbiamo dimostrare la tesi (i) □AeB → □BeA. Assumiamo quindi la contraddittoria della conclusione, che, in virtù dei nessi fra gli operatori modali già esplorati nel De Interpretatione, ai capitoli 12-13, sarà una proposizione contingente particolare affermativa (◊BiA). Ma in virtù di CPAQ questa proposizione si converte (◊BiA → ◊AiB). La proposizione così ottenuta (◊AiB), risulta essere, per le regole di opposizione fra proposizioni modali, la contraddittoria della premessa che avevamo mantenuto (□AeB). Perciò occorre eliminare l’ipotesi assunta e ammettere la validità di □AeB → □BeA. Questa dimostrazione non comporterebbe alcun problema, se Aristotele desse una dimostrazione della validità di CPAQ che non si basi sulla validità della regola CUNL: qualcosa di analogo a ciò che aveva tentato di fare nel caso delle proposizioni categoriche, dando di CUN una dimostrazione alternativa, per œkqesij, ed evitando, in questo modo, l’impiego di CPA, che sarebbe stato richiesto da una dimostrazione per assurdo e che avrebbe condannato le dimostrazioni delle conversioni categoriche alla circolarità184 . 183
Cfr. Ross [1949], apparato a Anal. Pr. A, 3, 25 a29-34. In un’interpretazione logicizzante dell’œkqesij, come abbiamo cercato di mostrare, le dimostrazioni delle conversioni categoriche risultano valide. Tuttavia tale interpretazione
184
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 123 In questo caso, invece, la circolarità sembra emergere inequivocabilmente dal testo (che, proprio per questa ragione, A. Becker si sentì in dovere di espungere). La dimostrazione di CPAQ si serve infatti di CUNL (cfr. A, 3, 25 a40-b3). La tesi da dimostrare in questo caso è che ◊AiB → ◊BiA185. Assumiamo ancora una volta la contraddittoria della conclusione, che abbiamo imparato essere la universale negativa necessaria (□BeA). Per CUNL □BeA → □AeB. Per modus ponens otteniamo quindi □AeB, che, per le leggi di opposizione già esaminate, sarà la contraddittoria della premessa conservata, cioè ◊AiB. Ma questo è assurdo e quindi CPAQ è dimostrata. Analogamente, nel caso di CUAQ (◊AaB → ◊BiA), assumiamo la contraddittoria della conclusione (□BeA). Per CUNL, □BeA → □AeB. Otteniamo così la proposizione contraria di ◊AaB, che era la premessa conservata. Poiché assumiamo che ◊AaB sia vera, la sua contraria □AeB sarà necessariamente falsa. Ma se questa è falsa, dobbiamo rifiutare anche l’ipotesi che l’ha generata. La regola CUAQ risulterà quindi valida. Come è facile vedere entrambe queste “dimostrazioni” si avvalgono della regola CUNL. Il problema della circolarità di tali dimostrazioni, come è facile supporre, è stato a lungo dibattuto ed anche Alessandro di Afrodisia ha tentato nel suo commento di darne una soluzione accettabile. Cerchiamo quindi di capire come egli abbia tentato di sciogliere questa aporia. 5.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 2-3186 Alessandro di Afrodisia, commentando le prime righe di Anal. Pr. A, 2, richiama i concetti già espressi nel commento alla definizione di prÒtasij, introdotta da difficilmente evita in assoluto il circolo vizioso, perché costretta ad assumere la validità di alcune leggi logiche del calcolo proposizionale come a ٨ b ↔ b ٨ a. Con l’introduzione dei quantificatori, questa tesi logica equivale alle nostre conversioni delle proposizioni del quadrato. La sottigliezza di Patzig e Łukasiewicz comporta quindi in ultima istanza l’accettazione di regole logiche molto simili a ciò che intendiamo dimostrare. Vi è poi il problema testuale: una lettura come questa, sebbene non esclusa dalle scarne righe del testo di Aristotele, non è nemmeno da queste suggerita e sembra piuttosto una costruzione ex post che poco serve alla comprensione delle vere intenzioni dello Stagirita. La soluzione del problema presenta quindi delle insormontabili difficoltà. Come ho detto, per gli scopi che mi prefiggo è sufficiente mostrare come, in linea teorica, le dimostrazioni delle leggi di conversione per le proposizioni assertorie possano evitare la circolarità; cosa che invece appare inevitabile nel caso delle proposizioni modali. È bene, in questa sede, evidenziare questa aporia, per cercare di capire la soluzione che Alessandro proporrà per superarla. 185 Aristotele in verità affronta contemporaneamente questa conversione e CUAQ (◊AaB → ◊BiA). Per ragioni di semplicità esamino i due casi separatamente. 186 Cfr. su questo tema Volait [1907], pp. 9-24; Lee [1984], pp. 79-94.
124 Luca Gili Aristotele nel capitolo precedente. La proposizione – ci viene detto – è una struttura predicativa, nella quale un predicato è detto di un soggetto. A questo schema fondamentale, valido per ogni proposizione, si aggiungono tutte le differenze che qualificano le proposizioni effettivamente trattate nella sillogistica. Il predicato, ad esempio, può essere detto in modo affermativo o negativo (in Anal. Pr. p. 26, ll. 12: kathgoroÚmenon œcei À katafatikîj À ¢pofatikîj, toàt’œstin æj Øp£rconta tù ØpokeimšnJ À m¾ Øp£rconta): si avranno così le proposizioni affermative o negative. L’appartenenza del predicato al soggetto è poi ulteriormente specificata dalla determinazione del tempo: alcuni predicati, cioè, appartengono sempre al soggetto, altri (almeno) talvolta appartengono, altri (almeno) talvolta non appartengono. La definizione degli operatori modali è connessa da Alessandro alla durata nel tempo dell’inerenza del predicato al suo soggetto187 – un punto indubbiamente degno di nota. Secondo il commentatore di Afrodisia, necessaria è quella proposizione nella quale predicato che inerisce sempre al suo soggetto. Si sarebbe tentati di dire che Alessandro da una lettura de re della modalità, visto che essa qualifica la durata nel tempo della inerenza del predicato. Ciò sarebbe tuttavia in contraddizione con l’impostazione generale di questi capitoli, perché le conversioni delle proposizioni modali sono valide solo de dicto 188. Ma occorre 187
Cfr. in Anal. Pr. p. 26, ll. 2-18: tîn d8 ØparcÒntwn tisˆ t¦ m8n ¢eˆ Øp£rcei, t¦ d8 pot8 m8n Øp£rcei, potè d8 oÙc Øp£rcei, e„ m8n ¢eˆ Øp£rcoi tÕ Øp£rcein legÒmenon kaˆ oÛtwj lamb£noito Øp£rcein, ¢nagka…a g…netai ¹ toiaÚth prÒtasij katafatik¾ ¢lhq»j, ¢nagka…a d8 ¢pofatik¾ ¢lhq¾j ¹ tÕ mhdšpote pefukÕj Øp£rcein tinˆ oÛtwj m¾ Øp£rcein aÙtù lamb£nousa. e„ d8 m¾ ¢eˆ Øp£rcoi tÕ kathgoroÚmenon tù ØpokeimšnJ, e„ m8n kat¦ tÕ ™nestëj Øp£rcoi, ¹ toàto mhnÚousa prÒtasij Øp£rcousa g…netai katafatik¾ ¢lhq»j. Ðmo…wj kaˆ Øp£rcousa ¢pofatik¾ ¢lhq¾j ¹ tÕ nàn m¾ Øp£rcon m¾ Øp£rcein lšgousa. e„ d8 m¾ Øp£rcoi ™pˆ toà parÒntoj tÕ kathgoroÚmenon tù ØpokeimšnJ dun£menon aÙtù Øp£rcein kaˆ oÛtwj, æj dun£menon, lamb£noito, ™ndecomšnh katafatik¾ ¢lhq¾j ¹ prÒtasij. ¹ d8 ™ndšcesqai m¾ Øp£rcein À tÕ Øp£rcon À tÕ m¾ Øp£rcon m8n oŒÒn te d8 kaˆ Øp£rcein kaˆ m¾ Øp£rcein lšgousa ™ndecomšnh ¢pofatik¾ ¢lhq»j. yeude‹j dš ge aƒ t¦ m¾ toàton œconta tÕn trÒpon æj oÛtwj œconta mhnÚousai· dhlwtikaˆ g¦r oâsai tÁj Øp£rxewj tîn Øp' aÙtîn dhloumšnwn aƒ prot£seij, æj ¨n ™ke‹na œcV Øp£rxewj, oÛtwj œcousi kaˆ aÙtaˆ sunexomoioÚmenai tù tîn dhloumšnwn Øp' aÙtîn trÒpJ. 188 In altre parole, le leggi di conversione per le proposizioni modali, nella traduzione di queste proposizioni nel linguaggio del calcolo dei predicati al primo ordine, sono valide se e solo se l’operatore modale precede l’intera proposizione da convertire. Un enunciato modale del linguaggio naturale, infatti, può essere letto in due modi. Nel primo caso l’operatore modale riguarda l’intera proposizione (lettura de dicto), nel secondo il modo in cui il predicato inerisce al soggetto (lettura de re). Prendiamo ad esempio l’enunciato: (i) Socrate è bianco e introduciamo in (i) l’operatore di necessità. Se la nuova frase sarà (ii) È necessario che Socrate sia bianco la lettura dell’operatore sarà de dicto. Se invece la frase così ottenuta sarà (iii) Socrate è necessariamente bianco (= La bianchezza appartiene necessariamente a Socrate)
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 125 ricordare che queste distinzioni sono posteriori sia al testo di Aristotele che al la lettura dell’operatore sarà de re. La messa in forma logica di questo enunciato non sembra aiutarci molto a cogliere le differenze, perché non compare, nell’enunciato in forma logica, alcun quantificatore. Sia “s” la costante “Socrate”, “B” il predicato a un posto “essere bianco”. L’enunciato (iv) □ B (s) è equivalente sia a (ii) che a (iii). Proviamo tuttavia a introdurre un quantificatore. Sia “S” il predicato a un posto “essere Socrate”. Un enunciato come (v) ∀x (S(x) → B(x)) si può considerare equivalente, almeno nella sostanza, a (i). Introduciamo allora l’operatore di necessità: (vi) □∀x (S(x) → B(x)) esprime (ii) ed è un enunciato in cui la necessità è de dicto. (vii) ∀x (S(x) → □ B(x)) esprime invece (iii) ed è un enunciato in cui la necessità è de re, perché si riferisce al modo in cui il predicato “bianco” si riferisce al soggetto. Aristotele non introdusse questa distinzione fra i due tipi di modalità e A. Becker suggerì che ne doveva essere in qualche modo inconsciamente avvertito (cfr. Becker [1933], pp. 37-43). In effetti le regole di conversione delle proposizioni modali, che Aristotele enuncia nel capitolo A, 3, sono valide soltanto con una lettura de dicto. È impossibile validare, in ogni sistema di normale logica modale, una formula del tipo: a) ∀ x (B(x) → □ ⌐A(x) ) → ∀ x (A(x) → □ ⌐B(x) ) Questa formula esprime la conversione simpliciter della proposizione universale negativa necessaria, con l’operatore “□” riferito al predicato (lettura de re). Al contrario, se questo stesso operatore è inteso de dicto, avremo la formula: b) □ (∀ x (B(x) → ⌐A(x) ) ) → □ (∀ x (A(x) → ⌐B(x) ) ). Si può dimostrare che questa formula è valida con i moderni metodi di validazione. Tuttavia, per attenerci maggiormente al dettato aristotelico, cerchiamo un’altra dimostrazione della sua validità. Supponiamo che la sillogistica assertoria sia contenuta nella sillogistica modale: ciò significa che se “A” designa il sistema “sillogistica assertoria” e “M” il sistema “sillogistica modale”, per ogni formula ben formata f, (c) A╞ f→M╞ f. In altre parole ogni teorema di A è un teorema di M. Ora, noi sappiamo che la conversione delle proposizioni universali negative è una regola della sillogistica assertoria. Per (c), tale conversione sarà anche un teorema di M. Per la regola di necessitazione (RN), se “a” è un teorema, allora “a” è una proposizione necessaria. Avremo quindi che la conversione delle proposizioni universali negative, che scriviamo così: d) ∀ x (B(x) → ⌐A(x) ) → ∀ x (A(x) → ⌐B(x) ) ammette prima di sé l’operatore “□”, per l’applicazione di RN: e) □ (∀ x (B(x) → ⌐A(x) ) → ∀ x (A(x) → ⌐B(x) ) ). Ogni sistema normale di logica modale ammette un assioma, detto K in onore di Saul Kripke, il quale stabilisce la distribuzione dell’operatore di necessità rispetto all’implicazione (K: □(a→b)→(□a→□b) ). Una istanza di K sarà quindi: f) □ (∀ x (B(x) → ⌐A(x) ) → ∀ x (A(x) → ⌐B(x) ) ) → (□ (∀ x (B(x) → ⌐A(x) ) ) → □ (∀ x (A(x) → ⌐B(x) ) ) ). Da e) e da f), per modus ponens, otterremo la nostra formula b), che risulterà in questo modo valida in M. Da questa breve indagine, è possibile trarre una conclusione che riguarda tutti i tipi di conversione di proposizioni modali che Aristotele discute in Anal. Pr. A, 3: tali regole sono valide soltanto con una lettura de dicto dell’operatore modale.
126 Luca Gili commento di Alessandro, nel quale si può notare una interessante ambiguità: il predicato appartiene sempre al soggetto, ma non è il predicato ad essere necessario; necessaria è piuttosto l’intera proposizione189. Secondo la distinzione introdotta da Alessandro, le proposizioni che figurano come premesse di un sillogismo categorico o modale si possono quindi dividere in queste due classi: (i) Proposizioni in cui il predicato appartiene sempre (necessarie); (ii) Proposizioni in cui il predicato appartiene talvolta (non necessarie, ovvero contingenti lato sensu). Dato che (ii) è il complemento di (i), in questo modo Alessandro ha classificato tutte le proposizioni possibili. Resta quindi da collocare la differenza fra proposizioni categoriche e contingenti. Evidentemente esse saranno sottoclassi di (ii), perché altrimenti non si potrebbe distinguere il contingente dal necessario (se il primo fosse incluso nella prima classe, che contiene le proposizioni necessarie) o si avrebbe il collasso delle modalità (se ogni cosa asserita in modo categorico fosse anche necessaria). Ed è così, infatti, che Alessandro intende la classificazione, che ci propone: (iia) Proposizioni in cui il predicato appartiene talvolta e, più specificamente, adesso, cioè nell’istante presente, rispetto al contesto in cui la proposizione è proferita (proposizioni categoriche); (iib) Proposizioni in cui il predicato appartiene talvolta e, più specificamente, non adesso, cioè in un istante diverso dall’istante presente (proposizioni possibilicontingenti). La scelta di una partizione dialettica per classificare le proposizioni mi pare evidenziata dall’uso della negazione per individuare le classi complementari190: Alessandro, evidentemente, usa questo metodo espositivo per evitare di tralasciare anche solo un gruppo di proposizioni dal suo schema. Di notevole interesse è poi la corrispondenza istituita dal commentatore di Afrodisia fra le modalità e il tempo. Gli interpreti contemporanei, adoperando un ragionamento analogo, cercano di istituire una correlazione fra le modalità aristoteliche e l’odierna semantica delle logiche modali che si avvale della nozione di mondo possibile. Da un punto di vista squisitamente logico il mondo possibile è un oggetto matematico: non si presuppone affatto una possibile realtà parallela o una serie infinita di strutture analoghe al mondo attuale presenti alla mente di Dio creatore. Se nel nostro 189
Cfr. in Anal. Pr. p. 26, ll. 3-5: e„ m8n ¢eˆ Øp£rcoi tÕ Øp£rcein legÒmenon kaˆ oÛtwj lamb£noito Øp£rcein, ¢nagka…a g…netai ¹ toiaÚth prÒtasij katafatik¾ ¢lhq»j. 190 Cfr. in Anal. Pr. p. 26, ll. 7-8: e„ d8 m¾ ¢eˆ Øp£rcoi tÕ kathgoroÚmenon tù ØpokeimšnJ, e„ m8n kat¦ tÕ ™nestëj Øp£rcoi, ¹ toàto mhnÚousa. Vedi anche in Anal. Pr. p. 26, ll. 10-12: e„ d8 m¾ Øp£rcoi ™pˆ toà parÒntoj tÕ kathgoroÚmenon tù ØpokeimšnJ dun£menon aÙtù Øp£rcein kaˆ oÛtwj, æj dun£menon, lamb£noito, ™ndecomšnh katafatik¾ ¢lhq¾j ¹ prÒtasij.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 127 universo di discorso compaiono tutti gli istanti di esistenza di una sostanza, essi sono a buon diritto dei “mondi possibili”, come lo sono “questo tavolo”, “questa sedia” se anche tali oggetti compaiono nel nostro universo di discorso191 . Si considerino allora tutti gli istanti di esistenza di una sostanza (t1, t2, t3…): essi possono a buon diritto costituire gli elementi di W (insieme dei mondi possibili). Di conseguenza una proprietà sarà predicata necessariamente di tale sostanza, se e solo se sarà vero, per ogni elemento t di W, accessibile dal mondo attuale, che tale proprietà è predicata della sostanza a t192. Non intendo evidentemente sostenere che tali nozioni fossero presenti alla mente di Alessandro, ma credo interessante rilevare che la linea interpretativa da lui inaugurata è stata poi feconda di sviluppi. Il commentatore dà tuttavia anche un’altra lettura delle modalità connettendola alla dottrina metafisica dello Stagirita. Si è detto infatti che il principio ermeneutico fondamentale per Alessandro è spiegare Aristotele con Aristotele. Non deve quindi stupire il riferimento a dottrine che si possono trovare in altre parti del corpus. Alessandro sostiene infatti che un predicato è separabile o inseparabile dal soggetto (cfr. in Anal. Pr. p. 26, ll. 18-19: p©n tÕ Øp£rcon tinˆ À ¢cèriston aÙtoà ™sti kaˆ kaq' aØtÕ Øp£rcon À cwristÒn). Se è inseparabile dal soggetto, la proposizione in cui compare è necessaria (cfr. in Anal. Pr. p. 26, l. 20: e„ m8n ¢cèriston Ãn, ¹ toàto dhloàsa prÒtasij ¢nagka…a). Se è separabile, la proposizione in cui il predicato compare è contingente – cioè, genericamente, non necessaria. Ma secono quale senso di contingente si dice che la proposizione sia tale? Anche in questo caso possiamo vedere la divisione delle modalità in senso diairetico: questo “contingente” più generico (cfr. in Anal. Pr. p. 26, l. 20-21: e„ d8 cwristÒn, ™ndecomšnh), che si qualifica come “non necessario” – e quindi come classe complemento rispetto a quella individuata dall’operatore “necessario” – si divide a sua volta in due sottoclassi, a seconda che il predicato separabile sia anche separato ora dal soggetto (proposizioni contingenti sensu stricto) o invece non sia 191
Cfr. Fitting-Mendelsohn [1998], p. 12: “understand that, while possible world is suggestive terminology, it commits us to nothing. In the mathematical treatment of frames, possible worlds are any objects whatsoever – numbers, sets, goldfish, etc.” 192 Non si fanno precisazioni sulla natura della relazione di accessibilità R di <W, R>. Tuttavia credo si possa dire che Alessandro la interpreti almeno come seriale, cioè per ogni elemento wn di W esiste un elemento wm di W, tale che wn Rwm (il mondo wm è accessibile dal mondo wn). Alla base di questa mia ipotesi sta questa considerazione: il commentatore osserva in seguito, commentando Anal. Pr. A, 3, 25 a38-39, che il “contingente”, inteso in senso generico, si dice in tre modi, cioè secondo il senso di “necessario”, secondo il senso di “categorico” e secondo il senso di “contingente” sensu stricto (cfr. in Anal. Pr. p. 37, l. 26-p. 39, l. 15). Se quindi una cosa è “necessaria” è anche “contingente” (primo senso di “contingente”, inteso come “necessario”). In simboli vale quindi la legge logica □p → ◊p. Questa formula è l’assioma che caratterizza il sistema di logica modale D; da un punto di vista semantico la caratteristica di D è che la relazione R in esso è seriale.
128 Luca Gili separato ora dal soggetto (proposizioni categoriche). Queste osservazioni ci dicono al contempo anche come Alessandro interpretasse in generale l’intera filosofia Aristotele: la nozione centrale per il commentatore è infatti quella di edoj, come illustrato in una convincente monografia da Marwan Rashed193. L’edoj a livello logico è la differenza ultima della definizione di una cosa, che contiene virtualmente tutte le differenze che individuano i generi a cui l’ultima differenza si congiunge. Tutto ciò che entra a far parte dell’edoj è quindi necessario, ma anche ciò che segue direttamente dall’essenza, senza che possa mai essere disgiunto da essa, è necessario. In questo senso la nozione di “necessario” rimane più ampia di quella di “essenziale”, ma risulta strettamente correlata e dipendente da quest’ultima. Questa particolare prospettiva di lettura dell’aristotelismo, senza dubbio originale194, permette ad Alessandro di cogliere la stretta relazione che intercorre tra essenzialismo e logica modale. Non è necessario essere essenzialisti per fare della logica modale, ma senza dubbio un essenzialista non può fare a meno di esprimere la sua concezione metafisica nella griglia logica delle modalità. Questo è ciò che fece lo stesso Aristotele, secondo molti interpreti contemporanei. E questo è il modo in cui Alessandro interpretò Aristotele, come già possiamo affermare sulla base di questi primi cenni sulle proposizioni modali – e come cercheremo di sottolineare, con sempre maggiore vigore, nel prosieguo di questa analisi. Proseguendo il suo commento, Alessandro di Afrodisia si sofferma sulla conversione delle proposizioni categoriche e in primo luogo sulla conversione della universale negativa categorica – seguendo in questo, evidentemente, l’ordine aristotelico della trattazione. La sua spiegazione è però introdotta da una interessante notazione: la conversione delle premesse è affrontata, perché esse sono utili per la conversione dei sillogismi imperfetti in sillogismi perfetti195, dato che la maggior parte delle riduzioni avviene per conversione. Alessandro è indotto a questa considerazione sulla struttura entro cui si colloca questa trattazione, perché coglie nella esposizione di Aristotele un intento pedagogico: ciò che è esposto segue un preciso ordine tale che ciò che precede è funzionale alla spiegazione e alla dimostrazione di ciò che segue. In questo modo tuttavia emerge con ancora maggiore evidenza il carattere di “teoria formale” della sillogistica. Infatti se la dottrina esposta dallo Stagirita nei capp. A, 4-7 non è una raccolta rapsodica di 193
Cfr. Rashed [2007]. Ben diverso era per esempio l’aristotelismo, pur sempre sistematico, di un Boeto di Sidone, per il quale l’ edoj – per quanto siamo in grado di ricostruire – non aveva affatto quella centralità che ricopre in Alessandro; cfr. al proposito Reinhardt [2007], pp. 513-530. 195 Cfr. in Anal. Pr. p. 29, ll. 3-7: 'EfexÁj to‹j e„rhmšnoij perˆ ¢ntistrofîn prot£sewn poie‹tai tÕn lÒgon· cr»simoj g¦r aÙtù ¹ toàde toà qewr»matoj didaskal…a prÕj toÝj ¢tele‹j sullogismoÝj toÝj œn te tù deutšrJ kaˆ tr…tJ sc»mati sunistamšnouj, æj œfamen· oƒ g¦r ple‹stoi aÙtîn de…knuntai sullogistikoˆ di' ¢ntistrofÁj À di’¢ntistrofîn. 194
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 129 inferenze, la cui validità sarebbe stabilita con metodi extra-logici. Occorre infatti individuare principi unificatori dell’intera sillogistica e strategie per ricondurre a questi principi tutte le inferenze che sono valide nel sistema. Se la sillogistica fosse un sistema assiomatico, i sillogismi perfetti potrebbero essere intesi come assiomi e le conversioni delle premesse come regole di inferenza196. Tuttavia non l’interprete non è costretto a un simile impegno: è sufficiente salvare l’unità della sillogistica con alcuni legami che consentano di trasmettere la validità da formule ben formate che si assumono come valide (i sillogismi perfetti) a tutte le altre (i sillogismi imperfetti). Fra queste procedure rientrano, secondo Alessandro, le leggi di conversione. In altre parole, Alessandro non ha certo presentato la sillogistica nel modo rigoroso del sistema assiomatico proposto da J. Łukasiewicz per ricostruirla; eppure, senza dubbio, come poi Łukasiewicz, anche il commentatore di Afrodisia pensa che esistano proposizioni fondamentali del sistema ( i sillogismi perfetti) a cui tutte le altre formule corrette della sillogistica possono essere ricondotte o da cui tutte le altre formule valide possono essere derivate. E, tra i metodi di derivazione/riconduzione, rientrano appunto le conversioni. Coerentemente quindi con la sua presentazione “sistematica” del pensiero aristotelico, Alessandro trova del tutto opportuno che tali metodi siano discussi prima di presentare il sistema della sillogistica assertoria. Il termine “conversione” (¢ntistrof») assume molteplici significati nel corpus aristotelicum; significati che non potevano sfuggire ad un lettore attento come Alessandro (cfr. in Anal. Pr. p. 29, ll. 7-29): il senso di cui ora ci occupiamo è quello di conversione in cui si invertono i termini di una proposizione, mantenendo intatto il valore di verità della nuova proposizione così formata (cfr. in Anal. Pr. p. 29, ll. 25-29: ¡plîj m8n oân ¹ ™nallag¾ tîn Órwn kat¦ tÕn proeirhmšnon trÒpon ¢ntistrof¾ kale‹tai, oŒon p©j ¥nqrwpoj zùon, p©n zùon ¥nqrwpoj· ¢ntestr£fhsan g¦r oƒ Óroi. Ótan d8 prÕj tÍ ¢ntistrofÍ kaˆ sunalhqeÚwsin ¢ll»laij aƒ ¢ntistrefÒmenai Ðmo…wj lambanÒmenai, ¢ntistršfein ˜auta‹j aƒ prot£seij aátai lšgontai). Poiché però non tutte le inversioni di soggetto e predicato determinano nuove proposizioni, occorre stabilire quali conversioni mantengono nella proposizione ottenuta per conversione il valore di verità della proposizione convertita. In questo modo Alessandro ci introduce quindi nel controverso ambito delle “dimostrazioni” delle leggi di conversione. Come abbiamo detto, la prima conversione che Aristotele affronta è quella della proposizione universale negativa (cfr. Anal. Pr. A, 2, 25 a15-17). Alessandro inizia la sua spiegazione riportando l’interpretazione che di questa conversione diedero
196
Così intende la sillogistica J. Łukasiewicz: cfr. Łukasiewicz [1958], pp. 51-54: “The proof by conversion”.
130 Luca Gili Teofrasto ed Eudemo 197: costoro infatti “fornirono una dimostrazione più semplice” (¡ploÚsteron œdeixan, in Anal. Pr., p. 31, l. 4) di quella di Aristotele, secondo il resoconto che Alessandro ce ne fornisce. La notazione è curiosa, proprio perché fatta da Alessandro, il quale generalmente non solo difende il contenuto della dottrina aristotelica, ma anche il modo in cui lo Stagirita la espose. Solo in altre scuole di commentatori, come fra i neoplatonici, l’idea secondo cui Aristotele è “oscuro” – e che quindi abbisogna di integrazioni ed, eventualmente, di dimostrazioni più semplici – divenne un luogo comune. Filopono, ad esempio, riferendo la medesima informazione, nel proprio commento a questo passo – notizia che probabilmente aveva letto in Alessandro – critica l’oscurità dello Stagirita, contrapponendogli la chiarezza dei suoi discepoli (oƒ d8 toà 'Aristotšlouj ˜ta‹roi oƒ perˆ tÕn QeÒfraston kaˆ EÜdhmon safšsteron kaˆ ¡ploÚsteron tÕ aÙtÕ toàto kataskeu£zousi, Phil. in Anal. Pr. p. 48, ll. 12-13). Aristotele, al contrario, si è espresso, secondo Alessandro, in modo quasi stringato, ma certo non oscuro, e questa stringatezza ha causato le divergenze fra gli interpreti: divergenze dovute quindi non a una cattiva esposizione dello Stagirita, quanto piuttosto all’ottusità dei commentatori (cfr. in particolare in Anal. Pr. p. 31, ll. 27-29: P£nu d8 di¦ bracšwn tÕ proke…menon œdeixe· diÕ ka… tinej aÙtÕn o‡ontai di¦ tÁj ™pˆ mšrouj katafatikÁj æj ¢ntistrefoÚshj t¾n de‹xin pepoiÁsqai, o‰ kaˆ ™pegkaloàsin aÙtù æj crwmšnJ tÍ di' ¢ll»lwn de…xei). Qui emerge la vera posizione di Alessandro: non solo gli interpreti che accusano esplicitamente Aristotele di circolarità, ma anche chi, come Teofrasto ed Eudemo, si è sentito in dovere di semplificare la prova di Aristotele, parrebbe suggerire che il testo di 197
Cfr. in Anal. Pr., p. 31, ll. 4-26: QeÒfrastoj m8n kaˆ EÜdhmoj ¡ploÚsteron œdeixan t¾n kaqÒlou ¢pofatik¾n ¢ntistršfousan ˜autÍ· t¾n g¦r kaqÒlou ¢pofatik¾n çnÒmase kaqÒlou sterhtik»n. t¾n d8 de‹xin oÛtwj poioàntai· ke…sqw tÕ A kat¦ mhdenÕj toà B· e„ kat¦ mhdenÒj, ¢pšzeuktai toà B tÕ A kaˆ kecèristai· tÕ d8 ¢pezeugmšnon ¢pezeugmšnou ¢pšzeuktai· kaˆ tÕ B ¥ra pantÕj ¢pšzeuktai toà A· e„ d8 toàto, kat¦ mhdenÕj aÙtoà. oÛtwj m8n oân ™ke‹noi. Ð d8 'Aristotšlhj doke‹ proscrèmenoj tÍ e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÍ ¢ntistršfousan aÙt¾n deiknÚnai. g…netai d8 ¹ e„j ¢dÚnaton ¢pagwg», Ótan, oá boulÒmeqa de‹xai, tÕ ¢ntike…menon Øpoqšmenoi kaˆ proslamb£nontej aÙtù ti tîn Ðmologoumšnwn kaˆ keimšnwn ¢nairîmen ›n ti tîn ™nargîj sullogistikîn· di' Ö g¦r Øpoteq8n ¢naire‹tai tÕ ™narg8j kaˆ ÐmologoÚmenon, toàto ™lšgcetai yeàdoj ×n di¦ tÁj toiaÚthj ¢pagwgÁj· toÚtou d8 deicqšntoj yeudoàj tÕ ¢ntike…menon aÙtù ¢lhq8j ×n eØr…sketai, ™peid¾ ™pˆ pantÕj q£teron mÒrion tÁj ¢ntif£sewj ¢lhqšj, q£teron d8 yeàdoj, Óper Ãn tÕ proke…menon kaˆ deiknÚmenon. toÚtJ tù trÒpJ ple…stJ m8n kaˆ oƒ gewmštrai crîntai· oÙ m¾n ¢ll¦ kaˆ oƒ dialektiko…. doke‹ d8 kaˆ Ð 'Aristotšlhj nàn aÙtù proscrÁsqai· fhsˆ g£r, Óti, e„ mhdenˆ tù B tÕ A Øp£rcei, oÙd8 tù A oÙdenˆ Øp£rxei tÕ B, Ö boÚletai de‹xai· e„ g¦r m¾ sugcwro…h tij toàto, dÁlon æj tÕ ¢ntike…menon toÚtJ ¢lhq8j f»sei tÕ tÕ B tinˆ tù A Øp£rcein· tù g¦r mhdenˆ tÕ tinˆ ¢nt…keitai ¢ntifatikîj, æj ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj dšdeicen. Øpoqšmenoj d8 tÕ B tinˆ tù A Øp£rcein lamb£nei, útini toà A tÕ B Øp£rcei, tÕ G mÒriÒn ti ×n toà A kaˆ di¦ toàto de…knusin, Óti kaˆ tÕ A tinˆ tù B Øp£rxei.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 131 Aristotele non sia perspicuo o che la prova da lui fornita non sia cogente. Ma l’errore di valutazione, secondo Alessandro, è piuttosto degli interpreti, perché Aristotele non ha certo commesso l’errore che essi gli attribuiscono (oÙ m¾n toàto 'Aristotšlhj pepo…hken, æj o‡ontai, in Anal. Pr. p. 32, ll. 2-3). I principi ermeneutici di Alessandro trovano in questa osservazione una chiara conferma, che risulta tanto più evidente dal confronto con un neoplatonico moderatamente critico come Giovanni Filopono. La dimostrazione di CUN, fornita da Teofrasto e da Eudemo, procede in questo modo. L’espressione “A non si predica di nessun B” deve essere intesa nel senso che A e B sono fra loro separati, cioè che A e B non hanno nulla in comune. Se infatti avessero qualcosa in comune, sarebbe falsa la proposizione “A non si predica di nessun B”. La relazione di “separazione”, a sua volta, è simmetrica, per cui, se è vero che “A non si predica di nessun B”, è vero anche che “B non si predica di nessun A”. Questa dimostrazione, pur semplice da seguire, ha suscitato un notevole dibattito tra i critici. C. Prantl scorge in essa un eccesso di formalismo che va rigettato198. I. Bochenski al contrario considera la prova teofrastea valida e sottolinea che è più semplice della corrispondente prova fornita da Aristotele199. L’idea dello studioso polacco è che Teofrasto si serva di uno schema spaziale (“un schéma spatial”), con il quale sono spiegate le estensioni dei termini. M. Mignucci trova questa spiegazione di Bochenski poco soddisfacente, perché il riferimento allo spazio toglierebbe alla dimostrazione quel carattere logico e formale, che lo stesso Bochenski le attribuiva200. La suggestione più semplice, dato che Teofrasto parla di “disgiunzione” fra i termini, sarebbe un’interpretazione insiemistica della prova. Molto semplicemente Teofrasto ci vorrebbe dire che l’intersezione tra A e B è l’insieme vuoto – ed è effettivamente così che Bochenski pare ricostruire l’argomento teofrasteo. Tuttavia, osserva Mignucci, “we are not entitled to attribute such a view to Theophrastus”201: la teoria degli insiemi è in effetti troppo raffinata per supporre, senza basi testuali evidenti, che Teofrasto ne avesse un’idea sia pure naïf. La proposta di Mignucci è quindi di leggere la disgiunzione in questo modo: (i) Dis (A, B) ↔ (∀α∀β (α≠β) )202 198
Cfr. Prantl [1855], p. 362. Cfr. Bochenski [1947], pp. 55-56. 200 Cfr. Mignucci [1998], pp. 47-48. 201 Mignucci [1998], p. 48. 202 Mignucci non lo specifica, ma α deve essere inteso come un elemento di A e β come un elemento di B. In quest’ottica A e B sono collezioni di oggetti, per cui mi riesce difficile cogliere la differenza fra la posizione di Mignucci e quella di Bochenski. Quest’ultimo infatti parlava di “separazione spaziale”, ma parlando dello “schéma spatial” si riferisce alla estensione dei termini, che spiega nei termini dei diagrammi di Eulero (cfr. Bochenski [1947], pp. 55-56). La disgiunzione “spaziale”, perciò, se intendo correttamente la lettura di Bochenski, sarebbe la disgiunzione fra i due diagrammi 199
132 Luca Gili Poiché però la proposizione universale negativa è espressa in questi termini: (ii) AeB ↔ (∀α∀β (α≠β) ), segue che (iii) AeB ↔ Dis (A, B). (iv) La relazione Dis (A, B) è tuttavia simmetrica (Dis (A, B) ↔ Dis (B, A) ). Da ciò è facile derivare ciò che Teofrasto voleva dimostrare, ovvero che: (v) AeB ↔ BeA. La discussione di Alessandro di Afrodisia intorno alla dimostrazione di CUN diviene più interessante e originale poche linee dopo aver esposto la proposta di Teofrasto e di Eudemo. Alcuni, di cui il commentatore non menziona il nome, avevano infatti intravisto un vizio di circolarità nella dimostrazione delle conversioni delle proposizioni categoriche (cfr. in Anal. Pr. p. 32, ll. 2 e ss.): si ricorderà che una analoga obiezione è stata mossa ad Aristotele anche da molti interpreti moderni. Alessandro rileva tuttavia che questa interpretazione non è sostenibile, perché Aristotele fornisce una dimostrazione di CUN che non si avvale delle altre regole di conversione, come invece sostengono questi detrattori di Aristotele. Contrariamente agli interpreti moderni, Alessandro non vede in Anal. Pr. A, 2, 25 a15-19 soltanto una dimostrazione di CUN, mediante l’esposizione del termine G. In effetti, lo Stagirita non nomina esplicitamente questo processo – e ciò determina forse una certa cautela da parte del commentatore. Ciò di cui Aristotele si servirebbe, secondo Alessandro, sono le regole enunciate in Anal. Pr. A, 1, riguardo all’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj”. In questo senso, secondo il commentatore di Afrodisia, la “dimostrazione” di CUN è corretta, perché dipende soltanto da premesse già chiarite e poste dallo Stagirita in un passo precedente a quello che stiamo trattando. Per Alessandro, infatti, il problema che sorgerebbe se Aristotele impiegasse CPA per dimostrare CUN, consisterebbe principalmente nell’uso di una regola che egli ancora non ha introdotto, e che quindi non può essere usata senza pregiudicare l’ordine dimostrativo del trattato: questo vizio è quello che Alessandro più vuole evitare, ancor prima, ritengo, della circolarità cui si andrebbe incontro con l’uso di CPA nella validazione di CUN e, poi, l’uso di CUN nella dimostrazione di validità di CPA203 . Dal principio dell’esser detto “kat¦ di Eulero che Teofrasto avrebbe disegnato alla lavagna o sulla sabbia per spiegare ai suoi studenti questa regola di conversione. Mignucci ripropone sostanzialmente la stessa interpretazione, in termini diversi, ma equivalenti; così facendo, però, evita di supporre che Teofrasto avesse in mente una teoria degli insiemi. 203 Cfr. in Anal. Pr. p. 32, ll. 3-9: oÙ m¾n toàto 'Aristotšlhj pepo…hken, æj o‡ontai· t¾n m8n g¦r ™pˆ mšrouj katafatik¾n Ðmologoumšnwj de…xei di¦ tÁj kaqÒlou ¢pofatikÁj ¢ntistršfousan, t¾n d8 kaqÒlou ¢pofatik¾n oÙ de…knusi nàn di¦ toà t¾n ™pˆ mšrouj katafatik¾n labe‹n ¢ntistršfousan· de…knusi m8n g¦r tÕ proke…menon, ¢ll’oÙ crÁtai aÙtù æj ÐmologoumšnJ kaˆ keimšnJ. de…knusi d8 di¦ tîn ™fqakÒtwn dede‹cqa… te kaˆ ke‹sqai.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 133 mhdenÒj”, infatti, sembra seguire che, se A non si dice di nessun B, A e B sono distinte. Non è, cioè, possibile, proprio per la definizione dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, che esista un terzo termine C, comune ad A e B, se A si dice di nessun B. Se esistesse, qualche A (ad esempio C) sarebbe B, il che contraddice la nostra premessa AeB. Di conseguenza, conclude il commentatore di Afrodisia, la proposizione universale negativa categorica si converte simpliciter204. Mi pare che la strategia di Alessandro sia ricercare sempre nel testo di Aristotele elementi che sono di fatto aggiuntivi ed esplicativi del testo stesso. Questa prova, che il commentatore propone, interpreta infatti l’esser detto “kat¦ mhdenÒj” in un modo molto vicino alla disgiunzione tra termini proposta da Teofrasto (cfr. la proposizione (i) della ricostruzione dell’argomento teofrasteo). Dopo questo preambolo, Alessandro passa a considerare questa dimostrazione una œkqesij, come sembra suggerito dal testo aristotelico. Ha chiarito infatti che la dimostrazione avviene sulla base di ciò che è già stato esposto dallo Stagirita, e su cui c’è accordo: non corre più il rischio di anticipare una dottrina che Aristotele non ha ancora esposto, perché CUN è già giustificata in base a ciò che lo Stagirita ha scritto in Anal. Pr. A, 1, 24 b28-30. All’interno quindi della spiegazione di CUN in virtù del principio dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, avviene la esposizione del termine G, quasi ad illustrare il “kat¦ mhdenÒj”205: in altre parole, se A si dice di nessun B, non è possibile assumere alcun G, di cui A si dice, di cui B si dica; l’ œkqesij, cioè, viene ad essere relativa a questo G. L’esposizione risulta, in altre parole, una semplice esemplificazione di un concetto che Aristotele aveva esposto precedentemente. Ma, secondo Alessandro, si può interpretare la dimostrazione di CUN anche in un altro modo, forse migliore e più appropriato al contesto (cfr. in Anal. Pr. p. 32, l. 32 e ss.: À ¥meinÒn ™sti kaˆ o„keiÒtaton to‹j legomšnoij…). È la dimostrazione di CUN che avviene esclusivamente per œkqesij, senza 204
Cfr. in Anal. Pr. p. 32, ll. 9-21: œsti d8 taàta tÒ te kat¦ pantÕj kaˆ tÕ kat¦ mhdenÕj kaˆ ™n ÓlJ kaˆ ™n mhden…· toÚtoij g¦r proscrèmenoj de…knusi t¾n tÁj kaqÒlou ¢pofatikÁj ØparcoÚshj ¢ntistrof»n. keimšnou g¦r toà A mhdenˆ tù B fhsˆn ›pesqai toÚtJ tÕ kaˆ tÕ B mhdenˆ tù A· e„ g¦r tÕ B tinˆ tù A Øp£rcei (toàto g£r ™sti tÕ ¢ntike…menon tù keimšnJ, kaˆ de‹ tÕ ›teron aÙtîn ¢lhqèj enai), Øparcštw tù G· œstw g¦r toàto tˆ toà A, ú Øp£rcei tÕ B. œstai d¾ tÕ G ™n ÓlJ tù B kaˆ tˆ aÙtoà, kaˆ tÕ B kat¦ pantÕj toà G· taÙtÕn g¦r tÕ ™n ÓlJ kaˆ tÕ kat¦ pantÒj. ¢ll' Ãn tÕ G tˆ toà A· ™n ÓlJ ¥ra kaˆ tù A tÕ G ™st…n· e„ d8 ™n ÓlJ, kat¦ pantÕj aÙtoà ·hq»setai tÕ A. Ãn d8 tÕ G tˆ toà B· kaˆ tÕ A ¥ra kat¦ tinÕj toà B kathgorhq»setai· ¢ll' œkeito kat¦ mhdenÕj tÕ A toà B· Ãn d8 kat¦ mhdenÕj tÕ mhd8n enai toà B, kaq' oá tÕ A kathgorhq»setai. 205 Cfr. in Anal. Pr. p. 32, ll. 28-32: toàto g£r ™sti tÕ æj ÐmologoumšnJ crÁsqai. Ð d8 oÙ lamb£nei m8n æj ÐmologoÚmenon tÕ t¾n ™pˆ mšrouj katafatik¾n ¢ntistršfein, ™kqšmenoj d8 toà A tˆ tÕ G ™pˆ toÚtou t¾n de‹xin poie‹tai, kaq' oá oÙkšti tÕ B kat¦ tinÒj. diÕ oÙ tÍ ™pˆ mšrouj ¢ntistrofÍ ¢ll¦ tù kat¦ pantÕj kaˆ ™n ÓlJ ·htšon aÙtÕn kecrÁsqai prÕj t¾n de‹xin.
134 Luca Gili riferimento all’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, su cui Alessandro, probabilmente influenzato dalle riflessioni di Teofrasto, si era in un primo momento orientato. Questa dimostrazione avviene per l’esposizione di un elemento di una delle due classi in gioco; tale elemento è percepibile (come, ad esempio, “Teone”; cfr. in Anal. Pr. p. 33, ll. 9-11: ¨n d¾ lhfqÍ oátoj, oŒon Qšwn, œstai kaˆ Ð ¥nqrwpoj tinˆ †ppJ Øp£rcwn, ™peid¾ Ð Qšwn kaˆ ¥nqrwpoj kaˆ †ppoj enai ™l»fqh). Il fatto che entri in campo il dato sensibile induce Alessandro a pensare che si sia abbandonato il campo rigorosamente formale della dimostrazione logica (cfr. in Anal. Pr. p. 33, ll. 1-3: Ð g¦r di¦ tÁj ™kqšsewj trÒpoj di’a„sq»sewj g…netai kaˆ oÙ sullogistikîj· toioàton g£r ti lamb£netai tÕ G tÕ ™ktiqšmenon, Ö a„sqhtÕn ×n mÒriÒn ™sti toà A). La dimostrazione di CUN, in questo caso, è fatta perciò relativamente al termine esposto. Il fatto che in questa dimostrazione si esca dall’ambito formale e logico, ricorrendo a qualcosa di “percepibile”, non è affatto giudicato con sospetto da Alessandro. Come abbiamo sottolineato, la sua principale preoccupazione è evitare che il testo di Aristotele sia interpretato alla luce di qualcosa che lo Stagirita non ha ancora esposto, non tanto il ricorso a metodi che avrebbero insospettito i moderni fautori di una sillogistica puramente formale (J. Łukasiewicz, G. Paztig). Ora, il procedimento, che noi abbiamo chiamato logico e che Alessandro aveva detto procedere sullogistikîj, coincide secondo il commentatore con il sistema della sillogistica che Aristotele presenterà nei capitoli seguenti. Perciò non solo è possibile uscire dall’ambito logico-formale (cioè sillogistico) per giustificare CUN; è anzi doveroso ricorrere a una dimostrazione “percepibile”, perché l’altro tipo di dimostrazione non è ancora noto206. I tipi di dimostrazione sono, infatti, tre: per esposizione di un elemento percepibile, per riduzione all’assurdo e per sillogismo. Ma nemmeno la riduzione all’assurdo era opportuna in questa sede, perché la validazione di CUN sfrutterebbe un sillogismo di terza figura che Aristotele deve ancora spiegare207. 206
Cfr. in Anal. Pr. p. 33, ll. 12-15: ¥ntikruj d8 ™pˆ toà tr…tou sc»matoj crèmenoj tÍ di' ™kqšsewj de…xei oÛtwj kšcrhtai æj oÜsV a„sqhtikÍ ¢ll' oÙ sullogistikÍ. diÕ kaˆ ™ntaàqa kšcrhtai aÙtÍ oÙdšpw g¦r perˆ tîn sullogistikîn de…xewn gnèrimon. 207 Cfr. in Anal. Pr. p. 34, ll. 3-13: Kaˆ aÛth m8n ¹ de‹xij ¹ ™pˆ tÁj kaqÒlou ¢pofatikÁj, Î 'Aristotšlhj kšcrhtai oÜte tÍ di' ¢ll»lwn proskecrhmšnoj de…xei oÜte tÍ e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÍ sullogistikîj· Ãn g¦r oÙd8 aÛth kat¦ kairÕn ¹ de‹xij· oÙ g¦r e„ ™farmÒzei to‹j e„rhmšnoij ¹ di' ¢dun£tou de‹xij, ½dh kaˆ aÙtÕj di' aÙtÁj œdeixe tÕ proke…menon. ¥lloj g¦r kaˆ tÁj toiaÚthj de…xewj Ð ™kqetikÕj trÒpoj· ¹ g¦r di' ¢dun£tou de‹xij toà prokeimšnou ™n tr…tJ sc»mati g…netai· Øpoteqšntoj g¦r toà tÕ B tinˆ tù A, toàt' œsti tù G pant…, Ó ™st… ti toà A, kaˆ proslhfqe…shj prot£sewj tÁj ‘tÕ A kat¦ pantÕj toà G’ oÜshj ™nargoàj sun£getai ™n tr…tJ sc»mati tÕ tÕ A tinˆ tù B Øp£rcein, Ó ™stin ¢dÚnaton· œkeito g¦r mhdenˆ Øp£rcein. ¥kairoj d8 nàn kaˆ ¹ di¦ tr…tou sc»matoj de‹xij. In particolare si veda la l. 5: Ãn g¦r oÙd’ aÛth [Alessandro si riferisce alla dimostrazione per assurdo] kat¦ kairÕn ¹ de‹xij e ll. 12-13: ¥kairoj de nàn kaˆ ¹ di¦ tr…tou sc»matoj de‹xij; si
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 135 La conclusione a cui perviene il commentatore, dopo questa rapida rassegna di modalità alternative di dimostrare CUN, è che probabilmente la proposta di Teofrasto è la dimostrazione migliore tra quelle che sono state proposte in aggiunta alla prova fornita dallo Stagirita (cfr. in Anal. Pr. p. 34, ll. 13-15: ¥meinon oân lšgein t¦ e„rhmšna deiktik¦ enai toà de‹n ¢pezeàcqai kaˆ tÕ B toà A, e„ tÕ A toà B ¢pšzeuktai, Ö oƒ perˆ QeÒfraston æj ™nargoj ×n lamb£nousi cwrˆj de…xewj). Ciò non toglie che per il commentatore la dimostrazione aggiuntiva di Teofrasto rimane pleonastica. Del ragionamento teofrasteo Alessandro accoglie, però, la tesi per cui è centrale la nozione di separazione fra i due termini A e B della proposizione AeB. La dipendenza da Teofrasto è resa evidente non solo dal riferimento esplicito all’allievo di Aristotele, ma anche dall’uso del termine ¢pezeàcqai, piuttosto raro e che sembra impiegato in questo senso tecnico da Teofrasto (cfr. in Anal. Pr. p. 31, l. 7). Alessandro muove tuttavia a Teofrasto anche una critica, che, a dire il vero, non sembra molto fondata. L’errore dell’Eresiano, secondo il commentatore di Afrodisia, sarebbe stato assumere come in sé evidente (™nargéj) chem se A è disgiunto da B, allora B è disgiunto da A, senza darne una dimostrazione. Alessandro probabilmente crede di avere dato una dimostrazione di questa relazione, e, forse in ragione di tale persuasione, ritiene legittimo muovere a Teofrasto questa critica. Ma, in verità, Alessandro non ha dimostrato che, se A è disgiunto da B, allora B è disgiunto da A; egli ha dimostrato, invece, che se AeB è vera, allora anche BeA è vera, ma lo ha fatto proprio assumendo la simmetria della relazione Dis (A, B). Come abbiamo sottolineato, la dimostrazione di Teofrasto dipende dalla assunzione (iv) (nella ricostruzione del suo argomento che abbiamo fornito), ovvero Dis (A, B) ↔ Dis (B, A). Ha perciò ragione Alessandro nel dire che per Teofrasto la proposizione (iv) è ™nargéj208. Il commentatore sbaglia però nel ritenere di avere dimostrato nel proprio commento questa stessa proposizione (iv), perché anche l’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, in fin dei conti, non fornisce – direttamente – una giustificazione dell’assunzione (iv); al più la implica, perché (iv) è derivabile da CUN, e CUN, come si è visto, può essere motivata sulla base del principio dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”; questo ragionamento, ad ogni modo, non è esplicitato dal commentatore di Afrodisia. A mio giudizio, l’esposizione di Alessandro è molto debitrice, per quel che concerne queste pagine, agli scritti di Teofrasto sugli Analitici, opere per noi perdute. Una porzione considerevole del commento ad Anal. Pr. A, 2 (cfr. in Anal. noti come Alessandro insista sul “tempo opportuno” per l’uso della dimostrazione più che sul problema del vizio logico della circolarità. 208 Non escludo anzi che il termine derivi dal trattato di Teofrasto per noi perduto, da cui sembrano dipendere, per affinità concettuale, queste pagine del commento di Alessandro.
136 Luca Gili Pr. p. 31, l. 1-p. 34, l. 22) è dedicata infatti alla discussione della validità di CUN, con ampi excursus sulle opinioni di Teofrasto e di Eudemo, sulle interpretazioni di alcuni interpreti di Aristotele non nominati e sui tipi di dimostrazione (sillogistica, per esposizione, per assurdo): in fin dei conti sono delle divagazioni rispetto all’esegesi letterale del testo aristotelico, che ci aspetteremmo di leggere nel commento di Alessandro. Il testo dedicato a tutte le rimanenti regole di conversione è notevolmente più sintetico (cfr. in Anal. Pr. p. 34, l. 23- p. 35, l. 19). Oltre a questa considerazione, si osservi che la strategia di Alessandro, nella spiegazione di CUN, è quella di appropriarsi dei risultati logici di Teofrasto (come, ad esempio della nozione di ¢pezeàcqai), senza tuttavia metterle in contrapposizione con la lettera di Aristotele, come pare facesse Teofrasto, che trovava la sua dimostrazione “più semplice” di quella del suo maestro – o, più probabilemente, come Alessandro intese che Teofrasto volle fare. Alessandro, al contrario di questa contrapposizione netta allo Stagirita (che attribuisce all’Eresiano), introduce questi raffinamenti teorici – indubbiamente nuovi, rispetto alla littera aristotelica – nel proprio commento, lasciandoli emergere dal testo e lasciando l’impressione che non solo siano compatibili con la dottrina dello Stagirita, ma che siano, per così dire, persino richiesti per una corretta interpretazione del testo degli Analitici Primi. Nel fare questo il commentatore di Afrodisia è indubbiamente molto abile: il dispositivo con cui Alessandro fa emergere la nozione di ¢pezeàcqai dal testo di Aristotele consiste, infatti, nel cogliere un ordine pedagogico nell’esposizione della dottrina dello Stagirita. Di conseguenza la regola CUN può essere spiegata solo con il principio dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, che è stato precedentemente esposto. In questo modo da un lato si evita la circolarità, che scaturirebbe con il ricorso a CPA; e, d’altro canto, si può interpretare l’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, definito da Aristotele in modo molto stringato (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b30), come virtualmente contenente in sé la nozione teofrastea di ¢pezeàcqai. Secondo Alessandro, A si dice di nessun B, se e solo se non esiste alcun C di cui A si dica, di cui si dica anche B; e di conseguenza, non esiste nemmeno alcun elemento D di B, di cui B si dice, di cui A si dica; ma ciò significa che se A è separata da B, allora anche B è separata da A: questa è la strada che Alessandro percorre per fare senso di questo passo controverso. Egli vuole cioè evitare l’impressione che sia utile aggiungere qualcosa alla dimostrazione aristotelica (cosa che a suo giudizio fece invece Teofrasto); ma, pur nella sua deliberata fedeltà alla littera degli Analitici Primi, mostra di non ignorare e di fare proprie le acquisizioni logiche della tradizione peripatetica successiva allo Stagirita.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 137 Tutte le altre regole di conversione delle proposizioni categoriche sono spiegate a partire da CUN, per riduzione all’assurdo209, proprio come abbiamo chiarito a proposito del testo di Aristotele. Accettata infatti CUN, il testo aristotelico relativo alle altre leggi di conversione (CUA, CPA) non pone più problemi dal punto di vista logico. Più intricato è il quadro che si presenta nel capitolo seguente, che ha fatto disperare alcuni interpreti moderni riguardo alla possibilità di fare senso delle “dimostrazioni” che lo Stagirita fornisce per la conversione delle premesse modali. Aristotele sembra infatti dimostrare CUNL per mezzo di CPAQ. La strategia di Alessandro, per sciogliere questo problema, di cui era evidentemente consapevole, è la seguente: negare che la conversione ausiliare per la validazione di CUNL sia CPAQ, perché tale regola non è stata ancora dimostrata: ciò che apparentemente risulta come CPAQ, secondo Alessandro non è che CPA, la cui validità è stata dimostrata in Anal. Pr. A, 2, 25 a20-22. In tal modo si eviterebbe il circolo vizioso e si garantirebbe la validità di CUNL. Alessandro dapprima espone una rielaborazione parafrastica del testo di Aristotele relativo a CUNL210; in seguito 209
Cfr. in Anal. Pr. p. 34, l. 23- p. 35, l. 19: De…xaj d8 taÚthn ¢ntistršfousan proscrÁtai to‹j dedeigmšnoij prÕj t¦ ™fexÁj deiknÚmena· Óti g¦r ¹ ™pˆ mšrouj katafatik¾ ¢ntistršfei, p£lin proscrhs£menoj tÍ tÁj kaqÒlou ¢pofatikÁj ¢ntistrofÍ de…knusin. e„ g¦r tÕ A tinˆ Øp£rcei tù B, kaˆ tÕ B tinˆ Øp£rcei tù A· e„ g¦r mhden… (aÛth g¦r ¢nt…keitai tÍ tin…), oÙd8 tÕ A oÙdenˆ Øp£rxei tù B· ¢ntistršfousa g¦r dšdeiktai ¹ kaqÒlou ¢pofatik»· ¢ll' œkeito tÕ A tinˆ tù B Øp£rcein· kaˆ tÕ B ¥ra tinˆ tù A Øp£rxei. ¢ll¦ kaˆ tÍ kaqÒlou katafatikÍ Óti ¹ ™pˆ mšrouj ¢ntistršfei, Ðmo…wj de…knutai· e„ g¦r tÕ A pantˆ tù B, kaˆ tÕ B tinˆ tù A· e„ g¦r mhden…, g…netai kaqÒlou ¢pofatik», ¼tij ™de…cqh ¢ntistršfousa aØtÍ· éste œstai kaˆ tÕ A oÙdenˆ tù B· ke‹tai d8 kaˆ pantˆ Øp£rcein. oÙ toàto d8 lšgetai, Óti ¹ kaqÒlou katafatik¾ oÙdšpote aØtÍ ¢ntistršfei· ¢ntistršfei g¦r ™pˆ Ûlhj tinÒj, oŒon ™pˆ tîn ™xisazÒntwn kaˆ „d…wn. ¢ll' ™peˆ m¾ ¢e…, ¢eˆ d8 ¹ ™pˆ mšrouj (kaˆ g¦r Ótan ¹ kaqÒlou Ï ¢ntistršfousa, kaˆ tÒte ¹ ™pˆ mšrouj ¢lhq»j), di¦ toàto aÛth ¢ntistršfein aØtÍ lšgetai· aƒ g¦r ¢ntistrofaˆ kaˆ Ólwj aƒ kat¦ t¦ sc»mata sunagwgaˆ oÙ par¦ t¾n tÁj Ûlhj „diÒthta g…nontai, æj epon ½dh (aÛth m8n g¦r ¥llot' ¢llo…a), ¢ll¦ par' aÙt¾n t¾n tîn schm£twn fÚsin. diÕ kaqolikaˆ aƒ de…xeij ™p' aÙtîn. t¾n d8 ™pˆ mšrouj ¢pofatik»n, Óti m¾ ¢ntistršfei, œdeixen ™pˆ Ûlhj· e„ g¦r œstin, Óte kaˆ ™f’ïn m¾ ¢ntistršfei, ¢polèleke tÕ kaqÒlou. oÜshj g¦r ¢lhqoàj tÁj ‘¥nqrwpoj oÙ pantˆ zóJ Øp£rcei À tinˆ zóJ oÙc Øp£rcei’ oÙkšti ¢lhq¾j g…netai ¹ lšgousa ‘zùon oÙ pantˆ ¢nqrèpJ À tinˆ ¢nqrèpJ oÙc Øp£rcei’· oÙd8 g¦r toà ¢ntikeimšnou aÙtÍ lhfqšntoj, ¢dÚnatÒn ti ›petai, ésper ™pˆ tîn ¢ntistrefousîn dšdeicen. ¢nt…keitai m8n g¦r tù tinˆ m¾ tÕ pant…· lhfqšntoj d8 toà B pantˆ tù A Øp£rcein ¢kolouq»sei kaˆ tÕ A tinˆ tù B Øp£rcein· œkeito d8 aÙtù tinˆ m¾ Øp£rcein. oÙk œsti d8 ¢dÚnaton, Ö tinˆ Øp£rcei, toàto kaˆ tinˆ m¾ Øp£rcein· Ð goàn ¥nqrwpoj tinˆ zóJ m¾ Øp£rcwn kaˆ Øp£rcei tin…. 210 Cfr. in Anal. Pr. p. 35, l. 22-p. 36, l. 7: `Omo…wj fhsˆ ta‹j kat¦ tÕ Øp£rcon kaˆ t¦j ¢nagka…aj ¢ntistršfein prot£seij, kaˆ de…knusi prîton kaˆ ™pˆ toÚtwn t¾n kaqÒlou sterhtik¾n ¢ntistršfousan aØtÍ oÛtwj· E„ m8n g¦r ¢n£gkh tÕ A tù B mhdenˆ Øp£rcein, ¢n£gkh kaˆ tÕ B tù A mhdenˆ Øp£rcein· e„ g¦r tinˆ ™ndšcetai, kaˆ tÕ A tinˆ tù B ™ndšcoito ¥n [Anal Pr. A, 3, 25a29]. `H m8n kaqÒlou ¢pofatik¾ ØparcoÚsa ™de…cqh ¢ntistršfousa· ™peˆ
138 Luca Gili affronta subito la difficoltà principale suscitata da questo testo: l’uso del termine “contingente” nelle proposizioni ausiliare per la prova di CUNL sembra infatti indurre a credere che Aristotele si riferisca a CPAQ (cfr. in Anal. Pr. p. 36, ll. 7-9: doke‹ d8 kaˆ ™ntaàqa p£lin di¦ tÁj ™ndecomšnhj ™pˆ mšrouj katafatikÁj æj ¢ntistrefoÚshj t¾n de‹xin perˆ tÁj ¢nagka…aj kaqÒlou ¢pofatikÁj pepoiÁsqai). Ma Aristotele non ha ancora spiegato la conversione della particolare affermativa contingente (ka…toi mhdšpw perˆ tîn kat¦ t¦j ™ndecomšnaj ¢ntistrofîn e„rhkèj, in Anal. Pr. p. 36, l. 10): questa interpretazione non è perciò condivisibile. Si noti che ci troviamo di fronte alla stessa linea ermeneutica in virtù della quale Alessandro aveva escluso che CUN richiedesse, per essere provata, l’utilizzo di CPA, regola che però lo Stagirita non aveva ancora trattato. Il commentatore individua quindi un altro principio a cui lo Stagirita si richiamerebbe per giustificare CUNL. Alessandro inizia con l’osservare che la proposizione universale negativa necessaria è la contraddittoria della particolare affermativa contingente; e Aristotele, quindi, assume quest’ultima, perché gli è utile per derivare l’assurdo (cfr. in Anal. Pr. p. 36, ll. 10-13: À tÕ m8n ¢ntike‹sqai tÍ kaqÒlou ¢nagka…v ¢pofatikÍ t¾n ™pˆ mšrouj katafatik¾n ™ndecomšnhn e%icen ÐmologoÚmenon (¢ntif£seij g£r), diÕ kaˆ toàto œlabe). Questa considerazione sulla opposizione di proposizioni necessarie e contingenti giustifica il riferimento a una proposizione contingente fatto da Arisotele in questo contesto, ma non spiega ancora come sia possibile introdurre a questo stadio la conversione delle proposizioni contingenti, che non si è ancora spiegata. Alessandro per rispondere a questo interrogativo introduce una precisazione preliminare: le proposizioni, quando non sono necessarie, sono in generale contingenti (e„ m¾ ™x ¢n£gkhj Øp£rcoi, ™ndšcesqai kaˆ ™ndecomšnwj Øp£rcein lšgetai, in Anal. Pr. p. 36, ll. 13-14). Torna quindi quell’idea di divisione delle classi di proposizioni modalizzate in modo dicotomico, che Alessandro aveva introdotto poche pagine prima (cfr. in Anal. Pr. p. 26, ll. 3 e ss.). In quest’ottica le proposizioni categoriche appartengono senza dubbio alla classe delle contingenti sensu lato (dove per “contingente” si intende “non necessario”, cioè sia “contingente” sensu stricto, sia, appunto, “categorico”). Aristotele avrebbe quindi usato l’aggettivo ™ndecÒmenon solo per sottolineare l’opposizione con le proposizioni necessarie, ma saremmo, di fatto, in presenza di proposizioni categoriche, che, come tali, si convertono nel d8 ¹ ¢nagka…a kaqÒlou ¢pofatik¾ tÁj m8n ØparcoÚshj kaqÒlou ¢pofatikÁj diafšrei tù ™x ¢n£gkhj, kaq' Ö tÁj deicqe…shj ¹ deiknumšnh nàn diafšrei (œsti d8 toàto tÕ ¢nagka‹on), kat¦ toàto t¾n de‹xin poie‹tai. e„ g¦r m¾ ™x ¢n£gkhj tÕ B tù A mhdenˆ Øp£rcoi, ¢ll¦ ™ndšcoito tinˆ Øp£rcein (aÛth g¦r ¢na…resij kaˆ ¢nt…fasij prÕj t¾n kaqÒlou ¢pofatik¾n ¢nagka…an, æj ™n tù perˆ tÁj ¢ntif£sewj dšdeiktai lÒgJ), kaˆ tÕ A, fhs…, tù B ™ndšcoito tin…· ¢ll' œkeito ™x ¢n£gkhj mhdenˆ Øp£rcein.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 139 modo che Aristotele ha già esposto e dimostrato nel cap. A, 2, 25 a20-22. Alessandro distingue, in altre parole, due sensi di “contingente”: o il predicato appartiene già al soggetto (e in tal caso è possibile che ci sia la conversione: siamo infatti di fronte a una proposizione di fatto categorica) oppure non appartiene ora al soggetto, ma è possibile che gli appartenga in futuro (cfr. in Anal. Pr. p. 36, ll. 1719: tÕ tinˆ Øp£rcon, Óte Øp£rcei, ¢ntistršfein· tÕ d8 ™ndecÒmenon tinˆ Øp£rcein ½toi ½dh Øp£rcei aÙtù À oŒÒn tš ™stin Øp£rxai potš· ÐpÒtan d8 Øp£rcV, ¢ntistršfei). In questo modo Alessandro ritiene di essere in grado di difendere la correttezza della dimostrazione che Aristotele ha fornito per mostrare la validità di CUNL. Secondo il commentatore, infatti, lo Stagirita ha bisogno di assumere soltanto che ⌐(□BeA)→BiA. Certo, c’è da ammettere che Aristotele non fa esplicitamente una simile assunzione. Infatti, nell’ottica della semantica temporale con cui Alessandro interpreta le modalità aristoteliche, si può al più inferire che, se non è vero per tutti gli istanti di tempo che B e A sono disgiunti, allora deve esistere almeno un istante di tempo in cui qualche B è A. Ciò dimostra però soltanto che ⌐(□BeA)→◊BiA, ma Alessandro ha bisogno di derivare proprio BiA (cioè la proposizione particolare affermativa categorica), in modo da poter applicare a questa proposizione la regola CPA, che è già stata dimostrata. Solo così infatti è possibile sviluppare la dimostrazione per assurdo di CUNL, senza cadere in alcun circolo vizioso. Indubbiamente quindi la proposta di Alessandro presenta una certa forzatura, sebbene non si possa negare la perspicacia con la quale il commentatore abbia colto il punto debole del testo che andava commentando e l’acume e l’originalità che il suo tentativo di soluzione dimostra, A questo punto, il commentatore introduce una questione che sembra esulare dal testo aristotelico: si chiede infatti se la regola di conversione sia valida per proposizioni necessarie in senso assoluto (¡plîj) o per proposizioni necessarie secondo una certa qualificazione (met¦ diorismoà). La distinzione fra questi due sensi di “necessario” è attribuita da Alessandro a Teofrasto211 ed in effetti non si trova esplicitamente formulata nei testi dello Stagirita. Non è escluso che nei propri Analitici Primi Teofrasto sollevasse questa stessa questione, di cui non c’è traccia negli Analitici Primi di Aristotele, ma che è determinante dal punto di vista filosofico per comprendere la interpretazione generale della sillogistica modale avanzata da Alessandro. Al dubbio che egli stesso ha formulato, il commentatore di Afrodisia – e possiamo supporre anche Teofrasto – risponde che le regole di 211
Cfr. in Anal. Pr. p. 36, ll. 25-29: ™peˆ d8 toà ¢nagka…ou tÕ m8n ¡plîj ™stin ¢nagka‹on, tÕ d8 met¦ diorismoà lšgetai, æj tÕ ‘¥nqrwpoj ™x ¢n£gkhj pantˆ grammatikù, œst’¨n Ï grammatikÒj’ (aÛth g¦r oÙc ¡plîj ™stin ¹ prÒtasij ¢nagka…a· dšdeice d8 aÙtîn t¾n diafor¦n kaˆ QeÒfrastoj· oÙ g¦r a„eˆ grammatikÒj ™stin, ¢ll’oÙd’Ð ¥nqrwpoj grammatikÒj) [...].
140 Luca Gili conversione per gli enunciati del necessario sono valide soltanto se il necessario è considerato in senso assoluto (¡plîj), cioè quando il predicato è considerato come appartenente in ogni istante di tempo al soggetto. La proposizione necessaria met¦ diorismoà sembra invece vera soltanto per un certo periodo di tempo, ma non sempre. L’esempio che Alessandro – probabilmente riprendendolo da Teofrasto – propone è infatti il seguente: (i) “Uomo” appartiene necessariamente a ogni grammatico. Questo enunciato è evidentemente “necessario” perché non è possibile che, se un certo soggetto è detto grammatico, tale soggetto non sia anche uomo; in altre parole, per ogni A, per tutti gli istanti di tempo in cui A è un grammatico, A è anche un uomo. Considerata quindi in sé, la proposizione (i) è sempre valida, dato che stabilisce un legame tra essenze. Potremmo quindi ipotizzare che la (i) sia un esempio di enunciati necessari ¡plîj, secondo Alessandro, ma il testo non autorizza se non implicitamente questa conclusione212. Infatti il soggetto logico della frase (“grammatico”) non esiste sempre (oÙ g¦r a„eˆ grammatikÒj ™stin): se quindi Alessandro ipotizza che le proposizioni necessarie ¡plîj sono quelle in cui il soggetto logico della frase esiste sempre, (i) non può essere considerata un buon esempio di tali proposizioni. Tuttavia è piuttosto difficile stabilire, a partire da questa unica evidenza testuale, quando una proposizione sia necessaria ¡plîj per il commentatore di Afrodisia213. Se vogliamo considerare la proposizione dal punto di vista del periodo di tempo durante il quale il soggetto esiste, avremo una proposizione necessaria solo se aggiungiamo una qualificazione (met¦ diorismoà): 212
Alessandro non fornisce un esempio per tali proposizioni, ma penso che sarebbe possibile interpretare (i) – che il commentatore di Afrodisia non formula esplicitamente – come un esempio adatto ad esse seguendo questo ragionamento: la qualificazione aggiunta nell’esempio di enunciato necessario met¦ diorismoà sembra essere questa: “œst’¨n Ï grammatikÒj”; togliendo questa qualificazione, otteniamo la proposizione (i), che, essendo necessaria senza qualificazione, può essere considerata necessaria ¡plîj (‘¥nqrwpoj ™x ¢n£gkhj pantˆ grammatikù). Questa analisi porta a considerare tutte le proposizioni necessarie, che siano prive di una qualificazione ulteriore, come necessarie ¡plîj. Il testo di Alessandro è però piuttosto reticente riguardo alla correttezza di una simile interpretazione (cfr. in Anal. Pr. p. 36, ll. 25-32: ™peˆ d8 toà ¢nagka…ou tÕ m8n ¡plîj ™stin ¢nagka‹on, tÕ d8 met¦ diorismoà lšgetai, æj tÕ ‘¥nqrwpoj ™x ¢n£gkhj pantˆ grammatikù, œst' ¨n Ï grammatikÒj’ (aÛth g¦r oÙc ¡plîj ™stin ¹ prÒtasij ¢nagka…a· dšdeice d8 aÙtîn t¾n diafor¦n kaˆ QeÒfrastoj· oÙ g¦r a„eˆ grammatikÒj ™stin, ¢ll' oÙd' Ð ¥nqrwpoj grammatikÒj), ™peˆ to…nun diafšrei, de‹ ¹m©j e„dšnai, Óti perˆ tîn ¡plîj kaˆ kur…wj legomšnwn ¢nagka…wn tÕn lÒgon poie‹tai nàn 'Aristotšlhj· aƒ g¦r oÛtwj ¢nagka‹ai ¢ntistršfousin). 213 Dal punto di vista linguistico la distinzione è semplice, perché le proposizioni che sono necessarie met¦ dorismo sono qualificate con l’espressione “œst’¨n Ï”, che evidentemente non compare nelle proposizioni necessarie ¡plîj. Ciò che è difficile è trovare esempi che rendano questa differenza perspicua dal punto di vista concettuale e le fonti in nostro possesso non ce ne forniscono molti.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 141 (ii) “Uomo” appartiene necessariamente a ogni “grammatico”, fin tanto che “grammatico” esiste. Galeno, in un opera perduta, a noi nota soltanto mediante una citazione che ne fa Alessandro stesso, ci informa che Teofrasto aveva infatti distinto due sensi di necessario sulla base della “necessità” dei soggetti di tali enunciati, cioè, presumibilmente, del periodo di tempo durante il quale era vero che tali soggetti esistono. Per questa ragione enunciati come (a) “il sole illumina necessariamente” e (b) “l’uomo ha necessariamente la facoltà di parlare” sono necessari in un senso diverso. Presumibilmente Teofrasto coglieva la differenza, relativa all’esistenza dei soggetti, supponendo che il “sole” sia sempre esistente, ma che l’“uomo” non esista sempre (cfr. FHS&G 100C). È interessante notare che questo frammento di Galeno sia tratto da un’opera di Alessandro, conservatasi solo in traduzione araba – in modo frammentario –, ed edita con il titolo “Confutazione del saggio di Galeno “Sul possibile” ”214. Alessandro con ogni probabilità assumeva una posizione critica nei confronti di Galeno, come il titolo ci induce a credere. Di conseguenza doveva respingere la identificazione dei molteplici sensi di “possibile” che Galeno avanzava, opponendosi alla dottrina di Teofrasto. È quindi molto probabile che il commentatore di Afrodisia facesse propria la distinzione fra “necessario ¡plîj” e “necessario met¦ diorismoà” introdotta dal filosofo di Ereso. Una ulteriore indicazione in questa direzione ci è data nuovamente dal commento agli Analitici Primi. Nel capitolo A, 10, 30 b18-40, Aristotele esclude che un sillogismo misto in Camestres, con premessa maggiore necessaria e minore categorica, abbia una 214
Il testo è conservato nel codice Escorialensis 798 Deremburg, f.59r. Esiste una riproduzione fotografica del testo in Rescher-Marmura [1965], p. 153, con una traduzione inglese nello stesso volume alle pp. 67-71. Dimitri Gutas ha aggiunto delle note a una porzione di testo edito come frammento di Teofrasto (cfr. FHS&G 100C), con una traduzione inglese. Il titolo del frammento, conservatoci dal testo arabo – ma che potrebbe essere stato attribuito in una fase successiva sulla base del contenuto del testo stesso – è il seguente: . ْٔ ل ر ّد ْل س#$ Questo titolo può essere tradotto appunto in questo modo: “Confutazione del saggio di Galeno “Sul possibile””. Nella lista delle opere di Galeno, che si può desumere dal De libris propriis, troviamo due trattati, in un libro ciascuno, composti dopo il De demonstratione (la maggiore opera di logica del medico greco), che possono essere identificati con il trattato “ ْٔ ”. Si tratta di un trattato “perˆ toà dunatoà” e di un trattato “perˆ tîn ™ndecomšnwn prot£sewn” (cfr. Galeno, De libr. propr., p. 44, ll. 1-4). È molto probabile che la citazione ripresa da Alessandro sia tratta dalla prima di queste due opere – entrambe per noi perdute –, dato che il titolo arabo sembra una traduzione letterale del greco “perˆ toà dunatoà”. Non si può quindi escludere che Alessandro abbia risposto polemicamente a questo scritto di Galeno in un trattato particolare; ma è anche possibile che la polemica con il medico di Pergamo fosse condotta all’interno di un’altra opera. L’ipotesi di Kevin Flannery, secondo cui questo brano sarebbe tratto dal Perˆ m…xewn di Alessandro (cfr. Flannery [1995], pp. 100-101), è perciò destinata a rimanere tale, in mancanza di una evidenza testuale che possa suffragarla.
142 Luca Gili conclusione necessaria. Questo sillogismo infatti si riduce a un Celarent con premessa maggiore categorica e minore necessaria, ed Aristotele ha già mostrato che un tale sillogismo non ammette una conclusione necessaria. Lo Stagirita aggiunge però che, sebbene la conclusione non sia necessaria ¡plîj, se sono concesse alcune ipotesi, possa risultare comunque necessaria. L’esempio che propone è il seguente215 : a) necessariamente ogni uomo è animale; b) nessun bianco è animale; c) necessariamente nessun uomo è bianco. Aristotele specifica che la conclusione non è necessaria ¡plîj, perché senza dubbio è possibile che qualche uomo diventi bianco; ma la conclusione è senza dubbio necessaria, finché rimane vero che nessun bianco è animale (cfr. Anal. Pr. A, 10, 30b 37-38: ™ndšcetai g¦r ¥nqrwpon genšsqai leukÒn, oÙ mšntoi ›wj ¨n zùon mhdenˆ leukù Øp£rcV). È interessante notare quindi che anche Aristotele, come poi Teofrasto, connetteva una qualificazione temporale a ciò che non è necessario ¡plîj, affinché, con tale aggiunta (toÚtwn m8n Ôntwn), tale proposizione, in sé non necessaria, risultasse necessaria sotto una simile ipotesi. Alessandro si serve, nel proprio commento, di questa considerazione di Aristotele, per attribuirgli la distinzione fra i due sensi di “necessità”, che Teofrasto elaborò compiutamente; il commentatore di Afrodisia ritiene che la locuzione “toÚtwn m8n Ôntwn” sia stata aggiunta da Aristotele proprio per indicare la necessità “met¦ diorismoà”. Il brano dell’esegeta di Afrodisia merita di essere riportato per intero: ¤ma d8 kaˆ t¾n toà ¢nagka…ou dia…resin Óti kaˆ aÙtÕj oden, ¿n oƒ ˜ta‹roi aÙtoà pepo…hntai, ded»lwke di¦ tÁj prosq»khj, ¿n fq£saj ½dh kaˆ ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj dšdeicen, ™n oŒj perˆ tÁj e„j tÕn mšllonta crÒnon legomšnhj ¢ntif£sewj perˆ tîn kaq' ›kaston e„rhmšnwn lšgei “tÕ m8n oân enai tÕ Ôn, Ótan Ï, kaˆ tÕ m¾ ×n m¾ enai, Ótan m¾ Ï, ¢n£gkh”. tÕ g¦r ™x Øpoqšsewj ¢nagka‹on toioàtÒn ™sti (in Anal. Pr. p. 141, ll. 1-6). Secondo Alessandro, la distinzione tra i sensi di “necessario”, operata esplicitamente dai “compagni” dello Stagirita (oƒ ˜ta‹roi aÙtoà), doveva perciò essere nota anche a quest’ultimo. Per il commentatore un ulteriore indizio in questa direzione è fornito da De Interpretatione, 9, 19 a23-24, in cui Aristotele discute le coppie di enunciati contraddittori relative ad eventi futuri (perˆ tÁj e„j tÕn mšllonta crÒnon 215
Cfr. Anal. Pr. A, 10, 30 b32-40: tÕ sumpšrasma oÙk œstin ¢nagka‹on ¡plîj, ¢ll¦ toÚtwn Ôntwn ¢nagka‹on. oŒon œstw tÕ A zùon, tÕ d8 B ¥nqrwpoj, tÕ d8 G leukÒn, kaˆ aƒ prot£seij Ðmo…wj e„l»fqwsan· ™ndšcetai g¦r tÕ zùon mhdenˆ leukù Øp£rcein. oÙc Øp£rxei d¾ oÙd’Ð ¥nqrwpoj oÙdenˆ leukù, ¢ll’oÙk ™x ¢n£gkhj· ™ndšcetai g¦r ¥nqrwpon genšsqai leukÒn, oÙ mšntoi ›wj ¨n zùon mhdenˆ leukù Øp£rcV. éste toÚtwn m8n Ôntwn ¢nagka‹on œstai tÕ sumpšrasma, ¡plîj d’oÙk ¢nagka‹on.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 143 legomšnhj ¢ntif£sewj) ed afferma che un enunciato, per tutto il tempo in cui è vero, è necessario (“tÕ m8n oân enai tÕ Ôn, Ótan Ï, kaˆ tÕ m¾ ×n m¾ enai, Ótan m¾ Ï, ¢n£gkh”). Alessandro non chiarifica ulteriormente il suo ragionamento, limitandosi, nel seguito del commento, a proporre un esempio alternativo a quello di Aristotele per Camestres con premessa maggiore necessaria, minore categorica e conclusione necessaria ™x Øpoqšsewj216. È lecito supporre che l’attenzione di Alessandro fosse rivolta alle specificazioni “Ótan Ï” e “Ótan m¾ Ï”, che introducono una limitazione temporale come le qualificazioni aggiunte da Teofrasto e da Alessandro stesso negli esempi da loro offerti di enunciati necessari met¦ diorismoà. Per questo non deve sorprendere l’osservazione che Alessandro fa subito dopo avere citato De Int. 9, 19 a23-24: le proposizioni necessarie ™x Øpoqšsewj (che verrebbero quindi a coincidere con le proposizioni necessarie met¦ diorismoà) sono perciò proposizioni del tipo descritto da Aristotele in quel brano del De Interpretatione. In sintesi, le proposizioni necessarie ¡plîj sono proposizioni in cui, per ogni istante di tempo tk, il soggetto è congiunto al predicato a tk. Le proposizioni categoriche sono proposizioni per le quali esiste un istante di tempo tp, tale che queste proposizioni sono vere a tp, e tp è l’istante presente. Quando la nostra considerazione è limitata, da una opportuna qualificazione aggiunta (met¦ diorismoà), al tempo presente, le proposizioni categoriche sono necessarie met¦ diorismoà. Occorre allora chiedersi perché Alessandro si sia sentito in dovere di specificare, nel proprio commento ad Anal. Pr. A, 3, 25 a26-36, che le regole di conversione per le proposizioni necessarie valgono solo se il necessario è inteso in senso assoluto (¡plîj) e non con una qualificazione aggiunta (met¦ diorismoà). La spiegazione non può limitarsi a richiamare il fatto che molto probabilmente la distinzione era introdotta da Teofrasto, quando egli, nei suoi Analitici Primi, aveva dovuto trattare il problema delle regole di conversione per le proposizioni necessarie. Un criterio così estrinseco non dà ragione del fatto che Alessandro si sia sentito in dovere di introdurre un elemento a ben vedere estraneo al dettato aristotelico. Il fatto che il commentatore attribuisca, proseguendo il proprio lavoro, allo Stagirita questa distinzione fra i sensi di “necessario” (cfr. in Anal. Pr. p. 141, ll. 1-6), è indice piuttosto della difficoltà incontrata dal 216
Cfr. in Anal. Pr. p. 141, ll. 6-16: m©llon d’¨n e‡h tÕ e„rhmšnon Øp’aÙtoà fanerÒn, e„ metal£boimen Órouj ¢lhqestšrouj· ™f' ïn g¦r aÙtÕj ™peir£qh de‹xai, oÙk Ãsan prot£seij ¢lhqe‹j· oÙ g¦r ¢lhq¾j ¹ ‘zùon mhdenˆ leukù’· kÚknJ g¦r ™x ¢n£gkhj. À oân kinoÚmenon ¢ntˆ toà leukoà qîmen À l£bwmen ¥llouj. œstw to…nun ™pˆ m8n toà A tÕ ™grhgoršnai À tÕ kine‹sqai, ™pˆ d8 toà B tÕ bad…zein, ™pˆ d8 toà G ¥nqrwpoj. tÕ d¾ ™grhgoršnai pantˆ m8n tù bad…zonti ™x ¢n£gkhj Øp£rcei· Ðmo…wj d8 kaˆ tÕ kine‹sqai· ¢nqrèpJ d8 mhdenˆ Øparcštw. tÕ d¾ bad…zein oÙdenˆ m8n ¢nqrèpJ Øp£rxei, oÙ m¾n ™x ¢n£gkhj À oÙdenˆ À tin…· ™ndšcetai g¦r ¥nqrwpon bad…zein, ¢ll’oÙk ™n ú ge ¢lhqšj ™sti tÕ ™grhgoršnai À tÕ kine‹sqai mhdenˆ ¢nqrèpJ Øp£rcein.
144 Luca Gili commentatore, nel tentativo di integrare, nell’ambito del commento agli Analitici Primi, una dottrina che non sembra sia mai stata affrontata in modo esplicito da Aristotele. Tuttavia, se Alessandro dovette ritenere indispensabile questa pur difficile integrazione di una dottrina teofrastea al dettato aristotelico, il problema a cui questa integrazione avrebbe dovuto rimediare doveva apparirgli molto probabilmente ancora più difficoltoso. Non escludo che, pur di ottenere una soluzione a questa aporia, il prezzo da scontare – l’introduzione cioè di una distinzione non esplicitamente riconducibile allo Stagirita, e all’edificio logico esposto negli Analitici Primi – doveva apparire ad Alessandro ragionevole. È quindi legittimo supporre che nel dibattito logico contemporaneo ad Alessandro fosse piuttosto vivace la questione circa l’applicabilità di CUNL alle proposizioni necessarie met¦ diorismoà: non abbiamo altre evidenze a favore di questa ipotesi se non i testi summenzionati, ma credo sia necessario supporre un tale dibattito, per dare ragione di questa inserzione che pare poco coerente con l’abituale adesione di Alessandro alla lettera del testo che commenta. Proseguendo la propria esposizione, Aristotele affronta la conversione delle proposizioni affermative necessarie universali e particolari. La dimostrazione della validità di CUAL e CPAL si avvale di CUNL, ed anche Alessandro nel suo commento segue Aristotele senza introdurre ulteriori distinzioni. Una volta che sia stata concessa la validità di CUNL, infatti, la dimostrazione di CUAL e CPAL non pone particolari problemi logici217. La particolare negativa necessaria invece non si converte e la sua refutazione avviene per istanze dei termini che compaiono in essa218 . 217 Cfr. in Anal. Pr. p. 37, ll. 1-21: “Oti kaˆ tÍ kaqÒlou katafatikÍ ¢nagka…v kaˆ tÍ ™pˆ mšrouj katafatikÍ ¢nagka…v ¢ntistršfei ¹ ™pˆ mšrouj katafatik¾ ¢nagka…a, Ðmo…wj de…knusin, æj œdeixen ™pˆ tÁj sterhtikÁj kaqÒlou. e„ g¦r tÕ m8n A À pantˆ tù B ™x ¢n£gkhj Øp£rcoi À tin…, tÕ d8 B m¾ Øp£rcoi tinˆ tù A ™x ¢n£gkhj, ™ndšcoit' ¨n aÙtù pote mhdenˆ Øp£rcein· ¢pÒfasij g¦r tÁj ‘¢n£gkh tin…’ tÕ oÙk ¢n£gkh tin…’, Ö ‡son dÚnatai tù ‘™ndšcetai mhden…’, ™peˆ tÕ ‘oÙk ¢n£gkh tin…’ kaˆ ‘oÙdenˆ ¢n£gkh’ t¦ aÙt£. Óte d8 mhdenˆ Øp£rcei tÕ B tù A, oÙd' ¨n tÕ A oÙdenˆ tù B Øp£rcoi· dšdeiktai g£r· éste oÙd' ¨n tÕ A À pantˆ À tinˆ tîn B ™x ¢n£gkhj Øp£rcoi. pare…ase d8 aÙtÕj tÕ pantˆ kaˆ ºrkšsqh tù labe‹n, Óti mhd8 tÕ A œti ™x ¢n£gkhj tinˆ tù B· ¢ntˆ g¦r toà e„pe‹n ‘e„ g¦r mhdenˆ ¢n£gkh’ ¡plîj epen e„ g¦r m¾ ¢n£gkh. Óti d8 oÙ pepo…htai ™pˆ tÁj ™ndecomšnhj ¢pofatikÁj t¾n de‹xin, dÁlon· oÙd8 g¦r ¢ntistršfein aÙtù doke‹ aÛth· ¢ll' ™pˆ t¾n Øp£rcousan ¢pofatik¾n ½gage, kaˆ taÚthj ¢felën tÕ ¢nagka‹on, Ö ™d»lwse di¦ toà mhkšti cr»sasqai tù ™ndecomšnJ, ¢ll' ¡plîj tù e„ g¦r m¾ ¢n£gkh· ¹ g¦r Øp£rcousa aÙtù ¢ntistršfousa ke‹tai. ™x oá dÁlon, Óti kaˆ ™pˆ tÁj prÕ taÚthj de…xewj tù “tinˆ ™ndšcetai” ™pˆ toà Øp£rcontoj kšcrhtai· tÕ g¦r “e„ g¦r tinˆ ™ndšcetai” ¢koustšon æj e„rhmšnon ™ke‹ ¢ntˆ toà ‘e„ g¦r tinˆ ™ndecomšnwj Øp£rcei’. 218 Cfr. in Anal. Pr. p. 37, ll. 21-25: kaˆ tÍ ™pˆ mšrouj d8 ¢pofatikÍ ¢nagka…v oÙdem…an fhsˆn ¢ntistršfein, diÒti mhd8 tÍ ØparcoÚsV ¢ntšstrefe, toàt' œsti di¦ tÕ ™pˆ Órwn kaˆ Ûlhj tinÕj Ðmo…wj, Óti m¾ ¢ntistršfei, de…knusqai· ™pˆ g¦r tîn aÙtîn Órwn Ð œlegcoj· Ð g¦r ¥nqrwpoj tinˆ zóJ ™x ¢n£gkhj oÙc Øp£rcei, kaˆ tÕ zùon pantˆ ¢nqrèpJ ™x ¢n£gkhj Øp£rcei.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 145 Aristotele passa quindi a trattare la conversione delle premesse contingenti. L’esegesi di Alessandro inizia con una accurata distinzione dei sensi secondo i quali si dice “contingente”. Aristotele infatti, in una parentesi che costituisce una notevole crux esegetica, afferma che pollacîj lšgetai tÕ ™ndšcesqai (kaˆ g¦r tÕ ¢nagka‹on kaˆ tÕ m¾ ¢nagka‹on kaˆ tÕ dunatÕn ™ndšcesqai lšgomen) (Anal. Pr. A, 3, 25 a36-39). L’attenzione di Alessandro si concentra in un primo momento sul vero significato di queste linee. L’omonimia del termine “contingente” è già stata affrontata nel De Interpretatione, secondo il commentatore. L’editore del commento di Alessandro, Maximilien Wallies, in apparato rimanda a De Interpretatione, 9, 19 a19, dove Aristotele, nell’intricato contesto dei futuri contingenti, dà una definizione di “contingente” che suona pressoché analoga a quella che incontriamo in queste righe. Tuttavia non ci è dato sapere che cosa Alessandro pensasse di queste righe, che sono spiegate da commentatori posteriori come Ammonio o Boezio in modo piuttosto scarno e senza alcun riferimento a un’eventuale interpretazione alessandrista. L’unico testo che ci dà perciò notizia dei sensi di “contingente” secondo Alessandro è quello che stiamo esaminando. Contrariamente a quello che potremmo aspettarci, Alessandro non distingue due sensi di “contingente”, ma ben tre219. La stranezza non nasce dal fatto che i commentatori contemporanei individuino per lo più due soli sensi, ma dal fatto che Alessandro stesso, distinguendo le proposizioni modalizzate, sembrava restringere i sensi di proposizione “contingente” sostanzialmente a due: la proposizione categorica e la proposizione “contingente” sensu stricto (cfr. in Anal. Pr. p. 26, l. 3 e ss). Forse proprio per questo Alessandro si premura di richiamarsi al De Interpretatione: sottolinea in questo modo che l’uso di tre sensi di “contingente” non è estemporaneo, ma regolare e sistematico nei testi dello Stagirita. L’apparente contraddizione si può infatti risolvere dicendo che la proposizione “contingente” ha due sensi, mentre l’operatore “contingente” ne ha tre (nel De Interpretatione, capp. 12-13, infatti la discussione è ristretta agli operatori modali più che alle proposizioni modalizzate nel loro complesso: l’attenzione dello Stagirita si concentra infatti sulle coppie di proposizioni contraddittorie ed egli studia le 219
Nelle interpretazioni contemporanee, che sono debitrici nei confronti della fondamentale monografia di Albrecht Becker (Becker [1933]), sono distinti due sensi di “contingente”: a) “contingente” sensu stricto (che sarebbe definito in Anal. Pr. A, 13); b) “possibile” (che sarebbe definito in De Interpr. 13). Becker usa l’operatore E1 per il primo senso di “contingente” e l’operatore E2 per il secondo e fornisce le seguenti definizioni (cfr. Becker [1933], p. 9): (i) E1 p ↔ ◊ p. (ii) E2 p ↔ ◊⌐p٨◊p. Nella propria accurata analisi di Anal. Pr. A, 3, il logico tedesco rifiuta quindi con vigore l’interpretazione avanzata da Alessandro di Afrodisia (cfr. Becker [1933], pp. 84-86).
146 Luca Gili relazioni reciproche degli operatori avendo di mira la costruzione di coppie di proposizioni contraddittorie). Il primo senso di “contingente” è quello di “necessario” (cfr. in Anal. Pr. p. 38, l. 1: kaˆ g¦r kat¦ toà ¢nagka…ou tù ™ndšcesqai crèmeqa). Alessandro ha senza dubbio presente Anal. Pr. A, 13, 32 a20-21, in cui Aristotele afferma che si dice per omonimia che il “necessario” sia “contingente” (tÕ g¦r ¢nagka‹on ÐmwnÚmwj ™ndšcesqai lšgomen), gettando luce quindi sulla affermazione fatta in Anal. Pr. A, 3, 25 a38-39, secondo cui affermiamo che il “necessario” è “contingente” (kaˆ g¦r tÕ ¢nagka‹on […] ™ndšcesqai lšgomen). Tuttavia il commentatore, nel contesto della spiegazione delle leggi di conversione delle proposizioni contingenti, non menziona esplicitamente il capitolo A, 13 degli Analitici Primi, in cui Aristotele affronta proprio la definizione di “contingente”, probabilmente perché questo capitolo segue il brano che è ora l’oggetto del commento di Alessandro. Nell’ordine sistematico che l’esposizione della logica deve avere e che la sua strategia di commento gli suggerisce, Alessandro è infatti restio ad utilizzare per la spiegazione di un passo ciò che nell’ordine di lettura del testo è successivo: i riferimenti testuali sono sempre a porzioni precedenti del testo aristotelico o a libri del corpus che, nell’ordine di lettura divenuto standard con l’edizione di Andronico di Rodi, precedono gli Analitici Primi220. Riferimenti a passi posteriori sono fatti solo per annunciare che il tema esposto da Aristotele nel brano che si commenta sarà poi ripreso in una porzione successiva del testo221. Se impieghiamo il “contingente” nel senso di “necessario”, osserva Alessandro, possiamo dire che l’uomo è contingentemente animale: infatti l’uomo è senza dubbio necessariamente animale (l’essere animale costituisce l’essenza dell’uomo e tutte le proprietà essenziali appartengono necessariamente al loro soggetto); dunque, in un senso di “contingente”, l’uomo è anche contingentemente animale (cfr. in Anal. Pr. p. 38, l. 2: tÕ zùon ™ndšcesqai kat¦ pantÕj ¢nqrèpou). Il secondo senso di “contingente” è quello di “categorico”. Questo senso viene impiegato quando si afferma che ciò che appartiene a qualcosa, è anche contingente che appartenga a tale cosa (cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 2-3: kaˆ kat¦ toà Øp£rcontoj, ¨n e‡pwmen tÕ Øp£rcon tinˆ ™ndšcesqai Øp£rcein). Sembra quindi che Alessandro prenda in considerazione la legge “p → ◊p”, cioè che pensi che, se un enunciato è categorico, allora è anche un enunciato possibile (almeno secondo uno dei sensi di “possibile”). Per il commentatore, il riferimento al categorico è reso evidente dal riferimento di Aristotele al “non necessario”: tÕ m¾ ¢nagka‹on […] ™ndšcesqai lšgomen (Anal. Pr. A, 3, 25 a38-39). Tra gli moderni, 220
Cfr. ad es. in Anal. Pr. p. 10, l. 10 e l. 29; p. 11, l. 6 e l. 29; p. 12, l. 1; p. 31, l. 24; p. 37, l. 28. Cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 8-10: Ö met' Ñl…gon, t… pote shma…nei, ™re‹ lšgwn “Ósa d8 tù æj ™pˆ tÕ polÝ kaˆ tù pefukšnai lšgetai ™ndšcesqai, kaq’Ön trÒpon dior…zomen tÕ ™ndecÒmenon” .
221
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 147 Wolfgang Wieland ha suggerito di interpretare il m¾ ¢nagka‹on come un operatore modale ulteriore222, che caratterizza la premessa dei sillogismi misti che hanno l’altra premessa necessaria e la conclusione necessaria. Wieland introduce questa complicazione, per validare i modi misti che Aristotele ritiene validi e al tempo stesso evitare di cadere nel dilemma di Hintikka223, che evidenzia una frizione interna alla esposizione aristotelica dei sillogismi misti. Alessandro non era a conoscenza della contraddizione che Jaakko Hintikka ha rilevato, sebbene anche al commentatore non sfuggissero le difficoltà di questa sezione della logica modale di Aristotele. La soluzione che Alessandro proporrà non si basa quindi sull’idea centrale dell’interpretazione di Wieland, che rimane un unicum nella lunga storia dell’interpretazione della sillogistica degli Analitici Primi. Per Alessandro, cioè, parlando di m¾ ¢nagka‹on, Aristotele non introduce alcun operatore modale ulteriore, ma si limita a riferirsi alle proposizioni categoriche. Secondo Alessandro, c’è anche una ragione per la quale Aristotele avrebbe indicato il categorico con l’espressione m¾ ¢nagka‹on: il categorico infatti è ciò che si oppone nella divisione al “necessario”, sebbene abbia in comune con esso il fatto che significhi l’appartenenza nel momento presente del predicato al soggetto (in Anal. Pr. p. 38, ll. 3-5: ™d»lwse d8 nàn tÕ Øp£rcon di¦ toà m¾ ¢nagka‹on e„pe‹n, ™peˆ taÚtV toà ¢nagka…ou diafšrei t¾n e„j tÕn parÒnta crÒnon Ûparxin koin¾n œcon prÕj aÙtÒ): il commentatore lascia implicita la spiegazione, ma è evidente, sulla base di ciò che ha affermato precedentemente, che il “categorico” si oppone al “necessario”, nella misura in cui quest’ultimo significa l’appartenenza del predicato al soggetto in ogni istante, mentre il “categorico” indica l’appartenenza del predicato al soggetto solo nell’istante presente (cfr. in Anal. Pr. p. 25, l. 26-p. 26, l. 22). Tuttavia si può osservare che anche il “contingente” stricto sensu si oppone al “necessario” per il fatto di significare l’appartenenza del predicato al soggetto in un istante ma non in tutti ed in effetti Alessandro presenta le cose in questo modo commentando Anal. Pr. A, 2, 25 a1-2 (cfr. sempre in Anal. Pr. p. 25, l. 26-p. 26, l. 22). La sua esegesi cadrebbe quindi in una evidente contraddizione, ma Alessandro è consapevole del problema e fa un’osservazione cruciale: shmeiwtšon t¾n lšxin [scilicet: tÕ m¾ ¢nagka‹on], Óti tÕ Øp£rcon ™ndecomšnwj tù ØpÕ tÁj ØparcoÚshj prot£sewj shmainomšnJ taÙtÒn ™stin (in Anal. Pr. p. 38, ll. 5-7). Per il commentatore di Afrodisia, è fondamentale rilevare che l’espressione “non necessario” è in sé ambigua, perché può significare due cose: una proposizione contingente o una proposizione categorica. Queste linee non ci portano, però, ad accostare l’interpretazione di Alessandro a quella di Wolfgang Wieland, perché l’esegeta greco afferma con decisione che “tÕ m¾ ¢nagka‹on” in questo passo 222 223
Cfr. ad esempio Wieland [1975]. Cfr. Hintikka [1959] e Hintikka [1973], pp. 135-146.
148 Luca Gili significa “categorico”; ciò che non è esplicitamente spiegato, è perché Aristotele abbia fatto ricorso ad una espressione ambigua quando avrebbe potuto chiarire il suo concetto in altri termini. La ragione probabilmente è che la presenza di “tÕ dunatÕn” in Anal. Pr. A, 3, 25 a39, che costituirebbe il riferimento al “contingente” stricto sensu, disambiguerebbe l’espressione “tÕ m¾ ¢nagka‹on”, immediatamente precedente, che non può che significare quindi che “categorico”. Il terzo senso di “contingente” è quello di “possibile” (cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 710), la cui trattazione è rimandata da Alessandro, per lasciare spazione alla discusione di alcune regole di conversione per le proposizioni “contingenti”, che Aristotele enuncia in Anal. Pr. A, 3, 25 a37-b14. In primo luogo, come abbiamo visto, Aristotele afferma la convertibilità delle proposizioni contingenti affermative, che seguirebbero, in questo, il comportamento delle proposizioni categoriche: a) QAaB→QBiA; b) QAiB→QBiA. Nella dimostrazione di queste proposizioni, nel caso del categorico, Aristotele si era servito, come premessa ausiliaria, della conversione della proposizione categorica universale negativa (cfr. Anal. Pr. A, 2, 25 a17-22): c) AeB→BeA. Alessandro ha in mente questa dimostrazione dello Stagirita e cerca di usarla anche per la dimostrazione delle conversioni delle proposizioni contingenti affermative, dato che intende le conversioni delle proposizioni modali come una estensione delle conversioni categoriche (come del resto sembra suggerire il testo stesso: ™n m8n to‹j katafatiko‹j Ðmo…wj ›xei kat¦ t¾n ¢ntistrof¾n ™n ¤pasin. e„ g¦r tÕ A pantˆ À tinˆ tù B ™ndšcetai, kaˆ tÕ B tinˆ tù A ™ndšcoito ¥n· e„ g¦r mhden…, oÙd' ¨n tÕ A oÙdenˆ tù B· dšdeiktai g¦r toàto prÒteron, Anal. Pr. A, 3, 25 a39-b3; il “prÒteron” fa evidentemente riferimento ad Anal. Pr. A, 2, 25 a17-22). La proposizione universale negativa categorica è la contraddittoria della proposizione particolare affermativa categorica. Alessandro si serve di questa relazione di contraddizione per individuare la proposizione ausiliaria, utile per la dimostrazione di CUAQ e di CPAQ, che sarà quindi la contraddittoria della proposizione particolare affermativa contingente. Dato però che il “contingente” si dice in tre modi, avremo tre proposizioni che possono fungere da proposizione ausiliaria per la conversione delle universali e delle particolari affermative contingenti. Il “contingente” infatti, come abbiamo mostrato, può indicare: 1) il “contingente” stricto sensu; 2) il “categorico” (cioè l’assenza di una qualificazione modale, che tuttavia, secondo Alessandro, ammette una e una sola precisa lettura nella sua semantica temporale);
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 149 3) il “necessario”. 1) La contraddittoria di QBiA, in cui l’operatore “Q” è interpretato come “contingente” stricto sensu, è □BeA. Abbiamo tuttavia dimostrato la validità della legge (i) □BeA→□AeB (cfr. Anal. Pr. A, 3, 25 a29-31). Grazie ad (i), ci è possibile dimostrare la validità di a) e b) quando l’operatore “Q” è interpretato come “contingente” stricto sensu224. 2) La contraddittoria di QBiA, in cui l’operatore “Q” è interpretato come “categorico”, è BeA. Abbiamo già dimostrato nel capitolo precedente la validità della legge (ii) BeA→AeB (cfr. Anal. Pr. A, 2, 25 a17-22). In virtù di (ii), possiamo dimostrare la validità della conversione delle proposizioni universale e particolare contingenti in cui il “contingente” è interpretato come “categorico”225. d) Il problema sorge nel caso in cui l’operatore “Q” di QBiA sia interpretato come “necessario”. Forse proprio per questa ragione Alessandro inverte in modo chiastico l’ordine dei significati del termine “contingente” che aveva elencato poco prima (cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 1-10). QBiA può quindi essere tradotta in questo caso con □BiA; ma la contraddittoria di □BiA è nuovamente una proposizione contingente, cioè QBeA, di cui non è ancora stata dimostrata la convertibilità. In altre parole, dobbiamo dimostrare la validità delle leggi a) QAaB→QBiA; b) QAiB→QBiA, che interpretiamo come le leggi a1) □AaB→□BiA; b2) □AiB→□BiA. Certamente di queste leggi è già stata fornita la dimostrazione, quando si è dimostrata la validità di CUAL e di CPAL. E, in effetti, questa è la strategia adottata da Alessandro, che ripropone in questo contesto le dimostrazioni proposte per CUAL e CPAL. La difficoltà sorge se si vuole dimostrare CUAQ e CPAQ, con quest’ultimo senso di contingente, nel modo usuale, adottato anche per CUAQ e CPAQ con gli altri sensi di contingente, facendo cioè ricorso ad una dimostrazione per assurdo. Una tale dimostrazione assume la contraddittoria della conclusione □BiA, cioè QBeA. Se avessimo la dimostrazione della validità di CUNQ, sapremmo derivare lecitamente da QBeA, per conversione simpliciter, la proposizione QAeB, che contraddice la premessa di b2) ed è contraria della premessa di a1): in questo caso queste due leggi sarebbero dimostrate. Purtroppo Alessandro non ha ancora trattato le conversioni delle contingenti negative (e d’altra parte, l’ipotetica legge CUNQ è invalida). La soluzione che Alessandro adotta, quindi, è di accostare il comportamento di una proposizione universale negativa contingente stricto sensu a quello di una proposizione universale negativa 224
C fr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 19-21: e„ m8n oân tÕ dunatÕn shma…noi tÕ ™ndšcesqai, g…netai tÕ ¢pofatikÕn lambanÒmenon kaˆ Øpotiqšmenon kaqÒlou ¢nagka‹on· toioàton g¦r tÕ ‘oÙk ™ndšcetai tin…’, Ö ™de…cqh ¢ntistršfon· e„ d8 tÕ Øp£rcon. 225 Cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 21-23: e„ d8 tÕ Øp£rcon, Øp£rcousa p£lin g…netai kaqÒlou ¢pofatik¾ ¹ Øpotiqemšnh, ¿ kaˆ aÙt¾ ™de…cqh ¢ntistršfousa.
150 Luca Gili categorica: abbiamo infatti già dimostrato la validità della legge (ii) BeA→AeB (cfr. Anal. Pr. A, 2, 25 a17-22). L’idea di Alessandro, per giustificare questa equiparazione, è che la proposizione contingente negativa, come la categorica negativa, significa che talvolta il predicato non appartiene al soggetto (cfr. in Anal. Pr. p. 38, ll. 24-26: tÕ ¢ntike…menon aÙtù ¢pofatikÕn kaqÒlou ™ndecÒmenon oÛtwj ›xei, éj pote aÙtù mhdenˆ Øp£rcein). Nel momento in cui A non si dice di nessun B, nemmeno B si dirà di nessun A. La soluzione cercata da Alessandro sembra in verità un po’ debole: se il “contingente” sensu stricto è interpretato temporalmente, come il commentatore di Afrodisia propone, certamente esisterà – per la definizione di enunciato “possibile” – un istante di tempo in cui la proposizione universale contingente negativa sarà convertibile simpliciter, al pari di una proposizione universale negativa categorica: in tale istante, infatti, il predicato sarà di fatto disgiunto dal soggetto, in modo che sarebbe possibile anche esprimere una tale disgiunzione (limitatamente a quell’istante) anche con una proposizione categorica (che, come sappiamo per CUN, si converte). Il problema si pone per tutti gli istanti di tempo in cui il soggetto è congiunto al predicato; rimane pur vero, per tali istanti di tempo, che il soggetto sia contingentemente disgiunto dal predicato, perché, ad ogni istante di tempo tk, è possibile pensare ad un istante di tempo tm, diverso da tk, in cui soggetto e predicato sono disgiunti; ma a tk soggetto e predicato sono congiunti e non abbiamo elementi per affermare che possono essere convertiti in una proposizione contingente negativa (al più possono essere convertiti in una contingente positiva, come si vedrà nel commento ad Anal. Pr. A, 13). Questa è indubbiamente la debolezza di queste righe della spiegazione alessandrista; una difficoltà, d’altra parte, che riflette l’oggettiva oscurità di ciò che Aristotele sostiene. Ad ogni modo, con queste considerazioni, Alessandro ritiene di avere fornito una giustificazione per ciascuna delle regole di conversione delle proposizioni categoriche e delle proposizioni modali. Ulteriori riflessioni in merito alle proposizioni contingenti saranno da lui sviluppate nel commento al capitolo A, 13 degli Analitici Primi, nel corso del quale Aristotele propone la definizione di “contingente”, apprestandosi a presentare la sillogistica modale del contingente. Sarà in quella occasione che torneremo, con la nostra analisi, ad occuparci delle regole di conversione per le proposizioni contingenti, seguendo in ciò l’ordine di trattazione di Alessandro.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 151 6. La sillogistica categorica 6.1 Il testo di Aristotele Aristotele dà una esposizione sistematica della sillogistica categorica in Anal. Pr. A, 4-6. I tre capitoli sono dedicati rispettivamente alla prima, alla seconda e alla terza figura. Il capitolo 7 contiene delle osservazioni metateoriche sul sistema delineato nei tre capitoli precedenti e si sofferma in particolare sulla riduzione dei sillogismi validi di seconda e di terza figura ai sillogismi di prima figura e, all’interno di quest’ultima, sulle riduzioni dei sillogismi particolari (Darii e Ferio) a quelli universali (Barbara e Celarent). Di seguito propongo uno schema analitico di questi quattro capitoli. 6.1.1 A, 4. La prima figura 25 b26-31. [Introduzione] Stabiliamo ora come avviene ogni sillogismo; poi parleremo della dimostrazione: occorre parlare del sillogismo prima della dimostrazione, perché esso è più universale di quella (cfr. A, 1, 24 a28-b3) ed è il genere della dimostrazione. 25 b32-37. [Definizione della prima figura] La prima figura si ha quando i tre termini sono fra loro connessi in modo tale che il terzo è incluso nel medio e il medio è incluso nel primo (o è escluso da esso): in altre parole il termine medio è predicato della premessa maggiore e soggetto della minore. In tal caso gli estremi possono essere connessi in un sillogismo perfetto. A) Entrambe le premesse universali 25 b37-40. [Barbara] Il sillogismo con premesse universali affermative, che conclude con una universale affermativa, è valido. 25 b40-26 a2. [Celarent] Il sillogismo con la premessa maggiore universale negativa e con la premessa minore universale affermativa, che conclude con una universale negativa, è valido. 26 a2-13. [Modi invalidi con premesse universali] Una connessione con premessa maggiore universale affermativa e minore universale negativa non prova nulla. Siano i tre termini animale-uomo-cavallo: si inferisce una universale affermativa. Siano i tre termini animale-uomo-pietra: si inferisce una universale negativa. Dunque il modo AEX è invalido in prima figura. Una connessione con entrambe le premesse universali negative è pure invalida. Siano i tre termini scienza-linea-medicina: si inferisce una universale negativa. Siano i tre termini scienza-linea-unità: si inferisce una universale negativa.
152 Luca Gili 26 a13-16. [Ricapitolazione] Si è quindi visto in quali casi si ha un sillogismo e in quali casi non si ha un sillogismo, qualora entrambe le premesse siano universali. B) Una premessa universale e una particolare 26 a17-23. [Introduzione] Se una delle due premesse è particolare, si ha un sillogismo se e solo se la maggiore è universale e la minore affermativa particolare. 26 a23-25. [Darii] Una connessione con premessa maggiore universale affermativa e premessa minore particolare affermativa è valida. 26 a25-30. [Ferio] Una connessione con premessa maggiore universale negativa e premessa minore particolare affermativa è valida. Dato che tale sillogismo segue dalla definizione dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”, sarà anche perfetto. Nel caso di premesse indefinite al posto delle particolari, avremo sillogismi ugualmente validi (il sillogismo che assume la indefinita al posto della particolare è uguale al sillogismo che assume la particolare). 26 a30-36. [Non validità dei modi con maggiore particolare e minore affermativa] Le connessioni con premessa maggiore particolare, affermativa o negativa, e minore universale affermativa non provano nulla. IAX e OAX sono quindi modi invalidi. La dimostrazione avviene per istanze che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 26 a36-39 [Non validità dei modi con maggiore particolare e minore negativa] Le connessioni con premessa maggiore particolare, affermativa o negativa, e minore universale negativa non provano nulla. IEX e OEX sono quindi modi invalidi. La dimostrazione avviene per istanze che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 26 a39-26 b10. [Non validità dei modi con maggiore universale affermativa e minore particolare negativa] Se la premessa maggiore è universale affermativa e la minore particolare negativa, non si ha sillogismo. AOX non è valido. La dimostrazione avviene per istanze che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 26 b10-14. [Non validità dei modi con maggiore universale negativa e minore particolare negativa] Se la premessa maggiore è universale negativa e la minore particolare negativa, non si ha sillogismo. EOX non è valido. La dimostrazione avviene per istanze che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 26 b14-21. [Dimostrazione ausiliaria della non validità di AOX e di EOX] Si può dimostrare che AOX e EOX non concludono nulla anche osservando che la premessa minore particolare negativa (“Qualche C non è B”) è vera anche se è vera la proposizione universale negativa corrispondente (“Nessun C è B”). Ed abbiamo già dimostrato che AEX e EEX non sono sillogismi. C) Entrambe le premesse particolari
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 153 26 b21-25. [Dimostrazione della non validità dei modi con entrambe le premesse particolari]. Tutti i modi con entrambe le premesse particolari (IIX, OOX, IOX, OIX) non dimostrano nulla. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 26 b26-33. [Conclusioni sulla prima figura] Perciò per avere una conclusione particolare in questa figura i termini devono essere connessi come abbiamo detto (in nessun altro modo può risultare); tutti i sillogismi di questa figura sono perfetti, perché tutti sono resi perfetti dalle premesse che sono assunte da principio; tutte le ricerche possono essere risolte con questa figura, sia che si ricerchi una proposizione universale affermativa o negativa, sia che si ricerchi una particolare affermativa o negativa. 6.1.2 A, 5. La seconda figura 26 b34-27 a3. [Introduzione] Chiamo seconda figura quello schema in cui lo stesso termine appartiene a tutti i membri di una classe ed a nessuno di un’altra classe, oppure quando appartiene a tutti i termini di ciascuna o a nessuno di entrambe. Il predicato comune ad entrambe le premesse è il termine medio. Il soggetto più vicino al termine medio è l’estremo maggiore; l’estremo minore è il soggetto più lontano. Il termine medio è posto al di fuori degli estremi ed è primo per posizione. Non ci sono sillogismi perfetti in questa figura. A) Entrambe le premesse universali 27 a3-5. [Introduzione] Si ha un sillogismo se e solo se una premessa è affermativa e l’altra negativa (nel caso in cui entrambe siano universali). 27 a5-9. [Cesare] Se le premesse sono differenti per qualità, abbiamo un sillogismo di struttura EAE (Cesare), che è valido. Lo si dimostra per conversione della maggiore universale negativa (riduzione a Celarent). 27 a9-14. [Camestres] Abbiamo poi un sillogismo di struttura AEE, che è pure valido. Lo si dimostra per conversione della universale negativa e per successiva permutazione delle premesse (riduzione a Celarent). 27 a14-18. [Dimostrazione per impossibile di Cesare e Camestres] Cesare e Camestres sono dimostrabili anche per riduzione ad impossibile, assumendo come premessa la contraddittoria della conclusione e costruendo un sillogismo in Barbara con la premessa universale affermativa rimanente che deduce la contraddittoria della premessa universale negativa dei due sillogismi. Dal momento che entrambi questi sillogismi abbisognano di premesse aggiuntive per mostrarne la necessità dell’inferenza, non sono perfetti. 27 a20-25. [Dimostrazione della non validità di una deduzione della forma EEX] Una deduzione con entrambe le premesse universali negative non inferisce nulla. Il
154 Luca Gili modo EEX risulta quindi invalido. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. B) Una premessa particolare e una premessa universale (a) Premesse diverse per qualità 27 a26-36. [Festino] Il sillogismo con premessa maggiore universale negativa e minore particolare affermativa è valido. La dimostrazione avviene per conversione della premessa maggiore e riduzione a Ferio. 27 a36-b3. [Baroco] Il sillogismo con premessa maggiore universale affermativa e minore particolare negativa si dimostra per riduzione ad impossibile. Si assume infatti la contraddittoria della conclusione e si costruisce, con la premessa universale affermativa, un sillogismo in Barbara che inferisce la contraddittoria della premessa particolare negativa di Baroco. 27 b4-9. [Modi non validi con premessa minore universale e maggiore particolare]. I modi di forma OAX e IEX non inferiscono nulla. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. (b) Premesse uguali per qualità 27 b10-28. [Invalidità dei modi con premessa maggiore universale] I sillogismi con premesse differenti per quantità e uguali per qualità non sono validi se la maggiore è universale. Una deduzione di forma EOX non inferisce nulla. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. Anche AIX non inferisce nulla. 27 b28-34. [Invalidità dei modi con premessa minore universale] I sillogismi con premesse differenti per quantità e uguali per qualità non sono validi neppure se la minore è universale. Un sillogismo di forma OEX non inferisce nulla. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. Anche IAX non inferisce nulla. La dimostrazione avviene sempre per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 27 b34-36. [Conclusioni su questo tipo di sillogismi] Risulta evidente che sillogismi in cui occorrono premesse uguali per qualità, ma differenti per quantità (qualunque sia il loro ordine) non inferiscono nulla. C) Entrambe le premesse particolari 27 b36-39. [Non validità di sillogismi con entrambe le premesse particolari] Sillogismi di forma IIX, OOX, IOX, OIX non inferiscono nulla. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 28 a1-9. [Conclusioni generali sulla seconda figura] Ora è evidente quando si verificano sillogismi validi in questa figura; tutti i sillogismi di questa figura sono imperfetti, perché hanno bisogno di premesse aggiuntive perché risulti evidente la
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 155 necessità della inferenza; in questa figura non è possibile che la conclusione sia affermativa. 6.1.3 A, 6. La terza figura 28 a10-17. [Introduzione alla terza figura] Se due termini predicati appartengono a tutti gli elementi e a nessuno degli elementi di un terzo termine, o se entrambi appartengono a tutti gli elementi del terzo termine o se entrambi a nessun elemento del terzo termine, siamo di fronte alla terza figura. Il soggetto comune ad entrambe le premesse è il termine medio, i predicati sono i termini estremi: il predicato più lontano dal medio è l’estremo maggiore, il più vicino è l’estremo minore. Il termine medio non è fra gli estremi ed è ultimo in posizione. In questa figura non ci sono sillogismi perfetti. Tuttavia ci sono sillogismi sia che entrambe le premesse siano universali, sia che non entrambe lo siano. A) Entrambe le premesse universali 28 a17-26. [Darapti] Il sillogismo con premesse universali affermative è valido e inferisce una conclusione particolare affermativa. La dimostrazione avviene in tre modi: (a) per conversione della premessa minore e riduzione a Darii; (b) per riduzione ad impossibile; (c) per esposizione. 28 a26-30. [Felapton] Il sillogismo con premessa maggiore universale negativa e minore universale affermativa è valido e inferisce come conclusione una particolare negativa. La dimostrazione della validità avviene per conversione della premessa minore e riduzione a Ferio; per riduzione ad impossibile. 28 a30-35. [Modi non validi con entrambe le premesse universali] I modi di forma AEX e EEX non inferiscono nulla e sono invalidi. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 28 a36-28 b4. [Osservazioni generali su questo tipo di sillogismi] Di conseguenza con due premesse affermative si inferisce una particolare affermativa. Due premesse negative non provano nulla. Da una premessa maggiore negativa e una minore affermativa si inferisce una particolare negativa. Da una premessa maggiore affermativa e una minore negativa non si inferisce nulla. B) Una premessa particolare e una premessa universale (a) Premesse entrambe affermative 28 b5-11. [Disamis] Un sillogismo di forma IAI è valido. La dimostrazione avviene per conversione della premessa maggiore e per successiva permutazione delle premesse e riduzione a Darii. 28 b11-15. [Datisi] Un sillogismo di forma AII è valido. La dimostrazione avviene per conversione della premessa minore e riduzione a Darii; per riduzione ad impossibile; per esposizione.
156 Luca Gili (b) Premesse di qualità differente 28 b15-21. [Bocardo] Un sillogismo di forma OAO è valido. La dimostrazione avviene per riduzione ad impossibile; per esposizione. 28 b22-31. [Modo invalido] Una deduzione di forma AOX non è valida. 28 b31-35. [Ferison] Un sillogismo di forma EIO è valido. La dimostrazione avviene per conversione della premessa minore e riduzione a Ferio. 28 b36-38. [Modo invalido] Una deduzione di forma IEX non è valida. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. (c) Premesse entrambe negative 28 b38-29 a6. [Dimostrazione della non validità di questi modi] I modi di forma OEX e EOX (con entrambe le premesse negative) non sono validi. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. C) Entrambe le premesse particolari 29 a6-10. [Dimostrazione della non validità di questi modi] I modi di forma IIX, OOX, IOX e OIX (con entrambe le premesse particolari) non sono validi. La dimostrazione avviene per istanze delle premesse che concludono l’universale affermativa e la universale negativa. 29 a11-18. [Conclusione sulla terza figura] Risulta chiaro, da ciò che si è detto, quando abbiamo sillogismi validi in questa figura e che tutti i sillogismi di questa figura sono imperfetti (tutti infatti sono resi perfetti con premesse aggiuntive). In questa figura non si hanno conclusioni universali. 6.1.4 A, 7. La riduzione dei modi validi alla prima figura 29 a30-39. Aristotele, in primo luogo, stabilisce che tutti i sillogismi imperfetti sono resi perfetti mediante quelli di prima figura o (1) in modo ostensivo, o (2) per reductio ad impossibile. Nella prova ostensiva, il sillogismo imperfetto è reso perfetto applicando le regole di conversione delle proposizioni categoriche, enunciate nel capitolo A, 2. Nella reductio invece si ottiene la dimostrazione della validità del sillogismo con una assunzione falsa (la contraddittoria della conclusione del sillogismo che si vuole provare); da questa assunzione si deriva un sillogismo in prima figura, che inferisce il falso. Esempio: se ogni C è A ed è B, qualche B deve essere A; poiché se nessun B è A e tutti i C sono B, nessun C è A; ma tutti i C per ipotesi sono A. 29 b1-5. Tutti i sillogismi sono ridotti ai sillogismi universali di prima figura. A) I sillogismi di seconda figura sono resi perfetti mediante quelli di prima – quelli universali per conversione delle premesse negative, quelli particolari per reductio ad impossibile.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 157 29 b6-14. B) I sillogismi particolari di prima figura sono validi per la loro stessa natura, ma possono anche essere resi validi per reductio usando la seconda figura. Esempio: se tutti i B sono A, e qualche C è B, qualche C è A (Darii); infatti se nessun C è A, e tutti i B sono A, nessun C è B (Cesare). Lo stesso accade con Ferio: se nessun B è A, e qualche C è B, qualche C non sarà A; poiché se tutti i C sono A e nessun B è A, nessun C sarà B (Camestres). 29 b15-18. Ora, se tutti i sillogismi di seconda figura sono riducibili a quelli universali di prima, e tutti i sillogismi particolari di prima figura sono riducibili a sillogismi di seconda figura, allora anche i sillogismi particolari di prima figura saranno riducibili a quelli universali della stessa figura. 29 b19-25. C) I sillogismi di terza figura, quando hanno le premesse universali, sono riducibili direttamente ai sillogismi universali di prima figura. Quando le premesse sono particolari, sono riducibili direttamente ai sillogismi particolari di prima figura, e quindi indirettamente anche a quelli universali. 6.2 L’interpretazione di Alessandro di Afrodisia L’interpretazione della sillogistica categorica di Aristotele impegna Alessandro per una porzione molto estesa del suo commento (da p. 41, l. 30 a p. 119, l. 6 dell’edizione Wallies [1883]): circa 78 pagine per quattro capitoli (A, 4-7), con una media di circa 20 pagine per ogni capitolo. L’intero commento al primo libro degli Analitici Primi (46 capitoli complessivi) occupa 418 pagine nell’edizione critica di Wallies, con una media di circa 9 pagine per capitolo. Questa osservazione puramente quantitativa dell’opera di Alessandro dimostra come il nostro commentatore (e in generale i suoi contemporanei, con i quali si confronta in questi capitoli) prestassero una notevole attenzione alla sillogistica categorica: un’attenzione sicuramente maggiore rispetto ad altre parti degli Analitici Primi, in particolare i capitoli A, 23-46, che apparvero anche ad alcuni interpreti moderni226 una appendice piuttosto eterogenea ai due sistemi che Aristotele propose, cioè la sillogistica categorica e la sillogistica modale. Solo in tempi più recenti la critica si è rivolta a questi capitoli che sembrano contenere in nuce lo studio metateorico della logica: l’attenzione degli storici è dovuta in larga parte allo spostamento di interessi dei logici stessi, che, nella seconda metà del Novecento, si sono sempre più dedicati alla metalogica. Gli interpreti antichi di Aristotele, come Alessandro di Afrodisia, prestano più attenzione al sistema logico elaborato dallo Stagirita227; fra i 226
Cfr. ad esempio Bochenski [1956]. La cosiddetta parte metateorica degli Analitici Primi (cioè i capitoli 23-46) occupa 163 pagine dell’edizione Wallies [1883], con una media di circa 6,6 pagine per capitolo: una quantità decisamente inferiore alle 20 pagine dedicate in media ai capitoli sulla sillogistica categorica e alle 9
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158 Luca Gili sistemi logici che compaiono negli Analitici Primi, la sillogistica categorica è quello che occupa per più spazio l’analisi del nostro commentatore. In questa sezione cercheremo di individuare i temi che interessano maggiormente Alessandro e di evidenziare l’originalità della sua interpretazione rispetto allo sfondo intellettuale in cui egli si trovò ad operare e con cui si confrontò. 6.2.1 La prima figura Aristotele apre il capitolo A, 4 degli Analitici Primi con queste parole: Diwrismšnwn d8 toÚtwn lšgwmen ½dh di¦ t…nwn kaˆ pÒte kaˆ pîj g…netai p©j sullogismÒj· Ûsteron d8 lektšon perˆ ¢pode…xewj (Anal. Pr. A, 4, 25 b2628). Alessandro considera questa frase essenziale per comprendere la struttura che governa la disposizione della materia trattata negli Analitici: come abbiamo visto, la trattazione della sillogistica è vista come una premessa per la trattazione della dimostrazione, che sarà affrontata negli Analitici Posteriori (Ûsteron d8 lektšon perˆ ¢pode…xewj; cfr. in Anal. Pr. p. 42, ll. 17-31). I capitoli precedenti (Anal. Pr. A, 1-3) a loro volta sono ritenuti delle questioni preliminari alla trattazione della sillogistica, che inizia con queste righe. Aristotele, riguardo alla formazione di ogni deduzione sillogistica, vuole discutere i mezzi mediante i quali essa avviene (di¦ t…nwn), e quando (pÒte) e come (pîj) essa avviene. Alessandro identifica i mezzi con le premesse, il “quando” con le combinazioni e le figure entro cui le connessioni di premesse sono classificate, il “come” con i modi sillogistici all’interno di ciascuna figura228. È particolarmente interessante l’osservazione che Alessandro fa alla fine del proprio commento a questo lemma: Aristotele dice di pagine che Alessandro dedica in media a ciascun capitolo sulla sillogistica modale. Per uno studio della metateoria esposta negli Analitici Primi cfr. Lear [1980] e Boger [2004]. 228 Cfr. in Anal. Pr. p. 41, l. 33- p. 42, l. 17: 'EfexÁj to‹j proeirhmšnoij lšgein prot…qetai, ïn ›neken kaˆ perˆ ™ke…nwn epen, œsti d8 tÕ di¦ t…nwn oƒ sullogismoˆ g…nontai, Óti di¦ prot£sewn. ™peˆ d8 di¦ poi©j prot£sewn sunqšsewj oƒ sullogismoˆ g…nontai, di¦ toàto prosšqhke tù di¦ t…nwn tÒ te pÒte kaˆ pîj shmantik¦ Ônta tÕ m8n pÒte tîn te suzugiîn kaˆ tîn schm£twn, Óti kat¦ Óron tin¦ de‹ koinwne‹n t¦j prot£seij, ™n oŒj sc»masi kaˆ ™n aŒj suzug…aij oƒ sullogismo…, kaˆ œti tÁj tîn prot£sewn poiÒthtoj· oÙ g¦r ™k pasîn suntiqemšnwn prot£sewn g…nontai sullogismo…· oÜte g¦r ™k dÚo ¢pofatikîn oÜte ™k dÚo ™pˆ mšrouj, æj de…xei· tÕ d8 pîj tîn kaq' ›kaston schm£twn suzugiîn kaˆ trÒpwn sullogismîn ™sti dhlwtikÒn· kaˆ g¦r e„ ™k tîn prot£sewn g…netai sullogismÒj, oÙc Ðpwsoàn suntiqemšnwn g…netai, ¢ll’™n t£xei tÍ o„ke…v· di£ te g¦r prot£sewn oƒ sullogismoˆ poiîn kaˆ ™n sc»masin, oŒj ™re‹, kaˆ ™n toÚtoij kat¦ poi¦n tîn prot£sewn prÕj ¢ll»laj sumplok»n· kaq' ›kaston g¦r scÁma kaˆ ¢sullÒgistoi kaˆ sullogistika… e„si suzug…ai par¦ t¾n poi¦n tîn prot£sewn sÚnqesin. di¦ t…nwn m8n oân; di¦ g¦r prot£sewn. pÒte d8 kaˆ pîj; ™k g¦r toiînde prot£sewn kaˆ oÛtw sunteqeisîn, æj enai tÕ m8n pÒte toà toiaÚtaj de‹n lamb£nesqai tÕ d8 pîj tÁj toi©sde sunqšsewj dhlwtikÒn.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 159 condurre la propria ricerca intorno alla formazione di ogni sillogismo (p©j sullogismÒj), ma, osserva Alessandro, la trattazione che segue è in verità relativa ai soli sillogismo categorici, non a quelle ipotetici. I sillogismi ipotetici sono affrontati da Alessandro nel commento ad Anal. Pr. A, 44 e sono in buona parte una aggiunta di contenuto al testo commentato: Aristotele non dà mai una trattazione sistematica della sillogistica ipotetica, che fu invece molto probabilmente un contributo originale di Teofrasto e di Eudemo. Alessandro ne era probabilmente consapevole, perché osserva prudentemente che ai suoi tempi non era in circolazione alcun libro di Aristotele sui sillogismi ipotetici. Il riferimento che lo Stagirita fa ai molti altri sillogismi che pervengono alla loro conclusione sulla base di una ipotesi (polloˆ d8 kaˆ ›teroi pera…nontai ™x Øpoqšsewj, Anal. Pr. A, 44, 50 a39), induce il commentatore di Afrodisia a credere che il filosofo abbia effettivamente voluto trattare l’argomento, che conosceva certamente; ma non si poteva stabilire se lo avesse effettivamente fatto (cfr. in Anal. Pr. p. 389, l. 31-p. 390, l. 9 = FHS&G 111E = Eudemus, fr. 6 Wehrli)229. Per ricostruire il tema della sillogistica ipotetica, Alessandro doveva affidarsi agli Analitici di Teofrasto, agli scritti di Eudemo e alle opere degli altri “compagni” di Aristotele (QeÒfrastoj d’aÙtîn ™n to‹j „d…oij 'Analutiko‹j mnhmoneÚei, ¢ll¦ kaˆ EÜdhmoj ka… tinej ¥lloi tîn ˜ta…rwn aÙtoà, in Anal. Pr. p. 390, ll. 2-3)230. Questo dato testimonia con particolare evidenza il notevole affidamento che Alessandro doveva riporre sulla fedeltà di questi primi peripatetici alla dottrina dello Stagirita, ma è d’altra parte la spia della attenzione del commentatore di Afrodisia alla lettera degli Analitici Primi, perché si premura di dire che Aristotele non ha trattato in questa opera la sillogistica ipotetica, né è dato sapere se l’abbia fatto altrove. Commentando Anal. Pr. A, 4 Alessandro suggerisce già una soluzione al problema che proporrà poi successivamente nel lemma a Anal. Pr. A, 44, 50 a39: Aristotele non avrebbe trattato negli Analitici Primi la sillogistica ipotetica, perché 229
Giovanni Filopono osserva in proposito che Aristotele non ha mai scritto nulla sul tema delle deduzioni sillogistiche ipotetiche, perché si è occupato soltanto della sillogistica categorica, dato che essa costituisce la parte più utile della logica in contesto scientifico (cfr. Phil. in Anal. Pr. p. 242, ll. 14-16: 'Epeid¾ d8 Ð m8n 'Aristotšlhj tosoàton e„pën perˆ tîn Øpoqetikîn ™paÚsato kaˆ oÙd8n ¹m©j perˆ aÙtîn ™d…daxen, ¢ll¦ t¾n p©san spoud¾n perˆ toà kathgorikoà sullogismoà ™poi»sato, ¤te d¾ toÚtwn m8n tele…wn …). 230 L’identità di questi “compagni” di Aristotele non è certa. Se il termine ˜ta…rwn è inteso come “successori” (M. Mignucci), potremmo supporre che il riferimento di Alessandro sia a peripatetici come Boeto di Sidone; di questi peripatetici Galeno riporta che discussero la relazione tra le inferenze ipotetiche e la sillogistica categorica (cfr. Gal., Inst. Log. VII, 2). Contrario a questa identificazione è Jonathan Barnes, il quale pensa che Alessandro si riferisca ad altri peripatetici del primo periodo di esistenza del Liceo (cfr. Barnes [1985], pp. 559-560). Dato il significato usuale del termine e in mancanza di altri riscontri, è sicuramente preferibile la proposta di Barnes rispetto a quella di Mignucci.
160 Luca Gili solo le inferenze che stabiliscono un nesso predicativo fra i termini possono essere considerate in senso proprio deduzioni sillogistiche, dato che le inferenze ipotetiche non deducono ciò che deve essere dimostrato (cfr. in Anal. Pr. p. 42, ll. 26-30: prosšqhke d8 tÕ p©j sullogismÕj ka…toi perˆ tîn kathgorikîn mÒnwn poioÚmenoj tÕn lÒgon, Óti mÒnouj toÚtouj ¹ge‹tai kur…wj enai sullogismo…Új, æj kaˆ proiën de…xei· tîn g¦r ™x Øpoqšsewj oÙdšna tÕ proke…menon sullog…zesqai). Dato che l’inferire qualcosa di diverso (rispetto alle premesse poste) definisce la deduzione sillogistica in senso proprio (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b18-20), la deduzione ipotetica non può essere considerata sillogistica in senso proprio secondo il commentatore di Afrodisia. Credo che nella affermazione di Alessandro circa lo statuto dei sillogismi ipotetici, che sembra avere come obiettivo polemico la logica proposizionale stoica prima ancora della sillogistica ipotetica di Teofrasto e di Eudemo, siano all’opera due elementi. A) Il primo riguarda il dibattito sulla utilità, in sede scientifica, della logica, che all’epoca di Alessandro doveva essere molto vivace231. Questa osservazione di Alessandro infatti sembra escludere che i 231
Si veda ad esempio Galeno, Inst. Log. XIX, 1, ll. 1-5: 'Epeˆ d8 kaˆ tîn kat¦ prÒslhyin Ñnomazomšnwn sullogismîn oƒ ™k toà Perip£tou gegr£fasin æj crhs…mwn, ™moˆ d8 perittoˆ dokoàsin enai kaqÒti dšdeikta… moi k¢n tÍ Perˆ tÁj ¢pode…xewj pragmate…v, prosÁkon e‡h ¥n ti kaˆ perˆ toÚtwn e„pe‹n. Galeno sta introducendo, nel proprio manuale di logica, la trattazione delle deduzioni sillogistiche “kat¦ prÒslhyin”, che erano trattate e discusse dai Peripatetici (da fonti parallele, come in Anal. Pr. p. 378, ll. 12-23 = FHS&G 110A, sappiamo che ad aver introdotto questo tipo di sillogismi fu Teofrasto). È utile notare che Galeno rimanda alla propria opera, per noi perduta, Perˆ tÁj ¢pode…xewj, nella quale discuteva la utilità dei tipi di deduzione sillogistica, concludendo che i sillogismi “kat¦ prÒslhyin” erano superflui (™moˆ d8 perittoˆ dokoàsin enai). Il Perˆ tÁj ¢pode…xewj doveva essere verosimilmente dedicato alle strutture dimostrative usate in contesto scientifico (per quest’opera di Galeno cfr. la ricostruzione operata in Mueller [1897]; una ricostruzione alternativa si trova in Chiaradonna [2008 c]; una indagine sulla posizione di Galeno in merito al metodo scientifico, quale emerge da PHP, si trova in Tieleman [1996], pp. 8-37; sul metodo della scuola metodica di medicina cfr. il classico lavoro di M. Frede, in Frede [1987], pp. 261-278). Ciò non implica tuttavia necessariamente che secondo Galeno i sillogismi proslettici siano superflui perché “inutili” in sede scientifica; è più semplice infatti pensare che siano ritenuti tali, perché considerati equivalenti ai sillogismi categorici standard. Alessandro sembra qui porsi una domanda analoga riguardo all’utilità dei sillogismi ipotetici e conclude che è giusto averli omessi, dato che non inferiscono qualcosa di diverso rispetto a ciò che era già presente nelle premesse. Questa osservazione sembra implicare che le inferenze ipotetiche siano inutili in ambito scientifico, data la struttura che Alessandro ritiene che leghi gli Analitici Primi ai Posteriori: poiché ogni dimostrazione è una certa deduzione sillogistica, la trattazione della sillogistica dovrà precedere quella delle dimostrazioni (cfr. in Anal. Pr. p. 6, l. 13-p. 8, l. 2). Di conseguenza, le dimostrazioni utili in sede scientifica dovranno essere scelte solo all’interno delle deduzioni sillogistiche in senso proprio (kur…wj), cioè fra i sillogismi che stabiliscono un nesso predicativo. E i sillogismi ipotetici, come si è detto, non stabiliscono un nesso predicativo nuovo tra due termini prima scollegati.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 161 sillogismi ipotetici siano di una qualche utilità in contesto scientifico e ciò giustificherebbe implicitamente la scelta di Aristotele di non affrontarli negli Analitici Primi. B) Bisogna poi considerare l’economia generale del trattato. Alessandro legge gli Analitici Primi come propedeutici alla trattazione svolta nei Posteriori. Quindi la trattazione sarà relativa al “sillogismo”, che costituisce quasi il genere delle “dimostrazioni”, che sono sillogismi con premesse che presentano particolari caratteristiche. La spiegazione del genere deve sempre precedere quella delle sue specie; e questa è la ragione per cui gli Analitici Primi precedono i Posteriori; e sempre questa è la ragione per cui Aristotele, secondo Alessandro, dedica una minore attenzione ai sillogismi ipotetici. Anche se accenna ad essi in Anal. Pr. A, 44, evita di affrontarli in modo dettagliato; ciò ha indotto Alessandro a pensare che probabilmente lo Stagirita conosceva anche la sillogistica ipotetica, esposta in modo particolareggiato nei trattati di Teofrasto e di Eudemo (cfr. in Anal. Pr. p. 389, l. 31- p. 390, l. 9), sebbene effettivamente non ne parli negli Analitici Primi. Alessandro riproporrà, nel commento ad Anal. Pr. A, 44, la stessa ragione che avanza commentando Anal. Pr. A, 4: i sillogismi ipotetici non inferiscono alcunché di nuovo rispetto alle premesse poste e ciò che deducono non è ciò che si intendeva dimostrare (tîn g¦r ™x Øpoqšsewj oÙdšna tÕ proke…menon sullog…zesqai)232.
232
Si vedano i due brani del commento di Alessandro a questi capitoli, che presuppongono evidentemente che quando il commentatore di Afrodisia stendeva il commento ad Anal. Pr. A, 4, 25 b28-31 aveva in mente le osservazioni dello Stagirita riguardo ai sillogismi ipotetici, svolte in Anal. Pr. A, 44, come testimonia anche il commento alessandrista a quest’ultimo passo: Alessandro di Afrodisia, in Aristotele, Anal. Pr. A, 44, 50 Alessandro di Afrodisia, in Anal. Pr. p. 42, ll. 27-31 a16-19 Anal. Pr. p. 386, ll. 5-8, ll. 1013
162 Luca Gili Con il commento al lemma A, 4, 25 b32-33, Alessandro inizia propriamente la spiegazione della trattazione aristotelica della prima figura categorica. Tuttavia, prima di intraprendere la spiegazione letterale del testo di Aristotele, Alessandro ritiene opportuna un’ampia introduzione al tema del “sillogismo” in generale (cfr. in Anal. Pr. p. 43, l. 3-p. 51, l. 32). La prima cosa che occorre specificare è il concetto generico sotto il quale il “sillogismo” è compreso, ed Alessandro osserva che tale concetto generico è la “p…stij”, ovvero un “argomento” o “giustificazione” in senso lato233. L’uso del termine “p…stij” con questo significato si incontra nei Topici di Aristotele, in cui si afferma che esiste una particolare “p…stij”, che è quella ottenuta mediante la deduzione sillogistica (cfr. Arist., Top. A, 8, 103 b6-7: ¥llh d8 p…stij ¹ di¦ sullogismo…à), un’altra che è ottenuta mediante l’induzione (cfr. Arist., Top. A, 8, 103 b3: m…a m8n p…stij ¹ di¦ tÁj ™pagwgÁj). Nella Retorica lo Stagirita aggiunge che la “p…stij” è un certo tipo di dimostrazione, perché noi siamo maggiormente portati a credere una cosa quando ne conosciamo la dimostrazione (cfr. Arist., Rhet. A, 1, 1355 a4-6: ¹ d8 p…stij Fhs…n, Óti toÝj ™x Øpoqšsewj deiknÚntaj ti lÒgouj oÙ cr¾ peir©sqai ¢nalÚein kaˆ ¢n£gein e„j t¦ sc»mata· oÙ d8 g¦r oŒÒn tš ™stin ™k tîn keimšnwn kaˆ e„lhmmšnwn ¢n£lusin aÙtîn kaˆ ¢nagwg¾n e‡j ti tîn schm£twn poi»sasqai ™n p©si g¦r to‹j ™x Øpoqšsewj oÙ toà tiqemšnou kaˆ deiknumšnou Ð sullogismÕj g…netai, ¢ll¦ toàto m8n di£ tinoj Øpoqšseèj te kaˆ sunq»khj lamb£netai, Ð d8 sullogismÕj prÕj ¥llo ti kaˆ ¥llou tinÕj g…netai Mentre nel Proemio Alessandro afferma che le deduzioni sillogistiche in senso proprio sono quelle categoriche, “come dimostrerà proseguendo” (æj kaˆ proiën de…xei). Anal. Pr. A, 44 contengono molto probabilmente la dimostrazione a cui Alessandro fa riferimento: i sillogismi ipotetici non possono essere ridotti, infatti, alle figure sillogistiche. Questo è il motivo per cui, propriamente, non possono essere considerati sillogismi. I sillogismi ipotetici non inferiscono direttamente ciò che si intende dimostrare, che è invece ottenuto sulla base di un accordo. 233 Barnes-Bobzien-Flannery-Ierodiakonou [1990] traducono “justification”. Mi sembra corretta la scelta dei traduttori in lingua inglese, che evitano il campo semantico di “fede, credenza” che pure rientra tra i significati possibili di “p…stij”, per la traduzione del termine nel contesto nel quale lo usa Alessandro. prosšqhke d8 tÕ p©j sullogismÕj ka…toi perˆ tîn kathgorikîn mÒnwn poioÚmenoj tÕn lÒgon, Óti mÒnouj toÚtouj ¹ge‹tai kur…wj enai sullogismoÚj, æj kaˆ proiën de…xei· tîn g¦r ™x Øpoqšsewj oÙdšna tÕ proke…menon sullog…zesqai.
”Eti d8 toÝj ™x Øpoqšsewj sullogismoÝj oÙ peiratšon ¢n£gein· oÙ g¦r œstin ™k tîn keimšnwn ¢n£gein. oÙ g¦r di¦ sullogismoà dedeigmšnoi e„s…n, ¢ll¦ di¦ sunq»khj æmologhmšnoi p£ntej.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 163 ¢pÒdeix…j tij (tÒte g¦r pisteÚomen m£lista Ótan ¢podede‹cqai Øpol£bwmen); cfr. anche Anal. Pr. B, 16, 64 b32-33: ¹ g¦r ¢pÒdeixij ™k pistotšrwn te kaˆ protšrwn ™st…n). Sono “p…steij” retoriche l’esempio e l’entimema, mentre le “p…steij” logiche sono la induzione e la deduzione sillogistica (cfr. Arist., Rhet. A, 2, 1356 b6-11: p£ntej d8 t¦j p…steij poioàntai di¦ toà deiknÚnai À parade…gmata lšgontej À ™nqum»mata, kaˆ par¦ taàta oÙdšn· ést’ e‡per kaˆ Ólwj ¢n£gkh À sullogizÒmenon À ™p£gonta deiknÚnai Ðtioàn [À Ðntinoàn] (dÁlon d’ ¹m‹n toàto ™k tîn 'Analutikîn), ¢nagka‹on ˜k£teron aÙtîn ˜katšrJ toÚtwn tÕ aÙtÕ enai)234. Riguardo alle ultime due “p…steij” lo Stagirita rimanda ai propri Analitici: il riferimento è chiaro per ciò che riguarda il sillogismo, che effettivamente è l’oggetto degli Analitici Primi; l’induzione invece è trattata in Anal. Pr. B, 23, dove si dice che è un certo tipo di sillogismo (cfr. Anal. Pr. B, 23, 68 b15-16: 'Epagwg¾ m8n oân ™sti kaˆ Ð ™x ™pagwgÁj sullogismÕj)235. È evidente che Alessandro ha in mente questa classificazione delle “p…steij”, delineata con una certa chiarezza dallo Stagirita, quando compone il proprio commento ai Topici. Commentando gli Analitici Primi, il commentatore di Afrodisia specifica che le “p…steij” propriamente sono il sillogismo e l’induzione (a‰ mÒnai kur…wj p…steij ™n lÒgoij); mentre l’entimema si avvicina al sillogismo (è infatti un sillogismo
234
Sulla logica sviluppata nella Retorica e in particolare sull’entimema si veda l’importante articolo di Myles Burnyeat Burnyeat [1996]. 235 Nel libro B degli Analitici Primi Aristotele tratta il sullogismÒj in generale come il genere entro cui cadono sia l’induzione (cfr. Anal. Pr. B, 23), sia l’esempio (cfr. Anal. Pr. B, 24), sia l’entimema (cfr. Anal. Pr. B, 27; su quest’ultimo testo si veda in particolare Burnyeat [1982]). Questa impostazione sembra contraddire quella che emerge dalla Retorica, che, per questa dottrina, costituisce il punto di partenza per Alessandro. Secondo la sua interpretazione infatti il genere comune è appunto la “p…stij”. Non sappiamo come egli risolvesse questa indubbia tensione fra i testi aristotelici, dato che il commento ad Anal. Pr. B è perduto. Si può però ipotizzare che proprio a questi capitoli Alessandro faccia riferimento commentando Top. A, 8, in cui lo Stagirita afferma che le argomentazioni dialettiche principali sono l’induzione e la deduzione. Affiancando ad esse, nel commento, l’esempio e l’entimema, Alessandro afferma di seguire una dottrina difesa anche “in altri scritti” dello Stagirita. Maximilien Wallies, in apparato, rimanda ad Anal. Pr. B, 23-24 (cfr. in Anal. Pr. p. 62, apparato alla linea 12). Questa ipotesi è naturalmente plausibile, anche se trovo assai più convincente un riferimento alla Retorica (cfr. in particolare Rhet. A, 2, 1356 b6-11). Alessandro infatti è consapevole che Aristotele in Anal. Pr. B, 24 tende a distinguere l’esempio dall’induzione (cfr. in particolare Wallies [1891], p. 532, ll. 23-24: “Oti tÕ par£deigma tÁj ™pagwgÁj ¥llo, kaˆ ™n tÍ 'AnalutikÍ e‡rhtai; il riferimento del peripatetico di Afrodisia in questo caso non può che essere infatti ad Anal. Pr. B, 24). Il fatto che nel commento ai Topici, pur tenendo presente la discordante dottrina di Anal. Pr. B, Alessandro segua il paradigma classificatorio che ritroviamo nella Retorica induce a ritenere molto plausibile che anche nel proprio commento perduto ad Anal. Pr. B il commentatore abbia scelto questa linea esegetica.
164 Luca Gili impiegato dai retori), l’esempio si avvicina alla induzione236. È in questo quadro che va collocato l’excursus sulla “p…stij” nel commento ad Anal. Pr. A, 4: molto probabilmente il riferimento, che lo Stagirita fa in Retorica, A, 2, 1356 b10 agli Analitici, dovette indurre il commentatore di Afrodisia a ritenere opportuna la introduzione della “p…stij” nel corso del commento agli Analitici Primi, sebbene in quest’opera il termine occorra solo tre volte (in Anal. Pr. B, 23, 68 b12, introducendo la trattazione delle inferenze non sillogistiche in generale e in Anal. Pr. B, 24, 69 a4 e 69 a12, nel contesto della spiegazione dell’ “esempio”). La collocazione di questo excursus all’inizio del commento ad Anal. Pr. A, 4 sembra tuttavia fare difficoltà. La ricerca del concetto generico entro cui cade il “sillogismo” sembra più appropriata alla sezione del commento di Alessandro dedicata ad Anal. Pr. A, 1, 24 b18-20, al passo cioè in cui lo Stagirita aveva fornito la propria definizione di “sillogismo”. La scelta del commentatore di Afrodisia può essere motivata dal fatto che Aristotele aveva effettivamente proposto – almeno implicitamente – un “genere” (e non una nozione generica, come quella che qui si discute) entro cui collocare il sillogismo: questo era il lÒgoj (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b18-20). Alessandro aveva seguito ed ampliato questa nozione nel proprio commento della definizione di sillogismo (cfr. in Anal. Pr. p. 16, l. 19-p. 20, l. 29). C’è tuttavia anche una ragione meno estrinseca per introdurre questa discussione sulla nozione generica entro cui il sillogismo si situa, proprio in questo punto, in corrispondenza di Anal. Pr. A, 4: con questo excursus, Alessandro vuole suggerire una interpretazione della sillogistica, che Aristotele descrive proprio a partire da Anal. Pr. A, 4, come logica delle relazioni fra tutto e parti. Recentemente la interpretazione “mereologica” delle inferenze sillogistiche, analoga a quella che Alessandro sembra proporre in questa discussione preliminare, ha incontrato un notevole favore da parte della letteratura critica237. Già David Ross aveva sottolineato che i sillogismi perfetti di prima figura, a cui sono riconducibili tutti i 236
Cfr. Wallies [1891], p. 62, ll. 6-13: t¾n d8 de‹xin poie‹tai di£ te ™pagwgÁj kaˆ sullogismoà, a‰ mÒnai kur…wj p…steij ™n lÒgoij· kaˆ g¦r kaˆ tÕ par£deigma p…stij ×n kaˆ aÙtÕ tÍ ™pagwgÍ sunt£ssetai (lšgetai g¦r ™pagwg¾ ·htorik»), kaˆ tÕ ™nqÚmhma kaˆ aÙtÕ p…stij ×n tù sullogismù (œsti g¦r kaˆ toàto ·htorikÕj sullogismÒj), ˜k£teron aÙtîn ¢fVrhmšnon tÕ tšleion kaˆ tÕ ¡plîj enai toioàton ™f' ú ™sti, di¦ t¾n e„j tÕ œlatton sustol»n, æj dÁlÒn ™stin ™k tîn perˆ aÙtîn ™n ¥lloij e„rhmšnwn. 237 Cfr. in particolare Mignucci [1996], pp. 4-5; Malink [2006], pp. 106-108 e [2008], pp. 521-523; Barnes [2007], pp. 406-412 (a p. 406, n. 57 Barnes afferma che tale interpretazione, in cui egli fatica a riconoscersi e che denomina “heterodox version” dell’ “esser detto di tutti”, gli è stata suggerita da alcune osservazioni di Michael Frede). Fra i commentatori a noi più lontani si può annoverare Heinrich Maier, che era favorevole alla lettura “mereologica” del dictum (cfr. Maier [1896-1900], vol. II, 1, p. 13, n. 1). Più favorevole ad una interpretazione alternativa, che non ammette la equivalenza fra enunciati standard ed enunciati proslettici, sembra essere Jonathan Barnes (cfr. Barnes [2007], in particolare pp. 386-392).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 165 sillogismi imperfetti, sono conseguenze derivabili dal principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj”238 . E, in una certa misura, tutti gli interpreti sono concordi nel dire che la sillogistica si fondi in qualche misura sui dicta. La interpretazione mereologica è una delle possibili interpretazioni di questa fondazione della sillogistica; ma ha l’apprezzabile vantaggio di non fare ricorso alla quantificazione su individui per “spiegare” i dicta. Una evidenza testuale a favore di tale interpretazione è costituita dal fatto che Aristotele aveva formulato il dictum facendo riferimento anche alla relazione “essere in un intero”: tÕ d8 ™n ÓlJ enai ›teron ˜tšrJ kaˆ tÕ kat¦ pantÕj kathgore‹sqai qatšrou q£teron taÙtÒn ™stin. lšgomen d8 tÕ kat¦ pantÕj kathgore‹sqai Ótan mhd8n Ï labe‹n tîn toà Øpokeimšnou kaq’oá q£teron oÙ lecq»setai· kaˆ tÕ kat¦ mhdenÕj æsaÚtwj (Anal. Pr. A, 1, 24 b26-30). È quindi plausibile pensare che la relazione “™n ÓlJ enai ›teron ˜tšrJ” e la corrispondente “™n ÓlJ m¾ enai tÒde tùde” (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 a13-14) siano a fondamento della sillogistica239 . Questa impostazione “mereologica” era probabilmente al centro della lettura della sillogistica fornita da Teofrasto. Averroè, nelle sue Quaestiones, ci informa che una proposizione come “Ogni B è A” era inteso da Teofrasto come equivalente alla proposizione “Ogni parte di B è A” (cfr. FHS&G 105)240. Non sorprende quindi che anche Alessandro nel corso del proprio commento faccia riferimento alla relazione tutto/parti per specificare le varie accezioni del termine “p…stij”, nozione entro cui 238
Cfr. Ross [1949]. Questo punto è stato poi illustrato particolarmente da Rose [1968], pp. 168-170; Patterson [1993]. 239 Naturalmente tale tesi presuppone la accettazione della lettura mereologica dei dicta; infatti queste relazioni di “essere in un intero” e di “non essere in un intero” possono essere considerate il fondamento della sillogistica tanto quanto i dicta; tuttavia questi ultimi sono suscettibili anche di una interpretazione non mereologica. 240 Cfr. in particolare Averroè, Quaestiones, V, p. 137 ‘Alawi: ب >ف miste fra Aristotele e i suoi compagni” (cfr. in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31: e‡rhtai g¦r ¹m‹n ™n to‹j Perˆ tÁj kat¦ t¦j m…xeij diafor©j 'Aristotšlouj te kaˆ tîn ˜ta…rwn aÙtoà gegrammšnoij), le cui conclusioni sono compendiate nel commento. Il testo di questo trattato è per noi perduto in greco, ma è possibile ricostruirne, in qualche misura, il contenuto309. Bisogna iniziare con l’osservare che il titolo di quest’opera, a cui ci si riferisce abitualmente con l’abbreviazione Perˆ m…xewn, non è certo, come non lo è la sua estensione310 . Alessandro infatti riporta in questo passo un titolo che poi non occorre, in questa formulazione, in nessun’altra delle opere pervenuteci del commentatore di Afrodisia. Esiste un’altra menzione di questo trattato, che è sostanzialmente equivalente, sempre nel commento agli Analitici Primi: Alessandro ci informa che, come ha già ricordato (e il riferimento deve necessariamente essere a in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31), ha parlato più diffusamente del tema delle deduzioni sillogistiche con premesse miste in un altro trattato (cfr. in Anal. Pr. p. 249, l. 38-p. 250, l. 1: kaˆ ™pˆ plšon e‡rhtai ™n tù Perˆ tÁj kat¦ t¦j m…xeij diafwn…aj 'Aristotšlouj kaˆ tîn ˜ta…rwn aÙtoà, æj ½dh proe‹pon). La differenza fra questi due titoli è in effetti insignificante311 e possiamo pensare che Alessandro si riferisca alla medesima opera. Più spesso il commentatore di Afrodisia si riferisce alla propria opera con l’abbreviazione Perˆ 309
Flannery [1995], pp. 53-108 è una accurata selezione delle informazioni in nostro possesso, che sono sottoposte ad una intelligente analisi. 310 Sono infatti menzionati, nelle opere di Alessandro, due titoli, leggermente differenti, che sembrano riferirsi ai sillogismi con premesse miste (cfr. in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31 e p. 249, l. 38p. 250, l. 1). Flannery [1995], p. 55, n. 8 sostiene, fondandosi sulla testimonianza di Giovanni Filopono, che l’opera dovesse essere costituita da un solo libro e che le differenze dei titoli riferiti da Alessandro sono soltanto stilistiche, ma che indicano una stessa opera. Questa supposizione è plausibile e può essere corroborata di buoni argomenti, come è mia intenzione fare in queste pagine, ma in mancanza del trattato nella sua integralità è una congettura destinata a rimanere tale. 311 Cfr. al proposito Volait [1907], p. 84-85, n. 1: „Die Abweichungen in der Titelangabe: diafor©j statt diafwn…aj, 'Aristotšlouj te kaˆ… statt 'A. kaˆ… sind unerheblich). Dass sie mit der S. 238, 37-38 erwähnten Abhandlung Perì tîn mìxewn eins ist, wird von Alexander selbst bestätigt (S. 249, 37- S. 250, 1)“.
224 Luca Gili m…xewn312. Probabilmente relativi allo stesso argomento erano gli “Scolii logici” (SkÕlia logik£) che tuttavia Alessandro distingue dal suo scritto Perˆ m…xewn (cfr. in Anal. Pr. p. 250, ll. 1-2)313. Può sembrare problematico invece stabilire l’estensione dello scritto: Giovanni Filopono ci informa che constava di un solo libro uno scritto di Alessandro, in cui si affrontano sillogismi che hanno una conclusione necessaria ex hypothesi (cfr. Phil. In Anal. Pr. p. 126, l. 20-23: kaˆ Ð 'Alšxandroj d8 Ð toà filosÒfou ™xhght»j fhsin œn tini monob…blJ kaˆ tÕn aØtoà did£skalon Swsigšnhn taÚthj enai tÁj dÒxhj, æj Óti tÕ ™x Øpoqšsewj ¢nagka‹on sun£gei ™ntaàqa Ð 'Aristotšlhj). Kevin Flannery ricava da questo vago accenno di Giovanni Filopono la conclusione secondo la quale il trattato di Alessandro Perˆ m…xewn era effettivamente di un solo libro314. Se si considera il titolo che Alessandro riporta a in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31, il riferimento a ™n to‹j … gegrammšnoij potrebbe lasciare supporre che si tratti di un’opera in più libri, se il participio gegrammšnoij avesse come riferimento implicito il termine bibl…oij. Tuttavia nella seconda menzione del titolo il commentatore di Afrodisia sembra indicare che la sua opera è di un solo libro (cfr. in Anal. Pr. p. 249, l. 38-p. 250, l. 1: ™n tù Perˆ tÁj kat¦ t¦j m…xeij diafor©j … ). Questa contraddizione potrebbe indurre a credere che Alessandro si riferisca a due opere distinte, ma contro questa ipotesi bisogna osservare il 312
Cfr. in Anal. Pr. p. 207, ll. 35-36, p. 213, ll. 26-27, p. 238, ll. 37-38. Zeller tendeva ad escludere che Alessandro di Afrodisia avesse scritto due trattati monografici sui sillogismi con premesse miste e considerava la frase “™pˆ plšon d8 e‡rhtai perˆ aÙtoà moi ™n to‹j Scol…oij to‹j logiko‹j” (in Anal. Pr. p. 250, ll. 1-2) uno scolio aggiunto nel margine del manoscritto che starebbe alla base dell’intera tradizione a cui appartengono i manoscritti pervenutici e poi erroneamente trasposto nel corpo del testo; i manoscritti censiti da Wallies attestano infatti concordi questa frase (cfr. Zeller [1923], p. 820, n. 2). Sul problema cfr. anche Sharples [1987], p. 1196 (K. Flannery pare non prendere posizione sulla proposta di Zeller, ma il non aver considerato il trattato SkÕlia logik£ come fonte dottrinale del pensiero di Alessandro sui sillogismi misti sembra indurre a credere che lo studioso iralndese ritenga corretta la congettura di Zeller: cfr. Flannery [1995], p. 55-56). A mio parere la congettura di Zeller è assai difficile da giustificare. Si può infatti concedere che un solo manoscritto sia alla base della tradizione a cui appartengono tutti i manoscritti su cui si fonda l’edizione di Wallies e che questo manoscritto contenesse, nel corpo del testo, note a margine dell’antigrafo che non era stato letto correttamente dal copista. Ciò che è problematico è tuttavia il pronome “moi”, con il quale chiaramente Alessandro attribuisce a se stesso la paternità dello scritto SkÕlia logik£ e che nessun glossatore avrebbe potuto scrivere. Ci saremmo infatti aspettati che una eventuale glossa dicesse “™pˆ plšon d8 e‡rhtai perˆ aÙtoà ™n to‹j Scol…oij to‹j logiko‹j”. Tuttavia, dato che anche gli SkÕlia logik£ sono perduti e la nostra conoscenza di essi si limita a questa menzione, pur non accogliendo la ipotesi di Zeller non progrediamo nella conoscenza del pensiero di Alessandro di Afrodisia riguardo ai sillogismi misti. L’unica conclusione che viene rafforzata dal nostro ragionamento è che questo tema doveva essere ritenuto particolarmente importante dal commentatore di Afrodisia. 314 Cfr. Flannery [1995], p. 55, n. 8. 313
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 225 rimando æj ½dh proe‹pon (in Anal. Pr. p. 250, l. 1), che non può che riferirsi a in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31. Non si può escludere, se fosse valida la congettura di Zeller, che anche questo inciso, assieme alla frase seguente (“™pˆ plšon d8 e‡rhtai perˆ aÙtoà moi ™n to‹j Scol…oij to‹j logiko‹j”, in Anal. Pr. p. 250, ll. 1-2) fosse una glossa a margine finita nel corpo del testo per errore del copista. Ma come credo di avere mostrato, la ipotesi di Zeller è piuttosto fragile. La conclusione più probabile sembra quindi essere che Alessandro avesse scritto un trattato Perˆ m…xewn in un solo libro, come attesta egli stesso nel passo di in Anal. Pr. p. 249, l. 38-p. 250, l. 1, e nel brano in Anal. Pr. p. 125, ll. 30-31, o si riferisca al tempo stesso a quest’opera e agli SkÕlia logik£, oppure il participio gegrammšnoij non va concordato con un supposto bibl…oij. Credo quindi che l’ipotesi di Kevin Flannery di considerare il trattato come costituito da un solo libro sia corretta. Cerchiamo ora di esaminare il commento che l’esegeta di Afrodisia svolge riguardo a questo capitolo A, 9 degli Analitici Primi di Aristotele (che costituisce evidentemente la fonte più sicura per ricostruire la dottrina che Alessandro aveva proposto nel Perˆ m…xewn). La tesi di Aristotele, ci informa Alessandro, è difesa in modo piuttosto stringato nel commento, perché una esposizione più chiara ed estesa era demandata ai trattati autonomi sulle premesse miste: ciò conferma, d’altra parte, che sia il commento, che i trattati autonomi contenevano la medesima dottrina, sia pure proposta con un livello di dettaglio differente. Secondo Alessandro, Aristotele sostiene la validità di Barbara LXL ricorrendo al “kat¦ pantÒj”, o meglio al dictum riformulato per accogliere il “necessario”315. Le premesse sono infatti espresse in questo modo: a) A si predica di ogni B di necessità; b) B si predica di ogni C. Se B si predica di ogni C, tutto ciò che si predica necessariamente di ogni B, si predica necessariamente anche di ogni parte di B, cioè anche di C. Il “kat¦ pantÒj” categorico afferma infatti che non è possibile assumere alcun elemento del soggetto, di cui il predicato non si dica. Secondo il commentatore di Afrodisia, Aristotele introduce una estensione del principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” , 315 Cfr. in Anal. Pr. p. 125, l. 31-p. 126, l. 8: oŒj d8 'Aristotšlhj te ™cr»sato prÕj t¾n toà legomšnou p…stin kaˆ oŒj cr»saito ¥n tij parist£menoj tù tÕ legÒmenon Øp' aÙtoà Øgi8j enai, taàta paraqhsÒmeqa. aÙtÕj m8n oân ™cr»sato tù kat¦ pantÒj. ™peˆ g¦r tÕ A kat¦ pantÕj toà B ™x ¢n£gkhj, tÕ d8 G ØpÕ tÕ B ™stˆ kaˆ tˆ toà B, e‡h ¨n kaˆ kat¦ toà G ™x ¢n£gkhj· Ö g¦r kat¦ pantÕj toà B ™x ¢n£gkhj, k¨n kat¦ tîn ØpÕ tÕ B ™x ¢n£gkhj kathgoro‹to, e‡ ge tÕ kat¦ pantÒj ™stin, “Ótan mhd8n Ï labe‹n toà Øpokeimšnou, kaq' oá tÕ kathgoroÚmenon oÙ ·hq»setai”· tÕ d8 G tˆ tîn B ™st…. kaˆ g¦r tÕ kat¦ pantÕj ™x ¢n£gkhj Ðmo…wj lamb£netai, æj proe‹pen ™pˆ tîn ¢nagka…wn e„pën “tÒ te g¦r sterhtikÕn æsaÚtwj ¢ntistršfei, kaˆ tÕ ™n ÓlJ enai kaˆ tÕ kat¦ pantÕj Ðmo…wj ¢pod8somen”.
226 Luca Gili che è capace di accogliere l’operatore “necessario” e di essere quindi applicato a proposizioni necessarie: Alessandro ritiene che Aristotele introduca una simile estensione del “kat¦ pantÒj”, quando afferma in Anal. Pr. A, 8, 30 a2-3 che “tÒ te g¦r sterhtikÕn æsaÚtwj ¢ntistršfei, kaˆ tÕ ™n ÓlJ enai kaˆ tÕ kat¦ pantÕj Ðmo…wj ¢pod8somen”. Probabilmente il nuovo “kat¦ pantÒj” del necessario, può essere formulato in questo modo: “se A si predica di ogni B di necessità, allora non è possibile assumere alcun elemento di B, di cui anche A non si dica necessariamente”. In questo modo Alessandro riesce a giustificare la affermazione di Aristotele e la lettura dell’operatore che sembra avanzare è, a quanto pare, de re. Ora, una proposizione universale affermativa categorica (“ogni B è A”, traducibile, nel linguaggio del calcolo dei predicati, come “∀x(B(x)→A(x))”) può essere riscritta, alla luce del “kat¦ pantÒj”, come una proposizione proslettica (“di ciò di cui B si dice “kat¦ pantÒj”, A si dice “kat¦ pantÒj””; ponendo che sia C l’elemento di cui B e A si dicono, questa proposizione può essere espressa, nel linguaggio del calcolo dei predicati, in questo modo: “∀x(C(x)→B(x))→ (C(x)→A(x))”). Allo stesso modo se una universale affermativa necessaria può essere riscritta, alla luce del nuovo “kat¦ pantÒj”, come una proposizione proslettica necessaria. La formalizzazione di questo enunciato ammette, da un punto di vista puramente sintattico, due possibilità di collocazione dell’operatore “necessario” ed entrambe sono de re: a) ∀x(C(x)→□B(x))→ (C(x)→□A(x)) b) ∀x(C(x)→B(x))→ (C(x)→□A(x)). Da queste due possibili formalizzazioni emerge che la premessa maggiore doveva essere letta da Alessandro di Afrodisia in due modi: a) ∀x(□B(x)→□A(x)) b) ∀x(B(x)→□A(x)). La prima di queste formalizzazioni della premessa maggiore è seguita anche da Mauro Mariani in una sua presentazione della sillogistica modale di Aristotele316. Il pregio di questa interpretazione del testo degli Analitici Primi è che, da un lato, essa sembra corrispondere alle intuizioni fondamentali di Aristotele riguardo alla teoria della predicazione e propone una lettura delle proposizioni necessarie simile a quella che Aristotele stesso propone esplicitamente per le proposizioni del 316
Cfr. Mariani [1990], pp. 65-66; Mariani [2005], in particolare pp. 152-154. Una lettura analoga delle proposizioni necessarie che compaiono come premesse sillogistiche si trova anche nei lavori di Ulrich Nortmann. Egli però legge un enunciato come “necessariamente ogni B è A” in questo modo: (a) ∀x(□B(x)→□(□A(x))), ovvero: (b) ∀x □(B(x)→□A(x)). Cfr. al riguardo Nortmann [1996], pp. 34-62.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 227 contingente317; dall’altro, riesce a validare Barbara LXL e rende possibili le leggi di conversione per le proposizioni del necessario esposte in Anal. Pr. A, 3318. Il difetto di questa interpretazione è che impone di pensare che la premessa minore categorica in Barbara LXL affermi che B si dice necessariamente si dice di tutto ciò di cui C si dice, altrimenti non è possibile validare questo sillogismo. Se invece si ammette la lettura b) della premessa maggiore, si profila la interpretazione che Albrecht Becker aveva presentato della sillogistica modale319. Questa interpretazione, leggendo le premesse come modalizzate de re, riesce a validare Barbara LXL e a invalidare Barbara XLL, ma non riesce a giustificare le leggi di conversione delle proposizioni necessarie. Per Becker, infatti, queste ultime erano valide solo con una lettura de dicto dell’operatore modale (lo studioso tedesco credeva per tale ragione che la sillogistica modale fosse inconsistente). Il testo di Alessandro non ci consente di stabilire se l’interpretazione che egli offrì di Aristotele sia compatibile con la prima o la seconda lettura della premessa maggiore che ho presentato. Infatti, quando parla della premessa minore di Barbara LXL, il commentatore di Afrodisia si limita ad osservare che C è uno dei B. Di conseguenza se, per la premessa maggiore, A si predica necessariamente di B, A si predicherà necessariamente anche degli elementi di B, cioè anche di C (Ö g¦r kat¦ pantÕj toà B ™x ¢n£gkhj, k¨n kat¦ tîn ØpÕ tÕ B ™x ¢n£gkhj kathgoro‹to: […] tÕ d8 G tˆ tîn B ™st…, in Anal. Pr. p. 126, ll. 3-6). Alessandro non sostiene però che ciò comporta che B si dica necessariamente di tutto ciò di cui C si dice; né sostiene che B non si dica necessariamente di tutto ciò di cui C si dice. Risulta perciò impossibile, sulla base del testo di Alessandro, stabilire se esista una unica formalizzazione che sia compatibile con la sua interpretazione e quale essa sia. Probabilmente è preferibile evitare di applicare la formalizzazione logico-matematica al suo commento a questo capitolo A, 9, perché essa evidenzia nel testo di Aristotele un problema che gli stessi interpreti contemporanei faticano a risolvere, dato che – alla luce di questa chiave interpretativa – sembrerebbe che lo Stagirita oscilli tra una lettura de dicto e una lettura de re degli operatori modali. Come è noto, infatti, la distinzione tra queste due letture – evidenziata con particolare forza dalla formalizzazione – si deve allo sviluppo medievale della 317
Cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 b23-37. In questo passo Aristotele afferma che una proposizione contingente (“A si dice contingentemente di B”) ammette due letture: (a) “A si dice contingentemente di tutto ciò di cui B si dice”; (b) “A si dice contingentemente di tutto ciò di cui B si dice contingentemente”. Se si ipotizza che l’operatore “necessario” si comporti allo stesso modo del “contingente”, la lettura che Mariani e, in qualche misura, Nortmann hanno fornito delle proposizioni necessarie acquista plausibilità, pur rimanendo congetturale. 318 Questo punto è stato sviluppato in particolare da Nortmann: cfr. Nortmann [1996], pp. 315-357. 319 Cfr. Becker [1933].
228 Luca Gili logica. Ma né in Aristotele, né negli autori tardoantichi come Alessandro questa distinzione è mai tematizzata e, se è possibile sostenere che lo Stagirita vi facesse comunque inconsapevolmente ricorso320, tuttavia le due nozioni finiscono spesso per essere considerate in modo indistinto nei suoi testi 321. Di conseguenza, è preferibile fornire una interpretazione del testo del commentatore di Afrodisia che eviti l’introduzione di una distinzione che egli ignorava. In questa prospettiva, il dibattito antico intorno ai sillogismi misti del necessario, nato con la critica da parte di Teofrasto e di Eudemo alla teoria proposta da Aristotele in Anal. Pr. A, 9, può essere visto come una discussione sulla corretta esegesi del testo aristotelico. Come ho cercato di mostrare, molto probabilmente Teofrasto fu portato a ridimensionare la portata della validità delle deduzioni sillogistiche miste, perché le trovava in contrasto con la teoria della scienza esposta da Aristotele negli Analitici Posteriori, secondo la quale una conclusione necessaria può essere tratta solo a partire da premesse necessarie. A sostegno della sua tesi, Teofrasto propose terne di termini che a suo parere invalidavano deduzioni come Barbara LXL. Alessandro interviene, quindi, in questo dibattito, a cui si era dedicato anche il suo maestro Sosigene e che doveva essere piuttosto vivace all’epoca, se anche Galeno afferma, nel De libriis propriis, di essersi dedicato lui pure all’argomento (cfr. De Lib. Propr. Kühn, vol. XIX, p. 44, l. 5). La posizione di Alessandro può quindi essere riassunta in questo modo: Barbara LXL è un sillogismo valido, grazie al principio del “kat¦ pantÕj ™x ¢n£gkhj”, che è una estensione del “kat¦ pantÒj” di Anal. Pr. A, 1, 24 b28-30, nel quale viene introdotto l’operatore “necessario”. Ciò avviene coerentemente con quanto Aristotele afferma in Anal. Pr. A, 8, 30 a2-3, dove si dice che la sillogistica del necessario è quasi una estensione della sillogistica categorica. In questo modo, Alessandro ritiene di avere fornito una spiegazione della correttezza di quanto lo Stagirita afferma in 320
Cfr. a questo proposito Kneale [1962], pp. 622-633. Cfr. Mariani [1990], pp. 59-83. Mariani in questo articolo sostiene che Aristotele abbia sviluppato due teorie logiche in fasi distinte della evoluzione del suo pensiero. Nella prima fase lo Stagirita avrebbe sviluppato la sillogistica categorica e del necessario (con premesse non miste), adeguata a trattare il ragionamento matematico. In questa costruzione le modalità de dicto e de re possono essere considerate intercambiabili, dato che la sillogistica del necessario risulta essere “isomorfa” alla sillogistica categorica. È a questa fase del pensiero di Aristotele che mi riferisco parlando della intercambiabilità delle modalità de dicto e de re. Successivamente lo Stagirita avrebbe sviluppato una teoria logica che ammettesse il contingente e che permettesse di fungere da teoria della deduzione anche per le scienze fisiche. È in questo contesto che va posta la introduzione della sillogistica del contingente e una trattazione esclusivamente de re delle premesse sillogistiche, che dà luogo alla teoria dei sillogismi misti del necessario, esposta in Anal. Pr. A, 9-12. Secondo Mariani il fatto che questa nuova teoria sia stata giustapposta alla precedente, per la quale le proposizioni categoriche si comportano allo stesso modo delle necessarie (il che giustifica le leggi di conversione di Anal. Pr. A, 3) determina le incongruenze del trattato aristotelico.
321
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 229 Anal. Pr. A, 9, che può fronteggiare le critiche di Teofrasto e di Eudemo: critiche che, nella prospettiva alessandrista, appaiono trovare pochi appigli nei testi dello Stagirita. La proposta di Alessandro risulta inoltre la più efficace nel difendere la teoria aristotelica, rispetto a quelle che altri esegeti, dopo Teofrasto, hanno proposto: una serie di teorie che Alessandro esamina dopo avere fornito la propria soluzione del problema Se ricorriamo alla formalizzazione logica, anche la proposta di Alessandro presenta delle ambiguità analoghe a quelle che presenta il testo dello Stagirita, qualora sia letto con il medesimo metodo. Tuttavia, si può con certezza affermare che Alessandro non fosse consapevole di questa ambiguità ed è quindi poco utile, in sede di ricostruzione storica del suo pensiero, imputare al commentatore le stesse incongruenze che molti interpreti hanno attribuito anche ad Aristotele. I problemi che Alessandro cerca di risolvere sono infatti diversi da quelli che i moderni commentatori individuano in questo complesso testo aristotelico. La prima preoccupazione del commentatore è quella di dare una lettura coerente e sistematica dei testi dello Stagirita ed è con proposte che cercavano ai suoi occhi di negare questa coerenza che egli si misura. Credo infatti che la impostazione moderna del problema delle due deduzioni sillogistiche miste in Barbara, che fa dipendere, in sostanza, la difficoltà del testo aristotelico da una lettura ora de re, ora de dicto, fosse del tutto estranea al dibattito antico inaugurato da Teofrasto e al quale anche Alessandro diede il proprio contributo. Risulta perciò piuttosto sterile pensare al contributo di quest’ultimo come una anticipazione delle ricerche sul testo di Aristotele che, nel XX secolo, sono state inaugurate dalla celebre monografia di Albrecht Becker322. Alessandro, dopo avere presentato la propria soluzione del problema posto dalle deduzioni sillogistiche miste del necessario, presenta tre interpretazioni alternative, che cercavano di mantenersi aderenti alla lettera del testo di Aristotele323. Il commentatore di Afrodisia non respinge questi argomenti, sebbene 322
Cfr. Becker [1933]. Già Łukasiewicz presentava Teofrasto come impegnato a risolvere un problema di ordine puramente logico, quasi l’Eresiano astraesse dalla interpretazione generale del pensiero dello Stagirita. Il logico polacco presentava la regola della peiorem come antitetica alla sua lettura dei sillogismi modali misti in Barbara, perché, a suo parere, erano entrambi validi (cfr. Łukasiewicz [1958], pp. 183-191). La letteratura successiva risentì di questa impostazione di Łukasiewicz, tanto che anche Patterson affianca l’Eresiano al logico polacco come fautori della medesima strategia interpretativa – sia pure con soluzioni differenti – intorno ai due sillogismi misti in Barbara (cfr. Patterson [1989], pp. 6-14). 323 Cfr. in Anal. Pr. p. 126, l. 9-p. 127, l. 2: Oƒ d8 parist£menoi tÍ dÒxV aÙtoà oƒ m8n t¾n Øp£rcousan kaqÒlou katafatik¾n ™n tÍ toiaÚtV m…xei ¢lhqÁ lamb£nein ¢xioàsi, m¾ prÕj ØpÒqesin ¢ll¦ ¢lhqîj Øp£rcousan· a‡thma g¦r ™ke…nwj g…netai kaˆ oÙkšt’ ¢lhq¾j ¹ prÒtasij. lhfqe…shj d8 ¢lhqoàj ™n tù Øp£rcein kaˆ kaqÒlou oÙd’ ™pˆ Ûlhj tinÕj ™legcq»setai yeàdoj tÕ legÒmenon. tÕ g¦r ¥nqrwpon pantˆ kinoumšnJ Øp£rcein oÙk ¢lhq8j æj Øp£rcon kaqÒlou· ¢ll' oÙd8 tÕ grammatikÕn pantˆ ¢nqrèpJ· ¢ll' oÙd8 tÕ peripate‹n
230 Luca Gili in più punti sembrino comportare una interpretazione diversa dalla sua circa i sillogismi modali misti. Tuttavia, dato che corroborano la posizione di Aristotele, Alessandro ritiene opportuno elencarli ugualmente, sebbene in altri suoi scritti affermi di passarli in rassegna con attenzione per stabilire quale di questi argomenti sia corretto e quale invece sia scorretto (cfr. in Anal. Pr. p. 127, ll. 1416: tosoÚtoij kaˆ toioÚtoij ¥n tij cr»saito parist£menoj tÍ perˆ toÚtwn 'Aristotšlouj dÒxV. t… d8 toÚtwn Øgiîj À m¾ Øgiîj lšgesqai doke‹, ™n ¥lloij ¹m‹n, æj œfhn, met¦ ¢kribe…aj e‡rhtai). Gli argomenti che Alessandro elenca sono i seguenti: a) Prima proposta di soluzione del problema dei sillogismi misti del necessario La premessa minore di Barbara LXL deve essere assunta come “vera”. Chi presenta questa soluzione distingue, secondo Alessandro, fra ciò che è vero prÕj ØpÒqesin e ciò che è vero “in universale”. Se la minore infatti fosse vera solo prÕj ØpÒqesin, sarebbe una sorta di stipulazione (a‡thma). Se è invece vera in universale, è vera per qualsiasi materia logica che si sostituisca all’interno della proposizione (cfr. in Anal. Pr. p. 126, ll. 12-13: lhfqe…shj d8 ¢lhqoàj ™n tù Øp£rcein kaˆ kaqÒlou oÙd' ™pˆ Ûlhj tinÕj ™legcq»setai yeàdoj tÕ legÒmenon). Evidentemente, chi proponeva questa soluzione aveva una idea di “materia logica” diversa rispetto a quella che Alessandro professava. Secondo il commentatore di Afrodisia, in una proposizione, che figura come premessa o conclusione di un sillogismo, la forma logica è ottenuta con l’uso delle lettere, che garantiscono la generalità della proposizione; la materia invece è data dai termini pantˆ ¢nqrèpJ. ™pˆ d8 tîn oÛtwj lambanomšnwn Øparcousîn tù m¾ enai aÙt¦j æj kaqÒlou lambanomšnaj ¢lhqe‹j ØparcoÚsaj oÙk ¢nagka‹on tÕ sumpšrasma. ka…toi t… ™roàsin, Ótan ¹ ™l£ttwn mhkšti kaqÒlou Ï Øp£rcousa, ¢ll’™pˆ mšrouj lamb£nhtai; kaˆ g¦r oÛtwj, e„ ¹ me…zwn ¢nagka…a e‡h, ¢nagka‹Òn fhsi g…nesqai tÕ sumpšrasma, kaˆ oÙkšq’ oŒÒn te lšgein m¾ enai ¢lhqÁ t¾n ™pˆ mšrouj Øp£rcousan tÕn ¥nqrwpon tinˆ kinoumšnJ À grammatikÕn tinˆ ¢nqrèpJ. Oƒ dš gš fasin, Óti, e„ ¹ lšgousa tÕ A kat¦ pantÕj toà B ¹ aÙt» ™sti tÍ legoÚsV, kaq' oá pantÕj tÕ B, kat' ™ke…nou pantÕj tÕ A, æj kaˆ aÙtÕj lšgei poll£kij, œstai kaˆ ¹ lšgousa tÕ A kat¦ pantÕj toà B ™x ¢n£gkhj ¹ aÙt¾ tÍ legoÚsV, kaq' oá pantÕj tÕ B, kat¦ toÚtou pantÕj ™x ¢n£gkhj tÕ A. toàto d8 shmainoÚshj tÁj ¢nagka…aj kaqÒlou p£ntwj ¢nagka‹on g…netai tÕ sumpšrasma, k¨n Øp£rcousa lhfqÍ ¹ ™l£ttwn. 'All¦ kaˆ di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÁj e„s… tinej oƒ tÕ legÒmenon Øp’ 'Aristotšlouj, Óti kalîj e‡rhtai, deiknÚnai peirèmenoi. œstw g¦r ¹ m‹xij ™kkeimšnh, kaˆ tÕ m8n A tù B pantˆ ™x ¢n£gkhj Øparcštw, tÕ d8 B pantˆ tù G Øparcštw mÒnon· lšgw, Óti tÕ A tù G ™x ¢n£gkhj pant…. e„ g¦r m», tÕ ¢ntike…menon ™ndšcetai tÕ A tù G tinˆ m¾ Øp£rcein· ke‹tai d8 kaˆ tÕ A pantˆ tù B ™x ¢n£gkhj· g…netai d¾ ™n deutšrJ sc»mati suzug…a ™k kaqÒlou katafatikÁj tÁj me…zonoj ¢nagka…aj kaˆ ™pˆ mšrouj ¢pofatikÁj ™ndecomšnhj tÁj ™l£ttonoj ™pˆ mšrouj ¢pofatikÕn ™ndecÒmenon sun£gousa, kaq’ § kaˆ Qeofr£stJ te kaˆ EÙd»mJ doke‹. tÕ ¥ra B tù G ™ndšcetai tinˆ m¾ Øp£rcein· ¢ll’Øpškeito pantˆ Øp£rcein.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 231 che possono essere sostituiti alle lettere. Un sillogismo è, perciò, valido, se e solo se è formalmente valido: ciò significa che i nessi predicativi, che il sillogismo stabilisce tra gli estremi, sussistono per qualsiasi sostituzione di termini alle lettere che compaiono nelle premesse e nella conclusione. In particolare, se la sostituzione delle lettere con termini determina delle premesse vere, la conclusione sarà necessariamente vera; se invece le premesse sono false, la conclusione può essere o vera o falsa. Una proposizione isolata, in cui compaiano lettere non è, in sé, né vera né falsa, dato che la sua verità dipende dai termini che sono sostituiti alle lettere. I fautori, invece, di questa soluzione al problema dei sillogismi misti affermano che una proposizione, in cui già compaiono determinati termini, debba essere vera in generale, cioè per ogni materia logica. La “materia logica” comporta la presenza di un elemento variabile, mentre la “forma logica” designa la struttura permanente della proposizione. Se, però, la forma già accoglie alcuni termini determinati, bisogna chiedersi che cosa sia a variare: quale sarebbe in questo caso la meteria logica? Credo che la risposta possa essere trovata nell’esempio che Alessandro ci riferisce, di una proposizione vera ma non universalmente: i) “Ogni uomo è camminante” (cfr. in Anal. Pr. p. 126, ll. 13-14). Non è vero in univerale che ogni uomo cammina. Ciò non può che significare che qualche uomo – supponiamo Socrate o Corisco –, al momento in cui i) è proferita, sono fermi. Se, quindi, si sostituisce questa particolare materia logica (“Socrate”, “Corisco”) nella proposizione, otteniamo una proposizione falsa. Evidentemente i fautori di questa posizione considerano “materia logica” gli elementi di cui il soggetto è detto. È probabile che questa riflessione sia stata motivata dal “kat¦ pantÒj”, che afferma che una proposizione universale del tipo “Ogni A è B”, significa che ogni elemento di A è B. Nel commento di Alessandro non emerge una simile presentazione della “materia logica”, che appartiene, quindi, ad una interpretazione degli Analitici Primi alternativa a quella che egli presenta. Grazie tuttavia a questa nozione di “materia logica”, gli esegeti che la abbracciano sono in grado di distinguere tra proposizioni vere prÕj ØpÒqesin (cioè vere sotto l’ipotesi che il termine soggetto sia ristretto ai soli suoi elementi che rendono vero l’enunciato) e proposizioni vere “in universale” (cioè vere per ogni elemento di cui il soggetto è predicato). Con questa distinzione è possibile rifiutare il controesempio proposto da Teofrasto per invalidare Barbara LXL: se la proposizione minore afferma che “ogni uomo è camminante”, come voleva l’Eresiano nella sua refutazione di questo sillogismo, non afferma qualcosa di vero in universale. Di conseguenza i controesempi proposti da Teofrasto non sono ammissibili e debbono essere scartati. Molto probabilmente questa posizione veniva considerata scorretta da Alessandro nella sua opera perduta sui sillogismi modali misti. Infatti, la qualificazione di una proposizione categorica è molto
232 Luca Gili diversa fra Alessandro e i fautori di questa interpretazione: mentre egli dice che una proposizione è categorica quando non è necessaria e il predicato, che non appartiene sempre al soggetto, gli appartiene nell’istante presente, gli anonimi interpreti evitano considerazioni temporali. La loro posizione non sembra, però, fare riferimento nemmeno ai rapporti essenziali, ma solo a rapporti di estensione fra soggetto e predicato: una modalità di ragionamento in buona parte estranea al pensiero alessandrista. Per questa ragione, Alessandro muove implicitamente una obiezione a questa posizione, quando si chiede che cosa essa preveda per le proposizioni particolari affermative. In effetti, i fautori di questa tesi sono costretti a negare la distinzione che hanno proposto in questo caso, affermando che tutte le proposizioni particolari affermative, se vere, sono vere “in universale”324. La ragione di questa dissimmetria nel trattamento delle proposizioni sembra piuttosto evidente. Se applicassimo questa distinzione ad una proposizione come: ii) Qualche uomo è greco, avremmo che ii) è vera prÕj ØpÒqesin se e solo se qualche elemento, di cui il soggetto (“uomo”) si dice, è greco, mentre è vera “in universale” se per tutti gli elementi designati da “qualche uomo” è vero dire che sono greci. In questo caso sia la lettura prÕj ØpÒqesin che la lettura “in universale” considerano solo qualche elemento designato dal soggetto grammaticale della proposizione (“uomo”), per cui la distinzione nel caso delle proposizioni particolari viene a cadere. Tuttavia, questa dissimmetria nel trattamento delle proposizioni di quantità diverse, come probabilmente vuole indicare Alessandro, è un segno evidente della incoerenza di questa interpretazione della logica dello Stagirita. b) Seconda proposta di soluzione del problema dei sillogismi misti del necessario La seconda proposta interpretativa sembra la più vicina a quella avanzata da Alessandro e credo si possa ipotizzare con una certa plausibilità che, nel suo perduto trattato sui sillogismi misti, il commentatore accettasse questa spiegazione della tesi aristotelica. Secondo questa lettura, la premessa maggiore di Barbara LXL deve essere intesa come una proposizione proslettica. La teoria della identità delle proposizioni standard e delle proposizioni proslettiche è da attribuire, come abbiamo visto, a Teofrasto (cfr. FHS&G 110 A) e si può supporre, con una certa attendibilità, che la tradizione di esegesi peripatetica assegnasse alle proposizioni proslettiche un ruolo decisivo per la comprensione della teoria della deduzione 324
Cfr. in Anal. Pr. p. 126, ll. 17-22: ka…toi t… ™roàsin, Ótan ¹ ™l£ttwn mhkšti kaqÒlou Ï Øp£rcousa, ¢ll' ™pˆ mšrouj lamb£nhtai; kaˆ g¦r oÛtwj, e„ ¹ me…zwn ¢nagka…a e‡h, ¢nagka‹Òn fhsi g…nesqai tÕ sumpšrasma, kaˆ oÙkšq' oŒÒn te lšgein m¾ enai ¢lhqÁ t¾n ™pˆ mšrouj Øp£rcousan tÕn ¥nqrwpon tinˆ kinoumšnJ À grammatikÕn tinˆ ¢nqrèpJ.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 233 sillogistica. Non è quindi strano trovare che Alessandro riferisca la proposta di risolvere il problema dei due Barbara misti, facendo ricorso a queste proposizioni, come un tentativo già avanzato da altri. Un sillogismo in Barbara LXL, trasformando la premessa maggiore in una proposizione proslettica, avrà dunque questa forma: 1) di ciò di cui B si dice “kat¦ pantÒj”, A si dice necessariamente e “kat¦ pantÒj” (kaq’oá pantÕj tÕ B, kat¦ toÚtou pantÕj ™x ¢n£gkhj tÕ A, in Anal. Pr. p. 126, ll. 26-27); 2) B si dice di ogni C; 3) A si dice necessariamente di ogni C. Questa interpretazione, osserva Alessandro, permette di giustificare la validità di Barbara LXL anche se la premessa minore è categorica (k¨n Øp£rcousa lhfqÍ ¹ ™l£ttwn, in Anal. Pr. p. 126, l. 28). Considerando, però, la particolare proposizione proslettica che traduce la premessa maggiore, si potrebbe ipotizzare che la conclusione è necessaria se e soltanto se la minore è categorica. Se quest’ultima, infatti, fosse necessaria, non sarebbe possibile derivare alcuna conclusione (perché non sarebbe identica all’antecedente della proslettica 1) e non consentirebbe quindi l’applicazione del modus ponens, per derivare 3) ). Questa interpretazione, tuttavia, anche se resa plausibile dalla particolare proposizione proslettica che Alessandro propone come “traduzione” della premessa maggiore, deve essere ritenuta sbagliata, perché non consente di rendere valido un sillogismo come Barbara LLL. Non si può infatti pensare che la traduzione della premessa maggiore sia applicabile solo nel caso dei sillogismi con premesse miste: in questo caso infatti la soluzione proposta risulterebbe un rimedio ad hoc, né sarebbe sostenibile la tesi teofrastea – che sembra essere all’origine di questo ragionamento – secondo cui ogni proposizione è traducibile in una proposizione proslettica. Per validare un sillogismo come Barbara LLL si richiede che la premessa maggiore (“A si dice necessariamente di ogni B”) sia tradotta nella proposizione proslettica seguente: iii) di ciò di cui B si dice necessariamente e “kat¦ pantÒj”, A si dice necessariamente e “kat¦ pantÒj”. In questo modo la premessa minore, se necessaria, permette di dedurre una conclusione necessaria (perché è identica all’antecedente della proslettica e consente l’applicazione del modus ponens). Di conseguenza, una proposizione necessaria in forma standard ammette due traduzioni in proposizioni proslettiche necessarie. Alessandro osserva, perciò, correttamente che la conclusione è necessaria in Barbara, anche se (k¨n) la minore è categorica. Non si richiede, infatti, che sia soltanto categorica, perché la traduzione alternativa della premessa maggiore in proposizione proslettica consente di inferire una conclusione necessaria con una minore necessaria
234 Luca Gili (Barbara LLL). Qualora facessimo ricorso alla formalizzazione logicomatematica, la possibilità che una stessa proposizione necessarie ammetta due traduzioni in proposizioni proslettiche necessarie, rivelerebbe una ambiguità nella interpretazione della proposizione necessaria di partenza, che, ancora una volta, potrebbe essere intesa alternativamente come necessaria de dicto (e in questo caso la corrispondente proposizione proslettica può figurare come maggiore di Barbara LLL) o come necessaria de re (e in questo caso la corrispondente proposizione proslettica può figurare come maggiore di Barbara LXL). Tuttavia, come abbiamo visto precedentemente, questo metodo non si rivela molto informativo riguardo al reale pensiero degli anonimi esegeti che presentarono questa lettura del testo aristotelico; al contrario, le incoerente che emergono applicando la formalizzazione erano ignorate dagli autori antichi. La loro proposta deve perciò essere letta piuttosto come una soluzione di un problema che nasceva all’interno della esegesi sistematica del corpus aristotelicum. Alessandro, come ho anticipato, sicuramente trovava molto efficace questo metodo, che ha delle indubbie affinità con il ricorso al “kat¦ pantÒj” del necessario, che egli propone per superare l’aporia. Applicando, infatti, quest’ultimo alla premessa maggiore di Barbara LXL, Alessandro ottiene una proposizione molto simile alla proslettica che i fautori di questo metodo propongono di sostituire alla premessa maggiore. Questo elemento è congruente con il fatto che, mentre le altre proposte interpretative sono considerate da Alessandro soltanto dei “tentativi” di soluzione avanzati da alcuni esegeti, in questo caso il commentatore di Afrodisia non pronuncia alcun giudizio limitativo intorno a questa proposta. È necessario, allora, chiedersi in cosa Alessandro ritenesse che la propria teoria divergesse da quella di questi anonimi esegeti, che probabilmente appartennero a quella corrente peripatetica che valorizzava il ruolo delle proposizioni proslettiche nella sillogistica. La mia impressione è che, mentre questi ultimi ricorrevano ad una teoria che poteva apparire teofrastea ad una attenta analisi dei testi, Alessandro doveva ritenere la applicazione del “kat¦ pantÒj” fondata esclusivamente sul testo aristotelico, anche se era costretto a postulare una estensione di questo principio al caso del necessario: una estensione che lo Stagirita in verità non propone in modo molto esplicito. La differente lettura che la tradizione peripatetica precedente ad Alessandro ed Alessandro stesso fornirono di questo brano testimonia perciò il diverso approccio ai testi che ebbero gli anonimi esegeti e il commentatore di Afrodisia. Mentre per la tradizione peripatetica i testi di Aristotele e di Teofrasto dovevano essere letti come contenenti un insieme armonico di dottrine, Alessandro privilegia una ricostruzione più filologica del pensiero aristotelico e ricorre ad elementi dottrinali ascrivibili alla tradizione posteriore, solo quando è sicuro di rintracciarne le basi nel testo di Aristotele. In questo caso, mentre la traduzione
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 235 delle proposizioni standard in proslettiche non si trova affermata in modo esplicito nel testo aristotelico, Alessandro ritiene si debba piuttosto ricorrere al principio del “kat¦ pantÒj” esteso al “necessario”, alla luce del quale, di fatto, riformula la premessa maggiore di Barbara LXL come una proposizione proslettica, ma, dal suo punto di vista, fondando questa interpretazione sul testo stesso dello Stagirita, senza appoggiarsi all’autorità di Teofrasto o, in generale, della tradizione. c) Terza proposta di soluzione del problema dei sillogismi misti del necessario L’ultima interpretazione che cerca di validare Barbara LXL è basata su una dimostrazione per assurdo. Ci troviamo di fronte alla necessità di validare questo sillogismo: 1) LBaA; 2) CaB; quindi 3) LCaA. Assumiamo la contraddittoria della conclusione “LCaA”: 4) QCoA; Da 4) e da 1), per Baroco LQQ si ottiene che 5) QCoB. Dato che anche Teofrasto ed Eudemo accettano la validità di Bocardo LQQ, presumibilmente non avranno obiezioni circa la possibilità di derivare la conclusione “QCoB” (cfr. in Anal. Pr. p. 126, l. 34-p. 127, l. 1). Ma la proposizione “QCoB” contraddice, per chi sostiene questo argomento, la proposizione “CaB”; di conseguenza l’ipotesi, assunta per derivare l’assurdo, deve essere rigettata e occorre affermare che da 1) e da 2) è possibile derivare la conclusione “LCaA”. La difficoltà di questa dimostrazione consiste nel comprendere perché le proposizioni “QCoB” e “CaB” debbano essere considerate contraddittorie o comunque incompatibili tra loro. Dal punto di vista della semantica alessandrista, è possibile addirittura pensare che siano compatibili. Mentre “QCoB” afferma che, in un istante futuro, qualche C non sarà B, la proposizione “CaB” afferma che, nell’istante presente, ogni C è B. Le due proposizioni sono perciò perfettamente compatibili. Un modo per introdurre una incompatibilità potrebbe consistere nell’interpretare “CaB” come se affermasse che, per ogni istante di tempo, è vero che ogni C è B. Di fatto, però, questa interpretazione trasforma la premessa minore in una proposizione necessaria, secondo la semantica proposta da Alessandro. Di conseguenza, ad essere validato non sarebbe propriamente un sillogismo in Barbara LXL, ma il sillogismo Barbara LLL. La strategia suggerita dalla lettura di questi interpreti sembra perciò consistere nel fornire una particolare interpretazione della premessa categorica, che la avvicini ad una necessaria. Analoghe strategie interpretative saranno
236 Luca Gili riproposte nel corso della storia della interpretazioni dei due sillogismi modali misti in Barbara325. È comunque possibile dimostrare anche con considerazioni puramente sintattiche che questa dimostrazione per assurdo è problematica. Consideriamo infatti un sillogismo in Barbara XLL, che per Aristotele – e per Alessandro di Afrodisia – è invalido: 1) BaA; 2) LCaB; quindi 3) LCaA. Assumiamo la contraddittoria della conclusione “LCaA”: 4) QCoA; Da 4) e da 2), per Bocardo QLM, si ottiene come conclusione 5) MBoA. Bocardo QLM è esplicitamente accettato come valido da Aristotele (cfr. Anal. Pr. A, 22, 40 b1-3). Se si accetta che “MBoA” sia la contraddittoria della premessa maggiore del sillogismo iniziale (“BaA”), o che comunque sia incompatibile con tale premessa, si opera un ragionamento analogo a quello che porta a considerare, nella validazione di Barbara LXL, “QCoB” incompatibile con “CaB”. Trattando della validità di Bocardo QLM, Alessandro afferma infatti che ha una conclusione “contingente”, come Bocardo QXM, di cui Aristotele parla in Anal. Pr. A, 21, 39 b31-39 (cfr. in Anal. Pr. p. 252, ll. 21-30). Tuttavia la semantica di Alessandro non gli consente di operare delle distinzioni tra proposizioni possibili e proposizioni contingenti. Di conseguenza, se si accetta, sulla base del ragionamento proposto da questi interpreti (cioè con il ricorso a Baroco LQQ), la validità di Barbara LXL, bisogna probabilmente accettare, per Alessandro di Afrodisia, anche la validità di Barbara XLL. Ma ciò è evidentemente in contrasto con il dettato aristotelico. Il sillogismo ausiliario per derivare l’assurdo (ovvero, Baroco LQQ), inoltre, non è descritto da Aristotele, sebbene, secondo la testimonianza di Alessandro, sia accettato e spiegato da Teofrasto e da Eudemo. Molto probabilmente l’argomento era teso a dimostrare l’inconsistenza della posizione dei due allievi di Aristotele, che non possono accettare la validità di Baroco LQQ e negare al tempo stesso la validità di Barbara 325
Segnalo ad esempio il tentativo avanzato da Robert Kilwardby (ca. 1215-1279), autore di un commento latino agli Analitici Primi attorno alla metà del XIII sec.. Kilwardby parla di “appropriatio” della premessa minore da parte della maggiore, per cui, in Barbara LXL, la minore deve essere considerata come categorica senza ulteriori determinazioni (“vera simpliciter”), cioè come necessaria “secundum rem” (cfr. per la questione Thom [2007], pp. 153-162). In questo modo Kilwardby riesce a validare Barbara LXL e a refutare Barbara XLL (dove ad essere “appropriata” è la premessa necessaria e non la categorica, che quindi può rimanere vera “ut nunc”, dato che non è “vera simpliciter”). Una altra lettura che finisce per conferire una certa modalità alla premessa minore è quella avanzata da Vittorio Sainati (cfr. Sainati [1983], pp. 53-66).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 237 LXL, che è dimostrata proprio grazie al ricorso a Baroco LQQ, come sillogismo ausiliario. È probabile, però, che Alessandro trovasse difficile accettare questo ragionamento, perché il testo aristotelico stabilisce che Baroco LQQ non è valido326. Di conseguenza, mi sembra ragionevole ipotizzare che Alessandro non considerasse corretta questa dimostrazione per assurdo della validità di Barbara LXL. 7.4 La sillogistica del “contingente” Con il capitolo A, 13 Aristotele introduce la propria definizione di contingenza. I successivi capitoli – fino ad A, 22 – saranno dedicati alla discussione dei sillogismi con entrambe le premesse o almeno una premessa contingente. Inizia perciò, con questo paragrafo, la nostra ricostruzione della sillogistica del contingente, secondo l’interpretazione di Alessandro di Afrodisia. Come sempre, premetto alla discussione del commento di Alessandro, una schematica presentazione del testo di Aristotele. 7.4.1 Aristotele, Analitici Primi, A, 13 32 a16-21 [Definizione di “contingente”] Per “contingente” intendiamo ciò che non è necessario e che, se assunto, non implica nulla di impossibile (lšgw d’™ndšcesqai kaˆ tÕ ™ndecÒmenon, oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou, teqšntoj d’Øp£rcein, oÙd8n œstai di¦ toàt’¢dÚnaton). Il “necessario” infatti è contingente solo in un senso secondario. 32 a21-29 [Osservazioni su questa definizione in relazione alle coppie antifatiche]327 Risulta evidente che questa sia la corretta definizione del 326 Cfr. Anal. Pr. A, 19, 38 b24-37: `Omo…wj d' ›xei k¢pˆ tîn ™n mšrei sullogismîn· Ótan m8n g¦r Ï tÕ sterhtikÕn kaqÒlou te kaˆ ¢nagka‹on, ¢eˆ sullogismÕj œstai kaˆ toà ™ndšcesqai kaˆ toà m¾ Øp£rcein (¢pÒdeixij d8 di¦ tÁj ¢ntistrofÁj), Ótan d8 tÕ katafatikÒn, oÙdšpote· tÕn aÙtÕn g¦r trÒpon deicq»setai Ön kaˆ ™n to‹j kaqÒlou, kaˆ di¦ tîn aÙtîn Órwn. oÙd’ Ótan ¢mfÒterai lhfqîsi katafatika…· kaˆ g¦r toÚtou ¹ aÙt¾ ¢pÒdeixij ¿ kaˆ prÒteron. Ótan d8 ¢mfÒterai m8n sterhtika…, kaqÒlou d8 kaˆ ¢nagka…a ¹ tÕ m¾ Øp£rcein shma…nousa, di' aÙtîn m8n tîn e„lhmmšnwn oÙk œstai tÕ ¢nagka‹on, ¢ntistrafe…shj d8 tÁj kat¦ tÕ ™ndšcesqai prot£sewj œstai sullogismÒj, kaq£per ™n to‹j prÒteron. ™¦n d’ ¢mfÒterai ¢diÒristoi À ™n mšrei teqîsin, oÙk œstai sullogismÒj. ¢pÒdeixij d’ ¹ aÙt¾ kaˆ di¦ tîn aÙtîn Órwn . 327 Sia A. Becker che D. Ross atetizzano questo brano, perché lo ritengono una aggiunta successiva alla composizione degli Analitici Primi, probabilmente ad opera di un lettore che era a conoscenza dei temi trattati in De Interpr. 13, 22 a14-37. Accetta l’espunzione anche Huby [2002], generalmente
238 Luca Gili “contingente” dalla opposizione delle seguenti affermazioni e negazioni: “non è contingente che sia”, “è impossibile che sia”, “ è necessario che non sia” sono proposizioni o identiche o convertibili; e così lo sono anche le proposizioni ad esse opposte, perché in ogni caso le proposizioni opposte sono delle alternative perfette. Il “contingente” perciò sarà non necessario e il non necessario sarà possibile. 32 a29-35 [Leggi di conversione per le proposizioni contingenti di struttura affermativa] Le proposizioni contingenti sono convertibili, non nel senso che le affermative si convertono con le negative, ma nel senso che le proposizioni di struttura e di forma affermativa si convertono nelle loro opposte. Ad esempio (a) “è contingente che A appartenga a B” si converte in (a’) “è contingente che A non appartenga a B”; (b) “è contingente che A appartenga ad ogni B” si converte in (b’) “è contingente che A non appartenga ad alcun B”; (c) “è contingente che A appartenga a qualche B” si converte in (c’) “è contingente che A non appartenga a qualche B”; e così via. 32 a36-b1 [Spiegazione delle leggi di conversione per proposizioni contingenti di struttura affermativa] Il contingente è non necessario. Poiché tutto ciò che non è necessario può anche non essere, se è contingente che A appartenga a B, sarà contingente anche che A non appartenga a B. Questa dimostrazione vale per tutte le proposizioni del quadrato di cui, alle linee 32 a29-35, sono state enunciate le leggi di conversione. 32 b1-3 [Corrispondenza fra proposizioni contingenti e proposizioni affermative] Le proposizioni contingenti sono affermative e non negative, perché “è contingente” viene classificato accanto ad “è”, come è stato detto precedentemente, in Anal. Pr. A, 3, 25 b21. 32 b4-10 [Distinzione fra i due sensi di “contingente”: 1. “contingente” nel senso di “per lo più”] “Contingente” è usato in due sensi. 1) Nel primo senso significa ciò che non è necessario, ma accade per lo più, come ad esempio il fatto che un uomo incanutisca o cresca: questi esempi non sono casi di una necessità “continua”, per il fatto che un uomo non esiste sempre, ma, se c’è, allora necessariamente o per lo più fa queste cose. 32 b10-13 [2. “contingente” nel senso di “indefinito”] 2) Esiste poi un secondo senso di contingente, l’“indefinito”, che indica ciò che è capace di essere o non essere in un certo modo, senza una particolare determinazione: ad esempio un animale può contingentemente camminare o, mentre cammina, è contingente che ci sia un terremoto (entrambi questi esempi indicano una contingenza indefinita). In generale è contingente in questo senso ciò che accade a caso. incline a considerare i brani atetizzati da Becker come risposte dello Stagirita ai suoi avversari, sul tema della sillogistica modale, interni al Liceo (Teofrasto ed Eudemo).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 239 32 b13-18 [Le leggi di conversione valgono per entrambi i sensi di “contingente”] In entrambi i sensi di contingente la proposizione (a) “è contingente che B sia A” può essere convertita con la proposizione (a’) “è contingente che B non sia A”: nel caso della contingenza “per lo più” perché ciò che è contingente in questo senso non è necessario; nel caso della contingenza “indefinita”, perché non c’è nemmeno una tendenza alla realizzazione di una alternativa piuttosto che dell’altra. 32 b18-22 [Rapporto dei due sensi di “contingente” alla ricerca scientifica] Non si dà dimostrazione scientifica di una proposizione contingente “indefinita”, perché il medio è connesso in modo casuale agli estremi e quindi non è possibile determinarlo. Delle proposizioni che esprimono invece ciò che accade per natura (contingenti “per lo più”) si dà invece scienza ed esse possono essere usate per costruire sillogismi, perché c’è un rapporto naturale del loro termine medio rispetto agli estremi. 32 b23-37 [Distinzione tra le due possibili formulazioni di una proposizione contingente] Questi temi saranno affrontati in dettaglio nel seguito dell’opera328. Torniamo alla discussione delle deduzioni sillogistiche con premesse contingenti. La proposizione (a) “A è contingentemente B” può significare: (a1) “A è predicato contingentemente di ciò di cui B è predicato”; (a2) “A è predicato contingentemente di ciò di cui B è predicato contingentemente”. Se B è predicato contingentemente di C e A è predicato contingentemente di B, abbiamo un sillogismo con due premesse contingenti. Se invece A è predicato contingentemente di ciò di cui B è vero, abbiamo un sillogismo con una premessa contingente ed una categorica. Iniziamo dunque la discussione dei sillogismi con premesse simili. 7.4.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 13 Alessandro di Afrodisia osserva che, all’inizio del capitolo A, 13 degli Analitici Primi, Aristotele, intendendo iniziare la trattazione relativa alla sillogistica del contingente, fornisce una definizione di “contingente” che non sia omonima, perché non è possibile definire nulla in modo omonimo. Il riferimento implicito è alla dottrina esposta in Top. Z, 2, 139 b19-31, in cui Aristotele mostra che la definizione è oscura, se uno dei termini, che compaiono in essa, si predica secondo omonimia. Secondo, Alessandro il “contingente” effettivamente si predica, come abbiamo visto, sia del “necessario”, che del “categorico”, che del “contingente” in senso stretto (cfr. in Anal. Pr. p. 37, l. 27-p. 39, l. 15) ed è per questo “omonimo”, 328
Aristotele probabilmente fa riferimento ad Analitici Posteriori A, 8, 75 b33-36; A, 20, 87 b19-27; B, 12, 96 a8-19 (cfr. Ross [1949], p. 329).
240 Luca Gili come Aristotele avrebbe affermato anche nel De Interpretatione (cfr. in Anal. Pr. p. 37, l. 27-p. 38, l. 1: t¾n toà ™ndecomšnou Ðmwnum…an œdeixen ¹m‹n kaˆ ™n tù Perˆ ˜rmhne…aj). Il fatto che in Anal. Pr. A, 13 Aristotele non definisca più in modo omonimo il “contingente”, significa per Alessandro che egli vuole eliminare dalla sua definizione sia il “necessario” che il “categorico”. Questo tentativo sarebbe evidente a partire dalla stessa definizione di “contingente” che Aristotele fornisce: lšgw d’™ndšcesqai kaˆ tÕ ™ndecÒmenon, oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou, teqšntoj d’Øp£rcein, oÙd8n œstai di¦ toàt’ ¢dÚnaton (Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20). Il “contingente” in senso proprio (tò kur…wj ™ndecÒmenon) si ha, perciò, quando il predicato, pur non congiunto al soggetto nell’istante presente, se mai sarà ad esso congiunto, non comporterà nulla di impossibile (cfr. in Anal. Pr. p. 156, ll. 19-20: e‡h ¨n oân […] Ö m¾ œsti mšn, teq8n d8 enai oÙd8n ¢dÚnaton ˜pÒmenon œcei). Supposto però che la definizione aristotelica designi in modo non omonimo (e quindi nel modo corretto, secondo i dettami esposti nei Topici) il “contingente” in senso stretto, ci si chiede come questa definizione possa escludere gli altri due sensi del termine (“necessario” e “categorico”). Per rispondere a questa domanda, Alessandro fornisce tre ipotesi interpretative: con l’espressione “oá m¾ Ôntoj” (“se esso non è”), Aristotele eliminerebbe sia il categorico – che pone che una connessione fra soggetto e predicato ci sia – sia, a fortiori, il “necessario”: infatti se una cosa non è, non è nemmeno necessaria, mentre non sempre se una cosa non è necessaria, non è (cfr. in Anal. Pr. p. 156, ll. 21-22: tÕ g¦r m¾ ×n oÙd’¢nagka‹on, oÙ m¾n tÕ m¾ ¢nagka‹on ½dh kaˆ m¾ Ôn); b) con l’espressione “oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou” (“se non è necessario”), lo Stagirita eliminerebbe il senso di “necessario”; con l’espressione “teqšntoj d’Øp£rcein” (“se si suppone che appartenga”) eliminerebbe invece il senso di “categorico”: se infatti bisogna supporre che il predicato appartiene al soggetto (“teqšntoj d’Øp£rcein”), evidentemente esso non appartiene nell’istante presente e, dunque, se la proposizione contingente fosse considerata come categorica, sarebbe falsa (cfr. in Anal. Pr. p. 156, ll. 22-26: À ¢mfÒtera ¢pšfhse toà ™ndecomšnou, kaˆ tÕ ¢nagka‹on kaˆ tÕ Øp£rcon, tÕ m8n ¢nagka‹on di¦ toà e„pe‹n oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou, tÕ d’Øp£rcon di¦ toà teqšntoj d’Øp£rcein· tÕ g¦r teqšntoj ¢pšfhsen aÙtoà kaˆ tÕ Øp£rcon); c) con l’espressione “oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou” (“se non è necessario”), Aristotele eliminerebbe sia il senso di “necessario”, sia quello di “categorico”, ma non perché tutto ciò che è necessario è anche di fatto (come sembra suggerire la prima delle interpretazioni), ma perché uno dei sensi di “necessario”, che è detto in modo omonimo come il “contingente”, è appunto quello di “categorico” (cfr. in Anal. Pr. p. 156, ll. 26-29: À di¦ toà e„pe‹n oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou ¢pšfhsen aÙtoà kaˆ tÕ Øp£rcon· kathgore‹tai g¦r kat’aÙtÕn kaˆ kat¦ toà
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 241 Øp£rcontoj tÕ ¢nagka‹on· tÕ g¦r Øp£rcon tinˆ ¢nagka‹on Øp£rcein aÙtù, œst’¨n Øp£rcV). Alessandro porta a sostegno di questa tesi la affermazione di Teofrasto, che, nel primo libro dei suoi Analitici Primi, affermava che il terzo senso di “necessario” è appunto il “categorico”, perché quando un predicato appartiene al soggetto, non è possibile che non gli appartenga (cfr. in Anal. Pr. p. 156, l. 29-p. 157, l. 2: Ð goàn QeÒfrastoj ™n tù prètJ tîn Protšrwn ¢nalutikîn lšgwn perˆ tîn ØpÕ toà ¢nagka…ou shmainomšnwn oÛtwj gr£fei· “tr…ton tÕ Øp£rcon· Óte g¦r Øp£rcei, tÒte oÙc oŒÒn te m¾ Øp£rcein”). È difficile stabilire quale di queste tre interpretazioni sia quella che Alessadro poteva prediligere, dal momento che mancano elementi nel testo per stabilire se una di queste definizioni fosse più adeguata delle altre. Certo è che, secondo Alessandro di Afrodisia, è necessario eliminare i due sensi di “necessario” e di “categorico” che il “contingente”, predicato per omonimia, può assumere, dato che, senza questa esclusione, la parte rimanente della definizione potrebbe qualificare sia il “necessario” che il “categorico”: entrambi infatti non implicano nulla di impossibile. Dopo questa definizione di “contingente”, il testo di Aristotele presenta una sezione (Anal. Pr. A, 13, 32 a21-29) che alcuni editori moderni espungono329, ritenendola una interpolazione di un glossatore. Alessandro evidentemente leggeva codici che contenevano questa glossa, che dovette finire nel corpo del testo aristotelico ben prima del suo commento: il commentatore, che pure, come abbiamo visto, consultava più manoscritti che contenevano gli Analitici Primi, non prende in considerazione codici in cui questo brano non compaia. All’analisi di questa porzione di testo, Alessandro premette una sezione in cui introduce una dottrina che può essere utile, a suo giudizio, a spiegare il passo aristotelico, di cui evidentemente al commentatore non sfuggiva la difficoltà (cfr. in Anal. Pr. p. 157, ll. 13-16). Alessandro assume alcune lettere (A, B, C, D) per significare proposizioni. Questa scelta è molto significativa, perché abitualmente nel testo di Aristotele le lettere sono impiegate per significare i termini che compaiono nelle proposizioni; evidentemente lo sviluppo della logica proposizionale, che Alessandro mostra di conoscere nel corso del suo commento, doveva rendere sensato ai suoi occhi l’impiego delle lettere anche per indicare delle intere proposizioni. Queste lettere possono essere intese come variabili libere, perché il commentatore sembra intendere che possano essere sostituite con qualsiasi contenuto, che soddisfi le relazioni che sussistono tra queste quattro proposizioni. Le relazioni sono le seguenti: 1. A↔B (A e B sono vere insieme e sono false insieme); 329
Espungono sia A. Becker che W. D. Ross. T. Waitz, invece, ritiene autentica questa sezione degli Analitici Primi.
242 Luca Gili 2. C↔D (C e D sono vere insieme e sono false insieme); 3. C = ⌐A 4. D = ⌐B Secondo Alessandro da 1, 2, 3 è possibile inferire 4 (come da 1, 2, 4 è possibile inferire 3); oppure da 1, 3, 4 è possibile inferire 2 (come da 2, 3, 4 è possibile inferire 1). Si assuma ora E e sia E tale che, se è dato E, allora C è vero (e„l»fqw g£r ti, ™f’oá ¢lhq»j ™sti ¹ G ¢pÒfasij· œstw toàto tÕ E, in Anal. Pr. p. 157, ll. 23-24330). Anche E deve essere interpretato come una proposizione, sebbene Alessandro non lo affermi esplicitamente. L’alternativa infatti consisterebbe nel supporre che E sia un termine che occorre in C, cioè, data la struttura di ogni proposizione, E sarebbe o il soggetto o il predicato di C. Il commentatore afferma però che, nell’ipotesi che E sia vero, anche C è vero (cfr. in Anal. Pr. p. 157, l. 24) e questo sembra portare ad escludere che E sia un termine. Alessandro osserva poi che, se C segue da E, anche D segue da E. La dimostrazione di questa tesi avviene per assurdo. Nell’ipotesi infatti che D non sia vera insieme con E, se E è vera, D è falsa. Ma se D è falsa, per la 4, B è vera. Da ciò, per la 1, segue che anche A è vera. Ora, C, che segue da E (che è vera), deve essere anch’essa una proposizione vera. Quindi, a partire dalla nostra ipotesi, sono vere contemporaneamente le proposizioni A e C, il che, per la tesi 3., è assurdo. Dunque D è vera insieme con E. Da questa sua dimostrazione Alessandro ricava una legge più generale, che impiegherà poi per spiegare il passo aristotelico. La legge recita che, date coppie di proposizioni contraddittorie (siano esse , , , etc.), se, prendendo una proposizione da ciascuna coppia, si ottiene un insieme di proposizioni che sono vere insieme (ad esempio: A↔A1; A1↔A2; A2 ↔A3 etc.), allora anche le rimanenti proposizioni all’interno delle coppie di contraddittorie costituiscono un insieme di proposizioni che sono vere insieme (ad esempio: B↔B1; B1↔B2; B2↔B3 etc.). Questa regola, dimostrata nel modo che abbiamo ricostruito, è valida in universale (kaqÒlou ¥ra Øgi8j tÕ ïn ¢ntif£sewn q£tera mšrh sunalhqeÚetai ¢ll»loij, toÚtwn kaˆ t¦ ›tera p£lin ¢ll»loij sunalhqeÚesqa… te kaˆ ¢kolouqe‹n, in Anal. Pr. p. 157, ll. 30-31). Da De Interpretatione, 13 sappiamo che le proposizioni (i) “non è contingente che A appartenga a B”, (ii) “è impossibile che A appartenga a B” e (iii) “è necessario che A non appartenga a B” o sono identiche o seguono l’una dall’altra. Ciò significa, secondo Alessandro, che sono vere insieme. Le proposizioni contraddittorie rispetto a queste 3, cioè (i*) “è contingente che A appartenga a B”, (ii*) “non è impossibile che A appartenga a B” e (iii*) “non è necessario che A non appartenga a B”, saranno pure vere insieme, per la regola generale che governa le coppie di proposizioni contraddittorie e che abbiamo introdotto. Il 330
Nella mia ricostruzione, “C” è una proposizione negativa (cfr. il punto 3.).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 243 “contingente”, che compare in (i*), sarà perciò identico al “non impossibile” e al “non necessario che non”. Secondo Alessandro, Aristotele avrebbe perciò introdotto in questa sezione alcuni temi, già presenti nel De Interpretatione, per chiarire che nella definizione di “contingente” non devono entrare né il “necessario”, né l’“impossibile” (cfr. in Anal. Pr. p. 158, ll. 18-21: ”Edeixe, t…noj c£rin t¾n ¢kolouq…an œlabe tîn prot£sewn, Óti toà de‹xai eÙlÒgwj ™n tù toà ™ndecomšnou Ðrismù ke…menon tÕ oá m¾ Ôntoj ¢nagka…ou Øpoteqšntoj d8 enai oÙd8n ¢dÚnaton ›petai· oÜte g¦r ¢nagka‹on oÜte ¢dÚnaton tÕ ™ndecÒmenon). In questo modo Alessandro riesce a mostrare l’unità del capitolo A, 13 degli Analitici Primi, che dipende dal ruolo centrale che ha la definizione del “contingente”: il “contingente” viene infatti ad essere il motivo attorno al quale ruota anche una sezione che gli editori moderni sono inclini a ritenere una interpolazione (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 a21-29). Nella sezione successiva del testo, Aristotele afferma che le proposizioni contingenti negative si convertono in contingenti affermative e vice versa (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 a29-35). Il testo di Aristotele è abbastanza perspicuo, ma Alessandro vuole comunque puntualizzare che le proposizioni contingenti negative di cui stiamo parlando non sono le negazioni di proposizioni contingenti (ad esempio: “non è contingente che A appartenga a B”), ma proposizioni in cui l’operatore modale è premesso all’intera proposizione negativa (ad esempio: “è contingente che A non appartenga a B”). La puntualizzazione si rende necessaria, perché, secondo Alessandro, esiste un senso principale di “negazione” di una proposizione modale ed un senso derivato. Basandosi molto probabilmente sulle complesse riflessioni che lo Stagirita sviluppa in De Interpretatione, 12-13, Alessandro considera “negazione in senso principale” quella in cui il “non” precede l’intera proposizione, come nel caso “non è contingente che sia” o “non è necessario che sia”; invece sono in senso assoluto affermazioni proposizioni come “è contingente che non sia” o “è necessario che non sia”, che possono perciò essere considerate negazioni solo in senso secondario331. Il commentatore di Afrodisia non fa esplicito riferimento al De Interpretatione, tuttavia mi pare ragionevole supporre che la digressione sui sensi molteplici, secondo i quali si parla di “negazione” di una proposizione modale, possa dipendere dal problema sollevato dal differente approccio dello Stagirita alla questione negli Analitici Primi e nel De Interpretatione. In quest’ultima opera Aristotele aveva analizzato il 331
Cfr. in Anal. Pr. p. 158, l. 30-p. 159, l. 3: ¹ d8 ‘oÙk ¢n£gkh Øp£rcein’ ¢nagka…aj tÁj ‘¢n£gkh Øp£rcein’ ™stˆn ¢pofatik», ¼tij kur…wj ™stˆn ¢pofatik»· ¹ d’˜tšra ¡plîj mšn ™sti katafatik», tÕ d’Ólon ¢nagka…a ¢pofatik». tÕn aÙtÕn d¾ trÒpon kaˆ ™pˆ toà ™ndecomšnou ¢pÒfasij m8n toà ™ndecomšnou ¹ kur…wj ¢pÒfasij ¹ ‘oÙk ™ndšcetai enai’, ™ndecomšnh d8 oâsa ¡plîj kat£fasij ¹ ‘™ndšcetai m¾ enai’.
244 Luca Gili rapporto tra operatori modali e negazione, facendo astrazione dai termini contenuti all’interno della proposizione, ed aveva in sostanza affermato che essi sono duali. Lo Stagirita aveva affermato, ad esempio, che sono equivalenti le proposizioni: a) è contingente che p; b) non è necessario che p; e le proposizioni: a’) non è contingente che p; b’) è necesario che non p (cfr. De Interpr. 13, 22 a24-27). Nel brano degli Analitici Primi che Alessandro commenta (Anal Pr. A, 13, 32 a29-35), lo Stagirita afferma invece che sono convertibili reciprocamente queste proposizioni: a) A appartiene a tutti i B contingentemente; a’) A non appartiene a tutti i B contingentemente; b) A appartiene a qualche B contingentemente; b’) A non appartiene a qualche B contingentemente. Evidentemente siamo si fronte a due sensi di “negazione” di una proposizione modale; secondo Alessandro, il senso proprio di negazione è quello proposto nel De Interpretatione. Il commentatore di Afrodisia ci informa, poi, che “coloro che erano attorno a Teofrasto” non ritenevano corrette le conversioni delle proposizioni contingenti, esposte da Aristotele in questo passo degli Analitici Primi. Le ragioni di questa scelta sono assai difficilmente ricostruibili sulla base delle scarne notizie fornite da Alessandro, tuttavia è possibile tracciare con buona verosimiglianza la linea argomentativa seguita da questi logici rimasti anonimi e che si ispiravano alla lezione dell’Eresiano. L’esegeta di Afrodisia ci dice che costoro ritenevano che le proposizioni contingenti si dovessero comportare come le categoriche e le necessarie e che quindi ammettessero tutte e sole le leggi di conversione che le proposizioni categoriche e le necessarie hanno e che Aristotele ha esposto in Analitici Primi, A, 2-3. Da ciò segue, evidentemente, che “le contingenti affermative non si convertono in contingenti negative, cosa che Aristotele sostiene” (in Anal. Pr. p. 159, ll. 13-14). Dobbiamo sottolineare che a sostenere questa tesi furono “coloro che erano attorno a Teofrasto”, non lo stesso Eresiano, i cui testi molto probabilmente Alessandro conosceva. Ora, gli anonimi seguaci di Teofrasto, a cui Alessandro si oppone, avevano recepito dall’Eresiano la sua trattazione della logica modale come una pura estensione sintattica della sillogistica categorica. In questo modo, come Teofrasto aveva rifiutato i sillogismi di prima figura LX-L, perché non potevano essere considerati una legittima estesione – mediante un operatore modale premesso ad ogni proposizione – dei sillogismi categorici di prima figura, allo stesso modo anche le regole di conversione devono risultare semplicemente dalla aggiunta di un operatore modale alle leggi formulate per le proposizioni categoriche in Analitici Primi, A, 2. Il fatto
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 245 che lo stesso Aristotele sembri applicare questo schema “di estensione” alle leggi di conversione del necessario in Analitici Primi A, 3, 25 a27-36 indusse probabilmente Teofrasto a considerare coerente questa esposizione delle leggi di conversione delle proposizioni contingenti, come una estensione delle leggi di conversione per le proposizioni categoriche (cfr. in Anal. Pr. p. 41, ll. 22-24). Alessandro non specifica se l’Eresiano fosse da ciò indotto ad escludere la dottrina aristotelica esposta in Anal. Pr. A, 3, 25 b19-24; ma dato che abitualmente il commentatore nota le divergenze fra Aristotele e il suo allievo, e dato che a suo dire furono “coloro attorno a Teofrasto” (in Anal. Pr. p. 159, l. 10) ad escludere la validità delle conversioni delle proposizioni contingenti che Aristotele propone in Anal. Pr. A, 13, 32 a29-35, è legittimo supporre che questa tesi non emergesse esplicitamente nei testi dell’Eresiano, benché con ogni probabilità questi testi ne costituissero il presupposto teorico. Più difficile è stabilire come questi anonimi seguaci di Teofrasto potessero considerare le loro teorie legittime e coerenti con il testo dello Stagirita. Mentre infatti le leggi teofrastee di conversione delle premesse contingenti possono essere considerate semplici “aggiunte”, al limite compatibili con il testo degli Analitici Primi – secondo la consueta prassi del ricavare tali tesi da brani che ne sarebbero il presupposto, come presumibilmente Anal. Pr. A, 3, 25 a27-36 – è assai più problematico negare la correttezza delle conversioni che Aristotele propone in Anal. Pr. A, 13, 32 a29-35, se si vuole rispettare la “ortodossia” aristotelica. Tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è molto difficile azzardare ipotesi ricostruttive. Ciò però non deve indurci ad accogliere come storicamente accurata la ricostruzione che Alessandro vuole implicitamente proporre, secondo la quale gli anonimi seguaci di Teofrasto si sarebbero allontanati dall’“ortodossia” aristotelica, almeno in questo punto – “ortodossia” che, è quasi pleonastico rilevarlo, coincide con la particolare versione dell’aristotelismo che il commentatore di Afrodisia propone. Per il solo fatto di essere “seguaci di Teofrasto”, questi anonimi pensatori si iscrivono, infatti, a pieno diritto in quella tradizione di riflessione filosofica che ha come cifra il confronto con i testi dello Stagirita, ritenuti autoritativi. Le osservazioni di Alessandro mostrano piuttosto come fossero assai numerose e varie tra loro le versioni dell’aristotelismo che fiorirono a quel tempo, sebbene di esse a noi non rimangano che frammenti come questo. Quasi per contrapporsi a questi anonimi peripatetici, il commentatore di Afrodisia spiega per quale ragione la conversione delle proposizioni contingenti da affermative in negative e vice versa è ammessa dallo Stagirita. Il passo è decisivo dal punto di vista dottrinale, anche se il commentatore di Afrodisia pare non allontanarsi molto dalla lettera del testo. Aristotele afferma che, dato che il contingente non è necessario e che ciò che non è necessario è possibile che non sia, allora anche ciò che è contingente è possibile che non sia (cfr. Anal. Pr. A, 13,
246 Luca Gili 32 a36-38). È evidente, dalla stringata analisi che Alessandro compie del testo aristotelico, che, a suo avviso, dalla definizione del contingente “contingente è ciò che, non essendo necessario…” (Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20), segue – potremmo dire per contrapositionem – che “ciò che non è necessario è possibile anche che non sia” (in Anal. Pr. p. 160, l. 20). Per comprendere la sua pacifica accettazione della dottrina esposta dallo Stagirita, non credo sia necessario supporre che egli intenda la contingenza come “two-sided possibility”: questo è senza dubbio il modo in cui la formalizzazione moderna può evidenziare le differenze tra l’approccio del commentatore di Afrodisia e quello degli anonimi seguaci di Teofrasto secondo i quali, molto verosimilmente, la contingenza non è che la “one-sided possibility”. Il fatto che la contingenza sia una “two-sided possibility” è piuttosto, per Alessandro di Afrodisia, una conseguenza di una riflessione più fondamentale. Stante la sua semantica temporale, una proposizione è necessariamente vera se è vera per ogni istante di tempo. Se non è necessaria, esiste almeno un istante di tempo in cui la proposizione è falsa, ovvero in cui il soggetto e il predicato che la proposizione affermativa congiunge sono disgiunti. Questa, come abbiamo visto, è la concezione alessandrista della contingenza. Alessandro sembra comprendere che il punto di fondamentale divergenza fra la propria interpretazione e quella dei seguaci di Teofrasto risiede appunto nella definizione che si dà della contingenza, tanto è vero che, nella critica che rivolge a loro, osserva: “invero se questo [che abbiamo esposto] è il contingente, sono in errore quanti ritengono che le contingenti positive non si convertano in negative” (in Anal. Pr. p. 160, ll. 26-28). È evidente allo stesso Alessandro, infatti, che, per accettare la sua spiegazione della convertibilità di queste proposizioni contingenti, è anzitutto necessario accogliere la sua interpretazione semantica temporale del “contingente”. Ma perché tale definizione temporale dovrebbe giustificare le conversioni ammesse da Aristotele? Secondo Alessandro, lo Stagirita stesso si chiede come sia possibile che le contingenti negative si convertano in positive (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 a29-32 b3), se si concede che la definizione di “contingente” (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 a15-29) sia quella che è stata proposta. Ora, osserva Alessandro, all’interno di questa discussione più generale, ci si può chiedere però se il contingente che si converte nel modo che Aristotele espone sia il contingente che resta identico “kat¦ tÕn diorismÒn”, cioè se si convertano anche le proposizioni contingenti considerate solo in relazione ad un determinato istante di tempo (cfr. in Anal. Pr. p. 161, ll. 3-6: “'Ez»thsa, e„ tÕ ™ndecÒmenon toioàtÒn ™stin, Ðpo‹on ær…sato, m»te ¢nagka‹on m»te Øp£rcon, pîj œti ta‹j katafatika‹j ™ndecomšnaij aƒ ¢pofatikaˆ ™ndecÒmenai ¢ntistršfousi fulassomšnou toà kat¦ tÕn diorismÕn ™ndecomšnou ™n ¢mfotšraij”). Aristotele non affronta questa tematica esplicitamente. Alessandro concede che,
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 247 nel caso del contingente identico “kat¦ tÕn diorismÒn”, le conversioni affermate da Aristotele sono invalide: si può perciò supporre che quanti negavano la dottrina esposta dallo Stagirita in Anal. Pr. A, 13, 32 a29-32 b3, proponessero come controesempio proprio il caso delle proposizioni del contingente identico “kat¦ tÕn diorismÒn”. D’altra parte, è probabile anche che Alessandro inserisca questa digressione per chiarire il modo in cui si deve intendere la convertibilità delle proposizioni contingenti. Secondo il commentatore di Afrodisia, se “è contingente che B appartenga ad A”, B non appartiene attualmente ad A, poiché è proprio del contingente il fatto che il rapporto enunciato dalla proposizione sia vero in un istante di tempo diverso dal presente (cfr. in Anal. Pr. p. 161, ll. 7-8: toàto g¦r ‡dion enai doke‹ toà ™ndecomšnou tÕ m»pw enai toàto, Ö lšgetai). Allo stesso modo, una proposizione contingente negativa che affermi che “è contingente che B non appartenga ad A”, afferma che B attualmente appartiene ad A. In questo senso la legge di conversione seguente: a. (i) “è contingente che B appartiene ad A” se e solo se (ii) “è contingente che B non appartiene ad A” non può essere valida se si intende che entrambe le proposizioni devono essere considerate rispetto all’istante presente. Se infatti si introducesse questa limitazione “kat¦ tÕn diorismÒn”, la legge a. sarebbe equivalente alla seguente legge: a’. (i’) “B non appartiene attualmente ad A” se e solo se (ii’) “B appartiene attualmente ad A”. Tale legge è evidentemente falsa; da ciò segue che le leggi di conversione enunciate da Aristotele per le proposizioni contingenti non riguardano proposizioni considerate limitatamente allo stesso istante di tempo (“kat¦ tÕn diorismÒn”). Aristotele intende invece dire, secondo l’esegeta di Afrodisia, che è vero che all’istante in cui è contingente che un termine appartenga ad un altro, lo stesso termine è contingente che non appartenga, ma da ciò non segue che quando è vero che il termine appartiene, è vero anche che essp non appartiene; segue piuttosto che quando appartiene, è contingente che non appartenga e quando non appartiene, è contingente che appartenga332. In altre parole avremo la legge di conversione seguente: (a) se è vero a tk che A appartiene contingentemente a B, allora è vero a tk che A non appartiene contingentemente a B. 332
Cfr. in Anal. Pr. p. 161, ll. 18-24: oÙk ™peid¾ oân, ™f’oá tÕ ™ndšcesqai enai ¢lhqšj, ™pˆ toÚtou ¢lhq8j kaˆ tÕ ™ndšcesqai m¾ enai, ½dh ka…, Óte tÕ ›teron ¢lhq8j enai, tÒte kaˆ tÕ ›teron, ¢ll¦ kaˆ par¦ mšroj. oÙ g£r, Óte m¾ Øp£rcei, tÒte, ¢ll' Ótan Øp£rcV, ™ndšcetai m¾ Øp£rcein· Ö g¦r ™ndšcetai Øp£rcein m¾ Øp£rcon, toàto ™ndšcetai kaˆ m¾ Øp£rcein, Ótan Øp£rxV. À e„ tÕ ™ndšcesqai ™pˆ toà m»pw Ôntoj lšgetai, tÕ ™ndšcesqai enai ¢ntˆ toà ‘™ndšcetai genšsqai’ lšgoit’¥n.
248 Luca Gili Ciò significa che a tk è vero che a tn (n>k) A appartiene a B e che, sempre a tk, è vero che a tm (m>k ٨ m≠n) A non appartiene a B. La diversità di degli istanti di tempo tm e tn rende appunto possibile la legge di conversione. Se il contingente fosse inteso “kat¦ tÕn diorismÒn”, non ci sarebbe questa diversità (perché la considerazione sarebbe confinata ad un solo istante di tempo). Di conseguenza, come correttamente rileva Alessandro, la legge (a) sarebbe invalida. Proseguendo il proprio commento, Alessandro affronta l’affermazione aristotelica secondo la quale le contingenti negative sono affermazioni e non negazioni (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 b1-3): Aristotele afferma che ciò è stato da lui già affermato precedentemente e l’esegeta di Afrodisia si pone il problema di capire dove. Probabilmente lo Stagirita si riferisce al De Interpretatione secondo Alessandro (cfr. in Anal. Pr. p. 160, ll. 29-31), ma il commentatore non specifica le linee esatte. Maximilien Wallies rimanda a De Interpr. 12, 21 a34 e ss., ma ritengo più probabile che il passo che l’esegeta avesse in mente fosse De Interpr. 12, 21 b34-22 a1: qui Aristotele afferma che coppie di proposizioni contingenti sono contraddittore se e solo se la negazione precede l’operatore modale. L’osservazione di Alessandro è interessante per un duplice aspetto. a) Da un lato infatti vediamo il commentatore suggerire una critica, fondata su basi “filologiche”, dell’atetesi che Andronico di Rodi aveva proposto del De Interpretatione333. b) In secondo luogo, vediamo confermato in questo passo che l’ordine di lettura delle opere di Aristotele (o perlomeno dell’organon) era già stato fissato ai tempi di Alessandro, tanto che egli poteva considerare un dato acquisito e pacifico il fatto che il De Interpretatione precedesse gli Analitici Primi. In seguito, nel brano di Anal. Pr. A, 13, 32 b4-13, Aristotele afferma che il “contingente” si può intendere in due modi: “diwrismšnwn d8 toÚtwn p£lin lšgwmen Óti tÕ ™ndšcesqai kat¦ dÚo lšgetai trÒpouj” (Anal. Pr. A, 13, 32 b4-5). Questi due tipi di contingente sono a) ciò che accade per lo più e per natura; b) ciò che accade raramente e a caso. Alessandro specifica che la definizione di “contingente”, fornita da Aristotele in Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20, si adatta perfettamente a ciascuno di questi due tipi di “contingente”, ciascuno dei quali può quindi essere considerato una “specie” nel genere più ampio di “contingente”, ovvero una parte del tutto (cfr. in Anal. Pr. p. 161, l. 33-p. 162, l. 1). L’analisi di Alessandro a questo passo è di cruciale importanza per la comprensione della sua semantica per le proposizioni modali e ci consente, quindi, di scorgere con una certa chiarezza i capisaldi della sua originale esposizione della logica aristotelica. Analizziamola perciò in dettaglio. 333
Cfr. in Anal. Pr. p. 160, l. 31-p. 161, l. 1: di¦ toàto prosšqhke tÕ kaq£per ™lšcqh prÒteron. ™x ïn kaˆ aÙtîn œnesti deiknÚnai, Óti tÕ Perˆ ˜rmhne…aj 'Aristotšlouj ™stin, ¢ll’oÙc æj 'AndrÒnikÒj fhsin.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 249 a) Il primo senso di “contingente”: ciò che avviene per lo più o per natura Ciò che avviene per natura non è necessario, perché è proprio del necessario il fatto che accada sempre. Ciò che avviene per natura talvolta invece non accade o non accade allo stesso modo, sebbene si possa dire che accada per la maggior parte dei casi334 . Questa affermazione si basa sull’interpretazione che Alessandro dà dei fenomeni naturali e in generale dei processi di generazione e di corruzione del mondo sublunare. Nella cosmologia alessandrista sono le specie ad essere eterne, mentre gli individui che le compongono si alterano e mutano, guidati nelle loro alterazioni dalla “provvidenza”, che agisce con la mediazione dei movimenti eterni delle sostanze celesti (cfr. ad esempio Quaestiones, II, 19, p. 66, ll. 22-26: “Óson d8 aÙtoà [scilicet: toà kÒsmou] genhtÒn te kaˆ fqartÕn kaˆ tÁj par’¥llou bohqe…aj deÒmenon prÒj te tÕ enai kaˆ prÕj t¾n di¦ tÁj eÙt£ktou metabolÁj kat’edoj ¢idiÒthta, toàt’™stˆ tÕ pronooÚmenon ØpÕ tÁj toà qe…ou mšrouj toà kÒsmou kin»sewj eÙt£ktou kaˆ poi©j scšsewj prÕj aÙtÕ kubernèmenon”). Sono proprio gli individui delle sostanze corruttibili sublnari ad essere i soggetti di proposizioni che esprimono rapporti di inerenza “per natura”, espressi con modalità contingente e che sono veri per lo più. Questa implicita nozione semantica sembre essere il Leitfaden della riflessione alessandrista. Secondo il commentatore di Afrodisia, infatti, due sono le ragioni per le quali ciò che avviene per natura non è necessario. 1) La prima è che tutto ciò che avviene per natura (kat¦ fÚsin) non è eterno e, dato che l’essere sempre vero è la caratteristica propria del “necessario”335, da ciò segue che ciò che avviene per natura non è necessario336. L’esegeta di Afrodisia riferisce come assodata la tesi per la quale ciò che accade per natura non è eterno. In effetti ci sono numerosi passi aristotelici che possono indurre l’interprete a formulare questa conclusione: nel De generatione animalium si afferma che i viventi dotati di un’anima non sono eterni, presi singolarmente, mentre eterne sono le loro specie (cfr. De gen. anim. B, 1, 732 b32-35), mentre in Etica Nicom. Z, 3, 1139 b24 e in De Coelo A, 3 si dice che ciò che è eterno non è soggetto a generazione e a corruzione. Poiché la natura è il principio del mutamento e della quiete per sé e non per accidente (cfr. Phys. B, 1, 192 b21-22) e quel particolare tipo di k…nhsij che si ha nel genere 334 Cfr. in Anal. Pr. p. 162, ll. 4-6: toiaàt£ ™sti t¦ fÚsei ginÒmena, § oÙk ™x ¢n£gkhj m8n g…netai tù ™pˆ tinîn sump…ptein pot8 kaˆ m¾ oÛtwj, oÙ m¾n ¢ll’æj ™pˆ tÕ polÝ g…netai. 335 Per questa tesi si veda anche il passo di De Generatione et corruptione B, 11, 338 a1-2: “ést’e„ œstin ™x ¢n£gkhj, ¢…diÒn ™sti, kaˆ e„ ¢…dion, ™x ¢n£gkhj”. 336 Cfr. in Anal. Pr. p. 162, ll. 15-18: tù oân m¾ a„eˆ taàta enai, oŒj ™ndšcesqa… famen t¦ kat¦ fÚsin Øp£rcein (to‹j g¦r kaq' ›kasta taàta Øp£rcei), oÙk ™x ¢n£gkhj t¦ kat¦ fÚsin· tÕ g¦r ¢nagka‹on ¢…diÒn te kaˆ a„eˆ Ðmo…wj ™pˆ tîn Ðmo…wj ™cÒntwn.
250 Luca Gili della sostanza è il processo di generazione e di corruzione (cfr. Phys. Q, 7, 261 a27-36), si può presumere che riferendosi agli avvenimenti kat¦ fÚsin Alessandro abbia pensato a soggetti sottoposti alla generazione e alla corruzione. Da ciò è facile inferire che quanto accade kat¦ fÚsin non è eterno e, quindi, non è necessario. Purtroppo queste considerazioni sono destinate a rimanere ipotesi, sia pure piuttosto fondate, dato che non possediamo più il commento di Alessandro ai cruciali passi della Fisica, sulla base dei quali sembrerebbe legittimo dedurre queste conclusioni. 2) La seconda ragione per la quale ciò che avviene per natura non è necessario è spiegata da Alessandro con l’introduzione di una ulteriore distinzione. Possiamo esprimere infatti un fatto che accade per natura con la seguente proposizione: (a) “A appartiene kat¦ fÚsin a B”. Dato che ogni proposizione esprime, secondo Aristotele e Alessandro, come l’inerenza di un termine ad un altro, ci si può chiedere quale dei due termini sia quello che si dice “per lo più”: A o B? La risposta di Alessandro sembra essere che, in una proposizione come (a), sia il soggetto che il predicato possono essere veri “per lo più” ed è sufficiente che uno dei due termini sia predicato “per lo più” degli elementi di cui si dice, affinché la proposizione che ha la struttura di (a) sia contingente kat¦ fÚsin. Prendiamo ad esempio questa proposizione: (a’) “Il partorire dopo nove mesi dal concepimento appartiene kat¦ fÚsin ad ogni donna incinta”. L’esempio, sebbene non occorra nel testo aristotelico, né in quello alessandrista, ben si adatta ad esprimere questa teoria, che nasce con l’intento di dare una presentazione logica adeguata della dottrina fisica del mutamento (e quindi anche della generazione). Ora, perché la proposizione (a’) sia contingente e kat¦ fÚsin, occorre che non sempre il nesso tra predicato e soggetto sia vero. E ciò si può dare in due casi: 1. ci può essere un aborto spontaneo (e in tal caso è il predicato logico che viene a mancare: non ci sarà più un parto dopo nove mesi); 2. può morire la madre prima del parto (e in tal caso è il soggetto logico che viene a mancare, ovvero la donna incinta). Per spiegare la sua teoria, Alessandro riprende l’esempio (a mio parere meno perspicuo) dell’incanutirsi, a cui fa cenno lo stesso Aristotele. Ebbene, è evidente che non tutti gli uomini incanutiscono e dunque è il predicato logico (il diventare canuti) ad essere vero “per lo più”. Ma anche nell’ipotesi che il predicato sia necessario (ad esempio supponendo che ogni uomo necessariamente incanutisca a sessant’anni), l’intero enunciato rimarrebbe contingente, perché non tutti gli uomini arrivano a sessant’anni337. 337
Cfr. in Anal. Pr. p. 162, ll. 21-26: oŒon e„ p©j ¥nqrwpoj ˜xhkontaet¾j genÒmenoj ™x ¢n£gkhj ™polioàto, Ómwj oÙd8n Âtton ™ndecÒmenon Ãn tÕ poliwq»sesqai tÒnde tin£, Óti ™nedšceto
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 251 b) Il secondo senso di contingente: ciò che avviene di rado e per caso, il “contingente indefinito” Ciò che avviene di rado o per caso, e che costituisce la seconda categoria di “contingente”, serve a descrivere tutti gli eventi che hanno uguale probabilità di accadere o di non accadere (come il passeggiare o lo stare fermi, il chiacchierare o il tacere etc.) e gli eventi che si oppongono a quelli che accadono per lo più, come ad esempio il non incanutire a sessant’anni338 . Quando Aristotele nomina il camminare (detto di un uomo) alluderebbe per Alessandro al primo dei sensi di contingente indefinito, cioè ciò che indifferentemente accade o non accade; quando invece lo Stagirita allude all’eventualità di un terremoto, mentre si cammina, farebbe riferimento per il commentatore di Afrodisia al secondo dei sensi del contingente indefinito, cioè a ciò che accade di rado e si oppone al per lo più339 . Entrambe queste sottospecie del secondo significato di “contingente” sono indefinite, ma per ragioni diverse: ciò che indifferentemente accade o non accade lo è, appunto, per tale motivo; ciò che accade di rado e quasi per caso è indefinito, perché avviene quasi senza una ragione. Ciò determina anche una gerarchia all’interno del contingente, che vede ciò che accade per lo più come più vicino al necessario, ciò che accade di rado e casualmente come più lontano dal necessario;
aÙtÕn kaˆ m¾ proelqe‹n ™pˆ t¦ tosaàta œth. tÕ par¦ taÚthn t¾n a„t…an ginÒmenon ™ndecÒmenon ™d»lwsen e„pën toàto g¦r oÙ sunec8j m8n œcei tÕ ¢nagka‹on di¦ tÕ m¾ ¢eˆ enai ¥nqrwpon, lšgwn oÙ sunec8j tÕ toioàton enai, diÕ mhd8 ¢nagka‹on. 338 Cfr. in Anal. Pr. p. 163, ll. 1-7: tÕ d8 ›terÒn fhsi tÕ ¢Òriston, ¢Òriston lšgwn tÒ te ™p’‡shj œcon tÕ oÙd8n m©llon oÛtwj ™sÒmenon À m», oŒon tÕ peripat»sein de…lhj Swkr£th À tÕ dialecq»sesqai tùde, œti d8 kaˆ tÕ tù æj ™pˆ tÕ ple‹ston ginomšnJ toà ™ndecomšnou ¢ntike…menon, Ó ™sti tÕ ™p’œlatton ginÒmenon, di’Ö paremp‹pton kekèlutai tÕ ™pˆ ple‹ston ginÒmenon ¢e… te g…nesqai kaˆ enai ¢nagka‹on· toioàton d’¨n e‡h tÕ m¾ poliwqÁnai tÕn ˜xhkontaetÁ. 339 Cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 b4-13: Diwrismšnwn d8 toÚtwn p£lin lšgwmen Óti tÕ ™ndšcesqai kat¦ dÚo lšgetai trÒpouj, ›na m8n tÕ æj ™pˆ tÕ polÝ g…nesqai kaˆ diale…pein tÕ ¢nagka‹on, oŒon tÕ polioàsqai ¥nqrwpon À tÕ aÙx£nesqai À fq…nein, À Ólwj tÕ pefukÕj Øp£rcein (toàto g¦r oÙ sunec8j m8n œcei tÕ ¢nagka‹on di¦ tÕ m¾ ¢eˆ enai ¥nqrwpon, Ôntoj mšntoi ¢nqrèpou À ™x ¢n£gkhj À æj ™pˆ tÕ polÚ ™stin), ¥llon d8 tÕ ¢Òriston, Ö kaˆ oÛtwj kaˆ m¾ oÛtwj dunatÒn, oŒon tÕ bad…zein zùon À bad…zontoj genšsqai seismÒn, À Ólwj tÕ ¢pÕ tÚchj ginÒmenon· oÙd8n g¦r m©llon oÛtwj pšfuken À ™nant…wj. Si veda al proposito il commento di Alessandro, alle linee 8-12 di in Anal. Pr. p. 163: œlatton œsti kaˆ tÕ ¢pÕ tÚchj. di¦ m8n toà bad…zein ™d»lwse toà ™ndecomšnou tÕ prÕj t¦ ¢ntike…mena ™p’‡shj œcon, di¦ d8 toà bad…zontoj genšsqai seismÕn À Ólwj tÕ ¢pÕ tÚchj ginÒmenon tÕ ™p’œlatton, Ö tù æj ™pˆ tÕ ple‹ston ginomšnJ ¢nt…keitai. ¢Òrista d8 ¢mfÒtera, kaˆ tÕ m8n di¦ tÕ ™f’˜katšrJ ‡son· ¢Òriston g¦r tÕ oÙd8n m©llon oÛtwj À ™ke…nwj.
252 Luca Gili ciò che indifferentemente accade o non accade si trova a metà strada340. Questa osservazione non prende in considerazione le proposizioni categoriche e la ragione di questa scelta molto probabilmente risiede nella considerazione “temporale” delle proposizioni, svolta da Alessandro di Afrodisia: in virtù della semantica temporale un fatto che accade nel momento presente, e che quindi è espresso da una proposizione categorica, o è vero anche in tutti gli altri istanti di tempo (e allora sarà un fatto necessario), oppure è vero solo ora o comunque non sempre (e allora sarà un fatto contingente). Ed è sempre in virtù della considerazione temporale delle proposizioni che possiamo comprendere con facilità l’ordine stabilito da Alessandro: al primo posto gli eventi che accadono sempre (espressi con proposizioni necessarie), poi quelli che accadono spesso (espressi con proposizioni contingenti “per lo più”), poi quelli che indifferentemente accadono o non accadono (espressi con proposizioni contingenti “indefinite” di primo tipo), infine gli eventi rari o casuali (espressi con proposizioni contingenti di secondo tipo). La gerarchia, in altre parole, è determinata dal numero di istanti di tempo per i quali una proposizione è vera. Proseguendo la propria riflessione, lo Stagirita osserva che ciò che è detto contingente “per lo più” si converte con l’espressione “non è necessario che sia”, mentre ciò che è detto appartenere contingentemente in modo indefinito si converte con l’espressione “è contingente che non appartenga”. Secondo Alessandro, in questo modo lo Stagirita vuole evidenziare che l’indefinito può accadere e non accadere indifferentemente, perciò la sua espressione sostitutiva esprime questo concetto; tuttavia anche il contingente “per lo più” si può esprimere con la locuzione “è contingente che non appartenga”, dato appunto che, se è contingente, si deve dare almeno un istante di tempo in cui il predicato non appartiene al soggetto. I commentatori moderni sembrano suggerire che queste diverse regole di conversione, che Aristotele fornisce per ciascuno dei sensi di “contingente”, siano utili per distinguere tra loro tali sensi e ne costituiscano in qualche misura un tratto distintivo341. Tuttavia, come è noto, gli interpreti moderni forniscono generalmente una interpretazione diversa del “contingente” e, nella definizione di Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20, colgono ben due sensi di “contingente”342; Alessandro al contrario non distingue, nella sua interpretazione di quel passo, due sensi di “contingente” (che coinciderebbero, in sostanza, con la 340
Cfr. in Anal. Pr. p. 163 ll. 15-18: m£lista m8n g¦r éristai tÕ ¢nagka‹on, deutšrwj d8 tÕ ™ggÝj tù ¢nagka…J· toàto dš ™sti tÕ ™pˆ plšon. Ö d8 ™pˆ ple‹ston ¢fšsthke toà ærismšnou, toàto eÙlÒgwj ¢Òriston· toioàton d8 tÕ ™p’‡shj kaˆ œti m©llon tÕ ™p’œlatton. 341 Si veda a questo proposito Striker [1985], p. 151; Ebert-Nortmann [2007], p. 494. 342 Cfr. ad esempio Ebert-Nortmann [2007], pp. 470-473: il primo senso è il possibile, il secondo è la possibilità a due lati (non necessario e non impossibile).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 253 possibilità ad un lato e la possibilità a due lati, che è la contingenza in senso proprio, secondo i moderni). Coerentemente, nell’interpretare le regole di equivalenza che Aristotele formula in Anal. Pr. A, 13, 32 b15-18, il commentatore di Afrodisia osserva perciò che le espressioni, che Aristotele considera equivalenti, significano qualcosa del tipo di contingente con il quale si convertono, ma di fatto sono intercambiabili tra loro: non è perciò a partire da tali regole di conversione che bisogna ricavare, in altre parole, i distinti sensi di “contingente” (come invece propongono di fare gli interpreti moderni). Alessandro è portato a questa conclusione proprio perché egli ha già distinto i sensi secondo i quali “contingente” si dice: una ulteriore definizione sarebbe, ai suoi occhi, ridondante. Anche in questo caso è perciò possibile apprezzare come Alessandro sia consapevole dei problemi che la sua particolare presentazione del testo aristotelico può porre: se avesse infatti affermato che le equivalenze stabilite da Aristotele erano complementari alla definizione di Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20 e ne illustravano il senso (come dicono i moderni), il commentatore avrebbe contraddetto la propria interpretazione di quest’ultimo passo, dato che pensa che qui Aristotele presenti il “contingente” in generale e con un’unica definizione, e non già i due sensi distinti. Nella sezione finale del capitolo A, 13 (32 b18-37), Aristotele affronta il tema dell’impiego, in sede di discussione scientifica, dei vari tipi di contingente, affermando che il contingente per lo più è utilizzabile, mentre il contingente indefinito non compare nelle proposizioni che possono fungere da premesse di un ragionamento scientifico. Il concetto di “utilità”, ai fini della dimostrazione scientifica, non è nominato esplicitamente dallo Stagirita, ma riveste un ruolo centrale nell’analisi di Alessandro di Afrodisia. Nella sua generale interpretazione dell’aristotelismo, infatti, sono gli Analitici Posteriori a dettare il paradigma per il ragionamento scientifico343 e gli Analitici Primi sono visti in prospettiva dei Posteriori, poiché forniscono la generale teoria della deduzione, in vista della elaborazione della specifica teoria della deduzione scientifica. Nel proporre questa tesi, Alessandro di Afrodisia si basa principalmente su quanto Aristotele stesso dice in Anal. Pr. A, 4, 25 b26-31: diwrismšnwn d8 toÚtwn lšgwmen ½dh di¦ t…nwn kaˆ pÒte kaˆ pîj g…netai p©j sullogismÒj· Ûsteron d8 lektšon perˆ ¢pode…xewj. prÒteron d8 perˆ sullogismoà lektšon À perˆ ¢pode…xewj di¦ 343
Questa tesi è stata difesa in Rashed [2007] e, limitatamente a quella particolare scienza che è la metafisica, in Bonelli [2001]. Più controverso è invece il dibattito intorno alle vere intenzioni di Aristotele. Recentemente Bell [2004] ha sostenuto che la Metafisica di Aristotele si struttura come lo stesso Stagirita stabilisce negli Analitici Posteriori che si debbano sviluppare le scienze. Nel 1969 un celebre articolo di Jonathan Barnes affermava invece che negli Analitici Posteriori si presenta uno schema per la riproposizione didattica della scienza, laddove la ricerca scientifica si svolge con altri strumenti (cfr. Barnes [1969]).
254 Luca Gili tÕ kaqÒlou m©llon enai tÕn sullogismÒn· ¹ m8n g¦r ¢pÒdeixij sullogismÒj tij, Ð sullogismÕj d88oÙ p©j ¢pÒdeixij344. Quel che è importante sottolineare è che il particolare aristotelismo che Alessandro elabora, che pone a paradigma di scienza la teoria della dimostrazione dei Posteriori, benché in sé sia fortemente compatto e coerente, non è tuttavia l’unico possibile a partire dai testi dello Stagirita. Ad ogni modo, una tale impostazione si rivela utile, agli occhi di Alessandro, anche per ragioni “apologetiche”: a partire infatti dalla “utilità” che – secondo l’esegeta – i sillogismi devono avere, ai fini della dimostrazione scientifica, è possibile anche sviluppare una risposta al pensiero dei “recenti filosofi” – indubbiamente di formazione stoica – che muovevano critiche alla logica aristotelica. I logici stoici infatti consideravano incompleta la logica aristotelica, perché non affrontava le deduzioni proposizionali, che la loro tradizione filosofica aveva invece indagato con particolare acume. Alessandro mostra in più punti del proprio commento di esserne consapevole, tuttavia ritiene o che tutte le deduzioni – incluse quelle proposizionali degli stoici – siano riducibili
344
Cfr. al riguardo in Anal. Pr. p. 41, l. 33-p. 42, l. 31: 'EfexÁj to‹j proeirhmšnoij lšgein prot…qetai, ïn ›neken kaˆ perˆ ™ke…nwn epen, œsti d8 tÕ di¦ t…nwn oƒ sullogismoˆ g…nontai, Óti di¦ prot£sewn. ™peˆ d8 di¦ poi©j prot£sewn sunqšsewj oƒ sullogismoˆ g…nontai, di¦ toàto prosšqhke tù di¦ t…nwn tÒ te pÒte kaˆ pîj shmantik¦ Ônta tÕ m8n pÒte tîn te suzugiîn kaˆ tîn schm£twn, Óti kat¦ Óron tin¦ de‹ koinwne‹n t¦j prot£seij, ™n oŒj sc»masi kaˆ ™n aŒj suzug…aij oƒ sullogismo…, kaˆ œti tÁj tîn prot£sewn poiÒthtoj· oÙ g¦r ™k pasîn suntiqemšnwn prot£sewn g…nontai sullogismo…· oÜte g¦r ™k dÚo ¢pofatikîn oÜte ™k dÚo ™pˆ mšrouj, æj de…xei· tÕ d8 pîj tîn kaq' ›kaston schm£twn suzugiîn kaˆ trÒpwn sullogismîn ™sti dhlwtikÒn· kaˆ g¦r e„ ™k tîn prot£sewn g…netai sullogismÒj, oÙc Ðpwsoàn suntiqemšnwn g…netai, ¢ll’ ™n t£xei tÍ o„ke…v· di£ te g¦r prot£sewn oƒ sullogismoˆ poiîn kaˆ ™n sc»masin, oŒj ™re‹, kaˆ ™n toÚtoij kat¦ poi¦n tîn prot£sewn prÕj ¢ll»laj sumplok»n· kaq' ›kaston g¦r scÁma kaˆ ¢sullÒgistoi kaˆ sullogistika… e„si suzug…ai par¦ t¾n poi¦n tîn prot£sewn sÚnqesin. di¦ t…nwn m8n oân; di¦ g¦r prot£sewn. pÒte d8 kaˆ pîj; ™k g¦r toiînde prot£sewn kaˆ oÛtw sunteqeisîn, æj enai tÕ m8n pÒte toà toiaÚtaj de‹n lamb£nesqai tÕ d8 pîj tÁj toi©sde sunqšsewj dhlwtikÒn. t¾n d' a„t…an toà proqšmenon lšgein perˆ ¢pode…xewn prîton perˆ sullogismîn tÕn lÒgon poie‹sqai aÙtÕj safîj ¢podšdwken ™ntaàqa· diÒti g¦r kaqÒlou m©llon Ð sullogismÒj. kaˆ pîj kaqÒlou, ™d…daxe di¦ toà de‹xai, Óti m¾ ¢ntistršfei· ¹ m8n g¦r ¢pÒdeixij sullogismÒj tij· Ð d8 sullogismÕj oÙ p©j ¢pÒdeixij. oÛtwj d8 œcwn Ð sullogismÕj prÕj t¾n ¢pÒdeixin prîtÒj ™stin aÙtÁj· aÛth g¦r kaˆ ¹ tÁj ™pigrafÁj a„t…a tÁj tîn Protšrwn ¢nalutikîn kaˆ `Ustšrwn ™pigr£fesqai t£sde t¦j pragmate…aj, æj œfamen· œdei g¦r tÕn mšllonta t¾n ¢pÒdeixin Ðr…zesqai kaˆ tiqšnai ™n gšnei tù sullogismù prîton ™gnwkšnai, t… pot' ™stˆ sullogismÒj, kaˆ di¦ t…nwn g…nontai kaˆ pÒte kaˆ pîj ™cÒntwn prÕj ¥llhla. prosšqhke d8 tÕ p©j sullogismÕj ka…toi perˆ tîn kathgorikîn mÒnwn poioÚmenoj tÕn lÒgon, Óti mÒnouj toÚtouj ¹ge‹tai kur…wj enai sullogismoÚj, æj kaˆ proiën de…xei· tîn g¦r ™x Øpoqšsewj oÙdšna tÕ proke…menon sullog…zesqai.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 255 alla sillogistica345, oppure, come in questo passo, ritiene che Aristotele non poteva non essere al corrente degli sviluppi proposizionali della logica: se Aristotele non aveva parlato di simili deduzioni, ciò si deve al fatto che tali inferenze sono inutili al fine della elaborazione di una dimostrazione scientifica346, come sono inutili i sillogismi con premesse contingenti indefinite. Queste due linee di risposta alle obiezioni degli Stoici, che troviamo in Alessandro, non sono certo inconciliabili, perché è possibile che Aristotele abbia sia ritenuto inutili le inferenze stoiche, sia abbia creduto che esse potessero essere ricondotte alle deduzioni sillogistiche. Manca però un testo di Alessandro in cui queste due risposte alle obiezioni degli Stoici siano affiancate per mostrarne la 345
Cfr. in Anal. Pr. p. 345, l. 13-p. 346, l. 6: Toioàto… e„si kaˆ oÞj lšgousin oƒ neèteroi ¢meqÒdwj pera…nontaj. oÞj Óti m8n m¾ lšgousi sullogistikîj sun£gein, Øgiîj lšgousi· polloˆ g¦r aÙtîn e„si toioàtoi. Óti d8 ¹goàntai Ðmo…ouj aÙtoÝj enai to‹j kathgoriko‹j sullogismo‹j, perˆ ïn ¹ paroàsa pragmate…a, oÛtwj lambanomšnouj, æj tiqšasin aÙtoÚj, toà pantÕj diamart£nousin· e„ g¦r Ãsan toÚtoij Ómoioi, econ ¨n kaˆ tÕ enai sullogismo…. nàn d8 oƒ m8n polloˆ tîn toioÚtwn lÒgwn ™k p£ntwn ™pˆ mšrouj e„s…n· ¹me‹j d8 ™de…xamen mhdšna tîn kathgorikîn sullogismîn ginÒmenon cwrˆj kaqÒlou prot£sewj. e„ g¦r ™g…netÒ ti kat¦ sullogismÕn sumpšrasma ™pˆ dÚo prot£sesin ™n mšrei, œdei ™pˆ p£shj Ûlhj tÕ Ómoion g…nesqai sumpšrasma· diÕ kaˆ oátoi oÙk Ôntej kaq’aØtoÝj sullogistikoˆ prosteqe…shj aÙto‹j tÁj kaqÒlou prot£sewj, æj e„r»kamen, g…nontai sullogismo…. ¹ g¦r a„t…a toà toÝj legomšnouj ¢meqÒdwj pera…nein œcein ™x ¢n£gkhj to‹j keimšnoij ˜pÒmenon tÕ dokoàn sun£gesqai par¦ tÕ kaˆ ™n toÚtoij ¢lhqÁ enai t¾n kaqÒlou prÒtasin Ôntwn toioÚtwn tîn lambanomšnwn, ¿n parale…pousin· diairoàsi d8 t¾n ™l£ttona e„j dÚo prot£seij. toioàtoi g£r e„sin oƒ toio…de· lšgei D…wn, Óti ¹mšra ™st…n· ¢ll¦ kaˆ ¢lhqeÚei D…wn· ¹mšra ¥ra ™st…n. p£lin lšgei D…wn, Óti ¹mšra ™st…n· ¢ll¦ kaˆ ¹mšra ™st…n· ¢lhqeÚei ¥ra D…wn. proslhfqšnti m8n g¦r tù enai toàto, Ö lšgei tij, ›petai tÕ ¢lhqeÚein aÙtÒn, e„ d8 ¢lhqeÚein proslhfqe…h, ›petai tÕ enai toàto, Ö lšgei enai. ™n ˜katšrJ g¦r tîn lÒgwn parei£qhsan kaqÒlou prot£seij ¢lhqe‹j oâsai, ™n tù m8n tÕ ‘p©n, Ö lšgwn tij ¢lhqeÚei, ™ke‹no œstin· ¢lhqeÚei d8 D…wn lšgwn, Óti ¹mšra ™st…n’, Ö diÇrhtai e‡j te tÕ ‘lšgei D…wn, Óti ¹mšra ™st…n’ kaˆ tÕ ‘¢ll¦ kaˆ ¢lhqeÚei D…wn’, ™f' oŒj sumper£sma kat¦ sullogismÕn tÕ ‘¹mšra ¥ra ™st…n, Ö lšgei D…wn’· ™n d8 tù ˜tšrJ ¹ m8n pareimšnh prÒtasij oâsa kaqÒlou ™stˆn Óti Ð tÕ ×n lšgwn, Óti ™st…n, ¢lhqeÚei· diÇrhtai d8 ¹ ‘D…wn d8 ¹mšraj oÜshj lšgei, Óti ¹mšra ™st…n’· aÛth g¦r diÇrhtai e‡j te t¾n ‘lšgei D…wn, Óti ¹mšra ™st…’ kaˆ t¾n ‘kaˆ ¹mšra ™st…n’. sumpšrasma g¦r sullogistikîj, oÙkšt' ¢meqÒdwj oÛtwj lhfqeisîn tîn prot£sewn tÕ ‘D…wn ¢lhqeÚei’. Óson d¾ oƒ oÛtwj lambanÒmenoi tîn ™ke…nwj diafšrousi, tosoàton kaˆ oƒ kathgorikoˆ sullogismoˆ tîn legomšnwn ¢meqÒdwj pera…nein. 346 Cfr. in Anal. Pr. p. 164, ll. 23-31: diÕ kaˆ paraite‹tai t¾n ™pˆ toà toioÚtou ™ndecomšnou de‹xin tîn kat¦ t¦ sc»mata sullogismîn, oÙc æj oÙ dunamšnhn genšsqai, ¢ll’æj ¥crhston, ™ndeiknÚmenoj ¹m‹n, Óti de‹ tÕ eÜcrhston ™n tÍde tÍ pragmate…v prÕj t¦ deicqhsÒmena mÒnon lamb£nein te kaˆ ™xerg£zesqai, tÕ d’¥crhston, e„ kaˆ œcoi tin¦ sumplok»n, paraite‹sqai. Óqen dÁlon, Óti kaˆ taàta, perˆ ïn aÙtÕj m8n oÙk e‡rhke, lšgousi d8 oƒ neèteroi ¢cr»stwn Ôntwn prÕj ¢pÒdeixin, di’¢crhst…an oÙ di’¥gnoian paršlipen, oŒo… e„sin diforoÚmenoi lÒgoi À ¢diafÒrwj pera…nontej À ¹ ¥peiroj Ûlh legomšnh kaˆ kaqÒlou tÕ qšma tÕ deÚteron kaloÚmenon par¦ to‹j newtšroij.
256 Luca Gili complementarietà: molto probabilmente esse sono dettate da esigenze di una polemica occasionale e il commentatore non si premura, conseguentemente, di inserirle in un quadro coeso. Nelle ultime righe del capitolo A, 13, Aristotele aveva infine distinto due sensi ulteriori di proposizione contingente (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 b25-31). Infatti una proposizione come “è contingente che A si dice di ogni B”, può essere intesa in due sensi: a) A si predica contingentemente di tutto ciò di cui B si predica; b) A si predica contingentemente di tutto ciò di cui B si predica contingentemente. Il commentatore di Afrodisia precisa innanzi tutto che queste osservazioni dello Stagirita non introducono una nuova ed alternativa classificazione del “contingente”, ma piuttosto mostrano i due modi nei quali l’aggiunga dell’operatore modale “contingente” può essere intesa all’interno di una proposizione. Dopo questa osservazione, Alessandro rileva anche che lo stesso ragionamento potrebbe essere esteso alle proposizioni necessarie. Di conseguenza, una proposizione come “è necessario che A si dice di ogni B” può essere intesa in due modi: a) A si predica di necessità di tutto ciò di cui B si predica; b) A si predica di necessità di tutto ciò di cui B si predica di necessità. Il commentatore di Afrodisia precisa però che le due letture non sono equivalenti, come pare avessero invece sostenuto alcuni, secondo cui, assumendo la equivalenza delle letture a) e b) di una proposizione necessaria, sarebbe stato possibile dimostrare la validità delle deduzioni sillogistiche miste del necessario, che Aristotele espone in Anal. Pr. A, 9. Alessandro evidentemente si oppone alle tesi di costoro, benché anche egli sia convinto, come abbiamo visto, della validità dei sillogismi misti del necessario. 7.4.3 I sillogismi del contingente di prima figura 7.4.3.1 Il testo di Aristotele (Anal. Pr. A, 14) Aristotele, dopo avere esposto nozioni generali sul “contingente”, passa ad affrontare le deduzioni sillogistiche che hanno premesse e conclusione contingente. Nel capitolo A, 14 affronta i sillogismi di prima figura. Egli afferma che i modi Barbara QQ-Q, Celarent QQ-Q, Darii QQ-Q e Ferio QQ-Q sono perfetti e non hanno bisogno di conversioni complementari, affinché la loro validità risulti evidente. Gli altri modi invece si avvalgono delle conversioni complementari. Alle linee 32 b38-33 a17, Aristotele dimostra la validità dei sillogismi con premesse universali: oltre a Barbara e a Celarent, mostra che, per le
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 257 leggi di conversione delle proposizioni contingenti esposte in Anal. Pr. A, 13, 32 b13-17, anche sillogismi di struttura AE-A, EE-A sono validi, sebbene non perfetti. Poi lo Stagirita affronta i sillogismi di prima figura con una premessa particolare, affermando in primo luogo la validità e la perfezione di Darii e Ferio QQ-Q (cfr. 33 a21-26). Se la premessa maggiore è particolare e la minore è universale o se entrambe le premesse sono particolari non si hanno sillogismi validi. E questo può essere mostrato anche con terne di termini che invalidano questi sillogismi (cfr. 33 a27-b17). È perciò evidente che si ha conclusione in prima figura quando le premesse sono universali. Il “contingente” qui è inteso come “non necessario”. Questo capitolo non presenta particolari difficoltà interpretative e la dottrina esposta è sempre stata considerata logicamente perspicua. Il commento di Alessandro a questo passo tuttavia, benché breve per la chiarezza del testo stesso di Aristotele, è interessante perché getta le basi per la analisi alessandrista della sillogistica del contingente. 7.4.3.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 14 Al centro dell’interpretazione alessandrista della sillogistica del contingente c’è la estensione dell’esser detto “kat¦ pantÒj” alle proposizioni del contingente. Il commentatore di Afrodisia aveva derivato questa ulteriore regole non solo dall’estensione alle proposizioni modalizzate dell’esser detto “kat¦ pantÒj”, ma anche dalla discussione che lo Stagirita conduce al termine del capitolo A, 13, nel quale mostra che una proposizione “contingente” ammette due possibili letture (cfr. Anal. Pr. A, 13, 32 b25-30); ed è commentando questo passo che Alessandro aveva inferito che le proposizioni standard sono equivalenti alle proslettiche, che sono ottenute mediante la applicazione dell’esser detto “kat¦ pantÒj”: “¹ kat¦ prÒslhyin legomšnh prÒtasij tÕ aÙtÕ dÚnatai tÍ kathgorikÍ” (in Anal. Pr. p. 166, ll. 18-19): infatti le due possibili letture della proposizione contingente, esposte in Anal. Pr. A, 13, 32 b25-30, sembrano proprio dipendere dalla duplice possibilità di tradurre una proposizione proslettica in proposizione contingente. Ma come può avvenire ciò, se non in virtù dell’applicazione dell’esser detto “kat¦ pantÒj”, come Alessandro ci ha abituati a pensare? Deve dunque esistere una estensione del principio del “kat¦ pantÒj” anche per ciò che è predicato contingentemente “kat¦ pantÒj”. Iniziando perciò la spiegazione della validità e della perfezione di Barbara e Celarent QQ-Q, Alessandro ricorda quale sarà il Leitfaden della propria strategia esegetica: “ke‹tai aÙtù ‡son enai tÕ ‘kaq’oá tÒde, tÒde’ tù ‘kat¦ pantÕj toÚtou toàto’ ” (in Anal. Pr. p. 166, ll. 29-30). Le altre deduzioni sillogistiche con premesse universali, spiega Alessandro, sono ottenute per le conversioni delle proposizioni contingenti. L’esegeta osserva che ai
258 Luca Gili sillogismi imperfetti validi, elencati dallo Stagirita, deve essere aggiunto il sillogismo di struttura EE-E, che pure è valido ed è ottenuto per conversione della proposizione minore di Celarent QQ-Q. Tutti questi sillogismi imperfetti hanno, come operatore di almeno una delle proposizioni che li costituiscono, un contingente di tipo diverso rispetto a quello che compare nei sillogismi perfetti, a partire dai quali sono ottenuti mediante la conversione di una delle premesse. Perciò, se il “contingente” di Celarent QQ-Q era “per lo più” (e quindi poteva essere utile all’interno di una deduzione scientifica), la conversione della minore, a causa delle regole stesse di conversione delle contingenti, darà luogo a una proposizione del contingente “raro o casuale”. Del resto ciò discende dalla semantica temporale che Alessandro fa propria: se la premessa del sillogismo perfetto è universale affermativa contingente “per lo più”, può essere convertita solo in universale negativa contingente “raro o casuale”, perché se A si dice di tutti i B per la maggior parte degli istanti di tempo, evidentemente A si dice di nessun B per una minima parte degli istanti di tempo totali. E se una delle premesse è contingente del tipo “raro o casuale”, anche la conclusione lo sarà. Ciò comporta, quindi, la inservibilità in sede scientifica di un sillogismo di questo tipo347. Alessandro precisa, perciò, che il ragionamento che Aristotele conduce in questa sezione si fonda esclusivamente sulla astratta validità della deduzione sillogistica e prescinde dall’impiego di tali sillogismi in contesto scientifico o etico348: in questo modo il commentatore ha la possibilità di mostrare come la trattazione degli Analitici Primi conservi un carattere più generale ed ampio, rispetto a quella dei Posteriori, nei quali, evidentemente, queste deduzioni sillogistiche non saranno utili. Questa osservazione ci consente di cogliere nella giusta prospettiva le osservazioni di Maddalena Bonelli e di Marwan Rashed, i quali, nei loro studi, hanno giustamente richiamato l’attenzione sulla centralità che gli Analitici Posteriori rivestono all’interno dell’opera di Alessandro di Afrodisia. Bisogna, infatti, riconoscere il ruolo centrale che i Posteriori hanno nella elaborazione 347
Cfr. in Anal. Pr. p. 168, l. 31-p. 169, l. 5: De‹ mšntoi e„dšnai, Óti metalambanomšnwn tîn ¢pofatikîn e„j t¦j katafatik¦j oƒ ginÒmenoi sullogismoˆ oÙkšti ful£ttousi tÕ æj ™pˆ tÕ ple‹ston legÒmenon ™ndecÒmenon, e‡ ge t¾n ¢rc¾n ™l»fqhsan aƒ ¢pofatikaˆ toà æj ™pˆ tÕ ple‹ston ™ndecomšnou. tù g¦r æj ™pˆ tÕ ple‹ston ¢pofatikù ™ndecomšnJ tÕ ™p’ œlatton katafatikÕn ¢ntistršfei, ésq’, Ótan ¹ met£lhyij tîn ¢pofatikîn tîn keimšnwn ™n ta‹j suzug…aij e„j t¦j ™ndecomšnaj katafatik¦j gšnhtai, tÕ ™p’ œlatton ™ndecÒmenon kaˆ tÕ ¢Òriston teq»setai. 348 Cfr. in Anal. Pr. p. 169, ll. 5-10: toÚtou d8 keimšnou sullogismÕj m8n œstai, oÙ m¾n cr»simÒn ti œcwn, æj aÙtÕj proe‹pe. diÕ kaˆ ™roàmen taÚtaj t¦j suzug…aj æj m8n prÕj tÕ æj ™pˆ tÕ ple‹ston legÒmenon ™ndecÒmenon, kaq’Ö g…nonta… tinej kaˆ kat¦ [t¦j] tšcnaj tin¦j kaˆ kat¦ t¦j boul£j te kaˆ proairšseij kaˆ pr£xeij sullogismo…, ¢cr»stouj te kaˆ ¢sullog…stouj enai, ¡plîj mšntoi æj prÕj t¦j sumplok¦j sullogistik£j.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 259 dell’aristotelismo sistematico di Alessandro, poiché forniscono l’ossatura della articolazione di ciascuna scienza e anche della stessa sillogistica, che viene esposta con una serie di postulati e di derivazioni a partire da essi, in analogia con il procedimento della scienza assiomatica. Tutto ciò non deve però farci perdere di vista che la sillogistica degli Analitici Primi è per il commentatore di Afrodisia una disciplina più vasta delle strutture logiche effettivamente impiegate nel ragionamento sia scientifico (Analitici Posteriori), che dialettico (Topici) o sofistico (Elenchi sofistici e forse la Retorica). Proprio il fatto che la sillogistica degli Analitici Primi fa astrazione dal contenuto delle proposizioni di cui studia i rapporti, le consente di essere così ampia da comprendere anche la trattazione di sillogismi del contingente “raro o casuale”, che tuttavia non hanno alcun impiego o utilità in campo scientifico. Dopo avere quindi dimostrato la validità dei sillogismi perfetti in virtù dell’esser detto “kat¦ pantÒj” esteso al contingente e la validità degli imperfetti con il ricorso alle conversioni proprie delle proposizioni contingenti, Aristotele passa a mostrare la invalidità di alcuni sillogismi di prima figura, quelli nei quali la premessa maggiore è particolare contingente. Alessandro osserva al proposito che la ragione della invalidità di questi sillogismi è che il medio non è in grado di congiungere gli estremi, se la maggiore è particolare contingente (cfr. in Anal. Pr. p. 171, l. 19); tuttavia, dato che Aristotele propone anche delle terne di termini per fornire controesempi che mostrino l’invalidità di queste connessioni, l’esegeta di Afrodisia rileva che la scelta dello Stagirita dipende dal desiderio di rendere più salda e persuasiva la dimostrazione della invalidità di queste connessioni. Con le terne di termini Aristotele è in grado di ottenere come conclusione una universale affermativa necessaria e una universale negativa necessaria. Alessandro rileva che in questo modo non sono escluse soltanto conclusioni contingenti, ma anche categoriche e necessarie a partire dalle coppie di premesse considerate, che formano perciò connessioni non sillogistiche da ogni punto di vista (cfr. in Anal. Pr. p. 172, ll. 8-10). 7.5. I sillogismi misti del contingente di prima figura (Anal. Pr. A, 15) 7.5.1
Il testo di Aristotele
Dopo avere introdotto la definizione di “contingente” (Anal. Pr. A, 13) e dopo avere esposto i sillogismi di prima figura con entrambe le premesse contingenti (Anal. Pr. A, 14), Aristotele espone nel capitolo A, 15 degli Analitici Primi i sillogismi misti di prima figura con una premessa contingente e una premessa categorica. Il testo è importante, perché lo Stagirita introduce interessanti
260 Luca Gili annotazioni semantiche, che sembrano andare nella direzione della interpretazione “temporale” delle modalità. Se si prende in considerazione la esposizione dei sillogismi del necessario, si può riscontrare una articolazione differente del discorso aristotelico. I sillogismi con entrambe le premesse necessarie, dalla prima alla terza figura, erano stati presentati assieme in Anal. Pr. A, 8. A questo testo, seguiva la esposizione ordinata secondo le tre figure dei sillogismi misti con una premessa categorica ed una necessaria (Anal. Pr. A, 9-12). In questo caso invece Aristotele tratta ogni figura a parte, discutendo sia i sillogismi con entrambe le premesse contingenti che i sillogismi misti con una premessa categorica e l’altra contingente e quelle con una categorica e l’altra necessaria. Vediamo perciò in dettaglio il contenuto del capitolo A, 15 degli Analitici Primi. 33 b25-33 [Introduzione al tema]. Si affrontano ora le connessioni con una delle premesse categorica e l’altra contingente. Se la contingente è la maggiore, le deduzioni sillogistiche di prima figura sono perfette e hanno una conclusione contingente nel senso definito in Anal. Pr. A, 13, 32 a18-20. Se invece è la premessa minore ad essere contingente, avremo deduzioni sillogistiche imperfette e la conclusione non sarà contingente nel senso definito in Anal. Pr. A, 13, 32 a1820. 33 b33-40 [Barbara QX-Q e Celarent QX-Q: validità e perfezione di queste due deduzioni sillogistiche]. Nel caso di un sillogismo in Barbara QX-Q abbiamo che A appartiene contingentemente ad ogni B e che B appartiene ad ogni C. Dato quindi che C è uno dei B, A apparterrà contingentemente anche ad ogni C: il sillogismo è perfetto. Lo stesso dicasi se la premessa maggiore è negativa (Celarent QX-Q). 34 a1-5 [Spiegazione della imperfezione dei sillogismi con premesse di struttura XQ- in prima figura] I sillogismi sono perfetti, se ad essere categorica è la proposizione minore. Se invece è la maggiore ad essere categorica, la validità sarà dimostrata per riduzione all’assurdo, perché non risulta evidente a partire dalle premesse poste: i sillogismi di questo tipo saranno perciò imperfetti. 34 a5-24 [Lemma di logica modale] Occorre innanzi tutto osservare che dal fatto che B segua necessariamente da A, segue che, necessariamente, se A è possibile, anche B è possibile. Infatti se A fosse possibile e B impossibile, avremmo che A si verificherà in un certo tempo e B non si verificherà mai. Il che è assurdo. Quindi se A è possibile, anche B è possibile. Nel condizionale “se A, allora B” bisogna che per “A” non si intenda necessariamente un solo elemento, ma anche all’occorrenza più elementi, come ad esempio una coppia di premesse. In questo senso, se le premesse sono necessarie, lo è anche la conclusione; se le premesse sono contingenti, anche la conclusione è contingente. 34 a25-34 [Distinzione tra “falso” e “impossibile”] Il precedente lemma di logica modale ci consente di distinguere il “falso” dall’“impossibile”. Infatti, se si
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 261 assume che A è falso ma possibile, da A segue B, che pure è falso e possibile. Se dal falso seguisse l’impossibile, avremmo che la stessa conclusione è possibile e impossibile. 34 a34-b2 [Dimostrazione per reductio ad impossibile della validità di Barbara XQ-Q] Tutte le considerazioni condotte fino a questo punto sono funzionali alla dimostrazione per riduzione all’impossibile della validità di Barbara XQ-Q: a) BaA b) QCaB c) QCaA. Per l’ipotesi della reductio, assumiamo la contraddittoria della conclusione QCaA (LCoA). Assumiamo poi che CaB (il che, pur essendo falso, non è impossibile, per il ragionamento che è stato fatto precedentemente e, soprattutto, dalla sua assunzione non segue alcuna impossibilità). Da CaB e da LCoA inferiamo in terza figura che non è possibile che A appartenga ad ogni B. Ma si era assunto che BaA. Dunque bisogna respingere l’ipotesi che ha condotto all’assurdo e accettare come conclusione valida QCaA. 34 b2-7 [Reductio ad impossibile alternativa] La stessa dimostrazione può essere ottenuta anche costruendo un sillogismo in prima figura. 34 b7-19 [Osservazioni semantiche sulla premessa categorica di tali sillogismi misti del contingente] La premessa categorica che compare in questi sillogismi misti del contingente deve essere considerata relativa non soltanto per l’istante presente. Infatti a) in un certo istante di tempo è possibile che tutto ciò che sia in movimento sia un uomo. Ma è possibile che ogni cavallo si muova; ed è impossibile che i cavalli siano uomini. Questa terna di termini può costituire un controesempio per un sillogismo in Barbara di struttura XQ-Q, nel quale la premessa maggiore sia limitata all’istante presente. b) è possibile che in un certo istante di tempo tutte le cose in movimento siano animali. Se si formula un sillogismo in quell’istante, si può dire che se tutte le cose in movimento sono animali e se è contingente che ogni uomo sia in movimento, allora è contingente che ogni uomo sia animale. Ma ciò è falso, perché è necessario che ogni uomo sia animale, dato che “animale” è parte dell’essenza dell’uomo. 34 b19-31 [Dimostrazione della validità di Camestres XQ-M] Anche in questo caso lo Stagirita ricorre alla reductio ad impossibile per dimostrare la validità di questo sillogismo. Dopo avere trattato dei sillogismi misti con entrambe le premesse universali, Aristotele affronta quelli con una premessa universale ed una particolare. 35 a30-b14 [Sillogismi con una premessa particolare e una universale] Se la maggiore è universale e la minore è categorica e affermativa, abbiamo sillogismi
262 Luca Gili misti del contingente perfetti. Se è la minore ad essere contingente, il sillogismo è valido, ma imperfetto, e richiede una dimostrazione ad impossibile. 35 b14-23 [Sillogismi con entrambe le premesse particolari] Infine quando entrambe le premesse sono particolari non segue nulla e ciò può essere mostrato con il metodo dei controesempi. 7.5.2 Il commento di Alessandro di Afrodisia ad Anal. Pr. A, 15 Alessandro di Afrodisia dedica un ampia parte del proprio commento all’analisi di Anal. Pr. A, 15, e confronta spesso il testo aristotelico con la dottrina della logica modale proposizionale stoica; ed anche la sezione di esegesi letterale del testo aristotelico presenta più di un motivo di interesse, ai fini della ricostruzione della sua sillogistica modale e delle sue tesi semantiche per le modalità. Dato che con A, 15 si trattano anche i principi della sillogistica modale mista del contingente, questo sarà anche l’ultimo paragrafo della nostra indagine intono alla sillogistica di Alessandro, che avremo delinato, in questo modo, in tutte le sue caratteristiche fondamentali. Il commento ai capitoli successivi (Anal. Pr. A, 1622) non è altro, infatti, che la applicazione di tali principi fondamentali che regolano la sillogistica del contingente. La prima difficoltà che Alessandro deve risolvere è la seguente. Aristotele, dopo avere discusso i sillogismi con entrambe le premesse contingenti in prima figura (cfr. Anal. Pr. A, 14), non è passato subito a quelli di seconda figura (affrontati in Anal. Pr. A, 17). Alessandro spiega questa scelta dicendo che la discussione dei sillogismi di seconda e di terza figura con entrambe le premesse contingenti richiede la presentazione preliminare delle regole di conversione delle proposizioni contingenti. Secondo il commentatore di Afrodisia, Aristotele presenterebbe queste regole soltanto nel capitolo A, 17 degli Analitici Primi e la discussione che viene condotta in Anal. Pr. A, 3, 25 a37-b25 sarebbe per Alessandro soltanto introduttiva. Del resto Aristotele stesso aveva detto che le regole di conversione delle proposizioni del contingente sarebbero state chiare soltanto quando si fosse affrontato il “contingente” (cfr. Anal. Pr. A, 3, 25 b18-19: toàto d8 œstai fanerÕn Ótan perˆ toà ™ndecomšnou lšgwmen) e Alessandro, commentandolo, aveva inteso questo riferimento in senso piuttosto generico, come un rimando generico alla sillogistica del contingente (cfr. in Anal. Pr. p. 40, ll. 1214: t¾n d8 a„t…an tÁj toiaÚthj ¢ntistrofÁj fhsi faner¦n poi»sein, ™peid¦n perˆ tîn ™x ™ndecomšnwn prot£sewn ginomšnwn sullogismîn lšgV); ora però emerge con maggiore chiarezza che il riferimento deve essere al capitolo A, 17, in cui è discussa la conversione delle proposizioni contingenti (cfr. in Anal. Pr. p. 173, ll. 22-28). Secondo Alessandro, in Anal. Pr. A, 15 Aristotele affronta i primi
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 263 sillogismi misti di prima figura, cioè quelli che hanno una premessa categorica ed una contingente, perché per la loro discussione non è necessaria la introduzione delle regole di conversione per le proposizioni contingenti. Fra questi sillogismi, alcuni sono perfetti, altri imperfetti. Sono perfetti quelli che hanno la maggiore e la conclusione contingente, come Barbara QXQ e Celarent QXQ. La discussione della loro “perfezione” è piuttosto stringata nel commento di Alessandro, ma si rivela di grande interesse. Per il commentatore, la nozione di perfezione, che Aristotele fa coincidere con il rifiuto del ricorso a qualche termine esterno per dimostrare la validità di un sillogismo (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b22-24: tšleion m8n oân kalî sullogismÕn tÕn mhdenÕj ¥llou prosdeÒmenon par¦ t¦ e„lhmmšna prÕj tÕ fanÁnai tÕ ¢nagka‹on), è spesso giustificata dal ricorso all’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” e alla sua definizione (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b28-30), per rendere evidenti la necessità della conclusione di un sillogismo. Come abbiamo visto, nel commento ad Anal. Pr. A, 9, Alessandro sostiene che esista una versione dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” anche per il “necessario” e ciò sarebbe stato implicitamente affermato da Aristotele in Anal. Pr. A, 8, 30 a2-3. Si può perciò pensare che esistesse una versione dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” anche per le proposizioni del “contingente”, sebbene lo Stagirita anche in questo caso si esprima in modo molto stringato e non la affermi esplicitamente. Ebbene, per dimostrare la validità e la perfezione di Barbara QXQ e Celarent QXQ, Alessandro dovrà evidentemente ricorrere a questa particolare estensione dell’esser detto “kat¦ pantÒj”, che può essere formulata così: (i) A si dice contingentemente di ogni B, se e solo se non è possibile assumere nessuno dei B di cui A non si dica contingentemente. Data questa definizione, è piuttosto semplice vedere per quale ragione Barbara QXQ e Celarent QXQ siano sillogismi validi e perfetti. Si prenda il caso di Barbara QXQ: (a) A si dice contingentemente di ogni B; (b) B si dice di ogni C; quindi (c) A si dice contingentemente di ogni C. Per l’esser detto “kat¦ pantÒj” del contingente, la premessa maggiore significa che non esiste alcun elemento di B di cui A non si predichi contingentemente. Ma C è un elemento di B (per la premessa minore). Dunque, è evidente che A si predichi contingentemente di ogni C. Su questa evidenza – esplicata dall’esser detto “kat¦ pantÒj” del contingente – riposa la perfezione di Barbara QXQ (cfr. in Anal. Pr. p. 174, ll. 7-9: di¦ g¦r toà kat¦ pantÕj ¹ de‹xij aÙtù kaˆ di¦ toà kat¦ mhdenÒj· oƒ d8 di¦ toÚtwn œcontej gnèrimon tÕ sumpšrasma tšleioi; cfr. anche in Anal. Pr. p. 174, l. 33-p. 175, l. 3: Tù kat¦ pantÕj
264 Luca Gili proscrèmenoj kaˆ tù toÚtou Ðrismù de…knusin ™ndecÒmenÒn te ginÒmenon tÕ sumpšrasma kaˆ tšleion tÕn sullogismÒn. ™peˆ g¦r tÕ A pantˆ tù B ™ndšcetai, oÙd8n œstai labe‹n toà B, ú tÕ A oÙk ™ndšxetai· tˆ d8 toà B tÕ G ™st…n, e‡ ge tÕ B pantˆ tù G Øp£rcei· kaˆ tù G ¥ra pantˆ ™ndšxetai tÕ A). Nel caso di Celarent QXQ si farà invece ricorso all’esser detto “kat¦ mhdenÒj” del contingente, in virtù del quale sarà interpretata la premessa maggiore negativa; la dimostrazione di validità sarà tuttavia pressoché identica (cfr. in Anal. Pr. p. 175, ll. 3-6). Si noti che questa particolare interpretazione non è suggerita dal testo aristotelico in modo esplicito: lo Stagirita, infatti, in nessun punto del capitolo A, 15 fa riferimento a una versione dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj” e dell’esser detto “kat¦ pantÒj”, estesi alle proposizioni del contingente. Alessandro osserva che Aristotele, in virtù della applicazione di questo principio, è in grado di validare sillogismi che Teofrasto, Eudemo e i loro seguaci consideravano scorretti. Essi infatti pare applicassero anche a questi sillogismi misti la regola della peiorem, che già li induceva a ritenere invalidi i sillogismi del necessario a partire da premesse miste (cfr. in Anal. Pr. p. 124, l. 8-p. 127, l. 16). Dato che la proposizione peggiore, tra una categorica ed una contingente, doveva essere per Teofrasto ed Eudemo la contingente, la conclusione doveva essere sempre contingente, a prescindere dal fatto che ad essere contingente fosse la premessa maggiore o la minore349. Come abbiamo visto, questa impostazione, secondo Alessandro, è scorretta per almeno due ragioni. 1) La prima è che le proposizioni categoriche sono implicitamente proposizioni modali, di cui però non è specificato se, oltre all’istante presente, sono vere anche in tutti gli altri istanti di tempo (essendo perciò necessarie) o non lo sono (risultando perciò contingenti)350. Di conseguenza, la gerarchia fra proposizioni che possiamo supporre fosse introdotta da Teofrasto e da Eudemo, o che comunque fosse impiegata dai commentatori per spiegare la loro posizione, fosse inaccettabile per Alessandro riguardo al caso di contingenti e categoriche, dato che queste ultime avrebbero dovuto essere considerate o come contingenti (e quindi non “peggiori”) o come necessarie (e quindi “migliori”). In generale tuttavia bisogna dire che una certa gerarchia fra le proposizioni è conosciuta anche da Alessandro di Afrodisia351 , sebbene essa 349
Cfr. in Anal. Pr. p. 173, l. 32-p. 174, l. 3: QeÒfrastoj m8n oân kaˆ EÜdhmoj oƒ ˜ta‹roi aÙtoà kaˆ ™n tÍ ™x ™ndecomšnhj kaˆ ØparcoÚshj m…xei fasˆn œsesqai tÕ sumpšrasma ™ndecÒmenon, Ðpotšra ¨n tîn prot£sewn ™ndecomšnh lhfqÍ· ce‹ron g¦r p£lin tÕ ™ndecÒmenon toà Øp£rcontoj. 350 Alessandro di Afrodisia espone questa dottrina nel proprio commento ad Anal. Pr. A, 2, 25 a1-2 (cfr. in Anal. Pr. p. 25, l. 26-p. 26, l. 22). 351 Cfr. ad esempio p. 163, ll. 15-18: m£lista m8n g¦r éristai tÕ ¢nagka‹on, deutšrwj d8 tÕ ™ggÝj tù ¢nagka…J· toàto dš ™sti tÕ ™pˆ plšon. Ö d8 ™pˆ ple‹ston ¢fšsthke toà ærismšnou, toàto eÙlÒgwj ¢Òriston· toioàton d8 tÕ ™p' ‡shj kaˆ œti m©llon tÕ ™p' œlatton.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 265 presenti accenti diversi rispetto a quella che presumiamo essere stata la gerarchia fra proposizioni per Teofrasto e per Eudemo. 2) Il secondo motivo per il quale Alessandro doveva ritenere scorretta la interpretazione che Teofrasto ed Eudemo dovevano aver dato della dottrina dei sillogismi con premesse contingente e categorica risiede molo probabilmente nel fatto che a giudizio del commentatore di Afrodisia una simile lettura non teneva in debito conto la lettera del testo aristotelico. Per questa ragione, come nel caso dei sillogismi misti del necessario (cfr. Anal. Pr. A, 9), Alessandro ritiene che la versione teofrastea dell’aristotelismo debba essere respinta e che si debba cercare una nuova via per fare senso della lettera degli Analitici Primi. E come nel commento ad Anal. Pr. A, 9, anche in questo caso l’esegeta di Afrodisia ritiene che il principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj” sia la chiave di volta per comprendere la dottrina aristotelica dei sillogismi misti. In questa prospettiva, infatti, sono perfetti i sillogismi di prima figura in cui è la premessa maggiore ad essere contingente. I sillogismi con maggiore categorica e minore contingente non possono invece ricorrere direttamente all’esser detto “kat¦ pantÒj”, affinché risulti evidente che hanno una conclusione contingente; ed è per questo motivo che, secondo l’esegeta, essi non sono perfetti 352. La spiegazione di questa tesi è la seguente. Dato un sillogismo di struttura Barbara XQ-Q (premessa maggiore: “A appartiene a ogni B”; premessa minore: “B appartiene contingentemente a ogni C”), C non è ancora uno dei B, perché B appartiene contingentemente ad ogni C (cfr. in Anal. Pr. p. 174, ll. 22-23: “tÕ G mhdšpw ™st… ti toà B (tÕ g¦r ™ndecÒmenon oÙdšpw Øp£rcei)”). Perciò, benché A si dica di ogni B e non sia possibile assumere alcun B di cui A non si dica – per via dell’esser detto “kat¦ pantÒj” standard (cfr. Anal. Pr. A, 1, 24 b28-30) – tuttavia C non è attualmente uno dei B, per cui da ciò non segue direttamente che A si dica, sia pure contingentemente, di ogni C. Per tale motivo, Alessandro ritiene che un simile sillogismo abbia bisogno di una riduzione all’assurdo per vedere dimostrata la propria validità. E poiché per Alessandro l’ordine della trattazione dei temi non è mai casuale per Aristotele, i 352
Cfr. in Anal. Pr. p. 174, ll. 17-30: oƒ mšntoi perˆ QeÒfraston kaˆ taÚtaj ™ndecomšnaj lšgontej e„kÒtwj ™ndecÒmenÒn fasi tÕ sumpšrasma kaˆ ™n ta‹j toiaÚtaij g…nesqai sumploka‹j. oÙ g…nontai d8 tšleioi, ™n oŒj ¹ ™l£ttwn ™stˆn ™ndecomšnh, Óti oÙc oŒÒn tš ™stin ™pˆ toÚtwn tù kat¦ pantÕj crhsamšnouj de‹xai tÕ sumpšrasma. e„ g¦r e‡h tÕ A pantˆ tù B Øp£rcon, tÕ d8 B tù G pantˆ ™ndecÒmenon, ™peˆ tÕ G mhdšpw ™st… ti toà B (tÕ g¦r ™ndecÒmenon oÙdšpw Øp£rcei), oÙk, e„ tÕ A kat¦ pantÕj toà B kaˆ mhd8n œsti labe‹n toà B, kaq' oá tÕ A oÙ ·hq»setai, ½dh œcomen kaˆ di¦ toàto tÕ kaˆ tù G ™penegke‹n· oÙ g£r ™sti tÕ G tˆ toà B, e„ ™ndšcetai aÙtù Øp£rxai tÕ B kaˆ m¾ ½dh Øp£rcei. diÕ deÒmenoi prÕj t¾n de‹xin œxwqšn tinoj oÙ tšleioi· de…knuntai g¦r di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÁj. taàta proeipën prîton de…knusi toÝj œcontaj t¾n me…zona ™ndecomšnhn tele…ouj te Ôntaj kaˆ tÕ sumpšrasma œcontaj toà kat¦ tÕn diorismÕn ™ndecomšnou.
266 Luca Gili sillogismi imperfetti, che concludono con una proposizione contingente ed hanno la minore contingente, sono trattati dopo i sillogismi misti del contingente che, avendo la premessa maggiore contingente, sono invece perfetti. E la loro perfezione, come si è detto, dipende dal fatto che la necessità della loro conclusione risulta evidente in virtù dell’esser detto “kat¦ pantÒj” esteso alle proposizioni del contingente353 . Il ragionamento di Alessandro è infatti che se non è possibile assumere alcun B di cui A non si dica contingentemente (per la premessa maggiore, secondo il “kat¦ pantÒj”), e C è uno dei B (per la premessa minore), allora A si dice contingentemente di C (conclusione). Aristotele, tuttavia, non nomina esplicitamente il principio dell’esser detto “kat¦ pantÒj”, che non ha mai espanso esplicitamente anche alle proposizioni modali (cfr. Anal. Pr. A, 15, 33 b32-36). L’interpretazione di Alessandro, nella sua stringatezza, è perciò un modo decisamente originale di sviluppare e di rielaborare la logica aristotelica. I sillogismi di prima figura di struttura XQ-Q sono imperfetti, come abbiamo iniziato a dire, perché Aristotele li dimostra per assurdo. Ora, secondo Alessandro, se lo Stagirita ricorre a una tale dimostrazione, ciò dipende dal fatto che tali sillogismi non sono evidenti per se stessi, ma hanno bisogno di altre premesse aggiuntive (abbisognano infatti dell’ipotesi per la riduzione all’assurdo), per mostrare la loro validità354. Le linee successive (cfr. Anal. Pr. A, 15, 34 a4-12), nelle quali Aristotele espone alcune osservazioni circa le relazioni tra proposizioni possibili, che sembrano difficilmente inseribili nel contesto della discussione, sono considerate da Alessandro una premessa necessaria per lo sviluppo di una dimostrazione per assurdo della validità di un sillogismo di prima figura di struttura XQ-Q. 353
Cfr. in Anal. Pr. p. 174, l. 33-p. 175, l. 6: Tù kat¦ pantÕj proscrèmenoj kaˆ tù toÚtou Ðrismù de…knusin ™ndecÒmenÒn te ginÒmenon tÕ sumpšrasma kaˆ tšleion tÕn sullogismÒn. ™peˆ g¦r tÕ A pantˆ tù B ™ndšcetai, oÙd8n œstai labe‹n toà B, ú tÕ A oÙk ™ndšxetai· tˆ d8 toà B tÕ G ™st…n, e‡ ge tÕ B pantˆ tù G Øp£rcei· kaˆ tù G ¥ra pantˆ ™ndšxetai tÕ A. k¨n ¹ me…zwn d8 sterhtik¾ ™ndecomšnh teqÍ ¹ d8 ™l£ttwn Øp£rcousa kaqÒlou katafatik», Ðmo…a ¹ de‹xij toà ™ndecÒmenon ¢pofatikÕn kaqÒlou tÕ sumpšrasma œsesqai· di¦ g¦r toà Ðrismoà toà ™ndšcesqai mhden…. 354 Cfr. in Anal. Pr. p. 175, ll. 8-18: De…xaj tÁj me…zonoj oÜshj ™ndecomšnhj ™ndecÒmenon tÕ sumpšrasma kaˆ tele…ouj toÝj sullogismoÝj ™pˆ tîn ™k kaqÒlou ¢mfotšrwn tîn prot£sewn (¹ g¦r aÙt¾ de‹xij kaˆ ™pˆ tîn ™pˆ mšrouj toà te katafatikoà kaˆ toà ¢pofatikoà sumper£smatoj) mšteisin ™pˆ t¦j suzug…aj, ™n aŒj ¹ m8n me…zwn Øp£rcousa e‡lhptai ¹ d8 ™l£ttwn ™ndecomšnh· tÕ g¦r ™nant…wj œcein t¾n Øpallag¾n aÙtù tîn prot£sewn shma…nei. Óti oân aƒ oÛtwj œcousai suzug…ai sullogistika… e„si, di¦ toà ¢dun£tou, fhs…, deicq»setai. e„ d8 di¦ toà ¢dun£tou, dÁlon æj oÙ tšleioi. diÕ prosšqhke tÕ ¤ma d8 œstai dÁlon, Óti kaˆ ¢tele‹j. tšleioi g¦r oƒ ™k tîn keimšnwn kaˆ mhdenÕj œxwqen prosdeÒmenoi· ¹ d8 di¦ toà ¢dun£tou ginomšnh de‹xij oÙ di¦ tîn e„lhmmšnwn kaˆ keimšnwn g…netai prot£sewn.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 267 Aristotele afferma che, se è vera la conseguenza (i) se A, allora è necessario che B; allora è vera anche la conseguenza (ii) se è possibile che A, allora, necessariamente, è possibile che B. Secondo Alessandro, questa tesi è affermata perché nella dimostrazione per assurdo si assumerà non solo una proposizione impossibile – contraddittoria rispetto alla conclusione – ma anche una proposizione categorica, al posto della minore contingente. E tale seconda assunzione non è impossibile, sebbene sia falsa, dato che, se il predicato si predica contingentemente del soggetto, l’ipotesi che appartenga attualmente al soggetto è falsa, in accordo con l’interpretazione che Alessandro sembra dare della definizione aristotelica del “contingente”. Perciò è utile dimostrare che da una ipotesi possibile, ma falsa, non può seguire l’impossibile. Infatti, nella dimostrazione per assurdo, da queste due ipotesi che si è detto, Aristotele vorrà ricavare una conclusione impossibile, per scartare la contraddittoria della conclusione contingente. È necessario, perciò, dimostrare che l’impossibile non segue dal possibile (che è la proposizione categorica), ma dall’assunzione impossibile (che è la contraddittoria del sillogismo che si vuole dimostrare). Perciò con questo fine, secondo l’esegeta di Afrodisia, Aristotele sviluppa questa discussione355. Infatti, Aristotele sostiene, secondo Alessandro, 355
Cfr. in Anal. Pr. p. 175, l. 22-p. 176, l. 20: 'Epeˆ mšllei tÍ e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÍ proscrèmenoj deiknÚnai sullogistik¾n oâsan suzug…an t¾n ™x ØparcoÚshj tÁj me…zonoj kaˆ ™ndecomšnhj tÁj ™l£ttonoj, ™n d8 tÍ de…xei tÍ e„j ¢dÚnaton ™pˆ tîn prokeimšnwn oÙ mÒnon tÕ ¢ntike…menon toà, oá boÚletai de‹xai sunagÒmenon, Øpot…qeta… te kaˆ lamb£nei, ¢ll¦ kaˆ t¾n ™ndecomšnhn prÒtasin e„j Øp£rcousan metalamb£nei, Ö oÙk œstin ¢dÚnaton (Ö g¦r ™ndšcetai genšsqai, oÙk ¢dÚnaton Øpoqšsqai enai, æj Ð ¢podedomšnoj aÙtoà ÐrismÕj dhlo‹), yeàdoj mšntoi, †na oân tÕ sunagÒmenon ¢dÚnaton ™k toà labe‹n tÕ ¢ntike…menon, oá boÚletai de‹xai ™n tÍ ™kkeimšnV suzug…v, kaˆ ™k toà metalabe‹n tÕ ™ndecÒmenon e„j Øp£rcon, Ö yeàdoj mšn ™stin, oÙ m¾n ¢dÚnaton, m¾ ¹gÁta… tij sun£gesqai par¦ t¾n toà ™ndecomšnou e„j tÕ Øp£rcon met£lhyin, ¢ll¦ par¦ tÕ Øpotiqšmenon ¢dÚnaton, Ó ™stin ¢ntike…menon, ú boÚletai de‹xai ginomšnJ sumper£smati, prîton de…knusin, Óti m¾ oŒÒn te dunatù ti ¢dÚnaton ¢kolouqe‹n, ¢ll' ¢n£gkh ¢dÚnaton enai, ú tÕ ¢dÚnaton ¢kolouqe‹, ™pˆ p£shj ¢nagka…aj ¢kolouq…aj. œsti d8 ¢nagka…a ¢kolouq…a oÙc ¹ prÒskairoj, ¢ll¦ ™n Î ¢eˆ tÕ e„lhmmšnon ›pesqai œsti tù tÕ e„lhmmšnon æj ¹goÚmenon enai. oÙ g¦r ¢lhq8j sunhmmšnon tÕ ‘e„ 'Alšxandroj œstin, 'Alšxandroj dialšgetai’, À ‘e„ 'Alšxandroj œsti, tosînde ™tîn ™sti’, kaˆ <e„> e‡h, Óte lšgetai ¹ prÒtasij, tosoÚtwn ™tîn. toÚtou g¦r deicqšntoj tÕ ginÒmenon sumpšrasma ™k tîn keimšnwn ™pˆ tÍ ™kteqe…sV suzug…v, e„ ¢dÚnaton e‡h, oÙ par¦ tÕ t¾n ™ndecomšnhn e„j Øp£rcousan meteilÁfqai g…netai (toàto g¦r yeàdoj mšn, oÙ m¾n ¢dÚnaton), ¢ll¦ par¦ tÕ tÕ ¢ntike…menon lhfqÁnai toà sunagomšnou ×n ¢dÚnaton. ¤ma d8 kaˆ di¦ toà nàn deiknumšnou kaˆ t¾n de‹xin t¾n di¦ tÁj e„j ¢dÚnaton ¢pagwgÁj, Óti ™stˆn Øgi»j, kataskeu£zein dÒxei. m¾ g¦r Ôntoj Ðmologoumšnou toà tÕ ¢dÚnaton ¢dun£tJ ›pesqai oÙd’¨n ¹ e„j ¢dÚnaton ¢pagwg¾ „scÝn œcein fa…noito tù m¾ p£ntwj ¢naireq»sesqai t¾n ØpÒqesin ¢dun£tou tinÕj sunacqšntoj æj ¢dÚnaton kaˆ aÙt»n. À dÚnata… tij m¾ tù ¢dun£tJ
268 Luca Gili che se è vero che se A, allora B, allora se A è possibile, B non sarà impossibile. La dottrina esposta in Anal. Pr. A, 15, 34 a4-6 è probabilmente chiarita da Alessandro alla luce di Anal. Pr. A, 15, 34 a7-10, il cui senso sembra più facilmente compatibile con la interpretazione generale fornita dall’esegeta di questo complesso passo. Aristotele afferma che, supposto che da A segua B, se A è possibile, non può seguire che B sia impossibile: “œstw g¦r oÛtwj ™cÒntwn tÕ m8n ™f’ú tÕ A dunatÒn, tÕ d’™f’ ú tÕ B ¢dÚnaton. e„ oân tÕ m8n dunatÒn, Óte dunatÕn enai, gšnoit’¥n, tÕ d’¢dÚnaton, Ót’¢dÚnaton, oÙk ¨n gšnoito” (Anal. Pr. A, 15, 34 a7-10). Alessandro spiega che la proposizione “se A, allora B” ha come conseguenza che esiste almeno un istante di tempo in cui A è vero e B è vero; la proposizione “se è possibile A, allora B è impossibile”, significa che, qualunque sia l’istante (o qualunque siano gli istanti) in cui A è vero, B è sempre falso. Ciò significa che l’implicazione (iii) “se è vero che se A, allora B, allora se è possibile A, allora è impossibile B” è equivalente a dire che se A è vero, allora B è vero e non è vero. Ma ciò è evidentemente contraddittorio. Di conseguenza la seconda parte del condizionale (iii) sarà “se è possibile A, allora è possibile B”356. Alessandro a questo punto apre una ampia digressione, che si è rivelata molto preziosa per la ricostruzione delle dottrine logiche degli Stoici. L’esegeta osserva proscrèmenoj ¢ll¦ tù yeÚdei toà sumper£smatoj, ºkoloÚqhse tÍ Øpoqšsei, ¢naire‹n t¾n ØpÒqesin æj yeudÁ tù m¾ dÚnasqai ™x ¢lhqîn yeàdÒj ti sun£gesqai. À oÛtwj oÙ m©llon par¦ t¾n ØpÒqesin À kaˆ par¦ t¾n toà ™ndecomšnou e„j tÕ Øp£rcon met£lhyin g…noit’¨n toioàto sumpšrasma. Óti d¾ dunatù dunatÕn ¢kolouqe‹ ¢eˆ kaˆ oÙc oŒÒn te ¢dÚnaton ›pesqai dunatù, de…knusin oÛtwj. 356 Cfr. in Anal. Pr. p. 176, l. 23-p. 177, l. 18: OÛtwj ™cÒntwn, æj proeir»kamen, e„ toà A Ôntoj ¢n£gkh tÕ B enai. oÜshj d8 taÚthj ¢kolouq…aj kaˆ ™x ¢n£gkhj ˜pomšnou toà B tù A Øpoke…sqw tÕ m8n A dunatÕn enai tÕ d8 B ¢dÚnaton. tÕ d¾ A ™peid¾ dunatÒn ™sti, k¨n gšnoito, Óte dunatÒn ™sti genšsqai [toà ™ndšcesqai m»]· Ðmo…wj kaˆ tÕ B, e„ ¢dÚnaton e‡h, Óte ¢dÚnatÒn ™sti genšsqai, oÙk ¨n gšnoito. e„ d¾ ¤ma e‡h tÕ m8n dunatÕn tÕ d8 ¢dÚnaton, Óte tÕ A ™st…, tÕ B, kaq' Ö mšn ™stin ¢dÚnaton, oÙk ¨n e‡h, kaq' Ö d8 ¢n£gkh toà A Ôntoj enai aÙtÒ, e‡h ¥n. ¤ma te oân e‡h ¨n kaˆ oÙk e‡h tÕ B, Óper ¢dÚnaton. dunatoà ¥ra Ôntoj toà ¹goumšnou dunatÕn œstai kaˆ tÕ ˜pÒmenon ™x ¢n£gkhj aÙtù· toàto d8 Ãn tÕ B.[...] `Upoqšmenoj tÕ m8n A dunatÕn enai tÕ d8 B ¢dÚnaton keimšnou toÚtJ tÕ A ›pesqai labën kaqÒlou, Óti tÕ m8n [A] dunatÒn, Óte dunatÒn, gšnoit' ¥n, tÕ d8 [B] ¢dÚnaton, Óte ¢dÚnaton, oÙk ¨n gšnoito, pros£gei tÍ toà A kaˆ B ¢kolouq…v kaˆ de…knusi tÕ ¥topon· e„ g£r, Óte tÕ A dunatÒn, tÒte tÕ B ¢dÚnaton· toàto g¦r shma…nei tÕ ¤ma d8 ™ndšcoit' ¨n genšsqai tÕ A ¥neu toà B. tÕ g¦r dunatÕn genšsqai k¨n gšnoit' ¥n pote, tÕ d8 ¢dÚnaton oÙk ¨n gšnoito, Óper Ãn tÕ B· éste toà A Ôntoj (e„ g¦r gšgone, kaˆ œstin) oÙk œstai tÕ B· œkeito d8 toà A Ôntoj enai tÕ B. deiknÚoito d’¥n, Óti m¾ oŒÒn te dunatù Ônti tù A ¢dÚnaton ›pesqai tÕ B, kaˆ ™k toà Ðrismoà toà dunatoà. e„ g¦r dunatÒn ™stin, oá Øpoteqšntoj enai oÙd8n ¢dÚnaton sumba…nei di¦ toàto, Øpoteqšntoj d8 toà A enai sumba…nei di¦ t¾n ØpÒqesin ¢dÚnaton tÕ tÕ B ena… te kaˆ m¾ enai, enai mšn, ™peˆ œkeito ›pesqai aÙtÕ tù A, m¾ enai d8 tù ¢dÚnaton aÙtÕ enai, oÙkoàn, e„ e‡h dunatÒn ti, ú ¢dÚnaton ›petai, À oÙ dunatÕn À oÙ kalîj ™l»fqh tù A ¢kolouqe‹n dunatù Ônti aÙtù ¢dÚnaton tÕ B.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 269 infatti che la dimostrazione che Aristotele sviluppa in queste righe è stata indirettamente avversata da Crisippo, il quale, sebbene non si opponga al testo degli Analitici Primi, produce un controesempio della tesi difesa dallo Stagirita (cfr. in Anal. Pr. p. 177, ll. 25-27). Da questa osservazione si può anche supporre che sia stato Alessandro stesso o qualche commentatore a lui precedente ad accostare questa tesi della logica aristotelica alla opposta affermazione della logica modale stoica. In mancanza di testi precedenti al commento alessandrista, non possiamo stabilire se questa contrapposizione delle due logiche modali appartenesse alla tradizione di interpretazione di Anal. Pr. A, 15. Tuttavia bisogna senza dubbio sottolineare che l’ampio spazio, che il commentatore di Afrodisia concede a questo excursus, ben si inquadra nella generale strategia del commento, che si oppone spesso alle obiezioni che gli Stoici hanno sollevato al sistema logico degli Analitici Primi. Cerchiamo perciò di vedere come Alessandro ricostruisce l’argomento di Crisippo. Per il filosofo stoico è possibile derivare una proposizione impossibile da una possibile, come nell’esempio: a) “se Dione è morto, allora costui è morto”. In questo esempio l’indicale “costui” si riferisce, appunto, a Dione e si suppone, per ipotesi, che Dione sia vivo. La proposizione “Dione è morto” è perciò possibile, perché esiste un tempo – diverso dal presente – nel quale Dione morirà. Invece la proposizione “costui è morto” è ritenuta da Crisippo – secondo la testimonianza di Alessandro di Afrodisia – impossibile: ciò dipende con ogni probabilità dall’indicale “costui”, che impone di considerare la proposizione “costui è morto” solo relativamente all’istante del suo proferimento. E l’istante del suo proferimento coincide con il presente, perché l’adesso è l’unico istante di tempo in cui l’indicale “costui” indica con certezza Dione, in virtù della nostra ipotesi. Ma se “costui è morto” è un enunciato, il cui valore di verità è stabilito solo relativamente all’istante del suo proferimento, è un enunciato falso. E dato che è falso per tutti gli istanti di tempo nei quali l’enunciato è considerato (cioè per tutti gli istanti nei quali è vero che costui è Dione), l’enunciato “costui è morto” è impossibile. Che il controesempio di Crisippo si regga tutto sugli indicali emerge con chiarezza anche dalla spiegazione che Alessandro di Afrodisia ne fornisce e, oserei dire, dal lessico stesso impiegato: tÕ d8 ‘tšqnhken oátoj’ ¢dÚnaton· ¢poqanÒntoj g¦r D…wnoj fqe…resqai tÕ ¢x…wma tÕ ‘oátoj tšqnhke’ mhkšt’ Ôntoj toà t¾n de‹xin ¢nadecomšnou· ™pˆ g¦r zîntoj kaˆ kat¦ zîntoj ¹ de‹xij (in Anal. Pr. p. 177, ll. 30-33). Con la morte di Dione, “si distrugge” lo stesso enunciato “costui muore”, perché viene a mancare il riferimento ostensivo (t¾n de‹xin) dell’indicale anaforico “costui”. È possibile in questo modo comprendere per quale ragione Crisippo ritenesse di avere trovato un esempio di proposizione condizionale con l’antecedente possibile e il conseguente
270 Luca Gili impossibile. È anche evidente però che una simile prospettiva non può essere accolta all’interno della logica aristotelica, le cui proposizioni standard non contengono indicali (cfr. al proposito la classificazione di De Interpretatione, 7). Con questa sobria considerazione si potrebbe considerare chiusa la questione: Crisippo non fornisce un vero controesempio, perché le proposizioni aristoteliche (per le quali vale che l’impossibile non segue dal possibile) non contengono indicali o termini individuali. Il commentatore di Afrodisia, tuttavia, sembra volersi muovere sullo stesso terreno del suo avversario e cerca di distruggere dall’interno l’obiezione di Crisippo. Evidentemente doveva considerare piuttosto efficace e degno di considerazione l’argomento che era stato mosso contro la tesi aristotelica. Vediamo perciò in dettaglio la discussione che Alessandro sviluppa contro il logico stoico. I. La prima obiezione di Alessandro rileva che Crisippo deve supporre, per la validità del proprio argomento, che il nome “Dione” si dica di più riferimenti di quelli di cui si dice “costui”. Questa critica, che il commentatore muove alla tesi crisippea, sembra corretta. Infatti “Dione” può riferirsi a Dione, sia che Dione sia vivo, sia che Dione sia morto. “Costui”, invece, si riferisce a Dione soltanto per gli istanti di tempo durante i quali Dione è vivo: per Crisippo infatti l’uso dell’indicale “costui” è sensato, se e solo se indica un riferimento vivente. Dato che anche gli stoici si avvalevano di una semantica temporale per le logiche modali, è ragionevole supporre che per Crisippo il riferimento del nome “Dione”, così come dell’indicale “costui” fosse costituito da Dione a t1, Dione a t2, Dione a t3, etc. dove t1, t2, t3 etc. indicano tutti gli istanti di tempo. Ora, se tc indica l’istante del concepimento di Dione e tm l’istante della sua morte, è evidente che, in accordo alla stipulazione di Crisippo riguardo all’indicale “costui”, se “costui” indica Dione, indica Dione a tn, dove cm), nei quali è vero dire che Dione è morto, mentre è falso dire che “costui è morto”, dato che “costui” è un termine privo di riferimento in quel preciso istante di tempo. Come osserva giustamente Alessandro, nulla impedisce che l’antecedente sia falso e il conseguente sia vero in una proposizione condizionale vera (cfr. in Anal. Pr. p. 178, ll. 24-25: tÕ m8n g¦r ˜pÒmenon enai m¾ Ôntoj toà ¹goumšnou ™n ¢lhqe‹ sunhmmšnJ oÙd8n ¥topon; la affermazione del commentatore non dice ancora che ex falso sequitur quodlibet, ma senza dubbio si pone sulla strada che condurrà alla elaborazione di questa tesi logica). Al contrario se l’antecedente è vero e il conseguente è falso,
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 271 l’intera proposizione condizionale è falsa (cfr. in Anal. Pr. p. 178, ll. 22-23). Tuttavia, se si stipula, come Crisippo sembra intenzionato a fare, che la conseguenza “costui è morto” deve essere considerata solo per gli istanti di tempo durante i quali l’indicale che vi compare indica un riferimento, allora l’intera proposizione condizionale deve essere considerata con questa limitazione; e, operando la valutazione limitatamente a questi istanti di tempo, il valore di verità della proposizione condizionale, nella sua interezza, è il vero. II. Un secondo controargomento sviluppato da Alessandro sembra andare nella direzione opposta rispetto a quella verso la quale porta la prima obiezione che egli formula contro Crisippo. Il commentatore, infatti, in quest’ultima aveva detto che, se “Dione” è più esteso di “costui”, il condizionale (i) “se Dione è morto, allora costui è morto” è falso. Nella seconda obiezione Alessandro osserva, invece, che, se “Dione” è più ampio di “costui”, allora tutto ciò che è vero di “Dione”, è vero anche di “costui”. Perciò, nell’ipotesi che sia vero che “Dione è morto”, anche “costui è morto” deve essere una proposizione vera, proprio come è vero che, se a) “ogni triangolo ha la somma degli angoli interni pari a 180°” è vero, allora anche b) “ogni scaleno ha la somma degli angoli interni pari a 180°” è una proposizione vera (cfr. in Anal. Pr. p. 178, l. 30-p. 179, l. 2). Questa seconda obiezione, in qualche misura, si oppone non soltanto a quanto Crisippo afferma, ma anche alla prima delle obiezioni che Alessandro gli aveva rivolto e ciò mostra la difficoltà del commentatore di Afrodisia nel tentativo di confutare il logico stoico muovendosi sul suo stesso terreno. Nella prima obiezione, infatti, il conseguente era ritenuto, per certi istanti di tempo, falso, mentre l’antecedente era ritenuto vero. III. Una terza obiezione, invece, si concentra sul riferimento dei nomi propri come “Dione”. Secondo Alessandro – che si muove naturalmente all’interno di un’ottica aristotelica357 – i nomi sono qualità proprie di un individuo vivente. Di conseguenza, non possono non riferirsi che ad un vivente, proprio come, secondo Crisippo, l’indicale “costui” si riferisce a Dione vivo. Da ciò segue che, se il conseguente “costui è morto” è impossibile negli istanti di tempo successivi alla morte di Dione, anche l’antecedente “Dione è morto” sarà impossibile. In questo
357
Secondo Aristotele i nomi propri distinguono gli individui numericamente distinti all’interno della medesima specie: cfr. ad esempio De Interpr. 7, 17 a39-b1: “lšgw d8 kaqÒlou m8n Ö ™pˆ pleiÒnwn pšfuke kathgore‹sqai, kaq’›kaston d8 Ö m», oŒon ¥nqrwpoj m8n tîn kaqÒlou Kall…aj d8 tîn kaq' ›kaston”.
272 Luca Gili modo, il controesempio escogitato da Crisippo diventa inefficace (cfr. in Anal. Pr. p. 179, ll. 11-18). IV. A questa argomentazione Alessandro ne giustappone un’altra, di senso opposto, che si richiama alla consuetudine linguistica greca di dire, riferendosi ad un defunto: “costui è il padre del tal uomo” oppure “costui era ammalato” etc.. Da questo sembra che si debba concludere che un indicale come “costui” non possa riferirsi alla persona che designa soltanto mentre questa è viva (cfr. in Anal. Pr. p. 179, ll. 24-31). Alessandro, tuttavia, è attento a svolgere questa argomentazione soltanto relativamente all’indicale “costui” e non la estende ai nomi propri come “Dione”, per non contraddire l’argomento che aveva sviluppato nella precedente obiezione, con la quale intendeva limitare al tempo durante il quale vive una persona (designata da un nome proprio) la riferibilità del nome proprio alla persona stessa. V. Dopo queste obiezioni preliminari, Alessandro sviluppa un argomento che vuole muoversi su un piano squisitamente logico, teso a dimostrare che una proposizione come “costui è morto” non è impossibile (cfr. in Anal. Pr. p. 180, ll. 11-12: logikèteron dš ™stin ™piceiroànta de‹xai mhd8 ¢dÚnaton ×n tÕ ‘oátoj tšqnhken’). Anche in questo caso Alessandro si muove sul terreno della logica stoica, di cui dimostra di conoscere molto bene la semantica temporale per le proposizioni modali. Alessandro rileva, infatti, che una proposizione (egli scrive, con termine stoico, ¢x…wma) è impossibile, quando è sempre falsa, mentre è necessaria, quando è sempre vera. Tuttavia la proposizione “costui è morto” non è sempre falsa, perché alla morte di Dione sarà vera (cfr. in Anal. Pr. p. 180, ll. 1217). Alessandro, a dire il vero, non tiene in debita considerazione il fatto che Crisippo restringe la considerazione dell’¢x…wma alla durata della vita di Dione: in effetti, per tutti questi istanti di tempo è falso dire che (i) “costui è morto”; dunque, dal punto di vista di Crisippo, tale proposizione è impossibile. VI a/b. La coppia di argomenti che segue è più difficile da valutare. Nel primo Alessandro rileva che se “costui è morto” significa che “costui non è”, come sembra che costoro assumano, allora l’espressione può essere considerata equivalente a “un ente [ad esempio: costui] non è”, il che è veramente impossibile. Il ragionamento sembra sofistico, perché certamente esiste anche un senso secondo il quale “l’ente non è”, come Aristotele – e prima di lui Platone nel Sofista – avevano affermato. Ovviamente il commentatore di Afrodisia non intende analizzare con particolare cura questo ragionamento e si limita a rilevare che la proposizione “un ente non è” non segue dall’antecedente “Dione è morto”: dunque
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 273 l’argomento di Crisippo è invalido, perché il suo controesempio è inconsistente. Il secondo argomento afferma che “costui è morto” sarebbe la conseguenza dell’antecedente “è morto Dione, che è vivente”. Ora, senza dubbio, rileva Alessandro, una simile conseguenza è una proposizione impossibile e segue dalla premessa; tuttavia, anche l’antecedente è una proposizione impossibile in questo caso, per cui l’intera proposizione condizionale non costituirebbe in questo caso un controesempio alla tesi aristotelica (cfr. in Anal. Pr. p. 180, ll. 17-28). In questi due casi Alessandro si oppone ad argomentazioni che paiono sofismi: la prima si basa sull’equivalenza delle proposizioni “costui è morto” e “un ente non è”; la seconda afferma che l’esempio di Crisippo si può tradurre con la proposizione: “se Dio, che è vivo, è morto, allora costui è morto”, ma un simile condizionale, che ha l’antecedente falso, è evidentemente vero. Alessandro ha perciò buon gioco nel confutare questi sofismi. Ci si può chiedere, perciò, se il commentatore si confrontasse direttamente con i testi logici di Crisippo o se non avesse invece come riferimento polemico alcuni testi della logica stoica, che cercavano di mostrare l’insufficienza della logica modale di Aristotele, congiungendo argomenti desunti effettivamente da Crisippo ed altri escogitati ex novo. Mi pare più verosimile la seconda ipotesi, non solo perché la qualità degli argomenti è diseguale e ciò lascerebbe credere che non sia sempre Crisippo l’autore di essi; ad avvalorare la supposizione milita anche il fatto che Alessandro si riferisce a più persone, dicendo ad esempio che “assumono la <proposizione> “costui è morto” come significasse “costui non è” ” (œti tÕ ‘tšqnhken oátoj’ e„ m8n æj shma‹non lamb£nousi tÕ ‘oÙk œstin oátoj’, in Anal. Pr. p. 180, ll. 17-18): è l’uso del plurale “lamb£nousi” che induce a credere che l’obiettivo polemico di Alessandro non sia il solo Crisippo. Non si può nemmeno escludere che una raccolta di argomenti contro le obiezioni degli Stoici fosse tradizionale tra i commentatori dello Stagirita e che Alessandro attinga perciò anche a collezioni di controargomentazioni già stabilite, di cui però non possediamo più alcun frammento. Anche questa ipotesi perciò, benché legittima sulla base di questa digressione così ampia e poco giustificabile nel contesto del commento ad Anal. Pr. A, 15, in mancanza di un riscontro oggettivo è destinata a rimanere tale. VII. La settima obiezione che l’esegeta rivolge alle argomentazioni degli Stoici fa leva ancora una volta sulla loro stessa filosofia, della quale egli riprende in questo caso la cosmologia. Crisippo nel suo Perˆ kÒsmou ha sostenuto che dopo la ™kpÚrwsij, la conflagrazione finale dell’intero mondo, il cosmo sarà ricostituito esattamente nel suo stato primigenio. Ma, se ciò accadrà, anche Dione tornerà a vivere e ci sarà perciò un istante di tempo nel quale sarà vero dire di “costui” (che sarà vivo), che è morto (in passato, nel vecchio cosmo disgregatosi).
274 Luca Gili Perciò l’enunciato “costui è morto” non può considerarsi sempre falso e, secondo la definizione di “impossibile”, accolta dagli Stoici, non sarà un enunciato impossibile. Ora, dato che gli Stoici affermano che il futuro Dione ricostruito nel nuovo cosmo sarà identico al Dione che oggi vive, è evidente che “costui” si riferirà a Dione, quello stesso che oggi vive, che morirà e che vivrà nel nuovo cosmo dopo la ™kpÚrwsij. Ricorrendo perciò alle nozioni della cosmologia stoica, Alessandro riesce a costruire una obiezione molto efficace contro l’argomento di Crisippo (cfr. in Anal. Pr. p. 180, l. 28-p. 182, l. 8). Ad ogni modo, è opportuno rilevare che la obiezione è valida ad hominem: Alessandro è infatti in grado di ricavare una contraddizione fra le assunzioni cosmologiche degli Stoici e la tesi logica di Crisippo. Ciò dimostra il carattere dialettico della sua argomentazione, che non dimostra la infondatezza della tesi di Crisippo in se stessa, ma costringe soltanto chi la sostiene a rilevare la incompatibilità di questa tesi con una concezione che un simile ipotetico avversario (in quanto stoico) doveva fare propria. Questo non toglie che sarebbe possibile, in linea teorica, affermare comunque la tesi di Crisippo senza condividerne le idee cosmologiche: in tal caso la confutazione alessandrista si rivelerebbe inefficace. Nelle linee successive del proprio commento Alessandro torna al punto che aveva lasciato del testo aristotelico. Si è stabilito, contro le obiezioni di Crisippo, che se A segue da B, se B è possibile, A non sarà impossibile. Ora, Alessandro rileva che se l’antecedente è contingente, lo sarà anche il conseguente, mentre se è il conseguente a essere contingente, l’antecedente non sarà necessariamente contingente. Lo stesso vale anche per il necessario e il categorico. L’impossibile invece si comporta all’inverso e se il conseguente è impossibile, lo sarà anche l’antecedente (presumibilmente Alessandro applica la regola della contrapositio a una proposizione condizionale con antecedente e conseguente possibili). Al termine di queste considerazioni (cfr. in Anal. Pr. p. 182, l. 9-p. 183, l. 28), l’esegeta di Afrodisia introduce nuove considerazioni in merito alla definizione di “possibile”, che lo portano a confrontarsi con le teorie logiche di Diodoro Crono e di Filone. Alessandro afferma, infatti, che il “possibile” può intendersi o riguardo al divenire e alla genesi degli eventi – e in tale caso avremo il contingente per lo più, quello indifferente e il contingente raro o casuale – oppure può essere considerato omonimo al “necessario”, qualora si assuma che ciò che è possibile sia anche di fatto. In questo modo Alessandro si prepara una griglia di significati che gli consentono di dialogare proprio con le posizioni di Diodoro e Filone358, che sono assai distanti da quelle aristoteliche. Per Diodoro, infatti, è possibile ciò che o 358
Una presentazione molto stimolante del “possibile” diodoreo e di quello filoniano e dei testi a partire dai quali è possibile ricostruire queste teorie modali si ha in Bobzien [1998], pp. 97-112.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 275 è, o sarà: tÕ g¦r À ×n À ™sÒmenon p£ntwj dunatÕn mÒnon ™ke‹noj ™t…qeto (in Anal. Pr. p. 184, ll. 1-2). Le altre fonti antiche ci danno una presentazione analoga del possibile diodoreo. Severino Boezio può essere considerato la fonte più preziosa, perché nel suo commento al De Interpretatione ci conserva la definizione diodorea e filoniana di tutti i quattro gli operatori modali. L’accostamento di Diodoro a Filone in pagine ravvicinate e una trattazione in larga parte congruente con le osservazioni più sintetiche, che troviamo nel commento di Alessandro agli Analitici Primi, fanno avanzare l’ipotesi che Boezio derivasse proprio dal commento di Alessandro al De Interpretatione le proprie informazioni su Diodoro e Filone; e forse già in Alessandro si incontrava la trattazione congiunta dei due logici antichi. Sappiamo, infatti, che il commento di Boezio si avvale spesso del commento, per noi perduto, dell’esegeta di Afrodisia al De Interpretatione: l’ipotesi perciò che anche nella presentazione del “possibile” diodoreo e filoniano il filosofo cristiana attinga dal commento di Alessandro sembra molto plausibile. Ebbene, Severino Boezio ci fornisce questo quadro: “Diodorus possibile esse determinat, quod aut est aut erit; inpossibile, quod cum falsus sit, non erit verum; necessarium, quod cum verum sit, non erit falsum; non necessarium, quod aut iam est aut erit falsum” (In Arist. De Interpretatione, ed. Meiser [1880], p. 234, ll. 2226). Filone al contrario ritiene possibile la predicazione di un attributo che ha una certa conformità con il soggetto di cui deve essere predicato. Anche in questo caso è Boezio la fonte più ricca di informazioni: “Philo enim dicit possibile esse, quod natura propria enuntiationis suscipiat veritatem, ut cum dico me hodie esse Theocriti Bucolica relecturum. Hoc si nil extra prohibeat, quantum in se est, potest veraciter praedicari” (In Arist. De Interpretatione, ed. Meiser [1880], p. 234, ll. 10-15). Anche in questo caso, l’esposizione alessandrista è molto vicina a quella di Boezio: “Ðmo…wj kaˆ perˆ toà kat¦ F…lwna· Ãn d8 toàto tÕ kat¦ yil¾n legÒmenon t¾n ™pithdeiÒthta toà Øpokeimšnou, k¨n ØpÒ tinoj œxwqen ¢nagka…ou Ï genšsqai kekwlumšnon” (in Anal. Pr. p. 184, ll. 6-8). In questo modo, Filone riesce a rifiutare il rigido determinismo di Diodoro, per il quale ciò che è possibile o è o sarà necessariamente; Filone ammette infatti che ciò che è possibile possa non avvenire. Ora, come è noto, esiste una ampia letteratura critica intorno a queste concezioni logiche di Diodoro e di Filone. Abitualmente Alessandro in queste indagini non è studiato per se stesso, ma compare soltanto come una preziosa fonte di informazioni. Ciò che trovo degno di nota è che l’esegeta di Afrodisia, che spesso non esita ad entrare in aspra polemica con la logica degli Stoici, in questo caso adotta un approccio decisamente diverso e si sforza di mostrare come, in fondo, la prospettiva determinista di Diodoro e quella più sfumata di Filone non siano in un
276 Luca Gili contrasto molto forte con la prospettiva avanzata dallo Stagirita. Certamente, Alessandro non vuole attribuire ad Aristotele una posizione determinista, sebbene l’interpretazione stocastica delle modalità, che il commentatore fa propria, sembrerebbe condurlo in questa direzione. L’esegeta osserva infatti che la posizione dello Stagirita è in qualche misura mediana tra il rigido determinismo di Diodoro e le posizioni di Filone: ïn ™sti metaxÝ tÕ Øp’ 'Aristotšlouj legÒmenon· dunatÕn g¦r kaˆ tÕ oŒÒn te genšsqai ¢kèluton Ôn, k¨n m¾ gšnhtai (in Anal. Pr. p. 184, ll. 10-12). È facile comprendere in che cosa la posizione di Aristotele, quale ci è qui presentata da Alessandro, si distingua da quella di Diodoro: per lo Stagirita, infatti, se un evento è possibile, si può sempre dare il caso che non si verifichi, qualora una causa esterna lo impedisca. Diodoro, invece, nega esplicitamente che ciò che è possibile possa non accadere. Più difficile è capire in che cosa la posizione di Aristotele si distingua da quella di Filone, proprio perché la scarsità delle fonti riguardo a quest’ultimo ci rende difficile la ricostruzione delle sue opinioni riguardo alla modalità. A partire da questo solo passo, si può intuire che Alessandro ritenesse troppo debole una nozione di possibilità che indicasse soltanto la convenienza della attribuzione di un certo predicato a un soggetto. Per Alessandro, infatti, – come per Diodoro – una proposizione è possibile, se il predicato si predicherà prima o poi del soggetto. Tuttavia – contro Diodoro e con Filone – Alessandro ammette che questa predicazione possa essere impedita da altre cause che si frappongano. In questo senso, la definizione aristotelica del possibile si colloca a metà strada (metaxÚ) fra quelle di Diodoro e di Filone. Se il senso di questo passo è in generale chiaro, più difficile è però valutare la presa di distanza di Alessandro rispetto al determinismo diodoreo. In effetti, la lettura stocastica delle modalità, che Alessandro fa propria, sembra avvicinarsi molto alla definizione di “possibile” fornita da Diodoro Crono. Introducendo la distinzione tra le proposizioni necessarie, categoriche e contingenti, Alessandro aveva detto che le proposizioni non necessarie dicono che il predicato non appartiene sempre al soggetto. Alcune dicono che appartiene nell’istante presente (le proposizioni categoriche), altre dicono che, pur non appartenendo nel presente, il predicato possa comunque appartenere in un certo istante di tempo al soggetto: “e„ d8 m¾ Øp£rcoi ™pˆ toà parÒntoj tÕ kathgoroÚmenon tù ØpokeimšnJ dun£menon aÙtù Øp£rcein kaˆ oÛtwj, æj dun£menon, lamb£noito, ™ndecomšnh katafatik¾ ¢lhq¾j ¹ protasij” (in Anal. Pr. p. 26, ll. 10-12). Questo passo sembrerebbe mostrare l’accettazione da parte di Alessandro di Afrodisia del principio di pienezza e quindi di una certa forma di determinismo che si avvicina a quello di Diodoro Crono: infatti “contingente” è ciò che non è vero sempre (come il necessario); e, dunque, ciò che è contingente è vero in (almeno) qualche istante di tempo: non si dà, cioè, il caso
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 277 che la contingenza non si realizzi mai. Come risolvere l’aporia? Credo che occorra interpretare il brano di in Anal. Pr. p. 26, ll. 10-12 in un modo diverso da ciò che, prima facie, esso sembra suggerire. Proprio alla luce del passo in cui Alessandro si oppone a Diodoro, bisogna pensare il commentatore intenda che una proposizione “contingente” esprime un nesso tra predicato e soggetto che almeno in alcuni istanti di tempo non si dà, altrimenti il nesso sarebbe necessario; è quindi sempre possibile che il predicato non si predichi mai del soggetto, se una causa esterna impedisca che il nesso si stabilisca. Per questa ragione, Alessandro specifica in seguito che il “contingente” si verifica, in un istante di tempo diverso dal presente, se non viene ostacolato (¢kèluton Ôn, in Anal. Pr. p. 184, ll. 10-11). Questa clausola è decisiva per interpretare una lettura stocastica delle modalità – che sembra sì coerente con la semantica temporale che Alessandro fa propria, ma che attribuirebbe al commentatore un determinismo diodoreo, da cui egli ha sempre cercato di distinguersi. Con ogni probabilità, infatti, il commentatore di Afrodisia era indotto a non avvicinarsi alle posizioni dei Megarici, come Diodoro, dal fatto che lo stesso Stagirita li aveva criticati in Metafisica, Q, 3-4. Purtroppo il commento di Alessandro di Afrodisia a queste pagine di Aristotele è per noi perduto, ma è ragionevole supporre che l’esegeta avesse presente questo passo mentre commentava Anal. Pr. A, 15, perché anche in Met. Q, 4, 1047 b14-30 lo Stagirita cerca di sostenere la medesima tesi di logica modale (“(a→b)→(◊a→◊b)”) e la sua conversa (“(◊a→◊b)→(a→b)”)359. Dopo avere trattato l’argomento vittorioso di Diodoro Crono, Alessandro spiega per quale ragione, a suo giudizio, Aristotele ha aperto la digressione (cfr. Anal. Pr. A, 15, 34 a10-15) che introduceva e dimostrava la tesi logica i) (a→b)→(◊a→◊b). Secondo Alessandro “a” indica la coppia di premesse, mentre “b” indica la conclusione. Dunque, se si dà un sillogismo categorico valido di forma XX-X, allora si deve dare anche un sillogismo del contingente QQ-Q che abbia stesse premesse e stessa conclusione nella modalità “contingente”360. In questa 359
Mentre la prima tesi logica sostenuta da Aristotele non solleva alcuna difficoltà, la seconda è difficilmente motivabile ed è piuttosto controverso trovare, negli stessi testi dello Stagirita, una spiegazione di questa assunzione. La questione è stata affrontata da Tad Brennan in Brennan [1994]. 360 Cfr. in Anal. Pr. p. 184, l. 22-p. 185, l. 6: De…xaj p©san ¢kolouq…an ¢nagka…an oÛtwj œcousan æj tù trÒpJ tÁj kat¦ tÕ dunatÕn Øp£rxewj tù ¹goumšnJ ¢kolouqe‹n kaˆ t¾n toà ˜pomšnou aÙtoà Ûparxin Ðmo…an metafšrei tÕ kaqÒlou dedeigmšnon ™pˆ t¾n sullogistik¾n ¢kolouq…an, oá c£rin kaˆ t¾n de‹xin ™poi»sato. kaˆ e‡h ¨n dun£mei tÕ legÒmenon toioàto· de‹ m¾ mÒnon æj ™pˆ tîn ¡plîn ¢kolouq»sewn e„rhmšnon lamb£nein toàto, ¢ll¦ kaˆ ™pˆ tîn kat¦ sullogismÕn ginomšnwn· kaˆ g¦r ™n toÚtoij ¢kolouqe‹ tÕ sumpšrasma ta‹j prot£sesin· e„ g¦r aƒ prot£seij, kaˆ tÕ sumpšrasma, éste kaˆ dunatîn oÙsîn kaˆ dunatÕn œstai, kaq' Ö ¨n shmainÒmenon toà dunatoà lamb£nwntai. ¨n d¾ ¢ntˆ m8n tîn prot£sewn
278 Luca Gili esposizione, Alessandro si attiene al senso, già piuttosto perspicuo, del testo aristotelico. Tuttavia la sua trattazione non è priva di interesse: il fatto che, secondo il commentatore, una lettera possa essere sostituita con una coppia di premesse, congiunte fra loro dalla congiunzione “e”, può significare che ad Alessandro non era sconosciuto l’impiego delle lettere come variabili proposizionali; ciò era usuale nella logica stoica. Naturalmente ciò non significa che per il commentatore le lettere siano anche variabili terministiche: al riguardo come è noto la storiografia non è pervenuta ad una conclusione unanime361; tuttavia penso si possa affermare con una certa sicurezza che il concetto di lettera “variabile” non fosse ignoto ad Alessandro. C’è anche una ulteriore presupposizione nel ragionamento di Alessandro, che non viene esplicitata: mi riferisco alla distribuzione del contingente rispetto alla congiunzione. Infatti, in un sillogismo del contingente, del tipo che il commentatore esamina, entrambe le premesse sono contingenti; per derivare questa conclusione a partire da i), bisogna anche accettare che ii) ◊(a٨b)→◊a٨◊b. Questa regola non pone particolari difficoltà ed è accettata da tutti i sistemi di logica proposizionale normali. È comunque degno di nota che Alessandro, almeno implicitamente, assuma che l’operatore “è contingente” si distribuisca rispetto alla congiunzione. Secondo Alessandro, in base ad i) Aristotele intende segnalare una differenza tra il “falso” e l’“impossibile”. Questa differenza sarà poi essenziale per costruire la riduzione ad impossibile per i sillogismi imperfetti di prima figura del contingente. Per il commentatore, se le premesse sono false, ma contingenti, anche la conclusione sarà falsa e contingente, ma ciò non significa che sia impossibile o che le premesse siano impossibili: infatti, in un tempo diverso dal presente, sia le premesse che la conclusione potrebbero essere vere. Il ragionamento di Alessandro sembra essere che, se la conclusione fosse impossibile, allora per contrapositio di i), anche le premesse dovrebbero essere impossibili. Ma nella nostra ipotesi non lo erano, benché fossero false; dunque anche la conclusione non sarà impossibile (cfr. in Anal. Pr. p. 185, ll. 10-31).
lhfqÍ tÕ A ¢ntˆ d8 toà sumper£smatoj tÕ B, e‡h ¨n ¹ proeirhmšnh de‹xij ¡rmÒzousa kaˆ ta‹j toiaÚtaij ¢kolouq…aij. tÕ d8 oÙ g£r ™stin oÙd8n ™x ¢n£gkhj ˜nÒj tinoj Ôntoj de‹ kaˆ aÙtÕ ¢koàsai, Óti sullogistikîj· oÛtwj g¦r oÙk œstin ™x ¢n£gkhj. tÕ d8 ésper oân e‡ tij qe…h tÕ m8n A t¦j prot£seij tÕ d8 B tÕ sumpšrasma ‡son ™stˆ tù ‘kaˆ e‡ tij tÕ m8n A ¢ntˆ tîn prot£sewn l£boi tÕ d8 B sumpšrasma’. 361 Mentre Jan Łukasiewicz era dell’idea che le lettere fossero variabili terministiche sia in Aristotele che nei suoi commentatori, più recentemente Jonathan Barnes si è opposto a tale ipotesi interpretativa (cfr. Barnes [2006]).
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 279 Vediamo perciò come queste considerazioni siano impiegate nel contesto della validazione dei modi imperfetti di prima figura del contingente. Consideriamo un sillogismo in Barbara XQ-Q: a) BaA b) QCaB c) QCaA. Per la riduzione all’impossibile assumiamo la contraddittoria della conclusione QCaA come premessa maggiore (LCoA) e come premessa minore CaB. CaB è derivata da QCaB ed è una proposizione falsa all’istante di tempo presente, ma non impossibile, secondo il senso che si è detto (cfr. in Anal. Pr. p. 186, ll. 10-14). Avremo, perciò, in terza figura, un sillogismo in Bocardo LX-X: a) LCoA b) CaB c) BoA. La conclusione di questo sillogismo (BoA) contraddice la premessa maggiore del sillogismo di partenza (BaA). Bisogna quindi scartare l’ipotesi che ha condotto all’assurdo, ovvero l’assunzione di LCoA; la contraddittoria di quest’ultima proposizione (QCaA) sarà, perciò, la valida conclusione del nostro sillogismo in Barbara XQ-Q. Alessandro segue molto da vicino l’esposizione dello Stagirita, ma puntualizza che la conclusione del sillogismo ausiliario, che conduce all’assurdo, non è contingente – come invece potrebbe risultare dal modo di esprimersi di Aristotele (cfr. Anal. Pr. A, 15, 34 a39: “tÕ A oÙ pantˆ tù B ™ndšcetai”): per il commentatore, scrivendo così, lo Stagirita si riferiva a quel particolare senso del “contingente”, che è il categorico (cfr. in Anal. Pr. p. 186, ll. 23-25). Dopo avere spiegato in questi termini la validità di un sillogismo in Barbara XQ-Q, Alessandro di Afrodisia affronta l’importante precisazione, che lo Stagirita introduce, riguardo alla premessa categorica del sillogismo che è stato validato. Aristotele, infatti, afferma che tale premessa non deve essere assunta rispetto ad un solo istante di tempo, cioè come relativa al presente o comunque ad un istante determinato, ma in senso generico: de‹ d8 lamb£nein tÕ pantˆ Øp£rcon m¾ kat¦ crÒnon Ðr…santaj, oŒon nàn À ™n tùde tù crÒnJ, ¢ll’¡plîj (Anal. Pr. A, 15, 34 b7-8). Questa precisazione di Aristotele è molto importante, perché uno dei nodi più complessi della sua sillogistica modale è il rapporto che essa intrattiene con la sillogistica categorica. Come abbiamo visto, le maggiori difficoltà concettuali emergono proprio nei sillogismi modali con una premessa categorica: in questo caso infatti occorre chiedersi se esista una modalità implicita di questa premessa. Alessandro si limita a rilevare che è necessario che la premessa categorica sia “m¾ kat¦ crÒnon”, perché, in caso contrario, non sarebbe
280 Luca Gili possibile ottenere una connessione sillogistica (cfr. in Anal. Pr. p. 189, ll. 9-11). Infatti., se la premessa categorica fosse vera soltanto “kat¦ crÒnon”, la connessione risulterebbe, a sua volta, valida solo per il tempo durante il quale la premessa categorica è vera: non sarebbe perciò una connessione sillogistica. Alessandro specifica che la qualificazione “m¾ kat¦ crÒnon” non implica necessariamente che la premessa categorica sia vera sempre: se così fosse, sarebbe di fatto una proposizione necessaria e non si vede per quale ragione Aristotele l’avrebbe considerata una proposizione categorica. Secondo Alessandro, al contrario, la specificazione “m¾ kat¦ crÒnon” serve a specificare che, nella prova di validazione del sillogismo in esame, quando la premessa contingente (che dice che a tk C appartiene contingentemente a B) assunta come categorica (poiché, per m≠k, a tm C appartiene a B), la premessa maggiore, che è categorica, deve continuare ad essere vera. In altre parole, supponendo che la maggiore sia una categorica, che esprime un rapporto predicativo tra B e A a tk, cioè all’istante di tempo in cui è vera la minore contingente, un tale rapporto predicativo deve continuare a sussistere anche a tm (quando cioè la minore, se assunta come categorica, risulta vera). Questo è ciò che si intende dicendo che la maggiore categoria non è vera “kat¦ crÒnon”. Solo così, infatti, è possibile derivare, nel sillogismo ausiliario della riduzione, una conclusione (BoA) che contraddice efficacemente la premessa maggiore (BaA) del sillogismo di partenza. Il ragionamento di Alessandro si può spiegare facilmente alla luce della sua semantica temporale. Consideriamo di nuovo il sillogismo di partenza Barbara XQ-Q, del quale si deve dimostrare la validità. Avremo queste premesse: a) BaA “m¾ kat¦ crÒnon” b) QCaB c) QCaA. La premessa maggiore, essendo categorica, afferma che il nesso tra B e A è vero nell’istante presente, mentre la minore, essendo contingente, afferma che il nesso tra C e B è vero in un istante futuro. Nella prova di validazione si ipotizza che il sillogismo sia sviluppato nell’istante nel quale il nesso espresso dalla premessa minore ha luogo. Di conseguenza, sarà possibile trasformare la premessa minore contingente (QCaB) in una premessa categorica (CaB), che esprime un nesso predicativo vero in un istante di tempo diverso, da quello in cui era vero che QCaB. Come seconda premessa, si assume la contraddittoria della conclusione del sillogismo iniziale. Avremo perciò il seguente sillogismo: a) LCoA b) CaB c) BoA.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 281 La conclusione (BoA) esprime un nesso predicativo che ha luogo nell’istante in cui si verifica anche il nesso predicativo espresso dalla premessa minore (CaB), perché, altrimenti, non potrebbe essere inferita a partire dalla minore. Tuttavia, come si è detto, l’istante di tempo in cui CaB è vera, è diverso da quello in cui QCaB è vera; perciò anche BaA, se fosse una proposizione categorica standard, sarebbe pure vera in un istante di tempo diverso rispetto a quello nel quale sono vere le proposizioni CaB e BoA del sillogismo ausiliario. Di conseguenza, BoA non potrebbe contraddire BaA, dato che queste proposizioni sono vere in istanti di tempo diversi. Probabilmente è utile spiegare questo punto con un esempio. Si pensi, quindi, alle seguenti proposizioni: a. Tutti gli studenti della V ginnasio sono stati promossi (BaA); b. Qualche studente della V ginnasio non è stato promosso (BoA). È evidente che sia (i) che (ii) possono essere entrambe vere, se ci si riferisce ad anni scolastici diversi. La specificazione “m¾ kat¦ crÒnon”, aggiunta alla proposizione categorica, serve dunque a chiarire che tale proposizione è vera in almeno due istanti di tempo, ovvero sia quando è vera QCaB, sia quando è vera CaB. Di conseguenza, BoA viene ad essere effettivamente la contraddittoria di BaA. Specificando che la determinazione “m¾ kat¦ crÒnon” comporta solo che la proposizione categorica a cui è aggiunta sia vera in almeno due istanti di tempo, riusciamo ad evitare che tale proposizione possa essere confusa con una necessaria. È infatti possibile che il nesso tra B e A, che ha luogo negli istanti di tempo menzionati, non abbia luogo in altri istanti di tempo. Questo sembra il ragionamento che sta alla base di questa affermazione di Alessandro: de‹ oân, fhs…, t¾n Øp£rcousan toiaÚthn lamb£nesqai, Âj oÙc éristai tÕ ¢lhq8j ØpÕ tÁj prostiqemšnhj aÙtÍ ™ndecomšnhj, ¢ll¦ toiaÚthn enai æj mšnein kaqÒlou katafatik¾n Øp£rcousan kaˆ tÁj ™ndecomšnhj kaqÒlou metalambanomšnhj e„j t¾n Øp£rcousan (in Anal. Pr. p. 189, ll. 27-30). Alessandro spiega questa tesi dicendo che se si aggiungesse la determinazione “kat¦ crÒnon” ad una proposizione categorica, la si trasformerebbe, di fatto, in contingente. Questo sembra comportare che una proposizione categorica, che sia qualificata come “m¾ kat¦ crÒnon”, sia di fatto una proposizione categorica standard. Alessandro allude infatti a questa conclusione, che pare fare propria: oÙd8n g¦r diafšrei À prosqe‹na… tina diorismÕn tÍ ØparcoÚsV æj kat¦ crÒnon Ðr…zein aÙt¾n À ™ndecomšnhn toiaÚthn aÙtÍ sunt£xai, ¼tij ¢naire‹ aÙt¾n e„j tÕ Øp£rcein metab£llousa (in Anal. Pr. p. 189, ll. 30-32). L’aggiunta perciò della determinazione “kat¦ crÒnon” trasforma una proposizione categorica in contingente, ed è solo eliminando questa determinazione che otteniamo una proposizione categorica in senso stretto. Che significa, allora, che una proposizione non è vera limitatamente ad un certo istante
282 Luca Gili di tempo (“kat¦ crÒnon”)? Significa forse che è vera “sempre”? Alessandro si accorge tuttavia che una simile interpretazione della proposizione categorica possa indurre a confonderla con la proposizione necessaria, e si premura perciò di evitare questa identificazione: oÙ g¦r t¾n ¢eˆ Øp£rcousan lšgei (aÛth g¦r ¢nagka…a ½dh), ¢ll¦ t¾n mšnein dunamšnhn Øp£rcousan kaqÒlou katafatik¾n ¢lhqÁ, kaˆ Óte ¹ ™ndecomšnh katafatik¾ kaqÒlou e„lhmmšnh met¦ taÚthj e„j t¾n Øp£rcousan metalamb£netai (in Anal. Pr. p. 189, ll. 3336). In sostanza, secondo Alessandro, una proposizione categorica di tipo (i) AaB “m¾ kat¦ crÒnon” ovvero una proposizione categorica in senso proprio, non indica un nesso predicativo perpetuo tra predicato e soggetto, ma piuttosto che rimane sempre possibile che sia vero che AaB. Questa spiegazione è piuttosto difficile da comprendersi e, di nuovo, non è chiaro in che cosa distingua il categorico dal contingente. Probabilmente secondo Alessandro una proposizione di tipo (ii) QAaB afferma che non per ogni istante di tempo è possibile che il nesso predicativo tra A e B sia vero; e ciò presumibilmente significa che esistono istanti di tempo diversi dal presente in cui è impossibile che “AaB”. Una genuina proposizione contingente sarebbe perciò una proposizione come: (ii*) “è contingente che gli alunni della V ginnasio compiano vent’anni”. Evidentemente ci saranno istanti di tempo in cui (ii*) non è più possibile: ciò accadrà quando tutti gli alunni della V ginnasio avranno compiuto vent’anni. La proposizione categorica “m¾ kat¦ crÒnon” indica invece qualche nesso che può avere luogo in ogni istante di tempo, ma che tuttavia non si verifica sempre: se così fosse, infatti, si tratterebbe di una proposizione necessaria. Un esempio di proposizione genuinamente categorica può essere, perciò, il seguente: (i*) “Tutti gli uomini vivono in pace fra loro”. Questo fatto, probabilmente, si è verificato in almeno qualche istante della nostra storia ed è certamente sempre possibile, sebbene, come purtroppo sappiamo, non sia necessario. È interessante infine notare che, a partire da una simile caratterizzazione delle proposizioni categoriche “m¾ kat¦ crÒnon”, Alessandro ritiene possibile la validazione di Barbara XQ-Q: ritiene cioè che la premessa maggiore di Barbara sia vera, sia quando la minore è contingente, sia quando si ipotizza che la minore sia categorica. Questo rilievo sembrerebbe sollevare una nuova ambiguità ed avvicinare ancora una volta la categorica “m¾ kat¦ crÒnon” alla proposizione necessaria. L’aporia, perciò, non è stata, a mio parere, completamente risolta da Alessandro. Gli esempi da me addotti intendono infatti mostrare la plausibilità del ragionamento di Alessandro, sebbene io ritenga che, pur con queste delucidazioni, la sua dottrina rimanga comunque di difficile comprensione. Ciò dipende, a mio giudizio, dalla complessità del rapporto tra la
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 283 sillogistica categorica e quella modale nel testo di Aristotele: difficoltà che Alessandro indubbiamente affronta con il tentativo di appianarla, ma che inevitabilmente si rispecchia anche nel suo commento.
284 Luca Gili 8. Conclusione Ho cercato di ripercorrere gli snodi cruciali del commento di Alessandro di Afrodisia agli Analitici Primi per delineare la sua sillogistica categorica e la sua sillogistica modale. È difficile trarre delle conclusioni dopo un percorso che, sebbene non esaustivo, ha senza dubbio una certa ampiezza di prospettive. Credo che da questo mio “commento al commento” di Alessandro emerga la compattezza del disegno alessandrista e le sue notevoli intuizioni, che rendono sempre originale quella particolare versione dell’aristotelismo che fu la filosofia dell’esegeta di Afrodisia. Per nominare solo alcuni dei punti in cui la sillogistica alessandrista presenta dei caratteri di notevole innovazione, possiamo ricordare che Alessandro a) espone la sillogistica categorica in modo analogo alla esposizione delle scienze, con assiomi fondamentali (l’esser detto “kat¦ pantÒj” e “kat¦ mhdenÒj”) e derivazioni di proprietà a partire da questi principi; b) presenta una estensione dell’esser detto “kat¦ pantÒj” e dell’esser detto “kat¦ mhdenÒj” alla sillogistica modale, in modo da risolvere il complesso nodo dei sillogismi modali misti del necessario di prima figura (Barbara LXL di Anal. Pr. A, 9); c) presenta una interpretazione temporale delle modalità piuttosto coerente, che cerca di mantenere durante tutta la sua esposizione, cercando al tempo stesso di non cadere nel determinismo che sarebbe implicato dalla accettazione del principio di pienezza. Nonostante l’indubbia originalità di queste tesi e, ancor di più, del quadro coeso entro il quale esse sono sviluppate e difese, Alessandro rimase persuaso di essere un semplice esegeta del testo aristotelico. Un esegeta che si pone come obiettivo la spiegazione e la giustificazione delle tesi dello Stagirita e non lo sviluppo di una nuova filosofia. Perciò, nonostante Alessandro presenti molteplici dottrine, che a noi moderni risultano essere il frutto della sua autonoma riflessione, egli si preoccupa sempre di derivarle dal testo che sta interpretando. Ciò non toglie, evidentemente, che avesse una notevole libertà nei confronti della tradizione filosofica nella quale si riconosceva: sono infatti frequenti le prese di posizione contro la logica teofrastea e molte allusioni implicite lasciano supporre che anche Boeto di Sidone fosse tra i suoi bersagli polemici. Quello che volevo mostrare è che la sillogistica categorica e la sillogistica modale di Alessandro sono terreni pienamente degni di essere indagati, per la loro ricchezza e la loro profondità. Se questo libro spingerà menti migliori della mia ad intraprendere un’opera di esegesi di questi difficili testi, la mia fatica non sarà stata vana.
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 285 9. Bibliografia Abbreviazioni Anal. Pr. = Ross [1949] in Anal. Pr. = Wallies [1883] Phil. in Anal. Pr. = Wallies [1905] Gli altri testi antichi sono citati secondo le usali abbreviazioni elencate nel dizionario Liddell-Scott e il riferimento è alle edizioni critiche elencate in questa bibliografia. a)
Edizioni dei testi di Aristotele
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Edizioni dei testi di Alessandro di Afrodisia
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La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 287 c)
Traduzioni dei testi di Aristotele
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288 Luca Gili d)
Traduzioni dei testi di Alessandro di Afrodisia
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318 Luca Gili 10. Indice dei luoghi citati 10. Indice dei luoghi citati Alcinoo Didaskalikòs VI, p. 11, l. 25: 168n Alessandro di Afrodisia De fato I, p. 164, l. 1-p. 165, l. 13: 10n X, p. 177, ll. 20-21: 200 In Aristotelis Categorias (Schmidt [1966]) fr. 2: 100n In Aristotelis Analyticorum Priorum librum I commentarium p. 1, ll. 3-5: 63n p. 1, ll. 5-18: 64n p. 1, l. 18-p. 2, l. 22: 68n p. 4, l. 33-p. 5, l. 1: 70-71 p. 5, ll. 13-20: 70, 74-75 p. 6, l. 12: 79 p. 6, l. 13-p. 8, l. 2: 160n p. 6, ll. 13-29: 81n p. 7, l. 11-p. 8, l. 2: 82n p. 7, ll. 22-23: 83 p. 7, ll. 22-29: 84, 85 p. 7, ll. 25-28: 83 p. 7, ll. 28-29: 84 p. 7, ll. 25-31: 48n p. 9, ll. 5-23: 92n p. 9, ll. 10-20: 25 p. 9, ll. 25-29: 93n p. 10, l. 10: 146n p. 10, l. 13-p. 11, l. 16: 94n, 100
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La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 319 p. 26, l. 20-21: 127 p. 29, ll. 3-7: 128n p. 29, ll. 7-29: 129 p. 29, ll. 25-29: 129 p. 31, l. 1-p. 34, l. 22: 136 p. 31, l. 4: 32, 130 p. 31, ll. 4-10: 220n p. 31, ll. 4-26: 130n p. 31, l. 4-p. 35, l. 19: 42n p. 31, l. 7: 135 p. 31, l. 24: 146n p. 31, ll. 27-29: 130 p. 32, ll. 2-3: 131, 132 p. 32, ll. 3-9: 132n p. 32, ll. 9-21: 133n p. 32, ll. 28-32: 133n p. 32, l. 32: 133 p. 33, ll. 1-3: 134, 187 p. 33, ll. 9-11: 134 p. 33, ll. 12-15: 134n p. 34, ll. 3-13: 134n p. 34, ll. 13-15: 135 p. 34, l. 15: 32 p. 34, l. 23- p. 35, l. 19: 136, 137n p. 35, l. 22-p. 36, l. 7: 137n p. 36, ll. 7-9: 138 p. 36, l. 10: 138 p. 36, ll. 10-13: 138 p. 36, ll. 13-14: 138 p. 36, ll. 17-19: 139 p. 36, ll. 25-32: 56n, 140n p. 36, ll. 25-29: 47n, 139n p. 36, l. 28: 32 p. 37, ll. 1-21: 144n p. 37, ll. 21-25: 144n p. 37, l. 26-p. 39, l. 15: 127n, 239 p. 37, l. 27-p. 38, l. 1: 240 p. 37, l. 28: 146n p. 38, l. 1: 146 p. 38, ll. 1-10: 149
p. 38, ll. 2-3: 146 p. 38, ll. 3-5: 147 p. 38, ll. 5-7: 147 p. 38, ll. 8-10: 146n p. 38, ll. 19-21: 149n p. 38, ll. 21-23: 149n p. 38, ll. 24-26: 150 p. 40, ll. 12-14: 262 p. 41, l. 22: 33 p. 41, ll. 22-24: 245 p. 41, l. 33- p. 42, l. 17: 158n p. 41, l. 33- p. 42, l. 31: 254n p. 42, ll. 17-31: 158 p. 42, ll. 26-30: 160, 161n p. 43, l. 3-p. 51, l. 32: 162 p. 43, ll. 11-13: 166 p. 44, ll. 2-5: 167n p. 44, ll. 6-13: 167n p. 44, l. 14: 168 p. 44, l. 29-p. 45, l. 3: 170n p. 46, l. 21-p. 47, l. 10: 170n p. 47, l. 17-p. 49, l. 17: 171 p. 48, ll. 12-18: 183n p. 49, ll. 14-17: 188n p. 49, ll. 21-22: 174 p. 49, ll. 25-26: 176 p. 50, ll. 17-22: 177n p. 50, l. 23-p. 51, l. 8: 177n p. 51, ll. 8-22: 178n p. 52, ll. 19-25: 179n p. 53, ll. 19-25: 175 p. 54, ll. 2-12: 179n p. 54, ll. 6-7: 179 p. 54, l. 31-p. 55, l. 7: 180n p. 60, ll. 21-25: 182n p. 60, l. 25-p. 61, l. 1: 182 p. 61, ll. 3-5: 181n p. 66, l. 7: 33 p. 69, l. 27: 33 p. 70, l. 14: 33
320 Luca Gili p. 72, ll. 1-5: 185n p. 72, l. 27-p. 74, l. 6: 50n p. 74, ll. 5-6: 51-52 p. 77, ll. 16-17: 171, 187 p. 89, l. 31-p. 90, l. 6: 52n p. 90, l. 28-p. 91, l. 8: 53n p. 94, l.1- p. 97, l. 30: 187 p. 94, ll. 8-12: 188n p. 94, ll. 12-17: 189n p. 94, ll. 16-17: 189 p. 109, l. 1-p. 111, l. 27: 176 p. 110, l. 13: 33 p. 110, l. 21: 33 p. 112, ll. 5-7: 193 p. 112, l. 33-p. 113, l. 1: 192 p. 119, ll. 9-18: 212n p. 119, ll. 22-28: 212n p. 120, ll. 8-18: 213n p. 120, l. 20-p. 121, l. 12: 214n p. 121, ll. 15-31: 214 p. 121, l. 31-p. 122, l. 16: 215n p. 122, ll. 17-23: 121n p. 122, ll. 19-20: 215 p. 122, ll. 28-29: 215, 217 p. 122, ll. 31-p. 123, l. 9: 217n p. 122, l. 31: 217 p. 122, l. 32: 217 p. 123, l. 18: 34 p. 123, ll. 18-24: 217n p. 124, l. 8-p. 127, l. 16: 264 p. 124, ll. 8-13: 178n p. 124, l. 9: 34 p. 124, ll. 18-22: 219-220 p. 124, ll. 28-30: 221 p. 125, ll. 3-33: 54n p. 125, ll. 3-28: 221n, 222 p. 125, ll. 26-28: 222 p. 125, ll. 30-31: 55, 223, 223n, 224, 225 p. 125, l. 31-p. 126, l. 8: 225n
p. 126, ll. 3-6: 227 p. 126, l. 9-p. 127, l. 2: 229n p. 126, ll. 12-13: 230 p. 126, ll. 13-14: 231 p. 126, ll. 17-22: 232n p. 126, ll. 26-27: 233 p. 126, l. 28: 233 p. 126, l. 34-p. 127, l. 1: 235 p. 127, ll. 14-16: 230 p. 127, l. 1: 34 p. 132, l. 23: 34 p. 132, l. 32: 35, 220 p. 139, l. 29-p. 140, l. 34: 48n p. 140, ll. 14-18: 57n p. 140, l. 14-p. 141, l. 16: 58n p. 141, ll. 1-6: 57n, 142, 143 p. 141, ll. 6-16: 143n p. 144, ll. 5-6: 25 p. 151, ll. 14-22: 25n p. 151, l. 15: 25 p. 156, ll. 19-20: 240 p. 156, ll. 21-22: 240 p. 156, ll. 22-26: 240 p. 156, ll. 26-29: 240 p. 156, l. 26-p. 157, l. 2: 56n p. 156, l. 29: 35 p. 156, l. 29-p. 157, l. 2: 241 p. 157, ll. 13-16: 241 p. 157, ll. 23-24: 242 p. 157, ll. 30-31: 242 p. 158, ll. 18-21: 243 p. 158, l. 30-p. 159, l. 3: 243n p. 159, l. 10: 35, 245 p. 159, ll. 13-14: 244 p. 160, l. 20: 246 p. 160, ll. 26-28: 246 p. 160, ll. 29-31: 248 p. 160, l. 31-p. 161, l. 1: 248n p. 161, ll. 3-6: 246 p. 161, ll. 7-8: 247
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 321 p. 161, ll. 18-24: 247n p. 161, l. 33-p. 162, l. 1: 248 p. 162, ll. 4-6: 249n p. 162, ll. 15-18: 249n p. 162, ll. 21-26: 250n p. 163, ll. 1-7: 251n p. 163, ll. 8-12: 251n p. 163 ll. 15-18: 252n, 264n p. 164, ll. 23-31: 255n p. 166, ll. 18-19: 257 p. 168, l. 31-p. 169, l. 5: 258 p. 169, ll. 5-10: 258 p. 171, l. 19: 259 p. 172, ll. 8-10: 259 p. 173, ll. 22-28: 262 p. 173, l. 32: 35 p. 173, l. 32-p. 174, l. 3: 264n p. 174, ll. 7-9: 263 p. 174, ll. 17-30: 265n p. 174, l. 18: 35 p. 174, ll. 22-23: 265 p. 174, l. 33-p. 175, l. 6: 263-264, 266n p. 175, ll. 3-6: 264 p. 175, ll. 8-18: 266n p. 175, l. 22-p. 176, l. 20: 267n p. 176, l. 23-p. 177, l. 18: 268n p. 177, ll. 25-27: 269n p. 177, ll. 30-33: 269n p. 178, ll. 22-23: 271 p. 178, ll. 24-25: 270 p. 178, l. 30-p. 179, l. 2: 271 p. 179, ll. 11-18: 272 p. 179, ll. 24-31: 272 p. 180, ll. 11-12: 272 p. 180, ll. 12-17: 272 p. 180, ll. 17-28: 273 p. 180, ll. 17-18: 273 p. 180, l. 28-p. 182, l. 8: 274 p. 182, l. 9-p. 183, l. 28: 274
p. 184, ll. 1-2: 275 p. 184, ll. 6-8: 275 p. 184, ll. 10-11: 277 p. 184, ll. 10-12: 276 p. 184, l. 22-p. 185, l. 6: 277n p. 185, ll. 10-31: 278 p. 186, ll. 10-14: 279 p. 186, ll. 23-25: 279 p. 189, ll. 9-11: 280 p. 189, ll. 27-30: 281 p. 189, ll. 30-32: 281 p. 189, ll. 33-36: 282 p. 199, l. 8: 35 p. 207, ll. 35-36: 224n p. 210, ll. 30-34: 25 p. 213, ll. 26-27: 224n p. 220, l. 9: 36 p. 238, ll. 37-38: 224n p. 248, l. 19: 36 p. 249, l. 38-p. 250, l. 1: 223, 223n, 224, 225 p. 250, ll. 1-2: 224, 224n, 225 p. 252, ll. 21-30: 236 p. 263, l. 14: 36 p. 304, ll. 13-17: 25 p. 320 l. 14: 25 p. 326, l. 8: 36 p. 326, l. 10: 36 p. 326, l. 21: 36 p. 328, l. 3: 36 p. 334, l. 19: 108n p. 337, l. 7: 108n p. 338, l. 9: 108n p. 340, ll. 5-6: 84 p. 340, ll. 11-13: 84 p. 340, ll. 13-21: 85n p. 340, l. 14: 37, 48 p. 340, l. 20: 37, 48, 85 p. 345, l. 13-p. 346, l. 6: 255n p. 367, l. 13: 37
322 Luca Gili p. 378, ll. 12-23: 160n p. 378, l. 14: 37 p. 378, l. 20: 37 p. 379, l. 9: 37 p. 386, ll. 5-8: 161n p. 386, ll. 10-13: 161n p. 388, l. 17: 37 p. 389, l. 31-p. 390, l. 9: 159, 161 p. 390, l. 2: 37 p. 390, ll. 2-3: 159 p. 397, l. 2: 38 In Aristotelis Topicorum libros VIII commentaria p. 2, ll. 15-29: 66n p. 2, l. 29-p. 3, l. 4: 67n p. 3, ll. 25-28: 65 p. 3, ll. 28-31: 67 p. 27, ll. 12-16: 22-23, 25 p. 27, ll. 17-18: 23 p. 27, ll. 12-18: 41n p. 29, ll. 2-5: 23n p. 36, l. 19: 168n p. 62, ll. 6-13: 164n p. 124, l. 33: 15 p. 125, ll. 14-15: 168n p. 149, l. 22: 108n p. 518, l. 3: 15 p. 532, ll. 23-24: 163n In Aristotelis Meteorologicorum libros octo commentaria p. 143, l. 13: 55 De anima p. 80, ll. 20-24: 74-75 p. 82, ll. 1-3: 76 p. 84, ll. 6-9: 76n
De anima b (dalla Mantissa) p. 105, l. 34–p. 106, l. 5: 74-75 De intellectu p. 107, ll. 21-29: 76n p. 107, ll. 26-28: 76 Mantissa p. 118, l. 38-p. 119, l. 3: 76 p. 119, ll. 17-19: 76 Quaestiones I, 19: 203, 204, 205 I, 19, p. 33, ll. 25-27: 205 I, 19, p. 32, ll. 27-30: 207 II, 19, p. 66, ll. 22-26: 249 In Aristotelis Metaphysicam commentaria p. 1, ll. 4-8: 74 p. 2, ll. 10-21: 73 p. 2, ll. 25-27: 74 p. 2, ll. 27-28: 74 p. 46, l. 23- p. 47, l. 1: 26 p. 54, ll. 11-13: 26 p. 59, ll. 7-8: 26 p. 64, l. 34: 108n p. 75, l. 26-p. 76, l. 1: 26 p. 138, l. 8: 15 p. 172, l. 20: 15 p. 186, l.31- p. 187, l. 6: 26 p. 223, ll. 23-28: 26 p. 224, ll. 17-19: 26 p. 245, l. 33-p. 246, l. 13: 69n p. 251, ll. 2-6: 26 p. 267, ll. 14-21: 26 p. 357, ll. 24-30: 26 p. 360, l. 17-p. 362, l. 10: 197 p. 360, ll. 19-22: 197n p. 360, ll. 22-28: 198n
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 323 p. 361, ll. 4-14: 198n p. 361, ll. 14-19: 198n p. 361, l. 19-p. 362, l. 10: 198n p. 368, ll. 7-15: 26 p. 387, ll. 16-17: 199 p. 389, l. 1-p. 395, l. 29: 199-200 p. 394, ll. 16-17: 200 p. 394, ll. 17-19: 200, 203 p. 394, ll. 20-21: 201 p. 394, ll. 24-26: 201, 203 p. 394, ll. 26-28: 203 p. 394, ll. 28-31: 203 p. 394, ll. 31-32: 203 p. 430, ll. 1-16: 82n Ammonio figlio di Ermia In Porphyrii Isogagen commentarium p. 21, ll. 6-8: 15 p. 21, ll. 8-13: 16 p. 21, l. 9: 81 In Categorias p. 53, ll. 22-24: 101n In Aristotelis Analytica Priora p. 13, ll. 13-23: 108n p. 31, ll. 22-23: 172 p. 39, l. 24: 58n p. 39, ll. 24-26: 57n p. 39, ll. 31-34: 54, 223 Aristotele di Stagira Protrept. (Düring) fr. 29/I : 70 fr. 70: 72
Categoriae 5, 4 a10-b 1: 202n 5, 4 a21-b19: 100, 100n, 101n 5, 4 a24-27: 202 12, 14 a39: 216n De Interpretatione 4, 17 a2-3: 93, 100 5, 17 a8: 93 7, 17 a39-18 a6: 271n 9, 19 a19: 145 9, 19 a23-26: 56, 142, 143 11, 20 b23: 93n 12, 21 a34-37: 248 12, 21 b34-22 a1: 248 13, 22 a24-27: 244 13, 23 a13-16: 197 Analytica Priora A, 1, 24 a10-11: 62, 92 A, 1, 24 a12-13: 108 A, 1, 24 a13-14: 165 A, 1, 24 a16-17: 93, 95, 100 A, 1, 24 a28-b12: 78, 151 A, 1, 24 b16-18: 97, 98 A, 1, 24 b18-20: 88, 90, 98, 160, 164, 167, 195n A, 1, 24 b22-26: 107, 109, 180, 186, 187, 263 A, 1, 24 b26-30: 111, 165, 165n, 166, 174 A, 1, 24 b28-30: 133, 228, 263, 265 A, 1, 24 b29: 111, 111n A, 1, 24 b30: 111, 136, 181 A, 2, 25 a1-2: 147, 213, 264n A, 2, 25 a15-19: 132 A, 2, 25 a15-17: 119-120, 129 A, 2, 25 a17-19: 119 A, 2, 25 a17-22: 148, 149, 150 A, 2, 25 a20-22: 137, 139
324 Luca Gili A, 2, 25 a22-26: 118 A, 3, 25 a26-36: 143, 245 A, 3, 25 a27-39: 117n, 195n A, 3, 25 a29-34: 122, 122n, 137n A, 3, 25 a35-36: 117 A, 3, 25 a36-39: 145 A, 3, 25 a37-b14: 148 A, 3, 25 a37-b25: 262 A, 3, 25 a38-39: 146 A, 3, 25 a40-b3: 123 A, 3, 25 b3-14: 118 A, 3, 25 b13-14: 118 A, 3, 25 b16-17: 118 A, 3, 25 b17-18: 119 A, 3, 25 b18-19: 262 A, 3, 25 b19-24: 45n, 245 A, 3, 25 b21: 238 A, 4, 25 b26-28: 61, 158 A, 4, 25 b26-31: 253-254 A, 4, 25 b28-31: 61, 161n A, 4, 25 b32-33: 162 A, 4, 25 b37-40: 179 A, 4, 26 a39-b3: 177 A, 5, 26 b37-38: 50 A, 5, 27 a1-3: 185, 186 A, 5, 27 b9-11: 191 A, 5, 27 b34-36: 191 A, 6, 28 a23: 215 A, 6, 28 a24-26: 120, 121n A, 6, 28 b14-15: 192 A, 7, 29 a21-26: 176 A, 7, 29 a27-29: 116 A, 7, 29 a30: 120, 193 A, 7, 29 a30-39: 192 A, 7, 29 b6-15: 173 A, 8, 29 b29-35: 208, 212 A, 8, 29 b36-37: 208, 209 A, 8, 30 a2-3: 213, 226, 228, 263 A, 8, 30 a6-16: 120n, 121n, 122n A, 8, 30 a8-9: 211, 214
A, 8, 30 a9-14: 181, 187 A, 9, 30 a15-16: 56, 221 A, 10, 30 b18-40: 141 A, 10, 30 b31-33: 47 A, 10, 30 b32-40: 142n A, 10, 30b 37-38: 142 A, 10, 30 b38-40: 207 A, 13, 32 a15-29: 246 A, 13, 32 a18-21: 196, 197, 240, 246, 248, 252, 253, 260 A, 13, 32 a20-21: 146 A, 13, 32 a21-29: 241, 243 A, 13, 32 a29-35: 243, 244, 245 A, 13, 32 a29-32 b3: 246, 247 A, 13, 32 a36-38: 245-246 A, 13, 32 b1-3: 248 A, 13, 32 b4-13: 45n, 248, 251n A, 13, 32 b15-18: 253 A, 13, 32 b18-24: 62 A, 13, 32 b23-37: 227n A, 13, 32 b25-31: 256, 257 A, 15, 33 b32-36: 266 A, 15, 34 a4-12: 266, 268 A, 15, 34 a7-10: 268 A, 15, 34 a10-15: 277 A, 15, 34 a39: 279 A, 15, 34 b7-18: 45n A, 15, 34 b7-8: 279 A, 19, 38 b24-37: 237n A, 19, 38 b27-37: 217n A, 21, 39 b31-39: 216, 236 A, 22, 40 b1-3: 216, 236 A, 23, 40 b20-22: 96, 104 A, 24, 41 b6-9: 191 A, 24, 41 b25-28: 173n, 178 A, 32, 47 a10-14: 99, 101, 104 A, 32, 47 a22-31: 105 A, 33, 47 b15-37: 116n, 217n A, 44, 50 a16-19: 161n A, 44, 50 a39: 159
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 325 B, 16, 64 b32-33: 163 B, 23, 68 b8-14: 166n B, 23 68 b12: 164 B, 23, 68 b15-16: 163 B, 24, 69 a4: 164 B, 24, 69 a12: 164 B, 27, 70 a16-20: 116n Analytica Posteriora A, 2, 71 b16-25: 88n A, 2, 71 b20: 61 A, 2, 72 a8-9: 93, 93n A, 4, 73 a21: 61 A, 4, 73 a21-24: 45n A, 4, 73 b32-33: 116n A, 6, 74 b5: 61 A, 6, 74 b26-39: 44n , 45n A, 6, 75 a1-11: 44n , 45n A, 6, 75 a28-37: 45n A, 8, 75 b33-36: 239n A, 11, 77 a29: 67n A, 12, 77 a37: 93n A, 20, 87 b19-27: 239n B, 6, 92 a12-13: 106 B, 12, 96 a8-19: 239n B, 16, 98 b5-10: 90 B, 19, 99 b16-17: 61 B, 19, 99 b19-100 b17: 72 Topica A, 1, 101 a14: 168n A, 1, 100 a25-26: 88, 90n A, 2, 101 a26-35: 22, 23n A, 8, 103 b3: 162 A, 8, 103 b6-7: 162 A, 10, 104 a8-11: 95 Z, 2, 139 b19-31: 239 Q, 1, 156 a21: 168n Q, 1, 156 b39: 108n
Q, 12, 162 b27: 60n Q, 14, 163 b25: 108n Sophistici Elenchi 1, 165 a1-2: 88, 90 6, 169 a8: 93n 11, 172 a12-15: 67n 33, 183 a15: 168n Rhetorica A, 1, 1354 a1-11: 65, 65n A, 1, 1355 a4-6: 162-163 A, 2, 1356 b6-11: 163, 163n, 164 De generatione et corruptione B, 11, 337 b35-338 a2: 200 B, 11, 338 a1-2: 249n Historia animalium I, 488 b12-26: 74-75 I, 488 b25-28: 76 De generatione animalium B, 1, 732 b32-35: 249 Physica A, 8, 191 b27-30: 204 B, 1, 192 b21-22: 249 B, 9, 199 b34-35: 207 Q, 7, 261 a27-36: 250 Metaphysica A, 1, 980 a1: 79 A, 1, 980 a21-27: 73 A, 1, 980 a27-b23 : 74 A, 6, 987 b29: 60n G, 2, 1004 b17-26: 24n G, 3, 1005 b18-19: 204 D, 5, 1015 a20-1015 b15: 195n
326 Luca Gili D, 5, 1015 a26-33: 195n D, 5, 1015 a33-35: 117n D, 5, 1015 a33-b6: 195n D, 5, 1015 b6-15: 195n D, 10, 1014 a36: 216n D, 11, 1019 a4-7: 199 D, 12, 1019 b23-24: 200, 201 D, 12, 1019 b28-30: 196, 200, 201 D, 12, 1019 b30-32: 196, 203 D, 28, 1024 b9-16: 82n E, 1, 1025 b3-1026 a33: 60 E, 1, 1025 b25: 60 E, 1, 1026 a18-19: 60 E, 1, 1026 a19-21: 60n Q, 4, 1047 b14-30: 277 Q, 9, 1051 a21-33: 185n Q, 9, 1051 a22-24: 216 Q, 10, 1051 b9-17: 202n L, 1, 1069 a26-28: 60n L, 7, 1072 b11-13: 117n M, 4, 1078 b23-27: 60n
Crisippo Stoicorum Veterorum Fragmenta 240, l. 10: 168n Dexippo in Categorias p. 60, ll. 1-15: 101n
Diogene Laerzio Vitae VII, 39: 62n VII, 75: 201n VII, 76: 200, 202 Elia In Categorias p. 183, l. 34-p. 184, l. 5: 101n
Ethica Nicomachaea B, 6, 1106 b36: 80 Z, 3, 1139 b24: 249
Eudemo di Rodi (Wehrli) fr. 6: 159
Aulo Gellio Noctes Acticae XIII, 5: 30, 31
Euclide Elementa p. 5, l. 9: 104
Cassio Dione Storie LXXII, 31, 3: 10n Cicerone De Fato, 19: 202n
Eusebio di Cesarea In Psalmos, PG, XXIII, p. 1001, l. 31: 15n In Psalmos, PG, XXIII, p. 1072, ll. 1-2: 15n
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 327 Filostrato Vitae Sophist. II, 2, 566: 10n Galeno Institutio Logica (Kalbfleisch [1897]) VI, 5, l. 8: 168n VI, 6, l. 23: 168n VII, 2: 159n VIII, 3, l. 5: 168n XVI, 1, p. 38, ll. 12-15: 104 XIX, 1, ll. 1-5: 160 De libris propriis p. 44, ll. 1-4: 141n p. 44, l. 5: 228 De placitis Hippocratis et Platonis (De Lacy [1978]) p. 110, l. 16: 168n p. 116, l. 13: 168n p. 116, l. 22: 168n De utilitate resp. (Furley-Wilkie [1984]) p. 130, l. 4: 168n Giamblico Protrept. (Des Places) V, p. 67, ll. 1-5: 70
In Aristotelis libros De generatione et corruptione commentaria (Vitelli [1897]) p. 74, l. 3: 18 In Aristotelis Physicam (Vitelli [1888]) p. 677, l. 2: 191n In Aristotelis Analytica Priora commentaria (Wallies [1905]) p. 48, ll. 12-13: 130 p. 65, l. 4-p. 66, l. 26: 171 p. 70, ll. 5-7: 178-179 p. 122, l. 27-p. 126, l. 6: 55 p. 122, l. 27-p. 123, l. 20: 55 p. 123, l. 21-p. 124, l. 8: 55 p. 124, l. 9-p. 126, l. 6: 56 p. 126, ll. 8-29: 58n p. 126, ll. 20-23: 58, 224 p. 242, ll. 14-16: 159n Gregorio di Nissa Contra fatum, p. 60, ll. 14-15: 15n Luciano Eunuchus, 3: 10n Platone Phaedo 93 d2: 168n
Giovanni Filopono In Categorias p. 82, ll. 19-20: 101n
Protagoras 350 d2: 168n Gorgias 480 b3: 168n
328 Luca Gili Respublica 462 e5: 168n Parmenides 135 D: 23n Theaetetos 155 b5: 168n 176a-b: 80 Leges 730 c1-2: 80 906 b4: 168n 920 c2-4: 168n Porfirio Vita Plotini p. 14, ll. 10-14: 22 p. 14, ll. 14-16: 28n In Categorias p. 98, ll. 7-9: 101n Quaest. Hom. (ed. Sodano [1970]) p. 56, ll. 3-6: 13n Proclo Elementatio theologica (ed. Dodds [1963]) teor. 210, p. 184, ll. 2-3: 191n
Severino Boezio In Aristotelis De Interpretatione p. 3, ll. 1-4: 49 p. 11, ll. 13-15: 41 p. 11, ll. 30-32: 41 p. 12, ll. 3-12: 40 p. 234, ll. 10-15: 275 p. 234, ll. 22-26: 275 De syllogismo categorico (Thomsen Thörnqvist [2008]) p. 101, ll. 6-8: 42 Simplicio In Categorias p. 118, ll. 19-25: 101n p. 406, l. 34-p. 407, l. 3: 202n In Aristotelis Physicorum libros quattuor priores commentaria p. 211, ll. 13-15: 206, 206n p. 211, ll. 15-18: 206, 206n p. 211, ll. 20-23: 206-207 p. 389, ll. 4-5: 207 p. 389, ll. 6-7: 207 p. 389, ll. 12-13: 208 p. 422, l. 19-p. 423, l. 23: 26n p. 422, l. 20: 27 p. 422, ll. 24-26: 27 p. 766, ll. 16-19: 206n In Aristotelis De Coelo p. 430, ll. 32-33: 49n, 50
Sesto Empirico Adv. Mathem. VII, 22: 62n VIII, 254-256: 202n
Siriano In Metaphysicam commentaria p. 11, ll. 11-13: 18
La sillogistica di Alessandro di Afrodisia 329 Sofocle Electra v. 256: 195n Teofrasto di Ereso Logica (Repici [1977]) fr. 20b: 35 fr. 22b: 35 FHS&G fr. 8: 30 fr. 9a: 85 fr. 18b: 85 fr. 68: 85 fr. 72 A: 40 fr. 81 A: 32, 95 fr. 82 A: 33 fr. 87 A: 38 fr. 88: 37 fr. 90 A: 32 fr. 91 A: 33, 176 fr. 91 B: 33, 176
fr. 91 C: 176 fr. 91 D: 176 fr. 97: 37, 85 fr. 100 A-D: 56, 56n-57n fr. 100 A: 32, 57 fr. 100 B: 57 fr. 100 C: 141, 141n fr. 100 E: 57n fr. 102 A: 33, 36 fr. 103 B: 35 fr. 104: 34, 217 fr. 105: 165, 165n fr. 106A: 34, 219-220 fr. 106 B: 34, 220 fr. 106 C: 34 fr. 107 A: 35 fr. 107 B: 36 fr. 110 A: 37, 160n, 232 fr. 111 E: 37, 159 fr. 112 A: 36 fr. 113 A: 36 fr. 113 B: 36
330 Luca Gili Ringraziamenti Questo libro nasce dalla rielaborazione di alcuni lavori presentati alla Scuola Normale di Pisa negli anni 2007-2010 e della mia tesi di laurea, discussa nel luglio 2009 a Pisa. Ringrazio Francesco Del Punta e Mauro Mariani, che fin dall’inizio mi hanno suggerito di intraprendere questa ricerca e mi hanno sempre incoraggiato durante la sua lunga gestazione. Jonathan Barnes, Mario Bertagna, Riccardo Chiaradonna, Francesco Del Punta, Gabriele Galluzzo, Mauro Mariani e Paul Thom hanno letto queste pagine a stadi diversi della loro elaborazione, suggerendomi molto gentilmente utili correzioni e importanti miglioramenti. I seminari di Paul Thom e di Simo Knuuttila su alcune teorie sillogistiche medievali, tenuti nel 2009 alla Scuola Normale, sono stati per me un’importante fonte di ispirazione. Preziose informazioni mi sono state fornite, a voce o per lettera, da Paolo Crivelli, Cristina D’Ancona, Concetta Luna e Claudio Moreschini. A tutti loro esprimo la mia più profonda gratitudine. Naturalmente gli errori che questo libro contiene sono soltanto una mia responsabilità.